UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI PADOVA
DIPARTIMENTO DI PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO E DELLA SOCIALIZZAZIONE
IX CONVEGNO NAZIONALE
LA PREVENZIONE NELLA SCUOLA E NELLA COMUNITÁ:
“SMART COMMUNITY”
4 – 6 LUGLIO 2013 – PADOVA
1
RETE SCIENTIFICA
Arcidiacono Caterina (Università degli Studi di Napoli), Bertini Mario (Università degli Studi di Roma),
Branca Piergiulio (Libero professionista Padova), Celata Corrado (ASL Milano - Dipartimento Dipendenze),
Cicognani Elvira (Università degli Studi di Bologna), Contesini Angela (Pisa), Croce Mauro (ASL 14 di
Omegna, Verbania), De Piccoli Norma (Università degli Studi di Torino), De Vogli Roberto (University College
London), Francescato Donata (Università degli Studi di Roma), Gamberini Luciano (Università degli Studi di
Padova), Gelli Bianca Rosa (Università degli Studi di Lecce), Gelmi Giuseppina (ASL di Milano), Gini Gianluca
(Università degli Studi di Padova), Lavanco Gioacchino (Università degli Studi di Palermo), Licciardello
Orazio (Università degli Studi di Catania), Mannarini Terri (Università degli Studi di Lecce), Manetti Mara
(Università degli Studi di Genova), Marta Elena (Università degli Studi di Milano), Martini Raffaello (Lucca),
Meringolo Patrizia (Università degli Studi di Firenze), Mirandola Massimo (Verona), Petrillo Giovanna
(Università degli Studi di Napoli), Prezza Miretta (Università degli Studi di Roma), Rossetto Lorenzo
(Vicenza), Santinello Massimo (Università degli Studi di Padova), Scacchi Luca (Università degli Studi di
Aosta), Signani Filvia (Università degli Studi di Ferrara), Trentin Rosanna (Università degli Studi di
Padova),Vieno Alessio (Università degli Studi di Padova), Zani Bruna (Università degli Studi di Bologna),
Zamperini Adriano (Università degli Studi di Padova).
COORDINAMENTO SCIENTIFICO
Santinello Massimo (Università degli Studi di Padova)
PATROCINI
Regione Veneto
Comune di Padova
Provincia di Padova
Ministero della Salute
Università degli Studi di Padova
Facoltà di Psicologia
Dipartimento di Psicologia Applicata
Dipartimento di Psicologia Generale
Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione
Ordine degli Psicologi del Veneto
SIPCO – Società di Psicologia di Comunità
2
INDICE
GIOVEDÌ 4 LUGLIO 2013
SESSIONE
“L’UTILIZZO DELLE NUOVE TECNOLOGIE PER LA PREVENZIONE AL BULLISMO”
FearNot! the Bullies: Learning to Cope with Bullying in a Virtual Environment
Maria Sapouna
p.
14
Giocando sul serio: i videogiochi come laboratorio
Matteo Cantamesse
p.
15
Noncadiamointrappola! - Un intervento evidence-based per la prevenzione del bullismo e del
cyberbullismo a scuola
Ersilia Menesini
p.
16
RUOLI PROFESSIONALI E FORMAZIONE DEGLI STUDENTI UNIVERISTARI
p.
17
Potere di… “Comunicare in relazione”. L’efficacia di un modello di intervento nel sostenere il
senso di potere personale degli studenti universitari
Francesca Chieco, Claudia Marino
p.
17
Apprendisti “in campo”: esperienza di tirocinio focalizzato su un intervento di prevenzione
dentale
Pasquale Fallace, Rosalba Capasso
p.
18
Brasato con patate: progetto di educativa di strada con strumenti web 2.0
Emanuele Resmini, Sabrina Taverniti
p.
19
Il lavoro nel tempo del precariato. Le rappresentazioni sociali di chi si forma ad essere
formatore
Loredana Varveri, Marianna Randazzo
p.
20
Operatori dell'educazione e omosessualità. Pregiudizi sessuali e nuove esigenze formative
Giuseppe Di Rienzo, Maria Garro
p.
21
Salute, educazione alla salute e nuova identità professionale dell’infermiere
Pasquale Fallace, Domenica Pagnano
p.
22
p.
23
SESSIONI POSTER
SESSIONE POSTER P1
SESSIONE POSTER P2
ALIMENTAZONE E PERCEZIONE DEL CORPO
3
Il rapporto fra i giovani e l’alimentazione: campagna LILT 2012-13 di educazione alla salute nelle
scuole superiori di primo e di secondo grado
Chiara Nicolini, Rosanna Trentin, Maria Cristina Gatto Rotondo, Chiara Cappetti
p.
23
Frutta a scuola e in famiglia
Stefania Tessari, Marina Casazza, Carlotta Vangelisti
p.
24
Giovani e chirurgia estetica
Teresa Fumusa
p.
25
Prospettiva temporale, vulnerabilità percepita ed health locus of control negli adolescenti
palermitani. Un contributo di ricerca e prospettive d’intervento sulla body art
Consuelo Serio
p.
26
“Impariamo di gusto” educazione alimentare a scuola
Stefania Tessari, Marina Casazza, Carlotta Vangelisti
p.
27
SCUOLA E PEER
p.
28
Bisogni e richieste emergenti in una scuola a maggioranza multietnica: come favorire
l'inclusione tra pari
Rosita Giunti, Francesca Ammogli, Laura Remaschi
p.
28
Il progetto Petali Nel Blu. Il teatro, una forma di prevenzione efficace per la dipendenza
dall'alcol
Fabrizia Modica
p.
29
Ti racconto la mia salute promozione della salute degli adolescenti attraverso la peer & media
education
Laura Prosdocimo, Silvana Widmann, Luisa Conte, Angela Bonomi Castelli
p.
30
Peer Leader in classe
Maria Chiara Forcella, Paolo Zuccaro De Stefani, Maura Crippa
p.
31
Peer education e università: Il Tutor Junior dell’Università di Padova
Lorenza Da Re
p.
32
“Gli alteranti”
Claudia Colarusso, Paola Tomelleri, Andrea Saccani
p.
33
HIV ALCOL SESSUALITÁ
p.
34
“Scopri che bevitore sei”: specifici training online per promuovere una scelta responsabile nel
consumo di alcol tra gli studenti
Natale Canale, Valerio D’Amici
p.
34
SESSIONE POSTER P3
SESSIONE POSTER P4
4
Il rapporto fra i giovani e l’alcol e l’educazione all’affettività e alla sessualità sicura: campagna p.
LILT 2012-13 di educazione alla salute nelle scuole secondarie di primo e secondo grado
Rosanna Trentin, Chiara Nicolini, Stefania Baldini
35
Adolescenza e qualità della vita
Chiara Vallini, Federica Rinaldi, Daria Vellani, Krzysztof Szadejko
p.
36
Idee giovani contro l’HIV. Un'esperienza di coinvolgimento ed empowerment dei giovani nella
produzione di messaggi contro l'HIV, sul tema della promozione del test , in sinergia con la
scuola
Cosetta Ricci, Antonella Prencipe, Gastone Cantarini, Gianna Gordini
p.
37
Progetto di educazione affettivo-sessuale in una scuola secondaria di primo grado
Francesca Baggio, Irene Domenichini, Concetta Elia, Silvia Facci
p.
38
Verso relazioni positive. Una cura contro lo stigma nei confronti delle persone che vivono con
l'HIV. Formazione operatori sociali e sanitari
Alessandro Cavassi, Cosetta Ricci, Silvia Bandini, Luca Negri, Paolo Fusaroli, Giuseppe Ballardini,
Bianca Caruso, Cinzia Pozzetti, Vittorio Foschini
p.
39
AUTONOMIA E INCLUSIONE
p.
40
Re Mida: DSA verso l'autonomia
Adelaide Carboni, Caterina Manni, Daria Vellani, Giulia Gibertini, Simona Franchini, Stefania
Carboni
p.
40
Esperienza di un operatore in alcune case famiglia romane: la vita degli ospiti
Paola D’Atena, Carlo Pescosololido
p.
41
Homeless biographies: narrative paths of shelter hosts
Eleonora Bordon, Alice Quattrocchi, Mariselda Tessarolo
p.
42
Vado a vivere da solo! L’applicazione della metodologia del Coach Familiare per realizzare il
desiderio di una persona con disabilità acquisita
Pietro Berti, Serena Cartocci, Davide Casto, Beatrice Mariani, Valeria Zoli
p.
43
Progetto Senape: un programma per l'inclusione sociale di minori con disabilità motoria
Annalisa Cerri, Francesca Tasselli, Sofia Banzatti
p.
44
Gli effetti del contatto interno sul pregiudizio: un’indagine tra gli studenti delle scuole
secondarie inferiori
Erica Viola, Filippo Rutto, Cristina O. Mosso
p.
45
Il progetto “La scuola a sostegno della cultura adottiva”. La famiglia e il minore adottato nelle
parole delle insegnanti
Simona Vitrano, Consuelo Serio
p.
46
SESSIONE POSTER P5
5
SESSIONE POSTER P6
LA COMUNITÁ SI ORGANIZZA: VOLONTARIATO E CITTADINANZA ATTIVA
p.
47
PROGETTO PIEDIBUS – bambini in movimento
Adriana Pierdonà, Anna Brichese, Elena Ciot, Tiziana Menegon, Sandro Cinquetti
p.
47
NaturalMente Ragazzi!
Elisa Magnolo
p.
48
Nuove forme di volontariato. Il volontariato occasionale nell’esperienza del Festivaletteratura di
Mantova
Anna Maria Meneghini, Paola Rossi, Diego Romaioli, Daniele Bottura
p.
49
Anch'IO VINCO: percorsi esperienziali di Volontariato, INclusione, Cittadinanza e Opportunità di
lavoro
Chiara Vallini, Daria Vellani, Krzysztof Szadejko, Elisa Pighi, Andrea Ascari
p.
50
La rete dei gruppi di cammino della provincia di Bergamo
Paolo Brambilla, Giuliana Rocca, Alessandra Maffioletti, Giorgio Barbaglio
p.
51
Dal gruppo di auto-mutuo-aiuto all’organizzazione condotta da utenti, una proposta di
evoluzione della prospettiva di studio per i gruppi nella comunità locale
Maria Angela Caputo, Nicolina Bosco, Fausto Petrini
p.
52
La consulenza psicopedagogica diventa servizio per sviluppare comunità
Claudia Turconi, Marta Bosi
p.
53
LUOGHI, AMBIENTI E MOBILITÁ
p.
54
Mentor UP: aiutiamo i ragazzi a crescere. Un progetto di Mentoring implementato
dall’Università degli Studi di Padova
Massimo Santinello, Marisa Bergamin, Chiara Verzeletti, Alessandro Agresti, Roberta Testa
p.
54
A scuola su due ruote: un esempio di prevenzione partecipata
Chiara De Vecchi, Valentina Del Grande
p.
55
Indicazioni operative rivolte ai Dipartimenti: aspetti di pertinenza ASL in ambito V.A.S.
(Valutazione ambientale strategica) legata agli strumenti di pianificazione urbanistica
Giuseppina Rizzo, Carmen Dirita, Anna Gay, Bianca Nucci, Enrico Procopio, Valerio Vecchiè,
Gianmartino Biollo
p.
56
Photovoice: Il senso dei luoghi nel ciclo di vita: una ricerca longitudinale
Giorgia Borrelli, Alessandra Chiurazzi
p.
57
SESSIONE POSTER P7
6
p.
58
PREVENIRE L’OPPRESSIONE SOCIALE E LA VIOLENZA
p.
59
I giovani di fronte all’abuso: Abbiamo Bisogno di Unanime Sostegno
Giovanni Battista Modonutti, Luca Leon, F. Costantinides
p.
59
Progetto Ipazia: Stalking e violenza alla donna
Maria Chiara Forcella, Paolo Zuccaro De Stefani, Crippa Maura
p.
60
Trattamento intensificato per sex offenders: gestione dei conflitti, abilità sociali e riduzione
della recidiva
Sara Signoretti, M. Ricci Messori, M. Vagni, D. Musso, A. Stronati, S. Piersanti, N. Buccioletti, V.
Albertini, C. Birgolotti
p.
61
La malattia mentale ed il malato di mente nelle opinioni e negli atteggiamenti degli studenti
della Scuola Secondaria di 1° e 2° grado del Friuli Venezia Giulia e del Veneto orientale
Giovanni Battista Modonutti
p.
62
LO SVILUPPO E IL CAPITALE SOCIALE: TRA RICERCA E AZIONE
p.
63
La partecipazione in adolescenza: sfide e risorse di una generazione in cambiamento
Elena Marta, Daniela Marzana, Sara Alfieri, Maura Pozzi
p.
63
Emozioni e disegno: presentazione di un progetto di ricerca e intervento che utilizza il “gruppo”
in carcere
T. Maiorano, Daniela M. Pajardi, E. Cannini
p.
64
Transition Towns as a tool for community development. First results of qualitative analysis
Anna Zoli, Barbara Pojaghi
p.
65
Profili di comunità per progetti di comunità
Giuseppe Errico, Angela La Torre
p.
66
A scuola con il car pooling! – esempio di mobilità sostenibile
Anna Brichese, Adriana Pierdonà, Tiziana Menegon, Sandro Cinquetti
VENERDÌ 5 LUGLIO 2013
SESSIONI PARALLELE
SESSIONE A
SESSIONE B
7
Il genere come moderatore nella relazione tra senso di comunità e qualità di vita
Norma De Piccoli, Chiara Rollero, Silvia Gattino
p.
67
Senso di Comunità e Immigrazione: uno studio nella Zona Stazione di Reggio Emilia. Quali
implicazioni per la convivenza?
Irene Barbieri, Christopher Sonn, Bruna Zani
p.
68
LEGAMI FAMILIARI
p.
69
Childhood links: un modello di formazione su operatori sociali mediante e-learning blended
C. Falsetti, T. Leo, I. Marinelli, D. Gangi, S. Greganti
p.
69
Il “viaggio nel viaggio”: prima ricognizione nelle scuole primarie di Palermo per favorire
l’inserimento scolastico del minore adottato
Cinzia Novara, Valentina Petralia, Maria Garro
p.
70
Accogliere la sfida di crescere un figlio con la sindrome di Down: una ricerca-intervento
M. Pierantoni, Elena Marta, Paolo Guiddi, G. Aresi, P. Rebaudi, C. Cibra
p.
71
La consulenza psicopedagogica diventa servizio per sviluppare comunità
Claudia Turconi, Marta Bosi
p.
72
Risorse da condividere. Progettare con le famiglie nella Tutela Minori
Anna Lucia Carretta
p.
73
Sensibilizzazione degli operatori alla cura del legame familiare nei casi di affido: un progetto
europeo
I. Marinelli, D. Gangi, D. Pajardi, S. Greganti, F. Cesaroni
p.
74
LA PREVENZIONE DELL’USO DI ALCOL: TRA RICERCA E INTERVENTO
p.
75
Binge drinking: rilevazione del fenomeno e attuazione di interventi preventivi nella scuola
secondaria di secondo grado
Michela Gatta, Marta Sisti, Lorenza Svanellini, Riccardo Fregna, Jessica Lai, Lisan Vellon, Marco
Penzo, Pier Antonio Battistella
p.
75
Binge drinking: motivazioni, influenza sociale e benessere psicologico
Luca Scacchi, Francesca Cristini, Alessandro Gabbiadini, Giovanni Aresi
p.
76
Il consumo di alcolici tra gli studenti universitari: bere come forma di socialità
Stefano Tartaglia
p.
77
TUTOR attività di prevenzione nel mondo del divertimento
Andrea Saccani, Paola Tomelleri, Claudia Colarusso
p.
78
SESSIONE C
SESSIONE D
8
p.
79
OPPORTUNITÁ E RISCHI LEGATI AI NUOVI MEDIA
p.
80
ComunicAttivi: un progetto di promozione dell’uso consapevole e corretto dei “nuovi media”
Elena Ciot, Simona Galgani, Tiziana Menegon, Anna Brichese, Sandro Cinquetti
p.
80
Bella senz’anima: prospettive di indagine e di intervento
Cinzia Amoroso, Gioacchino Lavanco
p.
81
Attenti ai prepotenti. Una ricerca sul bullismo e sul cyberbullismo nel territorio di Santarcangelo
di Romagna
Cinzia Albanesi, Elvira Cicognani
p.
82
Il cyberbullismo… analizziamo le caratteristiche del fenomeno a 360°
Giuliana Guadagnini, Christian Serpelloni, Erminia Contini, Alberto Boscagin, Vanessa Foletto
p.
83
Contro il bullismo: risorse multimediali, testimonianze, networks
Carmencita Serino, Alberto Antonacci
p.
84
I social network tra diritto e alfabetizzazione
Maria Morena Ragone
p.
85
Smart City e Fondi di sviluppo urbano: esperienze internazionali a confronto e qualche riflessione
sui meccanismi di finanziamento delle iniziative
Edoardo Reviglio
p.
86
Come comunicare le grandi infrastrutture alla città: il caso del parco progetto progettati da
Santiago Calatrava per Reggio Emilia
David Zilioli
p.
87
La promozione del benessere territoriale nella periferia milanese: il quartiere San Siro
Davide Boniforti
p.
88
Engedered and Timing Smart City – La città intelligente attenta al determinante genere e
all’armonizzazione dei tempi
Fulvia Signani
p.
89
“Rendiamo facili le scelte salutari”: la Progettazione Partecipata su alcol e stili di vita in 5
comuni dell'Azienda Ulss n. 4 Altovicentino
Lucio Basso, Fabrizia Polo
SESSIONE E
SESSIONE
“SMART COMMUNITIES: LE “COMUNITA’ INTELLIGENTI” CHE PROMUOVONO IL BENESSERE”
9
SESSIONE
“I SISTEMI DI SORVEGLIANZA DELLA SALUTE E DEL BENESSERE COME STRUMENTO PER LA
DEFINIZIONE DELLE POLITICHE A LIVELLO REGIONALE, NAZIONALE ED EUROPEO”
p.
90
p.
91
I Minori Stranieri Non Accompagnati si raccontano con il Photovoice
Marta Casarin, Massimo Santinello
p.
92
Una riflessione critica sull’utilizzo del metodo Photovoice con adolescenti e giovani: punti di
forza e limiti di una metodologia di ricerca-azione partecipata
Daniela Caso, Fortuna Procentese
p.
93
Comprendere il fenomeno migratorio attraverso il photovoice: quali criticità e quali possibili
soluzioni?
N. Rania, S. Rebora, P. Cardinali, L. Migliorini
p.
94
La promozione del cambiamento e della partecipazione attraverso il Photovoice, indagine tra gli
studenti italiani e rumeni
Laura Remaschi, Patrizia Meringolo, Aliona Dronic, Ovidiu Gavrilovici
p.
95
p.
96
La sorveglianza dei suicidi e dei disturbi mentali causati dalla crisi economica in sostegno a
nuove politiche di protezione sociale
Roberto De Vogli
WORKSHOP
WORKSHOP 2
EMPOWERMENT EVALUATION
Stefano Gheno
SIMPOSIO
“LO STRUMENTO PHOTOVOICE: RIFLESSIONI SUL METODO A PARTIRE DA ESPERIENZE
SVILUPPATE IN DIVERSI CONTESTI”
WORKSHOP
WORKSHOP 4
ARENE PARTECIPATIVE
Angela Fedi, Terri Mannarini
10
SABATO 6 LUGLIO 2013
SESSIONI PARALLELE
SESSIONE F
IL RUOLO DEI CONTESTI NELLA PREVENZIONE DI DISAGIO E MARGINALITÀ
p.
97
Come prevenire il disagio psicologico all’interno della scuola e delle comunità attraverso
l’intervento di gruppo
Vinanda Var
p.
97
Integrazione scolastica e sociale di bambini e ragazzi sordi: creare legami tra famiglia, scuola e
istituzioni
Ettore De Angeli
p.
98
“Far da sé”: una proposta per progettare l’autonomia abitativa della persona con disabilità
psichica
Luca Leon, Giovanni Battista Modonutti, S. Pontin
p.
99
L’interazione multiculturale: esserci o non esserci?
Rosaria Ferone, Maria D’Alisa, Andrea Capasso, Cristina Harrison, Gerarda Molinaro, Maria
Femiano
p.
100
Oppressione psicosociale in contesti ad alta presenza di criminalità organizzata. Un primo studio
sulla realtà casertana del 1992
Fortuna Procentese, Alfredo Natale
p.
101
LA PREVENZIONE DEI COMPORTAMENTI A RISCHIO NELLA SCUOLA E NELLA COMUNITÁ
p.
102
Focus group per la prevenzione del consumo precoce di alcolici negli adolescenti: un’esperienza
di ricerca-azione nelle scuole secondarie di II grado di Padova
Michela Gatta, Cristina Gatto Rotondo, Jessica Lai, Marta Sisti, Lorenza Svanellini, Riccardo
Fregna, Lucia Ronconi, Maurizio Salis, Emilia Ferruzza
p.
102
La prevenzione dell’HIV/AIDS con donne e giovani: indicazioni dalla valutazione della campagna
comunicativa Ministeriale 2012-13
Davide Mazzoni, Gabriele Prati, Elvira Cicognani, Cinzia Albanesi, Luca Pietrantoni, Bruna Zani
p.
103
Azzardo: adolescenti e orientamento valoriale
Loredana Varveri
p.
104
Prevenire obesità e sovrappeso: che ruolo hanno le caratteristiche di personalità?
Manuela Tomai, Veronica Rosa, Minou Ella Mebane, Maura Benedetti, Donata Francescato
p.
105
Esempio di Nuove Tecnologie Applicate alla Prevenzione Primaria.
Il Progetto pilota del Dipartimento di Prevenzione e dal TMSREE della ASL Roma D
Claudio Fantini, Lorenzo Toni, Debora Vilasi, Pasquale Plateroti, Olinda Caccaro, Marco
Iannacone, Francesca Pontecorvo, Antonella Cimaglia
p.
106
SESSIONE G
11
SESSIONE H
p.
107
PROGETTO TEENAGER: la condivisione di uno spazio ricreativo “non virtuale” tra preadolescenti p.
“difficili” quando il contesto attuale sembra essere dominato dai netlog e dalle nuove tecnologie
Maria Negri, Ilaria Minervini, Patrizia Caucino, Barbara Andreoli, Stefania Zorzetto
107
IL PROGETTO NESSUNO ESCLUSO - Una Ricerca-azione per la prevenzione della dispersione
scolastica, privilegiando la collaborazione e la condivisione della rete territoriale
Maddalena Marcanti, Sabrina Bonomi, Francesca Oppici
p.
108
“SCUOLA APERTA”: la storia continua
Laura Brusaterra, Elena Bottignolo, Luca Zini, Michele Pellizzari, Stefano Rigoni
p.
109
Centri di Informazione e Consulenza (C.I.C.) – Un possibile modello per la prevenzione precoce
dell’uso di sostanze stupefacenti e l’abuso di alcol tra i giovani
Maurizio Gomma, Giovanni Serpelloni, Claudia Rimondo, Giuliana Guadagnini
p.
110
Diario della Salute. Percorsi di promozione del benessere tra i pre-adolescenti: progetto
nazionale CCM 2011
Laura Marinaro, Antonella Ermacora, Roberta Molinar, Attilio Clerico, Maria Teresa Revello,
Daniela Galeone
p.
111
EDUCARE ATTRAVERSO I NUOVI MEDIA
p.
112
YOUNGLE un network nazionale di ascolto e aiuto ONLINE rivolto ad adolescenti e gestito da
adolescenti
Stefano Alemanno, Franca Francia
p.
112
Mobile addiction e prevenzione attraverso il gruppo dei pari
Gioacchino Lavanco, Carolina Messina, Floriana Romano, Liana Arcuri
p.
113
I bambini e le tecnologie digitali: Ricerca qualitativa tra gli alunni delle scuole primarie di primo
grado di Modena, Parma e Piacenza
Krzysztof Szadejko, Elena Coppelli, Daniela Rossetti, Alessandra Genziani, Chiara Vallini, Andrea
Ascari
p.
114
Contatto facebook: “Peer ASL NA 2 Nord”
Francescantonio Auletta, Pasquale Fallace, Maria Mazzarella, Vincenza Del Prete, Francesca
Esposito
p.
115
Tutoring, peer education e media education: l’esperienza all’ITIS “G. Chilesotti” di Thiene (VI)
Laura Brusaterra, Luca Zini
p.
116
MODELLI DI PREVENZIONE E SCUOLA
SESSIONE I
12
SIMPOSIO
“STRUMENTI E BEST PRACTICE DELLA PSICOLOGIA DI COMUNITÀ NELLA SCUOLA E NELLA
COMUNITÀ ”
La gestione della violenza domestica: lo psicologo come risorsa
I. Di Napoli, G. Borrelli
p.
117
Interazione scolastica e fotovoice
Caterina Arcidiacono
p.
118
“La cultura di genere nelle scuole”: l’uso dello sceneggiato con adolescenti
Marina Esposito, Fortuna Procentese
p.
119
L’osservazione ecologica nella formazione di base dello psicologo
Filomena Tuccillo, Caterina Arcidiacono
p.
120
La prevenzione del gioco d’azzardo patologico tra i giovani può diventare un… azzardo?
Daniela Capitanucci
p.
121
Effective prevention strategies for preventing risky single occasion drinking (RSOD) during
adolescence
Emmanuel Kuntsche
p.
122
Post-Modern Man and New Forms of Addiction
Mauro Croce
p.
123
SESSIONE
“NUOVE E VECCHIE STRATEGIE DI PREVENZIONE”
13
GIOVEDÌ 4 LUGLIO 2013
SESSIONE
“L’UTILIZZO DELLE NUOVE TECNOLOGIE PER LA PREVENZIONE AL BULLISMO”
Coordinatore: Gianluca Gini, Università degli Studi di Padova
FearNot! the Bullies: Learning to Cope with Bullying in a Virtual Environment
Dr Maria Sapouna and Professor Dieter Wolke
University of Central Lancashire
[email protected]
There has been a plethora of anti-bullying interventions in recent years with rather mixed results. At the
same time, there is growing international evidence that bullying can have negative long-term
consequences in all spheres of life including mental health and social relationships. Here I will introduce
FearNot!, the first ever virtual learning intervention designed to reduce bullying victimisation in primary
schools. In the virtual world of FearNot!, students get the opportunity to experience first-hand how
hurtful bullying can be for victims and how outsiders can support victims. Students are no longer passive
onlookers of bullying. They are, instead, invited to befriend the virtual victims and advise them on what to
do to stop bullying. Thanks to its innovative technology, FearNot! allows students to witness whether the
advice they gave to John and Frances (the virtual victims) worked for them or not. We tested the
intervention in 27 primary schools in the UK and Germany using a robust controlled trial design and found
that FearNot! can help victimised children escape bullying, at least in the short-term. I will discuss some of
the mechanisms that may be involved in this transformation but also some of the limitations in the design
and implementation of FearNot! that may have prevented this highly innovative educational game from
reaching its full potential. Finally, wider conclusions will be drawn regarding the design of future antibullying interventions intended to foster resilience to bullying.
14
Giocando sul serio: i videogiochi come laboratorio
Matteo Cantamesse
AESVI (Associazione Editori Sviluppatori Videogiochi Italiani)
[email protected]
I videogiochi possono essere considerati, secondo J. Blascovich, come ambienti di sperimentazione in
senso psicologico e psicosociale. La loro natura digitale, controllata, replicabile ma al contempo immersiva
e coinvolgente rende infatti possibile l'emergenza di comportamenti naturali e reazioni spontanee,
creando esperienze dense di significati. Nell'intervento verranno presentati i risultati di una ricerca
focalizzata sulle dinamiche sociali in contesti videoludici, il cui obiettivo ultimo era indagare il ruolo degli
ambienti virtuali, e più specificatamente dei MMORPG, a supporto delle dinamiche relazionali nel contesto
sociale degli adolescenti.
15
Noncadiamointrappola! - Un intervento evidence-based per la prevenzione del bullismo e del
cyberbullismo a scuola
Ersilia Menesini
Università degli Studi di Firenze
[email protected]
L’obiettivo del presente lavoro è descrivere e valutare un modello di intervento basato su peer education –
peer support, realizzato in alcune scuole secondarie di secondo grado della Toscana e volto a prevenire e
contrastare il bullismo e il cyberbullismo: il progetto Noncadiamointrappola 3a edizione (a.s. 2011-2012).
L’intervento è strutturato, durante l’anno scolastico, in diverse fasi che vedono il coinvolgimento attivo di
alcuni studenti in ogni classe (peer educators): essi diventano gli agenti di cambiamento, portando avanti
attività faccia a faccia con i loro compagni, e attività online sul sito web e sulla pagina facebook del
progetto, interagendo così anche con studenti di altre scuole. Il progetto è nato nel 2008 e si è modificato
e arricchito ogni anno di nuovi componenti (Menesini, Nocentini, 2011, Palladino, Nocentini, Menesini,
2012). In particolare, nella 3a edizione abbiamo mantenuto lo stesso approccio con l’aggiunta del
coinvolgimento del corpo docenti e di una maggior strutturazione delle attività in classe portate avanti dai
peer educators.
Hanno partecipato al progetto 29 classi sperimentali (N=675) e 12 classi di controllo (N=271) appaiate per
tipologia di scuola e indirizzo. Le stesse variabili (bullismo, vittimizzazione, cyberbullismo e
cybervittimizzazione) sono state indagate all’inizio, a metà e alla fine dell’intervento. Dalle analisi condotte
emerge nel gruppo sperimentale una riduzione significativa dei fenomeni – bullismo, vittimizzazione,
cyberbullismo e cybervittimizzazione -, mentre nel gruppo di controllo non si evidenziano cambiamenti
significativi nel tempo.
16
SESSIONI POSTER
SESSIONE POSTER P1
RUOLI PROFESSIONALI E FORMAZIONE DEGLI STUDENTI UNIVERISTARI
Coordinatore: Fausto Petrini
Potere di… “Comunicare in relazione”. L’efficacia di un modello di intervento nel sostenere il
senso di potere personale degli studenti universitari.
Francesca Chieco, Marino Claudia
SERVIZIO D’ASSISTENZA PSICOLOGICA – BENESSERE SENZA RISCHIO (SAP BSR)
Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione, Università degli studi di Padova
[email protected]
Il Servizio d’Assistenza Psicologica – Benessere Senza Rischio (SAP BSR) rivolto agli studenti universitari
dell’Ateneo di Padova eroga gratuitamente iniziative volte alla promozione del benessere e alla riduzione
del rischio connesso alla salute. Per affrontare la fluidità e la complessità della vita sociale, in tempi
attuali, sembrano necessarie competenze nuove che possano aiutare le persone ad avere un maggiore
controllo sulle proprie condizioni di benessere. In tal senso, sembrano utili interventi e servizi psicologici
che enfatizzino la natura sociale delle relazioni e che prevedano strategie in grado di incidere sui diversi
contesti. Da qui l’importanza di prevedere azioni che siano in grado, da una parte, di impattare il contesto
di appartenenza in modo nuovo (Culkin e Mallick, 2010) e dall’altra di sostenere nel singolo la possibilità di
realizzare il proprio potenziale, accrescendo le sue competenze, le sue abilità sociali per vivere e
agire“con” e “per” le relazioni interpersonali. In tale ambito si inseriscono gli interventi di promozione del
benessere volti a favorire l’acquisizione e il rafforzamento delle abilità sociali (social skills), quali le capacità
comunicative e di relazione. L’importanza dell’adozione di questo tipo di interventi è evidenziata, nel
panorama scientifico internazionale, per le sue connessioni con il self empowerment (Pastor, 1996; Stainer,
1997; Zimmerman, Warschausky, 1998). Il modello di training “Comunicare in relazione” è stato promosso
dal Servizio SAP BSR per favorire, tra gli studenti, lo sviluppo e il rafforzamento delle competenze personali
spendibili nell’ affrontare la vita sociale e relazionale in maniera più adattiva, in particolare dal punto di
vista della comunicazione. Tale modello è stato sottoposto a verifica per valutarne la reale efficacia nel
produrre un cambiamento nel senso di potere personale percepito (self empowerment). I risultati
evidenziano l’efficacia del modello nel produrre cambiamenti significativi in variabili determinanti per il
benessere individuale, quale il self empowerment; confermando quanto sostenuto in letteratura. Tale
tipo di intervento si colloca appieno nel contesto di quelli che si possono definire nuovi strumenti
necessari per rispondere ai bisogni di benessere emergenti nella società attuale, caratterizzata dal senso di
sfiducia e impotenza degli individui. Il movimento è nella direzione di far acquisire a ciascun individuo il
potere sulla gestione della propria vita, chiave per il potenziamento individuale (“potere di”) e delle
proprie relazioni (“potere con”). Infine, tale lavoro rappresenta una conferma empirica promettente
rispetto all’utilizzo degli interventi di natura selettiva o indicata (Institute of Medicine, 1994) nel loro
declinarsi in azioni efficaci di sostegno e promozione del benessere, che vedono le persone stesse
protagoniste.
17
Apprendisti “in campo”: esperienza di tirocinio focalizzato su un intervento di prevenzione
dentale
Pasquale Fallace*, Rosalba Capasso**
*ASL NA 2 Nord – Struttura Semplice di Educazione alla Salute
**Scuola Primaria “G. Mazzini” Frattamaggiore (NA)
[email protected]
Il lavoro descrive una modalità, forse inedita, di svolgimento di tirocinio post-laurea specialistica per
l’accesso all’esame di Stato di Psicologo, presso la Struttura di Educazione alla Salute dell’ASL NA 2 Nord e,
parallelamente, la realizzazione del progetto di prevenzione dentale “Identikit” in una scuola primaria.
Il tirocinio
La singolarità del percorso sta nel fatto che l’esperienza complessiva nasce dall’esigenza di contemperare
la pianificazione degli obiettivi, dei tempi e delle attività su cui incentrare il tirocinio, alla condizione della
tirocinante, insegnante in una scuola primaria e quindi lavoratrice impegnata tutti i giorni a scuola.
Considerata la mission della struttura di afferenza, il tirocinio si è posto come programma di
apprendimento l’approfondimento di teorie, strumenti e metodi per la promozione alla salute nell’ottica
dell’empowerment e delle teorie ad esso sottese. Tali contenuti generali, calati nello specifico operativo,
hanno indirizzato a scegliere un’attività finalizzata all’acquisizione di competenze alla progettazione,
secondo una tassonomia metodologicamente corretta, e all’apprendimento sul campo di specifiche
metodologie di azione attraverso l’applicazione delle stesse nella realizzazione di un intervento. Il lavoro si
è svolto in massima parte con una modalità di supervisione indiretta delle attività in classe e di costante
confronto per le valutazioni in itinere, ponendo al centro il percorso formativo del tirocinante.
Il progetto
È stato adottato il progetto “Identikit: Progetto di prevenzione in materia di salute orale mediante
educazione sanitaria nelle scuole elementari”, del Progetto Scuola e Salute, programma “Guadagnare
Salute, Rendere facili le scelte salutari” (Prot. Int. 5/01/2007 fra Min. Salute e Min. Istruzione). Un kit ricco
di materiali e percorsi predisposti, coinvolge i bambini in un percorso per educare a corretti stili di vita. È
condotto dagli insegnanti, poiché è dimostrato che i programmi di promozione della salute sono più
efficaci se condotti dagli insegnanti. All’interno dell’articolata offerta del kit, sono state selezionate le
azioni implementabili nell’arco di durata del tirocinio, adatte alla fascia di età e realizzabili nella normale
programmazione settimanale delle attività di classe della tirocinante. Il lavoro si è svolto in una prima
elementare, con 25 bambini di 6/7 anni. Sono state privilegiate attività didattiche favorenti il
coinvolgimento attivo (learning by doing), la collaborazione (cooperative learning e peer education), il
confronto e il rispetto di diversità (multi ed interculturale education). Sono stati messi in atto intrecci tra
comunicazione orale di storie, favole, leggende e espressione musicale e mimico-gestuale con canzoncine,
giochi e drammatizzazioni. Nonostante l’età, inoltre, non è stata trascurabile l’espressione informatica con
l’uso del pc per video giochi, immagini digitali fotografiche e filmiche.
18
Brasato con patate: progetto di educativa di strada con strumenti web 2.0
Emanuele Resmini, Sabrina Taverniti
Giostra Cooperativa Sociale csarl P.zza de Angeli 9, Milano
[email protected]
L’educativa di strada ha come fulcro il “movimento degli operatori verso i ragazzi”: è l’équipe di educatori
ad attivarsi in prima persona per andare verso i giovani, sia intercettando gruppi informali che si
riuniscono per strada, sia rivolgendosi a gruppi formali più strutturati, attraverso strumenti flessibili che
vengono tarati di volta in volta in base al gruppo. Per istaurare un’autentica relazione con gli adolescenti
l’operatore di strada deve mettere in moto un movimento di avvicinamento rispettoso verso gli stessi,
verso i loro luoghi, i loro linguaggi, il loro sentire e percepire la realtà e se stessi. Per questo motivo non si
può ignorare quel fenomeno che, ormai da qualche anno, è diventato parte integrante della loro vita,
condizionandone il modo di comunicare e di pensare: l’avvento del social-network. Il diffondersi
inarrestabile dei “Social” sta cambiando il modo di comunicare e di relazionarsi, al punto che una strategia
di comunicazione efficace non può prescindere dalla presenza su siti come Facebook.
Gli adolescenti a cui ci rivolgiamo si possono a buon titolo apostrofare “nativi digitali”: essi non usano la
“rete”, la vivono. I social network offrono agli amici uno spazio dove mantenere le relazioni, chattare gli
uni con gli altri e condividere molte cose. Regalano loro la possibilità di costruire nuove relazioni in modo
facile ed immediato. I ragazzi costruiscono la loro “identità” virtuale attraverso il social, che diventa uno
specchio in cui vedere riflessi i propri pensieri, le proprie immagini, la proprie azioni. Questo specchio, a
differenza del vecchio diario segreto, è uno specchio pubblico, esposto agli sguardi di tutti gli “abitanti”
della rete.
Tutto ciò non può non avere effetti nella vita reale dei ragazzi, con ricadute sull’identità personale,
famigliare e sociale.
Da qui l’importanza che ci siano, anche sul web, degli adulti significativi che parlino con gli adolescenti
nella rete, della rete e del mondo fisico.
Se l’educativa di strada è raggiungere i giovani nei loro luoghi abituali di ritrovo, oggi è impossibile non
considerare il web.
Sulla base di queste considerazioni dal 2010 è attivo in due Comuni del sud ovest milanese un progetto di
educativa di strada che utilizza come strumento di supporto al lavoro svolto nei servizi un profilo Facebook
ad hoc: “Brasato con patate”. Gli obiettivi generali che gli operatori intendono perseguire attraverso
l’utilizzo di questo strumento si possono racchiudere in tre macro-aree: monitoraggio; informazione;
supporto educativo. La riflessione che è nata dall’esperienza tutt’ora in corso, alla luce dei risultati fino ad
ora ottenuti, porta gli educatori ad affermare che la comunicazione mediata può diventare uno strumento
in grado di facilitare il lavoro educativo con gli adolescenti. Il social network, inserito nel setting educativo,
rappresenta uno “spazio intermedio” e protetto in cui proseguire la relazione istaurata nel mondo reale
con i ragazzi.
19
Il lavoro nel tempo del precariato. Le rappresentazioni sociali di chi si forma ad essere
formatore
Loredana Varveri, Marianna Randazzo
Università degli Studi di Palermo
[email protected]
Introduzione. Nel tempo del precariato e dell'incertezza, nel quale scarseggia la speranza per il futuro,
anche per chi domani sarà un formatore emerge la necessità di prendere consapevolezza degli eventi e di
riflettere circa la propria motivazione al cambiamento.
La ricerca effettuata vuole essere un momento di riflessione sui bisogni che gli studenti della facoltà di
Scienze delle Formazione dell'Ateneo di Palermo avvertono nel loro percorso universitario, ma
soprattutto, un’analisi delle rappresentazioni sociali che essi posseggono riguardo al proprio futuro ruolo
professionale.
Metodologia della ricerca. Il contributo di ricerca, realizzato in collaborazione alla Cattedra di Psicologia di
comunità dell’Università di Palermo, ha coinvolto 50 studenti scelti casualmente tra gli iscritti ai corsi di
laurea magistrale in Scienze della Formazione continua, di laurea specialistica in Formazione degli adulti e
ai neo laureati degli stessi corsi nell'A.A. 2010-2011.
È stato utilizzato il metodo qualitativo. La tecnica d’indagine utilizzata per la raccolta delle dichiarazioni
verbali è stato il questionario. I dati sono stati trascritti e analizzati attraverso l’ausilio del software Atlas.ti.
Analisi dei dati. È stato utilizzato il metodo carta e matita. I dati sono stati codificati e poi classificati in
quattro macro-categorie: il lavoro oggi; influenza della crisi economica sul proprio futuro lavorativo (e
proposte di soluzione); consapevolezza del proprio ruolo professionale di formatore; grado di
soddisfazione rispetto alla proposta didattica del proprio piano di studi.
Analizzando i dati emerge che il lavoro è prevalentemente associato alla precarietà e all'incertezza,
all'assenza di speranza, alla difficoltà e all'illusione legate, prevalentemente, alla crisi e ad una cattiva
gestione politico-amministrativa sia a livello regionale che nazionale. Le aspettative rispetto alla figura
professionale del formatore vengono descritte prevalentemente da aggettivi quali «appagante»,
«creativo», «entusiasmante» e «libero». I dati relativi alla soddisfazione sulla proposta didattica
suggeriscono una maggiore traduzione della teoria in esperienze pratiche e piani di studio attenti alla
trasmissione di maggiori competenze progettuali.
Discussione. Dai risultati prodotti dalla ricerca emerge che il lavoro sembra essere collocato quasi
esclusivamente in una dimensione negativa. La formazione, comunque, è considerata un lavoro
appagante, creativo e libero. Gli elementi emersi dai dati, inoltre, hanno fornito informazioni utili a
possibili proposte di modifica dei piani di studio a favore di competenze progettuali e pratiche migliori.
Hanno, anche, offerto suggerimenti su una maggiore collaborazione tra università, politica e mondo del
lavoro, con l'obiettivo di creare professionisti competenti e motivati, capaci di interpretare
responsabilmente e creativamente i segni del presente, per imparare a progettare il futuro.
20
Operatori dell'educazione e omosessualità. Pregiudizi sessuali e nuove esigenze formative
Giuseppe Di Rienzo, Maria Garro
Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Palermo
[email protected]
L'evoluzione del pensiero medico e la crescente visibilità delle persone gay e lesbiche non appaiono
sufficienti per una concreta realizzazione dell'accettazione dell'omosessualità da parte dell'opinione
pubblica. Il persistente pregiudizio sessuale, infatti, esorta a discriminare i soggetti alla luce
dell'orientamento sessuale poiché induce a valutare negativamente coloro i quali violano sia i sistemi di
credenze legate al genere sia, ancora, le opinioni condivise relative alla dicotomia mascolinità/femminilità.
A supporto di quanto fin qui evidenziato, si propone l'esito di un'indagine avente come obiettivo l'analisi
degli atteggiamenti degli operatori, in fieri e in divenire, delle relazioni di aiuto rispetto al genere e
all'orientamento sessuale. All'indagine hanno partecipato 603 studenti iscritti ad alcuni Corsi di Laurea
della di Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università degli Studi di Palermo (Triennio e LM).
L'analisi delle risposte fornite dagli stessi agli strumenti utilizzati – il Questionario sugli atteggiamenti degli
studenti rispetto al sesso e al genere e la Scala Italiana di Misura dell'Omonegatività (Lingiardi et all, 2005)
– restituisce il profilo di un operatore in formazione non scevro di pregiudizi; questi ultimi sono espressi,
ad esempio, dal 44,11% che concorda con l’item Se scoprissi che un insegnante è gay toglierei mio figlio
dalla sua classe, dal 41,46% che condivide che L’omosessualità è un disturbo psicologico e, ancora, dal
47,1% che non pensa che La differenza tra omosessualità maschile e pedofilia è netta (neutrale il 13,76%).
I risultati esortano pertanto alla riflessione ma anche alla necessità di presentare modelli formativi capaci
di offrire una visione plurale delle identità di genere. È opportuno, infatti, che gli operatori del sociale
s’interroghino sui modi attraverso i quali l'essere umano si rappresenta la realtà, sui processi di
categorizzazione, sui pregiudizi e sulla possibilità di modificarli.
Si delinea quindi l'esigenza di strutturare un percorso formativo caratterizzato, oltre che per la
trasmissione di conoscenze sul piano disciplinare, anche per l’attivazione di momenti laboratoriali, intesi
come luoghi in cui poter veicolare apprendimenti fondati sull’esperienza e, quindi, significativi sul piano
della conoscenza di sé. I laboratori consentirebbero di apprendere a un livello “meta”, capace di
trasformare il proprio modo di essere, di destrutturare ciò che si è passivamente introiettato al fine di
educarsi prima di poter educare l’altro.
21
Salute, educazione alla salute e nuova identità professionale dell’infermiere
Pasquale Fallace, Domenica Pagnano
ASL NA 2 Nord - Struttura Semplice di Educazione alla Salute
[email protected]
Negli ultimi decenni il mondo della Sanità ha subito delle trasformazioni radicali in conseguenza di una
evoluzione dei modelli culturali ad esso sottesi. Il concetto di Salute inteso come condizione di benessere
complessivo della persona, ha soppiantato in maniera sempre più definita l’idea che la salute si possa
identificare con la mera assenza di malattia. In conseguenza di tali evoluzioni gli stessi obiettivi
dell’assistenza sanitaria sono sempre più orientati verso un cambiamento in direzione della tutela
complessiva della Salute dei cittadini in una visione olistica della persona lungo le dimensioni biologica,
psicologica e sociale. Numerose normative nazionali e regionali sottolineano che l’educazione alla salute è
un compito primario delle ASL che devono essere impegnate in tutte le loro articolazioni nella promozione
di una cultura della Salute.
In particolare nella professione infermieristica che abbiamo preso in considerazione, è importante
considerare l’assistenza come un supporto che riguarda sia la “parte” malata della persona ma soprattutto
quella sana in tutto l’arco della vita al fine di non curare solamente la malattia ma di promuovere “la
salute” nel suo significato più ampio e pieno del termine. L’infermiere non è più unicamente colui che si
occupa della presa in carico del paziente, ma assume pure il ruolo di persona di riferimento che
contribuisce a migliorare la sua health literacy, ossia le competenze in materia di gestione della malattia, di
prevenzione e di promozione della salute. Grazie alla conoscenza della persona con la quale interagisce, il
personale infermieristico ha quindi l’occasione di aumentare il livello di consapevolezza del paziente circa i
benefici dell’adozione di stili di vita sani. Egli deve quindi acquisire una diversa identità professionale
nell’approccio all’utente e una nuova modalità di interpretare il proprio mandato istituzionale. I
cambiamenti richiesti richiamano naturalmente ad una specifica e mirata pianificazione degli interventi
formativi volti a facilitare l’acquisizione di una visione e di modelli idonei alle realtà operative che si vanno
definendo. Ricerche e studi specifici si sono posti l’obiettivo di definire il profilo dell’operatore di
promozione della salute e di mettere a punto idonei percorsi formativi alla luce di precisi indicatori. In
particolare il progetto CompHP “Developing competencies and professional standards for health
promotion capacity building in Europe” del quale l’Italia è partner attraverso le Università di Perugia
(Centro Sperimentale per l’Educazione Sanitaria) e Cagliari si pone l’obiettivo della definizione della qualità
della promozione della salute, sia sul versante degli interventi che della formazione, basato sulla
definizione dei contenuti professionali, dei criteri e degli standard di qualità, ed infine su un meccanismo di
accreditamento volontario tanto dei professionisti che delle strutture di formazione.
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SESSIONE POSTER P2
ALIMENTAZONE E PERCEZIONE DEL CORPO
Coordinatrice: Luana Valletta
Il rapporto fra i giovani e l’alimentazione: campagna LILT 2012-13 di educazione alla salute nelle
scuole superiori di primo e di secondo grado
Nicolini Chiara, Trentin Rosanna, Gatto Rotondo Maria Cristina, Cappetti Chiara
LEGA ITALIANA PER LA LOTTA CONTRO I TUMORI (LILT) – sezione di Padova
[email protected]
Il progetto presentato, promosso dalla LILT sezione di Padova, intende essere un efficace strumento di
sensibilizzazione relativo ai comportamenti alimentari nei giovani.
Gli interventi, che si collocano nell’ambito della prevenzione primaria e secondaria, hanno coinvolto
diverse scuole del territorio di Padova: 4 seconde classi della scuole superiori di I grado, per un totale di 93
studenti (53 maschi e 40 femmine); 8 prime classi e 5 seconde delle scuole superiori di II grado, per un
totale di 304 studenti (109 maschi e 195 femmine). Il progetto ha previsto per ciascun gruppo-classe tre
incontri, di due ore ciascuno, co-condotti da due psicologhe.
Tali incontri non si sono configurati come lezioni tradizionali, ma hanno previsto l’utilizzo di un approccio
esperienziale con metodiche di attivazione in gruppo ed in piccoli gruppi. Il lavoro gruppale sollecita e
favorisce il coinvolgimento e la partecipazione diretta e creativa degli studenti, elemento ritenuto centrale
dalla letteratura per l’efficacia di interventi volti alla prevenzione dei comportamenti “a rischio”.
L’intervento nelle classi si è articolato su un doppio livello: uno “teorico”, inerente le informazioni sugli
alimenti e su una corretta alimentazione, ed uno più strettamente “esperienziale”, focalizzato sul rapporto
tra alimentazione, corpo, identità e immagine, tematiche centrali nella fase evolutiva attraversata da
preadolescenti e adolescenti.
Lavorare in assetto gruppale ha permesso di affrontare gli aspetti critici che via via emergevano, in modo
differente per classe. In particolare, “trasformarsi” da classe in gruppo ha permesso ai ragazzi di guardare
da una prospettiva diversa non soltanto il proprio corpo e le proprie abitudini alimentari, ma anche le
dinamiche stesse che si instaurano quando si è in un gruppo di pari, dinamiche che talvolta possono
condurre ad abitudini scorrette e/o rischiose. Utilizzare anche alcuni strumenti “mediatori” (cartelloni,
giochi gruppali, etc.) ha permesso l’attivazione di un’“area intermedia e creativa” che ha facilitato
l’emersione di alcune tematiche ed il confronto tra i ragazzi.
In questo lavoro saranno presentati alcuni contenuti emersi durante il lavoro in gruppo; tali elementi
verranno intrecciati ai risultati dei questionari somministrati a tutti i ragazzi all’inizio ed a conclusione degli
interventi.
23
Frutta a scuola e in famiglia
Tessari Stefania*, Marina Casazza*, Carlotta Vangelisti**
* Azienda ULSS 16 Padova SIAN
** Università degli Studi di Padova – Facoltà di Scienze della formazione e dell’Educazione
[email protected]
E’ un progetto di prevenzione nutrizionale per la promozione di stili di vita sani. Prevede la fornitura di
frutta per la merenda del mattino, per due giorni a settimana nei primi tre mesi dell’anno scolastico, alle
scuole secondarie di 1°del Comune di Padova che si impegnano ogni anno a continuare nei mesi da
gennaio a maggio l’assunzione di frutta a merenda. Coinvolge la Camera di Commercio (CCIAA)di Padova
per il finanziamento ed è il risultato della collaborazione, fin dal 2003, anno di sperimentazione, tra
Azienda ULSS 16 Padova – Servizio Igiene Alimenti e Nutrizione (SIAN), Mercato Agro Alimentare di Padova
(MAAP), Comune di Padova-Settore servizi scolastici. Testimonial sportivo è il campione olimpionico
Rossano Galtarossa.
Metodi. Anno scolastico 2011/12: somministrazione attiva di 18.000 kg. Di frutta a merenda da parte del
MAAP (ott. Nov. Dic. 11) e visite guidate al MAAP per gli alunni tra gli 11 ed i 13 anni appartenenti ai 22
plessi scolastici dei 14 istituti comprensivi del Comune di Padova; formazione degli insegnanti e
sensibilizzazione delle famiglie; impegno da parte delle scuole a far assumere nel periodo da gennaio a
giugno frutta a merenda ai ragazzi per scelta individuale, con modalità gestite dalla scuola stessa, almeno 2
giorni alla settimana; omaggio del calendario del MAAP con Rossano Galtarossa alle classi partecipanti.
Negli anni precedenti sito internet specifico per i ragazzi, concorso con premi e festa finale in Prato della
Valle in occasione dei Giochi della Gioventù. Rilevazione del gradimento delle variazioni delle abitudini
alimentari relative alla merenda;
Risultati. Il diario di rilevazione delle abitudini alimentari ha evidenziato un buon consumo di frutta e di
acqua per tutto l’anno (dati da questionari in entrata e uscita). Sono state analizzate le merende più
frequentemente assunte dei ragazzi calcolandone la composizione bromatologia. Il Questionario di
rilevazione del gradimento sulla frutta fornita ha evidenziato che la tipologia di frutta fornita (clementine,
mele e banane) è risultata suddivisa in parti quasi uguali, in quantitativo adeguato ed al giusto stadio di
maturazione; vale a dire che la frutta di stagione sia dal punto di vista organolettico sia per la facilità di
consumo risulta generalmente gradita ai ragazzi.
Conclusioni. La “sfida” di questo progetto è l’ampia sinergia, in un contesto educativo, fra le Istituzioni che
l’hanno ideato, finanziato e ne supportano l’iniziativa, pronti ad investire nel mutamento di stili di vita non
corretti attraverso la promozione del consumo di frutta e dell’attività motoria, l’educazione dei ragazzi e
delle loro famiglie. L’auspicio quindi, visto il continuo successo ottenuto dall’iniziativa in questi anni, è che
possa continuare ad allargarsi e coinvolgere sempre più scuole di ogni ordine e grado, anche di altri
comuni del territorio, nonostante le difficoltà dovute alle restrizioni economiche del periodo.
24
Giovani e chirurgia estetica
Teresa Fumusa
Cattedra di Psicologia di comunità, Università degli Studi di Palermo
[email protected]
L’interesse nel modificare il corpo attraverso interventi di chirurgia estetica nasce dal desiderio di
migliorare l’immagine che si ha di sé e del proprio corpo, di stare meglio con se stessi e godere di una
buona autostima, di stabilire un maggior numero di relazioni sociali, di compiacere gli altri e di evitare
l’esclusione sociale (Sarwer et al., 1998; Lee et al., 2007). Particolarmente allarmante è il comportamento
dei soggetti più giovani (adolescenti e giovani adulti) che, suscettibili alle pressioni sociali e sempre più
insicuri e sopraffatti da un profondo disagio esistenziale, abbracciano con superficialità l’idea di un
miglioramento estetico mediante stratagemmi chirurgici con il rischio di gestire in modo disfunzionale
situazioni stressanti, stati di ansia e di frustrazione legati a cambiamenti fisici, psicologici e sociali.
La cattedra di Psicologia di Comunità dell’Università di Palermo ha svolto una ricerca esplorativa
sull’interesse verso interventi di chirurgia estetica, tenendo conto della percezione dell’immagine corporea
e della capacità di Ego-resiliency, con l’obiettivo di indicare possibili interventi di prevenzione indirizzati al
rafforzamento dei fattori di protezione individuali, familiari e sociali. Sono stati coinvolti 210 adolescenti e
giovani adulti di sesso femminile tra i 13 e i 28 anni, residenti per lo più a Palermo, a cui sono state
somministrate una scheda socio-anamnestica anonima, la scala dell’Ego-resiliency e una scala costruita ad
hoc sull’interesse per la chirurgia estetica. Una prima analisi dei dati ha permesso di evidenziare un basso
interesse nei confronti di interventi di chirurgia estetica in soggetti che hanno una buona capacità di Egoresiliency e una consapevolezza di sé e del proprio corpo.
Alla luce dei risultati raggiunti, l’Ego-resiliency potrebbe porsi come fattore protettivo di cambiamento in
grado di ridurre l’interesse verso procedure chirurgiche di modificazione del corpo mediante la
promozione di un’immagine di sé positiva. È necessario, pertanto, avviare strategicamente interventi
preventivi e di sensibilizzazione nelle scuole sulla corporeità, sull’identità, sull’immagine corporea e sui
rischi connessi all’uso/abuso di interventi estetici, rivolti direttamente ai giovani e agli insegnanti, e
indirettamente al gruppo dei pari, alle famiglie e alla comunità nel suo insieme al fine di promuovere
competenze individuali, relazionali e comunicative e di potenziare le reti sociali e le forme di sostegno
familiare e sociale.
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Prospettiva temporale, vulnerabilità percepita ed health locus of control negli adolescenti
palermitani. Un contributo di ricerca e prospettive d’intervento sulla body art
Consuelo Serio
Università degli Studi di Palermo – Dipartimento di Psicologia
[email protected]
Premessa – Dagli studi di letteratura emerge che gli adolescenti che fanno esperienza di pratiche di body
art mettono in pericolo la propria salute giacché non conoscono – o non tengono in considerazione – le
complicanze di natura infettiva, tossica ed allergica ad esse associate. Sul piano operativo della
prevenzione del rischio, sarebbe auspicabile che gli interventi siano progettati a partire dalla conoscenza
sia degli atteggiamenti dei ragazzi nei confronti di piercing e tattoo sia dei possibili fattori psicosociali
sottesi a questo tipo di comportamento.
Obiettivo – Nell’ottica del miglioramento dei metodi e delle prassi di intervento, la Cattedra di Psicologia di
Comunità dell’Università di Palermo ha promosso una ricerca che esplora gli atteggiamenti di un gruppo di
adolescenti rispetto alla presenza/assenza di piercing e/o tattoo e le relazioni tra l’assunzione del rischio e
la prospettiva temporale, la vulnerabilità percepita e l’health locus of control.
Metodo e strumenti – È stato coinvolto un gruppo di 111 adolescenti (età media=16.9 anni, ds=1.7; 49.5%
M e 50.5% F) aventi piercing e/o tatuaggi ed un gruppo di controllo (senza body art) di 116 unità (età
media= 16.4; ds= 1.6; 50% M e 50% F), selezionato sulla base del criterio di omogeneità rispetto al primo. Il
protocollo comprende: un questionario sull’atteggiamento verso le pratiche di body art, uno sulla
vulnerabilità percepita (sul modello dell’HBM di Armstrong et al., 2007), la STPI (D’Alessio et al., 2003) e
l’Health Locus of control Scale per adolescenti (Donizzetti, Petrillo, 2011).
Risultati – Si evidenzia una relazione significativa tra la presenza di body art e la centratura temporale sul
presente edonistico (F= 12.759; p≤ 0.001) e tra la prima e la vulnerabilità percepita (F= 33.823; p≤ 0.001).
Non emergono dati importanti relativamente all’health locus of control.
Conclusioni – Alla luce dei risultati ottenuti, la prevenzione potrebbe puntare su strategie di ricercaintervento a scuola finalizzate a: creare opportunità di informazione e di riflessione sulle implicazioni per la
salute e sul significato che le pratiche di body art assumono in adolescenza; promuovere negli adolescenti
– privilegiando la peer education – capacità e competenze utili per strutturare azioni strategicamente
orientate al raggiungimento di obiettivi futuri e per valutare responsabilmente le conseguenze a lungo
termine delle proprie scelte comportamentali.
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“Impariamo di gusto” educazione alimentare a scuola
Tessari Stefania*, Casazza Marina*, Carlotta Vangelisti**
*Az. ULSS 16 Dipartimernto di Prevenzione
*Università degli Studi Padova – Facoltà di Scienze della Formazione e dell’Educazione
[email protected]
l progetto “Impariamo di gusto” ha l’obiettivo generale di promuovere uno stile di vita sano con
particolare riferimento alla corretta alimentazione ed attenzione all’attività fisica nei confronti degli alunni
delle scuole dell’infanzia, primarie del territorio dell’Azienda ULSS 16-Padova e delle famiglie.
Il percorso, proposto dal Servizio Igiene Alimenti e Nutrizione (SIAN) è finanziato dalla CCIAA (Camera
Commercio Industria Artigianato Padova), si svolge con la collaborazione degli artigiani UPA di Padova
(Unione Provinciale Artigiani).Iniziato nell’anno scolastico 2007/08, continua ad avere successo ogni anno.
Metodi
Le azioni previste sono:
o per gli insegnanti, corso di formazione che si svolge ogni inizio anno scolastico,
o per i genitori, su richiesta, corsi di cucina presso le cucine delle scuole dell’infanzia o presso i centri
cottura per le scuole pubbliche ed incontri di informazione sui corretti stili di vita
o per i bambini, laboratori di panificazione, pizzeria, cioccolateria, pasticceria e gelateria ad opera degli
artigiani dell’UPA presso le scuole con il supporto di personale specializzato nelle diverse professionalità
(dietiste, educatori).
E’ stato prodotto un libretto “Impariamo di gusto” di accompagnamento ai laboratori rivolto ai bambini ed
ai genitori in cui con linguaggio semplice si leggono dieta mediterranea e ricette per produzione dei
biscotti padovani “Zaietti”, macedonia di frutta al cioccolato, gelato, pizza anche per celiachia. L’attività di
manipolazione di alimenti rivolta ai bambini è basata su un metodo induttivo basato su forme di attività
didattiche orientate ad incrementare l’esperienza come gioco, laboratorio, proiezioni di immagini in
cartoni animato per la presentazione dei laboratori . Ad ogni laboratorio è presente una studentessa della
facoltà di Scienze della Formazione e la dietista che espongono, con metodologie adatte alle diverse età
dei bambini, immagini di cartoni animato riportanti concetti di sana alimentazione specifici per ogni
tipologia di laboratorio.
Risultati
Il percorso ha visto dal 1° anno di edizione ad oggi lo svolgimento di 200 laboratori artigianali, il
coinvolgimento medio annuo di 2000 bambini delle scuole dell’infanzia ed altri 2000 delle scuole primarie.
I genitori dei bambini sono stati informati tramite il libretto “Impariamo di gusto” che ogni anno ha visto
una nuova edizione; dal 2011 sono stati inoltre coinvolti in corsi di cucina sana e formati tramite incontri
presso le scuole da personale medico SIAN. I genitori hanno partecipato attivamente ai corsi di cucina che
sono stati motivo di affiatamento tra genitori, insegnanti, personale delle amministrazioni comunali
medico e la dietista dell’ULSS. Da segnalare la numerosità sempre elevata dei partecipanti, partecipazione
anche dei papà ed il piacere e divertimento di queste persone.
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SESSIONE POSTER P3
SCUOLA E PEER
Coordinatrice: Cinzia Novara
Bisogni e richieste emergenti in una scuola a maggioranza multietnica: come favorire
l’inclusione tra pari
Rosita Giunti, Francesca Ammogli, Laura Remaschi
Dipartimento di Scienze della Formazione e Psicologia. Sezione Psicologia.
Università degli Studi di Firenze
[email protected]
Introduzione e obiettivi. La presente ricerca si è proposta di reperire informazioni e indagare bisogni
emergenti in alunni di una scuola a maggioranza multietnica, su cui programmare un intervento di Peer
Education per promuovere integrazione e partecipazione.
Metodo. L’indagine, seguendo un approccio che afferisce alla ricerca azione, aveva previsto uno studio
quantitativo e uno qualitativo.
L’utilizzo di quest’ultimo strumento (3 Focus Group, 35 partecipanti), che permette di analizzare le
informazioni scambiate tra i partecipanti e valutarne la loro utilità, può favorire negli stessi riflessioni,
discussioni e un atteggiamento pro-attivo. Può inoltre promuovere una condizione di similarità percepita e
di diffusione delle informazioni, alla base degli interventi di Peer Education (Santinello, Dallago, & Vieno,
2009).
Risultati. Il principale bisogno che emerge è la difficoltà di comprensione linguistica. Dai risultati dei Focus
Group questa difficoltà emerge in particolar modo tra gli alunni cinesi che percepiscono maggiore
atteggiamento di derisione. L’ ambiente scolastico è percepito come favorevole, così come il rapporto con
gli insegnanti. Sebbene la scuola promuova attività interculturali che favoriscono l’apprendimento della
lingua italiana, emerge la necessità di un intervento dal basso che coinvolga maggiormente i partecipanti.
A tal proposito la Peer Education sembra essere uno strumento adatto che può favorire la partecipazione,
promuovere la relazione interpersonale e le capacità di comunicazione, a partire dalle richieste dei giovani.
Inoltre le competenze degli autoctoni e dei migranti con maggiore conoscenza linguistica possono essere
di supporto ai compagni stranieri. Questi, a loro volta, possono trasmettere ai genitori i contenuti
linguistici appresi con una azione che si irradia ai diversi livelli del sistema (Bronfenbrenner, 1979).
Conclusioni. Le aree tematiche emerse dai Focus Group sembrano quindi preparare l’attività di Peer
Education, evidenziando un possibile terreno fertile su cui poter innestare “l’educazione tra pari” come
parte integrante del percorso scolastico.
28
Il progetto Petali Nel Blu. Il teatro, una forma di prevenzione efficace per la dipendenza
dall’alcol
Fabrizia Modica
Università degli Studi di Palermo
[email protected]
Il fenomeno della dipendenza dall’alcol è in crescente aumento, in particolare fra adolescenti e
giovanissimi. Secondo diverse ricerche, risultato di una bassa stima di sé rispetto ai loro coetanei, una
minor fiducia nelle capacità scolastiche, un basso livello di coping ed una bassa aspettativa di successo, il
consumo di alcol sarebbe la rappresentazione di una forte insicurezza e di alti livelli di alienazione, stress e
sentimenti depressivi. I consumatori di alcol si differenziano dai loro coetanei anche per l’uso che fanno
del tempo libero e per la percezione che hanno del contesto di appartenenza: solitamente sono coinvolti
in una serie di comportamenti a rischio e trascorrono il loro tempo libero fuori casa, in attività prive di
progettualità. Anche l’esperienza scolastica non viene vissuta come una risorsa. Sono quindi degli
adolescenti che nutrono un profondo disagio e che cercano nell’uso delle sostanze psicoattive una via di
fuga e di evasione dalle difficoltà e dalle responsabilità (Bonino, Cattelino, Ciairaino, 2011).
Il progetto Petali Nel Blu nato a Palermo nel dicembre del 2009, parte dalla convinzione di poter dar vita
ad una forma di prevenzione alternativa. Il metodo in questione, infatti, valuta la possibilità di fare del
teatro una possibile forma di prevenzione e l’opportunità di rendere i giovani protagonisti assoluti
dell’azione preventiva.
Il progetto si fonda sull’ipotesi della peer education che un messaggio trasmesso “dai giovani ai giovani”
possa essere una efficace metodologia preventiva. Il teatro da sempre è stato considerato un’esperienza
certamente efficace in progetti educativi e di sviluppo di comunità e costituisce oggi una delle strade più
significative per rimettere al centro della collettività e dei percorsi educativi l’esperienza di una comunità
solidale e di un cambiamento responsabile (Bernardi, 1998).
Fino ad oggi i risultati ottenuti hanno dimostrato una propensione favorevole da parte di giovani e
insegnanti verso questo metodo di prevenzione che ha stimolato la curiosità dei ragazzi e ha promosso la
loro voglia di approfondire le tematiche sull’abuso dell’alcol e i danni ad esso correlati.
L’arte può in questo modo diventare una via di crescita, emancipazione e realizzazione delle persone, dei
gruppi e delle comunità; può diventare portatrice di un messaggio chiaro e diretto la cui efficacia non
svanisca in breve tempo (Orioli, 2001).
29
Ti racconto la mia salute promozione della salute degli adolescenti attraverso la peer & media
education
Laura Prosdocimo*, Sivana Widmann**, Luisa Conte***, Angela Bonomi Castelli****
Associazione Salusmundi*, Ass n. 6 “Friuli Occidentale”**, Comune di Pordenone***, Med –Associazione
Italiana per l’Educazione ai Media e alla Comunicazione****
[email protected]
Premessa: Secondo i risultati dello studio internazionale sugli stili di vita dei giovani (HBSC 2009-10)
emerge un’elevata diffusione di stili di vita a rischio per la salute, come l’assunzione di alcolici e il fumo di
sigaretta. In particolare nella Regione Friuli Venezia Giulia, da tale studio si rileva che la percezione di
salute psico-fisica è riferita buona eccellente a 11 anni dal 91% degli intervistati, ma decresce al 86% a 15
anni e in generale viene valutata peggiore con il crescere dell’età.
La comunicazione sociale è profondamente determinata dai Media che veicolano stili di vita,
comportamenti e modalità di consumo che spesso per le nuove generazioni diventano riferimenti culturali
prevalenti, che tuttavia contrastano frequentemente con i modelli proposti dai principali agenti educativi
(famiglia e scuola). Descrizione progetto: Nell’ambito del Programma Nazionale Guadagnare Salute in
Adolescenza il Comune di Pordenone, il Dipartimento di Prevenzione dell’ASS N.6 “Friuli Occidentale”,
l’Associazione Salusmundi di Pordenone, in occasione dell’11° Edizione del progetto Meeting hanno
affrontato il tema della promozione della salute e del benessere dei giovani secondo la metodologia della
Peer Education e Media Education.
Metodologia: La Peer Education è una strategia educativa volta ad attivare un processo naturale di
passaggio “di conoscenze, d’emozioni e d’esperienze” da parte di alcuni membri del gruppo ad altri
membri di pari status. Il processo messo in atto non può non considerare il contesto relazionale attuale
dove i media digitali e i Social Network sono divenuti veri e propri frames di ri-codifica e ri-qualifiazione
delle dinamiche relazioni e sociali. Ecco perché diventa importante integrare la Peer con la Media
Education, attività educativa e didattica, finalizzata a sviluppare un’informazione e una comprensione
critica circa la natura e le categorie dei media. Strumenti di valutazione: Uso del questionario della
sorveglianza nazionale HBSC (somministrato in via sperimentale online). Obiettivi: Promuovere stili di vita
sani tra i ragazzi attraverso il linguaggio dei pari; apprendere un uso critico dei Media; approfondire la
Media Education come metodologia didattica ; acquisizione di abilità per la vita (life skills); potenziamento
delle abilità trasversali; empowerment di rete. Risultati: Coinvolti : 8 Istituti scolastici, 4 Agenzie educative,
250 ragazzi, 31 ragazzi peer formati, 16 insegnanti formati sulla Peer & Media Education. Prodotti: Blogs –
Elaborati multimediali sulla salute/benessere; evento finale; DVD; rivista Meeting; dati questionari Hbsc.
Destinatari: Scuola Secondaria di 2°grado. Periodo: anno scolastico 2012/2013.
30
Peer Leader in classe
Maria Chiara Forcella, Paolo Zuccaro De Stefani, Maura Crippa
Associazione IGEA
[email protected]
Gli studenti che vengono eletti “Rappresentanti di classe” sono chiamati ad una funzione di mediazione
all’interno della classe e tra essa e il Consiglio dei docenti della classe. Questa figura ha bisogno di capacità
di ascolto e linguistiche, conoscenze in merito alla risoluzione dei conflitti alla gestione e conduzione di
gruppo, nonché delle capacità e abilità per tradurre istanze ed esigenze in proposte e progetti. Il progetto
di “Formazione dei rappresentanti” si propone quindi di:
- Dotare i ragazzi di una serie di strumenti al fine di gestire la qualità delle relazioni e dello stile
comunicativo all’interno dell’Istituto, e in generale della gestione-prevenzione del conflitto e del disagio;
- fare acquisire ai “rappresentanti” maggiore consapevolezza dei proprio ruolo unitamente a capacità
organizzative e decisionali che possano effettivamente aumentare il peso della loro presenza nella scuola;
- Una risorsa umana all’interno della scuola che può essere richiamata per dipanare divergenze tra
studenti, tra studenti e docenti e di una adeguata rappresentanza della scuola stessa alla consulta.
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Peer education e università: Il Tutor Junior dell’Università di Padova
Da Re Lorenza
Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata – Fisppa Università degli Studi di
Padova (Dottoranda)
[email protected]
Il ruolo del tutor sta sempre più prendendo piede nel mondo formativo, aziendale e scolastico, come
confermato dalla bibliografia esistente (Arbizu, Lobato, Castillo (2005); Álvarez (2005); Topping (1997) e da
recenti studi realizzati in ambito universitario (Bertagna G., Puricelli E. (2008), Gemma C. (2010), Zago G.,
Clerici R., Giraldo A., Visentin E., Mega C., Da Re L. (2012).
Da circa dieci anni l’Università di Padova ha adottato il modello del peer tutoring come elemento di
sostegno alla carriera degli studenti universitari e come uno degli strumenti di contrasto al disagio
studentesco, che può sfociare in dispersione ed abbandono degli studi.
Il Tutor Junior dell’Università di Padova è uno studente “capace e meritevole” che, partecipando ad una
selezione pubblica per titoli e una prova di accertamento, decide di mettere a disposizione dei propri
compagni, dello stesso ordine ma di esperienza inferiore, una parte del proprio tempo, svolgendo funzioni
di mediatore del sistema universitario, di facilitatore della comunicazione e dell’apprendimento e di
supervisore del contesto formativo per la buona prosecuzione degli studi dei nuovi compagni.
L’azione del Tutor Junior si è rivelata di grande rilievo per il percorso formativo universitario, in quanto si è
dimostrato in grado di instaurare una relazione paritaria, spontanea ma consapevole, con i compagni
studenti cui offre il supporto.
Il modello del peer tutoring, adattato al mondo universitario, consente di “agevolare l’adattamento al
nuovo sistema accademico agli studenti neo iscritti e di fornire loro il sostegno necessario al fine di
sostenere il nuovo metodo di studio, creando un’atmosfera comunicativa in cui lo studente possa
manifestare dubbi e perplessità ad una persona che sente vicina e simile, senza timore di essere giudicato”
(Torre, 2006).
La relazione che si instaura tra tutor e tutee consente di creare ricadute positive non solo in chi riceve
l’azione di accompagnamento, ma anche nel Tutor stesso che viene definita in letteratura come “effetto
tutore”, consentendo al tutor di valorizzare l’immagine di sé prendendo coscienza delle proprie capacità e
potenzialità. Questo processo comporta, così, un “apprendimento per riformulazione” che consiste nel
rivedere le conoscenze che il tutor di volta in volta applica e di sviluppare e potenziare l’elaborazione meta
cognitiva delle funzioni realizzate (Barnier G. (2000), Gemma C. 2010).
Il tutoring è “umanamente gratificante” (Topping, 1997, Goodlad, 1979) e da una parte consente la
partecipazione attiva e il confronto di tutti i partecipanti, e dall’altra agisce in termini di empowerment sui
Tutor stessi, stimolando autoefficacia e autodeterminazione (Croce & Gnemmi, 2003).
La ricerca qui presentata s’inserisce in un più ampio Progetto promosso dall’Università di Padova
(STPD08HANE_005) e finalizzato a studiare e ad affrontare le difficoltà di apprendimento degli studenti, al
fine di sostenerne il successo negli studi.
32
“Gli alteranti”
Colarusso Claudia, Tomelleri Paola, Saccani Andrea
Az. ULSS22 Regione Veneto
[email protected]
Interventi nelle scuole secondarie di primo grado.
Sono stati attivati con l’obiettivo di coinvolgere ragazzi/e nell’età in cui sono già possibili i primi contatti
con le tematiche dell’uso di sostanze alteranti sia legali che illegali. Si pone molta attenzione a non indurre
curiosità e a sviluppare le capacità critiche in particolare contro la cultura dominante dello sballo e contro
la “normalità” del bere sociale. Riteniamo importante che i nostri interventi siano inseriti all’interno
dell’attività curricolare e che siano preceduti da un lavoro preparatorio da parte degli insegnanti. E’
risultata inoltre efficace una rielaborazione successiva di tali tematiche da parte degli insegnanti stessi
accompagnata da una produzione di materiali da parte della classe, che rende così i ragazzi protagonisti
del percorso preventivo.
Obiettivi:
- favorire la consapevolezza;
- riflettere sulle conseguenze dei propri comportamenti;
- favorire la crescita del senso di responsabilità;
- dare informazione “tecnica” modulata sui bisogni degli studenti.
Contenuti:
gli alteranti (con particolare riferimento ad alcol e tabacco)
nuove forme di dipendenza
motivazioni che inducono all’uso
METODOLOGIA:
Presentazione della giornata
Visione slide su: sostanze psicoattive, classificazione, concetti di dipendenza tolleranza astinenza.
Lavoro di gruppo: La classe viene suddivisa in quattro gruppi, viene consegnato un cartellone su cui
verranno descritti anche con disegni i “motivi per non bere” (2 gruppi), e i “motivi per bere” (2 gruppi),
nell’esposizione fatta dai rappresentanti, i due gruppi con lo stesso tema accorperanno i lavori. Nel
dibattito l’educatore utilizzerà il power point per rinforzare e meglio definire i contenuti emersi.
Verifica: in classe sul gradimento e sulle informazioni acquisite attraverso un gioco di verifica. E’ previsto, a
fine ciclo, un infopoint, con distribuzione di materiale informativo, sulle tematiche svolte in classe. Con gli
insegnanti: per una maggior efficacia dell’intervento è auspicabile che gli interventi vengano svolti dopo
che un insegnante della classe abbia trattato l’argomento in oggetto durante l’attività curriculare
• E’ possibile organizzare un incontro formativo per gli insegnanti delle classi coinvolte.
• Su richiesta è possibile una restituzione dell’incontro al coordinatore di classe.
E’ possibile prevedere che dopo gli interventi in classe con gli operatori, gli insegnanti con i ragazzi
elaborino dei prodotti (cartelloni, ricerche, film, spot, ecc.) da presentare ai compagni e/o ai genitori in
occasione di una giornata di sensibilizzazione.
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SESSIONE POSTER P4
HIV ALCOL SESSUALITÁ
Coordinatore: Agostino Carbone
“Scopri che bevitore sei”: specifici training online per promuovere una scelta responsabile nel
consumo di alcol tra gli studenti
Natale Canale, Valerio D’Amici
SERVIZIO D’ASSISTENZA PSICOLOGICA – BENESSERE SENZA RISCHIO (SAP BSR)
Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione, Università degli studi di Padova
[email protected]
Di recente si assiste ad un crescente interesse dei ricercatori, dei governi e dei servizi pubblici allo sviluppo
di interventi per problemi legati all’uso di sostanze attraverso l’impiego delle nuove tecnologie (per es.
internet e telefoni cellulari). Da un punto di vista della prevenzione, l’avvento delle nuove tecnologie ha
portato ad un cambiamento nelle strategie atte a modificare i comportamenti, come per esempio offrire
agli utenti la possibilità di esercitare maggiore controllo sull’ambiente di apprendimento e di ricevere
informazioni sensibili in via confidenziale (Butler et al., 2003). Il presente studio ha indagato l’efficacia di
training online specifici nel favorire un consumo di alcol responsabile e prevenire l’abuso di alcol e i
problemi alcol-relati in un campione di studenti universitari. Gli studenti hanno compilato un questionario
online attraverso il quale hanno ricevuto un profilo personalizzato dipendente dal livello di rischio (altobasso) e dalle motivazioni al bere alcol (enhancement, social, conformità e coping) (Mazzardis et al. 2010).
Successivamente, i partecipanti hanno completato un training online calibrato sul profilo ricevuto
costituito da attività interattive (per es. calcolatore di unità alcoliche, calorie e prezzi per bevanda alcolica).
Lo studio ha coinvolto 70 studenti universitari al primo anno della Laurea Magristrale di Psicologia
dell’Università di Padova (89,2% femmine; Media dell’età = 24,12 ; SD= 2,42 ). Al fine di valutare l’efficacia
del training abbiamo diviso gli studenti in due gruppi: un gruppo ha partecipato all’intervento (un’attività
online per 4 settimane) e l’altro come gruppo di controllo. I dati sono stati raccolti prima e dopo
l’intervento. La valutazione dell’efficacia ha riconosciuto gli effetti dell’intervento sull’abuso di alcol. Nello
specifico, il gruppo che ha svolto il training ha riportato una riduzione significativa nel rischio (per es. binge
drinking e frequenza di ubriacature) dopo l’intervento. Il programma è stato quindi efficace nel prevenire
l’abuso di alcol e i problemi alcol-relati nel nostro campione. Inoltre, il presente studio ha suggerito come
gli interventi di prevenzione, per essere maggiormente efficaci, dovrebbero essere sviluppati su target
specifici piuttosto che generici (per es. differenziati per livello di rischio e motivazioni al bere alcol) (Crano
et al. 2007).
34
Il rapporto fra i giovani e l’alcol e l’educazione all’affettività e alla sessualità sicura: campagna
LILT 2012-13 di educazione alla salute nelle scuole secondarie di primo e secondo grado
Trentin R., Nicolini C., Baldini S.
Volontarie LILT
[email protected]
La LILT padovana ha promosso nelle scuole cittadine interventi educativi rivolti agli studenti, intesi a
informare e fare prevenzione rispetto ai comportamenti rischiosi per la salute degli adolescenti, quali
l’abuso di sostanze, la sessualità a rischio e le condotte alimentari. In questa sede si fa riferimento ai
progetti sull’abuso di alcolici e sull’educazione all’affettività e alla sessualità sicura. La proposta è stata
rivolta alle Scuole Secondarie di I e II grado di Padova; hanno aderito 14 Istituti, con oltre 1500 giovani
coinvolti.
In entrambi i casi la struttura degli interventi in-formativi si è articolata in 3 incontri per classe, di 2 ore
ciascuno, con somministrazione di questionari pre/post per delineare il grado di informazione e gli stili di
comportamento degli studenti, modulare l’intervento sulle specificità delle classi, e verificarne, al termine,
sia il gradimento sia la correttezza delle conoscenze acquisite.
Obiettivo comune è stimolare la consapevolezza della propria esperienza sessuale o di bevitori, favorire
una modifica del locus esterno rispetto ai pericoli, proponendo come immagine di originalità trainante
modelli di comportamento che respingano rischi ed eccessi. Sono discusse le conseguenze psicofisiche per
la salute a breve e lungo termine, corrette le false credenze, e contestualizzati i temi nel sistema di
credenze e atteggiamenti che sostiene l’edonismo giovanile, al fine di migliorare competenza emotiva,
assertività e spirito critico verso le norme di comportamento dei pari.
Scopi specifici del progetto sulla sessualità, sono la formazione di base necessaria ad un’esperienza
sessuale consapevole e alla prevenzione delle MST; sul piano affettivo, stimolare il riconoscimento dei
propri stereotipi di genere, discutere la sessualità come prestazione vs condivisione dell’esperienza di
piacere e dell’omosessualità come scelta.
Riguardo alla prevenzione dell’abuso di alcolici, si dà un’informazione basilare sull’alcol e sulla quantità
considerata uso “moderato”, si illustrano gli effetti sull’organismo, la variabilità individuale delle reazioni
fisiologiche ed emotive associate al bere, e si esamina il binomio alcol-guida.
La conduzione favorisce un clima emotivamente positivo e fluido, incoraggiante l’espressione spontanea di
esperienze, richieste e dubbi; utilizzati a tal fine role playing, filmati e spot pubblicitari per favorire la
discussione critica e la costruzione e trasmissione delle informazioni.
La risposta degli studenti è interessata e partecipe, più marcata nelle scuole superiori data la maggiore
esperienza dei temi in oggetto. Si rileva Interesse e curiosità all’intervento su sessualità e affettività, per la
carenza diffusa di informazioni e la frequente ambivalenza e parzialità nel trattare questo argomento.
Lievemente superiori le resistenze all’educazione al bere consapevole, ma utili e funzionali
all’informazione corretta e al pensiero critico, con esiti costruttivi.
35
Adolescenza e qualità della vita
Chiara Vallini*, Federica Rinaldi, Daria Vellani*, Krzysztof Szadejko*
*Centro Studi Donald J. Ottenberg, Modena
[email protected]
Introduzione. La ricerca si concentra sull’individuazione della presenza di diverse strategie di coping usate
dai soggetti coinvolti (studenti di scuole medie superiori ad indirizzo professionale, con età media di 19
anni) considerando le differenze culturali tra Europei (E) e Non Europei (NE).
Obiettivo. Verificare l’esistenza di differenze nel modo di affrontare le situazioni stressanti tra adolescenti
E e NE e se alcuni stili di coping e/o stili relazionali influiscono e/o predicono il livello di benessere
percepito e un positivo adattamento all’ambiente.
Metodo. La somministrazione è iniziata a marzo 2012 ed è ancora in corso. Sono stati scelti 3 questionari:
adattamento italiano (Sica, 2008) del Coping Orientations to Problem Experienced (Carver, 1989); Brief
Multidimensional Students’ Life Satisfactin Scale-College Version; Social Provision Scale.
Risultati. Sono stati somministrati 308 questionari e dopo la pulitura dei dati ne sono risultati utili 160. Il
livello di soddisfazione percepito dai due gruppi non è significativamente diverso. Rispetto all’ipotesi di
verifica di differenze significative tra E e NE, i secondi hanno punteggi più alti in alcune scale del COPE:
Orientamento Trascendente (M=24,9; p=.000), Orientamento al Problema (M=31,7; p=.005), Attitudine
Positiva (M=32,7;p=.001), Strategie di Evitamento (M=29,7;p=.004). Per le scale del Social sono gli E ad
avere punteggi significativamente più alti: Social Guidance (M=15,8;p=.000), Reliable Alliance
(M=15,9;p=.000), Reassurance of Worth (M=14,3;p=.003), Social Integretion (M=15,5;p=.000), SocialAttachment (M=15,2;p=.000). Rispetto a quali variabili influenzano la soddisfazione della vita, con i Modelli
della Path Analysis si notano differenze significative tra i modelli dei due campioni. Il gruppo NE ha
riportato: Root Mean Square Error of Approximation (RMSEA) =.000; Chi-square = .83 (df=3, p=.84);
Normed Fit Index (NFI) =.997; Comparative Fit Index (CFI) =1.000 e Goodness Fit Index (GFI) =.997. Il
gruppo E ha riportato invece: Root Mean Square Error of Approximation (RMSEA) =.000; Chi-square =.28
(df=2, p=.87); Normed Fit Index (NFI) =.999; Comparative Fit Index (CFI) =1.000 e Goodness Fit Index (GFI)
=.999.
Conclusioni. Dai risultati il gruppo NE per giungere alla soddisfazione della vita ha maggiormente bisogno
della mediazione del gruppo nel quale sono riversati i legami di attaccamento. Nel gruppo E invece la
capacità di raccogliere informazioni/consigli ha un impatto diretto molto forte sulla percezione della
qualità della vita, mentre quando questa capacità viene mediata dal gruppo di attaccamento, ha un
impatto fortemente negativo. Si ipotizza che il gruppo E dimostri maggiore indipendenza dal gruppo di
riferimento. I dati meriterebbero maggiore approfondimento, relativo all’esistenza o meno di differenze a
seconda del genere e al ruolo della scala Social-Attaccamento. La ricerca è attualmente in corso per
ampliare il campione di riferimento.
36
Idee giovani contro l’HIV. Un’esperienza di coinvolgimento ed empowerment dei giovani nella
produzione di messaggi contro l’HIV, sul tema della promozione del test, in sinergia con la
scuola
Cosetta Ricci, Antonella Prencipe, Gastone Cantarini, Gianna Gordini
Cosetta Ricci – Ausl di Ravenna_Dipartimento SanitàPubblica, Antonella Prencipe – insegnante IPS Strocchi
Faenza, Gastone Cantarini – insegnante IPS Strocchi Faenza, Gianna Gordini – insegnante ITIS Baldini
Ravenna
[email protected]
Il territorio ravennate è stato fra i più colpiti dall’HIV negli anni 80-90 ma anche oggi il numero di nuove
infezioni non è trascurabile (>40 all’anno in Provincia di Ravenna)anche nella fascia 20-29 anni.
Coinvolgere i giovani nell’elaborazione di messaggi per la prevenzione consente anche l’accesso a nuovi
registri comunicativi, in uno scenario in cui l’infezione da HIV, come condizione cronica, curabile anche se
non guaribile, ha una connotazione meno drammatica di quella che porta con sé chi è cresciuto negli anni
80. Oltre a promuovere comportamenti sessuali responsabili occorre vincere la paura del test-la sua
esecuzione tardiva è motivo di progressione della malattia (in ER, nel 48% delle persone positive, già
compromissione immunitaria al primo test). La paura è per la malattia ma anche per la percezione di
riprovazione sociale collegata. Il tema della promozione del test consente di mettere al centro le persone
HIV positive e i loro problemi. Nell’autunno 2011 l’Ausl di Ravenna ha presentato alle scuole superiori un
concorso per la realizzazione di prodotti grafici e multimediali atti a promuovere il test per l’HIV, con premi
in denaro destinati alle scuole. Hanno risposto 5 scuole, di cui 2 hanno coinvolto i ragazzi attivamente e
consegnato a tempo debito i lavori: progetti per 29 cartoline, 1 manifesto, 1 un segnalibro, 1 pagina web e
7 video. I prodotti sono stati al centro di un evento-conferenza seguito dalle webTv locali , durante il quale
si sono effettuati collegamenti internazionali via Skype. I ragazzi hanno seguito un approccio non
colpevolizzante. L’idea centrale delle cartoline è l’uso della sigla ‘ELISA’ acrostico del metodo del test per
l’HIV come nome di persona(‘non ti nascondere da Elisa’; ‘Voglio farmi Elisa’, l’appuntamento con Elisa’).
Nei video della raccolta ‘I corti accorti’, con scelte stilistiche di particolare freschezza, a fronte di un
comportamento a rischio agito si mira sostenere la persona, suscitarne la comprensione, esplicitarne le
paure. Cartoline e segnalibro sono stati diffusi e i video disseminati sul sito web dell’Ausl e del Comune di
Ravenna, sul sito Helpaids regionale, sul sito della scuola e su youtube; i video partecipano a un concorso
internazionale. L’utilizzo dei materiali in interventi nelle scuole ne ha testato l’efficacia per innescare la
discussione sui vissuti correlati all’infezione e al giudizio sulle persone positive anche con rimandi ai
racconti dei genitori. Il coinvolgimento diretto e lo stimolo alla creatività attiva le risorse dell’individuo,
aumenta la consapevolezza e il senso di autoefficacia dei ragazzi rispetto al problema, utilizza i linguaggi
espressivi tipici dell’età. La collaborazione degli insegnanti è un valore aggiunto, in funzione di guida
formativa ed esperienziale. E’ una scelta a cui va data continuità nell’ottica di una sinergia con la scuola e
di un prossimo interessamento dei genitori.
37
Progetto di educazione affettivo-sessuale in una scuola secondaria di primo grado
Francesca Baggio, Irene Domenichini, Concetta Elia, Silvia Facci
Associazione Time to Talk (Cittadella, Pd)
[email protected]
La maturazione biologica, insieme allo sviluppo cognitivo, emotivo e fisico, rende gli adolescenti e i preadolescenti sempre più ricettivi e interessati ai temi riguardanti la sessualità e, dunque, ai messaggi (non di
rado contraddittori) ai quali sono quotidianamente esposti o che cercano attivamente nel mondo attorno
a loro: internet e i racconti tra coetanei, infatti, sembrano essere tra le fonti più utilizzate per reperire
informazioni, offrendo spunti sui quali i ragazzi basano e costruiscono la loro conoscenza in materia
sessuale e affettivo – sessuale. Si tratta spesso di rappresentazioni spettacolarizzate, massificate e a volte
distorte, che consegnano un’immagine stereotipata dell’esperienza sessuale, poco articolata e priva di
riferimenti al significato e alle risonanze emotive (Palmonari, A., 2001). Forse anche per questo, oggi, i
giovani sembrano vivere le loro prime esperienze più per spirito di imitazione e/o accettazione da parte
del gruppo che per reale attrazione, scambio intimo, desiderio, amore (Giuffredi, G., Stanchieri, L., 2009).
Stabilito che i metodi “del silenzio” esponevano, soprattutto in passato, a paure e ansie che rischiavano di
contribuire negativamente allo sviluppo della personalità (Del Re, G. E Bazzo, G., 1995), oggi il ruolo di chi
si occupa di educazione alla sessualità in un’ottica di promozione della salute e del benessere sembra
essere quello di guidare i ragazzi anche verso la comprensione degli aspetti relazionali e affettivi che
caratterizzano l’esperienza sessuale.
Il progetto che presentiamo si è rivolto a 267 alunni del III anno di una scuola secondaria di primo grado ed
ha coinvolto genitori, insegnanti e ragazzi: prima di incontrare le classi, ciascuna di loro ha risposto ad un
questionario che ci ha permesso di creare una base di partenza rispetto alle preferenze, alle informazioni e
alle credenze specifiche rispetto alla sessualità in ciascun gruppo classe.
In particolare, gli obiettivi che hanno fatto da guida all’intervento sono stati: 1) fornire informazioni,
correggendo e ampliando eventuali credenze parziali o erronee; 2) ampliare e articolare la
rappresentazione della sessualità, accompagnando i ragazzi verso una presa di coscienza anche degli
aspetti relazionali e affettivi che caratterizzano l’esperienza sessuale, facilitando il contatto e la
consapevolezza delle proprie e altrui emozioni, così da arricchire il significato attribuito a questa
esperienza; 3) fornire l’occasione per un confronto e un aiuto alla conoscenza del genere opposto a quello
di appartenenza; 4) creare un contesto nel quale affrontare tematiche relative alla sessualità, invitando a
discuterne anche con gli adulti di riferimento (genitori, professori, enti).
Alla fine dell’intervento sono stati somministrati dei questionari, da cui si è rilevato che la percezione di
informazione e conoscenza su questi temi da parte dei ragazzi sembra essere aumentata
significativamente.
38
Verso relazioni positive. Una cura contro lo stigma nei confronti delle persone che vivono con
l’HIV. Formazione operatori sociali e sanitari
Alessandro Cavassi*, Cosetta Ricci**, Silvia Bandini*, Luca Negri*,Paolo Fusaroli**, Giuseppe Ballardini**,
Bianca Caruso**, Cinzia Pozzetti**, Vittorio Foschini**
*NPS Emilia Romagna onlus, Faenza; **Ausl di Ravenna
[email protected]
L’Associazione NPS Emilia Romagna onlus e l’Ausl di Ravenna (Commissione AIDS e Direzione dei Servizi
ospedalieri )hanno implementato un modello formativo rivolto agli operatori sanitari e sociali sulla
problematica dello stigma e della discriminazione nei confronti delle persone che vivono con l’HIV, svolto
in 4 moduli ripetuti, fra ottobre 2011 e aprile 2012. Il permanere dello stigma verso le persone con HIV
produce discriminazione, paura e sofferenza e ostacola la diagnosi e la presa in carico precoce. Gli
operatori sanitari devono contribuire alla riduzione di tale stigma nei servizi e nella società ma ricerche
recenti (S. Francato)mostrano il contrario. Occorre sostenerli, rinforzarne le capacità di gestire la relazione
e dare fiducia nella sicurezza delle procedure.
La proposta formativa è stata seguita da 171 operatori provenienti dall’Ausl e dalle strutture sociosanitarie
del territorio ravennate e limitrofe; è emerso un bisogno di formazione sulla relazione con la persona con
HIV per molti anni non soddisfatto. Le caratteristiche ottimali del corso si sono definite in progress.
Necessari l’utilizzo di modalità interattive e la presenza di uno psicologo. Importante l’uso di film per
trattare i meccanismi dell’esclusione (identificazione con la situazione emotiva narrata , emersione di
paure e resistenze rispetto al rapporto con le persone HIV positive, riconoscimento e prevenzione di
comportamenti stigmatizzanti). Fulcro ‘generativo’ dell’intervento è la testimonianza delle persone con
HIV, volontari di NPS onlus (presentazione delle attività dell’associazione, punto di vista della persona con
HIV, illustrazione circostanziata di dati, ricerche ed episodi su stigma e discriminazioni). Importante la
trattazione autorevole della sicurezza delle procedure standard in relazione al pericolo biologico e della
profilassi post esposizione. La partecipazione della Direzione Sanitaria conferisce autorevolezza al
messaggio complessivo e testimonia l’impegno aziendale sul problema. Sono stati utilizzati il breve
cortometraggio francese “L’exclusion”, con protagonisti bambini e mamme in un asilo, per avvicinare gli
operatori all’idea di discriminazione e pregiudizio; sul tema centrale delle discriminazioni in ambito
sanitario, il cortometraggio “Positivo scomodo”, prestatoci dalla Ausl 2 di Lucca, largamente utilizzato in
Toscana, con protagonista una giovane donna HIV positiva e il suo impatto con le strutture sanitarie. Il
progetto avrà un successivo sviluppo: col contributo di una Fondazione Bancaria, NPS Emr onlus realizzerà
un nuovo film originale che possa costituire il fulcro di un progetto formativo permanente per operatori.
Il Comune di Ravenna ha partecipato agli incontri e successivamente ha deciso di sostenere una azione
straordinaria sull’HIV inserendola nell’ambito delle attività per la candidatura di Ravenna a Capitale
europea della Cultura.
39
SESSIONE POSTER P5
AUTONOMIA E INCLUSIONE
Coordinatrice: Maura Benedetti
Re Mida: DSA verso l’autonomia
Adelaide Carboni, Caterina Manni, Daria Vellani, Giulia Gibertini, Franchini Simona, Stefania Carboni
Servizio Re Mida di Ceis Formazione di Modena
[email protected]
Gli alunni con segnalazione di DSA sono ormai protagonisti di diversi sevizi rivolti al supporto scolastico,
alla riabilitazione, all’utilizzo di strumenti compensativi. Gli alunni sono prima di tutto adolescenti che
vivono un disagio in più rispetto agli altri: la difficoltà nell’apprendimento implica un vissuto di sofferenza
e malessere maggiore rispetto ai compagni di classe e agli amici. Gli alunni sono descritti dai docenti come
svogliati, irrequieti, maleducati, e spesso sono allontanati dalla classe. Per questo motivo è fondamentale
lavorare con loro, non solo sulla loro autonomia scolastica, ma anche sul loro benessere psicologico,
affettivo e sociale. Il servizio Re Mida si rivolge ad alunni con disturbi specifici dell’apprendimento
frequentanti le scuole secondarie di primo grado e al primo biennio delle scuole secondarie di secondo
grado nella Provincia di Modena. Nel progetto sono coinvolti 59 utenti, 35 maschi e 24 femmine, 13
frequentanti il biennio delle scuole secondarie di secondo grado e 41 frequentanti le classi delle scuole
secondarie di primo grado suddivisi in 11 nelle prime, 18 nelle seconde e 14 nelle terze. Le tipologie di
scuole secondarie di secondo grado sono varie: licei a indirizzo scientifico e socio-psico-pedagogico, istituti
tecnici a indirizzo scientifico, linguistico, artistico, commerciale, chimico e sociale, e istituti professionali.
Il servizio Re Mida nasce dall’idea di rispondere al disagio di soggetti con disturbi specifici
dell’apprendimento attraverso la messa in rete di conoscenze, informazioni e mezzi a disposizione di più
attori: scuola, famiglia, ragazzi, servizi, collaboratori esterni, associazioni e formatori. Gli obiettivi principali
del servizio sono: affrontare le difficoltà derivanti dall’impotenza appresa e favorire l’autonomia degli
alunni con DSA che aderiscono al progetto; offrire loro un supporto didattico/educativo, anche attraverso
l’utilizzo di strumenti compensativi e tecnologie informatiche e tramite la ricerca di un metodo di studio
adeguato al proprio stile di apprendimento; rispondere alla necessità di avere punti di riferimento esterni
all’ambiente familiare e scolastico. Gli utenti sono coinvolti in progetti trasversali come quello di
educazione alla sessualità e all’affettività, di riflessione sul significato di DSA, sul vissuto emotivo che segue
questa diagnosi. Anche i genitori sono supportati durante la frequentazione del servizio attraverso incontri
di riflessione sui vissuti dei loro ragazzi condotti da psicoterapeuti esperti nella relazione con gli
adolescenti.
Dalle attività svolte con gli utenti del servizio, sono emerse importanti differenze tra la loro percezione di
cos’è la dislessia e la percezione dei loro genitori. Ad esempio è emerso che gli alunni percepiscono la
dislessia come “essere”, mentre per i genitori “avere”. Questo risultato ha permesso ai genitori di riflettere
sul vissuto emotivo dei propri figli che non sempre coincide con il loro.
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Esperienza di un operatore in alcune case famiglia romane: la vita degli ospiti
Paola D’Atena, Carlo Pescosololido
Dipartimento 142, Facoltà di Medicina e Psicologia, Sapienza – Roma
[email protected]
La legge Basaglia del 1978 ha modificato radicalmente non solo il trattamento della malattia mentale, ma
anche gli aspetti più pregiudiziali e radicati sul malato mentale come la pericolosità e l’inguaribilità
(d’Atena, P.,Bulzoni, Roma, 1983- 2011).La legge nata in un momento di cambiamento della gestione del
disagio psichico in Europa ha abolito manicomi e create strutture territoriali.
Il presente contributo si pone l’obiettivo di descrivere la vita di alcuni ospiti di case famiglie romane, per
comprendere quanto la nuova gestione del disagio permetta o meno un miglioramento della qualità della
vita e dell’immagine di sé come malati.
L’esperienza diretta di Pascosolido come operatore quattro strutture con diverse tipologie di pazienti,
permette di conoscere di “ persone” che inserite, in un ambiente di normalità ritrovano in parte la propria
autonomia creando relazioni interpersonali tipiche di tutte i rapporti familiari, tanto da suggerire che il
ruolo di malato mentale si vada affievolendo, anche grazie all’attività lavorativa svolte. Una ricerca
precedente svolta in u una casa famiglia aveva dato risultati analoghi (D’Atena, op. cit.)
Ma la realtà della gestione della malattia mentale dopo la 180 è varia e non sempre positiva. Spesso sono
le famiglie che si prendono cura della sofferenza del parente malato, vivendo in una realtà drammatica. I
centri di diagnosi e cura (piccoli manicomi negli ospedali comuni) contengono farmacologicamente il
malato, lasciandolo poi al proprio destino. Le strutture private spesso utilizzano metodi di contenzione
molto pesanti (elettroshock) se non maltrattamenti.
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Homeless biographies: narrative paths of shelter hosts
Eleonora Bordon*- Alice Quattrocchi**- Mariselda Tessarolo***
*Ph.D. Department of Philosophy, Pedagogy, Sociology and Applied Psychology , University of Padua,
Padua, Italy; ** Psychology; *** Full Professor Department of Philosophy, Pedagogy, Sociology and Applied
Psychology , University of Padua, Padua, Italy.
[email protected]
In the Western context, not having a stable home is one of the most severe forms of poverty. Being
homeless lowers the quality of life as it is decreases the accessibility of hygienic and sanitary goods, the
choice of food and the usability of a private space in which to return. These factors often lead to social
exclusion and vulnerability. The number of homeless people in Western Europe is currently at its highest
level in 50 years, with homelessness levels not seen since the end of World War II. According to the
Functional European Observatory on Homelessness (2003), some 3 million people have no fixed home of
their own, while almost 15 million people live in sub-standard or overcrowded accommodations. These 18
million individuals represent 5% of the total population, including a large number of women and young
people. This survey’s aim is to trace, in the repertoires narrative of the sample indicated, the generative
matrix of the previous concepts in order to understand the paradigms that support and guide social action
and its development in a community of people who live in the margins of society. The strength and
resources of two generations whose cultural and narrative paths are traced in this way determines the
lines of development that are binding on the present and future generations. In the present study,
repertoires narrative of this particular population were collected and analyzed by the software Spad. In
addition to this method of analysis, the study reviewed the dictionary expressed by the interviewees, their
linguistic diversity and specificity by area of investigation. Finally, we proceeded with the analysis of lexical
correspondences, representing in graphical form, with the projection of lexemes in the coordinate axes.
Finally, we have identified the main factors that support the narrative by building a matrix that explains
the specific field of investigation.
Instruments to measuring self-perception are usually oriented to favor the visible portion of the
population who live and work in the territory. This was found to be diminished in his representations of
the average man or social disadvantaged. The homeless in our social context represent an invisible reality
– men and women who live in our area but no one actually knows as either as friends or as acquaintances.
The proposed study aims to give an account of the specificities of individual homeless persons, although its
attention lies on a dynamic elastic cultural observation and representation by means of a continuum of the
criteria of distinction for identifying and recognizing their identity. It builds a semantic field of the Self that
passes through the peculiarities of the subject in its uniqueness and is not shared with a social group but
extends the exclusivity of their intimacy.
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Vado a vivere da solo! L’applicazione della metodologia del Coach Familiare per realizzare il
desiderio di una persona con disabilità acquisita
Pietro Berti, Serena Cartocci, Davide Casto, Beatrice Mariani, Valeria Zoli
Progetto “Abilità diverse” (Cesena) e Cooperativa Sociale “insieme per Crescere” (Forlimpopoli)
[email protected]
“Voglio andare a vivere da solo”. Richiesta legittima se a farla è un giovane adulto di circa trent’anni. Ma se
questo adulto fosse una persona con disabilità acquisita in seguito ad operazione chirurgica, quali
sarebbero le reazioni all’interno della famiglia? Uno dei primi casi seguito con la metodologia del “Coach
familiare” (Biondi e Berti 2011; Berti 2011; Berti e Mariani 2012) è il caso di M, adulto con disabilità
motoria e notevoli problemi nell’attenzione e nella memoria a breve termine; oltre a questo, la disabilità
secondo i famigliari ha accentuato di molto il suo “caratteraccio”. M si presenta come una persona
scontrosa, lunatica e che non riesce ad entrare in relazione con il prossimo, se non tramite insulti e segni di
insofferenza.
Il caso di M è stato segnalato nell’estate del 2012 da un’associazione di volontariato di Cesena,
preoccupata per la situazione famigliare: da qualche mese era deceduto improvvisamente il padre,
persona di riferimento anche emotivo della famiglia. La madre si è trovata così da sola con M e un altro
figlio, di qualche anno più giovane, con un ritardo mentale.
Vi sono stati tre incontri con la famiglia: durante quegli incontri, si è capito che la cosa che M desiderava di
più era andare ad abitare da solo, forse anche a causa dell’alta litigiosità che si respirava nella casa.
La metodologia del Coach Familiare ha lo scopo di attivare (o ri-attivare) i desideri rispetto alla propria vita
e la capacità di empowerment delle persone; per questo motivo, si è scelto di individuare due obiettivi
specifici. In primo luogo, insegnare a M a prendersi cura della casa dove abitava insieme alla madre e al
fratello, iniziando dalla sua camera per poi arrivare anche alla cucina e al bagno. M doveva seguire un
rigoroso programma settimanale per pulire, riordinare, e iniziare a rendersi conto di quello che poteva e
non poteva fare.
Il secondo obiettivo consisteva nel sapersi orientare nella città, spostandosi con i mezzi pubblici.
Il percorso di autonomia è partito a ottobre 2012 e si è concluso a dicembre; M è stato affiancato da un
Coach Operativo per due volte alla settimana (per un totale di 4/6 ore settimanali), mentre la madre
riceveva la visita di un Coach Supervisore per circa due volte al mese.
Il percorso è iniziato con grande stupore da parte di M, poiché gli era stata data la possibilità di scegliere
cosa fare della propria vita: si è impegnato nelle attività mentre il Coach Operativo gli dava gli strumenti
per sapersi auto-valutare e per capire se poteva essere in grado di andare ad abitare da solo.
Non solo M si è impegnato nelle attività, anche il clima famigliare è migliorato sensibilmente.
Un primo incontro di valutazione è stato effettuato agli inizi di gennaio, e il percorso ha raccolto grande
soddisfazione da parte dell’intera famiglia.
M dal 1° febbraio abita da solo, in un appartamento che ha trovato in maniera autonoma.
Ulteriori risultati e implicazioni saranno discussi.
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Progetto Senape: un programma per l’inclusione sociale di minori con disabilità motoria
Annalisa Cerri, Francesca Tasselli, Sofia Banzatti
Associazione Contatto Onlus per la promozione delle Reti Sociali Naturali – Milano
[email protected]
Una società sempre più esigente e una scuola dell’obbligo sempre meno pedagogica e sempre più
didattica comportano un rischio di marginalizzazione nei ragazzini disabili, oltre a ridurre l’attenzione degli
insegnanti sugli aspetti relazionali del gruppo classe. Per il ragazzino disabile il passaggio dalla scuola
primaria alla secondaria, da un codice materno-accogliente a quello paterno-esigente degli anni successivi,
modifica il suo rapporto con l’ambiente scolastico. Con il rischio di aumentare la distanza percepita tra sé e
gli altri. L’Associazione Contatto Onlus opera dal 2004 per realizzare e diffondere il Programma Reti Sociali
Naturali sviluppato dal D.S.M. dell’A.O.
iguarda di Milano e rivolto a cittadini con disagio psichico in carico ai servizi psichiatrici territoriali.
L’obiettivo del programma è il miglioramento della qualità della vita e dell’inclusione sociale attraverso la
valorizzazione e l’attivazione di risorse informali, in primis il facilitatore naturale: un cittadino scelto dalla
persona come partner di un programma individualizzato, costantemente monitorato dall’equipe del
Progetto in un percorso condiviso con il servizio psichiatrico territoriale. L’interesse dell’Associazione
Contatto Onlus negli ultimi anni si è esteso anche all’area dei minori e si è tradotto in progetti che cercano
di rispondere in modo discreto e non stigmatizzante ai bisogni concreti del minore e della sua famiglia. Il
Progetto “Senape: un programma per l’inclusione sociale di minori con disabilità motoria” utilizza il
metodo delle Reti Sociali Naturali. Senape è finanziato dalla Fondazione Mariani, si rivolge a giovani
pazienti con disabilità motoria nella fascia di età compresa tra gli 11 e i 17 anni; individua quale area di
intervento, quella della qualità della vita/inclusione sociale; estende la care del paziente al di fuori del
setting sanitario, nella quotidianità dell’ambiente di vita naturale. Operativamente, nella prima fase di
analisi della domanda ed esplorativa della rete, per ogni minore vengono individuati i contesti privilegiati
di relazioni, con l’ausilio di strumenti di assessment quali la tabella della settimana, l’elenco delle persone
significative, la mappa di Todd. La fase attiva del Programma consiste nella attivazione di un sistema di
care informale e di facilitatori naturali, costantemente sostenuto e supervisionato dagli operatori del
Progetto, attraverso la formulazione di un accordo programmatico sottoscritto da tutti i soggetti coinvolti,
minori ed adulti e formulato, rispetto ad obiettivi e modalità di attuazione, in modo personalizzato e
flessibile. L’elemento di reciprocità dello scambio tra i soggetti coinvolti rivela il vantaggio di questa
esperienza anche per i pari, rimarcando la funzione di cura che ogni relazione comporta e l’importanza di
coinvolgere la comunità in un processo di responsabilizzazione verso i soggetti più svantaggiati.
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Gli effetti del contatto interno sul pregiudizio: un’indagine tra gli studenti delle scuole
secondarie inferiori
Erica Viola, Filippo Rutto, Cristina O. Mosso
Dipartimento di Psicologia; Università degli Studi di Torino
[email protected]
La teoria del contatto intergruppi è stata confermata in differenti contesti (vedi Pettigrew & Tropp, 2006,
per una review). Sebbene l’effetto del contatto sia stato rilevato anche tra membri di gruppi minoritari,
nella maggior parte degli studi, esso risulta non significativo e meno efficace rispetto a quello stimato nei
gruppi maggioritari (Aboud, et al., 2012). Forse a causa della mancanza di risultati significativi, non sono
numerosi gli studi che hanno esaminato i gruppi minoritari. La stessa tendenza è stata osservata anche con
campioni di bambini e adolescenti. Rispetto al contesto scolastico, dato il progressivo aumento dei flussi
migratori verso i paesi occidentali, il numero di studenti stranieri costituisce, anche nel nostro Paese, una
realtà strutturale che rende necessario da una parte approfondire maggiormente la relazione tra contatto
e pregiudizio, dall’altra parte considerare le possibili differenze tra gruppi etnici. Il contesto scolastico
rappresenta un luogo privilegiato per l’incontro di differenti background culturali e permette di
considerare anche il punto di vista degli studenti stranieri. Scopo del presente studio è stato quello di
esaminare gli effetti del contatto intergruppo percepito sia all’esterno, sia all’interno del proprio istituto
scolastico sull’espressione del pregiudizio etnico in un campione di preadolescenti (N=393). È stato inoltre
considerato il ruolo del desiderio di contatto con l’outgroup che, sebbene rappresenti uno stato mentale
fondamentale nella fase pre-decisionale alla base dell’intenzione ad agire, risulta un aspetto poco
esplorato nella relazione tra contatto e pregiudizio. Infine, sono state esaminate le differenze relative
all’espressione del pregiudizio etnico e agli effetti del contatto intergruppi tra studenti italiani, studenti
stranieri di seconda generazione e studenti nati all’estero. Dai risultati è emerso che, mentre il contatto
percepito all’esterno del contesto scolastico porta ad un aumento del pregiudizio etnico, il contatto
interno a tale contesto riduce l’espressione di tale bias. Il desiderio di contatto risulta un mediatore della
relazione tra contatto intergruppo all’interno della scuola e pregiudizio etnico sia tra studenti italiani sia
stranieri. Tra questi ultimi l’effetto del desiderio di contatto risulta significativo per la riduzione del
pregiudizio etnico. I risultati di questo studio mettono in luce l’importanza del contesto scolastico quale
luogo privilegiato per sviluppare interventi rivolti ai giovani che puntano a favorire la multiculturalità e a
sviluppare una maggior propensione personale al contatto. I risultati positivi ottenuti in quest’ambito si
potranno poi estendere anche al più ampio contesto sociale.
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Il progetto “La scuola a sostegno della cultura adottiva”. La famiglia e il minore adottato nelle
parole delle insegnanti
Simona Vitrano e Consuelo Serio
Associazione A.M.A. (Associazione Missione Adozione); Università degli Studi di Palermo – Dipartimento di
Psicologia
[email protected]
‘La scuola a sostegno della cultura adottiva: l’inserimento scolastico del minore straniero adottato’ è un
progetto bottom up promosso dall’Associazione Missione Adozione di Palermo, costituita da famiglie
adottive, in collaborazione con le istituzioni locali. Il suddetto, sulla scia dell’aumento di minori stranieri
adottati che entra in Italia in età scolare, apre una riflessione sul benessere psicosociale dei minori e delle
famiglie adottive, quindi delle competenze che la scuola deve in tal senso possedere. Nel solo anno 2012,
la Commissione per le adozioni internazionali ha infatti stimato l’ingresso in Italia di 3106 minori a scopo di
adozione, dei quali, il 47,5% ha un’età compresa tra i 5 e i 9 anni (CAI, 2013).
Il progetto si configura come una ricerca-intervento e si articola in tre fasi: ricerca sul campo, formazione e
co-progettazione di interventi. La ricerca ha lo scopo di esplorare le conoscenze, le rappresentazioni sociali
e le eventuali buone prassi che la scuola adotta in tema di adozione internazionale e che orientano l’agire
educativo dei docenti.
Il contributo illustrerà i risultati delle rappresentazioni sociali di 150 docenti intervistati per mezzo di un
questionario che indaga sia l’immagine che gli stessi associano alla famiglia adottiva sia le caratteristiche
peculiari che utilizzano per descrivere il minore adottato (chi è e quale ruolo svolgono le origini
nell’indirizzare il suo processo di sviluppo e benessere evolutivo).
Dall’analisi dei dati prevalgono due spaccati: un’immagine idealizzata della famiglia che ha adottato in cui
si esaltano gli affetti positivi e i valori eticamente preziosi che stanno dietro la scelta dei genitori tanto da
assurgere a modello da emulare; e un’immagine del minore come bisognoso d’affetto e di attenzioni,
quindi, perfettamente complementare al nucleo familiare accogliente. Poco spazio, dunque, alle fragilità
reciproche e quasi nessun riferimento al contesto extrafamiliare che ha le stesse responsabilità in tema di
accoglienza. L’analisi delle rappresentazioni che i docenti hanno degli attori della famiglia adottiva è un
punto di partenza per pianificare i livelli di formazione per i docenti di scuola primaria: una formazione di
base sui contenuti generali del processo psicologico che investe la famiglia adottiva ed una formazione di
secondo livello rivolta a quei referenti scolastici che l’Ufficio scolastico regionale avrà individuato, sulla
base delle recenti circolari emanate dal MIUR.
Per questi minori, infatti, la scuola è il primo luogo d’incontro con la nuova comunità di appartenenza e da
essa può dipendere la bontà dell’intero processo d’integrazione (Bombèr, 2011).
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SESSIONE POSTER P6
LA COMUNITÁ SI ORGANIZZA: VOLONTARIATO E CITTADINANZA ATTIVA
Coordinatrice: Michela Lenzi
PROGETTO PIEDIBUS – bambini in movimento
Adriana Pierdonà*, Anna Brichese*, Elena Ciot**, Tiziana Menegon^, Sandro Cinquetti°
* Assistente Sanitaria – Azienza ULSS7 del Veneto; ** Coadiutore Amministrativo – Azienza ULSS7 del
Veneto; ^ Medico – Azienda ULSS7 del Veneto; ° Direttore di Dipartimento di Prevenzione – Azienda ULSS7
del Veneto
[email protected]
Il yber bul è un autobus che va a piedi, formato da bambini della scuola primaria che, accompagnati da
adulti come genitori, nonni e volontari vanno a scuola. Coinvolge attivamente i Comuni, le Scuole, le
Famiglie e l’Azienda Sanitaria. Introduce i bambini all’educazione stradale e all’utilizzo degli spazi urbani, in
modo attivo acquisendo competenze; promuove movimento e autonomia negli spostamenti; favorisce la
socializzazione; riduce il traffico attorno alle scuole e l’inquinamento atmosferico.
Metodi
Il progetto si realizza con un lavoro di rete che coinvolge l’Azienda Sanitaria, che promuove, sensibilizza,
coordina e fornisce pettorine e modulistica; i Comuni che garantiscono la pedonabilità e sicurezza del
percorso; la Scuola e i genitori, reali gestori del progetto. La metodologia è quella di creare gruppi di lavoro
dove la motivazione della parte non istituzionale, genitori e adulti, sia molto forte per avviare il processo di
empowerment fondamentale per l’attiva presa in carico del progetto.
Risultati
Il Piedibus, presente nell’Azienda ULSS 7 dall’anno scolastico 2007-08, vede a tutt’oggi il coinvolgimento di
18 dei 28 Comuni, con 38 Scuole, 68 percorsi, 800 accompagnatori e 1280 bambini. I Comuni hanno
ripristinato la segnaletica stradale e gli arredi urbani alle fermate yber bul e hanno attuato azioni di
miglioramento della viabilità. Si è creata una rete di accompagnatori per scambio esperienze, programmi,
soluzioni. Ogni bambino in un anno scolastico percorre circa 400 Km per un totale di 100 ore di attività
motoria.
Conclusioni
Il progetto sviluppa il self-empowerment muovendo risorse personali dell’individuo, incoraggiandolo ad
esplorare valori e credenze, favorendo lo sviluppo delle sue abilità, per motivarlo ad agire sulle basi di
scelte consapevoli. Ciò permette agli operatori sanitari di concentrarsi sulla yber bull del progetto,
attuando azioni di promozione e coordinamento sul territorio.
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NaturalMente Ragazzi!
Elisa Magnolo
Cooperativa Mary Poppins ar.l. in collaborazione con Centro Servizi Volontariato della Provincia di Padova,
Rotary Club, Explora, Orto Corto
[email protected]
Premessa. Il progetto “Si, possiamo cambiare!” nasce con l’obiettivo di dare la possibilità agli studenti, già
sanzionati per comportamenti scorretti, di mettere in gioco potenzialità e competenze in contesti diversi
da quello scolastico per acquisire una maggiore consapevolezza degli altri e di se stessi ridando senso al
proprio percorso. Senza essere allontanati dalle lezioni, gli studenti commutano i giorni di sospensione in
attività di volontariato. Nell’estate 2012 si è ritenuto opportuno implementare la progettualità con un
campo estivo residenziale, destinato ai ragazzi segnalati dalle scuole durante l’anno ma aperto anche a chi
voleva fare un’esperienza nuova , finalizzato alla prevenzione/ promozione del benessere in un contesto
socio/relazionale/ambientale basato sui principi di solidarietà, di partecipazione e di cittadinanza attiva.
Il progetto. Dall’analisi delle osservazioni, sui risultati raggiunti e dagli incontri partecipati con le famiglie
nasce la progettualità sperimentale “NaturaLmente Ragazzi”. Il progetto rientra nell’ambito della
prevenzione/promozione del benessere; gli elementi che lo caratterizzano sono: il quadro generale di
cittadinanza attiva, l’approccio socio-educativo-relazionale, l’utilizzo dell’ambiente “natura”, il metodo
della ricerca-azione partecipata.
Gli obiettivi sono:
• Offrire la possibilità di scoprire le proprie risorse e potenzialità; • Favorire lo sviluppo del senso di
autostima, l’autonomia e le motivazioni; • Favorire i processi di socializzazione; • Favorire il rispetto delle
regole condivise; • Favorire l’emergere di una nuova coscienza etica morale fondata sui principi di
solidarietà, responsabilizzando il giovane e rendendolo parte di una cittadinanza attiva; • Realizzare un
Bilancio di Competenze che consenta di orientare i ragazzi allo studio o al lavoro; • Stimolare valori
comunitari che permettano la valorizzazione collettiva del patrimonio naturale e umano di ogni territorio.
Il progetto è rivolto a ragazzi che vengono segnalati dalla scuola per particolari difficoltà comportamentali
e si articola quindi in: - Inserimento in attività di volontariato; - Campo estivo;
- Incontri periodici di gruppo in cui riflettere su ciò che si sta costruendo attraverso il volontariato, per
acquisire nuove modalità di vedere sé stessi, gli altri e di relazionarsi all’interno del gruppo dei pari; Incontri tra genitori finalizzati a favorire una diversa conoscenza del figlio e un miglioramento nelle
relazioni.
La ricerca. Visto il carattere sperimentale del progetto, si è deciso di effettuare una ricerca, il cui obiettivo
principale è quello di verificare se le attività proposte ai ragazzi producano cambiamenti significativi sia nel
modo di relazionarsi, in particolar modo, con i coetanei, sia rispetto all’immagine che hanno di sé stessi.
Si intende inoltre verificare se e come l’immagine che i genitori hanno dei loro figli e la fiducia in loro si
modifichi attraverso il percorso.
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Nuove forme di volontariato. Il volontariato occasionale nell’esperienza del Festivaletteratura
di Mantova
Anna Maria Meneghini*, Paola Rossi**, Diego Romaioli*, Daniele Bottura**
* Dipartimento di Filosofia, Pedagogia e Psicologia, Università di Verona;
** Centro Servizi per il Volontariato Mantovano
[email protected]
Il volontariato occasionale può essere definito come un insieme di iniziative, rette da attività episodiche,
che vengono intraprese per rispondere ad esigenze puntuali e contingenti (Ambrosini, 2005). Il
volontariato del Festivaletteratura di Mantova può essere considerato un esempio di questo tipo. La
connotazione associativa (nel senso di struttura organizzativa) del volontariato occasionale, seppur
presente, risulta alquanto ridimensionata se paragonata alle tradizionali modalità di volontariato. Il
volontariato denominato come continuativo richiede infatti un impegno prolungato nel tempo ed è a
carattere maggiormente “routinario”, mentre la peculiare forma che assume il tipo occasionale è quella di
“impegno intermittente”.
Nell’ambito di una più ampia ricerca su motivazioni e soddisfazione legate all’esperienza al
Festivaletteratura di Mantova, si è voluto indagare, attraverso il metodo delle associazioni libere, come i
partecipanti all’indagine si rappresentano l’idea di volontariato e di sé come volontario. E’ stata operata a
posteriori una distinzione tra coloro che partecipano esclusivamente a forme di volontariato occasionale,
piuttosto che ad una combinazione di esperienza tra forme di volontariato occasionale e continuativo.
Ulteriori domande chiedevano di esprimersi in merito alle differenze tra volontariato occasionale e
volontariato continuativo, provando ad esplicitare cosa potesse essere considerato vantaggioso o
svantaggioso nelle due forme. Anche in questo caso, l’obiettivo era quello di esplorare i significati che i
fenomeni indagati assumono per i partecipanti interpellati attraverso domande aperte.
Il campione dei partecipanti che ha risposto al compito associativo è composto da 312 volontari; 328
partecipanti hanno risposto alle domande aperte.
I termini riportati dai volontari nei diversi compiti sono stati trascritti e sottoposti ad analisi del contenuto,
utilizzando il software Spad.
Dai risultati traspare che la rappresentazione di “sé come volontario” e 2volontariato” tende a sovrapporsi
nei due gruppi, rendendo plausibile l’idea che anche il volontariato occasionale possa essere sperimentato
come una forma di volontariato tout court, altrettanto legittima e potenzialmente in grado di produrre gli
stessi effetti positivi a livello di benessere personale, grazie a un incremento nel senso di partecipazione e
nella promozione di legami sociali. Tuttavia, le analisi svolte sugli svantaggi e vantaggi rilevati dai
rispondenti sottolineano differenze più sottili nel modo di percepire il volontariato occasionale e
continuativo da parte di chi lo svolge, mostrando come le due differenti tipologie siano effettivamente
adatte a soddisfare esigenze specifiche e a incontrare meglio il favore di nicchie distinte di partecipanti.
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Anch’IO VINCO: percorsi esperienziali di Volontariato, Inclusione, Cittadinanza e Opportunità di
lavoro
Chiara Vallini, Daria Vellani, Krzysztof Szadejko, Elisa Pighi, Andrea Ascari
Centro Studi Donald J. Ottenberg di Modena
[email protected]
Anch’IO V.IN.C.O. è un progetto, attualmente in atto, che si rivolge ai cosiddetti NEET: giovani under 30
che non lavorano, non seguono corsi di formazione o aggiornamento professionale
L’obiettivo è sostenere i giovani attraverso azioni di attivazione nel mondo del lavoro e del volontariato
per riattivare la motivazione, il desiderio, la volontà e la possibilità di immaginare un progetto.
Obiettivo
Offrire uno strumento di riattivazione di sé e di uscita da quei momenti di stallo che, anche a causa del
particolare momento sociale ed economico che stiamo vivendo, le persone stanno vivendo. Il progetto
parte dall’ipotesi che la partecipazione a percorsi orientati alla cittadinanza attiva porti ad un
miglioramento della soddisfazione delle propria vita, ad un aumento delle aspettative ottimistiche e ad
una variazione rispetto alle competenze che vengono ritenute utili per la ricerca di un lavoro.
Metodo
Il progetto, oltre a colloqui individuali e attivazioni di gruppo, inserimento in aziende e in organizzazioni di
volontariato, prevede la somministrazione di questionari e la partecipazione a focus group a partire
dall’inizio del progetto. Ai beneficiari dell’attività, sia in entrata che al termine del percorso, viene
somministrato lo stesso questionario e viene proposta la partecipazione ad un focus group orientato al far
emergere attitudini, aspettative, opinioni relative al lavoro, così da realizzare una valutazione dell’evidenza
degli effetti del percorso stesso.
Al fine di verificare l’ipotesi iniziale, è stato somministrato un questionario composto da 3 scale di
misurazione: LOT – R, sull’ottimismo misura l’ottimismo disposizionale delle persone ed ha come
fondamento teorico il modello di Carver e Scheier che fa riferimento al valore delle aspettative; SWLS –
Satisfaction With Life Scale, che misura la soddisfazione globale riferita rispetto al propria vita; Scala di
percezione delle competenze per l’ingresso nel mercato del lavoro (F. Avallone, A. Grimaldi, S. Pepe)
permette di ottenere 3 punteggi per i fattori relativi a competenze sociali, competenze tecnicospecialistiche e presenza nel contesto.
Risultati
Il progetto e la ricerca sono in realizzazione e il campione aumenterà di dimensione. Hanno, ad oggi,
coinvolto più di 30 destinatari. Sono stati somministrati 30 questionari ad inizio percorso, 20 a fine e sono
stati realizzati 6 focus (4 iniziali e 2 finali). Attualmente il progetto è in corso.
Conclusioni
Nonostante il progetto sia attualmente in corso possiamo dire che il 17 tirocini su 28 si sono conclusi con il
proseguimento dell’attività (con 4 inserimenti lavorativi e 10 tirocini pagati dalle aziende). Il progetto ha
l’obiettivo di realizzare 65 percorsi entro luglio 2013.
50
La rete dei gruppi di cammino della provincia di Bergamo
Paolo Brambilla, Giuliana Rocca, Alessandra Maffioletti, Giorgio Barbaglio
ASL Bergamo Servizio Medicina Preventiva di Comunità(Dip Prevenzione)
[email protected]
Il gruppo di cammino è un progetto che promuove la partecipazione e la cultura locale della salute e dello
sviluppo di una comunità, attraverso l’attivazione della comunità stessa.
Il metodo: attraverso il coinvolgimento attivo della comunità, si cerca di costruire una rete di soggetti con
ruoli attivi nel progetto: le Amministrazioni Comunali, che garantiscono l’organizzazione locale e la
continuità nel tempo attraverso la rete delle organizzazioni di volontariato e partecipano alla
progettazione e alla verifica dei risultati. Le Associazioni di volontariato, che forniscono soggetti che
animano i gruppi dopo breve formazione da parte dell’ASL e che svolgono un ruolo attivo nella
sensibilizzazione dei cittadini. I cittadini, che sono sensibilizzati in una prima assemblea promossa
dall’Amministrazione locale anche attraverso le associazioni di volontariato, e che vengono poi coinvolti in
incontri periodici su temi di salute connessi soprattutto con l’attività fisica. Il conduttore del gruppo o
walking leader ha il ruolo importante di sostenere l’entusiasmo per assicurare longevità al gruppo, e di
creare un’atmosfera positiva di reciproca fiducia e di attenzione dentro il gruppo. La collaborazione tra
organizzazioni per sostenere il gruppo e la partecipazione ad altre attività nella comunità, come eventi
culturali, o attività ricreative e di sostegno sociale, determinano un rafforzamento dei legami e delle
relazioni dentro al gruppo.
Risultati: nella provincia di Bergamo sono attivi 180 gruppi di cammino presenti in 111 Comuni su 244. Si è
creata una rete attiva, che ha un suo strumento di collegamento rappresentato dal foglio “Novità in
cammino” ad uscita quadrimestrale a cura dell’ASL, al quale collaborano i vari gruppi. I walking leader
vengono incontrati 3 volte all’anno raggruppati per territori. Sono programmati incontri periodici con tutti
i camminatori ( articolati territorialmente), per proporre nuovi temi finalizzati alla promozione della salute,
con il supporto di specialisti come il cardiologo, la nutrizionista ed il fisiatra. Alcuni Comuni hanno
organizzato dei raduni provinciali dei gruppi di cammino, con lo scopo di favorire l’attività fisica abbinata
ad occasioni di approfondimento culturale o naturalistico ( raduno al Villaggio di Crespi d’Adda, alle Terme
di San Pellegrino, ecc).
Il progetto ci consente di raggiungere traguardi importanti per la salute globale: il primo è la promozione
del senso di appartenenza ad una comunità e del senso di responsabilità rispetto ai risultati di benessere
(ciascuno è attore e promotore di cambiamento…)
Un altro traguardo è la riduzione della conflittualità e delle logiche individualistiche, con il prevalere di
comportamenti come la solidarietà e la cooperazione.
Un terzo traguardo è rappresentato dallo sviluppo della rete locale, che può incrementare la capacità dei
cittadini di accedere alle risorse della comunità, migliorando così il rapporto tra individuo e comunità.
51
Dal gruppo di auto-mutuo-aiuto all’organizzazione condotta da utenti, una proposta di
evoluzione della prospettiva di studio per i gruppi nella comunità locale
Maria Angela Caputo, Nicolina Bosco, Fausto Petrini
Dipartimento di Scienze della Formazione e Psicologia
[email protected]
Inteso e vissuto come forma di supporto che si crea in maniera volontaria, il gruppo di auto-mutuo-aiuto,
costituito da pari che vivono o hanno vissuto lo stesso disagio, si inserisce come modalità di intervento
parallelo ai tradizionali percorsi di cura. Negli anni più recenti l’attenzione si è però progressivamente
spostata dallo studio dei gruppi di self-help allo studio delle Consumer-Run Organizations (CROs),
organizzazioni al cui interno sono utenti ed ex-utenti ad assumere un ruolo centrale a livello organizzativo
e decisionale (Brown, Shepherd, Wituk & Meissen, 2007; Salem, Seidman & Rappaport, 1988). Le attività
delle CROs includono non solo gruppi di auto-mutuo-aiuto, con i quali si possono però individuare notevoli
sovrapposizioni, ma anche interventi educativi, ricreativi, di advocacy, consulenza lavorativa ed assistenza
(Brown, Shepherd, Wituk & Meissen, 2008¸ Brown, 2007; Segal & Silverman, 2002). Facendo leva sul senso
di responsabilità, individuale e collettivo, sul rapporto fra pari, sul controllo delle attività svolte e la
gestione condivisa le CROs promuovono, cosi come i gruppi, l’empowerment di ciascun membro
favorendo il riappropriarsi della propria cittadinanza attiva (Nelson, Janzen, Trainor & Ochocka, 2008;
Brown, Shepherd, Wituk & Meissen, 2007). Sulla tematica dell’associazionismo nell’auto-mutuo-aiuto è
stato condotto, dal nostro gruppo di ricerca, uno studio su tutto il territorio toscano che ha visto coinvolti
testimoni chiave a livello organizzativo ed istituzionale, facilitatori e membri di alcuni gruppi di varie
province della regione.
Obiettivo: individuare linee guida per definire le caratteristiche distintive delle associazioni e dei singoli
gruppi.
Partecipanti: 16 facilitatori e testimoni chiave intervistati individualmente e 92 membri di gruppi suddivisi
in 13 focus-group; di questi ultimi 5 si sono nel tempo costituiti come associazione. Metodo: interviste
semi-strutturate e focus-group registrati e trascritti. È stata condotta un’analisi di contenuto, con modello
di riferimento la Grounded Theory (Glaser & Strauss, 1967), utilizzando un Computer Assisted Qualitative
Data Analysis Software (ATLAS.ti).
Risultati: le testimonianze evidenziano come sia difficile individuare una netta linea di demarcazione tra la
realtà associazione e la realtà gruppo poiché esistono caratteristiche ed elementi fra loro sovrapponibili.
Viene però sottolineata l’importanza di tali associazioni in quanto queste promuovono percorsi di
empowerment, favoriscono la creazione di reti sociali e fungono da ponte tra gruppi, servizio e territorio.
Emerge pertanto la necessità di approfondire lo studio del fenomeno per valorizzare le specificità di
entrambe le realtà.
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La consulenza psicopedagogica diventa servizio per sviluppare comunità
Claudia Turconi, Marta Bosi
Società Coop. Sociale Il Grafo (MI)
[email protected]
Il servizio di consulenza psicopedagogica nasce 15 anni fa dalla collaborazione tra il Grafo e il Comune di
Bollate con la finalità di sostenere la genitorialità e favorire la prevenzione primaria attraverso il lavoro con
gli insegnati delle scuole territoriali. Il servizio partecipa al progetto Ricucire la rete, finanziato dalla
provincia di Milano, e rivolto ai comuni del distretto e alle scuole. Nel 2007 una ricerca-azione condotta
con le scuole e con la pediatria porta all’apertura in ognuna delle 12 scuole comunali di uno sportello di
consulenza adulti e di uno ragazzi e ad una rinnovata cura e potenziamento della rete con i servizi
territoriali(Consultori, uompia, centri specialistici convenzionati, pediatria, Tutela minori, 3 cag, scuole
private).
Il servizio lavora su 2 piani tra loro interconnessi:
1-offre al singolo o al gruppo(familiare, di insegnanti, di ragazzi) la possibilità di una consultazione breve di
primo livello(da un minimo di 1 ad un max di 10 colloqui), a cui accedere spontaneamente o su indicazione
o in collaborazione con scuola e la pediatria;
2-lavora sulla lettura, analisi e gestione delle dinamiche dei gruppi istituzionali con cui si relaziona, in
primis la scuola.
Con la scuola ha poi strutturato a livello sia formale sia informale una prassi di programmazione,
monitoraggio, ri-progettazione e verifica che origina interventi flessibili alle esigenze emergenti nel
rispetto, dei reciproci setting. Sono stati ad esempio elaborati un percorso di autoformazione insegnati,
affiancamento nella progettazione e supervisione di interventi educativi in classe, collaborazione con i cag
per interventi ad hoc, co-progettazioni per la ricerca di finanziamenti esterni, incontri genitori di classi in
difficoltà, cene educative con i genitori, scuole genitori in partnership con l’associazione genitori, etc. Ci
sembra questo un elemento che ha aspetti di innovazione nell’ambito delle politiche preventive:l a messa
in opera di attività diversificate all’interno o intorno al servizio rispondenti al medesimo obiettivo. Ciò
consente di creare una piccola rete in cui il sostegno alla genitorialità trova declinazioni diverse a seconda
della dimensione operativa individuale o di gruppo e dove l’interdisciplinarietà in comunicazione permette
di far emergere la domanda e di declinare la risposta ad essa nel modo più efficace.
Un altro aspetto di novità è la riflessione sull’importanza di porre attenzione all’aspetto processuale della
prevenzione primaria, che riguarda sia la dimensione temporale in cui l’intervento si può dipanare, intesa
come continuità e attesa, sia l’approccio di rete che la rende possibile. L’operatore lavora infatti
mantenendo uno sguardo sistemico e un’ottica proattiva nell’approccio all’utente/partner.
Utile al lavoro e alla riflessione risulta un impianto di verifica collaudato da 8 anni, composto da una
pluralità di strumenti di raccolta ed analisi di dati qualitativi e quantitativi.
53
SESSIONE POSTER P7
LUOGHI, AMBIENTI E MOBILITÁ
Coordinatore: Ettore De Angeli
Mentor UP: aiutiamo i ragazzi a crescere. Un progetto di Mentoring implementato
dall’Università degli Studi di Padova
Massimo Santinello, Marisa Bergamin, Chiara Verzeletti, Alessandro Agresti, Roberta Testa
Università di Padova, DPSS Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione “Guido Petter”
[email protected]
Scopo di questo lavoro è di presentare i risultati relativi alla valutazione dell’impatto del Progetto di
Ateneo Mentor UP, un progetto di Mentoring implementato dall’Università degli Studi di Padova e con la
partecipazione del Gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria di Padova.
Si tratta di un programma di prevenzione e promozione del benessere, finalizzato a facilitare lo sviluppo
sociale e personale di ragazzi tra gli 8 e i 12 anni che frequentano le classi 4ª e 5ª della Scuole Primarie e
delle classi 1ª – 2ª e 3ª degli Istituti Secondari di Primo Grado del Comune di Padova.
Obiettivi del progetto sono l’arricchimento socio-culturale dei ragazzi, la conoscenza e l’integrazione con le
risorse presenti nel territorio, la risoluzione di difficoltà quotidiane attraverso la strutturazione di una
relazione di sostegno con una figura adulta non istituzionale.
Il programma ha coinvolto 41 coppie Studenti universitari/ragazzi delle scuole.
Saranno discussi i risultati relativi all’anno scolastico 2012/2013, riguardanti la qualità della relazione tra
mentor-mentee, e i benefici che tale relazione ha riverberato sui partecipanti.
Inoltre saranno riportati i risultati dei questionari per la valutazione delle competenze sociali e relazionali
dei ragazzi coinvolti, confrontandoli con quelli dei compagni e la media della classe.
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A scuola su due ruote: un esempio di prevenzione partecipata
Chiara De Vecchi, Valentina Del Grande
Abilità Diverse
[email protected]
Questo progetto è nato dalla collaborazione tra una scuola secondaria di secondo grado di Cesena e i
volontari del progetto “A Ruota Libera” (inserito all’interno della rete “Abilità Diverse” di Cesena), con
l’obiettivo di accompagnare gli studenti in un percorso di presa di coscienza della disabilità motoria e
sensoriale e delle problematiche ad essa connesse, sensibilizzando al tema delle barriere architettoniche e
relazionali.
Lo scopo del progetto è quello di produrre un cambiamento del punto di vista attraverso la
sperimentazione in prima persona delle barriere sia fisiche che relazionali presenti nel territorio, in quanto
la disabilità è un tema che può riguardare tutti, anche per un periodo limitato, come ad esempio
procurarsi una frattura alle ossa a causa di un incidente in automobile.
L’intervento si è articolato in tre fasi di lavoro qui presentate in ordine temporale: una prova su strada
durante la quale i ragazzi venivano invitati a sedersi sulla sedia a rotelle e accompagnati lungo un percorso
prestabilito per sperimentare le barriere architettoniche e relazionali. Una seconda fase dove le classi
venivano accompagnate nella rievocazioni dell’esperienza vissuta, dando particolare rilievo alla
componente emozionale. Una terza fase dove i ragazzi divenivano protagonisti attivi e promotori di
sensibilizzazione, nella creazione e conduzione di un evento pubblico extra-scolastico aperto alla
cittadinanza.
Il punto di forza del progetto sta in questa modalità di sperimentarsi che favorisce l’ascolto e la
comprensione dei bisogni dell’altro, con conseguente miglioramento della qualità delle relazioni e delle
capacità empatiche; riducendo l’emarginazione e la stigmatizzazione, cioè quei processi sociali che minano
il benessere di una comunità.
Si è scelto di lavorare all’interno dell’ambiente scolastico perché si presta ad essere un contesto
privilegiato per lo scambio ed il confronto tra i ragazzi, e anche un terreno fertile per la sensibilizzazione e
l’integrazione di tutte le diversità.
55
Indicazioni operative rivolte ai Dipartimenti: aspetti di pertinenza ASL in ambito V.A.S.
(Valutazione ambientale strategica) legata agli strumenti di pianificazione urbanistica
Giuseppina RIZZO, Carmen DIRITA, Anna GAY, Bianca NUCCI, Enrico PROCOPIO, Valerio VECCHIE’,
Gianmartino BIOLLO
ASLCN1, ASLTO1, ASLAL, ASLTO3, ASLVB
[email protected]
Dove costruire o allestire la scuola e come collegarla ai luoghi di residenza e di lavoro dei genitori,
incentivando all’attività fisica con pedibus, piste ciclabili abbinate a valutazioni di prevenzione incidenti
stradali, luoghi salubri da inquinamenti vari abbinati a valutazioni di prevenzione incidenti domestici,
impatti acustici, ecc.; la conoscenza della prevenzione inizia dalla scuola, di ogni ordine e grado, compresa
l’Università dove mancano da tempo insegnamenti legati agli impatti dell’ambiente esterno/interno sulla
salute umana. Occorre porre attenzione come corsi di Laurea per urbanisti, architetti, ingegneri, medici di
igiene pubblica e TPALL, per citare i più coinvolti, sono poco sensibili ad argomenti di igiene ambientale e
salute. Per i processi di VAS legati alla pianificazione urbanistica, la Regione Piemonte individua l’ASL tra i
soggetti aventi competenza in materia ambientale. Nasce allora spontanea, negli operatori ASL coinvolti, la
ricerca di conoscenze e di indirizzi operativi comuni e condivisi. Gli operatori delle ASL chiamati a
rappresentare il territorio regionale, elaborano così uno strumento correlabile alle principali
problematiche di valenza sanitaria. La sua consultazione potrebbe forse anche agevolare gli organi decisori
e i progettisti nelle valutazioni ambientali riferite alla componente di prevenzione della salute.Il luogo dove
la comunità sviluppa il senso di appartenenza è la scuola ed è lì che deve nascere il concetto di salute.
Il percorso ha comportato la:
- condivisione di esperienze maturate sui territori;
- disamina di normative (ambientali, urbanistiche, sanitarie, ecc.);
- ricerca sitografica/bibliografia di esperienze sanitarie analoghe;
- consultazione di bibliografia scientifica.
La consultazione con i Dipartimenti di Prevenzione e con altri importanti attori della Regione
(Università/Politecnico, Direzioni Pianificazione e Ambiente, ARPA, ecc.) ha portato alla conclusione
condivisa del documento. L’odierno concetto di salute affianca al benessere fisico la componente sociale e
la reazione individuale agli eventi della vita. Pertanto, l’operatore sanitario deve farsi promotore di aspetti
legati all’igiene dell’abitato, oltre che a impatti sulla salute di inquinanti esterni, antinfortunistica collettiva
(es. incidenti stradali e in luoghi di vita), stili di vita favoriti o disincentivati da scelte urbanistiche (es.
disponibilità di aree verdi e allocazione di scuole ed attività fisica), benessere sociale strettamente
connesso con quello mentale e fisico di individui e di comunità (es. prossimità dei servizi, sicurezza,
integrazione sociale). Di qui la consapevolezza di riaffermare il proprio ruolo, confermando l’importanza
della Sanità nei processi di valutazione ambientale, soprattutto se riferiti alla pianificazione territoriale,
utilizzando una metodologia di approccio cartografico che potrebbe agevolare i compiti degli operatori ASL
e dei promotori dell’analisi ambientale.
56
Photovoice: Il senso dei luoghi nel ciclo di vita: una ricerca longitudinale
Giorgia Borrelli, Alessandra Chiurazzi
Università degli studi di Napoli Federico II, Dipartimento degli Studi Umanistici
[email protected]
Il presente lavoro mira ad incrementare la consapevolezza nelle giovani generazioni utilizzando una
metodologia, relativamente nuova ed innovativa quale il photovoice (Arcidiacono, 2010).
’Italia comprende una ricca varietà di comunità considerevolmente differenti tra loro. Molto spesso, in
termini di ricerca, si tende a dimenticare le difficoltà che i cittadini residenti alcune zone remote,
sottosviluppate e disagiate del nostro paese presentano. La realtà che questo lavoro si è proposta di
indagare, fa riferimento ad un paese situato in provincia di potenza, specificatamente nella Val d’Agri.
Come in molte zone della nostra nazione, anche qui, fino a qualche anno fa, non erano presenti molti dei
comfort a cui siamo abituati (ad esempio ADSL, Metanodotto). Il malessere che si percepiva, tutt’oggi
ancora presente, ci ha spinto ad interrogarci sul disagio profondo avvertito e più volte manifestato da
coloro che abitano lì. Il contributo, che nasce da un lavoro di tesi portato a termine nel 2009, mira a
sviluppare una consapevolezza critica soprattutto nelle nuove generazioni, poiché naturalmente detentori
di una capacità di problem solving creativa. All’interno dell’elaborato finale si era chiesto, come da
manuale, ai bambini delle scuole elementari di scattare delle fotografie che comprendessero dei posti
belli, dei posti brutti e dei posti che avessero un significato particolare del proprio paese. Il progetto è
stato ripreso a tre anni dalla stesura della tesi. Riproponendo ai medesimi soggetti la stessa consegna
presentata nel 2009.
Utilizzando lo schema che fa riferimento alla ricerca-intervento, si è voluto proporre un modo
sperimentale ma allo stesso tempo concreto di riflessione, azione e ricerca di significato. Successivamente
allo scatto delle fotografie si è proposto un primo workshop focalizzato sulle differenze presenti tra il
primo gruppo di fotografie del il secondo. In un secondo tempo, i ragazzi hanno preferito raccogliere le
osservazioni e le fotografie nella stesura di un video da loro realizzato, mostrando infine il proprio lavoro
ad un esponente della giunta comunale. Ne saranno discussi i risultati.
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A scuola con il car pooling! – esempio di mobilità sostenibile
Anna Brichese*, Adriana Pierdonà*, Tiziana Menegon^, Sandro Cinquetti°
* Assistente Sanitaria – Azienda ULSS 7 del Veneto; ^ Medico – Azienda ULSS 7 del Veneto
° Direttore di Dipartimento di Prevenzione – Azienda ULSS 7 del Veneto
[email protected]
Introduzione
Il car pooling consiste nella condivisione di automobili private tra un gruppo di persone, con l’obiettivo di
diminuire il numero di auto circolanti su strada e ridurre le emissioni di CO2. E’ un intervento di mobilità
sostenibile, proposto per la prima volta nell’a.s. 2010-11, a integrazione del Piedibus. Essendo la scuola il
punto di arrivo comune per tutti, le famiglie residenti vicine possono accordarsi per utilizzare a turno
un’auto con più passeggeri, dimezzando il traffico davanti alle scuole.
Metodi
Si è potuto organizzare il progetto grazie a una rete di alleanze tra famiglia, Scuola, Azienda Sanitaria e
Amministrazioni Comunali che hanno lavorato su: rilevazione sulla modalità di trasporto a scuola degli
alunni, mappatura delle residenze degli alunni che utilizzano l’auto, invito a riunione dei genitori per
costruire gli equipaggi. L’Az. Sanitaria ha predisposto la modulistica per autisti e passeggeri, il Comune ha
acquistato sistemi di ritenuta adatti all’età e individuato parcheggi riservati.
Risultati
Quasi il 60% degli alunni frequentanti la scuola arriva in auto. Ad oggi sono attive 13 scuole di ogni ordine
e grado con 54 equipaggi, 166 bambini a bordo e 132 autisti disponibili, riducendo di 2/3 le auto nelle
scuole coinvolte. Per quel che l’impatto ambientale, se i 166 alunni avessero percorso in auto 4 km
(andata/ritorno) al giorno arrivando a scuola con un genitore, avrebbero prodotto circa 93 kg di CO2 (0.14
kg di CO2 x km percorso da un auto). Partecipando al progetto si risparmiano 2 auto su 3, quindi la CO2
non emessa nell’atmosfera è pari a 0.062 t al giorno e a 12.4 t in un anno scolastico. Inoltre, se
consideriamo che un albero assorbe in media 0.046 t di CO2 all’anno, con il progetto si sono potuti salvare
278 alberi, oltre un ettaro di bosco salvato.
Conclusioni
Il progetto riproducibile e sostenibile attua un’azione di mobilizzazione sociale che coinvolge famiglie
attraverso la creazione di alleanze tra Enti per migliorare l’ambiente e avviare i passi per creare una città a
misura di cittadino.
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Venerdì 5 Luglio 2013
SESSIONI PARALLELE
SESSIONE A
PREVENIRE L’OPPRESSIONE SOCIALE E LA VIOLENZA
Coordinatrice: Patrizia Meringolo
I giovani di fronte all’abuso: Abbiamo Bisogno di Unanime Sostegno
Modonutti G.B.*, Leon L.*, Costantinides F.*
*Gruppo di Ricerca sull’Educazione alla Salute (GRES), Dipartimento di Studi Umanistici – Università degli
Studi di Trieste, Via Tigor 22. 34124 Trieste.
[email protected]
Pensare alla prevenzione dell’abuso sui minori richiede in primo luogo una valutazione della percezione
del fenomeno da parte di questi ultimi che consenta di realizzare, se e come, metterli in grado di percepire
le eventuali situazioni di cui possono essere vittime
In quest’ottica, al fine di definire le conoscenze ed il vissuto dei minori nei confronti delle molestie e
dell’abuso è stata proposta a 2775 studenti della Scuola Secondaria di 1° grado (M:52.8%; F:47.2%) – età
compresa fra i 10 ed i 18 anni (M:10-16aa; F:10-18aa), età media di 12,3 anni -, la compilazione di una
scheda questionario anonima, autosomministrata, semistrutturata in grado di raccogliere le informazioni
d’interesse
Al momento il 66.9% degli studenti affermava di non essere mai venuto a conoscenza di un caso di
molestie o di abuso (M:65.8%; F:68.2%), decisamente meno numerosi (Si vs No: p<0,0005) e pari al 21.2%
erano i coetanei al corrente di un simile evento (M: 21.3%; F:21.1%) e l’11.9% non forniva informazione in
proposito (M: 12.9%; F:10.7%)
Non dichiarava la tipologia dell’evento il 12.4% degli studenti al corrente di un abuso (M:13.9%; F:10.7%), il
19.5% affermava di non saperlo definire (M:16.2%; F:23.2%), mentre il 68.2% degli coetanei informati (Si
vs NR: p<0,0005; Si vs NS: p<0,0005) specificava la tipologia dell’evento (M:69.9%; F:66.0%). Per il 58.1% si
era trattato di un abuso sessuale (M:58.9%; F:57.1%), per il 4.6% l’abuso era fisico (M:3.9%; F:5.4%), per il
3.1% psicologico (M:3.9%; F:2.1%) e per il 2.4% di sostanze (M:3.2%; F:1.4%)
Il 34.8% degli studenti informati non indicava da cosa avevano capito che si trattava di un caso di abuso
(M:39.8%; F:29.3%), il 10.5% identificava nei media –TV, giornali…- la fonte dell’informazione (M:9.1%;
F:12.1%), per il 10.4% si era trattato di una deduzione personale (M:9.7%; F:11.1%), per il 9.3% di una
testimonianza indiretta (M:8.1%; F:10.7%), il 9.5% era stato testimone dell’evento (M:11.3%; F:7.5%),
mentre il 14.8% affermava “non so” o non specificava la fonte (M:13.9%; F:15.7%)
Non esprimeva le proprie sensazioni nei confronti di un caso di abuso il 36.2% degli studenti a conoscenza
dell’evento (M:39.5%; F:32.5%), il 12.7% rispondeva “non so”(M:12.0%; F:13.6%) e l’8.1% dichiara di non
aver avuto alcuna reazione (M:10.4%; F:5.7%). Per contro l’8.8% degli studenti aveva provato
“fastidio/rabbia”(M:8.4%; F:9.3%), il 6.6% “orrore” (M:4.9%; F:8.6%) ed il 5.9% “paura”(M:3.2%; F:8.9%).
Ancora, il 3.6% affermava di aver avuto una reazione “negativa” (M:4.2%; F:2.9%), “stupita” il 2.0%
(M:1.9%; F:2.1%), aveva “reagito attivamente” il 9.0% (M:9.7%; F:8.2%), mentre il 2.7% si dichiarava
“divertito/favorevole” all’evento (M:2.6%; F:2.9%)
La scarsa conoscenza dell’evento, l’esigua informazione in merito alla tipologia degli abusi e la genericità
delle fonti di informazione inducono a pensare che le agenzie educative – scuola e famiglia…- non
propongano adeguati ed efficaci interventi di prevenzione del fenomeno abuso.
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Progetto Ipazia: Stalking e violenza alla donna
Forcella Maria Chiara, Zuccaro De Stefani Paolo, Crippa Maura
Associazione IGEA
[email protected]
Ipazia è un progetto con l’obiettivo generale di sensibilizzare la popolazione al fenomeno dello stalking e
della violenza alla donna in particolare è stato strutturato per intervenire nelle scuole superiori come
strumento preventivo. Il fenomeno che è presente e che si sta diffondendo anche tra gli adolescenti
italiani è preoccupante e rileva la necessità di creare uno spazio culturale per lavorare sul rispetto e la
libertà dei diritti umani. I nostri obiettivi specifici sono di riportare dati ed informazioni attraverso lezioni
frontali ma anche di fare ragionare i giovani attraverso una loro partecipazione attiva con analisi di
materiali video, lavori di gruppo, brainstorming, role play, dibattiti e confronti con l’intera classe e con la
creazione di slogan e manifesti.
I contenuti su cui si è lavorato durante i 4 incontri riguardano: la definizione del termine stalking (da un
punto di vista legale e comune), alcuni dati relativi alla situazione italiana, le condotte e le caratteristiche
più comuni della figura dello stalker, le reazioni e i vissuti della vittima, le strategie, i mezzi, i
provvedimenti e le misure difensive a cui quest’ultima può ricorrere per contrastare le condotte di
stalking.
Le testimonianze dirette della responsabile dell’ufficio di polizia che segue i casi di violenza alle donne, ha
stimolato riflessioni personali da parte degli stessi studenti. Queste, in particolare, hanno riguardato
l’immagine della donna nella società d’oggi, le strategie che potrebbero essere utili per fronteggiare un
persecutore, i vissuti esperiti dalle vittime e le caratteristiche psicologiche e di personalità dello stalker.
Le attività proposte hanno permesso di stimolare oltre a creatività ed immaginazione anche capacità di
pensiero critico, comprensione di emozioni ed idee personali attraverso un confronto assertivo coi propri
pari. L’intento ultimo è la demolizione degli stereotipi più comuni che caratterizzano soprattutto la figura
della donna e dello stalker, stereotipi veicolati soprattutto dai media, che descrivono la donna come una
“donna oggetto” e lo stalker come una persona malata e disturbata.
Le attività consistono in:
1) brainstorming relativo alla parola stimolo “stalking, da cui si è sviluppata una discussione riguardante le
modalità, i luoghi e i mezzi d’azione dello stalker, le caratteristiche, i sentimenti e le emozioni di stalker e
vittima;
2) lavori in piccoli gruppi per riflettere sugli stereotipi e sui pregiudizi legati alla figura dello stalker;
3) visione di spezzoni di film per vedere differenti tipologie di stalker in azione seguiti da commenti;
4) attività di immedesimazione per comprendere le difficoltà delle vittime di stalking e per immaginare le
possibili soluzioni da adottare;
5) lavoro su slogan e manifesti da utilizzare in eventi pubblici come testimonianza di un impegno non solo
scolastico-pedagogico ma anche socio-culturale.
Il progetto prevede un pre-test e un post-test.
60
Trattamento intensificato per sex offenders: gestione dei conflitti, abilità sociali e riduzione
della recidiva
S.Signoretti*, M.Ricci Messori**, M.Vagni*, D.Musso*, A.Stronati, S.Piersanti, N.Buccioletti, V.Albertini,
C.Birgolotti
* Università degli Studi di Urbino – Centro di ricerca e formazione in psicologia giuridica; ** Università
Politecnica delle Marche – Ancona
[email protected]
Il dis-controllo emotivo che precipita il corto circuito violento d’impeto, la distorsione paranoide del
crimine passionale, la catarsi violenta sono dei pattern stabili e cristallizzati che richiedono specifici
trattamenti affinché possano essere indagate le problematiche e i meccanismi scatenanti. I cosiddetti Sex
Offenders (autori di reati sessuali), sono soggetti per cui risulta necessario un intervento yber bullismo
specifico, attivando risorse terapeutiche anche e soprattutto allo scopo di ridurre la pericolosità sociale e i
rischi di recidiva di quei comportamenti antisociali e sessualmente violenti, oggi considerati tra i più gravi e
fonte di allarme ed insicurezza. È necessario quindi attuare un intervento che si prenda carico degli
aggressori sessuali nella prospettiva di un loro ritorno alla vita sociale, a tutela delle esigenze di difesa
sociale, diminuendo al contempo la pericolosità sociale e il rischio di recidiva, che coincide con l’interesse
del soggetto di avere una riabilitazione che ne contrasti le ricadute e riduca l’impatto specifico del
deprisonnement.
Il trattamento degli autori rappresenta una forma di prevenzione rispetto ai reati di violenza sessuale,
poiché la vera tutela delle vittime è quella di intervenire sugli aggressori.
I principali obiettivi del trattamento sono:Riconoscere il reato; Prendere consapevolezza dei fattori
scatenanti la messa in atto del fatto criminoso; Empatizzare maggiormente con la vittima, comprendendo
cosi le conseguenze che il fatto ha avuto su di essa; Migliorare la gestione dei conflitti e l’impulsività;
Esplorare le aree deficitarie interpersonali. Il progetto proposto consiste in un insieme di azioni dal
carattere yber bullismo e risocializzante. L’intervento si svolge prevalentemente attraverso attività di
gruppo, portato avanti da un equipe multidisciplinare di Psicologi, Psichiatra e arte terapeute. Il
trattamento viene svolto con incontri psicologici yber bullismo a cadenza bisettimanale, all’interno dei
quali vengono affrontate differenti tematiche integrando metodologie psicodinamiche, sistemicorelazionale e cognitivo-comportamentale.
Alcuni detenuti riescono a raggiungere una maggiore consapevolezza delle motivazioni alla base del loro
reato; comprendere quali sono le loro difficoltà interpersonali, diminuendo l’impulsività e raggiungendo
sufficienti capacità nella gestione delle situazioni problematiche all’interno del contesto sociale.
Attraverso l’Acquisizione di maggior capacità di introspezione, di alfabetizzazione emotiva e di gestione
delle problematiche sociali, il detenuto puó essere agevolato nel ritorno al contesto
familiare/lavorativo/sociale, con l’obbiettivo futuro di istituire un ente esterno al Carcere per poter
accompagnare lo stesso in toto lungo il percorso di reinserimento.
61
La malattia mentale ed il malato di mente nelle opinioni e negli atteggiamenti degli studenti
della Scuola Secondaria di 1° e 2° grado del Friuli Venezia Giulia e del Veneto orientale
Modonutti Giovanni Battista
Gruppo di Ricerca sull’Educazione alla Salute (GRES), Dipartimento di Studi Umanistici – Università degli
Studi di Trieste, Via Tigor 22. 34124 Trieste.
[email protected]
Il pregiudizio nei confronti della malattia mentale e del malato di mente è uno dei maggiori ostacoli alla
presa in carico, alla cura ed al reinserimento sociale delle persone con problemi legati al benessere
psichico
Al fine di attuare un intervento precoce di prevenzione dello stigma e di promozione della salute è stata
condotta – utilizzando il questionario proposto da R.H. Falloon, Buckingham Proget, Aylesbury Vale Health
Autority, U.K. 1988 – una ricerca sulla percezione della malattia mentale (MM) e del malato di mente (ML)
di 1160 studenti (M:51.7%;F:48.3) delle Scuole Secondarie di 1° grado (SS1) – fra i 10 ed i 16 aa, in media
12.4aa – e di 2441 (M:38.1%;F:61.9%) di quelle di 2° grado (SS2) – fra i 13 ed i 25aa, in media 16.1aa –
reclutati in Friuli Venezia Giulia e nel Veneto orientale.
La MM è per l’11.3% degli studenti della SS1 (M:13,0%;F:9,5%) e per il 22.7% dei colleghi della SS2
(M:23,0%;F:22,6%) una malattia come tutte le altre malattie (SS1 vs SS2:p<0,0005), per la cura della quale
il 34,3% dei frequentanti la SS1 (M:33,3%;F:35,4%) ed il 64,2% dei compagni della SS2 (M:57,5%;F:68,4%)
non reputa che il ricovero nelle corsie chiuse degli ospedali sia la miglior scelta terapeutica (SS1 vs SS2:
p<0,0005)
A proposito del ML emerge che il 35,5% degli iscritti alla SS1 (M:36,0%;F:35,0%) ed il 35,3% di quelli alla
SS2 (M:40,1%;F:32,3%) è dell’idea che la maggior parte delle persone che soffrono di una MM non siano
pericolose, mentre il 42,5% della popolazione scolastica afferente alla SS1 (M:37,3%%;F:48,0%) ed il 67,8%
di quella alla SS2 (M:59,5%;F:73,0%) afferma di non essere in grado di riconoscere una persona che ha
avuto un problema mentale (SS1 vs SS2: p<0,0005)
Seppur in diversa percentuale (SS1 vs SS2: p<0,0005) manifestano un certo ottimismo nei confronti della
capacità di ripresa delle persone che hanno avuto una MM il 61,3% dei frequentanti la SS1
(M:56,0%;F:67,0%) ed il 79.0% degli studenti della SS2 (M:73,7%; F:82,3%), mentre meno fiduciosi si
rivelano i colleghi, rispettivamente il 61,8% dei giovani della SS1 (M:62,8%;F:60,7%) ed il 57,6% dei
compagni che studiano alla SS2 (M:54,4%;F:59,6%), che credono nella efficacia dei moderni trattamenti
nei confronti della MM (SS1 vs SS2:p<0,025)
Per quanto riguarda i diritti delle persone che hanno avuto una MM riscontriamo che il 55.8% degli
studenti della SS1 (M:50,7%;F:61,3%) e l’80,6% dei compagni della SS2 (M:73,0%;F:85,3%) affermano che
queste possono lavorare (SS1 vs SS2: p<0,0005), così come il 53.1% dei ragazzi delle SS1
(M:52,3%;F:53,9%) ed il 70.8% di quelli della SS2 (M:66,6%;F:73,4%) riconoscono loro il diritto alla
genitorialità (SS1 vs SS2:p<0,0005)
Fanno ancora parte del bagaglio culturale degli studenti coinvolti atteggiamenti ed opinioni stigmatizzanti
la MM ed il ML che, nonostante vadano riducendosi con il procedere della carriera scolastica, richiedono
una maggiore, più incisiva e corretta azione di contrasto del pregiudizio che accompagna i disturbi mentali.
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SESSIONE B
LO SVILUPPO DEL CAPITALE SOCIALE: TRA RICERCA E AZIONE
Coordinatore: Raffaello Elvio Martini
Discussant: Doug Perkins
La partecipazione in adolescenza: sfide e risorse di una generazione in cambiamento
Elena Marta, Daniela Marzana, Sara Alfieri, Maura Pozzi
Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
[email protected]
La ricerca qui presentata ha previsto l’impiego di modalità di lavoro partecipate e condivise tra i diversi
attori coinvolti. Si tratta di un approccio alla ricerca-azione che si fonda sulla consapevolezza che le
persone siano soggetti-attivi-in-situazione, portatori di criticità ma anche di risorse.
L’obiettivo principale del lavoro è stato quello di dialogare con i giovani e di comprendere con loro il
significato dell’impegno politico e della partecipazione per la loro generazione; partecipazione intesa sia
come partecipazione alle associazioni che come partecipazione alla vita scolastica. A questo primo
obiettivo segue quello predittivo di comprendere l’influenza della partecipazione nella percezione di
fiducia e benessere all’interno della propria comunità.
Lo strumento usato è un questionario self-report. Hanno partecipato alla ricerca 1393 giovani di un’età
compresa tra i 13 e i 23 anni (M=18,397; DS=1,079). Di questi il 50,8% (N=704) sono maschi e il 49,2%
(N=683) sono femmine.
La dimensione partecipativa è stata attivata attraverso un tavolo di lavoro tra ricercatori “professionisti” e
ricercatori “ingenui”, ossia i referenti della diocesi, accomunati dalla passione per un oggetto di ricerca dai
molteplici risvolti e dalla innumerevoli implicazioni.
Tale approccio si è tradotto, concretamente, in due azioni:
- progettazione condivisa del questionario;
Per quanto riguarda i risultati, è emerso che i giovani che partecipano presso una qualche associazione
hanno alle spalle dei genitori che in misura maggiore rispetto ai coetanei che non partecipano, hanno
impartito insegnamenti altruistici e yber bulli e si impegnano nella discussione in famiglia di attualità e
politica. Allo stesso modo risultano importanti nella promozione di partecipazione sociale (e scolastica) il
genere, l’ambiente scolastico, le esperienze previe di socializzazione.
In quanto al secondo obiettivo che intende indagare il ruolo della partecipazione sociale nella percezione
di fiducia, intesa sia come fiducia nelle istituzioni che come ottimismo e senso di sicurezza rispetto al
proprio ambiente di vita (quindi benessere), risulta che i giovani impegnati presentano un punteggio
medio maggiore rispetto a quello dei coetanei non impegnati; quindi chiedono maggiormente aiuto agli
altri, apprezzano il posto in cui vivono e lo ritengono sicuro, fanno favori agli altri e in generale pensano
che ci si possa fidare degli altri.
Ancora una volta siamo in presenza di un circolo virtuoso tra partecipazione, fiducia e capitale sociale
(quindi benessere) che merita di essere posto sotto attenzione sia da parte dei ricercatori che di quanti a
vario titolo si occupano di educazione dei giovani.
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Emozioni e disegno: presentazione di un progetto di ricerca e intervento che utilizza il “gruppo”
in carcere
T. Maiorano, D. Pajardi, E. Cannini
Centro di Ricerca e Formazione in Psicologia Giuridica – Università di Urbino
[email protected]
Introduzione
La detenzione soprattutto se prolungata nel tempo può portare il soggetto detenuto ad un distacco e ad
una difficoltà nell’entrare in contatto con i propri vissuti emotivo-affettivo e, ancora di più, a condividerli
con gli altri. Questa situazione può con il protrarsi del tempo portare a delle forme di disagio, in particolare
numerose ricerche riportano che l’alessitimia è una condizione molto diffusa tra i detenuti e può
accompagnarsi alle cosiddette sindromi carcerarie. Il progetto nasce dalla considerazione dell’importanza
della comunicazione, dell’espressione e della comprensione dell’esperienza emotiva attraverso un lavoro
introspettivo, che utilizza il disegno come canale comunicativo privilegiato, per tentare di superare il
disagio creato dalla condizione carceraria.
Obiettivi della ricerca
La ricerca intervento si pone l’obiettivo di indagare se lo strumento disegno possa essere utilizzato come
stimolo utile per permettere al detenuto di prendere consapevolezza, esprimere le proprie emozioni e
saperle canalizzare. Un campione di 10 detenuti della sezione di media sicurezza e 10 detenuti del gruppo
di massima sicurezza hanno partecipato al presente progetto. La procedura prevedeva attraverso la
consegna libera o guidata di esprimere attraverso il disegno, emozioni provate attualmente, sperimentate
nel passato o connesse a esperienze di vita particolari. Ad ogni incontro dopo aver prodotto il disegno
seguiva la fase di discussione in cui ogni membro del gruppo presentava il proprio elaborato. È stato
chiesto nell’ultimo incontro di compilare le schede di valutazione al fine di permettere ad ogni detenuto di
ripercorrere il proprio percorso individuale e di gruppo e di analizzare i disegni prodotti. Attraverso
l’utilizzo di griglie di valutazione si è proceduto poi ad analizzare se tale strumento possa essere un utile
supporto educativo. Si è inoltre proceduto ad analizzare se rievocare le esperienze fortemente cariche di
emozioni e interpretarle possa spingere i soggetti alla rielaborazione consapevole delle proprie scelte.
Risultati
Il disegno è risultato essere un ottimo strumento perché ha permesso a coloro i quali avevano difficoltà ad
esprimersi attraverso le sole parole, a raccontarsi. Si è inoltre constatato che il percorso gruppale è stato di
maturazione e di miglioramento per i soggetti che ne hanno preso parte. Il gruppo nel corso degli incontri
è diventato il luogo dove esprimersi individualmente e confrontarsi con le esperienze degli altri
assumendo la denotazione catartica. Si è inoltre constatato che ascoltare attraverso il disegno le emozioni
e le esperienze degli altri ha spinto i soggetti del gruppo a rileggere e vivere le emozioni in modo diverso e
meno eccessivo in quanto comprendere che anche gli altri sperimentano vissuti difficili permette maggiore
scambio, condivisione e consapevolezza dei propri stati emotivi.
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Transition Towns as a tool for community development. First results of qualitative analysis
Anna Zoli, Barbara Pojaghi
Università degli Studi di Macerata
[email protected]
SIGNIFICANCE. Transition Towns is an international movement developing a systemic approach including
all real and concrete actions organized by citizen in a bottom-up logic [Hopkins, 2008]. However, the
movement has until now been largely unresearched with qualitative methods [Smith and North, 2009 are
early attempts to get to grips with the values and meanings of the movement] and trough a community
psychology perspective. The Transition movement is going to have long-term effects in terms of
revitalizing local economy, enhancing human relations and improving the quality of life or citizen, so it is
vital that it is grounded in robust and scientifically informed conceptual frameworks like the research on
smart communities [Haxeltine and Seyfang, 2009].
OBJECTIVE. We choose Monteveglio for our analysis, a 5000 inhabitants town near Bologna, Italy, which is
the first and the only town in Italy absorbing transition principles in an official institutional document:
resolution n. 92/2009. In this study we aim to understand the community modifications and if they can be
scientifically attributed to the transition process. Thus, we try to point out the single case specific elements
analyzing data from Monteveglio community [Brodsky, 2012]. Considering the history of Monteveglio and
its political-economical contest within the wider global framework through the voices of the community is
an innovative study on the issue both for the theme and for the methodology.
METHODS. In order to understand the history of Monteveglio and the role of transition in it, we listened to
the voices of its witnesses. This was obtained conducting semistructured interviews with people from
Monteveglio, chosen on the basis of their particular role in the town (an old teacher, the director of a
popular restaurant, the mayor…) and also analyzing documents related to the history of the community.
Secondly, using the analytic tools of social sciences we examined the historical construction of community
and the most pressing problem that it faces today. These issues included the reorganization of urban
assessment and local economy and how these processes influence Monteveglio citizen lives and
interactions with each other, the growing lack of funds to save public services and generally the challenges
to the social, political and ecological fabric of community.
FURTHER STEPS. We will explore the limits of the transition as a community based process and as an
institutional process, by two focus groups: one with the leaders of Monteveglio in transition, one with
some Monteveglio council members. Moreover, we will give the focus groups participants a feedback to
plan together new steps for implementing transition in an action-research perspective, pointing out
eventual links within the development of the community and the local economy as main factor of
empowerment.
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Profili di comunità per progetti di comunità
Giuseppe Errico, Angela La Torre
Istituto di Psicologia e Ricerche Socio Sanitarie
[email protected]
Gli autori, che operano in Campania nel campo sociale a partire dal 1999, attraverso l’ideazione e
l’attuazione di progetti relativi a servizi e politiche sociali per minori a rischio, intendono offrire un
contributo in merito alla promozione di prassi sperimentali in contesti di esclusione sociale (cf. Errico G./La
Torre A., Le dimensioni molteplici della pratica sociale, Edizione La Casa del Sole, Napoli, 2005). Tecniche
espressive, progetti di comunità (Errico 2012), allestimenti di “cantieri sociali”, promozione di reti
territoriali, costituiscono visioni operative “concrete” ed intrecciate ove far convergere sforzi scientifici,
visioni culturali, in un’ottica solidale. Le scienze antropologiche possono dare un contributo ai servizi per la
promozione del benessere e la salute, appaiono tutte fra loro connesse, interdipendenti, incomprensibili
separatamente; la commistione esplicita contraddittoria e la compresenza implicita necessaria sono modi
del continuo rinvio di ogni discorso ad altri discorsi (Piro S., 2008): il discorso appartiene al linguaggiooggetto per la diretta descrizione yber bullismo e appartiene al metalinguaggio per la formazione di
regolarità («…di ogni discorso ad altri discorsi, di ogni tema ad altri temi») e per la generalizzazione
possibile del modello «appaiono tutte fra loro…». Le scienze antropologiche trasformazionali, quelle che in
genere sono malamente dette scienze «umane», non possono essere private di un loro discorso più
generale ed essere ridotte a soli discorsi che attengono direttamente all’accadere: e se anche così si
volesse, non lo si potrebbe fare. Contestualmente le “operazioni” in campo sociale non possono non
tenere conto, sia in fase di promozione della salute che nella fase di allestimento dei servizi sociali, di
progetti territoriali capaci di partire dal “basso”, dall’intreccio comunità-individualità.
66
Il genere come moderatore nella relazione tra senso di comunità e qualità di vita
Norma De Piccoli, Chiara Rollero, Silvia Gattino
Dipartimento di Psicologia, Università di Torino
[email protected]
La qualità della vita (QdV) non è solo una condizione di assenza di malattia, ma una situazione di benessere
fisico, mentale e sociale. Più precisamente, la QdV è stata definita come la percezione che gli individui
hanno della loro condizione di vita nel contesto culturale e valoriale in cui vivono, in relazione ai loro
obiettivi, alle aspettative e alle preoccupazioni (WHO Quality of Life Group, 1995). In altri termini, la QdV è
un concetto multidimensionale che riguarda la salute fisica e psicologica, le relazioni sociali e l’ambiente
(Camfield & Skevington, 2008; Cummins & Nistico, 2002). Diverse ricerche si sono occupate di studiare le
variabili che incidono sulla QdV e hanno evidenziato che, tra le variabili psicologiche, il senso di comunità
(SdC) ha un ruolo importante nell’influenzare positivamente la qualità della vita (Farrell, Aubry, &
Coulombe, 2004; Gattino, De Piccoli, Fassio & Rollero, in press). Tuttavia, gli studi che hanno analizzato la
relazione tra QdV e SdC hanno considerato quest’ultima variabile nella sua totalità, senza indagare
l’incidenza delle diverse dimensioni che compongono il SdC. Sono ancora pochi, invece, i lavori che hanno
esaminato il ruolo giocato dai diversi predittori sulla QdV da una prospettiva di genere. Infatti, se le
ricerche hanno indagato le differenze tra uomini e donne in relazione alla QdV, pochi sono gli studi che
hanno prestato attenzione alle determinanti della QdV per gli uomini e per le donne.
Il lavoro qui presentato intende studiare le differenze di genere relativamente alle determinanti della
qualità della vita. Nello specifico, la variabile genere è stata considerata un moderatore nella relazione tra
le diverse dimensioni del SdC e ciascuna delle componenti della QdV. Alla ricerca hanno partecipato 600
individui (F= 56%; età media 42.73, ds13.02), a cui è stato somministrato un questionario contenente la
scala della Qualità della vita, versione breve (De Girolamo et al., 2001), la versione italiana della scala del
Senso di Comunità (Davidson and Cotter 1986, validazione italiana Prezza et al., 1999; Tartaglia, 2006) e
alcune informazioni socio-anagrafiche. Dai risultati è emerso che: uomini e donne ottengono punteggi
diversi su tre dimensioni della scala della QdV (fisica, psicologica e ambientale); delle diverse componenti
del SdC l’attaccamento al luogo è quella che più influenza la QdV; il genere incide sulla QdV fisica e
ambientale e, nel caso della QdV psicologica, l’effetto esercitato dall’attaccamento al luogo è sia diretto sia
moderato dal genere. Le implicazioni e le ricadute applicative verranno discusse.
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Senso di Comunità e Immigrazione: uno studio nella Zona Stazione di Reggio Emilia. Quali
implicazioni per la convivenza?
Irene Barbieri, Christopher Sonn, Bruna Zani
Università di Bologna, Victoria University, Melbourne, AU
[email protected]
La necessità di studiare i cambiamenti socio-culturali, che negli ultimi decenni hanno interessato l’Italia, ha
posto l’interesse sul Senso di Comunità (SOC) come uno dei principali strumenti per analizzare e affrontare
il cambiamento. Dalle definizioni di Sarason (1974) e McMillan e Chavis (1986), fino agli studi di
Wiesenfeld (1996), Brodsky (1996; 2001; 2009) e Fisher e Sonn (1999; 2002), il concetto di SOC si è
sviluppato nel tempo, grazie ad una maggiore attenzione alla realtà contemporanea, fortemente
caratterizzata da eterogeneità e diversità culturale. In Italia negli ultimi decenni, in particolare a Reggio
Emilia, le forti migrazioni costituiscono un fattore cruciale per lo studio dei cambiamenti sociali e le
possibili implicazioni nella vita quotidiana. L’interesse della letteratura per lo studio del SOC in contesti
multiculturali ha portato a considerare il ruolo e i significati delle appartenenze multiple (Harris, 2009;
Blunt & Varley, 2004) nella formazione dell’identità delle popolazioni migranti e native (Sindic, 2011; Ali &
Sonn, 2010; Condor, 2011; Bhatia & Ram, 2009) e nello sviluppo di fattori psico-sociali fondamentali per la
convivenza quotidiana.
Il presente studio ha come obiettivo indagare l’esistenza di SOC Multipli all’interno di diversi gruppi etnici
presenti nella Zona Stazione di Reggio Emilia, e di fattori psico-sociali relazionati alle multiple
appartenenze. Le ipotesi principali consistono nel verificare: l’esistenza di SOC Multipli, territoriali (la Zona
Stazione) e relazionali (legati al Paese d’origine); le differenze per genere, generazione e gruppo etnico
rispetto al SOC; la relazione tra SOC Multipli, identità e benessere.
Il campione è costituito da circa 180 persone di origine albanese, marocchina e cinese, residenti in Zona
Stazione (60 per ogni gruppo etnico). È stato somministrato un questionario composto da: parte
demografica, Scala Multidimensionale del Senso di Comunità per Comunità Locali (MTSOCS) di Prezza e
collaboratori (2009), Scala di Proescholdbell, Rosa e Nemeroff (2006) per comunità relazionali, Misura
dell’Identità Etnica Multigruppo (MEIM-R) di Phinney e Ong (2007), Scala del Benessere di Keyes (2005). Il
campione è stato raccolto attraverso il metodo “SnowBall”.
I risultati evidenziano la presenza di SOC Multipli tra persone di diversi gruppi etnici, sia di tipo relazionale
sia territoriale. Nello specifico, si evidenziano livelli più alti di SOC relazionale (Paese d’origine) e livelli più
bassi di SOC territoriale (Zona Stazione). Esistono differenze di genere rispetto a livelli di SOC territoriale
(più alto nei maschi) e differenze tra prime e seconde generazioni (in prime generazioni SOC relazionali più
alti, mentre in seconde generazioni SOC territoriali più alti). Infine, esiste una relazione tra identità e la
formazione di un Senso di Comunità Multiplo, il quale sembra essere connesso con il benessere dei
residenti della Zona Stazione.
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SESSIONE C
LEGAMI FAMILIARI
Coordinatrice: Chiara Nicolini
Childhood links: un modello di formazione su operatori sociali mediante e-learning blended
C. Falsetti*, T. Leo*, I. Marinelli**, D. Gangi**, S. Greganti***
*DII – Dipartimento di Ingegneria Informatica dell’Università Politecnica delle Marche di Ancona; **Centro
di Ricerca e Formazione in Psicologia Giuridica dell’Università degli Studi di Urbino; ***CoossMarche di
Ancona
[email protected]
Introduzione. Il progetto CHILDHOOD LINKS propone un metodo innovativo per favorire il mantenimento
della relazione tra genitori e minori in affido in Europa. Il metodo si basa sull’utilizzo dell’intervista
orientata alla chiarificazione dei processi decisionali. Il progetto mira a fornire uno strumento che consenta
di far fronte adeguatamente a situazioni conflittuali o complesse, attraverso un’analisi obiettiva delle
proprie azione e decisioni educative. Agli aspetti teorici del metodo è stato affiancato un software TRIADES
per la rappresentazione delle decisioni educative.
Metodologia ed obiettivi. Il percorso formativo è stato strutturato in modalità e-learning blended, che si
caratterizza per l’alternanza di lezioni in presenza ed attività formative online. L’approccio pedagogico
adottato si ispira ai fondamenti dell’andragogia in cui hanno un ruolo centrale il bisogno di conoscere, il
concetto di sé del discente, il ruolo dell’esperienza, l’orientamento verso apprendimento, la motivazione. Il
learning design del percorso formativo è stato quindi caratterizzato da 3 elementi:
1. Presentazione di casi reali; 2. Peer tutoring (lavoro a coppie tra i corsisti e tutoring degli
esperti/formatori); 3. Autovalutazione delle competenze.
Questo modello formativo si è tradotto nell’implementazione di attività online in cui sono stati utilizzati
alcuni strumenti specifici della piattaforma e-learning quali le attività condizionate e le rubric. Le attività
condizionate permettono di definire una sequenzialità di azioni nel percorso formativo e vincolano
l’esecuzione di un compito alla risoluzione del compito precedente. Le rubric per l’autovalutazione delle
competenze acquisite, con riferimento a livelli di competenza definiti dai tutor.
Il metodo è stato testato con psicologi che operano come ADM – Assistenti Domiciliari per Minori. Queste
figure professionali operano con famiglie problematiche in cui la relazione tra genitori e figli richiede la
mediazione ed il supporto di un esperto.
Conclusioni. Il bilancio dell’esperienza condotta è positivo, si è percepito che nello svolgimento delle attività
del corso si è sviluppata una positiva interdipendenza e scambio reciproco, che ha fatto certamente
nascere una comunità di apprendimento e che potrebbe evolvere in una comunità di pratica. Gli studenti
hanno mostrato di avere un buon livello culturale ed hanno messo in evidenza punti di forza e di debolezza
del corso: il metodo appare utile per la supervisione, una corsista ha detto “il metodo è utile per vedersi dal
di fuori”. È emersa la necessità di focalizzare la formazione per impratichirsi con il metodo su casi reali. Il
corso è stata una occasione importante per conoscersi e lavorare insieme e la piattaforma è risultata
essere un utile strumento per l’interazione.
Nella presentazione verranno illustrati il progetto didattico, gli elementi centrali della strutturazione del
corso, oltre che la valutazione adottata ed i risultati ottenuti.
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Il “viaggio nel viaggio”: prima ricognizione nelle scuole primarie di Palermo per favorire
l’inserimento scolastico del minore adottato
Cinzia Novara, Valentina Petralia, Maria Garro
Università degli Studi di Palermo
[email protected]
Premessa. La fase che vede inserire il bambino adottato nel contesto scolastico può definirsi come un
“viaggio nel viaggio” (CAI, 2012), passaggio attraverso cui il minore accede alla comunità, al gruppo dei
pari, all’organizzazione della vita sociale. Un viaggio che va sostenuto costruendo un’alleanza di lavoro tra
scuola, famiglia e reti istituzionali implicate nell’iter post adottivo.
Finalità della ricerca. È stata avviata una prima ricognizione delle scuole primarie di Palermo, al fine di
rilevare sia la costruzione sociale del fenomeno adozione a scuola, ad opera dei docenti; sia le buone prassi
effettivamente poste in essere da chi abbia fatto esperienza in classe del minore adottato.
Gruppo coinvolto. Sono stati coinvolti 180 docenti di scuole primarie dislocate sulle otto circoscrizioni della
città di Palermo. Di questi il 96.7% è di genere femminile, con anzianità di servizio pari a 17.5 anni
(d.s.=8,2), età media compresa tra 25 e 64 anni e nell’84.6% dei casi in ruolo.
Metodologia. Ai docenti è stato proposto un protocollo di ricerca che approfondisce quattro aree
tematiche: 1. La famiglia adottiva che il docente si rappresenta, quindi il percorso e gli eventuali ostacoli a
cui essa può andare incontro prima, durante e nel post-adozione; 2. Le aree di problematicità che si
ritengono prioritarie nell’inserimento scolastico del minore adottato; 3. Le attività didattiche realizzate in
presenza di minori stranieri in aula; 4. Il contesto di fiducia e la situazione scolastica (Santinello, Bertarelli,
2002) quali “variabili di contesto” che pure ridimensionano la possibilità di innovare modelli didattici
legittimati da dinamiche interne agli istituti.
Risultati. I docenti mostrano una rappresentazione adeguata della motivazione che spinge una coppia alla
scelta adottiva, come quella capace di dare sbocco al desiderio di maternità/paternità, seguita
dall’impossibilità di generare figli propri e, infine, dal desiderio di dare una famiglia a un minore. Oltre il
50% degli intervistati ritiene che non ci sia alcuna differenza tra i genitori adottivi e quelli di nascita,
ancorché si riconosca ai primi maggiore consapevolezza della genitorialità. Una conoscenza opacizzata
emerge del percorso psicologico in cui la famiglia s’imbatte riconducendo i docenti perlopiù a fattori di
tempistica, lungaggini burocratiche e costi le difficoltà che lo intervallano mentre le difficoltà del docente
sono confinate a una “problematicità” tutta insita nel bambino piuttosto che alla relazione educativa. Le
attività didattiche in aula hanno affrontato i temi delle origini richiamando le differenze culturali tra i paesi
ma solo in parte quelli dell’adozione sono stati occasione per illustrare in classe i molti modi di essere
famiglia nella realtà odierna. Infine, a fronte di un clima scolastico che si colloca in un range medio,
emerge una fisionomia fiduciaria a macchia con livelli divergenti di fiducia interpersonale e fiducia
generalizzata verso la comunità.
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Accogliere la sfida di crescere un figlio con la sindrome di Down: una ricerca-intervento
M. Pierantoni*, E. Marta*, P. Guiddi*, G. Aresi*, P. Rebaudi**, C. Cibra**
* Università Cattolica di Milano; ** Associazione Vivi Down Onlus
[email protected]
La Ricerca-Intervento “Disturbi dell’umore in persone con sindrome di Down e Network relazionale”, nasce
dalla collaborazione tra l’Associazione Vivi Down Onlus e il Laboratorio di Psicologia Sociale Applicata
dell’Università Cattolica a partire dal 2008. Gli obiettivi della prima fase di ricerca-intervento (2008-2009),
delineati attraverso un processo partecipativo in una prima assemblea plenaria aperta a tutti gli associati,
erano indagare la psicopatologia nelle persone con Sindrome di Down (fase 1, quantitativa) e le sue
correlazioni con variabili relative al funzionamento familiare (fase 2, quantitativa). Il tempo dedicato al
confronto in questa prima fase della ricerca, ha permesso non solo il sempre opportuno ancoraggio dei
dati alla specifica realtà associativa, ma una loro rilettura condivisa da cui è emersa la necessità di porre
maggiore attenzione ai possibili ruoli che l’Associazione può rivestire per andare sempre maggiormente
incontro alle esigenze e necessità delle famiglie. Questa riflessione ha portato all’esplicitazione di una
nuova domanda di ricerca, nel 2010. L’équipe integrata – Associazione e Università – ha così lavorato ad
una riprogettazione partecipata mirata ad agire sugli aspetti lasciati aperti dalla ricerca del 2009,
realizzando una terza fase di ricerca (fase 3, qualitativa) con l’obiettivo di comprendere l’adattamento
familiare alla Sindrome di Down.
L’intero impianto di ricerca e i dati emersi da ciascuna delle tre fasi della stessa, hanno permesso ai
membri del Consiglio, alla Direzione e all’équipe di consulenti di favorire un processo critico riguardo
nuove ipotesi organizzative e la possibilità di ampliare l’offerta di supporto alle famiglie non solo in una
modalità top-down, ma favorendo un processo di empowerment delle famiglie, che si sono attivate per
creare occasioni di confronto e scambio in modalità bottom-up.
Nel presente lavoro verranno presentati l’iter della ricerca-intervento e i principali esiti delle due fasi di
ricerca-intervento. Verranno inoltre presentate le ricadute applicative, di carattere intrafamiliare,
associative e sociali prodotte dalla ricerca-intervento.
La lettura dei risultati della ricerca e la costruzione delle modalità di presentazione degli stessi hanno
svolto una duplice funzione riflessiva: accrescere la consapevolezza dell’Associazione riguardo la
consapevolezza di poter essere sempre maggiore risorsa per le famiglie associate e non solo, insieme alla
maturata fiducia reciproca con l’Università. La relazione tra le due istituzioni rende evidente la necessità di
creare “buone prassi condivise” non solo che attivino partecipazione ed empowerment, ma che, al
contempo, procedano attraverso confronti congiunti tra i diversi attori coinvolti (dirigenti, volontari,
famiglie e singoli membri dell’Associazione, Università).
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La consulenza psicopedagogica diventa servizio per sviluppare comunità
Claudia Turconi, Marta Bosi
Società Coop. Sociale Il Grafo (MI)
[email protected]
Il servizio di consulenza psicopedagogica nasce 15 anni fa dalla collaborazione tra il Grafo e il Comune di
Bollate con la finalità di sostenere la genitorialità e favorire la prevenzione primaria attraverso il lavoro con
gli insegnati delle scuole territoriali. Il servizio partecipa al progetto Ricucire la rete, finanziato dalla
provincia di Milano, e rivolto ai comuni del distretto e alle scuole. Nel 2007 una ricerca-azione condotta
con le scuole e con la pediatria porta all’apertura in ognuna delle 12 scuole comunali di uno sportello di
consulenza adulti e di uno ragazzi e ad una rinnovata cura e potenziamento della rete con i servizi
territoriali(Consultori, uompia, centri specialistici convenzionati, pediatria, Tutela minori, 3 cag, scuole
private).
Il servizio lavora su 2 piani tra loro interconnessi:
1-offre al singolo o al gruppo(familiare, di insegnanti, di ragazzi) la possibilità di una consultazione breve di
primo livello(da un minimo di 1 ad un max di 10 colloqui), a cui accedere spontaneamente o su indicazione
o in collaborazione con scuola e la pediatria;
2-lavora sulla lettura, analisi e gestione delle dinamiche dei gruppi istituzionali con cui si relaziona, in
primis la scuola.
Con la scuola ha poi strutturato a livello sia formale sia informale una prassi di programmazione,
monitoraggio, ri-progettazione e verifica che origina interventi flessibili alle esigenze emergenti nel
rispetto, dei reciproci setting. Sono stati ad esempio elaborati un percorso di autoformazione insegnati,
affiancamento nella progettazione e supervisione di interventi educativi in classe, collaborazione con i cag
per interventi ad hoc, co-progettazioni per la ricerca di finanziamenti esterni, incontri genitori di classi in
difficoltà, cene educative con i genitori, scuole genitori in partnership con l’associazione genitori, etc. Ci
sembra questo un elemento che ha aspetti di innovazione nell’ambito delle politiche preventive:l a messa
in opera di attività diversificate all’interno o intorno al servizio rispondenti al medesimo obiettivo. Ciò
consente di creare una piccola rete in cui il sostegno alla genitorialità trova declinazioni diverse a seconda
della dimensione operativa individuale o di gruppo e dove l’interdisciplinarietà in comunicazione permette
di far emergere la domanda e di declinare la risposta ad essa nel modo più efficace.
Un altro aspetto di novità è la riflessione sull’importanza di porre attenzione all’aspetto processuale della
prevenzione primaria, che riguarda sia la dimensione temporale in cui l’intervento si può dipanare, intesa
come continuità e attesa, sia l’approccio di rete che la rende possibile. L’operatore lavora infatti
mantenendo uno sguardo sistemico e un’ottica proattiva nell’approccio all’utente/partner.
Utile al lavoro e alla riflessione risulta un impianto di verifica collaudato da 8 anni, composto da una
pluralità di strumenti di raccolta ed analisi di dati qualitativi e quantitativi.
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Risorse da condividere. Progettare con le famiglie nella Tutela Minori
Anna Lucia Carretta
Consorzio SiR
[email protected]
L’esperienza descritta è stata avviata nella primavera del 2012 nell’ambito dei periodici incontri, promossi
dall’Ufficio di Piano di Garbagnate, di aggiornamento e verifica degli interventi educativi domiciliari in
favore di famiglie in carico al Servizio Minori dell’Azienda Consortile Comuni Insieme e dalla Gestione
Associata in collaborazione con le cooperative sociali accreditate e iscritte nel relativo Albo predisposto dal
Piano di Zona di Garbagnate Milanese. Abbiamo condiviso l’intenzione di cominciare a declinare in termini
operativi gli obiettivi definiti nel nuovo Piano di Zona 2012 – 2014. Abbiamo concordato di programmare
un percorso di lavoro e formativo, realizzato nel primo semestre del 2012, per mettere a fuoco modalità di
confronto tra operatori coinvolti nei progetti educativi e per condividere strategie e strumenti per
coinvolgere le famiglie nella progettazione e attuazione degli interventi, a partire dalla definizione dei
problemi e delle risorse. La progettazione ha preso avvio dalla riflessione che anche la crisi socioeconomica che stiamo vivendo ci sollecita a ripensare i nostri interventi di sostegno alle famiglie,
nell’ottica di favorire sempre di più una loro concreta attivazione nell’affrontare e superare le difficoltà,
permettendo loro di esprimere potenzialità e risorse accanto alle fragilità e a promuovere forme di
collaborazione che intercettino e valorizzino le realtà informali. Abbiamo valutato anche l’opportunità, per
poter avviare questo cambiamento, di adottare e condividere un approccio di tipo dialogico relazionale.
Siamo partiti dalla rilettura delle esperienze lavorative per esplorare punti di forza e criticità relativamente
a tre aspetti che riteniamo cruciali negli interventi di sostegno alla famiglia: il protagonismo delle famiglie;
la costruzione e manutenzione delle alleanze tra servizi, cooperative, famiglie, rete territoriale; i mandati,
ruoli, responsabilità di tutti i soggetti coinvolti e interessati. Il percorso è stato realizzato utilizzando
competenze interne alle organizzazioni coinvolte e non è stato necessario ricorrere a risorse economiche
aggiuntive. La giornata di formazione realizzata all’interno del percorso, ha permesso a tutti gli operatori
coinvolti di condividere uno spazio di confronto rispetto alle “preoccupazioni” relative ai propri compiti e
ai bisogni espressi dalle famiglie. In particolare, è stata posta l’attenzione sullo strumento della “Family
Group Conference” – “Riunione di Famiglia” per costruire una progettazione che permetta a tutti i soggetti
coinvolti di sentirsi sullo stesso piano rispetto alla lettura dei bisogni e all’individuazione di compiti e
strategie per affrontare i problemi emersi. Attualmente il tavolo di coordinamento sta proseguendo nel
confronto rispetto alla valorizzazione del protagonismo delle famiglie, individuando i progetti educativi già
attivati che richiedono di essere attraversati utilizzando questa nuova metodologia.
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Sensibilizzazione degli operatori alla cura del legame familiare nei casi di affido: un progetto
europeo
I. Marinelli*, D. Gangi*, D. Pajardi*, S. Greganti2, F. Cesaroni**
*Centro di Ricerca e Formazione in Psicologia Giuridica dell’Università degli Studi di Urbino –
**CoossMarche Onlus di Ancona)
[email protected]
INTRODUZIONE
Il progetto europeo Leonardo Childhood Links è stato avviato nel ottobre 2011 ed ha coinvolto quattro
diversi Paesi: Francia (come partner promotore), Repubblica Ceca, Spagna ed Italia. Per il nostro Paese
sono stati coinvolti tre diversi centri: C.R.F. dell’Università degli Studi di Urbino, Coossmarche e D.I.I.
dell’Università Politecnica di Ancona. L’obiettivo del progetto è quello di testare l’efficacia effettiva in
termini di ricaduta e la sua trasportabilità in contesti diversi rispetto a quello di origine (Francia) di un
metodo di supervisione focalizzato sull’analisi dei processi decisionali. Tale metodologia si concretizza
quindi nel racconto e nell’analisi, in sequenza, di una situazione professionale di cui l’operatore è stato
attore e mira a rinforzare e sviluppare, nel ed attraverso l’operatore stesso, le competenze di vita e di
relazione di coloro a cui è destinato l’intervento educativo. Si vuole in tal senso favorire la cooperazione ed
il rafforzamento delle “competenze globali” (la capacità di comprendere i ruoli ed i valori fondanti un
ambiente, la capacità di conoscenza e ragionamento, la capacità di prendere decisioni adeguate e
immediate fondate cioè sulla conoscenza di sé, degli altri, sull’analisi delle proprie percezioni, degli
obiettivi da raggiungere e dei mezzi che lo rendono possibile). Nozione fondamentale è pertanto quella di
forma decisionale, intesa come il processo cognitivo che sottostà e dirige l’azione finalizzata (obiettivo –
mezzo); tale elemento è rintracciabile nel racconto di un episodio specifico attraverso l’identificazione
della coppia soggetto – verbo. Ne consegue che è mediante l’identificazione delle azioni di un soggetto
attore che potremo scoprire la logica dei suoi processi decisionali e quindi dell’intervento stesso
(approccio psicosociale).
METODOLOGIA
La metodologia è stata quindi “testata” su un gruppo di ADM – educatori domiciliari. È stato loro proposto
un corso in modalità blended, in cui veniva associata la modalità formativa face-to-face ad una on- line
attraverso l’ausilio della piattaforma di e-learning Moodle. Assieme al metodo è stato inoltre proposto il
ricorso ad un software specifico, TRIADES, per la creazione di schematizzazioni capaci di supportare il
racconto/ascolto.
RISULTATI
Il metodo proposto ha trovato un positivo riscontro tra gli educatori che, per la gran parte erano psicologi
per formazione. Si è dimostrato adeguato a stimolare il professionista ad una continua ricerca di
informazioni e quindi capace di aumentare il grado di personale consapevolezza rispetto al proprio agire
professionale. Il software si è rivelato però ancora fortemente ancorato al contesto comunitario francese:
buona è tuttavia l’idea di affiancare, al ragionamento autocritico, un supporto schematico capace di
rappresentare ed oggettivare la situazione relazionale su cui si sta lavorando.
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SESSIONE D
LA PREVENZIONE DELL’USO DI ALCOL: TRA RICERCA E INTERVENTO
Coordinatore: Luca Zini
Binge dirnking: rilevazione del fenomeno e attuazione di interventi preventivi nella scuola
secondaria di secondo grado
Gatta Michela, Sisti Marta, Svanellini Lorenza, Fregna Riccardo, Lai Jessica, Lisan Vellon, Marco Penzo, Pier
Antonio Battistella
Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino, Università degli Studi di Padova UOC di Neuropsichiatria
dell’Infanzia e dell’Adolescenza, Azienda ULSS 16 Padova
[email protected]
Indagini a livello nazionale ed internazionale attestano come il consumo di alcolici fra gli adolescenti sia
sempre più diffuso e problematico. Per rispondere a tale problema nel 2006 nasce il Progetto “Che
Piacere…” EDUCAZIONE ALLA SALUTE E PREVENZIONE DEL CONSUMO PRECOCE DI ALCOLICI NEGLI
ADOLESCENTI E NEI PRE-ADOLESCENTI che coinvolge ogni anno circa 2500 studenti delle scuole secondarie
di primo e secondo grado di Padova e provincia. Il progetto si basa sulla collaborazione di strutture sociosanitarie e forze sociali pubbliche e private (Az.Ospedale-Università di Padova,ULSS 16,Fondazione Lionello
Forin Hepatos ONLUS, in collegamento con l’Ufficio scolastico) di Padova e provincia. La metodologia
prevede l’attivazione emotiva sul problema del consumo alcolico (piuttosto che la semplice
informazione).Nel seguente lavoro vengono riportati i dati circa l’indagine attuata nel 2012 relativamente
al fenomeno del Binge Drinking nelle popolazione studentesca padovana.Viene inoltre illustrato come
questi dati hanno permesso di ideare e costruire un intervento ad hoc pensato per questo preciso
fenomeno. A livello epidemiologico ci si e’ proposti di dimensionare il fenomeno del Binge Drinking e
parallelamente di approfondire la relazione tra binge drinking e vulnerabilità psicopatologica in termini di
problemi internalizzanti ed esternalizzanti. L’analisi è stata condotta su di un campione di 441 studenti di
età compresa tra i 13 e i 17 anni di alcune fra le Scuole Secondarie di II grado di Padova e provincia che
hanno partecipato al progetto che piacere durante l’anno scolastico 2011-12. Sono stati somministrati lo
Youth Self Report (YSR 11-18) di T.Achenbach per individuare elementi di vulnerabilità psicopatologica e il
Questionario Adolescenti Sabato Sera (QASS) per ottenere informazioni relativamente alle modalità e
all’entità del consumo alcolico. Tra i dati piu’ significativi: è stata verificata una relazione tra l’età dei
soggetti e il consumo alcolico: al crescere dell’età aumentano le unità alcoliche consumate (da 0,2 UA
medie a 13 anni fino a 2 UA medie a 17 anni); l’abuso alcolico è risultato associarsi inoltre al genere e alle
abitudini di svago sociale dei giovani (disponibilità economica, ora di rientro e luoghi frequentati); infine, e’
stata riscontrata una relazione statisticamente significativa tra modalità di bere binge drinking e
vulnerabilità psicopatologica.
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Binge drinking: motivazioni, influenza sociale e benessere psicologico
Scacchi Luca*, Cristini Francesca*, Gabbiadini Alessandro*, Aresi Giovanni**
*Università della Valle d’Aosta, **Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano)
[email protected]
Il fenomeno del binge drinking, modalità di importazione nordeuropea che consiste nel consumo di
numerose unità alcoliche in un breve arco di tempo (Kuntsche et al., 2004), si è da alcuni anni ampiamente
diffuso anche nel nostro Paese. In particolare nella fascia di età 18-24 anni si rilevano le prevalenze più alte
di tutta la popolazione per queste tipologie di consumo (Ministero della Salute, 2012).
Alcuni studi hanno indagato l’influenza sul binge drinking di fattori motivazionali (Kuntsche et al., 2006),
sociali (Borsari & Carey, 2006) e relativi al benessere psicologico individuale (Gonzalez et al., 2009). Appare
in questo momento importante approfondire questo ambito di studi analizzando anche l’interazione tra
questi diversi fattori. In particolare le ipotesi del presente studio prevedono che le motivazioni di
conformità abbiano maggiore effetto in corrispondenza di maggiori livelli di norme di gruppo favorevoli al
binge drinking e maggiore coinvolgimento in termini di identità sociale. Allo stesso modo si ipotizza che in
corrispondenza di maggiori livelli di malessere psicofisico e insoddisfazione per la propria vita vi sia un
maggior effetto delle motivazioni di coping. Al fine di indagare il fenomeno del binge drinking in una
prospettiva psicosociale, è stato svolto uno studio longitudinale che ha coinvolto 411 studenti universitari
(85.9% femmine; età: M=25,48 DS=35,27) delle città di Brescia, Milano e Aosta. I predittori del binge
drinking sono stati analizzati a distanza di due settimane dal comportamento osservato. Rispetto ai fattori
motivazionali, sono state considerate le motivazioni sociali, di enhancement, di coping e di conformità,
indagate attraverso il Drinking Motives Questionnaire. Relativamente ai fattori sociali e relazionali sono
stati indagati: il consumo di alcolici da parte della famiglia e degli amici, l’identità sociale e le norme di
gruppo rispetto il consumo di alcolici. Infine, per gli aspetti inerenti il benessere psicologico è stato
indagata la percezione di salute psicofisica, attraverso il General Health Questionnaire (GHQ), e la
percezione di soddisfazione per la propria vita. Dalle analisi effettuate emerge che il 26.5% dei giovani
riporta almeno un episodio di binge drinking nelle ultime due settimane. Emerge inoltre come l’effetto
delle differenti motivazioni al consumo di alcolici sia moderato dalla situazione sociale e dall’eventuale
quadro di malessere psicologico.
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Il consumo di alcolici tra gli studenti universitari: bere come forma di socialità
Stefano Tartaglia
Università degli Studi di Torino
[email protected]
Il consumo di alcolici tra i giovani è determinato da diversi fattori sia individuali (caratteristiche yber
bullismoche, di personalità, aspettative) che ambientali (influenza familiare, del gruppo dei pari, norme
sociali). Lo studio qui presentato ha come obiettivo quello di comparare gli effetti di differenti predittori
sul consumo di alcolici degli studenti universitari. I dati sono stati raccolti mediante questionario su di un
campione di 311 studenti frequentanti differenti corsi dei due atenei di Torino (Università e Politecnico).
Sono stati presi in considerazione 4 tipi di predittori:
(1) caratteristiche yber bullismoche;
(2) qualità delle relazioni sociali (supporto sociale percepito);
(3) caratteristiche di personalità (sensation seeking);
(4) le motivazioni a bere bevande alcoliche previste dal modello motivazionale di Cox & Klinger (1988).
Come indicatori di uso di alcolici sono stati indagati il consumo di birra, vino, superalcolici e la frequenza di
ubriacatura. Per verificare l’influenza dei differenti gruppi di predittori sugli indicatori di consumo di
alcolici sono state condotte delle regressioni gerarchiche. Sono state individuate varie influenze
significative. Il consumo di alcolici del campione oggetto di studio è risultato in generale moderato e
sembra avere un valore sociale positivo. Esso è infatti associato a relazioni sociali positive e si basa su
motivazioni di valenza positiva piuttosto che negativa.
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TUTOR attività di prevenzione nel mondo del divertimento
Andrea Saccani, Paola Tomelleri, Claudia Colarusso
Az. ULSS22 Regione Veneto
[email protected]
Unità di Prevenzione alle dipendenze SER.D. di Bussolengo Az. ULSS 22 (Vr)
Premessa: L’Unità di Prevenzione del Ser.T. di, raccogliendo i bisogni emersi da gruppi giovanili, ha
proposto una formazione sulle tematiche delle sostanze alteranti. Partendo da questa esigenza abbiamo
strutturato un progetto che, in un primo momento, era rivolto ad un ambito territoriale circoscritto;
lavorando con i ragazzi, visto il loro entusiasmo, ci siamo chiesti come allargare tale esperienza e se fosse
possibile proporre un modello esportabile in differenti realtà. Abbiamo voluto formare dei “tutor” da
poter utilizzare come operatori di primo livello. Oltre agli obiettivi della formazione si è voluto verificare la
capacità dei ragazzi, così preparati, a diffondere modelli comportamentali e informazioni più adeguate tra i
coetanei
Modalità: abbiamo attuato un corso di formazione rivolto a ragazzi animatori di gruppi formali e/o
volontari di associazioni già coinvolti in attività territoriali per proporre momenti di riflessione su
atteggiamenti legati al divertimento e all’abuso di sostanze
Alla fine del corso i ragazzi hanno deciso se dare una loro disponibilità a collaborare col servizio per
manifestazioni territoriali ed essere iscritti in un apposito registro di collaboratori di primo livello.
Tale attività ha molto coinvolto i ragazzi e nella loro comunità locale hanno realizzato sia dei punti per
effettuare prove yber bullismo, per aumentare la coscienza critica e la responsabilità dei bevitori,
favorendo in questo modo il confronto e lo scambio di messaggi volti ad aumentare la consapevolezza del
loro agire.
I tutor così formati si sono attivati all’interno dei loro gruppi di volontariato e hanno fornito informazioni e
pareri ai ragazzi, insomma hanno permesso al servizio di connettersi con molte persone avvicinando una
notevole quantità di soggetti che mai avremmo potuto contattare come servizio.
A tale attività sono stati collegati una serie di report statistici sui consumi yber bull ma anche sulle
intenzioni alla guida e alle motivazioni che sarebbero interessanti da analizzare ma non è il caso in questa
sede però ci permettiamo di darvi alcuni numeri per capire la significatività del progetto condotto
attraverso giovani tutor che hanno una grossa capacità d’aggancio rispetto gli operatori del servizio.
Valutazioni finali: Offrendo la possibilità di effettuare la prova etilometrica si è di fatto proposto uno
strumento protettivo e di consapevolizzazione che nello stesso tempo favorisce l’aumento della capacità
critica e di scelta della persona.
78
Rendiamo facili le scelte salutari
Basso Lucio, Polo Fabrizia
Azienda Ulss 4 Alto Vicentino
[email protected]; [email protected]
Nell’ambito del Programma Guadagnare Salute è stato messo in atto dall’ULSS 4 Alto Vicentino della
Regione Veneto, un intervento di progettazione partecipata sugli stili di vita che ha visto dalla fine del 2010
la costituzione del gruppo di progetto, una fase di formazione e un periodo di progettazione e attivazione
sul campo. Il progetto ha adottato i principi e le tappe della metodologia PCM, Project Cycle Management.
Il gruppo di progetto ha scelto come prioritario tra gli stili di vita da trattare, il consumo di alcol in
particolare nel target giovani e lavoratori.
Nei 3 Comuni di Sarcedo, Malo e Velo D’Astico (popolazione totale 23.000 abitanti) sono stati invitati,
tramite le Amministrazioni Comunali, i rappresentanti di associazioni attive nel territorio, di scuole, e di
datori di lavoro, per concordare una serie di attività di prevenzione. Circa il 22% degli invitati ha aderito
all’iniziativa, con 35 associazioni, 3 scuole e 1 impresa coinvolte. Le attività sono state discusse in gruppi di
lavoro strutturati secondo vari ambiti di intervento, finalizzati ad aumentare conoscenze e competenze
nella comunità, sviluppare attività per il tempo libero, aumentare le difficoltà di reperimento di bevande
alcoliche, rendere i luoghi di lavoro favorevoli al consumo responsabile di alcol e favorire la discussione
sulle tradizioni locali legate al consumo di alcol.
Le attività proposte dalla comunità includono la promozione del consumo di bevande analcoliche negli
eventi organizzati dalla comunità, la formazione di insegnanti, genitori e studenti su life skills connessi al
consumo di alcol, l’organizzazione di attività di animazione per ragazzi, la formazione degli esercenti
(pubblici esercizi), Tali attività sono iniziate dal mese di aprile 2012.
Nel corso dell’anno 2012 è maturata l’esigenza di un allargamento del progetto alle comunità di
Torrebelvicino e Valli Del Pasubio, che hanno portato la componente di gruppo di progetto Ulss a cogliere
l’occasione per rivisitare la metodologia PCM e di partecipazione utilizzata nella prima fase, aprendola
maggiormente alle priorità e quindi alla partecipazione attiva sugli stili di vita da parte dei vari portatori di
interessi delle comunità.
L’apertura a tutti e quattro gli stili di vita di Guadagnare Salute ha attivato una focalizzazione sulle migliori
pratiche, in particolare con implementazione della formazione sulle life skills per operatori Ulss e
insegnanti e la sperimentazione di un corso pilota per “yber leader”(animatori di cucina sana).
La prima valutazione di yber bu sarà effettuata nel 2015.
Numerose lezioni sono state apprese sulle modalità di comunicazione, sull’organizzazione della
progettazione partecipata e sulla preparazione di strumenti adeguati.
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SESSIONE E
OPPORTUNITÁ E RISCHI LEGATI AI NUOVI MEDIA
Cordinatore: Mauro Croce
ComunicAttivi: Un Progetto Di Promozione Dell’uso Consapevole E Corretto Dei “Nuovi Media”
Elena Ciot*, Simona Galgani**, Tiziana Menegon^, Anna Brichese**, Sandro Cinquetti°
* Coadiutore Amministrativo – Azienza ULSS7 Veneto; ** Assistente Sanitaria – Azienza ULSS7 Veneto;
^ Medico – Azienda ULSS7 Veneto; ° Direttore di Dipartimento di Prevenzione – Azienda ULSS7 Veneto
[email protected]
Introduzione. Il progetto è stato ideato grazie alla richiesta di un istituto superiore del territorio nell’a.s.
2009-10, e successivamente è stato riproposto in altre scuole, decidendo di abbassare l’età del target. È
noto a tutti come il telefono cellulare, internet e i social-network, siano divenuti negli ultimi anni, dei
modelli nuovi e diversi di comunicare. In particolare i preadolescenti li utilizzano per sentire gli amici,
tenersi sempre in contatto, condividere emozioni, affermare se stessi. Essi rappresentano strumenti di
comunicazione e socializzazione ormai talmente diffusi, da poter essere effettivamente considerati come
un naturale prolungamento delle vite individuali e sociali dei soggetti. È quindi evidente l’importanza che
questi oggetti, ormai di uso comune, hanno per i giovani; questo stesso fatto però ha delle ripercussioni in
termini sia sociali e relazionali che legali. Non possiamo dimenticare, inoltre, che un utilizzo eccessivo di
questi strumenti può avere anche delle ripercussioni sulla salute.
Obiettivi. Informare i ragazzi sui rischi e opportunità dell’uso del cellulare, di internet e dei social-network,
per quanto riguarda la salute, gli aspetti legali e quelli sociali del loro utilizzo.
Materiali e metodi. Il progetto è rivolto ai ragazzi del triennio della scuola secondaria di primo grado. In
ogni classe vengono tenuti due incontri a due settimane di distanza. Nel primo incontro, della durata di
due ore, partendo dalle conoscenze già in possesso dei ragazzi, vengono approfonditi i vari aspetti legati
all’uso dei nuovi media: le implicazioni relazionali, i rischi sanitari, gli aspetti legislativi, tecnologici,
ambientali, ecc. Le attività proposte sono sia individuali, sia a gruppi attraverso i problem solving, sia
collettive attraverso discussioni in cui viene coinvolta l’intera la classe. Tra il primo e il secondo incontro i
ragazzi hanno il compito di creare, lavorando in gruppi, uno spot, nella forma che preferiscono, per
prevenire la situazione presentata nel problem solving. Nel secondo incontro, della durata di un’ora, i
ragazzi presentano i lavori svolti e, partendo da essi, si approfondiscono eventuali argomenti sollevati dai
ragazzi stessi. Infine vengono mostrati dei video e consegnati un questionario di gradimento e un
vademecum per il corretto uso di cellulare, internet e social network.
Risultati. Poiché l’a.s. è ancora in corso, i dati sono in fase di raccolta. Nell’anno scolastico 2012-13 le
scuole coinvolte sono state 4, per un totale di 9 classi, 3 delle quali si sono aggiunte a marzo su richiesta
dei professori stessi che dopo aver assistito ai primi incontri, hanno voluto proporlo in altre classi. Il
numero di studenti coinvolti è di circa 200. I contenuti del progetto vengono aggiornati costantemente,
poiché si tratta di un tema di grande attualità e in continua evoluzione, che coinvolge diversi aspetti della
vita quotidiana, come emerge attraverso i contributi dei ragazzi stessi.
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Bella senz’anima: prospettive di indagine e di intervento
Cinzia Amoroso, Gioacchino Lavanco
Associazione Es-Empowerment sociale
[email protected]
L’uso di internet in modo scorretto e poco responsabile correlato alla naturale tendenza al rischio, tipica
della fase pre-adolescenziale ed adolescenziale, può essere causa di nuove forme di yber bullismo
giovanile. Il fenomeno delle “candy girls” ne rappresenta una recente conferma.
Le “candy girls” sono giovani tra i dodici e i diciassette anni che utilizzano la rete per adescare (grooming)
uomini o coetanei con il fine di vendere le proprio foto di nudo (sexting), in cambio di una ricarica
telefonica o postepay. Solitamente appartengono a contesti familiari in cui non si individuano particolari
problemi economici e relazionali. Una volta in rete, però, il loro status di ‘perverse polimorfe’ – inteso
nell’accezione tipicamente freudiana – sembra acquisire nuove strategie comportamentali anche nei
confronti dei genitori. Si registra un’evidente e preoccupante inversione di tendenza: non sono più solo i
pedofili a cercare il minore su internet ma accade, pure, il contrario.
Queste riflessioni sono state stimolo per la Cattedra di Psicologia di Comunità dell’Università di Palermo
che ha avviato una ricerca di indagine e prevenzione. Sono state coinvolte a campione delle classi
appartenenti a scuole dell’agrigentino e del palermitano. Il lavoro è stato strutturato in due fasi: un’analisi
preventiva in cui si è costruito un questionario e somministrato individualmente ai componenti del gruppo
classe. È seguita una discussione gruppale sulle modalità di utilizzo, sulle percezioni e rappresentazioni
riguardo all’uso dei socialnetworks. La seconda fase è stata orientata ad un’analisi mirata dei questionari
delle ragazze tra i 12 ed i 17 anni. Sono stati presi in considerazione quelli che – ad una prima osservazione
delle risposte ai quesiti considerati domande chiavi – si sono reputati più inclini verso comportamenti a
rischio. Il lavoro di ricerca si è concluso con un ulteriore somministrazione di un questionario individuale ai
soggetti selezionati ed un’intervista semistrutturata.
Lo scopo della ricerca è stato quello di comprendere – oltre come gli adolescenti utilizzano internet – qual
è il meccanismo psico-pedagogico che spinge giovani ragazze ad utilizzare la rete per atti devianti e
pericolosi. Inoltre, si sono volute individuare le corrette strategie educative e di prevenzione del
fenomeno.
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Attenti ai prepotenti. Una ricerca sul bullismo e sul yber bullismo nel territorio di Santarcangelo
di Romagna
Cinzia Albanesi, Elvira Cicognani
Dipartimento di Psicologia, UoS Cesena, Università di Bologna, Alma Mater Studiorum
[email protected]
Introduzione. Il fenomeno del bullismo è da tempo all’attenzione dei ricercatori, ed è oggetto di crescente
allarme sociale, insieme al più recente fenomeno del yber bullismo (cfr. Vandebosch & Cleemput,2009;
Dempsey et al., 2011). Entrambi i fenomeni sembrano associati a una diminuzione del benessere
psicologico sia delle vittime che dei bulli (Boulton et al. 2008) e a esiti disfunzionali dal punto di vista
evolutivo.
Obiettivi e ipotesi. Scopo della ricerca, condotta a partire da una sollecitazione proveniente dalle scuole
del territorio di Santarcangelo di Romagna e promossa dalla Fondazione Francolini Franceschi, era di
indagare la diffusione di fenomeni di bullismo/prepotenze tra gli studenti dell’ultimo anno delle scuole
secondarie. Si voleva inoltre esaminare gli effetti del bullismo e del yber bullismo sul benessere
psicologico. Volevamo inoltre verificare se la percezione di buona qualità dell’esperienza scolastica ha
affetti protettivi rispetto alle prepotenze e alle prevaricazioni.
Metodi. Per la raccolta dei dati è stato utilizzato un questionario on line, articolato nelle seguenti aree
tematiche:
Caratteristiche socio demografiche. Età, genere, provenienza.
Benessere psicosociale. E stata utilizzata la scala del benessere di Keyes (2005).
Qualità dell’esperienza scolastica e Senso di Comunità a Scuola. Per valutare la qualità dell’esperienza
scolastica è stato utilizzato un adattamento al contesto scolastico della scala di Chiessi Cicognani e Sonn
(2010).
Bullismo a scuola. Le domande sul bullismo a scuola sono state tratte e adattate dal questionario di
Buccoliero e Maggi (Prati, Pietrantoni Buccoliero, Maggi, 2010).
Cyberbullismo Si è domandato se qualcuno dei compagni era stato oggetto di yber bullismo dall’inizio
dell’anno scolastico, se i partecipanti avevano subito personalmente episodi di cyber bullismo dall’inizio
dell’anno scolastico e la durata di tali episodi.
Il campione. Il campione è’ composto da 474 adolescenti, 242 (51%) maschi e 232 (49%) femmine che
frequentano le scuole secondarie di primo e secondo grado di Santarcangelo di Romagna. Rappresentano
l’85% della popolazione scolastica di quella fascia di età. L’età varia da 12 a 19 anni e oltre, di cui la
maggioranza sono di 13-14 anni (254 tredicenni e 75 quattordicenni) e di 18-19 anni (105 diciottenni e 26
diciannovenni e oltre).
Risultati. Le analisi dei dati hanno mostrano che le esperienze di vittimizzazione e di bullismo
contribuiscono in modo significativo a ridurre il benessere emotivo e psicologico. Esse sono più diffuse tra i
più piccoli rispetto ai grandi e tra gli adolescenti di origine straniera. Le analisi inoltre confermano il ruolo
protettivo del senso di comunità (in particolare il senso di appartenenza e la connessione emotiva con la
scuola), e della qualità del rapporto con gli insegnanti rispetto ai comportamenti di prevaricazione.
82
Il cyberbullismo… analizziamo le caratteristiche del fenomeno a 360°
Giuliana Guadagnini, Christian Serpelloni, Erminia Contini, Boscagin Alberto, Vanessa Foletto
[email protected]
Il bullismo è una forma di prevaricazione dal carattere continuativo effettuato da una o più persone nei
confronti di un soggetto percepito come più debole. Diverse sono le forme e le modalità attraverso le quali
esso si manifesta. Il yber bullismo è una delle espressioni più comuni di bullismo che attualmente
rappresenta circa un terzo delle forme di bullismo complessivamente intese.
Con il termine di yber bullismo o bullismo online o cyberbulling – termine ideato dall’educatore canadese
Bill Belsey – si è solito indicare tutti quegli atti di bullismo e di molestia effettuati tramite mezzi elettronici
quali siti web, blog, chat, e-mail, telefoni cellulari e quant’altro di simile. Il fenomeno del yber bullismo,
interessa particolarmente il mondo dei minori e si estrinseca in manifestazioni di prevaricazioni e di
violenze che si sviluppano in rapporti paritetici tra minori o tra minori e adulti.Diverse sono state le
ricerche, in campo internazionale, circa il fenomeno del yber bullismo e la sua esponenziale diffusione. I
risultati ottenuti, sebbene differenti per natura, campione, territorio e periodo di riferimento, sembrano
concordare sul fatto che il yber bullismo, malgrado si proponga come meno diffuso rispetto al tradizionale
bullismo, rappresenti, comunque, un fenomeno che coinvolge sempre più preadolescenti e adolescenti.
Tale quadro di riferimento ci pone dinanzi ad un fenomeno che necessita di essere affrontato con la
massima attenzione ed il massimo impegno. Il controllo “debole” consentito dalla rete, la possibilità di
attuare le prepotenze in qualsiasi momento della giornata utilizzando diverse identità e l’opportunità di
colpire contemporaneamente più persone in un brevissimo lasso di tempo, sono tutti elementi che
contribuiscono a rendere più complessa la soluzione di tale problema. La consapevolezza delle giovani
generazioni di padronanza delle tecnologie, in quanto “nativi digitali” ovvero cresciuti con le tecnologie
digitali e la consapevolezza della correlata minor propensione verso tali media da parte dei genitori, fan sì
che l’utilizzo di internet costituisca, per gli stessi, una sorta di “zona franca” dove gli adulti difficilmente
possono entrare. La padronanza delle tecnologie da parte dei giovani favorisce, quindi, il diffondersi del
fenomeno.
83
Contro il bullismo: risorse multimediali, testimonianze, networks
Carmencita Serino* e Alberto Antonacci**
* Università degli Studi di Bari; ** Psicologo e Manager informatico
[email protected]
Il bullismo rappresenta oggi una vera piaga del mondo giovanile. Generalmente, la riflessione in
quest’ambito mette in primo piano le caratteristiche individuali, o la relazione diadica fra bullo e vittima,
mentre viene riservata minore attenzione alle dinamiche interne al gruppo e alla cultura sottesa
all’incontro fra persone o gruppi diversi. Eppure, tali dimensioni hanno un peso determinante.
Sottovalutandole, si rischia di connotare il fenomeno come scarsamente modificabile, e di adottare
strategie di contrasto meno efficaci. Il bullismo infatti è uno di quei fenomeni rivelatori, una spia dei modi
d’essere di un’intera società, di ciò che, nella vita collettiva, “non funziona”: le forme in cui si manifesta e le
strategie con cui viene affrontato sottendono sistemi di credenze e di valori, rappresentazioni sociali diffuse
sui giovani, sul rapporto fra generazioni, sul ruolo delle istituzioni, sul senso della convivenza. In tale
scenario, va rilevato anche che i nostri ragazzi vivono oggi in un mondo inondato dalla tecnologia.
Purtroppo la sua diffusione, così ricca di opportunità positive, finisce spesso per accrescere il tasso di
violenza e aggressività, per produrre nuove e più sofisticate forme di prepotenza, come mostra
l’inquietante fenomeno del yber bullismo. Così, le nuove tecnologie , che per molti aspetti consentono di
allargare le relazioni e le conoscenze dei giovani, amplificano anche in maniera straordinaria la portata
devastante delle prepotenze fra pari. In questa linea, un lavoro sulla Psicologia Sociale del Bullismo(Ed.
Carocci)è improntato all’idea di un “buon uso” della tecnologia. E’ il tentativo di dar vita a un’opera
multimediale, integrando in modo innovativo il testo scritto con contenuti fruibili in rete, e valorizzando
appieno le strategie comunicative e le potenzialità del web. Nel sito collegato al volume vengono proposti
strumenti e testimonianze, con l’intento di mettere i lettori in contatto con storie ed esempi, e di creare
connessioni, per continuare a riflettere in modo condiviso sul bullismo e sui modi di combatterlo. Lo spazio
multimediale che si è andato così delineando (suscettibile, anche, di ulteriori sviluppi) è stato concepito
come luogo di incontri, suggerimenti ed esperienze, destinato agli “addetti ai lavori” (educatori, psicologi),
ma anche a genitori, ad altre figure adulte e ad utenti più giovani (studenti universitari, nonché, in certa
misura, gli stessi adolescenti, esposti al rischio di entrare in dinamiche di bullismo).La rete ci offre il filo
necessario per tessere il nostro futuro: ma la possibilità di disegnare con efficacia nuove forme di
convivenza dipenderà dalla capacità di sviluppare, anche col supporto delle nuove tecnologie, connessioni
positive ed empatia, forme di socialità improntate al senso di responsabilità ed al rispetto reciproco
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I social network tra diritto e alfabetizzazione
Maria Morena Ragone
Università di Foggia
[email protected]
L’intervento si concentra sul nostro uso dei social network e sul rapporto con il web e le nuove tecnologie:
partendo da alcuni studi e dall’esame del contesto giuridico e delle norme di riferimento, anche attraverso
l’analisi dei Terms of Service (TOS) degli specifici servizi, si giungerà alla individuazione della centralità
dell’alfabetizzazione quale necessità imprescindibile nel processo di apprendimento relativo al loro utilizzo,
a qualsiasi età.
85
SESSIONE
“SMART COMMUNITIES: LE “COMUNITA’ INTELLIGENTI” CHE PROMUOVONO IL BENESSERE”
Coordinatore: Luciano Gamberini
Smart City e Fondi di sviluppo urbano: esperienze internazionali a confronto e qualche
riflessione sui meccanismi di finanziamento delle iniziative
Edoardo Reviglio
UrbanAct – Regione Toscana
[email protected]
L’intervento si divide in tre parti. Nella prima presenterò molto sinteticamente alcuni casi di studio di
iniziative realizzate in diverse aree del mondo che stiamo analizzando nell’ambito di una ricerca biennale
congiunta tra CDP e Politecnico di Torino sulla Smart City. Nella seconda parte mi soffermerò sui Progetti
Jessica ed Urbact, cercando di descrivere i punti di forza e punti di debolezza che ho riscontrato nella
partecipazione diretta a varie iniziative legate ai due progetti europei. Nella terza parte discuterò dei
sistemi di finanziamento; delle difficoltà/opportunità che iniziative integrate, che nascono nell’ambito
della Smart City, pongono dal punto di vista della loro sostenibilità economico-finanziaria. Si farà
riferimento alla crisi economica e ai vincoli di bilancio delle PA che richiedono ricorso a un nuovo ventaglio
di strumenti finanziari, come PPP (attraverso l’adattamento di strumenti finanziari esistenti, come il
financing/procurement di infrastrutture e rinnovamento urbano attraverso società partecipazione
pubblico-privata, società trasformazione urbana e locazione finanziaria – leasing e project financing) e
l’utilizzo di nuovi strumenti finanziari come i Social Impact Bonds.
In generale, si osserverà che si tratta di strumenti che ancora non hanno trovato una grande diffusione e
rimane un punto di concretezza domandarsi se ci siano effettivamente le condizioni perché essi possano
decollare. Rimane, inoltre, il tema delle capacità di programmazione di lungo periodo e delle capacità
tecniche della PA, elemento fondamentale per riuscire ad ottenere il c.d. “bundle” di interventi/strumenti
finanziari integrati, condizione per far sì che tali strumenti diventino effettivamente attraenti per il sistema
finanziario.
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Come comunicare le grandi infrastrutture alla città: il caso del parco progetto progettati da
Santiago Calatrava per Reggio Emilia
David Zilioli
Dirigente del Comune di Reggio Emilia
[email protected]
Tale argomento potrebbe essere sviluppato in riferimento a due macro arogomenti complementari per
target di riferimento attivati in questi anni dall’amministrazione comunale di Reggio Emilia: l’esperienza
dello spazio espositivo km129 come laboratorio per il coinvolgimento dei bambini (website:
www.km129.it) e l’esperienza del progetto ENTER HUB a vale sul programma europeo URBACT per il
coinvolgimento degli stakeholder locali per capitalizzare le potenzialità di una nuova stazione ad alta
velocità (web site: http://urbact.eu/en/projects/metropolitan-governance/enterhub/homepage/).
In particolare i laboratori per i bambini hanno studiato e poi attivato alcuni strumenti didattici per spiegare
ai bambini come funzionano e a cosa servano le grandi infrastrutture progettate da Santiago Calatrava: i 3
ponti, la copertura del casello autostradale e la nuova stazione dell’alta velocità.
Il progetto ENTER HUB vuole invece mettere in sinergia le buone pratiche già esistenti in europa sul tema
della valorizzazione dell’infrastruttura dell’alta velocità per poi veicolarle sulla città, comunicando e
coinvolgendo i cittadini con strumenti ad hoc.
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La promozione del benessere territoriale nella periferia milanese: il quartiere San Siro
Davide Boniforti
Metodi s.r.l.
[email protected]
Un clima generalizzato di fiducia interpersonale, l’elevata partecipazione a reti associative e la diffusa
presenza di cultura civica sono alcuni dei fattori prevalenti in letteratura che concorrono al benessere
equo sostenibile, accrescendo la qualità della vita individuale e la coesione sociale. Dal 2005 nel quartiere
San Siro di Milano è in atto un intervento territoriale che, anche attraverso il programma di riqualificazione
del Contratto di Quartiere II, sta promuovendo il benessere sociale coinvolgendo la comunità locale.
Diversi sono i fenomeni e le criticità riscontrate in questo quartiere: dal degrado edilizio e ambientale, al
rischio di frammentazione ed emarginazione sociale (per citarne alcuni: alta concentrazione di disagio
psichico, elevata presenza di anziani soli, immigrazione in aumento, abbandono di rifiuti).
L’intervento di rete, i progetti urbani e sociali e le iniziative di animazione ideate e realizzate dalle realtà
locali stanno contribuendo in questi anni ad alimentare la coesione tra gli abitanti e il benessere abitativo,
aumentando la consapevolezza e la valorizzazione delle risorse comunitarie e il capitale sociale. Dalla
ristrutturazione di spazi pubblici (es. la riqualificazione della piazza), all’inaugurazione di luoghi culturali
(es. la biblioteca di quartiere) sino alla promozione di occasioni di incontro e conoscenza (es. iniziative e
percorsi finalizzati alla riduzione del pregiudizio e alla promozione della convivenza di vicinato) il quartiere
sta conoscendo un cambiamento rilevante che lo sta progressivamente inquadrando in una prospettiva di
“smart people” e “smart living”. Se da una parte il territorio si sta attivando nella cura del proprio
benessere, dall’altra si scontra con resistenti criticità. La difficoltà a fruire di alcuni servizi (ad esempio per
lontananza), la ridotta presenza e agevolazione di spazi ad uso pubblico o commerciale, nonché la
persistenza di alcune situazioni di degrado urbano richiamano in causa il contributo importante delle
istituzioni locali nella promozione di una “smart community”.
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Engedered and Timing Smart City – La città intelligente attenta al determinante genere e
all’armonizzazione dei tempi
Fulvia Signani
Università di Ferrara
[email protected]
Il genere è un fattore che determina salute, benessere, ma anche malattia delle persone, permea la vita
privata e di lavoro di ciascuno quotidianamente, ma è soggetto al fenomeno di gender blindness, la cecità
di genere, infatti è così ovvio, da essere dimenticato. Il tempo è una delle risorse naturali più alla portata di
tutti, ma si ‘perde’, dimentica, sciupa, consuma, non se ne ha mai abbastanza, non viene considerato bene
comune. E’ ancora molto raro trovare organizzazioni societarie che dimostrano l’attenzione a far
‘risparmiare’ tempo ai cittadini. (Zajczyk, 2000)
Il ruolo di genere caratterizza la vita di uomini e donne, impegnati in attività lavorative e nella gestione di
varie attività, tra cui un nucleo sociale, la famiglia, che comporta tempo di socialità e cura, ma anche
attività di partecipazione alla vita societaria, coltivazione di interessi personali, etc. Attività che
necessitano di un attento coordinamento di tempi, demandato al singolo ‘sta all’individuo far quadrare il
budget time della sua giornata’ (Di Nicola, 2008), che spesso si configura come una sfida quotidiana contro
l’incalzare del tempo.
Ann Oakley che con i suoi due volumi ‘La sociologia del lavoro casalingo’ (The Sociology of Housework) e
‘Casalinga’ (Housewife) pubblicati nel 1974, ha raggiunto una fama internazionale, ha descritto come i
modelli di vita di uomini e donne siano diversi e tocchino anche il coordinamento dei tempi di vita e
lavoro.
Alcune leggi e direttive Europee (Carta Comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori e delle
lavoratrici, 1989; Tabella di marcia per la parità tra donne e uomini (road map) 2006-2010) propongono di
conciliare, armonizzare e coordinare i tempi di vita e gli orari di lavoro dei cittadini e delle cittadine, i tempi
sociali e l’accessibilità spazio/temporale dei servizi e degli spazi pubblici urbani. In Italia la Legge 53 dell’ 8
marzo 2000 ‘Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla
formazione e per il coordinamento dei tempi delle città’ ha trovato finora attuazioni episodiche. Per quel
che riguarda il mondo del lavoro le proposte di forme di flessibilità d’orario, part time reversibile,
telelavoro, accompagnamento al rientro lavorativo dopo lunghi periodi di assenza, formazione disseminata
sui temi della conciliazione della vita e del lavoro si ascrivono ad applicazioni sperimentali e ridotte nel
tempo. Dal 2001 era attivo un Fondo CIPE Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica)
dedicato ai progetti per l’armonizzazione dei tempi delle città. Interessante, ma decisamente limitata
l’esperienza delle ‘Banche del tempo’, associazioni per scambi di tempo da destinare a prestazioni di
mutuo aiuto a favore di singoli cittadini o della comunità locale.
I lavori della conferenza Europea annuale sulle Smart Cities non vedono nemmeno la citazione dei termini
genere e tempo.
Si ha fondato motivo di affermare che l’interpretazione della conciliazione necessaria alle sole donne ed il
fatto che non siano diventate, quelle del genere e del tempo, istanze strutturali, ne abbiano limitato
progettazione e possibile applicazione.
Nell’organizzazione smart di una città, non ci si può dimenticare di questi due elementi. Si analizzeranno
alcuni esempi che possono dimostrare quanto potrebbe essere attuato gestendo le conseguenze applicate
del determinante genere e curando il tempo come bene naturale comune e prezioso.
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SESSIONE
“I SISTEMI DI SORVEGLIANZA DELLA SALUTE E DEL BENESSERE COME STRUMENTO PER LA DEFINIZIONE
DELLE POLITICHE A LIVELLO REGIONALE, NAZIONALE ED EUROPEO”
Cordinatrice: Bruna Zani
La sorveglianza dei suicidi e dei disturbi mentali causati dalla crisi economica in sostegno a
nuove politiche di protezione sociale
Roberto De Vogli
School of Medicine, Department of Public Health Sciences, Division of Epidemiology, University of California
Davis
[email protected]
Nel 2008, il mondo ha vissuto la peggiore crisi finanziaria dai tempi della Grande Depressione. La Grande
Recessione ha causato un aumento della disoccupazione e dei tassi di suicidio sia in Europa, che negli Stati
Uniti. In Italia, si sono riscontrati dei trends molto simili: la disoccupazione e i suicidi sono diminuiti negli
anni precedenti alla crisi economica, per poi invertire la tendenza all’insorgere della crisi finanziaria del
2008. Tra il 2000 e il 2010, la tendenza della percentuale di disoccupati nelle regioni Italiane è correlata in
modo forte e positivo con la tendenza del numero di suicidi per 100.000 abitanti. L’evidenza mostra però
una sostanziale eterogeneità nella correlazione tra variazione del tasso di disoccupazione e suicidi tra le
regioni italiane nel tempo. Queste differenze sembrerebbero attribuibili ai diversi livelli di protezione
sociale: in regioni che investono più di 135 Euro pro capite in servizi e protezioni sociali, l’aumento della
disoccupazione è associato a una riduzione (anziché a un aumento) del numero di suicidi per 100,000
abitanti. Questi risultati hanno importanti implicazioni a livello politico e indicano che gli investimenti in
protezione sociale possono mitigare in modo sostanziale l'impatto della crisi economica sui suicidi e sulla
salute mentale. Mentre l'Italia è ancora alle prese con il sesto anno consecutivo di contrazione economica,
e la crisi continua a mietere nuove vittime, esiste un bisogno urgente di nuove politiche economiche e
sociali in alternativa all'austerità e agli indiscriminati tagli di bilancio.
90
WORKSHOP
WORKSHOP 2
Coordinatore: Stefano Gheno
Empowerment evaluation
Stefano Gheno
Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
Nel costrutto di empowerment rientrano numerosi contenuti, anche ambigui e contradditori, tra tutti i
concetti di potere e quello di possibilità. Potere nella nostra cultura europea, più che evocare la
dimensione delle risorse, richiama il tema del controllo ed in effetti, di frequente, la valutazione viene
svolta per esercitare un controllo sui soggetti: dall’ambito scolastico a quello lavorativo, il processo
valutativo suscita per lo più vissuti di mancanza, vissuto che non di rado rischia di tradursi in un
sentimento di powerlessness.
D’altra parte è innegabile che, nei contesti in cui la performance è un elemento rilevante, valutare sia un
processo necessario. È quindi utile individuare modalità e strumenti di valutazione che riducano il rischio di
impotenza appresa e che rinforzino invece la percezione di “possibilitazione” di persone, gruppi, comunità.
Il workshop ha l’obiettivo di presentare e discutere alcuni approcci metodologici alla valutazione funzionali
a sviluppare l’empowerment dei partecipanti, nonché alcuni strumenti costruiti specificatamente per
valutare l’empowerment.
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SIMPOSIO
STRUMENTI E BEST PRACTICE DELLA PSICOLOGIA DI COMUNITÀ NELLA SCUOLA E NELLA COMUNITÀ
Coordinatrice: Patrizia Meringolo
I Minori Stranieri Non Accompagnati si raccontano con il Photovoice
Marta Casarin, Massimo Santinello
Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione Università di Padova
L’immigrazione, che già di per sé rappresenta un fenomeno sociale alquanto complesso, ha subito delle
trasformazioni che ne hanno ulteriormente complicato la gestione. Fra queste spicca il caso dei Minori
Stranieri Non Accompagnati (MSNA), ossia senza famiglia negli “spostamenti” umani, per i quali le difficili
circostanze di vita, che li rendono soli in un Paese straniero, tendono ad avere ripercussioni negative in
termini di benessere emotivo e psicologico.
Garantire la partecipazione dei minori migranti è un elemento fondamentale non solo per la promozione
dei loro diritti ma anche per la loro inclusione sociale. A tale scopo, il progetto CI SONO ANCH’IO ha
utilizzato lo strumento di ricerca-azione partecipata “Photovoice” per indagare, sia in positivo sia in
negativo, le aspettative che questi giovani nutrivano verso l’Italia prima di giungervi, le loro attuali
esperienze nel Paese e i loro sogni per il futuro.
A questo progetto ha partecipato un gruppo di nove MSNA di genere maschile, con un’età compresa fra i
quattordici e i diciassette anni, di nazionalità albanese, kosovara e bengalese.
Le parole e le fotografie di questi giovani migranti hanno enfatizzato principalmente come elementi
positivi della loro condizione la scuola, l’amicizia, il sostegno delle varie figure adulte che li circondano e le
esperienze d’integrazione vissute. Per contro, alcuni aspetti critici includono la forte nostalgia per la
propria famiglia e la preoccupazione per il futuro, soprattutto rispetto alla possibilità di rimanere in Italia e
di trovare un lavoro.
Le discussioni di gruppo hanno inoltre permesso ad adolescenti di nazionalità differenti, che a volte
tendono a descriversi come molto diversi gli uni dagli altri, di confrontarsi su aspetti delle loro vite che li
rendono invece estremamente simili. Infine, per quanto concerne la mostra fotografica, questa, oltre ad
aver attirato l’attenzione mediatica delle principali testate del Comune di Venezia, ha registrato una buona
partecipazione ed un interesse tale da renderla, ad oggi, itinerante.
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Una riflessione critica sull’utilizzo del metodo Photovoice con adolescenti e giovani: punti di
forza e limiti di una metodologia di ricerca-azione partecipata
Daniela Caso, Fortuna Procentese
Dipartimento di Studi Umanistici, Università degli Studi di Napoli, Federico II
Introduzione: Photovoice è una metodologia di ricerca-azione partecipata attraverso la quale le persone
creano e discutono di fotografia per promuovere il cambiamento personale e della comunità (Wang,1999).
Il coinvolgimento di adolescenti e di giovani nei programmi che si basano sull’uso di Photovoice si fonda
sul loro desiderio di esercitare la propria autonomia ed esprimere creatività, documentando attraverso le
foto scattate aspetti riguardanti la loro vita relazionale o una rappresentazione di un problema. Photovoice
permette ai giovani partecipanti, compresi quelli che possono essere sottorappresentati, etichettati, o
stigmatizzati in quanto diversi dagli altri membri della comunità, di esprimere il loro punto di vista, usando
il proprio linguaggio e le proprie esperienze (Wang, 2006). Photovoice, quindi, facilita la partecipazione dei
giovani nei processi decisionali dai quali sono generalmente esclusi, consentendo loro di dare un
contributo concreto alla propria comunità.
Obiettivi: Partendo da questi presupposti teorici, il presente contributo si pone l’obiettivo di compiere una
riflessione critica sull’utilizzo di questa metodologia con adolescenti e giovani. Saranno quindi evidenziati
punti di forza e punti critici del Photovoice partendo dall’analisi dei risultati ottenuti in tre differenti studi
da noi condotti per promuovere la cittadinanza attiva e la convivenza attraverso l’uso di Photovoice (Caso,
2010; Caso, 2011; Caso, Procentese, 2012) con adolescenti e studenti universitari.
Risultati e Conclusioni: Uno dei vantaggi del Photovoice, emersi dalla nostra riflessione, è che tale
metodologia consente la partecipazione degli adolescenti a tutte le fasi del progetto compresa l’analisi dei
dati raccolti promuovendo la consapevolezza critica rispetto alle problematiche identificate, aumentando
potenzialmente l'efficacia delle fasi successive della ricerca-azione partecipato. Un aspetto di cui discutere
è legato al metodo di analisi dei materiali raccolti (Procentese 2011) e considerare anche aspetti etici che
rappresentano, invece, un grosso limite del metodo Photovoice utilizzato con adolescenti e giovanissimi
che, potenzialmente, tendono a minimizzare i rischi e le conseguenze negative dello scattare fotografie ad
estrani e/o a situazioni compromettenti. Inoltre, a causa della velocità con cui una persona di qualsiasi età
può diventare un imbarazzato “Web celebrity” (Feuer & George, 2005), i diritti morali e la privacy dei
giovani partecipanti e l'utilizzo delle loro immagini su Internet (non solo come fotografi Photovoice, ma
anche come soggetti) sono argomenti che avrebbero bisogno di un ulteriore esame.
93
Comprendere il fenomeno migratorio attraverso il photovoice: quali criticità e quali possibili
soluzioni?
N. Rania, S. Rebora, P. Cardinali, L. Migliorini
Scuola in Scienze Sociali, Dipartimento Scienze della Formazione, Università di Genova
Introduzione
Il fenomeno migratorio rappresenta, per il contesto italiano, uno cambiamenti più rilevanti del vivere
sociale degli ultimi trent’anni. Nonostante il tema delle differenze culturali (Cushner, 2008) sia divenuto
sempre più pregnante (Dandy & Pe-Pua, 2010; Mancini, Ceresini & Davolo, 2007), l’esigenza di costruire
una società interculturale (Mantovani, 2004; Leone, 2011) è affrontata nel contesto civile e politico con
attenzioni, sensibilità e prospettive differenti. I giovani adulti italiani pur sperimentando il fenomeno
migratorio come parte del proprio vivere sociale, non sempre potrebbero maturarne una consapevolezza
critica.
Il metodo del photovoice coinvolge gli appartenenti ad una comunità approfondendo il loro punto di vista
a proposito di temi rilevanti per il contesto in cui vivono, permette di sviluppare il loro pensiero critico
(Chonody Ferman, Amitrani-Welsh and Martin, 2013) e si rivela particolarmente adatto per lo studio e la
partecipazione alle tematiche della migrazione e dell’integrazione (Wang, 1999). Infatti, il photovoice è
una tecnica di ricerca-azione partecipata attraverso la quale i soggetti creano e discutono fotografie come
mezzo per catalizzare il cambiamento a livello individuale e di comunità. Il photovoice si propone tre
obiettivi principali quali: individuare i punti di forza e di debolezza della propria comunità, coinvolgendo le
persone in un processo di ascolto attivo; promuovere un dialogo critico che guardi alle possibili soluzioni;
raggiungere i politici locali (Wang, 2006). Si richiede, pertanto, alla popolazione una partecipazione attiva
per modificare le situazioni problematiche e stimolare i politici al cambiamento (Okunola & Amole, 2012).
Obiettivi
Il presente lavoro, partendo dalla prospettiva di Freire (2002) sul pensiero critico, si pone l’obiettivo di
promuovere la riflessione dei giovani adulti italiani su risorse e criticità della propria comunità rispetto ai
fenomeni migratori, coinvolgendo le persone in un processo di dialogo e ascolto attivo, in un’ottica
interculturale.
Partecipanti
Hanno partecipato al Photovoice 100 studenti universitari, suddivisi in 10 gruppi, provenienti da due
regioni italiane del nord ovest.
Risultati e conclusioni
La tecnica proposta ha permesso agli studenti di riflettere criticamente sulla realtà migratoria, utilizzando
anche rappresentazioni simboliche, per comunicare il proprio punto di vista rispetto al tema. I partecipanti
affermano che grazie al photovoice è stato stimolato un pensiero critico relativamente al fenomeno
migratorio rispetto al quale non sempre avevano maturato riflessione sul fenomeno e su possibili risorse e
soluzioni. Accanto ad aspetti problematici legati al fenomeno i risultati mettono in luce anche
un’immagine positiva di integrazione e apertura verso i diversi gruppi culturali, all’interno di una
prospettiva di arricchimento reciproco nel contatto tra culture.
94
La promozione del cambiamento e della partecipazione attraverso il Photovoice, indagine tra gli
studenti italiani e rumeni.
Laura Remaschi, PhD student*; Patrizia Meringolo*, Aliona Dronic, MA**, Ovidiu Gavrilovici, Ph.D.***
*Dipartimento di Scienze della Formazione e Psicologia, Università di Firenze
**Psychologist at Psiterra Association, Iasi, Romania
***Assistant Professor Department of Psychology, "Alexandru Ioan Cuza" University, Iasi, Romania
[email protected]; [email protected]; [email protected]
Introduzione. La psicologia di comunità è una “scienza dell’azione” (Foster-Fishman, Nowell, Deacon,
Nievar, & McCann, 2005): per agire in questa ottica è necessaria una prospettiva relazionale attenta alla
persona nel “qui e ora” temporale e spaziale (Rogers, & Kinget, 1962 ) ed al metodo di ricerca azione
partecipata per favorire l’intervento volto al cambiamento (Lewin, 1948; Montero, 2009, 2012). Uno
strumento particolarmente adeguato può essere Photovoice (Wang, & Burris, 1994; Wang, 2000, 2004,
2006) perché collega il processo di documentazione fotografica con l’educazione alla coscientizzazione ed
alla azione (Freire, 1970), integrando tecniche che coinvolgono i partecipanti in un processo di riflessione
critica sul loro mondo sociale.
La ricerca intervento che presentiamo per discutere sugli aspetti di metodo dello strumento Photovoice fa
parte di un progetto che ha coinvolto la rete delle associazioni di volontariato toscane e le scuole
secondarie di secondo grado allo scopo di stimolare il senso di solidarietà sociale attraverso la
sensibilizzazione e l’attivazione della partecipazione attiva dei giovani al volontariato. Lo stesso disegno di
ricerca è stato parallelamente svolto a Iasi (Romania), con la cui l’Università un accordo di collaborazione
internazionale.
Obiettivi. Sviluppare la solidarietà sociale e la cittadinanza attiva dei giovani frequentanti gli istituti
scolastici statali di secondo grado.
Obiettivi specifici sono stati: analizzare il senso di comunità ed il grado di empowerment in adolescenti
differenziati per genere, nazionalità, residenza e valutare l’esito del percorso con lo strumento Photovoice
in particolare rispetto alla acquisizione di consapevolezza di sé e alla promozione di cittadinanza attiva,
evidenziando le differenze che emergono in paesi diversi.
Metodo. Ricerca azione partecipata.
Partecipanti. Italia: 126 studenti (80 gruppo di intervento e 46 gruppo di controllo).
Romania: 71 studenti (30 gruppo di intervento e 41 gruppo di controllo).
Strumenti. Questionario ad hoc, Scala del senso di comunità per adolescenti SoC-A (Chiessi, Cicognani, &
Sonn, 2010), Scala di Empowerment socio-politico (Francescato & Perugini, 1997). Il gruppo di intervento
ha partecipato ad un percorso con l’utilizzazione di Photovoice.
Risultati e conclusioni. Appare migliorata la capacità di riflettere criticamente su se stessi, sulle loro
potenzialità e sulle loro aspettative future, oltre che la conoscenza della loro comunità territoriale, delle
risorse e delle criticità. I materiali prodotti dai partecipanti toscani sono stati presentati all’istituzione
scolastica e alle associazioni di volontariato del territorio: in questi incontri gli studenti hanno avuto la
possibilità di presentare i loro lavori e di conoscere gli attori significativi della comunità, rafforzando i
rapporti di rete tra i diversi attori sociali.
Saranno discusse analogie e differenze nell’uso di Photovoice tra il gruppo toscano e quello di Iasi.
95
WORKSHOP
WORKSHOP 4
Coordinatrici: Angela Fedi e Terri Mannarini
Arene partecipative
Angela Fedi* e Terri Mannarini**
*Università degli Studi di Torino; **Università del Salento
[email protected]; [email protected]
Il workshop intende fornire ai partecipanti un’occasione per sperimentare alcuni metodi partecipativi e,
attraverso la discussione collettiva e il supporto di materiali didattico-informativi, ragionare sui processi
psicosociali che li animano, sugli esiti che producono e sugli aspetti problematici della loro gestione. Nella
prima parte del workshop i partecipanti saranno impegnati nello svolgimento di un World Cafè, un metodo
per sviluppare conversazioni e dialoghi collaborativi che, per la sua flessibilità, si adatta a molte differenti
circostanze. La seconda parte del workshop sarà dedicata al de-briefing e alla sistematizzazione delle
riflessioni emerse, con l’obiettivo di restituire ai partecipanti un quadro organizzato di conoscenze, anche
utilizzando materiali e dati di ricerca relativi a recenti esperienze di partecipazione svoltesi in Italia.
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Venerdì 6 Luglio 2013
SESSIONI PARALLELE
SESSIONE F
IL RUOLO DEI CONTESTI NELLA PREVENZIONE DI DISAGIO E MARGINALITÀ
Coordinatrice: Bruna Zani
Come prevenire il disagio psicologico all’interno della scuola e delle comunità attraverso
l’intervento di gruppo
Vinanda Var
Psicologa Psicoterapeuta libera professionista
[email protected]
Oggi viviamo in una società dove il tempo è veloce, immediato ed a tutti i costi ottimale. La diffusione degli
smart phone e dei social network hanno reso la comunicazione sempre più senza limiti, disponibile ed
abbreviata. Nonostante ciò, l'individuo, giovane o adulto che sia, si sente solo e smarrito all'interno di un
contesto nel quale non vi sono più né spazi né tempi per raccontare a qualcuno i propri stati d'animo o
disagi. Ecco l'importanza di fare prevenzione, perché se un meccanismo della macchina (in questo caso
umana) si inceppa, dobbiamo intervenire prima che presenti problemi più importanti per se stessa e per gli
altri. Per fare questo, un modo efficace è rappresentato dal gruppo che è costituito da un insieme di
persone che hanno qualcosa in comune come, ad esempio, gli alunni di una classe o un gruppo di giocatori
patologici. Il gruppo, che rappresenta molto di più che la semplice somma dei suoi membri, diventa in
questo modo un'opportunità di incontro, un luogo dove uno può raccontare i suoi vissuti o ascoltare le
esperienze degli altri ed elaborare le proprie emozioni. Questo processo di gruppo, condotto dallo
psicoterapeuta, farà emergere la conoscenza e la consapevolezza che aiutano la prevenzione di fenomeni
sociali di malessere, o a volte patologici come, ad esempio, il bullismo oppure il mobbing.
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Integrazione scolastica e sociale di bambini e ragazzi sordi: creare legami tra famiglia, scuola e
istituzioni
Ettore De Angeli
Università Cattolica del Sacro Cuore, Brescia
[email protected]
Il contributo intende presentare i recenti sviluppi del “Progetto di ricerca e di intervento a favore dei
soggetti sordi e delle loro famiglie”, promosso da più di dieci anni dalla Fondazione “Pio Istituto Pavoni” di
Brescia. Esso ha infatti recentemente integrato quanto proposto finora con nuove attività di promozione
dei legami tra i diversi attori, grazie anche all’inserimento delle nuove figure degli Assistenti Educativi
Domiciliari.
L’attività di Assistenza Educativa Domiciliare viene realizzata in conformità con le indicazioni previste
all’interno di una convenzione con enti territoriali. Essa è finalizzata a favorire il supporto scolastico
domiciliare agli alunni sordi. Le prestazioni vengono erogate al domicilio del richiedente ed in orario extrascolastico e si concretizzano attraverso attività di supporto didattico individualizzato, attività di
facilitazione dei processi comunicativi e di raccordo tra l’esperienza scolastica e l’esperienza
extrascolastica. Inoltre il progetto prevede il monitoraggio e la valutazione dei processi educativi e
relazionali, orientati all’incremento del potenziale evolutivo ed in un’ottica integrativa.
Obiettivo principe del progetto è infatti quello di favorire l’inclusione scolastica e sociale di bambini e
ragazzi sordi, fondandosi su una lettura sociale e relazionale della loro condizione di disabilità. Vi è dunque
una forte attenzione all’integrazione tra la dimensione scolastica, le istituzioni territoriali e le attività di
supporto domiciliare presso la famiglia del ragazzo sordo, al fine di promuovere un benessere integrato.
Questa nuova disposizione del progetto permette quindi di mettere in rete esperienze e professionalità
che finora lavoravano in modo autonomo e disgiunto, promuovendo non solo il benessere dei ragazzi sordi
e delle loro famiglie, ma anche i legami tra la scuola, la famiglia e le istituzioni.
98
“Far da sé”: una proposta per progettare l’autonomia abitativa della persona con disabilità psichica
Luca Leon*, Giovanni Battista Modonutti*, S. Pontin**
* Gruppo di Ricerca sull’Educazione alla Salute (GRES), Dipartimento di Studi Umanistici - Università
degli Studi di Trieste; **Lybra – Società Cooperativa Sociale – Onlus
[email protected]
L’autonomia abitativa della persona affetta da disabilità psichica è uno degli obiettivi a cui sempre più
spesso si cerca di dare risposta. Nei percorsi già in atto è generalmente percepita la necessità di fornire
delle competenze di base – ai diversamente abili ed agli educatori di riferimento - in modo tale che
l’autonomia diventi effettiva. La Coop. Sociale Lybra e l’Opera Villaggio del Fanciullo di Trieste, con la
supervisione del GRES*, hanno predisposto il progetto “Far da sé” con l’intento di analizzare quali fossero
le competenze e le conoscenze delle persone affette da disabilità psichica (PDP) in merito alle cinque
macro aree d’interesse: la gestione del denaro, la conoscenza e la conservazione degli alimenti, la pulizia e
la gestione della casa, la percezione dei rischi associati all’ambiente domestico e l’utilizzo dei servizi
cittadini.
Lo strumento d’indagine era composto da due schede questionario – una per gli utenti in formazione (UIF)
e l’altra per gli educatori ed i caregiver (EdR) – la cui compilazione è stata proposta ad entrambe le
popolazioni prima del corso di formazione ed a distanza di tre mesi dal suo completamento. Durante il
corso è stata compiuta un’analisi di processo tramite il monitoraggio in itinere delle conoscenze e del
grado di soddisfazione dei partecipanti. Il percorso formativo, si è avvalso di due metodologie, una frontale
e l’altra pratica, per un totale di 24 incontri distribuiti nell’arco di otto settimane. Il progetto prevedeva di
avvalersi anche di un supporto psicologico che veniva fornito singolarmente ai partecipanti (EdR e UIF)
La partecipazione, lo spirito critico, il coinvolgimento, l’attenzione e la motivazione manifestate dagli UIF
sono state talune volte sorprendenti, molto elevate ed in grado di arricchire la riflessione comune (UIF e
EdR), il percorso e la qualità dell’offerta formativa. Per quanto sia difficile generalizzare, alcuni componenti
del gruppo PDP hanno manifestato chiaramente dei miglioramenti in merito alle conoscenze, a taluni
comportamenti ed in genere hanno dimostrato e manifestato un generale gradimento nei confronti
dell’attività svolta. Le criticità più importanti riscontrate sono riconducibili alla limitata adesione e
collaborazione degli EdR che, solo in parte si sono rivelati disponibili a collaborare attivamente ed a
rispondere alle richieste del progetto.
Questo progetto, per sua natura sperimentale, così come consigliato dal Piano Nazionale della
Prevenzione, ha consentito di: a) fare una accurata analisi dei bisogni dei PDP ed una valutazione obiettiva
e puntuale degli stessi; b) identificare delle buone pratiche in grado di dare risposte alle esigenze espresse
dai PDP; c) stimolare il coinvolgimento attivo delle EdR che nel vivere quotidiano affiancano e supportano
le persone affette da disabilità psichica; d)predisporre ed ottimizzare dei canali comunicativi e pedagogici
che favoriscano una relazione empatica e costruttiva fra i PDP ed i EdR.
99
L’interazione multiculturale: esserci o non esserci?
Rosaria Ferone, Maria D’Alisa, Andrea Capasso, Cristina Harrison, Gerarda Molinaro, Maria Femiano.
ASL Napoli 2 Nord - U.O.C. Integrazione SocioSanitaria
[email protected]
La molteplicità e la complessità dei fattori che compongono la realtà multiculturale su un territorio di
elezione, possono essere ricondotte alla più esaustiva definizione di processi d’interazione, dimensioni
nelle quali vi è una con-fusione possibile di valori, modelli di riferimento, culture di origine.
L’oggetto della ricerca proposta è l’indagine sulla percezione dell’integrazione, nell’accezione di processo
d’interazione, della persona immigrata o appartenente a minorità etnica sul territorio della ASL Napoli 2
Nord (32 Comuni nell’area nord di Napoli). La metodologia utilizzata è ancorata all’approccio
autobiografico attraverso i protocolli delle “Storie di Vita” come intese nella tradizione della scuola di
Chicago e succ. con l’inflessione della scuola francese.
Il gruppo di ricerca, attraverso il supporto trasversale dell’unità operativa P.A.S.S. immigrati e senza fissa
dimora della Unità Operativa Complessa Integrazione SocioSanitaria della ASL Napoli 2 Nord, individua il
campione di riferimento tra le persone straniere e/o temporaneamente presenti a vario titolo impegnato e
non sul territorio aziendale. Le unità sono individuate tra lavoratori, non lavoratori, regolari e non regolari
che, a seguito di invito ad personam, abbiano espresso il consenso a partecipare alla ricerca. Attualmente
sono coinvolte circa 10 unità, trattandosi di approccio autobiografico attraverso le storie di vita, la
rappresentatività del campione non necessariamente è connessa alla numerosità dello stesso.
La raccolta dei protocolli avviene in forma autografa su traccia predefinita che orienta la narrazione,
oppure attraverso registrazione digitale e sempre su stessa traccia, raccolte dal ricercatore.
Attraverso le tre direttrici aspetti socio-strutturali, simbolici e dell’agire, si riconducono le dimensioni
d’indagine scelte che sono:
1. Aspetti socio-strutturali. classe sociale, formazione, stile di vita, impegno sociale, rete amicale, famiglia,
ambiente fisico, ambiente istituzionale, linguaggio
2. Aspetti simbolici valore della famiglia atteggiamenti prevalenti rappresentazioni sociali (famiglia,
giustizia, società le motivazioni, pratica religiosa)
3. Aspetti dell’Agire scelte, strategie, comportamenti
L’analisi qualitativa del dato rilevato, articolata e complessa, ha previsto la destrutturazione in “aspetti”
dei protocolli “storie di vita”, riconducendone i contenuti parziali alle direttrici sopra individuate attraverso
più matrici.
La narrazione come approccio di conoscenza della percezione dei processi e dei fenomeni, ha consentito di
arricchire l’ipotesi di definizione di integrazione multiculturale di ulteriori dimensioni e contenuti,
evidenziando la sottile e fitta rete di interazioni informali e formali che costituiscono un nuovo “tessuto
etnico”, un tessuto rinnovato di relazioni con l’ambiente in cui le etnie (italiana/non italiana) alternano
percorsi di adattamento reciproco alla reciproca presenza nello stesso contesto.
100
Oppressione psicosociale in contesti ad alta presenza di criminalità organizzata. Un primo studio sulla
realtà casertana del 1992
Fortuna Procentese, Alfredo Natale
Dipartimento di Studi Umanistici, Università di Napoli Federico II
[email protected]
La psicologia critica di comunità (Prilleltensky, 2008; Fryer, 2008) e la psicologia della liberazione (MartínBaró, 1994; Montero & Sonn, 2009) si interessano dei processi di conoscenza e trasformazione delle
comunità dando centralità agli elementi del potere e della giustizia sociale. In contesti come quelli
caratterizzati dalla presenza di organizzazioni criminali di stampo mafioso l’oppressione psicosociale
diffusa rende necessaria un’azione di coscientizzazione (Freire, 1986) della comunità stessa a partire dallo
sviluppo di una conoscenza complessa delle dinamiche in gioco per lo sviluppo di un maggiore benessere
di comunità. Le modalità di espressione dei vissuti e delle rappresentazioni relative alla condizione di
oppressione riflettono inoltre la capacità della stessa comunità di dare voce alla propria sofferenza e al
pensiero e alle azioni sociali che l’accompagnano.
L’ipotesi epistemologica che fonda il presente lavoro di ricerca è relativa alla possibilità di indagare le
dinamiche di oppressione dovuta a poteri autoassertivi (non generativi di benessere di comunità) a partire
dalla comprensione dei processi locali di convivenza e delle rappresentazioni degli stessi poteri nelle
culture locali e storicamente collocate.
A tal fine è stato individuato Casal di Principe (CE) quale contesto che da molti anni è caratterizzato dalla
presenza della criminalità organizzata e in particolare è stato effettuato un primo studio a partire dalla
rilettura critica di un concorso indetto nel 1992, anni in cui si sono verificati ripetuti episodi di violenza da
parte della camorra. In questa prima fase di ricerca è stata svolta l’analisi tematica di 171 temi scolastici
scritti nel 1992 da alunni delle scuole medie di Casal di Principe (CE) con l’ausilio del software T-LAB. Gli
elaborati sono stati prodotti all'interno di un concorso a premi organizzato da un'associazione culturale
locale e vertono sui vissuti e le esperienze degli studenti relative alla presenza della criminalità organizzata
sul territorio. Il materiale testuale raccolto rappresenta il prodotto culturale di un’elaborazione e
negoziazione di significati inerenti una rappresentazione localizzata e storicamente determinata della
criminalità organizzata e del suo potere sulla vita della comunità. I dati relativi al significato attribuito dai
protagonisti che hanno indetto e realizzato l’evento permettono di effettuare una riflessione sulla
rappresentazione della violenza quale forma di oppressione individuale e collettiva e l’incidenza
sull’intenzione di agire un cambiamento nella propria comunità territoriale.
101
SESSIONE G
LA PREVENZIONE DEI COMPORTAMENTI A RISCHIO NELLA SCUOLA E NELLA COMUNITÁ
Coordinatrice: Elvira Cicognani
Focus group per la prevenzione del consumo precoce di alcolici negli adolescenti: un’esperienza
di ricerca-azione nelle scuole secondarie di II grado di Padova
Gatta Michela, Gatto Rotondo Cristina, Lai Jessica, Sisti Marta, Svanellini Lorenza, Fregna Riccardo,
Ronconi Lucia, Salis Maurizio, Emilia Ferruzza
Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino, Università degli Studi di Padova UOC di
Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, Azienda ULSS 16 Padova Dipartimento di Psicologia
dello Sviluppo, Università degli Studi di Padova
[email protected]
Il presente lavoro riporta l'esperienza relativa ad un progetto di ricerca-azione “Che piacere…”, educazione
alla salute e prevenzione del consumo precoce di alcolici negli adolescenti e nei pre-adolescenti, attuato
dal 2006 in collaborazione tra strutture socio-sanitarie e forze sociali pubbliche e private (Neuropsichiatria
dell’Infanzia e dell’Adolescenza, Direzione Generale e dei Servizi Sociali dell’Azienda ULSS 16, Centro
Regionale specializzato per le malattie del fegato, Rotary Club Padova, Fondazione Lionello Forin Hepatos
ONLUS, in collegamento con l’Ufficio scolastico provinciale) di Padova e provincia. Tale progetto coinvolge,
ogni anno, circa 2500 di studenti delle scuole secondarie di I e II grado di Padova e provincia. Questo
contributo descrive quella parte progetto relativa ad interventi di Focus Group (FG) effettuati nelle classi
prime e seconde di scuole secondarie di II grado, facendo particolare riferimento allo studio delle
tematiche attivate dal processo gruppale.
I FG si articolano in quattro incontri, ciascuno dei quali viene sviluppato alternando momenti di discussione
di gruppo in cui i conduttori fungono da facilitatori della comunicazione, a momenti di attivazione che
prevedono l’utilizzo di diverse tecniche: brain storming, visione di spot, ideazione di slogan. Gli incontri
vengono condotti da due psicologi e prevedono la presenza di un osservatore, il quale ha il compito di
redigere il verbale dei contenuti emersi. Verranno presentati i risultati preliminari inerenti l’analisi delle
trascrizioni degli incontri, su cui si è operato con le tecniche proprie dell’analisi del contenuto. Sono stati
presi in considerazioni i FG attuati in 5 classi seconde di istituti tecnici, professionali e licei, per un totale di
20 report (4 verbali di incontro per ogni classe) il cui testo è stato analizzato mediante l'uso del software
Atlas.ti.
Tale analisi ha permesso di: indagare cosa pensano i ragazzi sul consumo di alcol nei giovani; individuare le
convinzioni e le motivazioni che stanno alla base delle abitudini assunte, ovvero come pensano i ragazzi e
perché pensano in quel modo; dare una interpretazione critica delle modalità con cui le opinioni dei
ragazzi si modificano o meno nel corso degli interventi di Focus Group.
102
La prevenzione dell’HIV/AIDS con donne e giovani: indicazioni dalla valutazione della campagna
comunicativa Ministeriale 2012-13
Davide Mazzoni, Gabriele Prati, Elvira Cicognani, Cinzia Albanesi, Luca Pietrantoni, Bruna Zani
Dipartimento di Psicologia - Università di Bologna
[email protected]
La letteratura sulle campagne di prevenzione HIV/AIDS sottolinea l’utilità, al fine di aumentarne l’efficacia,
di rivolgersi a gruppi-target specifici. I dati epidemiologici e le riflessioni degli ultimi anni hanno
sottolineato l’utilità di considerare come possibili destinatari, i giovani e le donne. Questo contributo si
propone di presentare i risultati dello studio qualitativo di valutazione dell’impatto della recente
campagna Nazionale 2012-13, con l’obiettivo di trarre indicazioni utili per la progettazione di campagne di
comunicazione più efficaci rivolte a questi due target.
Sono stati realizzati 5 focus group con giovani (range 18-30 anni) e 5 con donne in diverse regioni Italiane
(Piemonte, Lombardia, Trentino Alto Adige, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Lazio, Puglia). La traccia del
focus group si proponeva di: a) approfondire le opinioni e atteggiamenti dei partecipanti sul tema
HIV/AIDS e i comportamenti protettivi; b) valutare i materiali della campagna. A tale scopo, dopo aver
mostrato ai partecipanti il video della campagna, è stato valutato il grado di esposizione alla campagna, la
comprensione dei messaggi, la percezione di efficacia nel modificare i comportamenti, l’identificazione con
i protagonisti e l’adeguatezza del testimonial (Raoul Bova). I dati sono stati analizzati mediante analisi del
contenuto qualitativa.
I risultati mostrano che i materiali comunicativi e i messaggi utilizzati nella campagna sono stati
generalmente compresi e apprezzati nelle loro finalità. Tra i limiti riferiti, i più giovani hanno sottolineato
l’assenza di un protagonista coetaneo con il quale potersi identificare e lo stile poco accattivante del video
utilizzato. D’altra parte, nonostante tutte le protagoniste femminili nei materiali comunicativi siano
presentate "in coppia", le donne intervistate, soprattutto se impegnate in una relazione stabile raramente
hanno riferito di sentirsi come destinatarie privilegiate della campagna, in quanto (a priori) non si
percepiscono come potenzialmente a rischio. I due gruppi-target hanno apprezzato caratteristiche diverse
dello stesso testimonial. A partire dai suggerimenti espressi dagli stessi partecipanti e alla luce della
recente letteratura psicosociale, la discussione verterà sulle strategie comunicative più utili per superare le
difficoltà nella comunicazione sul tema HIV/AIDS rivolta a giovani e donne.
103
Azzardo: adolescenti e orientamento valoriale
Loredana Varveri
Dipartimento di Psicologia - Università di Palermo
[email protected]
Introduzione.
Scommettere al gioco è un comportamento sociale che rischia di assumere una connotazione
problematica o, peggio ancora, patologica, tanto da essere annoverato, nella sua forma estrema, tra le
dipendenze senza sostanza.
Il GAP (Gioco d’Azzardo Patologico) sembra riguardare circa il 3% della popolazione italiana e la sua
insorgenza è piuttosto precoce: si inizia a giocare, spesso, durante l’adolescenza (cfr. Lavanco, Varveri,
2006; Picone, 2010).
A partire da quest’ultima considerazione, il contributo di ricerca che presentiamo ha rivolto il focus proprio
su un gruppo di adolescenti. A quanti si occupano di prevenzione preme considerare i fattori di rischio e i
fattori protettivi associati a questa forma di addiction, al fine di intervenire per arginare o, meglio ancora,
evitare l’insorgenza di tale disturbo.
Metodologia della ricerca.
La ricerca ha avuto l’obiettivo di analizzare il comportamento di gioco d’azzardo di un gruppo di
adolescenti palermitani, contattati presso due scuole della città, e di verificare l’eventuale relazione tra il
comportamento di gioco e l’orientamento valoriale del ragazzo. Si ipotizza che, così come per altre forme
di abuso, anche nel caso del gioco d’azzardo problematico e patologico si verifichi il prevalere della
dimensione valoriale dell’autoaffermazione su quella dell’autotrascendenza (cfr. Varveri, Di Nuovo,
Lavanco, 2007).
Il gruppo coinvolto è costituito da 98 adolescenti, cui è stato somministrato un protocollo composto dai
seguenti strumenti:
- SOGS-RA (Winters, Stinchfield, Fulkerson, 1993), questionario di autovalutazione per lo screening
generale dei disturbi da gioco d’azzardo in adolescenza;
- PVQ (Capanna, Vecchione, Schwartz, 2005), scala che consente di valutare l’importanza che ogni
individuo attribuisce a 10 valori;
- questionario, da noi redatto, per la raccolta di dati socio-anagrafici e di informazioni sul comportamento
di gioco del ragazzo, della famiglia e degli amici, ma anche per la raccolta di informazioni circa le modalità
di trascorrere il tempo libero.
Risultati.
I dati raccolti e analizzati hanno confermato l’ipotesi di ricerca, evidenziando differenze significative tra
l’orientamento valoriale degli adolescenti che scommettono in maniera “responsabile” e quelli di coloro
che giocano d’azzardo in maniera problematica e patologica. Ne conseguono utili suggerimenti da
applicare in ambito preventivo.
104
Prevenire obesità e sovrappeso: che ruolo hanno le caratteristiche di personalità?
Manuela Tomai, Veronica Rosa, Minou Ella Mebane, Maura Benedetti e Donata Francescato
Dipartimento di Psicolgioa Dinamica e Clinica, Università "Sapienza" di Roma
[email protected]
Nell’ultima decade l’obesità e il sovrappeso sono considerati tra i problemi più rilevanti della salute
pubblica nei paesi industrializzati (Chapman et al., 2008; Sutin et al., 2011). Specialmente in età evolutiva si
registra un progressivo abbassamento del momento di esordio. Secondo dati recenti (Ministero della
Salute, 2012) l’Italia si colloca tra i primi paesi europei per eccesso ponderale infantile. Gli studi condotti su
campioni italiani sono pochi e riguardano solo alcune regioni del territorio nazionale (Lazzeri et al., 2008;
Parrino et al., 2012). Tutti i ricercatori che hanno indagato l’eziologia del fenomeno sostengono che i livelli
e il controllo del peso (in età adulta, in infanzia e in adolescenza), possono essere considerati come una
funzione delle differenze individuali nelle tendenze comportamentali e nelle caratteristiche psicologiche
(vedi Chapman, 2009). Studi longitudinali hanno dimostrato che i tratti di personalità predicono
l’incremento nel Body Mass Index (BMI) durante lo sviluppo e nell’età adulta (Sutin et al., 2011).
Parallelamente, recenti studi sui tratti hanno evidenziato la possibilità di modificazioni nel tempo degli
stessi (Roberts et al., 2008). Al fine di indirizzare gli interventi delle agenzie educative si rende necessario
indagare, nella popolazione italiana infantile, le caratteristiche di personalità che maggiormente risultano
essere fattori protettivi di corretti comportamenti alimentari.
Scopo di questo contributo è indagare, in una popolazione italiana di bambini di V elementare, quali tra i
tratti di personalità abbiano maggiore influenza nel predire il BMI e le eventuali relazioni tra questi.
Alla ricerca hanno partecipato 238 bambini (54.6% maschi, 45,4% femmine, M=.45, S.D.=.50) di tutte le
regioni italiane (23.9% Nord, 31.9% Centro, 44.1% Sud, M=2.20, S.D.=.80). I tratti di personalità sono stati
analizzati attraverso la versione infantile a 65 items del Big Five (Big Five Questionnaire Children, Caprara
et al., 1993). Il BMI è stato misurato in forma etero-diretta e calcolato secondo standard attualmente validi
(National Center for Health Statistics, 2000). Per l’analisi delle relazioni fra tratti e BMI, sono state svolte
una serie di analisi di regressione gerarchiche. I risultati più significativi evidenziano effetti di moderazione
dell’apertura mentale sulla relazione tra la stabilità emotiva e il BMI. In particolare si può dire che, nei
bambini del nostro campione, il BMI è maggiore quando la stabilità emotiva è bassa ed è in relazione con
una bassa apertura mentale, mentre è inferiore quando la stabilità emotiva è alta ed è in relazione ad
un’alta apertura mentale.
105
Esempio di Nuove Tecnologie Applicate alla Prevenzione Primaria.
Il Progetto pilota del Dipartimento di Prevenzione e dal TMSREE della ASL Roma D
Claudio Fantini, Lorenzo Toni, Debora Vilasi, Pasquale Plateroti, Olinda Caccaro, Marco Iannacone,
Francesca Pontecorvo, Antonella Cimaglia
Dipartimento di Prevenzione e TSMREE ASL Roma D. Digitally different S.r.l.
[email protected]
I Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) comportano gravi problemi di apprendimento e numerose
ricadute negative sul benessere fisico, psicologico e sociale. Negli alunni con DSA che non ricevono
tempestivamente trattamento e strumenti compensativi richiesti dal loro sviluppo cognitivo, a causa
dell’insuccesso scolastico e delle difficoltà di integrazione, possono insorgere disturbi psicopatologici,
relazionali e comorbilità.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha incluso il benessere psicologico nel concetto di salute:
"gli individui devono avere la possibilità di sentirsi a proprio agio nelle circostanze che si trovano a vivere".
Secondo la definizione dell’OMS, infatti, il benessere psicologico è quello stato nel quale l'individuo è in
grado di sfruttare le sue capacità cognitive o emozionali per rispondere alle esigenze quotidiane della vita
di ogni giorno, stabilire relazioni soddisfacenti e mature con gli altri, adattandosi costruttivamente alle
condizioni esterne e ai conflitti interni.
ll progetto si propone di prevenire l’insorgenza di psicopatologie e comorbilità in alunni con DSA, fornendo
strumenti digitali compensativi e interventi di Promozione della salute.Il Dipartimento di Prevenzione in
collaborazione con il TSMREE del II Distretto Sanitario della Asl RomaD, ha messo a disposizione le attività
sperimentali dei propri Presidi Sanitari Scolastici presenti in 7 plessi di istruzione primaria e secondaria del
XIII Municipio, per intercettare fattori di rischio per il benessere psicologico in ragazzi con DSA e per
promuovere un intervento di rete scuola-famiglie-ASL. La ASL, con il supporto di uno sponsor privato senza
oneri aggiuntivi per la Pubblica amministrazione, ha fornito in comodato d’uso 270 tablet completi di
software specifici e con testi digitali. E’ stata effettuata formazione a tutti gli stakeholders sulle diverse
abilità di apprendimento dei DSA e sull’utilizzo degli strumenti compensativi digitali. Supportare questi
bambini in età scolare significa operare una concreta azione di prevenzione delle patologie secondarie e
permettere loro il successo scolastico e l’integrazione sociale. Il progetto avrà durata biennale.
106
SESSIONE H
MODELLI DI PREVENZIONE A SCUOLA
Coordinatrice: Elena Marta
PROGETTO TEENAGER: la condivisione di uno spazio ricreativo “non virtuale” tra preadolescenti
“difficili” quando il contesto attuale sembra essere dominato dai netlog e dalle nuove
tecnologie
Maria Negri*, Ilaria Minervini*, Patrizia Caucino*, Barbara Andreoli**, Stefania Zorzetto**
* Servizio Educazione e Promozione della Salute ULSS 13 - Mirano (VE); ** Istituto secondario di I grado
"Petrarca"- Borbiago (VE)
[email protected]
Da un lavoro di supervisione agli insegnanti di una delle scuole secondarie di 1° su situazioni “difficili” e
problematiche, lo scorso anno scolastico è nata l’idea di offrire uno spazio di condivisione a 10-15 studenti
di classe 1^ e 2^ che manifestavano difficoltà di vario genere: relazionali (scarsa socializzazione, tendenza
al protagonismo eccessiva, adultizzazione precoce, frequentazione di gruppi a rischio..), di apprendimento
(metodo di studio assente o inefficace, discontinuità, scarso rendimento..) e familiari (famiglie assenti,
ricostituite, multiproblematiche…).
Scopo del progetto era quello di offrire contemporaneamente a più ragazzi strumenti utili alla loro
crescita, rimotivando alunni con scarso interesse alla scuola o coinvolti in particolari situazioni di disagio, al
fine di favorire uno sviluppo armonico della loro personalità e prevenire quindi l’abbandono della scuola.
L’attività è iniziata alla fine dell’anno scolastico con cadenza bisettimanale (2 mattine) per un mese e
mezzo ed è poi ripresa col nuovo anno settimanalmente (un pomeriggio) presso il Centro Civico offerto dal
Comune di riferimento.
Si è costituito un gruppo di lavoro formato da operatori con diverse specificità che si sono a volte
avvicendati: una psicologa volontaria e una neuropsichiatra infantile co-conduttrici del gruppo, una
psicologa tirocinante, tre studenti universitari, tre studenti delle scuole superiori che avevano seguito
attività di “peer education”; agli incontri organizzativi partecipavano inoltre anche un’altra psicologa e due
insegnanti del gruppo di supervisione.
In questo spazio “non virtuale” i ragazzi hanno potuto conoscersi meglio e ritrovarsi nei problemi degli
altri, affrontare (anche grazie allo stimolo di alcuni film) tematiche di vario genere, come l’utilizzo delle
nuove tecnologie con i relativi pregi, ma anche con i limiti e rischi spesso sottovalutati alla loro età, la
diversità in ogni sua forma, i rapporti familiari, i loro progetti futuri.
Le varie attività sono state alternate ad altre più “scolastiche” come l’esecuzione dei compiti o il lavoro sul
metodo di studio e a momenti più ricreativi di gioco, uscite, merende, produzione di poster o di biglietti
augurali...
Anche se al momento non abbiamo a disposizione una valutazione quantitativa dei risultati ottenuti, un
parametro qualitativo a nostro parere importante è però quanto riferito dagli insegnanti riguardo le
variazioni dei risultati scolastici dei ragazzi, nella maggior parte dei casi migliorati unitamente ad una
crescita dal punto di vista relazionale.
Parimenti nel gruppo dei tutors, nonostante gli impegni di studio o lavorativi che a volte hanno limitato la
loro partecipazione, si devono segnalare riscontri positivi (maggior autostima ed autoefficacia, lavoro di
team..) che fanno ben sperare nella possibilità di poter continuare l’esperienza anche per il prossimo anno
scolastico, sperando in un maggior supporto dei Servizi Sociali del Comune interessato.
107
IL PROGETTO NESSUNO ESCLUSO - Una Ricerca-azione per la prevenzione della dispersione
scolastica, privilegiando la collaborazione e la condivisione della rete territoriale
Maddalena Marcanti, Sabrina Bonomi, Francesca Oppici
ACLI Provinciali di Verona
[email protected]
La dispersione scolastica è il processo attraverso cui si verificano ritardi, rallentamenti e uscite anticipate
dalla scuola, è l’insieme delle bocciature, delle ripetenze e degli abbandoni dello studente. Gli ambiti
coinvolti sono la famiglia in cui il ragazzo cresce e da cui apprende i valori; la scuola luogo deputato alla
crescita intellettuale e la società in cui vive e si relaziona. L’insuccesso scolastico, infatti, è vissuto con
sempre maggior apprensione dagli studenti perché collegato all’inserimento sociale. Alla scuola primaria i
bambini vivono le prime delusioni, così si va ad assottigliare il guscio protettivo con cui genitori e
insegnanti tutelano i bambini e che, con l’inizio della scuola secondaria, viene a mancare definitivamente.
Inoltre è presente la delusione dei genitori che vivono lo scarso rendimento dei figli come difficoltà ad
inserirsi nella società e progettare un futuro. Il figlio percepisce l’importanza dei suoi risultati a casa e
spesso considera la scuola causa del suo stato emotivo.
Il progetto “Nessuno Escluso” ha come obiettivi: combattere l’evasione scolastica, favorire lo sviluppo di
reti territoriali di collaborazione ed inclusione e supportare l’integrazione di bambini stranieri.
Materiali e Metodi: sono stati distribuiti 1400 questionari agli alunni e ai genitori delle classi di 5 scuole
medie inferiori di un quartiere del Comune di Verona, per identificare i bisogni sulla scuola e lo studio di
ragazzi e genitori.
In contemporanea si sono create reti di collaborazione con Comune (servizi sociali), Parrocchia, Scuola,
Associazioni per approfondire l’identità del quartiere, conoscere le realtà territoriali ed integrarsi ad esse,
creando una rete di condivisione e confronto e mantenendo le relazioni per tutta la durata del progetto.
L’attività di doposcuola è iniziata ad ottobre 2012; hanno partecipato 40 studenti della scuola primaria e
secondaria (età X=10anni). Si svolge due pomeriggi ed il sabato mattina, con 9 volontari, soprattutto di
scuole superiori e universitari, che possono fare un’esperienza formativa coordinati da una responsabile.
Obiettivo è aiutare nello svolgimento dei compiti, focalizzandosi sullo sviluppo dell’autostima del singolo
anche mediante la collaborazione tra pari, favorire la socializzazione tramite giochi di gruppo e laboratori,
sviluppare una relazione “sufficientemente buona” per divenire punto di riferimento per i ragazzi e per i
genitori, che con incontri sulla genitorialità o riunioni informative, acquisiscono strumenti utili a
partecipare attivamente alla vita scolastica dei propri figli.
Conclusioni: il primo anno di attività ha confermato che lavorare sviluppando una rete di collaborazione
tra realtà e professionisti diversi (associazioni, psicologi, assistenti sociali, insegnanti) è una risorsa
importante perché permette di essere sensibilizzati all’aiuto e alla cooperazione, per acquisire una
maggiore sicurezza e fiducia in sé.
108
“SCUOLA APERTA”: la storia continua
Laura Brusaterra*, Elena Bottignolo*, Luca Zini**, Michele Pellizzari***, Stefano Rigoni***
* Psicologa-Psicoterapeuta libero-professionista consulente per il Sert di Thiene (Vi); **educatore
professionale Sert di Thiene (Vi), coordinatore del progetto; ***Servizio Epidemiologico Ulss 4 “Alto
Vicentino”
[email protected]
Dal 2000, il progetto “Scuola Aperta” fa parte delle strategie di prevenzione alle dipendenze patologiche
nel territorio dell’Ulss 4 “Alto Vicentino”. E’ un’iniziativa rivolta alle scuole secondarie di primo grado e
nasce dalla collaborazione tra Servizio Pubblico e Privato Sociale in una sinergia che vede il coinvolgimento
del Sert dell’Ulss 4 “Alto Vicentino”, del Centro Vicentino di Solidarietà (Ce.I.S.), dell’Associazione “Il
Borgo” Onlus e della Comunità Terapeutica “Cà delle Ore”. Nel corso degli anni, il progetto ha visto vari
cambiamenti, tutti volti a migliorare il tipo di servizio offerto e a rispondere, di anno in anno, alle diverse
esigenze che il mondo della scuola ci portava. Durante questo ultimo anno scolastico (2012-2013), il
progetto si è così strutturato: Consulenza settimanale agli insegnanti, ai genitori e agli studenti (Punto
Scuola Aperta); ogni operatore era presente a scuola per 2 ore ogni settimana per consulenze individuali e
per concordare con gli insegnanti attività di prevenzione da proporre in classe; Strutturazione,
accompagnamento e monitoraggio di varie attività in classe su tematiche che gli insegnanti hanno
concordato man mano con gli operatori di Progetto. Il progetto prevede, inoltre, un percorso di
valutazione dell’efficacia: Obiettivo principale dell’indagine è lo studio delle differenze in termini di “fattori
protettivi” e consumo e sperimentazione di sostanze, tra un gruppo di ragazzi “a rischio”- segnalati come
“a rischio” di incorrere in problematiche legate alle dipendenze patologiche dai propri insegnanti
attraverso un questionario costruito “ad hoc” - e un gruppo di ragazzi considerati non a rischio (gruppo di
controllo); I dati sono raccolti tramite la somministrazione di un questionario pre-post agli alunni (a
Novembre e ad Aprile); I soggetti interessati sono i ragazzi della classe prima, seconda e terza; Età: 10-16
anni. Il presente lavoro mira a presentare alcuni dati relativi a questa nostra esperienza che rappresenta
un piccolo spaccato della nostra realtà di prevenzione che continua e che ha una rilevanza scientifica
significativa che ha permesso, in questi 13 anni, di dare continuità al Progetto. I fattori protettivi indagati
sono: Interesse verso lo studio (QSS, Santinello et al.1997), Autostima scolastica (QSS Santinello et al.,
1997), Capacità di coping (CIAO, Kiesner, 2003), Conflitto coi genitori (CASY, Metzler et al., 1998), Rapporto
coi pari (CASQ, Coping across situations questionnaire, Seiffge-Krenke, 1995), Rapporto con gli insegnanti,
(CASQ, Coping across situations questionnaire, Seiffge-Krenke, 1995), Senso di comunità a scuola (Scala di
Albanesi, Cicognani e Zani, 2002). Tutte queste variabili sono state, inoltre, correlate all’età e al fatto di
avere ricevuto- in seguito alla segnalazione- un intervento di tipo selettivo progettato e costruito
all’interno della consulenza settimanale del Punto Scuola Aperta.
109
Centri di Informazione e Consulenza (C.I.C.) – Un possibile modello per la prevenzione precoce
dell’uso di sostanze stupefacenti e l’abuso di alcol tra i giovani
Maurizio Gomma*, Giovanni Serpelloni**, Claudia Rimondo°, Giuliana Guadagnini ^
* Dipartimento delle Dipendenze, Azienda ULSS 20 Verona; ** Dipartimento Politiche Antidroga,
Presidenza del Consiglio dei Ministri; ° Coordinamento nazionale Progetto “Early detection”,
Dipartimento delle Dipendenze, Azienda ULSS 20 Verona; ^ Coor
[email protected]
L’uso di sostanze stupefacenti e l’abuso di alcol sono comportamenti ad alto rischio per la salute fisica e
mentale delle persone, soprattutto dei più giovani, il cui cervello è ancora in piena maturazione. Per alcuni,
tale uso può diventare una dipendenza con gravi conseguenze per se stesso, per la sua famiglia e per la
società. La tossicodipendenza infatti è una vera e propria malattia, anche se prevenibile, curabile e
guaribile, se diagnosticata precocemente. Pertanto, è indispensabile evitare l’uso di qualsiasi sostanza
psicoattiva, prevenire l’instaurarsi di una dipendenza ed individuare il più precocemente possibile i
comportamenti a rischio di uso di sostanze stupefacenti e/o di abuso alcolico. L’individuazione precoce di
una malattia, infatti, offre maggiori possibilità di cura, permette di attuare interventi più efficaci per
affrontarla e di assicurare un’immediata riduzione dei rischi per la salute e una migliore qualità di vita alla
persona e alla sua famiglia. Attualmente, trascorrono dai 6 agli 8 anni prima che un adolescente che fa uso
di sostanze stupefacenti e/o abuso di alcol venga in contatto con il servizio sanitario per iniziare le cure
appropriate. Più tempo trascorre, più la dipendenza risulterà resistente agli interventi di cura e alla
riabilitazione. Pertanto, è fondamentale adottare quanto prima interventi per una più precoce
identificazione del problema e agire per fermare la progressione dell’uso di sostanze verso la dipendenza.
Il Dipartimento delle Dipendenze Azienda ULSS 20, in collaborazione con il Dipartimento Politiche
Antidroga della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha attivato un nuovo modello di intervento per la
diagnosi e l’intervento precoce che ha coinvolto da vicino i Centri di Informazione e Consulenza (C.I.C.)
nelle scuole. Il nuovo modello è finalizzato primariamente all’identificazione precoce delle situazioni
individuali di vulnerabilità che comportano un aumento del rischio di uso di sostanze stupefacenti e/o
abuso alcolico, attraverso una forte collaborazione con gli insegnanti e le famiglie.
Il nuovo modello C.I.C. ha visto il coinvolgimento di circa 300 studenti in 5 mesi di attività. Il 18,5% di
questi è risultato fare uso di sostanze stupefacenti. Nel 2011, con il modello C.I.C. tradizionale, i soggetti
individuati erano stati solo l’1%. Alle famiglie sono stati offerti interventi mirati alla consapevolizzazione, al
counseling e al supporto educativo presso le strutture sanitarie pubbliche.
Il nuovo C.I.C. ha inoltre preso in considerazione problemi di altra natura che gli studenti possono avere
(disturbi dell’alimentazione, bullismo, violenza, abusi, ecc.). Dei casi presi in carico dai professionisti C.I.C.,
30 sono stati inviati al Dipartimento delle Dipendenze, 17 al servizio di Neuropsichiatria Infantile, 18 al
Consultorio e 7 ad altri servizi specialistici del territorio, sempre dell’ambito pubblico.
110
Diario della Salute. Percorsi di promozione del benessere tra i pre-adolescenti: progetto
nazionale CCM 2011
Laura Marinaro*,Antonella Ermacora**,Roberta Molinar **, Attilio Clerico*, Maria Teresa Revello***,
Daniela Galeone****
*ASL CN2 Alba-Bra; ** Eclectica; *** Regione Piemonte; ****Ministero della Salute
[email protected]
Il Progetto nazionale “Diario della Salute. Percorsi di promozione del benessere tra i pre-adolescenti”,
coordinato dall’ASL CN2 della Regione Piemonte nell’ambito delle attività promosse dal CCM-Ministero
della Salute, ha l’obiettivo di prevenire alcuni comportamenti a rischio che possono insorgere in
adolescenza e di promuovere il benessere dei pre-adolescenti. Al progetto partecipano unità operative
provenienti da 5 Regioni italiane: Piemonte, Veneto, Calabria, Puglia, Sicilia. I destinatari finali sono gli
studenti che frequentano il secondo anno di scuola secondaria di I grado; i destinatari intermedi sono gli
insegnanti e i genitori. Il progetto prevede l’implementazione nelle regioni coinvolte di un programma
strutturato incentrato su:
- potenziamento delle abilità cognitive e sociali (life-skills) necessarie ai pre-adolescenti per affrontare i
cambiamenti tipici della pubertà (ad esempio, le trasformazioni corporee, i cambiamenti nelle relazioni
con i pari e con gli adulti, gli sbalzi d’umore, la sperimentazione di emozioni nuove, ecc.) e per prevenire il
coinvolgimento nei comportamenti a rischio (ad esempio, consumo di alcol e sostanze, scorretta
alimentazione, uso pericoloso di internet, rapporti sessuali non protetti, ecc.);
- sviluppo della capacità degli insegnanti di utilizzare metodologie e tecniche didattiche-educative utili per
affrontare i temi connessi alla pre-adolescenza e per migliorare il clima e le dinamiche di classe;
- promozione della capacità dei genitori di comunicare in modo aperto ed efficace e di instaurare relazioni
positive con i figli preadolescenti.
Il progetto prevede le seguenti azioni:
1. formazione degli operatori socio-sanitari e degli insegnanti
2. distribuzione del materiale informativo-educativo a studenti e genitori
3. implementazione dell’intervento in classe da parte degli insegnanti
4. realizzazione di incontri tematici per i genitori da parte degli operatori socio-sanitari
5. monitoraggio delle azioni svolte e valutazione di gradimento
6. valutazione dell’intervento in classe con gruppo di intervento e di controllo
Il programma include un kit didattico:
- manuale per l’insegnante (Crescere liberi da dipendenze. Percorsi didattici per insegnanti)
- materiale informativo-educativo per pre-adoscenti (I ♥. Io scelgo per me)
- materiale informativo-educativo per genitori (Dalla parte dei genitori. Crescere insieme ai figli)
- blog dedicato (www.diariodellasalute.it)
Alcuni numeri: 1 corso di formazione per operatori sanitari per ciascuna regione partecipante, 125 gli
operatori sanitari formati che hanno organizzato a cascata complessivamente 17 corsi rivolti agli
insegnanti. Gli insegnati formati sono 191. L’intervento viene realizzato in 32 scuole e specificatamente in
78 classi prevedendo il coinvolgimento di 1.763 studenti.
111
SESSIONE I
EDUCARE ATTRAVERSO I NUOVI MEDIA
Coordinatore: Stefano Tartaglia
YOUNGLE un network nazionale di ascolto e aiuto ONLINE rivolto ad adolescenti e gestito da
adolescenti
Stefano Alemanno - Franca Francia
Regione Toscana, Società della Salute di Firenze, Regione Emilia-Romagna, Area Dipendenze, Direzione
generale Sanità e Politiche sociali
[email protected]
YOUNGLE un network nazionale di ascolto e aiuto rivolto ad adolescenti e gestito da adolescenti. Un
servizio pubblico gratuito su Facebook, Twitter, Google+ e YouTube. Uno spazio virtuale peer to peer
rivolto ad adolescenti e gestito da ragazzi under 20 con il supporto di psicologi, medici ed esperti di
comunicazione. Un “luogo” aperto e sempre in movimento dove poter soddisfare la voglia e il bisogno di
comunicare in modo immediato con gli altri, scambiarsi idee, risorse, emozioni, esperienze, raccontarsi e
parlare di sé, del proprio umore, dei propri dubbi e delle proprie passioni in un contesto accessibile,
interattivo e protetto.
Dove siamo. Il progetto “SOCIAL NET SKILLS “, promosso dalla Regione Toscana e finanziato da CCMMinistero della Salute, coinvolge 8 regioni (Toscana, Lombardia, Lazio, Emilia-Romagna, Puglia, Umbria,
Liguria, Campania) e prevede la realizzazione di piattaforme social in ognuna delle sedi del progetto. Ogni
regione aprirà e gestirà uno (o più) servizi online con proprie finalità e obiettivi (Firenze: affettività,
Savona: CIConline, Parma/Modena: sessualità, Forlì: immagini e multimedialità, San Severo: musica,
Reggio Emilia: sostanze, ecc.).
Cosa facciamo. Offriamo servizi di ascolto, aiuto e counseling on line agli adolescenti tramite chat, sms, email, skype, tramite la creazione di profili sui più comuni social network: Facebook, google+, Twitter. Un
servizio online due giorni la settimana con dieci under 20 che chattano con ragazzi under 20. Un aiuto
semplice ed efficace, basta diventare amici per avere a disposizione una chat line, un servizio email, un
telefono amico via skype. Oltre ad una pagina continuamente aggiornata su spazi eventi feste promozioni.
Tutti rigorosamente under 20.
Chi siamo. Ad oggi il network YOUNGLE, dopo 5 workshop di formazione per un totale di 10 giornate
formative (periodo ottobre/dicembre 2012: Savona/Firenze/Castellammare di Stabia/Foligno/Modena),
può contare su 97 peer formati, 33 operatori coinvolti, 13 province/comuni appartenenti a sei regioni che
con i loro servizi rappresentano la rete territoriale di riferimento. Al termine del progetto saranno online 8
profili facebook, e un sito web.
In ogni redazione a fianco dei peer è sempre presente un operatore senior (psicologo o educatore) in
grado di intervenire, offrire consulenze più approfondite e supportare adeguatamente i peer on e offline. I
nostri peer sono formati attraverso moduli specifici di formazione e approfondimento tenuti da personale
dei servizi pubblici, e utilizzano strumenti (tablet) forniti dal progetto per condurre al meglio le chat.
Perché YOUNGLE? Se cerchi di tradurmi non mi trovi semplicemente perché è una parola che abbiamo
inventato noi di YOUNGLE
YOUNG+ JUNGLE = perché la fuori la vita è una giungla e tante sono le tribù, amiche, ostili, ascoste.
http://www.facebook.com/youngle.it
YOUTUBE http://www.youtube.com/watch?v=vCg9pYQeWhQ&feature=youtu.be
112
Mobile addiction e prevenzione attraverso il gruppo dei pari
Gioacchino Lavanco*, Carolina Messina**, Floriana Romano*, Liana Arcuri***
*Dipartimento di Psicologia, Università di Palermo; ** Associazione Empowerment Sociale, Palermo;
***Associazione PuntoCom, Palermo
[email protected]
La dipendenza da telefono cellulare (sia nella comunicazione vocale, che nella gestione di sms, chat o
internet) sta diventando un problema sempre più diffuso, seppur gravemente sottovalutato, soprattutto
fra gli adolescenti (Walsh, White, Young, 2008). Gli effetti negativi sullo sviluppo adolescenziale, invece,
dovrebbero far mettere al centro delle strategie preventive percorsi di intervento psicologico ed
educativo.
La ricerca-intervento che presentiamo ha esaminato, da una lato, la correlazione fra fattori cognitivi (locus
of control) e fattori emotivi (disregolazione emotiva) nei casi di abuso nell’utilizzo di telefoni cellulari;
dall’altro, l’influenza del gruppo sia nello stimolare il comportamento di dipendenza, sia nel diventare
strumento di coping rispetto al comportamento regolativo.
La ricerca-intervento ha coinvolto 265 adolescenti siciliani (fra gli 11 e i 15 anni) attraverso l’utilizzo della
Scala del Locus of Control per adolescenti (Nowiicki, Strickland, 1973), una scala sulla mobile addiction
inspirata al Cius (Meerkerk et al., 2009), una scala sul controllo delle emozioni negative negli adolescenti –
in una prima fase; successivamente, in un percorso di peer group per l’acquisizione di comportamenti di
controllo dell’abuso.
Per l’analisi quantitativa sono stati adottati sia la statistica descrittiva, sia t-test, Anova, correlazione di
Pearson, regressioni multiple; per la valutazione del percorso di prevenzione il modello del peer group di
controllo.
I primi risultati confermano che la dipendenza da cellulare ha differenze significative fra ragazze e ragazzi,
infatti fra ragazze il rischio della dipendenza è più alto che fra i ragazzi; la regolazione emotiva, il locus of
control e la mobile addiction correlano fra loro; il locus of control e la regolazione emotiva sono fattori
protettivi nella riduzione del rischio di dipendenza da utilizzo del telefono cellulare.
Questi elementi hanno indirizzato il lavoro del peer group sia nell’esplorazione delle emozioni, sia
nell’acquisizione di consapevolezza sull’importanza della comunicazione face-to-face come fortemente
connotata da empatia e da emozioni positive, al contrario della comunicazione attraverso cellulare. A
conclusione del percorso si è delineato un modello di intervento in particolare riferito ad azioni educative
di prevenzione nel mondo della scuola, modello che si sta implementando attraverso la costruzione di
gruppi in diverse realtà, con un sistema di monitoraggio e valutazione mutuato dalla peer education
(Lavanco, Messina, 2011).
113
I bambini e le tecnologie digitali: Ricerca qualitativa tra gli alunni delle scuole primarie di primo
grado di Modena, Parma e Piacenza
Krzysztof Szadejko, Elena Coppelli, Daniela Rossetti, Alessandra Genziani, Chiara Vallini, Andrea Ascari
Centro Studi e Alta Formazione "Donald J. Ottenberg" di Modena
[email protected]
Introduzione. Dai più recenti studi effettuati sul territorio di Modena e provincia emerge che il fenomeno
dell’utilizzo degli apparecchi elettronici inizia già nei primi anni della vita; ciò suscita una certa
preoccupazione per la salute e per il sano sviluppo dei nostri bambini.
Metodo. La finalità della ricerca, effettuata nei mesi gennaio-aprile 2013, è stata quella di fornire un
quadro situazionale sull’uso delle nuove tecnologie da parte dei bambini in età tra 6 e 11 anni. Nello studio
sono state coinvolte 15 classi, 324 alunni (47,2% M e 52,8% F), delle Scuole Primarie di Primo Grado nelle
città di Modena, Parma e Piacenza. La raccolta dei dati prevedeva un approccio basato sulla Grounded
Theory e sui principi della ricerca qualitativa. Così sono stati effettuati 30 Focus Group (separatamente
maschi e femmine) per un totale di 24 ore e 18 min di registrazione audio. Durante l’analisi dei contenuti è
stato utilizzato il software MAXqda come supporto alla ricerca qualitativa secondo il metodo definito il
Computer Assisted Qualitative Data Analysis Software (CAQDAS). La decisione di utilizzare il software è
stata dettata dall’esigenza di rendere più rigorosa l’analisi dei dati.
Risultati. Da quanto è emerso dalla ricerca, nessuno degli strumenti tecnologici è di per sé pericoloso, lo è
il loro utilizzo senza moderazione e senza regole esplicite da parte dei genitori. L’assenza delle regole
sembra infatti l’elemento rilevante legato all’uso problematico di “nuove tecnologie” da parte dei bambini.
I bambini in media spendono circa 4 ore al giorno, in casi estremi superando 6 ore, soprattutto durante il
fine settimana. La stragrande maggioranza dei bambini ha la TV e altri dispositivi elettronici in camera, ciò
li espone al rischio di utilizzo problematico. Anche se sporadicamente, si è riscontrato tra i maschi delle
classi quinte il preoccupante uso di Internet per navigare tra i siti con contenuti espliciti. Alcune femmine
delle quarte e quinte hanno già il profilo Facebook giustificando il fatto con il desiderio di comunicare e di
creare una rete di amicizie. I maschi manifestano un maggiore interesse per i videogiochi rispetto alle
femmine, ciò li predispone piuttosto all’isolamento. Alcuni dei bambini delle classi seconde e terze hanno
riferito l’esperienza di incubi notturni legati ai videogiochi che gli hanno provocato i traumi emotivi.
Conclusioni. È impossibile ignorare l’affermarsi di una nuova mentalità tra i bambini dovuta in buona parte
alla presenza delle tecnologie digitali. L’ottica educativa non è affatto quella di impedire o proibire il loro
utilizzo, ma di promuovere una “buona comunicazione”, cioè quelle abilità che consentono di soddisfare
uno dei bisogni psicologici innati: la relazionalità, che dovrebbe essere soddisfatta sin dai primi anni della
vita dell’essere umano.
114
Contatto facebook: “Peer ASL NA 2 Nord”
Francescantonio Auletta , Pasquale Fallace, Maria Mazzarella, Vincenza Del Prete, Francesca Esposito
Azienda Sanitaria Locale Napoli 2 Nord
[email protected]
“Peer ASL NA 2 Nord” è il gruppo facebook di “servizio” dei peer delle scuole ISIS “Filangieri” di
Frattamaggiore e Liceo Polispecialistico “Gandhi” di Casoria in cui è stato realizzato il progetto
“L’educazione tra pari per la prevenzione delle Malattie Sessualmente Trasmissibili” nato nell’ambito del
programma Ministeriale Guadagnare Salute in Adolescenza.
FB è stato soppiantato da WathsApp: evoluzione dei sistemi di comunicazione tra i giovani… evoluzione
delle storie… a progetto concluso i peer hanno deciso di valorizzare il lavoro fatto e di proseguire
l’intervento anche nell’anno in corso. La descrizione del lavoro parte da tre attempati psicologi e un
infettivologo, tutti con esperienza di promozione della salute nelle scuole, un po’ Peter Pan che hanno
dato vita al primo nucleo del “gruppo di coordinamento” a cui si sono aggiunti tre insegnanti delle due
scuole. Insieme hanno realizzato:
- una formazione specifica di 16 insegnanti di scienze incaricati di svolgere le lezioni di “rinforzo”,
- il “reclutamento” di due gruppi di 15 aspiranti peer, uno per scuola, selezionati in 23 classi di seconda
incontrando circa 600 studenti,
- la formazione dei peer di circa 20 ore distribuite in otto incontri su tematiche inerenti la conoscenza delle
tecniche di comunicazione e di espressione, dell’animazione e dell’attivazione dei gruppi, la conoscenza
delle malattie a trasmissione sessuale e le tecniche di media-education per realizzare materiali interattivi
da utilizzare negli interventi in classe,
- 18 interventi di “ricaduta” svolti complessivamente dai peer lo scorso anno scolastico in altrettante classi
di seconda, seguiti da una lezione di approfondimento ad opera degli insegnanti di scienze formati
(ricaduta).
I numeri di quest’anno: Nell’anno in corso i Peer educator (ora peer senior) hanno condotto gli interventi
di reclutamento e collaborato attivamente alla formazione degli aspiranti peer di quest’anno:
- 550 studenti di seconda contattati. Anche quest’anno abbiamo registrato una massiccia adesione di
studenti che ci ha costretti ad introdurre dolorosi criteri di selezione per giungere, alla fine, ai due gruppi
da formare,
- due gruppi in formazione, uno di 20, l’altro di 16 studenti,
- 8 interventi di “ricaduta” nelle due scuole.
Alla stesura di questo abstract è alle battute finali la formazione dei nuovi peer. I progetti per il prossimo
anno scolastico dei Peer senior, ormai consapevoli e fieri del loro ruolo nella comunità scolastica, sono
quelli di affiancare agli interventi in classe e al nuovo reclutamento, l’istituzione e il presidio di uno
sportello di ascolto per accogliere come primo filtro le richieste di informazione e orientamento. Un grazie
alle nostre psicologhe tirocinanti, che hanno preziosamente coadiuvato soprattutto nella raccolta dati per
la valutazione prevista dal programma In Adolescenza, dati confluiti, elaborati e pubblicati dal
coordinamento nazionale del progetto (www.inadolescenza.it).
115
Tutoring, peer education e media education: l’esperienza all’ITIS “G. Chilesotti” di Thiene (VI)
Laura Brusaterra*, Luca Zini**
* Psicologa-Psicoterapeuta libero-professionista consulente per il Sert di Thiene-Vi; ** educatore
professionale Sert di Thiene-Vi, coordinatore del progetto
[email protected]
La peer education si basa sul principio che la partecipazione attiva dei giovani nei loro processi decisionali
incrementi in modo efficace il raggiungimento non solo degli obiettivi prefissati in quel progetto, ma anche
il controllo critico su altri aspetti della vita quotidiana. La media education costituisce il nuovo terreno di
sviluppo della peer education, andando così a convergere nella peer & video education, cioè un’attività di
progettazione, realizzazione e diffusione da parte di un gruppo di giovani (peer) di prodotti video finalizzati
alla prevenzione e destinati ad altri giovani. I progetti sviluppati in questa direzione hanno aperto la strada
alla sperimentazione, nell’ambito della prevenzione dei comportamenti a rischio, del video inteso,
innanzitutto, come strumento di lavoro per rendere più efficace la peer education. I risultati hanno
evidenziato: il rafforzamento della comunicazione orizzontale tra ragazzi, lo sviluppo di un approccio
critico ai media, il consolidamento dell’identità di gruppo attraverso l’esperienza collettiva della
progettazione e della produzione di video. La peer education, nell’idea iniziale di scambio emotivo ed
esperienziale tra pari, e in quella più innovativa di peer & video education, come applicazione di uno
sguardo critico e di co-costruzione di un prodotto multimediale, guarda all’adolescente non solo come una
risorsa attiva nella prevenzione ma anche come agente di promozione e animazione sociale. Partendo da
queste evidenze, da 6 anni l’ITT “G. Chilesotti” di Thiene (Vi) prevede al suo interno durante ogni anno
scolastico un servizio di tutoraggio e di peer education attraverso la media education così strutturato:
durante il mese di febbraio vengono selezionati nelle classi terze attraverso un questionario di autovalutazione ed etero-valutazione gli studenti che dal mese di marzo faranno un corso di formazione della
durata di 8 incontri da 2 ore, durante i quali si affronteranno tematiche legate alla capacità di ascolto, alla
comunicazione e alle abilità di tutoring degli studenti delle classi prime dell’ano scolastico successivo;
durante il mese di giugno avviene la preparazione delle attività di accoglienza degli studenti che
arriveranno nelle classi prime nell’anno scolastico successivo: si preparano attività di animazione sociale
che hanno come obiettivo la conoscenza reciproca, lo sviluppo dell’appartenenza al proprio gruppo classe,
il consolidamento di relazioni significative e lo sviluppo di un buon clima di classe; durante il mese di
settembre nella prima settimana di scuola gli studenti delle classi prime avranno come punto di
riferimento primario proprio i tutor formati nell’anno scolastico precedente; durante tutto l’anno
scolastico i tutor saranno presenti in classe per accompagnare gli studenti delle classi prime nelle
assemblee di classe e si renderanno disponibili al monitoraggio di eventuali situazioni critiche; durante i
mesi di febbraio e marzo i tutor proseguiranno la propria formazione iniziata l’anno precedente e
diventeranno dei peer educators: durante i mesi di aprile e maggio, infatti, entreranno nelle classi prime
per condurre degli incontri di informazione/formazione preventiva rispetto al rischio di dipendenza da
nuove tecnologie e da cannabinoidi; durante questi incontri viene utilizzata la media education.
116
SIMPOSIO
STRUMENTI E BEST PRACTICE DELLA PSICOLOGIA DI COMUNITÀ NELLA SCUOLA E NELLA COMUNITÀ
A cura di: Caterina Arcidiacono
La gestione della violenza domestica: lo psicologo come risorsa
I. Di Napoli, G. Borrelli
Università degli Studi Federico II, Napoli
Che cosa richiedono le donne vittime di violenza quando raccontano la loro storia? A chi si rivolgono e a
chi chiedono ascolto? La letteratura (Romito, 1999, 2000) offre uno sguardo a come i primi protagonisti
(operatori di servizi dedicati e non dedicati, dei pronto soccorso, della polizia di stato) incontrano le
vittime di violenza. Gli studi si concentrano in particolare sulle diverse e inadeguate modalità di
accoglienza che vengono in questo modo delineate: a) negazione del problema: b) rifiuto; e c) eccessiva
psichiatrizzazione.
Nella realtà napoletana un primo e innovativo studio è stato condotto su come i parroci accolgono le
vittime di violenza, che come testimoniano i dati raccolti, gli uomini di fede più che i medici di medicina
generale riferiscono di venire a conoscenza di molte storie di violenza domestica (Di Napoli, Aria,
Arcidiacono, & Tuccillo 2012). L’accoglienza della vittima vede come necessario integrare la funzione di
ascolto con la sua competenza di mediazione del conflitto coniugale prendendo in carico non solo la
vittima, ma, se necessario anche il marito violento non per ristabilire un vecchio equilibrio familiare, ma
eventualmente costruire una nuova relazione basata sul rispetto. Il parroco, invece, invita alla
rassegnazione e alla conciliazione della coppia, senza considerazione alcuna della violenza perpetrata. La
competenza di ascolto e di mediazione del conflitto del parroco in cosa si accomuna e in cosa si differenzia
rispetto alla competenza psicologica? Cosa cambia quando ad ascoltare c’è uno psicologo? E in cosa si
caratterizza il suo ascolto?
Il contributo vuole pensare nuovamente a come gli psicologi affrontano la violenza, a come se la
rappresentano e alle eventuali aree di un sapere specifico, ovvero quello “psicologico”.
Una prima riflessione sulle possibili differenze che uno spazio psicologico e uno spazio di ascolto offerto da
altre figure professionali rimanda alla gestione del tempo. Difatti il parroco, come evidenzia lo studio sopra
citato, usa un tempo immediato per ristabilire l’equilibrio familiare, e ancora altri studi (Arcidiacono, Di
Napoli, Tuccillo, Fiore, 2012) evidenziano come il medico di famiglia offre un tempo di ascolto stringato,
dietro la loro indisponibilità ricondotta alla numerosità degli assistiti, il contributo vuole entrare nello
specifico di come si configura la presa in carico della violenza da parte di uno psicologo di comunità.
117
Interazione scolastica e fotovoice
Caterina Arcidiacono
Università degli Studi di Napoli
[email protected]
Il contributo intende analizzare le competenze in termini di riflessività e monitoraggio espletate nel
supporto ad un intervento in una scuola superiore realizzato da due giovani psicologhe facendo uso di
fotovoice. Le giovani psicologhe hanno realizzato un percorso d’aula che invitava i ragazzi e le ragazze a
riflettere sui luoghi di vita evidenziandone i punti di forza e di problematicità. Un fotografo aiutava nel
formare all’uso dello strumento e alle sue potenzialità. Le foto raccolte e discusse in gruppo sono state
poi proposte alla intera platea scolastica, ai genitori e al corpo insegnanti. Il presente contributo non
intende descrivere le modalità di uso delle tecniche audiovisive quale strumento di interazione relazionale
e conoscenza sociale, quanto piuttosto focalizzare l’importanza della supervisione delle relazioni e degli
interventi da parte di una psicologa senior. Tale esperienza esplicita come nel lavoro di gruppo lo
psicologo ha specifiche competenze di se, dell’altro e della interazione che permettono di realizzare gli
interventi proposti.
In tal senso la riflessività e la conoscenza delle dinamiche di gruppo nella costruzione di processi interattivi
gruppali sono elementi fondanti che caratterizzano la qualità del processo divenendo garanzia di successo.
118
“La cultura di genere nelle scuole”: l’uso dello sceneggiato con adolescenti
Marina Esposito, Fortuna Procentese*
*Dipartimento di Studi Umanistici, Università degli Studi di Napoli, Federico II
Lo sceneggiato è una metodologia di ricerca-azione attraverso la quale le persone creano delle trame al
fine di attivare una riflessione sulla rappresentazione di uno specifico tema o problema (Francescato,
2001). Il coinvolgimento di adolescenti nei progetti che prevedono l’uso dello sceneggiato si fonda
sull’acquisizione di consapevolezza delle rappresentazioni e dei ruoli assunti in riferimento a specifici
contesti e tematiche. Il metodo consente di raffigurare anche le dinamiche relazionali entro le quali
nascono le attribuzioni di ruolo.
Nel corso dell'anno scolastico 2012-2013 è stato effettuato un intervento con 450 studenti del quarto
anno di nove Istituti di Scuola Superiore di Napoli e provincia, allo scopo di sensibilizzare e acquisire la
consapevolezza delle differenze di genere per comprenderne le ricadute sulle scelte formative e
lavorative.
Il progetto è stato svolto in rete con le istituzioni ed enti l’Assessorato alle Pari Opportunità
dell’Amministrazione provinciale di Napoli, la Consigliera di Pari Opportunità della Provincia, l’Aidda
Campania, le Organizzazioni Sindacali Cgil, Cisl, Uil di Napoli e il Dottorato di Studi di Genere della
Università Federico II.
Lo strumento utilizzato è lo sceneggiato volto a costruire un film sulle uguaglianze e le differenze tra
maschi e femmine, scegliendone: il genere (fantasia, commedia, documentario, tragedia..), il titolo, i
protagonisti, la trama e il finale.
L’utilizzo dello sceneggiato come strumento di intervento è servito ad esplorare vissuti e percezioni
rispetto alle tematiche emergenti, a rielaborarle mediante la restituzione in gruppo delle dimensioni
problematiche ad esse connesse, a delinearne l’impatto in termini di punti di forza e debolezza all’interno
delle relazioni significative.
In particolare il presente contributo intende illustrare le competenze utilizzate nella conduzione
dell'intervento psicologico in ambito educativo e il valore aggiunto che esse forniscono in termini di
prevenzione.
119
L’osservazione ecologica nella formazione di base dello psicologo
Filomena Tuccillo, Caterina Arcidiacono
Dipartimento di Studi Umanistici, Università degli Studi di Napoli Federico II
Il metodo osservativo originariamente era utilizzato dagli antropologi ma, oggi, nella maggior parte delle
figure professionali entra in gioco. Infatti, anche nell’ambito della formazione psicologica l’osservazione è
uno degli strumenti di base della competenza psicologica. A esso si fa ricorso in psicologia sociale,
psicologia dello sviluppo, nel modello psicoanalitico e lo studente della laurea triennale in Psicologia viene
formato a svolgere tale attività. Ma quale è la sua specificità? Spesso l’assunto dell’osservazione deve fare
i conti con la difficoltà di stabilire i confini netti e precisi tra chi osserva e chi è osservato alla luce del
modello di riferimento e della formazione del professionista osservatore. A tal proposito è stato svolto un
lavoro, suddiviso in due studi, il cui scopo era di indagare, a partire dai protocolli osservativi redatti da 106
studenti universitari del corso di Laurea Triennale in Scienze e Tecniche Psicologiche, le capacità
d’interagire nei contesti a partire dalle competenze che un futuro psicologo deve sviluppare attraverso
l’esercizio dell’osservazione. Analizzando ed interpretando si è cercato di ricavare, dal materiale
esaminato, nozioni e particolarità che contraddistinguono lo psicologo osservatore sul campo. Il materiale
testuale, che in un caso prevedeva una consegna “aperta” rispetto a un’osservazione ecologica in contesti
naturali, è stato esaminato con l’ausilio di ATLAS seguendo il modello teorico e la metodologia qualitativa
dell’Approccio Grounded Theory (GTM). In seguito, invece, è stata fatta una consegna più specifica osservazione del disagio mentale in un contesto locale - e i contenuti dei protocolli sono stati analizzati sia
con la GTM che con il software T-Lab, con il proposito di descrivere l’utilizzo del metodo sia in relazione
agli obiettivi del ricercatore sia in relazione alle indicazioni fornite dai cluster e dalle co-occorenze del
materiale testuale raccolto. L’esercizio dell’osservazione per psicologi in formazione si è rivelato uno
strumento finalizzato all’acquisizione di capacità riflessive rispetto a se stessi, agli altri, alle relazioni e al
contesto. Ha permesso, in particolare, di evidenziare le emozioni e le modalità di interazione.
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SESSIONE
“NUOVE E VECCHIE STRATEGIE DI PREVENZIONE”
Cordinatore: Massimo Santinello
La prevenzione del gioco d’azzardo patologico tra i giovani può diventare un… azzardo?
Daniela Capitanucci
Presidente Onorario di AND-Azzardo e Nuove Dipendenze; Membro del Direttivo di ALEA-Associazione
per lo studio del gioco d’azzardo e dei comportamenti a rischio
[email protected]
Scopo principale dell’intervento è mostrare come i programmi di prevenzione selettiva della dipendenza
da gioco d’azzardo tra i giovani siano stati realizzati in un contesto mediatico sfavorevole, in modo
disomogeneo, a volte al di fuori di linee guida basate su protocolli di efficacia validata.
Verranno analizzati quattro programmi preventivi messi a punto in Italia tra il 2006 e il 2011 da enti con
competenze, obiettivi e metodologie diverse.
Saranno presi in considerazione gli esiti di tali progetti attraverso i dati desunti da quanto pubblicato sia
sui siti web dei promotori sia su riviste scientifiche.
Verrà messo in luce come siano emerse notevoli differenze di efficacia tra i programmi indagati.
Si rifletterà su quanto l’orientamento dell’ente promotore sia rilevante ai fini della tipologia ed efficacia di
intervento attivato.
Verrà infine proposta una riflessione sulla necessità di affidare la prevenzione del gioco d’azzardo
patologico a enti qualificati nella materia, privi di conflitto di interessi, che usino metodi sperimentali
validati, basino i loro interventi su solide teorie di funzionamento psicologico codificate e si avvalgano
nella formulazione dei progetti delle più accreditate competenze scientifiche nell’ambito della prevenzione
del gioco patologico, con un occhio attento al contesto.
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Effective prevention strategies for preventing risky single occasion drinking (RSOD) during
adolescence
Emmanuel Kuntsche
Swiss Institute for the Prevention of Alcohol and Drug Problems, Research Department, Lausanne
[email protected]
Risky single occasion drinking (RSOD) is more common in late adolescence and early adulthood than in any
other period in life because this is the age when young people in Switzerland and many other European
countries are legally allowed to buy and drink alcohol but they usually do not yet have adult
responsibilities. Evidence from a literature review is presented demonstrating that (a) RSOD is by far most
common on Saturday evenings followed by Friday evenings usually because young people go out and do
not have any work or study responsibilities the next day; (b) RSOD results from drinking in private before
going out ('predrinking') and accelerating the pace of drinking (i.e. increasing the number of drinks
consumed per hour); (c) RSOD is often not accidental but purposeful, i.e. to seek excitement, to have fun
and to feel the effects of alcohol; (d) RSOD occurs predominantly outside the home, mostly in bars, pubs,
discos or at special events and festivals; (e) RSOD often results in intended and unintended injuries and
other acute consequences, which are leading risk factors for mortality and morbidity in this age group.
Effective prevention strategies should include attempts to reduce opportunities to engage in heavy
drinking as well as strategies to reduce its harmful consequences.
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Post-Modern Man and New Forms of Addiction
Mauro Croce
ASL 14 di Omegna, Verbania
[email protected]
È curioso osservare come, in una società che sempre più sta valorizzando l’autonomia dell’individuo, lo
svincolo dai legami sociali, l’appartenenza ad una comunità globale, insomma un’idea di uomo libero da
confini e limiti, sempre con maggiore evidenza si stiano diffondendo nuovi e crescenti comportamenti di
dipendenza. Oltre ai noti comportamenti di dipendenza da sostanze (ad es. eroina, alcol etc) si stanno
delineando forme dipendenza non da sostanze con rischi, comportamenti e costi sociali ed individuali del
tutto simili alle dipendenze da sostanze. Dall’uomo ludens, all’homo faber, ci troviamo ora di fronte
all’homo comsumptor e consuptus. Ovvero un individuo sempre più svincolato, lontano, insofferente,
disilluso e forse anche spaventato da “ogni legame di scopo, da ogni funzione sociale” ma che si illude
(sempre più consumatore e consunto) di trovare uno spazio di libertà, di scelta e di autodeterminazione
attraverso l’illusione di un accesso illimitato al possesso di cose. Un possesso illimitato che in verità
tradisce un sentimento insaziabile di mancanza. Se la fine dell’Ottocento ed il passaggio al Novecento ha
visto l’emergere di forme di patologia (si pensi ad esempio all’isteria) dovute ad un eccesso di rimozione,
di ritegno, alla carenza di soddisfazione degli istinti e dei desideri, l’avvento del nuovo millennio sembra
invece indicare una crescita preoccupante di “nuove” forme di patologia che - al contrario - si distinguono
per la loro incapacità di controllare gli impulsi. Il cambiamento sociale e psicopatologico è evidente: non ci
troviamo più – come poteva essere per l’isteria- di fronte alle problematiche legate all’eccesso di inibizione
ma, - al contrario- ad un “difetto” di inibizione. Questa “evoluzione” è certamente legata ad evidente
cambiamento degli imperativi della società nei confronti degli individui : al “contegno”, alla repressione
degli istinti richiesti il secolo scorso, si sostituisce oggi la necessità di consumare, di godere pienamente: di
prendere dei rischi”. Accanto infatti al crescere di fenomeni di dipendenza appaiono inoltre in aumento –
o quantomeno destano attenzioni e preoccupazioni – comportamenti di ricerca, incuranza o attrazione
verso il rischio che si presentano attraverso forme diverse: guida, velocità, disattenzioni, condotte sessuali,
sport estremi, etc. Comportamenti questi che, per taluni aspetti, fanno sospettare come il rischio, da
fisiologico momento di passaggio, necessario alla evoluzione di ogni individuo ed ogni comunità umana, si
stia invece trasformando per molti in rito di ricerca ed attribuzione di significato. Il rischio pertanto
diventa il luogo ove è possibile vivere emozioni, mettere in gioco la propria vita per ritrovarne forse il
senso e - attraverso lo sfiorare, l’incontrare la morte - luogo ove allo stesso tempo tale paura viene
esorcizzata e dove è possibile in un certo senso ri-nascere. Paradigmatica si dimostra tuttavia - come
evidenzia Alain Ehrenberg – quella che in apparenza potrebbe apparire l’altra faccia di questo quadro ma
in realtà ne è forse la tessitura ovvero il “successo della depressione” quale “fatica di essere se stessi”.
Due forze sembrano quindi contrapporsi: da un lato un desiderio ed un bisogno ambivalente di
aggrapparsi ad un “qualcosa” da cui dipendere, contrapposto ad un bisogno di fuggire, di sentirsi
autonomi, non dipendenti.
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Abstract Book - Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della