UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI PADOVA DIPARTIMENTO DI PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO E DELLA SOCIALIZZAZIONE IX CONVEGNO NAZIONALE LA PREVENZIONE NELLA SCUOLA E NELLA COMUNITÁ: “SMART COMMUNITY” 4 – 6 LUGLIO 2013 – PADOVA 1 RETE SCIENTIFICA Arcidiacono Caterina (Università degli Studi di Napoli), Bertini Mario (Università degli Studi di Roma), Branca Piergiulio (Libero professionista Padova), Celata Corrado (ASL Milano - Dipartimento Dipendenze), Cicognani Elvira (Università degli Studi di Bologna), Contesini Angela (Pisa), Croce Mauro (ASL 14 di Omegna, Verbania), De Piccoli Norma (Università degli Studi di Torino), De Vogli Roberto (University College London), Francescato Donata (Università degli Studi di Roma), Gamberini Luciano (Università degli Studi di Padova), Gelli Bianca Rosa (Università degli Studi di Lecce), Gelmi Giuseppina (ASL di Milano), Gini Gianluca (Università degli Studi di Padova), Lavanco Gioacchino (Università degli Studi di Palermo), Licciardello Orazio (Università degli Studi di Catania), Mannarini Terri (Università degli Studi di Lecce), Manetti Mara (Università degli Studi di Genova), Marta Elena (Università degli Studi di Milano), Martini Raffaello (Lucca), Meringolo Patrizia (Università degli Studi di Firenze), Mirandola Massimo (Verona), Petrillo Giovanna (Università degli Studi di Napoli), Prezza Miretta (Università degli Studi di Roma), Rossetto Lorenzo (Vicenza), Santinello Massimo (Università degli Studi di Padova), Scacchi Luca (Università degli Studi di Aosta), Signani Filvia (Università degli Studi di Ferrara), Trentin Rosanna (Università degli Studi di Padova),Vieno Alessio (Università degli Studi di Padova), Zani Bruna (Università degli Studi di Bologna), Zamperini Adriano (Università degli Studi di Padova). COORDINAMENTO SCIENTIFICO Santinello Massimo (Università degli Studi di Padova) PATROCINI Regione Veneto Comune di Padova Provincia di Padova Ministero della Salute Università degli Studi di Padova Facoltà di Psicologia Dipartimento di Psicologia Applicata Dipartimento di Psicologia Generale Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione Ordine degli Psicologi del Veneto SIPCO – Società di Psicologia di Comunità 2 INDICE GIOVEDÌ 4 LUGLIO 2013 SESSIONE “L’UTILIZZO DELLE NUOVE TECNOLOGIE PER LA PREVENZIONE AL BULLISMO” FearNot! the Bullies: Learning to Cope with Bullying in a Virtual Environment Maria Sapouna p. 14 Giocando sul serio: i videogiochi come laboratorio Matteo Cantamesse p. 15 Noncadiamointrappola! - Un intervento evidence-based per la prevenzione del bullismo e del cyberbullismo a scuola Ersilia Menesini p. 16 RUOLI PROFESSIONALI E FORMAZIONE DEGLI STUDENTI UNIVERISTARI p. 17 Potere di… “Comunicare in relazione”. L’efficacia di un modello di intervento nel sostenere il senso di potere personale degli studenti universitari Francesca Chieco, Claudia Marino p. 17 Apprendisti “in campo”: esperienza di tirocinio focalizzato su un intervento di prevenzione dentale Pasquale Fallace, Rosalba Capasso p. 18 Brasato con patate: progetto di educativa di strada con strumenti web 2.0 Emanuele Resmini, Sabrina Taverniti p. 19 Il lavoro nel tempo del precariato. Le rappresentazioni sociali di chi si forma ad essere formatore Loredana Varveri, Marianna Randazzo p. 20 Operatori dell'educazione e omosessualità. Pregiudizi sessuali e nuove esigenze formative Giuseppe Di Rienzo, Maria Garro p. 21 Salute, educazione alla salute e nuova identità professionale dell’infermiere Pasquale Fallace, Domenica Pagnano p. 22 p. 23 SESSIONI POSTER SESSIONE POSTER P1 SESSIONE POSTER P2 ALIMENTAZONE E PERCEZIONE DEL CORPO 3 Il rapporto fra i giovani e l’alimentazione: campagna LILT 2012-13 di educazione alla salute nelle scuole superiori di primo e di secondo grado Chiara Nicolini, Rosanna Trentin, Maria Cristina Gatto Rotondo, Chiara Cappetti p. 23 Frutta a scuola e in famiglia Stefania Tessari, Marina Casazza, Carlotta Vangelisti p. 24 Giovani e chirurgia estetica Teresa Fumusa p. 25 Prospettiva temporale, vulnerabilità percepita ed health locus of control negli adolescenti palermitani. Un contributo di ricerca e prospettive d’intervento sulla body art Consuelo Serio p. 26 “Impariamo di gusto” educazione alimentare a scuola Stefania Tessari, Marina Casazza, Carlotta Vangelisti p. 27 SCUOLA E PEER p. 28 Bisogni e richieste emergenti in una scuola a maggioranza multietnica: come favorire l'inclusione tra pari Rosita Giunti, Francesca Ammogli, Laura Remaschi p. 28 Il progetto Petali Nel Blu. Il teatro, una forma di prevenzione efficace per la dipendenza dall'alcol Fabrizia Modica p. 29 Ti racconto la mia salute promozione della salute degli adolescenti attraverso la peer & media education Laura Prosdocimo, Silvana Widmann, Luisa Conte, Angela Bonomi Castelli p. 30 Peer Leader in classe Maria Chiara Forcella, Paolo Zuccaro De Stefani, Maura Crippa p. 31 Peer education e università: Il Tutor Junior dell’Università di Padova Lorenza Da Re p. 32 “Gli alteranti” Claudia Colarusso, Paola Tomelleri, Andrea Saccani p. 33 HIV ALCOL SESSUALITÁ p. 34 “Scopri che bevitore sei”: specifici training online per promuovere una scelta responsabile nel consumo di alcol tra gli studenti Natale Canale, Valerio D’Amici p. 34 SESSIONE POSTER P3 SESSIONE POSTER P4 4 Il rapporto fra i giovani e l’alcol e l’educazione all’affettività e alla sessualità sicura: campagna p. LILT 2012-13 di educazione alla salute nelle scuole secondarie di primo e secondo grado Rosanna Trentin, Chiara Nicolini, Stefania Baldini 35 Adolescenza e qualità della vita Chiara Vallini, Federica Rinaldi, Daria Vellani, Krzysztof Szadejko p. 36 Idee giovani contro l’HIV. Un'esperienza di coinvolgimento ed empowerment dei giovani nella produzione di messaggi contro l'HIV, sul tema della promozione del test , in sinergia con la scuola Cosetta Ricci, Antonella Prencipe, Gastone Cantarini, Gianna Gordini p. 37 Progetto di educazione affettivo-sessuale in una scuola secondaria di primo grado Francesca Baggio, Irene Domenichini, Concetta Elia, Silvia Facci p. 38 Verso relazioni positive. Una cura contro lo stigma nei confronti delle persone che vivono con l'HIV. Formazione operatori sociali e sanitari Alessandro Cavassi, Cosetta Ricci, Silvia Bandini, Luca Negri, Paolo Fusaroli, Giuseppe Ballardini, Bianca Caruso, Cinzia Pozzetti, Vittorio Foschini p. 39 AUTONOMIA E INCLUSIONE p. 40 Re Mida: DSA verso l'autonomia Adelaide Carboni, Caterina Manni, Daria Vellani, Giulia Gibertini, Simona Franchini, Stefania Carboni p. 40 Esperienza di un operatore in alcune case famiglia romane: la vita degli ospiti Paola D’Atena, Carlo Pescosololido p. 41 Homeless biographies: narrative paths of shelter hosts Eleonora Bordon, Alice Quattrocchi, Mariselda Tessarolo p. 42 Vado a vivere da solo! L’applicazione della metodologia del Coach Familiare per realizzare il desiderio di una persona con disabilità acquisita Pietro Berti, Serena Cartocci, Davide Casto, Beatrice Mariani, Valeria Zoli p. 43 Progetto Senape: un programma per l'inclusione sociale di minori con disabilità motoria Annalisa Cerri, Francesca Tasselli, Sofia Banzatti p. 44 Gli effetti del contatto interno sul pregiudizio: un’indagine tra gli studenti delle scuole secondarie inferiori Erica Viola, Filippo Rutto, Cristina O. Mosso p. 45 Il progetto “La scuola a sostegno della cultura adottiva”. La famiglia e il minore adottato nelle parole delle insegnanti Simona Vitrano, Consuelo Serio p. 46 SESSIONE POSTER P5 5 SESSIONE POSTER P6 LA COMUNITÁ SI ORGANIZZA: VOLONTARIATO E CITTADINANZA ATTIVA p. 47 PROGETTO PIEDIBUS – bambini in movimento Adriana Pierdonà, Anna Brichese, Elena Ciot, Tiziana Menegon, Sandro Cinquetti p. 47 NaturalMente Ragazzi! Elisa Magnolo p. 48 Nuove forme di volontariato. Il volontariato occasionale nell’esperienza del Festivaletteratura di Mantova Anna Maria Meneghini, Paola Rossi, Diego Romaioli, Daniele Bottura p. 49 Anch'IO VINCO: percorsi esperienziali di Volontariato, INclusione, Cittadinanza e Opportunità di lavoro Chiara Vallini, Daria Vellani, Krzysztof Szadejko, Elisa Pighi, Andrea Ascari p. 50 La rete dei gruppi di cammino della provincia di Bergamo Paolo Brambilla, Giuliana Rocca, Alessandra Maffioletti, Giorgio Barbaglio p. 51 Dal gruppo di auto-mutuo-aiuto all’organizzazione condotta da utenti, una proposta di evoluzione della prospettiva di studio per i gruppi nella comunità locale Maria Angela Caputo, Nicolina Bosco, Fausto Petrini p. 52 La consulenza psicopedagogica diventa servizio per sviluppare comunità Claudia Turconi, Marta Bosi p. 53 LUOGHI, AMBIENTI E MOBILITÁ p. 54 Mentor UP: aiutiamo i ragazzi a crescere. Un progetto di Mentoring implementato dall’Università degli Studi di Padova Massimo Santinello, Marisa Bergamin, Chiara Verzeletti, Alessandro Agresti, Roberta Testa p. 54 A scuola su due ruote: un esempio di prevenzione partecipata Chiara De Vecchi, Valentina Del Grande p. 55 Indicazioni operative rivolte ai Dipartimenti: aspetti di pertinenza ASL in ambito V.A.S. (Valutazione ambientale strategica) legata agli strumenti di pianificazione urbanistica Giuseppina Rizzo, Carmen Dirita, Anna Gay, Bianca Nucci, Enrico Procopio, Valerio Vecchiè, Gianmartino Biollo p. 56 Photovoice: Il senso dei luoghi nel ciclo di vita: una ricerca longitudinale Giorgia Borrelli, Alessandra Chiurazzi p. 57 SESSIONE POSTER P7 6 p. 58 PREVENIRE L’OPPRESSIONE SOCIALE E LA VIOLENZA p. 59 I giovani di fronte all’abuso: Abbiamo Bisogno di Unanime Sostegno Giovanni Battista Modonutti, Luca Leon, F. Costantinides p. 59 Progetto Ipazia: Stalking e violenza alla donna Maria Chiara Forcella, Paolo Zuccaro De Stefani, Crippa Maura p. 60 Trattamento intensificato per sex offenders: gestione dei conflitti, abilità sociali e riduzione della recidiva Sara Signoretti, M. Ricci Messori, M. Vagni, D. Musso, A. Stronati, S. Piersanti, N. Buccioletti, V. Albertini, C. Birgolotti p. 61 La malattia mentale ed il malato di mente nelle opinioni e negli atteggiamenti degli studenti della Scuola Secondaria di 1° e 2° grado del Friuli Venezia Giulia e del Veneto orientale Giovanni Battista Modonutti p. 62 LO SVILUPPO E IL CAPITALE SOCIALE: TRA RICERCA E AZIONE p. 63 La partecipazione in adolescenza: sfide e risorse di una generazione in cambiamento Elena Marta, Daniela Marzana, Sara Alfieri, Maura Pozzi p. 63 Emozioni e disegno: presentazione di un progetto di ricerca e intervento che utilizza il “gruppo” in carcere T. Maiorano, Daniela M. Pajardi, E. Cannini p. 64 Transition Towns as a tool for community development. First results of qualitative analysis Anna Zoli, Barbara Pojaghi p. 65 Profili di comunità per progetti di comunità Giuseppe Errico, Angela La Torre p. 66 A scuola con il car pooling! – esempio di mobilità sostenibile Anna Brichese, Adriana Pierdonà, Tiziana Menegon, Sandro Cinquetti VENERDÌ 5 LUGLIO 2013 SESSIONI PARALLELE SESSIONE A SESSIONE B 7 Il genere come moderatore nella relazione tra senso di comunità e qualità di vita Norma De Piccoli, Chiara Rollero, Silvia Gattino p. 67 Senso di Comunità e Immigrazione: uno studio nella Zona Stazione di Reggio Emilia. Quali implicazioni per la convivenza? Irene Barbieri, Christopher Sonn, Bruna Zani p. 68 LEGAMI FAMILIARI p. 69 Childhood links: un modello di formazione su operatori sociali mediante e-learning blended C. Falsetti, T. Leo, I. Marinelli, D. Gangi, S. Greganti p. 69 Il “viaggio nel viaggio”: prima ricognizione nelle scuole primarie di Palermo per favorire l’inserimento scolastico del minore adottato Cinzia Novara, Valentina Petralia, Maria Garro p. 70 Accogliere la sfida di crescere un figlio con la sindrome di Down: una ricerca-intervento M. Pierantoni, Elena Marta, Paolo Guiddi, G. Aresi, P. Rebaudi, C. Cibra p. 71 La consulenza psicopedagogica diventa servizio per sviluppare comunità Claudia Turconi, Marta Bosi p. 72 Risorse da condividere. Progettare con le famiglie nella Tutela Minori Anna Lucia Carretta p. 73 Sensibilizzazione degli operatori alla cura del legame familiare nei casi di affido: un progetto europeo I. Marinelli, D. Gangi, D. Pajardi, S. Greganti, F. Cesaroni p. 74 LA PREVENZIONE DELL’USO DI ALCOL: TRA RICERCA E INTERVENTO p. 75 Binge drinking: rilevazione del fenomeno e attuazione di interventi preventivi nella scuola secondaria di secondo grado Michela Gatta, Marta Sisti, Lorenza Svanellini, Riccardo Fregna, Jessica Lai, Lisan Vellon, Marco Penzo, Pier Antonio Battistella p. 75 Binge drinking: motivazioni, influenza sociale e benessere psicologico Luca Scacchi, Francesca Cristini, Alessandro Gabbiadini, Giovanni Aresi p. 76 Il consumo di alcolici tra gli studenti universitari: bere come forma di socialità Stefano Tartaglia p. 77 TUTOR attività di prevenzione nel mondo del divertimento Andrea Saccani, Paola Tomelleri, Claudia Colarusso p. 78 SESSIONE C SESSIONE D 8 p. 79 OPPORTUNITÁ E RISCHI LEGATI AI NUOVI MEDIA p. 80 ComunicAttivi: un progetto di promozione dell’uso consapevole e corretto dei “nuovi media” Elena Ciot, Simona Galgani, Tiziana Menegon, Anna Brichese, Sandro Cinquetti p. 80 Bella senz’anima: prospettive di indagine e di intervento Cinzia Amoroso, Gioacchino Lavanco p. 81 Attenti ai prepotenti. Una ricerca sul bullismo e sul cyberbullismo nel territorio di Santarcangelo di Romagna Cinzia Albanesi, Elvira Cicognani p. 82 Il cyberbullismo… analizziamo le caratteristiche del fenomeno a 360° Giuliana Guadagnini, Christian Serpelloni, Erminia Contini, Alberto Boscagin, Vanessa Foletto p. 83 Contro il bullismo: risorse multimediali, testimonianze, networks Carmencita Serino, Alberto Antonacci p. 84 I social network tra diritto e alfabetizzazione Maria Morena Ragone p. 85 Smart City e Fondi di sviluppo urbano: esperienze internazionali a confronto e qualche riflessione sui meccanismi di finanziamento delle iniziative Edoardo Reviglio p. 86 Come comunicare le grandi infrastrutture alla città: il caso del parco progetto progettati da Santiago Calatrava per Reggio Emilia David Zilioli p. 87 La promozione del benessere territoriale nella periferia milanese: il quartiere San Siro Davide Boniforti p. 88 Engedered and Timing Smart City – La città intelligente attenta al determinante genere e all’armonizzazione dei tempi Fulvia Signani p. 89 “Rendiamo facili le scelte salutari”: la Progettazione Partecipata su alcol e stili di vita in 5 comuni dell'Azienda Ulss n. 4 Altovicentino Lucio Basso, Fabrizia Polo SESSIONE E SESSIONE “SMART COMMUNITIES: LE “COMUNITA’ INTELLIGENTI” CHE PROMUOVONO IL BENESSERE” 9 SESSIONE “I SISTEMI DI SORVEGLIANZA DELLA SALUTE E DEL BENESSERE COME STRUMENTO PER LA DEFINIZIONE DELLE POLITICHE A LIVELLO REGIONALE, NAZIONALE ED EUROPEO” p. 90 p. 91 I Minori Stranieri Non Accompagnati si raccontano con il Photovoice Marta Casarin, Massimo Santinello p. 92 Una riflessione critica sull’utilizzo del metodo Photovoice con adolescenti e giovani: punti di forza e limiti di una metodologia di ricerca-azione partecipata Daniela Caso, Fortuna Procentese p. 93 Comprendere il fenomeno migratorio attraverso il photovoice: quali criticità e quali possibili soluzioni? N. Rania, S. Rebora, P. Cardinali, L. Migliorini p. 94 La promozione del cambiamento e della partecipazione attraverso il Photovoice, indagine tra gli studenti italiani e rumeni Laura Remaschi, Patrizia Meringolo, Aliona Dronic, Ovidiu Gavrilovici p. 95 p. 96 La sorveglianza dei suicidi e dei disturbi mentali causati dalla crisi economica in sostegno a nuove politiche di protezione sociale Roberto De Vogli WORKSHOP WORKSHOP 2 EMPOWERMENT EVALUATION Stefano Gheno SIMPOSIO “LO STRUMENTO PHOTOVOICE: RIFLESSIONI SUL METODO A PARTIRE DA ESPERIENZE SVILUPPATE IN DIVERSI CONTESTI” WORKSHOP WORKSHOP 4 ARENE PARTECIPATIVE Angela Fedi, Terri Mannarini 10 SABATO 6 LUGLIO 2013 SESSIONI PARALLELE SESSIONE F IL RUOLO DEI CONTESTI NELLA PREVENZIONE DI DISAGIO E MARGINALITÀ p. 97 Come prevenire il disagio psicologico all’interno della scuola e delle comunità attraverso l’intervento di gruppo Vinanda Var p. 97 Integrazione scolastica e sociale di bambini e ragazzi sordi: creare legami tra famiglia, scuola e istituzioni Ettore De Angeli p. 98 “Far da sé”: una proposta per progettare l’autonomia abitativa della persona con disabilità psichica Luca Leon, Giovanni Battista Modonutti, S. Pontin p. 99 L’interazione multiculturale: esserci o non esserci? Rosaria Ferone, Maria D’Alisa, Andrea Capasso, Cristina Harrison, Gerarda Molinaro, Maria Femiano p. 100 Oppressione psicosociale in contesti ad alta presenza di criminalità organizzata. Un primo studio sulla realtà casertana del 1992 Fortuna Procentese, Alfredo Natale p. 101 LA PREVENZIONE DEI COMPORTAMENTI A RISCHIO NELLA SCUOLA E NELLA COMUNITÁ p. 102 Focus group per la prevenzione del consumo precoce di alcolici negli adolescenti: un’esperienza di ricerca-azione nelle scuole secondarie di II grado di Padova Michela Gatta, Cristina Gatto Rotondo, Jessica Lai, Marta Sisti, Lorenza Svanellini, Riccardo Fregna, Lucia Ronconi, Maurizio Salis, Emilia Ferruzza p. 102 La prevenzione dell’HIV/AIDS con donne e giovani: indicazioni dalla valutazione della campagna comunicativa Ministeriale 2012-13 Davide Mazzoni, Gabriele Prati, Elvira Cicognani, Cinzia Albanesi, Luca Pietrantoni, Bruna Zani p. 103 Azzardo: adolescenti e orientamento valoriale Loredana Varveri p. 104 Prevenire obesità e sovrappeso: che ruolo hanno le caratteristiche di personalità? Manuela Tomai, Veronica Rosa, Minou Ella Mebane, Maura Benedetti, Donata Francescato p. 105 Esempio di Nuove Tecnologie Applicate alla Prevenzione Primaria. Il Progetto pilota del Dipartimento di Prevenzione e dal TMSREE della ASL Roma D Claudio Fantini, Lorenzo Toni, Debora Vilasi, Pasquale Plateroti, Olinda Caccaro, Marco Iannacone, Francesca Pontecorvo, Antonella Cimaglia p. 106 SESSIONE G 11 SESSIONE H p. 107 PROGETTO TEENAGER: la condivisione di uno spazio ricreativo “non virtuale” tra preadolescenti p. “difficili” quando il contesto attuale sembra essere dominato dai netlog e dalle nuove tecnologie Maria Negri, Ilaria Minervini, Patrizia Caucino, Barbara Andreoli, Stefania Zorzetto 107 IL PROGETTO NESSUNO ESCLUSO - Una Ricerca-azione per la prevenzione della dispersione scolastica, privilegiando la collaborazione e la condivisione della rete territoriale Maddalena Marcanti, Sabrina Bonomi, Francesca Oppici p. 108 “SCUOLA APERTA”: la storia continua Laura Brusaterra, Elena Bottignolo, Luca Zini, Michele Pellizzari, Stefano Rigoni p. 109 Centri di Informazione e Consulenza (C.I.C.) – Un possibile modello per la prevenzione precoce dell’uso di sostanze stupefacenti e l’abuso di alcol tra i giovani Maurizio Gomma, Giovanni Serpelloni, Claudia Rimondo, Giuliana Guadagnini p. 110 Diario della Salute. Percorsi di promozione del benessere tra i pre-adolescenti: progetto nazionale CCM 2011 Laura Marinaro, Antonella Ermacora, Roberta Molinar, Attilio Clerico, Maria Teresa Revello, Daniela Galeone p. 111 EDUCARE ATTRAVERSO I NUOVI MEDIA p. 112 YOUNGLE un network nazionale di ascolto e aiuto ONLINE rivolto ad adolescenti e gestito da adolescenti Stefano Alemanno, Franca Francia p. 112 Mobile addiction e prevenzione attraverso il gruppo dei pari Gioacchino Lavanco, Carolina Messina, Floriana Romano, Liana Arcuri p. 113 I bambini e le tecnologie digitali: Ricerca qualitativa tra gli alunni delle scuole primarie di primo grado di Modena, Parma e Piacenza Krzysztof Szadejko, Elena Coppelli, Daniela Rossetti, Alessandra Genziani, Chiara Vallini, Andrea Ascari p. 114 Contatto facebook: “Peer ASL NA 2 Nord” Francescantonio Auletta, Pasquale Fallace, Maria Mazzarella, Vincenza Del Prete, Francesca Esposito p. 115 Tutoring, peer education e media education: l’esperienza all’ITIS “G. Chilesotti” di Thiene (VI) Laura Brusaterra, Luca Zini p. 116 MODELLI DI PREVENZIONE E SCUOLA SESSIONE I 12 SIMPOSIO “STRUMENTI E BEST PRACTICE DELLA PSICOLOGIA DI COMUNITÀ NELLA SCUOLA E NELLA COMUNITÀ ” La gestione della violenza domestica: lo psicologo come risorsa I. Di Napoli, G. Borrelli p. 117 Interazione scolastica e fotovoice Caterina Arcidiacono p. 118 “La cultura di genere nelle scuole”: l’uso dello sceneggiato con adolescenti Marina Esposito, Fortuna Procentese p. 119 L’osservazione ecologica nella formazione di base dello psicologo Filomena Tuccillo, Caterina Arcidiacono p. 120 La prevenzione del gioco d’azzardo patologico tra i giovani può diventare un… azzardo? Daniela Capitanucci p. 121 Effective prevention strategies for preventing risky single occasion drinking (RSOD) during adolescence Emmanuel Kuntsche p. 122 Post-Modern Man and New Forms of Addiction Mauro Croce p. 123 SESSIONE “NUOVE E VECCHIE STRATEGIE DI PREVENZIONE” 13 GIOVEDÌ 4 LUGLIO 2013 SESSIONE “L’UTILIZZO DELLE NUOVE TECNOLOGIE PER LA PREVENZIONE AL BULLISMO” Coordinatore: Gianluca Gini, Università degli Studi di Padova FearNot! the Bullies: Learning to Cope with Bullying in a Virtual Environment Dr Maria Sapouna and Professor Dieter Wolke University of Central Lancashire [email protected] There has been a plethora of anti-bullying interventions in recent years with rather mixed results. At the same time, there is growing international evidence that bullying can have negative long-term consequences in all spheres of life including mental health and social relationships. Here I will introduce FearNot!, the first ever virtual learning intervention designed to reduce bullying victimisation in primary schools. In the virtual world of FearNot!, students get the opportunity to experience first-hand how hurtful bullying can be for victims and how outsiders can support victims. Students are no longer passive onlookers of bullying. They are, instead, invited to befriend the virtual victims and advise them on what to do to stop bullying. Thanks to its innovative technology, FearNot! allows students to witness whether the advice they gave to John and Frances (the virtual victims) worked for them or not. We tested the intervention in 27 primary schools in the UK and Germany using a robust controlled trial design and found that FearNot! can help victimised children escape bullying, at least in the short-term. I will discuss some of the mechanisms that may be involved in this transformation but also some of the limitations in the design and implementation of FearNot! that may have prevented this highly innovative educational game from reaching its full potential. Finally, wider conclusions will be drawn regarding the design of future antibullying interventions intended to foster resilience to bullying. 14 Giocando sul serio: i videogiochi come laboratorio Matteo Cantamesse AESVI (Associazione Editori Sviluppatori Videogiochi Italiani) [email protected] I videogiochi possono essere considerati, secondo J. Blascovich, come ambienti di sperimentazione in senso psicologico e psicosociale. La loro natura digitale, controllata, replicabile ma al contempo immersiva e coinvolgente rende infatti possibile l'emergenza di comportamenti naturali e reazioni spontanee, creando esperienze dense di significati. Nell'intervento verranno presentati i risultati di una ricerca focalizzata sulle dinamiche sociali in contesti videoludici, il cui obiettivo ultimo era indagare il ruolo degli ambienti virtuali, e più specificatamente dei MMORPG, a supporto delle dinamiche relazionali nel contesto sociale degli adolescenti. 15 Noncadiamointrappola! - Un intervento evidence-based per la prevenzione del bullismo e del cyberbullismo a scuola Ersilia Menesini Università degli Studi di Firenze [email protected] L’obiettivo del presente lavoro è descrivere e valutare un modello di intervento basato su peer education – peer support, realizzato in alcune scuole secondarie di secondo grado della Toscana e volto a prevenire e contrastare il bullismo e il cyberbullismo: il progetto Noncadiamointrappola 3a edizione (a.s. 2011-2012). L’intervento è strutturato, durante l’anno scolastico, in diverse fasi che vedono il coinvolgimento attivo di alcuni studenti in ogni classe (peer educators): essi diventano gli agenti di cambiamento, portando avanti attività faccia a faccia con i loro compagni, e attività online sul sito web e sulla pagina facebook del progetto, interagendo così anche con studenti di altre scuole. Il progetto è nato nel 2008 e si è modificato e arricchito ogni anno di nuovi componenti (Menesini, Nocentini, 2011, Palladino, Nocentini, Menesini, 2012). In particolare, nella 3a edizione abbiamo mantenuto lo stesso approccio con l’aggiunta del coinvolgimento del corpo docenti e di una maggior strutturazione delle attività in classe portate avanti dai peer educators. Hanno partecipato al progetto 29 classi sperimentali (N=675) e 12 classi di controllo (N=271) appaiate per tipologia di scuola e indirizzo. Le stesse variabili (bullismo, vittimizzazione, cyberbullismo e cybervittimizzazione) sono state indagate all’inizio, a metà e alla fine dell’intervento. Dalle analisi condotte emerge nel gruppo sperimentale una riduzione significativa dei fenomeni – bullismo, vittimizzazione, cyberbullismo e cybervittimizzazione -, mentre nel gruppo di controllo non si evidenziano cambiamenti significativi nel tempo. 16 SESSIONI POSTER SESSIONE POSTER P1 RUOLI PROFESSIONALI E FORMAZIONE DEGLI STUDENTI UNIVERISTARI Coordinatore: Fausto Petrini Potere di… “Comunicare in relazione”. L’efficacia di un modello di intervento nel sostenere il senso di potere personale degli studenti universitari. Francesca Chieco, Marino Claudia SERVIZIO D’ASSISTENZA PSICOLOGICA – BENESSERE SENZA RISCHIO (SAP BSR) Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione, Università degli studi di Padova [email protected] Il Servizio d’Assistenza Psicologica – Benessere Senza Rischio (SAP BSR) rivolto agli studenti universitari dell’Ateneo di Padova eroga gratuitamente iniziative volte alla promozione del benessere e alla riduzione del rischio connesso alla salute. Per affrontare la fluidità e la complessità della vita sociale, in tempi attuali, sembrano necessarie competenze nuove che possano aiutare le persone ad avere un maggiore controllo sulle proprie condizioni di benessere. In tal senso, sembrano utili interventi e servizi psicologici che enfatizzino la natura sociale delle relazioni e che prevedano strategie in grado di incidere sui diversi contesti. Da qui l’importanza di prevedere azioni che siano in grado, da una parte, di impattare il contesto di appartenenza in modo nuovo (Culkin e Mallick, 2010) e dall’altra di sostenere nel singolo la possibilità di realizzare il proprio potenziale, accrescendo le sue competenze, le sue abilità sociali per vivere e agire“con” e “per” le relazioni interpersonali. In tale ambito si inseriscono gli interventi di promozione del benessere volti a favorire l’acquisizione e il rafforzamento delle abilità sociali (social skills), quali le capacità comunicative e di relazione. L’importanza dell’adozione di questo tipo di interventi è evidenziata, nel panorama scientifico internazionale, per le sue connessioni con il self empowerment (Pastor, 1996; Stainer, 1997; Zimmerman, Warschausky, 1998). Il modello di training “Comunicare in relazione” è stato promosso dal Servizio SAP BSR per favorire, tra gli studenti, lo sviluppo e il rafforzamento delle competenze personali spendibili nell’ affrontare la vita sociale e relazionale in maniera più adattiva, in particolare dal punto di vista della comunicazione. Tale modello è stato sottoposto a verifica per valutarne la reale efficacia nel produrre un cambiamento nel senso di potere personale percepito (self empowerment). I risultati evidenziano l’efficacia del modello nel produrre cambiamenti significativi in variabili determinanti per il benessere individuale, quale il self empowerment; confermando quanto sostenuto in letteratura. Tale tipo di intervento si colloca appieno nel contesto di quelli che si possono definire nuovi strumenti necessari per rispondere ai bisogni di benessere emergenti nella società attuale, caratterizzata dal senso di sfiducia e impotenza degli individui. Il movimento è nella direzione di far acquisire a ciascun individuo il potere sulla gestione della propria vita, chiave per il potenziamento individuale (“potere di”) e delle proprie relazioni (“potere con”). Infine, tale lavoro rappresenta una conferma empirica promettente rispetto all’utilizzo degli interventi di natura selettiva o indicata (Institute of Medicine, 1994) nel loro declinarsi in azioni efficaci di sostegno e promozione del benessere, che vedono le persone stesse protagoniste. 17 Apprendisti “in campo”: esperienza di tirocinio focalizzato su un intervento di prevenzione dentale Pasquale Fallace*, Rosalba Capasso** *ASL NA 2 Nord – Struttura Semplice di Educazione alla Salute **Scuola Primaria “G. Mazzini” Frattamaggiore (NA) [email protected] Il lavoro descrive una modalità, forse inedita, di svolgimento di tirocinio post-laurea specialistica per l’accesso all’esame di Stato di Psicologo, presso la Struttura di Educazione alla Salute dell’ASL NA 2 Nord e, parallelamente, la realizzazione del progetto di prevenzione dentale “Identikit” in una scuola primaria. Il tirocinio La singolarità del percorso sta nel fatto che l’esperienza complessiva nasce dall’esigenza di contemperare la pianificazione degli obiettivi, dei tempi e delle attività su cui incentrare il tirocinio, alla condizione della tirocinante, insegnante in una scuola primaria e quindi lavoratrice impegnata tutti i giorni a scuola. Considerata la mission della struttura di afferenza, il tirocinio si è posto come programma di apprendimento l’approfondimento di teorie, strumenti e metodi per la promozione alla salute nell’ottica dell’empowerment e delle teorie ad esso sottese. Tali contenuti generali, calati nello specifico operativo, hanno indirizzato a scegliere un’attività finalizzata all’acquisizione di competenze alla progettazione, secondo una tassonomia metodologicamente corretta, e all’apprendimento sul campo di specifiche metodologie di azione attraverso l’applicazione delle stesse nella realizzazione di un intervento. Il lavoro si è svolto in massima parte con una modalità di supervisione indiretta delle attività in classe e di costante confronto per le valutazioni in itinere, ponendo al centro il percorso formativo del tirocinante. Il progetto È stato adottato il progetto “Identikit: Progetto di prevenzione in materia di salute orale mediante educazione sanitaria nelle scuole elementari”, del Progetto Scuola e Salute, programma “Guadagnare Salute, Rendere facili le scelte salutari” (Prot. Int. 5/01/2007 fra Min. Salute e Min. Istruzione). Un kit ricco di materiali e percorsi predisposti, coinvolge i bambini in un percorso per educare a corretti stili di vita. È condotto dagli insegnanti, poiché è dimostrato che i programmi di promozione della salute sono più efficaci se condotti dagli insegnanti. All’interno dell’articolata offerta del kit, sono state selezionate le azioni implementabili nell’arco di durata del tirocinio, adatte alla fascia di età e realizzabili nella normale programmazione settimanale delle attività di classe della tirocinante. Il lavoro si è svolto in una prima elementare, con 25 bambini di 6/7 anni. Sono state privilegiate attività didattiche favorenti il coinvolgimento attivo (learning by doing), la collaborazione (cooperative learning e peer education), il confronto e il rispetto di diversità (multi ed interculturale education). Sono stati messi in atto intrecci tra comunicazione orale di storie, favole, leggende e espressione musicale e mimico-gestuale con canzoncine, giochi e drammatizzazioni. Nonostante l’età, inoltre, non è stata trascurabile l’espressione informatica con l’uso del pc per video giochi, immagini digitali fotografiche e filmiche. 18 Brasato con patate: progetto di educativa di strada con strumenti web 2.0 Emanuele Resmini, Sabrina Taverniti Giostra Cooperativa Sociale csarl P.zza de Angeli 9, Milano [email protected] L’educativa di strada ha come fulcro il “movimento degli operatori verso i ragazzi”: è l’équipe di educatori ad attivarsi in prima persona per andare verso i giovani, sia intercettando gruppi informali che si riuniscono per strada, sia rivolgendosi a gruppi formali più strutturati, attraverso strumenti flessibili che vengono tarati di volta in volta in base al gruppo. Per istaurare un’autentica relazione con gli adolescenti l’operatore di strada deve mettere in moto un movimento di avvicinamento rispettoso verso gli stessi, verso i loro luoghi, i loro linguaggi, il loro sentire e percepire la realtà e se stessi. Per questo motivo non si può ignorare quel fenomeno che, ormai da qualche anno, è diventato parte integrante della loro vita, condizionandone il modo di comunicare e di pensare: l’avvento del social-network. Il diffondersi inarrestabile dei “Social” sta cambiando il modo di comunicare e di relazionarsi, al punto che una strategia di comunicazione efficace non può prescindere dalla presenza su siti come Facebook. Gli adolescenti a cui ci rivolgiamo si possono a buon titolo apostrofare “nativi digitali”: essi non usano la “rete”, la vivono. I social network offrono agli amici uno spazio dove mantenere le relazioni, chattare gli uni con gli altri e condividere molte cose. Regalano loro la possibilità di costruire nuove relazioni in modo facile ed immediato. I ragazzi costruiscono la loro “identità” virtuale attraverso il social, che diventa uno specchio in cui vedere riflessi i propri pensieri, le proprie immagini, la proprie azioni. Questo specchio, a differenza del vecchio diario segreto, è uno specchio pubblico, esposto agli sguardi di tutti gli “abitanti” della rete. Tutto ciò non può non avere effetti nella vita reale dei ragazzi, con ricadute sull’identità personale, famigliare e sociale. Da qui l’importanza che ci siano, anche sul web, degli adulti significativi che parlino con gli adolescenti nella rete, della rete e del mondo fisico. Se l’educativa di strada è raggiungere i giovani nei loro luoghi abituali di ritrovo, oggi è impossibile non considerare il web. Sulla base di queste considerazioni dal 2010 è attivo in due Comuni del sud ovest milanese un progetto di educativa di strada che utilizza come strumento di supporto al lavoro svolto nei servizi un profilo Facebook ad hoc: “Brasato con patate”. Gli obiettivi generali che gli operatori intendono perseguire attraverso l’utilizzo di questo strumento si possono racchiudere in tre macro-aree: monitoraggio; informazione; supporto educativo. La riflessione che è nata dall’esperienza tutt’ora in corso, alla luce dei risultati fino ad ora ottenuti, porta gli educatori ad affermare che la comunicazione mediata può diventare uno strumento in grado di facilitare il lavoro educativo con gli adolescenti. Il social network, inserito nel setting educativo, rappresenta uno “spazio intermedio” e protetto in cui proseguire la relazione istaurata nel mondo reale con i ragazzi. 19 Il lavoro nel tempo del precariato. Le rappresentazioni sociali di chi si forma ad essere formatore Loredana Varveri, Marianna Randazzo Università degli Studi di Palermo [email protected] Introduzione. Nel tempo del precariato e dell'incertezza, nel quale scarseggia la speranza per il futuro, anche per chi domani sarà un formatore emerge la necessità di prendere consapevolezza degli eventi e di riflettere circa la propria motivazione al cambiamento. La ricerca effettuata vuole essere un momento di riflessione sui bisogni che gli studenti della facoltà di Scienze delle Formazione dell'Ateneo di Palermo avvertono nel loro percorso universitario, ma soprattutto, un’analisi delle rappresentazioni sociali che essi posseggono riguardo al proprio futuro ruolo professionale. Metodologia della ricerca. Il contributo di ricerca, realizzato in collaborazione alla Cattedra di Psicologia di comunità dell’Università di Palermo, ha coinvolto 50 studenti scelti casualmente tra gli iscritti ai corsi di laurea magistrale in Scienze della Formazione continua, di laurea specialistica in Formazione degli adulti e ai neo laureati degli stessi corsi nell'A.A. 2010-2011. È stato utilizzato il metodo qualitativo. La tecnica d’indagine utilizzata per la raccolta delle dichiarazioni verbali è stato il questionario. I dati sono stati trascritti e analizzati attraverso l’ausilio del software Atlas.ti. Analisi dei dati. È stato utilizzato il metodo carta e matita. I dati sono stati codificati e poi classificati in quattro macro-categorie: il lavoro oggi; influenza della crisi economica sul proprio futuro lavorativo (e proposte di soluzione); consapevolezza del proprio ruolo professionale di formatore; grado di soddisfazione rispetto alla proposta didattica del proprio piano di studi. Analizzando i dati emerge che il lavoro è prevalentemente associato alla precarietà e all'incertezza, all'assenza di speranza, alla difficoltà e all'illusione legate, prevalentemente, alla crisi e ad una cattiva gestione politico-amministrativa sia a livello regionale che nazionale. Le aspettative rispetto alla figura professionale del formatore vengono descritte prevalentemente da aggettivi quali «appagante», «creativo», «entusiasmante» e «libero». I dati relativi alla soddisfazione sulla proposta didattica suggeriscono una maggiore traduzione della teoria in esperienze pratiche e piani di studio attenti alla trasmissione di maggiori competenze progettuali. Discussione. Dai risultati prodotti dalla ricerca emerge che il lavoro sembra essere collocato quasi esclusivamente in una dimensione negativa. La formazione, comunque, è considerata un lavoro appagante, creativo e libero. Gli elementi emersi dai dati, inoltre, hanno fornito informazioni utili a possibili proposte di modifica dei piani di studio a favore di competenze progettuali e pratiche migliori. Hanno, anche, offerto suggerimenti su una maggiore collaborazione tra università, politica e mondo del lavoro, con l'obiettivo di creare professionisti competenti e motivati, capaci di interpretare responsabilmente e creativamente i segni del presente, per imparare a progettare il futuro. 20 Operatori dell'educazione e omosessualità. Pregiudizi sessuali e nuove esigenze formative Giuseppe Di Rienzo, Maria Garro Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Palermo [email protected] L'evoluzione del pensiero medico e la crescente visibilità delle persone gay e lesbiche non appaiono sufficienti per una concreta realizzazione dell'accettazione dell'omosessualità da parte dell'opinione pubblica. Il persistente pregiudizio sessuale, infatti, esorta a discriminare i soggetti alla luce dell'orientamento sessuale poiché induce a valutare negativamente coloro i quali violano sia i sistemi di credenze legate al genere sia, ancora, le opinioni condivise relative alla dicotomia mascolinità/femminilità. A supporto di quanto fin qui evidenziato, si propone l'esito di un'indagine avente come obiettivo l'analisi degli atteggiamenti degli operatori, in fieri e in divenire, delle relazioni di aiuto rispetto al genere e all'orientamento sessuale. All'indagine hanno partecipato 603 studenti iscritti ad alcuni Corsi di Laurea della di Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università degli Studi di Palermo (Triennio e LM). L'analisi delle risposte fornite dagli stessi agli strumenti utilizzati – il Questionario sugli atteggiamenti degli studenti rispetto al sesso e al genere e la Scala Italiana di Misura dell'Omonegatività (Lingiardi et all, 2005) – restituisce il profilo di un operatore in formazione non scevro di pregiudizi; questi ultimi sono espressi, ad esempio, dal 44,11% che concorda con l’item Se scoprissi che un insegnante è gay toglierei mio figlio dalla sua classe, dal 41,46% che condivide che L’omosessualità è un disturbo psicologico e, ancora, dal 47,1% che non pensa che La differenza tra omosessualità maschile e pedofilia è netta (neutrale il 13,76%). I risultati esortano pertanto alla riflessione ma anche alla necessità di presentare modelli formativi capaci di offrire una visione plurale delle identità di genere. È opportuno, infatti, che gli operatori del sociale s’interroghino sui modi attraverso i quali l'essere umano si rappresenta la realtà, sui processi di categorizzazione, sui pregiudizi e sulla possibilità di modificarli. Si delinea quindi l'esigenza di strutturare un percorso formativo caratterizzato, oltre che per la trasmissione di conoscenze sul piano disciplinare, anche per l’attivazione di momenti laboratoriali, intesi come luoghi in cui poter veicolare apprendimenti fondati sull’esperienza e, quindi, significativi sul piano della conoscenza di sé. I laboratori consentirebbero di apprendere a un livello “meta”, capace di trasformare il proprio modo di essere, di destrutturare ciò che si è passivamente introiettato al fine di educarsi prima di poter educare l’altro. 21 Salute, educazione alla salute e nuova identità professionale dell’infermiere Pasquale Fallace, Domenica Pagnano ASL NA 2 Nord - Struttura Semplice di Educazione alla Salute [email protected] Negli ultimi decenni il mondo della Sanità ha subito delle trasformazioni radicali in conseguenza di una evoluzione dei modelli culturali ad esso sottesi. Il concetto di Salute inteso come condizione di benessere complessivo della persona, ha soppiantato in maniera sempre più definita l’idea che la salute si possa identificare con la mera assenza di malattia. In conseguenza di tali evoluzioni gli stessi obiettivi dell’assistenza sanitaria sono sempre più orientati verso un cambiamento in direzione della tutela complessiva della Salute dei cittadini in una visione olistica della persona lungo le dimensioni biologica, psicologica e sociale. Numerose normative nazionali e regionali sottolineano che l’educazione alla salute è un compito primario delle ASL che devono essere impegnate in tutte le loro articolazioni nella promozione di una cultura della Salute. In particolare nella professione infermieristica che abbiamo preso in considerazione, è importante considerare l’assistenza come un supporto che riguarda sia la “parte” malata della persona ma soprattutto quella sana in tutto l’arco della vita al fine di non curare solamente la malattia ma di promuovere “la salute” nel suo significato più ampio e pieno del termine. L’infermiere non è più unicamente colui che si occupa della presa in carico del paziente, ma assume pure il ruolo di persona di riferimento che contribuisce a migliorare la sua health literacy, ossia le competenze in materia di gestione della malattia, di prevenzione e di promozione della salute. Grazie alla conoscenza della persona con la quale interagisce, il personale infermieristico ha quindi l’occasione di aumentare il livello di consapevolezza del paziente circa i benefici dell’adozione di stili di vita sani. Egli deve quindi acquisire una diversa identità professionale nell’approccio all’utente e una nuova modalità di interpretare il proprio mandato istituzionale. I cambiamenti richiesti richiamano naturalmente ad una specifica e mirata pianificazione degli interventi formativi volti a facilitare l’acquisizione di una visione e di modelli idonei alle realtà operative che si vanno definendo. Ricerche e studi specifici si sono posti l’obiettivo di definire il profilo dell’operatore di promozione della salute e di mettere a punto idonei percorsi formativi alla luce di precisi indicatori. In particolare il progetto CompHP “Developing competencies and professional standards for health promotion capacity building in Europe” del quale l’Italia è partner attraverso le Università di Perugia (Centro Sperimentale per l’Educazione Sanitaria) e Cagliari si pone l’obiettivo della definizione della qualità della promozione della salute, sia sul versante degli interventi che della formazione, basato sulla definizione dei contenuti professionali, dei criteri e degli standard di qualità, ed infine su un meccanismo di accreditamento volontario tanto dei professionisti che delle strutture di formazione. 22 SESSIONE POSTER P2 ALIMENTAZONE E PERCEZIONE DEL CORPO Coordinatrice: Luana Valletta Il rapporto fra i giovani e l’alimentazione: campagna LILT 2012-13 di educazione alla salute nelle scuole superiori di primo e di secondo grado Nicolini Chiara, Trentin Rosanna, Gatto Rotondo Maria Cristina, Cappetti Chiara LEGA ITALIANA PER LA LOTTA CONTRO I TUMORI (LILT) – sezione di Padova [email protected] Il progetto presentato, promosso dalla LILT sezione di Padova, intende essere un efficace strumento di sensibilizzazione relativo ai comportamenti alimentari nei giovani. Gli interventi, che si collocano nell’ambito della prevenzione primaria e secondaria, hanno coinvolto diverse scuole del territorio di Padova: 4 seconde classi della scuole superiori di I grado, per un totale di 93 studenti (53 maschi e 40 femmine); 8 prime classi e 5 seconde delle scuole superiori di II grado, per un totale di 304 studenti (109 maschi e 195 femmine). Il progetto ha previsto per ciascun gruppo-classe tre incontri, di due ore ciascuno, co-condotti da due psicologhe. Tali incontri non si sono configurati come lezioni tradizionali, ma hanno previsto l’utilizzo di un approccio esperienziale con metodiche di attivazione in gruppo ed in piccoli gruppi. Il lavoro gruppale sollecita e favorisce il coinvolgimento e la partecipazione diretta e creativa degli studenti, elemento ritenuto centrale dalla letteratura per l’efficacia di interventi volti alla prevenzione dei comportamenti “a rischio”. L’intervento nelle classi si è articolato su un doppio livello: uno “teorico”, inerente le informazioni sugli alimenti e su una corretta alimentazione, ed uno più strettamente “esperienziale”, focalizzato sul rapporto tra alimentazione, corpo, identità e immagine, tematiche centrali nella fase evolutiva attraversata da preadolescenti e adolescenti. Lavorare in assetto gruppale ha permesso di affrontare gli aspetti critici che via via emergevano, in modo differente per classe. In particolare, “trasformarsi” da classe in gruppo ha permesso ai ragazzi di guardare da una prospettiva diversa non soltanto il proprio corpo e le proprie abitudini alimentari, ma anche le dinamiche stesse che si instaurano quando si è in un gruppo di pari, dinamiche che talvolta possono condurre ad abitudini scorrette e/o rischiose. Utilizzare anche alcuni strumenti “mediatori” (cartelloni, giochi gruppali, etc.) ha permesso l’attivazione di un’“area intermedia e creativa” che ha facilitato l’emersione di alcune tematiche ed il confronto tra i ragazzi. In questo lavoro saranno presentati alcuni contenuti emersi durante il lavoro in gruppo; tali elementi verranno intrecciati ai risultati dei questionari somministrati a tutti i ragazzi all’inizio ed a conclusione degli interventi. 23 Frutta a scuola e in famiglia Tessari Stefania*, Marina Casazza*, Carlotta Vangelisti** * Azienda ULSS 16 Padova SIAN ** Università degli Studi di Padova – Facoltà di Scienze della formazione e dell’Educazione [email protected] E’ un progetto di prevenzione nutrizionale per la promozione di stili di vita sani. Prevede la fornitura di frutta per la merenda del mattino, per due giorni a settimana nei primi tre mesi dell’anno scolastico, alle scuole secondarie di 1°del Comune di Padova che si impegnano ogni anno a continuare nei mesi da gennaio a maggio l’assunzione di frutta a merenda. Coinvolge la Camera di Commercio (CCIAA)di Padova per il finanziamento ed è il risultato della collaborazione, fin dal 2003, anno di sperimentazione, tra Azienda ULSS 16 Padova – Servizio Igiene Alimenti e Nutrizione (SIAN), Mercato Agro Alimentare di Padova (MAAP), Comune di Padova-Settore servizi scolastici. Testimonial sportivo è il campione olimpionico Rossano Galtarossa. Metodi. Anno scolastico 2011/12: somministrazione attiva di 18.000 kg. Di frutta a merenda da parte del MAAP (ott. Nov. Dic. 11) e visite guidate al MAAP per gli alunni tra gli 11 ed i 13 anni appartenenti ai 22 plessi scolastici dei 14 istituti comprensivi del Comune di Padova; formazione degli insegnanti e sensibilizzazione delle famiglie; impegno da parte delle scuole a far assumere nel periodo da gennaio a giugno frutta a merenda ai ragazzi per scelta individuale, con modalità gestite dalla scuola stessa, almeno 2 giorni alla settimana; omaggio del calendario del MAAP con Rossano Galtarossa alle classi partecipanti. Negli anni precedenti sito internet specifico per i ragazzi, concorso con premi e festa finale in Prato della Valle in occasione dei Giochi della Gioventù. Rilevazione del gradimento delle variazioni delle abitudini alimentari relative alla merenda; Risultati. Il diario di rilevazione delle abitudini alimentari ha evidenziato un buon consumo di frutta e di acqua per tutto l’anno (dati da questionari in entrata e uscita). Sono state analizzate le merende più frequentemente assunte dei ragazzi calcolandone la composizione bromatologia. Il Questionario di rilevazione del gradimento sulla frutta fornita ha evidenziato che la tipologia di frutta fornita (clementine, mele e banane) è risultata suddivisa in parti quasi uguali, in quantitativo adeguato ed al giusto stadio di maturazione; vale a dire che la frutta di stagione sia dal punto di vista organolettico sia per la facilità di consumo risulta generalmente gradita ai ragazzi. Conclusioni. La “sfida” di questo progetto è l’ampia sinergia, in un contesto educativo, fra le Istituzioni che l’hanno ideato, finanziato e ne supportano l’iniziativa, pronti ad investire nel mutamento di stili di vita non corretti attraverso la promozione del consumo di frutta e dell’attività motoria, l’educazione dei ragazzi e delle loro famiglie. L’auspicio quindi, visto il continuo successo ottenuto dall’iniziativa in questi anni, è che possa continuare ad allargarsi e coinvolgere sempre più scuole di ogni ordine e grado, anche di altri comuni del territorio, nonostante le difficoltà dovute alle restrizioni economiche del periodo. 24 Giovani e chirurgia estetica Teresa Fumusa Cattedra di Psicologia di comunità, Università degli Studi di Palermo [email protected] L’interesse nel modificare il corpo attraverso interventi di chirurgia estetica nasce dal desiderio di migliorare l’immagine che si ha di sé e del proprio corpo, di stare meglio con se stessi e godere di una buona autostima, di stabilire un maggior numero di relazioni sociali, di compiacere gli altri e di evitare l’esclusione sociale (Sarwer et al., 1998; Lee et al., 2007). Particolarmente allarmante è il comportamento dei soggetti più giovani (adolescenti e giovani adulti) che, suscettibili alle pressioni sociali e sempre più insicuri e sopraffatti da un profondo disagio esistenziale, abbracciano con superficialità l’idea di un miglioramento estetico mediante stratagemmi chirurgici con il rischio di gestire in modo disfunzionale situazioni stressanti, stati di ansia e di frustrazione legati a cambiamenti fisici, psicologici e sociali. La cattedra di Psicologia di Comunità dell’Università di Palermo ha svolto una ricerca esplorativa sull’interesse verso interventi di chirurgia estetica, tenendo conto della percezione dell’immagine corporea e della capacità di Ego-resiliency, con l’obiettivo di indicare possibili interventi di prevenzione indirizzati al rafforzamento dei fattori di protezione individuali, familiari e sociali. Sono stati coinvolti 210 adolescenti e giovani adulti di sesso femminile tra i 13 e i 28 anni, residenti per lo più a Palermo, a cui sono state somministrate una scheda socio-anamnestica anonima, la scala dell’Ego-resiliency e una scala costruita ad hoc sull’interesse per la chirurgia estetica. Una prima analisi dei dati ha permesso di evidenziare un basso interesse nei confronti di interventi di chirurgia estetica in soggetti che hanno una buona capacità di Egoresiliency e una consapevolezza di sé e del proprio corpo. Alla luce dei risultati raggiunti, l’Ego-resiliency potrebbe porsi come fattore protettivo di cambiamento in grado di ridurre l’interesse verso procedure chirurgiche di modificazione del corpo mediante la promozione di un’immagine di sé positiva. È necessario, pertanto, avviare strategicamente interventi preventivi e di sensibilizzazione nelle scuole sulla corporeità, sull’identità, sull’immagine corporea e sui rischi connessi all’uso/abuso di interventi estetici, rivolti direttamente ai giovani e agli insegnanti, e indirettamente al gruppo dei pari, alle famiglie e alla comunità nel suo insieme al fine di promuovere competenze individuali, relazionali e comunicative e di potenziare le reti sociali e le forme di sostegno familiare e sociale. 25 Prospettiva temporale, vulnerabilità percepita ed health locus of control negli adolescenti palermitani. Un contributo di ricerca e prospettive d’intervento sulla body art Consuelo Serio Università degli Studi di Palermo – Dipartimento di Psicologia [email protected] Premessa – Dagli studi di letteratura emerge che gli adolescenti che fanno esperienza di pratiche di body art mettono in pericolo la propria salute giacché non conoscono – o non tengono in considerazione – le complicanze di natura infettiva, tossica ed allergica ad esse associate. Sul piano operativo della prevenzione del rischio, sarebbe auspicabile che gli interventi siano progettati a partire dalla conoscenza sia degli atteggiamenti dei ragazzi nei confronti di piercing e tattoo sia dei possibili fattori psicosociali sottesi a questo tipo di comportamento. Obiettivo – Nell’ottica del miglioramento dei metodi e delle prassi di intervento, la Cattedra di Psicologia di Comunità dell’Università di Palermo ha promosso una ricerca che esplora gli atteggiamenti di un gruppo di adolescenti rispetto alla presenza/assenza di piercing e/o tattoo e le relazioni tra l’assunzione del rischio e la prospettiva temporale, la vulnerabilità percepita e l’health locus of control. Metodo e strumenti – È stato coinvolto un gruppo di 111 adolescenti (età media=16.9 anni, ds=1.7; 49.5% M e 50.5% F) aventi piercing e/o tatuaggi ed un gruppo di controllo (senza body art) di 116 unità (età media= 16.4; ds= 1.6; 50% M e 50% F), selezionato sulla base del criterio di omogeneità rispetto al primo. Il protocollo comprende: un questionario sull’atteggiamento verso le pratiche di body art, uno sulla vulnerabilità percepita (sul modello dell’HBM di Armstrong et al., 2007), la STPI (D’Alessio et al., 2003) e l’Health Locus of control Scale per adolescenti (Donizzetti, Petrillo, 2011). Risultati – Si evidenzia una relazione significativa tra la presenza di body art e la centratura temporale sul presente edonistico (F= 12.759; p≤ 0.001) e tra la prima e la vulnerabilità percepita (F= 33.823; p≤ 0.001). Non emergono dati importanti relativamente all’health locus of control. Conclusioni – Alla luce dei risultati ottenuti, la prevenzione potrebbe puntare su strategie di ricercaintervento a scuola finalizzate a: creare opportunità di informazione e di riflessione sulle implicazioni per la salute e sul significato che le pratiche di body art assumono in adolescenza; promuovere negli adolescenti – privilegiando la peer education – capacità e competenze utili per strutturare azioni strategicamente orientate al raggiungimento di obiettivi futuri e per valutare responsabilmente le conseguenze a lungo termine delle proprie scelte comportamentali. 26 “Impariamo di gusto” educazione alimentare a scuola Tessari Stefania*, Casazza Marina*, Carlotta Vangelisti** *Az. ULSS 16 Dipartimernto di Prevenzione *Università degli Studi Padova – Facoltà di Scienze della Formazione e dell’Educazione [email protected] l progetto “Impariamo di gusto” ha l’obiettivo generale di promuovere uno stile di vita sano con particolare riferimento alla corretta alimentazione ed attenzione all’attività fisica nei confronti degli alunni delle scuole dell’infanzia, primarie del territorio dell’Azienda ULSS 16-Padova e delle famiglie. Il percorso, proposto dal Servizio Igiene Alimenti e Nutrizione (SIAN) è finanziato dalla CCIAA (Camera Commercio Industria Artigianato Padova), si svolge con la collaborazione degli artigiani UPA di Padova (Unione Provinciale Artigiani).Iniziato nell’anno scolastico 2007/08, continua ad avere successo ogni anno. Metodi Le azioni previste sono: o per gli insegnanti, corso di formazione che si svolge ogni inizio anno scolastico, o per i genitori, su richiesta, corsi di cucina presso le cucine delle scuole dell’infanzia o presso i centri cottura per le scuole pubbliche ed incontri di informazione sui corretti stili di vita o per i bambini, laboratori di panificazione, pizzeria, cioccolateria, pasticceria e gelateria ad opera degli artigiani dell’UPA presso le scuole con il supporto di personale specializzato nelle diverse professionalità (dietiste, educatori). E’ stato prodotto un libretto “Impariamo di gusto” di accompagnamento ai laboratori rivolto ai bambini ed ai genitori in cui con linguaggio semplice si leggono dieta mediterranea e ricette per produzione dei biscotti padovani “Zaietti”, macedonia di frutta al cioccolato, gelato, pizza anche per celiachia. L’attività di manipolazione di alimenti rivolta ai bambini è basata su un metodo induttivo basato su forme di attività didattiche orientate ad incrementare l’esperienza come gioco, laboratorio, proiezioni di immagini in cartoni animato per la presentazione dei laboratori . Ad ogni laboratorio è presente una studentessa della facoltà di Scienze della Formazione e la dietista che espongono, con metodologie adatte alle diverse età dei bambini, immagini di cartoni animato riportanti concetti di sana alimentazione specifici per ogni tipologia di laboratorio. Risultati Il percorso ha visto dal 1° anno di edizione ad oggi lo svolgimento di 200 laboratori artigianali, il coinvolgimento medio annuo di 2000 bambini delle scuole dell’infanzia ed altri 2000 delle scuole primarie. I genitori dei bambini sono stati informati tramite il libretto “Impariamo di gusto” che ogni anno ha visto una nuova edizione; dal 2011 sono stati inoltre coinvolti in corsi di cucina sana e formati tramite incontri presso le scuole da personale medico SIAN. I genitori hanno partecipato attivamente ai corsi di cucina che sono stati motivo di affiatamento tra genitori, insegnanti, personale delle amministrazioni comunali medico e la dietista dell’ULSS. Da segnalare la numerosità sempre elevata dei partecipanti, partecipazione anche dei papà ed il piacere e divertimento di queste persone. 27 SESSIONE POSTER P3 SCUOLA E PEER Coordinatrice: Cinzia Novara Bisogni e richieste emergenti in una scuola a maggioranza multietnica: come favorire l’inclusione tra pari Rosita Giunti, Francesca Ammogli, Laura Remaschi Dipartimento di Scienze della Formazione e Psicologia. Sezione Psicologia. Università degli Studi di Firenze [email protected] Introduzione e obiettivi. La presente ricerca si è proposta di reperire informazioni e indagare bisogni emergenti in alunni di una scuola a maggioranza multietnica, su cui programmare un intervento di Peer Education per promuovere integrazione e partecipazione. Metodo. L’indagine, seguendo un approccio che afferisce alla ricerca azione, aveva previsto uno studio quantitativo e uno qualitativo. L’utilizzo di quest’ultimo strumento (3 Focus Group, 35 partecipanti), che permette di analizzare le informazioni scambiate tra i partecipanti e valutarne la loro utilità, può favorire negli stessi riflessioni, discussioni e un atteggiamento pro-attivo. Può inoltre promuovere una condizione di similarità percepita e di diffusione delle informazioni, alla base degli interventi di Peer Education (Santinello, Dallago, & Vieno, 2009). Risultati. Il principale bisogno che emerge è la difficoltà di comprensione linguistica. Dai risultati dei Focus Group questa difficoltà emerge in particolar modo tra gli alunni cinesi che percepiscono maggiore atteggiamento di derisione. L’ ambiente scolastico è percepito come favorevole, così come il rapporto con gli insegnanti. Sebbene la scuola promuova attività interculturali che favoriscono l’apprendimento della lingua italiana, emerge la necessità di un intervento dal basso che coinvolga maggiormente i partecipanti. A tal proposito la Peer Education sembra essere uno strumento adatto che può favorire la partecipazione, promuovere la relazione interpersonale e le capacità di comunicazione, a partire dalle richieste dei giovani. Inoltre le competenze degli autoctoni e dei migranti con maggiore conoscenza linguistica possono essere di supporto ai compagni stranieri. Questi, a loro volta, possono trasmettere ai genitori i contenuti linguistici appresi con una azione che si irradia ai diversi livelli del sistema (Bronfenbrenner, 1979). Conclusioni. Le aree tematiche emerse dai Focus Group sembrano quindi preparare l’attività di Peer Education, evidenziando un possibile terreno fertile su cui poter innestare “l’educazione tra pari” come parte integrante del percorso scolastico. 28 Il progetto Petali Nel Blu. Il teatro, una forma di prevenzione efficace per la dipendenza dall’alcol Fabrizia Modica Università degli Studi di Palermo [email protected] Il fenomeno della dipendenza dall’alcol è in crescente aumento, in particolare fra adolescenti e giovanissimi. Secondo diverse ricerche, risultato di una bassa stima di sé rispetto ai loro coetanei, una minor fiducia nelle capacità scolastiche, un basso livello di coping ed una bassa aspettativa di successo, il consumo di alcol sarebbe la rappresentazione di una forte insicurezza e di alti livelli di alienazione, stress e sentimenti depressivi. I consumatori di alcol si differenziano dai loro coetanei anche per l’uso che fanno del tempo libero e per la percezione che hanno del contesto di appartenenza: solitamente sono coinvolti in una serie di comportamenti a rischio e trascorrono il loro tempo libero fuori casa, in attività prive di progettualità. Anche l’esperienza scolastica non viene vissuta come una risorsa. Sono quindi degli adolescenti che nutrono un profondo disagio e che cercano nell’uso delle sostanze psicoattive una via di fuga e di evasione dalle difficoltà e dalle responsabilità (Bonino, Cattelino, Ciairaino, 2011). Il progetto Petali Nel Blu nato a Palermo nel dicembre del 2009, parte dalla convinzione di poter dar vita ad una forma di prevenzione alternativa. Il metodo in questione, infatti, valuta la possibilità di fare del teatro una possibile forma di prevenzione e l’opportunità di rendere i giovani protagonisti assoluti dell’azione preventiva. Il progetto si fonda sull’ipotesi della peer education che un messaggio trasmesso “dai giovani ai giovani” possa essere una efficace metodologia preventiva. Il teatro da sempre è stato considerato un’esperienza certamente efficace in progetti educativi e di sviluppo di comunità e costituisce oggi una delle strade più significative per rimettere al centro della collettività e dei percorsi educativi l’esperienza di una comunità solidale e di un cambiamento responsabile (Bernardi, 1998). Fino ad oggi i risultati ottenuti hanno dimostrato una propensione favorevole da parte di giovani e insegnanti verso questo metodo di prevenzione che ha stimolato la curiosità dei ragazzi e ha promosso la loro voglia di approfondire le tematiche sull’abuso dell’alcol e i danni ad esso correlati. L’arte può in questo modo diventare una via di crescita, emancipazione e realizzazione delle persone, dei gruppi e delle comunità; può diventare portatrice di un messaggio chiaro e diretto la cui efficacia non svanisca in breve tempo (Orioli, 2001). 29 Ti racconto la mia salute promozione della salute degli adolescenti attraverso la peer & media education Laura Prosdocimo*, Sivana Widmann**, Luisa Conte***, Angela Bonomi Castelli**** Associazione Salusmundi*, Ass n. 6 “Friuli Occidentale”**, Comune di Pordenone***, Med –Associazione Italiana per l’Educazione ai Media e alla Comunicazione**** [email protected] Premessa: Secondo i risultati dello studio internazionale sugli stili di vita dei giovani (HBSC 2009-10) emerge un’elevata diffusione di stili di vita a rischio per la salute, come l’assunzione di alcolici e il fumo di sigaretta. In particolare nella Regione Friuli Venezia Giulia, da tale studio si rileva che la percezione di salute psico-fisica è riferita buona eccellente a 11 anni dal 91% degli intervistati, ma decresce al 86% a 15 anni e in generale viene valutata peggiore con il crescere dell’età. La comunicazione sociale è profondamente determinata dai Media che veicolano stili di vita, comportamenti e modalità di consumo che spesso per le nuove generazioni diventano riferimenti culturali prevalenti, che tuttavia contrastano frequentemente con i modelli proposti dai principali agenti educativi (famiglia e scuola). Descrizione progetto: Nell’ambito del Programma Nazionale Guadagnare Salute in Adolescenza il Comune di Pordenone, il Dipartimento di Prevenzione dell’ASS N.6 “Friuli Occidentale”, l’Associazione Salusmundi di Pordenone, in occasione dell’11° Edizione del progetto Meeting hanno affrontato il tema della promozione della salute e del benessere dei giovani secondo la metodologia della Peer Education e Media Education. Metodologia: La Peer Education è una strategia educativa volta ad attivare un processo naturale di passaggio “di conoscenze, d’emozioni e d’esperienze” da parte di alcuni membri del gruppo ad altri membri di pari status. Il processo messo in atto non può non considerare il contesto relazionale attuale dove i media digitali e i Social Network sono divenuti veri e propri frames di ri-codifica e ri-qualifiazione delle dinamiche relazioni e sociali. Ecco perché diventa importante integrare la Peer con la Media Education, attività educativa e didattica, finalizzata a sviluppare un’informazione e una comprensione critica circa la natura e le categorie dei media. Strumenti di valutazione: Uso del questionario della sorveglianza nazionale HBSC (somministrato in via sperimentale online). Obiettivi: Promuovere stili di vita sani tra i ragazzi attraverso il linguaggio dei pari; apprendere un uso critico dei Media; approfondire la Media Education come metodologia didattica ; acquisizione di abilità per la vita (life skills); potenziamento delle abilità trasversali; empowerment di rete. Risultati: Coinvolti : 8 Istituti scolastici, 4 Agenzie educative, 250 ragazzi, 31 ragazzi peer formati, 16 insegnanti formati sulla Peer & Media Education. Prodotti: Blogs – Elaborati multimediali sulla salute/benessere; evento finale; DVD; rivista Meeting; dati questionari Hbsc. Destinatari: Scuola Secondaria di 2°grado. Periodo: anno scolastico 2012/2013. 30 Peer Leader in classe Maria Chiara Forcella, Paolo Zuccaro De Stefani, Maura Crippa Associazione IGEA [email protected] Gli studenti che vengono eletti “Rappresentanti di classe” sono chiamati ad una funzione di mediazione all’interno della classe e tra essa e il Consiglio dei docenti della classe. Questa figura ha bisogno di capacità di ascolto e linguistiche, conoscenze in merito alla risoluzione dei conflitti alla gestione e conduzione di gruppo, nonché delle capacità e abilità per tradurre istanze ed esigenze in proposte e progetti. Il progetto di “Formazione dei rappresentanti” si propone quindi di: - Dotare i ragazzi di una serie di strumenti al fine di gestire la qualità delle relazioni e dello stile comunicativo all’interno dell’Istituto, e in generale della gestione-prevenzione del conflitto e del disagio; - fare acquisire ai “rappresentanti” maggiore consapevolezza dei proprio ruolo unitamente a capacità organizzative e decisionali che possano effettivamente aumentare il peso della loro presenza nella scuola; - Una risorsa umana all’interno della scuola che può essere richiamata per dipanare divergenze tra studenti, tra studenti e docenti e di una adeguata rappresentanza della scuola stessa alla consulta. 31 Peer education e università: Il Tutor Junior dell’Università di Padova Da Re Lorenza Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata – Fisppa Università degli Studi di Padova (Dottoranda) [email protected] Il ruolo del tutor sta sempre più prendendo piede nel mondo formativo, aziendale e scolastico, come confermato dalla bibliografia esistente (Arbizu, Lobato, Castillo (2005); Álvarez (2005); Topping (1997) e da recenti studi realizzati in ambito universitario (Bertagna G., Puricelli E. (2008), Gemma C. (2010), Zago G., Clerici R., Giraldo A., Visentin E., Mega C., Da Re L. (2012). Da circa dieci anni l’Università di Padova ha adottato il modello del peer tutoring come elemento di sostegno alla carriera degli studenti universitari e come uno degli strumenti di contrasto al disagio studentesco, che può sfociare in dispersione ed abbandono degli studi. Il Tutor Junior dell’Università di Padova è uno studente “capace e meritevole” che, partecipando ad una selezione pubblica per titoli e una prova di accertamento, decide di mettere a disposizione dei propri compagni, dello stesso ordine ma di esperienza inferiore, una parte del proprio tempo, svolgendo funzioni di mediatore del sistema universitario, di facilitatore della comunicazione e dell’apprendimento e di supervisore del contesto formativo per la buona prosecuzione degli studi dei nuovi compagni. L’azione del Tutor Junior si è rivelata di grande rilievo per il percorso formativo universitario, in quanto si è dimostrato in grado di instaurare una relazione paritaria, spontanea ma consapevole, con i compagni studenti cui offre il supporto. Il modello del peer tutoring, adattato al mondo universitario, consente di “agevolare l’adattamento al nuovo sistema accademico agli studenti neo iscritti e di fornire loro il sostegno necessario al fine di sostenere il nuovo metodo di studio, creando un’atmosfera comunicativa in cui lo studente possa manifestare dubbi e perplessità ad una persona che sente vicina e simile, senza timore di essere giudicato” (Torre, 2006). La relazione che si instaura tra tutor e tutee consente di creare ricadute positive non solo in chi riceve l’azione di accompagnamento, ma anche nel Tutor stesso che viene definita in letteratura come “effetto tutore”, consentendo al tutor di valorizzare l’immagine di sé prendendo coscienza delle proprie capacità e potenzialità. Questo processo comporta, così, un “apprendimento per riformulazione” che consiste nel rivedere le conoscenze che il tutor di volta in volta applica e di sviluppare e potenziare l’elaborazione meta cognitiva delle funzioni realizzate (Barnier G. (2000), Gemma C. 2010). Il tutoring è “umanamente gratificante” (Topping, 1997, Goodlad, 1979) e da una parte consente la partecipazione attiva e il confronto di tutti i partecipanti, e dall’altra agisce in termini di empowerment sui Tutor stessi, stimolando autoefficacia e autodeterminazione (Croce & Gnemmi, 2003). La ricerca qui presentata s’inserisce in un più ampio Progetto promosso dall’Università di Padova (STPD08HANE_005) e finalizzato a studiare e ad affrontare le difficoltà di apprendimento degli studenti, al fine di sostenerne il successo negli studi. 32 “Gli alteranti” Colarusso Claudia, Tomelleri Paola, Saccani Andrea Az. ULSS22 Regione Veneto [email protected] Interventi nelle scuole secondarie di primo grado. Sono stati attivati con l’obiettivo di coinvolgere ragazzi/e nell’età in cui sono già possibili i primi contatti con le tematiche dell’uso di sostanze alteranti sia legali che illegali. Si pone molta attenzione a non indurre curiosità e a sviluppare le capacità critiche in particolare contro la cultura dominante dello sballo e contro la “normalità” del bere sociale. Riteniamo importante che i nostri interventi siano inseriti all’interno dell’attività curricolare e che siano preceduti da un lavoro preparatorio da parte degli insegnanti. E’ risultata inoltre efficace una rielaborazione successiva di tali tematiche da parte degli insegnanti stessi accompagnata da una produzione di materiali da parte della classe, che rende così i ragazzi protagonisti del percorso preventivo. Obiettivi: - favorire la consapevolezza; - riflettere sulle conseguenze dei propri comportamenti; - favorire la crescita del senso di responsabilità; - dare informazione “tecnica” modulata sui bisogni degli studenti. Contenuti: gli alteranti (con particolare riferimento ad alcol e tabacco) nuove forme di dipendenza motivazioni che inducono all’uso METODOLOGIA: Presentazione della giornata Visione slide su: sostanze psicoattive, classificazione, concetti di dipendenza tolleranza astinenza. Lavoro di gruppo: La classe viene suddivisa in quattro gruppi, viene consegnato un cartellone su cui verranno descritti anche con disegni i “motivi per non bere” (2 gruppi), e i “motivi per bere” (2 gruppi), nell’esposizione fatta dai rappresentanti, i due gruppi con lo stesso tema accorperanno i lavori. Nel dibattito l’educatore utilizzerà il power point per rinforzare e meglio definire i contenuti emersi. Verifica: in classe sul gradimento e sulle informazioni acquisite attraverso un gioco di verifica. E’ previsto, a fine ciclo, un infopoint, con distribuzione di materiale informativo, sulle tematiche svolte in classe. Con gli insegnanti: per una maggior efficacia dell’intervento è auspicabile che gli interventi vengano svolti dopo che un insegnante della classe abbia trattato l’argomento in oggetto durante l’attività curriculare • E’ possibile organizzare un incontro formativo per gli insegnanti delle classi coinvolte. • Su richiesta è possibile una restituzione dell’incontro al coordinatore di classe. E’ possibile prevedere che dopo gli interventi in classe con gli operatori, gli insegnanti con i ragazzi elaborino dei prodotti (cartelloni, ricerche, film, spot, ecc.) da presentare ai compagni e/o ai genitori in occasione di una giornata di sensibilizzazione. 33 SESSIONE POSTER P4 HIV ALCOL SESSUALITÁ Coordinatore: Agostino Carbone “Scopri che bevitore sei”: specifici training online per promuovere una scelta responsabile nel consumo di alcol tra gli studenti Natale Canale, Valerio D’Amici SERVIZIO D’ASSISTENZA PSICOLOGICA – BENESSERE SENZA RISCHIO (SAP BSR) Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione, Università degli studi di Padova [email protected] Di recente si assiste ad un crescente interesse dei ricercatori, dei governi e dei servizi pubblici allo sviluppo di interventi per problemi legati all’uso di sostanze attraverso l’impiego delle nuove tecnologie (per es. internet e telefoni cellulari). Da un punto di vista della prevenzione, l’avvento delle nuove tecnologie ha portato ad un cambiamento nelle strategie atte a modificare i comportamenti, come per esempio offrire agli utenti la possibilità di esercitare maggiore controllo sull’ambiente di apprendimento e di ricevere informazioni sensibili in via confidenziale (Butler et al., 2003). Il presente studio ha indagato l’efficacia di training online specifici nel favorire un consumo di alcol responsabile e prevenire l’abuso di alcol e i problemi alcol-relati in un campione di studenti universitari. Gli studenti hanno compilato un questionario online attraverso il quale hanno ricevuto un profilo personalizzato dipendente dal livello di rischio (altobasso) e dalle motivazioni al bere alcol (enhancement, social, conformità e coping) (Mazzardis et al. 2010). Successivamente, i partecipanti hanno completato un training online calibrato sul profilo ricevuto costituito da attività interattive (per es. calcolatore di unità alcoliche, calorie e prezzi per bevanda alcolica). Lo studio ha coinvolto 70 studenti universitari al primo anno della Laurea Magristrale di Psicologia dell’Università di Padova (89,2% femmine; Media dell’età = 24,12 ; SD= 2,42 ). Al fine di valutare l’efficacia del training abbiamo diviso gli studenti in due gruppi: un gruppo ha partecipato all’intervento (un’attività online per 4 settimane) e l’altro come gruppo di controllo. I dati sono stati raccolti prima e dopo l’intervento. La valutazione dell’efficacia ha riconosciuto gli effetti dell’intervento sull’abuso di alcol. Nello specifico, il gruppo che ha svolto il training ha riportato una riduzione significativa nel rischio (per es. binge drinking e frequenza di ubriacature) dopo l’intervento. Il programma è stato quindi efficace nel prevenire l’abuso di alcol e i problemi alcol-relati nel nostro campione. Inoltre, il presente studio ha suggerito come gli interventi di prevenzione, per essere maggiormente efficaci, dovrebbero essere sviluppati su target specifici piuttosto che generici (per es. differenziati per livello di rischio e motivazioni al bere alcol) (Crano et al. 2007). 34 Il rapporto fra i giovani e l’alcol e l’educazione all’affettività e alla sessualità sicura: campagna LILT 2012-13 di educazione alla salute nelle scuole secondarie di primo e secondo grado Trentin R., Nicolini C., Baldini S. Volontarie LILT [email protected] La LILT padovana ha promosso nelle scuole cittadine interventi educativi rivolti agli studenti, intesi a informare e fare prevenzione rispetto ai comportamenti rischiosi per la salute degli adolescenti, quali l’abuso di sostanze, la sessualità a rischio e le condotte alimentari. In questa sede si fa riferimento ai progetti sull’abuso di alcolici e sull’educazione all’affettività e alla sessualità sicura. La proposta è stata rivolta alle Scuole Secondarie di I e II grado di Padova; hanno aderito 14 Istituti, con oltre 1500 giovani coinvolti. In entrambi i casi la struttura degli interventi in-formativi si è articolata in 3 incontri per classe, di 2 ore ciascuno, con somministrazione di questionari pre/post per delineare il grado di informazione e gli stili di comportamento degli studenti, modulare l’intervento sulle specificità delle classi, e verificarne, al termine, sia il gradimento sia la correttezza delle conoscenze acquisite. Obiettivo comune è stimolare la consapevolezza della propria esperienza sessuale o di bevitori, favorire una modifica del locus esterno rispetto ai pericoli, proponendo come immagine di originalità trainante modelli di comportamento che respingano rischi ed eccessi. Sono discusse le conseguenze psicofisiche per la salute a breve e lungo termine, corrette le false credenze, e contestualizzati i temi nel sistema di credenze e atteggiamenti che sostiene l’edonismo giovanile, al fine di migliorare competenza emotiva, assertività e spirito critico verso le norme di comportamento dei pari. Scopi specifici del progetto sulla sessualità, sono la formazione di base necessaria ad un’esperienza sessuale consapevole e alla prevenzione delle MST; sul piano affettivo, stimolare il riconoscimento dei propri stereotipi di genere, discutere la sessualità come prestazione vs condivisione dell’esperienza di piacere e dell’omosessualità come scelta. Riguardo alla prevenzione dell’abuso di alcolici, si dà un’informazione basilare sull’alcol e sulla quantità considerata uso “moderato”, si illustrano gli effetti sull’organismo, la variabilità individuale delle reazioni fisiologiche ed emotive associate al bere, e si esamina il binomio alcol-guida. La conduzione favorisce un clima emotivamente positivo e fluido, incoraggiante l’espressione spontanea di esperienze, richieste e dubbi; utilizzati a tal fine role playing, filmati e spot pubblicitari per favorire la discussione critica e la costruzione e trasmissione delle informazioni. La risposta degli studenti è interessata e partecipe, più marcata nelle scuole superiori data la maggiore esperienza dei temi in oggetto. Si rileva Interesse e curiosità all’intervento su sessualità e affettività, per la carenza diffusa di informazioni e la frequente ambivalenza e parzialità nel trattare questo argomento. Lievemente superiori le resistenze all’educazione al bere consapevole, ma utili e funzionali all’informazione corretta e al pensiero critico, con esiti costruttivi. 35 Adolescenza e qualità della vita Chiara Vallini*, Federica Rinaldi, Daria Vellani*, Krzysztof Szadejko* *Centro Studi Donald J. Ottenberg, Modena [email protected] Introduzione. La ricerca si concentra sull’individuazione della presenza di diverse strategie di coping usate dai soggetti coinvolti (studenti di scuole medie superiori ad indirizzo professionale, con età media di 19 anni) considerando le differenze culturali tra Europei (E) e Non Europei (NE). Obiettivo. Verificare l’esistenza di differenze nel modo di affrontare le situazioni stressanti tra adolescenti E e NE e se alcuni stili di coping e/o stili relazionali influiscono e/o predicono il livello di benessere percepito e un positivo adattamento all’ambiente. Metodo. La somministrazione è iniziata a marzo 2012 ed è ancora in corso. Sono stati scelti 3 questionari: adattamento italiano (Sica, 2008) del Coping Orientations to Problem Experienced (Carver, 1989); Brief Multidimensional Students’ Life Satisfactin Scale-College Version; Social Provision Scale. Risultati. Sono stati somministrati 308 questionari e dopo la pulitura dei dati ne sono risultati utili 160. Il livello di soddisfazione percepito dai due gruppi non è significativamente diverso. Rispetto all’ipotesi di verifica di differenze significative tra E e NE, i secondi hanno punteggi più alti in alcune scale del COPE: Orientamento Trascendente (M=24,9; p=.000), Orientamento al Problema (M=31,7; p=.005), Attitudine Positiva (M=32,7;p=.001), Strategie di Evitamento (M=29,7;p=.004). Per le scale del Social sono gli E ad avere punteggi significativamente più alti: Social Guidance (M=15,8;p=.000), Reliable Alliance (M=15,9;p=.000), Reassurance of Worth (M=14,3;p=.003), Social Integretion (M=15,5;p=.000), SocialAttachment (M=15,2;p=.000). Rispetto a quali variabili influenzano la soddisfazione della vita, con i Modelli della Path Analysis si notano differenze significative tra i modelli dei due campioni. Il gruppo NE ha riportato: Root Mean Square Error of Approximation (RMSEA) =.000; Chi-square = .83 (df=3, p=.84); Normed Fit Index (NFI) =.997; Comparative Fit Index (CFI) =1.000 e Goodness Fit Index (GFI) =.997. Il gruppo E ha riportato invece: Root Mean Square Error of Approximation (RMSEA) =.000; Chi-square =.28 (df=2, p=.87); Normed Fit Index (NFI) =.999; Comparative Fit Index (CFI) =1.000 e Goodness Fit Index (GFI) =.999. Conclusioni. Dai risultati il gruppo NE per giungere alla soddisfazione della vita ha maggiormente bisogno della mediazione del gruppo nel quale sono riversati i legami di attaccamento. Nel gruppo E invece la capacità di raccogliere informazioni/consigli ha un impatto diretto molto forte sulla percezione della qualità della vita, mentre quando questa capacità viene mediata dal gruppo di attaccamento, ha un impatto fortemente negativo. Si ipotizza che il gruppo E dimostri maggiore indipendenza dal gruppo di riferimento. I dati meriterebbero maggiore approfondimento, relativo all’esistenza o meno di differenze a seconda del genere e al ruolo della scala Social-Attaccamento. La ricerca è attualmente in corso per ampliare il campione di riferimento. 36 Idee giovani contro l’HIV. Un’esperienza di coinvolgimento ed empowerment dei giovani nella produzione di messaggi contro l’HIV, sul tema della promozione del test, in sinergia con la scuola Cosetta Ricci, Antonella Prencipe, Gastone Cantarini, Gianna Gordini Cosetta Ricci – Ausl di Ravenna_Dipartimento SanitàPubblica, Antonella Prencipe – insegnante IPS Strocchi Faenza, Gastone Cantarini – insegnante IPS Strocchi Faenza, Gianna Gordini – insegnante ITIS Baldini Ravenna [email protected] Il territorio ravennate è stato fra i più colpiti dall’HIV negli anni 80-90 ma anche oggi il numero di nuove infezioni non è trascurabile (>40 all’anno in Provincia di Ravenna)anche nella fascia 20-29 anni. Coinvolgere i giovani nell’elaborazione di messaggi per la prevenzione consente anche l’accesso a nuovi registri comunicativi, in uno scenario in cui l’infezione da HIV, come condizione cronica, curabile anche se non guaribile, ha una connotazione meno drammatica di quella che porta con sé chi è cresciuto negli anni 80. Oltre a promuovere comportamenti sessuali responsabili occorre vincere la paura del test-la sua esecuzione tardiva è motivo di progressione della malattia (in ER, nel 48% delle persone positive, già compromissione immunitaria al primo test). La paura è per la malattia ma anche per la percezione di riprovazione sociale collegata. Il tema della promozione del test consente di mettere al centro le persone HIV positive e i loro problemi. Nell’autunno 2011 l’Ausl di Ravenna ha presentato alle scuole superiori un concorso per la realizzazione di prodotti grafici e multimediali atti a promuovere il test per l’HIV, con premi in denaro destinati alle scuole. Hanno risposto 5 scuole, di cui 2 hanno coinvolto i ragazzi attivamente e consegnato a tempo debito i lavori: progetti per 29 cartoline, 1 manifesto, 1 un segnalibro, 1 pagina web e 7 video. I prodotti sono stati al centro di un evento-conferenza seguito dalle webTv locali , durante il quale si sono effettuati collegamenti internazionali via Skype. I ragazzi hanno seguito un approccio non colpevolizzante. L’idea centrale delle cartoline è l’uso della sigla ‘ELISA’ acrostico del metodo del test per l’HIV come nome di persona(‘non ti nascondere da Elisa’; ‘Voglio farmi Elisa’, l’appuntamento con Elisa’). Nei video della raccolta ‘I corti accorti’, con scelte stilistiche di particolare freschezza, a fronte di un comportamento a rischio agito si mira sostenere la persona, suscitarne la comprensione, esplicitarne le paure. Cartoline e segnalibro sono stati diffusi e i video disseminati sul sito web dell’Ausl e del Comune di Ravenna, sul sito Helpaids regionale, sul sito della scuola e su youtube; i video partecipano a un concorso internazionale. L’utilizzo dei materiali in interventi nelle scuole ne ha testato l’efficacia per innescare la discussione sui vissuti correlati all’infezione e al giudizio sulle persone positive anche con rimandi ai racconti dei genitori. Il coinvolgimento diretto e lo stimolo alla creatività attiva le risorse dell’individuo, aumenta la consapevolezza e il senso di autoefficacia dei ragazzi rispetto al problema, utilizza i linguaggi espressivi tipici dell’età. La collaborazione degli insegnanti è un valore aggiunto, in funzione di guida formativa ed esperienziale. E’ una scelta a cui va data continuità nell’ottica di una sinergia con la scuola e di un prossimo interessamento dei genitori. 37 Progetto di educazione affettivo-sessuale in una scuola secondaria di primo grado Francesca Baggio, Irene Domenichini, Concetta Elia, Silvia Facci Associazione Time to Talk (Cittadella, Pd) [email protected] La maturazione biologica, insieme allo sviluppo cognitivo, emotivo e fisico, rende gli adolescenti e i preadolescenti sempre più ricettivi e interessati ai temi riguardanti la sessualità e, dunque, ai messaggi (non di rado contraddittori) ai quali sono quotidianamente esposti o che cercano attivamente nel mondo attorno a loro: internet e i racconti tra coetanei, infatti, sembrano essere tra le fonti più utilizzate per reperire informazioni, offrendo spunti sui quali i ragazzi basano e costruiscono la loro conoscenza in materia sessuale e affettivo – sessuale. Si tratta spesso di rappresentazioni spettacolarizzate, massificate e a volte distorte, che consegnano un’immagine stereotipata dell’esperienza sessuale, poco articolata e priva di riferimenti al significato e alle risonanze emotive (Palmonari, A., 2001). Forse anche per questo, oggi, i giovani sembrano vivere le loro prime esperienze più per spirito di imitazione e/o accettazione da parte del gruppo che per reale attrazione, scambio intimo, desiderio, amore (Giuffredi, G., Stanchieri, L., 2009). Stabilito che i metodi “del silenzio” esponevano, soprattutto in passato, a paure e ansie che rischiavano di contribuire negativamente allo sviluppo della personalità (Del Re, G. E Bazzo, G., 1995), oggi il ruolo di chi si occupa di educazione alla sessualità in un’ottica di promozione della salute e del benessere sembra essere quello di guidare i ragazzi anche verso la comprensione degli aspetti relazionali e affettivi che caratterizzano l’esperienza sessuale. Il progetto che presentiamo si è rivolto a 267 alunni del III anno di una scuola secondaria di primo grado ed ha coinvolto genitori, insegnanti e ragazzi: prima di incontrare le classi, ciascuna di loro ha risposto ad un questionario che ci ha permesso di creare una base di partenza rispetto alle preferenze, alle informazioni e alle credenze specifiche rispetto alla sessualità in ciascun gruppo classe. In particolare, gli obiettivi che hanno fatto da guida all’intervento sono stati: 1) fornire informazioni, correggendo e ampliando eventuali credenze parziali o erronee; 2) ampliare e articolare la rappresentazione della sessualità, accompagnando i ragazzi verso una presa di coscienza anche degli aspetti relazionali e affettivi che caratterizzano l’esperienza sessuale, facilitando il contatto e la consapevolezza delle proprie e altrui emozioni, così da arricchire il significato attribuito a questa esperienza; 3) fornire l’occasione per un confronto e un aiuto alla conoscenza del genere opposto a quello di appartenenza; 4) creare un contesto nel quale affrontare tematiche relative alla sessualità, invitando a discuterne anche con gli adulti di riferimento (genitori, professori, enti). Alla fine dell’intervento sono stati somministrati dei questionari, da cui si è rilevato che la percezione di informazione e conoscenza su questi temi da parte dei ragazzi sembra essere aumentata significativamente. 38 Verso relazioni positive. Una cura contro lo stigma nei confronti delle persone che vivono con l’HIV. Formazione operatori sociali e sanitari Alessandro Cavassi*, Cosetta Ricci**, Silvia Bandini*, Luca Negri*,Paolo Fusaroli**, Giuseppe Ballardini**, Bianca Caruso**, Cinzia Pozzetti**, Vittorio Foschini** *NPS Emilia Romagna onlus, Faenza; **Ausl di Ravenna [email protected] L’Associazione NPS Emilia Romagna onlus e l’Ausl di Ravenna (Commissione AIDS e Direzione dei Servizi ospedalieri )hanno implementato un modello formativo rivolto agli operatori sanitari e sociali sulla problematica dello stigma e della discriminazione nei confronti delle persone che vivono con l’HIV, svolto in 4 moduli ripetuti, fra ottobre 2011 e aprile 2012. Il permanere dello stigma verso le persone con HIV produce discriminazione, paura e sofferenza e ostacola la diagnosi e la presa in carico precoce. Gli operatori sanitari devono contribuire alla riduzione di tale stigma nei servizi e nella società ma ricerche recenti (S. Francato)mostrano il contrario. Occorre sostenerli, rinforzarne le capacità di gestire la relazione e dare fiducia nella sicurezza delle procedure. La proposta formativa è stata seguita da 171 operatori provenienti dall’Ausl e dalle strutture sociosanitarie del territorio ravennate e limitrofe; è emerso un bisogno di formazione sulla relazione con la persona con HIV per molti anni non soddisfatto. Le caratteristiche ottimali del corso si sono definite in progress. Necessari l’utilizzo di modalità interattive e la presenza di uno psicologo. Importante l’uso di film per trattare i meccanismi dell’esclusione (identificazione con la situazione emotiva narrata , emersione di paure e resistenze rispetto al rapporto con le persone HIV positive, riconoscimento e prevenzione di comportamenti stigmatizzanti). Fulcro ‘generativo’ dell’intervento è la testimonianza delle persone con HIV, volontari di NPS onlus (presentazione delle attività dell’associazione, punto di vista della persona con HIV, illustrazione circostanziata di dati, ricerche ed episodi su stigma e discriminazioni). Importante la trattazione autorevole della sicurezza delle procedure standard in relazione al pericolo biologico e della profilassi post esposizione. La partecipazione della Direzione Sanitaria conferisce autorevolezza al messaggio complessivo e testimonia l’impegno aziendale sul problema. Sono stati utilizzati il breve cortometraggio francese “L’exclusion”, con protagonisti bambini e mamme in un asilo, per avvicinare gli operatori all’idea di discriminazione e pregiudizio; sul tema centrale delle discriminazioni in ambito sanitario, il cortometraggio “Positivo scomodo”, prestatoci dalla Ausl 2 di Lucca, largamente utilizzato in Toscana, con protagonista una giovane donna HIV positiva e il suo impatto con le strutture sanitarie. Il progetto avrà un successivo sviluppo: col contributo di una Fondazione Bancaria, NPS Emr onlus realizzerà un nuovo film originale che possa costituire il fulcro di un progetto formativo permanente per operatori. Il Comune di Ravenna ha partecipato agli incontri e successivamente ha deciso di sostenere una azione straordinaria sull’HIV inserendola nell’ambito delle attività per la candidatura di Ravenna a Capitale europea della Cultura. 39 SESSIONE POSTER P5 AUTONOMIA E INCLUSIONE Coordinatrice: Maura Benedetti Re Mida: DSA verso l’autonomia Adelaide Carboni, Caterina Manni, Daria Vellani, Giulia Gibertini, Franchini Simona, Stefania Carboni Servizio Re Mida di Ceis Formazione di Modena [email protected] Gli alunni con segnalazione di DSA sono ormai protagonisti di diversi sevizi rivolti al supporto scolastico, alla riabilitazione, all’utilizzo di strumenti compensativi. Gli alunni sono prima di tutto adolescenti che vivono un disagio in più rispetto agli altri: la difficoltà nell’apprendimento implica un vissuto di sofferenza e malessere maggiore rispetto ai compagni di classe e agli amici. Gli alunni sono descritti dai docenti come svogliati, irrequieti, maleducati, e spesso sono allontanati dalla classe. Per questo motivo è fondamentale lavorare con loro, non solo sulla loro autonomia scolastica, ma anche sul loro benessere psicologico, affettivo e sociale. Il servizio Re Mida si rivolge ad alunni con disturbi specifici dell’apprendimento frequentanti le scuole secondarie di primo grado e al primo biennio delle scuole secondarie di secondo grado nella Provincia di Modena. Nel progetto sono coinvolti 59 utenti, 35 maschi e 24 femmine, 13 frequentanti il biennio delle scuole secondarie di secondo grado e 41 frequentanti le classi delle scuole secondarie di primo grado suddivisi in 11 nelle prime, 18 nelle seconde e 14 nelle terze. Le tipologie di scuole secondarie di secondo grado sono varie: licei a indirizzo scientifico e socio-psico-pedagogico, istituti tecnici a indirizzo scientifico, linguistico, artistico, commerciale, chimico e sociale, e istituti professionali. Il servizio Re Mida nasce dall’idea di rispondere al disagio di soggetti con disturbi specifici dell’apprendimento attraverso la messa in rete di conoscenze, informazioni e mezzi a disposizione di più attori: scuola, famiglia, ragazzi, servizi, collaboratori esterni, associazioni e formatori. Gli obiettivi principali del servizio sono: affrontare le difficoltà derivanti dall’impotenza appresa e favorire l’autonomia degli alunni con DSA che aderiscono al progetto; offrire loro un supporto didattico/educativo, anche attraverso l’utilizzo di strumenti compensativi e tecnologie informatiche e tramite la ricerca di un metodo di studio adeguato al proprio stile di apprendimento; rispondere alla necessità di avere punti di riferimento esterni all’ambiente familiare e scolastico. Gli utenti sono coinvolti in progetti trasversali come quello di educazione alla sessualità e all’affettività, di riflessione sul significato di DSA, sul vissuto emotivo che segue questa diagnosi. Anche i genitori sono supportati durante la frequentazione del servizio attraverso incontri di riflessione sui vissuti dei loro ragazzi condotti da psicoterapeuti esperti nella relazione con gli adolescenti. Dalle attività svolte con gli utenti del servizio, sono emerse importanti differenze tra la loro percezione di cos’è la dislessia e la percezione dei loro genitori. Ad esempio è emerso che gli alunni percepiscono la dislessia come “essere”, mentre per i genitori “avere”. Questo risultato ha permesso ai genitori di riflettere sul vissuto emotivo dei propri figli che non sempre coincide con il loro. 40 Esperienza di un operatore in alcune case famiglia romane: la vita degli ospiti Paola D’Atena, Carlo Pescosololido Dipartimento 142, Facoltà di Medicina e Psicologia, Sapienza – Roma [email protected] La legge Basaglia del 1978 ha modificato radicalmente non solo il trattamento della malattia mentale, ma anche gli aspetti più pregiudiziali e radicati sul malato mentale come la pericolosità e l’inguaribilità (d’Atena, P.,Bulzoni, Roma, 1983- 2011).La legge nata in un momento di cambiamento della gestione del disagio psichico in Europa ha abolito manicomi e create strutture territoriali. Il presente contributo si pone l’obiettivo di descrivere la vita di alcuni ospiti di case famiglie romane, per comprendere quanto la nuova gestione del disagio permetta o meno un miglioramento della qualità della vita e dell’immagine di sé come malati. L’esperienza diretta di Pascosolido come operatore quattro strutture con diverse tipologie di pazienti, permette di conoscere di “ persone” che inserite, in un ambiente di normalità ritrovano in parte la propria autonomia creando relazioni interpersonali tipiche di tutte i rapporti familiari, tanto da suggerire che il ruolo di malato mentale si vada affievolendo, anche grazie all’attività lavorativa svolte. Una ricerca precedente svolta in u una casa famiglia aveva dato risultati analoghi (D’Atena, op. cit.) Ma la realtà della gestione della malattia mentale dopo la 180 è varia e non sempre positiva. Spesso sono le famiglie che si prendono cura della sofferenza del parente malato, vivendo in una realtà drammatica. I centri di diagnosi e cura (piccoli manicomi negli ospedali comuni) contengono farmacologicamente il malato, lasciandolo poi al proprio destino. Le strutture private spesso utilizzano metodi di contenzione molto pesanti (elettroshock) se non maltrattamenti. 41 Homeless biographies: narrative paths of shelter hosts Eleonora Bordon*- Alice Quattrocchi**- Mariselda Tessarolo*** *Ph.D. Department of Philosophy, Pedagogy, Sociology and Applied Psychology , University of Padua, Padua, Italy; ** Psychology; *** Full Professor Department of Philosophy, Pedagogy, Sociology and Applied Psychology , University of Padua, Padua, Italy. [email protected] In the Western context, not having a stable home is one of the most severe forms of poverty. Being homeless lowers the quality of life as it is decreases the accessibility of hygienic and sanitary goods, the choice of food and the usability of a private space in which to return. These factors often lead to social exclusion and vulnerability. The number of homeless people in Western Europe is currently at its highest level in 50 years, with homelessness levels not seen since the end of World War II. According to the Functional European Observatory on Homelessness (2003), some 3 million people have no fixed home of their own, while almost 15 million people live in sub-standard or overcrowded accommodations. These 18 million individuals represent 5% of the total population, including a large number of women and young people. This survey’s aim is to trace, in the repertoires narrative of the sample indicated, the generative matrix of the previous concepts in order to understand the paradigms that support and guide social action and its development in a community of people who live in the margins of society. The strength and resources of two generations whose cultural and narrative paths are traced in this way determines the lines of development that are binding on the present and future generations. In the present study, repertoires narrative of this particular population were collected and analyzed by the software Spad. In addition to this method of analysis, the study reviewed the dictionary expressed by the interviewees, their linguistic diversity and specificity by area of investigation. Finally, we proceeded with the analysis of lexical correspondences, representing in graphical form, with the projection of lexemes in the coordinate axes. Finally, we have identified the main factors that support the narrative by building a matrix that explains the specific field of investigation. Instruments to measuring self-perception are usually oriented to favor the visible portion of the population who live and work in the territory. This was found to be diminished in his representations of the average man or social disadvantaged. The homeless in our social context represent an invisible reality – men and women who live in our area but no one actually knows as either as friends or as acquaintances. The proposed study aims to give an account of the specificities of individual homeless persons, although its attention lies on a dynamic elastic cultural observation and representation by means of a continuum of the criteria of distinction for identifying and recognizing their identity. It builds a semantic field of the Self that passes through the peculiarities of the subject in its uniqueness and is not shared with a social group but extends the exclusivity of their intimacy. 42 Vado a vivere da solo! L’applicazione della metodologia del Coach Familiare per realizzare il desiderio di una persona con disabilità acquisita Pietro Berti, Serena Cartocci, Davide Casto, Beatrice Mariani, Valeria Zoli Progetto “Abilità diverse” (Cesena) e Cooperativa Sociale “insieme per Crescere” (Forlimpopoli) [email protected] “Voglio andare a vivere da solo”. Richiesta legittima se a farla è un giovane adulto di circa trent’anni. Ma se questo adulto fosse una persona con disabilità acquisita in seguito ad operazione chirurgica, quali sarebbero le reazioni all’interno della famiglia? Uno dei primi casi seguito con la metodologia del “Coach familiare” (Biondi e Berti 2011; Berti 2011; Berti e Mariani 2012) è il caso di M, adulto con disabilità motoria e notevoli problemi nell’attenzione e nella memoria a breve termine; oltre a questo, la disabilità secondo i famigliari ha accentuato di molto il suo “caratteraccio”. M si presenta come una persona scontrosa, lunatica e che non riesce ad entrare in relazione con il prossimo, se non tramite insulti e segni di insofferenza. Il caso di M è stato segnalato nell’estate del 2012 da un’associazione di volontariato di Cesena, preoccupata per la situazione famigliare: da qualche mese era deceduto improvvisamente il padre, persona di riferimento anche emotivo della famiglia. La madre si è trovata così da sola con M e un altro figlio, di qualche anno più giovane, con un ritardo mentale. Vi sono stati tre incontri con la famiglia: durante quegli incontri, si è capito che la cosa che M desiderava di più era andare ad abitare da solo, forse anche a causa dell’alta litigiosità che si respirava nella casa. La metodologia del Coach Familiare ha lo scopo di attivare (o ri-attivare) i desideri rispetto alla propria vita e la capacità di empowerment delle persone; per questo motivo, si è scelto di individuare due obiettivi specifici. In primo luogo, insegnare a M a prendersi cura della casa dove abitava insieme alla madre e al fratello, iniziando dalla sua camera per poi arrivare anche alla cucina e al bagno. M doveva seguire un rigoroso programma settimanale per pulire, riordinare, e iniziare a rendersi conto di quello che poteva e non poteva fare. Il secondo obiettivo consisteva nel sapersi orientare nella città, spostandosi con i mezzi pubblici. Il percorso di autonomia è partito a ottobre 2012 e si è concluso a dicembre; M è stato affiancato da un Coach Operativo per due volte alla settimana (per un totale di 4/6 ore settimanali), mentre la madre riceveva la visita di un Coach Supervisore per circa due volte al mese. Il percorso è iniziato con grande stupore da parte di M, poiché gli era stata data la possibilità di scegliere cosa fare della propria vita: si è impegnato nelle attività mentre il Coach Operativo gli dava gli strumenti per sapersi auto-valutare e per capire se poteva essere in grado di andare ad abitare da solo. Non solo M si è impegnato nelle attività, anche il clima famigliare è migliorato sensibilmente. Un primo incontro di valutazione è stato effettuato agli inizi di gennaio, e il percorso ha raccolto grande soddisfazione da parte dell’intera famiglia. M dal 1° febbraio abita da solo, in un appartamento che ha trovato in maniera autonoma. Ulteriori risultati e implicazioni saranno discussi. 43 Progetto Senape: un programma per l’inclusione sociale di minori con disabilità motoria Annalisa Cerri, Francesca Tasselli, Sofia Banzatti Associazione Contatto Onlus per la promozione delle Reti Sociali Naturali – Milano [email protected] Una società sempre più esigente e una scuola dell’obbligo sempre meno pedagogica e sempre più didattica comportano un rischio di marginalizzazione nei ragazzini disabili, oltre a ridurre l’attenzione degli insegnanti sugli aspetti relazionali del gruppo classe. Per il ragazzino disabile il passaggio dalla scuola primaria alla secondaria, da un codice materno-accogliente a quello paterno-esigente degli anni successivi, modifica il suo rapporto con l’ambiente scolastico. Con il rischio di aumentare la distanza percepita tra sé e gli altri. L’Associazione Contatto Onlus opera dal 2004 per realizzare e diffondere il Programma Reti Sociali Naturali sviluppato dal D.S.M. dell’A.O. iguarda di Milano e rivolto a cittadini con disagio psichico in carico ai servizi psichiatrici territoriali. L’obiettivo del programma è il miglioramento della qualità della vita e dell’inclusione sociale attraverso la valorizzazione e l’attivazione di risorse informali, in primis il facilitatore naturale: un cittadino scelto dalla persona come partner di un programma individualizzato, costantemente monitorato dall’equipe del Progetto in un percorso condiviso con il servizio psichiatrico territoriale. L’interesse dell’Associazione Contatto Onlus negli ultimi anni si è esteso anche all’area dei minori e si è tradotto in progetti che cercano di rispondere in modo discreto e non stigmatizzante ai bisogni concreti del minore e della sua famiglia. Il Progetto “Senape: un programma per l’inclusione sociale di minori con disabilità motoria” utilizza il metodo delle Reti Sociali Naturali. Senape è finanziato dalla Fondazione Mariani, si rivolge a giovani pazienti con disabilità motoria nella fascia di età compresa tra gli 11 e i 17 anni; individua quale area di intervento, quella della qualità della vita/inclusione sociale; estende la care del paziente al di fuori del setting sanitario, nella quotidianità dell’ambiente di vita naturale. Operativamente, nella prima fase di analisi della domanda ed esplorativa della rete, per ogni minore vengono individuati i contesti privilegiati di relazioni, con l’ausilio di strumenti di assessment quali la tabella della settimana, l’elenco delle persone significative, la mappa di Todd. La fase attiva del Programma consiste nella attivazione di un sistema di care informale e di facilitatori naturali, costantemente sostenuto e supervisionato dagli operatori del Progetto, attraverso la formulazione di un accordo programmatico sottoscritto da tutti i soggetti coinvolti, minori ed adulti e formulato, rispetto ad obiettivi e modalità di attuazione, in modo personalizzato e flessibile. L’elemento di reciprocità dello scambio tra i soggetti coinvolti rivela il vantaggio di questa esperienza anche per i pari, rimarcando la funzione di cura che ogni relazione comporta e l’importanza di coinvolgere la comunità in un processo di responsabilizzazione verso i soggetti più svantaggiati. 44 Gli effetti del contatto interno sul pregiudizio: un’indagine tra gli studenti delle scuole secondarie inferiori Erica Viola, Filippo Rutto, Cristina O. Mosso Dipartimento di Psicologia; Università degli Studi di Torino [email protected] La teoria del contatto intergruppi è stata confermata in differenti contesti (vedi Pettigrew & Tropp, 2006, per una review). Sebbene l’effetto del contatto sia stato rilevato anche tra membri di gruppi minoritari, nella maggior parte degli studi, esso risulta non significativo e meno efficace rispetto a quello stimato nei gruppi maggioritari (Aboud, et al., 2012). Forse a causa della mancanza di risultati significativi, non sono numerosi gli studi che hanno esaminato i gruppi minoritari. La stessa tendenza è stata osservata anche con campioni di bambini e adolescenti. Rispetto al contesto scolastico, dato il progressivo aumento dei flussi migratori verso i paesi occidentali, il numero di studenti stranieri costituisce, anche nel nostro Paese, una realtà strutturale che rende necessario da una parte approfondire maggiormente la relazione tra contatto e pregiudizio, dall’altra parte considerare le possibili differenze tra gruppi etnici. Il contesto scolastico rappresenta un luogo privilegiato per l’incontro di differenti background culturali e permette di considerare anche il punto di vista degli studenti stranieri. Scopo del presente studio è stato quello di esaminare gli effetti del contatto intergruppo percepito sia all’esterno, sia all’interno del proprio istituto scolastico sull’espressione del pregiudizio etnico in un campione di preadolescenti (N=393). È stato inoltre considerato il ruolo del desiderio di contatto con l’outgroup che, sebbene rappresenti uno stato mentale fondamentale nella fase pre-decisionale alla base dell’intenzione ad agire, risulta un aspetto poco esplorato nella relazione tra contatto e pregiudizio. Infine, sono state esaminate le differenze relative all’espressione del pregiudizio etnico e agli effetti del contatto intergruppi tra studenti italiani, studenti stranieri di seconda generazione e studenti nati all’estero. Dai risultati è emerso che, mentre il contatto percepito all’esterno del contesto scolastico porta ad un aumento del pregiudizio etnico, il contatto interno a tale contesto riduce l’espressione di tale bias. Il desiderio di contatto risulta un mediatore della relazione tra contatto intergruppo all’interno della scuola e pregiudizio etnico sia tra studenti italiani sia stranieri. Tra questi ultimi l’effetto del desiderio di contatto risulta significativo per la riduzione del pregiudizio etnico. I risultati di questo studio mettono in luce l’importanza del contesto scolastico quale luogo privilegiato per sviluppare interventi rivolti ai giovani che puntano a favorire la multiculturalità e a sviluppare una maggior propensione personale al contatto. I risultati positivi ottenuti in quest’ambito si potranno poi estendere anche al più ampio contesto sociale. 45 Il progetto “La scuola a sostegno della cultura adottiva”. La famiglia e il minore adottato nelle parole delle insegnanti Simona Vitrano e Consuelo Serio Associazione A.M.A. (Associazione Missione Adozione); Università degli Studi di Palermo – Dipartimento di Psicologia [email protected] ‘La scuola a sostegno della cultura adottiva: l’inserimento scolastico del minore straniero adottato’ è un progetto bottom up promosso dall’Associazione Missione Adozione di Palermo, costituita da famiglie adottive, in collaborazione con le istituzioni locali. Il suddetto, sulla scia dell’aumento di minori stranieri adottati che entra in Italia in età scolare, apre una riflessione sul benessere psicosociale dei minori e delle famiglie adottive, quindi delle competenze che la scuola deve in tal senso possedere. Nel solo anno 2012, la Commissione per le adozioni internazionali ha infatti stimato l’ingresso in Italia di 3106 minori a scopo di adozione, dei quali, il 47,5% ha un’età compresa tra i 5 e i 9 anni (CAI, 2013). Il progetto si configura come una ricerca-intervento e si articola in tre fasi: ricerca sul campo, formazione e co-progettazione di interventi. La ricerca ha lo scopo di esplorare le conoscenze, le rappresentazioni sociali e le eventuali buone prassi che la scuola adotta in tema di adozione internazionale e che orientano l’agire educativo dei docenti. Il contributo illustrerà i risultati delle rappresentazioni sociali di 150 docenti intervistati per mezzo di un questionario che indaga sia l’immagine che gli stessi associano alla famiglia adottiva sia le caratteristiche peculiari che utilizzano per descrivere il minore adottato (chi è e quale ruolo svolgono le origini nell’indirizzare il suo processo di sviluppo e benessere evolutivo). Dall’analisi dei dati prevalgono due spaccati: un’immagine idealizzata della famiglia che ha adottato in cui si esaltano gli affetti positivi e i valori eticamente preziosi che stanno dietro la scelta dei genitori tanto da assurgere a modello da emulare; e un’immagine del minore come bisognoso d’affetto e di attenzioni, quindi, perfettamente complementare al nucleo familiare accogliente. Poco spazio, dunque, alle fragilità reciproche e quasi nessun riferimento al contesto extrafamiliare che ha le stesse responsabilità in tema di accoglienza. L’analisi delle rappresentazioni che i docenti hanno degli attori della famiglia adottiva è un punto di partenza per pianificare i livelli di formazione per i docenti di scuola primaria: una formazione di base sui contenuti generali del processo psicologico che investe la famiglia adottiva ed una formazione di secondo livello rivolta a quei referenti scolastici che l’Ufficio scolastico regionale avrà individuato, sulla base delle recenti circolari emanate dal MIUR. Per questi minori, infatti, la scuola è il primo luogo d’incontro con la nuova comunità di appartenenza e da essa può dipendere la bontà dell’intero processo d’integrazione (Bombèr, 2011). 46 SESSIONE POSTER P6 LA COMUNITÁ SI ORGANIZZA: VOLONTARIATO E CITTADINANZA ATTIVA Coordinatrice: Michela Lenzi PROGETTO PIEDIBUS – bambini in movimento Adriana Pierdonà*, Anna Brichese*, Elena Ciot**, Tiziana Menegon^, Sandro Cinquetti° * Assistente Sanitaria – Azienza ULSS7 del Veneto; ** Coadiutore Amministrativo – Azienza ULSS7 del Veneto; ^ Medico – Azienda ULSS7 del Veneto; ° Direttore di Dipartimento di Prevenzione – Azienda ULSS7 del Veneto [email protected] Il yber bul è un autobus che va a piedi, formato da bambini della scuola primaria che, accompagnati da adulti come genitori, nonni e volontari vanno a scuola. Coinvolge attivamente i Comuni, le Scuole, le Famiglie e l’Azienda Sanitaria. Introduce i bambini all’educazione stradale e all’utilizzo degli spazi urbani, in modo attivo acquisendo competenze; promuove movimento e autonomia negli spostamenti; favorisce la socializzazione; riduce il traffico attorno alle scuole e l’inquinamento atmosferico. Metodi Il progetto si realizza con un lavoro di rete che coinvolge l’Azienda Sanitaria, che promuove, sensibilizza, coordina e fornisce pettorine e modulistica; i Comuni che garantiscono la pedonabilità e sicurezza del percorso; la Scuola e i genitori, reali gestori del progetto. La metodologia è quella di creare gruppi di lavoro dove la motivazione della parte non istituzionale, genitori e adulti, sia molto forte per avviare il processo di empowerment fondamentale per l’attiva presa in carico del progetto. Risultati Il Piedibus, presente nell’Azienda ULSS 7 dall’anno scolastico 2007-08, vede a tutt’oggi il coinvolgimento di 18 dei 28 Comuni, con 38 Scuole, 68 percorsi, 800 accompagnatori e 1280 bambini. I Comuni hanno ripristinato la segnaletica stradale e gli arredi urbani alle fermate yber bul e hanno attuato azioni di miglioramento della viabilità. Si è creata una rete di accompagnatori per scambio esperienze, programmi, soluzioni. Ogni bambino in un anno scolastico percorre circa 400 Km per un totale di 100 ore di attività motoria. Conclusioni Il progetto sviluppa il self-empowerment muovendo risorse personali dell’individuo, incoraggiandolo ad esplorare valori e credenze, favorendo lo sviluppo delle sue abilità, per motivarlo ad agire sulle basi di scelte consapevoli. Ciò permette agli operatori sanitari di concentrarsi sulla yber bull del progetto, attuando azioni di promozione e coordinamento sul territorio. 47 NaturalMente Ragazzi! Elisa Magnolo Cooperativa Mary Poppins ar.l. in collaborazione con Centro Servizi Volontariato della Provincia di Padova, Rotary Club, Explora, Orto Corto [email protected] Premessa. Il progetto “Si, possiamo cambiare!” nasce con l’obiettivo di dare la possibilità agli studenti, già sanzionati per comportamenti scorretti, di mettere in gioco potenzialità e competenze in contesti diversi da quello scolastico per acquisire una maggiore consapevolezza degli altri e di se stessi ridando senso al proprio percorso. Senza essere allontanati dalle lezioni, gli studenti commutano i giorni di sospensione in attività di volontariato. Nell’estate 2012 si è ritenuto opportuno implementare la progettualità con un campo estivo residenziale, destinato ai ragazzi segnalati dalle scuole durante l’anno ma aperto anche a chi voleva fare un’esperienza nuova , finalizzato alla prevenzione/ promozione del benessere in un contesto socio/relazionale/ambientale basato sui principi di solidarietà, di partecipazione e di cittadinanza attiva. Il progetto. Dall’analisi delle osservazioni, sui risultati raggiunti e dagli incontri partecipati con le famiglie nasce la progettualità sperimentale “NaturaLmente Ragazzi”. Il progetto rientra nell’ambito della prevenzione/promozione del benessere; gli elementi che lo caratterizzano sono: il quadro generale di cittadinanza attiva, l’approccio socio-educativo-relazionale, l’utilizzo dell’ambiente “natura”, il metodo della ricerca-azione partecipata. Gli obiettivi sono: • Offrire la possibilità di scoprire le proprie risorse e potenzialità; • Favorire lo sviluppo del senso di autostima, l’autonomia e le motivazioni; • Favorire i processi di socializzazione; • Favorire il rispetto delle regole condivise; • Favorire l’emergere di una nuova coscienza etica morale fondata sui principi di solidarietà, responsabilizzando il giovane e rendendolo parte di una cittadinanza attiva; • Realizzare un Bilancio di Competenze che consenta di orientare i ragazzi allo studio o al lavoro; • Stimolare valori comunitari che permettano la valorizzazione collettiva del patrimonio naturale e umano di ogni territorio. Il progetto è rivolto a ragazzi che vengono segnalati dalla scuola per particolari difficoltà comportamentali e si articola quindi in: - Inserimento in attività di volontariato; - Campo estivo; - Incontri periodici di gruppo in cui riflettere su ciò che si sta costruendo attraverso il volontariato, per acquisire nuove modalità di vedere sé stessi, gli altri e di relazionarsi all’interno del gruppo dei pari; Incontri tra genitori finalizzati a favorire una diversa conoscenza del figlio e un miglioramento nelle relazioni. La ricerca. Visto il carattere sperimentale del progetto, si è deciso di effettuare una ricerca, il cui obiettivo principale è quello di verificare se le attività proposte ai ragazzi producano cambiamenti significativi sia nel modo di relazionarsi, in particolar modo, con i coetanei, sia rispetto all’immagine che hanno di sé stessi. Si intende inoltre verificare se e come l’immagine che i genitori hanno dei loro figli e la fiducia in loro si modifichi attraverso il percorso. 48 Nuove forme di volontariato. Il volontariato occasionale nell’esperienza del Festivaletteratura di Mantova Anna Maria Meneghini*, Paola Rossi**, Diego Romaioli*, Daniele Bottura** * Dipartimento di Filosofia, Pedagogia e Psicologia, Università di Verona; ** Centro Servizi per il Volontariato Mantovano [email protected] Il volontariato occasionale può essere definito come un insieme di iniziative, rette da attività episodiche, che vengono intraprese per rispondere ad esigenze puntuali e contingenti (Ambrosini, 2005). Il volontariato del Festivaletteratura di Mantova può essere considerato un esempio di questo tipo. La connotazione associativa (nel senso di struttura organizzativa) del volontariato occasionale, seppur presente, risulta alquanto ridimensionata se paragonata alle tradizionali modalità di volontariato. Il volontariato denominato come continuativo richiede infatti un impegno prolungato nel tempo ed è a carattere maggiormente “routinario”, mentre la peculiare forma che assume il tipo occasionale è quella di “impegno intermittente”. Nell’ambito di una più ampia ricerca su motivazioni e soddisfazione legate all’esperienza al Festivaletteratura di Mantova, si è voluto indagare, attraverso il metodo delle associazioni libere, come i partecipanti all’indagine si rappresentano l’idea di volontariato e di sé come volontario. E’ stata operata a posteriori una distinzione tra coloro che partecipano esclusivamente a forme di volontariato occasionale, piuttosto che ad una combinazione di esperienza tra forme di volontariato occasionale e continuativo. Ulteriori domande chiedevano di esprimersi in merito alle differenze tra volontariato occasionale e volontariato continuativo, provando ad esplicitare cosa potesse essere considerato vantaggioso o svantaggioso nelle due forme. Anche in questo caso, l’obiettivo era quello di esplorare i significati che i fenomeni indagati assumono per i partecipanti interpellati attraverso domande aperte. Il campione dei partecipanti che ha risposto al compito associativo è composto da 312 volontari; 328 partecipanti hanno risposto alle domande aperte. I termini riportati dai volontari nei diversi compiti sono stati trascritti e sottoposti ad analisi del contenuto, utilizzando il software Spad. Dai risultati traspare che la rappresentazione di “sé come volontario” e 2volontariato” tende a sovrapporsi nei due gruppi, rendendo plausibile l’idea che anche il volontariato occasionale possa essere sperimentato come una forma di volontariato tout court, altrettanto legittima e potenzialmente in grado di produrre gli stessi effetti positivi a livello di benessere personale, grazie a un incremento nel senso di partecipazione e nella promozione di legami sociali. Tuttavia, le analisi svolte sugli svantaggi e vantaggi rilevati dai rispondenti sottolineano differenze più sottili nel modo di percepire il volontariato occasionale e continuativo da parte di chi lo svolge, mostrando come le due differenti tipologie siano effettivamente adatte a soddisfare esigenze specifiche e a incontrare meglio il favore di nicchie distinte di partecipanti. 49 Anch’IO VINCO: percorsi esperienziali di Volontariato, Inclusione, Cittadinanza e Opportunità di lavoro Chiara Vallini, Daria Vellani, Krzysztof Szadejko, Elisa Pighi, Andrea Ascari Centro Studi Donald J. Ottenberg di Modena [email protected] Anch’IO V.IN.C.O. è un progetto, attualmente in atto, che si rivolge ai cosiddetti NEET: giovani under 30 che non lavorano, non seguono corsi di formazione o aggiornamento professionale L’obiettivo è sostenere i giovani attraverso azioni di attivazione nel mondo del lavoro e del volontariato per riattivare la motivazione, il desiderio, la volontà e la possibilità di immaginare un progetto. Obiettivo Offrire uno strumento di riattivazione di sé e di uscita da quei momenti di stallo che, anche a causa del particolare momento sociale ed economico che stiamo vivendo, le persone stanno vivendo. Il progetto parte dall’ipotesi che la partecipazione a percorsi orientati alla cittadinanza attiva porti ad un miglioramento della soddisfazione delle propria vita, ad un aumento delle aspettative ottimistiche e ad una variazione rispetto alle competenze che vengono ritenute utili per la ricerca di un lavoro. Metodo Il progetto, oltre a colloqui individuali e attivazioni di gruppo, inserimento in aziende e in organizzazioni di volontariato, prevede la somministrazione di questionari e la partecipazione a focus group a partire dall’inizio del progetto. Ai beneficiari dell’attività, sia in entrata che al termine del percorso, viene somministrato lo stesso questionario e viene proposta la partecipazione ad un focus group orientato al far emergere attitudini, aspettative, opinioni relative al lavoro, così da realizzare una valutazione dell’evidenza degli effetti del percorso stesso. Al fine di verificare l’ipotesi iniziale, è stato somministrato un questionario composto da 3 scale di misurazione: LOT – R, sull’ottimismo misura l’ottimismo disposizionale delle persone ed ha come fondamento teorico il modello di Carver e Scheier che fa riferimento al valore delle aspettative; SWLS – Satisfaction With Life Scale, che misura la soddisfazione globale riferita rispetto al propria vita; Scala di percezione delle competenze per l’ingresso nel mercato del lavoro (F. Avallone, A. Grimaldi, S. Pepe) permette di ottenere 3 punteggi per i fattori relativi a competenze sociali, competenze tecnicospecialistiche e presenza nel contesto. Risultati Il progetto e la ricerca sono in realizzazione e il campione aumenterà di dimensione. Hanno, ad oggi, coinvolto più di 30 destinatari. Sono stati somministrati 30 questionari ad inizio percorso, 20 a fine e sono stati realizzati 6 focus (4 iniziali e 2 finali). Attualmente il progetto è in corso. Conclusioni Nonostante il progetto sia attualmente in corso possiamo dire che il 17 tirocini su 28 si sono conclusi con il proseguimento dell’attività (con 4 inserimenti lavorativi e 10 tirocini pagati dalle aziende). Il progetto ha l’obiettivo di realizzare 65 percorsi entro luglio 2013. 50 La rete dei gruppi di cammino della provincia di Bergamo Paolo Brambilla, Giuliana Rocca, Alessandra Maffioletti, Giorgio Barbaglio ASL Bergamo Servizio Medicina Preventiva di Comunità(Dip Prevenzione) [email protected] Il gruppo di cammino è un progetto che promuove la partecipazione e la cultura locale della salute e dello sviluppo di una comunità, attraverso l’attivazione della comunità stessa. Il metodo: attraverso il coinvolgimento attivo della comunità, si cerca di costruire una rete di soggetti con ruoli attivi nel progetto: le Amministrazioni Comunali, che garantiscono l’organizzazione locale e la continuità nel tempo attraverso la rete delle organizzazioni di volontariato e partecipano alla progettazione e alla verifica dei risultati. Le Associazioni di volontariato, che forniscono soggetti che animano i gruppi dopo breve formazione da parte dell’ASL e che svolgono un ruolo attivo nella sensibilizzazione dei cittadini. I cittadini, che sono sensibilizzati in una prima assemblea promossa dall’Amministrazione locale anche attraverso le associazioni di volontariato, e che vengono poi coinvolti in incontri periodici su temi di salute connessi soprattutto con l’attività fisica. Il conduttore del gruppo o walking leader ha il ruolo importante di sostenere l’entusiasmo per assicurare longevità al gruppo, e di creare un’atmosfera positiva di reciproca fiducia e di attenzione dentro il gruppo. La collaborazione tra organizzazioni per sostenere il gruppo e la partecipazione ad altre attività nella comunità, come eventi culturali, o attività ricreative e di sostegno sociale, determinano un rafforzamento dei legami e delle relazioni dentro al gruppo. Risultati: nella provincia di Bergamo sono attivi 180 gruppi di cammino presenti in 111 Comuni su 244. Si è creata una rete attiva, che ha un suo strumento di collegamento rappresentato dal foglio “Novità in cammino” ad uscita quadrimestrale a cura dell’ASL, al quale collaborano i vari gruppi. I walking leader vengono incontrati 3 volte all’anno raggruppati per territori. Sono programmati incontri periodici con tutti i camminatori ( articolati territorialmente), per proporre nuovi temi finalizzati alla promozione della salute, con il supporto di specialisti come il cardiologo, la nutrizionista ed il fisiatra. Alcuni Comuni hanno organizzato dei raduni provinciali dei gruppi di cammino, con lo scopo di favorire l’attività fisica abbinata ad occasioni di approfondimento culturale o naturalistico ( raduno al Villaggio di Crespi d’Adda, alle Terme di San Pellegrino, ecc). Il progetto ci consente di raggiungere traguardi importanti per la salute globale: il primo è la promozione del senso di appartenenza ad una comunità e del senso di responsabilità rispetto ai risultati di benessere (ciascuno è attore e promotore di cambiamento…) Un altro traguardo è la riduzione della conflittualità e delle logiche individualistiche, con il prevalere di comportamenti come la solidarietà e la cooperazione. Un terzo traguardo è rappresentato dallo sviluppo della rete locale, che può incrementare la capacità dei cittadini di accedere alle risorse della comunità, migliorando così il rapporto tra individuo e comunità. 51 Dal gruppo di auto-mutuo-aiuto all’organizzazione condotta da utenti, una proposta di evoluzione della prospettiva di studio per i gruppi nella comunità locale Maria Angela Caputo, Nicolina Bosco, Fausto Petrini Dipartimento di Scienze della Formazione e Psicologia [email protected] Inteso e vissuto come forma di supporto che si crea in maniera volontaria, il gruppo di auto-mutuo-aiuto, costituito da pari che vivono o hanno vissuto lo stesso disagio, si inserisce come modalità di intervento parallelo ai tradizionali percorsi di cura. Negli anni più recenti l’attenzione si è però progressivamente spostata dallo studio dei gruppi di self-help allo studio delle Consumer-Run Organizations (CROs), organizzazioni al cui interno sono utenti ed ex-utenti ad assumere un ruolo centrale a livello organizzativo e decisionale (Brown, Shepherd, Wituk & Meissen, 2007; Salem, Seidman & Rappaport, 1988). Le attività delle CROs includono non solo gruppi di auto-mutuo-aiuto, con i quali si possono però individuare notevoli sovrapposizioni, ma anche interventi educativi, ricreativi, di advocacy, consulenza lavorativa ed assistenza (Brown, Shepherd, Wituk & Meissen, 2008¸ Brown, 2007; Segal & Silverman, 2002). Facendo leva sul senso di responsabilità, individuale e collettivo, sul rapporto fra pari, sul controllo delle attività svolte e la gestione condivisa le CROs promuovono, cosi come i gruppi, l’empowerment di ciascun membro favorendo il riappropriarsi della propria cittadinanza attiva (Nelson, Janzen, Trainor & Ochocka, 2008; Brown, Shepherd, Wituk & Meissen, 2007). Sulla tematica dell’associazionismo nell’auto-mutuo-aiuto è stato condotto, dal nostro gruppo di ricerca, uno studio su tutto il territorio toscano che ha visto coinvolti testimoni chiave a livello organizzativo ed istituzionale, facilitatori e membri di alcuni gruppi di varie province della regione. Obiettivo: individuare linee guida per definire le caratteristiche distintive delle associazioni e dei singoli gruppi. Partecipanti: 16 facilitatori e testimoni chiave intervistati individualmente e 92 membri di gruppi suddivisi in 13 focus-group; di questi ultimi 5 si sono nel tempo costituiti come associazione. Metodo: interviste semi-strutturate e focus-group registrati e trascritti. È stata condotta un’analisi di contenuto, con modello di riferimento la Grounded Theory (Glaser & Strauss, 1967), utilizzando un Computer Assisted Qualitative Data Analysis Software (ATLAS.ti). Risultati: le testimonianze evidenziano come sia difficile individuare una netta linea di demarcazione tra la realtà associazione e la realtà gruppo poiché esistono caratteristiche ed elementi fra loro sovrapponibili. Viene però sottolineata l’importanza di tali associazioni in quanto queste promuovono percorsi di empowerment, favoriscono la creazione di reti sociali e fungono da ponte tra gruppi, servizio e territorio. Emerge pertanto la necessità di approfondire lo studio del fenomeno per valorizzare le specificità di entrambe le realtà. 52 La consulenza psicopedagogica diventa servizio per sviluppare comunità Claudia Turconi, Marta Bosi Società Coop. Sociale Il Grafo (MI) [email protected] Il servizio di consulenza psicopedagogica nasce 15 anni fa dalla collaborazione tra il Grafo e il Comune di Bollate con la finalità di sostenere la genitorialità e favorire la prevenzione primaria attraverso il lavoro con gli insegnati delle scuole territoriali. Il servizio partecipa al progetto Ricucire la rete, finanziato dalla provincia di Milano, e rivolto ai comuni del distretto e alle scuole. Nel 2007 una ricerca-azione condotta con le scuole e con la pediatria porta all’apertura in ognuna delle 12 scuole comunali di uno sportello di consulenza adulti e di uno ragazzi e ad una rinnovata cura e potenziamento della rete con i servizi territoriali(Consultori, uompia, centri specialistici convenzionati, pediatria, Tutela minori, 3 cag, scuole private). Il servizio lavora su 2 piani tra loro interconnessi: 1-offre al singolo o al gruppo(familiare, di insegnanti, di ragazzi) la possibilità di una consultazione breve di primo livello(da un minimo di 1 ad un max di 10 colloqui), a cui accedere spontaneamente o su indicazione o in collaborazione con scuola e la pediatria; 2-lavora sulla lettura, analisi e gestione delle dinamiche dei gruppi istituzionali con cui si relaziona, in primis la scuola. Con la scuola ha poi strutturato a livello sia formale sia informale una prassi di programmazione, monitoraggio, ri-progettazione e verifica che origina interventi flessibili alle esigenze emergenti nel rispetto, dei reciproci setting. Sono stati ad esempio elaborati un percorso di autoformazione insegnati, affiancamento nella progettazione e supervisione di interventi educativi in classe, collaborazione con i cag per interventi ad hoc, co-progettazioni per la ricerca di finanziamenti esterni, incontri genitori di classi in difficoltà, cene educative con i genitori, scuole genitori in partnership con l’associazione genitori, etc. Ci sembra questo un elemento che ha aspetti di innovazione nell’ambito delle politiche preventive:l a messa in opera di attività diversificate all’interno o intorno al servizio rispondenti al medesimo obiettivo. Ciò consente di creare una piccola rete in cui il sostegno alla genitorialità trova declinazioni diverse a seconda della dimensione operativa individuale o di gruppo e dove l’interdisciplinarietà in comunicazione permette di far emergere la domanda e di declinare la risposta ad essa nel modo più efficace. Un altro aspetto di novità è la riflessione sull’importanza di porre attenzione all’aspetto processuale della prevenzione primaria, che riguarda sia la dimensione temporale in cui l’intervento si può dipanare, intesa come continuità e attesa, sia l’approccio di rete che la rende possibile. L’operatore lavora infatti mantenendo uno sguardo sistemico e un’ottica proattiva nell’approccio all’utente/partner. Utile al lavoro e alla riflessione risulta un impianto di verifica collaudato da 8 anni, composto da una pluralità di strumenti di raccolta ed analisi di dati qualitativi e quantitativi. 53 SESSIONE POSTER P7 LUOGHI, AMBIENTI E MOBILITÁ Coordinatore: Ettore De Angeli Mentor UP: aiutiamo i ragazzi a crescere. Un progetto di Mentoring implementato dall’Università degli Studi di Padova Massimo Santinello, Marisa Bergamin, Chiara Verzeletti, Alessandro Agresti, Roberta Testa Università di Padova, DPSS Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione “Guido Petter” [email protected] Scopo di questo lavoro è di presentare i risultati relativi alla valutazione dell’impatto del Progetto di Ateneo Mentor UP, un progetto di Mentoring implementato dall’Università degli Studi di Padova e con la partecipazione del Gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria di Padova. Si tratta di un programma di prevenzione e promozione del benessere, finalizzato a facilitare lo sviluppo sociale e personale di ragazzi tra gli 8 e i 12 anni che frequentano le classi 4ª e 5ª della Scuole Primarie e delle classi 1ª – 2ª e 3ª degli Istituti Secondari di Primo Grado del Comune di Padova. Obiettivi del progetto sono l’arricchimento socio-culturale dei ragazzi, la conoscenza e l’integrazione con le risorse presenti nel territorio, la risoluzione di difficoltà quotidiane attraverso la strutturazione di una relazione di sostegno con una figura adulta non istituzionale. Il programma ha coinvolto 41 coppie Studenti universitari/ragazzi delle scuole. Saranno discussi i risultati relativi all’anno scolastico 2012/2013, riguardanti la qualità della relazione tra mentor-mentee, e i benefici che tale relazione ha riverberato sui partecipanti. Inoltre saranno riportati i risultati dei questionari per la valutazione delle competenze sociali e relazionali dei ragazzi coinvolti, confrontandoli con quelli dei compagni e la media della classe. 54 A scuola su due ruote: un esempio di prevenzione partecipata Chiara De Vecchi, Valentina Del Grande Abilità Diverse [email protected] Questo progetto è nato dalla collaborazione tra una scuola secondaria di secondo grado di Cesena e i volontari del progetto “A Ruota Libera” (inserito all’interno della rete “Abilità Diverse” di Cesena), con l’obiettivo di accompagnare gli studenti in un percorso di presa di coscienza della disabilità motoria e sensoriale e delle problematiche ad essa connesse, sensibilizzando al tema delle barriere architettoniche e relazionali. Lo scopo del progetto è quello di produrre un cambiamento del punto di vista attraverso la sperimentazione in prima persona delle barriere sia fisiche che relazionali presenti nel territorio, in quanto la disabilità è un tema che può riguardare tutti, anche per un periodo limitato, come ad esempio procurarsi una frattura alle ossa a causa di un incidente in automobile. L’intervento si è articolato in tre fasi di lavoro qui presentate in ordine temporale: una prova su strada durante la quale i ragazzi venivano invitati a sedersi sulla sedia a rotelle e accompagnati lungo un percorso prestabilito per sperimentare le barriere architettoniche e relazionali. Una seconda fase dove le classi venivano accompagnate nella rievocazioni dell’esperienza vissuta, dando particolare rilievo alla componente emozionale. Una terza fase dove i ragazzi divenivano protagonisti attivi e promotori di sensibilizzazione, nella creazione e conduzione di un evento pubblico extra-scolastico aperto alla cittadinanza. Il punto di forza del progetto sta in questa modalità di sperimentarsi che favorisce l’ascolto e la comprensione dei bisogni dell’altro, con conseguente miglioramento della qualità delle relazioni e delle capacità empatiche; riducendo l’emarginazione e la stigmatizzazione, cioè quei processi sociali che minano il benessere di una comunità. Si è scelto di lavorare all’interno dell’ambiente scolastico perché si presta ad essere un contesto privilegiato per lo scambio ed il confronto tra i ragazzi, e anche un terreno fertile per la sensibilizzazione e l’integrazione di tutte le diversità. 55 Indicazioni operative rivolte ai Dipartimenti: aspetti di pertinenza ASL in ambito V.A.S. (Valutazione ambientale strategica) legata agli strumenti di pianificazione urbanistica Giuseppina RIZZO, Carmen DIRITA, Anna GAY, Bianca NUCCI, Enrico PROCOPIO, Valerio VECCHIE’, Gianmartino BIOLLO ASLCN1, ASLTO1, ASLAL, ASLTO3, ASLVB [email protected] Dove costruire o allestire la scuola e come collegarla ai luoghi di residenza e di lavoro dei genitori, incentivando all’attività fisica con pedibus, piste ciclabili abbinate a valutazioni di prevenzione incidenti stradali, luoghi salubri da inquinamenti vari abbinati a valutazioni di prevenzione incidenti domestici, impatti acustici, ecc.; la conoscenza della prevenzione inizia dalla scuola, di ogni ordine e grado, compresa l’Università dove mancano da tempo insegnamenti legati agli impatti dell’ambiente esterno/interno sulla salute umana. Occorre porre attenzione come corsi di Laurea per urbanisti, architetti, ingegneri, medici di igiene pubblica e TPALL, per citare i più coinvolti, sono poco sensibili ad argomenti di igiene ambientale e salute. Per i processi di VAS legati alla pianificazione urbanistica, la Regione Piemonte individua l’ASL tra i soggetti aventi competenza in materia ambientale. Nasce allora spontanea, negli operatori ASL coinvolti, la ricerca di conoscenze e di indirizzi operativi comuni e condivisi. Gli operatori delle ASL chiamati a rappresentare il territorio regionale, elaborano così uno strumento correlabile alle principali problematiche di valenza sanitaria. La sua consultazione potrebbe forse anche agevolare gli organi decisori e i progettisti nelle valutazioni ambientali riferite alla componente di prevenzione della salute.Il luogo dove la comunità sviluppa il senso di appartenenza è la scuola ed è lì che deve nascere il concetto di salute. Il percorso ha comportato la: - condivisione di esperienze maturate sui territori; - disamina di normative (ambientali, urbanistiche, sanitarie, ecc.); - ricerca sitografica/bibliografia di esperienze sanitarie analoghe; - consultazione di bibliografia scientifica. La consultazione con i Dipartimenti di Prevenzione e con altri importanti attori della Regione (Università/Politecnico, Direzioni Pianificazione e Ambiente, ARPA, ecc.) ha portato alla conclusione condivisa del documento. L’odierno concetto di salute affianca al benessere fisico la componente sociale e la reazione individuale agli eventi della vita. Pertanto, l’operatore sanitario deve farsi promotore di aspetti legati all’igiene dell’abitato, oltre che a impatti sulla salute di inquinanti esterni, antinfortunistica collettiva (es. incidenti stradali e in luoghi di vita), stili di vita favoriti o disincentivati da scelte urbanistiche (es. disponibilità di aree verdi e allocazione di scuole ed attività fisica), benessere sociale strettamente connesso con quello mentale e fisico di individui e di comunità (es. prossimità dei servizi, sicurezza, integrazione sociale). Di qui la consapevolezza di riaffermare il proprio ruolo, confermando l’importanza della Sanità nei processi di valutazione ambientale, soprattutto se riferiti alla pianificazione territoriale, utilizzando una metodologia di approccio cartografico che potrebbe agevolare i compiti degli operatori ASL e dei promotori dell’analisi ambientale. 56 Photovoice: Il senso dei luoghi nel ciclo di vita: una ricerca longitudinale Giorgia Borrelli, Alessandra Chiurazzi Università degli studi di Napoli Federico II, Dipartimento degli Studi Umanistici [email protected] Il presente lavoro mira ad incrementare la consapevolezza nelle giovani generazioni utilizzando una metodologia, relativamente nuova ed innovativa quale il photovoice (Arcidiacono, 2010). ’Italia comprende una ricca varietà di comunità considerevolmente differenti tra loro. Molto spesso, in termini di ricerca, si tende a dimenticare le difficoltà che i cittadini residenti alcune zone remote, sottosviluppate e disagiate del nostro paese presentano. La realtà che questo lavoro si è proposta di indagare, fa riferimento ad un paese situato in provincia di potenza, specificatamente nella Val d’Agri. Come in molte zone della nostra nazione, anche qui, fino a qualche anno fa, non erano presenti molti dei comfort a cui siamo abituati (ad esempio ADSL, Metanodotto). Il malessere che si percepiva, tutt’oggi ancora presente, ci ha spinto ad interrogarci sul disagio profondo avvertito e più volte manifestato da coloro che abitano lì. Il contributo, che nasce da un lavoro di tesi portato a termine nel 2009, mira a sviluppare una consapevolezza critica soprattutto nelle nuove generazioni, poiché naturalmente detentori di una capacità di problem solving creativa. All’interno dell’elaborato finale si era chiesto, come da manuale, ai bambini delle scuole elementari di scattare delle fotografie che comprendessero dei posti belli, dei posti brutti e dei posti che avessero un significato particolare del proprio paese. Il progetto è stato ripreso a tre anni dalla stesura della tesi. Riproponendo ai medesimi soggetti la stessa consegna presentata nel 2009. Utilizzando lo schema che fa riferimento alla ricerca-intervento, si è voluto proporre un modo sperimentale ma allo stesso tempo concreto di riflessione, azione e ricerca di significato. Successivamente allo scatto delle fotografie si è proposto un primo workshop focalizzato sulle differenze presenti tra il primo gruppo di fotografie del il secondo. In un secondo tempo, i ragazzi hanno preferito raccogliere le osservazioni e le fotografie nella stesura di un video da loro realizzato, mostrando infine il proprio lavoro ad un esponente della giunta comunale. Ne saranno discussi i risultati. 57 A scuola con il car pooling! – esempio di mobilità sostenibile Anna Brichese*, Adriana Pierdonà*, Tiziana Menegon^, Sandro Cinquetti° * Assistente Sanitaria – Azienda ULSS 7 del Veneto; ^ Medico – Azienda ULSS 7 del Veneto ° Direttore di Dipartimento di Prevenzione – Azienda ULSS 7 del Veneto [email protected] Introduzione Il car pooling consiste nella condivisione di automobili private tra un gruppo di persone, con l’obiettivo di diminuire il numero di auto circolanti su strada e ridurre le emissioni di CO2. E’ un intervento di mobilità sostenibile, proposto per la prima volta nell’a.s. 2010-11, a integrazione del Piedibus. Essendo la scuola il punto di arrivo comune per tutti, le famiglie residenti vicine possono accordarsi per utilizzare a turno un’auto con più passeggeri, dimezzando il traffico davanti alle scuole. Metodi Si è potuto organizzare il progetto grazie a una rete di alleanze tra famiglia, Scuola, Azienda Sanitaria e Amministrazioni Comunali che hanno lavorato su: rilevazione sulla modalità di trasporto a scuola degli alunni, mappatura delle residenze degli alunni che utilizzano l’auto, invito a riunione dei genitori per costruire gli equipaggi. L’Az. Sanitaria ha predisposto la modulistica per autisti e passeggeri, il Comune ha acquistato sistemi di ritenuta adatti all’età e individuato parcheggi riservati. Risultati Quasi il 60% degli alunni frequentanti la scuola arriva in auto. Ad oggi sono attive 13 scuole di ogni ordine e grado con 54 equipaggi, 166 bambini a bordo e 132 autisti disponibili, riducendo di 2/3 le auto nelle scuole coinvolte. Per quel che l’impatto ambientale, se i 166 alunni avessero percorso in auto 4 km (andata/ritorno) al giorno arrivando a scuola con un genitore, avrebbero prodotto circa 93 kg di CO2 (0.14 kg di CO2 x km percorso da un auto). Partecipando al progetto si risparmiano 2 auto su 3, quindi la CO2 non emessa nell’atmosfera è pari a 0.062 t al giorno e a 12.4 t in un anno scolastico. Inoltre, se consideriamo che un albero assorbe in media 0.046 t di CO2 all’anno, con il progetto si sono potuti salvare 278 alberi, oltre un ettaro di bosco salvato. Conclusioni Il progetto riproducibile e sostenibile attua un’azione di mobilizzazione sociale che coinvolge famiglie attraverso la creazione di alleanze tra Enti per migliorare l’ambiente e avviare i passi per creare una città a misura di cittadino. 58 Venerdì 5 Luglio 2013 SESSIONI PARALLELE SESSIONE A PREVENIRE L’OPPRESSIONE SOCIALE E LA VIOLENZA Coordinatrice: Patrizia Meringolo I giovani di fronte all’abuso: Abbiamo Bisogno di Unanime Sostegno Modonutti G.B.*, Leon L.*, Costantinides F.* *Gruppo di Ricerca sull’Educazione alla Salute (GRES), Dipartimento di Studi Umanistici – Università degli Studi di Trieste, Via Tigor 22. 34124 Trieste. [email protected] Pensare alla prevenzione dell’abuso sui minori richiede in primo luogo una valutazione della percezione del fenomeno da parte di questi ultimi che consenta di realizzare, se e come, metterli in grado di percepire le eventuali situazioni di cui possono essere vittime In quest’ottica, al fine di definire le conoscenze ed il vissuto dei minori nei confronti delle molestie e dell’abuso è stata proposta a 2775 studenti della Scuola Secondaria di 1° grado (M:52.8%; F:47.2%) – età compresa fra i 10 ed i 18 anni (M:10-16aa; F:10-18aa), età media di 12,3 anni -, la compilazione di una scheda questionario anonima, autosomministrata, semistrutturata in grado di raccogliere le informazioni d’interesse Al momento il 66.9% degli studenti affermava di non essere mai venuto a conoscenza di un caso di molestie o di abuso (M:65.8%; F:68.2%), decisamente meno numerosi (Si vs No: p<0,0005) e pari al 21.2% erano i coetanei al corrente di un simile evento (M: 21.3%; F:21.1%) e l’11.9% non forniva informazione in proposito (M: 12.9%; F:10.7%) Non dichiarava la tipologia dell’evento il 12.4% degli studenti al corrente di un abuso (M:13.9%; F:10.7%), il 19.5% affermava di non saperlo definire (M:16.2%; F:23.2%), mentre il 68.2% degli coetanei informati (Si vs NR: p<0,0005; Si vs NS: p<0,0005) specificava la tipologia dell’evento (M:69.9%; F:66.0%). Per il 58.1% si era trattato di un abuso sessuale (M:58.9%; F:57.1%), per il 4.6% l’abuso era fisico (M:3.9%; F:5.4%), per il 3.1% psicologico (M:3.9%; F:2.1%) e per il 2.4% di sostanze (M:3.2%; F:1.4%) Il 34.8% degli studenti informati non indicava da cosa avevano capito che si trattava di un caso di abuso (M:39.8%; F:29.3%), il 10.5% identificava nei media –TV, giornali…- la fonte dell’informazione (M:9.1%; F:12.1%), per il 10.4% si era trattato di una deduzione personale (M:9.7%; F:11.1%), per il 9.3% di una testimonianza indiretta (M:8.1%; F:10.7%), il 9.5% era stato testimone dell’evento (M:11.3%; F:7.5%), mentre il 14.8% affermava “non so” o non specificava la fonte (M:13.9%; F:15.7%) Non esprimeva le proprie sensazioni nei confronti di un caso di abuso il 36.2% degli studenti a conoscenza dell’evento (M:39.5%; F:32.5%), il 12.7% rispondeva “non so”(M:12.0%; F:13.6%) e l’8.1% dichiara di non aver avuto alcuna reazione (M:10.4%; F:5.7%). Per contro l’8.8% degli studenti aveva provato “fastidio/rabbia”(M:8.4%; F:9.3%), il 6.6% “orrore” (M:4.9%; F:8.6%) ed il 5.9% “paura”(M:3.2%; F:8.9%). Ancora, il 3.6% affermava di aver avuto una reazione “negativa” (M:4.2%; F:2.9%), “stupita” il 2.0% (M:1.9%; F:2.1%), aveva “reagito attivamente” il 9.0% (M:9.7%; F:8.2%), mentre il 2.7% si dichiarava “divertito/favorevole” all’evento (M:2.6%; F:2.9%) La scarsa conoscenza dell’evento, l’esigua informazione in merito alla tipologia degli abusi e la genericità delle fonti di informazione inducono a pensare che le agenzie educative – scuola e famiglia…- non propongano adeguati ed efficaci interventi di prevenzione del fenomeno abuso. 59 Progetto Ipazia: Stalking e violenza alla donna Forcella Maria Chiara, Zuccaro De Stefani Paolo, Crippa Maura Associazione IGEA [email protected] Ipazia è un progetto con l’obiettivo generale di sensibilizzare la popolazione al fenomeno dello stalking e della violenza alla donna in particolare è stato strutturato per intervenire nelle scuole superiori come strumento preventivo. Il fenomeno che è presente e che si sta diffondendo anche tra gli adolescenti italiani è preoccupante e rileva la necessità di creare uno spazio culturale per lavorare sul rispetto e la libertà dei diritti umani. I nostri obiettivi specifici sono di riportare dati ed informazioni attraverso lezioni frontali ma anche di fare ragionare i giovani attraverso una loro partecipazione attiva con analisi di materiali video, lavori di gruppo, brainstorming, role play, dibattiti e confronti con l’intera classe e con la creazione di slogan e manifesti. I contenuti su cui si è lavorato durante i 4 incontri riguardano: la definizione del termine stalking (da un punto di vista legale e comune), alcuni dati relativi alla situazione italiana, le condotte e le caratteristiche più comuni della figura dello stalker, le reazioni e i vissuti della vittima, le strategie, i mezzi, i provvedimenti e le misure difensive a cui quest’ultima può ricorrere per contrastare le condotte di stalking. Le testimonianze dirette della responsabile dell’ufficio di polizia che segue i casi di violenza alle donne, ha stimolato riflessioni personali da parte degli stessi studenti. Queste, in particolare, hanno riguardato l’immagine della donna nella società d’oggi, le strategie che potrebbero essere utili per fronteggiare un persecutore, i vissuti esperiti dalle vittime e le caratteristiche psicologiche e di personalità dello stalker. Le attività proposte hanno permesso di stimolare oltre a creatività ed immaginazione anche capacità di pensiero critico, comprensione di emozioni ed idee personali attraverso un confronto assertivo coi propri pari. L’intento ultimo è la demolizione degli stereotipi più comuni che caratterizzano soprattutto la figura della donna e dello stalker, stereotipi veicolati soprattutto dai media, che descrivono la donna come una “donna oggetto” e lo stalker come una persona malata e disturbata. Le attività consistono in: 1) brainstorming relativo alla parola stimolo “stalking, da cui si è sviluppata una discussione riguardante le modalità, i luoghi e i mezzi d’azione dello stalker, le caratteristiche, i sentimenti e le emozioni di stalker e vittima; 2) lavori in piccoli gruppi per riflettere sugli stereotipi e sui pregiudizi legati alla figura dello stalker; 3) visione di spezzoni di film per vedere differenti tipologie di stalker in azione seguiti da commenti; 4) attività di immedesimazione per comprendere le difficoltà delle vittime di stalking e per immaginare le possibili soluzioni da adottare; 5) lavoro su slogan e manifesti da utilizzare in eventi pubblici come testimonianza di un impegno non solo scolastico-pedagogico ma anche socio-culturale. Il progetto prevede un pre-test e un post-test. 60 Trattamento intensificato per sex offenders: gestione dei conflitti, abilità sociali e riduzione della recidiva S.Signoretti*, M.Ricci Messori**, M.Vagni*, D.Musso*, A.Stronati, S.Piersanti, N.Buccioletti, V.Albertini, C.Birgolotti * Università degli Studi di Urbino – Centro di ricerca e formazione in psicologia giuridica; ** Università Politecnica delle Marche – Ancona [email protected] Il dis-controllo emotivo che precipita il corto circuito violento d’impeto, la distorsione paranoide del crimine passionale, la catarsi violenta sono dei pattern stabili e cristallizzati che richiedono specifici trattamenti affinché possano essere indagate le problematiche e i meccanismi scatenanti. I cosiddetti Sex Offenders (autori di reati sessuali), sono soggetti per cui risulta necessario un intervento yber bullismo specifico, attivando risorse terapeutiche anche e soprattutto allo scopo di ridurre la pericolosità sociale e i rischi di recidiva di quei comportamenti antisociali e sessualmente violenti, oggi considerati tra i più gravi e fonte di allarme ed insicurezza. È necessario quindi attuare un intervento che si prenda carico degli aggressori sessuali nella prospettiva di un loro ritorno alla vita sociale, a tutela delle esigenze di difesa sociale, diminuendo al contempo la pericolosità sociale e il rischio di recidiva, che coincide con l’interesse del soggetto di avere una riabilitazione che ne contrasti le ricadute e riduca l’impatto specifico del deprisonnement. Il trattamento degli autori rappresenta una forma di prevenzione rispetto ai reati di violenza sessuale, poiché la vera tutela delle vittime è quella di intervenire sugli aggressori. I principali obiettivi del trattamento sono:Riconoscere il reato; Prendere consapevolezza dei fattori scatenanti la messa in atto del fatto criminoso; Empatizzare maggiormente con la vittima, comprendendo cosi le conseguenze che il fatto ha avuto su di essa; Migliorare la gestione dei conflitti e l’impulsività; Esplorare le aree deficitarie interpersonali. Il progetto proposto consiste in un insieme di azioni dal carattere yber bullismo e risocializzante. L’intervento si svolge prevalentemente attraverso attività di gruppo, portato avanti da un equipe multidisciplinare di Psicologi, Psichiatra e arte terapeute. Il trattamento viene svolto con incontri psicologici yber bullismo a cadenza bisettimanale, all’interno dei quali vengono affrontate differenti tematiche integrando metodologie psicodinamiche, sistemicorelazionale e cognitivo-comportamentale. Alcuni detenuti riescono a raggiungere una maggiore consapevolezza delle motivazioni alla base del loro reato; comprendere quali sono le loro difficoltà interpersonali, diminuendo l’impulsività e raggiungendo sufficienti capacità nella gestione delle situazioni problematiche all’interno del contesto sociale. Attraverso l’Acquisizione di maggior capacità di introspezione, di alfabetizzazione emotiva e di gestione delle problematiche sociali, il detenuto puó essere agevolato nel ritorno al contesto familiare/lavorativo/sociale, con l’obbiettivo futuro di istituire un ente esterno al Carcere per poter accompagnare lo stesso in toto lungo il percorso di reinserimento. 61 La malattia mentale ed il malato di mente nelle opinioni e negli atteggiamenti degli studenti della Scuola Secondaria di 1° e 2° grado del Friuli Venezia Giulia e del Veneto orientale Modonutti Giovanni Battista Gruppo di Ricerca sull’Educazione alla Salute (GRES), Dipartimento di Studi Umanistici – Università degli Studi di Trieste, Via Tigor 22. 34124 Trieste. [email protected] Il pregiudizio nei confronti della malattia mentale e del malato di mente è uno dei maggiori ostacoli alla presa in carico, alla cura ed al reinserimento sociale delle persone con problemi legati al benessere psichico Al fine di attuare un intervento precoce di prevenzione dello stigma e di promozione della salute è stata condotta – utilizzando il questionario proposto da R.H. Falloon, Buckingham Proget, Aylesbury Vale Health Autority, U.K. 1988 – una ricerca sulla percezione della malattia mentale (MM) e del malato di mente (ML) di 1160 studenti (M:51.7%;F:48.3) delle Scuole Secondarie di 1° grado (SS1) – fra i 10 ed i 16 aa, in media 12.4aa – e di 2441 (M:38.1%;F:61.9%) di quelle di 2° grado (SS2) – fra i 13 ed i 25aa, in media 16.1aa – reclutati in Friuli Venezia Giulia e nel Veneto orientale. La MM è per l’11.3% degli studenti della SS1 (M:13,0%;F:9,5%) e per il 22.7% dei colleghi della SS2 (M:23,0%;F:22,6%) una malattia come tutte le altre malattie (SS1 vs SS2:p<0,0005), per la cura della quale il 34,3% dei frequentanti la SS1 (M:33,3%;F:35,4%) ed il 64,2% dei compagni della SS2 (M:57,5%;F:68,4%) non reputa che il ricovero nelle corsie chiuse degli ospedali sia la miglior scelta terapeutica (SS1 vs SS2: p<0,0005) A proposito del ML emerge che il 35,5% degli iscritti alla SS1 (M:36,0%;F:35,0%) ed il 35,3% di quelli alla SS2 (M:40,1%;F:32,3%) è dell’idea che la maggior parte delle persone che soffrono di una MM non siano pericolose, mentre il 42,5% della popolazione scolastica afferente alla SS1 (M:37,3%%;F:48,0%) ed il 67,8% di quella alla SS2 (M:59,5%;F:73,0%) afferma di non essere in grado di riconoscere una persona che ha avuto un problema mentale (SS1 vs SS2: p<0,0005) Seppur in diversa percentuale (SS1 vs SS2: p<0,0005) manifestano un certo ottimismo nei confronti della capacità di ripresa delle persone che hanno avuto una MM il 61,3% dei frequentanti la SS1 (M:56,0%;F:67,0%) ed il 79.0% degli studenti della SS2 (M:73,7%; F:82,3%), mentre meno fiduciosi si rivelano i colleghi, rispettivamente il 61,8% dei giovani della SS1 (M:62,8%;F:60,7%) ed il 57,6% dei compagni che studiano alla SS2 (M:54,4%;F:59,6%), che credono nella efficacia dei moderni trattamenti nei confronti della MM (SS1 vs SS2:p<0,025) Per quanto riguarda i diritti delle persone che hanno avuto una MM riscontriamo che il 55.8% degli studenti della SS1 (M:50,7%;F:61,3%) e l’80,6% dei compagni della SS2 (M:73,0%;F:85,3%) affermano che queste possono lavorare (SS1 vs SS2: p<0,0005), così come il 53.1% dei ragazzi delle SS1 (M:52,3%;F:53,9%) ed il 70.8% di quelli della SS2 (M:66,6%;F:73,4%) riconoscono loro il diritto alla genitorialità (SS1 vs SS2:p<0,0005) Fanno ancora parte del bagaglio culturale degli studenti coinvolti atteggiamenti ed opinioni stigmatizzanti la MM ed il ML che, nonostante vadano riducendosi con il procedere della carriera scolastica, richiedono una maggiore, più incisiva e corretta azione di contrasto del pregiudizio che accompagna i disturbi mentali. 62 SESSIONE B LO SVILUPPO DEL CAPITALE SOCIALE: TRA RICERCA E AZIONE Coordinatore: Raffaello Elvio Martini Discussant: Doug Perkins La partecipazione in adolescenza: sfide e risorse di una generazione in cambiamento Elena Marta, Daniela Marzana, Sara Alfieri, Maura Pozzi Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano [email protected] La ricerca qui presentata ha previsto l’impiego di modalità di lavoro partecipate e condivise tra i diversi attori coinvolti. Si tratta di un approccio alla ricerca-azione che si fonda sulla consapevolezza che le persone siano soggetti-attivi-in-situazione, portatori di criticità ma anche di risorse. L’obiettivo principale del lavoro è stato quello di dialogare con i giovani e di comprendere con loro il significato dell’impegno politico e della partecipazione per la loro generazione; partecipazione intesa sia come partecipazione alle associazioni che come partecipazione alla vita scolastica. A questo primo obiettivo segue quello predittivo di comprendere l’influenza della partecipazione nella percezione di fiducia e benessere all’interno della propria comunità. Lo strumento usato è un questionario self-report. Hanno partecipato alla ricerca 1393 giovani di un’età compresa tra i 13 e i 23 anni (M=18,397; DS=1,079). Di questi il 50,8% (N=704) sono maschi e il 49,2% (N=683) sono femmine. La dimensione partecipativa è stata attivata attraverso un tavolo di lavoro tra ricercatori “professionisti” e ricercatori “ingenui”, ossia i referenti della diocesi, accomunati dalla passione per un oggetto di ricerca dai molteplici risvolti e dalla innumerevoli implicazioni. Tale approccio si è tradotto, concretamente, in due azioni: - progettazione condivisa del questionario; Per quanto riguarda i risultati, è emerso che i giovani che partecipano presso una qualche associazione hanno alle spalle dei genitori che in misura maggiore rispetto ai coetanei che non partecipano, hanno impartito insegnamenti altruistici e yber bulli e si impegnano nella discussione in famiglia di attualità e politica. Allo stesso modo risultano importanti nella promozione di partecipazione sociale (e scolastica) il genere, l’ambiente scolastico, le esperienze previe di socializzazione. In quanto al secondo obiettivo che intende indagare il ruolo della partecipazione sociale nella percezione di fiducia, intesa sia come fiducia nelle istituzioni che come ottimismo e senso di sicurezza rispetto al proprio ambiente di vita (quindi benessere), risulta che i giovani impegnati presentano un punteggio medio maggiore rispetto a quello dei coetanei non impegnati; quindi chiedono maggiormente aiuto agli altri, apprezzano il posto in cui vivono e lo ritengono sicuro, fanno favori agli altri e in generale pensano che ci si possa fidare degli altri. Ancora una volta siamo in presenza di un circolo virtuoso tra partecipazione, fiducia e capitale sociale (quindi benessere) che merita di essere posto sotto attenzione sia da parte dei ricercatori che di quanti a vario titolo si occupano di educazione dei giovani. 63 Emozioni e disegno: presentazione di un progetto di ricerca e intervento che utilizza il “gruppo” in carcere T. Maiorano, D. Pajardi, E. Cannini Centro di Ricerca e Formazione in Psicologia Giuridica – Università di Urbino [email protected] Introduzione La detenzione soprattutto se prolungata nel tempo può portare il soggetto detenuto ad un distacco e ad una difficoltà nell’entrare in contatto con i propri vissuti emotivo-affettivo e, ancora di più, a condividerli con gli altri. Questa situazione può con il protrarsi del tempo portare a delle forme di disagio, in particolare numerose ricerche riportano che l’alessitimia è una condizione molto diffusa tra i detenuti e può accompagnarsi alle cosiddette sindromi carcerarie. Il progetto nasce dalla considerazione dell’importanza della comunicazione, dell’espressione e della comprensione dell’esperienza emotiva attraverso un lavoro introspettivo, che utilizza il disegno come canale comunicativo privilegiato, per tentare di superare il disagio creato dalla condizione carceraria. Obiettivi della ricerca La ricerca intervento si pone l’obiettivo di indagare se lo strumento disegno possa essere utilizzato come stimolo utile per permettere al detenuto di prendere consapevolezza, esprimere le proprie emozioni e saperle canalizzare. Un campione di 10 detenuti della sezione di media sicurezza e 10 detenuti del gruppo di massima sicurezza hanno partecipato al presente progetto. La procedura prevedeva attraverso la consegna libera o guidata di esprimere attraverso il disegno, emozioni provate attualmente, sperimentate nel passato o connesse a esperienze di vita particolari. Ad ogni incontro dopo aver prodotto il disegno seguiva la fase di discussione in cui ogni membro del gruppo presentava il proprio elaborato. È stato chiesto nell’ultimo incontro di compilare le schede di valutazione al fine di permettere ad ogni detenuto di ripercorrere il proprio percorso individuale e di gruppo e di analizzare i disegni prodotti. Attraverso l’utilizzo di griglie di valutazione si è proceduto poi ad analizzare se tale strumento possa essere un utile supporto educativo. Si è inoltre proceduto ad analizzare se rievocare le esperienze fortemente cariche di emozioni e interpretarle possa spingere i soggetti alla rielaborazione consapevole delle proprie scelte. Risultati Il disegno è risultato essere un ottimo strumento perché ha permesso a coloro i quali avevano difficoltà ad esprimersi attraverso le sole parole, a raccontarsi. Si è inoltre constatato che il percorso gruppale è stato di maturazione e di miglioramento per i soggetti che ne hanno preso parte. Il gruppo nel corso degli incontri è diventato il luogo dove esprimersi individualmente e confrontarsi con le esperienze degli altri assumendo la denotazione catartica. Si è inoltre constatato che ascoltare attraverso il disegno le emozioni e le esperienze degli altri ha spinto i soggetti del gruppo a rileggere e vivere le emozioni in modo diverso e meno eccessivo in quanto comprendere che anche gli altri sperimentano vissuti difficili permette maggiore scambio, condivisione e consapevolezza dei propri stati emotivi. 64 Transition Towns as a tool for community development. First results of qualitative analysis Anna Zoli, Barbara Pojaghi Università degli Studi di Macerata [email protected] SIGNIFICANCE. Transition Towns is an international movement developing a systemic approach including all real and concrete actions organized by citizen in a bottom-up logic [Hopkins, 2008]. However, the movement has until now been largely unresearched with qualitative methods [Smith and North, 2009 are early attempts to get to grips with the values and meanings of the movement] and trough a community psychology perspective. The Transition movement is going to have long-term effects in terms of revitalizing local economy, enhancing human relations and improving the quality of life or citizen, so it is vital that it is grounded in robust and scientifically informed conceptual frameworks like the research on smart communities [Haxeltine and Seyfang, 2009]. OBJECTIVE. We choose Monteveglio for our analysis, a 5000 inhabitants town near Bologna, Italy, which is the first and the only town in Italy absorbing transition principles in an official institutional document: resolution n. 92/2009. In this study we aim to understand the community modifications and if they can be scientifically attributed to the transition process. Thus, we try to point out the single case specific elements analyzing data from Monteveglio community [Brodsky, 2012]. Considering the history of Monteveglio and its political-economical contest within the wider global framework through the voices of the community is an innovative study on the issue both for the theme and for the methodology. METHODS. In order to understand the history of Monteveglio and the role of transition in it, we listened to the voices of its witnesses. This was obtained conducting semistructured interviews with people from Monteveglio, chosen on the basis of their particular role in the town (an old teacher, the director of a popular restaurant, the mayor…) and also analyzing documents related to the history of the community. Secondly, using the analytic tools of social sciences we examined the historical construction of community and the most pressing problem that it faces today. These issues included the reorganization of urban assessment and local economy and how these processes influence Monteveglio citizen lives and interactions with each other, the growing lack of funds to save public services and generally the challenges to the social, political and ecological fabric of community. FURTHER STEPS. We will explore the limits of the transition as a community based process and as an institutional process, by two focus groups: one with the leaders of Monteveglio in transition, one with some Monteveglio council members. Moreover, we will give the focus groups participants a feedback to plan together new steps for implementing transition in an action-research perspective, pointing out eventual links within the development of the community and the local economy as main factor of empowerment. 65 Profili di comunità per progetti di comunità Giuseppe Errico, Angela La Torre Istituto di Psicologia e Ricerche Socio Sanitarie [email protected] Gli autori, che operano in Campania nel campo sociale a partire dal 1999, attraverso l’ideazione e l’attuazione di progetti relativi a servizi e politiche sociali per minori a rischio, intendono offrire un contributo in merito alla promozione di prassi sperimentali in contesti di esclusione sociale (cf. Errico G./La Torre A., Le dimensioni molteplici della pratica sociale, Edizione La Casa del Sole, Napoli, 2005). Tecniche espressive, progetti di comunità (Errico 2012), allestimenti di “cantieri sociali”, promozione di reti territoriali, costituiscono visioni operative “concrete” ed intrecciate ove far convergere sforzi scientifici, visioni culturali, in un’ottica solidale. Le scienze antropologiche possono dare un contributo ai servizi per la promozione del benessere e la salute, appaiono tutte fra loro connesse, interdipendenti, incomprensibili separatamente; la commistione esplicita contraddittoria e la compresenza implicita necessaria sono modi del continuo rinvio di ogni discorso ad altri discorsi (Piro S., 2008): il discorso appartiene al linguaggiooggetto per la diretta descrizione yber bullismo e appartiene al metalinguaggio per la formazione di regolarità («…di ogni discorso ad altri discorsi, di ogni tema ad altri temi») e per la generalizzazione possibile del modello «appaiono tutte fra loro…». Le scienze antropologiche trasformazionali, quelle che in genere sono malamente dette scienze «umane», non possono essere private di un loro discorso più generale ed essere ridotte a soli discorsi che attengono direttamente all’accadere: e se anche così si volesse, non lo si potrebbe fare. Contestualmente le “operazioni” in campo sociale non possono non tenere conto, sia in fase di promozione della salute che nella fase di allestimento dei servizi sociali, di progetti territoriali capaci di partire dal “basso”, dall’intreccio comunità-individualità. 66 Il genere come moderatore nella relazione tra senso di comunità e qualità di vita Norma De Piccoli, Chiara Rollero, Silvia Gattino Dipartimento di Psicologia, Università di Torino [email protected] La qualità della vita (QdV) non è solo una condizione di assenza di malattia, ma una situazione di benessere fisico, mentale e sociale. Più precisamente, la QdV è stata definita come la percezione che gli individui hanno della loro condizione di vita nel contesto culturale e valoriale in cui vivono, in relazione ai loro obiettivi, alle aspettative e alle preoccupazioni (WHO Quality of Life Group, 1995). In altri termini, la QdV è un concetto multidimensionale che riguarda la salute fisica e psicologica, le relazioni sociali e l’ambiente (Camfield & Skevington, 2008; Cummins & Nistico, 2002). Diverse ricerche si sono occupate di studiare le variabili che incidono sulla QdV e hanno evidenziato che, tra le variabili psicologiche, il senso di comunità (SdC) ha un ruolo importante nell’influenzare positivamente la qualità della vita (Farrell, Aubry, & Coulombe, 2004; Gattino, De Piccoli, Fassio & Rollero, in press). Tuttavia, gli studi che hanno analizzato la relazione tra QdV e SdC hanno considerato quest’ultima variabile nella sua totalità, senza indagare l’incidenza delle diverse dimensioni che compongono il SdC. Sono ancora pochi, invece, i lavori che hanno esaminato il ruolo giocato dai diversi predittori sulla QdV da una prospettiva di genere. Infatti, se le ricerche hanno indagato le differenze tra uomini e donne in relazione alla QdV, pochi sono gli studi che hanno prestato attenzione alle determinanti della QdV per gli uomini e per le donne. Il lavoro qui presentato intende studiare le differenze di genere relativamente alle determinanti della qualità della vita. Nello specifico, la variabile genere è stata considerata un moderatore nella relazione tra le diverse dimensioni del SdC e ciascuna delle componenti della QdV. Alla ricerca hanno partecipato 600 individui (F= 56%; età media 42.73, ds13.02), a cui è stato somministrato un questionario contenente la scala della Qualità della vita, versione breve (De Girolamo et al., 2001), la versione italiana della scala del Senso di Comunità (Davidson and Cotter 1986, validazione italiana Prezza et al., 1999; Tartaglia, 2006) e alcune informazioni socio-anagrafiche. Dai risultati è emerso che: uomini e donne ottengono punteggi diversi su tre dimensioni della scala della QdV (fisica, psicologica e ambientale); delle diverse componenti del SdC l’attaccamento al luogo è quella che più influenza la QdV; il genere incide sulla QdV fisica e ambientale e, nel caso della QdV psicologica, l’effetto esercitato dall’attaccamento al luogo è sia diretto sia moderato dal genere. Le implicazioni e le ricadute applicative verranno discusse. 67 Senso di Comunità e Immigrazione: uno studio nella Zona Stazione di Reggio Emilia. Quali implicazioni per la convivenza? Irene Barbieri, Christopher Sonn, Bruna Zani Università di Bologna, Victoria University, Melbourne, AU [email protected] La necessità di studiare i cambiamenti socio-culturali, che negli ultimi decenni hanno interessato l’Italia, ha posto l’interesse sul Senso di Comunità (SOC) come uno dei principali strumenti per analizzare e affrontare il cambiamento. Dalle definizioni di Sarason (1974) e McMillan e Chavis (1986), fino agli studi di Wiesenfeld (1996), Brodsky (1996; 2001; 2009) e Fisher e Sonn (1999; 2002), il concetto di SOC si è sviluppato nel tempo, grazie ad una maggiore attenzione alla realtà contemporanea, fortemente caratterizzata da eterogeneità e diversità culturale. In Italia negli ultimi decenni, in particolare a Reggio Emilia, le forti migrazioni costituiscono un fattore cruciale per lo studio dei cambiamenti sociali e le possibili implicazioni nella vita quotidiana. L’interesse della letteratura per lo studio del SOC in contesti multiculturali ha portato a considerare il ruolo e i significati delle appartenenze multiple (Harris, 2009; Blunt & Varley, 2004) nella formazione dell’identità delle popolazioni migranti e native (Sindic, 2011; Ali & Sonn, 2010; Condor, 2011; Bhatia & Ram, 2009) e nello sviluppo di fattori psico-sociali fondamentali per la convivenza quotidiana. Il presente studio ha come obiettivo indagare l’esistenza di SOC Multipli all’interno di diversi gruppi etnici presenti nella Zona Stazione di Reggio Emilia, e di fattori psico-sociali relazionati alle multiple appartenenze. Le ipotesi principali consistono nel verificare: l’esistenza di SOC Multipli, territoriali (la Zona Stazione) e relazionali (legati al Paese d’origine); le differenze per genere, generazione e gruppo etnico rispetto al SOC; la relazione tra SOC Multipli, identità e benessere. Il campione è costituito da circa 180 persone di origine albanese, marocchina e cinese, residenti in Zona Stazione (60 per ogni gruppo etnico). È stato somministrato un questionario composto da: parte demografica, Scala Multidimensionale del Senso di Comunità per Comunità Locali (MTSOCS) di Prezza e collaboratori (2009), Scala di Proescholdbell, Rosa e Nemeroff (2006) per comunità relazionali, Misura dell’Identità Etnica Multigruppo (MEIM-R) di Phinney e Ong (2007), Scala del Benessere di Keyes (2005). Il campione è stato raccolto attraverso il metodo “SnowBall”. I risultati evidenziano la presenza di SOC Multipli tra persone di diversi gruppi etnici, sia di tipo relazionale sia territoriale. Nello specifico, si evidenziano livelli più alti di SOC relazionale (Paese d’origine) e livelli più bassi di SOC territoriale (Zona Stazione). Esistono differenze di genere rispetto a livelli di SOC territoriale (più alto nei maschi) e differenze tra prime e seconde generazioni (in prime generazioni SOC relazionali più alti, mentre in seconde generazioni SOC territoriali più alti). Infine, esiste una relazione tra identità e la formazione di un Senso di Comunità Multiplo, il quale sembra essere connesso con il benessere dei residenti della Zona Stazione. 68 SESSIONE C LEGAMI FAMILIARI Coordinatrice: Chiara Nicolini Childhood links: un modello di formazione su operatori sociali mediante e-learning blended C. Falsetti*, T. Leo*, I. Marinelli**, D. Gangi**, S. Greganti*** *DII – Dipartimento di Ingegneria Informatica dell’Università Politecnica delle Marche di Ancona; **Centro di Ricerca e Formazione in Psicologia Giuridica dell’Università degli Studi di Urbino; ***CoossMarche di Ancona [email protected] Introduzione. Il progetto CHILDHOOD LINKS propone un metodo innovativo per favorire il mantenimento della relazione tra genitori e minori in affido in Europa. Il metodo si basa sull’utilizzo dell’intervista orientata alla chiarificazione dei processi decisionali. Il progetto mira a fornire uno strumento che consenta di far fronte adeguatamente a situazioni conflittuali o complesse, attraverso un’analisi obiettiva delle proprie azione e decisioni educative. Agli aspetti teorici del metodo è stato affiancato un software TRIADES per la rappresentazione delle decisioni educative. Metodologia ed obiettivi. Il percorso formativo è stato strutturato in modalità e-learning blended, che si caratterizza per l’alternanza di lezioni in presenza ed attività formative online. L’approccio pedagogico adottato si ispira ai fondamenti dell’andragogia in cui hanno un ruolo centrale il bisogno di conoscere, il concetto di sé del discente, il ruolo dell’esperienza, l’orientamento verso apprendimento, la motivazione. Il learning design del percorso formativo è stato quindi caratterizzato da 3 elementi: 1. Presentazione di casi reali; 2. Peer tutoring (lavoro a coppie tra i corsisti e tutoring degli esperti/formatori); 3. Autovalutazione delle competenze. Questo modello formativo si è tradotto nell’implementazione di attività online in cui sono stati utilizzati alcuni strumenti specifici della piattaforma e-learning quali le attività condizionate e le rubric. Le attività condizionate permettono di definire una sequenzialità di azioni nel percorso formativo e vincolano l’esecuzione di un compito alla risoluzione del compito precedente. Le rubric per l’autovalutazione delle competenze acquisite, con riferimento a livelli di competenza definiti dai tutor. Il metodo è stato testato con psicologi che operano come ADM – Assistenti Domiciliari per Minori. Queste figure professionali operano con famiglie problematiche in cui la relazione tra genitori e figli richiede la mediazione ed il supporto di un esperto. Conclusioni. Il bilancio dell’esperienza condotta è positivo, si è percepito che nello svolgimento delle attività del corso si è sviluppata una positiva interdipendenza e scambio reciproco, che ha fatto certamente nascere una comunità di apprendimento e che potrebbe evolvere in una comunità di pratica. Gli studenti hanno mostrato di avere un buon livello culturale ed hanno messo in evidenza punti di forza e di debolezza del corso: il metodo appare utile per la supervisione, una corsista ha detto “il metodo è utile per vedersi dal di fuori”. È emersa la necessità di focalizzare la formazione per impratichirsi con il metodo su casi reali. Il corso è stata una occasione importante per conoscersi e lavorare insieme e la piattaforma è risultata essere un utile strumento per l’interazione. Nella presentazione verranno illustrati il progetto didattico, gli elementi centrali della strutturazione del corso, oltre che la valutazione adottata ed i risultati ottenuti. 69 Il “viaggio nel viaggio”: prima ricognizione nelle scuole primarie di Palermo per favorire l’inserimento scolastico del minore adottato Cinzia Novara, Valentina Petralia, Maria Garro Università degli Studi di Palermo [email protected] Premessa. La fase che vede inserire il bambino adottato nel contesto scolastico può definirsi come un “viaggio nel viaggio” (CAI, 2012), passaggio attraverso cui il minore accede alla comunità, al gruppo dei pari, all’organizzazione della vita sociale. Un viaggio che va sostenuto costruendo un’alleanza di lavoro tra scuola, famiglia e reti istituzionali implicate nell’iter post adottivo. Finalità della ricerca. È stata avviata una prima ricognizione delle scuole primarie di Palermo, al fine di rilevare sia la costruzione sociale del fenomeno adozione a scuola, ad opera dei docenti; sia le buone prassi effettivamente poste in essere da chi abbia fatto esperienza in classe del minore adottato. Gruppo coinvolto. Sono stati coinvolti 180 docenti di scuole primarie dislocate sulle otto circoscrizioni della città di Palermo. Di questi il 96.7% è di genere femminile, con anzianità di servizio pari a 17.5 anni (d.s.=8,2), età media compresa tra 25 e 64 anni e nell’84.6% dei casi in ruolo. Metodologia. Ai docenti è stato proposto un protocollo di ricerca che approfondisce quattro aree tematiche: 1. La famiglia adottiva che il docente si rappresenta, quindi il percorso e gli eventuali ostacoli a cui essa può andare incontro prima, durante e nel post-adozione; 2. Le aree di problematicità che si ritengono prioritarie nell’inserimento scolastico del minore adottato; 3. Le attività didattiche realizzate in presenza di minori stranieri in aula; 4. Il contesto di fiducia e la situazione scolastica (Santinello, Bertarelli, 2002) quali “variabili di contesto” che pure ridimensionano la possibilità di innovare modelli didattici legittimati da dinamiche interne agli istituti. Risultati. I docenti mostrano una rappresentazione adeguata della motivazione che spinge una coppia alla scelta adottiva, come quella capace di dare sbocco al desiderio di maternità/paternità, seguita dall’impossibilità di generare figli propri e, infine, dal desiderio di dare una famiglia a un minore. Oltre il 50% degli intervistati ritiene che non ci sia alcuna differenza tra i genitori adottivi e quelli di nascita, ancorché si riconosca ai primi maggiore consapevolezza della genitorialità. Una conoscenza opacizzata emerge del percorso psicologico in cui la famiglia s’imbatte riconducendo i docenti perlopiù a fattori di tempistica, lungaggini burocratiche e costi le difficoltà che lo intervallano mentre le difficoltà del docente sono confinate a una “problematicità” tutta insita nel bambino piuttosto che alla relazione educativa. Le attività didattiche in aula hanno affrontato i temi delle origini richiamando le differenze culturali tra i paesi ma solo in parte quelli dell’adozione sono stati occasione per illustrare in classe i molti modi di essere famiglia nella realtà odierna. Infine, a fronte di un clima scolastico che si colloca in un range medio, emerge una fisionomia fiduciaria a macchia con livelli divergenti di fiducia interpersonale e fiducia generalizzata verso la comunità. 70 Accogliere la sfida di crescere un figlio con la sindrome di Down: una ricerca-intervento M. Pierantoni*, E. Marta*, P. Guiddi*, G. Aresi*, P. Rebaudi**, C. Cibra** * Università Cattolica di Milano; ** Associazione Vivi Down Onlus [email protected] La Ricerca-Intervento “Disturbi dell’umore in persone con sindrome di Down e Network relazionale”, nasce dalla collaborazione tra l’Associazione Vivi Down Onlus e il Laboratorio di Psicologia Sociale Applicata dell’Università Cattolica a partire dal 2008. Gli obiettivi della prima fase di ricerca-intervento (2008-2009), delineati attraverso un processo partecipativo in una prima assemblea plenaria aperta a tutti gli associati, erano indagare la psicopatologia nelle persone con Sindrome di Down (fase 1, quantitativa) e le sue correlazioni con variabili relative al funzionamento familiare (fase 2, quantitativa). Il tempo dedicato al confronto in questa prima fase della ricerca, ha permesso non solo il sempre opportuno ancoraggio dei dati alla specifica realtà associativa, ma una loro rilettura condivisa da cui è emersa la necessità di porre maggiore attenzione ai possibili ruoli che l’Associazione può rivestire per andare sempre maggiormente incontro alle esigenze e necessità delle famiglie. Questa riflessione ha portato all’esplicitazione di una nuova domanda di ricerca, nel 2010. L’équipe integrata – Associazione e Università – ha così lavorato ad una riprogettazione partecipata mirata ad agire sugli aspetti lasciati aperti dalla ricerca del 2009, realizzando una terza fase di ricerca (fase 3, qualitativa) con l’obiettivo di comprendere l’adattamento familiare alla Sindrome di Down. L’intero impianto di ricerca e i dati emersi da ciascuna delle tre fasi della stessa, hanno permesso ai membri del Consiglio, alla Direzione e all’équipe di consulenti di favorire un processo critico riguardo nuove ipotesi organizzative e la possibilità di ampliare l’offerta di supporto alle famiglie non solo in una modalità top-down, ma favorendo un processo di empowerment delle famiglie, che si sono attivate per creare occasioni di confronto e scambio in modalità bottom-up. Nel presente lavoro verranno presentati l’iter della ricerca-intervento e i principali esiti delle due fasi di ricerca-intervento. Verranno inoltre presentate le ricadute applicative, di carattere intrafamiliare, associative e sociali prodotte dalla ricerca-intervento. La lettura dei risultati della ricerca e la costruzione delle modalità di presentazione degli stessi hanno svolto una duplice funzione riflessiva: accrescere la consapevolezza dell’Associazione riguardo la consapevolezza di poter essere sempre maggiore risorsa per le famiglie associate e non solo, insieme alla maturata fiducia reciproca con l’Università. La relazione tra le due istituzioni rende evidente la necessità di creare “buone prassi condivise” non solo che attivino partecipazione ed empowerment, ma che, al contempo, procedano attraverso confronti congiunti tra i diversi attori coinvolti (dirigenti, volontari, famiglie e singoli membri dell’Associazione, Università). 71 La consulenza psicopedagogica diventa servizio per sviluppare comunità Claudia Turconi, Marta Bosi Società Coop. Sociale Il Grafo (MI) [email protected] Il servizio di consulenza psicopedagogica nasce 15 anni fa dalla collaborazione tra il Grafo e il Comune di Bollate con la finalità di sostenere la genitorialità e favorire la prevenzione primaria attraverso il lavoro con gli insegnati delle scuole territoriali. Il servizio partecipa al progetto Ricucire la rete, finanziato dalla provincia di Milano, e rivolto ai comuni del distretto e alle scuole. Nel 2007 una ricerca-azione condotta con le scuole e con la pediatria porta all’apertura in ognuna delle 12 scuole comunali di uno sportello di consulenza adulti e di uno ragazzi e ad una rinnovata cura e potenziamento della rete con i servizi territoriali(Consultori, uompia, centri specialistici convenzionati, pediatria, Tutela minori, 3 cag, scuole private). Il servizio lavora su 2 piani tra loro interconnessi: 1-offre al singolo o al gruppo(familiare, di insegnanti, di ragazzi) la possibilità di una consultazione breve di primo livello(da un minimo di 1 ad un max di 10 colloqui), a cui accedere spontaneamente o su indicazione o in collaborazione con scuola e la pediatria; 2-lavora sulla lettura, analisi e gestione delle dinamiche dei gruppi istituzionali con cui si relaziona, in primis la scuola. Con la scuola ha poi strutturato a livello sia formale sia informale una prassi di programmazione, monitoraggio, ri-progettazione e verifica che origina interventi flessibili alle esigenze emergenti nel rispetto, dei reciproci setting. Sono stati ad esempio elaborati un percorso di autoformazione insegnati, affiancamento nella progettazione e supervisione di interventi educativi in classe, collaborazione con i cag per interventi ad hoc, co-progettazioni per la ricerca di finanziamenti esterni, incontri genitori di classi in difficoltà, cene educative con i genitori, scuole genitori in partnership con l’associazione genitori, etc. Ci sembra questo un elemento che ha aspetti di innovazione nell’ambito delle politiche preventive:l a messa in opera di attività diversificate all’interno o intorno al servizio rispondenti al medesimo obiettivo. Ciò consente di creare una piccola rete in cui il sostegno alla genitorialità trova declinazioni diverse a seconda della dimensione operativa individuale o di gruppo e dove l’interdisciplinarietà in comunicazione permette di far emergere la domanda e di declinare la risposta ad essa nel modo più efficace. Un altro aspetto di novità è la riflessione sull’importanza di porre attenzione all’aspetto processuale della prevenzione primaria, che riguarda sia la dimensione temporale in cui l’intervento si può dipanare, intesa come continuità e attesa, sia l’approccio di rete che la rende possibile. L’operatore lavora infatti mantenendo uno sguardo sistemico e un’ottica proattiva nell’approccio all’utente/partner. Utile al lavoro e alla riflessione risulta un impianto di verifica collaudato da 8 anni, composto da una pluralità di strumenti di raccolta ed analisi di dati qualitativi e quantitativi. 72 Risorse da condividere. Progettare con le famiglie nella Tutela Minori Anna Lucia Carretta Consorzio SiR [email protected] L’esperienza descritta è stata avviata nella primavera del 2012 nell’ambito dei periodici incontri, promossi dall’Ufficio di Piano di Garbagnate, di aggiornamento e verifica degli interventi educativi domiciliari in favore di famiglie in carico al Servizio Minori dell’Azienda Consortile Comuni Insieme e dalla Gestione Associata in collaborazione con le cooperative sociali accreditate e iscritte nel relativo Albo predisposto dal Piano di Zona di Garbagnate Milanese. Abbiamo condiviso l’intenzione di cominciare a declinare in termini operativi gli obiettivi definiti nel nuovo Piano di Zona 2012 – 2014. Abbiamo concordato di programmare un percorso di lavoro e formativo, realizzato nel primo semestre del 2012, per mettere a fuoco modalità di confronto tra operatori coinvolti nei progetti educativi e per condividere strategie e strumenti per coinvolgere le famiglie nella progettazione e attuazione degli interventi, a partire dalla definizione dei problemi e delle risorse. La progettazione ha preso avvio dalla riflessione che anche la crisi socioeconomica che stiamo vivendo ci sollecita a ripensare i nostri interventi di sostegno alle famiglie, nell’ottica di favorire sempre di più una loro concreta attivazione nell’affrontare e superare le difficoltà, permettendo loro di esprimere potenzialità e risorse accanto alle fragilità e a promuovere forme di collaborazione che intercettino e valorizzino le realtà informali. Abbiamo valutato anche l’opportunità, per poter avviare questo cambiamento, di adottare e condividere un approccio di tipo dialogico relazionale. Siamo partiti dalla rilettura delle esperienze lavorative per esplorare punti di forza e criticità relativamente a tre aspetti che riteniamo cruciali negli interventi di sostegno alla famiglia: il protagonismo delle famiglie; la costruzione e manutenzione delle alleanze tra servizi, cooperative, famiglie, rete territoriale; i mandati, ruoli, responsabilità di tutti i soggetti coinvolti e interessati. Il percorso è stato realizzato utilizzando competenze interne alle organizzazioni coinvolte e non è stato necessario ricorrere a risorse economiche aggiuntive. La giornata di formazione realizzata all’interno del percorso, ha permesso a tutti gli operatori coinvolti di condividere uno spazio di confronto rispetto alle “preoccupazioni” relative ai propri compiti e ai bisogni espressi dalle famiglie. In particolare, è stata posta l’attenzione sullo strumento della “Family Group Conference” – “Riunione di Famiglia” per costruire una progettazione che permetta a tutti i soggetti coinvolti di sentirsi sullo stesso piano rispetto alla lettura dei bisogni e all’individuazione di compiti e strategie per affrontare i problemi emersi. Attualmente il tavolo di coordinamento sta proseguendo nel confronto rispetto alla valorizzazione del protagonismo delle famiglie, individuando i progetti educativi già attivati che richiedono di essere attraversati utilizzando questa nuova metodologia. 73 Sensibilizzazione degli operatori alla cura del legame familiare nei casi di affido: un progetto europeo I. Marinelli*, D. Gangi*, D. Pajardi*, S. Greganti2, F. Cesaroni** *Centro di Ricerca e Formazione in Psicologia Giuridica dell’Università degli Studi di Urbino – **CoossMarche Onlus di Ancona) [email protected] INTRODUZIONE Il progetto europeo Leonardo Childhood Links è stato avviato nel ottobre 2011 ed ha coinvolto quattro diversi Paesi: Francia (come partner promotore), Repubblica Ceca, Spagna ed Italia. Per il nostro Paese sono stati coinvolti tre diversi centri: C.R.F. dell’Università degli Studi di Urbino, Coossmarche e D.I.I. dell’Università Politecnica di Ancona. L’obiettivo del progetto è quello di testare l’efficacia effettiva in termini di ricaduta e la sua trasportabilità in contesti diversi rispetto a quello di origine (Francia) di un metodo di supervisione focalizzato sull’analisi dei processi decisionali. Tale metodologia si concretizza quindi nel racconto e nell’analisi, in sequenza, di una situazione professionale di cui l’operatore è stato attore e mira a rinforzare e sviluppare, nel ed attraverso l’operatore stesso, le competenze di vita e di relazione di coloro a cui è destinato l’intervento educativo. Si vuole in tal senso favorire la cooperazione ed il rafforzamento delle “competenze globali” (la capacità di comprendere i ruoli ed i valori fondanti un ambiente, la capacità di conoscenza e ragionamento, la capacità di prendere decisioni adeguate e immediate fondate cioè sulla conoscenza di sé, degli altri, sull’analisi delle proprie percezioni, degli obiettivi da raggiungere e dei mezzi che lo rendono possibile). Nozione fondamentale è pertanto quella di forma decisionale, intesa come il processo cognitivo che sottostà e dirige l’azione finalizzata (obiettivo – mezzo); tale elemento è rintracciabile nel racconto di un episodio specifico attraverso l’identificazione della coppia soggetto – verbo. Ne consegue che è mediante l’identificazione delle azioni di un soggetto attore che potremo scoprire la logica dei suoi processi decisionali e quindi dell’intervento stesso (approccio psicosociale). METODOLOGIA La metodologia è stata quindi “testata” su un gruppo di ADM – educatori domiciliari. È stato loro proposto un corso in modalità blended, in cui veniva associata la modalità formativa face-to-face ad una on- line attraverso l’ausilio della piattaforma di e-learning Moodle. Assieme al metodo è stato inoltre proposto il ricorso ad un software specifico, TRIADES, per la creazione di schematizzazioni capaci di supportare il racconto/ascolto. RISULTATI Il metodo proposto ha trovato un positivo riscontro tra gli educatori che, per la gran parte erano psicologi per formazione. Si è dimostrato adeguato a stimolare il professionista ad una continua ricerca di informazioni e quindi capace di aumentare il grado di personale consapevolezza rispetto al proprio agire professionale. Il software si è rivelato però ancora fortemente ancorato al contesto comunitario francese: buona è tuttavia l’idea di affiancare, al ragionamento autocritico, un supporto schematico capace di rappresentare ed oggettivare la situazione relazionale su cui si sta lavorando. 74 SESSIONE D LA PREVENZIONE DELL’USO DI ALCOL: TRA RICERCA E INTERVENTO Coordinatore: Luca Zini Binge dirnking: rilevazione del fenomeno e attuazione di interventi preventivi nella scuola secondaria di secondo grado Gatta Michela, Sisti Marta, Svanellini Lorenza, Fregna Riccardo, Lai Jessica, Lisan Vellon, Marco Penzo, Pier Antonio Battistella Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino, Università degli Studi di Padova UOC di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, Azienda ULSS 16 Padova [email protected] Indagini a livello nazionale ed internazionale attestano come il consumo di alcolici fra gli adolescenti sia sempre più diffuso e problematico. Per rispondere a tale problema nel 2006 nasce il Progetto “Che Piacere…” EDUCAZIONE ALLA SALUTE E PREVENZIONE DEL CONSUMO PRECOCE DI ALCOLICI NEGLI ADOLESCENTI E NEI PRE-ADOLESCENTI che coinvolge ogni anno circa 2500 studenti delle scuole secondarie di primo e secondo grado di Padova e provincia. Il progetto si basa sulla collaborazione di strutture sociosanitarie e forze sociali pubbliche e private (Az.Ospedale-Università di Padova,ULSS 16,Fondazione Lionello Forin Hepatos ONLUS, in collegamento con l’Ufficio scolastico) di Padova e provincia. La metodologia prevede l’attivazione emotiva sul problema del consumo alcolico (piuttosto che la semplice informazione).Nel seguente lavoro vengono riportati i dati circa l’indagine attuata nel 2012 relativamente al fenomeno del Binge Drinking nelle popolazione studentesca padovana.Viene inoltre illustrato come questi dati hanno permesso di ideare e costruire un intervento ad hoc pensato per questo preciso fenomeno. A livello epidemiologico ci si e’ proposti di dimensionare il fenomeno del Binge Drinking e parallelamente di approfondire la relazione tra binge drinking e vulnerabilità psicopatologica in termini di problemi internalizzanti ed esternalizzanti. L’analisi è stata condotta su di un campione di 441 studenti di età compresa tra i 13 e i 17 anni di alcune fra le Scuole Secondarie di II grado di Padova e provincia che hanno partecipato al progetto che piacere durante l’anno scolastico 2011-12. Sono stati somministrati lo Youth Self Report (YSR 11-18) di T.Achenbach per individuare elementi di vulnerabilità psicopatologica e il Questionario Adolescenti Sabato Sera (QASS) per ottenere informazioni relativamente alle modalità e all’entità del consumo alcolico. Tra i dati piu’ significativi: è stata verificata una relazione tra l’età dei soggetti e il consumo alcolico: al crescere dell’età aumentano le unità alcoliche consumate (da 0,2 UA medie a 13 anni fino a 2 UA medie a 17 anni); l’abuso alcolico è risultato associarsi inoltre al genere e alle abitudini di svago sociale dei giovani (disponibilità economica, ora di rientro e luoghi frequentati); infine, e’ stata riscontrata una relazione statisticamente significativa tra modalità di bere binge drinking e vulnerabilità psicopatologica. 75 Binge drinking: motivazioni, influenza sociale e benessere psicologico Scacchi Luca*, Cristini Francesca*, Gabbiadini Alessandro*, Aresi Giovanni** *Università della Valle d’Aosta, **Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano) [email protected] Il fenomeno del binge drinking, modalità di importazione nordeuropea che consiste nel consumo di numerose unità alcoliche in un breve arco di tempo (Kuntsche et al., 2004), si è da alcuni anni ampiamente diffuso anche nel nostro Paese. In particolare nella fascia di età 18-24 anni si rilevano le prevalenze più alte di tutta la popolazione per queste tipologie di consumo (Ministero della Salute, 2012). Alcuni studi hanno indagato l’influenza sul binge drinking di fattori motivazionali (Kuntsche et al., 2006), sociali (Borsari & Carey, 2006) e relativi al benessere psicologico individuale (Gonzalez et al., 2009). Appare in questo momento importante approfondire questo ambito di studi analizzando anche l’interazione tra questi diversi fattori. In particolare le ipotesi del presente studio prevedono che le motivazioni di conformità abbiano maggiore effetto in corrispondenza di maggiori livelli di norme di gruppo favorevoli al binge drinking e maggiore coinvolgimento in termini di identità sociale. Allo stesso modo si ipotizza che in corrispondenza di maggiori livelli di malessere psicofisico e insoddisfazione per la propria vita vi sia un maggior effetto delle motivazioni di coping. Al fine di indagare il fenomeno del binge drinking in una prospettiva psicosociale, è stato svolto uno studio longitudinale che ha coinvolto 411 studenti universitari (85.9% femmine; età: M=25,48 DS=35,27) delle città di Brescia, Milano e Aosta. I predittori del binge drinking sono stati analizzati a distanza di due settimane dal comportamento osservato. Rispetto ai fattori motivazionali, sono state considerate le motivazioni sociali, di enhancement, di coping e di conformità, indagate attraverso il Drinking Motives Questionnaire. Relativamente ai fattori sociali e relazionali sono stati indagati: il consumo di alcolici da parte della famiglia e degli amici, l’identità sociale e le norme di gruppo rispetto il consumo di alcolici. Infine, per gli aspetti inerenti il benessere psicologico è stato indagata la percezione di salute psicofisica, attraverso il General Health Questionnaire (GHQ), e la percezione di soddisfazione per la propria vita. Dalle analisi effettuate emerge che il 26.5% dei giovani riporta almeno un episodio di binge drinking nelle ultime due settimane. Emerge inoltre come l’effetto delle differenti motivazioni al consumo di alcolici sia moderato dalla situazione sociale e dall’eventuale quadro di malessere psicologico. 76 Il consumo di alcolici tra gli studenti universitari: bere come forma di socialità Stefano Tartaglia Università degli Studi di Torino [email protected] Il consumo di alcolici tra i giovani è determinato da diversi fattori sia individuali (caratteristiche yber bullismoche, di personalità, aspettative) che ambientali (influenza familiare, del gruppo dei pari, norme sociali). Lo studio qui presentato ha come obiettivo quello di comparare gli effetti di differenti predittori sul consumo di alcolici degli studenti universitari. I dati sono stati raccolti mediante questionario su di un campione di 311 studenti frequentanti differenti corsi dei due atenei di Torino (Università e Politecnico). Sono stati presi in considerazione 4 tipi di predittori: (1) caratteristiche yber bullismoche; (2) qualità delle relazioni sociali (supporto sociale percepito); (3) caratteristiche di personalità (sensation seeking); (4) le motivazioni a bere bevande alcoliche previste dal modello motivazionale di Cox & Klinger (1988). Come indicatori di uso di alcolici sono stati indagati il consumo di birra, vino, superalcolici e la frequenza di ubriacatura. Per verificare l’influenza dei differenti gruppi di predittori sugli indicatori di consumo di alcolici sono state condotte delle regressioni gerarchiche. Sono state individuate varie influenze significative. Il consumo di alcolici del campione oggetto di studio è risultato in generale moderato e sembra avere un valore sociale positivo. Esso è infatti associato a relazioni sociali positive e si basa su motivazioni di valenza positiva piuttosto che negativa. 77 TUTOR attività di prevenzione nel mondo del divertimento Andrea Saccani, Paola Tomelleri, Claudia Colarusso Az. ULSS22 Regione Veneto [email protected] Unità di Prevenzione alle dipendenze SER.D. di Bussolengo Az. ULSS 22 (Vr) Premessa: L’Unità di Prevenzione del Ser.T. di, raccogliendo i bisogni emersi da gruppi giovanili, ha proposto una formazione sulle tematiche delle sostanze alteranti. Partendo da questa esigenza abbiamo strutturato un progetto che, in un primo momento, era rivolto ad un ambito territoriale circoscritto; lavorando con i ragazzi, visto il loro entusiasmo, ci siamo chiesti come allargare tale esperienza e se fosse possibile proporre un modello esportabile in differenti realtà. Abbiamo voluto formare dei “tutor” da poter utilizzare come operatori di primo livello. Oltre agli obiettivi della formazione si è voluto verificare la capacità dei ragazzi, così preparati, a diffondere modelli comportamentali e informazioni più adeguate tra i coetanei Modalità: abbiamo attuato un corso di formazione rivolto a ragazzi animatori di gruppi formali e/o volontari di associazioni già coinvolti in attività territoriali per proporre momenti di riflessione su atteggiamenti legati al divertimento e all’abuso di sostanze Alla fine del corso i ragazzi hanno deciso se dare una loro disponibilità a collaborare col servizio per manifestazioni territoriali ed essere iscritti in un apposito registro di collaboratori di primo livello. Tale attività ha molto coinvolto i ragazzi e nella loro comunità locale hanno realizzato sia dei punti per effettuare prove yber bullismo, per aumentare la coscienza critica e la responsabilità dei bevitori, favorendo in questo modo il confronto e lo scambio di messaggi volti ad aumentare la consapevolezza del loro agire. I tutor così formati si sono attivati all’interno dei loro gruppi di volontariato e hanno fornito informazioni e pareri ai ragazzi, insomma hanno permesso al servizio di connettersi con molte persone avvicinando una notevole quantità di soggetti che mai avremmo potuto contattare come servizio. A tale attività sono stati collegati una serie di report statistici sui consumi yber bull ma anche sulle intenzioni alla guida e alle motivazioni che sarebbero interessanti da analizzare ma non è il caso in questa sede però ci permettiamo di darvi alcuni numeri per capire la significatività del progetto condotto attraverso giovani tutor che hanno una grossa capacità d’aggancio rispetto gli operatori del servizio. Valutazioni finali: Offrendo la possibilità di effettuare la prova etilometrica si è di fatto proposto uno strumento protettivo e di consapevolizzazione che nello stesso tempo favorisce l’aumento della capacità critica e di scelta della persona. 78 Rendiamo facili le scelte salutari Basso Lucio, Polo Fabrizia Azienda Ulss 4 Alto Vicentino [email protected]; [email protected] Nell’ambito del Programma Guadagnare Salute è stato messo in atto dall’ULSS 4 Alto Vicentino della Regione Veneto, un intervento di progettazione partecipata sugli stili di vita che ha visto dalla fine del 2010 la costituzione del gruppo di progetto, una fase di formazione e un periodo di progettazione e attivazione sul campo. Il progetto ha adottato i principi e le tappe della metodologia PCM, Project Cycle Management. Il gruppo di progetto ha scelto come prioritario tra gli stili di vita da trattare, il consumo di alcol in particolare nel target giovani e lavoratori. Nei 3 Comuni di Sarcedo, Malo e Velo D’Astico (popolazione totale 23.000 abitanti) sono stati invitati, tramite le Amministrazioni Comunali, i rappresentanti di associazioni attive nel territorio, di scuole, e di datori di lavoro, per concordare una serie di attività di prevenzione. Circa il 22% degli invitati ha aderito all’iniziativa, con 35 associazioni, 3 scuole e 1 impresa coinvolte. Le attività sono state discusse in gruppi di lavoro strutturati secondo vari ambiti di intervento, finalizzati ad aumentare conoscenze e competenze nella comunità, sviluppare attività per il tempo libero, aumentare le difficoltà di reperimento di bevande alcoliche, rendere i luoghi di lavoro favorevoli al consumo responsabile di alcol e favorire la discussione sulle tradizioni locali legate al consumo di alcol. Le attività proposte dalla comunità includono la promozione del consumo di bevande analcoliche negli eventi organizzati dalla comunità, la formazione di insegnanti, genitori e studenti su life skills connessi al consumo di alcol, l’organizzazione di attività di animazione per ragazzi, la formazione degli esercenti (pubblici esercizi), Tali attività sono iniziate dal mese di aprile 2012. Nel corso dell’anno 2012 è maturata l’esigenza di un allargamento del progetto alle comunità di Torrebelvicino e Valli Del Pasubio, che hanno portato la componente di gruppo di progetto Ulss a cogliere l’occasione per rivisitare la metodologia PCM e di partecipazione utilizzata nella prima fase, aprendola maggiormente alle priorità e quindi alla partecipazione attiva sugli stili di vita da parte dei vari portatori di interessi delle comunità. L’apertura a tutti e quattro gli stili di vita di Guadagnare Salute ha attivato una focalizzazione sulle migliori pratiche, in particolare con implementazione della formazione sulle life skills per operatori Ulss e insegnanti e la sperimentazione di un corso pilota per “yber leader”(animatori di cucina sana). La prima valutazione di yber bu sarà effettuata nel 2015. Numerose lezioni sono state apprese sulle modalità di comunicazione, sull’organizzazione della progettazione partecipata e sulla preparazione di strumenti adeguati. 79 SESSIONE E OPPORTUNITÁ E RISCHI LEGATI AI NUOVI MEDIA Cordinatore: Mauro Croce ComunicAttivi: Un Progetto Di Promozione Dell’uso Consapevole E Corretto Dei “Nuovi Media” Elena Ciot*, Simona Galgani**, Tiziana Menegon^, Anna Brichese**, Sandro Cinquetti° * Coadiutore Amministrativo – Azienza ULSS7 Veneto; ** Assistente Sanitaria – Azienza ULSS7 Veneto; ^ Medico – Azienda ULSS7 Veneto; ° Direttore di Dipartimento di Prevenzione – Azienda ULSS7 Veneto [email protected] Introduzione. Il progetto è stato ideato grazie alla richiesta di un istituto superiore del territorio nell’a.s. 2009-10, e successivamente è stato riproposto in altre scuole, decidendo di abbassare l’età del target. È noto a tutti come il telefono cellulare, internet e i social-network, siano divenuti negli ultimi anni, dei modelli nuovi e diversi di comunicare. In particolare i preadolescenti li utilizzano per sentire gli amici, tenersi sempre in contatto, condividere emozioni, affermare se stessi. Essi rappresentano strumenti di comunicazione e socializzazione ormai talmente diffusi, da poter essere effettivamente considerati come un naturale prolungamento delle vite individuali e sociali dei soggetti. È quindi evidente l’importanza che questi oggetti, ormai di uso comune, hanno per i giovani; questo stesso fatto però ha delle ripercussioni in termini sia sociali e relazionali che legali. Non possiamo dimenticare, inoltre, che un utilizzo eccessivo di questi strumenti può avere anche delle ripercussioni sulla salute. Obiettivi. Informare i ragazzi sui rischi e opportunità dell’uso del cellulare, di internet e dei social-network, per quanto riguarda la salute, gli aspetti legali e quelli sociali del loro utilizzo. Materiali e metodi. Il progetto è rivolto ai ragazzi del triennio della scuola secondaria di primo grado. In ogni classe vengono tenuti due incontri a due settimane di distanza. Nel primo incontro, della durata di due ore, partendo dalle conoscenze già in possesso dei ragazzi, vengono approfonditi i vari aspetti legati all’uso dei nuovi media: le implicazioni relazionali, i rischi sanitari, gli aspetti legislativi, tecnologici, ambientali, ecc. Le attività proposte sono sia individuali, sia a gruppi attraverso i problem solving, sia collettive attraverso discussioni in cui viene coinvolta l’intera la classe. Tra il primo e il secondo incontro i ragazzi hanno il compito di creare, lavorando in gruppi, uno spot, nella forma che preferiscono, per prevenire la situazione presentata nel problem solving. Nel secondo incontro, della durata di un’ora, i ragazzi presentano i lavori svolti e, partendo da essi, si approfondiscono eventuali argomenti sollevati dai ragazzi stessi. Infine vengono mostrati dei video e consegnati un questionario di gradimento e un vademecum per il corretto uso di cellulare, internet e social network. Risultati. Poiché l’a.s. è ancora in corso, i dati sono in fase di raccolta. Nell’anno scolastico 2012-13 le scuole coinvolte sono state 4, per un totale di 9 classi, 3 delle quali si sono aggiunte a marzo su richiesta dei professori stessi che dopo aver assistito ai primi incontri, hanno voluto proporlo in altre classi. Il numero di studenti coinvolti è di circa 200. I contenuti del progetto vengono aggiornati costantemente, poiché si tratta di un tema di grande attualità e in continua evoluzione, che coinvolge diversi aspetti della vita quotidiana, come emerge attraverso i contributi dei ragazzi stessi. 80 Bella senz’anima: prospettive di indagine e di intervento Cinzia Amoroso, Gioacchino Lavanco Associazione Es-Empowerment sociale [email protected] L’uso di internet in modo scorretto e poco responsabile correlato alla naturale tendenza al rischio, tipica della fase pre-adolescenziale ed adolescenziale, può essere causa di nuove forme di yber bullismo giovanile. Il fenomeno delle “candy girls” ne rappresenta una recente conferma. Le “candy girls” sono giovani tra i dodici e i diciassette anni che utilizzano la rete per adescare (grooming) uomini o coetanei con il fine di vendere le proprio foto di nudo (sexting), in cambio di una ricarica telefonica o postepay. Solitamente appartengono a contesti familiari in cui non si individuano particolari problemi economici e relazionali. Una volta in rete, però, il loro status di ‘perverse polimorfe’ – inteso nell’accezione tipicamente freudiana – sembra acquisire nuove strategie comportamentali anche nei confronti dei genitori. Si registra un’evidente e preoccupante inversione di tendenza: non sono più solo i pedofili a cercare il minore su internet ma accade, pure, il contrario. Queste riflessioni sono state stimolo per la Cattedra di Psicologia di Comunità dell’Università di Palermo che ha avviato una ricerca di indagine e prevenzione. Sono state coinvolte a campione delle classi appartenenti a scuole dell’agrigentino e del palermitano. Il lavoro è stato strutturato in due fasi: un’analisi preventiva in cui si è costruito un questionario e somministrato individualmente ai componenti del gruppo classe. È seguita una discussione gruppale sulle modalità di utilizzo, sulle percezioni e rappresentazioni riguardo all’uso dei socialnetworks. La seconda fase è stata orientata ad un’analisi mirata dei questionari delle ragazze tra i 12 ed i 17 anni. Sono stati presi in considerazione quelli che – ad una prima osservazione delle risposte ai quesiti considerati domande chiavi – si sono reputati più inclini verso comportamenti a rischio. Il lavoro di ricerca si è concluso con un ulteriore somministrazione di un questionario individuale ai soggetti selezionati ed un’intervista semistrutturata. Lo scopo della ricerca è stato quello di comprendere – oltre come gli adolescenti utilizzano internet – qual è il meccanismo psico-pedagogico che spinge giovani ragazze ad utilizzare la rete per atti devianti e pericolosi. Inoltre, si sono volute individuare le corrette strategie educative e di prevenzione del fenomeno. 81 Attenti ai prepotenti. Una ricerca sul bullismo e sul yber bullismo nel territorio di Santarcangelo di Romagna Cinzia Albanesi, Elvira Cicognani Dipartimento di Psicologia, UoS Cesena, Università di Bologna, Alma Mater Studiorum [email protected] Introduzione. Il fenomeno del bullismo è da tempo all’attenzione dei ricercatori, ed è oggetto di crescente allarme sociale, insieme al più recente fenomeno del yber bullismo (cfr. Vandebosch & Cleemput,2009; Dempsey et al., 2011). Entrambi i fenomeni sembrano associati a una diminuzione del benessere psicologico sia delle vittime che dei bulli (Boulton et al. 2008) e a esiti disfunzionali dal punto di vista evolutivo. Obiettivi e ipotesi. Scopo della ricerca, condotta a partire da una sollecitazione proveniente dalle scuole del territorio di Santarcangelo di Romagna e promossa dalla Fondazione Francolini Franceschi, era di indagare la diffusione di fenomeni di bullismo/prepotenze tra gli studenti dell’ultimo anno delle scuole secondarie. Si voleva inoltre esaminare gli effetti del bullismo e del yber bullismo sul benessere psicologico. Volevamo inoltre verificare se la percezione di buona qualità dell’esperienza scolastica ha affetti protettivi rispetto alle prepotenze e alle prevaricazioni. Metodi. Per la raccolta dei dati è stato utilizzato un questionario on line, articolato nelle seguenti aree tematiche: Caratteristiche socio demografiche. Età, genere, provenienza. Benessere psicosociale. E stata utilizzata la scala del benessere di Keyes (2005). Qualità dell’esperienza scolastica e Senso di Comunità a Scuola. Per valutare la qualità dell’esperienza scolastica è stato utilizzato un adattamento al contesto scolastico della scala di Chiessi Cicognani e Sonn (2010). Bullismo a scuola. Le domande sul bullismo a scuola sono state tratte e adattate dal questionario di Buccoliero e Maggi (Prati, Pietrantoni Buccoliero, Maggi, 2010). Cyberbullismo Si è domandato se qualcuno dei compagni era stato oggetto di yber bullismo dall’inizio dell’anno scolastico, se i partecipanti avevano subito personalmente episodi di cyber bullismo dall’inizio dell’anno scolastico e la durata di tali episodi. Il campione. Il campione è’ composto da 474 adolescenti, 242 (51%) maschi e 232 (49%) femmine che frequentano le scuole secondarie di primo e secondo grado di Santarcangelo di Romagna. Rappresentano l’85% della popolazione scolastica di quella fascia di età. L’età varia da 12 a 19 anni e oltre, di cui la maggioranza sono di 13-14 anni (254 tredicenni e 75 quattordicenni) e di 18-19 anni (105 diciottenni e 26 diciannovenni e oltre). Risultati. Le analisi dei dati hanno mostrano che le esperienze di vittimizzazione e di bullismo contribuiscono in modo significativo a ridurre il benessere emotivo e psicologico. Esse sono più diffuse tra i più piccoli rispetto ai grandi e tra gli adolescenti di origine straniera. Le analisi inoltre confermano il ruolo protettivo del senso di comunità (in particolare il senso di appartenenza e la connessione emotiva con la scuola), e della qualità del rapporto con gli insegnanti rispetto ai comportamenti di prevaricazione. 82 Il cyberbullismo… analizziamo le caratteristiche del fenomeno a 360° Giuliana Guadagnini, Christian Serpelloni, Erminia Contini, Boscagin Alberto, Vanessa Foletto [email protected] Il bullismo è una forma di prevaricazione dal carattere continuativo effettuato da una o più persone nei confronti di un soggetto percepito come più debole. Diverse sono le forme e le modalità attraverso le quali esso si manifesta. Il yber bullismo è una delle espressioni più comuni di bullismo che attualmente rappresenta circa un terzo delle forme di bullismo complessivamente intese. Con il termine di yber bullismo o bullismo online o cyberbulling – termine ideato dall’educatore canadese Bill Belsey – si è solito indicare tutti quegli atti di bullismo e di molestia effettuati tramite mezzi elettronici quali siti web, blog, chat, e-mail, telefoni cellulari e quant’altro di simile. Il fenomeno del yber bullismo, interessa particolarmente il mondo dei minori e si estrinseca in manifestazioni di prevaricazioni e di violenze che si sviluppano in rapporti paritetici tra minori o tra minori e adulti.Diverse sono state le ricerche, in campo internazionale, circa il fenomeno del yber bullismo e la sua esponenziale diffusione. I risultati ottenuti, sebbene differenti per natura, campione, territorio e periodo di riferimento, sembrano concordare sul fatto che il yber bullismo, malgrado si proponga come meno diffuso rispetto al tradizionale bullismo, rappresenti, comunque, un fenomeno che coinvolge sempre più preadolescenti e adolescenti. Tale quadro di riferimento ci pone dinanzi ad un fenomeno che necessita di essere affrontato con la massima attenzione ed il massimo impegno. Il controllo “debole” consentito dalla rete, la possibilità di attuare le prepotenze in qualsiasi momento della giornata utilizzando diverse identità e l’opportunità di colpire contemporaneamente più persone in un brevissimo lasso di tempo, sono tutti elementi che contribuiscono a rendere più complessa la soluzione di tale problema. La consapevolezza delle giovani generazioni di padronanza delle tecnologie, in quanto “nativi digitali” ovvero cresciuti con le tecnologie digitali e la consapevolezza della correlata minor propensione verso tali media da parte dei genitori, fan sì che l’utilizzo di internet costituisca, per gli stessi, una sorta di “zona franca” dove gli adulti difficilmente possono entrare. La padronanza delle tecnologie da parte dei giovani favorisce, quindi, il diffondersi del fenomeno. 83 Contro il bullismo: risorse multimediali, testimonianze, networks Carmencita Serino* e Alberto Antonacci** * Università degli Studi di Bari; ** Psicologo e Manager informatico [email protected] Il bullismo rappresenta oggi una vera piaga del mondo giovanile. Generalmente, la riflessione in quest’ambito mette in primo piano le caratteristiche individuali, o la relazione diadica fra bullo e vittima, mentre viene riservata minore attenzione alle dinamiche interne al gruppo e alla cultura sottesa all’incontro fra persone o gruppi diversi. Eppure, tali dimensioni hanno un peso determinante. Sottovalutandole, si rischia di connotare il fenomeno come scarsamente modificabile, e di adottare strategie di contrasto meno efficaci. Il bullismo infatti è uno di quei fenomeni rivelatori, una spia dei modi d’essere di un’intera società, di ciò che, nella vita collettiva, “non funziona”: le forme in cui si manifesta e le strategie con cui viene affrontato sottendono sistemi di credenze e di valori, rappresentazioni sociali diffuse sui giovani, sul rapporto fra generazioni, sul ruolo delle istituzioni, sul senso della convivenza. In tale scenario, va rilevato anche che i nostri ragazzi vivono oggi in un mondo inondato dalla tecnologia. Purtroppo la sua diffusione, così ricca di opportunità positive, finisce spesso per accrescere il tasso di violenza e aggressività, per produrre nuove e più sofisticate forme di prepotenza, come mostra l’inquietante fenomeno del yber bullismo. Così, le nuove tecnologie , che per molti aspetti consentono di allargare le relazioni e le conoscenze dei giovani, amplificano anche in maniera straordinaria la portata devastante delle prepotenze fra pari. In questa linea, un lavoro sulla Psicologia Sociale del Bullismo(Ed. Carocci)è improntato all’idea di un “buon uso” della tecnologia. E’ il tentativo di dar vita a un’opera multimediale, integrando in modo innovativo il testo scritto con contenuti fruibili in rete, e valorizzando appieno le strategie comunicative e le potenzialità del web. Nel sito collegato al volume vengono proposti strumenti e testimonianze, con l’intento di mettere i lettori in contatto con storie ed esempi, e di creare connessioni, per continuare a riflettere in modo condiviso sul bullismo e sui modi di combatterlo. Lo spazio multimediale che si è andato così delineando (suscettibile, anche, di ulteriori sviluppi) è stato concepito come luogo di incontri, suggerimenti ed esperienze, destinato agli “addetti ai lavori” (educatori, psicologi), ma anche a genitori, ad altre figure adulte e ad utenti più giovani (studenti universitari, nonché, in certa misura, gli stessi adolescenti, esposti al rischio di entrare in dinamiche di bullismo).La rete ci offre il filo necessario per tessere il nostro futuro: ma la possibilità di disegnare con efficacia nuove forme di convivenza dipenderà dalla capacità di sviluppare, anche col supporto delle nuove tecnologie, connessioni positive ed empatia, forme di socialità improntate al senso di responsabilità ed al rispetto reciproco 84 I social network tra diritto e alfabetizzazione Maria Morena Ragone Università di Foggia [email protected] L’intervento si concentra sul nostro uso dei social network e sul rapporto con il web e le nuove tecnologie: partendo da alcuni studi e dall’esame del contesto giuridico e delle norme di riferimento, anche attraverso l’analisi dei Terms of Service (TOS) degli specifici servizi, si giungerà alla individuazione della centralità dell’alfabetizzazione quale necessità imprescindibile nel processo di apprendimento relativo al loro utilizzo, a qualsiasi età. 85 SESSIONE “SMART COMMUNITIES: LE “COMUNITA’ INTELLIGENTI” CHE PROMUOVONO IL BENESSERE” Coordinatore: Luciano Gamberini Smart City e Fondi di sviluppo urbano: esperienze internazionali a confronto e qualche riflessione sui meccanismi di finanziamento delle iniziative Edoardo Reviglio UrbanAct – Regione Toscana [email protected] L’intervento si divide in tre parti. Nella prima presenterò molto sinteticamente alcuni casi di studio di iniziative realizzate in diverse aree del mondo che stiamo analizzando nell’ambito di una ricerca biennale congiunta tra CDP e Politecnico di Torino sulla Smart City. Nella seconda parte mi soffermerò sui Progetti Jessica ed Urbact, cercando di descrivere i punti di forza e punti di debolezza che ho riscontrato nella partecipazione diretta a varie iniziative legate ai due progetti europei. Nella terza parte discuterò dei sistemi di finanziamento; delle difficoltà/opportunità che iniziative integrate, che nascono nell’ambito della Smart City, pongono dal punto di vista della loro sostenibilità economico-finanziaria. Si farà riferimento alla crisi economica e ai vincoli di bilancio delle PA che richiedono ricorso a un nuovo ventaglio di strumenti finanziari, come PPP (attraverso l’adattamento di strumenti finanziari esistenti, come il financing/procurement di infrastrutture e rinnovamento urbano attraverso società partecipazione pubblico-privata, società trasformazione urbana e locazione finanziaria – leasing e project financing) e l’utilizzo di nuovi strumenti finanziari come i Social Impact Bonds. In generale, si osserverà che si tratta di strumenti che ancora non hanno trovato una grande diffusione e rimane un punto di concretezza domandarsi se ci siano effettivamente le condizioni perché essi possano decollare. Rimane, inoltre, il tema delle capacità di programmazione di lungo periodo e delle capacità tecniche della PA, elemento fondamentale per riuscire ad ottenere il c.d. “bundle” di interventi/strumenti finanziari integrati, condizione per far sì che tali strumenti diventino effettivamente attraenti per il sistema finanziario. 86 Come comunicare le grandi infrastrutture alla città: il caso del parco progetto progettati da Santiago Calatrava per Reggio Emilia David Zilioli Dirigente del Comune di Reggio Emilia [email protected] Tale argomento potrebbe essere sviluppato in riferimento a due macro arogomenti complementari per target di riferimento attivati in questi anni dall’amministrazione comunale di Reggio Emilia: l’esperienza dello spazio espositivo km129 come laboratorio per il coinvolgimento dei bambini (website: www.km129.it) e l’esperienza del progetto ENTER HUB a vale sul programma europeo URBACT per il coinvolgimento degli stakeholder locali per capitalizzare le potenzialità di una nuova stazione ad alta velocità (web site: http://urbact.eu/en/projects/metropolitan-governance/enterhub/homepage/). In particolare i laboratori per i bambini hanno studiato e poi attivato alcuni strumenti didattici per spiegare ai bambini come funzionano e a cosa servano le grandi infrastrutture progettate da Santiago Calatrava: i 3 ponti, la copertura del casello autostradale e la nuova stazione dell’alta velocità. Il progetto ENTER HUB vuole invece mettere in sinergia le buone pratiche già esistenti in europa sul tema della valorizzazione dell’infrastruttura dell’alta velocità per poi veicolarle sulla città, comunicando e coinvolgendo i cittadini con strumenti ad hoc. 87 La promozione del benessere territoriale nella periferia milanese: il quartiere San Siro Davide Boniforti Metodi s.r.l. [email protected] Un clima generalizzato di fiducia interpersonale, l’elevata partecipazione a reti associative e la diffusa presenza di cultura civica sono alcuni dei fattori prevalenti in letteratura che concorrono al benessere equo sostenibile, accrescendo la qualità della vita individuale e la coesione sociale. Dal 2005 nel quartiere San Siro di Milano è in atto un intervento territoriale che, anche attraverso il programma di riqualificazione del Contratto di Quartiere II, sta promuovendo il benessere sociale coinvolgendo la comunità locale. Diversi sono i fenomeni e le criticità riscontrate in questo quartiere: dal degrado edilizio e ambientale, al rischio di frammentazione ed emarginazione sociale (per citarne alcuni: alta concentrazione di disagio psichico, elevata presenza di anziani soli, immigrazione in aumento, abbandono di rifiuti). L’intervento di rete, i progetti urbani e sociali e le iniziative di animazione ideate e realizzate dalle realtà locali stanno contribuendo in questi anni ad alimentare la coesione tra gli abitanti e il benessere abitativo, aumentando la consapevolezza e la valorizzazione delle risorse comunitarie e il capitale sociale. Dalla ristrutturazione di spazi pubblici (es. la riqualificazione della piazza), all’inaugurazione di luoghi culturali (es. la biblioteca di quartiere) sino alla promozione di occasioni di incontro e conoscenza (es. iniziative e percorsi finalizzati alla riduzione del pregiudizio e alla promozione della convivenza di vicinato) il quartiere sta conoscendo un cambiamento rilevante che lo sta progressivamente inquadrando in una prospettiva di “smart people” e “smart living”. Se da una parte il territorio si sta attivando nella cura del proprio benessere, dall’altra si scontra con resistenti criticità. La difficoltà a fruire di alcuni servizi (ad esempio per lontananza), la ridotta presenza e agevolazione di spazi ad uso pubblico o commerciale, nonché la persistenza di alcune situazioni di degrado urbano richiamano in causa il contributo importante delle istituzioni locali nella promozione di una “smart community”. 88 Engedered and Timing Smart City – La città intelligente attenta al determinante genere e all’armonizzazione dei tempi Fulvia Signani Università di Ferrara [email protected] Il genere è un fattore che determina salute, benessere, ma anche malattia delle persone, permea la vita privata e di lavoro di ciascuno quotidianamente, ma è soggetto al fenomeno di gender blindness, la cecità di genere, infatti è così ovvio, da essere dimenticato. Il tempo è una delle risorse naturali più alla portata di tutti, ma si ‘perde’, dimentica, sciupa, consuma, non se ne ha mai abbastanza, non viene considerato bene comune. E’ ancora molto raro trovare organizzazioni societarie che dimostrano l’attenzione a far ‘risparmiare’ tempo ai cittadini. (Zajczyk, 2000) Il ruolo di genere caratterizza la vita di uomini e donne, impegnati in attività lavorative e nella gestione di varie attività, tra cui un nucleo sociale, la famiglia, che comporta tempo di socialità e cura, ma anche attività di partecipazione alla vita societaria, coltivazione di interessi personali, etc. Attività che necessitano di un attento coordinamento di tempi, demandato al singolo ‘sta all’individuo far quadrare il budget time della sua giornata’ (Di Nicola, 2008), che spesso si configura come una sfida quotidiana contro l’incalzare del tempo. Ann Oakley che con i suoi due volumi ‘La sociologia del lavoro casalingo’ (The Sociology of Housework) e ‘Casalinga’ (Housewife) pubblicati nel 1974, ha raggiunto una fama internazionale, ha descritto come i modelli di vita di uomini e donne siano diversi e tocchino anche il coordinamento dei tempi di vita e lavoro. Alcune leggi e direttive Europee (Carta Comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori e delle lavoratrici, 1989; Tabella di marcia per la parità tra donne e uomini (road map) 2006-2010) propongono di conciliare, armonizzare e coordinare i tempi di vita e gli orari di lavoro dei cittadini e delle cittadine, i tempi sociali e l’accessibilità spazio/temporale dei servizi e degli spazi pubblici urbani. In Italia la Legge 53 dell’ 8 marzo 2000 ‘Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città’ ha trovato finora attuazioni episodiche. Per quel che riguarda il mondo del lavoro le proposte di forme di flessibilità d’orario, part time reversibile, telelavoro, accompagnamento al rientro lavorativo dopo lunghi periodi di assenza, formazione disseminata sui temi della conciliazione della vita e del lavoro si ascrivono ad applicazioni sperimentali e ridotte nel tempo. Dal 2001 era attivo un Fondo CIPE Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica) dedicato ai progetti per l’armonizzazione dei tempi delle città. Interessante, ma decisamente limitata l’esperienza delle ‘Banche del tempo’, associazioni per scambi di tempo da destinare a prestazioni di mutuo aiuto a favore di singoli cittadini o della comunità locale. I lavori della conferenza Europea annuale sulle Smart Cities non vedono nemmeno la citazione dei termini genere e tempo. Si ha fondato motivo di affermare che l’interpretazione della conciliazione necessaria alle sole donne ed il fatto che non siano diventate, quelle del genere e del tempo, istanze strutturali, ne abbiano limitato progettazione e possibile applicazione. Nell’organizzazione smart di una città, non ci si può dimenticare di questi due elementi. Si analizzeranno alcuni esempi che possono dimostrare quanto potrebbe essere attuato gestendo le conseguenze applicate del determinante genere e curando il tempo come bene naturale comune e prezioso. 89 SESSIONE “I SISTEMI DI SORVEGLIANZA DELLA SALUTE E DEL BENESSERE COME STRUMENTO PER LA DEFINIZIONE DELLE POLITICHE A LIVELLO REGIONALE, NAZIONALE ED EUROPEO” Cordinatrice: Bruna Zani La sorveglianza dei suicidi e dei disturbi mentali causati dalla crisi economica in sostegno a nuove politiche di protezione sociale Roberto De Vogli School of Medicine, Department of Public Health Sciences, Division of Epidemiology, University of California Davis [email protected] Nel 2008, il mondo ha vissuto la peggiore crisi finanziaria dai tempi della Grande Depressione. La Grande Recessione ha causato un aumento della disoccupazione e dei tassi di suicidio sia in Europa, che negli Stati Uniti. In Italia, si sono riscontrati dei trends molto simili: la disoccupazione e i suicidi sono diminuiti negli anni precedenti alla crisi economica, per poi invertire la tendenza all’insorgere della crisi finanziaria del 2008. Tra il 2000 e il 2010, la tendenza della percentuale di disoccupati nelle regioni Italiane è correlata in modo forte e positivo con la tendenza del numero di suicidi per 100.000 abitanti. L’evidenza mostra però una sostanziale eterogeneità nella correlazione tra variazione del tasso di disoccupazione e suicidi tra le regioni italiane nel tempo. Queste differenze sembrerebbero attribuibili ai diversi livelli di protezione sociale: in regioni che investono più di 135 Euro pro capite in servizi e protezioni sociali, l’aumento della disoccupazione è associato a una riduzione (anziché a un aumento) del numero di suicidi per 100,000 abitanti. Questi risultati hanno importanti implicazioni a livello politico e indicano che gli investimenti in protezione sociale possono mitigare in modo sostanziale l'impatto della crisi economica sui suicidi e sulla salute mentale. Mentre l'Italia è ancora alle prese con il sesto anno consecutivo di contrazione economica, e la crisi continua a mietere nuove vittime, esiste un bisogno urgente di nuove politiche economiche e sociali in alternativa all'austerità e agli indiscriminati tagli di bilancio. 90 WORKSHOP WORKSHOP 2 Coordinatore: Stefano Gheno Empowerment evaluation Stefano Gheno Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano Nel costrutto di empowerment rientrano numerosi contenuti, anche ambigui e contradditori, tra tutti i concetti di potere e quello di possibilità. Potere nella nostra cultura europea, più che evocare la dimensione delle risorse, richiama il tema del controllo ed in effetti, di frequente, la valutazione viene svolta per esercitare un controllo sui soggetti: dall’ambito scolastico a quello lavorativo, il processo valutativo suscita per lo più vissuti di mancanza, vissuto che non di rado rischia di tradursi in un sentimento di powerlessness. D’altra parte è innegabile che, nei contesti in cui la performance è un elemento rilevante, valutare sia un processo necessario. È quindi utile individuare modalità e strumenti di valutazione che riducano il rischio di impotenza appresa e che rinforzino invece la percezione di “possibilitazione” di persone, gruppi, comunità. Il workshop ha l’obiettivo di presentare e discutere alcuni approcci metodologici alla valutazione funzionali a sviluppare l’empowerment dei partecipanti, nonché alcuni strumenti costruiti specificatamente per valutare l’empowerment. 91 SIMPOSIO STRUMENTI E BEST PRACTICE DELLA PSICOLOGIA DI COMUNITÀ NELLA SCUOLA E NELLA COMUNITÀ Coordinatrice: Patrizia Meringolo I Minori Stranieri Non Accompagnati si raccontano con il Photovoice Marta Casarin, Massimo Santinello Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione Università di Padova L’immigrazione, che già di per sé rappresenta un fenomeno sociale alquanto complesso, ha subito delle trasformazioni che ne hanno ulteriormente complicato la gestione. Fra queste spicca il caso dei Minori Stranieri Non Accompagnati (MSNA), ossia senza famiglia negli “spostamenti” umani, per i quali le difficili circostanze di vita, che li rendono soli in un Paese straniero, tendono ad avere ripercussioni negative in termini di benessere emotivo e psicologico. Garantire la partecipazione dei minori migranti è un elemento fondamentale non solo per la promozione dei loro diritti ma anche per la loro inclusione sociale. A tale scopo, il progetto CI SONO ANCH’IO ha utilizzato lo strumento di ricerca-azione partecipata “Photovoice” per indagare, sia in positivo sia in negativo, le aspettative che questi giovani nutrivano verso l’Italia prima di giungervi, le loro attuali esperienze nel Paese e i loro sogni per il futuro. A questo progetto ha partecipato un gruppo di nove MSNA di genere maschile, con un’età compresa fra i quattordici e i diciassette anni, di nazionalità albanese, kosovara e bengalese. Le parole e le fotografie di questi giovani migranti hanno enfatizzato principalmente come elementi positivi della loro condizione la scuola, l’amicizia, il sostegno delle varie figure adulte che li circondano e le esperienze d’integrazione vissute. Per contro, alcuni aspetti critici includono la forte nostalgia per la propria famiglia e la preoccupazione per il futuro, soprattutto rispetto alla possibilità di rimanere in Italia e di trovare un lavoro. Le discussioni di gruppo hanno inoltre permesso ad adolescenti di nazionalità differenti, che a volte tendono a descriversi come molto diversi gli uni dagli altri, di confrontarsi su aspetti delle loro vite che li rendono invece estremamente simili. Infine, per quanto concerne la mostra fotografica, questa, oltre ad aver attirato l’attenzione mediatica delle principali testate del Comune di Venezia, ha registrato una buona partecipazione ed un interesse tale da renderla, ad oggi, itinerante. 92 Una riflessione critica sull’utilizzo del metodo Photovoice con adolescenti e giovani: punti di forza e limiti di una metodologia di ricerca-azione partecipata Daniela Caso, Fortuna Procentese Dipartimento di Studi Umanistici, Università degli Studi di Napoli, Federico II Introduzione: Photovoice è una metodologia di ricerca-azione partecipata attraverso la quale le persone creano e discutono di fotografia per promuovere il cambiamento personale e della comunità (Wang,1999). Il coinvolgimento di adolescenti e di giovani nei programmi che si basano sull’uso di Photovoice si fonda sul loro desiderio di esercitare la propria autonomia ed esprimere creatività, documentando attraverso le foto scattate aspetti riguardanti la loro vita relazionale o una rappresentazione di un problema. Photovoice permette ai giovani partecipanti, compresi quelli che possono essere sottorappresentati, etichettati, o stigmatizzati in quanto diversi dagli altri membri della comunità, di esprimere il loro punto di vista, usando il proprio linguaggio e le proprie esperienze (Wang, 2006). Photovoice, quindi, facilita la partecipazione dei giovani nei processi decisionali dai quali sono generalmente esclusi, consentendo loro di dare un contributo concreto alla propria comunità. Obiettivi: Partendo da questi presupposti teorici, il presente contributo si pone l’obiettivo di compiere una riflessione critica sull’utilizzo di questa metodologia con adolescenti e giovani. Saranno quindi evidenziati punti di forza e punti critici del Photovoice partendo dall’analisi dei risultati ottenuti in tre differenti studi da noi condotti per promuovere la cittadinanza attiva e la convivenza attraverso l’uso di Photovoice (Caso, 2010; Caso, 2011; Caso, Procentese, 2012) con adolescenti e studenti universitari. Risultati e Conclusioni: Uno dei vantaggi del Photovoice, emersi dalla nostra riflessione, è che tale metodologia consente la partecipazione degli adolescenti a tutte le fasi del progetto compresa l’analisi dei dati raccolti promuovendo la consapevolezza critica rispetto alle problematiche identificate, aumentando potenzialmente l'efficacia delle fasi successive della ricerca-azione partecipato. Un aspetto di cui discutere è legato al metodo di analisi dei materiali raccolti (Procentese 2011) e considerare anche aspetti etici che rappresentano, invece, un grosso limite del metodo Photovoice utilizzato con adolescenti e giovanissimi che, potenzialmente, tendono a minimizzare i rischi e le conseguenze negative dello scattare fotografie ad estrani e/o a situazioni compromettenti. Inoltre, a causa della velocità con cui una persona di qualsiasi età può diventare un imbarazzato “Web celebrity” (Feuer & George, 2005), i diritti morali e la privacy dei giovani partecipanti e l'utilizzo delle loro immagini su Internet (non solo come fotografi Photovoice, ma anche come soggetti) sono argomenti che avrebbero bisogno di un ulteriore esame. 93 Comprendere il fenomeno migratorio attraverso il photovoice: quali criticità e quali possibili soluzioni? N. Rania, S. Rebora, P. Cardinali, L. Migliorini Scuola in Scienze Sociali, Dipartimento Scienze della Formazione, Università di Genova Introduzione Il fenomeno migratorio rappresenta, per il contesto italiano, uno cambiamenti più rilevanti del vivere sociale degli ultimi trent’anni. Nonostante il tema delle differenze culturali (Cushner, 2008) sia divenuto sempre più pregnante (Dandy & Pe-Pua, 2010; Mancini, Ceresini & Davolo, 2007), l’esigenza di costruire una società interculturale (Mantovani, 2004; Leone, 2011) è affrontata nel contesto civile e politico con attenzioni, sensibilità e prospettive differenti. I giovani adulti italiani pur sperimentando il fenomeno migratorio come parte del proprio vivere sociale, non sempre potrebbero maturarne una consapevolezza critica. Il metodo del photovoice coinvolge gli appartenenti ad una comunità approfondendo il loro punto di vista a proposito di temi rilevanti per il contesto in cui vivono, permette di sviluppare il loro pensiero critico (Chonody Ferman, Amitrani-Welsh and Martin, 2013) e si rivela particolarmente adatto per lo studio e la partecipazione alle tematiche della migrazione e dell’integrazione (Wang, 1999). Infatti, il photovoice è una tecnica di ricerca-azione partecipata attraverso la quale i soggetti creano e discutono fotografie come mezzo per catalizzare il cambiamento a livello individuale e di comunità. Il photovoice si propone tre obiettivi principali quali: individuare i punti di forza e di debolezza della propria comunità, coinvolgendo le persone in un processo di ascolto attivo; promuovere un dialogo critico che guardi alle possibili soluzioni; raggiungere i politici locali (Wang, 2006). Si richiede, pertanto, alla popolazione una partecipazione attiva per modificare le situazioni problematiche e stimolare i politici al cambiamento (Okunola & Amole, 2012). Obiettivi Il presente lavoro, partendo dalla prospettiva di Freire (2002) sul pensiero critico, si pone l’obiettivo di promuovere la riflessione dei giovani adulti italiani su risorse e criticità della propria comunità rispetto ai fenomeni migratori, coinvolgendo le persone in un processo di dialogo e ascolto attivo, in un’ottica interculturale. Partecipanti Hanno partecipato al Photovoice 100 studenti universitari, suddivisi in 10 gruppi, provenienti da due regioni italiane del nord ovest. Risultati e conclusioni La tecnica proposta ha permesso agli studenti di riflettere criticamente sulla realtà migratoria, utilizzando anche rappresentazioni simboliche, per comunicare il proprio punto di vista rispetto al tema. I partecipanti affermano che grazie al photovoice è stato stimolato un pensiero critico relativamente al fenomeno migratorio rispetto al quale non sempre avevano maturato riflessione sul fenomeno e su possibili risorse e soluzioni. Accanto ad aspetti problematici legati al fenomeno i risultati mettono in luce anche un’immagine positiva di integrazione e apertura verso i diversi gruppi culturali, all’interno di una prospettiva di arricchimento reciproco nel contatto tra culture. 94 La promozione del cambiamento e della partecipazione attraverso il Photovoice, indagine tra gli studenti italiani e rumeni. Laura Remaschi, PhD student*; Patrizia Meringolo*, Aliona Dronic, MA**, Ovidiu Gavrilovici, Ph.D.*** *Dipartimento di Scienze della Formazione e Psicologia, Università di Firenze **Psychologist at Psiterra Association, Iasi, Romania ***Assistant Professor Department of Psychology, "Alexandru Ioan Cuza" University, Iasi, Romania [email protected]; [email protected]; [email protected] Introduzione. La psicologia di comunità è una “scienza dell’azione” (Foster-Fishman, Nowell, Deacon, Nievar, & McCann, 2005): per agire in questa ottica è necessaria una prospettiva relazionale attenta alla persona nel “qui e ora” temporale e spaziale (Rogers, & Kinget, 1962 ) ed al metodo di ricerca azione partecipata per favorire l’intervento volto al cambiamento (Lewin, 1948; Montero, 2009, 2012). Uno strumento particolarmente adeguato può essere Photovoice (Wang, & Burris, 1994; Wang, 2000, 2004, 2006) perché collega il processo di documentazione fotografica con l’educazione alla coscientizzazione ed alla azione (Freire, 1970), integrando tecniche che coinvolgono i partecipanti in un processo di riflessione critica sul loro mondo sociale. La ricerca intervento che presentiamo per discutere sugli aspetti di metodo dello strumento Photovoice fa parte di un progetto che ha coinvolto la rete delle associazioni di volontariato toscane e le scuole secondarie di secondo grado allo scopo di stimolare il senso di solidarietà sociale attraverso la sensibilizzazione e l’attivazione della partecipazione attiva dei giovani al volontariato. Lo stesso disegno di ricerca è stato parallelamente svolto a Iasi (Romania), con la cui l’Università un accordo di collaborazione internazionale. Obiettivi. Sviluppare la solidarietà sociale e la cittadinanza attiva dei giovani frequentanti gli istituti scolastici statali di secondo grado. Obiettivi specifici sono stati: analizzare il senso di comunità ed il grado di empowerment in adolescenti differenziati per genere, nazionalità, residenza e valutare l’esito del percorso con lo strumento Photovoice in particolare rispetto alla acquisizione di consapevolezza di sé e alla promozione di cittadinanza attiva, evidenziando le differenze che emergono in paesi diversi. Metodo. Ricerca azione partecipata. Partecipanti. Italia: 126 studenti (80 gruppo di intervento e 46 gruppo di controllo). Romania: 71 studenti (30 gruppo di intervento e 41 gruppo di controllo). Strumenti. Questionario ad hoc, Scala del senso di comunità per adolescenti SoC-A (Chiessi, Cicognani, & Sonn, 2010), Scala di Empowerment socio-politico (Francescato & Perugini, 1997). Il gruppo di intervento ha partecipato ad un percorso con l’utilizzazione di Photovoice. Risultati e conclusioni. Appare migliorata la capacità di riflettere criticamente su se stessi, sulle loro potenzialità e sulle loro aspettative future, oltre che la conoscenza della loro comunità territoriale, delle risorse e delle criticità. I materiali prodotti dai partecipanti toscani sono stati presentati all’istituzione scolastica e alle associazioni di volontariato del territorio: in questi incontri gli studenti hanno avuto la possibilità di presentare i loro lavori e di conoscere gli attori significativi della comunità, rafforzando i rapporti di rete tra i diversi attori sociali. Saranno discusse analogie e differenze nell’uso di Photovoice tra il gruppo toscano e quello di Iasi. 95 WORKSHOP WORKSHOP 4 Coordinatrici: Angela Fedi e Terri Mannarini Arene partecipative Angela Fedi* e Terri Mannarini** *Università degli Studi di Torino; **Università del Salento [email protected]; [email protected] Il workshop intende fornire ai partecipanti un’occasione per sperimentare alcuni metodi partecipativi e, attraverso la discussione collettiva e il supporto di materiali didattico-informativi, ragionare sui processi psicosociali che li animano, sugli esiti che producono e sugli aspetti problematici della loro gestione. Nella prima parte del workshop i partecipanti saranno impegnati nello svolgimento di un World Cafè, un metodo per sviluppare conversazioni e dialoghi collaborativi che, per la sua flessibilità, si adatta a molte differenti circostanze. La seconda parte del workshop sarà dedicata al de-briefing e alla sistematizzazione delle riflessioni emerse, con l’obiettivo di restituire ai partecipanti un quadro organizzato di conoscenze, anche utilizzando materiali e dati di ricerca relativi a recenti esperienze di partecipazione svoltesi in Italia. 96 Venerdì 6 Luglio 2013 SESSIONI PARALLELE SESSIONE F IL RUOLO DEI CONTESTI NELLA PREVENZIONE DI DISAGIO E MARGINALITÀ Coordinatrice: Bruna Zani Come prevenire il disagio psicologico all’interno della scuola e delle comunità attraverso l’intervento di gruppo Vinanda Var Psicologa Psicoterapeuta libera professionista [email protected] Oggi viviamo in una società dove il tempo è veloce, immediato ed a tutti i costi ottimale. La diffusione degli smart phone e dei social network hanno reso la comunicazione sempre più senza limiti, disponibile ed abbreviata. Nonostante ciò, l'individuo, giovane o adulto che sia, si sente solo e smarrito all'interno di un contesto nel quale non vi sono più né spazi né tempi per raccontare a qualcuno i propri stati d'animo o disagi. Ecco l'importanza di fare prevenzione, perché se un meccanismo della macchina (in questo caso umana) si inceppa, dobbiamo intervenire prima che presenti problemi più importanti per se stessa e per gli altri. Per fare questo, un modo efficace è rappresentato dal gruppo che è costituito da un insieme di persone che hanno qualcosa in comune come, ad esempio, gli alunni di una classe o un gruppo di giocatori patologici. Il gruppo, che rappresenta molto di più che la semplice somma dei suoi membri, diventa in questo modo un'opportunità di incontro, un luogo dove uno può raccontare i suoi vissuti o ascoltare le esperienze degli altri ed elaborare le proprie emozioni. Questo processo di gruppo, condotto dallo psicoterapeuta, farà emergere la conoscenza e la consapevolezza che aiutano la prevenzione di fenomeni sociali di malessere, o a volte patologici come, ad esempio, il bullismo oppure il mobbing. 97 Integrazione scolastica e sociale di bambini e ragazzi sordi: creare legami tra famiglia, scuola e istituzioni Ettore De Angeli Università Cattolica del Sacro Cuore, Brescia [email protected] Il contributo intende presentare i recenti sviluppi del “Progetto di ricerca e di intervento a favore dei soggetti sordi e delle loro famiglie”, promosso da più di dieci anni dalla Fondazione “Pio Istituto Pavoni” di Brescia. Esso ha infatti recentemente integrato quanto proposto finora con nuove attività di promozione dei legami tra i diversi attori, grazie anche all’inserimento delle nuove figure degli Assistenti Educativi Domiciliari. L’attività di Assistenza Educativa Domiciliare viene realizzata in conformità con le indicazioni previste all’interno di una convenzione con enti territoriali. Essa è finalizzata a favorire il supporto scolastico domiciliare agli alunni sordi. Le prestazioni vengono erogate al domicilio del richiedente ed in orario extrascolastico e si concretizzano attraverso attività di supporto didattico individualizzato, attività di facilitazione dei processi comunicativi e di raccordo tra l’esperienza scolastica e l’esperienza extrascolastica. Inoltre il progetto prevede il monitoraggio e la valutazione dei processi educativi e relazionali, orientati all’incremento del potenziale evolutivo ed in un’ottica integrativa. Obiettivo principe del progetto è infatti quello di favorire l’inclusione scolastica e sociale di bambini e ragazzi sordi, fondandosi su una lettura sociale e relazionale della loro condizione di disabilità. Vi è dunque una forte attenzione all’integrazione tra la dimensione scolastica, le istituzioni territoriali e le attività di supporto domiciliare presso la famiglia del ragazzo sordo, al fine di promuovere un benessere integrato. Questa nuova disposizione del progetto permette quindi di mettere in rete esperienze e professionalità che finora lavoravano in modo autonomo e disgiunto, promuovendo non solo il benessere dei ragazzi sordi e delle loro famiglie, ma anche i legami tra la scuola, la famiglia e le istituzioni. 98 “Far da sé”: una proposta per progettare l’autonomia abitativa della persona con disabilità psichica Luca Leon*, Giovanni Battista Modonutti*, S. Pontin** * Gruppo di Ricerca sull’Educazione alla Salute (GRES), Dipartimento di Studi Umanistici - Università degli Studi di Trieste; **Lybra – Società Cooperativa Sociale – Onlus [email protected] L’autonomia abitativa della persona affetta da disabilità psichica è uno degli obiettivi a cui sempre più spesso si cerca di dare risposta. Nei percorsi già in atto è generalmente percepita la necessità di fornire delle competenze di base – ai diversamente abili ed agli educatori di riferimento - in modo tale che l’autonomia diventi effettiva. La Coop. Sociale Lybra e l’Opera Villaggio del Fanciullo di Trieste, con la supervisione del GRES*, hanno predisposto il progetto “Far da sé” con l’intento di analizzare quali fossero le competenze e le conoscenze delle persone affette da disabilità psichica (PDP) in merito alle cinque macro aree d’interesse: la gestione del denaro, la conoscenza e la conservazione degli alimenti, la pulizia e la gestione della casa, la percezione dei rischi associati all’ambiente domestico e l’utilizzo dei servizi cittadini. Lo strumento d’indagine era composto da due schede questionario – una per gli utenti in formazione (UIF) e l’altra per gli educatori ed i caregiver (EdR) – la cui compilazione è stata proposta ad entrambe le popolazioni prima del corso di formazione ed a distanza di tre mesi dal suo completamento. Durante il corso è stata compiuta un’analisi di processo tramite il monitoraggio in itinere delle conoscenze e del grado di soddisfazione dei partecipanti. Il percorso formativo, si è avvalso di due metodologie, una frontale e l’altra pratica, per un totale di 24 incontri distribuiti nell’arco di otto settimane. Il progetto prevedeva di avvalersi anche di un supporto psicologico che veniva fornito singolarmente ai partecipanti (EdR e UIF) La partecipazione, lo spirito critico, il coinvolgimento, l’attenzione e la motivazione manifestate dagli UIF sono state talune volte sorprendenti, molto elevate ed in grado di arricchire la riflessione comune (UIF e EdR), il percorso e la qualità dell’offerta formativa. Per quanto sia difficile generalizzare, alcuni componenti del gruppo PDP hanno manifestato chiaramente dei miglioramenti in merito alle conoscenze, a taluni comportamenti ed in genere hanno dimostrato e manifestato un generale gradimento nei confronti dell’attività svolta. Le criticità più importanti riscontrate sono riconducibili alla limitata adesione e collaborazione degli EdR che, solo in parte si sono rivelati disponibili a collaborare attivamente ed a rispondere alle richieste del progetto. Questo progetto, per sua natura sperimentale, così come consigliato dal Piano Nazionale della Prevenzione, ha consentito di: a) fare una accurata analisi dei bisogni dei PDP ed una valutazione obiettiva e puntuale degli stessi; b) identificare delle buone pratiche in grado di dare risposte alle esigenze espresse dai PDP; c) stimolare il coinvolgimento attivo delle EdR che nel vivere quotidiano affiancano e supportano le persone affette da disabilità psichica; d)predisporre ed ottimizzare dei canali comunicativi e pedagogici che favoriscano una relazione empatica e costruttiva fra i PDP ed i EdR. 99 L’interazione multiculturale: esserci o non esserci? Rosaria Ferone, Maria D’Alisa, Andrea Capasso, Cristina Harrison, Gerarda Molinaro, Maria Femiano. ASL Napoli 2 Nord - U.O.C. Integrazione SocioSanitaria [email protected] La molteplicità e la complessità dei fattori che compongono la realtà multiculturale su un territorio di elezione, possono essere ricondotte alla più esaustiva definizione di processi d’interazione, dimensioni nelle quali vi è una con-fusione possibile di valori, modelli di riferimento, culture di origine. L’oggetto della ricerca proposta è l’indagine sulla percezione dell’integrazione, nell’accezione di processo d’interazione, della persona immigrata o appartenente a minorità etnica sul territorio della ASL Napoli 2 Nord (32 Comuni nell’area nord di Napoli). La metodologia utilizzata è ancorata all’approccio autobiografico attraverso i protocolli delle “Storie di Vita” come intese nella tradizione della scuola di Chicago e succ. con l’inflessione della scuola francese. Il gruppo di ricerca, attraverso il supporto trasversale dell’unità operativa P.A.S.S. immigrati e senza fissa dimora della Unità Operativa Complessa Integrazione SocioSanitaria della ASL Napoli 2 Nord, individua il campione di riferimento tra le persone straniere e/o temporaneamente presenti a vario titolo impegnato e non sul territorio aziendale. Le unità sono individuate tra lavoratori, non lavoratori, regolari e non regolari che, a seguito di invito ad personam, abbiano espresso il consenso a partecipare alla ricerca. Attualmente sono coinvolte circa 10 unità, trattandosi di approccio autobiografico attraverso le storie di vita, la rappresentatività del campione non necessariamente è connessa alla numerosità dello stesso. La raccolta dei protocolli avviene in forma autografa su traccia predefinita che orienta la narrazione, oppure attraverso registrazione digitale e sempre su stessa traccia, raccolte dal ricercatore. Attraverso le tre direttrici aspetti socio-strutturali, simbolici e dell’agire, si riconducono le dimensioni d’indagine scelte che sono: 1. Aspetti socio-strutturali. classe sociale, formazione, stile di vita, impegno sociale, rete amicale, famiglia, ambiente fisico, ambiente istituzionale, linguaggio 2. Aspetti simbolici valore della famiglia atteggiamenti prevalenti rappresentazioni sociali (famiglia, giustizia, società le motivazioni, pratica religiosa) 3. Aspetti dell’Agire scelte, strategie, comportamenti L’analisi qualitativa del dato rilevato, articolata e complessa, ha previsto la destrutturazione in “aspetti” dei protocolli “storie di vita”, riconducendone i contenuti parziali alle direttrici sopra individuate attraverso più matrici. La narrazione come approccio di conoscenza della percezione dei processi e dei fenomeni, ha consentito di arricchire l’ipotesi di definizione di integrazione multiculturale di ulteriori dimensioni e contenuti, evidenziando la sottile e fitta rete di interazioni informali e formali che costituiscono un nuovo “tessuto etnico”, un tessuto rinnovato di relazioni con l’ambiente in cui le etnie (italiana/non italiana) alternano percorsi di adattamento reciproco alla reciproca presenza nello stesso contesto. 100 Oppressione psicosociale in contesti ad alta presenza di criminalità organizzata. Un primo studio sulla realtà casertana del 1992 Fortuna Procentese, Alfredo Natale Dipartimento di Studi Umanistici, Università di Napoli Federico II [email protected] La psicologia critica di comunità (Prilleltensky, 2008; Fryer, 2008) e la psicologia della liberazione (MartínBaró, 1994; Montero & Sonn, 2009) si interessano dei processi di conoscenza e trasformazione delle comunità dando centralità agli elementi del potere e della giustizia sociale. In contesti come quelli caratterizzati dalla presenza di organizzazioni criminali di stampo mafioso l’oppressione psicosociale diffusa rende necessaria un’azione di coscientizzazione (Freire, 1986) della comunità stessa a partire dallo sviluppo di una conoscenza complessa delle dinamiche in gioco per lo sviluppo di un maggiore benessere di comunità. Le modalità di espressione dei vissuti e delle rappresentazioni relative alla condizione di oppressione riflettono inoltre la capacità della stessa comunità di dare voce alla propria sofferenza e al pensiero e alle azioni sociali che l’accompagnano. L’ipotesi epistemologica che fonda il presente lavoro di ricerca è relativa alla possibilità di indagare le dinamiche di oppressione dovuta a poteri autoassertivi (non generativi di benessere di comunità) a partire dalla comprensione dei processi locali di convivenza e delle rappresentazioni degli stessi poteri nelle culture locali e storicamente collocate. A tal fine è stato individuato Casal di Principe (CE) quale contesto che da molti anni è caratterizzato dalla presenza della criminalità organizzata e in particolare è stato effettuato un primo studio a partire dalla rilettura critica di un concorso indetto nel 1992, anni in cui si sono verificati ripetuti episodi di violenza da parte della camorra. In questa prima fase di ricerca è stata svolta l’analisi tematica di 171 temi scolastici scritti nel 1992 da alunni delle scuole medie di Casal di Principe (CE) con l’ausilio del software T-LAB. Gli elaborati sono stati prodotti all'interno di un concorso a premi organizzato da un'associazione culturale locale e vertono sui vissuti e le esperienze degli studenti relative alla presenza della criminalità organizzata sul territorio. Il materiale testuale raccolto rappresenta il prodotto culturale di un’elaborazione e negoziazione di significati inerenti una rappresentazione localizzata e storicamente determinata della criminalità organizzata e del suo potere sulla vita della comunità. I dati relativi al significato attribuito dai protagonisti che hanno indetto e realizzato l’evento permettono di effettuare una riflessione sulla rappresentazione della violenza quale forma di oppressione individuale e collettiva e l’incidenza sull’intenzione di agire un cambiamento nella propria comunità territoriale. 101 SESSIONE G LA PREVENZIONE DEI COMPORTAMENTI A RISCHIO NELLA SCUOLA E NELLA COMUNITÁ Coordinatrice: Elvira Cicognani Focus group per la prevenzione del consumo precoce di alcolici negli adolescenti: un’esperienza di ricerca-azione nelle scuole secondarie di II grado di Padova Gatta Michela, Gatto Rotondo Cristina, Lai Jessica, Sisti Marta, Svanellini Lorenza, Fregna Riccardo, Ronconi Lucia, Salis Maurizio, Emilia Ferruzza Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino, Università degli Studi di Padova UOC di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, Azienda ULSS 16 Padova Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo, Università degli Studi di Padova [email protected] Il presente lavoro riporta l'esperienza relativa ad un progetto di ricerca-azione “Che piacere…”, educazione alla salute e prevenzione del consumo precoce di alcolici negli adolescenti e nei pre-adolescenti, attuato dal 2006 in collaborazione tra strutture socio-sanitarie e forze sociali pubbliche e private (Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, Direzione Generale e dei Servizi Sociali dell’Azienda ULSS 16, Centro Regionale specializzato per le malattie del fegato, Rotary Club Padova, Fondazione Lionello Forin Hepatos ONLUS, in collegamento con l’Ufficio scolastico provinciale) di Padova e provincia. Tale progetto coinvolge, ogni anno, circa 2500 di studenti delle scuole secondarie di I e II grado di Padova e provincia. Questo contributo descrive quella parte progetto relativa ad interventi di Focus Group (FG) effettuati nelle classi prime e seconde di scuole secondarie di II grado, facendo particolare riferimento allo studio delle tematiche attivate dal processo gruppale. I FG si articolano in quattro incontri, ciascuno dei quali viene sviluppato alternando momenti di discussione di gruppo in cui i conduttori fungono da facilitatori della comunicazione, a momenti di attivazione che prevedono l’utilizzo di diverse tecniche: brain storming, visione di spot, ideazione di slogan. Gli incontri vengono condotti da due psicologi e prevedono la presenza di un osservatore, il quale ha il compito di redigere il verbale dei contenuti emersi. Verranno presentati i risultati preliminari inerenti l’analisi delle trascrizioni degli incontri, su cui si è operato con le tecniche proprie dell’analisi del contenuto. Sono stati presi in considerazioni i FG attuati in 5 classi seconde di istituti tecnici, professionali e licei, per un totale di 20 report (4 verbali di incontro per ogni classe) il cui testo è stato analizzato mediante l'uso del software Atlas.ti. Tale analisi ha permesso di: indagare cosa pensano i ragazzi sul consumo di alcol nei giovani; individuare le convinzioni e le motivazioni che stanno alla base delle abitudini assunte, ovvero come pensano i ragazzi e perché pensano in quel modo; dare una interpretazione critica delle modalità con cui le opinioni dei ragazzi si modificano o meno nel corso degli interventi di Focus Group. 102 La prevenzione dell’HIV/AIDS con donne e giovani: indicazioni dalla valutazione della campagna comunicativa Ministeriale 2012-13 Davide Mazzoni, Gabriele Prati, Elvira Cicognani, Cinzia Albanesi, Luca Pietrantoni, Bruna Zani Dipartimento di Psicologia - Università di Bologna [email protected] La letteratura sulle campagne di prevenzione HIV/AIDS sottolinea l’utilità, al fine di aumentarne l’efficacia, di rivolgersi a gruppi-target specifici. I dati epidemiologici e le riflessioni degli ultimi anni hanno sottolineato l’utilità di considerare come possibili destinatari, i giovani e le donne. Questo contributo si propone di presentare i risultati dello studio qualitativo di valutazione dell’impatto della recente campagna Nazionale 2012-13, con l’obiettivo di trarre indicazioni utili per la progettazione di campagne di comunicazione più efficaci rivolte a questi due target. Sono stati realizzati 5 focus group con giovani (range 18-30 anni) e 5 con donne in diverse regioni Italiane (Piemonte, Lombardia, Trentino Alto Adige, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Lazio, Puglia). La traccia del focus group si proponeva di: a) approfondire le opinioni e atteggiamenti dei partecipanti sul tema HIV/AIDS e i comportamenti protettivi; b) valutare i materiali della campagna. A tale scopo, dopo aver mostrato ai partecipanti il video della campagna, è stato valutato il grado di esposizione alla campagna, la comprensione dei messaggi, la percezione di efficacia nel modificare i comportamenti, l’identificazione con i protagonisti e l’adeguatezza del testimonial (Raoul Bova). I dati sono stati analizzati mediante analisi del contenuto qualitativa. I risultati mostrano che i materiali comunicativi e i messaggi utilizzati nella campagna sono stati generalmente compresi e apprezzati nelle loro finalità. Tra i limiti riferiti, i più giovani hanno sottolineato l’assenza di un protagonista coetaneo con il quale potersi identificare e lo stile poco accattivante del video utilizzato. D’altra parte, nonostante tutte le protagoniste femminili nei materiali comunicativi siano presentate "in coppia", le donne intervistate, soprattutto se impegnate in una relazione stabile raramente hanno riferito di sentirsi come destinatarie privilegiate della campagna, in quanto (a priori) non si percepiscono come potenzialmente a rischio. I due gruppi-target hanno apprezzato caratteristiche diverse dello stesso testimonial. A partire dai suggerimenti espressi dagli stessi partecipanti e alla luce della recente letteratura psicosociale, la discussione verterà sulle strategie comunicative più utili per superare le difficoltà nella comunicazione sul tema HIV/AIDS rivolta a giovani e donne. 103 Azzardo: adolescenti e orientamento valoriale Loredana Varveri Dipartimento di Psicologia - Università di Palermo [email protected] Introduzione. Scommettere al gioco è un comportamento sociale che rischia di assumere una connotazione problematica o, peggio ancora, patologica, tanto da essere annoverato, nella sua forma estrema, tra le dipendenze senza sostanza. Il GAP (Gioco d’Azzardo Patologico) sembra riguardare circa il 3% della popolazione italiana e la sua insorgenza è piuttosto precoce: si inizia a giocare, spesso, durante l’adolescenza (cfr. Lavanco, Varveri, 2006; Picone, 2010). A partire da quest’ultima considerazione, il contributo di ricerca che presentiamo ha rivolto il focus proprio su un gruppo di adolescenti. A quanti si occupano di prevenzione preme considerare i fattori di rischio e i fattori protettivi associati a questa forma di addiction, al fine di intervenire per arginare o, meglio ancora, evitare l’insorgenza di tale disturbo. Metodologia della ricerca. La ricerca ha avuto l’obiettivo di analizzare il comportamento di gioco d’azzardo di un gruppo di adolescenti palermitani, contattati presso due scuole della città, e di verificare l’eventuale relazione tra il comportamento di gioco e l’orientamento valoriale del ragazzo. Si ipotizza che, così come per altre forme di abuso, anche nel caso del gioco d’azzardo problematico e patologico si verifichi il prevalere della dimensione valoriale dell’autoaffermazione su quella dell’autotrascendenza (cfr. Varveri, Di Nuovo, Lavanco, 2007). Il gruppo coinvolto è costituito da 98 adolescenti, cui è stato somministrato un protocollo composto dai seguenti strumenti: - SOGS-RA (Winters, Stinchfield, Fulkerson, 1993), questionario di autovalutazione per lo screening generale dei disturbi da gioco d’azzardo in adolescenza; - PVQ (Capanna, Vecchione, Schwartz, 2005), scala che consente di valutare l’importanza che ogni individuo attribuisce a 10 valori; - questionario, da noi redatto, per la raccolta di dati socio-anagrafici e di informazioni sul comportamento di gioco del ragazzo, della famiglia e degli amici, ma anche per la raccolta di informazioni circa le modalità di trascorrere il tempo libero. Risultati. I dati raccolti e analizzati hanno confermato l’ipotesi di ricerca, evidenziando differenze significative tra l’orientamento valoriale degli adolescenti che scommettono in maniera “responsabile” e quelli di coloro che giocano d’azzardo in maniera problematica e patologica. Ne conseguono utili suggerimenti da applicare in ambito preventivo. 104 Prevenire obesità e sovrappeso: che ruolo hanno le caratteristiche di personalità? Manuela Tomai, Veronica Rosa, Minou Ella Mebane, Maura Benedetti e Donata Francescato Dipartimento di Psicolgioa Dinamica e Clinica, Università "Sapienza" di Roma [email protected] Nell’ultima decade l’obesità e il sovrappeso sono considerati tra i problemi più rilevanti della salute pubblica nei paesi industrializzati (Chapman et al., 2008; Sutin et al., 2011). Specialmente in età evolutiva si registra un progressivo abbassamento del momento di esordio. Secondo dati recenti (Ministero della Salute, 2012) l’Italia si colloca tra i primi paesi europei per eccesso ponderale infantile. Gli studi condotti su campioni italiani sono pochi e riguardano solo alcune regioni del territorio nazionale (Lazzeri et al., 2008; Parrino et al., 2012). Tutti i ricercatori che hanno indagato l’eziologia del fenomeno sostengono che i livelli e il controllo del peso (in età adulta, in infanzia e in adolescenza), possono essere considerati come una funzione delle differenze individuali nelle tendenze comportamentali e nelle caratteristiche psicologiche (vedi Chapman, 2009). Studi longitudinali hanno dimostrato che i tratti di personalità predicono l’incremento nel Body Mass Index (BMI) durante lo sviluppo e nell’età adulta (Sutin et al., 2011). Parallelamente, recenti studi sui tratti hanno evidenziato la possibilità di modificazioni nel tempo degli stessi (Roberts et al., 2008). Al fine di indirizzare gli interventi delle agenzie educative si rende necessario indagare, nella popolazione italiana infantile, le caratteristiche di personalità che maggiormente risultano essere fattori protettivi di corretti comportamenti alimentari. Scopo di questo contributo è indagare, in una popolazione italiana di bambini di V elementare, quali tra i tratti di personalità abbiano maggiore influenza nel predire il BMI e le eventuali relazioni tra questi. Alla ricerca hanno partecipato 238 bambini (54.6% maschi, 45,4% femmine, M=.45, S.D.=.50) di tutte le regioni italiane (23.9% Nord, 31.9% Centro, 44.1% Sud, M=2.20, S.D.=.80). I tratti di personalità sono stati analizzati attraverso la versione infantile a 65 items del Big Five (Big Five Questionnaire Children, Caprara et al., 1993). Il BMI è stato misurato in forma etero-diretta e calcolato secondo standard attualmente validi (National Center for Health Statistics, 2000). Per l’analisi delle relazioni fra tratti e BMI, sono state svolte una serie di analisi di regressione gerarchiche. I risultati più significativi evidenziano effetti di moderazione dell’apertura mentale sulla relazione tra la stabilità emotiva e il BMI. In particolare si può dire che, nei bambini del nostro campione, il BMI è maggiore quando la stabilità emotiva è bassa ed è in relazione con una bassa apertura mentale, mentre è inferiore quando la stabilità emotiva è alta ed è in relazione ad un’alta apertura mentale. 105 Esempio di Nuove Tecnologie Applicate alla Prevenzione Primaria. Il Progetto pilota del Dipartimento di Prevenzione e dal TMSREE della ASL Roma D Claudio Fantini, Lorenzo Toni, Debora Vilasi, Pasquale Plateroti, Olinda Caccaro, Marco Iannacone, Francesca Pontecorvo, Antonella Cimaglia Dipartimento di Prevenzione e TSMREE ASL Roma D. Digitally different S.r.l. [email protected] I Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) comportano gravi problemi di apprendimento e numerose ricadute negative sul benessere fisico, psicologico e sociale. Negli alunni con DSA che non ricevono tempestivamente trattamento e strumenti compensativi richiesti dal loro sviluppo cognitivo, a causa dell’insuccesso scolastico e delle difficoltà di integrazione, possono insorgere disturbi psicopatologici, relazionali e comorbilità. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha incluso il benessere psicologico nel concetto di salute: "gli individui devono avere la possibilità di sentirsi a proprio agio nelle circostanze che si trovano a vivere". Secondo la definizione dell’OMS, infatti, il benessere psicologico è quello stato nel quale l'individuo è in grado di sfruttare le sue capacità cognitive o emozionali per rispondere alle esigenze quotidiane della vita di ogni giorno, stabilire relazioni soddisfacenti e mature con gli altri, adattandosi costruttivamente alle condizioni esterne e ai conflitti interni. ll progetto si propone di prevenire l’insorgenza di psicopatologie e comorbilità in alunni con DSA, fornendo strumenti digitali compensativi e interventi di Promozione della salute.Il Dipartimento di Prevenzione in collaborazione con il TSMREE del II Distretto Sanitario della Asl RomaD, ha messo a disposizione le attività sperimentali dei propri Presidi Sanitari Scolastici presenti in 7 plessi di istruzione primaria e secondaria del XIII Municipio, per intercettare fattori di rischio per il benessere psicologico in ragazzi con DSA e per promuovere un intervento di rete scuola-famiglie-ASL. La ASL, con il supporto di uno sponsor privato senza oneri aggiuntivi per la Pubblica amministrazione, ha fornito in comodato d’uso 270 tablet completi di software specifici e con testi digitali. E’ stata effettuata formazione a tutti gli stakeholders sulle diverse abilità di apprendimento dei DSA e sull’utilizzo degli strumenti compensativi digitali. Supportare questi bambini in età scolare significa operare una concreta azione di prevenzione delle patologie secondarie e permettere loro il successo scolastico e l’integrazione sociale. Il progetto avrà durata biennale. 106 SESSIONE H MODELLI DI PREVENZIONE A SCUOLA Coordinatrice: Elena Marta PROGETTO TEENAGER: la condivisione di uno spazio ricreativo “non virtuale” tra preadolescenti “difficili” quando il contesto attuale sembra essere dominato dai netlog e dalle nuove tecnologie Maria Negri*, Ilaria Minervini*, Patrizia Caucino*, Barbara Andreoli**, Stefania Zorzetto** * Servizio Educazione e Promozione della Salute ULSS 13 - Mirano (VE); ** Istituto secondario di I grado "Petrarca"- Borbiago (VE) [email protected] Da un lavoro di supervisione agli insegnanti di una delle scuole secondarie di 1° su situazioni “difficili” e problematiche, lo scorso anno scolastico è nata l’idea di offrire uno spazio di condivisione a 10-15 studenti di classe 1^ e 2^ che manifestavano difficoltà di vario genere: relazionali (scarsa socializzazione, tendenza al protagonismo eccessiva, adultizzazione precoce, frequentazione di gruppi a rischio..), di apprendimento (metodo di studio assente o inefficace, discontinuità, scarso rendimento..) e familiari (famiglie assenti, ricostituite, multiproblematiche…). Scopo del progetto era quello di offrire contemporaneamente a più ragazzi strumenti utili alla loro crescita, rimotivando alunni con scarso interesse alla scuola o coinvolti in particolari situazioni di disagio, al fine di favorire uno sviluppo armonico della loro personalità e prevenire quindi l’abbandono della scuola. L’attività è iniziata alla fine dell’anno scolastico con cadenza bisettimanale (2 mattine) per un mese e mezzo ed è poi ripresa col nuovo anno settimanalmente (un pomeriggio) presso il Centro Civico offerto dal Comune di riferimento. Si è costituito un gruppo di lavoro formato da operatori con diverse specificità che si sono a volte avvicendati: una psicologa volontaria e una neuropsichiatra infantile co-conduttrici del gruppo, una psicologa tirocinante, tre studenti universitari, tre studenti delle scuole superiori che avevano seguito attività di “peer education”; agli incontri organizzativi partecipavano inoltre anche un’altra psicologa e due insegnanti del gruppo di supervisione. In questo spazio “non virtuale” i ragazzi hanno potuto conoscersi meglio e ritrovarsi nei problemi degli altri, affrontare (anche grazie allo stimolo di alcuni film) tematiche di vario genere, come l’utilizzo delle nuove tecnologie con i relativi pregi, ma anche con i limiti e rischi spesso sottovalutati alla loro età, la diversità in ogni sua forma, i rapporti familiari, i loro progetti futuri. Le varie attività sono state alternate ad altre più “scolastiche” come l’esecuzione dei compiti o il lavoro sul metodo di studio e a momenti più ricreativi di gioco, uscite, merende, produzione di poster o di biglietti augurali... Anche se al momento non abbiamo a disposizione una valutazione quantitativa dei risultati ottenuti, un parametro qualitativo a nostro parere importante è però quanto riferito dagli insegnanti riguardo le variazioni dei risultati scolastici dei ragazzi, nella maggior parte dei casi migliorati unitamente ad una crescita dal punto di vista relazionale. Parimenti nel gruppo dei tutors, nonostante gli impegni di studio o lavorativi che a volte hanno limitato la loro partecipazione, si devono segnalare riscontri positivi (maggior autostima ed autoefficacia, lavoro di team..) che fanno ben sperare nella possibilità di poter continuare l’esperienza anche per il prossimo anno scolastico, sperando in un maggior supporto dei Servizi Sociali del Comune interessato. 107 IL PROGETTO NESSUNO ESCLUSO - Una Ricerca-azione per la prevenzione della dispersione scolastica, privilegiando la collaborazione e la condivisione della rete territoriale Maddalena Marcanti, Sabrina Bonomi, Francesca Oppici ACLI Provinciali di Verona [email protected] La dispersione scolastica è il processo attraverso cui si verificano ritardi, rallentamenti e uscite anticipate dalla scuola, è l’insieme delle bocciature, delle ripetenze e degli abbandoni dello studente. Gli ambiti coinvolti sono la famiglia in cui il ragazzo cresce e da cui apprende i valori; la scuola luogo deputato alla crescita intellettuale e la società in cui vive e si relaziona. L’insuccesso scolastico, infatti, è vissuto con sempre maggior apprensione dagli studenti perché collegato all’inserimento sociale. Alla scuola primaria i bambini vivono le prime delusioni, così si va ad assottigliare il guscio protettivo con cui genitori e insegnanti tutelano i bambini e che, con l’inizio della scuola secondaria, viene a mancare definitivamente. Inoltre è presente la delusione dei genitori che vivono lo scarso rendimento dei figli come difficoltà ad inserirsi nella società e progettare un futuro. Il figlio percepisce l’importanza dei suoi risultati a casa e spesso considera la scuola causa del suo stato emotivo. Il progetto “Nessuno Escluso” ha come obiettivi: combattere l’evasione scolastica, favorire lo sviluppo di reti territoriali di collaborazione ed inclusione e supportare l’integrazione di bambini stranieri. Materiali e Metodi: sono stati distribuiti 1400 questionari agli alunni e ai genitori delle classi di 5 scuole medie inferiori di un quartiere del Comune di Verona, per identificare i bisogni sulla scuola e lo studio di ragazzi e genitori. In contemporanea si sono create reti di collaborazione con Comune (servizi sociali), Parrocchia, Scuola, Associazioni per approfondire l’identità del quartiere, conoscere le realtà territoriali ed integrarsi ad esse, creando una rete di condivisione e confronto e mantenendo le relazioni per tutta la durata del progetto. L’attività di doposcuola è iniziata ad ottobre 2012; hanno partecipato 40 studenti della scuola primaria e secondaria (età X=10anni). Si svolge due pomeriggi ed il sabato mattina, con 9 volontari, soprattutto di scuole superiori e universitari, che possono fare un’esperienza formativa coordinati da una responsabile. Obiettivo è aiutare nello svolgimento dei compiti, focalizzandosi sullo sviluppo dell’autostima del singolo anche mediante la collaborazione tra pari, favorire la socializzazione tramite giochi di gruppo e laboratori, sviluppare una relazione “sufficientemente buona” per divenire punto di riferimento per i ragazzi e per i genitori, che con incontri sulla genitorialità o riunioni informative, acquisiscono strumenti utili a partecipare attivamente alla vita scolastica dei propri figli. Conclusioni: il primo anno di attività ha confermato che lavorare sviluppando una rete di collaborazione tra realtà e professionisti diversi (associazioni, psicologi, assistenti sociali, insegnanti) è una risorsa importante perché permette di essere sensibilizzati all’aiuto e alla cooperazione, per acquisire una maggiore sicurezza e fiducia in sé. 108 “SCUOLA APERTA”: la storia continua Laura Brusaterra*, Elena Bottignolo*, Luca Zini**, Michele Pellizzari***, Stefano Rigoni*** * Psicologa-Psicoterapeuta libero-professionista consulente per il Sert di Thiene (Vi); **educatore professionale Sert di Thiene (Vi), coordinatore del progetto; ***Servizio Epidemiologico Ulss 4 “Alto Vicentino” [email protected] Dal 2000, il progetto “Scuola Aperta” fa parte delle strategie di prevenzione alle dipendenze patologiche nel territorio dell’Ulss 4 “Alto Vicentino”. E’ un’iniziativa rivolta alle scuole secondarie di primo grado e nasce dalla collaborazione tra Servizio Pubblico e Privato Sociale in una sinergia che vede il coinvolgimento del Sert dell’Ulss 4 “Alto Vicentino”, del Centro Vicentino di Solidarietà (Ce.I.S.), dell’Associazione “Il Borgo” Onlus e della Comunità Terapeutica “Cà delle Ore”. Nel corso degli anni, il progetto ha visto vari cambiamenti, tutti volti a migliorare il tipo di servizio offerto e a rispondere, di anno in anno, alle diverse esigenze che il mondo della scuola ci portava. Durante questo ultimo anno scolastico (2012-2013), il progetto si è così strutturato: Consulenza settimanale agli insegnanti, ai genitori e agli studenti (Punto Scuola Aperta); ogni operatore era presente a scuola per 2 ore ogni settimana per consulenze individuali e per concordare con gli insegnanti attività di prevenzione da proporre in classe; Strutturazione, accompagnamento e monitoraggio di varie attività in classe su tematiche che gli insegnanti hanno concordato man mano con gli operatori di Progetto. Il progetto prevede, inoltre, un percorso di valutazione dell’efficacia: Obiettivo principale dell’indagine è lo studio delle differenze in termini di “fattori protettivi” e consumo e sperimentazione di sostanze, tra un gruppo di ragazzi “a rischio”- segnalati come “a rischio” di incorrere in problematiche legate alle dipendenze patologiche dai propri insegnanti attraverso un questionario costruito “ad hoc” - e un gruppo di ragazzi considerati non a rischio (gruppo di controllo); I dati sono raccolti tramite la somministrazione di un questionario pre-post agli alunni (a Novembre e ad Aprile); I soggetti interessati sono i ragazzi della classe prima, seconda e terza; Età: 10-16 anni. Il presente lavoro mira a presentare alcuni dati relativi a questa nostra esperienza che rappresenta un piccolo spaccato della nostra realtà di prevenzione che continua e che ha una rilevanza scientifica significativa che ha permesso, in questi 13 anni, di dare continuità al Progetto. I fattori protettivi indagati sono: Interesse verso lo studio (QSS, Santinello et al.1997), Autostima scolastica (QSS Santinello et al., 1997), Capacità di coping (CIAO, Kiesner, 2003), Conflitto coi genitori (CASY, Metzler et al., 1998), Rapporto coi pari (CASQ, Coping across situations questionnaire, Seiffge-Krenke, 1995), Rapporto con gli insegnanti, (CASQ, Coping across situations questionnaire, Seiffge-Krenke, 1995), Senso di comunità a scuola (Scala di Albanesi, Cicognani e Zani, 2002). Tutte queste variabili sono state, inoltre, correlate all’età e al fatto di avere ricevuto- in seguito alla segnalazione- un intervento di tipo selettivo progettato e costruito all’interno della consulenza settimanale del Punto Scuola Aperta. 109 Centri di Informazione e Consulenza (C.I.C.) – Un possibile modello per la prevenzione precoce dell’uso di sostanze stupefacenti e l’abuso di alcol tra i giovani Maurizio Gomma*, Giovanni Serpelloni**, Claudia Rimondo°, Giuliana Guadagnini ^ * Dipartimento delle Dipendenze, Azienda ULSS 20 Verona; ** Dipartimento Politiche Antidroga, Presidenza del Consiglio dei Ministri; ° Coordinamento nazionale Progetto “Early detection”, Dipartimento delle Dipendenze, Azienda ULSS 20 Verona; ^ Coor [email protected] L’uso di sostanze stupefacenti e l’abuso di alcol sono comportamenti ad alto rischio per la salute fisica e mentale delle persone, soprattutto dei più giovani, il cui cervello è ancora in piena maturazione. Per alcuni, tale uso può diventare una dipendenza con gravi conseguenze per se stesso, per la sua famiglia e per la società. La tossicodipendenza infatti è una vera e propria malattia, anche se prevenibile, curabile e guaribile, se diagnosticata precocemente. Pertanto, è indispensabile evitare l’uso di qualsiasi sostanza psicoattiva, prevenire l’instaurarsi di una dipendenza ed individuare il più precocemente possibile i comportamenti a rischio di uso di sostanze stupefacenti e/o di abuso alcolico. L’individuazione precoce di una malattia, infatti, offre maggiori possibilità di cura, permette di attuare interventi più efficaci per affrontarla e di assicurare un’immediata riduzione dei rischi per la salute e una migliore qualità di vita alla persona e alla sua famiglia. Attualmente, trascorrono dai 6 agli 8 anni prima che un adolescente che fa uso di sostanze stupefacenti e/o abuso di alcol venga in contatto con il servizio sanitario per iniziare le cure appropriate. Più tempo trascorre, più la dipendenza risulterà resistente agli interventi di cura e alla riabilitazione. Pertanto, è fondamentale adottare quanto prima interventi per una più precoce identificazione del problema e agire per fermare la progressione dell’uso di sostanze verso la dipendenza. Il Dipartimento delle Dipendenze Azienda ULSS 20, in collaborazione con il Dipartimento Politiche Antidroga della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha attivato un nuovo modello di intervento per la diagnosi e l’intervento precoce che ha coinvolto da vicino i Centri di Informazione e Consulenza (C.I.C.) nelle scuole. Il nuovo modello è finalizzato primariamente all’identificazione precoce delle situazioni individuali di vulnerabilità che comportano un aumento del rischio di uso di sostanze stupefacenti e/o abuso alcolico, attraverso una forte collaborazione con gli insegnanti e le famiglie. Il nuovo modello C.I.C. ha visto il coinvolgimento di circa 300 studenti in 5 mesi di attività. Il 18,5% di questi è risultato fare uso di sostanze stupefacenti. Nel 2011, con il modello C.I.C. tradizionale, i soggetti individuati erano stati solo l’1%. Alle famiglie sono stati offerti interventi mirati alla consapevolizzazione, al counseling e al supporto educativo presso le strutture sanitarie pubbliche. Il nuovo C.I.C. ha inoltre preso in considerazione problemi di altra natura che gli studenti possono avere (disturbi dell’alimentazione, bullismo, violenza, abusi, ecc.). Dei casi presi in carico dai professionisti C.I.C., 30 sono stati inviati al Dipartimento delle Dipendenze, 17 al servizio di Neuropsichiatria Infantile, 18 al Consultorio e 7 ad altri servizi specialistici del territorio, sempre dell’ambito pubblico. 110 Diario della Salute. Percorsi di promozione del benessere tra i pre-adolescenti: progetto nazionale CCM 2011 Laura Marinaro*,Antonella Ermacora**,Roberta Molinar **, Attilio Clerico*, Maria Teresa Revello***, Daniela Galeone**** *ASL CN2 Alba-Bra; ** Eclectica; *** Regione Piemonte; ****Ministero della Salute [email protected] Il Progetto nazionale “Diario della Salute. Percorsi di promozione del benessere tra i pre-adolescenti”, coordinato dall’ASL CN2 della Regione Piemonte nell’ambito delle attività promosse dal CCM-Ministero della Salute, ha l’obiettivo di prevenire alcuni comportamenti a rischio che possono insorgere in adolescenza e di promuovere il benessere dei pre-adolescenti. Al progetto partecipano unità operative provenienti da 5 Regioni italiane: Piemonte, Veneto, Calabria, Puglia, Sicilia. I destinatari finali sono gli studenti che frequentano il secondo anno di scuola secondaria di I grado; i destinatari intermedi sono gli insegnanti e i genitori. Il progetto prevede l’implementazione nelle regioni coinvolte di un programma strutturato incentrato su: - potenziamento delle abilità cognitive e sociali (life-skills) necessarie ai pre-adolescenti per affrontare i cambiamenti tipici della pubertà (ad esempio, le trasformazioni corporee, i cambiamenti nelle relazioni con i pari e con gli adulti, gli sbalzi d’umore, la sperimentazione di emozioni nuove, ecc.) e per prevenire il coinvolgimento nei comportamenti a rischio (ad esempio, consumo di alcol e sostanze, scorretta alimentazione, uso pericoloso di internet, rapporti sessuali non protetti, ecc.); - sviluppo della capacità degli insegnanti di utilizzare metodologie e tecniche didattiche-educative utili per affrontare i temi connessi alla pre-adolescenza e per migliorare il clima e le dinamiche di classe; - promozione della capacità dei genitori di comunicare in modo aperto ed efficace e di instaurare relazioni positive con i figli preadolescenti. Il progetto prevede le seguenti azioni: 1. formazione degli operatori socio-sanitari e degli insegnanti 2. distribuzione del materiale informativo-educativo a studenti e genitori 3. implementazione dell’intervento in classe da parte degli insegnanti 4. realizzazione di incontri tematici per i genitori da parte degli operatori socio-sanitari 5. monitoraggio delle azioni svolte e valutazione di gradimento 6. valutazione dell’intervento in classe con gruppo di intervento e di controllo Il programma include un kit didattico: - manuale per l’insegnante (Crescere liberi da dipendenze. Percorsi didattici per insegnanti) - materiale informativo-educativo per pre-adoscenti (I ♥. Io scelgo per me) - materiale informativo-educativo per genitori (Dalla parte dei genitori. Crescere insieme ai figli) - blog dedicato (www.diariodellasalute.it) Alcuni numeri: 1 corso di formazione per operatori sanitari per ciascuna regione partecipante, 125 gli operatori sanitari formati che hanno organizzato a cascata complessivamente 17 corsi rivolti agli insegnanti. Gli insegnati formati sono 191. L’intervento viene realizzato in 32 scuole e specificatamente in 78 classi prevedendo il coinvolgimento di 1.763 studenti. 111 SESSIONE I EDUCARE ATTRAVERSO I NUOVI MEDIA Coordinatore: Stefano Tartaglia YOUNGLE un network nazionale di ascolto e aiuto ONLINE rivolto ad adolescenti e gestito da adolescenti Stefano Alemanno - Franca Francia Regione Toscana, Società della Salute di Firenze, Regione Emilia-Romagna, Area Dipendenze, Direzione generale Sanità e Politiche sociali [email protected] YOUNGLE un network nazionale di ascolto e aiuto rivolto ad adolescenti e gestito da adolescenti. Un servizio pubblico gratuito su Facebook, Twitter, Google+ e YouTube. Uno spazio virtuale peer to peer rivolto ad adolescenti e gestito da ragazzi under 20 con il supporto di psicologi, medici ed esperti di comunicazione. Un “luogo” aperto e sempre in movimento dove poter soddisfare la voglia e il bisogno di comunicare in modo immediato con gli altri, scambiarsi idee, risorse, emozioni, esperienze, raccontarsi e parlare di sé, del proprio umore, dei propri dubbi e delle proprie passioni in un contesto accessibile, interattivo e protetto. Dove siamo. Il progetto “SOCIAL NET SKILLS “, promosso dalla Regione Toscana e finanziato da CCMMinistero della Salute, coinvolge 8 regioni (Toscana, Lombardia, Lazio, Emilia-Romagna, Puglia, Umbria, Liguria, Campania) e prevede la realizzazione di piattaforme social in ognuna delle sedi del progetto. Ogni regione aprirà e gestirà uno (o più) servizi online con proprie finalità e obiettivi (Firenze: affettività, Savona: CIConline, Parma/Modena: sessualità, Forlì: immagini e multimedialità, San Severo: musica, Reggio Emilia: sostanze, ecc.). Cosa facciamo. Offriamo servizi di ascolto, aiuto e counseling on line agli adolescenti tramite chat, sms, email, skype, tramite la creazione di profili sui più comuni social network: Facebook, google+, Twitter. Un servizio online due giorni la settimana con dieci under 20 che chattano con ragazzi under 20. Un aiuto semplice ed efficace, basta diventare amici per avere a disposizione una chat line, un servizio email, un telefono amico via skype. Oltre ad una pagina continuamente aggiornata su spazi eventi feste promozioni. Tutti rigorosamente under 20. Chi siamo. Ad oggi il network YOUNGLE, dopo 5 workshop di formazione per un totale di 10 giornate formative (periodo ottobre/dicembre 2012: Savona/Firenze/Castellammare di Stabia/Foligno/Modena), può contare su 97 peer formati, 33 operatori coinvolti, 13 province/comuni appartenenti a sei regioni che con i loro servizi rappresentano la rete territoriale di riferimento. Al termine del progetto saranno online 8 profili facebook, e un sito web. In ogni redazione a fianco dei peer è sempre presente un operatore senior (psicologo o educatore) in grado di intervenire, offrire consulenze più approfondite e supportare adeguatamente i peer on e offline. I nostri peer sono formati attraverso moduli specifici di formazione e approfondimento tenuti da personale dei servizi pubblici, e utilizzano strumenti (tablet) forniti dal progetto per condurre al meglio le chat. Perché YOUNGLE? Se cerchi di tradurmi non mi trovi semplicemente perché è una parola che abbiamo inventato noi di YOUNGLE YOUNG+ JUNGLE = perché la fuori la vita è una giungla e tante sono le tribù, amiche, ostili, ascoste. http://www.facebook.com/youngle.it YOUTUBE http://www.youtube.com/watch?v=vCg9pYQeWhQ&feature=youtu.be 112 Mobile addiction e prevenzione attraverso il gruppo dei pari Gioacchino Lavanco*, Carolina Messina**, Floriana Romano*, Liana Arcuri*** *Dipartimento di Psicologia, Università di Palermo; ** Associazione Empowerment Sociale, Palermo; ***Associazione PuntoCom, Palermo [email protected] La dipendenza da telefono cellulare (sia nella comunicazione vocale, che nella gestione di sms, chat o internet) sta diventando un problema sempre più diffuso, seppur gravemente sottovalutato, soprattutto fra gli adolescenti (Walsh, White, Young, 2008). Gli effetti negativi sullo sviluppo adolescenziale, invece, dovrebbero far mettere al centro delle strategie preventive percorsi di intervento psicologico ed educativo. La ricerca-intervento che presentiamo ha esaminato, da una lato, la correlazione fra fattori cognitivi (locus of control) e fattori emotivi (disregolazione emotiva) nei casi di abuso nell’utilizzo di telefoni cellulari; dall’altro, l’influenza del gruppo sia nello stimolare il comportamento di dipendenza, sia nel diventare strumento di coping rispetto al comportamento regolativo. La ricerca-intervento ha coinvolto 265 adolescenti siciliani (fra gli 11 e i 15 anni) attraverso l’utilizzo della Scala del Locus of Control per adolescenti (Nowiicki, Strickland, 1973), una scala sulla mobile addiction inspirata al Cius (Meerkerk et al., 2009), una scala sul controllo delle emozioni negative negli adolescenti – in una prima fase; successivamente, in un percorso di peer group per l’acquisizione di comportamenti di controllo dell’abuso. Per l’analisi quantitativa sono stati adottati sia la statistica descrittiva, sia t-test, Anova, correlazione di Pearson, regressioni multiple; per la valutazione del percorso di prevenzione il modello del peer group di controllo. I primi risultati confermano che la dipendenza da cellulare ha differenze significative fra ragazze e ragazzi, infatti fra ragazze il rischio della dipendenza è più alto che fra i ragazzi; la regolazione emotiva, il locus of control e la mobile addiction correlano fra loro; il locus of control e la regolazione emotiva sono fattori protettivi nella riduzione del rischio di dipendenza da utilizzo del telefono cellulare. Questi elementi hanno indirizzato il lavoro del peer group sia nell’esplorazione delle emozioni, sia nell’acquisizione di consapevolezza sull’importanza della comunicazione face-to-face come fortemente connotata da empatia e da emozioni positive, al contrario della comunicazione attraverso cellulare. A conclusione del percorso si è delineato un modello di intervento in particolare riferito ad azioni educative di prevenzione nel mondo della scuola, modello che si sta implementando attraverso la costruzione di gruppi in diverse realtà, con un sistema di monitoraggio e valutazione mutuato dalla peer education (Lavanco, Messina, 2011). 113 I bambini e le tecnologie digitali: Ricerca qualitativa tra gli alunni delle scuole primarie di primo grado di Modena, Parma e Piacenza Krzysztof Szadejko, Elena Coppelli, Daniela Rossetti, Alessandra Genziani, Chiara Vallini, Andrea Ascari Centro Studi e Alta Formazione "Donald J. Ottenberg" di Modena [email protected] Introduzione. Dai più recenti studi effettuati sul territorio di Modena e provincia emerge che il fenomeno dell’utilizzo degli apparecchi elettronici inizia già nei primi anni della vita; ciò suscita una certa preoccupazione per la salute e per il sano sviluppo dei nostri bambini. Metodo. La finalità della ricerca, effettuata nei mesi gennaio-aprile 2013, è stata quella di fornire un quadro situazionale sull’uso delle nuove tecnologie da parte dei bambini in età tra 6 e 11 anni. Nello studio sono state coinvolte 15 classi, 324 alunni (47,2% M e 52,8% F), delle Scuole Primarie di Primo Grado nelle città di Modena, Parma e Piacenza. La raccolta dei dati prevedeva un approccio basato sulla Grounded Theory e sui principi della ricerca qualitativa. Così sono stati effettuati 30 Focus Group (separatamente maschi e femmine) per un totale di 24 ore e 18 min di registrazione audio. Durante l’analisi dei contenuti è stato utilizzato il software MAXqda come supporto alla ricerca qualitativa secondo il metodo definito il Computer Assisted Qualitative Data Analysis Software (CAQDAS). La decisione di utilizzare il software è stata dettata dall’esigenza di rendere più rigorosa l’analisi dei dati. Risultati. Da quanto è emerso dalla ricerca, nessuno degli strumenti tecnologici è di per sé pericoloso, lo è il loro utilizzo senza moderazione e senza regole esplicite da parte dei genitori. L’assenza delle regole sembra infatti l’elemento rilevante legato all’uso problematico di “nuove tecnologie” da parte dei bambini. I bambini in media spendono circa 4 ore al giorno, in casi estremi superando 6 ore, soprattutto durante il fine settimana. La stragrande maggioranza dei bambini ha la TV e altri dispositivi elettronici in camera, ciò li espone al rischio di utilizzo problematico. Anche se sporadicamente, si è riscontrato tra i maschi delle classi quinte il preoccupante uso di Internet per navigare tra i siti con contenuti espliciti. Alcune femmine delle quarte e quinte hanno già il profilo Facebook giustificando il fatto con il desiderio di comunicare e di creare una rete di amicizie. I maschi manifestano un maggiore interesse per i videogiochi rispetto alle femmine, ciò li predispone piuttosto all’isolamento. Alcuni dei bambini delle classi seconde e terze hanno riferito l’esperienza di incubi notturni legati ai videogiochi che gli hanno provocato i traumi emotivi. Conclusioni. È impossibile ignorare l’affermarsi di una nuova mentalità tra i bambini dovuta in buona parte alla presenza delle tecnologie digitali. L’ottica educativa non è affatto quella di impedire o proibire il loro utilizzo, ma di promuovere una “buona comunicazione”, cioè quelle abilità che consentono di soddisfare uno dei bisogni psicologici innati: la relazionalità, che dovrebbe essere soddisfatta sin dai primi anni della vita dell’essere umano. 114 Contatto facebook: “Peer ASL NA 2 Nord” Francescantonio Auletta , Pasquale Fallace, Maria Mazzarella, Vincenza Del Prete, Francesca Esposito Azienda Sanitaria Locale Napoli 2 Nord [email protected] “Peer ASL NA 2 Nord” è il gruppo facebook di “servizio” dei peer delle scuole ISIS “Filangieri” di Frattamaggiore e Liceo Polispecialistico “Gandhi” di Casoria in cui è stato realizzato il progetto “L’educazione tra pari per la prevenzione delle Malattie Sessualmente Trasmissibili” nato nell’ambito del programma Ministeriale Guadagnare Salute in Adolescenza. FB è stato soppiantato da WathsApp: evoluzione dei sistemi di comunicazione tra i giovani… evoluzione delle storie… a progetto concluso i peer hanno deciso di valorizzare il lavoro fatto e di proseguire l’intervento anche nell’anno in corso. La descrizione del lavoro parte da tre attempati psicologi e un infettivologo, tutti con esperienza di promozione della salute nelle scuole, un po’ Peter Pan che hanno dato vita al primo nucleo del “gruppo di coordinamento” a cui si sono aggiunti tre insegnanti delle due scuole. Insieme hanno realizzato: - una formazione specifica di 16 insegnanti di scienze incaricati di svolgere le lezioni di “rinforzo”, - il “reclutamento” di due gruppi di 15 aspiranti peer, uno per scuola, selezionati in 23 classi di seconda incontrando circa 600 studenti, - la formazione dei peer di circa 20 ore distribuite in otto incontri su tematiche inerenti la conoscenza delle tecniche di comunicazione e di espressione, dell’animazione e dell’attivazione dei gruppi, la conoscenza delle malattie a trasmissione sessuale e le tecniche di media-education per realizzare materiali interattivi da utilizzare negli interventi in classe, - 18 interventi di “ricaduta” svolti complessivamente dai peer lo scorso anno scolastico in altrettante classi di seconda, seguiti da una lezione di approfondimento ad opera degli insegnanti di scienze formati (ricaduta). I numeri di quest’anno: Nell’anno in corso i Peer educator (ora peer senior) hanno condotto gli interventi di reclutamento e collaborato attivamente alla formazione degli aspiranti peer di quest’anno: - 550 studenti di seconda contattati. Anche quest’anno abbiamo registrato una massiccia adesione di studenti che ci ha costretti ad introdurre dolorosi criteri di selezione per giungere, alla fine, ai due gruppi da formare, - due gruppi in formazione, uno di 20, l’altro di 16 studenti, - 8 interventi di “ricaduta” nelle due scuole. Alla stesura di questo abstract è alle battute finali la formazione dei nuovi peer. I progetti per il prossimo anno scolastico dei Peer senior, ormai consapevoli e fieri del loro ruolo nella comunità scolastica, sono quelli di affiancare agli interventi in classe e al nuovo reclutamento, l’istituzione e il presidio di uno sportello di ascolto per accogliere come primo filtro le richieste di informazione e orientamento. Un grazie alle nostre psicologhe tirocinanti, che hanno preziosamente coadiuvato soprattutto nella raccolta dati per la valutazione prevista dal programma In Adolescenza, dati confluiti, elaborati e pubblicati dal coordinamento nazionale del progetto (www.inadolescenza.it). 115 Tutoring, peer education e media education: l’esperienza all’ITIS “G. Chilesotti” di Thiene (VI) Laura Brusaterra*, Luca Zini** * Psicologa-Psicoterapeuta libero-professionista consulente per il Sert di Thiene-Vi; ** educatore professionale Sert di Thiene-Vi, coordinatore del progetto [email protected] La peer education si basa sul principio che la partecipazione attiva dei giovani nei loro processi decisionali incrementi in modo efficace il raggiungimento non solo degli obiettivi prefissati in quel progetto, ma anche il controllo critico su altri aspetti della vita quotidiana. La media education costituisce il nuovo terreno di sviluppo della peer education, andando così a convergere nella peer & video education, cioè un’attività di progettazione, realizzazione e diffusione da parte di un gruppo di giovani (peer) di prodotti video finalizzati alla prevenzione e destinati ad altri giovani. I progetti sviluppati in questa direzione hanno aperto la strada alla sperimentazione, nell’ambito della prevenzione dei comportamenti a rischio, del video inteso, innanzitutto, come strumento di lavoro per rendere più efficace la peer education. I risultati hanno evidenziato: il rafforzamento della comunicazione orizzontale tra ragazzi, lo sviluppo di un approccio critico ai media, il consolidamento dell’identità di gruppo attraverso l’esperienza collettiva della progettazione e della produzione di video. La peer education, nell’idea iniziale di scambio emotivo ed esperienziale tra pari, e in quella più innovativa di peer & video education, come applicazione di uno sguardo critico e di co-costruzione di un prodotto multimediale, guarda all’adolescente non solo come una risorsa attiva nella prevenzione ma anche come agente di promozione e animazione sociale. Partendo da queste evidenze, da 6 anni l’ITT “G. Chilesotti” di Thiene (Vi) prevede al suo interno durante ogni anno scolastico un servizio di tutoraggio e di peer education attraverso la media education così strutturato: durante il mese di febbraio vengono selezionati nelle classi terze attraverso un questionario di autovalutazione ed etero-valutazione gli studenti che dal mese di marzo faranno un corso di formazione della durata di 8 incontri da 2 ore, durante i quali si affronteranno tematiche legate alla capacità di ascolto, alla comunicazione e alle abilità di tutoring degli studenti delle classi prime dell’ano scolastico successivo; durante il mese di giugno avviene la preparazione delle attività di accoglienza degli studenti che arriveranno nelle classi prime nell’anno scolastico successivo: si preparano attività di animazione sociale che hanno come obiettivo la conoscenza reciproca, lo sviluppo dell’appartenenza al proprio gruppo classe, il consolidamento di relazioni significative e lo sviluppo di un buon clima di classe; durante il mese di settembre nella prima settimana di scuola gli studenti delle classi prime avranno come punto di riferimento primario proprio i tutor formati nell’anno scolastico precedente; durante tutto l’anno scolastico i tutor saranno presenti in classe per accompagnare gli studenti delle classi prime nelle assemblee di classe e si renderanno disponibili al monitoraggio di eventuali situazioni critiche; durante i mesi di febbraio e marzo i tutor proseguiranno la propria formazione iniziata l’anno precedente e diventeranno dei peer educators: durante i mesi di aprile e maggio, infatti, entreranno nelle classi prime per condurre degli incontri di informazione/formazione preventiva rispetto al rischio di dipendenza da nuove tecnologie e da cannabinoidi; durante questi incontri viene utilizzata la media education. 116 SIMPOSIO STRUMENTI E BEST PRACTICE DELLA PSICOLOGIA DI COMUNITÀ NELLA SCUOLA E NELLA COMUNITÀ A cura di: Caterina Arcidiacono La gestione della violenza domestica: lo psicologo come risorsa I. Di Napoli, G. Borrelli Università degli Studi Federico II, Napoli Che cosa richiedono le donne vittime di violenza quando raccontano la loro storia? A chi si rivolgono e a chi chiedono ascolto? La letteratura (Romito, 1999, 2000) offre uno sguardo a come i primi protagonisti (operatori di servizi dedicati e non dedicati, dei pronto soccorso, della polizia di stato) incontrano le vittime di violenza. Gli studi si concentrano in particolare sulle diverse e inadeguate modalità di accoglienza che vengono in questo modo delineate: a) negazione del problema: b) rifiuto; e c) eccessiva psichiatrizzazione. Nella realtà napoletana un primo e innovativo studio è stato condotto su come i parroci accolgono le vittime di violenza, che come testimoniano i dati raccolti, gli uomini di fede più che i medici di medicina generale riferiscono di venire a conoscenza di molte storie di violenza domestica (Di Napoli, Aria, Arcidiacono, & Tuccillo 2012). L’accoglienza della vittima vede come necessario integrare la funzione di ascolto con la sua competenza di mediazione del conflitto coniugale prendendo in carico non solo la vittima, ma, se necessario anche il marito violento non per ristabilire un vecchio equilibrio familiare, ma eventualmente costruire una nuova relazione basata sul rispetto. Il parroco, invece, invita alla rassegnazione e alla conciliazione della coppia, senza considerazione alcuna della violenza perpetrata. La competenza di ascolto e di mediazione del conflitto del parroco in cosa si accomuna e in cosa si differenzia rispetto alla competenza psicologica? Cosa cambia quando ad ascoltare c’è uno psicologo? E in cosa si caratterizza il suo ascolto? Il contributo vuole pensare nuovamente a come gli psicologi affrontano la violenza, a come se la rappresentano e alle eventuali aree di un sapere specifico, ovvero quello “psicologico”. Una prima riflessione sulle possibili differenze che uno spazio psicologico e uno spazio di ascolto offerto da altre figure professionali rimanda alla gestione del tempo. Difatti il parroco, come evidenzia lo studio sopra citato, usa un tempo immediato per ristabilire l’equilibrio familiare, e ancora altri studi (Arcidiacono, Di Napoli, Tuccillo, Fiore, 2012) evidenziano come il medico di famiglia offre un tempo di ascolto stringato, dietro la loro indisponibilità ricondotta alla numerosità degli assistiti, il contributo vuole entrare nello specifico di come si configura la presa in carico della violenza da parte di uno psicologo di comunità. 117 Interazione scolastica e fotovoice Caterina Arcidiacono Università degli Studi di Napoli [email protected] Il contributo intende analizzare le competenze in termini di riflessività e monitoraggio espletate nel supporto ad un intervento in una scuola superiore realizzato da due giovani psicologhe facendo uso di fotovoice. Le giovani psicologhe hanno realizzato un percorso d’aula che invitava i ragazzi e le ragazze a riflettere sui luoghi di vita evidenziandone i punti di forza e di problematicità. Un fotografo aiutava nel formare all’uso dello strumento e alle sue potenzialità. Le foto raccolte e discusse in gruppo sono state poi proposte alla intera platea scolastica, ai genitori e al corpo insegnanti. Il presente contributo non intende descrivere le modalità di uso delle tecniche audiovisive quale strumento di interazione relazionale e conoscenza sociale, quanto piuttosto focalizzare l’importanza della supervisione delle relazioni e degli interventi da parte di una psicologa senior. Tale esperienza esplicita come nel lavoro di gruppo lo psicologo ha specifiche competenze di se, dell’altro e della interazione che permettono di realizzare gli interventi proposti. In tal senso la riflessività e la conoscenza delle dinamiche di gruppo nella costruzione di processi interattivi gruppali sono elementi fondanti che caratterizzano la qualità del processo divenendo garanzia di successo. 118 “La cultura di genere nelle scuole”: l’uso dello sceneggiato con adolescenti Marina Esposito, Fortuna Procentese* *Dipartimento di Studi Umanistici, Università degli Studi di Napoli, Federico II Lo sceneggiato è una metodologia di ricerca-azione attraverso la quale le persone creano delle trame al fine di attivare una riflessione sulla rappresentazione di uno specifico tema o problema (Francescato, 2001). Il coinvolgimento di adolescenti nei progetti che prevedono l’uso dello sceneggiato si fonda sull’acquisizione di consapevolezza delle rappresentazioni e dei ruoli assunti in riferimento a specifici contesti e tematiche. Il metodo consente di raffigurare anche le dinamiche relazionali entro le quali nascono le attribuzioni di ruolo. Nel corso dell'anno scolastico 2012-2013 è stato effettuato un intervento con 450 studenti del quarto anno di nove Istituti di Scuola Superiore di Napoli e provincia, allo scopo di sensibilizzare e acquisire la consapevolezza delle differenze di genere per comprenderne le ricadute sulle scelte formative e lavorative. Il progetto è stato svolto in rete con le istituzioni ed enti l’Assessorato alle Pari Opportunità dell’Amministrazione provinciale di Napoli, la Consigliera di Pari Opportunità della Provincia, l’Aidda Campania, le Organizzazioni Sindacali Cgil, Cisl, Uil di Napoli e il Dottorato di Studi di Genere della Università Federico II. Lo strumento utilizzato è lo sceneggiato volto a costruire un film sulle uguaglianze e le differenze tra maschi e femmine, scegliendone: il genere (fantasia, commedia, documentario, tragedia..), il titolo, i protagonisti, la trama e il finale. L’utilizzo dello sceneggiato come strumento di intervento è servito ad esplorare vissuti e percezioni rispetto alle tematiche emergenti, a rielaborarle mediante la restituzione in gruppo delle dimensioni problematiche ad esse connesse, a delinearne l’impatto in termini di punti di forza e debolezza all’interno delle relazioni significative. In particolare il presente contributo intende illustrare le competenze utilizzate nella conduzione dell'intervento psicologico in ambito educativo e il valore aggiunto che esse forniscono in termini di prevenzione. 119 L’osservazione ecologica nella formazione di base dello psicologo Filomena Tuccillo, Caterina Arcidiacono Dipartimento di Studi Umanistici, Università degli Studi di Napoli Federico II Il metodo osservativo originariamente era utilizzato dagli antropologi ma, oggi, nella maggior parte delle figure professionali entra in gioco. Infatti, anche nell’ambito della formazione psicologica l’osservazione è uno degli strumenti di base della competenza psicologica. A esso si fa ricorso in psicologia sociale, psicologia dello sviluppo, nel modello psicoanalitico e lo studente della laurea triennale in Psicologia viene formato a svolgere tale attività. Ma quale è la sua specificità? Spesso l’assunto dell’osservazione deve fare i conti con la difficoltà di stabilire i confini netti e precisi tra chi osserva e chi è osservato alla luce del modello di riferimento e della formazione del professionista osservatore. A tal proposito è stato svolto un lavoro, suddiviso in due studi, il cui scopo era di indagare, a partire dai protocolli osservativi redatti da 106 studenti universitari del corso di Laurea Triennale in Scienze e Tecniche Psicologiche, le capacità d’interagire nei contesti a partire dalle competenze che un futuro psicologo deve sviluppare attraverso l’esercizio dell’osservazione. Analizzando ed interpretando si è cercato di ricavare, dal materiale esaminato, nozioni e particolarità che contraddistinguono lo psicologo osservatore sul campo. Il materiale testuale, che in un caso prevedeva una consegna “aperta” rispetto a un’osservazione ecologica in contesti naturali, è stato esaminato con l’ausilio di ATLAS seguendo il modello teorico e la metodologia qualitativa dell’Approccio Grounded Theory (GTM). In seguito, invece, è stata fatta una consegna più specifica osservazione del disagio mentale in un contesto locale - e i contenuti dei protocolli sono stati analizzati sia con la GTM che con il software T-Lab, con il proposito di descrivere l’utilizzo del metodo sia in relazione agli obiettivi del ricercatore sia in relazione alle indicazioni fornite dai cluster e dalle co-occorenze del materiale testuale raccolto. L’esercizio dell’osservazione per psicologi in formazione si è rivelato uno strumento finalizzato all’acquisizione di capacità riflessive rispetto a se stessi, agli altri, alle relazioni e al contesto. Ha permesso, in particolare, di evidenziare le emozioni e le modalità di interazione. 120 SESSIONE “NUOVE E VECCHIE STRATEGIE DI PREVENZIONE” Cordinatore: Massimo Santinello La prevenzione del gioco d’azzardo patologico tra i giovani può diventare un… azzardo? Daniela Capitanucci Presidente Onorario di AND-Azzardo e Nuove Dipendenze; Membro del Direttivo di ALEA-Associazione per lo studio del gioco d’azzardo e dei comportamenti a rischio [email protected] Scopo principale dell’intervento è mostrare come i programmi di prevenzione selettiva della dipendenza da gioco d’azzardo tra i giovani siano stati realizzati in un contesto mediatico sfavorevole, in modo disomogeneo, a volte al di fuori di linee guida basate su protocolli di efficacia validata. Verranno analizzati quattro programmi preventivi messi a punto in Italia tra il 2006 e il 2011 da enti con competenze, obiettivi e metodologie diverse. Saranno presi in considerazione gli esiti di tali progetti attraverso i dati desunti da quanto pubblicato sia sui siti web dei promotori sia su riviste scientifiche. Verrà messo in luce come siano emerse notevoli differenze di efficacia tra i programmi indagati. Si rifletterà su quanto l’orientamento dell’ente promotore sia rilevante ai fini della tipologia ed efficacia di intervento attivato. Verrà infine proposta una riflessione sulla necessità di affidare la prevenzione del gioco d’azzardo patologico a enti qualificati nella materia, privi di conflitto di interessi, che usino metodi sperimentali validati, basino i loro interventi su solide teorie di funzionamento psicologico codificate e si avvalgano nella formulazione dei progetti delle più accreditate competenze scientifiche nell’ambito della prevenzione del gioco patologico, con un occhio attento al contesto. 121 Effective prevention strategies for preventing risky single occasion drinking (RSOD) during adolescence Emmanuel Kuntsche Swiss Institute for the Prevention of Alcohol and Drug Problems, Research Department, Lausanne [email protected] Risky single occasion drinking (RSOD) is more common in late adolescence and early adulthood than in any other period in life because this is the age when young people in Switzerland and many other European countries are legally allowed to buy and drink alcohol but they usually do not yet have adult responsibilities. Evidence from a literature review is presented demonstrating that (a) RSOD is by far most common on Saturday evenings followed by Friday evenings usually because young people go out and do not have any work or study responsibilities the next day; (b) RSOD results from drinking in private before going out ('predrinking') and accelerating the pace of drinking (i.e. increasing the number of drinks consumed per hour); (c) RSOD is often not accidental but purposeful, i.e. to seek excitement, to have fun and to feel the effects of alcohol; (d) RSOD occurs predominantly outside the home, mostly in bars, pubs, discos or at special events and festivals; (e) RSOD often results in intended and unintended injuries and other acute consequences, which are leading risk factors for mortality and morbidity in this age group. Effective prevention strategies should include attempts to reduce opportunities to engage in heavy drinking as well as strategies to reduce its harmful consequences. 122 Post-Modern Man and New Forms of Addiction Mauro Croce ASL 14 di Omegna, Verbania [email protected] È curioso osservare come, in una società che sempre più sta valorizzando l’autonomia dell’individuo, lo svincolo dai legami sociali, l’appartenenza ad una comunità globale, insomma un’idea di uomo libero da confini e limiti, sempre con maggiore evidenza si stiano diffondendo nuovi e crescenti comportamenti di dipendenza. Oltre ai noti comportamenti di dipendenza da sostanze (ad es. eroina, alcol etc) si stanno delineando forme dipendenza non da sostanze con rischi, comportamenti e costi sociali ed individuali del tutto simili alle dipendenze da sostanze. Dall’uomo ludens, all’homo faber, ci troviamo ora di fronte all’homo comsumptor e consuptus. Ovvero un individuo sempre più svincolato, lontano, insofferente, disilluso e forse anche spaventato da “ogni legame di scopo, da ogni funzione sociale” ma che si illude (sempre più consumatore e consunto) di trovare uno spazio di libertà, di scelta e di autodeterminazione attraverso l’illusione di un accesso illimitato al possesso di cose. Un possesso illimitato che in verità tradisce un sentimento insaziabile di mancanza. Se la fine dell’Ottocento ed il passaggio al Novecento ha visto l’emergere di forme di patologia (si pensi ad esempio all’isteria) dovute ad un eccesso di rimozione, di ritegno, alla carenza di soddisfazione degli istinti e dei desideri, l’avvento del nuovo millennio sembra invece indicare una crescita preoccupante di “nuove” forme di patologia che - al contrario - si distinguono per la loro incapacità di controllare gli impulsi. Il cambiamento sociale e psicopatologico è evidente: non ci troviamo più – come poteva essere per l’isteria- di fronte alle problematiche legate all’eccesso di inibizione ma, - al contrario- ad un “difetto” di inibizione. Questa “evoluzione” è certamente legata ad evidente cambiamento degli imperativi della società nei confronti degli individui : al “contegno”, alla repressione degli istinti richiesti il secolo scorso, si sostituisce oggi la necessità di consumare, di godere pienamente: di prendere dei rischi”. Accanto infatti al crescere di fenomeni di dipendenza appaiono inoltre in aumento – o quantomeno destano attenzioni e preoccupazioni – comportamenti di ricerca, incuranza o attrazione verso il rischio che si presentano attraverso forme diverse: guida, velocità, disattenzioni, condotte sessuali, sport estremi, etc. Comportamenti questi che, per taluni aspetti, fanno sospettare come il rischio, da fisiologico momento di passaggio, necessario alla evoluzione di ogni individuo ed ogni comunità umana, si stia invece trasformando per molti in rito di ricerca ed attribuzione di significato. Il rischio pertanto diventa il luogo ove è possibile vivere emozioni, mettere in gioco la propria vita per ritrovarne forse il senso e - attraverso lo sfiorare, l’incontrare la morte - luogo ove allo stesso tempo tale paura viene esorcizzata e dove è possibile in un certo senso ri-nascere. Paradigmatica si dimostra tuttavia - come evidenzia Alain Ehrenberg – quella che in apparenza potrebbe apparire l’altra faccia di questo quadro ma in realtà ne è forse la tessitura ovvero il “successo della depressione” quale “fatica di essere se stessi”. Due forze sembrano quindi contrapporsi: da un lato un desiderio ed un bisogno ambivalente di aggrapparsi ad un “qualcosa” da cui dipendere, contrapposto ad un bisogno di fuggire, di sentirsi autonomi, non dipendenti. 123