Pino Donaggio, una carriera in musica Il compositore veneziano da Sanremo alle colonne sonore D a cura di Ilaria Pellanda allo studio del violino al Festival di Sanremo, dalle canzoni alle colonne sonore per film, Pino Donaggio, compositore veneziano al quale è stato attribuito il Premio Siae alla Creatività durante la recente lxvii Mostra del Cinema di Venezia, ci racconta alcuni dei punti salienti della sua carriera. Dalla mia famiglia ho ereditato due grandi passioni: la musica, da parte di padre, e la pesca, da parte di madre. Mentre la seconda è rimasta un hobby, le note sono entrate invece a far parte di quella che è diventata la mia vita professionale. A dieci anni iniziai a studiare violino, percorso che è proseguito prima al Conservatorio «Benedetto Marcello» di Venezia e quindi al «Verdi» di Milano. Non ero ancora diplomato quando ho iniziato a suonare con il gruppo di Abbado e i solisti di Milano, e sono stato primo violino assieme a Piero Toso nei Solisti Veneti di Scimone. Ma quando ho cominciato a dedicarmi alla forma canzone, queste collaborazioni sono via via terminate. Quando avviene questo cambiamento di rotta? Probabilmente con la scoperta del rock’n’roll, verso la fine degli anni cinquanta. E approda a Sanremo. Ho partecipato a ben dieci edizioni del festival. Nel ’65, ad esempio, vi partecipai con «Io che non vivo», brano portato poi a un successo addirittura mondiale da Dusty Springfield. Andò così: quando Dusty, che era al festival come me, mi sentì cantare questa canzone, se ne innamorò e ne trasse un nuovo testo: «You Don’t Have to Say You Love Me»: il suo più grande successo. In America la sentì Elvis Presley, e anche lui decise di interpretare quel brano. E pensare che ero io a imitare Elvis all’inizio della mia carriera canora… E da quando ho scritto quel pezzo, credo abbia venduto ottanta milioni di dischi…anche se oramai non li conto più. Come ha deciso di passare alle colonne sonore? Una mattina, verso l’alba, stavo rientrando da una serata di lavoro. Ero in vaporetto, seduto all’aria di prua. Un produttore, Ugo Mariotti, mi vide e mi riconobbe, e il giorno dopo mi contattò per propormi di lavorare alla colonna sonora di Don’t Look Now, film di Nicolas Roeg del ’73, uscito in Italia come A Venezia… un dicembre rosso shocking, –. Per me si trattava di un’esperienza assolutamente nuova ma accettai. Vidi alcuni girati, composi alcuni temi, andai sul set durante le riprese serali, e quando feci ascoltare la musica al regista, ne rimase entusiasta e mi affidò l’intera colonna sonora. In quel periodo ancora mi dedicavo alle canzoni e ac- cadde che mi cercarono per realizzare la musica del Tocco della medusa, un film di Jack Gold con Richard Burton, ma non mi trovarono: ero via per lavoro, e mia moglie non riuscì a rintracciarmi. Capii così che era necessario fare una scelta. Come nasce una colonna sonora? Normalmente leggo prima il copione, anche se a volte può capitare di scrivere un paio di temi a priori pensati ad esempio per le scene di ballo, spesso presenti nelle pellicole: gli attori devono infatti poter già muoversi su un tappeto musicale, che quindi va composto anticipatamente. In generale, comunque, è sempre meglio aspettare che il film sia finito e montato per poi poter meglio ragionare con il regista. Così ad esempio ho sempre fatto con De Palma. Che ruolo ha la musica all’interno del film? Da questo punto di vista sono stato fortunato, perché ho cominciato a lavorare con i film di suspance, dove le battute erano davvero pochissime e il ruolo della musica era fondamentale a dettare le atmosfere e a trasmettere le emozioni. In America passa per un maestro dell’horror. In qualche maniera ho preso il posto di Bernard Herrmann, storico compositore per Hitchcock, che venne a mancare proprio quando De Palma pensava a lui per musicare Carrie. Per puro caso, un amico di Brian comprò un mio disco e fu così che la scelta cadde su me. Ma io non conosco l’inglese e quando mi trovai faccia a faccia con lui… Be’, fu un po’ più complicato del previsto (ride, ndr.). Mi sono ricordato però di un consiglio di mia madre, che mi diceva sempre di buttarmi nel «mar grando». E così ho fatto. C’è un film che non ha musicato e che le sarebbe piaciuto musicare o un regista con il quale non ha lavorato e con il quale le piacerebbe lavorare? Sul fronte dei registi penso a John Schlesinger, quello di Un uomo da marciapiede, per intenderci, che mi aveva effettivamente cercato ma purtroppo ne venni informato troppo tardi. Anche con Tarantino mi piacerebbe lavorare: so che ha inserito un mio pezzo in Death Proof, film del 2007, che è poi un tema di Blow Out, al quale ho lavorato con De Palma nel 1981. Mi sarebbe piaciuto musicare Mission, pellicola dell’86 di Roland Joffé, con Robert De Niro, anche per impegnarmi in un genere totalmente diverso, almeno per quello che riguarda le mie collaborazioni con l’America, dove ho fatto soprattutto thriller o gialli. In Italia mi sono invece dedicato anche alle commedie: Non ci resta che piangere, ad esempio, diretto e interpretato nel 1984 da Roberto Benigni e Massimo Troisi. Per la sua ispirazione Venezia gioca un qualche ruolo? Innanzitutto lo ha giocato nel primo film a cui lavorai: per A Venezia… un dicembre rosso schocking è stato determinante conoscere bene la mia laguna, con le sue nebbie e le sue atmosfere, che ho potuto rendere con un adatto arrangiamento affidato agli archi. E quando mi manca l’ispirazione vado a musei: in questa città c’è arte dappertutto ed è per questo che vivo ancora qua. ◼ Sopra: Pino Donaggio. in vetrina in vetrina — 49 premi vede la musica n° 363 Musica Arte CULTURA Cinema Letteratura 1978 ‣ in edicola o per abbonamento rockerilla.com Killing Joke ph Nathan Gallagher in vetrina — 51 convegni Musica d’arte e televisione Un convegno analizza passato e futuro di un rapporto cruciale L di Leonardo Mello dissertazioni specialistiche, rivolte quasi esclusivamente agli addetti ai lavori, il più delle volte i convegni organizzati dal Dipartimento di Musica e Spettacolo dell’Università di Bologna mettono in relazione argomenti e tematiche di natura musicale con altri importanti ambiti di indagine scientifica. Un esempio per tutti è rappresentato dalle giornate di studi «La musica tra conoscere e fare», dedi- in vetrina ungi dal cristallizzarsi in se Robert Lepage e a un’analisi della regia televisiva della celeberrima edizione di Patrice Chéreau e Pierre Boulez del Ring des Nibelungen, andata in scena a Bayreuth nel 1976. A seguire, notevole spazio è stato dedicato alla musica contemporanea, indagando la funzione che la regia televisiva può adempiere nel favorire la comprensione delle avanguardie del secondo dopoguerra, con esempi tratti da esecuzioni di partiture di Stockhausen e Lachenmann. È stata poi ricostruita la genesi di alcune esperienze compositive per filmati televisivi effettuate soprattutto negli anni sessanta e settanta presso lo Studio di Fonologia della Rai di Milano da compositori d’avanguardia quali Maderna e Berio. Momento centrale della manifestazione è stato la tavola rotonda sul tema «La televisione come strumento di divulgazione e di educazione alla musica d’arte», cui hanno partecipato – oltre a Pietro Favari e a Paolo Gallarati, degli atenei bolognese e torinese – anche professionisti come il compositore Michele Dall’Ongaro, che lavora da molto tempo in Rai, Miriam Pisani, direttrice dei due nuovi ca- cate nel 2008 all’esplorazione di modelli pedagogici inediti ed efficaci, di cui è stata fornita ampia documentazione anche in queste pagine (cfr. VMeD n. 23, pp. 10-21). Lo stesso criterio ha contraddistinto anche il simposio internazionale «La musica negli occhi», organizzato in collaborazione con l’Associazione culturale «Il Saggiatore Musicale» e svoltosi nel capoluogo emiliano tra il 22 e il 24 ottobre scorsi. Come indica esaurientemente il sottotitolo «Musica d’arte e televisione», l’iniziativa ha voluto prendere in considerazione due mondi che sono spesso venuti in contatto, sia pure in forme e con esiti differenti. Più nel dettaglio l’appuntamento convegnistico ha inteso indagare le modalità con cui il piccolo schermo ha sin dai suoi esordi diffuso, divulgato e discusso (e in non pochi casi ignorato) la musica d’arte occidentale. Tra le diverse sottosezioni in cui si sono raggruppate le varie relazioni di studiosi ed esperti, la prima ha preso in esame da molteplici punti di vista il problema della regia televisiva di spettacoli operistici. In questo contesto si sono inseriti anche due contributi dedicati rispettivamente alle realizzazioni a carattere multimediale del regista canade- nali Mediaset creati per il digitale terrestre e Carlo Piccardi della Radiotelevisione svizzera. Tra i relatori che si sono alternati durante la fitta tre giorni si ricordano almeno Hector Julio Pérez López (Università Politecnica di Valencia, «“Opera audiovisuale” ed esperienza estetica»), Marco Aleotti (regista Rai, «Tecniche di regia televisiva per la ripresa di eventi concertistici sinfonici e da camera»), Raffaele Pozzi (Università di Roma iii, «Remembering “C’è musica e musica” di Luciano Berio: considerazioni attuali su televisione e musica d’oggi»), Guglielmo Pescatore (Università di Bologna, «Dal film-opera all’opera in televisione: forma e cultura di una tradizione italiana»), Angela Ida De Benedictis (Centro Studio Luciano Berio – Firenze, «“From A to...”: l’avanguardia musicale italiana dal nastro magnetico alla pellicola televisiva» e HannsWerner Heister (Hochschule für Musik und Theater di Amburgo, «Film in der Oper auf der Bühne im Fernsehen: Alban Bergs “Lulu”»). ◼ Sopra: Ludwig van Beethoven e Karlheinz Stockhausen (encyclospace.org). 52 — in vetrina convegni Heiner Müller tra Biennale e Teatro Stabile Un laboratorio e un convegno per il drammaturgo tedesco in vetrina P di Leonardo Mello er una fortunata coincidenza , in settembre il Veneto è stato palcoscenico di due intensi momenti di riflessione sull’opera di Heiner Müller, il grande drammaturgo tedesco scomparso nel 1995 (cfr. VMeD n. 36, p. 24 e p. 67). Nell’arco di pochissimi giorni La Biennale Musica di Luca Francesconi e il Teatro Stabile del Veneto hanno infatti dedicato a questo straordinario autore rispettivamente un laboratorio e una giornata di studi. Il festival lagunare, in collaborazione con la Internationale Heiner Müller Gesellschaft, ha rivolto in particolare la sua attenzione a un testo ispirato alle Relazioni pericolose di Choderlos de Laclos, Quartett, che tra l’altro in aprile diventerà il libretto di un’inedita opera musicale composta per la Scala proprio da Francesconi. Da qui è nata l’idea di far lavorare per quattro giorni alcuni giovani attori e cantanti con quattro artiste della scena e della voce: la regista italiana Graziella Galvani, la vocalist inglese Lauren Newton, l’attrice/regista francese Laurence Calame e la mezzosoprano tedesca Annette Jahns. Liberi dall’obbligo di dover presentare un risultato definitivo, i percorsi laboratoriali si sono concentrati sulle possibili modalità di approccio a quella breve e concentrata pièce. E le molteplici potenzialità interpretative che sono in essa racchiuse si sono ben evidenziate durante la dimostrazione pubblica del lavoro svolto, in cui ciascuno dei quattro gruppi (il numero quattro, che richiama direttamente il titolo dell’opera, ricorre continuamente) ha fornito una traccia originale e convincente, anche se forse il più riuscito degli esperimenti è stato Alors quoi. On continue à jouer?, ideato da Laurence Calame con tre attori italiani (Elisa Galvagno, Chiara Paluzzi e Stefano Scherini) e una belga (Anna Romano). L’appuntamento convegnistico che lo Stabile ha promosso al Teatro Olimpico di Vicenza il 27 settembre scorso è in linea con la rinnovata attenzione che il nostro teatro pubblico rivolge alla drammaturgia novecentesca e contemporanea, grazie alle scelte del suo direttore artistico Alessandro Gassman, che già nel costruire questa sua prima stagione ha preso una direzione assai diversa da chi l’ha preceduto. E in questo contesto non poteva mancare un omaggio a quello che probabilmente è il più importante drammaturgo del secondo Novecento. Ideata e coordinata da Franco Quadri, uno dei massimi esperti di Müller, la giornata ha avuto un ritmo incalzante nel susseguirsi dei molti ospiti invitati a intervenire. Il tema-guida, trattandosi di un evento inserito nel lxiii Ciclo di Spettacoli Classici, era la riscrittura dall’antico, prassi in cui Müller si è distinto Heiner Müller. quant’altri mai. Su questo argomento, e più in generale sui concetti-chiave che riassumono l’universo poetico e gli obiettivi artistici di questo scrittore anticonformista ha parlato in modo esemplarmente chiarificatore Peter Kammerer, studioso e traduttore mülleriano tra i più importanti a livello internazionale. Ma l’intensità maggiore si è raggiunta nel primo pomeriggio, quando ha preso la parola Virginio Liberti, regista e attore brasiliano che risiede da molti anni in Italia, dove con il suo gruppo Egumteatro ha allestito due splendidi spettacoli mülleriani, Quartett e Hamletmaschine. Parlando di quest’ultimo lavoro, mentre dietro di lui scorrevano le immagini, Virginio ha permesso al pubblico di entrare dentro il suo mondo creativo e comprendere il perché di intuizioni azzeccate come, per fare un solo esempio, quella di concepire Amleto come un malato terminale. Attraverso un affascinante flusso di parole, in cui gli accorgimenti tecnici e le soluzioni registiche si alternavano a inserti autobiografici e dolorosi, ha condotto per mano gli spettatori dentro la pièce così come l’ha intesa e vissuta Egumteatro, regalando ai presenti venti minuti di fortissima emozione. Franco Quadri ha ricordato il grande successo di Müller in Italia negli anni novanta, successo culminato con l’attribuzione del Premio Europa per il Teatro l’anno prima che morisse, e ha inoltre fatto notare come dopo allora l’interesse del nostro Paese per questo autore sia diminuito, invitando tutti a interrogarsi su quale potrebbe essere oggi una nuova messinscena delle sue opere. Tra gli altri relatori si citano almeno Antonio Latella, che ha raccontato una sua antica esperienza mülleriana come attore e ha espresso la sua grande ammirazione per questo mostro sacro della letteratura drammatica, e Lorenzo Loris, che ha concluso la manifestazione offrendo alla platea una toccante lettura del finale della Strada dei panzer. In coda è infine stato proiettato il documentario The Time Is Out of Joint, girato da Christoph Rüter a Berlino nel 1989, durante l’allestimento di Hamletmaschine. ◼ in vetrina — 53 convegni eventi Un convegno per Giordano Riccati L’arte vocale approda a Venezia 6, 7 e 8 ottobre si è tenuto, presso la Fondazione Giorgio Cini di Venezia, un convegno internazionale di studi dedicato alla figura di Giordano Riccati (1709-1790) – Illuminista veneto ed europeo. Organizzata dalla Fondazione «Scuola di San Giorgio» in collaborazione con la Cini e con il patrocinio dell’Associazione italiana di Acustica, la tre giorni ha concluso l’articolato progetto in memoria di Riccati promosso e finanziato dalla Regione del Veneto nell’ambito delle iniziative per le celebrazioni speciali dei veneti illustri. Questo evento si è infatti collocato a conclusione di una serie di attività di ricerca, didattica e divulgazione svolte attorno alla figura dello studioso e iniziate nella seconda metà del 2009 in occasione del trecentenario della nascita. Matematico, teorico della musica, fisico, geometra e architetto, Riccati entrò in contatto con i più avanzati ambienti intellettuali del Settecento, e si occupò in particolare della progettazione e ristrutturazione di chiese e teatri, prestando grande attenzione alle tematiche connesse all’acustica architettonica. L’apertura dei lavori ha visto, tra gli altri, gli interventi introduttivi della rappresentante della Regione Veneto Maria Teresa De Gregorio, del segretario generale della Fondazione «Scuola di San Giorgio» Andrea Erri e di Giovanni Morelli, direttore dell'Istituto per la Musica della Cini, che ha presieduto il comitato regionale dedicato a questo progetto. Le sessioni del convegno – suddivise in quattro stazioni tematiche: «Acustica degli ambienti», «Matematica», «Musica» e «Architettura» – hanno inteso evidenziare e valorizzare la qualità degli studi multidisciplinari svolti in ambito scientifico e culturale dall’illustre illuminista, collocandoli in un adeguato contesto storico che ne sottolineasse i tratti di originalità e la varietà d’intervento, in piena sintonia con l’ideale culturale dei suoi tempi. La conclusione dei lavori della giornata del 6 ottobre è stata siglata dal recital organistico che Paola Talamini ha tenuto nella basilica di San Giorgio Maggiore, con un programma di musiche di Bach e Vivaldi. ◼ elle giornate del A San Giorgio la xiv edizione di Institute for Living Voice P er sei giorni, dall’8 al 13 ottobre, l’Isola di San Giorgio Maggiore ha risuonato di canti, concerti, dibattiti e seminari. Si è infatti tenuta a Venezia la xiv edizione di Institute for Living Voice, progetto educativo internazionale dedicato alla diversità e alla ricchezza dell’arte vocale, ideato dal Muziektheater Transparant (Belgio), sotto la direzione artistica del vocalist americano David Moss. L’edizione veneziana della manifestazione è stata coprodotta dalla Fondazione «Claudio Buziol» e dal «laboratorioarazzi» – laboratori di musica elettroacustica della Fondazione Giorgio Cini – in collaborazione con il Conservatorio «Benedetto Marcello». Rivolta a cantanti, performer e compositori provenienti da tutto il mondo, la nuova edizione del progetto ha riunito sull’isola veneziana i maestri più rappresentativi dei vari stili, generi e tradizioni vocali, che hanno tenuto workshop, concerti, dibattiti e lezioni. I docenti ospiti sono stati tre: il citato David Moss, uno dei cantanti e percussionisti più innovativi nella scena musicale contemporanea, che ha dedicato il suo corso alla performance solistica; la canadese Barbara Hannigan, che ha tenuto un workshop mirato alla costruzione di un dialogo fra cantanti e compositori; l’inglese Trevor Wishart, pioneristico artista sonoro e performer vocale specializzato nella metamorfosi sonora attraverso l’elaborazione digitale del suono, che ha introdotto i partecipanti alle sue lezioni a varie tecniche vocali estese e alle manipolazioni elettroacustiche della voce. Il progetto è stato illustrato sul finire di settembre a Palazzo Mangilli-Valmarana, sede della Fondazione «Buziol», da Giovanni Morelli (Fondazione Giorgio Cini), Andrea Molino (Fondazione «Claudio Buziol») e Paolo Zavagna (Conservatorio «Benedetto Marcello»), che hanno espresso la comune volontà di inserire questo evento in una prospettiva di continuità, pur in questo momento di crisi. (i.p.) ◼ Sopra: Giordano Riccati. A fianco: Barbara Hannigan. in vetrina – convegni / eventi N di Ilaria Pellanda 54 — in vetrina premi eventi A Sara Mingardo il Premio Amelia 2010 Il «Benedetto Marcello» è nel cuore del fai L di Leonardo Mello a essere protagonista del Premio Amelia, giunto alla sua xxxxviii edizione: dopo la scelta di Marco Paolini, che se l’è aggiudicato nel 2009, il gruppo di amici che da molti anni si riunisce presso la celebre trattoria – attualmente coordinato da Antonella Magaraggia – ha deciso infatti all’unanimità di attribuire il Premio per il 2010 a Sara Mingardo, eclettica e raffinata contralto di Mestre (la consegna avverrà presso il ristorante il 24 novembre). La manifestazione, sorta alla metà degli anni sessanta grazie alla generosa ospitalità della famiglia Boscarato, proprietaria del locale, ha riunito nel corso di questi lunghi anni il meglio del mondo artistico e intellettuale italiano (tra i tanti premiati si ricordano almeno Virgilio Guidi, Andrea Zanzotto, Pier Paolo Pasolini, Giuseppe Sinopoli e Carlo Rubbia). E ora anche un talento poliedrico come quello della cantante veneta si aggiunge meritoriamente a questo ricco elenco di personalità, arricchendone per di più la non troppo elevata presenza femminile (prima di lei avevano ottenuto il riconoscimento solo Carla Fracci, Margherita Hack e Milena Vukotic). La Mingardo, una delle rare voci di autentico contralto della scena musicale odierna, ha collaborato nell’arco della sua carriera con direttori del calibro di Claudio Abbado, Riccardo Chailly, Myung Whun-Chung, John Eliot Gardiner, Jeffrey Tate e Riccardo Muti, e con le principali orchestre internazionali, tra cui, per citarne solo alcune, i Berliner Philharmoniker, la London Symphony Orchestra, la Boston Symphony Orchestra e l’Orchestre National de France. Pur nutrendo una spiccata predisposizione per la musica sei-settecentesca, e in particolare per autori come Gluck (Orfeo ed Euridice, Le Cinesi), Monteverdi (L’incoronazione di Poppea, L’Orfeo), Händel (Rinaldo, Giulio Cesare, Il trionfo del Tempo e del Disinganno, Elias, Aci, Galatea e Polifemo, Orlando, Tamerlano) e Vivaldi (Farnace, Juditha Triumphans), il suo vasto repertorio operistico comprende anche i principali lavori rossiniani e verdiani, nonché titoli come La Betulia liberata di Mozart, Anna Bolena di Donizetti, La Straniera di Bellini, Les Troyens e Roméo et Juliette di Berlioz. Tra le opere del Novecento si citano almeno A Midsummer Night’s Dream di Britten, Le Martyre de Saint-Sébastien di Debussy, e Moses und Aron di Schönberg. Recentemente è stata tra i protagonisti del Signor Goldoni di Luca Mosca e Gianluigi Melega, che ha debuttato alla Fenice nel settembre del 2007 (cfr. VMeD n. 17, pp. 38 e 39). ◼ in vetrina – premi / eventi a musica torna Sara Mingardo. D al 1975 il Fondo A mbiente Italiano si occupa di tutelare il patrimonio monumentale e naturale del nostro Paese, restaurando e salvaguardando fondamentali testimonianze della ricchezza artistica e paesaggistica nazionale. Questa Fondazione senza scopo di lucro è organizzata secondo avanzati criteri di decentramento: oltre alla sede centrale di Milano e all’Ufficio di Roma, esiste una rete capillare di volontari riuniti in centoundici Delegazioni guidate da venti Direzioni Regionali. All’intervento diretto però il fai affianca da sempre una variegata serie di manifestazioni e iniziative. L’ultima di queste in ordine di tempo, intitolata «Difendi l’Italia del tuo cuore», si è conclusa questo 31 ottobre: attraverso un sms, inviato attraverso qualsiasi compagnia telefonica, per tutto lo scorso mese è stato possibile donare due euro a favore di quattro progetti specifici cui si collegano altrettante importanti realtà concrete, che necessitano dell’aiuto di tutti per continuare a esistere, dalla sarda Punta Don Diego alla Casa e Torre Campatelli a San Gimignano, dalla campana Baia di Ieranto a Villa Fogazzaro Roi nel comasco. Per sensibilizzare la popolazione e agevolare la raccolta di donazioni, ogni Delegazione a metà mese ha promosso nel proprio ambito uno o più eventi promozionali, riuniti nell’evocativa dicitura «Puntiamo i riflettori». Non poteva ovviamente fare eccezione l’attivissima sezione veneziana, che il 16 ottobre ha organizzato per l’occasione un concerto a Palazzo Pisani, dal 1870 splendida (e malandata) sede del Conservatorio cittadino che soltanto un’istituzione imponente come la Biennale ha potuto riaprire integralmente al pubblico per pochi giorni (cfr. VMeD n. 36, p. 14). E in concomitanza con questo appuntamento concertistico, che ha visto esibirsi due allievi dell’Istituto veneziano provenienti dalla lontana Mongolia, la Delegazione lagunare – guidata da Maria Camilla Bianchini d’Alberigo, che è anche Presidente della Direzione Regionale veneta – ha avviato una raccolta di firme per eleggere il «Benedetto Marcello» a «luogo del cuore». I fondi raccolti durante la manifestazione saranno per metà impiegati per il recupero del celebre edificio, e per l’altra metà destinati alla missione istituzionale del Fai. (l.m.) ◼ Palazzo Pisani. in vetrina — 55 I nuovi percorsi formativi della Fenice D di Arianna Silvestrini a ottobre a maggio si tengono i percorsi forma- in vetrina tivi organizzati dalla Fondazione Teatro La Fenice per gli studenti delle scuole venete. A questo proposito abbiamo incontrato Domenico Cardone, che dirige l’Area Formazione, Ricerca e Progetti Innovativi del Teatro cittadino. «Quello della Fenice è considerato il settore educativo più avanzato in Italia. Lo stesso ufficio scolastico regionale ci ha contattato per inserire il nostro metodo sperimentale nel programma del Veneto e ormai sono molte le richieste di informazioni, che arrivano anche dall’America. Il metodo seguito nei nostri percorsi consente di incrociare diverse modalità di apprendimento e di conoscenza a seconda del contesto narrativo». e alle storie di Nino Rota in occasione del centenario dalla nascita (gennaio 2011), alla favola di Peter Pan e, ancora, a quelle di fate, che saranno raccontate da cantastorie ai più piccoli nelle scuole. «Il secondo progetto è dedicato più specificamente alla lirica e si rivolge agli studenti della scuola secondaria di secondo grado e dell’Università. Nell’ambito di Sentieri esplorativi & risorse di studio i docenti e gli studenti avranno l’occasione di studiare il testo scena per scena». Quest’anno, poi, c’è una novità davvero interessante: i ragazzi avranno l’occasione di assistere alle «prove in assieme», in cui vengono messe in scena porzioni di alcune opere (L’elisir d’amore, Bohème, Rigoletto e Lucia di Lammermoor), partecipando così al lavoro di costruzione delle rappresentazioni sceniche. I grandi capolavori generano sempre diversi punti di vista; registi e scenografi devono riuscire a convincere lo spettatore dell’approccio scientifico al testo attraverso un atto creativo. Il terzo progetto, infine, riguarda la stagione sinfonica: gli studenti possono assistere a sette prove dell’orchestra della Fenice: «È una sensazione fortissima, anche perché alle prove i musicisti suoneranno in scena e non in buca». I percorsi formativi possono essere non solo strumen- Il programma, che registra un sempre maggiore apprezzamento e che da servizio della città di Venezia si è successivamente esteso all’intera regione (coinvolgendo nelle sale della Fenice, in particolare, docenti e studenti di Treviso e Padova), intende essere una concreta piattaforma di insegnamento sia disciplinare che interdisciplinare. «Il metodo epistemico consente di studiare un’opera, come ad esempio il Flauto Magico, utilizzando differenti punti di vista: letterario, narrativo, musicale, teatrale, cinematografico, ma anche dal punto di vista illustrativo e della rappresentazione artistico-figurativa, perché la base della ricerca è sempre linguistico-narrativa. In fondo la Fenice è una grande istituzione che racconta storie». Il percorso formativo è articolato in tre progetti. Il primo, intitolato Emozioni, sentimenti, affetti: la trasformazione del personaggio e dello spettatore nei racconti di parola, immagine e musica, è destinato a docenti e studenti della scuola primaria, si avvale del contributo didattico di importanti narratologi (in particolare quelli afferenti all’Istituto metacultura di Roma) ed è dedicato quest’anno alla lettura dei Musicanti di Brema (tre incontri tra ottobre e novembre), alla musica ti integrativi ma anche di svolgimento del normale programma scolastico. «Ad esempio, la Bohème è di sicuro un’ottima base per parlare di argomenti come il Romanticismo e la Scapigliatura. Sottolineo sempre, con gli insegnanti, che l’arte può essere utilizzata anche come base, importantissima, di educazione civica. Per fare un ulteriore esempio, Cenerentola è una storia perfetta per poter parlare del tema del bullismo. Attraverso l’arte si possono affrontare anche argomenti delicati. I beni narrativi, come li definisco io, rischiano di essere confusi con oggetti consumati e dimenticati. Occorre dare loro valore, de-museificandoli e restituendoli ai lettori. Ritengo che la modernità risieda nella rilettura di una storia, che deve avvenire utilizzando gli strumenti di oggi, e rivolgersi sempre più verso il pubblico attuale». ◼ L’elisir d’amore di Gaetano Donizetti secondo Bepi Morassi. Stagione Lirica e Balletto 2002-2003 del Teatro La Fenice (foto di Michele Crosera).