ALTA VIA DEL MARE dall’Appennino Tosco-Emiliano alle Alpi Apuane 30 maggio - 2 giugno 2014 ALTA VIA DEL MARE ... é un Appennino da camminare dolcemente. Si attraversa con facilità, si percorre, si può sempre tornare a casa. Non ci sono grandi cime da conquistare, ma uno spazio per cercare e ritrovare. Sole, vento, panorami sconfinati e la vista quasi costante, in lontananza, del mare sono gli ingredienti principali di questa vera e propria “ALTA VIA“, impegnativa ma di grande soddisfazione. A differenza delle altre edizioni la traversata verso il mare di quest’anno si svolge in quota, su crinali e valloni appenninici e apuani sopra i 1.000 metri di altezza slm, con notevoli dislivelli e attraversamenti di pendii e scarpate anche esposte (talora attrezzate con corde fisse). Occorre quindi un’adeguata preparazione sia fisica che psicologica, considerando anche che tutte le tappe attraversano zone selvagge e disabitate e nessuna (tranne la seconda) prevede passaggi intermedi vicino a strade asfaltate o paesi raggiungibili dai nostri mezzi di supporto. Pertanto dovremo essere autonomi per gli alimenti (pranzo al sacco) ed eventuali difficoltà fisiche (stanchezza, malessere ecc.) dovranno essere comunicate prima della partenza di ogni tappa. Il percorso del nostro trekking si snoda all’interno di due parchi: il Parco Nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano e il Parco Naturale Regionale delle Alpi Apuane, e di due regioni, l’Emilia e la Toscana. Il lato toscano della dorsale appenninica è ripido e solcato da valloni impervi. Quello emiliano è più dolce, ma non per questo meno suggestivo e alpestre: la presenza di immense distese ondulate, di praterie d’alta quota, le evidentissime tracce dell’azione glaciale, i laghi e le cascate, le creste rocciose con circhi glaciali e morene configurano un paesaggio inconsueto per l’Appennino, con spazi e vedute più tipicamente alpini. Un aspetto più marcatamente alpestre presentano le Alpi Apuane con pareti, cime e creste tipiche delle alpi più selvagge. ALTA VIA DEL MARE 1° giorno Lunghezza: Da Lagdei a Prato Spilla, ovvero dall’alta val Parma alla valle del Cedra, lungo il “Crinale dei Laghi” tra Emilia e Lunigiana. km 14,55 Dislivello totale in salita: m 1.095 slm Altitudine massima: m 1.861 Segnavia: Lagdei-Lago Santo 723a Lago Santo-Passo Guadine 723-719 (GEA) Passo Guadine-Lago Martini 00 (GEA) Lago Martini-Prato Spilla 705 (GEA) Arrivo-punto di appoggio: Albergo Rifugio Prato Spilla S i parte da Lagdei (m 1.260), piccola località dell’Alta Val Parma, all’estremità settentrionale del Parco Nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano che in questa parte prende il nome di “Parco regionale dei Cento Laghi”. È uno dei settori più caratterizzati dell’intera catena appenninica: la cresta è alta e continua, senza valichi agevoli; il versante toscano sulla Lunigiana è ripidissimo, mentre dalla parte emiliana scendono creste secondarie, circhi glaciali e conche di sbarramento morenico in cui si annidano diciannove laghetti, lasciati dalla ritirata di un esteso complesso di ghiacciai. Dopo circa 40’ dalla partenza, arriveremo al primo dei laghi di conca di origine glaciale che danno il nome a questa parte del Parco e al crinale che stiamo percorrendo: è il Lago Santo Parmense (m 1.507). Racchiuso tra due contrafforti di arenaria macigno, è il più grande e uno dei più belli dell’Appennino settentrionale. Costeggeremo le sue sponde fino al rifugio Mariotti, in corrispondenza del quale ci immetteremo sul tracciato della Grande Escursione Appenninica (GEA), il percorso attrezzato che collega, su sentieri, mulattiere e strade forestali, il Passo di Bocca Trabaria in Umbria al Passo dei Due Santi al confine tra Toscana, Liguria ed Emilia lungo l’Appennino. Ci inoltreremo nella pineta che prende il nome dal lago, lungo il “Sentiero delle zone umide”; dopo aver oltrepassato una torbiera, in località “Sella della Sterpara” (m 1.650), un cartello informa che ci si trova ai margini meridionali della “Riserva Naturale Orientata Guadine Pradaccio”. Usciti dalla pineta procederemo, tra cespugli di mirtillo, fino al Passo delle Guadine (m 1.687), che dà il nome al lago sul fondo della conca alla nostra sinistra, sullo spartiacque tra Emilia e Toscana. Alla nostra destra la Lunigiana col fiume Magra. Affronteremo quindi 30’ di salita decisa. Dalla sommità del monte Brusà (m 1.796) potremo volgere lo sguardo a 360°. In particolare, a NO, in lontananza, la dorsale dell’Appennino Ligure con alcune vecchie conoscenze: il Maggiorasca, il Penna, il gruppo del Rocca Grande, il Treggin, il Bracco, i monti alle spalle delle Cinque Terre. Se la giornata sarà limpida, potremo scorgere il tratto di mare antistante La Spezia con le isole del Tino e della Palmaria, verso sud le Apuane, tutt’intorno l’Appennino Tosco-Emiliano. Dal crinale sul quale ci troviamo, le caratteristiche morfologiche dei rilievi che ci circondano ci parlano dell’orogenesi della catena appenninica (orientamento degli strati rocciosi a Franapoggio/Reggipoggio, qui ben visibile). Ripreso il cammino, dovremo affrontare 40’ di tracciato molto esposto, con ripidi pendii alla nostra destra, reso insidioso dall’abbondante presenza di brachipodio o paleo; si raccomanda di procedere con estrema cautela e di prestare la massima attenzione. Superato il tratto esposto, con saliscendi più o meno accentuati, raggiungeremo i vari punti significativi del crinale: il Passo di Badignana (m 1.685), il monte Matto (m 1.837), i due Paitini. Qui lasciamo la Val Parma ed entriamo nella valle del Cedra, affluente del fiume Enza, toccando il Sillàra (m 1.861) e il Bragalata (m 1.835). Sotto di noi, alla nostra sinistra, altri laghi di origine glaciale: il lago Scuro, i laghi Gemini Inferiore e Superiore (o Lagoni), il lago Bicchiere (il più alto della Val Parma, oggi in fase di interramento), i laghi Sillara, il lago Verde, il lago Ballano. Dal Passo Giovarelli inizieremo a scendere verso il lago Martini. Raggiungeremo poi la nostra meta odierna, la località Prato Spilla a m 1.354. N ALTA VIA DEL MARE 2° giorno Lunghezza: Da Prato Spilla al Passo del Cerreto, attraverso il selvaggio massiccio dell’Alpe di Succiso. km 16,70 Dislivello totale in salita: m 1.217 slm Altitudine massima: m 1.750 Segnavia: Prato Spilla-Diga di Lagastrello 703-703c (GEA) Diga di Lagastrello-Ghiaccioni 659 Ghiaccioni-Passo Pietra Tagliata 673 Passo Pietra Tagliata-Passo del Cerreto 671-00 Arrivo-punto di appoggio: Albergo Giannarelli R iprenderemo il cammino lungo un sentiero che, in saliscendi all’interno di una faggeta, transiterà lungo le rive del lago Verdarolo, Scuro e Squincio arrivando alla diga di Lagastrello (m 1.160), sulla strada provinciale n°665 Massese. La diga prende il nome dal passo che mette in comunicazione la reggiana Alta Valle dell‘Enza, che qui ha le sue sorgenti, con la toscana valle del Taverone, in Lunigiana. Il sentiero n° 659 ci porterà al rifugio “Città di Sarzana”, sulle rive del Lago di Monte Acuto (m 1.581), uno dei rari esempi appenninici di valle sospesa e biotopo di grandissimo interesse. Situato in un ampio circo glaciale, è chiuso a valle da un cordone di detriti morenici e ospita una piccola colonia di tritoni alpestri (varietà apuana). Dopo aver costeggiato il lago, il sentiero prosegue in discesa nella faggeta, lambisce una morena di notevoli dimensioni e arriva all’estremità occidentale dei “Ghiaccioni” (m 1.375), una bella radura solcata da rivoli d’acqua che costituiscono la sorgente del Liocca, un affluente dell’Enza. L’abbondanza di acqua gelida ha consentito alla pinguicola, una piccola e rara pianta carnivora dalla bella fioritura viola, di prosperare. Il toponimo indica la presenza in questa zona, in epoche lontane, di un vasto ghiacciaio, confermata dal fatto che ora, davanti a noi, si erge un imponente e spettacolare anfiteatro roccioso. Una fenditura, uno stretto intaglio nella dentellata cresta rocciosa che collega l’enorme mole arenacea dell’Alpe di Succiso al Monte Alto, ci indica la direzione: è il Passo di Pietra Tagliata (m 1.750) che mette in comunicazione le valli del Liocca e del Secchia. Raggiungeremo il passo (sentiero n° 673) superando l’ultimo dislivello in salita della giornata. Da qui si gode una veduta veramente eccezionale sulle vallate reggiane e parmensi, sui vicini monti dello spartiacque e sulle Apuane. Nelle giornate limpide, lo sguardo si spinge fino al golfo di La Spezia e alle isole dell’arcipelago toscano. L’ambiente è suggestivo e selvaggio: non è difficile immaginare la via che qui transitava percorsa, oltre che dai normali viandanti, da banditi e contrabbandieri che dovevano evitare le vie di grande comunicazione, maggiormente controllate. Inizia ora la discesa verso una valle sospesa: il “Prataccio”, una conca di origine glaciale dove troveremo la sorgente del fiume Secchia e dove transitava una vecchia mulattiera detta “Barbarossa” che portava in Lunigiana. Al margine meridionale della radura il sentiero n° 671, dapprima in leggera salita per uscire dalla conca, poi in ripida discesa, in poco più di un’ora conduce al Passo dell’Ospedalaccio che mette in comunicazione la valle del Secchia con la Lunigiana. Questo valico conservò un’importanza primaria almeno fino al XVII secolo. Vi sorgeva un ricovero, dedicato a San Lorenzo, che dava ospitalità a viandanti e pellegrini. “Ospedalaccio” perché dal XVI secolo si presentava diroccato e pressoché inutilizzabile. All’estremità settentrionale di questa larga sella si trova ancora un cippo che segna il limite della conquista napoleonica. Da qui, con 30’ di cammino attraverso una zona boschiva, arriveremo al passo del Cerreto (m 1.261), la meta finale della giornata. N ALTA VIA DEL MARE 3° giorno Lunghezza: Dal Passo del Cerreto al Monte Argegna, passando per la “Cima Coppi” del trekking: il monte La Nuda. km 20,20 Dislivello totale in salita: m 1.069 slm Altitudine massima: m 1.895 Segnavia: Passo del Cerreto-Passo Belfiore 00 (GEA) Passo Belfiore-Rifugio M.te Tondo 86 (GT) Rifugio Monte TondoSantuario Monte Argegna Strada Forestale Arrivo-punto di appoggio: Rifugio Donegani D opo aver percorso un tratto di strada asfaltata, imboccheremo un sentiero in salita, dapprima dolce, poi decisa, ancora una volta in una faggeta. Il sentiero prosegue in salita tra gli ultimi faggi e grossi massi e in breve arriveremo su un pianoro disseminato di enormi massi erratici di arenaria macigno, ai piedi di un imponente anfiteatro morenico di selvaggia bellezza, chiamato “Vallone dell’Inferno”, che culmina nella vetta del Monte La Nuda (m 1.895) massima elevazione del trekking. In questo circo glaciale sono presenti, oltre ai consueti “vaccinieti” (sconfinate praterie di mirtillo) importanti stazioni floristiche di specie rare, tipiche degli ambienti rocciosi di natura silicea: l’endemica Orecchia d’orso appenninica (Primula apennina), la Genziana porporina (Gentiana purpurea) e la Saussurea cordata (Saussurea discolor). Dopo aver superato la cima, il sentiero prosegue a mezza costa, in mezzo ai mirtilli, per il Passo di Belfiore (m 1.669), nei pressi dell’omonima cima. La dorsale La Nuda-Cima Belfiore-Monte Tondo è stata dichiarata Sito di Importanza Comunitaria (SIC): le zone protette comprendono faggete, rimboschimenti di conifere e soprattutto praterie di alta quota, brughiere con presenza di mirtillo, erica e ginepro nano. Ai margini di una zona boschiva lasceremo il tracciato della GEA per immetterci su quello della Garfagnana Trekking (GT o sentiero n° 86). Dopo un tratto nel bosco torneremo a camminare nelle praterie sommitali della dorsale, passeremo sotto la cima arrotondata del Monte Tondo (m 1.782) e raggiungeremo l’omonimo rifugio (m 1.591) non gestito dove potremo sostare per il pranzo al sacco: avremo attraversato il cosiddetto “Tetto della Garfagnana”. Con un ulteriore tratto di cammino su una comoda carrareccia arriveremo al Monte Argegna col suo Santuario (m 1.019) dedicato alla Madonna della Guardia. Questa località non si trova sull’Appennino, bensì su un’ampia dorsale prativa, una “sella” digradante che si protende fino al Passo dei Carpinelli (m 842) a collegare l’Appennino Tosco-Emiliano con le Alpi Apuane, separando il bacino del Magra (Lunigiana) N da quello del Serchio (Garfagnana). È un “balcone” sulla parte più meridionale del Parco Nazionale, un punto panoramico imperdibile. Ormai, non più così lontane, si stagliano le accidentate dorsali apuane in cui svettano il Pizzo d’Uccello con la sua spettacolare parete nord, il Monte Tambura, il Monte Pisanino, il tetto delle Apuane e la Pania della Croce. Sotto, alla nostra sinistra, la Garfagnana che comprende l’alta valle del Serchio e, più della Lunigiana, ha un aspetto montano, verdissimo di faggete e castagneti per l’abbondanza di precipitazioni. Questa valle, chiusa tra l’Appennino e le Apuane, è una delle più interessanti sub-regioni toscane che ha mantenuto una peculiarità etnica ben marcata (etnia di origine ligure). L’aspetto del paesaggio che colpisce maggiormente è il contrasto esistente tra i rilievi che la delimitano: mentre le calcaree Alpi Apuane presentano pareti quasi verticali, pressoché spoglie di alberi, e vette frastagliate (forme decise, insomma), a est si snoda l’Appennino dal profilo molto più omogeneo e sinuoso, fatto di alte groppe erbose e modeste insellature, in cui predominano le rocce silicee dell’arenaria macigno. Un contrasto legato alla diversa struttura morfologica del terreno che ha subìto, seppur a pochi chilometri di distanza, processi formativi completamente differenti: la sedimentazione in Appennino e il metamorfismo (modificazioni dovute a temperature e pressioni elevatissime) nelle Apuane. Dal Santuario del Monte Argegna raggiungeremo in auto e pullman il rifugio Donegani (m 1.150). ALTA VIA DEL MARE 4° giorno Lunghezza: Dal Rifugio Donegani a Campo Cecina, attraverso le Alpi Apuane, ovvero le antiche Montagne della Luna. km 13,00 Dislivello totale in salita: m 1.196 slm È Altitudine massima: m 1.500 Segnavia: Rifugio Donegani-Foce di Giovo 37 (strada marmifera) Foce di Giovo-Foce di Pianza 173 Foce di Pianza-Uccelliera Strada asfaltata o, in alternativa, 173 fino al rifugio Città di Carrara la tappa più alpestre attraverso il duro cuore di marmo delle Apuane. Dal Rifugio Donegani, costeggiando le cave di marmo dell’Orto di Donna, raggiungeremo il Passo Foce di Giovo (m 1.500) su un’ampia sella ad arco che prende il nome di Cresta del Garnerone nel primo tratto e, dove culmina, di Monte Grondilice (m 1.808). Alla nostra destra, il Pizzo d’Uccello (m 1.781), chiamato il “Cervino delle Apuane” dai primi alpinisti che lo frequentarono. In passato, i pastori erano soliti accendere qui dei grossi falò nella notte del 24 giugno, festa di San Giovanni. Sotto di noi, l’Alta Valle di Vinca, uno degli angoli più suggestivi ed alpestri delle intere Apuane, indenne da cave e da altre manomissioni. Si dice che il paese di Vinca sia stato fondato dai profughi dell’antica città romana di Luni; durante l’ultima guerra gli abitanti furono pressoché sterminati dalle truppe tedesche in ritirata. Scenderemo in un‘ampia conca a prateria e ci inoltreremo in un bel bosco di conifere per uno stradello forestale chiamato “strada dei tedeschi”. Superata la capanna Garnerone, con saliscendi nel bosco e scorci panoramici sulla costa versiliese, aiutati da corde fisse in alcuni punti esposti, arriveremo alla Foce di Vinca (m 1.333), alla base dell’imponente e slanciata mole del Monte Sagro (m 1.749). Con l’aiuto dei cavi metallici predisposti allo scopo, ci arrampicheremo su per un canalino molto ripido, alla sommità del quale si apre la magnifica conca glaciale del Catino del Sagro. Il sentiero risale costeggiando a lungo la base della parete settentrionale del rilievo. Dopo aver superato alcuni tratti attrezzati con cavi metallici alla Foce del Fanaletto (m 1.426) la vista si apre sui giganteschi cantieri marmiferi della conca di Pianza: paesaggio di devastazione ambientale totale, non privo, tuttavia, di grandiosità e di un certo inquietante fascino. Con alcuni tratti esposti si traversa il ripidissimo versante erboso fin quasi ai Capannelli del Sagro, da cui in un’ora si scende tra dossi alla Foce di Pianza (m 1.279). Da qui si ha una vista impressionante sul bacino marmifero di Carrara, il più grande del mondo: montagne, creste e impluvi completamente sventrati; rilievi modellati come gironi danteschi dalle strade di arroccamento; dappertutto il candore di cave e ravaneti. Dalla Foce di Pianza seguiremo la strada asfaltata fino alla località “Uccelliera” (m 1.231), punto di arrivo del nostro trekking. In alternativa, seguendo il sentiero 173, potremo attraversare il bellissimo pianoro di Campo Cecina, raggiungere il rifugio Città di Carrara (m 1.320) e, quindi, la località Uccelliera dove ci aspetterà il pullman. N ALTA VIA DEL MARE L’UOMO E L’APPENNINO TRA EMILIA E TOSCANA “e quinci il mar da lungi, e quindi il monte“ Da “a Silvia” di Giacomo Leopardi A sud-est del Passo della Cisa, l’Appennino fa da spartiacque tra due mondi profondamente diversi. A nord la pianura padana col suo clima continentale, a sud “il mare” ma, clima a parte, più che una barriera, è un punto di passaggio e di incontro tra nature e culture. In questo caso, la preposizione “TRA” del titolo sta a significare non una separazione, bensì una contiguità, una continuità etnico-culturale dei due versanti. La si può “leggere” nelle affinità e nelle somiglianze che legano tra loro le terre al di qua e al di là del crinale (in passato, divise politicamente, oggi, amministrativamente), ma per secoli parti contigue di un solo territorio, le due facce delle stesse montagne. Le comunità montane dei due versanti erano accomunate dalle stesse attività silvo-pastorali e mantenevano continui collegamenti grazie ad una fitta rete di sentieri e mulattiere. I tracciati erano numerosi in modo che uno potesse supplire all’altro in caso di eventi naturali quali frane, abbondanti nevicate, galaverna... “e disegna l’Appennino nel cielo l’ombra di una esistenza più antica” Pier Paolo Pasolini L a gente appenninica, oltre che ad una misera agricoltura e alla pastorizia, era atavicamente legata alla coltura e alla cultura della castagna, vera e propria manna dei poveri, e ai secolari mestieri del taglialegna e del carbonaio. Infatti, camminando nei boschi dell’Appennino, soprattutto in quelli di faggio, si incontrano spesso le inconfondibili piazzole dove venivano allestite le carbonaie: piccoli pianori perfettamente livellati, a volte addirittura ricavati dai pendii, dove, scavando con un bastone, si incontra subito un terriccio nero. Queste aie carbonili sono l’unica traccia lasciata da uno dei mestieri più diffusi in passato nell’Appennino: la trasformazione della legna in carbone. Il lavoro era duro e richiedeva grande perizia, ma dava un prodotto di sicuro smercio, molto più leggero del legname originario (il rapporto in peso è di circa 7 a 1) e da cui si otteneva un margine di guadagno più cospicuo. “Settembre, andiamo. E’ tempo di migrare”... Gabriele D‘ Annunzio A differenza di oggi, nei tempi andati l’Appennino era molto frequentato! A valicare i passi appenninici, oltre ai pellegrini romei, ai monaci, ai militari, ai piccoli contrabbandieri ed ai briganti, erano i mercanti. Lungo le “Vie del Sale” (molto battuta quella del Passo del Lagastrello, la via più breve per raggiungere il mare) si spostavano venditori che commerciavano canapa, lino, formaggio dell’Emilia, olio e sale della Toscana. Li attraversavano migranti stagionali diretti alle miniere dell’Elba, ai porti sul Tirreno e alle cave di marmo di Carrara. Ma, soprattutto, pastori e greggi, preceduti dal suono dei campanacci e dall’abbaiare dei cani che echeggiavano nelle valli: settimane di cammino, per i tratturi erbosi degli alpeggi o lungo le grandi vie della transumanza. Si partiva alle prime piogge d’autunno e si faceva ritorno in primavera, portando nelle bisacce gli agnelli nati da poco. “Vassi in Sanleo e discendesi in Noli, montasi su in Bismantova e ‘n Cacume con esso i piè; ma qui convien ch’om voli” Dante: Divina Commedia - Purgatorio - Canto IV L ungo queste strade sono passati anche i libri. I primi canti della Divina Commedia, ad esempio, avvolti tra le pieghe del mantello di un pellegrino illustre che nell’autunno del 1306 bussa alla porta dell’Ospedalaccio. Due secoli più tardi sono libri d’armi, d’amore e d’avventura che vengono da Ferrara o da Reggio, diretti alla rocca di Castelnuovo di Garfagnana; accompagnano il viaggio di Ludovico Ariosto, nominato dagli Estensi governatore di quella terra. Fino ai primi decenni del secolo scorso svalicavano per questi passi anche i librai di Montereggio che andavano in giro per il mondo a vendere libri. ALTA VIA DEL MARE LA NATURA DELL’ “APPENNIN SELVAGGIO” C irchi glaciali, morene, valli sospese, massi erratici sono tutti termini che richiamano fenomeni legati al glacialismo, ovvero alla presenza di ghiacciai tipici dell’ambiente alpino e che sembrano usati fuori luogo per l‘Appennino. Circa 30 milioni di anni fa, durante l‘orogenesi (formazione delle montagne) alpino-appenninica, dovuta al movimento della zolla continentale africana verso quella europea, si è innalzato un lungo massiccio costituito da arenaria macigno, una roccia piuttosto compatta di colore grigio-marrone abbastanza resistente all’erosione meteorica. Di tale roccia è costituita la catena appenninica tosco-emiliana, modellata in passato dal glacialismo. Attualmente sugli Appennini non esistono ghiacciai (se si esclude quello del Calderone sul Gran Sasso). Rimangono, invece, numerose tracce della passata presenza di ghiacciai, particolarmente frequenti sul versante emiliano dell’Appennino settentrionale, dove l’esposizione a nord, l’altezza e la continuità del crinale favorirono durante l’ultima glaciazione (ca. 20.000 anni fa) l’estendersi di lunghe lingue glaciali che scendevano fino ai fondovalle. La morfologia glaciale è particolarmente evidente nel cosiddetto Crinale dei 100 Laghi nelle alte Val Parma e Val Cedra, che percorreremo il primo giorno, dove lingue di ghiaccio lunghe più di 5 km hanno lasciato i loro depositi e la tipica morfologia postglaciale con circhi, morene, massi erratici e, soprattutto, stupende conche occupate dai 19 laghetti attualmente visibili e da molti altri in avanzato stato di interramento ed ormai ridotti a pozze temporanee e torbiere. UNA PIETRA, UNA STORIA, UN PAESAGGIO I l paesaggio apuano è fortemente caratterizzato dai segni della secolare estrazione del marmo: l’ambiente ne è sconvolto, in alcune valli completamente devastato, ma, in ogni caso, il marmo è il genius loci di questi monti, dei quali costituisce la peculiarità, la fama, la ricchezza. Le cave sono ovunque: abbarbicate a pareti verticali e a cavallo di creste, talvolta penetrano in profondità nelle montagne con gallerie, talaltra intaccano solo lo strato più superficiale. La dislocazione delle cave è motivata da un unico imperativo: estrarre il marmo dove esso è presente con caratteristiche di maggior purezza. La fama dei marmi di Carrara (nome con cui sono universalmente noti i marmi apuani) deriva dalla loro qualità e dalla loro bellezza che li resero ricercati fin dall’epoca romana. Con Augusto, grazie alla sua politica monumentale, l’impiego dei marmi apuani aumentò enormemente, non solo a Roma ed in Italia, ma in tutto l’Impero. Famoso tra tutti è lo statuario, la candida pietra con cui sono stati modellati alcuni capolavori scultorei dell’antichità e del Rinascimento. Ancora oggi si dibatte sul luogo di provenienza del marmo utilizzato per la Pietà: la vox populi indica il Monte Altissimo. In realtà, Michelangelo era talmente colpito dall’imponente mole del monte da progettare di sagomarlo in un’enorme scultura visibile fin dal mare. A quei tempi, comunque, di cave sul Monte Altissimo non ce n’erano ancora e il marmo della famosissima statua proviene, con ogni probabilità, dalle cave ai piedi del monte, nei pressi di Azzano. Verso la metà del ‘500 ebbe inizio l’uso della polvere pirica, metodo di estrazione che fu intensamente praticato fino alla fine dell’800 e a cui si deve la formazione dei “ravaneti”, termine locale usato per indicare gli immensi ghiaioni detritici costituiti dagli scarti dell’attività estrattiva. Infatti, con l’impiego dell’esplosivo lo spreco di materiale era enorme, a causa delle microfratture che le detonazioni provocavano nel marmo, rendendolo invendibile; in media, solo il 10 per cento di quanto si estraeva risultava utilizzabile. Poi fu introdotto l’uso del filo elicoidale, presentato per la prima volta all’Esposizione Internazionale di Parigi del 1889 (lo stesso evento per il quale fu realizzata la Tour Eiffel). Si tratta di un cavo d’acciaio di quattro o cinque millimetri di diametro, composto da tre trefoli ritorti che, scorrendo guidato da pulegge, porta a contatto con la superficie di taglio la miscela di acqua e sabbia che funge da abrasivo. L’elicoidale tradizionale tagliava il marmo alla velocità di circa dieci centimetri all’ora; con i costosi cavi diamantati utilizzati attualmente, la velocità di taglio è di cinquanta centimetri all’ora. I tagli fatti col filo d’acciaio, netti e levigati, hanno determinato l’attuale paesaggio di cava, fatto di enormi muri lisci e bianchi, verticali come certe pareti dei rilievi apuani, e di settori montuosi sbancati secondo piani geometrici. Un paesaggio che non ha quasi più nulla di naturale... ...irreale. È l’esatto opposto degli ambienti pressoché incontaminati che abbiamo attraversato nelle tre giornate precedenti, eppure, sorprendentemente, non privo di un suo particolarissimo fascino. A TAVOLA L ’ Appennino Tosco-Emiliano è stato una formidabile cerniera fra il nord padano, la penisola ed il mare di Luni. Ed è proprio a tavola che è possibile percepire che cosa unisce ancora oggi i popoli residenti a cavallo tra terra toscana ed emiliana, quali sono stati i travasi secolari in termini di tradizioni enogastronomiche. Considerata la ricchezza ed abbondanza di prodotti e piatti della regione appenninico-apuana (Lunigiana, Garfagnana e Versilia) ne possiamo fornire solo un breve e parziale elenco: Appennino Emiliano: Parmigiano Reggiano DOP, Pecorino, Culatello di Canossa, Pancetta Canusina, Salame Fiorettino, Prosciutto di Parma DOP Lunigiana: Caciotta, Pecorino, Farina di Castagna, Spalla cotta di Filattiera, Testaroli, Panigacci, Cipolla di Treschietto, Torta d’erbi Garfagnana: Farro, Farina di Neccio, Biroldo della Garfagnana Apuane: Lardo di Colonnata. PER UNA BUONA RIUSCITA DELL’ESCURSIONE INVITIAMO TUTTI I PARTECIPANTI AD OSSERVARE SCRUPOLOSAMENTE LE NORME DI COMPORTAMENTO E LE INDICAZIONI CHE VERRANNO FORNITE PRIMA DELLA PARTENZA Alfredo Gatti Simonetta Valadè Mauro Vischi 328 2177267 333 4533509 333 3894670 L’accoglienza Albergo-Rifugio Prato Spilla 0521 890194 - 335 8498839 - 331 9481820 Albergo Giannarelli 0585 949666 Rifugio Donegani 329 2015805 Partenza Voghera Ore 6.00, parcheggio presso Prefettura. Accesso Avvicinamento in pullman, con autostrada fino a Parma Ovest, poi lungo la strada provinciale che arriva a Bosco di Corniglio ed alla località di Lagdei in alta Val Parma dove inizia la 1° tappa. Tempo totale di percorrenza 4 giorni (circa 8-9 ore al giorno compresa la sosta per il pranzo al sacco) Sviluppo complessivo 65 Km circa Dislivello complessivo +4.577 m - 4.608 m Difficoltà E-EE (alcuni brevi tratti attrezzati con corde fisse o esposti su pendii ripidi) Attrezzatura consigliata Febbraio 2014 Abbigliamento da trekking per media-alta montagna con fondo erboso-roccioso (scarponi, bastoncini, calzettoni pesanti, pantaloni lunghi, zaino, vestiario di ricambio, copricapo, mantella impermeabile per la pioggia e guanti per i corrimano di metallo). Immagine di copertina: Pizzo d’Uccello (lato sud) Parco delle Apuane slm Stampa: Copie Originali - [email protected] 347 0587914 338 2817581 328 9665336 Realizzazione grafica: Roberto Cabrini - [email protected] Gli organizzatori Paolo Biserni Arturo Borghi Maria Stella Brenzi slm