ASS. NAZ. ITALIANA ASSISTENZA VITTIME ARRUOLATE NELLE FORZE ARMATE E FAMIGLIE DEI CADUTI SEDE CENTRALE: Via A. Nobel n.1 00034 COLLEFERRO (RM) Tel./Fax: 06/9701182; Segr.: 06/9780145; Pres.: 06/3331689 E-Mail: [email protected] Sito web: www.anavafaf.com Roma,15/03/2011 Al Presidente Rosario Giorgio COSTA Presidente Commissione Uranio Impoverito Senato Al Maggiore Generale Francesco TONTOLI Capo del Dipartimento di Sanità dell’Esercito Italiano Al Colonnello Roberto ROSSETTI Capo Dipartimento Immunoematologia del Policlinico Militare Al Prof. Franco NOBILE Oncologo – Presidente Sezione Provinciale di Siena della Lega Tumori Al Prof. Massimo FEDERICO Professore di Oncologia Medica presso l’Università di Modena e Reggio Emilia Al Dott. Alessandro MANCUSO Ricercatore presso l’ENEA Al Dott. Teodoro BILANZONE Direttore Generale della Previdenza Militare Al Capitano Paride MINERVINI Esperto Balistico p.c. 1 Al Dott. Gianni LETTA Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio All’On. Ignazio LA RUSSA Ministro della Difesa All’On. Giulio TREMONTI Ministro dell’Economia Al Dott. Ugo Cappellacci Presidente Regione Sardegna Al Dott. Domenico FIORDALISI Procuratore di Lanusei COMMENTI AD AUDIZIONI DELLA COMMISSIONE SENATORIALE SULL’URANIO IMPOVERITO PRESIEDUTA DAL SEN. G. COSTA PREMESSA* Prima di inoltrarmi nei commenti che seguono relativi ad alcune Audizioni che hanno avuto luogo presso la Commissione Senatoriale, desidero esprimere la mia piena concordanza con quanto 1 La lettera è indirizzata anche: a) alla Presidenza del Consiglio dei Ministri perché la problematica dell’uranio non concerne solo i militari (i dati che vengono forniti sui casi di decessi e di infermità riguardano i soli militari). Il problema infatti riguarda anche personale di altri corpi dello Stato a ordinamento militare ed inoltre personale civile (dipendente dalla Presidenza del Consiglio) e da vari Ministeri, nonché dal volontariato. La problematica riguarda anche, per ciò che concerne i risarcimenti, la questione delle “vittime del dovere”. Di tale problematica si occupa, in particolare, presso la Presidenza del Commissione, la Commissione presieduta dalla Dott.ssa Diana Agosti; b) al Presidente della Regione Sardegna, Dott. Ugo Cappellacci; c) al Magistrato Dott. Domenico Fiordalisi per ciò che nella lettera riguarda le problematiche relative ai poligoni di tiro in Sardegna. * La presente è a prosecuzione del foglio inviato alla Commissione Senatoriale in data 21/01/2011 (v. Annesso). affermato il Presidente Costa circa la necessità che venga istituito un ufficio per le relazioni con il pubblico “che sappia affrontare, con la dovuta disponibilità, le esigenze del personale che versa in gravi condizioni psichiche e fisiologiche”. Purtroppo lo scrivente ricorda che questa situazione esiste da lunghi anni, ed è stata oggetto di pesante disappunto2. Molte vittime che sono rimaste profondamente frustrate3 e si sono sentite completamente abbandonate dalle istituzioni proprio nei momenti in cui avevano maggior bisogno di assistenza (morale e materiale). Quanto sopra è testimoniato anche da dichiarazioni riportate dalla stampa, alcune delle quali citate in nota. Nei risarcimenti si sono notate tra l’altro delle enormi disparità. Infatti chi era in possesso di una sufficiente disponibilità finanziaria ha potuto ottenere ricorrendo agli organi della magistratura, dei risarcimenti anche centinaia di volte superiori a chi si è dovuto limitare ad accettare ciò che era stato stabilito dalle istituzioni preposte. 2 Per l’esattezza dei fatti, però già nel 1977 vi era stato un caso sospetto in Sardegna (caso Michelini), per il quale tra l’altro la Corte dei Conti di Venezia stabilì dei risarcimenti (v. Allegati). Comunque, a quei tempi, i sospetti erano semmai su “armi di nuova generazione”. In Italia nessuno si poneva infatti il problema dell’uranio impoverito anche se era noto in altri paesi da anni (negli Stati Uniti dagli anni ’50). In Italia, semmai, a quell’epoca, si parlava di un non meglio precisato “munizionamento speciale”. 3 Alcune situazioni riguardanti il personale rimasto vittima di gravi infortuni possono essere così rappresentate. Sergio D'angelo - Il Maresciallo Sergio D'Angelo, sminatore nei Balcani, che ha passato anni a contatto con le armi distrutte al suolo, si è gravemente ammalato ed è morto poi al Pio Albergo Trivulzio di Milano. In proposito c'è da chiedersi: "E' possibile che in una città come Milano dove esiste un importantissimo ospedale militare, un Maresciallo, che ha "super-ben-meritato" per la Patria muoia al Pio Albergo Trivulzio? Non sembra il miglior esempio di assistenza. Il Maresciallo (rimasto anonimo) di Feltre - Per un Maresciallo di Feltre malato di tumore, rimasto anonimo si è dovuto giungere a fare una colletta tra colleghi e ciò anche se le collette sono proibite nelle forze armate. Ma questo era l'unico modo per consentire cure urgenti. Stefano Melone - I familiari del Maresciallo Stefano Melone, deceduto, hanno dovuto fare causa allo Stato. In prima istanza è stato loro concesso un risarcimento di 500.000 euro, ma l'Avvocatura di Stato si è opposta (non sembra un chiaro esempio di volontà assistenziale!) e ha chiesto la sospensione della erogazione di questa indennità. Nel processo di seconda istanza, tuttavia, la richiesta di sospensione dello Stato non è stata accettata dal tribunale ed è stato ingiunto allo Stato il , pagamento della somma. Valery Melis - In proposito si legge su "L'Unione Sarda" dei 6.02.2000: "L'Esercito non lo ha aiutato nemmeno quando bussava alle porte calvo, pallido, indebolito dalla chemioterapia. Gliele chiusero in faccia. Nessun militare in quattro anni è andato a trovarlo in ospedale, nemmeno a Natale". Salvatore Carbonaro - Si legge su "La Repubblica" del 31.01.2001 a proposito di Salvatore Carbonaro, morto a Pavia il 5 novembre 2000: "Aveva avviato una causa di servizio per sapere se era stata questa la causa del suo male. Nessuno gli ha mai risposto. Quando si è ammalato l'hanno congedato e basta senza occuparsi di lui, lasciato solo a lottare con la morte" ... "non l'hanno aiutato neppure per i funerali". Armando Paolo - Si legge sul periodico "Il Caffè" di Latina del 4.03.2004 la dichiarazione seguente: "L'Esercito Italiano mi ha lasciato solo, malato e senza lavoro. Mi hanno abbandonato". Fabio Cappellano - Fabio Cappellano narra la sua vicenda a "L'Unione Sarda" (11.03.2004): "Dopo un anno di convalescenza sono stato riformato e nessuno si è degnato di chiedermi come stavo. Le Autorità Militari hanno inviato un telegramma di condoglianze ai miei genitori. Si rammaricavano per la mia morte". Evidentemente i Comandi da cui dipendeva il Cappellano non seguivano con grandissima attenzione le vicende del loro dipendente, tanto che non sapevano neppure se era vivo o morto! Fabio Porru e un Maresciallo (rimasto anonimo) di Oristano - In un'intervista all'Unione Sarda il padre del Caporal Maggiore Fabio Porru afferma: "Dopo i funerali di Stato ci hanno abbandonato". Un Maresciallo rimasto anonimo di Oristano in un'intervista su L'Unione Sarda del 12 marzo 2004 afferma: "L'Esercito si è dimenticato di me". Antonio Milano - Si legge in un comunicato ANSA del 5 luglio 2002 la dichiarazione della madre: "Nei sei mesi della malattia"dice la mamma Anna in lacrime, "nessuno si è degnato di fare nemmeno una telefonata. Solo ieri al funerale ho visto qualche divisa". Marco Diana - Il Maresciallo Marco Diana che di ritorno dalla Somalia accusò i sintomi della malattia che lo aveva colpito, un carcinoma all'intestino afferma: "Muoio di cancro — Lo Stato mi ha abbandonato". 2 Altra questione che non può non essere posta a premessa di questi commenti, riguarda la dipendenza di Previmil (nelle decisioni relative al conferimento di risarcimenti), da quanto stabilito da parte del “Comitato di Verifica”4 alle dipendenze del Ministero dell’Economia. 4 Vedi su questo il DPR 461/2001, “Regolamento recante semplificazione dei procedimenti per il riconoscimento della dipendenza delle informità da causa di servizio, per la concessione della pensione privilegiata ordinaria e dell’equo indennizzo, nonché per il funzionamento e la composizione del comitato per le pensioni privilegiate ordinarie”. Circa i compiti di controllo e di verifica attribuiti al Comitato di Verifica il DPR 461 stabilisce che occorre un legame di causa-effetto (caratterizzato da certezza). Questo legame di certezza, nel caso di tumori, non c’è. Tuttavia in certi casi, vedi il caso del capitano Riccardo Grimaldi (deceduto per un tumore al cervello glioblastoma), è stato ritenuto esistente. Nel caso invece del capitano Antonino Caruso (anch’esso deceduto per un tumore al cervello, glioblastoma) invece questo legame tra tumore attività prestata non è stato riconosciuto. D’altra parte la normativa vigente (v. leggi finanziarie 2006 e 2008) stabilisce che i risarcimenti debbano essere conferiti anche se vi è soltanto un legame probabilistico tra la malattia e la zona di operazioni in cui è stato prestato servizio e ciò con particolare riferimento a zone di impiego internazionale. Occorre dunque chiarire cosa si intende per legame “causa-effetto” in generale e in particolare nel caso di tumori. La L. 308/81 (vedi tabelle A e B allegate alla legge) stabilisce che per un tumore che può insorgere e provocare la morte nel personale che si trova “in permanenza di servizio”, è dovuto il risarcimento della “speciale elargizione”. E ciò indipendentemente dalla causa che può aver provocato il tumore (il legame causa-effetto, per quanto riguarda i tumori) come sopra accennato non può che essere un “legame di probabilità”. Da osservare che la L. 308/81 rimanda a quanto stabilito dalla L. 313 del 18 marzo 1968 e alla tabella “A” di questa legge, dal titolo “Lesioni ed infermità che danno diritto a pensione vitalizia o assegno rinnovabile”. Nell’elenco delle infermità (al n. 25 dello stesso) sono indicati: “tumori maligni in rapida evoluzione”. Si legge ancora nel citato DPR, che il Comitato accerta la riconducibilità ad attività lavorativa delle cause produttive di infermità o lesioni in relazione a fatti di servizio al rapporto causale tra i fatti e le infermità o lesioni. C’è da osservare che per i militari chiamati ad una disponibilità di h 24, l’attività (lavorativa) include anche i momenti di riposo: ad esempio quelli tra un turno di guardia e l’altro. Nel caso della vicenda dei militari di Nassirya colpiti dall’esplosione ve ne erano infatti alcuni che si stavano lavando o vestendo e quindi non svolgevano una specifica attività lavorativa comandata. Ma la speciale elargizione venne conferita in rapporto alla L. 302/90 (la Legge si riferisce ai civili vittime di atti di terrorismo e si rifà al D.L. 28/11/2003 n. 337 “Disposizioni urgenti in favore delle vittime militari e civili di attentati terroristici all’estero). Vi è stata in questa normativa una estensione ai militari di quanto è stato stabilito per i civili dato che gli atti terroristici riguardano i civili – cioè persone disarmate – mentre per i militari che sono armati, si presume che gli atti “terroristici” rientrino nell’attività di guerriglia e controguerriglia. Comunque, per quanto riguarda la speciale elargizione va anche tenuto presente ciò che è stabilito dalla L. 308/81 secondo cui anche in situazioni che certamente non possono classificarsi come di “adempimento di un servizio” la speciale elargizione deve essere conferita. A riprova di ciò basti pensare che anche in casi che certamente non possono considerarsi come adempimento di un servizio, come i casi di suicidio (vedi il caso del paracadutista Andrea Oggiano) deve essere conferita la “speciale elargizione”). Vale in proposito quanto ha stabilito il Consiglio di Stato, Adunanza della Sezione Terza 31 marzo 1998, di cui segue un estratto: “Ritiene la Sezione che sia da condividere la tesi del Ministero riferente in ordine alla possibilità di includere, tra i destinatari delle norme di cui alla legge 3 giugno 1981, n. 308, come modificata dalla legge 14 agosto 1991, n. 280, anche la categoria dei militari volontari e trattenuti. A sostegno di tale tesi può infatti invocarsi l'evidente intenzione del legislatore il quale, nell'apportare con la citata legge n. 280/1991 talune specifiche modifiche al sistema delle provvidenze per i militari e per gli appartenenti a corpi militarmente ordinati, si era prefissato lo scopo particolare di consentire l'attribuzione delle provvidenze stesse anche per eventi non strettamente connessi al servizio (con le uniche eccezioni riguardanti le licenze, i permessi o le posizioni al di fuori del presidio senza autorizzazione) e non già di restringere in qualche maniera l'ambito soggettivo dei destinatari, tra cui erano appunto espressamente ricompresi i militari volontari e trattenuti. L'unica ragione di dubbio in proposito, come segnalato dall’Amministrazione, consegue dalla attuale formulazione letterale della norma in cui le parole «volontari e trattenuti», non separate da una virgola rispetto al periodo precedente e non precedute dall'articolo, sembrerebbero riferirsi agli «allievi delle scuole e collegi militari»: ma un simile collegamento risulterebbe, in realtà, privo di significato non rinvenendosi nel vigente ordinamento una categoria di soggetti cui possa attribuirsi l'anzidetta qualifica di «allievi delle scuole o dei collegi militari volontari o trattenuti». Per dare un senso compiuto alla norma in esame occorre dunque considerare che, per una evidente errata trascrizione del testo normativo precedente, sono stati omessi l'interpunzione e l'articolo "i" tra i due periodi sopra ricordati, ma che ciò non impedisce di riconoscere l'effettiva finalità della indicazione delle specifiche posizioni dei militari «volontari o trattenuti», che non poteva che essere quella di indicare — come già nella 3 Lo scrivente ritiene non accettabile che le decisioni di Previmil circa i risarcimenti dipendano direttamente da quanto stabilito dal Comitato di Verifica circa l’esistenza o meno della causa di servizio5. Infatti la L. 308/81 stabilisce che il risarcimento della speciale elargizione debba essere conferito, oltreché nel caso sussista la condizione di “causa di servizio” anche nel caso sussista la condizione di “in permanenza di servizio”. Occorre evitare che eventuali decisioni errate prese dal Comitato di Verifica possano portare al diniego di risarcimenti, risarcimenti che invece avrebbero dovuto essere stati conferiti (vedi in proposito più sotto, il caso del capitano Antonino Caruso). La L. 308/816 stabilisce inoltre (art. 5) che il personale che ha eseguito operazioni di vigilanza e soccorso (in tutte le missioni all’estero il personale ha effettuato operazioni di vigilanza alle strutture militari e civili che sono state realizzate nel teatro - e inoltre di sovente è stato impiegato in operazioni di soccorso), debbono essere conferiti i risarcimenti previsti per le “vittime del dovere”. Tali risarcimenti includono la speciale elargizione. La categoria “vittime del dovere” tra l’altro non riguarda solo il personale deceduto ma anche il personale vivente (infermo). In proposito unisco al presente scritto una lettera inviata al sen. Paolo Franco, Presidente protempore della Commissione Uranio Impoverito il 22 maggio 2006 (v. Annesso). Per meglio chiarire la situazione mi avvalgo di un esempio che fa riferimento al caso del capitano della Folgore, Antonino Caruso. Il Comitato era stato informato dello stato di servizio del capitano Caruso solo in modo del tutto parziale (relativo agli ultimi 3 mesi del servizio prestato). In base a tale valutazione incompleta, il Comitato di Verifica, stabilì come “non dipendente da causa di legge precedente - anche i soggetti aventi le anzidette posizioni tra i beneficiari delle norme. Non può non rilevarsi, d'altronde, che, su un piano equitativo generale, parrebbe del tutto priva di giustificazione l'esclusione dai benefici in parola dei soli militari nella predetta posizione di «volontari e trattenuti», per cui una interpretazione delta norme di legge in esame che risultasse in qualche modo discriminatoria nei confronti delle anzidette categorie farebbe sicuramente sorgere seri dubbi sotto il profilo della legittimità costituzionale dalle norme in questione”. 5 Tra l’altro è risultato che le informazioni che vengono fornite al Comitato di Verifica, sono spesso del tutto insufficienti (vedi ad es. il caso del capitano Antonino Caruso e così il caso del signor Ariu. In merito vedi annesso “Modello informativo da compilare per la richiesta di risarcimento – Esigenze di modifica”). 6 La problematica delle vittime del dovere è anche oggetto dei seguenti atti legislativi in cui viene menzionato il personale impiegato in compiti di vigilanza alle infrastrutture militari in caso di grave infortunio. E’ una situazione che interessa quanto stabilito per le “vittime del dovere” (v. legge 629/1973 art. 3, L. 466/80, art. 3, L. 302/1990 artt. 2 e 8, L. 266/05 art. 1, comma 563, D.C. 159/2007 art. 34 comma 1, convertita nella L. 222/07 art. 1). Non si è fatto qui sopra cenno a numerosi altri casi di persone non dovutamente risarcite, e in particolare nemmeno a quelli specificamente segnalati dai parenti delle vittime, anche direttamente all’Ufficio Gabinetto del Ministero della Difesa, in una riunione che si tenne il 31 marzo 2010 (v. Annesso). Tra questi, il caso della signora Conti, madre del sergente Gianni Conti, morto affogato nella piscina dell’aeroporto Dal Molin di Vicenza, mentre espletava attività di vigilanza alle strutture di illuminazione dell’aeroporto. Il caso della signora Carenza, madre del sergente Antonio Mariano Pierri, che si ammalò a seguito di una missione in Bosnia e poi fu sottoposto a una gravissima vicenda di mobbing. Una vicenda ad oggi ancora mai chiarita. La signora Caldera, vedova del capitano Ubaldo Caldera, morto durante un incidente di volo, per istruzione di un allievo pilota (una deliberazione del Tribunale di Bologna del marzo 2011 ha riconosciuto i diritti al risarcimento della signora Caldera, risarcimenti che invece erano stati negati dal Ministero della Difesa). La signora Cimarelli, vedova del maresciallo Ennio Cimarelli, deceduto in un incidente durante il trasferimento tra due sedi militari dell’Aeronautica. Il signor Causio, padre del carabiniere Oronzo Causio, deceduto per un colpo di arma da fuoco mentre era in permanenza di servizio. Del tutto inutili una serie di interventi, scritti e orali dello scrivente, per avere una risposta dal Ministero della Difesa indipendente dalle valutazioni formulate da Previmil (e ritenute manchevoli da parte dell’Anavafaf). 4 servizio” il tumore che portò alla morte il suddetto ufficiale. Purtroppo per 11 anni vennero negati i risarcimenti, dovuti alle “vittime del dovere”. Fu solo per via di un intervento del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Dott. Gianni Letta (v. Allegato), che il caso venne rivisto. E così finalmente, dopo che fu analizzato lo stato di servizio completo del capitano, il Comitato di Verifica rivedette le sue valutazioni e di conseguenza vennero conferiti i risarcimenti agli eventi diritto e fu riconosciuta anche l’esistenza della condizione di “vittima del dovere” con le compensazioni previste per questo “status”. Il capitano Caruso aveva svolto operazioni di vigilanza, soccorso, ordine pubblico durante la guerra in Somalia. C’è da osservare tra l’altro che, come in precedenza accennato, per conferire il risarcimento della “speciale elargizione” era sufficiente in base alla L. 308/81 il fatto che il Capitano si trovasse nelle condizioni di “in permanenza di servizio”7; non era infatti necessario un accertamento circa l’esistenza della “causa di servizio” da parte del Comitato di Verifica! La L. 308/81 ovviamente, venne ignorata (e sul perché è stata ignorata occorrerebbe indagare in modo approfondito). Sul tema vedi anche quanto contenuto nella citata lettera del 22 marzo 2006 al sen. Paolo Franco. E’ necessario in proposito richiamare l’attenzione sul fatto che, recentemente, in modo del tutto inaccettabile la L. 308/81 è stata cancellata dal nuovo “codice militare” (V. Annesso). Verrebbe così escluso dai risarcimenti tutto il personale che si è infortunato trovandosi nella condizione di “in permanenza di servizio” e generando dunque un’enorme disparità di trattamento tra la situazione in cui vigeva la legge e quella in cui la legge non vige più, dando luogo quindi a delle grandissime ingiustizie. I militari verrebbero esclusi da un loro preciso diritto sancito appunto dalla L. 308/81, che riguarda la condizione di “in permanenza di servizio”, intesa come condizione che deve dar luogo al conferimento di risarcimenti, indipendentemente dalla sussistenza o meno della “causa di servizio”8. Tra l’altro l’abolizione della L. 308/81 viene a porsi in completo contrasto con quanto stabilito dalle vigenti disposizioni normative per le missioni di pace all’estero nelle quali si prescrive che per i casi di infortunio si debba far riferimento proprio alla L. 308/81 (vedi in proposito D.L. 346/1966 e D.L. 28 Giugno 1999 n. 12 “Disposizioni vigenti relative a missioni internazionali di pace”9. Lo scrivente chiede pertanto che venga eseguita una approfondita revisione della 7 Il DPR 545/86 (regolamento in disciplina militare) prevede ad esempio all’art. 36 che il militare debba prestare soccorso a chiunque versa in pericolo e abbisogna di aiuto e questo vale sia che si trovi “in servizio”, sia che si trovi “fuori servizio”. 8 Pensiamo ad esempio a quanto può accadere a militari che in una nave prestano servizio in sala macchina. Se scoppia un tubo con vapore ad alta pressione (magari con ricopertura in amianto) ciò può causare danni gravi sia a chi in quel momento è di servizio, ma anche chi è magari smontato dal servizio e si trova ancora nello stesso locale. 9 In queste normative si legge ad esempio, per la missione in Kossovo: “Al personale di cui all’articolo 1, in caso di decesso per causa di servizio connessa all’espletamento della missione nel Kossovo, si applica l’articolo 3 della L. 3 giugno 1981, n. 308. In caso di invalidità per la medesima causa si applicano le norme in materia di pensione privilegiata ordinaria di cui al testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato, approvato con D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092. I trattamenti previsti per i casi di decesso e di invalidità si cumulano con quello assicurativo di cui al comma 1, nonché con la speciale elargizione e con l’indennizzo privilegiato aeronautico previsti, rispettivamente dalla L. 3 giugno 1981, n. 308 e dal Regio D.L. 15 luglio 1926, n. 1345, convertito dalla L. 5 agosto 1927, n. 1835, e successive modificazioni, nei limiti stabiliti dall’ordinamento vigente. 5 legislazione succitata (che contiene anche altri errori oltre quello qui segnalato). Vedi in proposito, in Annesso, lettera in data 27/07/2010 al Ministro della Difesa e anche il telegramma al Ministro della Difesa. Circa la legge 308/81 è bene anche ricordare che tale legge afferma che “sono destinatari delle misure di cui alla presente legge, i militari in servizio di leva o richiamati...” “...i quali subiscono per causa di servizio o durante il periodo di servizio un evento dannoso che ne provochi la morte o ne comporti una menomazione dell’integrità fisica ascrivibile ad una delle categorie di cui alla tabella A) e alla tabella B) annesse alla legge 18 marzo 1968 e successive modificazioni”. I militari in missione di pace possono essere colpiti da eventi di natura violenta, ma tali eventi di natura violenta non dovrebbero verificarsi in una missione di pace. Tali eventi sono di natura straordinaria. E inoltre è da tener presente che sono stati considerati eventi di natura violenta quelli che comportano lesioni o ferite da armi da fuoco. E’ previsto che per questi eventi violenti, debbano essere conferiti i risarcimenti. Ma è da precisare che i proiettili in quanto realizzati con metalli pesanti (vedi tungsteno) possono produrre sia ferite esterne al corpo, sia lesioni interne (infermità), e possono anche provocare gravi disturbi e tumori). Anche per queste lesioni interne deve essere conferito il risarcimento della “speciale elargizione”. L’articolo 6, comma 1, della L. 308/81 dispone che "viene corrisposta la speciale elargizione ai militari (o a personale dei corpi equiparati, ndr) “deceduti in attività di servizio per diretto effetto di ferite o lesioni causate da eventi di natura violenta riportati nell’adempimento del servizio”. Non si menzionano, peraltro in modo del tutto erroneo, le su citate “infermità”, che eventualmente possono condurre alla morte. Occorre dunque una revisione legislativa anche sotto questo riguardo. Tra l’altro in merito c’è da osservare che il Consiglio di Stato, Sezione III (4 maggio 2010) ha chiarito che occorre comprendere tra le vittime anche i soggetti che “subiscono eventi lesivi non riconducibili ad atti di violenza”. Ciò con riferimento, ovviamente, a chi ritiene che gli atti di violenza siano solo quelli determinati da proiettili che per “urto fisico” colpiscono il corpo delle persone provocando lesioni e ferite. Le particelle che si generano nell’ossidazione dei metalli pesanti possono penetrare nell’organismo umano, come su accennato, con danni per la salute. Da precisare che queste particelle possono esistere sia a freddo nel ad es. nel maneggiamento delle armi (sulle quali si è manifestata una ossidazione) e sia a caldo nell’urto del proiettile contro una superficie resistente. La raccolta al suolo di proiettili o parti di esse (residuati) che hanno subìto un’ossidazione, può essere causa di malattia se non si adottano le misure di protezione. E’ da tener presente inoltre che la L. 308/81 prevede, all’articolo 5 che, “Ai superstiti dei militari di cui al precedente articolo 1 nonché di quelli in servizio permanente o di complemento, caduti nell’adempimento del dovere in servizio di ordine pubblico o di vigilanza ad infrastrutture (civili e Analogamente, per quanto si riferisce alle operazioni in Bosnia, vale il D.L. 346/1996, che al par. 6, prevede: “In caso di decesso del personale di cui al presente articolo per causa di servizio, connesso all’espletamento della missione nella ex Jugoslavia, si applica l’art. 3 della L. 3 giugno 1981 n. 308”. Anche in relazione a quanto sopra è praticamente errata o arbitraria l’abolizione della L. 308/81. C’è da chiedersi chi ha proposto questa abolizione e perché! 6 militari), ovvero in operazioni di soccorso, è corrisposta una speciale elargizione pari a quella prevista nel tempo per i superstiti delle vittime del dovere, di cui alla legge 28 novembre 1975, n. 624, e successive integrazioni e modificazioni”. A proposito di queste modificazioni viene precisato che: “L’elargizione prevista dal presente articolo è stata elevata ad euro 200.000 dall’art. 2, D.L. 28 novembre 2003, n. 337”. Circa la questione delle “vittime del dovere” occorre tener presente anche quanto stabilito nella Legge Finanziaria 2006 (L. 266/2005, art. 1, comma 563) dove si precisa che “Per vittime del dovere devono intendersi i soggetti di cui all’articolo 3 della legge 13 agosto 1980, n. 46610 e, in genere, gli altri dipendenti pubblici deceduti o che abbiano subito un’invalidità permanente in attività di servizio o nell’espletamento delle funzioni di istituto11 per effetto diretto di lesioni riportate in caso di eventi verificatisi: a) nel contrasto ad ogni tipo di criminalità; b) nello svolgimento di servizi di ordine pubblico; c) nella vigilanza ad infrastrutture civili e militari; d) in operazioni di soccorso; e) in attività di tutela della pubblica incolumità; f) a causa di azioni recate nei loro confronti in contesti di impiego internazionale non aventi, necessariamente, caratteristiche di ostilità”. C’è da osservare in merito che quando si parla di “lesioni” (ne abbiamo fatto cenno più sopra) debbono essere incluse tra queste. anche le lesioni interne provocate ad es. dai tumori (che possono provocare gravi infermità). Da precisare anche che quando si menzionano attività di vigilanza ad infrastrutture civili e militari si deve includere in tali attività di vigilanza anche il “servizio di guardia svolto in relazione alla sicurezza delle infrastrutture (la “guardia” è la forma più intensa della vigilanza!).12 Ma purtroppo non è menzionata nella normativa, la quale pertanto esige un’appropriata modifica, o quanto meno, una norma di corretta interpretazione. Inoltre, si deve precisare che detta Legge Finanziaria, al comma 564, come pure il DPR 243, art. 1, lett. B) e 10 Esiste anche una “pseudo-categoria” denominata soggetti equiparati a vittime del dovere, una “categoria fortemente equivoca”, sulla quale occorre fare chiarezza. Inoltre c’è da chiarire quale differenza esiste, in relazione ai risarcimenti, tra vittime del dovere e vittime del servizio, dato che per il militare il servizio è un dovere. 11 Per i militari che sono disponibili h 24 è da considerarsi “in servizio”, come più sopra menzionato, anche chi si trova in condizione di riposo tra l’esecuzione di un compito operativo e un altro. Pensiamo ad esempio alla condizione di un carabiniere che pur non essendo in servizio blocca dei malviventi che compiono una rapina! Per i militari che sono disponibili h 24 il concetto di “causa di servizio” si estende al concetto di “in permanenza di servizio”, come del resto chiarito dalla L. 308/81. E’ stata accolta, ad esempio, la domanda di risarcimento avanzata dallo Studio Legale Bava di Genova per un Carabiniere feritosi in un salvataggio effettuato in libera uscita (il documento è stato pubblicato anche su “Previdenza.it”). E’ stato così formalizzato in una sentenza il principio che il militare è sempre in servizio. Ciò fa riflettere sul fatto che sono stati ingiustamente esclusi in passato dai risarcimenti (almeno a partire dal 1969 secondo quanto previsto dalla L. 382/91) centinaia di militari. Infatti a tali militari i risarcimenti sono stati negati perché non è stata riconosciuta la condizione di causa di servizio, pur trovandosi il militare “in permanenza di servizio”. Si tratta di un gravissimo errore che merita una approfondita indagine, anche alla luce delle precisazioni fornite dalla recentissima deliberazione succitata della Magistratura. Quanto al concetto di “maggiori rischi e fatiche” si deve tener presente che in una situazione che riguarda operazioni in tempo di pace, situazione che però si trasforma in una situazione di tipo bellico (operazioni di guerriglia e controguerriglia) il personale si trova esposto a “maggiori rischi” di quanto è previsto per una ordinaria missione di pace (operazione in un ambiente bellico). Se poi oltre ad armi convenzionali vengono impiegati anche armi all’uranio impoverito questo fatto rappresenta un ulteriore fattore di straordinarietà. 12 Vedi in merito ad es. il caso del sergente Alessandro Teodori per il quale non è stato tenuto conto del fatto che egli svolgeva il compito di “capo del servizio di guardia” presso il deposito di munizioni di Cameri, deposito sul quale egli svolgeva attività di vigilanza nel modo più cogente che è quello, appunto, di effettuare servizio di guardia. 7 C) (ma vedi anche quanto stabilito dall’Adunanza del Consiglio di Stato, Sez. III, 4 maggio 2010), implica che sia disposta una equiparazione alle vittime del dovere dei pubblici dipendenti che “abbiano contratto infermità permanentemente invalidanti o alle quali consegua il decesso in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura, effettuate dentro o fuori dei confini nazionali e che siano riconosciuti dipendenti da causa di servizio per le particolari condizioni ambientali ed operative” . Si richiama anche il regolamento di cui al DPR 243/06, art. 1, comma 1, che precisa: “Per particolari condizioni ambientali e operative devono intendersi le condizioni comunque implicanti l’esistenza ed anche il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto”. In merito lo scrivente ribadisce, come sopra accennato, che nelle missioni di pace lo svolgimento ordinario dei compiti di istituto implica che non si spari. E quindi tutti quegli infortuni che vengono a dipendere dall’impiego di armamenti in attività di pace sono da considerarsi come eventi straordinari, in quanto, appunto, non previsti in tali situazioni. Da osservare inoltre, in merito alla stra-ordinarietà dei compiti che possono essere svolti dal personale, per quanto riguarda i poligoni, i militari VAM devono svolgere solo compiti di vigilanza aeroportuale, mentre invece sono stati gravati anche di compiti di raccolta bossoli (sgombero poligoni) che invece attengono al personale del Genio e perciò sono compiti non ordinari, ma straordinari. Nella normativa deve dunque essere chiarito quali siano da intendersi come “condizioni straordinarie”. Il Consiglio di Stato, nella suddetta Adunanza del 4 maggio 2010, precisa anche, come sopra accennato, circa la condizione di “vittime del dovere” che si deve accedere “ad una nuova e più ampia nozione di vittime del dovere rispetto a quella originaria prevista dalla L. 13 agosto 1980 n. 466, che risponde all’esigenza di comprendere tra le vittime e gli equiparati anche soggetti che, in ragione dei compiti e funzioni particolari, subiscono eventi lesivi non riconducibili alla violenza13. Per il citato caso del capitano Caruso si deve tener conto anche di quanto stabilisce la L. 466/1980 che, all’art. 3 recita: “Ai magistrati ordinari.....” “...agli appartenenti alle Forze armate dello Stato in servizio di ordine pubblico od i soccorso, i quali in attività di servizio, per diretto effetto di ferite o lesioni subite nelle circostanze ed alle condizioni di cui agli articoli 1 e 2 della presente legge, abbiano riportato una invalidità permanente non inferiore all’80 per cento della capacità lavorativa o che comporti comunque, la cessazione del rapporto di impiego, è concessa un’elargizione nella misura di lire 200 milioni”. Sempre in relazione al caso del capitano Caruso, c’è da tener presente che l’ufficiale aveva svolto operazioni di vigilanza ad infrastrutture in Somalia, tra cui la vigilanza all’ambasciata italiana a 13 Su quanto deve intendersi per violenza, occorrono dei precisi chiarimenti. Costituisce ad esempio in modo evidente una violenza l’essere esposto senza misure di protezione all’effetto alle armi all’uranio impoverito. 8 Mogadiscio e perciò avrebbe dovuto essere stato incluso per i risarcimenti nella categoria “vittime del dovere” . Inoltre il capitano aveva anche svolto operazioni di soccorso e di ordine pubblico. Tra l’altro l’operazione in Somalia era un’operazione di SOCCORSO UMANITARIO e quindi tutte le operazioni dei nostri militari erano da considerare come “operazioni di soccorso” (la L. 466/80, così come pure la 308/81, prevede che siano considerati come “vittime del dovere” coloro che siano stati coinvolti in gravi infortuni nei cui compiti sono comprese attività di vigilanza e di soccorso)14. Oltre al caso del capitano Caruso, potrei, tra molti altri, citare ad esempio (tanto per riferirmi a delle vicende di cui l’Anavafaf si sta occupando in questi giorni), anche i casi del signor Gianfranco Ariu e del militare Roberto Bonassina. Il caso Ariu riguarda un civile dipendente dal Ministero della Difesa che aveva operato nel Poligono di Capo Frasca, in Sardegna, ed è deceduto in seguito a tumore; il caso Bonassina riguarda un militare che aveva operato in Somalia ed è deceduto anch’egli in seguito a un tumore. In entrambi i casi, dato che si tratta di personale che si trovava “in permanenza di servizio” ed è stato colpito da tumore, doveva valere quanto stabilito dalla L. 308/81 appunto per i casi di decesso dovuti a tumore, cioè il conferimento del risarcimento della “speciale elargizione”. Ma vediamo più in dettaglio i due casi. Il signor Ariu era addetto al “deposito-officina” del poligono di Capo Frasca per la riparazione di sagome-bersaglio colpite da proiettili e quindi si trovava altamente esposto ad un’elevata concentrazione di particelle emanate dai proiettili (con la loro ossidazione), nel colpire i bersagli (o il terreno), particelle poi depositatesi in parte sui bersagli stessi. Il signor Ariu ha eseguito attività di vigilanza alle infrastrutture costituite dai bersagli in un poligono interforze (poligono dove operavano enti stranieri. Le infrastrutture da vigilare erano costituite dalle sagome-bersaglio di cui il signor Ariu doveva assicurare l’efficienza attraverso operazioni di ripristino. Ai familiari del signor Ariu avrebbero dovuto quindi essere stati conferiti i risarcimenti in base a quanto previsto da tutta la legislazione esistente (L. 308/81, L. 466/80, DPR 243/05, DPR 37/2009, ecc., v. nota 6). Esisteva come aggravante anche il fatto che l’Ariu aveva operato senza misure di protezione (in particolare da nanoparticelle) (v. D.L. 626/94)15 e quindi in violazione del principio di precauzione. Le particelle sono legate all’ossidazione di proiettili costruiti con metalli pesanti. 14 Ad esempio per il caso del maresciallo elicotterista di Marina, Giovanni Pilloni, che ha operato in Somalia e altri teatri e si è ammalato per un tumore, e a cui erano stati inizialmente negati i risarcimenti, è stato poi in seguito, ma solo dopo un preciso intervento di uno studio legale, riconosciuto lo status di “vittima del dovere”. Ma non dovrebbe essere necessario ricorrere ad interventi di studi legali! E molte persone non sono in grado di sostenerne le spese. 15 APPLICAZIONE DI NORME SANITARIE IN BASE AL D.L. 626/94 NEI POLIGONI. Nelle audizioni presso la Commissione Senatoriale del 18 ottobre 2005, esiste una indicazione agli utenti di non utilizzare materiale pericoloso (si parla dell’amianto e dell’uranio). Il sen. Forcieri chiede “come mai, nonostante le informazioni sulla dannosità degli effetti collaterali negativi derivanti dall’uso di certi materiali fossero noti, soltanto nel 2004, è stato imposto agli altri di non utilizzarli?”. In merito il colonnello Bertino replica affermando che il D.L. 626/94 “è stato recepito solo recentemente”. E’ una questione che dovrebbe essere analizzata a fondo per i risvolti che ha avuto sulla salute del personale. Per quanto riguarda le misure di precauzione, è di particolare interesse lo studio dell’Ing. Nucleare Massimo Zucchetti: “Uranio impoverito. Quadro normativo italiano e internazionale”. Da precisare che l’Ing. Zucchetti presiede anche il Comitato Italiano di scienziati contro la guerra ed è autore di vari altri studi riguardanti l’uranio impoverito sotto l’aspetto nucleare. 9 Il militare Bonassina in Somalia aveva eseguito, come del resto tutto il nostro personale in Somalia, operazioni di soccorso umanitario (distribuzione viveri agli abitanti), e anche operazioni di vigilanza delle infrastrutture (come ad es. i depositi di viveri, i presidi necessari per proteggere il percorso dei convogli, e inoltre la vigilanza e il servizio di guardia agli accampamenti). Quindi, in base a quanto stabilito dalle L. 308/81 (era morto di un tumore che era insorto “in permanenza di servizio”) doveva essere conferita la “speciale elargizione”16, e doveva essere assegnata la categoria di “vittime del dovere” (art. 5 della legge) in quanto aveva eseguito opera di vigilanza. Ciò anche in base a quanto stabilito dalla L. 466/80, art. 3, nonché dagli atti legislativi menzionati in precedenza (vedi nota n. 6). Tra l’altro il Bonassina aveva operato senza misure di protezione in un ambiente internazionale, ambiente in cui: a) i reparti degli Stati Uniti avevano impiegato carri armati Abrams e Bradley dotati di armamenti all’uranio impoverito, b) si erano verificati violentissimi scontri a fuoco con armi convenzionali, tali da causare oltre 10 mila morti. Nell’ambiente quindi erano presenti particelle di metalli pesanti, che presentano un rischio di tossicità chimica. E in conseguenza, in base alla normativa in vigore17 più sopra citata avrebbero dovuto essere stati conferiti ai familiari i risarcimenti previsti. 16 Per quanto riguarda il conferimento della “speciale elargizione” anche a personale che non sta adempiendo a un compito di servizio, citiamo ancora una volta la vicenda di Nassirya dove la “speciale elargizione” fu concessa anche a personale che si trovava a svolgere attività di igiene personale e vestizione e ciò in quanto questo personale si trovava comunque nella condizione di “in permanenza di servizio”. 17 Per maggior precisione, nei casi del signor Ariu e del militare Bonassina, i risarcimenti dovevano essere conferiti sia in base a quanto stabilisce la Legge Finanziaria 2008, art. 2, commi 78 e 79, per il personale esposto a nanoparticelle (da uranio impoverito e metalli pesanti) sia in base a quanto stabilito dalla L. 308/81, dato che si trovavano in “permanenza di servizio”. Sia il signor Ariu che il militare Bonassina hanno operato senza alcuna misura di protezione e inoltre si trovavano nella condizione di “in permanenza di servizio”, condizione per la quale la L. 308/81 stabilisce il conferimento della “speciale elargizione” nei casi di infortunio grave come il tumore (vedi tabella A e B allegate alla legge). Quindi anche sotto questo profilo legislativo avrebbero dovuti essere stati conferiti i risarcimenti previsti. Come sopra ricordato il militare deve essere sempre disponibile in base al regolamento di disciplina DPR 545/86. Anche in una recente sentenza del Tribunale di Genova del 15 febbraio 2011(NRG 2367/2010, sentenza n. 90/11) è chiarito che il militare è da considerarsi in servizio 24 ore su 24 (e cioè si trova sempre “in permanenza di servizio”). Per quanto riguarda il signor Ariu, in base alla L. 466/80, dato che egli ha svolto un’attività di vigilanza sulle sagome usate come bersaglio (le sagome sono un’infrastruttura basilare per il funzionamento del poligono) e anche per questa ragione avrebbero dovuto essere stati conferiti i risarcimenti. Peraltro i risarcimenti avrebbero dovuto essere conferiti anche per quanto stabilito dalla L. n. 266/2005, dato che l’Ariu operava in un poligono di interesse internazionale. In merito alla questione delle aree di interesse internazionale, va precisato che in quelle aree non si può escludere l’impiego di uranio impoverito, dato che gli enti stranieri che operano nei poligoni di interesse internazionale sono esenti da controllo esterno. (Infatti basta che presentino un documento di “autocertificazione”). E inoltre la “bonifica” delle zone colpite è affidata agli stessi enti (stranieri) che hanno effettuato la sperimentazione e quindi non comporta la possibilità di un controllo da parte italiana. Nella suddetta legge 266/05, al comma 563, si legge che: “Per vittime del dovere “devono intendersi i soggetti di cui all’articolo 3 della legge 13 agosto 1980, n. 466 ) tra il personale che deve essere risarcito è quello che effettua (comma c della legge) vigilanza ad infrastrutture civili e militari”. Inoltre occorre considerare (e ciò viene spesso dimenticato) che nei poligoni avvengono periodicamente operazioni di brillamento (operazioni dette “Vulcano”) nelle quali una grandissima quantità di proiettili e residuati di armamenti viene fatto esplodere con delle apposite cariche. Queste operazioni generano un’altissima colonna di fumo che poi si rideposita nell’area circostante con gravi problemi di inquinamento. Nonostante varie interrogazioni parlamentari (vedi ad es. l’interrogazione dell’on. Tonino Loddo n. 4/3317 del 20/12/2000) nulla è stato fatto per proteggere il personale. Le operazioni di brillamento, peraltro avvengono anche nelle attività svolte all’estero. Ciò è testimoniato da un filmato di Rainews 24 del 27 Aprile 2002. 10 C’è da precisare che senza misure di protezione ha operato in Somalia tutto il personale ivi inviato (vedi anche i casi Marica, Bonassina, Renna, Adduci, Pizzamiglio, D’Alicandro, Taccardi, Marini, D.S., e molti altri). Per inciso anche nella guerra del Golfo si erano registrati gravi casi di tumore (casi Maramarco, Dionisi, Ceccarini, Del Vecchio). Da precisare che per la mancata adozione di misure di protezione in Somalia (in relazione al caso del paracadutista G.B. Marica) il Tribunale di Firenze ritenne che la non applicazione del principio di precauzione costituisse un reato (v. sentenza del 17.12.2008). Con tale sentenza venne chiesta al Ministero della Difesa una riparazione di danni di 545 mila euro. Anche il Tribunale Civile di Roma ha confermato la doverosità di riparazione dei danni per mancata adozione di misure di protezione18. E’ doveroso tener presente che il Comandante di un reparto ha l’obbligo di proteggere per quanto possibile il personale dipendente. Questo è un suo preciso compito. In caso di non adempimento del compito, il comandante incorre in quanto stabilito dal Codice Penale Militare di Pace, art. 11719. Per quanto riguarda il militare Bonassina, le operazioni in Somalia si sono svolte in un quadro internazionale. In Somalia erano infatti presenti forze di numerosissimi paesi partecipanti alla UNUSOM. Il contesto internazionale è stato citato nella normativa in vigore. 18 Circa la mancata adozione di misure di precauzione, così si è espresso il Tribunale Civile di Roma nel caso verificatosi in Bosnia del militare Alberto Di Raimondo (sentenza 10413 del 20 novembre - 1 dicembre 2009). “In definitiva sussistono tutti i requisiti per configurare una responsabilità del Ministero della Difesa ex art 2043 c.c. per aver colposamente omesso di adottare tutte le opportune cautele atte a tutelare i propri soldati dalle conseguenze dell'utilizzo dell'uranio impoverito. Sul punto non esclude la configurabilità dell’illecito aquiliano la circostanza che il D. R. (ci si riferisce al militare Alberto Di Raimondo, n.d.r.)., recandosi in zona di guerra, fosse a conoscenza dei rischi per la propria incolumità fisica, trattandosi, ovviamente, di missione comunque pericolosa. Infatti, il discorso avrebbe in linea di massima una sua valenza se, ma anche in questa ipotesi occorrerebbe una valutazione caso per caso, le lesioni personali subite dal militare fossero connaturate al rischio tipico della missione, vale a dire il ferimento o la morte in combattimento o per attentato di guerra, o comunque, connesse a fatti ed eventi noti al militare e di cui lo stesso, volontario, assume consapevolmente il rischio. Nella fattispecie, invece, il fatto è pacifico, il D.R. non era stato adeguatamente messo al corrente ed informato di tutti i rischi della missione, in particolare del fatto di dover operare in zona caratterizzata dalla presenza di uranio impoverito e, peraltro, questa specifica violazione dell’obbligo di informazione aggrava ulteriormente la posizione dei ministeri convenuti”. 19 L’articolo 117 (Omessa esecuzione di un incarico) recita: “Il comandante di una forza militare, che, senza giustificato motivo, non esegue l'incarico affidatogli, é punito con la reclusione militare fino a tre anni. La condanna importa la rimozione. Se l’incarico non è eseguito per negligenza, la pena è della reclusione militare fino a un anno”. Per quanto riguarda la delicata materia delle responsabilità nella protezione della salute dei militari, è doveroso tener presente il D.L. 1 del 2010 (PDL N. 3097) con cui il 1° gennaio 2010 il governo ha rifi nanziato le missioni internazionali cosiddette di “Peace-Keeping”. In particolare è di interesse il comma 4 dell’articolo 9. Va tenuto presente in proposito che con il provvedimento (DL 152/09) sono state approvate norme che, di fatto, hanno sostanzialmente modificato gli aspetti penali delle responsabilità militari. Ora, con questa norma “ad personam” si vuole evitare la possibilità che vengano rivolte accuse per inquinamento ambientale. Il comma in questione stabilisce che “Non è punibile a titolo di colpa per violazione di disposizioni in materia di tutela dell’ambiente e tutela della salute e della sicurezza dei luoghi di lavoro, in relazione alle peculiarità organizzative di cui all’art. 2, comma 2, del DL 9 aprile 2008, n. 81, e all’articolo 184, comma 5-bis, del DL 3 aprile 2006 n. 152, per fatti commessi nell’espletamento del servizio connesso ad attività operative o addestrative svolte nel corso di missioni internazionali, il militare dal quale non poteva esigersi un comportamento diverso da quello tenuto, avuto riguardo alle competenze, ai poteri e ai mezzi di cui disponeva, in relazione ai compiti affidatigli”. 11 Forse è opportuno a questo riguardo formulare alcune considerazioni circa i doveri dei Comandanti in fatto di tutela della salute dei dipendenti. Tali obblighi concernono anche la necessità di far conoscere e mettere in atto le eventuali precauzioni necessarie20. Per quanto concerne le valutazioni da parte dei tribunali, una valutazione diversa, rispetto a quella precedentemente citata si è avuta per il caso del militare Salvatore Vacca. Il militare è deceduto dopo aver operato in Bosnia senza misure di protezione. In questa sentenza non viene riconosciuta una correlazione diretta tra l’insorgere dei tumori e l’uranio impoverito. Si può osservare in merito che il principio di precauzione dovrebbe essere applicato anche solo quando si ha il sospetto dell’esistenza di un rischio. Infatti i reparti Usa in Bosnia, operanti insieme ai nostri, avevano adottato le misure di precauzione. E’ anche da tener presente che in Bosnia le armi all’uranio impoverito erano state gettate da aerei della Nato decollati dalle basi di Aviano e Gioia del Colle, basi sotto il comando italiano. Risultò che erano stati gettati sul suolo 10 mila proiettili. E purtroppo le squadre NBC italiane non si erano accorte della presenza dei proiettili per insufficiente capacità di localizzazione dei proiettili stessi. Comunque negli atti giudizi si legge quando segue: “Con ordinanza, in data 26.09.2005, il Gip presso il Tribunale di Cagliari ha disposto l'archiviazione del procedimento iscritto nei confronti di ignoti per il reato di cui all'art. 589 c.p., a seguito di opposizione alla relativa richiesta del P.M. depositata dalle parti offese V. C. e S. P. La vicenda riguarda la morte del militare italiano V. S. che aveva prestato servizio in Bosnia da addebitarsi, secondo le denunce presentate dai suoi stretti parenti, alla contaminazione da uranio impoverito durante la sua permanenza in quel luogo. Le indagini svolte dal P.M., e sollecitate dal Gip, sono state finalizzate, anche a mezzo di consulenze tecniche, alla verifica: a) della effettiva esposizione del V. alla contaminazione da uranio impoverito; b) e, in caso affermativo, della esistenza del nesso causale tra il decesso del militare e la suddetta esposizione. All'esito di tali attività investigative, il Gip ha concluso, quanto alla verifica del punto a), "Alla luce di tali risultanze non è, dunque, possibile affermare, se non in via meramente congetturale, l'avvenuta partecipazione del militare a missioni che ne abbiano comportato l'effettiva esposizione a radiazioni da uranio impoverito. D'altro canto i vertici dell'amministrazione militare, unica istituzione in grado di fornire maggiori dettagli sul punto, hanno trasmesso informazioni e documenti ufficiali il cui contenuto non lascia intravedere spazi per possibili ulteriori contributi conoscitivi in tale direzione"; e, quanto al punto b), "?è comunque assai dubbia la possibilità di La problematica dei risarcimenti riguarda, come è ovvio, anche il suolo nazionale, in particolare luoghi come poligoni, depositi e officine. Numerosissimi sono stati i casi di gravi infermità verificatesi nei poligoni. Possiamo citare ad esempio quelli dei militari Pintus, Serra, Faedda, Bonincontro Ledda, Cappellano,Cardia, Vargiu, Atzeri, Pisani (peraltro un caso sospetto si era già verificato nel 1977 – il caso Michelini). Una buona parte di questo personale ha operato a mani nude (e senza alcuna altra protezione) nelle operazioni di sgombero dei poligoni. Nel poligono sono presenti particelle di metalli pesanti la cui tossicità chimica è nota (ma bisogna sempre tener conto delle dosi). In proposito, possiamo menzionare vari articoli di stampa che hanno sottolineato questa situazione. Si legge ad esempio, su “Metro” del 2 dicembre 2003: “Il generale: con l’uranio a mani nude”; sull’ “Unione Sarda” dell’11 marzo 2004: “Drammatica denuncia di un militare: quei proiettili raccolti a mani nude”; su “Il Sardegna” del 3 aprile 2007: “Bossoli raccolti a mani nude – Riflettori puntati su Capo Frasca”; su “Friuli News Paper 2007”: “Naia di morte al poligono Dandolo. Militari di leva usati come ‘cavie’ con il compito di bonificare gli ordigni all’uranio impoverito”. 20 Vedi il già citato telegramma al Ministro della Difesa. 12 individuare precise condotte omissive e responsabilità penalmente rilevanti nella vicenda in esame laddove si tenga conto dell'assenza, almeno all'epoca del decesso del V., di conoscenze di dati certi che, a livello scientifico - epidemiologico in ambito NATO, affermassero univocamente una diretta correlazione fra lo sviluppo dei tumori e l'esposizione alle radiazioni dell'uranio impoverito" e, quindi, "?si vede come le incertezze (n.d.r.: con riferimento alla giurisprudenza di questa Corte in ordine ai principi giuridici che sottendono al rapporto di causalità nel reato colposo omissivo improprio) emerse sia sul piano fattuale che sotto il profilo epidemiologico, in ordine alla possibilità di individuare un nesso causale prevalente ed esclusivo fra la contaminazione da uranio impoverito ed il decesso di S. V., impediscono in radice di sostenere che la condotta colposa omissiva impropria dei rappresentanti di vertice dell'Amministrazione Militare e del Ministero della Difesa abbia potuto avere un'efficacia condizionante nella produzione dell'evento". Hanno proposto ricorso per Cassazione, a mezzo dell'avv. F. L., V. G., S. P., V. C. e V. C. chiedendo l'annullamento della impugnata ordinanza con rinvio al Gip presso il Tribunale di Cagliari. Con parere scritto il Procuratore Generale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso non ricorrendone le condizioni previste dall'art. 409 c.p.p..” Tornando alla questione delle disposizioni normative italiane sulla sicurezza e salute del personale è bene ricordare che le leggi 626/94, e l'art. 1 della 277/91 stabiliscono le responsabilità della antinfortunistica anche in ambito militare. Le Forze Armate sono del resto destinatarie anche degli obblighi stabiliti dall'art. 2087 c.c., come previsto dall'art. I della Legge 25 del 18/2/1997. Anche la Cassazione si è espressa in merito21. Occorre inoltre chiarire il profilo delle responsabilità di chi non ha reso note le norme di protezione a coloro che operavano in zone possibilmente contaminate dagli effetti dell'uranio impoverito. In merito si è pronunciata la Cassazione22. E’ inoltre opportuno precisare quanto è stabilito in fatto di responsabilità sia da parte del Codice Penale Militare di Guerra, sia da parte del Codice Militare di Pace, dato che il personale in alcune missioni ha operato secondo il Codice di Pace, in altre secondo il Codice di Guerra. Il regolamento di disciplina23, mette in rilievo il dovere dei Comandi di garantire il massimo possibile di protezione agli uomini che operano ai loro ordini. Sulla questione dell’adozione del codice (il codice di guerra e il codice di pace) e sulla carenza di strumenti legislativi appropriati, si è 21 "In caso di infortunio mortale sul lavoro occorso nell'ambito di uno stabilimento militare, i vertici di tale stabilimento possono esser chiamati a rispondere del delitti di omicidio al pari di ogni altro dirigente di uno stabilimento industriale, in quanto anche nell'ambito di strutture militari vige l'obbligo del rispetto della normativa antinfortunistica" (Cass. Pen. sez. IV, 14/5/2002, n. 34345). 22 "In tema di responsabilità colposa per violazione di norme prevenzionali, la circostanza che la condotta antidoverosa, per effetto di nuove conoscenze tecniche e scientifiche, risulti nel momento del giudizio produttiva di un evento lesivo, non conosciuto quale sua possibile implicazione nel momento in cui è stata tenuta, non esclude la sussistenza del nesso causale e dell'elemento soggettivo del reato sotto il profilo della prevedibilità, quando l'evento verificatosi offenda lo stesso bene alla cui tutela avrebbe dovuto indirizzarsi il comportamento richiesto dalla norma, e risulti che detto comportamento avrebbe evitato anche la lesione in concreto attuata" (Cass. pen. sez. IV, 11/7/2002, n. 988). 23 L’art. 21 del Regolamento di disciplina menziona tra i doveri del superiore quello di “assicurare il rispetto delle norme di sicurezza e di prevenzione per salvaguardare l’integrità fisica dei dipendenti”. 13 espresso il Generale Bruno Loi, che è stato al Comando della forza italiana in Somalia, con riferimento alle operazioni condotte in quel teatro. Il generale Bruno Loi nel libro dal titolo Peace Keeping: pace o guerra? (Vallecchi 2005, p. 176). ha scritto: “Abbiamo operato con strumenti giuridico-legislativi inadeguati al tipo di missione”. In Somalia, come per tutte le altre operazioni del genere condotte fino al 2001 dalle forze armate italiane, la legislazione di riferimento è stata quella nazionale e si è applicato il codice penale militare di pace, che è quello che vige anche per i reati militari COMMESSI NELL’ORDINARIA VITA DI GUARNIGIONE IN PATRIA (sottolineature mie, ndr). Le motivazioni erano molteplici, alcune fondate, altre speciose. Tra queste ultime la tesi che l’applicazione di norme scritte per la guerra non sia compatibile con la natura delle operazioni cosiddette “di pace” fingendo di ignorare che le concrete condizioni di svolgimento delle attività operative proprie di tali missioni erano e sono assai simili a quelle proprie dei conflitti armati. Dunque siamo sempre stati in carenza di strumenti legislativi e giuridici idonei alla particolare fattispecie, lasciando nel vago e nell’indeterminato un settore di tanta importanza e delicatezza. E non è stata cosa priva di conseguenze sul campo, per la gestione disciplinare e giuridica dei singoli e delle unità, giacché ha spesso messo l’intera catena di comando nella necessità di adattare, interpretare, conciliare, mediare ecc. norme, dottrina e regolamenti. Il che non era di sua competenza”. In relazione a quanto ha scritto il generale Loi è da tener presente ciò che si legge nel DPR 243/06 circa la questione delle condizioni ambientali e operative. Nel DPR 243 si precisa appunto che (e ne abbiamo fatto cenno in precedenza) per particolari condizioni ambientali operative devono intendersi “le condizioni comunque implicanti l’esistenza ed anche il sopraggiungere di circostanze straordinarie, fatti di servizio, che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi e fatiche in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto”. In una missione di pace (in cui si adotta il codice di pace) non è previsto, come prima accennato, che si svolgano combattimenti24. E’ ovvio che se nelle missioni di pace e di soccorso umanitario si verificano operazioni a fuoco (e per di più se si è in presenza di armamento all’uranio) ci troviamo, come in precedenza accennato, in condizioni straordinarie rispetto a quanto previsto in una situazione di pace. Possiamo ricordare come si espresse su questa tematica Ettore Gallo, presidente sulla Commissione d’inchiesta sui fatti della Somalia, nell’audizione presso la Commissione difesa della Camera dei Deputati del 3 giugno 1998. “Ai nostri militari era stato detto che andavano a compiere un’azione umanitaria”... “ma poi si sono trovati in mezzo alla guerriglia ...” ....”si sono visti sparare addosso e sono diventati combattenti anche loro assumendo un habitus diverso da quello strettamente umanitario“25. 24 Da tener presente che in situazione di guerra, dove vige il Codice penale militare di guerra, a differenza di ciò che accade nella situazione di pace, per i parenti delle vittime si prevedono, in caso di infortunio particolari trattamenti risarcitori (trattamento delle vedove di guerra, degli orfani di guerra, ecc.). 25 Circa questi avvenimenti, in operazioni come quelle effettuate in Somalia, ha scritto il paracadutista G.B. Marica (lettera allo scrivente del 27 febbraio 2001 – v. allegato): “In Somalia io ho partecipato alla missione 14 Se si parte dal fatto che la Legge 626/94 sopra nominata sia valida anche in 'ambito militare, l'incarico dei comandanti di garantire sicurezza agli uomini loro affidatigli è un incarico che deve essere espletato con il massimo rigore e impegno. In mancanza di espletamento come si è detto in precedenza vige l'Art. 117 del Codice Penale Militare di Pace. In relazione al caso del Sig. Ariu si legge, in un documento di Previmil del 3.1.2011, che “il Comitato di Verifica ha negato la dipendenza del tumore da nanoparticelle. E di conseguenza Previmil ha negato i risarcimenti. C’è da chiedersi su quale base è stata negata la dipendenza dei risarcimenti dalle nanoparticelle dato che il signor Ariu stato lungamente esposto alle particelle accumulatesi sulle sagome di bersagli da riparare. A parere dello scrivente dunque i risarcimenti avrebbero dovuto essere stati conferiti agli aventi diritto (cioè ai familiari dell’Ariu). Occorre quindi rivedere cosa debba intendersi con la dizione “legame di dipendenza”. Vi è infatti una differenza esistente tra le valutazioni in merito formulate dal Comitato di Verifica e le decisioni, circa i risarcimenti, prese da Previmil26, tra la “visione” del Comitato e quella di vari Tribunali civili. E di conseguenza occorre una revisione del citato DPR 461/2001. Tra l’altro questo DPR fa riferimento a situazioni risarcitive come quelle dell’”equo indennizzo” e del “trattamento pensionistico”, (tematiche che riguardano la competenza della Corte dei Conti) e non fa riferimento alla “speciale elargizione” (tematica che riguarda invece l’ambito di competenza del Ministero della Difesa). Dunque una valutazione del Comitato di Verifica sulla condizione per la quale deve essere concessa la “speciale elargizione”, sembra porsi al di là dei compiti dello stesso Comitato. Quanto sopra è da tener presente per evitare che possano essere prese da parte di Previmil decisioni di con un incarico operativo e a molti check point in quartieri a rischio, ma soprattutto partecipai ad una missione dove con il mio plotone comandato dal tenente Passalacqua e il S.M. Togni dovevamo circondare il quartiere e impedire la fuga da parte degli abitanti comandati da Aidid, in quanto gli Americani bombardavano questa zona con i C-130 e gli elicotteri d’assalto Cobra. Voglio sottolineare che questi bombardamenti avvenivano a circa un chilometro da noi e che abbiamo continuato ad operare per almeno un mese in questa zona. Visto che a causa dei problemi sopra citati non posso più esercitare lavori faticosi (come segnalato nel libretto di lavoro) e che non percepisco nessuna pensione, vorrei sapere se il mio caso possa essere legato all’uranio impoverito considerando il fatto che gli USA avevano in dotazione armi all’uranio e che il territorio somalo non è mai stato esaminato per negare l’uso delle stesse”. 26 La questione riguarda il fatto se il Comitato di Verifica nel decidere per un sì o per un no in merito alla causa di servizio, è determinante o meno per la concessione dei risarcimenti. In particolare l’art. 2 parla della “criteriologia medico-legale in tema di riconoscimento della causa di servizio sulla base della recente normativa” in materia di trattamento pensionistico di privilegio nonché dell’appartenenza della tabella A) e della tabella B) annesse, al Decreto della Presidenza della Repubblica, 30 dicembre 1981 n. 834 e successive modifiche. Ma le sue valutazioni non sembra che possano condizionare l’assegnazione o meno della speciale elargizione che non è necessariamente dipendente, come già ricordato più volte in precedenza, dall’esistenza o meno della causa di servizio, in base a quanto stabilito dalla L: 308/81! (La L. 308/81 condiziona il conferimento della speciale elargizione alla esistenza dello status di “permanenza in servizio”. E’ bene notare in merito che oltre al DPR 461/2001 occorre anche tener conto del DL 295/11990 e del DL 157/1997 per quanto riguarda gli accertamenti sanitari. Da ritenere, come in precedenza accennato, che è del tutto inaccettabile ciò che si afferma nelle disposizioni normative concedendo un tempo di soli 10 giorni per formulare delle controdeduzioni a quanto decretato. Per effettuare queste controdeduzioni può essere necessario molto più tempo, infatti spesso bisogna andare a rintracciare dati non noti, ricercare testimoni, ricercare disposizioni legislative, ecc.. Per fare ciò può occorrere magari più di un mese e quindi questo limite di 10 giorni è del tutto inaccettabile e dovrebbe essere modificato (stabilendo magari un termine di tre mesi). 15 diniego dei risarcimenti, che risultino errate (vedi il caso del capitano Caruso). Come sopra ricordato la L. 308/81 prevede che il risarcimento della “speciale elargizione” debba essere conferito non solo se esiste la condizione della “causa di servizio”, ma anche se esiste la più ampia condizione di “in permanenza di servizio”. Quindi il fatto che non sussista la “causa di servizio”, non è affatto determinante per la concessione del risarcimento. Una questione che deve finalmente essere chiarita in modo inequivocabile! (e con un particolare riferimento al fatto che il militare è da considerare in servizio 24 ore su 24). E’ doveroso ricordare inoltre, come sopra precisato, che per i tumori vige un legame “probabilistico” tra causa ed effetto e nella giurisprudenza civile, per il caso dei tumori (in particolare in riferimento ai risarcimenti dovuti) è sufficiente l’esistenza del suddetto tipo di legame probabilistico27 come in precedenza ricordato. Vi è dunque un diverso orientamento tra il Comitato di Verifica, dipendente dal Ministero dell’Economia, che richiede necessario un legame di certezza, e la Giurisprudenza civile, per la quale è sufficiente l’esistenza di un legame probabilistico. Una differenza che, da lungo tempo l’Anavafaf ha cercato inutilmente di far presente agli Enti competenti e che esige finalmente un chiarimento perché ha portato alla ingiusta esclusione dai risarcimenti di un elevatissimo numero di vittime. *** 27 Secondo una deliberazione del TAR Marche “non è necessario che la correlazione tra servizio ed infermità risulti estrinsecamente dimostrata, ma è sufficiente che il rapporto eziologico sia desumibile con apprezzabile grado di probabilità, nel qual caso l'incidenza deve essere risolta senz'altro in senso più favorevole al dipendente". Se infatti è vero che ancora non è stato dimostrato scientificamente un nesso causale indiscutibile tra Uranio e tumori, è vero anche che in molte sentenze la Suprema Corte ha affermato che ai fini della sussistenza del rapporto di causalità, è sufficiente che l'effetto (evento tumore) consegua dalla causa (lavoro) in termini di "probabilità" (cfr. C.C. sez. lav. n. 1573 del 18.02.1994; C.P. sez. IV n. 3567 del 20.03.2000; C.C. sez. lav. n.12909 del 29.092000). Dette sentenze non fanno altro che riaffermare il principio della teoria condizionalistica orientata sotto il modello della sussunzione sotto leggi scientifiche: trattasi del metodo individualizzante che basa l'accertamento del rapporto di causalità su accadimenti singoli e concreti, non importa se unici o riproducibili in futuro". Nella sentenza n. 1287 del 30 ottobre 2003 del Tar Marche, si legge nell’abstract: “Al fine di accertare la sussistenza del nesso di causalità, o quanto meno di concausalità, anche per le infermità di natura endogeno-costituzionale e degenerativa, l’entità e le circostanze del servizio prestato dal dipendente pubblico (nel caso che ricorre: del Ministero della difesa) possono avere agito come fattori esterni determinanti, capaci di rivelare l’infermità medesima o di provocarne l’aggravamento, per cui non è necessario che la correlazione tra servizio ed infermità risulti estrinsecamente dimostrata, ma è sufficiente che il rapporto eziologico sia desumibile con apprezzabile grado di probabilità, nel qual caso l’incidenza deve essere risolta in senso più favorevole al dipendente”. In una deliberazione della Cass. Civ., Sez. Lavoro, 12/05/2004, n. 9056 (fonte: Mass. Giur. It., 2004, CED Cassazione, 2004 – Riferimenti normativi: DPR 30/06/1965 n. 1124 art. 3, L. 27/12/1975, n. 780, art. 4) relativa al tema “Infortuni sul lavoro” (requisiti e nesso causale) si legge: “Nel caso di malattia ad eziologia multifattoriale, il nesso di causalità relativo all’origine professionale della malattia non può essere oggetto di semplici presunzioni tratte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma necessita di una concreta e specifica dimostrazione, e se, questa può essere data anche in termini di probabilità sulla base delle particolarità della fattispecie (essendo impossibile, nella maggior parte dei casi, ottenere la certezza dell’eziologia) è necessario pur sempre che si tratti di “probabilità qualificata”, da verificarsi attraverso ulteriori elementi (come ad esempio i dati epidemiologici), idonei a tradurre la conclusione probabilistica in certezza giudiziale”. 16 Ho ritenuto opportuno formulare le considerazioni di cui sopra, per chiarire alcuni aspetti rilevanti concernenti i risarcimenti. Si tratta di problematiche che vengono chiamate in causa nei commenti seguenti. Nel formulare dei commenti in rapporto ad alcune audizioni (altri commenti, già in precedenza, sono stati inviati alla Commissione Senatoriale), lo scrivente ritiene di dover iniziare con l’audizione del colonnello Roberto Rossetti, in quanto esemplificativa di posizioni molto radicali, posizioni che incidono sulla stessa esistenza della problematica dell’uranio impoverito e quindi, addirittura, sull’opportunità di istituire delle Commissioni di Indagine, sia nell’ambito del Ministero della Difesa (come quella che venne presieduta dal Prof. Mandelli), sia nell’ambito parlamentare. Infatti se l’uranio impoverito è innocuo non vi è motivo di porsi il problema dei danni che può provocare (e quindi dei risarcimenti) e in conclusione, sotto questo riguardo, non è più necessario nemmeno istituire delle commissioni di indagine! Circa la non pericolosità dell’uranio impoverito del resto questa è stata asserita anche da parte di altre persone. Ad esempio il Prof. Nobile, di cui si legge in proposito, nel Comunicato AGI del 2 marzo 2002 dal titolo “Uranio impoverito – Lega Tumori – nessun effetto sulle persone: i paventati danni dell’uranio impoverito sull’uomo e sull’ambiente si sono rivelati praticamente inesistenti”. In modo similare al Prof. Nobile si è espresso il maresciallo Domenico Leggiero dell’Osservatorio Militare, in un Comunicato AGI del 5 febbraio 2002 dal titolo “Osservatorio: militari morti per vaccini e non per uranio. I decessi per leucemia dei soldati italiani sarebbero stati procurati da vaccinazioni selvagge e non da uranio impoverito”. Da quanto riportato in un articolo su “La Stampa” del 3/8/2004, questa sembra sia anche la posizione della dottoressa Antonietta Gatti, consulente del Ministero della Difesa. La titolazione dell’articolo è la seguente: “Il killer dei Balcani non è l’uranio impoverito. Una scienziata di Modena: i 25 soldati morti per cocktail di bombe”. Quanto sopra, tenendo conto del fatto che il colonnello Rossetti sostiene che si continua a fare un processo senza che ci sia un delitto. In sostanza mi sembra che affermi che l’uranio impoverito non presenti alcun rischio e in questo caso non c’è neppure da porsi il problema di una relazione di causa-effetto (e ciò: per “mancanza di causa”). Di conseguenza è superflua ogni discussione in merito. Vorrei premettere ancora che molte delle osservazioni di seguito riportate in merito all’audizione del col. Rossetti sono pertinenti anche al contenuto di altre audizioni. AUDIZIONE DEL COLONNELLO ROBERTO ROSSETTI Il colonnello riferisce a proposito di possibili danni dovuti all’esposizione del personale all’uranio impoverito. 17 Ma prima di andare oltre credo che occorra chiarire cosa si debba intendere con i termini “personale esposto” e “esposizione” e che cosa si debba intendere per “relazione causaeffetto”. Il colonnello Rossetti non precisa se, quando ci parla di “esposizione”, ciò si riferisce: a) al rischio chimico, dato che i metalli pesanti usati nei proiettili comportano una tossicità chimica. (qualcosa di simile, credo, a quello che viene chiamato l’effetto delle “nanoparticelle” di metalli pesanti); b) ai due rischi: chimico e radiologico28 propri dell’uranio impoverito; c) al personale “esposto”. E ciò in quanto vi è personale esposto che non indossa alcuna misura di protezione e vi è personale esposto che invece indossa misure di protezione. Infatti se il personale indossa misure adeguate di protezione, il rischio si riduce a bassissimi livelli (naturalmente ciò non accade se si adottano misure parziali o misure protettive non idonee. Queste misure riguardano in particolare, i filtri e il tessuto delle tute). Comunque non si può non tener conto dell’esistenza di una rilevantissima differenza tra personale che non adotta le misure e personale che adotta le misure stesse29. d) a quale “tasso” di esposizione ci si riferisce. Vi è infatti da considerare il problema delle dosi30. Ma vi è anche il problema riguardante il fatto se l’esposizione si riferisce a una persona che si trova in una situazione in cui il metallo è presente in una “condizione STATICA”, oppure se si riferisce ad una situazione in cui il metallo è presente in una “condizione DINAMICA” (questa condizione si manifesta ad esempio nel maneggio di un proiettile, oppure nell’urto di un proiettile 28 Per quanto riguarda il rischio radiologico, questo concerne in modo particolare i raggi alfa. A questo riguardo può essere utile il contributo della fisica nucleare che dispone in merito delle opportune conoscenze e tecnologie. Potrebbe essere richiesto un parere ufficiale al Capo dell’Istituto di Fisica Nucleare. Un contributo alla questione si è offerto a fornirlo il Prof. Evandro Lodi Rizzini (v. e-mail [email protected] del 24/02/11). In relazione a ciò lo scrivente ha scritto alla Commissione Senatoriale in data 14 gennaio 2011). Per quanto riguarda i pareri del Prof. Lodi Rizzini, vedi l’intervista della dott.ssa Marilina Veca al fisico nucleare su “Il giornale dei Carabinieri”, intervista inviata dallo scrivente alla Commissione Senatoriale. In proposito è da ricordare che la dott.ssa Marilina Veca è autrice di numerosissimi scritti sull’uranio impoverito e in particolare è un’approfondita conoscitrice della situazione che si è prodotta nei Balcani in seguito ai bombardamenti con uranio impoverito. Sulla questione dei Balcani la dott.ssa Veca ha consegnato alla Commissione Senatoriale un’estesa relazione. 29 Per quanto riguarda i filtri, c’è da tener conto in particolare delle caratteristiche tecniche delle maschere. In merito è stato osservato dal tecnico Gianluca Bolzonella (comunicazione allo scrivente), che “Una protezione delle vie respiratorie classe FFP3D (collaudata con Dolomia ED AEROSOL NaCI) non è sufficiente a filtrare il Nano Particolato. Il filtro NBC nato a corredo della “Full Face Mask” dell’E.I. (maschera NBC della Nato) è di classe A2B2 P3 – dati asseriti dalla D.P.I. srl di Roma. Quindi non protegge da: 1) gas acidi – categoria “E”; 2) gas ammonicali e derivati – categoria “K”; 3) vapori di mercurio – classe “HG”; 4) neanche dall’ossido di carbonio – classe “CO”; 5) neanche dall’ossido di azoto – gas esilarante – classe “NO”; 6) neanche dallo iodio radioattivo e iodometano e methiljodio – classe “REACTOR P3”. Filtra il particolato <0.2 micron (certificato ITALCERT) e non protegge dal nanoparticolato generato da deflagrazione di munizionamento balistico al (DU) nell’impatto con acciaio balistico di corazzati e opere in acciaio: “serve l’autorespiratore”. 30 Nel 2002 il Ministero dell’Ambiente attraverso il Comitato di Monitoraggio e attraverso la Commissione tecnico-scientifica (installata dal Ministero stesso nel 2002) “Per il contributo italiano al monitoraggio dell’inquinamento chimico, fisico e radiattivo dell’area balcanica”. 18 con una superficie solida. In entrambe tali situazioni insorge un fenomeno di attrito e si creano rischi per via del formarsi di particelle di ossido di uranio. Per quanto riguarda la questione del personale esposto è bene precisare che “ogni caso è un caso a sé” e cioè che le “esposizioni” non sono tutte uguali tra loro e quindi non si può generalizzare. Occorre perciò conoscere la “storia espositiva” relativa ad ogni singolo caso31. Del resto il problema delle dosi ingerite non riguarda ovviamente solo una questione come quella delle particelle dell’uranio impoverito e dei metalli pesanti”! E’ una questione di carattere ben più generale, valida in tanti campi. Infatti, ad esempio, ingerire un grammo di arsenico non è la stessa cosa che ingerire un chilogrammo di arsenico! Una piccolissima dose di uranio impoverito ha scarse probabilità di recare danni, così non è invece per una dose rilevante32. In particolare va chiarito che non corre lo stesso rischio, ad esempio chi: 1) si trova, come sopra accennato, ad operare adottando le misure di protezione apposite (maschere con filtri adeguati33, occhiali, tute fitte antiradiazione, guanti, sovrascarpe) e chi si trova ad operare senza misure di protezione (e che quindi si trova ad es. a maneggiare a mani nude un proiettile, magari coperto di ossido, e chi invece lo prende con le pinze34. Da osservare che 31 Per un’analisi accurata, occorre conoscere la “storia espositiva” dei singoli casi. Tale “storia espositiva” per i singoli casi è ricavabile dalla “storia del reparto” a cui è appartenuta la vittima. La “storia del reparto” contiene precise indicazioni sulle operazioni giornaliere compiute dal personale dipendente da un Comando durante l’impiego nel teatro delle operazioni. Tali attività sono precisate negli “ordini del giorno” che indicano quale è l’attività giornaliera svolta dagli appartenenti al reparto. Questa analisi avrebbe già dovuto essere stata svolta da parte della Commissione Mandelli. Tra l’altro la Commissione ha considerato come esposto anche magari chi è stato in missione in un teatro operativo per un solo giorno e non si è trovato nemmeno in vicinanza di un obiettivo colpito. Ad esempio chi ha eseguito una missione di volo nell’arco di una giornata partendo ad esempio da Pratica di Mare e atterrando a Sarajevo e poi, dopo brevissimo tempo, con ritorno in Italia. Qualche ora trascorsa ad esempio all’aeroporto di Sarajevo non può essere considerata come “esposizione”, almeno nella misura in cui un’altra persona è stata esposta “qualche mese o qualche anno”! A proposito anche il dott. Donato Greco, Direttore centrale della Prevenzione Sanitaria, presso il Ministero della Salute, nella sua audizione alla Commissione del Senato del 4 maggio 2005 ebbe a dire che gli elenchi del personale in missione non tengono conto della storia espositiva. Circa la questione della storia espositiva ho cercato, in riferimento al citato caso del signor Ariu, di individuare le carenze che ritengo essere presenti nel “modello” (o “format”) con il quale la Commissione di Verifica, dipendente dal Ministero dell’Economia, viene informata sulle specificità di ogni singolo caso. Questa analisi del “modello” di informazione è contenuta nell’Annesso al presente scritto. 32 Il problema “dosi” è centrale negli studi epidemiologici. Infatti gli studi epidemiologici devono contenere delle analisi , per “durata”, per “anni”, per “area tipologica” di missioni (e destinazioni) per quanto riguarda l’intensità delle esposizioni e la probabilità delle esposizioni. Questi studi devono contenere precisazioni relative al personale militare con suddivisioni per età e corpo di appartenenza. Si tratta di precisazioni sfuggite fino ad oggi in larga parte nelle analisi svolte dalla Commissione Mandelli. Rispetto a tali analisi manca anche un lavoro completo di follow-up per tutti i militari e per il tipo di tumori. Questa è una condizione necessaria anche se non sufficiente per uno studio epidemiologico di “coorte”. 33 Purtroppo i filtri in dotazione ai reparti italiani impiegati sono risultati, almeno per quanto è dato conoscere, scarsamente efficienti nei riguardi delle particelle, almeno se raffrontati ai filtri impiegati dalle forze Usa. Una documentazione sui filtri è stata dallo scrivente inoltrata alla Commissione (v. Allegato). In proposito forse sarebbe opportuno che venisse avviata un’indagine sulla rispondenza dei dispositivi di protezione utilizzati in relazione della loro efficacia. 34 Si potrebbe citare in proposito la protesta degli artificieri che operavano nel deposito “Le Casermette” di Bibbona (Cecina) e che erano stati chiamati a ripulire dall’ossido un grandissimo numero di proiettili (v. Allegato). In particolare gli artificieri, in data 12 gennaio 2001, si rivolsero all’ASL locale, segnalando tra l’altro che”Per quanto riguarda l’uranio impoverito il personale in specifica (M.llo .......), Op. Art. qlf......., Op. Art. qlf. ....., Op. Art. qlf. ....... hanno effettuato lavorazioni sui colpi completi da 105/51 mm APFSDS-TDM33 Lotto ..... (all’uranio impoverito): e, su tutto il materiale esplosivo e non esplosivo (sacchi di sabbia e materiali vari) rientrati da missioni fuori area (zone a rischio) in container e mezzi militari, per il successivo 19 l’ossido di uranio è chimicamente e fisicamente pericoloso, mentre l’ossido di tungsteno è solo chimicamente pericoloso); 2) si trova ad operare in un contesto dove c’è solo il rischio chimico rappresentato da armi convenzionali e dove invece c’è sia il rischio chimico delle armi convenzionali e anche il rischio fisico rappresentato dalle radiazioni delle armi all’uranio impoverito; 3) si trova ubicato alla distanza di un chilometro (o magari di 10 km) da un carro armato danneggiato da armi all’U.I. e chi si trova a un metro di distanza; 4) si trova a operare dentro un carro armato danneggiato e chi si trova all’esterno35; 5) si trova vicino al carro armato danneggiato immediatamente dopo l’evento e chi vi si trova vicino magari un anno dopo; 6) si trova in una località colpita da proiettili anticarro contenenti 300 gr. di uranio impoverito e chi si trova in una località colpita da un missile da crociera Tomawack che porta barre di stabilizzazione all’uranio da 300 kg; 7) si trova in una situazione, a cui si è fatto cenno in precedenza, dove vi è un rapporto “statico” con un proiettile all’U.I. (un rapporto come quello che sussiste quando una persona si trova ad essere semplicemente in presenza di un proiettile) e chi si trova in una situazione dove un proiettile è stato sollecitato in modo dinamico (cioè è stato sottoposto a un attrito). Tale attrito, come sopra precisato, può verificarsi sia nel caso dell’impatto (aspetto cinetico) di un proiettile con controllo numerico e di conservazione dei suddetti per la successiva introduzione nei locali idonei del Deposito. Si rende noto che le lavorazioni sono state svolte sul quantitativo totale di colpi che rientrarono dalla Somalia. L’involucro dei colpi, quando giunsero al Deposito-Munizioni, presentavano segni di annegamento e malformazioni degli involucri quindi era difficile stabilire quali e quanti colpi fossero in buono stato senza una lavorazione più capillare. La lavorazione che venne effettuata era articolata dall’apertura delle casse e dei contenitori con successiva estrazione dei colpi, quindi con lama d’acciaio, pulitura dei bossoli e dei colpi dove si presentassero punti di ossidazione, quindi con olio di vaselina e tela di juta lubrificazione dei bossoli e dei colpi dopodiché vennero reinseriti all’interno dei contenitori puliti e in ottimo stato e successivamente stivati. Concludendo il nostro quesito è: “il personale che ha effettuato le lavorazioni, ha operato considerando i suddetti materiali rientrati da fuori area come qualsiasi altro materiale accantonato in deposito senza alcuna precauzione del caso.” In attesa di risposte esaurienti e controlli preposti, si ringrazia per l’attenzione...”. Vedi in proposito quanto riportato dal quotidiano Il Tempo in data 10 febbraio 2001 (v. Allegato). 35 Per evidenziare l’importanza che la valutazione circa la durata dell’esposizione riveste, potremmo citare quanto venne richiesto da parte dell’autorità Usa in relazione alla durata della permanenza all’interno di un carro armato al personale che rimase esposto durante la guerra del golfo a Doha l’11 giugno 1991 in un grave incendio. La questione aveva in particolare attinenza con i carri armati Abram e Bradley dotati di armamento all’uranio impoverito (per inciso tali mezzi hanno operato anche in Somalia nel periodo 19911993). Gli Usa ordinarono di riempire un apposito questionario (di cui lo scrivente ha inviato copia alla Commissione Senatoriale Uranio) in tema delle precauzioni relative a quanto può accadere per un carro armato colpito, la questione della durata dell’esposizione è infatti trattata con particolare accuratezza. Basti pensare che si richiede nel questionario se la presenza è: “inferiore a 5 minuti, tra 5 e 15 minuti, tra 16 e 30 minuti, più di 30 minuti”. Per quanto riguarda il tempo trascorso dopo il momento distruttivo, si richiede se è : “inferiore alle 12 ore, tra 12 e 24 ore, più di 24 ore”. Per inciso è da osservare che nel questionario vi è anche una specifica domanda sui test eseguiti sulle urine del personale. Una questione da noi praticamente del tutto ignorata. Un’analisi di questo questionario può essere utile per migliorare la raccolta di informazioni che deve servire al Comitato di Verifica nelle sue valutazioni. Il “modello informativo” attualmente in vigore, su cui si basa il Comitato di Verifica, come illustrato in un altro documento dello scrivente in data 22/02/2011, inviato alla Commissione Senatoriale, è carente sotto molto aspetti e dovrebbe essere opportunamente modificato. 20 una superficie solida, come pure nel caso del maneggio di un proiettile, ad esempio per manutenzione (ad es. là dove si voglia togliere dal proiettile uno strato di ossido); 8) si trova ad esempio a sostare, come anche in precedenza accennato, qualche ora in un aeroporto di un paese dove sono state impiegati armi al D.U. in missione di volo di andata e ritorno tra l’Italia e quel paese e chi invece si trova in una zona colpita da armi all’uranio e in vicinanza di obiettivi colpiti magari per quattro mesi, un anno, o più. Occorre insomma che per ogni caso venga richiesta la compilazione di un questionario che però deve essere più completo del “modello informativo” attualmente utilizzato. Può essere utile tener conto anche del citato questionario usato dagli Usa (peraltro riferito ad una situazione specifica e delimitata – v. allegato). Come in precedenza accennato ogni Comando deve compilare una “storia del reparto”. Per i reparti operanti all’estero, questa “storia del reparto”, a “fine missione” (cioè dopo il termine di un compito operativo affidato al reparto) deve essere consegnata agli uffici storici dello Stato Maggiore della Difesa. In relazione a quest’ultimo aspetto della problematica non basta affermare che una persona si trovi “in missione”36 in un’area colpita da armi all’uranio impoverito, magari dell’estensione di centinaia di km2. Né d’altra parte basta dire che le radiazioni dell’uranio impoverito (o indebolito) sono deboli (il ché peraltro è vero: lo dice la parola stessa!); occorre tener presente che vi è una questione che riguarda le dosi (sotto l’aspetto “intensità” e “probabilità”) che possono essere penetrate nell’organismo umano. Togliere l’ossido da un proiettile contenente 300 gr. di uranio impoverito può non generare gravi rischi, ma togliere l’ossido da centinaia di proiettili può invece costituire un grave rischio. Così un grave rischio può essere costituito dal togliere l’ossido da una barra di uranio da 300 kg del tipo di quelle che, ad esempio, si trovano negli impennaggi degli aerei e dei missili da crociera Tomawack. 36 Erroneamente viene preso in considerazione solo il personale che si trova in missione e così viene dimenticata l’esistenza di personale che si trova in destinazione fissa, Tale personale tra l’altro può trovarsi in una situazione di maggior rischio rispetto a quella del personale in missione. Ad esempio una persona può essere inviata in poligoni in missione magari per una durata di tre settimane, mentre un’altra si trova nel poligono in pianta stabile, cioè come “destinata” al poligono. E vi può restare per tre, cinque o magari dieci anni, ed è quindi ben più a rischio di chi vi sosta per tre settimane. E poi vi sono i civili abitanti nell’area che “vi sostano” a vita. Ad esempio la Commissione Mandelli ha preso in considerazione solo il personale in missione e non quello in destinazione fissa. E’ da notare che il Consiglio di Stato, Adunanza della Sezione Terza, 4 maggio 2010, ha stabilito che “ai fini del riconoscimento dell’equiparazione delle vittime del dovere debbono essere qualificate come missioni, le stesse attività istituzionali proprie del personale militare essendo le stesse comunemente ricomprese nell’accezione del termine “missione” riferita all’impiego del personale medesimo, stante il suo significato di scopo principale o giustificazione della stessa esistenza dell’organizzazione delle Forze Armate”. E’ assai importante quanto previsto dal Consiglio di Stato in base al quale il personale militare è sempre da considerarsi in “missione” (nell’ampio senso di missione in difesa della patria) e inoltre come precisato nella citata sentenza del Tribunale di Genova del 15 febbraio 2011 è inoltre da considerarsi sempre in servizio. Egli infatti è disponibile h 24. In sostanza anche le attività svolte nelle “DESTINAZIONI FISSE”(le quali sono state finora completamente dimenticate), vengono ricomprese nel concetto di missione inteso nel senso più generale come ciò che è pertinente all’attività dei militari (e cioè la missione di difesa della Patria sotto qualsiasi forma tale missione si presenti). La missione di difesa della patria può venire attuata sia attraverso l’attività di persone in missione (condizione amministrativa), sia con personale in destinazione fissa. E’ necessario in proposito introdurre le dovute modifiche nella normativa vigente. 21 Di conseguenza occorre chiarire ciò che si vuole intendere con “personale esposto” ed anche ciò che si vuole intendere per relazione di causa-effetto. “Relazione causa-effetto” E’ bene precisare in merito che quando si parla di “relazione causa-effetto”, con riferimento alle patologie come i tumori che possono svilupparsi, occorre precisare che si parla, come in precedenza più volte affermato, di una relazione probabilistica (non potendosi ovviamente parlare di una relazione di certezza in quanto non si conosce la eziopatologia dei tumori). Comunque, per quanto riguarda la richiesta di risarcimenti nel caso di procedimenti giudiziari in sede civile, è sufficiente – e se ne è fatto cenno in precedenza –che il legame causa-effetto sia di tipo probabilistico (una “apprezzabile” probabilità). Tanto è vero che, ad esempio il Tribunale Civile di Roma stabilì un risarcimento di 500 mila euro per il caso del maresciallo Stefano Melone. Il Tribunale Civile di Firenze ha chiesto un risarcimento di 545 mila euro per il caso del paracadutista G.B. Marica. Il Tribunale di Roma ha chiesto un risarcimento di 1,4 milioni di euro per il caso del militare Alberto Di Raimondo37. Si può osservare in merito che le valutazioni sui risarcimenti stabilite in queste sentenze giudiziarie sono assai diverse dalle valutazioni formulate dall’Amministrazione Militare. In base a queste valutazioni c’è chi non ha ricevuto alcun risarcimento e c’è chi ha ricevuto somme come 17 mila euro e simili. Occorre, dunque, su questa delicata questione, chiarire quali debbano essere i criteri da adottare nella valutazione del valore della vita umana, che attualmente passa da 0 euro a 1 milione e mezzo di euro (e che nel caso delle vittime della funivia del Cermis, venne valutata in 2 milioni di dollari). Si configura tra l’altro una grande ingiustizia che riguarda coloro che non hanno le disponibilità finanziarie per adire al Consiglio di Stato o ancor più ad un Tribunale in sede civile, o anche semplicemente poter ricorrere a uno studio legale per far valere le loro ragioni, e quindi si trovano costretti ad accettare valutazioni anche se errate38. 37 Un risarcimento di oltre 900 mila euro vi è stato anche per il caso del maresciallo Marco Diana, riconoscendo le carenze nelle misure di protezione (che in quel caso non prendevano in considerazione l’uranio impoverito). 38 Vedi quanto scritto nelle comunicazioni inviate ai familiari del Signor Ariu. Nel caso in cui viene negata la causa di servizio dal Comitato di Verifica di Previmil chiede ai parenti del militare (a cui sono stati negati i risarcimenti di esprimere eventuali pareri in contrasto a quelli espressi da detto comitato di verifica entro 10 giorni. Vedi in merito anche quanto scritto in precedenza. Ci si pone dunque la domanda se è possibile ammettere che mentre la Commissione di Verifica possa impiegare magari anni per esprimere un parere (tra l’altro in negativo ed errato) come è accaduto nel caso del capitano Antonino Caruso) invece si imponga di replicare entro il termine di 10 giorni! Una disposizione a dir poco insensata esistente nella normativa in vigore e che appare del tutto irrecevibile. La formulazione testuale da parte di Previmil è la seguente: “Al riguardo, ai sensi dell’art. 6 della L.11.02.2005 n. 15, la S.V. ha diritto di “presentare per iscritto osservazioni, eventualmente corredate da documenti” (che apportino, comunque elementi innovativi circa il nesso causale tra il servizio e l’insorgenza della malattia rispetto a quanto già esaminato dalla presente comunicazione, anticipandole, eventualmente, a mezzo fax”. Dunque si presume che i parenti di una vittima conoscano perfettamente la legislazione italiana esistente (legislazione che tra l’altro molte istituzioni sembrano non conoscere!) e in 10 giorni dovrebbero essere in 22 Il Col. Rossetti afferma a proposito dei possibili danni dovuti all’esposizione all’uranio impoverito che a suo avviso, come in precedenza ricordato, si continua a fare un processo senza che vi sia un delitto. Il colonnello aggiunge “Non esiste infatti letteratura scientifica di rilievo che documenti una presenza di uranio impoverito negli organismi dei reduci di missioni internazionali....”39. “La radioattività dell’uranio impoverito è estremamente bassa e comunque non tale da apparire poter causare danni alla salute”...”40. Certo c’è da porsi una domanda di fondo: se il Ministero della Difesa è dell’opinione di ritenere innocue le armi all’uranio impoverito, perché non le adotta essendo queste più efficaci e meno costose di quelle al tungsteno? Non è mai stata fornita una risposta a questa domanda! Ma prima di andare oltre è opportuno segnalare che un’ampia e approfondita analisi degli aspetti concernenti gli effetti dell’uranio impoverito e la legislazione esistente in merito, si può trovare nel saggio del giurista Alessandro Mantelero (pubblicato nella rivista “Responsabilità civile e grado di compilare un esposto che contrasti con quanto le “istituzioni” (non a caso la parola “i” è scritta con la “i” minuscola) hanno stabilito, magari impiegando anni! (vedi il citato caso del capitano Caruso). Tra l’altro le contestazioni possono riguardare non soltanto (come invece viene erroneamente precisato) il “nesso causale” (che comunque nel caso dei tumori non può essere, come più volte ricordato in precedenza, che un nesso probabilistico), ma anche altri aspetti del giudizio espresso dal Comitato di Verifica. Molti di tali aspetti sono stati in precedenza indicati. Certo se si assume che il nesso causale debba essere un nesso di certezza, non è possibile concedere risarcimenti per tumori perché in questo caso il nesso non può essere che probabilistico. L’aver concesso allora il risarcimento per tumori, in base alla presunta esistenza di una condizione di stress, è una totale contraddizione in termini perché l’esistenza dello stress non può che affermarsi su una base probabilistica. Dunque sembra che le interpretazioni siano piuttosto elastiche, come la pelle dei tamburi. Sarebbe quindi interessante ricevere in merito qualche precisazione da parte del Comitato di Verifica e del Ministero della Difesa. Le comunicazioni di Previmil sono in relazione a quanto stabilito dalla L. n. 15/2005 (tale legge va pertanto modificata). 39 E’ bene tener presente che la strumentazione disponibile è scarsamente idonea a rilevare le particelle di uranio impoverito. Nelle autopsie secondo alcune fonti, solo nel sistema osseo è possibile rilevare gli effetti dell’uranio impoverito. Questa problematica emerse quando fu richiesta la riesumazione della salma del maresciallo Marco Mandolini (v. allegato). Vi è da ricordare che l’uranio impoverito venne trovato nelle analisi fatte al personale Usa che aveva partecipato alla guerra del golfo. Fu anche trovato in un’analisi effettuata su materiale organico del maresciallo elicotterista della Marina Giovanni Pilloni, come ha ricordato il padre del maresciallo, il signor Salvatore Pilloni, in un convegno tenutosi a Cagliari. In seguito però il referto venne mutato e l’uranio non figurò più come presente. In Francia vi è stato il caso Acaries, relativo appunto al militare Ludovic Acaries (vedi in proposito l’articolo su La Nuova Sardegna dell’1 marzo 2011 “Uranio nelle ossa di un soldato”). Anche in questo caso in una prima analisi eseguita in Italia non venne trovato l’uranio impoverito che invece è stato successivamente trovato in un’analisi eseguita in Francia. 40 Similmente, il Gen. Giuseppe Marani, portavoce della Nato, aveva affermato (vedi articolo su Il Manifesto) il 20 aprile 1999 “L’U 238 è più innocuo di una pila dell’orologio!”. Va però tenuto in conto che ben 148 paesi del mondo hanno chiesto all’ONU una moratoria sull’impiego delle armi all’uranio impoverito. Dunque in questi paesi esiste almeno il sospetto che le armi all’uranio possano presentare dei pericoli! Non molto dissimilmente da quanto affermato dal generale Marani si è espresso il fisico Sabbatini del Cisam (vedi agenzia Agi 23 novembre 2000) il quale ha affermato che “se qualcuno dovesse malauguratamente raccogliere dei dardi sparati dagli aerei contro i carri armati serbi e se li dovessero mettere in tasca, dopo una settimana avrebbe lo stesso effetto che si ha dopo una radiografia”. Evidentemente il dott. Sabbatini tiene conto solo di una situazione “statica”, cioè dove si verificano attriti, in cui si trova il proiettile e non di una situazione “dinamica”, cioè dove si verificano attriti, come quella che si verifica nell’impatto di un proiettile con una superficie solida, oppure (ad esempio) nelle operazioni di pulizia (rimozione dall’ossido) che possono essere effettuate sul proiettile. 23 previdenza”, Giuffré Editore, n. 12, 2009), a cui si rimanda per approfondimenti. Oltre a questo saggio, il dott. Mantelero ha prodotto vari importanti contributi relativi alla sfera giuridica delle questioni sopra accennate. L’esistenza di un nesso tra forme patologiche tumorali e la presenza di uranio impoverito, sotto l’aspetto della valutazione del legislatore è stata riconosciuta dal D.P.R. 33/2009 n. 37 che all’art. 2 prevede: “In attuazione dell’art. 2, commi 78 e 79 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, ai soggetti indicati al comma 2, che abbiano contratto menomazioni all’integrità psico-fisica permanentemente invalidanti o a cui è conseguito il decesso, delle quali l’esposizione e l’utilizzo di proiettili all’uranio impoverito e la dispersione nell’ambiente di nanoparticelle di metalli pesanti prodotte da esplosione41 di materiale bellico abbiano costituito la causa ovvero la la concausa efficiente e determinante e corrisposta l’elargizione di cui all’art. 5, commi 1 e 5 della legge 3 agosto 2004 n. 205”. Per inciso c’è da osservare che la legge denunciando i pericoli dell’uranio impoverito e metalli pesanti, avrebbe dovuto specificare anche che debbono adottarsi precauzioni in caso di esposizione! Ma questo “piccolo particolare” è mancante! Si tratta di una questione che ha riflessi anche sul Regolamento di Disciplina (dovere di protezione del personale dipendente) e sul Codice Militare. Il riconoscimento di tale nesso è stato ribadito nel D.lgs. 15 marzo 2010, n. 66, agli articoli 603, 1907 e 2185 che confermano come l’esposizione all’uranio impoverito può comportare l’insorgenza di infermità o patologie tumorali. In particolare l’art. 1907 del Dlg. 66/2010 ha affermato – riconoscendo esplicitamente l’esistenza del rischio di esposizione per i militari impiegati in attività internazionali 42 che – “la speciale elargizione, di cui agli artt. 1 della L. 20 ottobre 1990, n. 302, 1 della legge 23 novembre 1998, n. 407, e 5, commi 1 e 2, della legge 3 agosto 2004, n. 206, è corrisposta ai seguenti soggetti che hanno contratto infermità e patologie tumorali connesse all’esposizione e all’utilizzo di proiettili all’uranio impoverito e alla dispersione nell’ambiente di nanoparticelle di metalli pesanti prodotti dalle esplosioni di materiale bellico, riportando una invalidità permanente: a) personale militare italiano impiegato nelle missioni internazionali43 svolte fuori dal territorio nazionale autorizzate dall’autorità gerarchicamente e funzionalmente sovraordinata al dipendente”. E’ necessario tener presente che la cosiddetta “dispersione delle nanoparticelle di metalli pesanti” può essere sia la causa ma anche la concausa della patologia (sottolineature mie, ndr). 41 E’ bene ricordare che la produzione di particelle (ossido di uranio e ossido di metalli pesanti) si verifica non solo in caso di esplosione (con conseguente ossidazione) ma anche in caso di maneggio a freddo di proiettili ossidati (per via dell’attrito). La terminologia usata nel testo legislativo deve quindi essere riveduta. 42 La normativa sopra citata è incompleta e va modificata. Infatti a) il rischio in contesti internazionali dove è possibile l’uso di armi da uranio impoverito è presente non solo all’estero ma anche in Italia nei poligoni di utilizzo internazionale; b) il rischio non riguarda solo i militari ma anche i civili; c) il rischio riguarda il personale militare e civile che si trova non solo in missione ma che si trova anche in destinazione fissa. 43 In merito a missioni in campo internazionale all’estero è da tener presente che molte situazioni analoghe si presentano nei poligoni di uso internazionale in Italia (vedi Nettuno, Teulada, Capo Frasca, Salto di Quirra e molti altri). 24 E’ da notare inoltre che il pericolo non sussiste solo in caso di esplosione, cioè a caldo, ma anche in caso di maneggio, cioè a freddo (ad esempio nella rimozione dell’ossido), come più volte in precedenza ricordato. Tornando ora a quanto afferma il Col. Rossetti, circa il fatto che “nel 1996 “non vi erano particolari dispositivi di protezione individuale anche perché tra le notizie sulla utilizzazione dei proiettili all’uranio impoverito da parte dell’esercito statunitense e l’adozione di misure di protezione è trascorso un certo periodo di tempo”. Ma questa affermazione alquanto vaga suscita qualche domanda. Infatti, non è chiaro allo scrivente il motivo per cui il colonnello Rossetti menziona la data del 1996. Infatti: che cosa sta a significare quella data44? E’ noto che la mancata applicazione di misure di protezione, risale al 1993 in Somalia, e poi nel 1995 in Bosnia45 , peraltro dal 1984 l’Italia era stata informata delle misure di protezione da adottarsi nei riguardi dell’uranio impoverito. Le misure di protezione per i reparti italiani non sono state emanate (e quindi ancor meno applicate) fino al 200046. Nei poligoni dove certo si è verificata un’intensa dispersione di particelle di metalli pesanti, specie nei punti di impatto dei proiettili, la mancata applicazione di norme di protezione risale ad ancora prima (anzi da sempre) perché nello sgombero dei poligoni il personale ha operato, salvo eccezioni, a mani nude. L’effetto chimicamente tossico dei materiali di cui sono fatti i proiettili (metalli pesanti) in assoluto è noto da sempre. Naturalmente poi è di diversissima entità a seconda delle varie situazioni che possono presentarsi. A parere dello scrivente deve essere preso in considerazione solo la “dove” (nelle piccole aree bersaglio all’interno di un poligono) si sono verificate altissime concentrazioni di impiego di armamenti pesanti. 44 Tra l’altro dal 1995 si era “ufficialmente” a conoscenza dell’impiego delle armi all’uranio impoverito in Bosnia perché ciò era emerso da una conferenza tenuta a Napoli appunto nel 1995 presso il Comando Nato del Sud Europa, dove vennero descritte, alla presenza dello Stato Maggiore del Quartiere Generale, comprendente anche il vice Comandante italiano ed ufficiali dell’Alto Comando, le operazioni aeree condotte in Bosnia con aerei A 10 (dotati di cannoncino speciale per il lancio delle armi all’uranio impoverito, n.d.r.). Ce lo ricorda ad esempio il quotidiano Il Tempo del 22 dicembre 2000, in un articolo dal titolo: “Una pioggia di uranio sui nostri soldati”. Una foto riprodotta nel giornale mostra il comandante delle forze Nato per il Sud Europa, l’Ammiraglio Leighton Smith che illustra i raid degli aerei in Bosnia compiuti durante l’operazione Deliberate Force, con l’impiego degli aerei A 10 capaci di sparare armi all’uranio impoverito. Nelle operazioni in Bosnia del 1994 e 1995, la Deny Flight (dal5 agosto al 28 settembre del 94) e la suddetta Deliberate Force (dal 29 agosto al 15 settembre 95) vennero lanciati sulla Bosnia 10.800 proiettili. Anche in Kossovo furono impiegati gli aerei A 10 e furono lanciati oltre 30 mila proiettili. In una dichiarazione del Capo di Stato Maggiore della Marina pro tempore Ammiraglio Marcello De Donno (comunicato ADN Kronos del 16 febbraio 2001) questi precisò che: “Era noto che gli aerei A 10 nei loro interventi in Kossovo facessero uso di munizionamenti di questo tipo (uranio impoverito, ndr) quindi sono state date disposizioni per fronteggiare possibili situazioni di difficoltà con accorgimenti NBC”. Purtroppo risultò in seguito che gli strumenti di rilevazione dei reparti NBC (gli intensimetri RA 141 B) non erano idonei al compito e quindi non rilevarono la presenza di uranio impoverito in Bosnia (la striscia esplorata è di solo 10 cm!). 45 Nel 1995 fu presentato alla 59^ mostra del Cinema di Venezia un documentario italiano del regista D’Onofrio, dal titolo “Gulf War Syndrom” (2001) che metteva in evidenza gli effetti che si erano prodotti nel 1991 durante la guerra del golfo, relativi alla nascita di bambini malformati negli Usa. La prima versione venne trasmessa da Rai 3 l’11 gennaio 2001. 46 Le norme di protezione emanate dalla Folgore a firma del col. Fernando Guarnieri risalgono al 9 maggio 2000. 25 Inoltre (e già prima delle operazioni in Somalia) esisteva una ingente letteratura essenzialmente straniera sul tema (v. Allegato). Un elenco di documenti esistenti nella letteratura sull’U.I. è stato inviato dallo scrivente alla Commissione Uranio Impoverito del Senato (9 febbraio 2011). C’è da chiedersi se nessuno nell’ambito delle Forze Armate e della Sanità Militare e Civile, fosse al corrente di questa letteratura prima del 1996 e direi prima del 1993, cioè prima delle operazioni in Somalia. Ciò a prescindere dal fatto che norme di protezione Usa erano già state inviate all’Italia nel 198447. Queste norme concernevano i pericoli nel maneggio a freddo del materiale (v. Allegato). Se ne accennerà più diffusamente in seguito. Da precisare che le norme di protezione riguardanti la “situazione a freddo” sono le stese di quelle da adottare per la “situazione a caldo”. Le suddette affermazioni circa la innocuità dell’uranio destano peraltro allo scrivente non poche perplessità, Infatti, a proposito della valutazione del Col. Rossetti nei riguardi dell’esposizione all’uranio impoverito (naturalmente quando si parla di “esposizione” occorre tener presenti le osservazioni fatte in premessa circa la questione delle dosi) c’è da chiedersi di che “esposizione” si tratta?48. E inoltre chi è da considerarsi “esposto” e come? Una questione specifica riguarda l’esposizione ai raggi Alfa49. In proposito non si può non tener presente che del tema della possibile pericolosità dell’uranio impoverito gli Stati Uniti se ne sono occupati dai primi anni ’5050, (addirittura dal 1945), cioè da quando gli Usa entrarono in possesso delle armi tedesche all’uranio naturale prodotte nel 194243. Gli studi e le sperimentazioni, realizzati nei passati 60 anni, sono stati tra l’altro il risultato di chi disponeva (come ad es. gli Usa) di una attrezzatura scientifica di alto livello. 47 Su questo vedi l’articolo di Stefania Divertito su Metro del 27 maggio 2002 “Uranio. L’Italia sapeva dal 1984. 19 anni fa la Nato inviò un fax ai paesi membri: oggetto: l’uranio impoverito è pericoloso”. 48 E’ doveroso ricordare quanto stabilito nella legge finanziaria 2008, art. 2, comma 78 e 79, laddove si precisa che i risarcimenti per il personale esposto riguardano sia uranio impoverito che “nanoparticelle” di metalli pesanti (da osservare che non è molto chiaro in che cosa consistano queste nanoparticelle perché esistono definizioni diverse). 49 Scrive Paolo Scampa, vice presidente dell’AIPRI (Associazione Internazionale per la Protezione contro i Raggi Ionizzanti), a proposito della penetrazione delle particelle Alfa nelle cellule viventi (irradiazione interna): “Una particella Alfa non attraversa né un foglio di carta di 100 micron di spessore, né lo strato corneo della pelle. Ma, emessa dall’interno dell’organismo, attraversa uno spessore di tessuti cellulari di 50 micron che contiene da 5 a 20 cellule viventi. Secondo la sua energia di partenza una particella Alfa emessa da una polvere radioattiva (di uranio 238 o di plutonio 239 ecc) installata all’interno dell’organismo percorrere dai 35 ai 50 micron nei tessuti cellulari prima di essere fermata. Ogni particella Alfa attraversa, irradiandole violentemente, circa da 5 a 20 cellule viventi”. 50 In Australia, nei primi anni ’50, ebbe luogo un’amplissima sperimentazione circa i possibili pericoli presentati dall’uranio impoverito. Si legge in merito, in un comunicato dell’agenzia di stampa ApB in data 28 maggio 2001, dal titolo “Australia conferma: in test nucleari inglesi uranio impoverito – La polvere dell’uranio è cancerogena”: “Il governo australiano ha confermato che nei dodici esperimenti nucleari condotti dalla Gran Bretagna nel sud del paese venne usato dell’uranio impoverito, un metallo lievemente radiattivo le cui polveri si ritengono cancerogene. I test furono portati a termine negli anni ’50 e per sperimentare le tute antiradiazioni migliaia di soldati, molti dei quali australiani, vennero fatti marciare attraverso le zone interessate dalle esplosioni, venendo utilizzati quindi come vere e proprie cavie umane. Il governo australiano ha deciso di avviare un’indagine sulle condizioni i salute (e sulle cause degli eventuali decessi) di tutti i militari coinvolti, i quali potranno richiedere un indennizzo”. I test inglesi, negli anni ‘50, in Australia avvennero a Maralinga (1956 e 1959) alla Christmas Island e inoltre nel deserto del sud Australia (vedi comunicato dell’agenzia AAP 28 maggio 2001). 26 In Italia solo dal 1999 (dopo il caso della morte del militare sardo Salvatore Vacca – 9 settembre 1999 – ammalatosi in Bosnia51), si è posto “pubblicamente” il problema dell’esistenza di armi all’uranio impoverito, sollevato da varie interrogazioni parlamentari. Il Ministero della Difesa pro tempore, on. Mattarella, negò addirittura che in Bosnia fossero state usate armi all’uranio impoverito. Nessuno se n’era infatti accorto. Fu la Nato a comunicare che in Bosnia erano stati sparati 10 mila proiettili all’uranio impoverito (v. Allegato) di cui nulla aveva saputo il nostro personale militare e civile52. Circa le norme del 1984 è bene richiamare ancora una volta l’attenzione sul fatto che la pericolosità riguarda il semplice maneggio a freddo del metallo, dato che l’ossido di uranio esiste anche a freddo! Di ciò si sono purtroppo dimenticati coloro che affermano l’esistenza del pericolo dell’ossido solo nella situazione a caldo, in cui i proiettili che vengono sparati urtano contro una superficie resistente sviluppando una temperatura di circa 3 mila gradi. Da osservare in merito che una la temperatura di circa 3 mila gradi viene raggiunta anche dall’impatto di armi al tungsteno!53 Questa altissima temperatura peraltro non è un’esclusività delle armi all’uranio, come purtroppo qualche inesperto afferma (basandovi eventualmente anche una teoria!) Le citate norme del 1984 mettono in evidenza in particolare i pericoli che sorgono nel maneggio delle “barre” all'uranio impoverito che vengono usate per i timoni di direzione degli aerei e dei missili da crociera. Il maneggio del materiale fa sollevare la polvere di ossido di uranio che si è formata, nel tempo (questa polvere o “particolato” è ciò che viene anche chiamato “particelle” (micro o nano che siano). Sulla dimensione che caratterizza queste particelle vi sono valutazioni molto contrastanti; in particolare le dimensioni delle particelle rilevate dalla dott.ssa Gatti sono molto minori di quelle definite nella normativa. 51 Sul caso del militare Salvatore Vacca (e anche sul caso del sergente Antonaci - anche questo uno dei primi rilevati - vedi fra altre, due interrogazioni parlamentari dell’on.Gasparri n. 3/06633 e 3/06624 (in Allegato). La prima persona che segnalò che l’infermità del militare Salvatore Vacca avrebbe potuto derivare da una contaminazione da uranio impoverito, è dell’obiettore di coscienza sardo Antonello Repetto, in una comunicazione allo scrivente. Di ciò dobbiamo essergli grati. Solo in seguito alla comunicazione di Repetto è nato in Italia l’interesse per questa materia 52 Da notare che gli aerei che avevano bombardato la Bosnia erano partiti dalle basi sotto Comando italiano di Aviano e Gioia del Colle e quindi i nostri Comandi potevano essere al corrente delle armi impiegate in quanto ciò risulta dagli ordini di volo e dai rapporti di volo. 53 Come ha avuto modo di affermare il colonnello Bertino nell’audizione presso la Commissione del Senato del 18 ottobre 2005. Secondo Bertino “una granata a carica cava ottiene molto più del proiettile all’uranio impoverito ... il carro esplode dentro portando la temperatura a circa 1500-3000 gradi”. Bertino precisa “nel poligono di Ciriè di Torino – dove sono stato per 5 anni – ho visto sperimentare cannoni con proiettili al tungsteno. Servivano a provare la foratura delle corazze. Probabilmente l’uranio è anche più costoso del tungsteno e non so che tipo di sperimentazione ne abbia fatto” (sottolineatura mia, ndr). Nell’audizione si fornisce anche qualche indicazione circa il significato del termine “bonifica”. Viene menzionata ad esempio una normativa di primo grado (bonifica operativa”) quando si sa dove sono i proiettili e quali sono, inoltre c’è una bonifica di “secondo grado” quando si conosce quello che c’è ma è in una posizione tale, magari trenta metri sotto il terreno, la quale però è difficile trovare, ma c’è. Inoltre si accenna a una bonifica di “terzo grado”, che presenta ancora maggiori incertezze. Quest’ultima riguarda una situazione dove non si sa cosa sia la munizione impiegata e non si sa dove sia. Quindi la bonifica è più difficile da realizzare, occorre infatti cercare la munizione con maggiore prudenza. In sostanza si può ritenere che un controllo completo dei poligoni non sia affatto agevole. E quando si parla di “bonifica” bisogna sempre precisare cosa si intende in ogni singolo caso con questo termine. 27 In proposito la normativa stabilisce che: "The following precautions should be observed: 1) Personnel handling the balance weight should wear gloves 2) Industrial eye protection should be worn 3) Respirator mask should be worn to ensure no radioactive dust particle ingestion. Gloves, wrapping material, wiping cloths, respirator filters, or any other articles used in the handling of damaged balance weight should be discarded and appropriately labeled as radioactive waste and disposed of accordingly” Da osservare che se non fosse stata ritenuta esistente la pericolosità dell’uranio impoverito, certamente queste norme non sarebbero state emanate! L'Italia poteva dunque essere al corrente, anche prima delle operazioni in Somalia (’92-’94) e nei Balcani (dal 1995), del rischio dell'uranio impoverito. Da osservare che negli Stati Uniti si è parlato dell’esistenza di rischi molto prima della guerra del Golfo del 1991! Comunque, come in precedenza accennato, in seguito alla guerra del Golfo, dove si erano manifestate delle gravi malattie nei reduci e si erano verificati casi di bambini nati malformi, gli Stati Uniti emanarono apposite norme di precauzione FIN DAL 14 OTTOBRE 1993 (v. Allegato). Tali misure prevedono, come quelle del 1984, per il personale l’uso di maschere, occhiali, guanti, tute speciali. Queste misure vennero adottate dai reparti Usa in Somalia (Operazioni Unosom - Restore Hope). Copia di queste norme è stata inviata dallo scrivente alla Commissione Senatoriale. E’ bene ricordare che in Somalia vi furono rilevanti scontri a fuoco, come sopra accennato, con oltre 10.000 morti. Quindi in Somalia vi è stato un forte impiego di proiettili convenzionali (che danno luogo alla produzione di particelle di metalli pesanti). In Somalia furono però non solo impiegati armamenti convenzionali ma anche armamenti all’uranio impoverito (i mezzi corazzati Abrams e mezzi blindati Bradley, sono dotati appunto di armamento all’uranio impoverito54). In un documento Usa: from Jefffrey T. Manuszak, 1994 – “The United Army in Somalia 19921994” (http:\\www.history.army.mil/brochure/Somalia/Somalia.htm) si legge: “In the aftermath of the 3-4 October battle, U.S. military presence in Somalia increased significantly, although temporarily. A company from the 24th Infantry Division (Mechanized) was immediately dispatched from Fort Stewart, Georgia, with Bradley fighting vehicles along with an attached platoon of MI Abrams tanks. They were soon joined by the 1 st Battalion, 64th Armor, with additional support assets. Another unit of the 10th Mountain Division-the 2d Battalion, 22d Infantry-arrived in Somalia soon after, along with a Marine expeditionary unit (MEU) and additional special operations personnel including more AC-130 gunships. These forces were organized under a new Joint Task Force Somalia under the command of Maj. Gen. Carl F. Ernst who was placed under General Montgomery's tactical control but remained under the operational control of the theater commander, General Hoar” 54 Si legge nel documento (“Norme di protezione” emanate dalla Kforce dei Balcani il 22 novembre 1999) a proposito delle situazioni in cui il personale (militare o civile) si trova ad operare in una località dove sono stati effettuati bombardamenti all’uranio impoverito: "Rimani lontano da carri-mezzi bruciati e da edifici colpiti da missili da crociera. Se lavori entro 500 metri di raggio da un veicolo o costruzione distrutti indossa protezioni per le vie respiratorie. Inalazioni di polvere insolubile UI sono associate nel tempo con effetti negativi sulla salute quali il tumore e disfunzioni nei neonati. Questi potrebbero non verificarsi fino a qualche anno dopo l’'esposizione". 28 In Somalia i nostri reparti hanno operato in varie situazioni, fianco a fianco ai reparti USA. Ce lo ricorda ad esempio il Generale Carmine Fiore in una sua intervista (v. Allegato) a “Famiglia Cristiana” (n. 15/2001). Il Generale Fiore afferma in risposta alla domanda “Gli americani avevano avvertito gli altri Contingenti di aver usato proiettili all’uranio impoverito? “No, mai, ed è grave perché eravamo alleati55. Ho letto sui giornali che è circolata una disposizione interna per segnalare ai loro uomini di non aggirarsi dove erano stati bruciati i carri. A noi non hanno detto nulla. E pensare che per dare una mano a loro, dopo l’attacco che subirono in ottobre ’93, noi siamo rimasti in quell’area per 4 o 5 giorni per proteggere le loro operazioni”56. E’ da tener presente, per quanto attiene lo scambio di informazioni nell’ambito di operazioni interalleate che secondo quanto stabilito per gli Usa dal “Field Manual”, il Comando interalleato deve fornire informazioni sui rischi ambientali esistenti a tutti coloro che operano sul campo. Nel Field Manual è precisato quanto segue: “MULTINATIONAL OPERATIONS PLANNING 2-15 Multinational operations planning requires that the staff be aware of the environmental constraints placed on multinational operations by international agreement applicable to U.S. forces. Military material restrictions, such as limitation on depleted uranium ammunition, may also limit the method by which U.S. forces conduct multinational operations. Additionally, the military must consider foreign nation cultural and historical sensitivities as a factor in planning multinational operations. Many international forces with which U.S. forces operate may have different standards for integrating environmental considerations. U.S. forces will have to coordinate and sometimes assist multinational forces in integrating environmental considerations to ensure consistent standards and levels of protection for the environment, the civilian population, and deployed Soldiers and Marines”. Insomma il personale Usa nelle azioni a fuoco era protetto con tute "speciali" (cioè antiradiazione)57 mentre i “nostri ragazzi” non erano in alcun modo protetti dalle particelle emanate dalle armi. Per i reparti italiani la necessità di adottare norme di sicurezza nei riguardi dell’uranio impoverito fu resa nota nel corso delle operazioni nei Balcani e precisamente solo OLTRE SEI ANNI DOPO la 55 In questo caso le vittime dell’uranio impoverito sono “vittime da fuoco amico”. Questa della “vittima da fuoco amico” è una condizione che non è stata resa nota al personale impegnato in operazioni di pace in cui potevano venir utilizzate armi all’uranio impoverito. Il personale impiegato in queste operazioni è partito non sapendo di poter correre un rischio da fuoco amico. E neppure la legislazione in vigore a tutt’oggi contempla per il personale militare (e civile) questo tipo di rischio. 56 Dunque c’è da chiedersi, con un certo sgomento, come sia stato possibile che neppure i nostri Servizi segreti presenti massicciamente in Somalia non si siano accorti che i reparti Usa indossavano tute e maschere anche a 40° all’ombra e non abbiano cercat o di individuare i motivi di questo uso di misure di protezione e neppure si siano accorti che i mezzi corazzati Abrams e i mezzi blindati Bradley impiegavano armi all’UI. Molti soldati italiani peraltro si chiesero il perché gli Usa avevano adottato queste misure. La risposta dei superiori sembra sia stata del tipo “gli americani sono fanatici”. Si tratta di una risposta che desta non pochi interrogativi e preoccupazioni. La domanda è: “nessuno sapeva”? In merito alla questione delle possibili conoscenze del fenomeno, il Tribunale Civile di Firenze, nella sentenza del 17 dicembre 2008 per il caso del paracadutista G.B. Marica, espresse dei pareri in merito. 57 Il compito delle tute speciali è principalmente quello di ostacolare le radiazioni Alfa e il contatto del corpo umano con i particolato. 29 emanazione delle citate norme USA del 14 ottobre 1993. Per la precisione le prime norme di protezione di cui si venne a conoscenza da parte dei reparti italiani, furono quelle emanate il 22 novembre 1999, da parte della K Force nei Balcani, a firma del Colonnello NBC Osvaldo Bizzari (vedi Annesso). In tali disposizioni si legge che “Inalazioni di polvere insolubile dell’uranio impoverito SONO (notare la forma verbale non dubitativa: sono – ndr) associate nel tempo con effetti negativi sulla salute, quali il tumore e le disfunzioni nei neonati”. Nelle citate norme di protezione della K Force si legge, tra l'altro: "L 'UI è un metallo pesante chimicamente tossico e radioattivo con un peso specifico quasi doppio rispetto al piombo... L'UI emette radiazioni Alfa, Beta e Gamma con un tempo di dimezzamento di 4,5 miliardi di anni. La sua pericolosità radioattiva è dovuta alle radiazioni alfa... ". Nelle norme emanate dalla Folgore si legge: “...In relazione alla partecipazione del contingente italiano alle attività di supporto alla pace in Kossovo può essere definito soggetto a rischio di contaminazione interna da uranio colui che abbia soggiornato od operato in prossimità di un obiettivo colpito da munizionamento all’uranio impoverito o in aree dove siano stati individuati proiettili o un frammento di essi”. Si legge ancora: “La pericolosità dell’uranio si esplica sia per via chimica che rappresenta la forma più alta di rischio nel breve termine, sia per via radiologica che può causare seri problemi nel lungo periodo. La maggiore pericolosità per il tipo di radiazione emessa si sviluppa nei casi di irraggiamento interno (contaminazione interna)...” C’è ovviamente da chiedersi se l’opinione del ministero della Difesa è quella secondo cui l’uranio presenta pericoli (e quindi occorra adottare misure di protezione) oppure quella esattamente opposta e a questa domanda deve essere data una risposta inequivocabile. La valutazione di rischio da parte della Kforce, a firma del Col. Bizzari (novembre 1999) ed anche la valutazione espressa del colonnello Guarnieri della Folgore (maggio 2000) sono dunque molto diverse da quella espressa dal colonnello Rossetti. Peraltro, circa la pericolosità dell’uranio, già il 16 agosto 1993 il Capo della Sanità dell'Esercito USA aveva affermato che: “When soldiers inhals or ingest DU dust they incur a potentional encrease in cancer risk” (e se lo afferma il capo della sanità militare Usa qualche credibilità credo dovrebbe essere concessa alla sua valutazione!). Già nel ’96 il Pentagono aveva approntato dei video-tape riguardanti la pericolosità dell’uranio58. Lo stesso Prof. Mandelli, pur avendo, nella conferenza stampa svoltasi al termine della Prima Relazione della Commissione stessa, assicurato che l'uranio impoverito era da considerarsi 58 I videotape del Pentagono erano i seguenti: 1. Depleted Uranium Hazard Awareness – 2. Contaminated and Damaged Equipment Management – 3. Operation of the AN/PDR 77 Radiac Set and – 4. The draft DU and LLRM contamination management procedures including a United States Army Regulation: Management of Equipment Contaminated with Depleted Uranium or Radioactive Commodities and an United States Army Pamphlet Handling Procedures for Equipment Contaminated with Depleted Uranium or Radioactive Commodities. In merito credo che potrebbe essere di interesse poter disporre di questi videotape certamente reperibili in Usa attraverso l’Ambasciata italiana a Washington. 30 praticamente innocuo, ha poi rivisto il suo giudizio. Infatti ha affermato sulla rivista `Epidemiologia e Prevenzione (giugno-ottobre 2001) in un articolo (vedi allegato), articolo scritto insieme al Prof Mele (membro della Commissione Mandelli), che: "non siamo in grado di escludere che l’uranio impoverito possa essere causa di tale patologia”. (La patologia menzionata riguarda il linfoma di Hodgkin, ndr.). Il Prof. Grandolfo (altro membro della Commissione Mandelli), in una intervista a cura di Stefania Divertito, al quotidiano “Metro” in data 20 ottobre 2003 (vedi allegato), ha dichiarato che: "non abbiamo mai detto che l'uranio impoverito non è letale". Debbo, peraltro, precisare che vi è stato anche un caso in cui una Commissione Medica Militare ha ammesso l’esistenza della relazione causa-effetto59, come si può leggere, ad esempio, sul quotidiano “Il Corriere della Sera” in data 13.02.2003, in un articolo dal titolo “Commissione di Ufficiali Medici per la prima volta stabilisce un legame. L’uranio causò il tumore dei militari"60. Ma, naturalmente, come in precedenza illustrato, è sempre da tener presente che il legame può essere solo di tipo probabilistico. Forse, in merito, potremmo anche tener conto di quanto ha affermato un’importante associazione scientifica inglese, la Royal Academy. In un comunicato AGI/REUTERS/EFE del 22 maggio 2001 da Londra, dal titolo: “Uranio impoverito: Royal Academy conferma ‘è pericoloso” si legge: “L’Uranio impoverito usato negli armamenti è pericoloso anche se solo un numero ridotto di soldati è stato esposto in modo tale da correre un rischio due volte superiore al normale di contrarre un cancro ai polmoni. A questa conclusione è giunto un gruppo di scienziati indipendenti della Royal Academy, la prestigiosa accademia britannica delle Scienze, incaricata di indagare sugli effetti delle armi all’uranio impoverito sperimentate per la prima volta durante la guerra del Golfo del 1991. Gli esperti della Royal Academy hanno sollecitato i governi ad avviare ulteriori ricerche perché sono ancora insufficienti i dati sui livelli di uranio impoverito nelle zone bombardate e sulla quantità di radiazioni con cui i soldati potrebbero essere entrati in contatto”61. E’ bene anche ricordare che circa la pericolosità dell’uranio si sono espressi vari enti italiani: 1) il Ministero dell’Ambiente (di cui a suo tempo – 2002 - era responsabile l’on. Prof. Mattioli, esperto di fisica nucleare e professore all’Università di Roma) e in particolare la “Commissione Tecnico-Scientifica per il contributo italiano al monitoraggio dell’inquinamento chimico-fisico e radioattivo dell’area Balcanica” (commissione istituita nell’ambito di detto ministero), ha affermato nel documento dal titolo “Precauzioni da osservare in caso di ritrovamento di proiettili contenenti 59 Su ciò che si può intendere come relazione causa-effetto, vedi in seguito. Naturalmente, a parere dello scrivente, quando si parla di “legame” si parla di un legame probabilistico. Chi voglia approfondire il modo in cui si intende la “probabilità” può consultare lo studio “Tesi di laurea in diritto penale” dal titolo “La responsabilità penale per l’esposizione dei militari italiani all’uranio impoverito”, presentata da Michela Regia Corte, relatore il Prof. Stefano Canestrari, Bologna, Facoltà di Giurisprudenza, A.A. 2004-2005. La tesi è stata dallo scrivente inviata alla Commissione del Senato. 61 Sulla questione si è espresso l’UNEP (United Nations Environment Programme) in uno studio sponsorizzato dal governo inglese. Nel rapporto tecnico dell’UNEP dal titolo “Capacity building for the assesment of depleted uranium in Iraq” si leggono le seguenti conclusioni: “Local peope were being exposed to DU and other heavy metals in uncontrolled scrap yards and scrap metal processing areas with potential consequences for their health”. (N.B.: “uncontrolled scrap yards” si può tradurre grosso modo in “discariche abusive”, n.d.r.). 60 31 uranio impoverito o di eventuali frammenti ad essi ascritto”) che “l’uranio impoverito è radioattivo e chimicamente tossico e quindi pericoloso per inalazione, ingestione di particolato (polvere nerastra) derivante ad esempio dalla concussione del proiettile con un blindato o altra superficie resistente”. Il Comitato stabilì inoltre che “i proiettili non debbono essere tenuti a contatto con le dita e devono essere raccolti facendo uso di pinze”. Verrebbe la pena di meditare su quanto è accaduto da molti decenni nei nostri poligoni dove, a MANI NUDE, sono stati raccolti dai nostri militari, residui di proiettili e di materiale residuale di armamento! (v. Allegato). 2) il Ministero della Sanità, all’epoca affidato al ministro Sirchia (2002-2004), dispose un’analisi sulla pericolosità degli alimenti importati dai Balcani, dove vi erano stati bombardamenti con UI. Venne anche ordinata la distruzione di 10 tonnellate di viveri. Il ministro in merito emanò due decreti il 22 ottobre 2002 e il 27 agosto 2004, in cui si rilevava la pericolosità dell’uranio impoverito. (v. Allegato) 3) lo Stato Maggiore della Difesa, in una disposizione a firma del generale Gianfranco Ottogalli, con documento del 6 dicembre 1999 prescrisse delle misure di precauzione “secondo cui sia i proiettili, sia i dardi, sia i residui contenenti UI, che dovessero essere individuati, debbono essere depositati in un contenitore metallico, munito di coperchio, da disporre in zona custodita, appartata (possibilmente al chiuso) in maniera che il personale non possa avvicinarsi a meno di cinque metri”. Ma a parte la citata documentazione italiana (che purtroppo è di molto “giovane età” rispetto a quella di altri paesi esteri, come Usa, Gran Bretagna, Canada e inoltre basata su un numero limitato di casi - ad es. nella Commissione Mandelli vennero esaminati solo 44 casi62), documentazione nella quale si afferma la pericolosità dell’uranio, vi è una amplissima letteratura straniera che, come in precedenza accennato, nasce subito dopo la seconda guerra mondiale e quindi ha ormai “oltre 60 anni di età” ed è stata il frutto di un apparato scientifico certamente più sviluppato di quello italiano. Ad esempio in un documento del 195063 si ha notizia di armi all’uranio che vennero tagliate con getti d’acqua ad altissima pressione negli Stati Uniti per bonificare un poligono dismesso (v. Allegato). 62 Da osservare che con un numero così limitato di casi (e con un fenomeno in corso di sviluppo) non si può parlare di uno “studio epidemiologico” (semmai di “studio statistico”) o qualcosa del genere. Anche per quanto riguarda le relazioni della Commissione Mandelli non si può parlare di studi epidemiologici. 63 Il documento citato è il resoconto della Conferenza tenutasi il 23-27 febbraio 2003 a Tucson, Arizona (WM 03 Conference) dove si fa cenno al taglio con acqua sotto pressione (hydro cutting) di proiettili all’uranio impoverito per contribuire alla bonifica del poligono di tiro di Tucson, contaminato da uranio impoverito. Sperimentazioni sul poligono con armi all’uranio impoverito erano state effettuate all’estero dal 1950 al 1960, cioè in epoche in cui l’Italia era del tutto ignara del problema! 32 In un altro documento del 1977 (anche in quel tempo in Italia nessuno pare sapesse della esistenza di armi all’uranio impoverito!) che si riferisce all’attività del poligono dell’Aeronautica Usa di Eglin (Florida) si fa cenno a delle sperimentazioni che si effettuarono sulle armi all’uranio impoverito per individuare, tra l’altro, delle norme di protezione adatte. Nel rapporto64 infatti si legge che “i dati raccolti saranno utili a fornire protezione al personale impegnato nei “test” del materiale e nell’uso operativo dello stesso” (v. Allegato). Nella letteratura citata si trovano anche documentazioni circa le patologie che possono derivare dall’uranio impoverito. In proposito basti citare lo studio della scienziata Leuren Moret (vedi Allegato) che ha raccolto i risultati delle sue analisi circa le vittime della guerra del Golfo. Nello studio la Moret cita le patologie che ha riscontrato, tra cui le seguenti: abnormal births, abnormal metabolism of semen contains, acute myeloid leukemia, bone cancer, brain tumors, chronic myeloid, colon cancer, genetic alterations, Hodgkin lymphoma, liver carcinoma, Lou Gehrigs Disease, lung cancer, lymph cancer, lymphoma, melanoma, non-Hodgkin lymphoma, pancreas carcinoma, skin cancer, thyroid cancer. Nella valutazione della non pericolosità dell’uranio impoverito, il Col. Rossetti si basa sul fatto che le radiazioni sono molto deboli. Ciò è certamente vero, in senso assoluto, ma non tiene conto della possibilità dell’accumulazione e reiterazione di radiazioni (dell’effetto “durata”), cioè non tiene conto della questione delle dosi a cui abbiamo più volte fatto cenno, nel senso che mentre per minime dosi i pericoli sono probabilmente poco rilevanti, non così accade per dosi consistenti. Non mi soffermo sull’aspetto della tossicità chimica del materiale (metalli pesanti) in quanto ben nota. Ma quando si parla di tossicità chimica bisogna tener presente che tale tossicità degli 64 Nel rapporto del 1977 è scritto tra l’altro: “Armor piercing munitions are specifically designed to defeat armored targets through primary impact of a high density, nonexplosive core or penetrator. Using depleted uraniun as the penetrator material, fire is realized as a secondary damage-mechanism due to the pyrophoric nature of the depleted uranium projectile which bursts into burning fragments upon impact with armor. It was the objective of this work to study the nature and formation of these fragments and to describe the particulates which are generated as a result of the physical breakup and the vigorous oxidation of depleted uranium. Scanning electron microscope techniques coupled with energy dispersive X-ray spectroscopy were used to determine the morphological characteristics of the particulate material. Emphasis was placed on determining the size range, crystalline structure, and stability of the resulting particles. Information obtained from this study will be useful in future assessments concerning the impact of depleted uranium munitions on the environment. The data will also be valuable in understanding and providing for protection of personnel associated with testing and operational use of this type of weaponry. It is anticipated that the results of these Aberdeen tests will provide insight in understanding the events which occur during 30 mm testing at Eglin Air Force Base”. In uno studio del Dipartimento di Fisica Teoretica dell’Università di Tessalonica si legge, nel saggio di Th. E. Liolios “Assessing the risk from the depleted Uranium weapons used in Operation Allied Force: “Operation Allied Force (OAF) has been going on for weeks in Yugoslavia, employing sophisticate weapons that carry the spectrum of radiological contamination. Over the past decades there has been a tremendous effort in weapons laboratories to use depleted uranium (DU) in conventional weapons in order to enhance their penetrability or to strengthen armor panel (tanks, artillery, etc). Depleted uranium is used in a number of armor-piercing anti-tank munitions, such as those aboard American A-10 Warthog jets, Apache helicopters, and M-1 Abrams and Bradley tanks. US and Allied forces fired approximately 315 tons of depleted uranium during the Persian Gulf War. Yugoslav state news media have referred to “radioactive bombs” being launched by NATO. There is strong likelihood that the weapons referred to are composed of depleted uranium (DU). Its ability to self-sharpen as it penetrates armor is the main reason why tungsten, which tends to mushroom upon impact, has been abandoned. Nevertheless, the high temperatures caused by the high explosive (HE) detonated in the weapon or the friction between the ammunition and the target (armor, concrete...) lead to the generation of uranium oxides which along with the tiny fragments of the weapon case pose a serious radiological hazard to living beings....” (sottolineature mie, ndr). 33 armamenti è stata presente “da quando si spara” (anche negli eserciti di Napoleone era presente). Ma, probabilmente, può avere rilevanza (come “generatrice” di tumori) solo quando c’è una concentrazione di fuoco particolarmente rilevante (il che può verificarsi ad esempio nei poligoni delle aree colpite o durante operazioni di brillamento). In definitiva, per quanto concerne l’UI, non è opportuno esprimere un giudizio “generico d’insieme” sulla non pericolosità65 perché scarsamente significativo per quanto riguarda le conseguenze da trarne. Tra l’altro in una situazione come quella che si è verificata in Italia in cui vi sono (dati riferiti al 2007) oltre 2000 ammalati, appare arduo escludere che almeno in larga parte, questi lo sono a causa dell’uranio impoverito! Il problema della pericolosità dell’uranio impoverito è del resto stato preso in attento esame anche in molti altri paesi, tanto è vero che ben 148 paesi hanno chiesto all’Onu di legiferare in merito all’abolizione delle armi all’uranio impoverito. Non si può credo negare che qualche diffuso sospetto sulla pericolosità fisica e chimica di queste armi esista nei paesi firmatari dell’appello! Vorrei concludere affermando che se vi è stato qualche fraintendimento circa le affermazioni del Col. Rossetti, sembrerebbero opportuni dei chiarimenti in merito. Tra gli esperti auditi dalla Commissione anche il Prof. Francesco Schirulli, presidente della Lega Tumori, che ha fatto rilevare i pericoli dell’uranio impoverito66. AUDIZIONE DEL MAGGIOR GENERALE FRANCESCO TONTOLI Il generale afferma che “Poiché le forze armate italiane non dispongono e non hanno mai fatto uso di munizionamenti all’uranio impoverito, non sono state dettate particolari misure per lo stoccaggio e l’immagazzinamento di tale materiale, né sono stati dati in dotazione dispositivi di protezione individuale”. Questa affermazione desta qualche perplessità perché ad esempio le citate norme della Folgore emanate nel maggio 2000, prevedono appunto l’adozione di misure di protezione67. Peraltro il generale non aggiunge che il nostro personale è stato impiegato in teatri operativi dove sono stati utilizzati da altri armi all’uranio impoverito, le quali hanno colpito obiettivi (bersagli) che quindi sono diventati emanatori di radiazioni a cui può essere stato colpito il nostro personale, 65 Cioè un giudizio che non tenga conto delle condizioni in cui si è trovata la singola persona nel suo rapportarsi agli effetti dell’UI. 66 Il Prof. Schirulli, presidente della Lega Tumori (v. audizione 23 febbraio 2011), ha sostenuto che l’esposizione all’uranio impoverito è “suscettibile di determinare gravi conseguenze sulla condizione sanitaria di chi entra in contatto diretto o indiretto con esso. E’ noto inoltre che l’eventuale esposizione di ordigni bellici contenenti uranio impoverito ne provoca una vaporizzazione con conseguente formazione di aerosol e deposizione al suolo di metalli pesanti. L’esposizione a questo materiale tossico e radiattivo per inalazione o ingestione di acqua e cibo contaminato può indubbiamente produrre effetti dannosi alla salute...”. “L’azione patologica dell’uranio impoverito nell’organismo umano è riconducibile sia alla sua tossicità chimica come metallo pesante, sia all’effetto radiattivo in quanto emettitore soprattutto di radiazioni Alfa, ma anche di particelle Beta e di radiazioni gamma”. 67 Se dalla Folgore non sono state adottate le misure di protezione che aveva ordinato, allora ritengo debba essere fatta chiarezza in merito. 34 personale che quindi avrebbe dovuto essere stato protetto (in particolare con adeguati filtri68). C’è dunque da tener conto dei rischi provocati dall’impiego di armi altrui, cioè dal rischio di “fuoco amico”. E purtroppo occorre ricordare che l’Italia negò, come in precedenza menzionato, che fossero state impiegate da altri paesi tali armi all’uranio impoverito in Bosnia. Fu la Nato a costringere l’Italia ad ammetterlo, precisando che in Bosnia erano stati sparati 10 mila proiettili all’uranio impoverito. Tali proiettili purtroppo i nostri reparti NBC non li avevano individuati per insufficienti capacità di localizzazione da parte degli strumenti disponibili69. Il nostro personale è stato esposto al rischio provocato da altri e quindi dispositivi di protezione individuale avrebbero dovuto essere stati dati in dotazione al personale! E ciò riguarda anche l’impiego in Somalia nel ’92-’94 e nella Guerra del Golfo del 1991. Inoltre il generale non cita il fatto che, almeno secondo quanto indicato nella legge finanziaria 2008, art. 2 commi 78 e 79, vi sono rischi non solo per ciò che riguarda le armi all’uranio impoverito ma anche per ciò che riguarda i proiettili convenzionali (sebbene, a parere dello scrivente, certo in minor misura perché, mentre le armi all’uranio impoverito hanno effetti di tossicità sia chimica che fisica – radiazioni – quelle convenzionali hanno effetti solo di tossicità chimica). E’ da precisare anche che nelle missioni di pace sono state impiegate armi convenzionali (e non solo quelle all’uranio). Nelle operazioni in Somalia 1992-1994 vi furono, come prima accennato, 10 mila morti (di cui certamente la maggior parte dovuti a ferimenti per armi convenzionali). In Italia, e in Per quanto riguarda il “deposito di armi” c’è da intendersi su cosa si vuol dire. Il generale Ottogalli, già Sottocapo di Stato Maggiore della Difesa, come in precedenza citato, impartì delle norme molto precise di protezione, come in precedenza citato, in data 6 dicembre 1999, circa i contenitori in cui si dovevano sistemare armi all’uranio impoverito trovate sul terreno. Tra l’altro contenevano l’ordine di non avvicinarsi mai a meno di 5 metri dal contenitore stesso. 68 I filtri debbono tener conto della difficoltà di bloccare le particelle (il particolato), ciò in relazione alle loro piccolissime dimensioni. E a proposito delle dimensioni delle particelle, va tenuto presente che nel Regolamento di applicazione per la Legge Finanziaria 2008, si stabilisce una definizione delle nanoparticelle stesse relative ai metalli pesanti. Vengono intese come “un particolato ultrafine formato da aggregati atomici e molecolari con un diametro compreso, indicativamente, tra 2 e 200 nm (nanometri)”. Ma su questa definizione sono sorte perplessità. Si è affermato infatti anche che le nanoparticelle non hanno una definizione univoca e vi è comunque una difficoltà di “trovare” particelle così piccole (“nanoparticelle”). La problematica interessa di conseguenza anche le caratteristiche dei filtri. Sul problema delle nanoparticelle ha formulato dei commenti (inviati dallo scrivente alla Commissione Senatoriale) la prof.ssa Maria Pia Sammartino, docente di Chimica all’Università di Roma. La questione riguarda naturalmente anche la problematica dei risarcimenti, più precisamente la domanda è se i risarcimenti vengono conferiti in base alla possibilità di individuare la presenza delle nanoparticelle nell’organismo umano. Vi è certamente un problema se non si riescono a individuare particelle così minuscole. Però il fatto che non si riesce a individuarle non significa affatto che non ci siano. Un’ampia discussione scientifica sulle nanoparticelle si sviluppò in occasione di un processo tenutosi a Rovigo nel 2005, il processo Enel n. 13381/2005 R.G.N.R. (copia degli atti è stata inviata dallo scrivente alla Commissione del Senato). Sono stati in precedenza citati in merito le analisi che vennero fatte per il marescialli Giovanni Pilloni e per il militare francese Ludovic Acaries, in cui sembra che tracce di uranio vennero trovate. 69 Il dott. Armando Benedetti del CISAM (il centro di sperimentazione nucleare italiano delle forze armate, ubicato a San Piero a Grado - Pisa), nell’audizione della Commissione d’inchiesta senatoriale del 1 giugno 2005, ha affermato che “l’intensimetro Ra 141 B può rilevare proiettili all’uranio solo nelle immediate vicinanze, diciamo qualche centimetro, e aggiunge “Abbiamo un rammarico dal punto di vista scientifico: non ci siamo accorti dell’impiego dell’uranio impoverito in Bosnia...”. E’ bene ricordare anche l’insufficiente capacità di esplorazione dell’intensimetro RA 141 B (in seguito sembra che lo strumento sia stato sostituito dall’apparato USA AN/DPR 77/Radial Set). 35 particolare nei poligoni e depositi70, i casi di malattia e morte possono essere stati prodotti dalle particelle emesse. Per quanto riguarda i poligoni è bene tener presente comunque che solo parti “ristrette” dell’intera area superficie dei poligoni vengono coinvolte nell’esercitazione e sperimentazioni e quindi non si può mettere su uno stesso piano, da un lato, la pericolosità delle ristrette parti colpite e dall’altro la pericolosità di tutto il territorio restante che non viene colpito71. Né si può fare una “media” di pericolosità tra questi diversi ambiti, altrimenti si farebbe una specie di “statistica alla Trilussa”72. In realtà per un’indagine mirata nei poligoni sarebbe importante conoscere le coordinate dei punti di impatto delle armi. Del resto è bene ricordare che, come in precedenza osservato, la Legge Finanziaria 2008, art. 2 commi 78 e 79, ha stabilito che debbono essere conferiti i risarcimenti in relazione all’esposizione a nanoparticelle che possono essere emesse da proiettili convenzionali, sia alle nanoparticelle che possono essere emesse dai proiettili all’uranio. Si tratta sempre di metalli pesanti. C’è da osservare comunque in relazione all’eventuale possesso di armi all’uranio da parte dell’Italia, a suo tempo sorsero sospetti su un lotto di armamenti, il lotto acquistato da Israele, il lotto IMI 1985 (dove IMI sta per Israel Military Industry). Questo lotto venne stoccato (dopo che dalla Somalia era stato riinviato in Italia), in parte nel deposito di Bibbona presso Cecina e in parte (probabilmente) presso il poligono di Nettuno e in altre località (v. allegati). Il Ministero della Difesa ha peraltro negato che si trattasse delle armi all’uranio73. 70 E’ doveroso ricordare in merito che nella normativa esistente (vedi DPR 37/2009), vengono menzionati solo i depositi munizioni. La normativa si è dimenticata infatti dei depositi di vestiario, di automezzi e anche delle officine di riparazione. E’ necessario perciò che vengano apportate le dovute modifiche a questa normativa. 71 Circa le aree colpite è doveroso ricordare quanto ebbe ad affermare il generale Molteni, comandante del Poligono di Salto di Quirra (vedi audizione 18 ottobre 2005), secondo cui nel poligono di Capo Teulada “vi sono zone totalmente o permanentemente interdette” Sarebbe naturalmente di grande importanza conoscere in base a quali criteri, procedure e misurazioni è stata determinata la suddetta condizione. Negli Stati Uniti nel deserto del Nevada vi sono delle aree interdette che vengono considerate come “non più appartenenti al suolo nazionale”. Sono aree di “sacrificio nazionale”. Ma è accettabile che in Sardegna possano esistere aree di questo tipo che portano alla esclusione dal territorio nazionale delle aree stesse perché non più bonificabili? 72 Certamente se si “fa la media” tra la pericolosità delle zone colpite e delle zone non colpite, questa media risulta necessariamente assai bassa. A proposito della statistica, Trilussa ci ricorda la storiella delle due persone che si trovavano a mangiare un pollo. Accadde che il pollo se lo mangiò una sola delle due persone ma statisticamente risultava che le due persone si fossero mangiate il pollo al 50 per cento. 73 In particolare, rispetto all’ipotesi che parti del lotto sarebbero state custodite in alcuni depositi in Puglia, Sardegna ed appunto in Toscana, a Marina di Bibbona, come si legge su un articolo de “Il Tirreno” del 23 marzo 2001, il tenente colonnello Fais dell’8° Ceri mant di Roma, cioè il nucleo che sovraintende agli armamenti insieme alla direzione generale della Difesa smentì seccamente: “Assolutamente no, in Italia non abbiamo mai avuto munizioni all’uranio impoverito”. Anche da parte della Folgore di Pisa venne una smentita: “Assolutamente mai sono stati usati armamenti all’uranio impoverito, né mai sono stati comprati, né abbiamo mezzi in grado di sparare queste armi, cioè non abbiamo bocche di fuoco per queste munizioni”. Tuttavia la questione del lotto IMI (l’acronimo sta a significare “Israel Military Industry”), ha suscitato non poche perplessità (sembra peraltro che il lotto fosse di costruzione tedesca). Perché l’Italia ha acquistato questo lotto da Israele? L’Italia non è in grado di produrre proiettili per cannoni da 105 mm? Qualcuno dovrà pure rispondere a questa domanda! Va tenuto conto che all’epoca dei fatti vigeva un bando per il commercio di armi con Israele perché considerato paese in guerra e perché era stato tramite di vendita di armamenti con il Sudafrica, paese per il quale esisteva un embargo internazionale. Non è mai stato chiarito se questo lotto sia giunto in Italia attraverso una triangolazione o attraverso una regolare transazione autorizzata dall’apposito comitato per le autorizzazioni, all’epoca dislocato presso il Ministero del Commercio con l’Estero e presieduto dal diplomatico Ministro Alberto Indelicato. E’ da tener presente che l’Italia ha aderito 36 Inoltre va tenuto presente che per valutare l’efficacia protettiva delle armature dei mezzi corazzati italiani, debbono essere su di essi effettuati test con proiettili all’uranio impoverito. Infatti è ovvio che i nostri carri-armati debbono presentare la massima possibile sicurezza per gli uomini che vi operano. E la sicurezza va valutata in base alle armi che possono essere più pericolose. Le armi all’UI possono venire usate dai paesi che le hanno in dotazione, in teatri operativi nei quali possono trovarsi ad operare anche le forze italiane. Non risulta sia stato mai richiesto alle ditte produttrici di mezzi corazzati e blindati, in Italia se siano state impiegate corazzature o blindature con lamiere in uranio impoverito e se sono stati effettuati dei test per verificare la resistenza all’impatto rispetto ad armi all’UI. E’ comunque necessaria, a parere dello scrivente, la disponibilità in Italia di armi all’uranio impoverito per poter effettuare questi test74, test i quali naturalmente debbono essere effettuati nelle condizioni di sicurezza necessarie (alcuni test sono da effettuare in caverna). Desta dunque perplessità l’affermazione che l’Italia non ha mai avuto in dotazione armi all’uranio impoverito perché ciò farebbe sospettare che i nostri carri armati e mezzi blindati non siano mai stati sottoposti a prove di resistenza rispetto a tali armi. Circa i pericoli esistenti nel teatro somalo, ha riferito ad esempio il maresciallo Marco Diana,il quale si ammalò di un tumore dopo che aveva operato in Somalia e in Bosnia. E’ bene evidenziare che nel resoconto che segue, il maresciallo mette in evidenza gravi carenze nelle misure di protezione anche sotto altri riguardi, ad esempio quelli concernenti le radiazioni dei radar (e cioè rischi al di fuori di quelli relativi all’uranio impoverito), e cita le operazioni di vigilanza effettuate dal personale. Da notare che dell’attività di vigilanza si deve tener ben conto perché, come in precedenza notato, a chi è colpito da grave malattia, (avendo effettuato attività di vigilanza) deve essere assegnata la categoria di “vittime del dovere” (e ciò in base alla L. 466/80 art. 3 e alla L. 308/81, art. 5, L. 266/05 art. 1 comma 563) e quindi conferiti i risarcimenti relativi. Del resto la missione in Somalia era costituita da un’operazione di SOCCORSO UMANITARIO e le citate leggi stabiliscono che a chi ha effettuato operazioni di soccorso (in caso riporti un grave infortunio) sia conferito lo status di “VITTIMA DEL DOVERE” Il maresciallo Marco Diana mette anche in evidenza, che nostro personale ha operato all’interno di carri somali colpiti quindi in condizioni di alto rischio75 ed ancora cita il fatto che il personale italiano ha sostato in prossimità di zone in cui hanno sin dal 1925, al protocollo di Ginevra che vieta l’impiego di armi chimiche (le armi all’uranio hanno anche effetti di tossicità chimica). 74 Non è mai stato risposto alla domanda se i nostri mezzi corazzati e mezzi blindati sono stati sottoposti o meno ai test nei riguardi della resistenza dei mezzi corazzati alle armi all’uranio impoverito (vedi in merito quanto affermato dal colonnello Bertino nella citata audizione presso la Commissione Uranio impoverito del Senato del 18 ottobre 2005). 75 Circa il grave rischio che corre chi si introduce all’interno di un carro armato colpito è da tener presente che per il personale Usa che all’epoca della Guerra del Golfo operò anche all’interno di carri armati colpiti, venne compilato un apposito questionario (copia è stato dallo scrivente inviato alla Commissione senatoriale in data 22 febbraio 2011) in cui si chiede se la presenza della persona nel carro armato è stata inferiore a 5 minuti, tra 5 e i 15 minuti, tra i 16 e i 30 minuti, oppure per più di 30 minuti. Per quanto riguarda il tempo trascorso dopo il momento “distruttivo”, si chiede nel questionario se è inferiore alle 22 ore, se è tra le 12 e le 24 ore, se è più di 24 ore. Quanto sopra mette in chiara evidenza la necessità, per quanto riguarda l’esposizione, di tener conto delle dosi prevedibili di ingestione e inalazione di particolato. Non ci si 37 operato carri armati Abrams (i quali, insieme ai blindati Bradley, erano dotati di armamento all’uranio impoverito, ndr). Il maresciallo, in un’intervista rilasciata al giornalista Paolo Carta, con riferimento alla grave malattia da cui era affetto, affermò tra l’altro che..... «...Presenterò un ricorso alla Corte dei Conti e al Tar del Lazio. Lo Stato sostiene che non è provato scientificamente il nesso di causalità tra il contatto con certe sostanze e la mia malattia? Veramente sarebbero loro a dovermi dimostrare che il mio tumore - rarissimo e, per usare i parametri medici, a rapida evoluzione - non è dipeso dai missili che ho maneggiato, dalle medicine che ho preso e da quelle che non mi hanno dato, dai raggi magnetici in cui sono incappato, dalle sostare nucleari utilizzate dai miei commilitoni o dagli eserciti che dovevamo controllare per la Nato, e dallo stress delle missioni in Somalia, in Bosnia e in tutto il mondo. A farmi forza ci sono purtroppo tanti ragazzi, colleghi, nelle mie stesse condizioni perché i morti dopo il contatto con l'uranio impoverito sono pochissimi rispetto agli altri militari malati o scomparsi dopo le trasferte di pace con la Nato». Parole durissime. E le prove? «Per esempio i manuali che dovevamo studiare noi istruttori lanciamissili prescrivono una serie di norme di sicurezza che noi non abbiamo mai rispettato. La distanza dai bersagli per le esercitazioni - che emanano raggi infrarossi - doveva essere almeno 75 metri. Noi abbiano sempre sparato a sagome situate a non più di 50 metri, senza maschere e cuffie. E poi certe esercitazioni dovevano essere svolte in 3-4 mesi, per evitare i contatti troppo prolungati con certe sostanze, usate per preparare le bombe e per pulire mortai, lanciamissili e armi. Invece no, le prove duravano spesso 3-4 settimane, poi via in missione». Dove lei può essersi ammalato? «In Bosnia, in Somalia, chissà. In Africa ero il responsabile della scorta per le carovane che trasportavano armi, missili, mezzi e quant'altro da Mogadiscio verso le altre zone, sotto la bandiera Nato. Questi mezzi poi dovevano essere sottoposti a bonifica nucleare, biologica e chimica prima di essere imbarcati di nuovo per l'Italia». La sua denuncia arriva dopo una pensione rifiutata, potrebbe essere considerata poco credibile, la vendetta da un muretto a secco. «Tutto questo è vero e avviene tutti i giorni, lo sa chi va sul campo e non sta dietro un ufficio in caserma. E di fronte a certe parole la mia unica difesa è dire e provare la verità. Ma tutto questo avviene perché nell'Esercito non esiste un sindacato, si è sempre sotto schiaffo, in balia dei superiori, se pretendi di far rispettare le leggi sulla sicurezza magari ti rovinano con le note caratteristiche. E allora ubbidisci, in silenzio. E non è il discorso di un maresciallo: lo stesso vale per i tenenti, i colonnelli e per i generali, che poi devono rendere conto ai politici. Tutto sulle spalle dei poveri soldati che magari dovevano lavorare in missione operativa in Africa sui carri armati: vecchi, superati, senza nessuno schermo protettivo per le radiazioni elettromagnetiche, malgrado la presenza di pochi metri di ponti radio che arrivavano solo sino all'Italia e negli Usa. E tutti sanno gli effetti di certe esposizioni ai campi magnetici». Afferma inoltre il maresciallo: “Il carro non era schermato, quindi vi lascio immaginare a quali sollecitazioni ero sottoposto. Ma non finisce qui, sul carro vi erano stivati con cinque uomini d'equipaggio, missili, munizioni, armi di riserva, carburante di riserva, batterie di riserva e varie dotazioni, compresi gli zaini nostri con tutto il materiale per sopravvivere i giorni che avremmo impiegato a percorrere il tratto di strada previsto dalla missione, per l'andata più il ritorno. Inoltre, il carro era dotato di un visore a raggi infrarossi, che funziona a 15.000 volt, il quale era d'obbligo l’uso in quanto capitava molte volte di viaggiare di notte e quindi se si voleva vedere la strada bisognava usarlo. Durante i miei viaggi come scorta dei convogli, mi ricordo che dovevamo fermarci spesso, per controllare che sulla strada non ci fossero delle mine anticarro. Molte volte vedevamo i carri in dotazione all’esercito somalo, erano lì mezzi distrutti, e noi ci dovevamo passare vicino. Erano di fabbricazione russa. Mi ricordo quando facevamo il controllo del territorio o il rastrellamento che in questi carri ci veniva ordinato di entrarci per controllare che tutto fosse a posto. Una volta rientralo a Mogadiscio, mi dovevo adoperare con i miei soldati, per organizzare il servizio di sicurezza della base e dei container appoggiati al molo, in attesa dell'arrivo delle navi container, per essere caricati e rimandati in Italia. Quindi dovevo girare tutta la notte, per sorvegliare...” “...Un’altra cosa che mi ha fatto riflettere è stato quando pensavo ai missili che in Somalia gli Americani usavano. E sì, perché i Somali a volte ci bombardavano con i mortai e gli americani, facevano alzare in volo i loro elicotteri, i quali una volta stabilita la traiettoria, più o meno giusta, da può assolutamente accontentare del genericissimo termine di “esposizione”. Come purtroppo è stato fatto in Italia, in varie relazioni dividendo semplicemente il personale tra “esposto” e “non esposto”. 38 dove potevano essere lanciate le bombe con i mortai somali, gli americani lanciavano tanti di quei missili da radere al suolo la zona ipotetica del lancio. Devo anche dire che dopo gli assalti Somali (i quali hanno toccato anche le colonne che ho scortato, e sì ogni tanto qualche proiettile si faceva sentire: non era più permesso passare per Mogadiscio, ma bisognava passare per una bretella di collegamento fatta dagli americani in modo da aggirare Mogadiscio e arrivare al porto tramite l’aeroporto, così si limitavano i pericoli d’imboscate. Però sul lato destro della bretella andando verso l’aeroporto, all’uscita di Mogadiscio, vi era un’area che era utilizzata dagli Americani, in prevalenza per esercitarsi con tutte le armi portatili, i carri armati ABRAMS, i sistemi missilistici e gli elicotteri. Noi eravamo costretti per vari motivi, sotto ordine ricevuto, a passare proprio affianco a quest’area e molte volte ci dovevamo fermare, proprio in quel tratto della bretella, per aspettare dei mezzi, che si dovevano accodare alla mia colonna; oppure ci dovevamo fermare perché ci veniva ordinato dal comando per questioni di sicurezza...”. Dal racconto del maresciallo appare che esistono carenze nella normativa concernente la protezione anche al di là di quella specificamente riferibile ai rischi dell’uranio. Le norme di protezione specifiche per l’uranio impoverito, come detto in precedenza, comportano l’uso di tute speciali antiradiazione (e quindi assai fitte, al fine di non far passare i raggi alfa), maschere (con filtri appropriati), guanti, occhiali, così come spiegato nelle norme Usa (v. in particolare le norme Usa del 1984 e le norme Usa del 14 ottobre 1993 - in allegato). Non risulta che il nostro personale in Somalia abbia adottato tali norme di protezione (come in precedenza accennato). Così è stato anche in Bosnia e in Kossovo fino al 2000. Le norme che i reparti italiani hanno adottato in Somalia (v. allegato) riguardavano la protezione da rischi di colpi di sole, punture di insetti, diarree, ecc.. Tale elenco è stato inviato dallo scrivente alla Commissione Senatoriale. Le prime norme di protezione dai pericoli dell’uranio impoverito sono quelle più volte citate in precedenza, ed emanate dalla Kfor, la forza multilaterale nei Balcani il 22 novembre 1999. Per i nostri reparti le prime norme, almeno a quanto è noto allo scrivente, apparvero nel maggio del 2000 e sono quelle (già citate) della Folgore. Peraltro, a detta di molti reduci, anche dopo il 2000 le norme su menzionate non vennero sempre applicate o vennero applicate solo in modo parziale. Inoltre non si conoscono i dati “merceologici” relativi all’efficacia di queste misure di protezione, cioè non si sa se rispondano, ad esempio, agli stessi requisiti standard individuati dagli Usa, e ciò in particolare per quanto riguarda i filtri utilizzati (v. Allegato) e il tessuto delle tute76. Circa l’efficacia dei filtri usati dal personale italiano, sono state avanzate delle riserve (vedi Allegato). Alcuni interessanti rilievi in merito sono stati formulati dal tecnico Gianluca Bolzonella (che peraltro può fornire ulteriori indicazioni in merito). Un’ampia disquisizione in rapporto alla doverosità di applicare misure di protezione si può reperire nella sentenza del Tribunale Civile di Firenze in data 17 dicembre 2008 relativa al paracadutista G.B . Marica che ha operato in Somalia senza norme di protezione (v. allegato). La Corte ha chiesto al Ministero della Difesa un risarcimento un 545 mila euro. Nella sentenza si legge tra l’altro: “Deve concludersi che, nel caso in discorso, vi sia stato un atteggiamento non commendevole e non ispirato ai principi di cautela e responsabilità da parte del Ministero della Difesa, consistito nell’aver ignorato le informazioni in suo 76 Per inciso, a proposito delle tute è bene ricordare che i militari Usa le lavavano ogni sera, mentre i nostri militari si limitavano a spazzolarle. 39 possesso, già da lungo tempo circa la presenza di uranio impoverito nelle aree interessate dalla missione ed i pericoli per la salute dei soldati collegati all’utilizzo di tale metallo, nel non aver impiegato tutte le misure necessarie per tutelare la salute dei propri militari e nell’aver ignorato le cautele adottate da altri Paesi impegnati nella stessa missione, nonostante l’adozione di tali misure di prevenzione fosse stata più volte segnalata dai nostri militari...” “L’Amministrazione convenuta deve ritenersi responsabile del danno alla salute subìto [dal paracadutista G.B. Marica, n.d.r.], danno che, consistendo in lesioni personali gravissime cagionate da comportamento colpevole dell’amministrazione, integra necessariamente gli estremi del correlativo reato”. Circa la nascita di bambini malformati (tale possibilità è esplicitamente menzionata nelle norme di protezione della Kforce succitata del 22 novembre 99 a firma del Col. specializzato NBC Osvaldo Bizzari), gli organi di stampa hanno ampiamente evidenziato queste tematiche (v. allegato). La nascita di bambini malformati riguarda anche casi verificatisi nei poligoni di tiro77. In particolare nei poligoni di Salto di Quirra in Sardegna si sono verificate anche nascite di animali malformati. La questione delle malformazioni alla nascita è stata oggetto di un ampio reportage della rivista “Life” del 1995 (vedi Allegato). E’ stata anche oggetto di un documentario cinematografico italiano del regista Alberto D’Onofrio, dal titolo “La sindrome del golfo” (presentato alla 56^ mostra internazionale del cinema di Venezia nella sezione “Nuovi Territori”). Il Generale Tontoli afferma, come sopra ricordato, che non sono stati dati in dotazione dispositivi di protezione. Forse sarebbe più esatto dire che le disposizioni di protezione sono state adottate solo sei anni dopo quelle Usa del 1993. Peraltro, come si è in precedenza ricordato, dette norme di protezione (consistenti nell’uso di maschere, occhiali, guanti, tute) erano già state precisate nelle disposizioni Usa del 1984 inviate all’Italia (v. Allegato). Il generale non si sofferma inoltre sulla questione se il personale operante in zone in cui è stato impiegato uranio impoverito, è stato, quanto meno, edotto dell’esistenza di norme (e del loro contenuto). Certo è che in Somalia, come in precedenza ricordato, e prima ancora, nella guerra del Golfo le norme non sono state né rese note, né applicate. Sono state emanate solo nel 2000 (all’epoca delle operazioni in Kossovo) ma a detta di numerosi “reduci” spesso non sono state applicate o sono state applicate solo parzialmente (vedi Allegato). L’opinione che non necessitino misure di protezione è stata confermata anche dal ministro della Difesa, on. La Russa che, in una dichiarazione all’Ansa del 2 marzo 2011 afferma che non è previsto l’uso di guanti o altri dispositivi di protezione individuale, non implicando tale pratica l’esposizione a sostanze nocive per il personale incaricato! 77 Ciò fu a suo tempo anche oggetto di una trasmissione televisiva del giornalista Enzo Biagi nella rubrica dei “Cinque minuti”. Il reportage si riferisce alle malformazioni registrate presso Escalaplano nell’area del poligono di Salto di Quirra. Da notare che la stampa si è occupata della questione con numerosissimi articoli (v. qualche articolo in Allegato). 40 Circa il numero dei militari colpiti da neoplasie maligne accertate, il generale Tontoli fa presente che i militari colpiti da neoplasie accertate sono in tutto 112578 e su questi 334 hanno preso parte a missioni all’estero. Ma la relazione, pertinente al campo militare, non contiene dati circa: a) quanti sono i casi di tumore relativi ai civili (personale civile inviato dalla Presidenza del Consiglio – v. ad esempio personale dei servizi segreti e Protezione Civile – dal Ministero Difesa e da altri ministeri come l’Interno, gli Esteri, la Giustizia, l’Agricoltura e Foreste, l’Economia e Finanze); b) quanti sono i casi di dette patologie che si riferiscono a personale che ha operato in Italia (militari e civili) nelle zone dei poligoni e in depositi di armi, munizioni, vestiario, automezzi e officine di riparazione79; c) quanti sono i casi di personale che ha operato non in “missione” ma in “destinazione fissa”. Infatti è da tener presente che non devono essere presi in considerazione solo i casi relativi al personale che si trova in condizione di “missione”, ma anche i casi relativi al personale che si trova in condizione di “destinazione fissa”; d) quanti sono i casi di malformazioni alla nascita80; e) quanti sono i casi di altre gravi patologie, come la sclerosi (in particolare morbo di Gehring81). 78 Questo numero è diverso da quello reso noto dal generale medico Martinez nell’audizione presso la Commissione Uranio del Senato del 17 maggio 2007 (pag. 16), secondo cui a partire dal 1995-1996 si erano (a quella data) riportati 1802 casi di tumore tra il personale delle forze armate. Anche diverso è il dato fornito dal GOI (Gruppo operativo interforze della Sanità Militare) inviato alla Commissione Senatoriale nella scorsa legislatura dove venivano menzionati 1991 casi. Il numero è infine diverso da quello contenuto nell’elenco inviato alla Commissione Senatoriale nella scorsa legislatura dove si elencano 2536 casi (sempre alla data del 2007). Si tratta comunque di dati che non tengono conto di quanto accaduto nelle operazioni in Somalia nel 1992-1994 e ancor prima in quelle della guerra del Golfo (1991). In risposta a una interrogazione dell’on. Teresa Bellanova del 13 maggio 2010, il ministro della Difesa ha risposto che sarebbero 2727 i militari italiani affetti da patologie neoplastiche al 31 dicembre 2009, precisando che sarebbero 595 i casi di malformazione per personale impegnato in missioni nei Balcani, Iraq, Libano e Afghanistan. Per inciso vengono così omessi i dati relativi alle operazioni svolte dalla guerra del golfo del 1991 e in Somalia del 1992-1994 e i dati relativi a poligoni e depositi. 79 I depositi di vestiario, automezzi, le officine di riparazione, non vengono, come sopra accennato, neppure menzionati nella normativa italiana esistente! 80 Non vengono stabiliti nelle normative i criteri per i risarcimenti riguardanti i casi di bambini colpiti da malformazioni. In questi casi vi è un danno enorme, in primo luogo ovviamente per i bambini così nati, ma anche per i genitori. E’ opportuno che si provveda a colmare questa grave carenza. 81 Da un articolo sul N.Y. Times del 25 gennaio 2009 si apprende che dal settembre 2008 è stato deciso dagli USA, per i reduci della guerra del Golfo risultati affetti dal morbo che prende il nome dal campione sportivo Lou Gehring (una forma di sclerosi), che venga concessa una indennità per coloro che hanno prestato servizio per almeno 90 giorni. Precisamente essi hanno diritto ai "disability benefits". Tra il personale italiano che ha operato in zone contaminate da uranio impoverito vi è anche chi è stato colpito da questa malattia. Un caso (non coperto da privacy in quanto reso noto dalla stampa) è quello del militare Carmine Pastore abitante in provincia di Potenza (v. Allegato). Purtroppo questa malattia non è stata presa in considerazione nelle analisi della Commissione Mandelli e neppure nelle analisi delle commissioni di inchiesta del Senato sull'uranio impoverito, così come non sono state prese in considerazione le malattie genetiche che pure hanno causato la nascita di molti bambini malformati. Il Ministero della Difesa e gli altri Ministeri interessati non hanno fornito alcun dato su queste situazioni. E ciò ha conseguenze sul conferimento di risarcimenti (i quali si riferiscono solo a casi di tumore). La notizia che proviene dagli USA costituisce un incentivo affinché finalmente si venga a conoscere il numero dei casi di gravi malattie neurologiche e genetiche finora ignorati. Per la precisione, nell'articolo del N.Y.Times si legge: "In other circumstances, proof of casuality has been eased or waived. For instance, the Veterans Affairs Department in 2001 added Lou Gehring's desease to the list of service-related disabilities for Persian Gulf war veterans; in September 2008 it agreed to consider any service member who served for at least 90 days eligible for disability benefits if they contracted A.I.S.". E’ auspicabile che attraverso la commissione d’inchiesta del Senato vengano effettuati gli accertamenti necessari. 41 I dati forniti dal generale dovrebbero essere peraltro raffrontati con quelli che la Sanità Militare ha inviato nella scorsa legislatura (in un elenco nominativo) alla Commissione Uranio Impoverito, elenco in cui figurano 2536 casi (alla data del 2007 – vedi, in Allegato, la prima pagina di quell’elenco). Non si conoscono i dati raccolti dalla Polizia Giudiziaria su ordine della commissione senatoriale nella scorsa legislatura, anche se si sa che alcuni dei dati raccolti sono stati forniti dalla Polizia Giudiziaria all’ISS (Istituto Superiore Sanità)82. A proposito dei dati resi noti dal Generale, non è del tutto chiaro se si riferiscono solo a personale dell’Esercito (o riguardino anche personale di altre Forze armate) e neppure si sa se includono quelli che si riferiscono a personale che ha operato nei poligoni, nei depositi e nelle officine. Un esempio di questi casi è quello che riguarda il signor Ariu di cui si è fatto cenno in precedenza. Inoltre, come sopra indicato, i casi resi noti si riferiscono solo al personale in missione trascurando quello in destinazione fissa (come era il caso del Sig. Ariu). Altra questione di cui si trova un cenno nella relazione del generale Tontoli, riguarda le “nanoparticelle”. In particolare non è chiaro se la Sanità militare sia in grado di eseguire quegli stessi esami al microscopio elettronico che attualmente vengono eseguiti da privati a spese dei malati (v. allegato - dove un ammalato, il sig. Cosimo Pinto, si lamenta per questa situazione). Se la presenza delle “nanoparticelle” è rilevante ai fini della valutazione dei singoli casi, dovrebbe essere, almeno a parere dello scrivente, la stessa Sanità militare a prendersene cura! Nessuna indicazione si è avuta ad oggi su questa tematica. C’è da chiedersi se il Policlinico Militare del Celio sia in grado di eseguire queste analisi, servendosi di un microscopio elettronico e delle altre apparecchiature necessarie. Quanto a ciò che riguarda il consiglio (richiamato dal gen. Tontoli), che sembra sia stato dato al personale impiegato in operazioni all’estero, di non fare figli per tre anni (ed emerso dalle dichiarazioni che vennero fornite dagli on.li Pisa e Angioni (29 giugno 2004), nella sede della Commissione Difesa della Camera) è da ritenersi che gli stessi parlamentari possano fornire le precisazioni in merito. Peraltro il fatto che il Capo della Sanità dell’Esercito non sia al corrente della questione, non vuol necessariamente dire che la questione “non esista”. Purtroppo non sempre i vertici militari sono perfettamente a conoscenza di quanto accade “sul campo”. Potremmo in merito citare il caso molto recente (31 dicembre 2010), lamentato dal ministro della Difesa on. La Russa, per cui i vertici militari, forse perché non a conoscenza completa di come erano accaduti i fatti, non gli avevano fornito notizie sullo scontro a fuoco avvenuto in Afghanistan, in cui furono coinvolti i nostri militari insieme a un gruppo di combattenti locali. Tanto che il ministro ebbe a dichiarare che la morte di un nostro militare, l’alpino Miotto, fu dovuta a un episodio isolato (il colpo di un cecchino). Non sapeva evidentemente che vi era stato uno scontro a fuoco con un gruppo di combattenti 82 Anche a questo riguardo è auspicabile che la Commissione d’inchiesta del Senato promuova le azioni necessarie per individuare i dati raccolti dalla Polizia Giudiziaria, i quali peraltro non sono stati resi noti. 42 afghani durato oltre dieci minuti. Una versione dunque, quella del Ministro, fornita inizialmente, che fu certamente inesatta o incompleta. Potremmo anche menzionare, ad esempio, il caso assai grave, citato in precedenza, di non conoscenza della situazione, caso che si riferisce a quando il Ministro della Difesa pro-tempore on. Mattarella non era stato messo a conoscenza del fatto che in Bosnia erano stati sparati oltre 10 mila proiettili all’uranio impoverito (tra l’altro da aerei decollati dalle basi di Aviano e Gioia del Colle, basi che sono sotto il comando italiano) il quale poteva essere a conoscenza di tutte le operazioni svolte. Per quanto concerne il tema dei pericoli della nascita di bambini malformati, lo scrivente vorrebbe suggerire un’attenta lettura del documento francese relativo al “Colloquio di St. Denis” del 21-22 novembre 2000, sull’uranio impoverito e sulla salute riproduttiva delle donne. Tale documento è stato dallo scrivente inviato alla Commissione Senatoriale83. Di tutto rilievo anche il recente rapporto sulla situazione relativa a malformazioni alla nascita verificatesi a Falluja. Alla stesura del rapporto ha partecipato anche la professoressa di genetica dell’Università di Genova, Paola Manduca (v. Allegato). Tale rapporto, inviato dallo scrivente alla Commissione, fornisce ulteriori precisazioni rilevanti per il detto fenomeno delle malformazioni alla nascita. In materia, certamente, la prof.ssa Manduca potrà fornire ulteriori elementi di conoscenza. AUDIZIONE DEL PROF. MASSIMO FEDERICO Il prof. Federico afferma che l’indagine della Commissione Mandelli non aveva evidenziato alcun caso di contaminazione dovuto ad uranio impoverito e che di conseguenza il metallo, non può essere considerato come causa dell’insorgere delle malattie. Su questo argomento si rimanda alle osservazioni formulate a proposito dell’audizione del colonnello Rossetti. Comunque, come in precedenza accennato, lo scrivente ritiene che certamente nessuno può affermare con certezza che l’uranio impoverito sia causa di un tumore (non sappiamo infatti qual è l’eziopatologia dei tumori – e i tumori possono essere generati da più fattori84). Ma nessuno può 83 Occorre anche non dimenticare quanto è accaduto nel poligono di Salto di Quirra in relazione alla nascita di animali malformati, oltre a quanto accennato in precedenza circa i casi di malformazione di bambini alla nascita. 84 Si pone a questo riguardo la problematica relativa a ciò che debba intendersi per CAUSA DI SERVIZIO. In merito possiamo ricordare quanto scrive il Dott. Daniele Zamperini su “L’Avvenire Medico” “Per causa di servizio si intende la ricorrenza di un rapporto causale tra il servizio reso e l’infermità riscontrata. Tale rapporto causale non deve essere necessariamente esclusivo, esso può costituire anche solo una concausa purché di una certa importanza (“efficiente determinante”)” ...”Per i tumori i criteri non sono ben definiti. Pur se molto criticate le commissioni (e in passato la Corte dei Conti) seguono di solito un criterio presuntivo: se il lavoratore è stato esposto ad elementi cancerogeni e in seguito si è sviluppato un tumore, si deve presumere il nesso di causalità”. C’è da osservare in merito che la Legge Finanziaria 2008 (art. 2, commi 78 e 79) prevede la possibilità di risarcimenti in situazioni in cui è stato impiegato l’uranio impoverito e le nanoparticelle di metalli pesanti, 43 nemmeno escludere che l’uranio impoverito provochi tumori. Ed è bene rilevare che in questa situazione è necessario adottare il principio di precauzione, cioè in pratica adottare le misure di protezione. Ad esempio i reparti degli Stati Uniti, come in precedenza più volte ricordato, le hanno adottate fin dal 1993 in Somalia e peraltro erano già state rese note dagli Usa in Italia nel 1984 (per quanto riguarda la pericolosità del metallo nel maneggio a freddo - v. Allegato). Ad ogni modo l’affermazione lascia assai perplessi anche perché, come in precedenza ricordato, lo stesso Prof. Mandelli, in un articolo scritto insieme al Prof. Mele (facente parte della Commissione) sulla rivista “Epidemiologia e Prevenzione” (n. 4-5, luglio-ottobre 2001) afferma che “Per quanto riguarda poi l’associazione tra l’eccesso di Linfoma di Hodgkin e l’uranio impoverito, come è stato discusso nella relazione, attualmente siamo in presenza di una carenza di conoscenze per cui non siamo in grado di escludere che l’uranio impoverito possa essere causa di tale patologia”. Inoltre, purtroppo, nelle relazioni della Commissione Mandelli sono stati riscontrati dei gravi errori., tra cui quello segnalato dal prof. Lucio Bertoli-Barsotti, professore associato di statistica Università di Torino (errore che la Commissione ha dovuto riconoscere - v. Allegato). Venne usata la distribuzione probabilistica di Gauss, anziché quella di Poisson nella 1^ relazione della Commissione Mandelli. L’indagine del prof. Mandelli, inoltre, è basta su un limitatissimo numero di casi di tumore (poche decine). Oggi si sa che il numero supera i 2000 casi! Tali casi peraltro riguardano solo i militari, (esclusi quindi i casi dei civili). C’è forse da osservare che l’affermazione “l’indagine non aveva evidenziato alcun caso di contaminazione da uranio impoverito” dovrebbe essere rivista. Tra l’altro mi pare che sia difficile stabilire chi siano coloro che vengono classificati come “esposti”. In proposito, dalla Commissione Mandelli furono, tra l’altro erratamente, considerati come in egual modo esposti, sia coloro che avevano operato senza misure di protezione, sia coloro che le avevano adottate (sono state messe insieme in uno stesso cesto mele e carciofi!). Inoltre il numero di esposti, inteso come il numero di coloro che erano stati in missione (magari anche per un solo giorno!) ha fatto sì che venissero considerati come presenti ed esposti, addirittura all’incirca 40 mila persone85, mentre il personale inviato non è stato superiore ai 27 mila uomini(, come del resto risulta dal Libro Bianco della Difesa emanato all’epoca – v. Allegato86). La Commissione si basò sul numero dei “fogli di missione” senza tener conto che il numero dei “fogli di missione” non corrisponde al numero delle persone che hanno operato (ad esempio il ten. quindi in situazioni da considerarsi a rischio e che, di conseguenza, dovrebbe implicare l’adozione di misure di protezione. 85 In relazioni successive si parla addirittura di 56 mila persone esposte. Al solito non ci si preoccupa di cosa si vuole significare col termine “esposto”, dimenticando completamente che ci sono vari livelli di esposizione (varie intensità e probabilità di esposizione). 86 Certo è che se aumenta artificialmente il numero degli esposti, la “pericolosità in percentuale diminuisce”: un malato su 100 esposti è una cosa, 1 malato su 1000 esposti è un’altra. Ma non si può giocare allegramente su questa delicata materia! 44 col. Emerico Laccetti, che si è ammalato di un tumore, ma per fortuna è guarito, ha effettuato 48 missioni, il ché non vuol dire che c’erano “48 esposti”, ma non uno solo!) Inoltre su cosa si debba intendere per personale esposto87 è una questione da risolvere caso per caso, come in precedenza indicato anche a proposito dell’audizione del colonnello Rossetti. AUDIZIONE DEL DOTT. ALESSANDRO MANCUSO Concordo pienamente con la proposta di acquisire l’esperienza di ricerca e di discussione sulla problematica dell’uranio impoverito disponibile in altri paesi. Tra l’altro tra questi paesi ve ne sono di ben più avanzati del nostro a livello di ricerca! Si tratta inoltre di paesi che hanno iniziato gli studi sull’uranio molto prima che in Italia. Ad esempio gli Stati Uniti hanno iniziato, come in precedenza ricordato, gli studi sull’uranio impoverito più di mezzo secolo anni prima di noi! E inoltre basandosi su un numero di casi enormemente più vasto. Semmai si pone il problema di chi possa assumersi l’onere (il Ministero della Salute? la Direzione Generale della Sanità Militare? un Ente privato?) di un esame di questa documentazione che ha delle dimensioni rilevantissime (migliaia e migliaia di pagine). Certamente si tratta di una documentazione più affidabile di quella “nostrana” perché, come sopra accennato, basata su una massa di dati ben più rilevante di quella di cui noi siamo in possesso e sviluppata in Paesi che hanno potuto usufruire di un’attrezzatura scientifica più avanzata della nostra88. Infatti per le vicende italiane è naturalmente di particolare interesse la documentazione esistente all’estero, soprattutto quella precedente il 1991 (guerra del Golfo) e il 1992-1994 (operazioni in Somalia) perché già in quelle operazioni abbiamo avuto numeroso personale colpito e tale personale non ha potuto disporre di adeguate misure di protezione (come ad esempio quelle specificate nelle norme USA del 1984 e del 1993, più volte menzionate in precedenza). Lo scrivente ha inviato alla Commissione senatoriale qualche estratto di documentazione degli Usa ed un elenco di studi sviluppati prima degli anni ’90 all’estero in materia di uranio impoverito. Di tali studi l’Italia avrebbe potuto essere quindi a conoscenza. Ne avrebbero dovuto essere a conoscenza comunque, quanto meno, i Servizi Segreti militari italiani (attuali RIS) che hanno dei rappresentanti nelle ambasciate e debbono aggiornarsi su tutto ciò che all’estero riguarda la sfera militare e le capacità armate offensive e difensive. Peraltro è da ritenere che anche la Sanità Militare avrebbe dovuto esserne a conoscenza. E quindi di ciò si sarebbe dovuto tenerne conto per 87 Il conteggio del personale esposto non riguarda solo chi è stato in missione all’estero, come con grave leggerezza si è affermato, ma riguarda anche quello in destinazione fissa e si riferisce anche al personale che ha operato nei poligoni, nei deposti, nelle officine, come in precedenza accennato. A parte il fatto che va definito cosa si intende per personale “esposto”. Senza una definizione accurata di questi termini c’è da chiedersi: di che cosa stiamo parlando? 88 In Italia si sta ancora discutendo sul corretto (o meno corretto) uso del microscopio elettronico e non sono avute risposte definite e convincenti. Lo scrivente ha inviato alla Commissione Senatoriale una documentazione della dottoressa Maria Pia Sammartino. Quanto sopra vale anche per la questione della pericolosità dei raggi Alfa. 45 quanto riguarda l’esigenza di adottare il principio di precauzione in zone operative dove era sospettabile il rischio dell’uranio. C’è da chiedersi perché questo non sia accaduto. Per inciso, c’è da chiedersi: sono mai stati interrogati in merito i Servizi Segreti? L’audizione del dott. Mancuso dell’Enea, richiama l’attenzione sul problema che interessa gli aspetti “nucleari” dell’uranio, in particolare per ciò che riguarda l’emanazione delle particelle alfa e richiede quindi un attento esame da qualche esperto in campo nucleare e magari del parere delle massime autorità istituzionali nel campo della fisica nucleare, come in precedenza accennato. Su alcuni aspetti della questione si espresse il Prof. Evandro Rodi Rizzini dell’Università di Brescia che esegue sperimentazioni presso il Cern di Ginevra (ne abbiamo fatto cenno in precedenza). Lo scrivente ha inviato copia alla Commissione del Senato di alcune interviste rilasciate dal suddetto Prof. Lodi Rizzini. Lo stesso professore espose in una conferenza tenutasi a Pisa alcuni anni or sono alcuni concetti molto interessanti in materia. Ciò avvenne anche in occasione di un convegno tenutosi presso la Camera dei Deputati. AUDIZIONE DEL DOTT. TEODORO BILANZONE89 Il dott. Bilanzone afferma tra l’altro, in merito alla questione dei risarcimenti, che la situazione per cui ad oggi nessuna delle istanze relative all’esposizione dell’uranio impoverito è stata definita deriva da una regolamentazione particolarmente stringente che ha escluso il criterio di probabilità90 per riconoscere il diritto all’indennizzo del danno subìto. Se si sostiene la tesi che l’uranio impoverito non c’entra affatto con i tumori (non si può “fare un processo in assenza di delitto”, come ha sostenuto nella sua relazione il col. Rossetti), il problema dei risarcimenti per i contaminati da uranio impoverito e dalle cosiddette “nanoparticelle”, in relazione a quanto stabilito dalle leggi finanziarie 2006-2008 non esiste neppure. Infatti se si esclude l’esistenza stessa del legame, non c’è da prendere in considerazione né un legame di certezza tra causa ed effetto né un legame probabilistico! Peraltro vi è da osservare che in merito ai risarcimenti per gravi infortuni come i tumori, è stata in vigore la L. 308/81 (modificata dalla L. 280/91). La legge 380/81 non è citata dal dott. Bilanzone. Eppur si tratta di una legge fondamentale per quanto riguarda i risarcimenti e, come in precedenza 89 Per quanto riguarda le conseguenze circa i risarcimenti alle vittime, rimando ai precedenti commenti sull’audizione dello stesso Dott. Bilanzone, inviati alla Commissione Senatoriale. 90 Circa il fatto che debba esserci un nesso di certezza tra causa ed effetto per quanto concerne l’ambito uranio impoverito, come condizione per poter assegnare i risarcimenti, ciò è abbastanza sorprendente perché migliaia di risarcimenti sono stati assegnati in base all’esistenza di un legame di tipo semplicemente probabilistico. Pensiamo ad esempio a tutti i risarcimenti effettuati nelle Forze Armate per patologie come l’artrosi, decisi molto spesso solo su una base probabilistica come è quella dell’attribuire la malattia a condizioni di umidità in cui ha operato il personale. Certamente il legame tra umidità e artrosi non è un legame di certezza ma solo un legame di probabilità. Se così non fosse tutti i pescatori italiani, e non solo italiani, dovrebbero essere affetti da artrosi! Se i tribunali civili adottano per stabilire i risarcimenti (in relazione ai casi di tumore) il criterio di probabilità, non si vede perché nell’ambito militare si debba adottare il criterio di certezza. 46 ricordato, è stata fatta anche sparire nel nuovo Codice Militare. E su questo punto urgono dei precisi chiarimenti. In particolare questa è la legge richiamata come riferimento normativo a cui far ricorso per la richiesta di risarcimenti nel caso di infortuni verificatisi durante le missioni di pace all’estero. Tale legge stabilisce l’indennizzo della “speciale elargizione” (originariamente consistente in 50 milioni di vecchie lire, ma portata nella vicenda di Nassyria, a 200 mila euro), e prevede che tra le situazioni di grave infortunio da risarcire vi siano quelle concernenti i tumori (ciò è specificato nell’elenco degli infortuni contenuto nelle tabelle A) e B) allegate alla legge). Lo scrivente ritiene particolarmente grave la omissione della legge 308/81. Basti in merito citare il fatto a cui si è accennato più sopra che è proprio questa la legge che viene richiamata “come riferimento” per avanzare la richiesta di indennizzi da parte del personale infortunato che si trova ad operare all’estero. Ciò sta scritto nelle disposizioni per le missioni all’estero, ad esempio per quelle relative alla Bosnia e al Kossovo (vedi il D.L. 346/1996 e il D.L. 12/99 Disposizioni urgenti relative a missioni di pace). Da evidenziare inoltre che la L. 308/81 prevede che gli indennizzi per i tumori debbano essere conferiti non solo se sussiste la causa di servizio, ma anche se sussiste la più generale condizione di “IN PERMANENZA DI SERVIZIO”91. Inoltre è da precisare che la L. 308/81 non entra nel merito 91 La L. 308/81 prevede ad esempio che la speciale elargizione venga concessa anche in casi di suicidio, casi che certamente non possono essere considerati come dipendenti da causa di servizio! (e ancor meno compiuti “in adempimento di attività di servizio). Ciò è stato chiaramente sancito dal Consiglio di Stato, Adunanza della sezione Terza, 16 giugno 1992, e ha trovato applicazione in casi come quello del suicidio del paracadutista Andrea Oggiano (1995) uccisosi a Chiavari mentre rientrava a Livorno da un permesso, presumibilmente per paura di dover essere sottoposto a pesanti pratiche di nonnismo, “servizi” purtroppo effettuati nella caserma dei paracadutisti. Anche se il decesso avviene durante il tempo libero, dato il fatto che il militare deve essere disponibile h 24, (cioè si trova in continuità di servizio nelle 24 h ore del giorno) il risarcimento deve essere conferito. Si può citare a conferma di ciò, ad esempio, il caso dell’alpino Roberto Garro (più tre commilitoni) deceduto durante il tempo libero in un incidente automobilistico, oppure il caso del carabiniere Oronzo Causio, deceduto durante il tempo libero per un colpo di arma da fuoco. Anche in questi casi, trattandosi di eventi verificatisi “in continuità di servizio” è stato conferito il risarcimento della “speciale elargizione”. Per il caso Causio, per il quale il Ministero della Difesa aveva negato la “speciale elargizione”, tale elargizione è stata invece imposta dal Tar della Puglia. Si legge nel documento citato del 16 giugno 1992 del Consiglio di Stato, Adunanza della Sezione Terza: “2. L'art. 1 L. n. 280/1991 (che ha sostituito l'art. 1 della L. n. 308) sembra estendere i suoi effetti a tutto il personale volontario richiamato e trattenuto. Tuttavia, una razionale e corretta interpretazione, esigerebbe, ad avviso dell'Amministrazione, che a tale norma sia riconosciuta una efficacia limitata ai militari in servizio di leva obbligatorio (ancorché prestato in qualità di allievo ufficiale di prima nomina o di sergente promosso tale nella fase terminale del servizio) ed a quelli che svolgono servizio sostitutivo o equiparato, quali gli allievi carabinieri, gli allievi di 1^ classe dell'accademia navale, gli allievi delle scuole e dei collegi militari nonché i militari in ferma di leva prolungata ex L. 24 dicembre 1986, n. 958 e gli obiettori di coscienza. Ciò, peraltro, discenderebbe dalla ratio di detto articolo col quale, nel riformulare l'art. 1 L. n. 308/1981 si è inteso annoverare tra i destinatari dei benefici esclusivamente le categorie dei militari che assolvono il servizio di leva, ovvero, un servizio assimilato o corrispondente. Di conseguenza l'Amministrazione (il riferimento è all’amministrazione del Ministero della Difesa, ndr) ritiene che non rientrino tra i destinatari del beneficio stesso i familiari dei militari in servizio permanente, di quelli di complemento e in generale dei militari volontari, trattenuti o richiamati, deceduti durante il periodo eccedente il servizio obbligatorio di leva. 3. L'art. 2 L. n. 280/1991, prevede che ai familiari dei militari (destinatari dei benefici di cui al precedente art. 1 della legge medesima), deceduti durante il periodo di servizio, sia corrisposta una speciale elargizione di lire 50 milioni. La genericità della norma, a detta dell'Amministrazione fa supporre che qualsiasi evento letale verificatosi durante il periodo di servizio possa costituire il presupposto perchè sussista nei confronti degli eventi causa di diritto a tale provvidenza. 47 di quale sia la causa che può aver provocato i tumori e neppure entra nel merito se esista o meno un nesso di certezza causa-effetto. La legge stabilisce che se in permanenza di servizio, ad un militare, insorge un tumore, nel caso di questo militare deve essere conferito il risarcimento (speciale elargizione). Non è necessario verificare se vi siano le condizioni per riconoscere la causa di servizio92. Di conseguenza non interessa conoscere una valutazione da parte del Comitato di Verifica circa le possibili cause. Infatti per la L. 308/81 basta che sussista, come abbiamo più volte detto in precedenza, la condizione di “in permanenza di servizio”. Il Comitato di Verifica non è chiamato a pronunciarsi in merito93. A parte quanto sopra specificato, con la L. 308/81 c’è da osservare che nei procedimenti giudiziari di tipo civilistico, basta che si dimostri l’esistenza di una apprezzabile probabilità tra causa e effetto per ottenere i risarcimenti. Ciò è del resto provato dalle sentenze dei Tribunali civili che hanno stabilito, in relazione al nesso probabilistico tra uranio e tumori, risarcimenti di oltre 500 mila euro. Vedi ad esempio il caso del maresciallo Stefano Melone deceduto per un tumore, che ha operato in Somalia e altre destinazioni. Nonostante che il Ministero della Difesa si sia opposto al risarcimento dopo la sentenza di I grado, il risarcimento è stato confermato dal Tribunale di Roma costringendo il Ministero della Difesa ad erogarlo. Nelle “cause penali” occorre invece che esista la certezza (o quasi certezza) nel legame causaeffetto. L'adempimento degli obblighi di servizio (già considerato in sede di attribuzione della speciale elargizione di cui alla L. 308) non sembra avere rilevanza ai fini di cui trattasi: e ciò in quanto il servizio viene inteso solo come il momento contingente in cui si configura l'evento. Di conseguenza, dall'ampliamento del presupposto per la concessione del beneficio, che è tale da comprendere la semplice occasione riferita al periodo di servizio, discende l'Amministrazione che anche i decessi avvenuti per suicidio, ovvero per infermità non attinenti al servizio ma che si siano manifestate o aggravate durante il servizio, possano far sorgere il diritto alla provvidenza. In analogia, a detta problematica si pongono, quale conseguenza, i decessi imputabili a dolo o a colpa grave per i quali le disposizioni vigenti in materia non prevedono espressamente l'esclusione dal beneficio”. 92 Se peraltro si vogliono accertare le condizioni per le quali una persona è da considerarsi esposta al pericolo di radiazioni da uranio impoverito o al pericolo delle cosiddette “nanoparticelle” (di cui alla Legge Finanziaria 2008) dovrebbe essere ben specificato cosa si intende per “nanoparticelle”, e ci si dovrebbe basare, come detto in precedenza, sull’esame di ogni singolo caso ricostruendo la STORIA PERSONALE delle singole persone per verificare dove, come e quando ciascuna persona era stata (o meno) esposta perché la generica dizione di ESPOSTO o NON ESPOSTO significa poco o nulla (vedi quanto precisato precedentemente in merito). 93 La L. 308/81 di cui non è stato fatto alcun cenno nell’audizione presso la Commissione Senatoriale, è invece di fondamentale importanza specie per quanto riguarda i risarcimenti relativi a personale ammalatosi nelle missioni di pace, ma non solo. La L. 308/81, art. 5, stabilisce infatti che siano da considerarsi VITTIME DEL DOVERE (chi è incluso in questa categoria rientra anche nel conferimento della “speciale elargizione”) tutti coloro che hanno svolto compiti di vigilanza e di soccorso. Ciò è anche stabilito dalla L. 466/80 (art. 3). Nelle operazioni di pace tutto il nostro personale è stato impiegato in operazioni di vigilanza alle strutture (di casermaggio, logistiche, operative – del tipo presidi, depositi, alloggiamenti, ecc.) e in particolare nelle operazioni di pace definite come “soccorso umanitario” tutto il personale è stato impiegato direttamente o indirettamente in attività di soccorso (distribuzione viveri). 48 In alcuni casi (vedi ad esempio il caso del militare Valerio Campagna e del capitano Antonino Caruso) la causa del tumore è stata attribuita a stress. Ma ovviamente nessuno può avere la certezza dell’esistenza dello stress: se ne può solo ipotizzare la possibilità (a parte il fatto che non si sa come si possa diagnosticare, a posteriori, l’esistenza dello stress!94). Questa è certamente una questione da chiarire95. Si è detto che la L. 308/81 (la quale fu preceduta dalla proposta di legge Accame-Achilli n. 1141 dell’11 febbraio 1977 che si riferiva al personale “in servizio”), stabilisce che per il conferimento della “speciale elargizione” non sia necessaria la sussistenza della causa di servizio, occorre solo che sussista la condizione della “permanenza in servizio” e neppure interessa se la vittima si sia trovata in aree ambientali inquinate o simili. In proposito c’è da chiederci cosa significano le parole “aree inquinate” e come se ne determina la condizione di inquinamento. In altri termini occorre chiarire mediante quali strumenti e procedure è possibile valutare l’esistenza di un inquinamento prodotto da uranio impoverito e “nanoparticelle” di metalli pesanti! Su quali basi sono state in passato effettuate queste valutazioni? Quali sono i criteri adottati e i protocolli per pervenire alla decisione dell’esistenza dell’inquinamento? E’ auspicabile che si pervenga a qualche chiarimento. Quanto all’accenno fatto dal dott. Bilanzone alla L. 266/2005, questa stabilisce che possono essere risarciti tutti coloro che abbiano contratto infermità nel caso di missioni in dipendenza da causa di servizio per le particolari condizioni ambientali operative (in proposito, come sopra menzionato, c’è da chiedersi: chi stabilisce, riguardo alle condizioni ambientali operative la loro eventuale pericolosità? E in base a quali criteri e con l’uso di quali strumenti?) A parte ciò c’è da osservare che questa legge esclude dai risarcimenti erroneamente tutto il personale militare (o anche civile) operante in destinazioni fisse (personale in destinazione fissa si trova, come può accadere per il personale impiegato nei poligoni, depositi, officine di riparazione, nonché all’estero, ad esempio in sedi diplomatiche e consolari, per motivi di lavoro). Comunque non viene tenuto conto del predetto quadro normativo (molto più estensivo) stabilito dalla L. 308/81 sopra indicato escludendo ingiustamente dai risarcimenti persone a cui invece i risarcimenti spettano (abbiamo citato in precedenza due casi di cui uno relativo a un civile (Ariu), che ha operato in un poligono, e l’altro relativo a un militare (Bonassina) che ha operato in Somalia). A parere dello scrivente, in relazione a quanto sancito dalla L. 308/81 non esiste alcun motivo perché non siano stati conferiti i risarcimenti almeno per quanto concerne i tumori (Vedi tabella A) e B) allegate alla stessa legge). Infatti tale legge, per i casi di grave infortunio come i tumori, (già lo abbiamo in precedenza ricordato), non prende affatto in considerazione l’esistenza o meno di una 94 Per stabilire che la persona era in condizione di stress occorrerebbe disporre di certificati medici dell’epoca (da tali certificati medici avrebbe dovuto risultare che la persona in servizio era appunto affetta da stress). 95 Peraltro una persona affetta da stress non avrebbe dovuto continuare a prestare servizio. Non si può certo impegnare, ad esempio un paracadutista, in operazioni ad alto rischio se si trova in una condizione di stress. Non appena si constatasse che un militare fosse affetto da stress lo si dovrebbe immediatamente allontanare dall’impiego sul campo! 49 valutazione circa il legame di causa-effetto e neppure prende in considerazione l’esistenza di particolari condizioni ambientali. Si preoccupa solo del sussistere della condizione di “permanenza in servizio” (“sussumendo” in essa anche la condizione più ristretta di “causa di servizio”). Non vi è alcuna necessità di chiamare in causa le leggi finanziarie 2006 e 2008 e neppure altre disposizioni esistenti. Se in servizio insorge un tumore, in base alla L. 308/81, è dovuto il risarcimento. Altra questione legata ai risarcimenti per le vittime per l’uranio impoverito riguarda la presa in considerazione del danno esistenziale oltreché biologico e morale. Si tratta di un aspetto dei risarcimenti di cui non viene fatto cenno nella relazione del dott. Bilanzone. Per quanto stabilito dal DPR 243/2006, il personale infortunato deve sottoporsi, in base all’art. 5, comma 1, alla visita medica, per stabilire il grado di invalidità permanente in percentuale, secondo quanto previsto dalle tabelle per i gradi di invalidità e relative modalità d'uso, approvate con il Decreto del Ministro della Sanità in data 5 febbraio 1992. Inoltre il comma 2 dell'art. 5 del medesimo “decreto” prevede che nella percentualizzazione del danno occorra anche stabilire la percentuale del danno biologico che viene calcolato con l'ausilio della tabella delle menomazioni e relativi criteri applicativi, approvata con Decreto del Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale in data 12 luglio 2000. Quando si prende in esame la tabella più sopra citata, ci si rende conto che questa è finalizzata a stabilire sì il danno biologico, ma relativo alte conseguenze della menomazione fisica subita sempre in relazione all'attività lavorativa svolta. Da osservare che la Cassazione civile con la sentenza n° 7101 del 1990 sancisce che " Il bene della salute costituisce come tale. oggetto di autonomo diritto primario assoluto, sicché il risarcimento dovuto per la sua lesione non può essere limitato alle conseguenze che incidono soltanto sull'idoneità a produrre reddito, ma deve autonomamente comprendere il cosiddetto danno biologico — in cui vanno ricompresse quelle forme di danno non incidenti sulla capacità di produrre reddito — ma inteso come la menomazione dell'integrità psicofisica della persona in se per se considerata, in quanto incidente sul valore uomo in tutta la sua dimensione, che non si esaurisce nella sola attitudine a produrre ricchezza, ma si collega alla somma delle funzioni naturali riguardanti il soggetto nel suo ambiente di vita ed aventi rilevanza non solo economica ma anche biologica, sociale, culturale ed estetica" . E’ auspicabile quindi che si provveda all'elaborazione di tabelle di riferimento congrue e specifiche che possano assicurare al risarcito la piena consapevolezza che nel prendere in considerazione la sua patologia lo si é fatto tenendo conto di tutti quegli aspetti che di fatto hanno condizionato e condizionano la sua esistenza non solo dal punto di vista lavorativo. Cito in proposito l’interrogazione parlamentare dell’On. Duranti n. 5-01352 (vedi Allegati), dove si intende accertare i motivi per i quali Previmil omette la richiesta alla competente C.M.O. di quantificazione del danno biologico (ma, come ripeto, deve essere considerato anche il danno morale ed esistenziale). 50 Altra questione riguarda l’adeguamento dei risarcimenti per quanto concerne l’estensione dei benefici previsti per le vittime della criminalità alle vittime del dovere. Vedi l’art. 34 del D.L. 159 del 01.10.07 e l’art. 33 della L. 222 del 29.11.07. Occorre precisare le modalità occorrenti per fare in modo che tutti coloro che hanno presentato domanda per i benefici di cui al DPR 243/06 possano integrarla con un’ulteriore domanda tesa all’ottenimento dei benefici di cui al D.L. 159/07 e alla legge 222/07. Circa le questioni del danno morale e del danno esistenziale è bene tener presente che il Tribunale Civile di Firenze, nella sentenza del 17 dicembre 2008, relativa al caso del paracadutista G.B. Marica, ammalatosi di un tumore durante le operazioni svolte in Somalia (e in seguito deceduto), ha tenuto conto di queste problematiche, problematiche di cui dovrebbe in primo luogo preoccuparsi l’Istituzione militare (non esistono solo le ferite e le lesioni, esistono anche le infermità!). Altra questione, non esplicitamente trattata nella esposizione del dott. BIlanzone ma che deve essere necessariamente sollevata in materia di risarcimenti, riguarda quanto viene stabilito dal nuovo codice dell’Ordinamento Militare che, secondo lo scrivente, contiene dei gravi errori, errori che riguardano anche la questione dei risarcimenti per uranio impoverito. Tali errori sono stati segnalati al Ministero della Difesa (v. Annesso), senza che però vi sia stato alcun riscontro. Facciamo in particolare riferimento alla questione più volte sollevata e per la quale viene escluso l’uranio impoverito tra le possibili cause dei tumori. Sono inoltre da prendere in considerazione in particolare gli Articoli 1895 e 1896 di detto Codice, in merito ai quali si osserva quanto segue: L'Art. 1895 che si riferisce a risarcimenti per eventi dannosi verificatisi nella condizione di "in permanenza di servizio"96 esclude tutto il personale volontario in spe di carriera ed include 96 La questione circa la doverosità dei risarcimenti non solo se sussiste la “causa di servizio” ma anche se sussiste la più vasta condizione di “permanenza in servizio” si pose per la prima volta concretamente già molti anni fa. Fu quando nella tragedia del Vajont molti militari che dormivano in caserma furono uccisi nel sonno perché la caserma fu allagata. Venne allora affermato che non si poteva concedere la causa di servizio perché il “dormire” non poteva essere considerata come una “attività di servizio” (o l’adempimento di un compito di servizio). Ma a questo proposito fu evidenziato che il personale militare, a differenza del civile, è disponibile “h 24”. Se, nel caso del Vajont, il personale miltiare non fosse stato costretto a dormire in caserma (un dovere che certo non è pertinente al civile) non sarebbe morto. Del resto un “tempo per dormire” è necessario per poter effettuare la guardia. Infatti la guardia non può essere svolta in continuazione, cioè senza turni di riposo. Consideriamo ad esempio il caso di un carabiniere che, magari alle 2 di notte è rientrato in caserma e sta riposando. Egli può essere svegliato e costretto a riprendere di nuovo il servizio se c’è un’emergenza come una rapina. Ma pensiamo al caso di una nave in navigazione, con tutto il personale presente a bordo (caso a cui abbiamo fatto cenno in precedenza). Prendiamo in considerazione ad esempio una situazione in cui si verifica uno scoppio in un tubo ad alta pressione in sala macchine, un incidente che può causare danni sia al personale che sta prestando servizio, sia al personale che magari è presente ma è “smontato” dal servizio. E non possiamo certo fare una differenza per quanto concerne i risarcimenti tra il personale colpito che era in servizio e quello che non era in servizio! (art. 3 della Costituzione). La L. 308 rimediò il grave errore esistente, che non prendeva in considerazione la condizione della permanenza in servizio, ed ora è del tutto inaccettabile che essa sia stata cancellata nel nuovo codice militare. Una decisione che denota gravi carenze cognitive da parte di chi ha redatto queste norme. Non solo ma anche un grande disprezzo verso le condizioni del personale interessato. Tra l’altro la L. 308/81 è quella, come abbiamo sopra ricordato, che deve essere applicata in casi di infortuni nelle missioni all’estero (vedi il citato DL 28 gennaio 1999 n. 12 dal titolo “Disposizioni urgenti relative a missioni internazionali di pace). 51 esclusivamente il personale in ferma volontaria (da 1 a 4 anni). A parere dello scrivente, l'esclusione di cui sopra è del tutto arbitraria e in violazione dell'Art. 3 della Costituzione per disparità di trattamento, oltre che di quanto stabilito dal Consiglio di Stato (delibera del 31 marzo 1998) e dalla 1^ Commissione Affari Costituzionali della Camera (Delibera del 12 gennaio 2000). Inoltre l'Art. 1896 non prende in considerazione la condizione di "in permanenza di servizio" ma solo quella di "per causa di servizio" escludendo un grandissimo numero di risarcimenti dovuti così in modo assolutamente ingiusto perché non tiene conto del fatto che il militare è disponibile h 24. Ed inoltre prende in considerazione solo i casi di eventi dannosi verificatisi per ferite o lesioni97 omettendo quelli verificatisi per causa di infermità ,escludendo così altri numerosi casi come i tumori, casi che interessano in particolare l’uranio impoverito (e ciò in contrasto con quanto stabilito dal Consiglio di Stato nella Delibera 16 giugno 1992). Tra i casi da esaminare possiamo citare quelli di Melis, Porru, Serra, Faedda. C’è inoltre da osservare che nel suddetto Art.1895 la "speciale elargizione" viene stabilita in 50 milioni di vecchie lire pari ad euro 25.822,84 centesimi (tanto varrebbe dunque la vita del soldato in termini di euro!). Insomma 30 anni dopo l’'81 resta immutata la cifra della "speciale elargizione" non essendosi tenuto conto del deprezzamento della moneta! Un vero e proprio insulto alla dignità della persona (e alla logica), oltreché un segnale di ben scarsa attenzione per i “nostri ragazzi” (tante volte chiamati retoricamente in causa come oggetto primario di amore) in altre situazioni!), e le loro famiglie. Potremmo parlare di vittime di serie “C”, le vittime da nascondere quelle da non mostrare pur avendo anch’essi operato per la Patria (ai loro funerali non è stata presente in numerosi casi neanche la più modesta autorità dello Stato!) Questa valutazione inoltre non tiene conto, come in precedenza accennato, di ciò che venne stabilito per le “vittime di Nassirya”. Infatti in quell’occasione la speciale elargizione venne portata a 200 mila euro. E non tiene conto neppure di quanto venne stabilito per le forze di polizia che PER QUALI MOTIVI LA LEGGE È STATA CANCELLATA? Credo che sia doverosa un’attenta e approfondita verifica sul perché è stata tolta, senza alcuna spiegazione, la possibilità di risarcimento a chi si trova nelle condizioni di “in permanenza di servizio” (ad es. al personale in riposo tra due turni di guardia) anche se non sta adempiendo un compito operativo. Tra l’altro se s’intende la missione come un compito (v. Adunanza del Consiglio di Stato 5 maggio 2010) di natura generale pertinente alle Forze Armate, è ovvio che per attuarlo si alternino momenti di servizio e di non servizio. 97 La L. 466/80 prevede che per i risarcimenti si debba tener conto delle ferite e lesioni da intendere come esterne all’organismo (ad esempio perdita di arti), dimenticandosi che vi possono essere anche gravi lesioni interne all’organismo, come può accadere per via di tumori o altre gravi patologie. Tra l’altro pensiamo anche ai casi di tumore che hanno comportato la perdita degli organi genitali e teniamo presente che la “violenza” non è solo quella dei proiettili che colpiscono il corpo umano, ma anche quella delle particelle possibilmente cancerogene che entrano nel corpo umano. Il Consiglio di Stato, nell’Adunanza della Sezione Terza del 4 maggio 2010, come in precedenza ricordato, è pervenuto ad una più ampia nozione del concetto di vittima del dovere rispetto alla concezione originariamente prevista dalla L. 13 agosto 1980, n. 466. La delibera risponde alla esigenza di comprendere tra le vittime e gli equiparati anche soggetti che, in ragione di compiti e funzioni particolari subiscono eventi lesivi non riconducibili ad atti di violenza. A maggior spiegazione di quanto sopra va tenuto presente che la L. 466/80, per quanto concerne i riferimenti prende in considerazione i soli casi di ferite o lesioni (che sono state intese come lesioni esterne). Sono state quindi erroneamente esclusi dai risarcimenti, come sopra accennato, in migliaia di casi appunto le situazioni di infermità (dove erano presenti lesioni interne). Un gravissimo errore a cui è necessario porre rimedio! In particolare è necessario individuare tutti i casi in cui i risarcimenti sono stati negati nel passato sulle base della valutazione che il militare è deceduto per infermità e non per ferite o lesioni (tumori ed altre gravi patologie, come la sclerosi. possono ben provocare delle gravissime lesioni interne!). 52 modificarono, a differenza delle Forze Armate, in breve tempo dopo l’entrata in vigore della L. 308/81, i 50 milioni di lire in 100 milioni di lire. (è bene tener presente che la Legge 308/81 vale non solo per i militari, ma anche per la Polizia e gli Organismi militarmente organizzati). Il tema della “speciale elargizione” è ovviamente di rilevante interesse anche per le vittime dell’uranio impoverito. Circa l’audizione del dott. Bilanzone, ricordiamo ancora le osservazioni in merito già inviate in precedenza alla Commissione Senatoriale. I presenti commenti sulla relazione servono solo a integrare tali precedenti osservazioni. AUDIZIONE DEL CAPITANO PARIDE MINERVINI E’ certamente condivisibile l’auspicio che il capitano Minervini formula circa un’indagine mirante ad arrivare alla individuazione di ordigni contenenti uranio impoverito o di aree eventualmente non bonificate contenenti “nanoparticelle” di minerali pesanti provenienti da scoppio o da ossidazione di parti rilasciate dal munizionamento. A questo proposito finalmente è stato stabilito dal Procuratore di Lanusei, il magistrato Domenico Fiordalisi, di eseguire accertamenti sui bersagli colpiti. Ma questo avrebbe dovuto essere stato deciso molti anni or sono! Tra l’altro gli accertamenti avrebbero dovuti essere stati effettuati immediatamente dopo (o almeno a breve tempo) dopo che i bersagli erano stati colpiti. Tra l’altro chi effettua operazioni di sgombero del poligono o bonifica, spesso si trova ad aver a che fare con bersagli colpiti i quali sono fonte di emanazione di materiale ossidato e/o radiante. E’ bene ricordare quanto detto in precedenza circa i tipi di operazione di bonifica e i loro limiti, con particolare riguardo alla “bonifica” cosiddetta di “terzo grado”, dove non si sa quali armi sono state utilizzate (v. sopra) e possono restare conficcate nel terreno proiettili di cui non si conosce la natura. Siccome il compito di fare accertamenti su tutte le aree interessate pare assai gravoso (pensiamo ai tanti poligoni esistenti in Italia come Teulada, Capo Frasca, Salto di Quirra, Nettuno, Monte Romano, Le Murge, Torre Veneri, il Dandolo e decine di altri), lo scrivente ritiene opportuno di limitarsi ad esaminare ma, in profondità, magari solo qualche poligono, specie tenendo conto che in alcuni poligoni (v. ad esempio quello di Teulada), esistono delle zone considerate “non bonificabili”, anzi considerate “non più bonificabili”98 (vedi ad esempio quanto in merito ha 98 Come in precedenza ricordato, negli Stati Uniti vi sono delle aree chiamate di “sacrificio nazionale”, in quanto non facenti più parte del territorio nazionale. Circa l’esistenza di tali aree, vedi quanto ha riferito il Gen. Molteni nella suddetta audizione. Il generale Molteni ha anche specificato (v. quanto detto in precedenza) che esistono almeno tre categorie o gradi di bonifica. Secondo il generale Molteni: “La bonifica è un processo volto alla rimozione di ordigni inesplosi utilizzati dagli utenti. Vorrei che fosse chiaro che non dispongo di reparti specializzati che si occupano della bonifica dei proiettili inesplosi. I reparti utenti sono quelli che utilizzano il Poligono. Viene comunque stilato sempre un rapporto di bonifica da cui risultano tutti i colpi sparati. Dal giugno del 2004 abbiamo anche adottato una scheda, che viene sottoposta agli utenti, che certifica l’obbligo che il munizionamento impiegato non contenga certi residui tossici. In particolare, ricordo che sono stati aggiunti l’amianto, l’uranio e il torio”. 53 riferito il generale Molteni nell’audizione del 18 ottobre 2005). Un fatto di per sé sarebbe gravissimo perché testimonierebbe delle difficoltà di “bonificare” un’area, ma richiederebbe peraltro di sapere cosa si intende per “area non bonificabile” e questo deve essere certamente appurato. Inoltre occorrerebbe eseguire queste verifiche disponendo degli strumenti adatti e adottando misure scientificamente valide. Ad esempio qualche anno fa per stabilire se vi fosse inquinamento nel poligono di Salto di Quirra, un poligono delle dimensioni di 135 kmq vennero raccolti tre secchielli di terra, considerati sufficienti a stabilire le condizioni dell’intera area di 135 kmq. Occorre dunque chiarire quali procedure devono essere messe in atto per rendere un’area “bonificata” e precisare quali strumenti si intende applicare99per verificare la condizione di “area bonificata”, e naturalmente, prima di tutto, individuare quali parametri o protocolli siano da rispettare. Secondo la normativa esistente pare sia da ritenere che un’area si intenda come “bonificata” quando non sussistono pericoli della presenza di particelle di metalli pesanti (comprese quelle dell’UI) e ciò in base a quanto stabilito dalla Legge Finanziaria 2008, art. 2, commi 78 e 79. Allo scrivente non risulta che tali parametri o protocolli ad oggi esistano100. Tra le zone da considerare per le “verifiche” potrebbe esservi quella del poligono di Ciriè presso Torino. Tale poligono è usato in larga misura per testare l’efficacia della corazzatura e blindatura di mezzi. Proprio in merito ai test eseguiti in questo poligono rimando alla già citata audizione del 18 ottobre 2005) e alle considerazioni svolte dal colonnello Bertino (v. allegato). In merito lo scrivente C’è però da aggiungere a quanto afferma il Generale Molteni che sono da considerarsi tossici anche gli ossidi degli altri metalli pesanti normalmente usati come il tungsteno. Ricordiamo in merito che la Legge Finanziaria 2008 cita specificamente le “nanoparticelle di metalli pesanti”. Il presidente della Commissione solleva qualche dubbio sulla attendibilità delle verifiche, affermando in particolare: “... desidero rivolgere alcune domande alle quali vorranno rispondere i nostri auditi. Sulle diapositive mostrate non è mai comparso il nome «uranio impoverito». Lei lo ha specificato indirettamente e sono chiare le parole «esclusivamente munizionamento convenzionale, né si prevede di utilizzare altre tipologie nel futuro». Possiamo pertanto acquisire l’affermazione che in questo Poligono non è mai stato utilizzato munizionamento ad uranio impoverito e, se qualcuno facesse comunque richiesta di utilizzarlo, sarebbe impossibile concedere il permesso finché questo lo utilizzi? A tale riguardo, mi riservo di acquisire agli atti della Commissione la documentazione che è già stata offerta. Ciò che più mi ha colpito nella relazione è il rapporto con gli utenti esterni alle Forze armate italiane, le quali, anche stando a quanto detto in passato dal Ministro della Difesa in Commissione, non sono dotate di munizionamento ad uranio impoverito. Nei nostri Poligoni e in questo in particolare, però, vengono ad esercitarsi anche Forze armate straniere, nei confronti delle quali vengono effettuati i dovuti controlli, tenendo conto di quanto descritto nella relazione che accompagna la richiesta di impiego del Poligono. Viene controllato il munizionamento impiegato dalle Forze armate straniere per verificare che effettivamente non si utilizzi uranio impoverito? Ieri al Poligono di Capo Teulada ci è stato detto che al termine delle esercitazioni la bonifica viene effettuata da personale della base militare. Se qualcuno usasse munizionamento improprio, nel momento della bonifica, il colpo inesploso, le schegge o altro verrebbero identificate come materiale non autorizzato. Ma se, da come ho sentito, le bonifiche in questo Poligono sono effettuate dagli utenti, come facciamo ad avere una conferma che effettivamente non è stato usato questo munizionamento, mancando il riscontro dei residuati (schegge o altro) che vengono trovati a terra inesplosi e che permettono il riconoscimento del proiettile impiegato?” (sottolineatura mia, ndr). 99 Le Forze Armate Italiane hanno potuto contare come strumento di rilevazione delle armi all’uranio impoverito sull’intensimetro RA141B. Tale strumento purtroppo, procedendo a passo d‘uomo, esplora una striscia di larghezza 10 cm, Possiamo allora ben immaginare quali tempi occorrerebbero per eseguire una verifica su un’area ad esempio di 135 km2, come quella del poligono di Salto di Quirra. Probabilmente sarebbe necessario qualche secolo! 100 Per inciso un altro controllo possibile potrebbe consistere nell’analisi dei licheni che assorbono le particelle dei metalli pesanti. Tuttavia si tratta di un’analisi assai laboriosa e dai risultati incerti. In Sardegna è stato fatto un simile tentativo da parte del Prof. Mauro Cristaldi. 54 ha inviato alla Presidenza della Commissione presieduta dal Sen. Costa, alcuni commenti tendenti anche a chiarire se le corazze dei nostri carri armati e mezzi blindati sono stati “testati” nei riguardi delle armi all’uranio impoverito. Nessuno ad oggi ha fornito una risposta a questa domanda. Domanda pur molto rilevante perché la sicurezza del personale che opera nel carro armato è dipendente ovviamente dalla efficacia delle protezioni del carro, che può venire colpito da armi all’uranio impoverito. Il Ministero della Difesa dovrebbe fornire gli elementi circa la valutazione dell’efficacia della corazzatura che deve proteggere il nostro personale! Il colonnello Bertino afferma anche che per le sperimentazioni (sistemi di lancio, razzi e così via) “C’è una statistica al 1970 di tutte le ditte e di tutti gli enti che sono venuti a lanciare nel poligono”. Potrebbe essere di interesse esaminare tali elenchi anche per individuare i punti di esplosione dei proiettili e per quanto concerne i tipi di sperimentazioni effettuate. Il Capitano Minervini giustamente pone l’attenzione sul problema delle cosiddette nanoparticelle dei metalli pesanti prodotti da esplosione o da ossidazione101 di parti rilasciate dal munizionamento convenzionale e dall’esigenza di recuperare materiale di armamento nei terreni di operazione o anche nei poligoni (sono di particolare interesse quelli di impiego internazionale, n.d.r.) al fine di conoscere le eventuali aree a rischio, come accennato in precedenza (le ditte straniere che effettuano test nei poligoni di uso internazionale hanno il solo obbligo di fare un’autocertificazione, ma ciò è insufficiente perché non presenta adeguate garanzie per il personale che opera nei poligoni stessi). La valutazione dei rischi che si possono presentare evidenzia certamente una giusta preoccupazione come quella del capitano Minervini e ci richiama un problema a cui è stato dato purtroppo scarsissimo peso fino ad ora. Occorre tra l’altro distinguere tra il rischio di nanoparticelle di metalli pesanti (che è esclusivamente un rischio chimico e il rischio delle nanoparticelle di uranio impoverito, che è un rischio chimico e anche fisico per via delle radiazioni soprattutto le radiazioni alfa (uso qui il termine “nanoparticelle” pur con le dovute riserve)102. Infatti gli studi della Dott.ssa Gatti per ciò che riguarda la questione delle “nanoparticelle” e delle loro dimensioni, sono stati nel passato oggetto di pareri diversi. Il Ministero della Difesa formulò nella relazione dell’aprile 2005, dal titolo “Elementi di documentazione sulla interazione tra uranio impoverito e salute umana nelle operazioni militari”, a pag. 26, qualche perplessità sui lavori della Dott.ssa Gatti103: 101 Le nanoparticelle (o meglio il particolato) sono prodotte non solo da esplosione (a 3000 gradi) come ha asserito qualcuno, ma anche da ossidazione, il che viene giustamente preso in considerazione nell’esposizione del capitano Minervini. 102 Il termine è messo tra parentesi perché non è chiaro a cosa si riferisce la dizione delle “nanoparticelle” che riguardano gli studi della dott.ssa Gatti, perché le dimensioni di queste “nanoparticelle” sono assai diverse da quelle indicate nella legge (la Legge Finanziaria 2008 e regolamento applicativo) e non è chiaro quali rapporti le “nanoparticelle” abbiano con ciò che viene solitamente chiamato “particolato”. 103 Si legge infatti nella relazione: “I risultati dello studio della Dott. Gatti, condotto su pochi soggetti ammalati, costituiscano momento solo ipotesi. Essi suscitano notevoli perplessità in quanto, fra l'altro, prive dell'indispensabile metodologia statistica di supporto: la mancanza di un idoneo gruppo di controllo costituito, ad esempio, da campioni bioptici di neoplasie provenienti da pazienti con anamnesi negative per esposizioni in aree balcaniche, oppure da cellule di soggetti sani, costituisce un elemento di inaffidabilità. A riprova di ciò, quanto essa ha affermato non ha trovato sino ad ora riscontro in alcuna pubblicazione scientifica recensita a livello nazionale ed internazionale. 55 Altre perplessità furono espresse nel contesto della citata sentenza emessa dal Tribunale di Rovigo del 2005 (richiesta di archiviazione al Giudice per le Indagini Preliminari della Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Rovigo n. 1338/2005 R.G.N.R. in cui si afferma tra l’altro “le particelle individuate dalla Dott.ssa Gatti nei reperti biologici non sono nanoparticelle, ma sono invece supermicrometriche e comunque mai inferiori a 0,5 µm, e quindi di dimensioni tali da escludere la loro appartenenza alla categoria delle particelle fini o ultrafini (micro o nanoparticelle)”104. Da menzionare anche che alcune perplessità furono formulate in proposito dalla Prof.ssa Maria Pia Sammartino, docente di Chimica all’Università di Roma. Un appunto in merito è stato inviato in precedenza dallo scrivente in Commissione Senatoriale. Sempre per quanto riguarda le dimensioni delle particelle, vi sono specifici aspetti che lasciano dubbi. Occorre dunque chiarire, quando si usa il termine “nanoparticelle” a cosa, esattamente, ci si riferisce. In un articolo del giornalista Lorenzo Sani su “La Nazione” del 25 maggio 2009 (v. Allegato) dal titolo “Militari vittime dell’uranio. Risarcimenti impossibili”, è scritto tra l’altro: “AL PUNTO C del Dai contatti intrattenuti dalla Dott.ssa Gatti con la Direzione Generale della Sanità Militare e con alcuni rappresentanti dell'Istituto Superiore di Sanità sarebbe comunque emerso che, pur essendo le ipotesi avanzate prive di sostegno scientifico e metodologico, nonché difficilmente dimostrabili (dato l'approccio invasivo-bioptico e data l'imprevedibilità dei flussi di drenaggio derivanti dalle aree parenchimali polmonari interessate dalle nanoparticelle) i risultati sperimentali conseguiti giustificherebbero un ulteriore approfondimento degli studi. Risulterebbe in ogni caso indispensabile, in via preliminare, la individuazione sperimentale qualitativa e quantitativa celle fattispecie, metalliche e no, liberate in forma di nanoparticolato in esito all'impatto di proiettili al DU con infrastrutture rinforzate o con armature corazzate. Una siffatta indagine, mutuata dai canoni della medicina occupazionale, permetterebbe infatti di accertare ed, eventualmente, scartare o meglio precisare possibili fattispecie di rischio espositivo che, al momento, possono essere solo oggetto di ipotesi, essendo pressoché impossibile stabilire in modo inequivocabile un nesso plausi causa-effetto sulla sola base di accertamenti eseguiti su tessuti di soggetti ammalati”. 104 Il pensiero della dottoressa Gatti, consulente del Ministero della Difesa, ha dato luogo a interpretazioni molto diverse tra loro, ad esempio la titolazione di un articolo apparso sul quotidiano “La Stampa” del 3 agosto 2004, è la seguente: “Avvalorata l’ipotesi delle autorità militari: il killer dei Balcani non è l’uranio impoverito: una scienziata di Modena: i 25 soldati morti per un cocktail di bombe”. In questo scritto il pensiero della dottoressa Gatti viene considerato in linea con quello delle autorità militari che escludono la nocività dell’uranio impoverito. Nella titolazione di un articolo sul quotidiano “Metro” del 7 nov. 2003, si legge: “Parla Antonietta M. Gatti coordinatrice della ricerca internazionale sulla sindrome dei Balcani: Ecco come l’uranio ha ucciso i soldati”. In questo articolo l’interpretazione del pensiero della dottoressa Gatti non sembra precisamente coincidere con la formulazione precedente. In altre occasioni il suo pensiero sembra attribuire ad un inquinamento bellico le patologie che si sono verificate. L’inquinamento bellico però non è ulteriormente definito nelle sue caratteristiche. In proposito si pone la domanda: con quali strumenti e procedure si stabilisce che esiste un inquinamento bellico? La dottoressa Gatti cita, tra l’altro, nanoparticelle di metalli come quelle dello zirconio che sono prodotte a temperature di oltre 2000 gradi (vedi audizione del 26 gennaio 2001 presso la Commissione Senatoriale). Nell’audizione si legge che lo zirconio, che viene ritrovato in certi reperti, non può essere presente altro che se non come una conseguenza di una temperatura superiore ai due mila gradi, che si sviluppa in un impatto. Sembra che quindi non possa che derivare da impatto di proiettile da uranio impoverito. E così a monte della causa delle malattie si ritrova proprio l’uranio impoverito. Ma ciò appare in contrasto con quanto affermato in altre occasioni secondo cui invece l’uranio impoverito non sarebbe la causa della malattia. Peraltro, volendo essere più precisi, bisognerebbe tener conto del fatto che la temperatura di 2000 gradi non è da attribuirsi esclusivamente all’uranio impoverito, ma può essere attribuita anche al tungsteno. Ma allora la “causa prima” della malattia potrebbe non essere l’uranio inteso come unico metallo che all’impatto svilupperebbe una temperatura superiore a 2000 gradi. 56 comma 1 del”Regolamento per la disciplina dei termini e delle modalità di riconoscimento di particolari infermità per causa di servizio” c’è un passaggio controverso. Si definiscono nanoparticelle di metalli pesanti un particolato ultrafine “formato da aggregati atomici o molecolari con un diametro compreso, indicativamente, tra 2 e 200 nm (nanometri)”. “Dal punto di vista scientifico questa definizione non ha alcun senso” commenta il dott. Stefano Montanari, uno dei più autorevoli studiosi italiani. Con la moglie Maria Antonietta Gatti dell’Università di Modena e Reggio – fra l’altro consulente del Ministero della Difesa proprio sulla materia specifica – ha svolto studi sulle nano patologie con risultati riconosciuti dalla comunità scientifica..” “...Le nanoparticelle che noi abbiamo trovato nei militari ammalati o deceduti sono mediamente dell’ordine di grandezza di 800 nanometri, molto più grandi di quelle indicate nel decreto dove peraltro sono contenute altre sviste grossolane” spiega Montanari. Il paradosso che si verrebbe a creare sta dunque in questo esempio teorico: i militari feriti a una gamba vengono risarciti, quelli a cui la gamba è stata amputata no. “Questo comma o l’ha scritto un perfetto incompetente, oppure, volendo pensare male, l’ha scritta una mente molto raffinata che conosce la materia alla perfezione”, chiude lo studioso (sottolineature mie, ndr). Tornando adesso all’audizione del Capitano Minervini, è da notare anche quanto lo stesso ha asserito circa l’opportunità di poter disporre dei fogli matricolari dei militari per l’individuazione degli incarichi ricoperti e dei luoghi frequentati durante il servizio. Infatti ogni caso è un caso a sé. Quella del capitano Minervini è sicuramente una giusta osservazione. Occorre infatti conoscere gli elementi della storia espositiva relativa ad ogni singolo caso, storia espositiva che almeno in parte contiene elementi sull’entità dell’esposizione, indicando i luoghi dove la singola persona è stata destinata ed eventuali informazioni mediche sullo specifico caso. Peraltro, in merito, non si deve dimenticare che purtroppo è risultato, riguardo a situazioni di militari che hanno eseguito missioni nei poligoni, che non di rado non è stato registrato sui fogli matricolari proprio il periodo prestato nei poligoni. E in merito a questa situazione occorrerebbe chiedere delle precisazioni alle Direzioni del Personale delle FF.AA. circa la mancata registrazione delle missioni. Nessuno ha mai risposto alle lamentele di chi non ha trovato nel suo foglio matricolare riportata la presenza in un poligono per una missione addestrativa ivi compiuta. Nel caso citato del paracadutista G.B. Marica non risulta nemmeno sui suoi documenti caratteristici il fatto che ha svolto la missione in Somalia. In merito G.B. Marica ha dichiarato: “Per loro non ero stato neppure in Somalia” (“L’Unità”, 14 marzo 2004). Le considerazioni formulate dal Capitano Minervini richiamano anche quelle, già citate, formulate dal colonnello Bertino che ha riferito, come in precedenza ricordato, alla Commissione Uranio Impoverito il 18 ottobre 2005. L’esperto evidenzia il fatto che anche i proiettili a carica cava sviluppano una temperatura di 2500 -3000 gradi all’interno del carro-armato105. Quindi la 105 Da osservare che nei carri armati, per i quali è prevista una difesa con “paratie” all’uranio impoverito, tali paratie non destano preoccupazioni in una situazione “inerte”. Ma se le fiancate del carro vengono colpite da un proiettile all’uranio impoverito che riesce a penetrarvi, allora si creano dei gravi rischi per il personale. Ne sanno qualcosa le forze Usa che hanno operato nella Guerra del Golfo. 57 elevatissima temperatura all’impatto non è solo una prerogativa che riguarda l’uranio impoverito, come qualcuno purtroppo ha sostenuto. Infatti riguarda anche armi “convenzionali”106. Ma, come sopra accennato, l’armamento convenzionale interessa solo per gli effetti che produce sul versante chimico mentre per l’armamento all’uranio interessa oltre che per gli effetti prodotti sul versante chimico anche per quelli prodotti sul versante fisico (radiante).107 Il colonnello Bertino (v. allegato) fa cenno nella citata audizione del 18 ottobre 2005 alle sperimentazioni eseguite nel poligono di Ciriè presso Torino (test sulle corazzature di carri armati). Precisa Bertino: “Comunque al poligono di Ciriè a Torino dove sono stato per cinque anni, ho visto sperimentare cannoni con proiettili al tungsteno, servivano a provare la foratura delle corazze. Probabilmente l’uranio è ancora più costoso del tungsteno e non so che tipo di sperimentazione ne abbiano fatto”. In passato sorsero delle perplessità nel poligono di Teulada dove hanno operato i carri armati Abrams il cui munizionamento normale è all’uranio impoverito, e nel poligono del Dandolo dove (almeno a quanto asserito da qualche fonte) sarebbero stati impiegati gli aerei A10 dotati di armamenti all’uranio impoverito.108 L’audizione del capitano Minervini è di particolare interesse anche perché pone il problema dei poligoni che recentemente (dicembre 2011 – marzo 2011) è riemerso nella sua gravità, specie in rapporto alle malformazioni che si sono verificate nella nascita di animali presso il poligoni di Salto di Quirra. Si tratta di una situazione che ha determinato addirittura la sospensione delle operazioni nel poligono, ordinata dalla Procura di Lanusei. In merito si pongono alcune domande: si possono eseguire delle verifiche sulla pericolosità dei poligoni? Come si può fare per migliorare la situazione? In proposito è opportuno notare che si è cercato di fare delle verifiche sull’inquinamento dei poligoni, con particolare riferimento al poligono di Salto di Quirra. Si iniziò, anni orsono, per quanto 106 Occorre semmai tener conto del fatto che, a differenza delle armi convenzionali, le armi all’uranio impoverito hanno anche un effetto piroforico che non è proprio delle armi convenzionali. 107 Le nanoparticelle di metalli pesanti (un po’ “poeticamente” chiamate “polvere di guerra” o “polvere di bombe”) non hanno effetti radianti ma solo chimici. Le particelle radianti presentano ovviamente un maggior pericolo per via del loro effetto attivo di radiazione. In proposito si può ricordare che nel 2002, come mostra un servizio del quotidiano Unione Sarda del 17 febbraio 2002, nel poligono di Salto di Quirra esisteva un cartello di “pericolo” che indicava la presenza di residui attivi. Tale cartello fu immediatamente tolto dopo che la fotografia venne pubblicata e ciò fu messo in evidenza nello stesso quotidiano. Non si può dunque escludere che nei poligoni siano state usate armi all’uranio impoverito. Per la precisione il succitato servizio giornalistico riportato con grande evidenza in apertura della prima pagina è così titolato “Allarme uranio. Cartelli militari segnalano il pericolo intorno ai rottami di carri armati usati come bersaglio – Residui radioattivi a Quirra. Sparsi sul terreno del poligono di Perdasdefogu: c’è la prova”. Il giorno seguente, si legge: “Perdasdefogu – Dopo la nostra inchiesta pubblicata ieri, segnali indicano solo residui inerti – Radioattività. Spariscono i controlli. Per i militari quegli avvisi di pericolo non ci sono mai stati” (v. Allegati). 108 Come sopra accennato nel poligono di Teulada hanno operato carri armati Abrams che sono normalmente dotati di munizionamento all’uranio impoverito. Ma è stato affermato, come si legge nell’audizione della Commissione Senatoriale del 18 ottobre 2005, che hanno utilizzato solo armamento convenzionale. C’è da chiedersi in base a quale “verifica” ciò è stato affermato. E’ bene ricordare, a proposito del poligono di Teulada, che secondo le valutazioni Usa il poligono si presta ad essere utilizzato per esercitazioni NSFS (Naval Surface Fire Support – fuoco navale di superficie), bombardamento mare-terra, manovre Sacex (esercitazioni coordinate di sbarco anfibio con tiri a fuoco mareterra e terra-mare). Per quanto riguarda il poligono del Dandolo, della questione si occupò a suo tempo il magistrato Federico Facchin. Elementi sugli aerei che vi hanno operato sono forse reperibili nell’inchiesta a suo tempo condotta. 58 riguarda l’aspetto radiazioni (ma non dimentichiamo che c’è anche l’aspetto chimico) come in precedenza accennato, col prelevare tre secchielli di terra e si concluse che la “colpa” era dell’arsenico109. La possibilità di verificare se vi sono radiazioni nel poligono potrebbe essere realizzata, almeno in teoria (a parte i dosimetri personali) effettuando nel territorio delle misurazioni di radiazioni con un intensimetro (si è fatto cenno all’intensimetro RA 141B) e sono stati precisati i limiti relativi a questa ipotesi (la fascia esplorata è di soli 10 cm). Più difficile è la possibilità di verificare se vi è un alto tasso delle nanoparticelle di metalli pesanti. C’è da chiedersi in merito con quali strumentazioni si dovrebbe procedere. Ad oggi non si è avuta alcuna risposta. Si ritorna anche al grave problema, più volte accennato in precedenza, circa la bonifica110 ed anche al problema della determinazione dell’impatto ambientale111. C’è chi ha proposto di riesumare i cadaveri di coloro la cui morte nei poligoni di Salto di Quirra ha destato sospetti. Ma in proposito vi è chi ha espresso l’opinione che si può “rilevare qualcosa” solo nelle ossa, dove l’uranio tende a formare dei piccoli crateri. Su questa tematica vedi gli studi effettuati in Francia a Reims, per il caso del militare francese Ludovic Acaries (come si è fatto cenno in precedenza). Circa le azioni di carattere più generale che si possono intraprendere per ridurre i pericoli nei poligoni, alcune possono essere le seguenti: 1) abolire le operazioni di brillamento periodicamente effettuate nei poligoni perché la nube di polvere che si genera nel brillamento e che si rideposita sul terreno, può avere effetti inquinanti (il materiale di scarto dei poligoni dovrebbe essere sistemato sotto terra con modalità appropriate); 2) fare divieto alle ditte straniere che operano nei poligoni di avvalersi di autocertificazione (in quanto impediscono i controlli sul loro operato); 3) emanare dei bandi internazionali che proibiscano a qualsiasi ente che chiede di operare nel poligono, di eseguire test con armi all’uranio impoverito; 4) esaminare i documenti relativi ai test eseguiti almeno negli ultimi quindici anni, previa desegretazione della documentazione stessa (che finora è rimasta largamente sconosciuta112); 5) rendere note le posizioni dei luoghi colpiti da armamenti negli ultimi 20 anni, cioè mettere a disposizione delle mappe dettagliate relative a tutte le sperimentazioni eseguite (nei poligoni le aree a rischio si concentrano nei luoghi colpiti da esplosione di armi); 6) rendere noti i nomi di chi ha diretto le sperimentazioni, in modo da poter aver delle risposte ai quesiti che possono porsi; 109 Ricordiamo per memoria che per l’analisi del territorio in un primo tempo vennero prelevati tre secchielli di terra per individuare eventuali presenze di uranio impoverito, ma l’analisi si concluse sostenendo che l’inquinamento era dovuto all’arsenico proveniente dalla vecchia miniera di argento di Baccu Loci. In una seconda analisi, forse dopo essersi accorti che i tre prelievi erano veramente insufficienti, i prelievi divennero 1500. Una cifra pur sempre limitata se si pensa che la zona di terreno coinvolta orizzontalmente nell’impatto di proiettili anticarro ha un diametro di circa 10-15 cm e che l’estensione del poligono è di oltre 13 mila ettari. 110 Circa la problematica della bonifica, a cui si è fatto cenno in precedenza, si legge nell’audizione del Senato del 18 ottobre 2005 che la bonifica la fanno le stesse ditte che eseguono la sperimentazione. Ma quale controllo, c‘è da chiedersi, si ha, come in precedenza ricordato, sulla correttezza e completezza della bonifica, se questa viene effettuata dalle ditte? Come si fa a stabilire la sua “validità”? E di chi dovrebbero essere le responsabilità nel caso la bonifica si dimostri incompleta o non accurata? 111 Per quanto riguarda l’impatto ambientale, c’è da osservare che i governi italiani non hanno ancora provveduto a introdurre nel nostro sistema l’obbligatorietà della valutazione di impatto ambientale nelle basi militari. 112 In una visita di componenti della Commissione del Senato che venne effettuata presso il Poligono di Salto di Quirra fu affermato che non poteva essere resa nota la documentazione riguardante attività compiute prima del 1992. Sarebbe importante capire se ciò è dovuto a questioni di segretezza o ad altro. 59 7) rendere note le procedure di verifica in merito all’esecuzione delle disposizioni impartite per l’uso del poligono, specificando tra l’altro cosa si intenda per “zona bonificata”; 8) rendere note le caratteristiche delle apparecchiature usate per controllo e in particolare le capacità di queste apparecchiature di rivelare l’esistenza di particelle (nano o micro particelle) di metalli pesanti (compreso l’uranio impoverito), dei proiettili impiegati nei test e nelle esercitazioni: 9) rendere noto se vi è personale straniero che opera in modo permanente o semipermanente all’interno dell’area del poligono113; 10) rendere noto a quali controlli è sottoposto il personale di ditte civili che possono essere impiegate nei poligoni114 e stabilire per tutto il personale dei test medici periodici da parte delle ASL. AUDIZIONE DEL PROF. FRANCO NOBILE Afferma il prof. Nobile che ”anche le Commissioni di Inchiesta della XIV e XV legislatura, non avendo ritenuta provata scientificamente la responsabilità dell’uranio impoverito115 nell’insorgere di patologie tumorali, hanno invitato ad esprimere ulteriori indagini per individuare la responsabilità di altre cause o concause, come ad esempio le vaccinazioni”116. Credo che occorra una lettura attenta di queste affermazioni del prof. Nobile, che riprendono, del resto, come accennato in precedenza, quelle espresse dal maresciallo Domenico Leggiero (vedi più sotto) circa la dipendenza dei tumori da vaccinazione e non da uranio impoverito. Infatti ritengo di dover escludere che il prof. Nobile possa aver pensato che per oltre 2 mila militari dell’elenco fornito alla Commissione Senatoriale dalla Sanità Militare nella scorsa legislatura, si siano tutti ammalati per colpa dei vaccini e, d’altra parte, non possiamo neppure lontanamente pensare che gli abitanti della Somalia, Bosnia, Kossovo, Macedonia, Albania, Iraq, che si sono ammalati di tumori debbano questa infermità alle vaccinazioni che sarebbero state effettuate (da medici militari italiani con vaccini in uso in Italia) ai milioni di abitanti in quei paesi117. Una semplice assurdità. Questo naturalmente vale anche per i militari delle forze armate straniere che hanno operato nei 113 Ad es. per quanto riguarda il Poligono di Quirra, nella base di San Lorenzo ha operato a lungo personale libico, per istruzione al volo di piloti servendosi delle piste dell’aeroporto (aeroporto che però non è da considerarsi propriamente tale perché manca della torre di controllo – si serve pare di quella di Decimomannu. L’aeroporto venne quindi spesso impropriamente denominato come “eliporto”). Il personale libico è stato quindi nelle condizioni di conoscere aspetti delle attività svolte nel poligono che magari non era possibile conoscere neppure da parte di autorità civili italiane locali. 114 Ad es. nel poligono di Salto di Quirra hanno operato ditte come la CISET Vitro Selenia e l’Avioelettronica Sarda). Polemiche sono sorte in passato rispetto all’attività di queste ditte. Recentemente l’ENAV pare sia diventata il principale operatore nel poligono. 115 Come si è detto più volte si sa a priori che non esiste un legame di certezza tra causa ed effetto per quanto riguarda il legame tra tumori e gli effetti dell’uranio impoverito e delle nanoparticelle, ma che esiste solo un legame di tipo probabilistico. 116 C’è chi ha affermato a proposito dei vaccini che è maggiore il numero dei militari ammalatosi e non essendosi recatisi all’estero, di quello dei militari recatisi all’estero. Se in senso assoluto ciò è vero, è invece un’enorme sciocchezza se la questione è intesa in senso comparativo e proporzionale, come maggior rischio che corre il personale in Italia rispetto a quello all’estero. Un’affermazione di questo tipo non ha senso perché il numero dei militari recatisi all’estero è enormemente inferiore a quello dei militari non recatisi all’estero. Un paragone mirante ad indicare differenze di rischio deve ovviamente essere fatto su basi di partenza numericamente equalitarie. 117 Peraltro i civili italiani abitanti nelle zone dei poligoni in Italia non sono stati certamente vaccinati e in particolare con i vaccini utilizzati per il personale all’estero. E ancor meno sono stati vaccinati gli animali!. 60 vari teatri che hanno subìto come i nostri, casi di malattia e morte. E certamente vaccini italiani non sono stati somministrati a forze armate straniere! Una riflessione andrebbe fatta anche riguardo alle patologie che si sono verificate nei poligoni riguardo agli animali (nascite con malformazioni). Anche a questo proposito è assai improbabile che gli animali siano stati vaccinati con i vaccini italiani impiegati per i militari all’estero. Se invece si vuole sostenere che possono essersi verificati dei casi di tumore dipendenti da vaccinazioni dovute: a) alla diminuzione di capacità reattive per via di un improprio accumulo di vaccinazioni, b) all’eventualità che dei vaccini fossero scaduti, c) all’eventualità che vi fossero in uso in Italia dei vaccini pericolosi (il Neotyf venne in effetti ritirato dal commercio), questo probabilmente è possibile e merita sicuramente ulteriori indagini. Ma allora occorre accertare le responsabilità che possono esservi state riguardo a ciò che è accaduto. Responsabilità da parte di chi ha prodotto o messo in circolazione i vaccini e responsabilità di chi ha praticato in modo scorretto le vaccinazioni, ecc. E’ vero che molti “reduci” hanno effettivamente riferito di aver subìto un indebito accumulo di vaccinazioni. Vedi in proposito, ad esempio, l’interrogazione parlamentare del 18 giugno 1992 dell’On. Delmastro delle Vedove e altre (in allegato). C’è da augurarsi anche l’apertura di un’indagine per accertare come sono state condotte le vaccinazioni e quale è la rispondenza delle “schede personali vaccinali” e ciò tenendo anche conto di quanto il prof. Nobile afferma circa le imprecisioni esibite a “Lega tumori” dai militari controllati118 e circa il modo in cui è stata compilata la anamnesi vaccinale. Il che confermerebbe la necessità di accertare il modo in cui sono stati utilizzati i vaccini. La relazione del Prof. Nobile lascia aperti vari interrogativi su cui occorrerebbero delle precisazioni. In particolare per quanto riguarda il fatto che a suo parere l’uranio impoverito non produce tumori, ma che i tumori sono provocati dai vaccini (la tesi secondo cui l’uranio impoverito non produca tumori è del resto anche stata affermata, come ampiamente illustrato in precedenza, nella relazione del col. Rossetti e anche da parte di altri). Quindi questa è del resto anche la tesi sostenuta dal maresciallo Domenico Leggiero dell’Osservatorio Militare, il quale ha affermato (vedi comunicato dell’AGI del 24 Febbraio 2002, dal titolo “militari morti per vaccini non per uranio”) che: “I decessi per leucemia dei soldati italiani impiegati nei Balcani sarebbero stati provocati da vaccinazioni selvagge e non da uranio, come si è sempre pensato. Sostanze tossiche presenti nelle fiale di vaccino, interagendo con un ambiente fortemente tossico e contaminato quale quello in cui operavano i militari, possono aver agito da attivatori di malattie.... Abbiamo scoperto – afferma Leggiero in un articolo che compare sul sito www.clorofilla.it – che la somministrazione e la posologia effettuate sui militari non corrisponde alle direttive del Ministero. Secondo quel documento i dieci tipi di vaccinazioni avrebbero dovuto essere eseguiti sui ragazzi almeno 28 giorni prima della loro partenza. Al contrario, sono stati vaccinati sul posto, con richiami fino a un anno dalla prima vaccinazione”. Si legge ancora nel comunicato: “Anche Massimo Montanari, medico 118 Dato che il prof. Nobile ha certamente preso nota di quei casi in cui gli sono stati riferiti scorrettezze nei riguardi della propinazione dei vaccini, potrebbe essere di interesse una specifica analisi di questi casi. 61 interpellato dalle famiglie dei soldati coinvolti nella vicenda, denuncia i cicli massicci di vaccinazioni fatte senza criterio”. Il Prof. Massimo Montanari, che è “nanopatologo” all’Università di Modena e Reggio Emilia, “ha trovato - come si legge in un articolo del settimanale “Vita” del 27 febbraio 2004 (v. Allegato) - “che tumori e linfomi tra i soldati hanno un’altra origine”119. Un’affermazione che lascia (come su quella del colonnello Rossetti) non poche perplessità. Ancora in un comunicato del 25 febbraio 2002 dell’ADN Kronos, il citato Osservatorio Militare ha affermato che non sono state “...individuate tracce di uranio impoverito ritenuto fino ad oggi la principale causa della leucemia...”120. Vi è peraltro da osservare che la valutazione secondo cui l’uranio presenta dei pericoli è confermata dal fatto che sono state predisposte precise “norme di protezione”. Ed in particolare è da segnalare che queste norme riguardano, come accennato in precedenza, sia la protezione nel maneggio a freddo del materiale (tali norme sono state inviate all’Italia dagli Stati Uniti nel 1984 – v. allegato), sia alle norme emanate sempre dagli Stati Uniti il 14 ottobre 1993 in Somalia. Le norme si riferiscono all’impiego dell’uranio impoverito sia a freddo (nel maneggio), sia a caldo (in conseguenza dell’esplosione del proiettile su superfici resistenti – (v. allegato). Nella Guerra del Golfo del 1991, come già in precedenza menzionato, gli Usa che ancora non avevano emanato le norme di protezione del 1993, hanno dovuto registrare i gravi effetti provocati dall’uranio impoverito (molti casi di malattia e anche di nascita di bambini malformati). Durante la Guerra del Golfo si sono verificati anche moltissimi casi di malattia nella popolazione irachena che certo non era stata vaccinata (né da noi né da altri). Vedi in proposito il ben noto libro scritto sotto la direzione dell’ex Ministro della Giustizia Usa, Ramsey Clark, “Il metallo del disonore”). Quanto ai dati forniti dal Prof. Nobile c’è da osservare che essendo basati su sperimentazioni e controlli relativi a militari della Folgore, effettuati dopo il 2000, l’attendibilità delle deduzioni lascia assai perplessi. Ciò perché la Folgore, come in precedenza ricordato, doveva aver già adottato dall’8 maggio 2000 le misure di protezione. E quindi se i militari erano protetti da queste misure non sembra abbia molto senso sostenere che l’uranio impoverito non abbia provocato tumori (dato che ciò era “impedito” o quanto meno fortemente ostacolato dalle protezioni adottate121). E’ come dire: 119 Del resto, come accennato in precedenza, c’è chi ritiene che la causa dei tumori sia lo stress da combattimento. Ma per i civili abitanti nelle zone colpite, è difficile pensare che la colpa sia dello stress perché tra l’altro non vi sono combattimenti reali e così è difficile affermare che le nascite di animali deformi siano dovute a stress. 120 Nel caso in precedenza accennato, del maresciallo Giovanni Pilloni, sembra che in una prima analisi sarebbe stata trovata la presenza di uranio impoverito, ma in un secondo tempo sarebbe stata negata. Anche nel citato caso del militare francese Ludovic Acaries, segnalato dall’esperto nucleare Paolo Scarpa, presidente dell’AIPRI (vedi TM News 22 febbraio 2010, comunicazione di Francesco Palese sul sito “Vittime uranio”) per questo caso in una prima analisi non si era notata la presenza di uranio impoverito, ma in una successiva analisi dell’ottobre 2010 effettuata a Reims, è stata invece riscontrata tale presenza. 121 Il problema che si pone per il prof. Nobile, in riferimento allo studio sembra sia il seguente: se i militari presi in esame hanno indossato le misure di protezione, il fatto che non si siano verificati casi di malattia è probabilmente dovuto al buon funzionamento delle misure di protezione. Cioè non ci dice in realtà nulla sugli effetti dell’uranio. Da osservare che la stessa problematica vale anche per lo studio Sigmun. Se infatti le “1000 cavie umane” hanno adottato le misure di protezione previste contro gli effetti dell’uranio impoverito (e in aggiunta un mantello permeabile), il fatto che non si sia verificata una significativa incidenza di tumori può ben essere attribuito al buon funzionamento delle misure di protezione. D’altra parte il solo pensiero di 62 se una persona esce all’aperto mentre piove ed è munita di ombrello e di impermeabile probabilmente non si bagna. Ma naturalmente da ciò non si può dedurre che la “pioggia non bagni”. E’ desiderabile quindi che qualche chiarimento in merito. Falco Accame Presidente Anavafaf utilizzare i militari come cavie (cioè senza adottare misure di protezione) sembra del tutto inaccettabile. E d’altra parte il concetto di “cavie protette” appare come una contraddizione in termini! A questo punto non interessa neppure alcun confronto tra la “coorte” dei militari esposti e la “coorte” di altri militari non esposti! Se poi si prende in considerazione un “imprecisato inquinamento bellico” (ma come si qualifica e quantifica una “condizione” così vaga come quella di “inquinamento bellico”? E’ il dubbio che abbiamo espresso in precedenza) e c’è da osservare che una simile condizione non è certo nuova ma è stata presente in tutte le guerre dei secoli passati in cui si è usata la polvere da sparo. Ma questa situazione, almeno in passato, non ha fatto sorgere sospetti circa il suo esser causa di tumori! E comunque non si sono verificati tumori in misura così rilevante (vedi ad es. casi di militari italiani che superano il migliaio) che si sono manifestati dopo l’impiego delle armi all’UI e delle radiazioni da esse prodotte (radiazioni che non sono invece prodotte dalle armi convenzionali). Si è ipotizzato che i tumori fossero probabilmente da attribuirsi prevalentemente alle radiazioni che non erano presenti in passato negli armamenti di tipo convenzionale impiegati nelle passate guerre. I pericoli delle armi convenzionali di natura chimica (perché si tratta di metalli pesanti), possono probabilmente manifestarsi dando luogo a gravi patologie, (un’infiammazione che si tramuta in tumore come ha sostenuto qualcuno). Ciò può verificarsi, a parere dello scrivente, che come ricordato in precedenza solo quando si verificano delle fortissime concentrazioni di fuoco. Si può osservare in merito che forti concentrazioni di fuoco possono verificarsi in alcune situazioni di combattimento così come in “aree bersaglio” nei poligoni e nel corso delle operazioni di brillamento nonché in qualche deposito e officina dove può causarsi una lunga e intensa esposizione dell’uomo ai materiali). Ma questo è un ambito su cui non risulta siano stati fatti né rilievi, né studi mirati. 63 RIFLESSIONI CONCLUSIVE (PROBLEMATICHE ALL’ATTENZIONE DELLA COMMISSIONE SENATORIALE) 1) MANCATO RISPETTO DELLA LEGGE PER QUANTO RIGUARDA I RISARCIMENTI L. 308/81 Non vi è stata una corretta applicazione della L. 308/81, in particolare tenendo conto delle precisazioni fornite dal Consiglio di Stato nelle adunanze del 12 giugno 1992, 31 luglio 1998 e 4 maggio 2010. Occorre in particolare rimediare al gravissimo errrore di aver tolto la legge dal nuovo Codice Militare sottraendo così alle vittime le possibilità sancite dalla L. 308 di ottenere risarcimenti qualora non fosse esistita la “causa di servizio” mentre avrebbero dovuto essere conferiti per la ben più estesa condizione della “permanenza in servizio”. Si è insomma dimenticato completamente che i “militari” (a differenza dei civili) sono da considerarsi “sempre disponibili” (h. 24, come si evince dal Regolamento di Disciplina DPR 545/86). E’ stata creata dunque erroneamente una inaccettabile differenza di trattamento rispetto a quanto previsto dalla L. 308/81 ed anche in contrasto con l’art. 3 della Costituzione. Il problema si ripresenta con il nuovo Codice Militare in cui manca appunto la legge 308/81. 2) ERRORI NEL NUOVO CODICE MILITARE Gravissimi errori si sono riscontrati nel nuovo Codice Militare, vedi in particolare gli artt. 1895 e 1896 del detto codice. In primo luogo è da segnalare l’esclusione della L. 380/81 da tale Codice. Ed anche la non inclusione delle infermità (ad esempio quelle che riguardano i tumori) come “causali “per i risarcimenti. Vengono infatti considerati solo i casi di ferite e lesioni. Ma il Codice incide anche in maniera assai discutibile sul tema dei diritti dei militari. Materia che però esula dalla tematica presa in considerazione nel presente contesto. 3) “MODELLO INFORMATIVO” SUI SINGOLI CASI DI MALATTIA – INFLUENZA SULLE DECISIONI DEL COMITATO DI VERIFICA Le informazioni sui singoli casi che vengono inviate al Comitato di Verifica servendosi di un “modello informativo” debbono essere completate in quanto il modello informativo attualmente in vigore è del tutto insufficiente a fornire un quadro esatto della situazione 64 e quindi può mettere il Comitato di Verifica nelle condizioni di non poter esprimere una valutazione corretta. Vedi ad esempio quanto accaduto nel caso del capitano Antonino Caruso e anche nel caso del signor Gianfranco Ariu. 4) IL CONCETTO DI VIGILANZA – NECESSARIA MODIFICA DELLA LEGGE 266/05 E DELLE LEGGI 466/80 E 308/81 Al personale che effettua attività di vigilanza deve essere estesa, in caso di evento dannoso, la categoria di “vittima del dovere” in base a quanto stabilito dal Consiglio di Stato (3^ sezione, 4 maggio 2010). Va precisato che il concetto di “vigilanza” include in sé anche il concetto di “servizio di guardia” – che anzi costituisce la forma più cogente di vigilanza, ma erroneamente dimenticato nelle disposizioni normative. La non presa in considerazione della condizione di “servizio di guardia” ha creato un’ingiusta esclusione dai risarcimenti per moltissimi casi. Vedi a titolo di esempio il caso del sergente Alessandro Teodori. 5) LE CONDIZIONI DI “STRAORDINARIETA’” – IMPRECISIONI NELLA DEFINIZIONE DEL DPR 243/06 Nelle normative si parla di condizioni di straordinarietà, ma non vi sono precisazioni sufficienti su che cosa debba intendersi in effetti per “condizioni di straordinarietà” e quindi in base a quali criteri e parametri tali condizioni debbano essere accertate. Prendiamo ad esempio in considerazione la straordinarietà concepita in termini di maggiori rischi e fatiche in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto, così come si legge nel DPR 243/06. Ma nel Dpr non è chiarito a quali specifici dati qualitativi e quantitativi ci si riferisca per stabilire questa straordinarietà. In proposito non è stata recepita, riguardo alle missioni di pace, la loro intrinseca condizione di straordinarietà, specie per il fatto che queste missioni si sono normalmente trasformate in operazioni dove si svolgono attività a fuoco, di guerriglia e controguerriglia (ad esempio nella Somalia ci sono stati 10 mila morti eppure si trattava di una operazione di pace, anzi di un’operazione di soccorso umanitario!). In questo caso a tutto il personale che ha partecipato alle operazioni si deve applicare il criterio di “straordinarietà” per l’attività compiuta. Altro esempio: al personale che viene impiegato per sgombero poligoni, ma che non appartiene alla categoria del personale del Genio, e che quindi è impreparato e non ha conoscenza dei rischi che può correre, si deve applicare la categoria di “straordinarietà” nei riguardi dell’attività compiuta. 65 Altre condizioni di straordinarietà sono ad esempio quelle cui il personale si trova esposto a un pericolo non conosciuto, come quello dell’uranio impoverito (fuoco amico) e non può contare su misure di protezione. 6) VITTIME DEL DOVERE – ACCERTAMENTO DI QUESTO STATUS LEGGE 466/80, 308/81 e DPR 243/06 La legge prevede l’inserimento nella condizione di “vittime del dovere” del personale che ha svolto azioni di soccorso. Ma tale principio non è stato rispettato per operazioni di soccorso umanitario, vedi ad esempio quelle in Somalia e Iraq. Per il personale colpito da infermità avendo svolto operazioni di soccorso avrebbe dovuto essere stato conferito lo status di “vittime del dovere”. Ciò purtroppo non è stato fatto e sono stati quindi ingiustamente escluse moltissime persone dai risarcimenti dovuti alla categoria “vittime del dovere”. E’ doverosa un’inchiesta per individuare tutto il personale ingiustamente escluso. 7) PRINCIPIO DI PRECAUZIONE - COME E’ STATO APPLICATO (O DISAPPLICATO) In molte situazioni relative a persone che hanno operato in “operazioni di pace” o “soccorso umanitario”, vuoi trovandosi nella condizione di “in missione”, vuoi trovandosi nella condizione di “in destinazione fissa”, non è stato adottato il “principio di precauzione”, pur non potendo escludere rischi da esposizione a particelle di metalli pesanti (rischio citato nella Legge Finanziaria 2008, art. 2, commi 78 e 79). Avrebbero dovuto essere state applicate quindi delle sanzioni a chi ha violato gli obblighi sanciti dal “principio di precauzione”. Moltissimi sono stati i casi di vittime che non avevano potuto usufruire di misure di protezione sia nelle operazioni all’estero, sia nelle operazioni in Italia relative a poligoni, depositi, ecc. Vi sono state affermazioni da parte del Ministero della Difesa secondo cui il personale che opera nei poligoni non corre alcun rischio. Ma c’è da chiedersi in merito, come è possibile sostenere questa tesi quando, come sopra accennato, nella legge finanziaria 2008, si afferma che vi sono rischi per il personale da nanoparticelle di metalli pesanti e certamente non vi è teatro dove si possa verificare una maggiore concentrazione di nanoparticelle di metalli pesanti che nei poligoni e in specie nei luoghi dove sono collocati i bersagli. 66 Per quanto concerne la natura delle misure di protezione, sembra sia necessario esaminare attentamente i “capitolati” con i quali è stato acquistato il materiale necessario per la protezione, per verificare se il materiale risponde alle esigenze di protezione. Un esempio riguarda l’intensimetro RA 141 B, dimostrato assolutamente carente per compiti di localizzazione. 8) DIPENDENZA DELLE DECISIONI DI PREVIMIL DALLE VALUTAZIONI DEL COMITATO DI VERIFICA - ERRORI GENERATI DA QUESTA DIPENDENZA. DPR 461/2001 Questo DPR richiede un’ampia revisione perché tra l’altro implica che le decisioni prese da Previmil, in merito al conferimento o negazione di risarcimenti, debbano dipendere direttamente dalle valutazioni espresse dal Comitato di Verifica. Ciò deve essere modificato perché il Comitato di Verifica può esprimere delle valutazioni errate. Vedi ad es. il citato caso del capitano Antonino Caruso, in cui i risarcimenti sono stati erroneamente negati per undici anni! 9) REPLICA AD EVENTUALI ERRORI NELLE VALUTAZIONI DI PREVIMIL. REPLICA DA EFFETTUARSI ENTRO 10 GIORNI LEGGE N. 15/2005 Occorre rivedere vari aspetti di questa legge e in particolare la disposizione con cui si concedono solo 10 giorni alle vittime o parenti delle vittime per esprimere pareri in contraddittorio a quanto stabilito da Previmil circa i risarcimenti. Occorre infatti orientarsi per un tempo molto più lungo, ad esempio tre mesi per dare la possibilità alle vittime e parenti delle vittime di individuare tutti i punti ritenuti carenti nelle decisioni di Previmil. E non si tratta di rivedere solo il parere del Comitato di Verifica in merito a quanto concerne il legame causa-effetto, specie per quanto riguarda i tumori. Si verifica che risarcimenti non conferiti per il fatto che risulta mancante il legame causaeffetto. Ma ciò dipende dal fatto che viene presupposto che tale legame debba essere “di certezza”, mentre non lo si può che considerare come un legame di probabilità. Ma a parte la questione del legame causa-effetto, vi sono numerose altre questioni in cui le vittime e parenti delle vittime possono non concordare col parere espresso da Previmil, e tali questioni possono richiedere il ricorso alla ricerca di testimonianze, alla ricerca di sentenze della Magistratura, ad articoli di legge non presi in considerazione, ecc. Ma a questo riguardo possono richiedersi dei notevoli tempi, ben superiori ai 10 giorni. 67 10) MISURE DI PROTEZIONE – MANCANZA DI SPECIFICAZIONE DEI REQUISITI Per quanto riguarda le misure di protezione, e in particolare i filtri, da nanoparticelle di metalli pesanti, non si conoscono i requisiti necessari per rendere operanti tali misure. Occorre che vengano individuati e resi noti i requisiti necessari, altrimenti non si ha alcuna certezza sull’efficacia o meno delle misure adottate. 11) ENTITA’ DEI RISARCIMENTI – GRAVI DIFFERENZE NELL’ENTITA’ DEI RISARCIMENTI TRA QUANTO STABILITO NELL’AMBITO DELLA AMMINISTRAZIONE MILITARE E QUANTO STABILITO NEI TRIBUNALI L’entità dei risarcimenti presenta delle totalmente inaccettabili difformità. Si va da risarcimenti di 0 euro a risarcimenti di 1,4 milioni di euro. C’è inoltre una grandissima differenziazione tra i criteri usati nell’ambito dell’amministrazione militare per stabilire i risarcimenti e i criteri stabiliti nell’ambito della giustizia civile per stabilire tali risarcimenti. E’ del tutto inaccettabile che possano esistere differenze di valutazione di questo tipo e quindi occorre una profonda revisione di tutta la materia. Esistono inoltre delle notevoli diversità di trattamento tra quanto concerne operazioni svolte in campo internazionale e operazioni svolte in campo nazionale. E ciò è particolarmente ingiusto in quanto nelle operazioni in campo internazionale il personale si trova “in missione” e quindi con una retribuzione finanziaria grandemente superiore a quella che è concessa nelle operazioni svolte in patria. E inoltre il personale è assicurato e quindi percepisce, in caso di infortunio. i premi assicurativi. Non così per il personale che opera in Italia, ad esempio per quello che opera nei poligoni, depositi (munizioni, veicoli, vestiario e officine di riparazione) e che non può usufruire dei predetti privilegi. Questo personale viene penalizzato per quanto riguarda i risarcimenti rispetto al personale operante all’estero. Anche a questo riguardo la situazione normativa deve essere interamente rivista. 12) VALORE DELLA VITA UMANA: DA NULLA A 2 MILIONI DI DOLLARI Con riferimento alla problematica sopra accennata dei risarcimenti, si pone il problema delle notevolissime differenziazione nel valore che si attribuisce alla vita umana. Qualche anno orsono, nel caso delle vittime della funivia del Cermis, la vita delle vittime fu valutata in 2 milioni di dollari e l’Italia si accollò le spese. In molti casi di vittime militari, il risarcimento è stato di 0 euro, in altri casi 17 mila euro, in altri di circa 200 mila euro. In alcuni casi sono state oggetto di attenzione da parte di tribunali civili e sono state considerate errate le valutazioni effettuate in ambito 68 dell’amministrazione militare e sono stati stabiliti dei risarcimenti che vanno fino a 1,4 milioni di euro. La situazione è da ritenersi del tutto inaccettabile e deve essere sottoposta a un attento riesame complessivo. 13) SPECIALE ELARGIZIONE – DOPO 30 ANNI NON E’ STATA ANCORA ADEGUATA ALLA SVALUTAZIONE DELLA MONETA – INACCETTABILE! La speciale elargizione nella L. 308/81 venne, all’epoca, stabilita in 50 milioni di vecchie lire e non è mai stata aggiornata al deprezzamento della moneta. Una cosa semplicemente vergognosa che dimostra nei fatti il ben scarso interesse per i “nostri ragazzi” (in altre situazioni esaltata). Il risarcimento deve essere conteggiato a partire dal 1969 (v. Legge 280/91). Secondo altre disposizioni normative, la data di decorrenza sarebbe addirittura il 1961. Va citato in proposito che con una provvedimento “speciale”, nel caso della drammatica vicenda di Nassyria la speciale elargizione venne portata da 50 milioni di vecchie lire a 200 mila euro. 14) LUOGHI DI POSSIBILE CONTAMINAZIONE - DIMENTICATI I DEPOSITI VESTIARIO E AUTOMEZZI E LE OFFICINE DI RIPARAZIONE DPR 37/2009 Nelle disposizioni del DPR 37/2009 si menzionano, per quanto concerne i risarcimenti, solo i depositi armamenti. Ma ciò, come del resto accennato in precedenza, è inesatto perché debbono essere considerati a rischio anche i depositi vestiario, automezzi, nonché le officine di riparazione, perché in questi luoghi possono trovarsi in sosta o depositati materiali inquinanti. Occorre quindi modificare le suddette disposizioni normative. 15) LA CONDIZIONE DI “ESPOSIZIONE” – VAGHEZZA NELLA DEFINIZIONE DEL TERMINE “ESPOSIZIONE” Viene con grande superficialità effettuata una suddivisione tra personale ESPOSTO e personale NON ESPOSTO. Ma ciò è del tutto inaccettabile. Non è la stessa cosa un’esposizione che dura qualche minuto o qualche ora e un’esposizione che dura un anno, o magari qualche anno. Non è la stessa cosa una esposizione che ha luogo in stretta vicinanza di un obiettivo colpito (o addirittura all’interno di un obiettivo colpito) o un’esposizione che si verifica a rilevante distanza da un obiettivo colpito (e così via). 69 Occorre dunque individuare vari livelli di esposizione, sia per quanto riguarda la possibile intensità dell’esposizione sia per quanto riguarda l’aspetto probabilità. 16) LO “STRESS” DA COMBATTIMENTO COME CAUSA DI TUMORI: LEGAME DI CERTEZZA? Tra le cause possibili di tumori è stata menzionata in alcuni casi la “causa” denominata “stress”. Ma a questo proposito non è chiaro come si possa definire l’esistenza dello “stress”, soprattutto in un’analisi fatta a posteriori, cioè senza documentazioni effettuate all’epoca in cui tale stress si sarebbe manifestato. Inoltre, circa l’esistenza di questo stress occorre chiarire sulla base di quali caratteristiche ed analisi, si stabilisce che vi sia stata tale condizione di stress. C’è anche da chiarire quali siano le specifiche disposizioni che stabiliscono che in caso di stress il legame di causa-effetto debba considerarsi come caratterizzato da “certezza”, e non da semplice “probabilità”. A parte quanto sopra, c’è da domandarsi se un militare che risulta colpito da stress possa essere mantenuto in attività ad operare in un teatro operativo a rischio, tenuto conto del pericolo che può presentare l’attività svolta per se stesso e per altri. Una domanda che meriterebbe una risposta. 17) AREE INQUINATE – COME SI DETERMINANO LE CONDIZIONI DI “INQUINAMENTO BELLICO”? Mancano completamente nella normativa delle precisazioni circa quali siano da considerare come condizioni quantitative e qualitative affinché un’area possa essere considerata come “inquinata”. E ancor più, per stabilire se si è in presenza di un “ambiente bellico” nel corso di una “missione di pace”. C’è anche da chiedersi quali strumenti si abbiano a disposizione (e quali procedure si debbono impiegare) per poter determinare l’esistenza dell’inquinamento bellico. 18) COSA SI INTENDE CON IL TERMINE “BONIFICA” – ESISTONO VARI “GRADI” DI BONIFICA MA NON SONO UFFICIALMENTE NOTI Spesso si parla di “aree bonificate”, ma non si conoscono normative, le quali servano a precisare cosa si debba intendere per “area bonificata”. E ciò può avere, come ovvio, delle gravissime conseguenze. Un’area che si afferma “bonificata”, almeno nel senso comune di area che non comporta più alcun rischio, può invece non risultare affatto tale. Da un’informazione fornita dal colonnello Bertino nell’audizione del 18 ottobre 2005 presso la Commissione Senatoriale, sembra che si possano individuare 70 tre gradi di bonifica, con caratteristiche tra loro alquanto diverse. E ovviamente ciò riguarda in primo luogo la sicurezza del personale, ma riguarda anche la conoscenza del tipo di armi che sono state impiegate in una sperimentazione, e ciò anche perché ditte straniere che eseguono sperimentazioni, vengono chiamate loro stesse ad effettuare la bonifica e quindi viene a mancare ogni controllo delle autorità italiane su ciò che si viene a trovare dopo le sperimentazioni nell’area dei poligoni stessi. Una ditta può aver dichiarato di aver usato un certo tipo di armamento, mentre in effetti ne ha usato un altro. Debbono quindi essere formulate e rese note delle precise norme su chi ha la responsabilità di effettuare le bonifiche. 19) TEST DELLA RESISTENZA DELLE CORAZZATURE E BLINDATURE NEI RIGUARDI DI ARMI ALL’URANIO IMPOVERITO Non sono conosciute le norme alle quali debbono sottostare le ditte italiane costruttrici di corazzature o blindature per stabilire la loro resistenza alla penetrazione di proiettili. Ciò vale anche per quanto concerne la resistenza alla penetrazione di proiettili all’uranio impoverito. E’ chiaro che dalla capacità di resistenza delle blindature derivino condizioni di sicurezza o meno per il personale. Non si sa dove (e se) vengono eseguiti i test e quindi quali sono le condizioni di sicurezza/rischio per il personale che opera nei mezzi . 20) AUTOCERTIFICAZIONE – IMPEDIMENTO A ULTERIORI CONTROLLI Nelle normative esistenti manca l’individuazione di responsabilità per chi effettua sperimentazioni o esercitazioni nei poligoni. Per le ditte estere sembra sia sufficiente che al termine delle sperimentazioni presentino un’“autocertificazione” circa le operazioni svolte. Ciò desta gravi preoccupazioni perché non si può avere la certezza di conoscere quali armamenti siano stati usati nelle sperimentazioni stesse. Fra l’altro le ditte stesse sono autorizzate a fare in proprio le operazioni di bonifica. Operazioni che potrebbero viceversa dare luogo alla possibilità di riscontrare eventuali irregolarità nell’impiego di armamenti. Occorre quindi modificare radicalmente tali disposizioni, ben tenendo presente i rischi che un’area ritenuta bonificata, ma in effetti non bonificata, può presentare. 71 21) FOGLI MATRICOLARI – DATI PERSONALI MANCANTI E’ stato riscontrato in numerose circostanze che la documentazione caratteristica del personale militare sia risultata spesso incompleta. Vedi tra l’altro le dichiarazioni del Prof. Nobile (audizione presso la Commissione Senatoriale) circa la insufficienza delle informazioni sulle vaccinazioni del personale della Folgore che è stato sottoposto a tali pratiche. E’ risultato ad esempio che non sono state registrate nei fogli matricolari missioni eseguite dai militari nei poligoni e ciò può aver dato luogo a un indebito non conferimento di risarcimenti. Non solo, ma vi sono casi (v. il caso del paracadutista G.B. Marica) in cui nei suoi documenti caratteristici non appariva neppure la sua missione in Somalia! Un fatto ovviamente gravissimo! In teoria egli non avrebbe neppure potuto chiedere dei risarcimenti in quanto non risultava presente nel teatro operativo. Occorre pertanto che vengano impartite disposizioni assai rigide (accompagnate da sanzioni in caso di non rispetto delle disposizioni stesse), circa l’esigenza di fornire una documentazione assolutamente completa della attività svolta dai singoli militari, anche perché ciò incide sulle valutazioni del Comitato di Verifica e quindi sul conferimento o meno di risarcimenti. E’ bene tener presente che migliaia di risarcimenti sono stati negati per la non sussistenza della “causa di servizio” e la non sussistenza di tale condizione può essere stata determinata dall’incompletezza delle informazioni nei documenti caratteristici dei militari. Non bisogna inoltre dimenticare che in base alla L. 308/81 i risarcimenti non spettano solo se esiste la condizione di “causa di servizio”, ma anche se sussiste la condizione più generale di “in permanenza di servizio”. 22) DANNO ESISTENZIALE – MA ANCHE DANNO BIOLOGICO E DANNO MORALE Le normative militari non prevedono il riconoscimento del danno esistenziale che si deve aggiungere al danno morale e biologico. Tale danno invece è riconosciuto nelle sentenze dei tribunali. Vedi ad esempio in modo molto dettagliato e specifico la sentenza del Tribunale Civile di Firenze del 17 dicembre 2008, relativa al paracadutista G.B. Marica. Deve essere quindi interamente rivista la normativa militare per adeguarsi a quanto in vigore in ambito giudiziario. 72 23) NORMATIVE SULLA SALUTE E SICUREZZA DEL PERSONALE – CARENTE APPLICAZIONE NEI POLIGONI DELLA L. 626/94 E’ stato affermato (v. audizione del 18 ottobre 2005) che solo nel 2004 (o poco prima) sono state applicate le disposizioni sulla sorveglianza da parte delle ASL stabilite dalla L. 626/94, circa le condizioni di salute del personale nei poligoni. E tutt’ora il controllo appare insufficiente come è emerso nelle recenti indagini condotte dalla Procura di Lanusei. Occorre quindi un accurato studio di ciò che è accaduto e l’emanazione di precise norme sull’applicazione del disegno di legge 626/94 nei poligoni, anche in relazione a quanto si è verificato circa i numerosissimi casi di malformazione alla nascita. Da precisare che di alcuni dei quali ci si è accorti solo casualmente per via dell’opera di due veterinari! 24) IMPATTO AMBIENTALE – NEI POLIGONI MANCA L’OBBLIGO DELLA DETERMINAZIONE Nelle normative in atto non è prevista la obbligatorietà della valutazione dell’impatto ambientale nei poligoni. Grave carenza che deve essere al più presto corretta. 25) LO STUDIO SIGNUM – DAVVERO UNO STUDIO DI IMPORTANZA EPOCALE? Lo studio Signum (Studio dell'impatto genotossico nelle unità militari) presentato come uno studio di rilevanza epocale, soprattutto per quanto avrebbe potuto dire sulla rilevanza dell’impiego di armi all’uranio impoverito. Doveva, in particolare, illuminarci sulla causa dei tumori. Finalmente emanato risulta però non sia stato reso pubblico e non si conoscono quindi le conclusioni eventualmente esistenti nello studio su vari delicatissimi temi. C’è da chiedersi da cosa deriva l’esigenza di segretazione. Da osservare che nello Studio era previsto il ricorso a 1000 “militari cavia” (ma naturalmente questi militari dovevano applicare tutte le norme di protezione previste ed in più un mantello permeabile. Ma c’è da chiedersi in merito: che senso può avere uno studio basato su queste totalmente contraddittorie premesse? 26) L’IMPIEGO DELL’URANIO IMPOVERITO IN SOMALIA – RIMASTO NASCOSTO In Somalia vi sono stati numerosi casi di militari italiani ammalatisi di tumore dopo essere stati impiegati in quel teatro. Abbiamo citato tra questi i casi Caruso, Marica, Adduci, Bonassina, Pizzamiglio, Renna, Marini, D’Alicandro, almeno per quanto concerne quelli conosciuti dall’Anavafaf. Sappiamo che gli Stati Uniti hanno impiegato carri armati Abrams e mezzi blindati Bradley dotati di apparecchiature all’uranio 73 impoverito. Gli Stati Uniti hanno emanato stringenti misure di protezione (maschere, tute, occhiali, filtri, guanti, ecc.) e hanno messo in atto vari test comprendenti esami delle urine e dei tamponi nasali, con l’invio di questo materiale in Usa, per controlli presso il centro medico di Baltimora. Nonostante che l’Anavafaf abbia numerose volte sollecitato in passato le autorità italiane e in particolare il Ministero degli Esteri, ad accertarsi della presenza o meno (in Somalia) di armi all’uranio impoverito. La richiesta è stata avanzata anche all’Ambasciata Usa di Roma (che ha dichiarato di non essere competente in materia!). In merito non risulta sia stato fatto alcunché per sapere se i nostri militari in Somalia erano a conoscenza del fatto che avrebbero dovuto adottare le stesse misure di protezione in vigore per i reparti Usa. In proposito, il generale Carmine Fiore, in un’intervista a Famiglia Cristiana, ha dichiarato che non era stato informato dagli Usa delle misure da adottare in relazione ai rischi da uranio impoverito. Il tribunale di Firenze, nella sentenza del 17 dicembre 2008, ha condannato il Ministero della Difesa a risarcimenti per non aver adottato tempestivamente il principio di precauzione. Tra l’altro il nostro personale in Somalia, come del resto anche in Bosnia, è stato esposto a rischi da “fuoco amico”, rischi che ovviamente non conosceva. E’ da tener presente che nei Comandi interalleati è previsto lo scambio di informazioni tra partecipanti in merito a tutte le questioni ambientali. Per quanto riguarda gli Usa ciò risulta tra l’altro dal “Field Manual”. C’è da chiedersi, in conclusione, perché non è stata sollevata questa delicatissima questione in atti formali dello Stato Italiano. 27) MALFORMAZIONI ALLA NASCITA. RIGUARDA UOMINI E ANIMALI Non esistono, almeno a conoscenza dello scrivente, dei conteggi circa i casi di malformazione alla nascita, rischio che peraltro è chiaramente indicato nelle norme di protezione emanate dalla Kfor il 22 novembre 1999, a firma del colonnello Osvaldo Bizzarri. Non è neppure noto quali siano i criteri da adottare per le compensazioni dovute ai genitori (patologia genetica) e ai figli nati con malformazione, cioè a persone terze rispetto a quanto finora concepito. Il che nuovamente dimostra una grave incuria nei riguardi del nostro personale, specie quello maggiormente colpito da sciagure. Così come non sono state prese in considerazione le patologie genetiche, non sono stati presi in considerazione neppure le patologie neurologiche come la SLA (e in particolare il morbo di Goering), ma escludendo forme tumorali. 74 28) DESTINAZIONI FISSE - COMPLETAMENTE DIMENTICATE IN TUTTI GLI STUDI E NELLE STATISTICHE A proposito di personale esposto a rischi di contaminazione, occorre osservare che tra il personale preso in considerazione è solo quello che si è trovato “in missione” . Si tratta, come noto, di personale che viene impiegato in un teatro solo per un periodo determinato e limitato e tra l’altro può contare su condizioni remunerative particolarmente favorevoli (trattamento amministrativo di missione) ed anche condizioni risarcitive particolari, in quanto è titolare di un’assicurazione. E’ stato invece completamente dimenticato il personale in “destinazione fissa”, cioè il personale che non percepisce quegli extra sopra citati. Inoltre mentre il personale in missione si trova, come sopra accennato, in questo impiego solo per una durata limitata, il personale in destinazione fissa vi si trova per durate normalmente molto maggiori. Ad esempio un militare può essere inviato in missione in poligono magari per la durata di 3 settimane, mentre il personale “in destinazione fissa” nel poligono vi può restare per anni. E quindi ha una probabilità di esposizione ai rischi molto superiore. Vi è stata una grande superficialità, unita probabilmente a insufficiente conoscenza della vita militare nel trascurare l’esistenza del personale in destinazione fissa. I conteggi finora fatti vanno opportunamente rivisti. 29) MANCANO NOTIZIE SUI CIVILI IMPIEGATI IN AREE A RISCHIO Il discorso sulle vittime sembra riguardare in misura prevalente i militari. Poco si conosce circa il conteggio delle vittime civili e dei risarcimenti per esse stabiliti. Abbiamo infatti scarse conoscenze su quanti siano i civili che si sono ammalati e quelli che sono morti. Ed anche quei civili a cui siano nati dei figli con malformazioni. Non si sa se esista neppure un organismo statale nel quale confluiscano i dati relativi ai vari “tipi” di civili che si trovano esposti a rischi (civili delle Onlus, civili appartenenti alla Presidenza del Consiglio, Protezione Civile, Servizi Segreti), civili appartenenti a vari Ministeri). Forse questo organismo potrebbe ravvisarsi nella Presidenza del Consiglio a cui fanno capo numerosissimi organi istituzionali che hanno partecipato con loro personale ad operazioni che si sono svolte in zone a rischio. 30) CONTEGGIO DI MORTI E MALATI – ELASTICO COME LA PELLE DEI TAMBURI Le cifre che sono state fornite, per quanto riguarda casi di malattia e di morte in ambito militare, sono state grandemente oscillanti sicché adesso non si può nemmeno 75 esprimere delle valutazioni fondate sull’entità del fenomeno. Per quanto riguarda i casi verificatisi si oscilla tra i 312 resi noti nel 2007 dal ministro pro-tempore della Difesa on. Arturo Parisi e i ben 2536 casi di cui si è fatta menzione in un rapporto non ufficiale inviato alla Commissione Senatoriale nel 2007 e anche gli oltre mille casi fatti recentemente presenti dal Gen. Tontoli, nell’audizione presso la Commissione Senatoriale. 31) STRUMENTI DI RILEVAZIONE - MICROSCOPIO ELETTRONICO E’ noto che alcuni strumenti di “rilevazione”, come l’intensimetro RA 141 B, sono risultati del tutto insufficienti per quanto riguarda le esigenze di localizzazione di armi all’uranio impoverito, tanto che non hanno rilevato la presenza di 10 mila proiettili all’uranio impoverito gettati nel territorio bosniaco. C’è da osservare che la insufficiente capacità di localizzazione avrebbe potuto essere stata individuata ben prima dell’impiego. Purtroppo non ce ne siamo accorti altroché la comunicazione della Nato. Il Ministro della Difesa pro-tempore on. Mattarella dichiarò che non era stato usato uranio in Bosnia. Tale mancata localizzazione ha comportato, tra l’altro, la convinzione della non esistenza di pericoli in Bosnia e quindi la non adozione di adeguate misure di protezione. Non è nota la rispondenza o meno alle esigenze di altre apparecchiature. E’ da notare però che uno strumento che sembra necessario per la localizzazione delle cosiddette “nanoparticelle” di metalli pesanti, e precisamente il microscopio elettronico, non è stato utilizzato da strutture militari come il Celio, almeno a quanto a conoscenza dello scrivente sembra sia stato affidato solo a enti privati come la Nanodiagnostic di Modena. Non si è mai avuta una risposta al perché, se tale strumento è necessario non sia stato messo a disposizione delle strutture sanitarie militari. Vedi in particolare a Roma il Policlinico del Celio, è da tener presente l’importanza delle suddette valutazioni anche per quanto riguarda i compiti in ambito di determinazioni risarcitive affidate al Comitato di Verifica. 32) RADIAZIONI ALFA – UN TABU’ PARLARNE? Il pericolo maggiore presentato dalle armi all’uranio riguarda, come noto, le particelle “alfa”. E’ dunque una questione che avrebbe richiesto una particolare attenzione, chiedendo anche l’apporto delle più alte autorità italiane che si occupano istituzionalmente di Fisica Nucleare. Ma, a quanto a conoscenza dello scrivente, non risultano siano stati eseguiti degli specifici studi (non è noto peraltro se tali studi sono stati effettuati in relazione al citato progetto Signum). 76 33) LINGUAGGIO NORMATIVO IN STILE BORBONICO Per quanto comporta i risarcimenti previsti dalle normative, il linguaggio usato in queste normative sembra ispirarsi ad una mentalità borbonica. Si parla infatti di “concessioni” (da parte ovviamente delle “sovrane istituzioni”), di “speciali elargizioni”, di “benefici”, di “provvidenze” e simili. Mentre in realtà si tratta di compensazioni spettanti per diritto al personale infortunato. Una revisione di tale linguaggio più consona a una Repubblica democratica, dovrebbe essere al più presto intrapresa. 34) VACCINI - VERIFICHE DA EFFETTUARSI SULLA NATURA DEI VACCINI E SULLE MODALITÀ DI SOMMINISTRAZIONE Alcuni vaccini sono risultati non affidabili (vedi il caso del vaccino Neotyf). C’è da chiedersi quali controlli siano stati effettuati sulla non pericolosità dei vaccini da parte del Ministero della Sanità. Risulta da quanto hanno riferito vari reduci, che la somministrazione dei vaccini sia stata eseguita a volte in modo scorretto con eccessive sovrapposizioni. Ciò sembra anche risultare da quanto ha affermato il Prof. Nobile nella citata audizione alla Commissione Senatoriale. Non si è ad oggi saputo quali siano stati i risultati di eventuali controlli e verifiche effettuate. Circa l’affermazione fatta da alcuni che i vaccini e non l’uranio impoverito (o altre cause) abbiano determinato il gran numero di vittime che si è verificato in Italia, questa affermazione è priva di senso perché non solo tra militari e civili italiani si sono manifestati casi di malattia e di morte, ma casi di malattia e di morte si sono verificati anche tra il personale di altri paesi. E certamente tale personale non è stato vaccinato con i nostri vaccini e ancor meno da “medici italiani”. La questione riguarda comunque, in maniera comunque enormemente superiore dal punto di vista numerico, i civili abitanti in altri paesi come quelli dell’area balcanica, la Somalia, l’Iraq. Anche a questo proposito, ovviamente, nessun medico italiano ha somministrato ai milioni di civili in questi paesi i vaccini in uso in Italia! 35) LA DISPERSIONE DELLE “NANOPARTICELLE”: QUALI MISURE DI PROTEZIONE ADOTTARE La Legge Finanziaria 2008 (art. 2 commi 78 e 79) ha indicato che il personale esposto alla dispersione delle nanoparticelle dei metalli pesanti è a rischio e quindi sono da prevedersi risarcimenti in caso di malattia. La dispersione di nanoparticelle di metalli pesanti può aver luogo sia nei teatri operativi all’estero in cui si svolgono le missioni di pace, ma ovviamente anche nei teatri operativi italiani, come possono essere i 77 poligoni. Anzi, in questi luoghi possono manifestarsi proprio le più alte concentrazioni di nanoparticelle. In proposito occorre chiarire se e quali misure di protezione debbano essere adottate in presenza di nanoparticelle di metalli pesanti di cui sono fatti i proiettili di tipo convenzionale. Lo scrivente non crede che nelle normali operazioni di pace, laddove eventualmente si spari con proiettili convenzionali, occorrano misure di protezione speciali. Nemmeno in tutte le guerre del passato sono state impiegate. Il rischio delle nanoparticelle, un rischio legato alla tossicità chimica dei metalli pesanti, può richiedere misure di protezione particolari probabilmente laddove si verificano fortissime concentrazioni di fuoco. Mentre, per quanto concerne le particelle dell’uranio impoverito, queste presentano non solo una tossicità chimica, ma inoltre una tossicità “radiologica”, ed è questa che è ovviamente la più pericolosa per quanto riguarda l’insorgere di malattie come i tumori. La legge non specifica se esista un legame di certezza nel nesso causale tra nanoparticelle e tumori. Circa le dimensioni di ciò che può considerarsi come una nanoparticella, sono sorte numerose discussioni anche perché le nanoparticelle finora riscontrate in alcune analisi sono di dimensioni assai superiori rispetto a quelle indicate dalle normative (Legge Finanziaria 2008 e regolamenti applicativi ). 36) IL FUOCO AMICO DA ARMI ALL’URANIO - UN CONCETTO SU CUI SI TACE Finora nelle operazioni di guerra e di guerriglia che si sviluppano nelle missioni di pace, si è parlato di vittime per ferite e lesioni da fuoco nemico. Ma con l’introduzione alle armi all’uranio, si è verificato che vi sono vittime che dipendono anche da fuoco amico, un rischio di cui non sono stati edotti i militari (e civili) che hanno partecipato alle operazioni dove sono state impiegate armi all’uranio impoverito, le quali, appunto, creando delle nanoparticelle, possono colpire l’organismo umano anche se questo non è stato “toccato” da un proiettile. Lo stesso, in qualche modo accade, se si accetta che vi siano anche rischi da nanoparticelle di metalli pesanti convenzionali. Ma, mentre le particelle di uranio impoverito presentano sia un rischio chimico che un rischio fisico (in particolare di radiazioni), le nanoparticelle di metalli pesanti presentano solo un rischio chimico. Comunque si tratta di una problematica che necessita di un notevole approfondimento anche per i riflessi che ha sui risarcimenti ed anche sulle definizioni giuridiche relative ai rischi. Per quanto riguarda i risarcimenti in situazioni belliche si può pensare ai trattamenti riservati alle vedove di guerra e agli orfani di guerra, vedove di caduti sul campo perché colpiti direttamente da proiettili di fuoco nemico, mentre in relazione a quanto sopra precisato si introduce ora anche il 78 caso di morte per inalazione o ingestione di nanoparticelle che possono essere prodotte anche da fuoco amico. 37) LEGAME CAUSA-EFFETTO – INSUFFICIENTE CHIAREZZA NELLE DEFINIZIONI La questione riguarda sostanzialmente il fatto se con la dizione “nesso di causa-effetto” si voglia indicare un legame di certezza o soltanto un legame di probabilità. Secondo il Comitato di Verifica, almeno a quanto sembra allo scrivente, per concedere una causa di servizio occorre che il legame causa-effetto sia un legame di certezza, quindi i risarcimenti vengono ad essere condizionati dall’esistenza o meno di un legame di certezza. Ma, specie per quanto riguarda i tumori, il legame causa-effetto non può che essere caratterizzato come legame di probabilità e si è verificato che in occasione di cause civili i tribunali abbiano riconosciuto la doverosità di risarcimenti (e di entità ben superiore a quelli concessi dall’Amministrazione) nel presupposto che il legame sia semplicemente un legame di “apprezzabile probabilità”. Vi sono dunque delle fondamentali diversità di valutazione in questa materia tra l’ambito amministrativo militare e l’ambito della giustizia civile. Occorre svolgere un’approfondita analisi in materia per ovviare alle grandi esistenze esistenti. Quanto al nesso di certezza che sembra caratterizzarsi come necessario per il conferimento della “causa di servizio” nelle valutazioni del Comitato di Verifica, vi è però da osservare che è stata concessa la causa di servizio in casi di tumore per la supposta esistenza di una condizione di “stress”. Ma l’esistenza di una condizione di stress non può certo essere considerata come caratterizzata da un legame di certezza per l’insorgere di tumori. Occorrono quindi dei chiarimenti in merito anche per evitare del tutto ingiustificate diversità di trattamento. C’è a chi si nega la “causa di servizio” perché manca la “certezza” nel legame e anche a chi si conferisce la “causa di servizio” pur mancando la “certezza” nel legame. 38) STUDI EPIDEMIOLOGICI – MANCANO SPESSO LE BASI PER CONSIDERARLI TALI Si parla spesso, a proposito e sproposito di studi epidemiologici, ma sembra ci si dimentichi che per attribuire la qualifica di “epidemiologico” ad uno studio occorre rispettare un rilevante numero di parametri. Ad esempio neppure gli studi che pur sono stati chiamati da alcuni come “epidemiologici”, quelli eseguiti dalla Commissione 79 Mandelli, hanno titoli per essere considerati come epidemiologici, ma sono da considerarsi solo come dei semplici “studi statistici”. A prescindere, comunque, dai suddetti parametri, per quanto riguarda i tumori esiste un problema a monte e cioè che in tutta Italia esistono presso le strutture pubbliche, meno di venti “Registri dei Tumori” e tra l’altro questi Registri esistono prevalentemente nel nord d’Italia (ma il nostro esercito è un “esercito del sud”!). Inoltre non esistono registri militari dei tumori. Ed ancore è da considerare che i registri di tumori presso le strutture pubbliche riguardano persone la cui età va da 1 anno a 100 anni, mentre il personale militare impiegato nelle varie operazioni, ha un’età prevalentemente compresa tra i 20 e i 50 anni. Inoltre il personale ammalato di tumore non necessariamente si rivolge a strutture pubbliche, ma spesso invece si rivolge a strutture private. Dunque parlare di studi epidemiologici riferiti soprattutto a casi di tumore, sembra alquanto superficiale. In merito si richiede dunque una specifica e attenta valutazione relativa alle situazioni per le quali si intende fare degli studi epidemiologici. 80