RICERCHE
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STORICHE
Rivista di storia della Resistenza reggiana
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REGGIO EMILIA
Istituto per la Storia della Resistenza e della Guerra di Liberazione
1974
RICERCHE
STORICHE
Rivista
quadrimestrale
dell'Istituto
per la storia della Resistenza
e della guerra di Liberazione
in provincia di Reggio Emilia
ANNO VIII
N. 22 LUGLIO 1974
SOMMARIO
VITTORIO PEWZZI
J.I clamoroso coIpo di mano alla
U!N.U.<CJ. .
Direttore Responsabile
Giannino Degani
Comitato di Redazione
Renzo Barazzoni, Ettore Borghi,
Carlo Galeotti, Sergio Morini,
Vittorio Franzoni
Segretario
Guerrino Franzini
Amministratore
Bruno Caprari
DIREZIONE, REDAZIONE,
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Istituto per la Storia della Resistenza
e della guerra di Liberazione
in provincia di Reggio Emilia
Registrazione presso il Tribunale di
Reggio E. n. 20 i,n data 18 marzo 1967
3
GIANNINO DEGANI
Fermenti antisocialisti ne,I reggiano dopo la vittoria del 4 novembre
19
1'918
Comitato di Direzione
Dino Felisetti, Stefano Del Bue
Aldo Magnani,
Mons. Prospero Simonelli,
Gismondo Veroni
pago
FRANCESCO HELLE.NTANI
'Prampolini e Matteotti 50 anni fa
25
GIANNINO DEGANI
Le violenz,e fasciste in provincia
di Reggio Emilia (VH) .
31
ANATOLlJ TARASOV
Sui monti d'Italia (II) .
41
DOCUMENTI E TESTIMONIANZE
Lo sciopero del 1° maggio 1944
alla« Lombardini" (di Giannetta
Magnanini) .
71
Documenti inediti sUilla rappresag,lia del 3.0 gennaio 19~4 .
75
Due incontri con Mons. Tesauri
(di Aldo Magnani) .
81
ATTI E ATTIVITA' DELL'ISTITUTO
L'Assemblea del 2'5 maggio 1974
87
RECENSIONI
Aldo Ferretti Le forze popolari nel
Risorgimento e nella Resistenza a
Reggio Emilia (Vittorio Pellizzi);
Leda lotti La politica del fascismo
nelle istituzioni culturali e nella
scuola (Rolando Cavandoli); Lettere di Giacomo Ulivi (Antonio
Zambanelli);
Vivai do
Lazzaretti
Libertà . .. Noi siamo i partigiani!
(Guerrino Franzini); Carlo Galeotti Don Pasquino Borghi Medaglia
d'oro (Vittorio Franzoni); Paolo
Nicolai I sette fratelli Cervi (Guerrino Franzini).
91
Dopo trent'anni
IL CLAMOROSO COLPO DI MANO ALL'D.N.D.C.!.
Il mese di aprile del 1944 aveva segnato per l'attività operativa del C.L.N.
provinciale un periodo di intenso lavoro rivolto al perfezionamento dell'efficienza
di direzione politica della Lotta; all'azione di propaganda e a quella per conseguire provviste di armamenti e di mezzi logistici e finanziarii; al coordinamento dei
già sorti o nascenti C.L.N. perferici; alla creazione delle basi per una valida rete
di collegamenti diretta a rendere possibile anche un certo controllo dell' attività
dei Gruppi armati che agivano in Pianura e delle Forze partigiane che già operavano
abbastanza organicamente in Montagna (1), tutti in difficilissime condizioni; alla
istituzione del Servizio Informazioni Partigiane (S.I.P.), affidato alle cure di Carlo
Calvi, Mariani, che da qualche settimana aveva aderito al Movimento (2); infine
(1) Solamente il 15 marzo era avvenruto il primo scontro ,rilevante fra le forze della Resistenza ,e quelle nazifasois1:e. A Cerré Sologno, infatti, [orma:doni partigiane (in parte modenesi
e in parte il'eggiJane) avevano drmamenl'e combattuto e sconHtto gB. avvers'arl dimostnando di
essere sostenute da una grande forza morale. Nel combatt1mento i nazifasdsti subirono ingenti
perdite. Ma anche le formamoni partigiane ebbero ben sette morti e undici feriti: fra questi
ultimi il vice-comandante Miro (Riccardo eooconi) e G1useppe Barbolini, comandante. Questi
due comandanti vennero nascostamente ricovemti nell'Ospedale da Marconi (che suJbl poi gravti
conseguenze per questo suo gesto), ove ebbero le prime cure. Poi fu neces'sario provvedere al
loro dirottamento in Pianura. La prima tappa fu natruraLmente la Canonica di S. Pellegrino, ove
sostarono poche ore. Provvide poi d'urgenza don SimoneHi con un autista di piazza (!), tale
Cantoni (cognato di Bro Bonazzi), a portare Miro all'Ospedale di Correggio dove fu accoJto
da don Neviani, già da tempo entrato nel Movimento, e dal dotto Bosi che provvide a più
accurate medicazioni e, con un rapido intervento, ad estrarre il proiettHe che gli si era conficcato
neRa Ispalla. Anche Barbolini venne sistemato presso una famiglia fidata, quella di tale Sarl'lcchi,
fl'lttorino del Banco S. Prospero, neJJa sua abitazione in via Boiardi. Lo accompagnò til giovane
Carlo Cooconcelli, staffetta fra le più animose. Vi 1'1mase per circa ,un mese, curato dal dotto
Giuseppe Chiesi e «alimentato» con viveri ahe gli portavano il Cooconcelli e il suo coetaneo
Domenico Pignagnoli, altro giovane da ricordare.
(2) Non potrà mai essere scritto adeguatl'lffiente per ricordare, come meritano, la f,igura
ohe Carlo Calvi impersonò e l'opera ahe egli svolse nella Lotta. Di famiglia patrizia, funzionario
dell'Ispettorato dell'Agricoltura, padr,e (.allora) di ben sei fLgli e in attesa che la sua consorte
gli donasse il settimo, questo valoroso non esitò a geHarsi nella misohia, prur consapevole dei
1.11schi.e delle responsl'lbilità che assumeva, travolto da'll'amore per [a libertà che, insofferente
della oppressione fascis,ta, aveva sempre coltivato. Parve a Calvi che il partito più affine ai suoi
sentimenti - si badi, non alle sue ideologie - fosse quello della D.C., onde come aderente
a questa si presentò ad offrire aMa Lotta ii suo contributo. Fu bvarvissimo nell'assolvere i delicati
compiti affidatigli dal C.L.N., riservato e audace ad un tempo, anche se gli nocque i'inespel'Lenza del metodo clandestino, che invece era elemento condizionante di ogni attÌ\"ità. La vicenda
del suo arresto, della sua condanna e delle 'sue 'sofferen21e è appena accennata nella Nota 15 alla
quale il Lettore viene rimandato. Ma qui sembra doveroso xicordare che, a mezzo di 000' figlio
quattordicenne Alessandro ahe aveva dI permesso di visitarlo in carcere, riusd a fare uscire
da S. Tommaso un messaggio3Jbilmente nascos,to: con es,so Mariani avvertiva i compagni
di lotta ohe già si erano allontanati, di rimanere in luoghi sicuri, e queHi che ancora non si
erano eclissaci, di farlo subito tperahè qualcuno. non res,wtendo alle atroci tortrure, aveva riv.elato
4
alla preparazione di alcuni schemi politici contingenti che avrebbero dovuto condizionare l'azione organica di tutte le forze della resistenza che agivano nella nostra
provincia.
Il C.LN., rispetto a quella che si era formata all'atto della sua fondazione « ufficiale» il 28 settembre 1943, aveva parzialmente modificato la propria
composizione. Allora i partecipanti o componenti erano stati: Campioli per il P.c.I.,
don Simonelli e Marconi, (3) per la corrente cattolica; Simonini e Lari per il P.S.
I.V.P. e Pellizzi per il P. d'A. (4). Ma, subito dopo, il partito socialista decise
di sostituire con l'ing. Camillo Ferrari, Bianchi, (5) i proprii iniziali rappresentanti
nomi e funzioni di alcuni che sapeva o sperava s~uggiti all'arresto nella convinzione che si trovassero ormai lontani o nascosti. Ciò egli stesso, dopo la Liberazione, riferì con agghiaccianti
particolari all'A. di questo scritto e viene anche narrato da «Dona'to» (Luca Pallai) a pago 223
del suo volume Le Fiamme Verdi.
(3) Di Campioli e di don Simonelli, il primo purtroppo scomparso più di tre anni addietro, non sembra siano da fare postille esplicative o biografiche. Ess,i furono infatti, sia pure
in maniera e con angolazione diverse, 10 si può affermare senz'ombra di dubbio, due colonne
portanti del C.L.N. provinciale nella sua pr,ima struttura, durata quindici mesi. Si deve invero
alle doti di equilibrio, di 1ealtà e di franchezza del primo ed alla saggia temperanza e alla
pazienza del secondo se poterono essere superate, sia pure anche con operazioni non indolori,
le oause di attrito o addirittura di contrasto che sorgevano ad ogni passo. Guai se i due, specialmente nei pr1mi ,tempi, avessero avuto un temperamento rigido o angoloso o fossero stati privi
di una ,autorità ragguardevole, il primo sul partito comunista locale, cui apparteneva, e il secondo
sulla conrente cattolica (tout court) che na:ppresentava. Invece, un po' per la nacura conciliante
di entrambi, un po' per 1'amicizia che subito sorse fra loro e per il rispetto - non acquiescenza - ohe ciascuno osservava per le idee dell'altro, non occorse quasi mai la funzione mediatrice di Fossa, che fu invece necessaria per ,altri e in tempi successivi. Si può aHermare cihe
Marzi e Reggiani non si possono ricordare senza associare al loro nome la visione «f,isica» del
C.L.N. e l'interpretazione politica delle decisioni e delle prese di posizione da esso adottate,
e come queste apparisoano pure oggi, anche in pu:ospettiva trentennale, quasi sempre giuste e
come le più idonee a linterpretare la situazione globale pruitica della nostra provincia ed a fronteggiare i casi sempre mutevoli, nuovi e difficili che si presentavano.
Di Marconi, anohe lui scompatso poco più di lill 'anno fa, è solo da ripetere quanto l'A.
di questo s,critto ha sempre affermato e cioè che, prur legatissimo all'ambiente clericale meno aperto
al mondo di novità che la Lotta aveva inimato a determinare, si rivelò decisissimo neLLa Resistenza, generoso nella carità oristiana ed UilIlana e comprensivo di coloro èhe egli - non senza
un po' di alterigia - stimaV'a «erranti per colpa d'altri o perché non' sapevano quello che
facevano ».
'.
(4) Conviene, solo perché ne viene afferta l'oocasione, ricordare in qual'modo, nella:
riunìone costi,tutiva, si procedette alla aSlsegnazione dei nomi di «battaglia» ai membri del
C.L.N., esigen2Ja che tutti sentivano. Fu allora deciso di adottare il criterio di assegnare cognomi
e non nomi proprii - come usavano fare soprattutto i comunisti - per non crerure condiusioni o duplicati. E Pellizzi fu pregato di farvi luogo,
Questi cercò un elenco telefonico; ma l'ospite non era abbonato. Allora ripiegò alla consultazione di un libretto che per caso aveva in vasca nel quale erano segnati ci cognomi di alcuni
contadini di poderi ohe gli erano stati affidati in 9Jmministrazione da suoi clienti iombardi. Così,
lesse: Reggiani, mezzadro di un podere di proprietà Preisig sito in Gavasseto, e fu assegnato
a don Simonelli; Franceschini, mezzadro di run podere attiguo al precedente, e fu dato a Marconi;
Marzi, mezzadro di un podere sito in Gavassa di proprietà CO'lombo, e lo ebbe Campioli; Lari e
Pellizzi .aV'evano scelto in precedenza: il primo Ariosto eH secondo Fossa, quest'cltimo in relazione ,ad una lontana discendenza materna dalla famiglia FO'ssa. E' quindi frutto di fantasia da
par,te di suoi agiografi ohe Marconi avesse adottato il nome Franceschini a ricordo di quel Garlò
Franceschini, nativo di Burano di Castelnovomonti che, in occasione del famoso processo Che
si svolse davanti al Trrbunale statario straordinll!rio di Rubiera contro i carbonati, fu condannato ad alcuni anni di teclusione, pena per:a1tro pQiCO dopo tramutata !in libertà vigilata dal d:tca
F,rancesco IV. Il che pemruse al Franceschini di fuggire in Francia ove rimase in esilio volontario.
(5) Col nome di battagLia Bianchi l'ing. Camillo Ferrari, all',atto in cui assunse nel C.LN.
il rpos'to ,di Simonini e Lari, ne risultò il decano. Nonostante avesse superato il 56° runno, mostrava una V1ital~tà, una energia e una volontà di 10tta almeno pari a quelle di un i;'ioV'ane.Queste
5
che, come è noto, avevano espresso opinioni non conformi all'indirizzo adottato dai
loro dirigenti centrali sul modo come condurre la Lotta. Verso la metà del febbraio
1944 poi don Simonelli, ritenuto giunto il momento in cui sarebbe stato opportuno
(forse anche in osservanza a suggerimenti prudenziali della Curia) che la corrente
cattolica avesse in seno al C.L.N. un rappresentante qualificato della D.C. - la
quale frattanto aveva cominciato ad abbozzare una organizzazione politica anche
nella nostra provincia - segnalò per tale incarico il nome dell'ing. Domenico
Piani (6). Egli rimase tuttavia a far parte del C.L.N. svolgendo in seno ad esso una
funzione preziosa di saggio ed equilibrato stimolatore e ad un tempo mantenendo
utili e riservati rapporti con la Curia (7).
Altra modifica, solo apparentemente formale ma in realtà strutturale e funzionale del C.L.N., era stata adottata nel gennaio 1944 in una riunione alla quale
parteciparono Marzi, Reggiani, Fossa e Barra (per i socialisti) nell'abitazione dell'avv. Grandi (allora aderente al P. d'A.) in Corso Garibaldi, quando esso prese in
esame il problema della nomina di un presidente, designando Fossa a tale incarico.
Senonché questi espresse l'opinione che sarebbe stato preferibile che tutti i componenti dell'Organo dirigente della Lotta avessero e conservassero fino alla fine eguale
autorità e responsabilità e ribadì che le decisioni fossero adottate soltanto se avessero raccolto l'unanimità dei consensi da parte dei rappresentanti dei quattro partiti
sue doti e l'entusiasmo che lo animava in ogni iniziativa fecero di lui un combattente prezioso.
InutHe ricordare che la sua casa di campagna a S. Pellegrino divenne un centro di incontri
clandestini ed anche di riunioni del C.L.N. dei più importanti perché la sua famiglia collaborò con
esemplare disorezione all'attività del suo capo. Bianchi vennenalvolta sostituito da Gino Prandi,
quando doveva assentarsi dalla sede, e con ,Lui ebbe una colhborazione amichevole e fraterna.
Individuato come membro del C.LN. provinciale nel dicembre 1944, dovette allontanarsli, ma
non per questo diminuì 1a sua attività a favore della causa deJ1a ResIstenza. M',atto della Liberazione venne nominato P,residente della Provincia.
(6) Anche l'ing. Piani, quando don Simonelli lo portò nello studio di Fossa per presentarglielo, 'chiese a questi di assegnargli un nome di battaglia e Fossa, seguendo la procedura
adottata in precedenza, gli assegnò quello di Fontana che era uno dei mezzadri in un podere
di Massenzatico dipropl1ietà Langé.
Fontana fu un indimenticabile dir1gente della Resistenza reggiana: rappresentante del
partito della D.C. in seno al C.L.N. provinciale, animoso ed anche impulslivo, secondo il suo
temperamento romagnolo, Piani fu un compagno di lovta un po' difificHe, ma esemplare per Ja
correttezza e per <la lealtà del suo carattere, e sopraUutto per la grande apertura politica e
sociale del suo' spirito e per .jJ coraggio con il qua}e assumeva responsabilità anche pesanti nelle
iniziative di condotta della Lotta .. Nel dicembre 1944, aE'atto della scoperta e individuazione dei
maggiori dirigenti provinciali, anch'egli dovette abbandonare -il suo posto di combattimento.
(7) Anche Fossa ebbe in quel periodo qualohe riservato e talora clandestino contatto
col Vescovo mons. Eduardo Brettoni, di ooi ben conosceva da tempo i sentimenti non fascis,ti.
Tali contatti venivano ,facilitati o promossi da mons. Tondelli, runo dei prelati reggi ani più :dgorosi e coerenti nell'intransigenza antifascista. E' qui da ricordare ClueHo ooe ebbe luogo poco
dopo la fucilazione di don P:.squino Borghi (30 gennaio 1944), un incontro veramente commovente fra ,i due e che si svolse nella Biblioteca capitolare. In quell'occasione [l Presu.]e, ancora
visibilmente turbato dal grande dolore e dallo sdegno che aveva provato per la tragica fine di
quell'eroico :prete e per le implicazioni relative, ,accennò anche con l'~b1tuale tatto aHa opportunitàohe i sacerdoti, pur partecipando attivamentealla Resistenza, soprattutto - disse - « con
opere di carità cristiana », si esponessero meno pubblicamente o a.]meno assumessero meno «vistosi p~sti di comando nella Lotta, la quale fatalmente - così si espresse - si sarebbe -sempre più
inasprita, determinando un inevltiJJbile conflitto di coscienza in 'Chi, vestendo l'abito talare,
assumeva piena se pur indiretta responsabHità di azioni 'Che la Chiesa, pur consapevole dello
stato di necessItà che ne imponeva l'adozione, tuttavia non poteva non condannare. Fossa intese
ohe il discorso fosse aHus,ivo alla presenza di don Simonelli e di don Cocconcelli nel C.LN.
e non fu .quindi colto di sorpresa quando il 'primo propose la sua sostituzione con Piani.
6
\0 ,ottoscrìtto
: dichimo di oderìre
inr,"H"lclHe>tv'tfnIT1,mr",
Doc. 1 . Scheda di «adesione» di Ettore Barchi
partecipanti. La duplice obbiezione fu accolta: Fossa venne allora nominato primus
inter pares con lo scopo di dare al Comitato una struttura organica che ne facilitasse
il funzionamento e fu inoltre confermato il metodo della unanimità dei consensi
per rendere esecutive e operative le decisioni ,adottate. Non può sfuggire specialmente ora, cioè in prospettiva storica, il valore squisitamente politico di questa duplice decisione che mise sempre in maggiore evidenza la esigenza, più che l'opportunità dell'unità sostanziale delle forze politiche che partecipavano alla Lotta e la
importanza chè a ciascuna di esse veniva attribuita indipendentemente dal peso numerico che es'sa aveva: esemplare atto di riconoscimento della forza delle idee
soprattutto quando proveniva da parte di chi professava ideologie materialistiche
e per di più stava già raggiungendo la maggioranza numerica dei partecipanti alla
Lotta, ma anche risultato di un consapevole, se pur sofferto senso di responsabilità,
che implicava anche rinuncie non di poco conto da parte di tutti (8).
(8) Con questa ,struttura il C.L.N. rimase fino alla fine di dicembre del 1944, quando ad
pr11TI1 di questo mese la polizia fascista scoperse, dopo ben quindici mesi di spregiludioata attività, j.1 Vertice dell'organizzazone della Resisten2la nel !l'eggiano. Ne fu'rono [ndividuati quasi
tutti i componenti, aLcuni rvennero 'arrestati, ahri scamparono alla cattura trasfel'endosi altrorve.
Ma vi furono anohe in quei 15 mesi deHe sostituzioni temporanee. Quel1a di Fossa con Virgilio
C9mparada, Sandra, dal 15 luglio al 20 agosto 1944, quando fu diffusa ~a 1ista di proscrizione
compRata dalla federazione fascista contenente l'elenco di una quindicina di persone che dervevano essere t4iminate ovunque si fossero trovate, con l'imputazione generica di antifascisti,
fra le qua1i ,era -anche Pellizzi; il ohe impose la misma prudenziale di un suo temporaneo allon-
7
Questo mese di aprile, come si è accennato in principio, fu dunque denso
di attività per il C.L.N. (9). Contatti erano stati già presi fin dal novembre con
gli Organi d'eguale livello di Parma e di Modena (10). A Bologna invece i contatti
col C.L.N. regionale, costituitosi nel febbraio e di cui era presidente Massenzio
Masia (11), cominciarono alla fine di quel mese e anche essi furono frequenti, intensi ed utili.
Fu appunto in un incontro di Rossini (12), esponente d~l P. d'A. e comantanamento. Infatti due giorni dopo, i! 17 ruglio, si presentarono alla casa <ili campagna di Pelldzzi
UIlla decina di fascisti armati fino ai denbi cercando di 1ui, e - in m8J~canza della p'reda ambita - si accontentarono di mangiare salume e pane ahbondantemente annaffiato da buon 1ambmsco. Altra sostituzione fu quella di Campioli per JJ periodo in cui f,iI inviato dal 000 partito ,a reggere la federazione comunista di Parma (giugno-settembte 1944). Lo sostitruì Aldo
Magnani col nome di 'battaglia Rossi. Tanto Sandra quanto Rossi rimasero poti membri etffetti~
del C.LN.anche dopo il rienuro di coloro che avervano 'sostituito. Camparada fu un caro amico
e compagno, che si fece ben volere e apprezzare per i! suo equilibrio e la crupacità ol'ganizzativa.
Individuato ai pl'imi di dicembre, si salvò passando le linee con un viaggio a>wentJuroso. Rientrò
a Reggio con Fossa ,alla 'sera del 24 ·aprile. Di Rossi è da dire che egli era l'un:ico membro
del C.L.N. di cui nessuno sapesse la vera identità (tranne Fossa, che ~o aveva conosciuto nclle
giornate del 'luglio 1943, e Marzi ohe era suo compagno di partito). Talché, quando avvenne
la ·scoperta dcll'Otganizzazione di Vertice, il suo nome fort'U:!lat8Jffiente non appaJ:!V1e mai. Gli
fu così possibile, con la tenacia, 1"abilità e hl comggio che non gli difettarono mai, iniziare e
cooollll're la difficile e delicata opera di ricudrora dell'Organismo provinciale. Di ciò gli lIJ3
dato merito precipuo, come del grande equmbrJo dhe d1mostrò specialmente in occasione della
soLuzione del .grave conflitto scoppiato nell'estate 1944 fra alcune componenti delle formazioni partigiane della Montagna, che fu composto soprattJutto per l'inruito, per la fermezza
e per ,la diplomazia con le quali condusse in porto l'operazione che sboccò con la costLtruzione del Comando Unico. Sono da ricordare al riguardo due memorabili r1unioni del C.L.N., UIlla
a S. Bartolomeo in casa del dotto Bezzi e una a Rivalta in casa Castagnetti, nelle quali :il C.L.N.
esami:nòa ·fondoi! problema e ne decise la soluzione affidando a Rossi, a Mariani, Fran'Cbi,
Martini e Pellegrini di recarsi in toeo perdarrvi esecuzione: oper.azion~ ardua, che richiese
~
e confelJmò la felJmezza e la tenacia di Rossi.
(9) Basti ricordare che fra febbraio e aprile si ebbero inizia~ive per determinare astensioni collettive dal lavoro in alcune fabbriche - e fra queste le «Reggiane» e la «Lombardini» - in occasione delle prime delle quali si ebbe l'episodio culminante della sommossa popolare di Montecavolo(l marzo 1944). Tali iniziative vennero attuate col pieno consenso del C.L.N.,
che ne aveva trattato molto consapevolmente considerandone il pro e il contro quando Marzi,
per 11ncarico del suo partito, ne diede comunicazione all'Organo di.rigente della Lotta. Esse
richiesero un lungo e intenso lavoro di preparazione cospirativa al quale parteciparono numerosi
di1JLgenti comunisti che offrirono un esempio di alta maturità politica, e si concLusero (oltre
che con aa prevista cieca e feroce repressione fascista: vedi Montecavolo) con :il ras·trell8Jffiento
di ·armi e mun:izioni che, subito nascoste in loeo, furono poi, su indica2lione del C.L.N., trasportate con pericolose trasferte nella zona montana dove vennero srubito utilizzate ne'll'1mminente
conflitto di Cerré Sologno. Verso -la metà di aplJile, inoltre, cominciò h preparazione dello sciopero del l° maggio, che fu concentrato soprattutto aLla «Lombardini ». Esso venne proposto
al C.L.N. da Marzi e i! C.L.N. - ormai conscio del clamoroso effetto che aveva avuto la sommossa di Montecavolo - [O approvò unanime.
(lO) 'A Parma Marzi teneva contatti con Giacomo Ferrari, che successivamente di,venne
comandante delle formazioni partigiane parmensi col nome Arta, con ~'arvv. Costa ed altl'i membri della federazione comunista clandestina, nonché con Bacchi deIJa D.C., che faceva parte
del C.L.N. A Modena Fossa aveva collegamenti con Bellelli, comunista, con Bertelli, socialista,
con Nava e Srulvini del P. d'A. e con il D.C. Tacoli, tutti membri di quel C.L.N. prO\"indaJe. I
rapporti con Bologna erano tenuti .da Fontatla, da Marzi e da Fossa. Anche Martini si incontrava con Rossini per questioni di carattere militare (si veda anche la nota 12).
(11) Masia, col nome di battaglia White, si era già distinto nell'attività politica a Bologna dmante i quarantacinque giorni. Nominato presidente del C.L.N. Tegionale, ne fu fanimatore
e il tmscinatote. Scoperto, individuato e arrestato, venne fucilato il 23 s·ettembre 1944 al poHgono
di tiro di Bologna.
(12) Era fl nome di battaglia dell'avevo Mario Jacohia, nominato dal C!L.N. Tegionrule aiJJ.e
funzioni di comandante delle formazioni par,t1giane del Nord Emilia. Fu ,attivissimo e audace
8
dante delle Forze partIgIane del Nord' Emilia, avvenuto a fine aprile in casa di
Fossa a MontecavolD con la partecipazione di Marzi e di Martini (13), che lo stesso
Rossini espresse la preoccupazione suscitata negli ambienti· della Resistenza emilianadall'effettodeprimente che aveva avuto sul morale della popolazione il solenne
pubblico giuramentò prestatòil 23' marzo 1944 dagli ufficiali dell'esercito regio
presentatisi in numero rilevante in seguito all'ordine di servire l'esercito repubblichino: 'E aggiurtsethe, secondo notizie:trapelate da fonti solitamente informate, un
analogo provvedimento si stava predisponendo per ottenere il giuramento di fedeltà
alla repubblica di Salò da parte di tutti gli ufficiali in congedo, iscritti all'Unione
NazionaIe'Dfficiali in Congedo d'Italia (UNUCI).A questo proposito Rossini richiamò h\tteniione dei. suoi interlocutori sull'opportunità di svolgere, al momento
adatto, un'intensa opera di contropropaganda per invitare gli ufficiali in congedo
il trasgredire' l'brdine ch~ venisse ad essf impartito.
.
....
.
l presenti si dichiararono d'accordo; ma fecero presente che.la cerimonia che
era . svolta a Reggio . iIi. piazza della Vittoria era completamente fallita, per la
scars~part~cipazione di ufficialì disposti a giurare e per lo squallore dell'ambiente in
cuisiera svolta;' cioè presenti solo le cosiddette Autorità' con alla testa il capo della
provincia: S~\rorgnan, ilmagg. Frase conùndaIitetedesco della Piazza e i gerarchi
fascisti ddmomento. La popolazione era rimasta assòlutamente assente. Il Solco
fasCista del 24marzòfece una crònaca del tutto falsa della manifestazione che invece
av~va lascia,W grandissima amarezza nei pochi ufficiali (gabellati per 500!) che. 'si
erano presentati, quasi tutti dipendenti delle amministrazioni· dello Stato o comun·
que' ip:timoriti dalle 1l1iriacce di ritorsione che. erano loro state rivolte.
. ,
. SoIO.àipriini.di maggio fu pubblicata una circolare del gen. Mischi, capo di
S.M. di GraZiàrii, conIa qualesì disponeva che gli ufficiali in congedò delle« di<~sciolte .arm~te regie, che nqn . avessero. prestato giuramento di fedeltà alla R.S.!.,
« sarebbero incorsi nella perdita del grado e tenuti a seguire, come militari di trup«pa, le'soitidella propria classe di leva ». Tale circolare venne diffusa con grandi
titoli dafgiqrnali, con cOtnm~nti entusiastici e minaéciosLVennero anche affissi avvisi
figuraticbn ~logans'fascistie con vere e proprie intimidazioni contro gli eventuali
trasgress,ofi.L'UNUçI centrale dirà'mqqna cirçò1are ai Gruppi provinciali e quello
si
nello ,svolgimento dds'lio compito. Purtroppo, p'are in seguitò ad una spiata, venne arrestato
a Barma:Ìlelg~ugno 1944. Te'nutò'petoltredue settimane incompleto isolamento in un locaLe
interJ1ato 'di'un 'gtande 'edirficiopopoh:te deHa:p.etifeHa ave aveva sede il cainando della polizia
tedesca, ,J)u ttòvato in possesso di' molto materiale per lui, ma non :per altri, compromettente.
ReSiisltJette.j. mpas:sj,bile~ lrttnghl estelJJUanti interrogatorii e alle torture che li accompagnavano:
non fece nessun nome, negò ogni addebito. Pu:rttcJppo non riuscì a .salvarsi. Venne inv1ato· a
F0~soliej.parej laggiù ,tu ,fucilatI).. Nabilissima figlllTa. di militante per .la causa. della libertà.
(13 )Fuchiamato. col n01J:le, di. battaglia Martini l'allora capitano paracadutista in Sip,e.
(Ol:'a generale). Adriano Oliva, che avt;V~, dfiutato di s.ervite .le forze replibblichinee che perciò si
<òra druto aUa rrnacchia nel;rçggigno, dove sUf\;mogli<;,-:- TitaBertani -. aveva una viHa a S.
Pd)cegrino:.aderìs'll'biro"al Movimeptodi Libetazione,el · all'atto della s'qacosvituzione nel reg·
giallO, al P, d'A: Fu uno~ 'clei, primi e ftoaJ:più. audaci· ed esperti,arganizzatoridella lotta armata
e fece parve deI c Comitato· n;rilitare.e poididComando'PiazziI, di mi per qualohe tempo fu a
capo. Ru artestato.subitq. dopo.Zanti ilJOnovembre 19.44 e nel processo del gennaio 1945,
al.quale era,statoJJinviato, fu :l'unico dei nE)ve,imp'L(tati aS'501toper ins1J.ffidenzadi prove.
Usdto&cii'l'cere; .dopo un: ptril:no periodocli precauzionale riserbo, andò in Montagna, ove fu
aocolto da chi ne conosceva la rettitudine e la volontà combattiva con il più affeDtuoso caaneratismo~'Al Comahdo.·Umco; ..al qualevennè addetto; .ebbe mO'do di svolgere funzioni aHe quali
era particolarmente versato.
9
di Reggio (il cui capo gruppo responsabile era il ten.coL L.) inviò una lettera a
stampa a tutti gli iscritti, per avvertire gli ufficiali in congedo che erano tenuti
« a sottoscrivere l'unito modulo di adesione incondizionata alla Repubblica Sociale
« Italiana con l'impegno a prestare giuramento a servirla fedelmente come ufficiale
« nel suo Esercito e eli recapitarIo alla sede del Gruppo in via Emilia S. Stefano 5,
« entro le ore 18 di mercoledì 24 maggio, anniversario dell'entrata dell'Italia nella
«vittoriosa guerra 1915-18 ».
Appena a conoscenza delle disposizioni accennate, che anch'egli naturalmente
ricevette quale ufficiale in congedo, Fossa riuniì d'urgenza il CLN. La riunione
ebbe luogo il 9 maggio (lunedì) a Cadelboscosotto in località Madonnina nell'abitazione dell'affittuario Giuseppe Orlandini, vecchio combattente classe 1891, tuttora
vivente, memore e valido. Vi parteciparono anche Prandi (14) e Mariani) il primo in
sostituzione di Bianchi che in quei giorni si trovava a Roma, oltre ai membri effettivi.
Vi erano molti argomenti da trattare, come al solito. Tuttavia, data l'urgenza, fu
subito discussa la questione del giuramento degli ufficiali. Tutti furono concordi
sulla necessità di contrapporre alla propaganda fascista per il giuramento .una capillare ma incisiva opera di persuasione, pur riconoscendo che il tempo a disposizione
era ormai pochissimo (una quindicina di giorni) e. che le condizioni politiche e di
intensificata sorveglianza fascista lasciavano ben poco spazio alle iniziative del CLN.
Comunque, si decise per intanto di redigere un manifestino e di farlo stampare in un migliaio di esemplari, onde recapitarlo clandestinamente. Uno dei membri del CLN. si appartò un momento e scrisse la bozza per un volantino contenente un Appello agli ufficiali in congedo. Poco dopo il redattore lo lesse ai presenti che lo approvarono, salvo lievi modifiche. Eccone il testo; doc. n. 2:
UFFICIALI IN CONGEDO
L'D.N.D.C.r. di Reggio Emilia ha. di'ramato invito ai suoi soci di aderire alla cosiddetta R.S.I. mediante la 'sottosori2iione di una formula predisposta, con la minaccia di segnalare . natma1mente all' autorità dell'invasore tedesco i nominativi di colOTo me non abbiano
sottoscritto la ~ormola entro 11 24 COHente.
Il Comitato di Liberazione ha preso in esame detto invito, che giudica un estremo
tentativo di allargare. su un maggiore numero di persone, la tremenda.responsabilità che uncombe sui neo"fascisti per le attuali sci8!gure della Patria, ed ha ritenuto che la minaccia in
esso contenuta, togliendo ai singoli la possibilità di decidere liberamell'te, annulla ogni contenuto mor,rule; politico e giuridico delle eventuali adesioni;
Comunque da indagini svolte, con estrema precisione, l1isuha che la grande massa degli
uHidali in .congedo si asterrà dal dare la propria adesione e che, al . contrario, la locale sezione
dell'D.N.D.C.I. ha già predisposto .una statistica falsa da propinare al puhbEco.
Il. Comitato di Liberazione mette ,in guardia la popolazione su questa hassa mànoVTa
e, mentrè r1vendicail patriO'ttismo degli ufficiali in congedo che con noi sono pronti alla
(14) GinoPrandi, detto Barra, partecipò fra i primi alIaReslstenza armata. Socialista
di 'esrrazione reggiana, fu tra. quelli che aderirono foto corde alle direttive della Lotta decise
dal suo partito. E l'adeskme non fu data solo a p>1role. Sostituì Bianchi) quale membro del
C.L.N. dmante le assenze di ques'ti. Tutta }a sua attività pa'l'tigiana testimonia, oltre che la
sua ~ede, la decisione e la volontà di agire con sprezzo del pericolo e a rischio della vita
neminteresse del Movimento e per la causa per la quale combatteva. Buono e cordiale, Ba,rra
tu un indimentrcabile partigiano e dirigente pO'litico. Arrestato il 2 dicembre 1944, interrogato e
torturato, fu condannato a morte 1'8 gennaio 1945. Raccolse le ultime parole di Angelo Zanti,
poco 'Pl'imadella sua fucilazione. Si veda la nota 15.
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imrn1nente babtaglia dec1siva, 1'invita ancora una volta a non prestars:i al losco gioco dei nemici
della Patria ed a dimostrare i loro sentimenti e la loro volontà d'azione neHa lotta contro
l'itw,asore di dentro e di fuori.
IL COMITATO REGGIANO DI LIBERAZIONE
La stampa del manifestino non diede luogo a gravi problemi. Ne fu affidata l'esecuzione ad un tipografo ex-socialista, certo P. che aveva un piccolo stabilimento poco più che artigianale in via Amos Maramotti (ora via don Minzoni),
che il 26 luglio aveva rifiutato di eseguire la stampa del manifesto redatto da
Degani e Magnani per esprimere l'esultanza popolare per la fine del fascismo; ma
che, qualche tempo dopo, aveva fatto ampie e sincere dichiarazioni per deplorare
quel suo rifiuto dicendosi sempre pronto ad eseguire lavori clandestini per la Resi·
stenza. In quel tempo il C.L.N., per la stampa di circolari o di volantini, si serviva
di una « pedalina » rumorosissima e difettosa che era stata collocata nascostamente
dai comunisti nello scantinato di una casa colonica a Massenzatico; ma questa volta
si trattava di un lavoro urgentissimo e si convenne quindi di avvalersi, con tutti
i rischi relativi, della tipografia di P. Questi accettò l'incarico e in due ore di notte
fece personalmente composizione e stampa dei primi 500 esemplari. Gli altri 500 li
consegnò il giorno seguente.
La distribuzione fu affidata ai soliti giovanissimi fidati collaboratori (ragazzi
e ragazze), che già in altre occasioni avevano svolto un ottimo lavoro.
Tuttavia, due o tre giorni dopo, il capo Gruppo dell'UNUCI, con comunicati stampa e la federazione repubblichina, addirittura con manifesti affissi alle
cantonate, già annunciavano grandi vittorie: cioè l'avvenuta adesione di « migliaia»
di ufficiali in congedo ...
Allora, un po' per accertare la reale consistenza delle cifre conclamate, un
po' per avere elementi per eventuali provvedimenti, si riunirono a San Pellegrino
in casa dell'ing. Ferrari (che ancora si trovava a Roma, ma la cui abitazione era
sempre aperta per le riunioni clandestine) Barra) Marzi, Fontana e Fossa. Dopo un
breve esame della situazione, si decise che bisognava passare subito al contrattacco.
Ma in che modo?
Furono esaminate varie ipotesi. Infine prevalse quella di fare un vero e proprio colpo di màno possibilmente incruento alla sede dell'UNUCI, di impossessarsi
delle schede di adesione, di ridimensionare la vicenda, se era stata esagerata dalla
propaganda avversaria, e comunque di sbugiardare i fascisti dando altresÌ una lezione pubblica a quei pavidi che avevano sottoscritto per viltà il modulo di adesione.
Fontana fu entusiasta della soluzione adottata e chiese di essere incaricato di organizzare e dirigere il colpo di mano. Gli altri tre accolsero il suo desiderio, con la
raccomandazione di tenere continuamente informato Fossa dell'andamento della
progettazione ed organizzazione del colpo e del modo come sarebbe stato eseguito.
Si era già al 18 maggio; mancavano quindi soltanto sei giorni alla data di chiusura
della accettazione delle « adesioni ».
Fontana) che era uno degli ingegneri più apprezzati delle « Reggiane », in
seguito al bombardamento del 7-8 gennaio 1944 che aveva paralizzato quasi totalmente l'attività di quel grande complesso industriale, era semi disoccupato e poteva
quindi dedicare molto del suo tempo ,libero all'attività della Resistenza. Di più,
11
giudicando troppo pericolosa la località dove abitava, nei pressi delle Officine, perché esposta ad eventuali altri attacchi aerei, era riuscito a trovare, mercé l'interessamento di don CocconceHi (15), un alloggio di fortuna per sé, per la moglie e per i
suoi due bambini, in una casetta situata a Villa S. Pellegrino dietro alla villa Sani
(ora abbattuta), a due passi dalla Chiesa. Ciò gli aveva consentito di entrare agevolmente nel gruppo dei « congiurati» che facevano capo a quell'animoso sacerdote.
Ne parlè> la sera stessa con Pellegrini (15) e lo trovò prontissimo ad agire
(15) Don Angelo Cocconcelli è da considerare uno degli uomini più attiiVi animo:>i e
generosi della Reslsten:Zla reggiana. Nativo di Cavriago, che ,fu culla a molti antifaocisti di varia
estrazione politica e sociale, ebbe a godere in Seminwio l'in:>egnamento e il consiglio di IUn
educatore esemplare qua}e fu mons. Tesami. Pwroco di San Pellegrino nel 1941, dopo un servizio di cappellano degli aperai italiani in Germani'a che maturò Ja sua avvellsione al fasoismo,
attol'lloalJa .sua persona si andarono affollando numerosi giovani cattolici e non cattolici, S'tudenti e operai, che poi costituirono il primo nucleo di coraggiosi ooe, sotto [a sua guida, sJ
distinsero in tante farme dall'8 settembre 1943 a11a Uberazione. Il C.L.N. provinoiale, subito
dopo la sua costituzione ufficiale, conf.ermò don Cocconcelli nelle fun2lioni di cassiere (di qui il
nome di Cassiani), che già ,svolgeva per amioheV'o1e consenso dei promototi di queJl'Organismo
Ciò 10 mise automaticamente nell',amb1to dell'attività del C.L.N. e consenti a questo di avval'el1si del suo consiglio e della sua a2lione, .fimo a ohe le circostail12le furono tali da imporgli
di appartarsi (nell'aprile 1944, quandi i fascisti seppero che due feriti di Gerré Sotlogno erano
stati portati dall'Ospedale di Caste1novomontri alla canonica di S. PeRegrino), come poi accadde
ad altri dirigenti della Lotta, ormai identificati. Quando poi si presentarono i fascisti in canonica
per arrestarlo (l° novembre 1944), per evitare la cattura fuggi nei campi e, poco dopo, :ragglliunse le forma2lioni partigiane deHa Montagna.
Fra i giovani che attorniavano don Cocconcelli all'inizio della Lotta erano applUlllto fallora
maes,tro e studente universitario di Magistero Ettore Barchi, Pezzi, membro del C.L.N. cittaGino e poi valoroso comandante di una brigata SAP, poscia addottoratosi e quindi scomparso
pl'ecocemente una decina di anni addietro; e Luigi iFenrari, Pellegri,n'i, anch'egli allora universital'io ,e ora dottore in chimica, capo di 'suato maggiore del Comando Piazza fino a che, individuato come facenlle parte dell'organiZ2la2lione dirigente della Lotta as-sieme ad altri membri,
vennearvestato il 30 novembre 1944, sulbito dopo la cattum di Angelo Z'anti,' nello stesso
momento deR"avresto di Martini. Dopo pochi giorni fu'rono tratti in ar'l'esto a,nche Mariani e Banra.
Glia1tri 'duscirono ,a sottrarsi alla ca:ttuta aJlontanandos,i dalla residenza o r1fug1andosi in casa
di ,amici sicuri da dOV'e cOJJJtinuarono, fin verso la fine di dicembre, ad avere e mantenere
contatti ,fra di loro a mezzo di staJjfette fidate. GHarJ1estalli invece, e quindi anche Pellegri,ni,
vennero ,sottoposti a intevrogator,i ,e atroci sevizie e poi rinviati innanzi ad un T'riJbunaJe militare
repubbliohino e condannati alla pena di morte con sentenza 8 gennaio 1945. Sotltanto Martini
fu assolto per :insufficienza di prove. Zanti invece, come è noto, fu J'unico ad ess'ere fucilato.
Gli ,altri, con ;un complesso di vicende drammalliche e commOV'enti, furono salvati dalla morte.
AIl2li, ad eVÌitare che in Ioco potessero essere uccisi dagli stessi che li avevano in custodia, vennero trasferiti, per Ol'dine del Comando tedesco, al carcere di Parma. Di più, ahl'aVV'icinarsi
della Liberazione, s'empre temendo un atto disperato ohe mettesse fine ,tragicamente aHa iVicenda,
venne disposto il ,trasloco da Parma a Verona nel palazzo dell'INA, sede del Comando delle SS.
(Wo1fe Dolman), ove furono rinchius,i nel sotterraneo, dal quale uscirono il 25 aprile, dopo
cinque mesi di reclusione, di cui 'gH cltimi quauro soppattati con grande dignità e forza d'animo
e sorretti solo dalla speranza o dalla Fede. IJil.oro esempio va ricordato a quei giovani che 00!ll
sanno ooe cos'a fu la Resistenza e come e fino a qual punto si poss'a servire un ideale.
E' ,anche doveroso, giacché viene fOGcasione 'acconcia, segnalare ;l'opera coraggios'a S'volta
nella terrjJbile circostanza dfflla moglie di Cal'V1i, Teresa Teggia Droghi, aJlora già madre di sd
f1gH ,e in attesa del sett1mo. Ne accenna anche Eugenio Dolman, sia pure con imprecisioni,
nel suo Roma nazista, Longanesi ed. pago 325 e segg. Sal'ebbe quindi augurabile che di tutta la
Ill'agica vicenda (scoperta del Vertice della direzione clandestina della Lotta, individuazione e
ident1ficazione dei suoi componenti, arres,ti, istruttoria con relative violenze e torture, processo,
interventi a favore, riunione di Parma dei maggiori gerarohi nazifascisti del Nord Emilia, bcila2lionedi ZantJi, salvataggio degli altri) si facess'e un ampio studio oggettivo: esistono infatti molti
documenti (verbali di interrogatorio, mandaui di catbura motivati, sentenza dell'8 gennaio 1945,
verbale della riunione di Parma, verbale di fucilazione di Zanti) e sono ancora viventi alcuni
pn:otagomsni dir.etti o indiretti della gravissima vicenda. Perché i giov'ani non si crmentano in
questo bvoro?
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Doc. 2 - Appello agli ufficiali in congedo.
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IL COhUT/d'O RLGCL\i'-;O DI LHjEk.;\ZIONI:.
Doc. 3 - Avviso del C.L.N.
13
soprattutto perché si progettava un colpo che con ogni probabilità - se bene organizzato ed eseguito - si sarebbe potuto svolgere senza spargimento di sangue. Il
giorno seguente (e si era al 19 maggio) Pellegrini) d'accordo con Fontana) ne parlò a
Pezzi (15) e questi in strettissima confidenza ne accennò a Gismondo Veroni (16),
che allora era commissario del Comando Piazza. Pezzi fu entusiasta dell'idea e si
mise a disposizione: anche lui - tenente di complemento alla macchia - aveva ricevuto la circolare dell'UNUCI, alla quale naturalmente non aveva risposto. Ma,
come vedremo, quella circolare e il modulo di « adesione» ad essa allegato furono
uno strumento utilissimo e forse determinante per il successo dell'operazione.
Il giorno dopo (e si era al 20 maggio) Pellegrini) dopo aver riferito a
Fontana la piena disponibilità di Pezzi) fece comunicare a Fossa lo stato della preparazione dell'impresa. La comunicazione la portò Reggiani che andava spesso a
dormire a Montecavolo in casa di Fossa. Quest'ultimo ebbe la sensazione che le
cose si stessero mettendo bene, perché le persone scelte, che egli ben conosceva,
gli parevano idonee all'operazione, onde vi erano ormai serie probabilità di riuscita.
Al riguardo tuttavia suggerì che Pezzi, avvalendosi dell'invito inviatogli dall'UNUCI,
si recasse il 24 maggio a mezzogiorno (non prima e non dopo) alla sede dell'Unione
e, col pretesto di presentare la sua scheda di « adesione », si rendesse conto della
disposizione dei locali, del luogo dove era collocato il telefono e possibilmente del
mobile dove erano custodite le schede di « adesione» fino allora pervenute. Ciò,
secondo Fossa) avrebbe facilitato la rapidità dell'esecuzione del colpo, offrendo anche
garanzie sul suo esito incruento.
Fontana e Pe.zzi accolsero il suggerimento ad essi riportato il 21 pomeriggio
ed assieme concordarono anche nell'opportunità che si reperissero altri due amici
che facessero da « pali» e, contemporaneamente, custodissero le biciclette dei due
protagonisti (Pellegrini e Pezzi) durante la parte esecutiva dell'operazione.
Fontana fu geniale, audacissimo e si può ben dire spericolato anche nella
ideazione di questo particolare del progetto. Gravitavano da tempo attorno al gruppo di S. Pellegrino anche due giovani che tuttora prestavano servizio nella Guardia
Nazionale Repubblicana, che aveva la sede del Comando in via Samarotto nella villa
(16) Ghe cosa si può s'orivere che non sia noto agli ambienti della Resistenza reggiana
sul nome di Gismondo Veroni, Tito, Bortesi) F~(,mcbi, a seconda degli incarichi, delle funzioni
o dei 'tempi in cui queste si svoLsero? Ecco: che era onnipresente. Dinamico, deoiso, autoritario
se oocorreva, un giorno Leonardi, D'Alberto, lo presentò a Fossa; e da aLlora nacque fra i due
un rapporto di reciproca sti ma e di amicizia. Si era ai primi di settembre e già si gettavano
le basi della Lotta a'rmata prevedendo gli sviluppi della situazione politica, Promosse un incontro fra Fossa e GOlPlbia, Ascanio, ,in cui si 'presero i primiaocordi per la formazione di gruppi
armati. Era un giovanotto educato e gentile, che aveva già ,incarichi di fiducia dal partito
comunista. Divenne subito amko ,di Mart~ni, obe gravitava attorno al gruppo di San P.ellegrino,
e con questi si aggirò nei pl'essi della canonica di S. Fl'ancesco il mattino del 28 settembre
1943, mentre erano riuniti alcuni «congiurati» per dar corso alla costituzione ufficiale del
C.LN. provinciale, pronti a dare 1'allarme ed anche a dHendere con le armi gli amici in oaso
di pericolo. Ma non ce ne tu bisogno perché in quell'epoca la poLizia fascista era non soloinetta ma anche soprattutto preoccupata di inseguire o perseguire i fascisti che «avevano tradito»
e non sognava neppure che ci fossero degli audaci che stavano gettando le basi della Lotta.
Pezzi lo mise al COl'rente del progetto di colpo di mano aH'UNUCI, poiché egli era
in quell'epoca commissario del GCl'mando Piazza. Si rallegrò dell'iniziativa e si pose a disposizione. Poi, le v~cende poWitiche e militari lo pottal'Ono a compiti sempre più impegnativi. di co·
mando, ohe non 10 distolsero tuttavia dalle prime amicizie contratte anche con uomini che ,non
militavano nel comunismo.
14
Saracchi (che sarà poi oggetto di un altro colpo di mano dopo pochi giorni da quello
che stiamo narrando, sempre da parte del duo Pellegrini-Pezzi), ma che erano ormai
legatissimi all'ambiente della Resistenza e in attesa del momento giusto per disertare e passare nelle formazioni partigiane: Dames Calcagnini, poscia arruolatosi (col
nome di battaglia Arcari) ilIo agosto 1944, operaio alle Officine Slanzi di Novellara,
e tale Menozzi di Arceto, allora studente di giurisprudenza, anch'egli poco dopo andato in Montagna coi partigiani.
Egli scelse quei due, }lnzitutto perché li giudicava fidatissimi e decisi, ma
soprattutto perché in divisa da militi della G.N.R. accompagnassero Pezzi e Pellegrini in bicicletta con -!'incarico di fare da « pali» e da custodi temporanei delle loro
biciclette, ma soprattutto per servire da « copertura» ai due protagonisti.
Il 22 Fontana vide ancora questi ultimi e i loro due comprimari. Ogni
cosa venne studiata assieme a loro, puntualizzata e spiegata nei particolari. A colpo
fatto le schede « sequestrate» avrebbero dovuto essere consegnate al C.L.N. e per
esso a Fossa a Montecavolo.
Pezzi, puntuale, alle ore 12 del 24, andò disinvoltamente alla Sede dell'UNUCI. Entrò. Non c'era che l'impiegato, l'anziano e bonario D. Si guardò bene
attorno e si impresse nella memoria con la maggior precisione la topograHa dell'angusto locale, la disposizione dei mobili e H luogo ove era il telefono. Scambiò
pochissime parole col D.; solo per chiedergli se le adesioni giunte erano molte e
quello rispose di sì, circa 400 (la metà della metà di quelle sbandierate dalla propaganda fascista, ma comunque assai più di quelle che gli ambienti della Resistenza supponevano); e, per avvalorare la sua risposta, tirò un cassetto della scrivania, ne
trasse una cartella, ,l'aperse e mostrò al suo interlocutore i due pacchetti dei moduli
sottoscritti. Poi rimise tutto al suo posto. Pezzi presentò la sua dichiarazione di
« adesione» e se ne andò. Ormai sapeva bene come avrebbe dovuto agire. V. doc. L
Arrivato a casa - abitava a due passi da Pellegrini e quindi da Fontana riferì ciò che aveva visto e le notizie che aveva avuto. Giudicò l'impiegato incapace
di opporre una resistenza valida.
Giunse l'ora prefissata. La giornata era stata veramente lunga, anche per
Fossa che era stato informato da Reggiani dei preparativi finali e che quindi trepldava per l'esito dell'impresa.
Nel tardo pomeriggio, dunque, poco dopo le 17,30 la comitiva dei quattro
ciclisti partì da San Pellegrino. Giunta in città, si avviò per Corso Garibaldi. I due
militi, come d'accordo, vestivano la divisa e seguivano - a brevissima distanza e
come se non li conoscessero - i due protagonisti che, giunti a piazza Gioberti,
si erano avviati sulla via Emilia S. Stefano verso il centro. Arrivati davanti a palazzo
Sormani e cioè al n. 5, Pezzi e Pellegrini scesero dalle biciclette che affidarono al'
due militi, i quali si andarono ad appostare all'angolo di via Guido da Castello,
davanti al Caffé Perli. Entrambi i protagonisti avevano un simulacro di truccatura: occhiali affumicati, cappello calato sulla fronte e tesa abbassata. Per accedere
all'ufficio dell'UNUCI, una volta entrati dalla via attraverso il portoncino (che era
ancora aperto ), bisognava salire tre gradini, allo smonto dei quali si stendeva un
piccolo pianerottolo limitato da una parete sulla quale era una portina di legno.
Pellegrini restò ai piedi dei tre gradini; Pezzi invece, come d'accordo, li salì. La
portina era chiusa. Bussò. Dall'interno, una voce un po' annoiata rispose che l'uf-
15
ficio era già chiuso (erano infatti appena suonate le 18 all'orologio del Monte).
Pezzi replicò cortesemente: «Sono un ufficiale in congedo, vorrei presentare la
mia scheda di « adesione» entro il termine che scade stasera ». L'impiegato si mosse,
tirò un catenaccino, la porta si aperse. Una debole spinta fece vacillare e indietreggiare il malcapitato D., al quale Pezzi disse calmo: «Sono un partigiano, fuori le
schede del giuramento », e si avvicinò al telefono per evitare sorprese, facendo
l'atto di estrarre una pistola (che non aveva). D., terrorizzato, si arrese subito.
Aperse il cassetto della scrivania, estrasse la cartella contenente le schede. Pellegrini,
che fino allora era rimasto fuori dalla porticina, in quel momento entrò. Aveva con
se una borsa di pelle aperta; prese la cartella e le schede dalle mani di D. e le mise
nella borsa senza pronunciare parola. In quello stesso momento Pezzi diede uno
strattone al filo dell'apparecchio telefonico che cedette e si staccò dalla presa.
Poi disse: «Non abbia paura, non le facciamo niente. Attenda dieci minuti prima di
dare l'allarme. Badi che ne va della sua vita ». E aggiunse, uscendo: «Grazie ».
I due chiusero laporticina sul pianerottolo, scesero i tre gradini e uscirono
sulla via, chiudendo anche il portoncino sulla strada. Attraversarono adagio la
via Emilia, raggiunsero i due « militi» e, prese le biciclette, si avviarono in ordine
sparso per via Guido da Castello, Pellegrini tenendo ben stretta sul manubrio la sua
preziosa borsa. Giunsero indisturbati alle loro case. Pellegrini nascose subito la borsa
nel rudimentale rifugio antiareo che aveva costruito nel suo giardinetto, poi corse
dal vicino Fontana, che attendeva con ansia. « Tutto bene », furono le sole parole
che disse con un lieve sorriso. Fontana l'abbracciò commosso. Il colpo era riuscito.
Ora bisognava custodirne il risultato. Raggiunta la sua abitazione, Pellegrini corse
a tagliarsi e a radersi la barba, che si era fatto crescere fin dai primi tempi del~a
sua partecipazione all'attività della Resistenza.
Nel frattempo si sparse in città la voce che poco dopo le 17 in viale Timavo
era stato « giustiziato» un fascista molto noto (17). I due episodi non erano affatto
collegati e furono indipendenti l'uno dall'altro. Ma senza dubbio il primo distolse la
polizia fascista dall'occuparsi subito del colpo di mano all'UNUCI, impegnata COme
era alla ricerca di chi aveva ucciso il fascista. Il che giovò a mantenere un'assoluta
oscurità su chi aveva compiuto il colpo e permise a chi vi aveva partecipato 'di
riprendere a circolare con indifferenza.
La borsa, il giorno dopo, fu mandata a Fossa, anziché a Montecavolo come
erano rimasti intesi, a Coviolo perché qui si era trasferito temporaneamente nella
vil1a Gastinelli, ove era sfollato Piero Aguzzi, del P. d'A. E fu nascosta in luogo
sicuro.
L'operazione, studiata ed eseguita in modo perfetto, era durata, nella sua
(17) Si ttatta di runo sqmlidnista e bastonatore, fra l'altro individuato aUJÌore dell'uccisione
del socialista EVroriSito Ferretti avvenuta la sera del 22 maggio nei locali della cooperativa di
Villa Pieve ModQlena, avesi erano l'iuni1!i ailicu.nri. soci per far luogo alla nomina del prestiòenre,
quando irruppero alcuni fascisti armaci, fra i quali il detto squadl'ista. Per tale reato l'AutOirità
giudizial'ia spiccò mandato di crotrura nei confronti di qruesvi e di un wo «camerata », altro ;[lOdss'imo bastonatore. Il prefetto dell'epoca Masino ne riferì (con lettera n. 366 di prot. in data
25 maggio 1922) al Mil1!istero dell'Interno. Questo dooumento è staro rinvenuto da Giannino
Degani nel corso delle sue ricerohe, fatte per conto dell'Istiruto per la storia della Resistenza
e deLla lotta di Liberazione di Reggio E .. Detto documento or1ginale è classificato presso l'A.C.S.
con le seguenti ~ndkazioni: Div. AA.GG.RR. 1922, b. 81 f. Reggio Emilia.
16
parte cruciale, poco più di un minuto; non si era sparso sangue e l'anzianoimpiegato se l'era cavata soltanto con un paralizzante spavento.·
L'indomani mattina, con tutta calma e con l'aiuto di Aguzzi, Fossa esaminò
il plico. Le schede di adesione erano 403, compresa quella presentata al mattino
del 24 maggio da Pezzi) che recava il n. d'ordine 396 - soltanto 7 furono quindi
quelle presentate successivamente a questa - edi cui pubblichiamo la fotografia
(doc. n. 1). Era subito s"tato redatto un manifestino che l'insospettabile Aguzzi,
dopo averlo fatto leggere a Marzi e Fontana) che l'approvarono, portò al tipografo P. perché lo stampasse. Eccone il testo; doc. n. 3:
AVVISO
Il Comitato di Uberazione,è venuto in possesso delle poche schede Hrmate dagli rufificiaH in congedo che hanno aderito ai'rkhiamiad essi rivolti dalla U.N.U.c.I. di giurare alla R.S:I.
I nominativi deitr1sti Hgli spergiuri della Patria sGnote!).'llti in piena considerazione, la
101'0 attività, sarà da ora -in poi attentamente sorvegliata. Essi hanno però ancora modo di
redimetsi, negando l'adesione al nuovo invito che sa.ràloro rivoLto nei pros'simi giorni, ed
unirsi sp1ritua1mente e nell'azione, alla grande maggioranza dei· caHeghi, che hanno pienamente
compreso, La necessità di schierarsi contro i traditori ed impegnarsi nella difesa della PATRIA.
ATTENZIONE
.L'ora della battaglia decisiva -è scoccata,chimancherà all'appello, sarà considerato
un nemico della patria, e g,iudicato dai tribunali del popolo.
IL COMITATO REGGIANO DI LIBERAZIONE
Il volantino, col solito mezzo, venne l3Jrgamente diffuso in oittà nel giorno
26 maggio e dal 27 anche in provincia.
La popolazione reggiana, che aveva già sentito sussurrare di un colpo di mano
imprecisato compiuto in città dai partigiani, rimase sbalordita. In tutti i ceti la
sensazione fu ~nòrme. Il fatto poi che non si fossero lamentate vittime in una op~~
razione tanto clamorosa che, nel silenzio assoluto della stampa fascista, naturalmente veniva raccontata di bocca in bocca - con coloriture diverse a seconda della
fantasia di chi sene faceva banditore - diede all'episodio un carattere che aumentb
l'ammirazione della popolazione per i partigiani e fece supporre l'esistenza di grandi
forze organizzate anche in Pianura e addirittura in Città, che invece non esistevano
almenonellè proporzioni supposte.
La maggiore sensazione, forse una specie di pantco, la provarono quei pochi
ufficiali in congedo privi di elementare coraggio che, o per convenienza collegata
alla posizione che avevano o per ragioni dettate da autentica pusillanimità, si misero
subito in motoperavyieinareelçmenti ritenuti essere fra i capi del Movimento, allo
scopo di, far perdere ogni ttaccia dell'atto di viltà (l'adesione) che avevano commesso. Ma nessuno cedette. Tutte, ripetiamo, tutte le schede di adesione. s~que­
strate furono dirottate, ci sembra a mezzo di Bortesi) in luogo sicuro e a disposizione del G.L.N., cioè in buone mani. Fossa) d'altra parte, ne aveva prudenzial"
mente fatto un elenco acéutato (nome, cognome,grado, indirizzo) in diverse copie:
una delle quali egli consel;ya ..
17
Le cosiddette Autorità invece, sebbene in ritardo, reagirono o tentarono di
reagire. Il 25 maggio il commissario federale del partito fascista, Armando Wender,
prendendo spunto dall'uccisione, cui si è dianzi accennato, del noto fascista avvenuta pochi minuti prima del colpo di mano, si rivolse con un Appello ai <~ camerati »,
alle camicie nere reggiane, ai « vecchi e pur sempre giovani squadristi », che tradiva
lo sgomento e la paura che si erano impossessati degli ambienti della dirigenza fascista
per ciò che era accaduto. Il capo della provincia Enzo Savorgnan che - con un
decreto che reca proprio la data del 24 maggio, ma che fu pubblicato il 25 - aveva
vietato la circolazione delle biciclette nel centro urbano in t,utte le ore a datare dalle
ore O del 26, fermo restando tale divieto, dettato da folle paura, decret'ava !in data
27 che il coprifuoco veniva anticipato alle ore 22 con cessazione alle 5,30, con la
minaccia delle solite sanzioni. Pattuglie armate di tutto punto della G.N.R. (chissà
se di una di queste facevano parte anche i due « pali» Calcagnini e Menozzi?!) perlustrarono per due giorni e due notti le vie della città.
Un greve senso di terrore si era diffuso; ma, ad un tempo, l'animo si apriva
alla speranza.
A questo punto viene spontaneo un brevissimo commento, non sul modo
come fu ideato, progettato ed attuato il colpo di mano all'UNUCI. Esso parla
da sé. Sembra invece opportuno, pur evitando rigorosamente di fare dei nomi - e
sarebbe veramente divertente per chi potesse o volesse goderne la lettura - , riflettere con inevitabile tristezza sulla fragilità della coscienza umana e sulla leggerezza
di chi per ambizione o per interesse cambia bandiera o camicia (se più piace) nei
momenti cruciali della vita, calpestando ideali, tradendo amicizie e incurante dello
strazio che compie delle regole morali e di costume che dovrebbero guidare la
società umana.
Leggendo il lungo elenco di quei 403 nomi di chi aderì alla R.S.I. promettendo, con tanto di firma autografa, di esser pronto a <~ giurare di servirla fedelmente nel suo esercito », vengono infatti sotto gli occhi nomi ... incredibili. Nomi
cioè di persone che, a Liberazione avvenuta, dimentiche del loro passato pur 'recente
di viltà, si ammucchiarono a far ressa davanti alla porta delle sedi dei partiti antifascisti per chiedere di entrarvi (e, questo, pazienza!), ma che in quei partiti osarono
destreggiarsi per trovare, e trovarono, amici (non tutti ignari dei loro tristi trascorsi) pronti a designarli a incarichi pubblici e persino a posti amministrativi o politici di grande rilievo; o che, addirittura, divennero campioni di antifascismo ...
E viene spontaneo domandarsi: ma questi gentiluomini non hanno vergogna?
non ricordano più che col loro atteggiamento durante la lotta di Liberazione, quando
i nostri cadevano a centinaia o soffrivano le pill atroci torture confinati in luridi
carceri o ,in lager tedeschi per un ideale patriottico di giustizia e di libertà, essi si
rendevano complici di coloro che, dopo aver gettato l'Italia alla rovina, contrastavano con tutti mezzi iI fatale cammino della Storia?
Tipica domanda da imbecille. Comunque interessante.
VITTORIO PELLIZZI
18
NOTA BENE - VautaJ:e desidera precisare ohe la presente cronaca è stata redatta sulla scorta:
a) dei documenti che sono custc.&1tJi néill'AochilV1:o deH'J.s,tituto pelr la storia della Resistenza e
della guerra di Uberazione di Reggio Emilia;
b) del:Le 'annota2Jioni, de: documenti e dei 'ilicaJ:1di che l'A. fece o trasse nel1'epoca in cui aNvenne
l'episodio descritto e che - assieme a tanti altri - ha salvato e conserva;
c) d~lle testimomanze rese da l:Ilouni s'llpersnki: PlÌero Aguzzi, don Angelo Cocconce11i, dotto
lmigi Ferrari, gen. Adriano Oliva, G1useppe Orlandini, mons. Prospero Simonelli, Gismondo
Veroni;
d) di uno ,scritto di «Donato» (Luca Pa'Hai) intitooato Incontro con Pezzi che J:1ife!'Ìsce di un
colloquio avuto con Pezzi (Ettore Barchi) nel ffifl'rZO 1945, nel quale è narrata, sia pure
con qualohe inesattezza o incompletezza, l'eseouzione del colpo di mano (cfr. Le Fiamme Verdi,
pagg. 127 e segg.);
e) di dOC'llffienti n]evati da Glannd:no Degani pl'BSISO l'Archivio centmle di Stato a Roma.
Per una più agevoLe ·identifka2ione delle persone nominMe in questo saritto, si segnano
qui sotto i nomi di «battagLia» assunti da dascuno con a fianco que1lo deMo Stato Civile:
Arcari
Bianchi
D'Alberto
Franceschini
Mariani
Marzi
Pezzi
Rossi
Tito, Bortesi,
Franchi
Dames CaLcagnini
Ing. Camillo Fermri
Alcide Leonardi
Dott. PasquaLe Marconi
Dott. Carlo CaLvi
Cesare Campioli
Dott. Ettore Barchi
Aldo Magnani
Gismondo Veroni
Barra
Cassiani
Fontana
Fossa
Martini
Pellegrini
Reggiani
Rossi
Rossi,ni
Withe
Gino Prandi
Don Angelo CooconcelH
Ing. Domenico Piani
Avv. Vittorio PeHiz2i
Gen. Adriano Oliva
Dott. Luigi Ferrari
Don Prospero Simon:=lli
ALberto Simonini
Avv. Mario Jaochia
Dott. Massenzio Masia
FERMENTI ANTISOCIALISTI NEL REGGIANO
DOPO LA VITTORIA DEL 4 NOVEMBRE 1918
Pubblichiamo un paragrafo del libro di prossima pubblicazione, La Nascita del f'ascismo a Rleggio Emilia di Giannino Degani, basato principalmente su documenti i'nediti d'lPll'Archivio Centrale di Stato. L'appendice comprende gli elenchi degli ammoniti, confinati, sottoposti a sorveglianza speciale, COindannati dal Tribunale speciale, oltre un aggiornamento delle violenze fasciste nella provincia di Reggio e il riporto di articoli sulla situazione reggiana da parte di corrispondenti della stampa coeva.
Il prefetto di Reggio con telegramma in data 4 novembre 1918 n. 704,
riferiva al Ministero dell'Interno di incidenti avvenuti nella città; successivamente in data 8 novembre dava notizie che in dipendenza dei vittoriosi e grandiosi
avvenimenti politici e militari, le condizioni nello spirito pubblico erano ottime. (1)
Quanto all'ordine pubblico, diceva il prefetto, per la prevalenza in molti
comuni della provincia del partito Socialista ufficiale e la reazione determinatasi
in alcuni centri dei partiti che fecero durante la guerra una politica conforme all'indirizzo del Governo, ha dato luogo ad incidenti che fanno già prevedere un inasprimento della lotta.
Da una parte le associazioni patriottiche, la «Cesare Battisti », la sezione
degli Invalidi e mutilati di guerra promuovono manifestazioni.
Alle manifestazioni rimangono completamente estranei, l'amministrazione
comunale, la provinciale ed i deputati socialisti onorevole Prampolini, Zibordi e
Soglia che promuovono d'accordo con la Camera del Lavoro una dimostrazione con
cortei inneggianti alla pace; attaccate all'asta di alcune bandiere sono copie del giornale l'Avanti!.
Dal balcone del Municipio parlano il facente funzione del sindaco ed i
tre deputati.
Il discorso del pro sindaco rende omaggio ai caduti ed ad. soldati dichiarando
che l'amministrazione comunale prendeva viva parte all'esultanza cittadina ..
L'onorevole Zibordi rileva che alla soluzione della guerra avevano concorso i principi e le forze socialiste manifestatesi nei paesi nemici, da Liebknecht
ad Adler.
Gli altri oratori colgono l'occasione per fare più propaganda che adesione al giubilo nazionale per la vittoria.
(1) A.C.S. Div. AA.GG.RR. 1919 b. 50 - Vedi pure Dems Mack Smlvh, Storia d'Italia
1861-1958 - Bari Laterza 1964 UL, Val. II, pago 575, sulla disponibilità politica di Mussolini.
20
Da cui viva malcontentO' nei partiti avversad; i taipppresentanti dell'assO'ciaziane «Cesare Battisti» vannO' dal prefettO' per pratestare e dire che avrebbe
davuto praibire la dimastraziane socialista nella quale sia per i discarsi pranunziati,
sia per l'Avanti! sulle bandiere, daveva ravvisarsi came una affesa alla cittadinanza,
una provacaziane.
La seziane dei mutilati interpretò le parale che si riferivanO' all'apera dei
sacialisti stranieri, came una svalutaziane dei sacrifici dell'esercita e canvacata d'urgenza, la seziane appravò un'ardine del giarna di pratesta.
Si stabilirana subita ra:pparti fra i mutilati e gli Arditi reduci dalla guerra
che in quei giarni a Reggia eranO' circa duemila ed avevanO' presa parte alle dimastraziani patriattiche.
Il risentimentO' si camunicò facilmente dagli uni agli altri.
Si minacciavanO' pure dimastraziani astili al MunicipiO' e alla Camera del
Lavara.
Per impedire che si attuinO' le minaccie, specialmente da parte degli Arditi,
venganO' fatti pattugliani misti di saldati e carabinieri camandati da ufficiali, altre
alle pattuglie ardinarie di carabinieri e guardie.
Queste dispasiziani furonO' giudicate eccessive dal partiti favorevali alla
guerra; fu accusata n Prdetta di aver lasciata fare un cartea sacialista e di « impedire
gli slanci generasi 'e patriottici dei giavani Arditi ».
La Legaantitedesca annuncia nell'Indipendente di avere farmulata una protesta scritta cantra il camizia sacialista, che sarà presentata al Presidente del
Cansiglia.
L'arganO' dei sacialisti La Giustizia cantesta che gli aratari call'accennare
all'apera dei sacialistI stranieri, nan hannO' assalutamente intesa di svalutare i sacrifici dei saldati.
Il PrefettO' si difende dalle accuse rivaltegli affermandO' can persane autO'revali dell'assaciaziane «C. Battisti» che non aveva data alcun permessa per il
carteasacialista, perché nan sala nan gli era stata chiesta e neppure era stata
preavvisata in tempO', ma che quandO' fu avvertita dall'ano Prampalini, nan avrebbe
potuto fare altra che sciagliere can la for~a il cartea camposta in gran parte di
donne e giovanetti, ma data il mO'menta di ,esultanza generale sarebbe stata più
che in~ppO'rtuna, odiasa l'uso della farza che avrebbe turbata il corteO' per tagliere dalle aste delle bandiere il giarnale l'Avanti!; che, infine i discarsi dei sacialisti
pur patendO' destare dispiacere 'e dispettO' per la mancanza quasi assaluta delLa nata
patriottica nan cantenevana nulla di incriminabile.
Le misure preventive per le temute violenze da parte degli Arditi cantro il
MunicipiO' e la Camera del Lavara nan ebberO' che la scapa di evitare atti affensivi che avrebberO' pO'tuta avere ripercussiani per mativi di salidarietà in altre
città d'Italia. Infine,alla vigilia della abaliziane della censura e delle altre restrizioni alle libertà oostituzionali, i partiti avrebbero davuta abituarsi alla talleranza eda:l reciproco rispetta.
Il 5 navembre ebbe anche luaga una riuniane di prafughi dave pr::munciarana discarsi patriattici l'avv. Saracchi, presidente del Patranata profughi, l'anO'revole avvocata Spallanzani ed alcuni prafughi.
21
Il 7 novembre ad iniziativa della Giunta diocesana aveva luogo nella cattedrale una funzione in cui il vescovo esprimeva parole di gratitudine 'al re e
all'esercito.
Eguali funzioni furono fatte in quasi tutti i comuni della provincia uniti a
dimostrazioni di esultanza e invio di telegrammi al re, ai ministri, al genemIe Diaz; perfino il H. sindaco di Rio Saliceto, capo di una amministrazione
socialista, spediva un telegramma di evviva all'esercito, all'Italia ed al re.
Relativamente alla sottoprefettura di Guastalla il prefetto inviava al Ministero la trascrizione integrale di quanto riceveva da quel sottoprefetto.
Per comprendere il senso della rela7Jione bisogna rilevare che i ceti agrari
della provincia manifestano subito scopertamente e con asprezza la loro propensione per quel movimento che sotto la veste patriottica fu sempre l'etichetta
della conservazione e della r·eazione.
Gli agrari presentono, se già non vedono, che quel movimento potrà essere
volto a strumento di lotta contro l'operaio agricolo, il bracciante che, unito nella
lega, rivendica un salario adeguato al maggior costo della vita e mediante l'ufficio
di collocamento chiede un aumento di impiego della mano d'opera.
Guastalla fece 1a sua manifestazione il lunedì 5 novembre.
Parole stonate ed inopportune, s'econdo quanto giudica lo stesso vice-prefetto,
quelle dell'avv. Tovagliari che ebbe parole fierissime contro il partito socialista
ufficiale e dichiarò autori e responsabili di Caporetto i bolscevichi contro i quali
avrebbe dovuto ormai, a visiera alzata, combattere ogni onesto patriota.
Prosegue il vioe-prefetto:
inopportrune tali parole, perchè venivano a rompere quella concordia, sia pure formale ohe ora
esisteva, e ,facevano riacoendeJ1e Ja lotta di parte nei momenti in mi è necessatia ancora ~a
concordia di ogni buon oittadino
per permettere al Governo di risolvere i gravissimi problemi del dopo-guerra
Era evidente - prosegue la relazione - che il discorso Tovagliari, seguito
dal segretario del Comune di Gualtieri, Davolio, era stato concertato tra i maggiorenti del Comitato e ciò nonostante l'avvertimento del prefetto sulla gravità del
momento e sulla convenienza di attutire nel trionfo, anzichè rafforzare, le discordie
cittadine.
E, prosegue il rapporto del vice-Prefetto,
forse si pensava ad 'Una possibile riscossa di partito: ma il tentativo era di ass·ai dubbio esito
nel momento attuale, specialmente di fronte alle persone che lo !incarnano, aMa disorganizzazione
di esso ed alla inattività ed inetrezza dimostrata durante la gueJ1ra.
Le parole pronunciate contro i socialisti determinarono del malcontento
che fu espresso al prefetto dall'onorevole Sichel, da Nico Gasparini e dal maestro
Serpieri.
L'on. Sichel anche a nome del sindaco Macca, il quale aveva fatto pubblicare «un manifesto correttissimo ed ispirato ad idee di patriottismo e di concordia », dichiarò nettamente:
22
che era compramessa per l'aV'Venire l'azione di concordia ohe i sooiaJisti avevanO' sinara appIicata tin città e si ,riservavano stahilire nettamente la loro posizione poIitica in seno alle Comm1ssioni varie di cui facevanO' pwrte, insieme ai membri degli all'ri partiti locali.
Occasione del malcontento dei socialisti fu pure un manifesto antisocialista il quale accennava all'epoca in cui i socialisti si ripromettevano nel dopoguerra
di « atterrare la bandiera, rinnovar'~ le forme stat,,}i », poichè presunto autore fu
Nico Gasparini e non tutto il partito.
Successivamente l'ono Sichel promise al vice-prefetto che nonostante l'offesa avrebbe dato ancora la sua cooperazione all'indirizzo fino a quel momento seguito e che il vice-prefetto perseguirà nella linea di condotta già adottata che fino
a quel momento "veva ottenuto la calma del circondario e favorito l'azione di.
resistenza interna.
I! prefetto di Reggio comunicava inoltre che la popolazione attendeva la
risposta della Germania alle condizioni dell'Armistizio esprimendo la sua fiducia
nel consesso interalleato. La stampa socialista insisteva soltanto sulla convenienza,
se non sulla necessità, che il parlamento venisse convocato.
Oggetto della relazione del prefetto sono, pertanto, le prese di posizione
dei partiti e delle correnti politiche nell'immediato dopo-guerra: da una parte le
organizzazioni che sono 1'espressione della media e piccola borghesia, dall' altra il
partito socialista rappresentante le classi popolari.
Le prime inalberano la bandiera del patriottismo e considerano non tanto
avversario, ma nemico il partito socialista al quale negano, e pertanto fanno appello
alle forze costituite, il diritto di opinione; il partito socialista ufficiale invece coerentemente alla sua condotta durante la guerra, non esalta la guerra appena combattuta, ma la pace che ha posto fine al massacro. Per parte del prefetto non esistono provocazioni se non nella mente degli avversari del partito socialista che interpretano come tale ogni atto e parola che sia espressione dell'idea socialista.
Nel partito socialista l'ala sinistra era rappresentata da Nico Gasparini, col
quale polemizzerà più volte all'interno del partito lo stesso Prampolini, perchè
contrario alla linea ortodossamente riformista del socialismo reggiano.
Le minacce di cui parla la relazione del prefetto vengono attuate non molto
tempo dopo. Venivano infatti riferiti dal prefetto al Ministero con telegramma
16 ottobre n. 1204 e con l'espresso 5 novembre n. 1204, incidenti provocati dagli
Arditi.
Ai fatti fa seguito la punizione con gli arresti e l'allontanamento da Reggio
del tenente Coffa che comandava in città questo corpo.
Nuovi gravi incidenti avvengono sempre per opera degli Arditi il 12 novembre, data del compleanno del re.
Nella versione dei fatti data dal prefetto il 13 novembre 1918 al Ministero
risulta: (2) Verso le ore 20 del 12 novembre 1918 un ufficiale subalterno degli
Arditi accompagnava un gruppo di circa venti Arditi, uno dei quali con bandiera.
Giunti in Via Farini sotto la Camera del Lavoro socialista arrampicandosi per il
muro esterno vollero inalberare la bandiera tricolore, ma colui che faceva questo
tentativo fu dissuaso dal funzionario di pubblica sicurezza.
(2) Div. AA.GG.RR. 1919 b. 50.
23
Ma alle ore 22 circa sopraggiunsero circa trecento Arditi fra i quali dei sottoufficiali e dei caporali condotti da un capitano con le mostrine dei bersalieri, da
un tenente ed un sottotenente, dopo che si era sciolto il corteo per l'avvenuto armistizio con la Germania. Provenienti da Via Giosué Carducci, giunti sotto la Camera del Lavoro, vociando e fischiando chiesero che fosse esposta la bandiera
nazionale. Un sottotenente presente dichiarò al funzionario che la bandiera l'avrebbe
messa personalmente lui, ma desistette. Il capitano allora dopo aver proseguito
per circa venti metri si fermò e d'un tratto gli Arditi tornarono sotto la Camera
del Lavoro e cominciarono ad arrampicarsi lungo il muro della facciata. Mentre
il commissario, guardie e carabinieri cercavano di impedire agli Arditi la scalata,
sopraggiunse il capitano dirigente la sezione locale dei mutilati che indusse i militari ad allontanarsi, il che fecero fischiando all'indirizzo della Camera del Lavoro.
Il fatto degli Arditi che si arrampicano per inalberare la bandiera si ripete
alle 23.
Le manifestazioni ostili sarebbero anche una conseguenza dei provvedimenti che furono presi nei confronti del loro tenente, Coffa.
L'on. Zibordi il giorno dopo si recherà a protestare dal Prefetto. (3)
In un appello di Cesare Rossi pubblicato sul Popolo d'Italia il 10 gennaio
1919, è detto:
lo ,invoco in una parola, una orociata di tutte le forze nazionaM decise a [ronteggiM-e
nei 10to più sromi feudi i nemici della guerra ,in f3Jvore della dignità italiana e della lihertà
europea: ·i socialisti, i derlca:li, i giolittiani.
L'on. Cottafavi indice un'adunanza che verrà da lui presieduta.
L'Associazione mutilati ed invalidi di guerra nega la partecipazione, così
come è stato annunciato da La Giustizia del 4 gennaio, ricordando che gli appartenenti alla Associazione hanno combattuto per uccidere tutti gli irredentismi e non
perchè il mondo ritorni allo stato ante-bellum.
L'Unione nazionale radicale reggiana invia un telegramma, il cui testo è pubblicato dal Giornale di Reggio, a Wilson ave afferma la sua opposizione a tutti i
vecchi imperialismi e militarismi, causa di ogni guerra.
La Giustizia del 7 gennaio riporta il discorso del Sindaco socialista di Milano
Caldara a Wilson, basato su questi punti: autodecisione dei popoli, fine di tutti
gli irredentismi, non intervento e ciò anche per le nuove repubbliche di Russia
e di Germania.
Il Giornale di Reggio, pochi giorni dopo di aver pubblicato il telegramma
dei radicali, riporta un articolo del Popolo d'Italia in cui Mussolini chiede l'annessione della Dalmazia.
Nella frattura tra wilsoniani e imperialisti, il Giornale di Reggio parteggia
per questi ultimi ma pubblica scritti di repubblicani, liberali, monarchici, liberalcattolici, conservatori, clericali, imperialisti, radicali, indifferentemente.
Il 29 gennaio gli studenti manifestano per Fiume e la Dalmazia in risposta
all'appello lanciato sul Popolo d'Italia da parte degli italiani di Ragusa.
(3)
A.C.S. Div. AA.GG.RR. 1919 D. 44.
24
La parte di studenti che ha disertato le lezioni, va ad impedire ad altri studenti di entrare nelle classi.
Il Provveditore agli Studi fa noto di essere contro gli «eccessi di fazione
ed intemperanze di partiti ».
Relativamente all'affermazione del Provveditore il quale riconosce tuttavia
che « la causa è buona », La Giustizia afferma il 2 febbraio che la disciplina e lo
studio sono la prima forma di patriottismo per i giovani.
Durante un comizio socialista (La Giustizia, 17 febbraio) mentre la folla
stava diradando, un gruppo di « arditi », capeggiato da loro ufficiali volle togliere
in Via Cavallotti la bandiera del Circolo giovanile socialista di Villa Cella. La folla
reagì e per poco non avvenne una colluttazione.
La Giustizia afferma che gli « arditi» vengono utilizzati a fini politici dai
partiti che temono il dopo-guerra; nei confronti dell'Associazione Combattenti sostiene la tesi che l'Associazione deve occuparsi delle rivendicazioni di ogni singolo
combattente secondo i diritti speciali che la legge concede e non di rivendicazioni
in blocco di altri diritti.
NOTE
Scritd che si riferiscono alle origini del Fascismo reggiano:
Giacomo Matteotti, Un anno di dominazione fascista. Roma, tipografia italiana s.d.;
Il Testimone, Come nacque e si svolse~l terror bianco nel Reggiano; La Critica Sociale anno
XXX 1921 pagg. 149 e 165; Giovanni Zi>bo.rdi, Il Fascismo visto da repubblicani e socialisti Bologna, Ca;ppelli 1922; Fascismo; Inchiesta socialista suJJe gesta dei Fascisti in Italia - Milano,
Avanti 1922; G.A. Chiurco, Storia della Rivoluzione fascista, val. III pa;g. 421; Ugo Gualazzini, La genesi del fascismo reggiano. Reggio Emilia, OM. Tipografiche Fasciste 1936; recensito
nel Popolo d'Italia, 12 giugno 1938. UJJSUS (Manlio Bonaccioli) 1920: Lo squadrismo nel Reggiano . Reggio Democratica 13 dicembre 1945; Ursus, Giornate Fasciste del '23. Reggio Democratica, 21 dicembre 1945; Utsus, Come fu devastata "La Giustizia". L'assalto aUa Camera del
Lavoro. Reggio Democratica, 29 d10embre 1945; ManHo BOll!llOoiali, Lo squadrismo nel Reggiano,
Emilia, A. II n. 9, agosto; lO settembre; 11 ottobre 1950; Angelo Tasca, Nascita e avvento
del Fascismo. Firenze, La Nuova Italia, 1950, pago 166; Sull'origine agraria del fascismo, pago 145
e ll. 41; l'li citati: Popolo d'Italia, l° giugno 1922 da Gerarchia; Antonio Gramsci; L'Italie
et la conférence de Génes in Correspondenoe Lnternationale n. 28, 12 aprile 1922 pago 7;
Tasca o.c. pag 145 e segg. e nota con bibliografia pago 297 e segg.; Ettore Barchi, La Nostra
battaglia. Reggio Emi,J,ia A.G.E. 1959; Aurora Cattabiani, I giovani nelle origini del Fascismo.
Ricerche Storiche, Reggio E. n. 3 - 1967; Vittorio Cenini, La Gioventù Reggiana di azione cattolica dal 1918 al 1922. Ricerche Storiche n. 4 - 1968; Giannino Degani, Le violenze fasciste
nella provincia di Reggio Emilia. Ricerche Storiche nn. 13-14 . 1971 in corso di pubbEcazione.
Un 'esteso ed approfondito studio ,sulle origini del fascismo è stato pUJbblicato da: Rolando
Cavandoli, Origini del fascismo a Reggio, 1919-1922. Roma - Editori Riuniti 1972.
PRAMPOLINI E MATTEOTTI 50 ANNI FA
« Non fu mai possibile avere dal Prampolini, o trovare nei suoi scritti, una
sua autobiografia, per molti motivi il primo dei quali fa parte precipua della sua
personalità medesima, così aborrente da ogni esibizione di sé ... », osserva giustamente Giovanni Zibordi nella presentazione del suo libro su Camillo Prampolini e i
lavoratori reggiani pubblicato negli anni 1929-30 dall'editore Laterza di Bari.
Lo scrivente, fra le lettere e le carte amorevolmente conservate in ricordo
del Maestro, possiede proprio ... una autobiografia di Prampolini, vergata di suo
pugno, che merita di essere fatta conoscere per la caratteristica sobrietà di paroJe
ed a conferma dell'anzidetta osservazione di Zibordi.
Nel dicembre 1923 pervenne alla Direzione del Partito Socialista Unitario,
da parte del deputato socialista francese Compère-Morel, la richiesta di un breve
cenno biografico delle figure più rappresentative del movimento socialista italiano.
Il segretario Matteotti girò la richiesta a Prampolini, per quanto lo concerneva, con
la raccomandazione di spedire direttamente (alla Chambre des Députès, Parigi)
per «rare più presto », trattandosi di «cosa urgente ». C'era voluta l'energica
risolutezza di Matteotti per strappare a Prampolini questo « curriculum vitae » in
70 parole ...
«Camillo Prampolini, dottore in legge. Nato a Reggio Emilia il 27 aprile
1859. Collaboratore e poi direttore dello Scamiciato, settimanale socialista fondato
nel 1882 da un gruppo di internazionalisti. Fondatore de La Giustizia domenicale,
pure di Reggio Emilia, settimanale socialista uscito nel gennaio del 1886 e del
quale egli è ancora direttore. Deputato al Parlamento dalle elezioni del dicembre
1890 fino a quelle del 1921, esclusa la XXII Legislatura. Assessore comunale, Consigliere provinciale, Presidente della Cassa di Risparmio ecc. ».
Scritta nel 1923, la biografia andrebbe poi completata, se non altro per includervi l'avvenuta rielezione di Prampolini a deputato nel successivo anno 1924, in
quella drammatica 2r Legislatura inauguratasi con l'assassinio di Giacomo Matteotti.
Com'è noto, nelle elezioni del 1921 che avevano portato alla Camera il
primo manipolo fascista (magnifico capolavoro di autolesionismo dell'ottantenne ono
Giolitti!) i socialisti reggiani avevano dovuto astenersi. La provincia più rossa d'Ita·
lia (tre deputati socialisti su cinque) e come tale la più sconvolta dal tempestoso
uragano reazionario, aveva dovuto soggiacere alla violenza. Oltreché conseguenza
di un incontestabile « stato di fatto », l'astensione reggiana fu anche e soprattutto
legittima protesta contro un sistema di violenza che doveva apparire doppiamente
ripugnante e intollerabile ad un uomo come Prampolini, il quale aveva al suo
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attivo un'instancabile quarantennale opera di propaganda rivolta « contro i violenti
del basso e dell'alto ». Ma nel '24 la situazione era ben diversa. Non si trattava
più di protestare contro l'insipienza dei governi liberali che tre anni prima avevano
scaldato nel proprio seno la serpe fascista.
Arraffato il potere mercé r.nche il tradimento regio, Mussolini non si sarebbe
certo lasciato impressionare da proteste di tal genere. Ci sarebbero state nuove
violenze e prepotenze, la collana dei delitti fascisti si sarebbe allungata, e ne sarebbe sempre più emerso lo stato di illegalità [.ntidemocratica creato al Paese
dall'infausto regime.
Dopo il passaggio all'opposizione del P.P.I. diretto da don Sturzo, il Capo
del Governo aveva preparato le elezioni politiche facendo assegnamento sulla leggecapestro Acerbo, che aveva già ottenuto l'approvazione dei liberaI-fascisti e dei « po'polari» (legge che assicurava allistone governativo, purché avesse ottenuto il 25 %
dei suffragi, un premio di maggioranza tale da assegnargli due terzi dei seggi parlamentari, e cioè 356 su un totale di 535 seggi).
Nel febbraio '24, la Federazione reggiana del P.S. Unitario ricevette le seguenti
categoriche istruzioni dal segretario nazionale ono Matteotti: «bene la vostra decisione. Abbiamo scritto proprio stamane a Zanardi di Bologna perché convochi la
riunione collegiale; e per Reggio scriverà a te. Non so se sarà possibile escludere
tutti gli ex e i neo. Tanto più chi conosce ancora i neo? Comunque certo il Convegno dovrà essere inesorabile nel proporre una lista di puro interesse di partito ...
Come mia opinione personale - non quindi come segretario - mi pare che i tre
uscenti che hanno più probabilità, e che sono più necessari per dare il nome alla
lotta sono: Prampolini, Mazzoni, Bentini; poi Baldini. Bisognerà insistere ad ogni
costo per Prampolini, anche se egli non vorrà ... ».
L'impari lotta fu affrontata con fede e spirito di sacrificio che ci sorressero
nell'ardua prova. La nostra resistenza non fu infranta, qùantunque le violenze, che
non potevano mancare, avessero superato ogni previsione. Chi scrive questi ricordi
di vita vissuta, per aver compiuto il lavoro di raccolta delle trecento firme necessarie per la presentazione delle candidature di Prampolini e dei relativi compagni
di lista (lavoro fatto esclusivamente a Reggio anche per le tre province del collegio
di Parma) fu selvaggiamente percosso, nei locali della Federazione fascista reggiana;
e sorte analoga, con conseguenze anche più gravi, toccò al giornalista Manlio Bonaccioli, de La Giustizia, nonchè ad altri organizzatori dei partiti d'opposizione.
Il sacrificio di Piccinini
Esattamente una settimana dopo, la sera del 28 febbraio (giovedì grasso)
l'operaio tipografo Antonio Piccinini - cr.ndidato reggiano del P.S.I. risultato poi
eletto post mortem - veniva prelevato dalla propria abitazione, alla Gardenia,
strappato ai familiari terrorizzati e, pochi minuti dopo, ferocemente ass&ssinato. Già
bandito dalla sua Reggio, Piccinini era ritornato quando la candidatura gli era apprssa un rischioso dovere più che un ambìto onore, Dopo l'atroce misfatto, i sicari fascisti parteciparono cinicamente ad un ballo carnevalesco.
Camillo Prampolini ritornò a Montecitorio e rientrò in quella Giunta delle
elezioni dalla quale doveva uscire il materiale documentario che servì a Giacomo
Matteotti per la sua coraggiosa requisitoria contro il Governo (30 maggio) segnante
la sentenza di morte per l'oratore socialista.
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Rileggendo per intero quel discorso, si rileva che solo nella seconda parte
- vale a dire dopo le parole di omaggio al sacrificio del povero Piccinini e di accusa
ai suoi carnefici - Matteotti ebbe modo di parlare con minori difficoltà. Il presidente Rocco riuscì a ristabilire un po' di silenzio, ed a placare la canea degli scalmanati interruttori, che con insulti e minacce avevano cercato di fiaccare la resistenza
dell'oratore, soltanto dopo il richiamo a quell'efferato delitto politico avvenuto nella
nostra Reggio.
Matteotti: «Uno dei candidati, l'on. Piccinini, al quale mando a nome del
mio Gruppo un saluto, conobbe cosa voleva dire obbedire alla consegna del proprio
Partito. Fu assassinato presso la sua casa, per aver accettato la candidatura nonostante prevedesse quale sarebbe stato per essere il destino suo all'indomani ...
(rumori) Ma i candidati devono sopportare la sorte della battaglia e devono prendere tutto quello che è nella lotta che oggi imperversa. lo accenno soltanto, non per
domandare nulla, ma perché anche questo è un fatto concorrente a dimostrare come
,i sono svolte le elezioni» (Nei limiti del presente scritto rievocativo riportiamo la conclusione di quel10 storico discorso) «... Noi deploriamo che si voglia dimostrare che solo il nostro popolo nel mondo non sa reggersi da sé e
dev'essere governato con la forza. Molto danno avevano fatto le dominazioni
straniere; ma il nostro popolo stava risollevandosi ed educandosi anche con l'opera
nostra. Voi volete ricacciarci indietro. Noi difendiamo la libera sovranità del
popolo italiano, al quale mandiamo il più alto saluto e crediamo di rivendicarne
la dignità, domandando il rinvio delle elezioni inficiate dalla violenza alla Giunta
delle elezioni ». (Applausi all' estrema sinistra, vivi rumori). Ma che cosa si poteva
sperare da quella Giunta parlamentare nella quale Prampolini ebbe la sgradita
sorpresa di trovarsi a fianco, tra gli altri, il ras cremonese Roberto Farinacci?
All'indomani, 31 maggio, così il Popolo d'Italia commentava la parte
del discorso Matteotti riferentesi al delitto Piccinini: «I sovversivi volevano fare
una speculazione politica con la commemorazione di un loro morto, certo Piccinini,
ma il presidente della Camera giustamente ha tagliato corto, poiché il povero morto
era un illustre sconosciuto che non aveva fatto parte del Parlamento e non aveva
onorato la nazione con altezza di opere ».
Il processo per l'uccisione di Piccinini veniva celebrato, a Reggio, nell'ottobre dell'anno successivo. Superfluo dire che i giurati assolsero gli imputati, il principale dei quali fu portato a casa in trionfo e chiamato al balcone, come un eroe.
Non dissimile il salvataggio dei sicari e mandanti implicati nel delitto Matteotti, in seguito alla farsa del processo di Chieti. In quella circostanza di tempo scriveva Mauro Del Giudice, l'integerrimo magistrato che pagò col sacrificio della
sua carriera l'aver istruito secondo giustizia il processo stesso nella sua parte prcparatoria - «la Giustizia venne oscenamente stuprata, poichè colà non si fece
la causa per giudicare e punire i delinquenti e complici ma, invece, cosa che supera
i limiti della credibilità, si fece la causa contro l'assassinato. Furono infatti esaminati
testimoni falsi che, con menzognere deposizioni, tentarono oscurare la chiara fama
della vittima infelice, e tutte le arringhe pronunciate nel corso del dibattimento
non furono, in sostanza, che tante requisitorie, specie quella del Farinacci, difensore del capobanda dei sicari, contro il glorioso ed eroico Martire della Libertà e
delle giuste rivendicazioni dei diritti del proletariato italiano ».
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Il Martire e l'Apostolo
I socialisti democratici ottennero a Reggio Emilia, sul nome di Camillo
Prampolini, Il mila voti: successo notevole ~ se si considerano le violenze documentate dall'ono Matteotti, nonché il truffaldino sistema elettorale che aveva
caratterizzato quella impari battaglia - che si rifletteva nelle stesse proporzioni anche in campo nazionale. I socialisti ritornarono alla Camera in 47: 25 unitari, 22
P.S.I., oltre a 18 comunisti.
Nell'estate, trasferiti da via Gazzata a via De Amicis, gli uffici de La Giustizia e della segreteria provinciale del P.S.U. furono riuniti in due modesti locali,
che divennero, tra l'altro, sede del Comitato di Opposizione creato anche a Reggio
Emilia dai partiti aventiniani e presieduto dallo stesso Prampolini. Dopo un semestre di vivace ripresa antifascista politica e giornalistica, subentrò l'anno del rilancio
dello squadrismo, cui si aggiunse un incremento della vigilanza poliziesca.
Il famoso discorso mussoliniano del 3 gennaio '25 diede l'avvio anche a
Reggio a nuove violenze individuali, oltreché all'incendio della Camera del Lavoro.
In quel periodo, in data 6·1, Prampolini così mi scriveva da Roma: (1)
« ... ero in ansia, caro Bellentani, perché temevo che rappresaglie si fossero
consumate anche a Reggio e non ricevevo notizie. D'altra parte, la stampa governativa ha la consegna del silenzio sugli eventuali disordini e non fa che l'elogio
della disciplina e compostezza di cui i fascisti han dato esempio dovunque in
questi giorni.
«Per la domenicale, non so se l'abbiano sequestrata né quali possibilità
vi siano di continuarne la pubblicazione (2). Giudicando a distanza, credo si debba
insistere per farla uscire. La sospensione della quotidiana, deliberata improvvisamente a Milano, qui è giudicata un errore e sarà revocata. Certo però che bisogna
tener conto dell'ora o del quarto d'ora che stiamo attraversando. Bisognerà momentaneamente rinunciare alla polemica e tenersi alla propaganda generica, alla
varietà e alla cronaca.
« ... Se mi sarà possibile, manderò anch'io qualche nota, ma non ci fate gran
calcolo, perché l'aria di Roma, la vita di albergo e ... il resto mi rendono più
che mai difficile lo scrivere.
« Qui, chiacchiere se ne fanno sempre moltissime. Secondo me, la situazione
è grave, soprattutto perché contrasta con le troppo rosee speranze che l'hanno preceduta, ma non giustifica gli ora troppo esagerati pessimismi di certuni. Non mi
sembra che si possa affermare che ormai la Corona e il fascismo hanno fatto causa
comune. Vagliate tutte le voci che corrono, mi sembra anzi assai verosimile e probabile il contrario. Il re, fermo nel suo antico proposito, vuole anche questa volta
regolare la propria azione esclusivamente secondo le indicazioni della maggioranza
(1) V. «Socialisti e non contro luce» di R. Marmiroli - Ed. La Nazionale, Parma.
(2) La Giustizia, settimanale sospese le puhblicazioni, com'è noto, dopo il numero del
5 dicembre 1925 contenente il commosso sa1uto di commiato di Prampolini ai lettori. « ...E'
per noi un grande dolore, confOltato soltanto dal pensiero che il fervido lavoro di questo
quarantennio non fu inutile, né andrà perduto, e dalla fede incrolbbile che, malgmdo ogni
avversità, rimangono sempre insopprimirbili e continuano ad agire dovunque quelle profonde
rwgioni di vita che sospingono ine1uttabi1mente i popoli verso il nostro ideale di HbelJtà, di
giustizia, di pace ».
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parlamentare. Ora la maggioranza mussoliniana continua a disgregarsi e impicciolirsi, e a disgregarla e impicciolirla lavorano ormai, con sempre maggior lena, anche
quasi tutti i più autorevoli uomini della destra costituzionale.
« Non so come il Governo potrà impedire questo lento ma progressivo dissolvimento della sua maggioranza, particolarmente nel Senato. Non c'è da farsi
delle illusioni, ma non c'è nemmeno da disperare, tanto più se si riflette che ci
troviamo in un caso di equilibrio talmente instabile da non consentire nessuna sicura previsione e non escludere qualsiasi sorpresa, nell'uno o nell'altro senso. L'importante è che ognuno di noi rimanga al suo posto di battaglia. E qui gli animi sono
pienamente in forma.
« Saluti affettuosi anche a Bonaccioli, a Vittorio e a tutti gli amici.
Camillo ».
Questa lettera è un chiaro documento dello stato d'animo che regnava allora
tra gli esponenti maggiori dell'Opposizione aventiniana.
Tramontata ogni speranza di intervento reale - sul quale era stato fatto
errato aHidamento, essendosene reso maHevadore Giovanni Amendola, cioè l'uomo
che aveva meritatamente la più grande autorità in seno al Comitato Nazionale delle
Opposizioni - si confidava ancota, come si vede, nel « lento ma progressivo dissolvimento della maggioranza mussoliniana, particolarmente nel Senato ».
Gli avvenimenti ebbero un decorso assai diverso e quel «dissolvimento»
fu prevenuto da un nuovo atto di forza del regime, sboccato più tardi nelle leggi
eccezionali e nel Tribunale speciale. Solo qualche mese dopo si appalesò apertamente agli antifascisti - ed anche a coloro che come Prampolini non mancarono di
una profonda chiaroveggenza politica - che la « battaglia morale» ingaggiata nel
Paese contro il regime era da considerarsi irreparabilmente perduta.
Fu errata la tattica seguita dall'Aventino e sconsigliata da Giolitti? Fu la democrazia italiana sopraffatta - a differenza di quella pugnace avanguardia che
trent'anni prima aveva lottato contro Crispi e Pelloux - per la mancanza di audaci
e risoluti uomini d'azione?
Non è temerario pensare che una mezza dozzina d'uomini dello stampo
di Giacomo Matteotti avrebbe potuto, nell'estate-autunno 1924, alla testa dell'Opposizione antifascista, invertire le sorti della lotta e pervenire all'abbattimento dell'autocrate ancora agli inizi della sua tragica avventura.
FRANCESCO BELLENTANI
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alla legge sulle Concessioni Governative, commessa sempre nelle circostanze di
cui sopra.
Assolti dalla Corte d'Assise di Reggio con sentenza 20 ottobre 1925.
«La notizia suscita una grande imponente esplosione di gioia e di grida e
Alalà, tutti sono in delirio e si agitano e cantano, si abbracciano ».
Giornale di Reggio, 21 ottobre 1925.
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venzione di cui agli artt. 372 u.p. 1 e 5 R.D. 3 agosto 1919 n. 1360, per aver omesso di denunziare le armi di cui al precedente capo d'imputazione.
Il SecchieHi Cesar,e del delitto di cui all'art. 372 u.p. c.p. per avere nelle
suddette circostanze di tempo e di luogo mediante percosse con bastone cagionato
ad Alberghi Olinto, lesioni guaribili entro lO giorni.
Alberghi Giuliano del delitto di cui all'art. 372 u.p. c.p., per avere anche
nelle suddette circostanze di luogo e di tempo mediante percosse con una bottiglia senza fini di uccidere, cagionato a Carmana Natale lesioni guarite entro lO
giorni. Assolti dalla Corte d'Assise di Reggio con sentenza .31 luglio 1924 per
amnistia.
1) Carretti Antonio di Giovanni, di anni 21 residente a Villa Masone.
Imputato:
di avere unitamente a tre individui percosso Tirabassi Luigi, ,arree'andogli
lesioni ad un occhio, al dorso ed alla milza che ne cagionarono la morte avvenuta
il 13 maggio 1926.
Assolto con sentenza della Corte d'Assiste di Reggio in data 9 novembre 1925.
« Scoppiano nell' aula applausi ».
Giornale di Reggio, lO novembre 1926.
1) Calvi Vittorio fu Luigi, di anni 20 da Reggio Emilia.
2) Notari Vincenzo di Leandro, di anni 19 da Reggio Emilia.
3) Bonilauri Giuseppe di Gaetano, di anni 18 da Reggio Emilia.
4) Bonilauri Venceslao di Gaetano, di anni 17 da Reggio Emilia.
Imputati:
il Calvi, il Notari e i due fratelli Bonilauri: a) di omicidio per avere in
correità fra loro, la sera del 28 febbraio 1924 in Reggio Emilia, a fine di uccidere
e con premeditazione, cagionato la morte di Picccinini Antonio, percuotendolo con
bastoni e sparandogli contro più colpi di rivoltella; b) di sequestro di persona per
avere nelle stesse circostanze di tempo e di luogo, in correità fra loro, facendo uso,
prima di inganno, poi dÌ minaccia privato illegittimamente il Piccinini Antonio della
libertà personale per fini di vendetta onde tradurlo contro sua volontà, dal luogo
di sua abitazione fino ad una località remota da essi designata; c) di contravvenzioni sempre per avere nelle anzidette circostanze portate fuori delle rispettive abitazioni e delle appartenenze di esse, in luogo abitato e senza licenza della competente Autorità pistole automatiche; d) di contravvenzione per non aver pagato per
il porto d'armi di cui al precedente capo la tassa di Concessione Governativa; e) di
contravvenzione per aver omesso di denunciare alle competenti autorità le armi
'possedute; f) di violenza privata per avere il 22 febbraio 1924 in Reggio Emilia
in correità fra loro, armati di pistole e bastoni, usato violenze e minacce per costringere Magnani Rodolfo a subire una perquisizione nel suo domicilio e sequestro
di carte e documenti di sua spettanza, e ad astenersi dal rivelare a chicchesia quanto avevano commesso, conseguendo l'intento; g) di altra contravvenzione di porto
abusivo di pistola commesso nelle circostanze suddette; hl di altra contrr.vvenzione
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Nerbini Renato da Firenze, giornalista.
Imputato:
di lesioni personali volontarie mancate per avere in Reggio, nel 18 gennaio
1924, senza fine di uccidere, esploso vari colpi di rivoltella contro il dotto Antonio
Cagnolati, senza colpirlo, per circostanze indipendenti alla sua volontà.
Assolto dal Tribunale di Reggio con sentenza, 3 giugno 1924. Dal reato
di cui sopra: condannato a mesi due e giorni 12 per il porto d'armi con la condizionale.
Nell'aula durante l'udienza il testimone Don Cipriano Ferrari fu percosso
ed insultato; i giovani cattolici Davolio Marani Leo e Romolotti Goffredo vennero schiaffeggiati, altri costretti a togliersi il distintivo e ad allontanarsi; percosso
a sangue il reduce di guerra Ubaldo Guidetti.
1) Carmana Nello di Innocenzo, nato il lO maggio 1891 da Marciana Marina, calzolaio.
2) Carmana Luigi Francesco di Davide, nato il 25 gennaio 1898 da Capoliveri (Livorno), contadino.
3) Secchielli Cesare di Domenico, nato il 2 dicembre 1897 da Villa Minozzo, contadino.
4) Alberghi Galliano fu Domenico, nato il 25 giugno 1897 da Villa Minozzo, contadino.
Imputati:
i due Carmana: a) del delitto di cui agli artt. 63, 364 c.p. per avere in
Cervarolo di Villa Minozzo il lO luglio 1923, in correità fra loro a fine di uccidere
mediante colpi di rivoltella o pistola, cagionato a Beltrami Armando, una lesione
alla regione lombare destra penetrante nella cavità addominale che fu causa della
di lui morte avvenuta in Modena il 3 dello stesso mese; b) del delitto di cui agli
artt. 62, 63, 364 c.p. per avere nella stessa circostanza di luogo e di tempo, anche
in correità fra loro, al fine di uccidere, esploso vari colpi di rivoltella o pistola
contro Alberghi Luciano, cagionandogli una lesione dalla quale derivò malattia
ed incapacità ad attend,ere alle sue ordinatie occupazioni durata oltre venti giorni,
compiendo tutto ciò che era necessario per la di lui uccisione che non avvenne
per circostanze indipendenti alla loro volontà; c) del delitto di cui agli artt. 62, 63,
364 c.p. per avere nelle suddette circostanze di tempo e di luogo in correità fra
loro a fine di uccidere, sparati vari colpi di rivoltella o pistola contro Alberghi
Ludovico, compiendo tutto ciò che era necessario per la di lui uccisione che non
avvenne per circostanze indipendenti dalla loro volontà; d) del delitto di cui agli
artt. 62, 63, 364 c.p. per avere sempre nelle medesime circostanze di tempo e di
luogo in correità fra loro al fine di uccidere, esplosi vari colpi di rivoltella o pistola
contro Zambonini Giuseppe compiendo tutto ciò che era necessario per la di lui uccisione che non avvenne per circostanze indipendenti alla loro volontà; e) della contravvenzione prevista dagli artt. 464 n. 1 c.p. e 1 e 3 R.D. 28 dicembre 1922
n. 1626, R.D. 18 mano 1921 n. 549 per avere, ciascuno nelle suddeue circostanze
di tempo 'e luogo portato fuori dalla propria abitazione ed appartenenze di essa una
rivoltella o pistola automatica senza aver pagato la dovuta tassa; f) della oontrav-
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avvenne dopo pochi minuti; è accusato di avere mediante colpo di arma da fuoco
(rivoltella) cagionato a Denti Carolina una lesione al piede sinistro, che le cagionò
malattia durata 30 giorni con incapacità di attendere alle proprie occupazioni; è
imputato inoltre di avere contravvenuto al porto d'arma, perché senza licenza e di
avere omessa la prescritta denuncia dell'arma.
Ferrari, Veroncelli, Cottafavi, COl'radi, Preti, sono tutti accusati di avere
concorso in omicidio premeditato in danno di Barbieri Agide, rafforzando nel Lodi
la risoluzione di commettere, promettendo assistenza ed aiuto dopo il reato facilitandone l'esecuzione col prestare assistenza prima e dopo il fatto,
Assoluzione con sentenza della Corte d'Assise di Reggio in data 21-12-1922.
«Scoppiano nella sala grandi applausi; agli assolti vengonr; offerti grandi
mazzi di fiori ».
Giornale di Reggio, 22 dicembre 1922.
1) Borghi Florindo di Pietro di anni 23 residente a San Martino in Rio,
Imputato:
a) in San Martino in Rio, la sera del 25 settembre 1922, a fine di uccidere
cagionata la morte di Vezzani Adolfo, mediante un colpo di rivoltella;
b) nelle stesse circostanze di tempo e di luogo usate minacce impugnando
un bastone per costringere Vezzani Gildo a fuggire da casa conseguendo !'intento,
(art. 154 cap. c.p.) e di avere sempre nelle predette circostanze, niedianteun colpo
di bastone cagionata a Vezzani Umberto una lesione al capo guarita in giorni 8
(art. 382).
Assolto con sentenza della Corte d'Assise, l° marzo 1923 per l'amnistia.
1) Bottazzi Pellegrino di Alessandro, di anni 34 residente a Montericco,
contadino.
2) Bottazzi Marino di Alessandro, di anni 32 residente a Ventoso di Scandiano, cascinaio.
3) Signori Argo-Valter fu Matteo di anni 29, residente a Scandiano, impiegato.
Imputati:
Bottazzi Pellegrino: a) di avere in Scandiano il 13 novembre 1922, con atti
diretti a commettere una lesione personale, e doè con un colpo di rivoltella, spa.rato contro la porta dietro la quale si era riparato Romoli Umberto, cagionando
la di lui morte; b) di avere nelle dette circostanze portato fuori dalla propria abitazione e sue appartenenze una pistola automatica senza licenza dell'Autorità competente; senza aver pagato la tassa per ottenerla ed aver omesso di denunciare
il possesso dell' arma.
Il Bottazzi Marino e Signori Argo: a) di avere il giorno 13 novembre 1922
in Scandiano, usato violenza e minacce per costringere Romoli Umberto a fermare
il camion che conduceva e a scendere ottenendo l'intento; b) di lesioni volontarie
aggravate per avere nelle dette drcostanze mediante colpi di bastone e con premeditazione cagionato diverse contusioni al detto Romoli Umberto.
Assolti con sentenza della Corte d'Assise di Reggio in data 7 marzo 1923
per amnistia.
«Scoppiano nell'aula fragorosi applausi ».
Giornale di Reggio, 8 marzo 1923.
formata una squadra che al canto degli inni e con in testa il gagliardetto ... accompagna i liberati dal carcere ».
Giornale di Reggio, 7 dicembre 1922.
1) Campani Giacomo di Fortunato, di anni 19 da S. Polo d'Enza, contadino.
2) Resta Nino fu Giuseppe, di anni 22 da Agnone (Isernia), 'ramru.o s'enza
fissa dimora.
Imputati:
. di ·avere in Puianello di Vezzano sul Crostolo, il 12 marzo 1922, in correità
fra loro eal fine di uccidere, mediante colpi di bastone, cagionato la morte di Tenéggi Armando, calzolaio, avvenuta il 13 marzo all'Ospedale di Reggio.
Assolti dalla Corte d'Assise di Reggio con sentenza 11 dicembre 1922.
«Si rinnovano nell'aula fragorosi applausi, mentre alcune giovani fasciste
vanno ad offrire mazzi di fiori ai due assolti ».
,..
Giornale di Reggio, 12 dicembre 1922.
1) Maiocchi Luigi fu Angelo, di anni 34, facchino della stazione ferroviaria.
2) lotti Umberto detto Macioli, di anni 34, facchino alla stazione ferroviaria.
3) Iori Giacomo fu Vincenzo, di anni 28, commerciante.
Imputati:
di avere in Pieve Modolena di Reggio E., il 22 maggio 1922, al fine di uccidere il Maiocchi Luigi mediante colpi di rivoltella, il Iori e il lotti mediante colpi di
bastone, cagionata la morte di Ferretti Evaristo con la circostanza aggravante della
premeditazione. Il Maiocchi inoltre imputato di avere nelle predette circostanze di
tempo e di luogo portato fuori dalla propria abitazione e sue dipendenze una
rivoltella:
a) senza licenza delle Autorità competenti;
b ) senza avere pagata la tassa per ottenerla;
·c) di avere omessa la denuncia di detta arma.
Assolti con sentenza della Corte d'Assise di Reggio, in data 14 dicembre '22.
«Vengono offerti grandi mazzi di fiori da signorine fasciste... si forma
un numeroso corteo che accompagna i liberati ».
Giornale eli Reggio, 15 dicembre 1922.
1) Lodi Enrico di Vittorio, di anni 30 da Carpi, muratore.
2) Ferrari Severino fu Gildo, di anni 22 da Rubiera, agricoltore.
3) Veroncelli Ugo di ignoti, di anni 25 da Reggio, cascinaio.
4) Cottafavi Guido di Cesare, di anni 35 da S. Martino in Rio, agricoltore.
5) Corradi Primo fu Luigi, di anni 24 da Argenta, fabbro.
6) Preti Giambattista fu Piet1'O,di anni 24 da San Martino in Rio, commesso di negozio.
Imputati:
Il Lodi di avere in San Martino in Rio, nel 13 novembre 1921, con premeditazione al fine di uccidere, causata la morte di Barbieri Agide, mediante un
colpò di rivoltella che, penetrando nella cavità toracica e addominale, perforò il
polmone sinistro, il ventricolo sinistro del cuore e il fegato. La morte del Barbieri
35
1) Carpi Leonida di Onorato, nato il 14 gennaio 1897 da Cadelbosco Sopra, violinista.
2) Losi Giovanni di Giacomo, nato il 7 nov. 1898 da Guastalla, contadino.
3) Franchi Silvestro fu Arcangelo, nato il 4 maggio 1893 da Luzzara.
4) Fiaccadori Nino di Ciro, nato il 23 dicembre 1904, studente.
Imputati:
a) di avere in Luzzara, n 5 maggio 1921, in correità fra loro a fine di uccidere, esploso contro Siliprandi Riccardo vari colpi di rivoltella cagionandogli
una lesione penetra:nte nella scatola cranica che fu causa unica e determinante deHa
morte avvenuta quasi immediatamente.
b) di avere in Luzzara, il 5 maggio 1921, in unione e correità fra loro,
usata minaccia a mano armata di rivoltella e bastoni contro Callisto Bizzocchi, Ruggero Ghiselli e Riccardo Siliprandi allo scopo di costringerli a lasciarsi perquisire
conseguendo l'intento.
c) di avere nelle suddette circostanze di tempo e luogo portato ciascuno in
luogo pubblico una rivoltella senza licenza, senza aver pagato la tassa relativa e
senza aver fatto la regolare denuncia.
Assolti con sentenza della Corte d'Assise di Reggio, in data 30 novembre 1922.
«Scoppiano nuovissimi prolungati applausi. Dal fondo della sala si intona
l'inno fascista e si gridano degli Eia, eia alalà, mentre alcune giovinette fasciste
offrono grandi mazzi di fiori ai liberati ».
Giornale di Reggio, 10 ottobre 1922.
1) Spaggiari Antonio di Ambrogio, di anni 27 da Pieve Rossa di Bagnolo
contadino.
2) Pizzelli Felice fu Luigi, di anni 25 da Villa Seta, manovale.
3) Veronesi Antonio di Anselmo, di anni 29 da Villa Argine, agricoltore.
4) Gasparini Angelo di Alessandro, di anni 22 da Villa Argine, agricoltore.
Imputati:
Spaggiari e Pizzi, di avere in Villa Seta nel 19 marzo 1922, per solo impulso di malvagia brutalità a fine di uccidere, esploso contro Arduini Armando
numerosi colpi di rivoltella automatica, causandogli 5 lesioni delle quali tre penetranti nella cavità cranica, che furono causa determinante della morte dell'Arduini,
avvenuta immediatamente.
Gasparini e Veronesi, di coneità nel suddetto delitto d'omicidio volontario,
per essere concorsi nell'esecuzione dello stesso come cooperatori immediati.
Lo Spaggiari, inoltre, imputato di avere nelle suddette circostanze di tempo
e di luogo fatto esplodere a fine di uccidere un colpo di arma da fuoco contro
Arduini, ma per errore di avere colpito Veronesi Antonio, causandogli una lesione
alla coscia sinistra dalla quale derivò una malattia duratagli oltre settanta giorni.
Spaggiari, Pinelli e Veronesi di avere nelle suddette circostanze portato fuori dalla propria abitazione ed appartenenze di essa una rivoltella ciascuno senza
licenza, senza avere pagato la tassa e s-enza aver fatto denuncia delrarma.
Assolti dalla Corte d'Assise di Reggio con sentenza in data 6 dicembl1e 1922.
«N.umerosi fascisti alla loro uscita li acclamarono fragorosamente e venne
34
altre persone rimaste sconosciute, esploso colpi di rivoltella contro Francescotti
Primo, producendogli ben 50 ferite delle quali una all'ipercardio e l'altra all'intestino che furono causa diretta della di lui morte avvenuta quasi immediatamente.
b) di concorso in omicidio volontario di che agli artt. 6.3, 364 c.p. per avere
nelle suddette circostanze di luogo e di tempo ed in correità fra di loro e di altri
rimasti sconosciuti, esploso colpi di rivoltella contro Barilli Andrea, producendogli
una lesione all'addome che fu causa diretta della di lui morte avvenut!a quasi istantaneamente.
c) di concorso in mancato omicidio ai sensi degli artt. 63, 62, 364 c.p. per
avere come sopra esploso contro Mazzali Pellegrino colpi di arma da fuoco, cagionandogli una lesione al collo guarita in giorni 19, compiendo tutto ciò che era necessario alla consumazione dell'omicidio che non avvenne per circostanze indipendenti dalla loro volontà.
Il Fortunati ed il Mazzali: di concorso in mancato omicidio di che agli
artt. 63, 62, 364 c.p. per avere nelle suddette circostanze al fine di uccidere in
correità fra loro e con altri rimasti sconosciuti, esploso contro Fornaciari, colpi di
rivoltella, uno dei quali colpì il Fornaciari, compiendo tutto ciò che era necessario
all'uccisione della suindicata persona, che non avvenne in circostanze indipendenti
dalla loro volontà.
Tutti gli altri altresì:
a) di porto abusivo di rivoltella, arma da fuoco a sensi degli artt. 464 n. 2
c.p. e tabella A n. 15 del D.L. 6 gennaio 1918 n. 135, per avere nelle suddette
circostanze portati fuori dalle proprie abitaf:ioni ed appartenenze di esse rivoltelle
ed il Guidetti anche un moschetto senza licenza delle autorità e senza il pagamento
della tassa sulle Concessioni Governative.
b) del reato di cui agli artt. 1 e 5 del R.D. 3 agosto 1919 n. 1360, per
avere ne1le circostanze di tempo e di luogo accennate omesso la prescritta denuncia
delle armi stesse.
L'Incerti, il Ferrari ed il Cerioli, del delitto di cui all'art. 225 p.p. c.p., per
avere nellO maggio 1921 'e nel dì seguente in Bibbiano e Cavriago prestato aiuto a
Fortunati Ugo, a sottrarsi alla ricerca delle autorità.
Assolti dalla Corte d'Assise di Reggio Emilia, con sentenza 11 febbraio '22.
« Il Guidetti ed il Fornaciari furono portati in trionfo mentre li seguiva ...
un imponentissimo corteo ... al canto degli inni fascisti ».
Giornale di Reggio, 12 febbraio 1922.
Alberto Voltolini fu Giovanni, di anni 25 da Correggio;
2) Umberto Luzzani di Riccardo, di anni 22 da Rubiera.
Imputati:
1) di avere ucciso Andrea Neviani e Armando Morselli il 5 maggio 1921
a Rubiera.
Assolti dalla Corte d'Assise di Reggio, con sentenza 22 novembre 1922.
«Scoppiano fragorosissimi applausi nel!'aula, mentre alcune giovinette vanno ad offrire grossi mazzi di fioti ai due ancora rinchiusi in gabbia ».
Giornale di Reggio) 22 settembre 1922.
33
nelle suddette circostanze di tempo e di luogo omesso la denuncia prescritta del·
l'arma suddetta.
c) di porto abusivo di fucile art. 464 p.p.c.p. Tabella A n. 15 del D.L. 4
gennaio 1918 n. 165 per avere come sopra portato fuori dalla propria abitazione
e delle appartenenze di un fucile senza licenza della autorità e senza pagamento
delle tasse sulle concessioni governative.
d) del reato di che agli artt. 1 e 5 del R.D. 5 agosto 1919 n. 1860 per
avere nelle suddette circostanze di tempo e di luogo omesso la prescritta denuncia
del fucile stesso.
Il Rossini, il Rossetti, il Marani, il Ricchi, il Soprani, ed il Gaioni:
a) di reato di violenze private contro Martini Arturo e Botti Medardo per·
chè usando minacce in unione ad altro ora deceduto in località Bussolino di Novellam imposero ai detti Martini e Botti di fermarsi ottenendo lo scopo nei riguardi del
secondo, articolo 154 c.p.
b) di correità in lesioni in danno di Martini Arturo, contro il quale sulle
circostanze di cui sopra, fu sparato un colpo di fucile, cagionandogli lesioni guarite
in giorni lO, art. 72 pp. e 373 c.p.
Il Ferrari Adolfo, Savini Nino, Beltrami Giovanni e Salati Lodovico:
a) di violenze private per avere costretto Loschi Ernesto e Gozzi Ida di
Novellara, di subire una perquisizione nel loro domicilio e Ernesto a fuggire per
sottrarsi a minacciate violenze, art. 154 p.p. c.p.
b) di violazione di domicilio per essersi arbitrariamente introdotti di notte
con armi e in più persone riunite nella abitazione di Loschi Ernesto· e Gozzi
Ida, articoli 157 cap. c.p.
c) di porto abusivo di rivoltella senza licenza art. 454 legge sulle Concessioni Governative.
d) omessa denuncia di possesso di rivoltella art. 15 D.L. 15 agosto 1910 in
Novellara il lO maggio 1921.
Assolti con sentenza della Corte d'Assise di Reggio in data 2 febbraio 1922.
«I prigionieri liberati vennero abbracciati e baciati con effusioni ed entu·
siasmo da moltissimi presenti ... i fascisti quindi radunatisi ed inquadrati in corteo .. ,
sempre cantando i loro fatidici inni girarono per la città ».
Giornale di Reggio, 3 febbraio 1922.
1) Fornaciari Italo di Sante, nato il 14 maggio 1896, da Cavriago.
2) Guidetti Luigi Cesare Augusto di Guido, nato il 30 novembre 1900 da
Cavriago, studente universitario.
3) Fortunati Ugo di Alfredo, nato il 12 settembre 1899 da Roma.
4) Mazzali Pellegrino di Andrea, nato il 29 ottobre 1888 da Cavriago.
5) Incerti Guglielmo, nato il 16 maggio 1869 da Bibbiano, contadino.
6) Cerioli Bervino di Venerio, nato il 24 febbraio 1890 da Cavriago, mecc.
7) Ferrari Giovanni di Vincenzo, nato il 13 luglio 1890 da Cavriago, fale·
gname.
Imputati:
il Fornaciari ed il Guidetti
a) di concorso in omicidio volontario di cui agli artt. 63, 364 c.p. per avere
in Cavriago ilIO maggio 1921 a fine di uccidere ed in correità fra di loro e con
32
festeggiamenti venivano preparati prima ancora che fosse letto il dispositivo della sentenza.
L'udienza era seguita a mezzo di informazioni telefoniche, dal prefetto il
quale comunicava le decisioni da prendere nel caso di incidenti procedurali o nel
caso che si fosse reso opportuno un rinvio.
Oltre le sentenze dell'Autorità giudiziaria, venivano presi provvedimenti
in sede amministrativa dagli organi di polizia mediante misure di sicurezza: sorveglianza speciale, diffida, ammonizione e confino. L'elenco che segue si riferisce
unicamente i processi celebrati avanti la Corte d'Assise di Reggio Emilia fino
all'istituzione del Tribunale speciale con la legge del 25 novembre 1926 n. 2008.
Sono state escluse quelle sentenze che hanno deciso di conflitti tra fascisti
e avversari politici perché queste ultime riguardano la resistenza al fascismo degli
antifascisti i quali non subirono sempre la violenza fascista, ma si difesero e lottarono talora anche con le armi.
1) Mariani Cerati Enzo fu Pietro di anni 31, da Novella!ra, ragioniere.
2) Pigozzi Galliano di Luca, di anni 22, da Novellara, negoziante.
3) Taschini Ferrante di anni 27 da Novellara, negoziante.
4) Berni Adriano di Cesare di anni 21, da Novellara.
5) Lombardini Bruno fu Giulio di anni 25, da Novellara.
6) Noci Enrico di Bartolomeo di anni 30. da S. Oreste di Roma.
7) Luppi Angelo di Augusto di anni 25, da Novellara, studente.
8) Rossini Amedeo di Enrico di anni 31, da Fabbrico, meccanico.
9) Marani Realmo di Enrico di anni 31, da Fabbrico, contadino.
lO) Rossetti Vittorio di anni 18, da Fabbrico, muratore.
11) Ricchi Cesare di Telesforo di anni 20, da Fabbrico, muratore.
12) Soprani Leonida fu Arcangelo di anni 21, da Fabbrico, contadino.
13) Gaioni Antonio di Lamberto di anni 20, da Carpi.
14) Ferrari Adolfo fu Lamberto, di anni 20, da Novellara.
15) Savini Nino di Vittorio di anni 19, da Novellara.
16) Battini Giovanni fu Argeo di anni 19, da Carpi.
17) Salati Lodovico di anni 18, da Novellara
imputati di:
I primi sette di complicità corrispettiva ai sensi dell'art. 378 c.p. del delitto
di che all'art. 364 detto codice per avere in quel di Novellara nella notte dal 26 al
27 maggio 1921 al fine di uccidere partecipato all'omicidio di Loschi Ernesto prodotto mediante lesione di colpo di rivoltella, di cui non si conosce l'autore che
penetrando in cavità attraverso il polmone destro e fu causa unica ed immediata
della morte del Loschi.
Il Noci in suo particolare di porto abusivo di rivoltella, art. 461 n.r. c.p.
Tab. A.n. 15 D.L. 8 gennaio, 1918 n. 13.5 per avere nella suddetta circostanza portato fuori dalla propria abitazione e appartenenze di essa una rivoltella a corta misura senza licenza dell' autorità e senza pagamento delle tasse sulle concessioni
governative.
b) del reato di che agH artt. 1,5 del R.D. 3 agosto 1919 n. 1360 per avere
LE VIOLENZE FASCISTE IN PROVINCIA DI REGGIO EMILIA
(A cura di Giannino Degani)
continuazione
v
LA IMPUNITA' PER I FASCISTI
Sull'amministrazione della giustizia nel periodo fascista, il giornale La Giustizia del 3 febbraio 1922, osservava riferendosi alle violenze che continuamente
venivano commesse dai fascisti:
La Giustizia nulla sa. I suoi congegni tremano d'alacre, insualJJcabile attività quando devono accertare colpe e 'responsabj!1ità commesse da parbe di 'lavorator1i l'itenuti S'Ovversiv1, e s'arrestano come paralizzati quando sirratta di scoprire reati e colpevoH tra i nemici del proletariato.
Quelli che esultano come di un trionfo non s'a'VIVedono del discredito e della disistima
ohe questi fatti gettano sul1a Giustizia.
Nell'articolo La festa della Magistratura, pubblicato nel numero del 12-13
agosto 1922, La Giustizia ritornava sull'impunità dei fascisti. L'intervento della
polizia, normalmente, avveniva quando la violenza da parte fascista era già stata
compiuta ed il più delle volte veniva arrestata la vittima. Oppure, l'intervento
precedeva l'azione fascista delle cosiddette «spedizioni punitive », con perquisizioni nelle case del luogo ove sarebbero andati i fascisti, al fine di ricercarvi e prelevare le armi che avrebbero potuto servire per la difesa.
Dopo l'elencazione dei delitti numerosissimi commessi, il numero dei procedimenti penali contro fascisti appare eccessivamente esiguo.
Ciò dipese dagli organi di polizia o dall'autorità giudiziaria che non promuoveva d'ufficio le azioni, o dalle parti lese che non presentavano le querele e
le denunce non avendo fiducia nella giustizia che già si era manifestata nella quasi
totalità dei casi come giustizia di parte fascista. A volte le parti lese venivano impedite a promuovere azioni giudiziarie da minacce di rappresaglia estese anche ai familiari, o venivano impedite fisicamente perchè nel momento in cui salivano le scale
del tribunale, veniva loro interdetto l'accesso agli uffici da scherani fascisti con minacce o con violenze sulla persona. Ma anche quando fascisti, per il clamore suscitato dal delitto, venivano rinviati a giudizio, seguiva quasi sempre l'assoluzione o
condanne a pene tali da comportare la loro immediata scarcerazione; in ogni caso
suppliva il decreto d'amnisùa del 31 ottobre 1923 promulgato ad hoc.
Le udienze della Corte d'Assise nei processi contro fascisti si svolgevano
alla presenza di numerosissimi fascisti in divisa. Gli assolti venivano festeggiati ed i
SUI MONTI D'ITALIA
Memorie di un garibaldino russo
II
La prima parte del libro, col titolo «La vita dei Cervi nell'autunno
1943 vista da Anatolij T tlJrasov », è stata pubblicata sul n. 20/21 della
nostra Rivista .
... La pioggia colava giù dai vetri della corriera, in gocce turgide e limpide,
come lacrime. «L'ultimo viaggio! ». Ma dentro di me restava ancora una certa
vaga speranza di salvezza. Che mai pensava in quel momento, mia madre del figlio?
E di colpo mi sovvenni della mia città natale,· e del cortiletto aperto sulla
via, dove avevo passato tutta la mia spensierata fanciullezza.
Mi ricordai della piccola fabbrica, dove quindicenne cominciai a lavorare
col collettivo assieme ad altri miei coetanei. Tanto ero preso da questi intimi
ricordi, che mi pareva proprio di andare là ad incontrarmi con questi amici, che
la guerra aveva così crudelmente divisi.
Ma perché non potevo muovere le mani? Ah, erano legate!. .. E tutto intorno
vi erano ceffi sconosciuti, con elmetti e pistole ...
Ricordandomi come vennero impiccati i partigiani, nel villaggio presso
Luga, dove fui fatto prigioniero, mi sovvenni che anche ora poteva accadere la stessa
cosa a me. Nascondendo le lacrime, in quel momento di debolezza, mi vedevo già
sulla forca in una piazza gremita di gente ... Oh, almeno ci fosse stato il popolo.
Dinnanzi a noi si spalancarono le porte della caserma « Cavallo Bianco » (1)
quindi, attraversato un cortile sotto scorta, ci gettarono in una piccola cella con
inferriate alla finestra. Attaccata al muro stava un tavolaccio di grezze assi inchiodate: nessuno di noi sedette.
Dopo un po' ci portarono del brodo e del pane. Ma valeva la pena di mangiare ora?
In quei minuti pesanti di sconforto, Aldo Cervi prese a parlare di come
si doveva agire in caso di probabile processo: - Durante l'interrogatario prenderemo tutta la colpa io e Gelinda, dicendo che gli altri non c'entravano in tutta
questa faccenda. E voi - diss'egli rivolgendosi a noi stranieri - non fate nomi
di persone né dite delle azioni che avete fatto; dite loro che eravate venuti a casa
nostra da poco, solo per rifugiarvi e nello stesso tempo rifocillarvi.
Aldo in quel mO'mento non faceva come me, che mi preoccupavo solo della
mia pelle; prima di pensare a se stesso, si preoccupava della vita dei fratelli, di
(1) Così erano chiamate da qualcuno le «carceri dei Servi» (ave venivano rkmohius'l
per 10 prigioll'ieci a disposizione delLa GN.R.) pwbahHmenre perohé un tal soprannome, «Cavallino bianco », a'Veva il ten. Cesare Caglieri, uno degli inquirenti. CDr. Risposta a un libello, in
«Ricerche Storiohe» n. 17 del ·luoglio 1970, pago 125.
42
quella del padre e di tutta la famiglia, ed anche di noi, gente di varie nazionalità
e continenti.
Il vecchio Alcide Cervi, che fino a quel momento aveva ascoltato tutto
in silenzio, al ragionamento di Aldo, saltò su a dire con convinzione: - Ma essi
non possono far niente contro di noi! - Qui egli palesò in modo evidente la sua
anima di padre, che non voleva sacrificare nemmeno uno dei suoi figli. Bisognava
che essi tornassero tutti con lui dalla madre, perché era ormai tempo di arare e seminare la terra. Dove poi i figli avrebbero fatto buoni raccolti, da sfamare i loro
bambini e tant'altra gente straniera! Ecco perché nessuno aveva il diritto di strappare i suoi figli alla terra per fargli del male.
P.er me, anche dopo, quando passerò dal parmense al veronese a fare casematte per i tedeschi, e riuscirò a fuggire di nuovo: il primo pensiero, appena libero,
sarà quello di raggiungere la provincia di Reggio Emilia, per ritrovarmi in quei luoghi dove avevano vissuto e lottavo i fratelli Cervi. Ma prima di poter far ciò
dovrò seguire tutto quello che mi avrà preparato il destino.
Stridette il catenaccio ed un milite entrando, disse: - Chi di voi è straniero? - Lo confermammo in cinque, (tra questi figurava anche Dante che, ben
conoscendo il francese, si era spacciato per un soldato di De Gaulle).
Usciti dinnilnzi al milite, ci misero in un'altra cella.
La forte tensione nervosa mi impediva di prendere sonno, e non riuscendo
a chiudere le palpebre il mio sguardo girovagava qua e là; ad un tratto dalla paglia
scorsi la cima di un bastone, chissà come mai capitato là.
- YeppyEgli s'alzò rapido; a tutti e due, alla vista del bastone, balenò nel medesimo
istante l'idea della fuga.
Facemmo subito un piano d'azione: due di noi si sarebbero messi alla porta
e quando entrava il milite, giù. Ma quando di nuovo stridette il catenaccio, i militi
erano in due; e, con rivoltelle alla mano, spinsero fuori me e Yeppy.
Passando dinnanzi alla sua cella, vedemmo Aldo Cervi che ci guardava: anche
se non potevamo dirci una parola, dal suo sguardo, calmo e sicuro come sempre,
capimmo che continuava ad essere fermo in quel suo proposito che ci aveva spiegato prima.
Ed eccoci giunti all'ultimo piano. La piccola stanza dove ci fecero entrare,
era piena di ufficiali fascisti. Dalla finestra aperta, si scorgeva il muro color giallo
sporco della casa accanto.
Qual è il russo di voi due? Scambiai un'occhiata d'intesa con Yeppy.
- Scusate signore, ma noi capire poco italiano ... molto poco - A si eh, lo capite poco?! - disse con un sorriso beffardo, picchiando
con la matita sul tavolo, l'ufficiale che ci interrogava. - Ed invece, guarda caso,
noi vi conosciamo aSSili bene. - Non perdete la calma, capitano. - Lo so signor colonnello, ma san le risposte impudenti di questi due banditi che mi fanno arrabbiare. -
- Ma quel che di più mi ha fatto indignare di loro, è stata l'impudenza
che hanno usato nel disarmare le caserme. - Qui il colonnello ci guardò e disse:
- Ah, allora non volete parlare? Bene, bene - prese un natis e aprendocelo sotto
gli occhi, disse:
- Li conoscete questi? Sul natis, vi erano scritti tutti i nomi e gli indirizzi di quelli che avevano
frequentato la casa Cervi.
S'aprÌ la porta, ed ecco entrare uno di quei carabinieri che avevamo disar·
mato in una guarnigione a valle. (2)
- Sono loro, loro! - cominciò egli a dire appena entrato.
Noi non dicemmo parola. Ci portarono via.
Scendeva il crepuscolo, ed il muro della casa di fronte si era fatto grigioscuro
Giù, sentimmo fermarsi una macchina, e nel corridoio portarono Dante, Basti e l'al·
tra inglese. Proprio in quel momento mi venne un'acuta voglia di fuggire. Istantaneamente mi balenò un pensiero: ecco la finestra, un salto, e giù ... In quell'attimo,
nemmeno mi sfiorava il pensiero che potevo farmi male cadendo; mi vedevo soltanto
correre sano e salvo, di nuovo in libertà.
Da quando eravamo stati catturati, non avevo ancora fumato; cosÌ mi rivolsi ad un soldato vicino e gli chiesi una sigaretta, che lui subito mi diede. Lo
ringraziai e, senza nemmeno tossire, cominciai ad aspirare il fumo a forti boccate.
Sentivo che là non ci sarei rimasto per molto: o vivo o morto sa'rei uscito
da quella prigione.
Vi fu presto un altro interrogatorio. Questa volta il milite restò di guardia
alla porta, e nella cella entrò un ufficiale tedesco seguito da un colonnello italiano.
- Niente, niente, colonnello, non disturbatevi! Ho già indovinato chi è il
russo, - disse l'ufficiale tedesco posando subito gli occhi su di me - ecco mi
sembra proprio che sia stato quel biondino, a venire da voi, là a San Martino.
Bravo colonnello, sono proprio contento che abbiate catturato questa banda. Penso,
che avrete sicuramente informato della cosa il Quartier Generale, no? - Ma signore! Vi volevo dire che ... L'ufficiale tedesco gli troncò
in breve il discorso e, guardandosi intorno, disse:
- Sappiate colonnello, che mezz'ora fa alcuni ignoti hanno sequestrato
un'altra macchina, ed eludendo la sorveglianza delle pattuglie che sono in giro
per la via Emilia sono riusciti a fuggire in montagna. Avete avuto troppa fretta ad
agire; bisognava aspettare di cogliere tutta la banda al' completo. Non vi siete accorto, quanti di loro mancano secondo la lista che avete sul natis? - Questi san stati di certo i nostri ragazzi - pensai io, tutto felice che
essi avessero potuto raggiungere sani e salvi la montagna. Ciò mi sollevò l'animo
all'istante. Dal modo come il tedesco guardava l'ufficiale italiano, il suo sgua'rdo
pareva che dicesse: - Voi con questo metodo non li annientate, ma li fate
moltiplicare! La notizia della nostra cattura, aveva fatto credere ai fascisti di aver sgominato tutto il distaccamento, e di aver portato con ciò di nuovo la calma in provincia. Ma ben presto apparve chiaro che le cose non erano andate così come speravano
i fascisti della caserma « Cavallo Bianco ».
(2) Allude aJ pres:dio dei Ca,mbinieri di S. Martino in Rh
44
Danilo intanto, venuto a sapere di quel che ci era accaduto, radunò al più
presto possibile gli altri membri russi e italiani che componevano il distaccamento
dei fratelli Cervi, con l'intenzione di dare l'assalto alla caserma del « Cavallo Bianco ». Impadronitisi di una macchina della polizia, si diress'ero immediatamente verso
Reggio; ma i numerosi posti di blocco installati in quei tempi ovunque in provincia,
assieme al fatto che avevano una macchina ricercata dalla polizia, non permisero
loro di raggiungere la città, e dovettero prendere la via dei monti.
Ma anche là i fascisti tesero loro un'imboscata, e, dopo una breve sparatoria,
essi dovettero getta're la macchina in un burrone e correre a nascondersi fra i
monti ... (3)
Intanto noi ricevemmo ben presto l'ordine di trasferirci in una gendarmeria tedesca di campagna.
Attorniati dai militi, dopo aver sceso le scale, uscimmo in cortile ... Là ci vide
Agostino Cervi, che informò subito della cosa gli altri fratelli. E quella, senza
saperlo, fu l'ultima volta che ci vedemmo.
Nello scantinato della gendarmeria di campagna, giungeva lento e greve il
battere delle ore dal campanile vicino ... Eravamo stanchi, e stretti l'un l'altro fummo presi dal sonno.
Al mattino fui chiamato all'interrogatorio. Nella piccola stanza ben illuminata
dove mi condussero, stavano seduti dietro un tavolo un ufficiale tedesco ed un altro
individuo, in borghese, che aveva la faccia della spia.
Conosci l'italiano? -- mi chiese l'ufficiale.
- No, il tedesco. - Molto bene - disse visibilmente contento l'ufficiale, ed alzandosi in
piedi sciorinò sul tavolo alcune carte topografiche della zona - Vedendo qui, forse
mi saprai rispondere: in quali altre case sei stato, all'infuori di casa Cervi? - In molte case. L'ufficiale subito mi chiese di mostrargli sulla carta topografica quali esse
erano.
- Signor Oberleutnant) - risposi io - voi sapete che ci menavano in
giro solo di notte, e di notte è difficile riconoscere le strade, tanto plU qUl 111
Italia, dove sono tante ... Si, qualche casa la ricordo, ma non so quali strade conducano ad esse. Qui l'ufficiale mi scrutò bene in viso, per vedere a fondo se avevo detto
la verità.
- Forse hai ragione,- mi disse poi egli cambiando tono - ma io penso
che quelli, che sequestrano le macchine e san tanto bravi ad orientarsi verso le caserme, almeno qualche strada se la dovrebbero ricordare ... To', prenditi questo, a
mo' d'esempio! E mi colpì con evidente piacere sul viso.
Mi riaccompagnarono giù nello scantinato, dove feci in tempo ad avvisare
gli altri dell'esito della mia istruttoria, prima che anch'essi venissero chiamati su;
e così potemmo comportarci tutti egualmente.
(3) Allude a~ fatto di Cinql.lecer,ri, runa sparatoria .avvenuta il 17-1-1944, nella qua:le
un miLite della GN,R, perì ed un altro rimase ferito,
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Di lì a poco, soldati tedeschi, impinguati da buoni cibi italiani, ci legarono
le mani, e, portatici in strada, ci fecero salire in macchina diretti a Parma ...
La caserma dove ci condussero era una vecchia fortezza (4) (nel cortile vi era
ancora una lapide ricordo, con incisi i nomi dei soldati italiani caduti in Africa).
Ora essa era tutta attorniata da filo spinato e guardata da sentinelle. Le sue finestre erano tutte sbarrate da inferriate.
Mentre io fui messo nella cella dei detenuti politici, Dante e Yeppy, li misero
nella cella accanto.
Venne il mattino. La finestra della cella era chiusa a metà da un muro
di mattoni. Intorno, sulle brande, i detenuti si domandavano pigramente l'un con
l'altro come avevano passato la notte.
Quando venne l'ora di colazione, ci fecero uscire in cortile; qui incontrai
Dante e Yeppy, con i quali concordai di nuovo di non dire niente all'interrogatorio,
solo che eravamo a casa Cervi da pochi giorni...
Ricevuto il nostro gotto di caffé e un pezzo di pane, ritornammo nelle nostre
celle.
Nella branda accanto a me, stava un uomo sulla trentina, con una giubba
scura da operaio.
Come ti trovi qui? - egli mi chiese, sorridendo con gli occhi un po'
socchiusi.
E voi è da molto tempo che siete qui? lo? Una bagattella, da un mese! - mi diss'egli con cantilena - E
perché sono qui? Per una sciocchezza da niente, ho detto del rospo a un tedesco! Gli altri in cella, risero, mentre il giovanotto sospirava, unendo le mani
a mo' di preghiera e levando gli occhi al soffitto: avevo già un amico.
- Eh si, bambini miei! Tutto questo l'ho fatto per un scopo ... Ora voi
restate qui in prigione, ed io me ne esco a trovare le vostre mogli ... E amen, chi
s'è visto, s'è visto! - I suoi occhi mi guardavano allegri. - Tutto può succedere
nella vita. lo evidentemente ho confuso i tempi, se avessi offeso un tedesco nel
periodo della prima guerra mondiale, sarei stato un eroe! Ed ora, perché ci travia·
ma qui in prigione? - continuò il giovanotto prendendo la posa di un propa·
gandista fascista. - Per la vittoria della nostra repubblica! Ma che cos'è questa
repubblica? Essa è il signor Benito ed io! - Nella cella s'udì ancora ridere. - Ed
ora abbiamo ancora tedeschi; ma questi sono altri ... Questi bisogna ringraziarli perché ci hanno occupato tutta l'Italia, e dobbiamo portare loro eterna riconoscenza
per questo po' di caffé e tozzo di pane che ci danno! Aprirono la porta ed un soldato chiamò forte un nome.
Si alzò un uomo anziano, che, preso il cappello sgualcito, s'avviò lentamente
verso la porta. Lo portavano dinnanzi al tribunale; lo guardammo tutti andarsene.
Quando fu sulla porta, si volse, e dal suo sguardo ci pareva che egli già sapesse
della sua condanna; quindi, rivolgendosi a noi, disse:
- Non abbandonate la mia famiglia. Dite loro che tornerò non appena mi
sarà possibile. Ma noi non lo vedemmo più tornare in cella.
(4) La Ciuadella.
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- Tu non sai, russo, - mi disse allora il cupo giovane dai ridenti occhi
socchiusi - quanto, noi italiani, sappiamo prendere allegramente anche i casi tristi
della vita ... Come tu puoi notare, le cose prese così sembrano più lievi ... Di giorno taceva ancora caldo e si usciva in giacca, ma alla sera si rinfrescava, così che alla notte fui preso da sudori e brividi di febbre; la testa mi era diventata pesante e mi f"ceva male.
Al mattino mi chiamarono giù, e fui fatto uscire dalla fortezza. Vedendo
che andavamo per le vie della città, pensai che mi portassero ad un interrogatorio.
Durante tutto il tempo del tragitto, il gend"rme tedesco tenne sempre la mano in
seno, dove avrà avuto di certo la pistola. Una bambina che incontrammo, per
nulla spaurita, mi disse:
- Buongiorno, zietto!
E vedendo la madre che cercava di trattenerla, corse av,mti ridendo.
Già da un po' di tempo camminavamo, quando il miò guardiano, levandosi la
mano dal seno, si f'fUgò nella tasca sinistra, di dove parve volesse togliere qualcosa.
Accorgendosi che lo guardavo, verificò se avevo le mani ben legate sotto la mantellina, e mi spinse avanti.
Anche alla gendarmeria di campagna, quando egli stava seduto poco discosto da me, l'avevo visto che non poteva resistere al desiderio di togliersi di tasca
delle fotografie e guardarle.
Suonarono le sirene d'allarme. Ma gli aerei in formazione passa:rono oltre
la città, diretti in Austria. Qui H viso del gendarme divenne subito triste e preoccupato. Forse stava pensando che quegli aerei potevano andare a sganciare le loro
bombe proprio sulla città dove si trovavano sua moglie ed i suoi bambini ... All'improvviso scattò in un saluto, «BeH Hitler» (ci era passato vicino un ufficiale
dell'SS), ed H viso del soldato si fece duro, quasi inumano.
Da una porta laterale, uscì un uomo in borghese che, dopo avermi guardato
con finta noncuranza, rallentò il passo ed urtò il soldato. Mi fecero entrare in una
stanza dove, con la schiena volta alla finestra, stava seduto un anziano ufficiale
panciuto, vestito di un'uniforme grigia con strette spalline d'argento. I suoi capelli
bianchi avevano una sfumatura giallastra, come se non fossero stati lavati da tempo,
e così era il viso. Portava gli occhiali. Quando entmi mi guardò di sfuggita, e continuò a scrivere sul suo foglio.
Finito di scrivere, consegnò il foglio al gendarme che stava li in piedi 111
attesa. Quando il gendarme uscì, nella stanza subentrò una spiacevole calma. A
giudicare dagli odori che si sentivano là dentro (odore di lucido da scarpe, di
crema, d'acqua di colonia e di cattivo sigaro) quella stanza doveva servire prima,
al proprietario della villa, come camera di toeletta. In un'altra stanza si sentiva
picchiettare continuamente una macchina da scrivere. Avevo un gran sonno. - Che
io sia davvero malato? - pensai. Ma ero là e bisognava che me la sbrigassi in
qualche modo.
Entrò una bella italiana, portando una tazza di caffé su un vassoio. Alla
vista di quella ragazza, il tedesco si rizzò sulla sedia, ed i suoi occhi si ravvivarono
dietro le lenti degli occhiali. Prese la t"zza con le dita grassocce coperte di peli rossi,
e bevve H caffé a sorsi. ..
- Dunque, quel che mi raccomando è di non fare lo stupido, - prese
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quindi a dirmi egli. - Dico questo, perché so che ci sono parecchi di voi che
amano fingersi tonti ... Sapete il tedesco? Sì. Mi piacciono quegli stranieri che sanno il tedesco. Siete russo? Sì. Va bene, ditemi tutto di voL. Avevo caldo e mi sentivo la gola secca. Ero proprio ammalato. Quel che speravo, era solo di riuscire a reggermi in piedi sino alla fine dell'interrogatorio. Per
non fare insospettire maggiormente quel giudice istruttore, bisognava che io non
gli dicessi niente: né dei miei compagni ancora in libertà, né delle case, che conoscevo bene, dove ci avevano ospitati, e tantomeno delle azioni che avevo fatto
con il distaccamento partigiano. E se il giudice, non credendomi, mi avesse picchiato o fosse ricorso alla tortura? Ma ormai, da quando mi aveva picchiato quell'ufficiale della gendarmeria di campagna nei pressi di Reggio, sapevo per espçrienza che questo non ti faceva parlare ma crescere ancor più l'odio contro ~ tuoi torturatori. Difatti, più ti picchiano, meno senti la voglia di parlare; quel che nasce
in te, è solo un profondo ribrezzo per i tuoi aguzzini .
... L'interrogatorio proseguiva tranquillo. All'infuori di dire dove ero stato
e quel che facevo in prigionia, inventai ogni cosa.
Il naso mi era diventato rosso, e non riuscivo più a ten<;:re gli occhi aperti.
L'uomo che sedeva al di là del tavolo, mi sembrava un dormiente che scrivesse
automaticamente sulla carta.
Perchè ero fuggito? Era stato per caso; quando quella notte i tedeschi partirono improvvisamente, io ero profondamente addormentato, cosicché, quando mi
svegliai, non trovai più nessuno. Di Danilo non feci parola... Il giudice istruttore
non fece nessuna obiezione al mio detto: forse egli credeva che i tedeschi, quella
notte, presi dal panico, avessero pensato veramente di più alla loro pelle che a me.
CosÌ, vagabondando da una casa ",ll'altra, capitai proprio in questa, quando
i fascisti quella notte la incendiarono, ed io fui catturato assieme agli altri ... Ecco
perché ora mi trovavo là dinnanzi a lui ...
Più capivo che l'interrogatorio volgeva alla fine, più mi rianimavo e rispondevo facilmente.
Al processo che ci fecero poi a Parma, non potei essere presente perché mi
ero ammalato di polmonite.
Il 28 dicembre del 1943, ebbe luogo una delle più grandi tragedie della
lotta di liberazione italiana. Al poligono di tiro di Reggio Emilia, furono fucilati
tutti e sette i fratelli Cervi.
La cosa era successa cosÌ: il 27 dicembre, i partigiani avevano fatto giustizia
uccidendo un segretario del partito fascista della zona (5). Riunitisi la notte stessa,
dinnanzi al feretro, i f",scisti giurarono vendetta, gridando: «Uno contro dieci »,
e mentre stavano leggendo l'elenco dei carcerati, qualcuno saltò su a dire: - Fuci·
liamo i sette fratelli Cervi - . E cosÌ, al mattino, i sette fratelli non furono più.
Sulla branda dove giacevo ammalato, in una cella delle carceri centrali di
P.arma, (6) dove ero stato trasferito dalla fortezza dopo che avevo subito l'ultimo
(5) Si trattava del Segretario comunale fascista.
(6) Le Carceri di S. Francesco.
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interrogatorio, per la prima volta da quando mi ero ammalato, vidi spuntare dalle
inferriate un pezzetto di cielo. Accanto a me, sulla branda, stava seduto un italiano
sconosciuto, che mi aveva seguito durante tutto li periodo della mia malattia. Ora
egli, chissà perché, stava svuotando quel che evidentemente gli rodeva da tempo
dentro:
- Che possiamo mai fare noi contro la forza? - si mise a dire egli Quando due belve si combattono è meglio starsene da parte. Che posso fare io
contro i tedeschi? Che ne dici tu, russo o iugoslavo che sia? Tu te ne stai qui quieto
in prigione, eh? Va bene sei ammalato e non puoi nemmeno chiamare un dottore:
ma che ci vuoi fare, cosÌ è la vita ... Se non altro, almeno qui ci riposiamo .... -'--E quando i secondini venivano ad avvertirlo che era ora di andare in cortile
a prendere un po' d'aria, egli diceva loro:
- Che volete ancora da me? Vi divertite a giocare come fa il gatto con il
topo ... Oggi mi fate passeggiare, e domani mi portate in un campo di concentramento! Ah povero me! Imbacuccato nella sua scura coperta, egli aspettava con impazienza le cinque;
ora in cui veniva la moglie con la sporta piena di roba da mangiare.
Non tutti ne'lla nostra cella erano come lui, e spesso quando egli smetteva di
parlare, là dentro veniva un grande silenzio ...
Così, con il continuo alternarsi delle sentinelle sulle mura, il tempo passava.
Poco lontano srerragliava un treno, che poi mandava fischi acuti. Ci accorgevamo che
il giorno stava per passare, solo quando un triangolo di sole andava a sbattere
contro il muro del carcere femminile ...
Quell'anno l'inverno fu alquanto mite; il cielo terso era sempre di un bel
color pervinca.
Un giorno, poco prima di sera, portarono in cella un nuovo prigioniero.
- Vi ringrazio di tutto, signori! - disse cerimonioso ai carcerieri, quando
questi uscirono. E quando schioccò la serratura della porta, commentò ridendo:
- Tutto qui? Che villani! ... Uno schiocco, ed eccoti servito! Quando il nuovo venuto si volse verso di noi, vedemmo che era un uomo giovane, con i capelli scuri ben pettinati ed un viso alquanto gradevole. A giudicare
dall'aspetto, doveva essere di sicuro un attore: difatti faceva parte di una compagnia di artisti lirici.
L'uomo si mise subito ad ispezionare la cella.
- Queste inferriate son proprio vere ... Non fanno parte della scena ... diss'egli con voce forte - Non c'è che dire, questa prigione è proprio vera. - Ah, quale minor intonazione! - Vedrai che qui, la tua aria cala di sicuro - Ma che dice signore? E del resto che vale cantare, quando a Milano,
Bologna, Reggio, si uccide la gente ... - diss'egli facendosi serio, quindi, dopo
una pausa, l1iptese con spirito:
- Da oggi non canterò più, mi darò per malato e ... Ma non è questo
che voglio. Dirò schietto a questi cialtroni, che non voglio cantare, e basta ...
Anche se so che mi sarà più difficile rivedere la mia famiglia. - Noi italiani, siamo troppo minchioni, - ripres'e egli - Bisogna che ci
battano trenta volte, prima di capire che ci picchiano ... Basta, non cant'erò più! ...
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Voglio essere un nuovo T oscanini. .. Qui alludeva al fatto di quando, in occasione di un concerto, il famoso
direttore d'orchestra Toscanini, si rifiutò a Mussolini di suonargli l'inno fascista
« Giovinezza ». Dopo questo fatto, il maestro dovette poi emigrare in America.
Nessuno sentì il bisogno di far obiezioni ai discorsi dell'artista, perché tutti
sentivano in essi una profonda simpatia per coloro che, con le armi in pugno, affrontavano il nemico a costo del loro sangue. Quando ebbe finito di parlare, egli
si andò a sedere sul bordo della branda, dove rimase pensieroso ... E proprio in quel
momento accadde quel che capitava spesso la sera. Da una finestra di una cella del
piano di sotto, si sentì echeggiare una voce potente, che gridava: - Dove siete,
valorosi soldati di MussoHni? Fate sentire la vostra voce! - E qui da quasi
tutte le finestre del carcere, si udirono belati, muggiti, chicchirichì, e qualcuno
imitò alla perfezione il verso dell'asino: - I-ha, i-ha! A questo scherzo il cantante si mise a ridere ed andò ad appoggiarsi alle
inferriate della finestra. A vedere tutta quella gente prendere in giro i guardiani
ed i secondini, che correvano aHannati per i corridoi da una cella all'altra, rideva
come un bambino. Moriva anch'esso dalla voglia di prendere parte a quel « coro »;
e non riuscendo più a contenersi, si mise a cantare ...
Tutti tacquero, persino quelli che all'indomani dovevano subire la severa
sentenza del tribunale; alla melodia di quel canto, dimenticarono un po' i loro
guai, e ripresero fiducia nella vita. Il canto si spandeva per tutta la prigione ... Ed
ecco alle finestte del carcere femminile, affacciarsi le donne, per ascoltare l'aria
di Cavaradossi ...
Ma perché piangi tenore? Per la moglie che hai lasciato? Ma anche gli altri
han le hcrime agli occhi: chi pensa alla madre, chi al fratello; altri, giovani come
me e lo iugoslavo mio vicino, pensano ,all'amore che non hanno ancora trovato.
Forse mai, in nessun teatro del mondo, s'udirono così accorati «bravo»
come quella sera nelle carceri di Parma.
Quando tornò alla sua branda, il tenore, senza rivolgersi a nessuno in particolare, disse:
- Era da tanto che non passavo così bei minuti. E chi l'avrebbe detto
che ciò sarebbe accaduto proprio in carcere? - Alzò <la testa, e come se il suo
sguardo riuscisse a vedere attraverso i muri, continuò: - Ecco perché la mia gente
non veniva a teatro, ess'era tutta qui! ... S'apri una porta, ed entrò il capo delle guardie.
- Mi domando da dove viene tutto questo vostro successo, - diss'egli rivolgendosi all'artista - quando ad un vostro spettacolo in teatro, all'iniz~o saremmo
stati in sette ... - Quel che conta è sempre l'atto finale - gli rispose il tenore.
Qui il capo delle guardie se ne uscì senza dir motto.
Era uno di quei momenti di quiete generale, quando tutti riposano: i secondini stanchi di noi, e noi di loro. Lo iugoslavo stava sprimacciando il suo magro pagliericcio; l'artista stava cercando di decifrare le scritte sgorbiate sui muri
della cella, mentre l'italiano anziano ci guardava arruffato con una certa alterigia.
Ad un tratto in città cominciarono a suonare le sirene, ed ecco, come sempre in quei
casi, levarsi la potente voce del piano di sotto, che diceva:
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- Compagni! L'Armata Rossa ha sferrato un nuovo attacco! Gli alleati
sono vicino a Roma! Questa voce diCva a noi vita, come ossigeno. Dimentichi di tutto, ci gettammo alle finestre, convinti che la voce avrebbe continuato, dicendo che anche a noi
ora avrebbero aperte le porte e saremmo stati rimessi in libertà. Ma noi restavamo là, dietro le sbarre, con un profondo odio in cuore ...
Lassù, nel cielo sereno, volavano stormi di aerei azzurro-cupo diretti verso
Reggio: difatti, di lì a poco, s'udirono i boati delle bombe cadere.
E qui nel carcere, successe qualcosa di incredibile: le port'e delle celle
cominoiarono a rimbombare sotto i calci dei detenuti, e dalle inferriate delle finesue, centinaia di braccia sporgenti invocavano che cadessero le bombe. E mentre
i secondini si indaffaravano a correre da una cella all'altra ... noi intonammo « Bandiera Rossa».
Anche se sapevamo che gli appa'recchi se ne sarebbero andati, e che Roma
era assai lontano da Parma, poco importava. Allora quel che contava, era che
quelle notizie avevano ancor più rafforzato in noi la certezza in una nostra sicura
vittoria. E ciò ci rese subitamente felici, come poche altre volte ci era capitato
di esserlo .
... La lotta iniziata nella casa dei Fratelli Cervi, ora continuava
ID
mon-
tagna ...
Una « Fiat » nera, con al volante Danno, si fermò in un piccolo borgo nei
pressi di Ligonchio. Da essa ne scesero alcuni uomini, vestiti in divisa tedesca.
Quando gli abitanti del luogo, riuniti all'ostel1ia, li videro, si guardarono l'un
l'altro, 'e dalla loro espressione spaventata, pareva che dicess'ero: - Sono appena
andati via i fascisti, ed ora eccotene degli altri - . (7)
Furono accolti da uno sgradevole silenzio.
- Di che avete paura? - disse allora uno dei russi - Non siamo mIca
fascisti, noi siamo partigiani! Si fece avanti un montanaro flnziano, che disse:
- Non abbiamo di che aver più paura, ormai Cl hanno portato via tutto
il bestiame. E chi è stato?
- I fascisti poco fa... Se vi mettete in ascolto, lo potete anCOM sentire
muggire. Difatti, laggiù; dove la strada si biforcava verso Reggio Emilia, si udivano
lamentosi muggit,i. Senza starci tanto a pensare, it"liani e russi salirono di nuovo
in macchina, 'e scomparvero veloci dietro una svolta. Di lì a poco s'udirono degli
spari, e circa venti minuti dopo i partigiani tornarono, dicendo alla gente del borgo:
- Andate pure a prendere le vostre bestie Mentre la gente correva giù felice a riprendersi il bestiame, alcuni giovani
ammiratti, si fecero attotno ai partigiani: a questi altri giovani che, con il loro
coraggio, erano riusciti in breve tempo ad aver mgione dei fascisvi.
(7) Questa parte non è narrata in modo storicamenre rigoroso. In territorio di Ligonchio
non 'risulta ,essere avvenuto un fatro del genetre, TaràJsov, che era in ca'rcere a Pa-rma, raccolse
forse,questavoce.da ailtd,conrondendo rhl nome del!la località.
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- I più arditi di essi chiesero:
- Ci prendete con voi? - Non possiamo, - rispos'e loro Otello Sarzi - Organizzate un distaccamento anche voi. ... Infuriava la tormenta, e la macchina procedeva a stento, sulla stretta strada montana tutta ingombra di neve.
- Non si va più, - disse allora Nikolàj il « colcosiano» - ora bisogna
che proseguiamo a piedi.
CosÌ la macchina che aveva tante volte terrorizzato i fascisti, spinta da una
dozzina di robuste braccia, rovinò forte in uno stretto crepaccio. I partigiani continuarono a salire su per i monti, in fila indiana, nella neve alta e soffice.
La montagna d'inverno era fredda e deserta. I boschi se ne stavano addormentati sotto una pesante coltre di neve, i passi erano invalicabili, ed i pastori
emno già scesi da tempo con le loro greggi in pianura. Ora tutto era silenzio,
non si udivano più le grida gutturali dei montanari.
Non era facile entrare subito nel carattere chiuso e taciturno di questa gente
perché, anche se gli uomini avevano nel profondo dell'anima un senso di protesta,
il loro quasi totale isolamento dal resto del mondo, aveva fatto si che in montagna vigessero ancora le leggi del 1912.
E rorse fu proprio questo a ispira'r loro sulle prime una certa diffidenza,
verso le prime azioni che i partigiani fecero in montagna.
Ma ben presto, forse per l'antica abitudine di vedere rifugiarsi nelle loro
misere capanne di montagna la gente che si era sempre ribellata ai voleri dei potenti,
pian piano cominciarono a simpatizzare con i partigiani, che, lo intuivano, erano
venuti per vendicare anche loro da chi li aveva offesi ed angustiati .
... Il piccolo gruppo, che formava il rimanente del distaccamento dei fratelli
Cervi, si fermò in una località poco distante da Cervarolo.
Ormai erano finite le provvigioni, ed Otello Sarzi e i due russi, scesero al
paese vicino, per chiedere qualcosa da mangiare; ma tornarono con il sacco alpino
vuoto.
- lo so perché quella gente là non ci ha dato niente - disse Otello mettendosi a sedere vicino al fuoco, dove stava bollendo una pentola con niente dentro
- Essi hanno paura di un ricco contadino fascista del luogo, che, come è logico,
non vuole aiutare i partigiani. - Andiamo a farlo fuori! - disse deciso un italiano del gruppo.
- Potremmo ucciderlo, .- disse Otello - ma poi, come reagiranno al ratto
questi montanari? Nella capanna costruita con sassi si fece per qualche tempo silenzio; quindi
dopo una lunga discussione, fu deciso di scendere in paese a fa're un pubblico processo al fascista. E cosÌ i p"rtigiani scesero.
La gente del paese, che era intervenuta al processo, se ne stava muta e silenziosa a guardarsi attorno intimorita; si aspettavano una strage da un momento
all'altro. Ma Sarzi, proprio in quel momento, si rivolse al fascista con una domanda
alquanto inattesa:
- Sapete leggere e scrivere? -
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Il fascista seccato dalla domanda, si poggiava ora su un piede, ora sull'altro. Qualcuno dalla folla disse:
- E come, se sa scrivere; firma sempre tutte le carte che arrivano al
paese! A sentir ciò, qualcuno tra la folla rise timidamente. Questo loro ricco paesano, sapeva sie no tenere la penna in mano.
Cogliendo al balzo il timido stato d'a'nimo che si era creato in quel momento
tra gli astanti, Otello Sarzi si mise a fare uno dei suoi infiammati discorsi:
- Ecco, vedete ... Questi è sicuramente uno di quelli che san pronti a piangere sulle barbarie che fanno i comunisti. Ma lo sai tu, - disse Otello &vvicinandosi
faccia a faccia al fascista intimorito - che in Russia, dove l'ignoranza un tempo
era pressapoco così, come su questi monti, ora, dopo vent'anni che sono al potere
i comunisti, non vi è più analfabetismo? - Quindi, rivolgendosi agli astanti, continuò - Su circa 90.000 abitanti, che vivono sulle montagne della nostra provincia, 20.000 sono analfabeti ... tra i quali siete anche voi, specie gli anziani. Vi
voglio chiedere un'altra cosa: chi dei vostri figli va a scuola quest'inverno? Chi di
loro potrà garantirsi un miglior avvenire con gli studi? Perché non rispondete a queste mie domande?! Si, lo so che su voi pesa una secolare vita di p~stori e boscaioli, o tutt'al più di braccianti stagionali, padroni di un misero pezzo di terra, che
non basta neanche a mantenere la vostra famiglia. E tu, (e qui una bestemmia) disse Otello rivolgendosi di nuovo al fascista - come fai ad amministrare tutta
questa gente, quando non sai nemmeno leggere le carte che ti mandano? - Qui
i suoi 'Occhi brillarono maliziosi - Come farai a sbrigartela, se magari domani il
duce, pensasse di affidarti un alto incarico? - Beh, là alle carte, ci penserà il capo dal cervello doppio! - esclamò
uno degli astanti. E le risa che scoppiarono a seguito di questa battuta, furono
segni di un'inconscia, ma evidente condanna per il fascista.
- Noi non siamo venuti qui con le armi in pugno per prendervi il vostro
tozzo di pane, - disse allora Otello - ma per lottare, perché sia permessa ai
vostri figli la via dello studio, e perché nelle vostre case, vi siano la luce elettrica e
l'acqua potabile; non come ora, che dei sedici comuni che formano la provincia di
Modena, solo uno di essi ha un acquedotto che si può chiamare tale ... Constatando che le cose dette da Otello, erano giuste e vere, ben presto
fra i montanari s'accese una discussione generale, dalla quale non ne usciva condannato solo quel fascista del luogo, ma tutta la nefasta politica statale del regime.
E quella notte, dopo tanto tempo, i partigiani poterono dormire senza montare di guardia, perché a ciò pensarono gli abitanti del villaggio.
Proprio durante quel periodo di tempo, a Sassuolo, una piccola cittadina
posta ai piedi della montagna modenese, si organizzò, (così come nell'autunno del
1943 era successo per il distaccamento dei fratelli Cervi) il primo gruppo di partigiani del luogo, pronti ad andare in montagna al comando di Barbolini. Questo
gruppo in seguito, andrà a far parte del corpo partigiano modenese, guidato da
Armando e Davide.
Questi primi gruppi partigiani, si stabilirono dapprima sul monte Santa
Giulia, quindi, dopo alcune brillanti azioni, si spostarono verso Cervarolo, dove
si incontrarono con il gruppo partigiano reggiano, del quale faceva parte anche il
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rimanente del distaccamento dei Sette fratelli Cervi. Così dopo l'unificazione in un
unico corpo di forze reggiane e modenesi, avvenuta verso la fine del gennaio del
1944, (8) con lo scopo di rendere il movimento partigiano più forte e collegato, il
distaccamento dei fratelli Cervi si inserì anch'esso nel quadro genera1e del movimento patriottico delle province di Reggio e di Modena. (9)
Dalle carceri di Parma fui portato di nuovo alla gendarmeria, dove mi dissero che venivo spedito aI campo di concentramento.
Ed eccomi in treno. Seduto accanto a me, stava il solito gendarme che mi
accompagnava sempre all'interrogatorio.
Quando fummo a Trento, il mio guardiano, prima di condurmi per la notte
alle carceri della città, mi invitò in una bettola a bere un bicchierino di cognac. Al
mattino, quand'egli mi venne a prendere, mi disse che dovevamo tornare a Verona.
(Il campo era stato trasferito). Qui il gendarme mi disse ancora, battendomi la
mano sulla spalla: - Ti è andata bene giovanotto! - Più tardi venni a sapere che
in quel campo erano stati fucilati molti prigionieri.
Il cortile delle carceri di Verona, il tetto piatto dell'edificio, e s,entinelle
sulla mura. Il gendarme mi consegnò ad una guardia carceraria di una bruttezza
veramente rara; il suo naso schiacciato si perdeva quasi interamente tra i pomelli
degli zigomi. Costui, sorridendo, aprì destramente la porta di una cella e mi fece
entrare.
Là dentro, alla debole luce gialla di una lampadina, vidi alcuni occhi che mi
fissavano: nella semioscurità parevano quelli di spettri.
Trascorsero alcuni minuti di silenzio ed io mi sentivo mancare dalla debolezza; per di più un prigioniero, dal tavolaccio superiore, mi urtò con un piede.
Imprecai in russo, e qui aUa mia sinistra udii una voce, che mi disse in puro
russo:
Ohè, vieni qui! Siamo di Smolènsk! Capisci l'italiano? Non un gran che, lo parlo un po'. Questa è una cosa magnifica! Noi non ne comprendiamo un accidente.
lo mi chiamo Serioga. Su ragazzi, dategli del pane; ma non uno di quei pacchi
grandi! Quelli dei tavolacci scoppiarono a ridere e mi issarono su.
- Perchè sei qui? - mi chiese Serioga, un giovanotto daI naso camuso
ed capelli color stoppa.
- Sono fuggito ai tedeschi - Quest'è niente! Noi invece siamo qui perché abbiamo preso i pacchi
natalizi dei tedeschi... - Serghej (lO) continuò - Facevamo parte di un gruppo
di partigiani del nostro paese, DJ.1agobuza. A proposito, non hai mai sentito di
« Barba»? -No. - Ebbene ... Quando i tedeschi ci catturarono, ci portarono in Germania,
quindi in Italia. Qui verso i primi dell'anno, ci trovavamo in stazione a Verona,
(8) L'unificazione avvenne, pare, il5 febbmio.Cfr. Pietro Alberghi Attila sull'Appennino
I.S.R. di Modena, 1969, pago 72.
"
(9) Si tmttava solo di aLcune ,persone provenienti da quel disciolto distaccamento.
(lO) Diminutivo di Sergio.
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quando cominciarono a bombardare la città. I tedeschi fuggirono tutti nei rifugi,
e noi rimanemmo soli presso i vagoni carichi di pacchi, che le donne tedesche avevano spedito, in occasione delle feste di fine anno, ai loro familiari milita'ri. Non
vedendoci nessuno attorno, ci caricammo di roba più che potemmo, quindi ci avviammo verso la montagna, - e qui la voce di Serghej si fece triste - ma
tedeschi ci presero!... - Almeno avete mangiato bene! - disse uno dal tavolaccio di sotto.
- Una sola volta in un anno! Quindi Serghej, senza più badare a chi l'aveva interrotto, riprese a raccontare:
- Ci portarono nel carbonile e già si apprestavano per fucilarci, quando
incominciarono di nuovo a bombardare... In quel momento da un tavolaccio posto dall'altra parte, fece capolino una
testa nera a'Truffata, che disse:
- Salve, bratusko! (11) - Oh, Dusan, buon riposo!
Questi era un serbo, ma nella nostra cella vi erano anche francesi, cechi,
bulgari, tanto da essere chiamata: «La cinquantanovesima internazionale ». I prigionieri che si trovavano là dentro, saranno stati attorno a un centinaio.
- Perché non vieni qui con noi, « Limon - limonero »? - disse uno dei
russi rivolgendosi ad un giovanottello italiano dai c[,pelli neri. - Dai su vieni! ... Il soldato carceriere dal viso scimmiesco, fischiò con le labbra il segnale,
che annunciava l'ora di andare a prendere aria. I detenuti, appena udirono il fischio
e stridere i catenacci, si precipitarono tutti di corsa nel corridoio senza badare dove
picchiavano la testa. lo, che ,ancora non sapevo, fui l'ultimo ad uscire, e qui s'entii una botta che mi fece sanguinare il viso. Volevo fermarmi, ma il carceriere
mi spinse innanzi a colpi di stivale.
Le guardie tedesche delle carceri di Verona, ligie al loro concetto della
puntualità e «disciplina », non ammettevano nessun tentennamento od indugio:
chi restava ultimo pagava sempre.
Da uno stretto passaggio tra mura, si saliva poi in un cortile semicircolare,
dove si continuava a camminare l'uno dietro l'altro. In un gruppo a parte stavano
i sei condannati a morte. Ci sorvegliava il ~oldato dal viso di scimmia, sempre tenendo la mano sulla fondina semi aperta della pistola. Egli fece cenno a « Limon-limonero» che si avvicinasse, si capì subito che voleva sollazzarsi con lui.
« Limon-limonero », era un ragazzo napoletano di quindici anni, che aveva
partecipato alle famose « quattro giornate» di Napoli, quando tutta la città insorse
contro i tedeschi. Questo soprannome gli era venuto perché amava spesso cantare
una canzone, nella quale v'era un ritornello che diceva: - Ah, limon-limonero - .
Il ragazzo, in calzoncini corti tutti rattoppati e la camicia senza bottoni,
s'avvicinò al soldato guardando in modo beffardo il suo orribile viso.
- Perché ieri sera hai cantato dopo la ritirata? - gli chiese il soldato,
- La serenata era per te, a Napoli s'usa molto cantare alla sua bella - gli
rispose un po' sfacciato il ragazzo.
A quella battuta gli altri devenuti si misero a ridere, ma gli occhi del car(11) Fratello, in serbo-croato.
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cedere divennero cattivi: per «Limon-limonero» le cose non si mettevano tanto bene.
Ah, hai cantato per me ... - diss'egli quasi con calma - Bene, allora
non mi resta che ricambiarti la corJ;esia! Un soldato portò uno sgabello, su cui il carceriere con una macchina da tosare in miilno, fece sedere il picoolo napoletano. Egli sapeva che anche quel ragazzo,
come del resto tutti gli italiani, era orgoglioso dei suoi capelli.
« Limon-limonero » cercava di svincolarsi dalle braccia del soldato, ma queste
10 renevano forte. Le chiome del ragazzo non erano ancora state sfiorate, che dalla
tolla dei detenuti si levò un leggero fischio. M'avvidi che a far ciò era stato lo
stesso cantante che era stato con me in cella nelle carceri di Parma; evidentemente
era stato trasferito anche lui. Ora cercava di rincuorare il ragazzo, zufolando
quell'aria di Verdi. Il soldato a S'entir ciò, abbandonò per un momento «Limonlimonero »; ma quando s'avvicinò a noi, il fischio tacque, per riprendere ancor più
'potente, tanto da propagarsi per tutto il cortile della prigione, quando tornò di
tiUOVO dal napoletano. lo sapevo, che allo zufolare del cantante, si era unito anche
yuello di un altro italiano, anch'esso nostro compagno di cella nelle carceri di Parma.
Apparve il wachmeisterj e mentre il carceriere s'indaHarava irritato su « Limon-limonero », noi fermammo di botto il nostro monotono girotondo attorno al
cortile. Qui la mano dell'aguzzino tremò: egli sapeva quanto era pericoloso, sia
nelle carceri che nei campi di concentramento, esasperare sino all'ultimo i prigionieri, che a volte esplodevano in rivolte furiose, addirittura idrofobe; perciò, quando
vide che la punizione del ragazzo era sentita anche dagli altri, smise. Ma egli si
vendicò di noi quando tornammo in cella, godendasi a darci bastonate da O'rbi
sulla schiena .
... Seriaga, grattandasi infuriato il fiancO' colpito da una bastanata, disse:
- A sentir fischiare cosÌ, il caroerier'e quasi moriva! Anche se dalorosi, questi avvenimenti praducevana in certo qual modo più
animazione sui nastri tavolacci.
- Fate cosÌ anche voi russi? - chiese « Liman-limonero ».
- Certo, che vuoi che facciama?! - gli rispose Seriaga, e qui caminciò a
raccontare delle azioni contro il nemico compiute dai partigiani di Smolénsk. Il discarso si fece generale. Dusan raccontò della lotta spietata che si canduceva in Serbia
cantro i tedeschi, i francesi dei loro eraici « maquis »,ed i cechi dei l'Ora patriati.
Sola « Limon-limonero » non sapeva di che ntccontare ... E ad un tratta si mise a
cantare «Katjusa ». Dove e come l'aveva imparata, restava un mistero. Ben presto alla vace di lui si unirono quelle dei russi, dei serbi e dei cechi ... E la melodia
della canzone russa si sparse per tutta la cella.
Il pensiero della libertà non mi dava tregua.
Ma due settimane prima, da quelle carceri, eranO' fuggiti cinque condannati
a morte, ed i fascisti dapo ciò avevanO' rafforzato la sorveglianza, sia interna che
esterna: quindi scavalcare le mura, era cosa impossibile. Malgrado dò, a me nan
era svanita l'idea della fuga. Ed ecco con l'istituzione di un servizio per le immondizie del carcere, presentarmisi una buona 'Occasione.
Un giorno, mentre eravamo fuori all'aria, mi siavvidnò il wachmeister
con un album di francobolli:
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- Allò russo! Quanto può valere questo, secondo te? - Sono di certo
francobolli di valore, e devono essere assai cari. - Mi sapresti dire, quanto potrebbero costare? - Di sicuro molto, - gli risposi, mentre guardavo sui francobolli le vedute
di Mosca, della mia Leningrado, e le effigi di Puskin e Tolstoj.
Vedendo ch'egli non aveva molto piacere che lo vedessero in cortile a parlare con me, ne approfittai per chiedergli se poteva mettermi con quelli addetti
alle immondizie, così avremmo potuto parlarci più liberamente. E per me - pensavo - sar'ebbestata una splendida soluzione per uscirmene di cella.
Ai primi di febbraio, quando era bel tempo, già si sentiva il tepore della primavera. Nei giorni di sole, uscivamo sotto scorta dal carcere per andare a gettare
i rifiuti in un valloncello; qui spesso ci capitava di scambiare qualche parola con
gli italiani che portavano dentro la roba in carcere.
Durante gli ultimi tempi le incursioni aeree alleate si erano fatte più frequenti. Verona era già stata bombardata più volte, e un giorno, durante uno di
questi bombardamenti, venne danneggiato anche il serbatoio dell'acquedotto, così
dovemmo procurarci l'acqua per la cucina con i secchi. Per andare a prendere
l'acqua nei casolari dei contadini più vicini, fummo impiegati noi addetti alle immondizie ed alcune persone del luogo che rifornivano l'acqua ogni giorno alla città.
Proprio in quei giorni furono spediti in Germania quei giovani russi di
Smolènsk, e questo fatto mi rese alquanto triste. Ora ero il solo russo rimasto ... Le
giovani vite di quei ragazzi, avrebbero retto sino alla fine della guerra, agli orrori
del campo di concentramento?
Lo struggente ricordo di quei giovani dai capelli chiari, che appena avevano
saputo chi ero, avevano cercato in ogni modo di aiutarmi nelle mie speranze di fuga,
mi accorò profondamente ...
Ma ben presto mi si presentò una buona occasione di evadere.
Un abitante del luogo, mi fece partecipe di un baratto con una guardia
tedesca; lui le dava cinquanta pacchetti di sigarette in cambio della piccola provvista di sapone che la guardia aveva accumulato quando nel carcere non c'era
l'acqua per lavarsi. A questo genere di commercio, si dedicava tutto il gruppo
dedito alle immondizie, composto da tre uomini.
Lo scambio doveva avvenire all'indomani.
... Quel giorno, dopo pranzo, partì per la Germania un altro folto gruppo
di detenuti. Fui chiamato anch'io, ma il fato volle che fossi messo in un'altra cella
Dei miei vecchi compagni era rimasto solo Dusan, che mi disse:
- E di che ti preoccupi bratusko? - Mi portano via, Dusan ... Uscimmo di nuovo nel cortile lastricato del carcere. Proprio in quel mentre,
in cielo apparvero formazioni di aerei alleati, e di lì a poco cominciarono a piovere
le bombe. Ma anche con ciò, la vita del carcere non cambiava dal suo solito ritmo.
Fui chiamato in cucina a pelare le patate; qui uno dei due soldati che ci sorvegliavano, io stesso del contratto, mi si avvicinò e disse:
Dove ti portano?
- Non so. -
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Aspetta un minuto - diss'egli avvinadosi con calma verso la cancelleria.
Di lì a poco, evidentemente ormai rassegnato a perdere le sigarette, che
secondo il contratto gli dovevano consegnare all'indomani; mi disse:
- Sarai trasferito a Reggio Emilia. Era evidente che se venivo trasferito là, vi era sotto qualcosa-o Che avessero
catturato anche altri dei componenti del distaccamento?!
In quel momento, per il cortile del carcere, stava passando la colonna dei
detenuti che venivano deportati in Germilnia. Ecco l"artista -e l'altro italiano dal
viso tetro; ora parevano amici. Ed ecco «Limon-limonero », che stava aggiustandosi sulle spalle una leggera bisaccia; le porte del carcere, chiudendosi, mi nascosero
per sempre 'alla vita quel piccolo allegro napoletano.
Anche quella sera venne l'ora del controllo, e fui ricondotto ince11a. In
seguito seppi che quel giorno era stato distrutto H ponte sul Po e che tutte le
~omunicazioni con Reggio Emilia erano interrotte.
Ci gettammo sui tavolacci e subito ci addormentammo. Come al solito, anche
quella notte, chi si voltava da una parte e dall'altra, chi 'tUssava, e chi borbottava
qualcosa nel sonno.
La conta del mattino ... Eccoci tutti in fila nel cortile.
Ad un tratto, proveniente dall'interno del carcere, si udì uno sparo, subito
seguito da un altro. Suonò il segnale d'allarme, e qui capimmo che era accaduto
qualcosa.
Era successo che mentre l'U nteroffizzier era entrato, come faceva tutte
le mattine, nella cella dei condannati a morte che erano sempre gli ultimi ad
uscire, per consegnarli alla guardia che aspettava in corridoio per condurli all'aria,
cinque di essi, appartenenti -al secondo gruppo dei condannati a morte, avevano deciso di fuggire. Tanto, che valeva ormai, per loro, rischiare la vita in cambio della
libertà? Così quel mattino, appena l'Unteroffizzier aprì la porta, essi lo trascinarono
in cella e gli presero le armi, con le quali due di essi uscirono per catturare l'altra
guardia, che stava nel corridoio. Gli spari furono quasi simultanei; ma forse per
la tensione nervosa del momento, o fors'anche per la poca pratica che il detenuto aveva delle armi, fallì il colpo, mentre l'altro lo colpì in pieno. Ed il povero
giovane andò a cadere proprio contro la porta della nostra cella.
Arrivò il comandante delle carceri, ed i detenuti furono ricondotti in cella,
ad eccezione di noi, che avevamo il corpo dell'ucciso dinnanzi alla porta, ed esso
non si poteva smuovere sin che non fosse venuto il medico per accertare Ie cause
del decesso.
Quelli di noi addetti alle pulizie come me, furono messi al lavoro; io non
ne avevo voglia. Quindi s'avvicinò il comandante, che mi disse:
Perché non lavori tu? - Perché oggi forse vengo trasferito ... - Beh, intanto lavora. Andrai dopo, quando ti chiameranno! Mi misi a pulire con la ramazza un cortile, quindi passai nell'altro ... Qui con
il volto insanguinato ed i vestiti lS!ceri, stavano per punizione legati al sole, quei
condannati a morte che al mattino avevano tentato di fuggire. Essi se ne stavano
a guardare, forse con invidia, il corpo del loro compagno ucciso, posto là sotto un
sudicio tela da tenda: almeno lui aveva finito di soffrire. Vedendo ciò, pensai che
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domani potevo trovarmi anch'io nella stessa situazione, se venivo catturato mentre
tentavo di fuggire.
Finalmente giunse l'ora dedicata alla provvigione dell'acqua. Venne il soldato a prendermi, e da come egli mise la pallottola in canna al fucile, capii che con
lui non c'era tanto da scherzare. Ci avviammo alla casa dove eravamo soliti andare
a prendere l'acqua. Da essa uscì una donna, che mi portava sempre un pezzo di
pane. Ma io quel giorno guardavo dall'altra parte, per vedere se arrivava ,l'italiano
con il quale si doveva fa-re lo scambio del sapone. Anche il soldato attendeva quell'uomo; a lui spettavano metà delle sigarette ...
Ecco sbucare tra gli alberi, ad una cinquantina di metri da noi, un uomo.
Il soldato mi fece cenno di andare ... Mi avviai e raggiunsi il limite del campo,
dove s'apriva un viottolo tra filari di olmi e viti. Cinque, dieci passi ancora ... Volevo voltarmi indietro, ma non osai. Quando fui vicino all'uomo, mi accorsi ch'era un
contadino che non conoscevo, Gli alberi mi celavano al soldato, ed il sentiero mi
invitava alla fuga ... Senza troppo pensare più a niente, gettai via giubba e sapone,
e corsi veloce per il declivio. Dovevo raggiungere al più presto la città, dove mi
sarebbe stato più facile nascondermi. Dirigermi verso la montagna era errato, perché
sa!pevo che proprio in quella direzione sarebbe1'O venuti a cercarmi. Ed ecoomi alla
periferia di Verona... Alcune donne che lavavano della biancheria in un canale,
mi guardarono al mio passaggio ... E qui, anche se avevo una voglia matta di correre
senza voltarmi indietro, dovetti rallentare iI passo.
Ormai era giunta l'ora in cui la gente torna!va dal lavoro, ed i sobborghi di
Verona erano pieni di traffico. Mancavano ancora due ore, prima che in città si
facesse buio. Durante quel tempo, prima che giungessero le nove di s'era, mi sembrava d'udir'e ogni momento spari e grida.
In seguito seppi che la mia paura di allora era del tutto ingiustificata. Il
soldato, quando s'accorse che scappavo, sul momento non seppe come reagire: rincorrermi, voleva dire di abbandon"re gli altri due prigionieri addetti alle immondizie
che erano con me; spararmi dietro, era cosa assai difficile, così da lontano e per di
più tra gli alberi. Temendo una dura e severa punizione a causa della mia fuga,
e sapendo che proprio quel giorno, quando le guardie del carcere erano ancora
impegnate per i fatti accaduti al mattino, i familiari 'avevano il permesso di portare la roba ai detenuti, e perciò vi sarebbe stata ressa e confusione alle porte
del carcere, egli pensò di tornare facendo finta di avere con lui "ncora tutti e tre
i prigionieri coi quali era partito.
Venne la conta della sera, e qui s'accorsero della mia mancanza. Fu subito
suonata la sirena d'allarme, e perquisito ogni angolo del carcere. Una compagnia di
gendarmi fu spedita a cercarmi per le strade di montagna.
Giunsi ad una profonda insenatura, dove il dolce mormorio di un mscello
calmò la mia ansia. Sedetti su una pietra, quindi andai a spiccare dai rami di un
albero un bastone. Questa era l'unica arma che potevo avere. Non mi mossi
di là fin che non venne notte: il buio era la mia salvezza.
Bisognava pure tornare fra la gente.
In quei tempi, vedere un prigioniero fuggitivo, era un fatto così usuale che
la gente non ci badava più. L'Italia ormai si era divisa in due campi contrapposti
che lottavano tra loro. Ora più che mai era difficile per uno straniero capire a quale
fazione appartenesse il cittadino italiano a cui si rivolgeva.
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... Mi feci coraggio, e mi diressi verso una casa che sorgeva Circa trenta
passi a sinistra della strada. Bussai, e sulla soglia apparve un uomo.
Buona sera! - dissi io.
Chi cercate? -Il padrone. Ora lo chiamo subito, - disse l'uomo rientrando.
Di lì a poco uscì il padrone.
In che posso servirvi? Scusatemi, sono un prigioniero inglese, ormai stanco di vagabondare
senza meta, ed ora mi vorrei costituire; sapreste indicarmi una caserma qui intorno? Quest'uomo dall'aspetto severo e poco espansivo, prima di rispondermi,
mi guardò ancora attentamente: pareva che fosse lì per ch~edermi se rimanevo a lavorare per ,lui. Il bastone mi fremette in mano.
Bisogna che prosegua per circa un chilometro, -incominciò egli - 1à
troverà la caserma. -- Si, ma quale dir·ezione devo prendere? Mi indicò la strada a sinistra, quindi per me fu evidente che dovevo prendere quella a destra. Ringraziai il padrone dell'ineazione fornitami, e m'avviai
fuori dal cortile; ma non avevo fatto che [,fIeuni passi, quando mi fermò il mezzadro del ricco contadino, che, porgendomiun tozzo di pane ed un pezzo di rormaggio, mi disse:
- Vieni qui attraverso i campi, oggi le strade sono tutte pattugliate ...
Eccoli là! Notte. Il cielo era tutto trapunta di stelle. Avevo fame, e mi mISI a mangiare il pane ed il rormaggio che mi aveva dato il mezzadro. Ah, quanto avrei
dato, per essere lontano da lì!
Un piccolo paese di campagna. Di bussare ad una porta, non me la sentivo.
Ma i,l freddo della notte mi fece decidere ad avvirurmi verso una casa. Scetti in
ascolto se vi era il cane: ma visto che cani non ve ne parevano, mi infilai svelto
sotto il portico e presi un vecchio cappotto appeso accanto alla porta d'ingresso.
Quindi scappai, per :andarmia rirugiare tra gli arbusti di un 'tUscello e, trovato un
bel posto solitario sotto un albero, mi coprii con il cappotto ...
_.. Ed eccomi cd mattino, trovarmi di nuovo Hbero. Stava per levarsi il sole,
e le gemme appena schiuse brillavano come verdi smeraldi. Con la rugiada, la
distesa di tenera erba pareva un gigantesco tappeto intessuto di diamanti. Vidi
un piccolo fiore bianco dai petali rugiadosi, di non so quale specie; mi chinai per
coglierlo, ma desistetti: lascia che anch'egli, come me, goda di vedere libero il sorgere di questo splendido mattino!
In quella zona, passai una settimana e mezzo, vagabondando da una casa
di contadini all'altra: in una trovitvo alloggio, nell'altra un pezzo di pane, in una
terza un buon consiglio, e così venni a trovarmi in un distaccamento partigiano della
provincia di Verona.
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... Ormai non v'era più giorno che non entrassimo in azione. Un giorno si
faceva un'imboscata, l'altro si disarmava una guarnigione, un altro ancora si liberava un paese.
Ma anche il nemico non se ne stava con le mani in mano, ed un giorno di
aprile riuscimmo a sfuggire a stento, aprendoci un varco verso le Alpi, ad un accerchiamento che ci aveva teso in un paese. Così dovemmo vagare per due settimane
senza viveri, per l'impervia montagna rocciosa.
Un giorno il comandante del distaccamento e l'eroico partigiano Barba,
andarono in ricogniziane, e da quella non tornarono più: erano caduti in un'imboscata. Ben presto i partigiani si resero conto che non si poteva più restare in mantagna a quelle condizioni, e decisero di tornare alle loro case a valle, nel territorio
controllato dai fascisti. Al distaccamento rimanemmo solo io, il torinese Rossi,
ed il siciliano Topi.
Poco dopo, per mantenere il collegamento, vennero su in montagna i compagni del Comitato di Liberazione Nazionale, ai quali espressi il mio desiderio di venire trasferito in provincia di Reggio Emilia. E di lì a poco, eccomi di nuovo
in viaggio, verso i vecchi cari luoghi conosciuti.
Stazione di Verona. Alla partenza del treno mancavano circa due ore. Restare là era rischioso, intorno vi erano troppi soldati e pattuglie, che ci potevano
ogni momento chiedere i documenti. Di noi due, solo Paolo, uno studente di Verona,
mio accompagnatore, li aveva. Paolo, prima di partire volle che non portassi
con me nemmeno la pistola. Egli ben sapeva dei proclami fascisti, in base ai quali
chiunque veniva trovato in possesso di un'arma, senza permesso, veniva fucilato
immediatamente sul posto- Così al siciliano Topi restarono due pistole.
Anche a star lì a passeggiare per i viali della stazione, potevamo destare
sospetti. A Paolo venne un'idea: "ndare in una casa di tolleranza, distante alcune
decine di metri dalla stazione. In quella « sala d'aspetto» era difficile che andassero
a cercare dei partigiani .
... Quando tornammo, già malta gente aveva preso posto sui vagoni, e si
sporgeva dai finestrini a scrutare il cielo, ma nessun aereo si sentiva in giro ... Finalmente il treno partì, sferragliando con fracasso, sotto le tettoie di ferro della stazione. Ed ecco sfilare dinnanzi tutto il panorama della bassa Lombardia: fattorie con
tetti di tegole, campi di grano, frutteti, vigneti dai filari lineari. Apparvero le colline, dove io, appena arrivato in Italia, andavo a piantare i pali del telegrafo. Qui
mi sovvenni che avevo perduto la nazione del tempo, domandai a Paolo che giorno
era. Mi disse che era il primo di maggio. A sentir ciò dimenticai tutto quel che mi
stava intorno, ed andai col pensiero, laggiù, alla mia Leningrado, che vedevo ancora
non assediata, ma come sempre impetuosa e piena di vita, con le vie piene di gente
esultante che andava alla manifestazione del Primo Maggio. Che succederà mai
ora là?
Nello scampartimento entrarono quattro militi, che vennero proprio a sedersi accanto a me. Volevo alzarmi; ma mi sovvenni in tempo che per non destare
sospetti era meglio fingersi indifferenti. Gettai uno sguardo nel corridoio dove
stava Paolo: lo vidi un po' turbato. I militi int<i:nto si accesero una sigaretta e me ne
offrirono una: l'accettai. Vedendo che questi volevano attaccar discorso, pensai,
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data la mia pronuncia straniera, di fingermi tedesco. Aspirai a lungo la sigaretta
e dissi:
Buono questo tabacco italiano! Ah, non siete italiano?
No, sono tedesco. Vado a Reggio per conto della nostra ditta, la « Fratelli Funk ». - Ah, bene! Sta tutto nel nostro interesse, commerciare con la Germania. - Ma certo ... Il nostro fiihr·er sa di trovare sempre nell'Italia, una fedele
amica! - diss'io tmcotante in tedesco.
Dovevamo giungere a Reggio alle nove di sera, ma arrivammo verso le dieci.
Perciò bisognava sbrigarsela ad uscire dalla città, prima del coprifuoco. Mi ricordavo ancora: assai bene, dove si trovava la casa di quel contadino dove incontrai
per la prima volta Lucia ...
Pensavo di andare da Ferrari o da Valter; ma non si poteva, perché le loro
case erano continuamente spiate e sorvegliate. Paolo ogni tanto mi gettava un'occhiata dal corridoio, ed io senza farmi scorgere gli facevo segno con la testa. Finalmente il treno cominciò a rallentare. Mi affrettai ad fiugurare ai militi un buon viaggio sino a Parma, dove essi dovevano smontare, e scesi ...
... Prima di poter lasciare la città, si doveva percorrere un largo viale di ippocastani, che . andava poi a sboccar'esulla via Emilia.
Ci avviammo senza fretta; il viale illuminato solo dalla luce azzurra delle
iampadine oscurate, era abbastanza buio da garantirci una certa tranquillità. Non
sapevamo che un'ora e mezzo prima, i partigiani, per commemorare il Primo Maggio,
avevano gettato alcune bombe in una caserma fascista. La città era in stato d'aIlarmeed era perlustrata da pattuglie. (12)
Noi continuavamo ad andarcene tranquilli, quando dinnanzi a noi sentimmo
passi pesanti battere sul lastricato di un ponte. E prima che ci rendessimo conuo di
che si trattava, risuonò un grido:
- Alt, documenti! Dal viale, a circa dieci passi da noi, sbucarono alcuni miLiti con i fucili spianati. Facendo finta di essere i soliti ritardatari che si trovavano lì per caso, andammo
loro incontro. Per me che ero senz'armi e documenti, l'unica speranza di salvezza
stava nella fuga; ma come si poteva fuggire, con tutti quei fucili puntati addosso?
Ancora qualche passo... I militi vedendo che andavamo verso loro con assoluta
tranquillità, abbassarano i fucili.
Ma le lampadine oscurate, non spandevano che un piccolo cerchio di luce
intorno ad esse, ed i militi non poterono scorgermi. Dopo aver corso una ventina
di passi dietro gli alberi, svoltai in una via buia; e qui non s'udirono più, né grida,
né spari. Ad un tratuo sbattei contro il recinto di una villa. Un cane si mise ad
abbaiare, ed io fuggii lontano ... Ancora libero!
Passai dietro leca:se e mi buttai tra la folta 'ed umida 'erba: solo là nei
campi mi riebbi. In città s'udiva sparare. (Pareva che i militi fossero stati attacca ti dai partigiani).
.
(12) Forse l'allarme era causato dal fatto ohe c'era stata una inoorsione aerea il 30 aprile,
con numerosi morbi e feriti. Non abb1amo trovato conferma di un'azione partigiana ~n qruella
data.
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Che ne era stato di Paolo? Sicuramente, 'egli non era riuscito a fuggire ...
Esibì ai militi i documenti che lo es'oneravana dal servizio militare. Cominciarono ad interrogarlo su di me. Disse che mi aveva incontrato per caso, e stava
indicandomi la strada ... E qui finì il tutto, senza che Paolo venisse scalfito da
una panottola.
Ormai mi ero abituato ai fienili dei cantadini italiani, che mi sembravano
camere d'albergo. Anche questa volta salii su di un fienile e mi addormenta>i. Al
mattino, prima che il padrone si alzasse, io ero già in viaggio, felice di andare alla
casa del cantadina, dove avevo conosciuto Lucia.
Il contadino mi riconobbe subito, e m'invitò in casa. Appese ai muri della
cucina stavano due immagini di santi, tutte annerite dal fumo e dalla fuliggine. Il
pavimento era di pietra, v'era una tavala semplice, ed alcune sedie impagliate.
Mentre facevamo colazione, chiesi al contadino di Ferrari 'e Valter. Egli mi
disse che erano tutti e due sani e salvi.
Il giorno dopo, il finestrone del fienile s'aprì e camparve la quadrata figura
di Ferrati, s'eguita da quella, fattasi ancor più magra, di Valter. Essi mi sorrisero,
ma ben presto Ferrari si fece serio e mi fissò negli occhi. Dal suo sguardo capii
che c'era qualcosa che nan andava. Stetti alcuni istanti perplesso, prima di capire
ciò che aveva Ferrari. Egli non cr,edeva a ciò che avevo loro detta: ciaè, che dopo
essere stato per lunghi e tormento si giorni in carcere, ero riuscito a fuggire ... Da
che veniva questa sfiducia? Qui Ferrari mi disse che Nikolaj, non Nikolaj il « colcosiano », ma l'altro (quello che amfi'Va tingersi i capelli di nera), si era rivelato
un traditore ...
Durante il duro inverno del 1943-44, Nikolaj, solo e senza autarizzazione
del comando partigiano, scese a valle. Qui in un paese incontrò i militi, coi quali
iniziò una sparatoria. Nikalaj ferito, fu portato a Reggio Emilia, dove gli dissero
che se non avesse indicato le case degli italiani dove era stato ospite, lo avrebbero
fucilato. Nikolaj ebbe paura, e svelò tutto ...
Fui così sconcertato da quella notizia, che sul momento non seppi che dire.
Allora Valter, che mi stava vicino, mi batté la mano sulla spalla, e disse:
- Non te la prendere ... Può capitare a tutti nella vita ... Voi russi non
siete tutti così. Per esempio, sappiamo tutti che tu conoscevi assai bene le nostre
case: eppure da noi non sono venuti i fascisti. Non ti crucciare, che tu sei a posto!
Ora in montagna, ed ~nche in pianura, la lotta arde così forte, che nemmeno i fratelli Cervi sognavano tanto! A propasito, vuoi vedere Danilo? - mi chiese Valter.
- E' qui? Ne sarei proprio felice ...
- E' venuto qui per uccidere Nikolaj, che il tribunale partigiano ha condannato a morte. Rinfrancato chiesi a Valter un'arma, ed egli, come già fece un tempo, mi
diede la sua pistola. Da quell'arma non mi sarei più separato, sino alla fine della
guerra.
Sulla strada dove mi trovavo con Varlter, mi vennero incontro tre uomini.
Uno di essi appena mi vide, si levò gli occhiali scuri e mi corse incontro: Danilo!
Finalmente dopo tanti mesi, ecco uno al quale ero legato da un sincero affetto.
Ci abbracciammo e baciammo. Mi presentò i suoi due compagni:
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- Montano (13) - diss'egli presentandomi un uomo anziano e serio, che
abitava in una località vicino al Po. L'altro, era un giovane biondino di nome
Rino, che mi sorrise in modo cordiale, come se mi avesse sempre conosciuto.
- Qu~li sono i vostri progetti futuri? - chiesi a Danilo.
- Innanzi tutto bisogna togliere di mezzo quella carogna di Nikolaj ...
Non lo sai che hanno bruciato la casa di Bonini, perché Niko1aj ha detto ai fascisti
che essi mi avevano tenuto nascosto? Così pure ha raccontato tutto su di te, sei
stato davvero fortunato a fuggire, se no, non ti aspettava che la tortura. Volevano
prendere anche me, ma molti fascisti hanno pagato con la vita questo tentativo. Il nostro gruppo si fermò nei pressi di Novellara, e mentre Montano andò
alla casa dove doveva incontrare i compagni del comitato clandestino comunista,
che 'erano a capo delle brigate garibaldine, noi andammo a nasconderci in un campo
di segala.
(. .. )
Ora, i partigiani che si riunivano quasi ogni sera nei luoghi convenuti, non
si contavano più a decine, ma centinaia!
Adesso non occorreva più, magari attraversare la prov1incia, per dare l'assalto
a una caserma: ora a far ciò ci pensavano i partigiani del luogo. Ormai i partigiani
si trovavano dappertutto: di giorno lavoravano nei campi e nelle fabbriche, e di
notte imbracciavano le armi.
Il contadino Bertani Enzo di Boretto, non ,era la prima volta che ospitava
dei russi in casa sua. E quella sera, in -attesa di prendere parte a qualche azione,
egli ci portò nella casa di alcuni suoi parenti, giudicata un posto più sicuro per noi.
Nostro intento era di mantenere la nostra presenza H più possibile segreta;
ma ben presto dovemmo constatare che ciò era impossibile.
I vicini di casa, saputo di me e di Danilo, si riversarono tutti nella nostra
stretta cameretta; ed il discorso cadde subito sulla Russia.
Ci sorprese alquanto come, quegli italiani, sapessero già così tante cose sul
nostro paese. Fra di essi, vi era uno che aveva partecipato al corpo di spedizione
militare ;italiano in Russia (14), ed a lui maggiormente spettava la patola per taccontare del nostro paese.
Varie e discordanti etano, a quei tempi, le voci che correvano sulla battaglia
di Stalingrado. Nelle città e nei paesi di campagna, etano arrivati da poco i reduci,
i feriti ed i mutilati di quella campagna, ed essi sulla Russia si esprimevano nei più
svariati modi: chi si diceva ammirato di quel paese e di quel popolo, e chi taccontava fandonie. Ad ogni modo, specie dopo la battaglia di Stalingrado, tutti parevano
interessarsi a quella Russia Sovietica, in cui proprio allora si stavano decidendo le
sorti della guerra.
- R~Kcontarlo così, è veramente una cosa impossibile! - disse il reduce,
e mettendosi una mano alla gola, incominciò a taccontare della battaglia di Stalingrado - Bisogna averla vissuta per crederla! Nella piccola camera il mormorio cessò del tutto.
(13) Reclus Malaguti.
(14) C.S.I.R.
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- Non ricordo bene come fu ... - proseguì il reduce. - Eravamo sotto
Millerovo. Stavo dormendo; quando un assordante frastuono mi svegliò. Nemmeno
balzai, restai lì impaurito; feci solo in tempo a vedere il nostro sotto tenente fuggire in pigiama. - Ma guarda un po', i signori! -. intervenne qui il vecchio capofamiglia anche in guerra vogliono mantenere i loro costumi signorili. Bisognerebbe bastonarli, ecco cosa ci vorrebbe! - C'era il pericolo di rimanere accerchiati! ... - continuò il reduce, mettendosi la mano dietro la nuca. - Bisognava cercare di fuggire dalla sacca... lo
gettai via anche il fucile ... - Bel soldato! Noi! ... - non riuscì a trattenersi il vecchio, evidentemente
un veterano della prima guerra mondiale.
Ma nessuno badò a lui, l'attenzione degli astanti era tutta rivolta al reduce
che pJ.1Oseguì:
- Senza più badare al freddo e alla neve, tutti si misero a fuggire ... Sulla
strada gelata cercavamo di arrampicarci sui camions, ma loro ci buttavano giù a
calci.
- Chi loro? - I tedeschi ... Un buon ragazzo cremonese che faceva parte della nostra
batteria, ne ebbe le dita di una mano fracassata, così - e qui egli mettendo una
mano sulla tavola, batté con l'altra su di essa. Le donne diedero un grido di raccapriccio, i bambini si strinsero alle loro madri, e gli uomini volsero lo sguardo ai
mattoni logori del pavimento.
- ... Se non vi fossero stati gli abitanti del luogo ad aiutarci, saremmo
morti tutti di freddo e di fame Nei villaggi dove passavamo, le donne ci davano
patate, ed alle volte solo acqua calda, perché era l'unica cosa che i tedeschi avevano
loro lasciato. E la verità sui nostri grandi militi sta in questo: che anche loro
fecero nefandezze di ogni sorta. ~ Qui il narratore preso dai ricordi, si mise
a raccontare di un lontano villaggio ucraino, dove egli, affamato e gelato, fu raccolto in una hàta (15) di contadini, dove le donne lo curarono e scaldarono, come
madri e sorelle.
-- Ecco cos'è la Russia! - disse il nonno. - Ed i nostri stavano sempre
a gridare: «Non seminate il grano, lo porteremo dall'Ucmina! ». Il reduce a sentir ciò, sogghignò, e finì il suo racconto, dicendo:
- Arrivederci Ucraina, con molto pane e vino! Così tra domande e risposte, la conversazione durò sino a tarda sera.
Le donne avev,mo portato vino, formaggio, e salame casereccio.
- Bene, ora è tardi ragazzi! - intervenne ancora una volta il nonno. - E
questi da quando sono arrivati, non hanno ancora riposato. Le parole del nonno fecero il loro effetto, e di lì a poco rimanemmo soli.
I tempi s~ facevano sempre più duri. Ora in ogni casa, come questa dove eravamo
noi, potevano arrivare i fascisti; e ne poteva nascere una breve sparatoria, e una
nuova tragedia.
L'indomani, ci andammo a nascondere nei campi.
(15) Casa rustica contadina, tipica dell'Ucraina e della Russia mel1idionale.
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... Stavamo di nuovo seduti in un folto campo di grano. Con noi avevamo
anche una nuova guida. Questa era una giovane ragazza !italiana, che portava il nome
di battaglia « Mosca ». Essa ci guardò, ed io e Danilo guardammo lei. Nei nostri
sguardi, pareva che corresse lo stesso pensiero: che facevamo là, noi giovani e rorti?
Quando invece di fare la guerra, avremmo potuto studiare, amare, e formarci
una famiglia? ...
A sinistra, sul lato della strada, s'udì il rombo di una macchina. I fascisti?
Istintivame,nte, mettemmo mani alle armi, pronti a dar battaglia. In quel momento
tutti e tre avevamo un unico pensiero: difendere sino all'uhimo il nostro diritto
alla vita. Quando il rumore della macchina s'al1onta:nò, ci sorridemmo l'un J'altro e
ci sentimmo ancor più uniti da una sincera amici2ia. La guerra! Com'essa temprava
in breve l'animo degli uomini facendo nascere un esasperante odio contro il nemico.
E quella notte facemmo pagare al nemico la colpa di averci strappato da
casa, negandoci il diritto di vivere liberi ed in pace.
Bertani Enzo, l'incontrai ancora una volta dopo la guerra a Mosca, durante
il VI Festival Mondiale della Gioventù; era venuto a trovare il fratello, che studiava all'Università di Mosca.
Non avevamo combattuto insieme invano .
... Tornati da un'azione, ci aggiravamo stanchi, tra piante d'olmi e viti, campi
di frumento, ed alta erba rugiadosa. I partigiani del luogo che facevano parte del
nostro gruppo, tornarono alle loro case; rimanemmo in quattro: Montano, Rino,
Danilo ed io.
Quella notte la dovevamo passare all'addiaccio, perché non sempre era
facile trovare un asilo sicuro, quando i fascisti controllavano tutta la zona intorno.
Solo il nostro gruppo, durante quel periodo di tempo, aveva disarmato una
caserma, preso un deposito di munizioni, interrotto linee telefoniche, distrutto macchine nemiche ... E di questi gruppi che agivano così se ne contava ormai in provincia
una decina. I fascisti non sapevano più dove sbattere la testa. Ed il nemico cominciò
a ritirare parte delle sue truppe dislocate in montagna, per trasferirle in pianura. Così
i partigiani della pianura riuscirono ad alleggerire dalla pressione nemica i loro
compagni della montagna.
Montano, approfittando di quel breve periodo di tregua, decise di andare
a trova-re la sua famiglia.
Nella notte partimmo alla volta della casa di Montano. Dopo aver attraversato alcuni fiumiciattoli, chi a guado, e chi, dopo essersi assicurati che non
v'era nessuno, sui ponti ... eccoci arrivare al piccolo borgo natale del nostro compagno. Nessun cane abbaiò: ciò era frutto dell'antipatia, che anche i fascisti avevano
per i cani.
Montano batté lievemente alla porta; s'aprì una finestra, e dal di dentro
s'udì una voce spaurita di donna. Montano, che se vi era una cosa al mondo che
desiderava, era quella di dormire nel suo letto, quella notte non aveva il coraggio
di entrare in casa ... Con voce trepidante, la moglie gli disse che i bambini per il
momento stavano bene, ma che il nonno era stato preso dai fascisti, e che ... Qui
essa non riuscì più a continuare,e cadde piangendo tra le braccia del marito, che
lasciò sfogare le sue lacrime. Ciò fu duro anche per lui, ma egli, senza piangere né
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dir parola, si Hmitava ,solo ad accarezzare di tanto in tanto aa testa del[a mogHe.
Quando, verso mattino, tornammo, andammo proprio a sbattere contro una
di quelle pattuglie di guardie civili, che i fascisti avevano istituito per sorvegliare
le linee telefoniche. Questà corpo, chiamato quasi per beffa « Le guardie del duce »,
era composto per la maggior parte da cittadini anziani e da adolescenti.
Li disarmammo subito. Montano voleva llnche dar loro una lezione; ma poi
pensanòo che anche loro avevano una famiglia che li aspettava, e per di più, che
non erano essi i veri colpevoli, li lasciò tornare a casa.
Anche in pianura ormai da due settimane infuriava la guerra partigiana.
V'era molta tensione in giro, e bisognava al più presto trovarsi un rifugio
sicuro.
Danilo s'accasò presso un meccanico di Cadelbosoo. lo fui aiutato da Rino,
che sii rioordò di una famiglia che tempo prima aveva ospitato anche Misa e Nikolaj
il «colcosiano».
Questa abitava in una piccola casa posta in riva al Po, non molto lontano
da Brescello. Quando con la bicicletta attraversammo il ponticel1o sul canale, che
portava all'accesso della casa, ci corse incontro abbaiando un picoolo cane ...
- Questi d'ora innanzi sarà la tua guardia. - Mi disse Rino.
Avvisato dall'abbaiare dello scodinzolante barboncino, uscì ii padrone di
casa. Era un uomo di media statura, cOn folti capelli bianchi.
In quegli ultimi tempi, quando tutta Ja provinda era attraversata da una
dura ondata di repressione, avevo visto troppe facce spaventate, per' credere che
quel vecchio cui ora Rino stava parlando, mi acoettasse.
Dopo aver soppesato il lungo periodo che dov'evo stare presso di lui, il
padrone di casa mi disse: - Il posto per questo giovanotto ce l'ho, ma è per il
mangiare che non so come fare! Qui Rino si sovvenne che poco lontano operava un altro gruppo di patrioti,
composto da un ceto più ricco di gente, che non mi avrebbe di certo negato la sussistenza perché ero russo. CosÌ tutto fu appianato.
- Grazie a Dio, quando ci sono stati Misa e Kòlja, tutto è andato bene! disse il padrone sturando una bottiglia; quindi v,ersando il vino spumante nei bicchieri, continuò. - E sapete perché? Perché quando è ora noi sappiamo tenere
la lingua tra i denti - e qui egli ammiccò alla moglie.
Pmtroppo questa casa, così utile ai fuggitivi come me, sarà bruciata
dai. fascisti poco prima della fine della guerra.
Da quando ero tornato in provincia di Reggio Emilia, le continue azioni
quotidiane, mi avevano distolto dal pensare che Ja casa dei Cervi distava solo venti
chilometri da dov,e mi trovavo. Ma un giorno fui preso da un ardente desiderio
di andarla a visitare. Lo dissi a Rino, che s'offerse di aiutarmi.
A sera venne da noi il comandante di quel gruppo di patrioti, che pensava
al mio sostentamento.
- E' venuto a chiedere - mi disse poi Rino - se tu e Danilo li potevate aiutare a disarmare la guarnigione di Bresoello - .
L'idea di essere ormai considerati specialisti in materia, mi fece sorridere.
- Bisogna parlarne a Montano ... lo e Danilo militavamo nelle file dei garibaldini, i distaccamenti dei quali
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erano stati costituiti dal partito comunista italiano. Ma alla lotta di Liberazione
prendevano parte anche altri raggruppamenti politici, come il partito socialista ed
il partito democratico cristiano, che assieme a quelli del partito comunista, contribuivano con i loro rappresentanti, a formare il Comitato di Liberazione Nazionale.Così poteva succedere spesso, come quella sera, che un gruppo avesse bisogno
deWaltro: ma ciò era competenza del Comitato, perciò toccav'a a Montano di
deci&re.
Dal cortile dove stava pasticciando qualcosa, entrò il padrone di casa, che,
asciugandosi le mani nel grembiale, disse:
- Un'ora fa a Brescello, sono stati uccisi tre fascisti... Ed ora mia moglie
ha saputo ... che in paese sono arrivate due macchine di militi. - Qui egli ci guardò
- Perdonatemi, se questo è meschino ... Ma non sarebbe meglio se andaste loro
incontro sulla strada!? Con ciò capimmo che la nostra azione a Brescello non si poteva più fare. Or"
mai la guarnigione era in stato d'allarme, quindi non si poteva più coglierla di
sorpresa.
E ben presto Rino mi propos'e di andare a Campegine.
Mezzogiorno, faceva caldo. Tutto intorno era sonnolento. Non una nuvola in
cielo. L'erba sulle rive della strada era coperta di polvere, come da una farina grigia. Ma io badavo poco intorno, perché pensavo a come avrei trovato la casa Cervi,
ed al mio incontro con la famiglia.
Ecco ormai snodarsi la strada nota, ed ecco la casa nella quale, come in
quella di Alcide Cervi, avevo passato un'ultima notte da non scordare. Anche qui
era giunto il dolore: in una sparatoria con i fascisti, era stato ucciso Ennio, quel
giovanotto, che una volta ci aveva portato a casa Cervi.
Vedendo la piccola abitazione, dove era accasata la famiglia degli attori ambulanti Sarzi, mi venne subito in mente l'ardente Otello Sarzi, il quale era uno
splendido interprete di Shakespeare. Quando cadeva sulla scena, per mano di vili e
traditori, cercava sempre di infondere nello spettatore l'idea ch'egli sarebbe risorto
più vivo ed integro di pmma. Mi ricordai di Lucia, con le sue lezioni d'italiano, e del
padre coi suoi capelli eternamente arruffati e sempre in disputa; e della madre,
tanto simile alla «madre» di Gòrkij, quando andava in g~ro con manifestini ed
armi nella sporta. Mi ricordai anche della sorella di Lucia, una ragazza tredicenne,
che una volta andò sino a Bologna a portare manifestini, perché le avevano promesso
una bambola. A missione felicemente compiuta, quando cercarono di darle la bambola, la rifiutò, dicendo che essa non era più tanto piccola come credeva la sorella
Lucia, e che quindi voleva essel'e iscritta al partito comunista. Un'alvra volta. es s'a,
trovandosi ormai di sera a Parma con un pacco di « Unità» e non sapendo dove
andare a dormire, decise di andare al commissariato di polizia. Quando Lucia lo
venne a sapere, la sgridò; ma essa le sorruse tranquillamente: posto più sicuro di
quello, per conservare le « Unità », non si poteva trovare.
In quel momento, né io né Rino sapevamo se la famiglia abitava ancora là,
o se si era trasferita per altri incarichi di partito ...
Anche dopo la guerra non ebbi per molto tempo notizia di questa famiglia.
Solo non molto tempo fa, ebbi l'occasione di leggere sull'« Unità» che il teatro ambulante dei Sarzi era stato distrutto da un incendio, e che essi avevano potuto
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riprendere a viaggiare e dare spettacoli nei paesi e nelle città d'Italia grazie all'intervento di alcuni noti scrittori, registi cinematografici ed attori, i quali avevano
raccolto il denaro per rimettere loro in piedi il teatro.
Appena oltrepassata la casa dei Sarzi, vidi apparire la casa dei Cervi; nell'aria si sentiva un dolce ronzio, che pareva usciss'e dalla terra, scaldata dal sole.
Sul cortile devastato stavano due ragazzini( uno era Hglio di Antenore, l'altro di Gelindo), che si stavano lavando nella grande vasca posta dinnanzi alla casa. Appena
ci videro, non ci corsero incontro come fanno i bambini, ma si limitarono a
seguirei pian piano ...
In cucina trovammo le donne. Una cercò di ravvivare il fuoco con della legna
secca; ma non vi riuscì. In un canto la vecchia madre moveva quieta le mani al filatoio. Quando ci vide entrare, alzò la testa, poi riprese a filare. Pareva che il suo
pensiero corresse lontano, alla sera, quando ella, dormendo, avrebbe potuto sognare
i suoi HgH ancor vivi. Ed alcuni mesi dopo la vecchia madre lasciò questo mondo,
per andare a riposare per sempre con i suoi figli. Dopo la guerra, nella sala del Consiglio Comunale di Campegine, fu posto un busto di Genoveffa Cocconi, madre
dei sette eroici fratelli, per la quale il noto intellettuale itaLiano Piero Calamandrei, dettò la seguente epigrafe:
Quando la sera tornavan dai campi
sette figli ed otto col padre
il suo sorriso attendeva sull'uscio
per annunciare che il desco era pronto
ma quando in un unico sparo
caddero in sette dinnanzi a quel muro
la madre disse
non vi rimprovero o figli miei
d'avermi dato tanto dolore
l'avete fatto per un'idea
perché mai più nel mondo altre madri
debban soffrire la mia stessa pena
ma che ci faccio qui sulla soglia
se più la sera non tornerete
il padre è forte l1incuora i nipoti
dopo un raccolto ne viene un altro
ma io sono soltanto una mamma
o figli miei
vengo con voi.
Entrarono i bambini di Agostino, seguiti dalla madre Irnes, che teneva il
plU piccolo in braccio. Essa, riconoscendomi subito, guardò verso la porta, come
se con me, come facevano prima, avessero dovuto entrare flnche i suoi; e non
riuscendo più a trattenere il pianto, scoppiò in lacrime.
Sedutomi a tavola, io non sapevo che dire e come incominciare. Ecco la moglie di Aldo, Verina. Anche se essa era al corrente del lavoro pericoloso che faceva
Aldo, aveva l'abitudine di aspettarlo sempre con pazienza al ritorno dai suoi frequenti viaggi ... Ed ora non aveva più nessuno da aspettare.
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Chiesi a lei del vecchio Alcide.
Verina incominciò ... Quando fu bombardata Reggio, una bomba andò a cadere
sulle carceri, così i prigionieri ne approfittarono per fuggire, e tra questi vi era
anche Alcide Cervi. Ora il vecchio si trovava presso persone fidate, da dove continuava la lotta iniziata dai suoi figli.
Non sarebbe passato molto tempo che a queste donne, già provate dalla violenza fascista, sarebbe stata di nuovo incendiata la casa. Ma esse, oon la stessa
dignità e stoicismo di prima, seppero, ancora una volta, prendersi tutto il peso del·
l'azienda sulle spalle, per farla risorgere come prima. Per non andare con la nostra
pres'enza a ravvivare ancor più il dolore di questa gente, restammo a ca!Sa Cervi
per poco, e verso sera tornammo ancora alla casa del vecchio, che sino allora mi
aveva ospitato.
Là erano ad 'aspettarmi Montano e Danilo, i quali mi comunicarono che il
comando garibaldino aveva deciso di spedirci tutti in montagna. Ma prima, per
procurarci delle armi, dovevamo andare a disarmare una grossa caserma di soldati
italiani.
Così, al mattino presto, presi commiato dai due anziani coniugi che mi avevano ospitato. Il vecchio mi cliss,e che questo non era stato altro che un servizio
recato alla causa; ma la moglie voleva che io restassi a lavorare tranquillamente
con loro, sino alla fine della guerra, quando poi sarei tornato a casa.
Verso sera, io, Montano, Rino, Danilo ed alcuni altri compagni, ci avvicinammo s:ilenziosamente alla caserma che dovevamo disarmare. Essa era comandata da
due ufficiali tedeschi e quattro italiani, mentre la truppa era formata da centoventi
soldati. Ad una settantina di metri dietro noi, stava una cinquantina di baldi giovanotti, futuri garibaldini, in attesa delle armi.
Tutto era calmo ... La guardia fu neutralizzata in modo regolare, senza rumori
né grida.
A piedi nudi, 'attraversammo svelti l'asfalto della strada: ed ecco il largo
portone d'entrata, ed il corridoio, con la luce azzurra dell'oscuramento.
Almeno che nessuno si accorgesse della nostra presenza! Con gli ufficiali ci
sbrogliammo alla svelta: ed entrammo in caserma ... E come in una favola, dieci
minuti dopo, avevamo già cinquanta garibaldini, armati di tutto punto, pronti ad
andare in battaglia.
- Noi partigiani, - disse Montano ai soldati ancor sbigotniti dalla rapidità
del fatto - sappiamo che voi siete qui sotto le armi, non per vostra volontà,
ma perché vi siete stati costretti, perciò voglio chiederw ... : Chi di voi vuoI venire
con noi in montagna? Anche a chi volesse lasciare i vestiti, sar'emmo molto grati ... Alcuni minuti dopo, il nostro distaccamento era sa1ito ormai ad un'ottantina
di uomini. Favoriti dall'oscurità della notte, ci avviammo in montagna. (16)
... La calma intorno era tesa. Ogni minuto temevamo d'imbatterci in un
posto di blocco tedesco. Bisognava arrivare su, al più presto possibile ... L'alba inco(16) Versione del comando G.A.P. suhl'azione aacennata: «2-6-1944. Un Distacoamento
di gapp:sti as,sailiiva e disarmava il 'P,residio de!Jil'Aeronautka repubbHcana a Codemondo, forte
di 40 uomini, recuperando 40 moschetui con lJe1ati'V'e murrizioni ». Cfr. 37" Brigata G.A.P.
«Vittorio Salti-ni », su «Nuovo Risorg1menro» n. 36 del 12-9-1947.
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minciò ad impallidil'e le vette dell'Appennino. Proprio quei monti che avevano sempre servito da sicuro rifugio per i fieri ribelli di tutti i tempi. Laggiù, ormai in tutta
la valle del Po, stavano centinaia di uomini, con in CUOl'e un ardente desiderio di
liberare la loro patria.
LO SCIOPERO DEL 1 MAGGIO 1944
0
ALLA
«
LOMBARDINI })
(discorso di Giannetta Magnanini)
Il Comitato provinciale per le celebrazioni del XXX della Lotta di Liberazione, in accordo con gli organismi dei lavO'ratocri; ha orga,nizzato il 29
aprile 1974, nella mensa della «Lombardini», una manifestazione celebrativa
dello sàopero avvenuto in quella fabbrica il 1° maggio 1944, in piena occupazione nazifascista.
A nome dei promotori dello sciop~o, ha parlato aUe maestranze l'ex
partigiano Giannetta Magnanimi, ora Consigliere l'regionale.
Riportiamo integralmente il suo discorso.
Operai, impiegati, tecnici e dirigenti della «Lombardini », dirigenti sindacali, consentitemi a nome del gruppo di operai promotori dello sciopero del
1o maggio 1944 e di tutti gli operai che a quello sciopero parteciparono, di esprimere il più vivo ringraziamento al Comitato Provinciale per le celebr·azioni del
XXX della Resistenza, al Consiglio di Fabbrica, alla F.L.M. ed agli altri organismi
che hanno promosso questa manifestazione.
Lo sciopero compatto dei 300 operai della « Lombardini » il 1 maggio 1944,
nel periodo in cui più dura era la repressione nazifascista, non fu un atto di ribellione spontanea.
Gli operai della nostra provincia avevano già dato prova della loro combattività e del loro antifascismo militante con gli scioperi alle « Maglierie Manifatture
Milano» (oggi «Bloch ») nell'aprile del 1942, alla «Mossina» di Guastalla il 5-8
marzo 1943, in un reparto delle «Reggiane» nella notte del 30 marzo-1° aprile
1943 e con Ia manifestazione delle « Reggiane» del 28-7-1943 che vide il massacro di nove operai.
Il 1 marzo del 1944 vi erano stati grandi scioperi nelle città del triangolo
industriale (a Torino, Genova e Milano) che diedero una tremenda scossa al fascismo repubblichino, gli tolsero le ultime Hlusioni e ne prepararono il collasso.
Il «New York Times », il più importante giornale americano, scrisse allora
che « in fatto di dimostrazioni di massa non è avvenuto niente nell'Europa occupata dai nazisti e fascisti che si possa paragonare alla rivolta degli operai italiani ».
Ma qui alla « Lombardini » il 1 marzo non ci eravamo fermati, per impreparazione ·ed indecisione, nonostante uno stato di fermento fra gli operai. Vi
erano state invece nel reggiano proteste come a Montecavolo ed alcuni altri episodi.
Questo fatto bruciava molto a noi giovani che, da tempo, ci davamo appuntamento nei gabinetti e volevamo fare qualcosa.
Finalmente, ai primi di aprile, nel corso di un bombardamento, trovammo
il contatto con il P.c.I. e con il Movimento clandestino.
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Il 30 aprile, dopo lo spezzonamento di aerei inglesi che provocò numerosi
morti, ci trovammo in una casa e celebrammo il lO maggio.
La Federazione Reggiana del P.C.I. aveva diffuso un volantino che non
invitava direttamente a scioperare ma faceva appello all'« unione per l'azione»
e affermava: «L'Italia, nella futura società, avrà il posto che le appartiene a
condizione che essa porti alla lotta il proprio contributo ed è in misura dei nostri
sforzi e dei nostri sacrifici che noi potremo rivendicare con dignità i nostri diritti ».
Quelle parole ci bastarono e il mattino del lO maggio, quando l'operaio
Adolfo Ganassi ci disse che era il momento di scioperare, trovò entusiasti noi della
cellula della gioventù comunista e consapevoli quelli dell'organizzazione degli adulti.
Così nove mesi dopo il massacro delle Reggiane, in un clima in cui il nostro
atto poteva volere dire arresto, tortura, deportazione in Germania o fucilazione, non
esitammo.
Alle ore lO in punto vi fu chi staccò i coltelli della forza motrice e in tutti
i reparti vi fu un gridare « ferma ferma! ». Tuua la fabbrica si bloccò. Dopo 20
minuti arrivarono i fascisti in divisa e in borghese armati di tutto punto; piazzarono una mitraglia pesante davanti alla portineria degli operai. Entrarono nei Teparti, ma in torneria Ii accogliemmo con la baia. Cominciarono gli interrogatori,
le minacce, le botte. Un gruppo di operai fu portato in Questura; un gruppo più consistente fu portato, nel pomeriggio, alle carceri dei Servi dove vi era il famigerato
Sidoli. Infine presero un gruppo di ragazzi dai 14 ai 16 anni, sperando di farli
parla·re. Ma questi passarono al contrattacco protestando per le loro condizioni di
lavoro e di vita. Alla fine, di fronte a tanta combattività e compattezza, furono
i fascisti ad impaurirsi (loro armati contro inermi), ad abbandonare il campo
ed a desistere.
I fasoisti, oltre che nelle informazioni interne fra cui una della G.N.R. riservata a Mussolini, ammisero pubblicamente lo sciopero solo nell'agosto in un articolo sul Solco Fascista, giornale dell'epoca, dove si legge che gli operai, dopo lo
sciopero, erano rinsaviti perchè avevano fatto un'offerta in dana'tO per le famiglie
dei caduti fascisti. Ma ciò è un falso; gli operai non cacciarono un soldo. Si trattò di
una somma estorta a Lombardini con l'impegno dei fascisti che non avrebbero fatto
rappresaglie sugli operai. La somma, more solito, non si sa quale fine abbia fatto.
Lo sciopero fu l'espressione del crescente fermento, della agitazione, della
collera operaia contro la razione alimentare, la fame, le molte ore giornaliere di
lavoro, gli allarmi, le rappresaglie, lo stato di repressione; e contro i traditori fascisti, contro l'occupazione tedesco, contro la guerra.
Ma lo sciopero del lO maggio 1944, anche se fu il momento più esaltante ed
emblematico della Resistenza al fascismo, non fu l'unico episodio. Voglio ricOTdare
in sintesi alcuni di questi episodi che potrebbero essere integrati da altri.
Nel 1938 alle « Reggiane» vi fu un massiccio licenziamento di operai antifascisti e un gruppo di questi operai fu assunto alla <, Lombardini », in un periodo
in cui per lavorare occorreva la tessera del <, fascio ».
Questi operai raccontano di avere trovato subito un ambiente di simpatia. Da
allora, fu presente il movimento clandestino con la sua azione di propaganda antifascista, e di proselitismo verso i giovani che verrà più avanti.
Prima del 25 luglio 1943, nove operai furono arrestati e trattenuti in carcere
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due mesi. Il 28 luglio del 1943, appresa la notizia dell'eccidio delle « Reggiane »,
gli operai abbandonarono il lavoro.
Durante l'occupazione nazista, la lotta operaia si è svolta in forme illegali,
ma a volte prorompeva in modo aperto e di massa. Vi fu una protesta di massa
contro la mezz'ora di tempo per pranzare concessa dalla Direzione dell'Azienda.
Un gruppo di operai al sabato pomeriggio, con il consenso di Adelmo Lombardini titolare dell'Azienda, si recava in fabbrica per fare, per i partigiani, argani
per attorcigliare fili telefonici, chiodi a tre punte antigomme, treppiedi di mitraglia,
deragliatori di treni, riparazioni di armi, dispositivi per hi:nciafiamme anticarro.
Pochi giorni prima della Liberazione, una delegazione clandestina, a nome
del C.1.N., andò a trattare il premio di L. 4.000, che chiamammo «premio della
Liberazione ». Lombardini si rifiutò di trattare con la Commissione Interna promossa dai Sindacati fascisti, ma trattò e concluse con la delegazione del Movimento clandestino.
Nei giorni che precedettero il 25 aprile, gli operai, dopo avere parlamentato con il titolare dell'azienda, entrarono in fabbrica, misero al riparo fuori
dallo Stabilimento i cartellini, l'archivio, documenti vari, l'utensileria più preziosa,
gli strumenti di precisione e presidiarono la fabbrica per salvare l'apparato produttivo, contro il dichiarato proposito dei fascisti di fare saltare la fabbrica prima
di fuggire nell'oltre Po. Infine gli operai parteciparono alla liberazione della città.
Quali sono, operai, tecnici, impiegati, gli insegnamenti che derivano dagli
episodi di resistenza e di lotta che ho ricordato? In primo luogo che la classe
operaia nel corso della lotta antifascista ha assunto piena consapevolezza della sua
autonomia, della sua coscienza di classe e della sua funzione nazionale.
Gli operai, assieme ai contadini, da aggetti di storia divengono i protagonisti
della storia moderna. Acquisiscono coscienza che la loro forza può esprimersi solo
nell'unità, nella compattezza, come quel 1° maggio glarioso del '44, ma comprendono pure che la loro unità non è sufficiente. Infatti un gruppo di operai comunisti
fu il primo a muoversi con la propria organizzazione clandestina, cercando e tra·
vanda l'unità con i cattolici, che erano presenti ed attivi, con tutti gli altri ed
anche con il rappresentante della Direzione della fabbrica.
Unità delle forze palitiche e delle forze sociali: questa era la politica del
C.1.N. che ci portò alla vittoria sul fascismo e sull'occuppante straniero.
Avemmo rapporti e contatti con Lombardini, ci era noto il suo spirito
antifascista (assunzione di operai antifascisti, concessiane di lavorare per i partigiani, trattative già sotto i nazisti per il premio di Libera:zione).
Non c'era certa coIlabO'raziane di· classe, vi è sempre stata una visione
dialettica, difesa dei nostri interessi, unità antifascista. Il regime fascista favorì il
grande padronato, ma la sua politica di repressione delle libertà, di bassi salari,
di guerra, di subordinazione allo straniero portò a minacciare l'apparato produttivo
e lo sviluppo delle aziende.
Lelio Lombardini, trattando con gli operai, concludendo sulle 4.000 lire,
subiva una riduzione del proprio profitto, ma avvertiva che gli operai erano l'unica
prospettiva per salvare le strutture aziendali e per avviare la ripresa a guerra
conclusa.
La classe operaia ha avuto una funzione egemone nella costruzione del
74
blocco sociale e politico che ha portato a una conclusione vittoriosa la guerra di
Liberazione nazionale nel 1945. Il ruolo della classe operaia ha caratterizzato
tutta la storia del nostro Paese degli ultimi 30 anni. La classe operaia, con le sue
lotte sindacali e politiche, è stata forza determinante per l'avvento della Repubblica e della Costituzione, per respingere la volontà di chi la voleva restringere
nel ghetto, per mantenere aperto uno sviluppo democratico del Paese.
Questa coscienza di autonomia, di libertà, di ruolo nazionale, ha dato a noi
la consapevolezza che la lotta per migliorare le proprie condizioni di vita e di lavoro,
di civiltà e di cultura, avviene in un processo di lotta più generale per salvaguardare le istituzioni repubblicane, per risanare e rinnovare la democrazia allargando
gli stessi concetti di democrazia e di libertà.
Oggi, la minaccia fascista è ancora evidente. I fascisti vanno compiendo atti
terroristici infami con il proposito dichiarato di creare il caos, il disordi:ne, la paura
ed imporre un regime autoritario.
La stessa competizione per il « referendum» sul divorzio è presa a pretesto
per mutare il quadro politico, per un regime illiberale ed autoritario.
Il senso della celebrazione dello sciopero di 30 anni fa, diventa quindi di
grande attualità.
Operai, tecnici, impiegati, cittadini, l'insegnamento che ci viene da quella
gloriosa giornata è quello dell'unità operaia e democratica per dire più forte
no al fascismo e per proseguire nella lotta per dare sempre più ampio spazio agli
operai ed al mondo del lavoro nell'Italia della Repubblica e della Costituzione
democratica, per uscire dalla crisi economica, politica e sociale in cui ci troviamo.
Ci apprestiamo a celebrare dopodomani ilio maggio del 1974, che vedrà per la
prima volta libere manifestazioni operaie anche in Portogallo dopo 50 anni di dittatura,e ciò ci è di conforto e di stimolo a proseguire nell'unità e nella lotta.
Consentitemi infine di ricordare il sacrificio degli operai partigiani della
« Lombardini » che sono caduti per la nostra libertà: Paolo Davoli, Sergio Stranieri,
Sergio Beretti, Adalgiso Guardasoni, Erio Tondelli.
Da essi e da quanti sono caduti, dalla lotta degli operai di allora è venuto
un insegnamento che voi avete fatto proprio facendo dei dipendenti della « Lombardini » i protagonisti della costruzione di un forte e libero sindacato, dei partiti
democratici, ed i protagonisti di tutte le lotte di questi 30 anni per i diritti del
lavaro, la libertà e la democrazia.
Viva indelebile il ricordo dello sciopero del 10 maggio 1944; ci sia esso
di sprone nella lotta per migliorare continuamente le condizioni di vita e di lavoro
per noi e per le nostre famiglie, per elevare lo sviluppo sociale, civile e culturale
del nostro Paese.
DOCUMENTI INEDITI SULLA RAPPRESAGLIA
DEL 30 GENNAIO 1944
E' stata ricordata, nel gennaio scorso, la fucilazione di don Pasquino Borghi
e di altri 8 patrioti.
Rispettando il nostro impegno di celebrare il 30° della Lotta di liberazione
nel modo per noi più congeniale, pubblicando cioè documenti e testimonianze che
approfondiscano la conoscenza dei fatti cbe via via vengono solennemente ricordati,
ospitiamo in questo numero la lettera di Giovannetti Destino, scritta ai familiari
poco prima della morte, e un documento riservato di un Ispettore generale di P.S.
LETTERA DI GIOVANNETTI DESTINO
Carissima Umberto e Placido,
Rassegnatevi al destino crudele - siate forti - non avrei mai creduto
una cosa tale. Muoio innocente.
Mi dispiace che Placido debba troncare gli studi - lavorerai onestamente
e da buon cittadino - ricordati che il tuo Papà muore innocente - ricordalo.
Vi mando l'ultimo saluto, un abbraccio e un bacio.
Vostro Destino
Salutami tutti, zie, fratelli, sorelle, nipoti e tutti i parenti
Destino
Unisco il borsellino con L. 103 - e le altre carte da bruciare. Il mio dolore è quello di non avere mai commesso cose contro il mondo!
Pazienza. Mi raccomando a Placido sia bravo e non dimentichi il suo Papà - e
tu Umbetta amami sempre.
Addio a tutti.
Spero almeno vi arriveranno le mie scarpe ed il paletò.
Mandate la Pisa a riscuotere la busta.
La lettera è sfuggita alle ricerche che l'ANPI Provinciale fece a suo tempo
in tutta la provincia per reperire i messaggi dei caduti, da pubblicare sul libro
«Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana », di Malvezzi e Pirelli.
Trattasi dunque di un documento che viene pubblicato ora per la prima volta.
L'abbiamo avuto dal figlio Placido, il quale ci ha riferito che la lettera,
vergata su di un foglio di quaderno scolastico a quadretti, è stata scritta nel Carcere dei Servi, nella notte tra il 29 e il 30 gennaio. Giovannetti e gli altri 8 prigionieri, sono stati fucilati come è noto al Poligono di Tiro, alle ore 7 del 30 gennaio 1944.
76
RELAZIONE DI UN ISPETTORE GENERALE DI POLIZIA
N. 055
La Spezia 10-2-1944 XII
OGGETTO: Reggio Emilia - Situazione politico-economica.
ALL'ECC. IL CAPO DELLA POLIZIA
ROMA
Con riferimento ai rapporti di pari numero del 10 e 18 gennaio scorso, comunico all'Ecc. V. che, nonostante siano state adottate le più rigorose misure
di vigilanza e di controllo in città e provincia si sono dovuti ancora lamentare a
Reggio E. altri sanguinosi e pro di tori atti contro fascisti repubblicani od elementi
della G.N.R. con uno stile che rivela tuttavia un'organizzazione sovversiva ed un
programma che mira a sopprimere sistematicamente e con bieca ferocia gerarchi
e gregari, nel vano e ba10rdo tentativo di incutere timore e creare perplessità, che in
definitiva dovrebbe indurre a disertare le file degli aderenti, che invece sempre
con maggior entusiasmo e più numerosi vanno man mano iscrivendosi al Partito
fascista repubblicano.
Sta di fatto che il 28 gennaio scorso verso le ore 18, in S. Martino di Correggio, il Capo Squadra della G.N.R. Ferretti Angelo di Marco, mentre transitava in
bicicletta, venne fatto segno da colpi di pistola da due sconosciuti che l'avevano
seguito. Il Ferretti decedeva istantaneamente.
Il 21 gennaio, una pattuglia mista di carabinieri e militi della G.N.R. avuta
notizia che nella canonica della parrocchia di Tapignola in Coriano di Villaminozzo
si erano rifugiati dodici ribelli, di cui otto italiani e quattro russi, si recarono prontamente sul posto, e, fatti segno a colpi di arma da fuoco ed a lancio di bombe a
mano, reagivano, rispondendo energicamente al fuoco. I ribelli però riuscivano ad
occultarsi senza lasciar traccia. Nell'occasione veniva arrestato il parroco di Tapignola in Coriano don Pasquino Borghi, responsabile di favoreggiamento per aver
dato ospitalità ad una banda armata di ribelli e di prigionieri nemici, responsabili
di tentato omicidio nelle persone di militi e carabinieri. Il predetto parroco affermò
poi di aver concesso loro ospitalità per obbedire alla regola cristiana di dare
ospitalità a chiunque, senza però che egli si sia reso conto della responsabilità che
inevitabilmente gli sarebbero state attribuite, per avere contravvenuto a precise
disposizioni di guerra.
Soggiungo che alle ore 19,45 del 27 detto in S. Martino in Rio venivano
rinvenute e più tardi rimosse due bombe a mano tipo Breda sospese con spago
all'esterno della caserma dei carabinieri, in modo che, coll'aprire la porta d'ingresso,
esplodessero. I militari, rientrati dal servizio, sventavano l'attentato, rimasto così
senza conseguenze.
Il barbaro assassinio del Capo Squadra Ferretti, che è venuto a far corona
al martirio di altri fascisti colpiti anch'essi proditoriamente in breve volgere di
t~mpo, aveva suscitato specie nell'ambiente fascista, già in vivo fermento, la più
dolorosa impressione e provocato anche propositi di una energica reàzione. L'Ecc.
il Capo della Provincia riuscì però anche questa volta a mantenere l'ordine, mentre
il Tribunale straordinario provinciale, riunito si il 29 gennaio, è cioè il giorno successivo all'assassinio del Ferretti, giudicava e condannava nove persone, responsabili
Tl
di aver svolto la loro attività e con i loro atteggiamenti eccitato animi, alimentando
così un'atmosfera di odio e di anarchia e determinando in definitiva gli autori materiali a consumare i vari assassini lamentati di recente. Tra i nove condannati e giustiziati vi erano tre fascisti, responsabili anche di tradimento al giuramento prestato all'idea ed al Duce, e lo stesso parroco don Borghi.
La sentenza ha prodotto penosa impressione in ogni ceto, ma anche fra i
ben pensanti si ritiene che essa nelle attuali difficili contingenze costituisca un salutare monito perché abbiano a cessare i vili attentati, che rattristano e suscitano
una sempre maggiore e legittima reazione.
Il Vescovo di Reggio non ha mancato di intervenire presso l'Ecc. il Capo
della provincia a favore del parroco don Borghi, ch'egli avrebbe voluto far apparire
come un esemplare prete solo colpevole di aver obbedito ad un comandamento di
cristiana carità, in un'occasione nella quale fatalmente elementi facinorosi avevano
profittato dei suoi sentimenti cristiani, compromettendolo. Certamente lo stesso
Vescovo ed il clero tutto saranno rimasti dolenti ed anche insoddisfatti.
Il 3 corro verso le ore 18 circa sulla strada della frazione di S. Pellegrino
di Reggio E. il V. Capo Squadra Cavetti Giuseppe mentre dirigevasi verso casa,
veniva raggiunto da un ciclista sconosciuto e fatto segno a due colpi di arma da
fuoco, che lo ferivano non gravemente alla regione lombare. Il feritore riusciva
a dileguarsi senza che sia stato possibile ancora identificarlo.
Siffatta serie di vili aggressioni ai danni di fascisti, vittime innocenti di bieco
livore di parte, rivela una situazione delicata ed anche alquanto grave, che reclama
energici provvedimenti atti a stroncare ogni attività delittuosa del genere, che commuove, esaspera e turba profondamente lo spirito pubblico.
Pertanto non ho mancato di consigliare d'intensificare i servizi di vigilanza
e di controllo onde poter rintracciare gli elementi già noti come politicamente e
moralmente pericolosi e quegli altri che risultino comunque capaci di attentati;
di dare inoltre il maggiore impulso ai servizi fiduciari, destinandovi persone che
diano sicuro affidamento di correttezza politica e premiando largamente i più
meritevoli; di affrettare infine la preparazione e l'esecuzione di servizi di carattere
militare per catturafre le bande ribelli, che alimentati e forse diretti da agenti nemici,
infesterebbero località montane.
Debbo far presente all'E.V. che il Comando militare tedesco non sembra
che si interessi molto ai tristi fenomeni di cui dianzi è cenno, sicché le nostre
autorità non si sentono molto sorrette nell'adozione delle misure di rigore che si
manifestano urgenti ed indispensabili.
Il 3 corr., in conformità alle disposizioni impartite al riguardo dall'E.V. l'Ecc.
il Capo della Provincia riusciva a far partire per Roma quattro autotreni con quintali 300 di farina e 120 di formaggio. Non riusciva invece a far partire altro carico
di 150 quintali di farina, 300 di pasta, 114 di formaggio per difficoltà sollevate
dal Comando militare germanico circa l'impiego di automezzi provenienti da altre
province.
Nonostante ciò, i rapporti tra le nostre autorità e quelle tedesche, sono
corretti.
Fino al 3 febbraio su 5240 reclute chiamate alle armi, se ne sono presenta-
78
te 3195 e 18 volontari. Risultano assenti giustificati 984, mentre 1061 risultano
finora ingiustificati.
L'ISPETTORE GENERALE DI P.S.
(Coco)
L'originale del documento travasi nell'Archivio Centrale di Stato, Div. AA.
GG.RR., 1903-49, b. 14. Esso non aggi,unge molto di nuovo a quanto è già stato
pubblicato sul gravissimo fatto del 30 gennaio '44.
.
E' interessante tuttavia apprendere dall' autorevole funzionario che in campo
fascista la situazione reggiana era considerata grave particolarmente per l'azione
partigiana che appariva incontrollabile.
.
L'estensore, ci tiene poi ad affermare che i rapporti con i tedeschi « sono corretti », anche se costoro la fanno da padroni in materia di trasporti di generi alimentari destinati alla capitale.
Infine, è pr,eziosa la notizia relativa alla chiamata alle armi di buona parte
della gioventù reggiana. Vi spiccano in modo eloquentissimo quei 18 volontari, oltre che i numerosissimi assenti ingiustificati. Se ne ha una ulteriore prova della
malattia cronica da cui era afflitto l'esercito repubblicano: quella delle renitenze
e diserzioni in massa.
Lo stesso alto funzionario, in un raporto successivo datato 18 febbraio
1944, riferiva tra l'altro al Capo della Polizia: « .. .il Vescovo di Reggio Emilia apprese la notizia della condanna e della fucilazione del parroco don Borghi Pasquino
da privati cittadini la mattina del 30 gennaio scorso, subito dopo la funzione
di suffragio degli italiani trucidati in Istria.
Scrisse allora immediatamente una lettera all'Eccellenza il Capo della provincia per dolersi di non aver avuto notificato, ai sensi dell'art. 8 del Concordato,
la sentenza prima dell'esecuzione, e soprattutto per non aver potuto portare
una parola di conforto e paterna assistenza al parroco. Ma prima di spedirla, riceveva la lettera con la quale l'Eccellenza il capo della Provincia gli comunicava
la dolorosa notizia, facendola seguire da espressioni di rammarico e di attaccamento alla religione.
Ed allora lo stesso Ordinario univa alla prima una seconda lettera, per
ringraziare e per rinnovare, in termini cortesi la protesta ».
Il relatore dava poi notizia della notissima pastorale rivolta dal Vescovo
al clero reggiano attraverso il Bollettino diocesano; definiva la fucilazione del 30
gennaio un «deplorevole episodio, di cui certamente nessuno può essere lieto »;
metteva in dubbio la competenza « per ragioni di materia» del Tribunale che aveva
emanato la sentenza; e informava che il Capo della provincia Enzo Savorgnan era
«stato già chiamato a Maderno dall'Eccellenza Buffarini per chiarimenti ».
Se lo stesso Ministro dell'interno convocava la massima autorità della provincia per chiarimenti, il fatto aveva evidentemente preoccupato, per le sue implicazioni politiche, lo stesso governo della R.S.I.
Per quanto riguarda la situazione politica, inedita è la notizia di una riunione
79
tenutasi a Lucca tra Savorgnan, altri Capi provincia e «le autorità militari competenti per territorio », nella quale « si è stabilito di operare un improvviso rastrellamento di tutti gli elementi comunque pericolosi trovati nelle zone che si ritengono
infestate dai ribelli ».
Forse proprio da quella riunione ebbe inizio la preparazione del rastrellamento sull'Appennino modenese e reggiano, nel corso del quale si ebbero il combattimento di Cerré Sologno e le grosse rappresaglie di Cervarolo (24 morti) e di
Monchio, Susano e Costrignano in prov'incia di Modtna (136 morti).
DUE INCONTRI CON MONS. TESAURl
Gli amici di Cavriago mi hanno richiesto una testimonianza su di un illustre
loro concittadino, l'Arcivescovo Pietro Tesauri, il quale dal 1921 al 1933 è stato
prevosto di Correggio.
Mi pare sia giusto rispondere, e lo faccio attraverso la nostra Rivista.
Di Mons. Tesauri ho letto una biografia pubblicata nel libro « Nostri Preti »,
ove viene esaltata la sua personalità sotto il profilo del fervent,e combattente per
la fede cristiana, del propagandista, del predicatore insigne, dell'organizzatore e
dell'opera svolta nell'elevato magistero spinituale come prevosto, Vescovo e Arci·
vescovo.
Il biografo, canonico Undner, volendo inquadrare l'azione di don Tesauri
nel campo delle battaglie civili precedenti alla sua nomina a prevosto, non sa
usare altro che un linguaggio da crociata tacendo inveoe, tra l'altro, sull'impegno
propagandistico di don Tesauri a favore del costituendo Partito Popolare, la cui
nascita fu uno dei grandi avvenimenti politici nella storia del nostro Paese.
Volendo rappresentare l'ambiente nel quale si svolgevano le battaglie civili,
egli scrive:
« Le folle si contorcevano nella smorfia grottesca di un irraggiungibile ideale, la piazza era satura di odio a Dio, alla Chiesa, alla Patria, don Tesauri pur fra
le villanie dei comizi e le offese alla dignità sacerdotale, fu anima e bandiera della
riscossa cattolica».
Sotto la bandiera della riscossa cattolica andava sviluppandosi un movimento
culturale, spirituale, sociale, sindacale ed economico. Parimenti, sul piano politico,
si costituiva un partito di ispirazione cristiana che prevalentemente sicontrapponeva al movimento di ispirazione socialista, il quale, non lo si dimentichi,aveva
elevato le plebi a dignità civile.
Certo, le lotte sociali economiche e politiche, con la guerra avevano assunto
un aspetto molto aspro. La guerra aveva messo a nudo le profonde contraddizioni
della società borghese "liberale" e le sue brutalità. Fra le masse popolari si era
accumulata una grande collera contro i responsabili della guerra e i «pescicani»
approfittatori, che non erano la Patria.
Nell'animo dei lavoratori che ritornavano dal fronte, si era creata anche
una grande fede, una grande speranza, una precisa volontà di creare un avvenire
migliore, per realizzare quello che fino allora era sembrato un sogno dell'avvenire.
Su di un altro versante, il cieco, egoistico conservatorismo padrona1e respingeva tutte le rivendicazioni dei lavoratori della città e delle campagne; la propaganda padronale seminava odio a piene mani per dividere i lavoratori cattolici da
quelli socialisti, gli operai dai contadini, e scaricare le conseguenze economiche
82
della guerra sulle masse popolari, orientando il malcontento degli ex combattenti
contro le organizzazioni dei lavoratori.
In questo contesto socialisti e cattolici continuavano a combattersi e cosÌ
passò anche il rascismo.
In tale complessa situazione storica si svolse la multiforme azione di don
Tesauri prima della sua nomina a prevosto di Correggio.
Egli arrivò a Correggio nel pieno dell'offensiva terroristica della borghesia
agraria; il giorno prima, 14 agosto 1921, i rascisti avevano assassinato a Cànolo il
contadino socialista Cocconi.
Lo squadrismo agrario rascista aveva ratto la sua prima apparizione in
città il 31 dicembre 1920. In quella occasione erano stati assassinati due esponenti
socialis ti.
In pochi mesi, con violenze di ogni genere, persecuzioni, «bandi» contro
i «sovversivi », devastazione di cooperative, occupazione delle sedi di organizzazioni dei lavoratori e infine con l'imposizione delle dimissioni alla Amministrazione
socialista, le bande rasciste avevano instaurato un regime di terrore e di prepotenza
in violazione di ogni legalità.
.
Le organizzazioni politiche sociaÌistee comuniste, divise e impreparate a
questa rorma di lotta, erano ridotte alla semiclandestinità; del Partito popolare
non se ne parlava più. La grande avanzata delle rorze socialiste e popolari era
ormai stroncata.
La nomina di don Tesauri a parroco di Correggio aveva creato in città un
rorte interesse, grande soddisrazione negli ambienti cattolici, neutrale attesa in
quelli socialisti e malcelato disappunto rra i rascisti.
Il giorno del suo ingresso ufficiale ru molto movimentato. Tra i convenuti
alla stazione, oltre a tutte le organizzazioni cattoliche, c'erano anche parecchi
rascisti in camicia nera ed in maniresto atteggiamento provocatorio. Grazie alla
rermezza di don Tesauri, non ci rurono incidenti e il corteo, scortato dai carabinieri,
si concluse con una certa animazione davanti alla canonica.
Don Tesauri iniziò la sua direzione parrocchiale nella grave situazione politica sopra indicata; pertanto la sua proclamata missione di «resurrezione cristiana e morale della parrocchia» non si delineava tanto facile e tranquilla. Oltre
che dei guasti della violenza rascista, bisognava tenere conto di intricate posizioni
politiche, morali e culturali molto contraddittorie.
Nel campo sociale e culturale erano presenti tradizioni clerico-moderateconservatrici della borghesia, condivise anche da molti cattolici benpensanti da un
lato; dall'altro esisteva ancora un anticlericalismo radicale di origine risorgimentale, che allignava in mezzo alla piccola borghesia democratica e intellettuale,
imbevuta di cultura laica, e l'anticlericalismo popolare di origine sociaLista.
Non sta a me esprimere un giudizio sull'opera di evangelizzazione di Mons.
Tesauri; posso dire invece che di rronte alla dilagante miseria provocata dalla
reazione economica del padronato rascista ed al vuoto creato con la distruzione
delle organizzazioni economiche, mutualistiche e di classe dei lavoratori, trovò
largo spazio la sua iniziativa assistenziale e sociale verso «i poveri »e ricreativoGUlturale verso i giovani. Il che gli procurò molte simpatie tra le categorie più
bisognose della città.
83
Egli seppe, in quelle condizioni, aprire la porta a quanti (anche ex socialisti,
e ne ho conosciuti vari) sfiducia ti ed umiliati dalla prepotenza fascista e padronale,
cercavano nella religione e nelle attività cattoliche un conforto e un motivo per
sopravvivere moralmente, e talvolta economicamente.
Con mons. Tesauri - benché avessi modo di incontrarlo quasi giornalmente poiché la mia famiglia da decenni abitava nella casa ove io sono nato, di
front<:t aUa canonica - non avevo mai avuto rapporti diretti. Ci conoscevamo,
per c~sì dire, da lontano, collocati come eravamo, per formazione ideale, per generazione, per impegno politico, per responsabilità, in posizioni diverse e di grande
dislivello.
Militai sin dal 1920 nella gioventù socialista e poi in quella comunista.
Dal sorgere del fascismo sino al marzo del 1923, quando partii per il servizio militare, fui protagonista di parecchi scontri con i fascisti. Ritornato nel settembre del
1924, ripresi l'attività comunista, ma nella primavera del 1925 dovetti fuggire
da Correggio in circostanze drammatiche, per sottrarmi ad una dichiarata aggressione omicida dei fascisti. Vi ritornavo nel 1932 come vigilato speciale, dopo aver
scontato 5 anni di carcere per aver svolto attività comunista a Milano.
Constatai come l'azione di mons. Tesauri avesse conseguito notevoli successi. Il suo prestigio personale e la sua autorità erano fortemente aumentati.
La voce popolare, memore di burrascosi scontri tra lui e i fascisti particolarmente sui problemi delle organizzazioni giovanili, lo diceva antifascista. Fu certamente in conseguenza di questi scontri che, il 18 ottobre 1931, scrisse nel suo
diario « mi è stato consigliato di non andare in chiesa di sera ( ... ) per evitare possibili pericoli... ».
In quell'epoca, quando ormai tra la sfera politica e quella religiosa le cose
si confondevano e le parrocchie erano diventate in buona parte anche strumenti
per l'organizzazione del consenso a favore del regime fascista, l'antifascismo di
quei sacerdoti che non si erano piegati alla prepotenza fascista si esprimeva solo
in un ristretto cerchio di rapporti personali nello stesso ambito della Chiesa, così
come avveniva appunto per mons. Tesauri.
Dalla lettura del «Bollettino parrocchiale », mi riusciva difficile scoprire
questa posizione. Il fare bonario, comprensivo verso le categorie più povere duramente colpite dal fascismo, rientrava nei compiti della sua missione pastorale;
così come la implacabile condanna dell'umiliazione della personalità umana (specie
femminile), diventata manifestazione di costume dei gerarchetti, era nel suo stile
.11 sempre.
Non poteva essere diversamente: c'era già stata la Conciliazione tra lo
Stato italiano e il Vaticano, il superamento del contrasto del 1931-32 intorno alle
organizzazioni giovanili e assistenziali cattoliche e quelle dei «regime », c'era già
stata la pubblicazione dell'enciclica «Quadragesimo anno» di Pio XI, con la
conseguente indicazione al clero di collaborare col regime fascista.
Il «Bollettino parrocchiale» diretto da mons. Tesauri rispecchiava questa penosa situazione.
Ma non ebbi molto tempo per osservare quanto avveniva a Correggio. Tre
mesi dopo il mio ritorno, nel gennaio 1933, sotto l'accusa di tentato espatrio clandestino, venni di nuovo arrestato.
84
Il 13 marzo 1933, mons. Tesauri venne eletto Vescovo di Isernia e Venafro.
Durante la Quatesima, dopo la predica pasquale da lui tenuta nel carcere
di S. Tomaso, ricevetti la sua visita in una cella dell'infermeria ove ero ricovetato.
Fu molto cortese: mi portò i saluti e gli auguri di mia madre da anni ammalata
e che dopo il mio arresto non avevo più veduta. Si informò della mia salute e, facendomi gli auguri di Pasqua, auspicò che potessi ritornare presto libero In
famiglia.
Quella fu la prima volta che ebbi occasione di parlargli e non sapevo se
avrei avuto modo di rivederlo.
Quando, caduta l'accusa a mio carico, uscii di carcere ai primi di giugno con
5 anni di confino quale «irriducibile avversario del regime» (sentenza tramutatami in 2 anni di ammoniz10ne per ragioni di salute) mons. Tesauri era ancora a
Correggio. Mi recai da lui in parrocchia, per una visita d'obbligo. Lo ringraziai
a nome di mia madre e mio personale,e colsi così l'occasione per esprimergli le
mie felicitazioni per la sua nomina e il sincero rammarico per la sua partenza da
Correggio.
L'incontro fu molto cordiale. L'atteggiamento di mons. Tesauri incoraggiava una certa apertura. Il discorso cadde inevitabilmente sulle persecuzioni fasciste e poliziesche subite, sulla mia formazione culturale. Egli seguiva con molto
interesse il discorso e non nascose la sua sorpresa nell'apprendere come in carcere
i collettivi politici fossero dei centri di formazione culturale e politica, e come
gli antifascisti carcerati, con la mente rivolta al superamento del fascismo, si
tenessero aggiornati sulla situazione del Paese, non solo con le informazioni che
in vaTio modo giungevano sino a loro, ma anche con la lettura di riviste fasciste
come « Gerarchia », «Critica fascista» e la rivista dei gesuiti « Civiltà cattolica»
che a Correggio nessuno leggeva.
Mons. Tesauri si trovava, forse per la prIma volta, di fronte ad un «parrocchiano» non in cerca di conforto religioso, come legittimamente poteva aver
pensato o sperato in un primo momento. Si trovava invece di fronte ad un corregge se che gli portava la testimonianza di quella resistenza che, dopo 11 anni
di dittatuta fascista, teneva ben viva una attività di opposizione clandestina in mezzo
al popolo e che, malgrado i numerosi arresti operati anche a Correggio e in provincia, i fascisti non erano riusciti a stroncare.
Certo non esistevano allora prospettive di una caduta del regime fascista a
breve scadenza, né si avvertiva negli ambienti cattolici un ripensamento critico
nei confronti del fascjsmo. Anzi, in quell'epoca il trasformismo clerico-fascista era
in pieno sviluppo an~pe a Correggio. Pertanto difficilmente quell'incontro avrebbe
potuto avere un seguito.
Ho però la presunzione di credere che esso non sia stato dimenticato da un
uomo dalla sofferta esperienza politica a pastorale come mons. Tesauri.
Pochi giorni dopo egli lasciava l'importante, ma non comodo vicariato di
Correggio, per trasferirsi nella lontana, tranquilla ed osservante piccola diocesi
di Isernia e Venafro. Qualche anno più tardi venne eletto arcivescovo di Lanciano
e Ortona.
Mi fa piacete ricordare qui che nel 1943, quando Lanciano si venne a trovate sulla linea del fronte, contro l'ingiunzione tedesca di evacuazione, l'arcivescovo
85
Tesauri si schierò, alla testa del popolo, contro questo ordine e si schierò con
la banda partigiana Trentino La Barba.
Dopo la liberazione di Lanciano, fu chiamato dal C.L.N. a far parte della
Giunta comunale e venne anche proposto per una decorazione al valor militare.
Crollati gli antichi steccati di divisione tra cattolici e schieramenti di ispirazione socialista, questo illustre rappresentante della gerarchia ecclesiastica affrontava l'ultima fase della sua vita inserendosi nel movimento resistenziale unitario
per la liberazione del Paese dal nazifascismo e la costruzione di una società democratica
ALDO MAGNANI
Atti e attività delf Istituto
L'ASSEMBLEA ANNUALE DEL 25 MAGGIO 1974
Presso la sede dell'Istituto, è stata tenuta il 25 maggio 1974 l'Assemblea
annuale dei soci.
In apertura dei lavori, che erano presieduti dall'ono avv. Dino Felisetti, il
rag. Bruno Caprari dava lettura del bilancio dell'Istituto e della Rivista.
Subito dopo il dotto Pino Ferrari, in luogo del Presidente rag. Virgilio Camparada, indisposto, dava lettura della relazione dei Revisori.
Dopo alcuni brevi interventi il bilancio veniva approvato.
Il Presidente Felisetti leggeva poi la relazione del Comitato Direttivo, in cui
si dava conto ai presenti dell'attività svolta nel 1973 e si formulavano alcune proposte a proposito di quella futura.
Riteniamo utile riportare alcuni brani di tale relazione.
Biblioteca e archivio
«I -libri, con gli acquisti normali, sono saliti a 727 e i documenti sono
circa gli stessi. Piccole donazioni vengono effettuate da persone singole, ma è
chiaro che se attendiamo passivamente che i documenti ci vengano portati, non
andremo molto avanti. Potremmo cercare i potenziali donatori attraverso apposite
inserzioni sui giornali. ( ... )
A tanto tempo di distanza dalla Liberazione, chi ha sino ad ora custodito,
con un ingiustificato senso di possesso, documenti che interes~ano l'assieme del
Movimento, potrebbe essere indotto a consegnarli, se a sollecitarlo non è una Associazione o un partito, ma un organismo specializzato come il nostro. (... )
Emeroteca
Elenchiamo qui di seguito quelle che a nostro avviso sono le acquisizioni più
importanti.
La collezione de Il Giornale di Reggio dal 1917 al 1927. ( ... )
La riproduzione anastatica di Ordine Nuovo edita da «Il Calendario del
Popolo ».
La riproduzione anastatica di Rivoluzione liberale, edita da Guanda; de
l'Uhità e Avanti! clandestini; de La nostra Lotta, periodico comunista uscito come
è noto nel corso della guerra di Liberazione.
La collezione completa dei giornalini ciclostilati usciti sul nostro Appennino
88
(precisamente Il Garibaldino, Il Partigiano, La Penna) e la copia fotostatica de
I fogli tricolore.
De Il Volontario della Libertà (poi Nuovo Risorgimento), uscito tra il 1945
e il 1955, abbiamo la collezione quasi completa. ( ... )
Di Reggio Democratica possediamo solo i primi 40 o 50 numeri. E' questa
una grossa lacuna da colmare.
Uno sforzo per recuperare gli altri giornali o periodici usciti dopo la liberazione diviene obbligatorio, poiché i programmi nazionali di ricerca ora vanno
oltre il 1945. ( ... )
Attività 1973
- Il libro « Origini e primi atti del C.L.N. provinciale di Reggio Emilia»
è già uscito, come era stato stabilito, nella sua seconda edizione dedicata anch'essa
alle scuole. Cinquemila copie sono state portate al Provveditorato, che ha già
proceduto alla distribuzione, secondo l'accordo preso con una nostra delegazione.
Altre 500 copie le abbiamo noi, da diffondere tramite le librerie cittadine.
- Le due piccole mostre della Resistenza di cui demmo notizia lo scorso
anno, sono state utilizzate parecchie volte in varie località della provincia, in scuole
o in altri luoghi. ( ... )
- Concorso per studi storici. Il termine utile per la presentazione dei lavori
è il 31 dicembre 1974. La proclamazione dei vincitori avverrà il 25 aprile 1975.
( ... ) Numerosi giovani, specie laureandi, si sono presentati per avere informazioni
e consigli in proposito. (... )
L'Istituto è impegnato a tenere frequenti contatti con questi potenziali concorrenti, per facilitarli nella scelta del tema, nella elaborazione dello schema del
lavoro, nel reperimento della bibliografia, dei testimoni da intervistare e dei documenti d'archivio. (... )
- Dall'autunno 1973 in poi, gruppi di scolari o anche classi intere accompagnate dai loro insegnanti, hanno fatto spesso visita all'Istituto, per avere notizie
sul funzionamento e gli scopi dell'Ente, ed anche per parlare del fascismo, dell'antifascismo, dell'occupazione tedesca e della guerra di Liberazione. ( ... )
Vari soci, per incarico del Comitato per le Celebrazioni, si sono recati a
tenere conversazioni nelle scuole, su questa materia che pare essete divenuta all'improvviso di grande attualità tra i giovani. ( ... )
Attività futura
... Vorremmo mettere prima di tutto l'accento sul Convegno regionale della
donna nella Resistenza, che si terrà a Castelnuovo Monti, in coincidenza con la
inaugurazione del Monumento alla donna partigiana.
Sia il Convegno che la cerimonia inaugurale, vengono tenuti sotto l'egida
del Comitato regionale per le Celebrazioni del XXX della Resistenza. Ma dato che
il Convegno sarà di carattere storico, la materia ci interessa da vicino e inevitabilmente siamo stati tirati in causa. ( ... )
Il Convegno, in sostanza, dovrà creare le condizioni di partenza per uno
studio vero e proprio sul contributo delle donne emiliane alla Resistenza.
89
... Come già sapete, noi possediamo uno schedario dei partigiani, divisi per
Brigate, e degli elenchi di partigiani divisi per Comune di residenza. Non siamo
ancora in grado, però, di stabilire a quali categorie sociali appartenessero quei
combattenti.
A questo dato si annette oggi grande importanza.
Nel Reggiano non esistono che parziali documenti dell'epoca da:i quali 'risulti
la professione del partigiano, e parziali appunto sono i dati relativi che sono
stati elaborati sino a questo momento .
... promuovere in provincia una ricerca apposita da compiersi sulla base
degli elenchi dei partigiani divisi per Comune, e dei dati degli Uffici anagrafe. ( ... )
Vedremo cosa sarà possibile fare, magari con l'impegno dei singoli Comuni e di collaboratori locali.
Che la cosa sia possibile, ce lo ha dimostrato in pratica Giuseppe Carretti,
che nel suo libro I giorni della grande prova (la cui seconda edizione è uscita recentemente) ci presenta una statistica molto interessante in proposito, riguardante
il Comune di Cadelbosco Sopra.
Avere una statistica generale delle categorie sociali riferite ai partigiani
reggiani, significherebbe poter finalmente stabilire, ad esempio, e con certezza,
fino a che punto la nostra sia stata una Resistenza contadina, con tutte le considerazioni che in sede storica si potrebbero fare.
- Un altro filone di ricerca è quello delle testimonianze. Ci sembra che
sia opportuno dedicare a questo lavoro tutto il nostro interesse.
A nostro avviso siamo già in ritardo. Se si tiene presente che la resistenza
al fascismo data dal 1921, è facile comprendere che i protagonisti importanti di
quell'epoca scarseggiano. Abbiamo potuto constatarlo quando appunto ci siamo
mossi per dare inizio, sia pure saltuariamente, a questa particolare ricerca.
I pochi antifascisti da noi avvicinati erano giovani in quegli anni, non
rivestivano cariche pubbliche o di partito e pertanto non hanno un punto di vista
molto ampio degli avvenimenti che segnarono l'affermazione violenta del fascismo. ( ... )
La raccolta vorrebbe pianificata. Occorrerebbe cioè individuare i soggetti
da intervistare, dando la precedenza a coloro che hanno molto da dire, o perché
sono anziani o perché sono stati protagonisti di vicende importanti. ( ... )
Per rimanere nel campo delle testimonianze, sarebbe anche opportuno vedere
se è possibile riprendere i Convegni sull'attività del C.L.N .. Come certo ricorderete, i primi quattro convegni hanno fornito un materiale preziosissimo ed è un
vero peccato che siano stati interrotti. (... )
- A proposito di materiale da pubblicarsi o meno, annunciamo che finalmente siamo in possesso della traduzione dall'inglese del libro Operazione Tombolo,
&ll'allora magg. Farran, già Comandante del Battaglione Alleato.
Da un primo sommario esame del manoscritto consegnatoci dalla traduttrice
dotto Graziella Gallazzi, abbiamo riportato una impressione non molto positiva dell'opera. Vedremo meglio se è il caso di pubblicare qualche brano, accompagnato
dalle nostre precisazioni laddove occorra, in modo che eventuali studiosi possano
tener conto anche della nostra versione di determinati fatti.
- Per quanto riguarda le scuole, sino a questo momento ci siamo occupati
90
delle Medie e degli Istituti, laddove i giovani stanno per fare le ,loro scelte politiche
e dove il fascismo tende ad insinuarsi in mille modi. E' stata una scelta giusta,
ma non siamo stati s'Olo noi a farla. Sicché in quelle scuole la circolazione di libri
od opuscoli della Resistenza non manca. Questo materiale invece scarseggia nelle
scuole elementari.
Quindi crediamo che sia il caso di intervenire, almeno una volta, in questa
direzione, elaborando un libretto antologico o di immagini commentate; una cosa
che colga i caratteri essenziali della lotta di Liberazione ~ del movimento partigiano.
- La proposta di un corso di aggiornamento per insegnanti ... Con il rinnovato interesse esistente tra gli studenti per le questioni del fascismo e dell'antifascismo, è probabile che gli insegnanti sentano la necessità di aggiornare le loro
conoscenze in materia.
Detta proposta andrebbe vagliata e considerata bene, magari con il consiglioe l'aiuto di alcuni uomini della scuola.
Conclusioni
... Il lavoro è aumentato, anche in conseguenza d.ell'accennato interesse dei
giovani per la Resistenza. E' una ventata salutare che un poco ci ha sorpreso,
ma che in fondo attendevamo da tempo.
Per questo abbiamo creato l'Istituto. Per far sì che i giovani avessero uno
strumento al quale ricorrere per conoscere la storia e gli ideali della lotta antifascista e della guerra di Liberazione, da cui trasse origine l'attuale ordinamento
democratico.
Tale ordinamento è insidiato. Si tenta di screditarlo, di metterlo in difficoltà col terrorismo, di minarne le basi con l'azione intimidatoria e >la propaganda
fuorviante condotta in particolare nelle scuole.
Il fascismo chiede spazio, come al solito, con l'inganno e la violenza e i
giovani vogliono sapere da dove viene il fascismo, cosa ha rappresentat'O per la
nostra Patria, come e perché esso sia stato battuto con la lotta popolare di Liberazione, e perchè oggi S1 ripresenti.
N'Oi siamo lieti, come Istituto e come uomini della Resistenza di fare la
nostra parte in questa opera di chiarificazione, sia mettendo a disposizione il materiale documentario quando occorre, sia andando a parlare nelle scuole quando
ne veniamo richiesti.
Questa presa di coscienza da parte degli studenti ci interessa molto da vicino
ed è per questa ragione che il nostro programma di lavoro, ancora una volta, è
df:Jicato in gran parte alla scuola ».
Intervenivano su vari punti della relazione Alberto Battini, Giorgio Carpi,
Avvenire Paterlini, Emore Gilli, Aldo Magnani, Aldo Ferretti, Egimio Davoli,
Antinea' Valeriani.
Dopo le conclusioni del Presidente Dino Felisetti, la relazione veniva
approvata.
Recensioni
ALDO FERRETTI - Toscanino
Le forze popolari nlel Risorgimmto e nella
ResistBnza a Reggio EmilÙl - Ed. Ubreria
Rinascita 1974, pp. 208, L. 2.000.
Questa ru1tima fatica storico.<J.ettemrJa di
Aldo Fervetti - che ohi scrive e, probabi~­
mente, la magJgior par,j'e dei Iettol'i di qruesta
Rhdstaaaruamo chiamare ancor oggJi T oscan~no si presenta ,ai lettori con runa Prefazione che, se anche non recasse la firma di
chi >l'ha dettata, rivelerebbe egualmente hl liraseggio J'ingegno e quindi il nome dd suo
autore: che è Franco Boiardi. E' una Prefazione che,anche e soprattutto, cosrituisce una recensione: con rutti i pregi e con tutti
( dHetri di un s<iHatto dnnarurale connubio.
~olto interessante, scritta con la scioltezza il
r,al'bo e IiI piglio che son proprH di quehlo
lCl1ittove felJl'ato da una cultura non super:idale 'e dotato di acuta capacità critica, eSlsa
:os,l!i1Ju:isce una utile letl!Ura per chi si accin~a a godersi Ja prosa ph!cevole, semplke e
.7iana, del nostro A.
II quale si il'ifà, con sfoggio di conoscenze
frutro di non superEici'ali per quanto autodidattici studi, ,ai pl'imianni dell'800 e, oon
una rapida galoppata nel l'ernpo, dà J'avvio
rula non facHe ,e, fm gli stol1ici, non ancora sop1ta disputa 'intorno ,alla vera natura e alla
reale essenza di quel gl'ande periodo ddla
nostra vita nazionale, per giungere ad inquadmre la sl'agione della Resistenza ,in una prospettiva ohe, per quanto non nuova aH'attenzione degH Istudiosi negli ultimi trent'anni,
pone in ~uce i>1 orescendo di pail'tecipazione
deHe «forze popolruri» a quella grande epoca dehl'Italia attuale.
Si potrebbe os'servwe, prima di ogni altra
cosa ooe mentl1e nell'800 l'accezione «forze
po~1ari» era usata per deslignare genericamente >i ceti deù1a popoùazione meno favorini daLla fortuna, invece nell'età successiva
alla oadu1'a del ;fascismo ad essa si suole
attriJmiJre un significato ben diverso, cioè
di quella classe sodale verso la quale
~l
oeto
più favorito ha aocumulato nel tempo un
~ngente
debito ohe mnalmente è chiamato a
soddisEal1e. Se si può adIDeJ:1maJre infatti che
giovani popolani partedparono, s'e pure generalmente isolati o in numero non rilevante,
ai moti ed ai fatti del '21, del '31 e del '48,
mentre il loro concorso S'i andò intensilficando tneHe Jotte garibaldine dei primi sei
degH ,aJnni sessanta, l'intervento popolano ~
e qui sta meglio senza dubbio usare l'espressione «forze popolari» - assunse nehla Resisten2la j:l oarattere di fattore tra i pl'incipali (pdndpalesenz',rultro come numero di
partecipazioni) dn quehla epica lott,a. Cosdcché
sorgerebbe SiP0ntaneo fare innan21itutto un
accenno cril!ico al titolo pur suggestivo del
bel volume,11 quale sembr'erebbe porre &ullo stesso piano la oomponente di popolami
nel RisoJ)g1mente e ilia parteoipazione imponente di for2!e popolari nella Resistenza, acoenno cthe perall!ro la ~ettura del testo e partioo1armente deLle netevoli «Consd,derazioni
Hnali» puntualmente smentis'ce .
Una 'seconda aBbiezione verrebbe naturale là dove l'A. sembra voler tLiJmibare a1le
baJndielJe gadbaldine ù,a forza attrattiva e rappresentativa della palJtedpa21ione alI Risorgimento da parte di elementi e di gru,prpi
econormcamente più drisagJiani del popotle: iiI
dhe togHerelbbe al l'mdizionalle quanto agiografko QuadlJumvimto (Vitrorio EmM1uele,
Cavour, Gar]bruldi e Mazzini) ogni l'appresentatirvllità ,globale del mov1mento risorgimentale. IndJal!ti, nelle formazioni garibaldine di
quelrepooa, la parveciJpazione popolana fu rilevante, ma non si deve taoere ahe altrettanto ~mportante era la compenenre borghese, come d'ai!tl1a parte nelle ,schiere maz2liniane miHuavano borghesi in gran numero e in buon
numero operai. ,Bare quindi quest,a l1mitazione - come sembra volere tl'A. (pp. 45
e segg.) - non 'fliPpare storicameme esatto.
V'ero è !però dhe ~n 'alcuni pelJiodi del testo
rA. ahiarisce come tesse commista la formazIOne soci3JLe di alouni gruppi grurirbaldini
92
o del Pmvico mazziniano; onde l'osservazione rè fatra ,solo a scopo di ptJnroalizzazione,
senza che oon 'oiòsi vog11a infiirmare H nitore del quadro 'politico deLL'epoca, &segnato da,Iil.'A.
Queste due osservazioni del 'buMo preliminari non mrrano 'ad ,intaccare per nulla il
senso ben chraro del volurme, ma solo a precisare e forse '[Id incerpretare ilia conoezione
che ilF'erretbi mostra di avere di quell' epoca storrica.
Fatte "l'uesl'e due cons1der;azioni per scrupolo odtko, si deve s~bito aggllmgere che
la parte più >1nteres'&ante e suggestiva da1
lavol'O, quella che maggiormente llN'vince e
persuade ,11 letvol1e, è il.à dorve J'A. si trorva
p~ù 'a suo 'agio: cioè nello studio e neWanalisi dei tMvi e degLi atti che servono a ben
delineare l'impegnativo disegno che egli s,i
è proposto eohe ,in tendetracalare con [a sua
opera. Quello di dimostrare che ~a partecipa2Jione delLe for2!e rpopooruri fu H ~attore deMrminante della ~unga ResistemZla ventennale e ~n modo particolare deNa Lotta di tibera2!ione, ciOlè delLa guelJra IpOpolare contro
['oppressore fascista e contro iJ tedesco inrvasore.
E 'aHora sorge 'sUibito una domanda. Questa parteoipazione ,popo~al1e fu vel:1amente iI
fattore determinante dffila lotta o non sarebbe
più pmprio dire dhe essa ne fu ['elemento
deci"iv'O per [a sua conclusione vittoriosa?
E' opinione del redattore di queste note
che una ,di,agnosi, come queUa che sembra
voler esprimere il nostro, non sra del meto
esatta.
,La Resi,stenza non fu «determinata» secondo l'qpinione deHo sorivente - da~le
soLe forz'e popolari, ,intese nel sensO' moderrnO' ohe ha l'acce2!ione «proletari'ato ». Fu inveoe un punto d'uncontro spontaneo di differenti cenrri di forza: uomini di cuhura; ceti medi; strudenvi; uomini semplioi (popolani, si sarebbe detto neli'800) ,appartenenti
al ceto meno favorho; poHtici antiveggenti;
clero icnsofferente della dittatura che - nO'nostante il Concordato - toglierva o Hmitav,a alla Chiesa di agire indis'Ì!Urbata. Queste
for2!e ttascinarono, poi, all'azione numerosi
uomirui e donne ard:men1'Ose ohe ne seguirono Je ind~oazioni e ne linterpretarono i pro"
poslti nella :reaMà deHa vlta, cioè ,fra ia popola2Jione, deverminrundo quel clima che, no,
nostante [',apparence unanim1smo fascista e
1'~rreggimen1:a2!1Dne in orbace, creò i foco~ai
che si inserirono nel tessuto del popolo ita-
liano e che a suo tempo valsero a far scoppiare in un incendio, ormai di~icilmente SO'rffocabile, la ,insurr'ezione armata e v;itton:osa.
E :fu proprio 1a conclusione finrule della
lotta di Uberazione ,il fatto storico !in cu:i fu
determrnant'e il ruoLo della classe ~avorratdce
,in senso modemo (Dperai, contadini, antigiarui,
picoo~i 'impiegavi, 1avomtori autonomi ecc.),
così ,che essa apparve la p:rotagonista del grande dramma che avev'a durato ben 19 mesi, indicibilmente crudo e pieno di mort,a1i pericoLi, specialmente nella zona non ancora liberata dalle forze partigiane nella quale operavano oon risomo senza pari ,i C.LN. clandestini 'e - aUe loro dipendenze operative le fDrmazioni pure clandesti[]e e valorrose delle
SAP e dei GAP.
E' questo, secondo il'opinione di dhi SCl'ive, 11 punto fondamentale che, tuttavia, solamence un ~ettore disattento può cl'edere che
sia sfuggitoall',analisi del « Toscanino »; mentre esso ,traspare evidente da:hla sua na;rrazione
(pp. 170 e segg.) specialmente ià dorve :l'A. con esplicito r1oruamo aHa poHt1ca togHattiana e mercé ~'esperienza pel1son®e v;islsuta in
tutta 'la lunga Resistenza e ancora più intensamente nel perriodo della locua di L~bemzione
- 1nnalza ,un inno a quella «unità» di tutte
le for2e componenti :la 'dbellione nazionrule
che 'costituì la più grande conquist:a di quei
tempi, ,rea1izzata è ben vero a CDSto rn gravi
rinuncie da ,rotte Le :parti, ma senza la qurule
nDn si sarebbe potuto cogliere il risu%ato
finale.
Ma ecco ,a11ora profiIallsi J',interrogativo
più angoscioso ohe tormenva tutti ti Responsrubili deHa Resistenza e ohe ancor oggi &i
pongono: quegli sforzi, queRe ,lotte, quel1e
rovine, quei sacriTLoi, quegli olocarus,d turono dunque 'l'arri?
E' su questo punto che l'A. si intratmene
con un equÌ'l~brio 'ed 'Un';arutezza pIOp1'ii di
un fine poHbioo più "ìhe di un rude e ardito
lottatore, qruale finora molti - ma non cm
scrive queste note - strmavano che fosse
il «To,scanino ». Egli nega che vi sia stato
un falli1mento della Re~ist,enza e, a tagHar
corto, <indioa come l1isultato di essa favvento deHa Gostitu2!ione repUibblicruna che ne
ereditò gli ~deruli, i p,rl,nolpri e li valom. Sì, è
pur vero - egli afferma - che non tutti gLi
obieaiv1i furonoraggiunvi; è vero che la classe ,JiJr1gente che sembrarva travoha dana Lib::lra2!ione marciò, subito dopo passata Ja
grande paura, alla riscossa e si reimpossessò
di molte leve del 'Pol'ere; è vero che per lun-
93
ghi anni - anche se 1'A. non ne fa cenno i par1Jigiani furono quasi messi al bando (e
dico parrlgi'ani per esprimere il volto di tutti
coloro che p'aJ:'teciparono alla :&es1istenza e
alla Jotta -armata) o almeno pas'sarono per dei
sopportat'ianziché per i benemeDiti artelf!ici
della nuova era politica. E' vero che ci vane
l'avvento rulla massima Magistratura deUa Rep'llibblioa di un uomo uscito dalle forze di sinistra per introdurre - e far iinrroduxre - nel linguaggio ed anche nei fatti Ja paroIa
e il sign]ficato dena Resistenza. E' vero infine ohe spesso la nuova dasse dirigenl17e che lillvrebbe dovuto essere l'erede e aa convinuatr~ce nella wta civiile delle ~otre sostenute
dalle forze politiche e combattentU nella guer1'a di Liberazione - spesso ttalignò o almeno
fu _~mpa!ri al compito che le era 11iservato.
Ma è -ancihe vero che il dima è HnaJmente camb~ato, ohe oggi a buon diritto i combilltten ti della Resistenza s-filano davanti al
Presidente deHa Repllbbhca e dietro le insegne e i Jabarldei Comuni decorati di medill~ia d'oro della Resdsvenza; è vero ancora ...
è vero 'ancora che c'è ben alno ancora da fare, ma ohe si fa!rà. Spelliamo dhe gli italiani,
sia pul'e 'a prezzo di nuovi sacr1Jlici, 10 sap"
piano f.are. E hene.
Qruesto volume, dunque, è molto beno. E,
per il suo ca!rattere didascalico e purament-e
'stollico, c'è daaugmal1si Che sia diffuso speciailinente fra i giovani, i quali devono sape:re quali sa!criHci e qUa!li .rinunoe li loro predecessori hanno f,atto per avviare a soluzione il problema della nostl'a patma: il pltOblema dehla J:ihertà e deHa gius,ui2Jia sociale.
E ne compisca!no l'opera.
V. P.
LEDA IOTTI
La politica del fascismo nelle istituzioni culturali e nella scuol't1 (Reggio Emilia e provincia), iReg@io Em:ill1a, Lega per le lautonomlie
e i poteri locali 1974, pagg. 48 L. 250.
Che ,H bsoismo fosse l1iUiSoito a renderS1 slnsttamenve IOredilbil]e flla le 1JJU0\le geneJJa7Jiorri iOiegli anni di maggiore Isvahiili1rà, è
~tato detito più volte, :anche con u:ifeltiment:o
9JlWa mwsIS'a dii wda1escentU e di giovamli linquadravi ltldll1e ollgamlizzazionli del Tegfume. Ma sdlo
im pocihlSISimd iC~si IS'i lè rtlentwto di lUsdre daMa
sempl110e lCOJ:]Ist~ta21ion:e dci ~enameno per lindiv-i;ooa.rne i mouivi struttumli e anche pelt
ind!1oarne i ~imi1Ji stonici, i vuoti, i momenti
omtwoi e !hl 'so&t1an:?JiJailie eSlito fa:liliimerutrure.
L'opuscolo di Leda Totti si cO'11ooa senz'altro su questa linea, che conta ancora, in
Ltallii'a, su la'Volli perlopiù monografici e su
non molte lJ:1icerche organi;che, come il «lungo viaggio» di Zangrandi e hl più .recente
«gioventù itaLiana del Jittorio» della Addlis
Saba.
La 10Hi studia gLi sviluppi del fenomeno a Reggio EmiJ~a senza però trascura.re
jll qUa!dro nazionale, che ~ppare sempre in
sottofondo come necess1ario supporto delle
wcende e dei probLemi 10ca:1i. 11 suo maredale è probante, n01Jevole come quanvlità e
.soprattutto di prima mano. La bibliogmma è
a sua volta amp1a e al suo interno ~'autJ:l:ice
cog11e con molta pazi!enza i frammenti idonei
a rilcostrtme lo stato deg1i ",mdi scl rapporto fasdsmÙ"masse giovanWl:i.
Gli sttumen~i deli1a penetraziQlJ!e !fasoista, pu:ima di tutto qrueHi l'rovavi già pronti
e comp1~oen1Ji, come la S'cuoIa, poti. quelli
creari apposta come le organizzaZlioni paramii]l1tialli, Isportlive, la5'~jJStetl2JiJailli, aUorea1Jive,
cuhurali o pseudocultullali, COStlituilSC01l0 la
base dell'indagine. Acoanto ~d essi i contenuti QdeoJ.ogid, i miraggi deilil'evioa fasoista, il
fideWmo dehle formule, gli inoitamenti di
gmndu.ra sdov1nistUca; indiine il. tipo di organizzaÌiione capillare, la presa qu01Jlidi-ooa e
incahante sui momenvi dii V'ita assooiata e
privata del giovane. Cosi i v-am pez7Ji del
meocanÌ'smo 5'i llicompongono e rnregrano
!'immagine mosrruosa di un prooes1so di Mena7Jione, che comincia con una sottrazione
di orutura, una w-sione m~stiJiioal17a e llrdO-1Jta
di quel c!he .c'era prima e di quel ohe è
fuori dal fascismo; ohe cominoia oioè con la
determrna7Jione di vuotU di cosden2Ja, di buohi
da mempire con un .contmbbando di idee
morbose, dove la presun2Jione guerriera riassume e conc1ude tutto il cialo fO!'ffiativo.
La lotti indiV'idua la deboffiezza sostaillziale di questo autol'ÌtJarismo pedagogioo, che
ai primi ,scos'soni 1St000000oi caminda a wela1'e
i.l suo cadco di inattendibfuHtà e di faJlsità
destando istinti e consapevolez2Je di rivolta,
pùna morale poi politica. CosÌ s,i spiega anche come le forze (non più tanto giovani)
delLa cospirazione, balbettJantJi e sCaJ:'se nella
scuola, ma V'ive e molto eSvese ne1J.e tabbriche e nelle campagne, abbiano potuto agevolmente coinvolgere le masse giovanili reggiane nella lotta finale COll'Ho Ja dittatura
fasaisM.
C'è nell'opuscolo un altro spunto inte-
94
ressanue, che merLterebbe dii eS51ere approfondito: il r]Lievo, cioè, dci litnllici di qaslie della
penetrazione ideologioa dci fasoilSmo che,
scontata neH''3.1IlJruente borghese, ebbe un
successo durevole fl1a i giov.ani dci ceto medio, ma tmscurò più o meno v01utamente
o ebbe comunque 1nslUlcoesso fra i giovani
delle famiglie operruie e cOJJJlJadine, tra l'aitro tenuti lontani dalla scuoLa perchè potenzialmenre ,sovversivi, cresciuti in amb~enti
che si erano OIppos,ci ,allil'lavventO dci fasci e
dove l'oipposiz;Lone oresceva negli anni dci
regime assumendo rapidamente dimenslionJ.
di massa; dove, inoltre, J'esperti,enZia dketta
di liniqui mpporti soc1ali riproduceva necessarnamente UJ!l',attitudine rivoWuz;ionar1a che la
reazione aveva solo superilidaImente repressa e vaniHoata.
Sono problemi di noueVIOle 'rillÌevo, sopnattutto attuale, cioè stol1ico-po11tico, che possono stimolare l1icerche nel mondo giovantile,
al quaile ilia Lega per le autonomie ha opportucrramente destinato l'opuscolo.
R.e.
LETTERE DI GIACOMO ULIVI
Istituto sto~ico della Resistenza in Modena
e provincia, 1974, pagg. 95, L. 1.300.
Si rtatta di 29 Jettere, di cui 15 inedite,
sCl'itte tm ,il maggio 1941 ed il giomo della
sua morte, da Giacomo Ulivi, medaglrua d'argento della Resistenza, fuci~ato a 19 anni dai
f,ascisti sulla Piazza Grande di Modena il 10
novembre 1944.
In appendice viene ['iportato anche un articolo - La libertà di stampa in un d~scorso
di Cavour - che Giacomo, non ancora diciottenne, ebbe pubblicato s'\111a Gazzetta di
Parma del 15 agosto 1943.
Non è senza emozione che il lettore, scorrendo queste pagine, si introd'\1Oe via via :neRa
intimità di V'ita e di pens&ero di questo «srt,aordinario adolescent,e », come 10 definisce
Ennio Pacchioni nella prefazione: il'aho messaggio della già nota Lettera agli Cimici, che
PlTelli e Malvezzi rindusero nelle due raccolte di lettere di condancrrati a morte deLLa Resistenza italiana ed europea, si trova qui, P'e['
così dire, scomposto nei suoi elementi costituvIVl e ~o riscopriamo quale frutto maturo di una biografia morale e lintehlettuale di
eocezione.
Le rp!1ime tettere sono semplici comunica-
zioni di un il:'ag,azzo di 15 anru ad un coetaneo preso nei rigidi meccanismi discipHnari
deH'aristocratico collegio parmense [ntitolato a Maria Luigia; p~ù avanti, ~e Jettere dalla
la,vitanz;a modenese, scritte da Giacomo dopo
la Jiuga dalla caserma de1la G.N.R. di P'arma,
dove era in stato di larresto, ci 'a:P!Paiono come
spezzoni di un appas'sionato maJlogo ep&stola're con la madre, donna ,che SIi intuisce di non
comune sensibilità edailla quale il fig:lio, dic10tnenne 'si rivolge con wa tenera e protettiva
ironia di un uomo maUuro.
Ma fin dalle prime 1etterine, indirizzate
all',amico Ennio Loyala, il quindicenne Giacomo rivela quelle naturali qualità di leader
ohe ne faranno ben preso un capo spiritUale
e mente organizzativa di un gruppo di giovani parmensi nella Resistenza, s'econdo ia
testimonianza di quanti vissero !insieme a lui
le prime esperienze intellettuali e politiche.
E tuttavia, proprio a rive1arci [1 profondo
equHibl'io della sua personalità, eghl non ci appare mai, nonostante la precocità lintellettualetestimoll'iata anche dal suo currioolum scolastico (a 19 anni era già al 3° anno di Giurisprudenza), una mente, tanto per intenderoi,
lngobbita dagli studi: all'amko Ennio scrive
sovente, e con competenza, di questioni I:'Ìguardanti Iii campionato di calcio, accennando
anche ogni tanto a belle ragazze viste ed ammirate; e sempre le sue lettere sono percors'e
da quel1a fine ~onia che non lo abbandonerà nemmeno nei momenti più difficili delia
sua breve 'V'irta.
Alla mad11e, dhe gli meva scritto di piccoli sacrifici a Dio da lei compiuti ad impetmzione delLa salvezza dell'unico ,amatJisswo
Eiglio, scrive nell'agosto '44 dal suo il'ifugio
modenese: «Torno il pregarti, a implorarti
di non [are voti è 'ahre cose slmilli.. La :6tutra!! Alla ma età, HiHppo (con questo nome
maschi:1e si ['i'VoLgeva ,alla madre per non comprometterla in caso 'le lettere venissero trovate) ... sono cose me mi esasperano. P'rega un
po' se vuoi a'l1a sera, vai a Messa, ma mangia ».
GH 'amici, nella introooz;ione ffi1a Ol1mM
inrrovabile edizione del 1945 di 14 iJiettere di
Giacomo, scrivono di 1ci: « ...fu una lezione per ,turbi noi, la lezione di un giovane
intel1ettuaLe, di un rampol1o bor,ghese ai suoicoeranei...; ,sembra che egLi ~bbia VIOluto smentire con U:l suo ~mpegno nell'azione... certi
vieti giurnzi sugli intel1ettuaili, sl1i chierici
ohe t!1ad~scono ... ». e continuano: «Aveva
optato con tanlla finezza per un lillberaliismo
95
rinnovato... wffiatato con i problemi dell'economia e con le urgenze della rivo1uzione
socia~e ».
Appunto questa immagine di giovanris,samo
intelLettuale ~mpegnato e ,lucido ci è consegnata ·anche nehla Lettera agli amici, quando
Giacomo aHerma, parlando dcll'Itana del
'44: «Oggi bisogna combattere contro l'oppressore. Questo è il primo dovere per tutti.
noi. Ma è bene prepararsi a ;risolrvere qruei
problemi ,in modo dmaturo, e che eviti [ì
risorgere di es-si e il 'ripetersi di tutto quanto
s,i è abbattuto su di noi ».
Qui. davvero paragone più ~egittimo oi
pare debba 'es-sere non tanto con il Serra dell'Esame di coscienza di un tettera'to, come
quakuno suggerIsce, quanto con uomini che
seppero raziona1mente unire' il penslero alla
aZJione, ,ruffrontando il ;rischio della morte
senza acoarezzarne l'idea, ~n nome di un arrinunciabhle primato della mgione e deltla
sua forza: uomini, vogHamo di're, oome Piero Gdbetti o come ,n }aime Fintor (quasi coetaneo di Giacomo) della Lettera al fra/dIo.
Della morre, come scris,se Giacomo Ulivi
poco prj,ma di venire fucilato « non mi rincr<.sce ... : è quanto ho l'ischiato e mi è andata
male. lo spero che tempi migliori gliung:e.
ranno ... ».
In conc1lli5ione, dobbiamo 'essere gmti
agli Istituti per la storia deRa Resistenza di
Modena e P'arma, ,che, h.slieme eoli1aborando,
hanno oEferto con questo prezioso volume a
noi .tutlli ed ai giovani m particolare, ~'occa­
sione per 'ripensare li valo'ri moralri della Resisten21a, !attraverso la riflessione sulla V'ita
di un giovane che davvero continua a parlaToi a trent'anni daNa sua tragica fine; tal·
ché ci appaiono profondamente veri [ vers,i di
AuHio Bertalucci, già insegnante di Giacomo ,aJ Liceo, posti inepigra~e alla sopra rucordata edi21ione del '45:
la morte npn può vincere
la tua giovinezza tenace.
n
A. Z.
VIVA!LDO LAZZARETTI,
Libertà... si! Noi siamo i partigiani. 26 Brigata Garibaldi - 45" Brigata Garibaldi, Libreria del T'eauro, Reggio Emilia, 1973, pagg.
135, L. 2.000.
Questa seconda fat!ioa di Lazzaretti oi pal'e meglio riusoita della prima. I broni di
buona lega sono più frequenti ohe m «Palchi
e corvi », uscito nel 1971.
RHevammo già aJ10l1a Che ['Autore ha una
buona predisposizione per ~a narmt:i'Va. La
sua produzione, comunque, ,trova Uill punto
di forza nelle espe))renze dirette, nelrle cose
l'ealmente accadute. E nulla o quas,i egli
concede all'tinvenzione.
Coloro ohe militarono nelle formazQon>i
pardgiane della zona del Cusna, 6uilil'Appennino reggiano, possono faciJmente [\konospere,
]n questo nuovo scr1tto, uomini e fat)1JÌ _dell"epoca.
Il libro di Laz21al1etti, qU'indi, è anche
storico e come tale ut:iJe alla conoscen21a
della V'ita partigiana. Esso è sostanzialmente ia
testimonianza di un protagonista ohe non
si accontenta della -semplice narmzione dei
fatti, ma dhe vuoI l'ievocare e trasmetNlre ai
lettori una visione più &ntima e quindi meno
convenzionale eH queJila V'ita.
Molto è Ql «materlale» 1:nl'eressante che
egH ci presenta.
Vi sono ,aocenni ,alla atriv>Ìtà 'politQoa S'Vdlgentesi ,all'interno dell'organizza21ione del PCI
e ,al d1batvito nel quale si conJfrontavano [e
idee e ~e posi2llioni a propos1to di q'ue1la lot,ta che era destina taa !l)innovare la sooietà
italiana; ma fatti, questi 'accenni, con piglio
lieve, un po' scanzonato.
Vi sono poi Ifiguredi partigiani appena
abbozzate ,ed -aJtve desoviHe con amore e si<tnpatia: come qllleHa del giovane «ElLas- », suo
campagno di lotta in pianura ed ~n montagna, morto poi ,vragicamente a Gatta; o come
queUa del conducente «,P,anin », che inlj:ugura degnamente, in /l:pertura, la galr1enia dei
suoi pensonaggi.
L'essere patvigiani è 'Visto da LaZ2llj:retti,
anche nel1e piocole V'ÌIoende quot1diane, nella
conV1ÌC\J1ema ~n condi21ioni spesso di intredibi:le d1saglio, nel movÌil'e frequente, come ne
« Il -l1lIS1melr1amento », forse uno dei suoi migliori capi tali.
Eglii sorrude, si direBbe, ma nostrulgicamenue, di queste cose; così come si s~rdde
dei diatti lontani, dei perkoli corsi, degli steso
si avv'enj,menlli ;vl1agioi, che del resto facevano
paxte della norma'lrità in quel periodo' ecce2lionrule. A volte ['ti:ronia fa la sua comparsa,
a b1lanoiare qualche tentazione di retorica.
Di ,al<mlllÌ uomini ci ,raoconta, con Jlrequenti S'ahi ,all"1ndievro, la 'storia tfiamrlriare e le "icende poHtiohe. La narra21ione è inrtercalata
pure da l1ioordi personali o da riferimenti
a fatti anche non recenti della nostra stol'i'a
looale.
96
C'è !in sostanza un acca\CahlalJsi un po' turutuoso di mohi, moltissimi dementi
~o-rse sarebbero stati s'llfificienti per più libr[o
l,l tutto, -invece, è compJ1eso ne11e poche prugine del rvolrumettO'.
-Lazzareui ha una prodigios-a memoria visiva 'dhe lo soocorre, sicché egE :riesoe con stupettaoente faoiHtà a Ttevooare ciò che assieme
8:d altri ha vi'sto e vissuto hen trent'anni orsono. Lo fa oome Sii è detto in chiaVie l1arra1li\Ca più che memorhl'mstica, e tutto è
trato ovviamente dalla interpretazione personale,così come avviene per ogni prodotto
artistJico.
E que11a di Lazzaretti, in buona misrura,
è artJe. Ma l'arte è anche pa2Jienza, costanza,
mes1l:ere.
IJ nostJro 'autore, lnvece, alliCOta una volta ha arvuto ~retta. Non ha ~a8'oiato dormire
il suo 1Sor1tto per 1'iveJeJ1lo piùtarrn, come
spesso è neces.saJ1io, e non è a quanto sembra un puncig1ioso conettore di boz2Je, poidhé 'anche questo !Liibro, purtroppo, non è
sufHoilentemente Hmato.
Ma al di lfuori di queste comldera2Jioni
marginali sulla forma, dobbliamo pronunoiare
un giudizio pos~tirvo sul contenuto, ~n quanto
f.autOl'e oi ha lasc1ato, comunque, un documento.
TmspaJ1e è vero, tra le -l)ighe, ~'-amaJ1ezza e
lo 'scontento, ma andhe questo atteggiamentO'
personale fa parte del «doOllmento ».
Molni p~rt]giani pensavano nel corso della lottJa ad un domani d~verso e Lazzaretti,
in qruesto 'senso, non è certo UIlla ecae2Jione.
La guerra di l.Jlberazione iIl'el Reggiamo era conosduta nelle s'Ue linee essen2liahl. Non
era OOllosoluto inveoe, -se non dai protagonlisti, il mondo delia «parl'igranel';'a ». Su questo mondo Lazzaretti ha getuato un po' di
hwe, 'e questo non è 'l\nlt-imo dei ~uoi merliti.
me
m-
G. F.
CARLO GALEOTTI
Don Pasquino Borghi Medaglia d'oro, Comitato per le Ce1eb[1a2lionli del XXX 'anniversario delila Lotta di HbellaZJilooe, Amministrazione iCornull!~e dii BilbbiIllliO, Reggio Em.
ICAR Pago 63.
Con !fedele mcostru2Jione ,di fatJti e dii arvvenimenti e con commossa parteolpazione
ili chi intende tindagare,al di là della minuta -oronaca, le motJivazioni profonde del pro-
t,agonista, 1'autore passa in rassegna i momenti più signuicabivi della vira del sacerdote, dalla voca2lione maturata con lucida
consapevolezza nel Semina-l'io di Marola aUa
esperienza come missionario a Torit nel Sudan
anglo egiziano fino alla breve permanenza
neHa solitudine della Certosa di Farneta e
al «ritorno nella sua terra », quando chiede
e ottiene di far patte del dero secruare della mocesi di Reggio, prima curato di Canolo, poi pllCrroco nella lontana e sperduta parrocchia di Coriano di Villaminozzo, nell'alto
AppenninO'.
L':interes6e della pubblica2Jione (l'unica interamente dedkata ,al sacerdote che «ha
dato la vita per l1endere Jibera, più umana
e pliù giusta la nostra telJra») sta proprio, al
di là di un intento puramente celebrauivo,
nel cercal'e di cogliel'e Je ragioni che spinsero don p. Borghi ad acoogliere prima. consapevolmente, uomini (come J\lldo Cervi e i
soldati russi) di ideologia .tanto diversa dalla sua e, ,più tardi, sbandati, ex militati, colO'roche di 1ì a pO'chi mes:i OO's1JitJuimnnO' i
,!>rimi nuclei de:11e forma2Jiom partigiane.
Una p'J1ima inclliJaa2Jio!JIe ~i può urarte da
queste pagine: il sacrifioio del sacerdotereggiano non può obiettivamenve essere considerato come un episomO' isolato e isO'lahile
nella sua vita, ma va coHocato nel quadro
più ampio della IO'tta condotta dai cattohlci,
prna e dopo 1'8 settembl'e 1943, conuro «Wl
sistema inumano di vita », contro la violenza di quanti negavanO' quei vruori metastorici che sono alla radice di ogni convivenza
che possa definirsi cr~stiana e peraiò umana.
Appare chiaramente dal racconto, speciaiJlIlente degli ultimi giorni della ,sua esistenza, che
Don Boorghi non si riteneva -e non voleva
ess'ere lJivenuto un martire, un eroe, ma semp1ioemenve un 1I01ffiO, un 1C1lisltJ~ilno 'ru -qua1e
incombeva l'obbligo motale di «testimoniare» I~a rede in Dio mediante r~erma2lione
di una verità radicata ndla msaienza oiWle.
Il suoantifasdsillo non è improvvisa2Jione e nemmeno può idendficats'i con ~e pos-izioni di chi, come Aldo, miHtava in un partito radioalmente ,avverso ,all',ideologia fasci-z, s,celta .si ; maturata lentamente,
negH anni di missione in .Mrica, di s01itudine nella Certos,a, nell'esperienza di Canolo,
rreHa meditazione, di tutba Ùoa sua vita, del
Crismaneslimoobe non è udeologia, ma è una
Persona, la Persona del Crls'to. Quando 11 17
ottobre 1943 sale sui monti di Vma per pren-
97
dere possesso della sua parroconia ha dav,anri
a sé un «,progmmma» malto s,emplice: essere coerente con se stesso, COtll l'abito che
po'rtava, con quella volontà di dedi2!ione completa 'e di donamone che gLi proveniva anche,
(come ha scritto recentemente A. G. sulla
Unità) dalle sue umili origini, ma che nasceva ,soprattutto dahle Isue certezze di prete, di
cristiano. E il suo donal'e agilii ,altri non è
genel'ico Hlantropismo, ma 11 ~rutto di una
opzione precisa del suo «radicamento nella
Croce », del suo confrontatsli cosw:nte con
il nucleo 'autentico del mess'aggio ev,angelico.
E' qruesto il modo più V'ero di «Jeggel'e»
e di interpret~it'e la vha di Don Pasqulino
Borghi, che (è stato giustamente notato)
non fu dissimile da quelia di altlJi preti. e di
altri laici caHolJici, impegnati neRa lotta res1s,ten2J1ale per tes,timonia1l'e vruoni perennemente V'a11di. Sappiamo ,tutt,avia (e l'incontro del
lO gennaio 1944 con Don CoocOlllCeBli e con
Giuseppe Dossetti è a questo p'ropos~to estvemamente significativo) che se l'adesione
aHa resistenza tu senza 1l'1selJVe, più sofferta
e Itormentata fu la partecipazione !!rmata
da parte di chi, come don Pasquino, sentiva, e non solo per isuinto ma per vocazione,
profonda avverslione per ogn[ ,tWpo di violenza.
Per capilJe più ,a fondo ques:ta «continuità» nella vita del «prete di Bibooa;no» sarebbe stato opportuno approd'ond[re l'esperien2!a da 1ud V1issuta presso 1a canol1lÌca di
Canolo di Correggio, dove, a contatto con
Don Gra2Jioli (che fu poi internato in Germania) ,e con altri cattolioi di Reggio e della
"bas,g'a" ebbe modo di ,affinaJ:1e la conoscenza del pensiiem socliale dethla Ohiesa (eJJano
g},i anni dei mes'saggi na_,d di pace e di
condanne espHo1te del regime na2Jista da
parte della Chies,a).
Cpsì, sarebbe altreHanto tintleJ1eslsa,nte
potere, verJ.ficar·e (Wa qud è, fors'e, Mlcora :più
diffiidlf lJepedre IÙfn'adeguata documentazione) qjl$e ruolo ',abp'ia giocato nella lformamo"
ne 'reHgiosa ecWturale di Don Fasquino il
penioclo di attlività missionaria, quando ebbe
modo di ,avvicinate confxatelli di a1tra na2Jionalità ('speciaLmente inglesi) e di accostarsi a concezioni, menta1lità, fihlosoftie che [o
aiutarono ad assumel1e una diversa diiluens,ione dei problemi del mondo, meno provincialistica (l'oautarahia del ifa,soismo non fu solo
un fatto ·economico) e pertlanto con un respiro uni~ets,a;l1s,tico.
Il lavoro ,di Galeotti è comunque un va-
Hdo SDmmento di cono'scema di una delilie
figme più alte della Resistenza reggiana e
~ornisce un contt'ibuto originale ailila de1tineazione della 'stor.ia degli anrn dal 1943 'al
1945, una «storia» che ,tutti gli 1I0miro di
buona volontà, ,al di là del loro patcicolare
credo politico, ma accomunati da un sinceroamore per :la verità (anahe queHa scorno"
da) sono interessati a 'ricos,tru[l1'e con ~edeltà
e passione, per presentarla nella sua interezza alle g;ovani gener'a2Jioni.
V. F.
PAOLO NICOLAI
I fratelli Cervi, Roma, Editori Riuniti, 1974
pagg. 126, L. 2.800 (edizione rilegata L.
4.000).
E' un Mbrocomposto essenzioa:lmente di
immagini commentate, uscito nel XXX della
fucilazione dei Cewi e ohe vuole essere perpeJ:1tanto un oruwggio na2Jionrue ,wi 'sette martlioJJli
reggiani.
Accrescono !'interesse del JWbro un testo
inedito di Emilio Seren[, uno SCJ:1itto di Renato Nioolai e soplJattutto 1e ~ettere scritte
dai sette fratelli daMe Caroeri di S. Tomaso
porima della ruoi:1azione.
Quello di Sereni è, per la preoisione, ~l
testo di una conterenza da lui pronunciata
in oocasione della ,presentazione ufHcia;le di
un nuovo organismo: r« Istituto Alc1de Cervi », che :sii propone ,di 'svrugene una ,attività
sdenvifka e culturale «nel campo delle elaborazioni in materia agraria, nonahè ",ili movimento contadino nella ,Res1S1Jenza ». La cerimonia :si tenne hl 23 novembre del 1972.
Seteni, in sostan2Ja, 1l'ammenta tt'a l'altro
il faticoso e ,traV'agl1ato cammtino dei contadini (cattoHci, soc1.aIisti o comunisti che fossero) verso il progres'so nelle oampagne; ~a
parte passiIVa oChe ebbero nella prmna guerr'a
mondiale e, ,al conttario, la nascita del «patriottismo contadino» durante la Resistenza:
un .patriottismo democratico, poiahè la patrlia non ebbe per [aro iJ1 ,sigmEiJmto oppTesstivo di un -tempo, ma si pJ:1esentava in concreto come una comunità umana (di oui essli
erano parte) protesa verso nuovi, civili e
g~usti ordinamenti.
Le «Notizie inedite sui settJe fratelli Cervi », di Renato Nkolai, riguardano prLncipl/1mente i giorni che ptecedettero la loro
98
cattura. Sembra <assodato, secondo l'autore,
ohe ii Cewi, dando Hnalmente ascolto a
qU3Jfitì li .richiamavano aM,a prudenza, avess'ero ,allora sisbemato i loro ospiti (strana.eri
e it3!Hani) ,in una casa colonica poco distante. Senonahè il prop.rietario di questa, non
certo un simpabiiz21ante de11a Resistenza, minacciò di denunoiarli se non se ne fossero
andati.
I Cervi, non riuscendo a trovare subiro
un ailitro rifugio per i loro amici, li accolsero nuovamenbe nella loro casa, 51]a pure ID
via provwsocia. E qui, ll,IppIUInro coi Cerv>i,
Li catturarono i fuscisltli, il 25 novembre 1943.
NicolM cita ,ID propos>ito la test1mona.lUlza di Tarasov, quella stessa che «Rice:oche
Storiche» sta pubblicando a puntate. Aggiunge poi qualche cooo1derazione su quel
che egli definisce un errore dei Oervi: quello di aver ,sottovalutaro le forze nemiiche, di
aver trasformaro la loro oasa in base partigiana, mentJ:1e in qUJel periodo J'att,ività clandestina richiedeva, semmai, una estrema mohllitàed una conrinua mrmetiZ2lazione.
Egli tenta di spiegare la soelta dci Cervi
dicendo che «,appariva loro giusto che un
uomo o una tamig11a aHermassero il loro
diritto alla ~1bertà da:!. padrone ( ... ) dalla
preporenza ( ... ) dalla guer,ra, nel terrltomo
che ,a loro è naturale, cioè nella loro casa,
sUJl:1a loro terta, in quegli ,3Jffibibii appropr1ati
entro i. quali. ruomo &i identifica nella sua
sliessa radice umana ».
Non è che una conolUISIÌone provvisoria.
Aoconbentiamoci per om dii registrarla.
Certo molto si è disCllJs'sO e Sii discuterà
anCOl1a sulle vere ragioni del comportamento dei Cervi. Per loro, questo era [J di1emma: agire subito e in quel!1a forma, nonost3Jfite i consigli degli altri «cospilratori» amici, rrsyhiando la V'ita con lo scopo di trascinare ~ subito' ,altri ,ard1mentosi alla lotta,
oad~guar,~i alle sperimentate nOJ:1ffie cospi-
mtive, lJaccoglJiJendo magari g1i stes'si frutti
e con meno ,rischio, ma malto P[Ù avan>ti
nel tempo.
Quanta consapevO'lez21a del reale pericolO' che ,Ii sovrastava, c'era nei Cervi, precursori della lotta di squadra in un momento
in cui l'orientamentO' prevaiente era queNo
deUa lotta gappista e oioè lndiMiduaile e di
gl')lPPO?
. In una lettera, scritta dal oarcere e fatta
oampagnii comucisti,
Aldo Cervi, dice tM l'altrO': «noi siamO' qui
pieni di coraggio non diisperiamo mM, sioor,i di v1ncere anche ,se dovessimo morire ».
Stando a tali parole, si direbbe dhe per
i Cervi ilia morte tacesse !parte dei gioco,
anche se certamente es&i aIVlevanO' ag1ro neNa
speranza di non rimetteaxii La 'VIita.
Le fO'tograHe, la parte più 3ippariscente
e cospicua del libro, sO'nO' soltanto in parte
« stoniche ». Le altl1e vogliono dceswul:re idealmente quel che i fratell!i Vlidero nel loro
viaggiO' verso la morte (il Tiro a segnO' nei
SiUoi particolani. terribili oangegm) e quehlo
che poteronO' J:1imembrare de:hla JorO' casa,
della 10'ro Vlita, de'Ila madre e del padre,
della loro terra nel momen~O' ID cu!Ì stavanO'
per .abbandenal'1a per sempre.
Sono immagini molro spesso suggestive
ed eloquenti, che rivelano la manO' felice del
giovane NicolM, colte dUlJante un V'iaggio che
eglii fece a Reggio ed a Oampegine appunro
per preparare questa bella raccolta.
TlJattasi dn sO'stanza di un libro che «racconta» in modo singolare, semplice, comunicativo e toccante insieme, una vicenda
eooeziO'nale delJJa nestra storia recente; di un
hlbro che ha già avuto nel Reggiano un buon
successo ,di diffusione, a dimostrazione del
favere che esso ha incontratO' ,tra un pubbhlc0chepure, sui Cervi, gi~.llldltO' conosce.
palJVen!ire ,ad .aIlru11li
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«(LA PIETRA DI BISMANTOVA»,
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A cura dell' Ente Provinciale per il Turismo -ai Règgio FrnHfa
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