Anteprima Estratta dall' Appunto di Diritto
romano
Università : Università degli Studi di Roma Tor Vergata
Facoltà : Giurisprudenza
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CAPITOLO PRIMO
LA «BUONA FEDE» COME PRINCIPIO DI DIRITTO DEI CONTRATTI: DIRITTO ROMANO
E AMERICA LATINA
om
1. Considerazioni preliminari
La buona fede impone l'inquadramento della questione relativa al suo ruolo nel diritto
privato dell'America Latina in un discorso 'principiale' più che 'istituzionale'.
La buona fede oggettiva è qualificata a volte come concetto, come regola di condotta, come
principio giuridico che informa di sé l'agire umano giuridicamente rilevante, ed in
particolare il diritto dei contratti. Questa varietà di significati accordati alla buona fede
emerge sia in lavori storicamente orientati, divenendo allora le diverse costruzioni possibile
chiave di lettura storicamente orientata, sia in lavori esclusivamente dogmatici, nei quali,
all'interno soprattutto di letture di singoli ordinamenti in chiave normativa, si tende a velare
la scelta di valore insita in una tale operazione in termini di semplice constatazione di un
quadro normativo che si assume come dato.
L'angolatura storico-dogmatica riesce più facilmente a superare le oscillazioni riscontrate
nella dottrina moderna (europea e latinoamericana) tra posizioni giuspositivistiche, tese cioè
a riconoscerne o meno la vigenza a seconda che il principio sia espressamente contenuto nel
diritto scritto, per lo più codificato, di un certo ordinamento giuridico, oppure posizioni che
accentuano la vigenza del principio a prescindere dal suo esplicito ricorrere nei codici o nelle
costituzioni nazionali, richiamandosi al sistema giuridico a cui tali ordinamenti afferiscono e
valutandone la concreta applicazione nelle sentenze dei tribunali.
È utile partire dal diritto romano, dalla fides bona come principio normativo in alcuni tipici
contratti sorti nei rapporti tra romani e stranieri, per rendersi meglio consapevoli di alcuni
svolgimenti determinatisi nella successiva tradizione giuridica fino al processo di
codificazione in America Latina, causa talvolta della perdita di funzione di principio della
buona fede e di delimitazione della sua altrimenti più pervasiva operatività nel diritto dei
contratti.
e.c
2. Il ruolo della "fides bona" nel diritto romano
AB
Ct
rib
A. La fides bona nella exceptio dell'editto asiatico di Q. Mucio (Cic. Ad Att. VI, 1,15).
Importante per un inquadramento storico del ruolo della buona fede nel diritto privato
romano sono due testimonianze di Cicerone. La prima: Cic. Ad Att. VI, 1,15:
a. L’editto di Cicerone per la Cilicia
L'editto ciceroniano per la Cilicia non fu influenzato dal contemporaneo editto pubblicato
per la Siria da parte di Calpurnio Bibulo. Esso ebbe solo un’influenza indiretta per la scelta
della clausola extra quam si contenuta nel più antico editto di Q. Mucio.
Circa la struttura dell'editto, è significativa la rivendicazione da parte di Cicerone di una
diairesi che gli avrebbe permesso di realizzare un editto breve, a differenza dello stesso
editto provinciale di Q. Mucio Scevola. A questo risultato Cicerone sarebbe giunto grazie alla
divisione da lui operata tra:
un edictum più propriamente provinciale;
- e un edictum che regolava materie per le quali si rendeva necessario il rinvio a norme
generali ed astratte ispirate dal modello romano.
Ai duo genera edicendi, Cicerone aggiunge però un tertium, quest'ultimo non è propriamente
un genus edicendi dato che è «non scritto» ed il richiamo al tertium genus sarebbe imposto a
Cicerone dalla necessità di evitare la praeteritio generis, inficiante la correttezza del
procedimento diairetico.
La brevitas è realizzata da Cicerone in via strumentale, con una clausola di rinvio agli edicta
urbana, ed in tal modo introducendo nell'amministrazione della provincia tutti quegli istituti
romani esclusi dall’alterum genus per il quale era stata dall'Arpinate ritenuta necessaria una
pubblicazione delle disposizioni relative alla bonorum possessio e alla bonorum venditio.
Attingono quindi a modelli romani vuoi materie sulle quali, per ragioni di strategia di
amministrazione di giustizia nella provincia, Cicerone ritenne necessario ius dicere
prevedendo disposizioni edittali aventi carattere di generalità ed astrattezza, vuoi quelle
incluse nel tertium genus, nel quale l'amministrazione dello ius dicere nella provincia Cilicia
da parte di Cicerone avrebbe sostanzialmente seguito, attraverso l'adattamento decretale, il
diritto contenuto negli editti dei due pretori.
b. Contenuto dell'edictum provinciale di Cicerone per la Cilicia
L’edictum provinciale secondo la concezione ciceroniana, quello cioè diretto a regolare
«materie che avevano per la provincia un particolare interesse», includeva de rationibus
civitatum, de aere alieno, de usura, de syngraphis e omnia de publicanis. Si tratta di titoli
autonomi, ognuno con una sua specifica funzione nel regolare situazioni che si ponevano al
centro dell'attenzione del promagistrato.
Il titolo de rationibus civitatum regolava «le finanze o i bilanci delle città».
Circa il titolo de aere alieno, si pensa solitamente al fenomeno dei prestiti alle civitates.
Forse in questo titolo doveva essere previsto almeno
il primo-dei
due3]mezzi principali
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accordati alle città della Cilicia dallo stesso Cicerone al fine di liberarle dall’aes alienum o di
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diminuirne l'entità: vuoi sollevandole da una serie di oneri di spesa, vuoi verificando la
correttezza delle gestioni dei magistrati greci nelle varie città al fine di accertare illecite
sottrazioni e imporne la restituzione.
Va però sottolineato che anche in questo caso potrebbe non essere del tutto giustificato
ritenere il titolo non regolante ipotesi di credito pecuniario tra romani e peregrini e tra
peregrini di diverse città tra loro fondati su causae diverse dalle syngraphae, che invece
venivano attratte in un titolo ad hoc. In particolare, sebbene quello del debito delle città
dovesse essere il problema politico-economico con riflessi giuridici più significativo per chi
amministrava la provincia, si ritiene non si possa escludere che esso mirasse a regolare
questioni de aere alieno rilevanti per ciascun romano e greco, prevedendo strumenti per
agevolare l'estinzione del debito attraverso misure di restituzione delle somme capitale, come
parallelamente nel titolo de usuris si prevedevano limiti ai tassi di interesse, che imponevano
un riadeguamento di quelli esistenti e già negoziati e un adeguamento delle contrattazioni in
corso o future.
Residuano dubbi, infine, sulla possibilità di interpretare tale titolo come includente
fattispecie negoziali relative alla fenomenologia del credito in provincia (mutui dationes,
stipulationes e pactiones) fatta salva la specifica disciplina prevista per le syngraphae. Una
tale possibilità è difficile in concreto da accertare. Può ritenersi sostanzialmente irrilevante
la questione, in quanto non intacca l'ambito delle fattispecie negoziali nelle quali viene
calata la realtà del debito nelle Provincie ed in particolare in quella Cilicia, dato che
attraverso la clausola di rinvio agli edicta urbana i romani e peregrini nella provincia
avrebbero comunque veduto riconosciuta una tutela giuridica per esse. Il che, assume
precisa valenza in rapporto al ruolo ed al significato della exceptio extra quam nell'editto di
Cicerone in Cilicia.
Il titolo de usuris conteneva disposizioni sulla limitazione del tasso di interessi (centesimae:
12% annuo) e sull'anatocismo annuo. Queste limitazioni non valevano solo per i tassi
d'interesse dei nuovi negozi conclusi, ma potevano determinare il riadeguamento di quelli
pattiziamente già fissati in tassi più alti (addirittura le quaternae centesimae [48% annuo]
pretese da Scapzio nel prestito fatto ai Salamini). La fissazione di un tasso massimo di
interessi era una norma edittale che valeva per chiunque prestasse danaro ad interessi nella
provincia amministrata da Cicerone, e non semplicemente per i publicani.
Il titolo de syngraphis rispondeva: 1- alla necessità di regolare lo schema negoziale a cui si
ricorreva in modo preponderante per giuridicizzare i rapporti di credito nelle province ellenistiche; 2- proprio in quanto istituto non incluso nella sfera dello ius gentium, necessitante
una precisa previsione edittale al fine di regolarlo nello ius dicere del promagistrato romano.
Infine, il titolo de publicanis doveva probabilmente includere tutte quelle norme relative ai
comportamenti eccessivi e molesti dei publicani nell'esazione dei crediti vantati nei confronti
dei provinciali, similmente alla normativa inclusa nel titolo De publicanis degli editti urbani.
c. L’exceptio 'extra quam' nell'editto di Cicerone per la Cilicia
Data la sua natura di clausola scritta, essa in astratto poteva essere stata inclusa vuoi nel
genus provinciale vuoi nell’alterum. In concreto si è giustamente esclusa la seconda
possibilità, in rapporto alla difficoltà di individuarne un ruolo sensato rispetto alla bonorum
possessio e alla bonorum venditio.
Maggiori problemi sorgono dove si voglia precisare la sua collocazione entro il genus
provinciale. Sembra convincente, escludere vuoi il titolo de rationibus civitatum, vuoi l’omnia
de publicanis. Rispetto ai tre titoli che residuano (de aere alieno, de usuris, de syngraphis), si
è soliti pensare al titolo de syngraphis, come unico titolo del genus provinciale nel quale
l'exceptio 'extra quam si' acquisisca un adeguato significato. Rimangono, però, ampi margini
di incerrezza a riguardo, in quanto in questi titoli potevano anche essere incluse disposizioni
rilevanti ed applicabili in ogni tipo di rapporto di prestito tra romani e greci, non
necessariamente formalizzato in una singrafa. La questione risente dell'incertezza che
investe i contenuti del titolo de aere alieno. Tale incertezza non si riflette, in realtà,
sull'incidenza dell'ambito negoziale della exceptio 'extra quam si' nell'edictum provinciale di
Cicerone.
Tecnicamente essa condiziona in negativo il normale svolgersi degli effetti del negozio, per
far sì che esso confligga con una condotta informata alla lealtà e alla correttezza. La
spiegazione che resta più convincente è quella che ritiene trattarsi di una praescriptio prò
reo qualificata come exceptio da Cicerone. La plausibilità della ipotesi, oltre che da ragioni di
tecnica nella modulazione dei concepta verba, sembra trovi un’adeguata conferma
dall'efficacia della clausola in relazione all'ambito negoziale che tende a regolare, vuoi
rispetto alle syngraphae, vuoi rispetto alle mutui dationes et stipulationes, vuoi rispetto alle
pactiones.
Il tenore letterale (della exceptio extra quam), fa emergere alcuni dati significativi che entrano
in tensione una volta che l’exceptio venga contestualizzata nell'editto di Cicerone. Il negotium
gestum, infatti, assume quasi una veste generalizzante se astretto nei limiti angusti delle
sole syngraphae. Più adeguato se si pensa ad una sua applicazione a forme negoziali di
natura sostanziale nelle quali poteva trovare espressione il fenomeno del credito in
provincia, oltre che alle syngraphae, ai mutui e stipulationes e alle pactiones. In tutti i casi,
- [Pagina 4] gli effetti vincolanti del
l’exceptio 'extra quam si' nell'editto per la CiliciaABCtribe.com
serviva a paralizzare
negotium compiuto, ogni qual volta la pretesa di rispettarne i termini negoziati non sarebbe
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stata conforme al principio di buona fede.
È importante chiarire la ragione che spinge l’Arpinate ad attingere all'editto asiatico di Q.
Mucio, preferendo l’exceptio 'extra quam si' all’exceptio di Calpurnio Bibulo,
contemporanemente promagistrato della Siria, in base alla critica fatta da Attico su
quest'ultima in una precedente lettera: nimis gravi praeiudicio in ordinem nostrum.
L’ordo comune a cui Attico faceva riferimento sono gli equites. La lamentela illumina, vuoi
il tenore della exceptio contenuta nell'editto siriaco di Calpurnio Bibulo, vuoi le ragioni che
sottendono la scelta di Cicerone di inserire nel suo editto per la Cilicia l’exceptio 'extra
quam si' dell'editto asiatico di Q. Mucio.
Da un lato, è fondamentale il collegamento, colto in dottrina, tra Cic. Ad Att. VI, 1,15 e Ulp.
11 ad ed. D. 4,3,11,l, relativo ad un temperamento degli effetti infamanti dell’actio de dolo
rispetto ad alcune categorie di persone (ascendenti e patroni), realizzato attraverso la
menzione della bona fides e non esplicitamente del dolus malus. Una preoccupazione
analoga traspare altresì in rapporto all'inserimento nella formula di un’exceptio doli nei
confronti delle stesse categorie di persone, sebbene in questo caso l’exceptio in factum che si
propone come possibile alternativa è l’exceptio non numeratae pecuniae. È da sottolineare
come l'opportunità di un’attenuazione delle conseguenze pregiudizievoli di natura personale
(e nel caso dell’actio de dolo addirittura infamanti) per gli ascendenti e i patroni venga
realizzata da Ulpiano con un temperamento letterale dei concepta verba dell’actio de dolo,
'accomodata' in factum nel senso post-adrianeo, sopprimendo l'esplicito richiamo al dolo e
facendo menzione della fides bona, in termini di condotta contraria ad essa. Il secondo
passo dimostra come soluzioni analoghe quanto alla tecnica di fissazione e modellazione dei
concepta verba della formula fossero percorribili anche per l’exceptio doli. Una differenza
importante però dell'exceptio in factum ulpianea con l’exceptio 'extra quam si', è che
quest'ultima in Cicerone ed anche in Q . Mucio era edictalis, e non causa cognita
accomodata a livello decretale per la formula dell'azione esercitata.
Il nimis grave praeiudicium che Attico lamentava non sembra tanto concretizzarsi nel danno
economico che i romani operanti nella provincia di Siria amministrata da Bibulo presumono
di poter subire dalla paralisi delle loro eventuali pretese giuridiche, in base all’exceptio
inclusa nel suo editto da quest'ultimo, quanto nella lesione della dignità che implicitamente
si scorgeva in una valutazione dei loro comportamenti negoziali in termini di dolus malus o
fraus.
La «uguale efficacia» attiene al contenuto della exceptio, mentre la «maggior copertura»
attiene alla forma. La maggiore cautela espressa dalla forma della exceptio 'extra quam si' si
sostanzia nella valutazione del comportamento negoziale che si vuole sanzionare in termini
di contrarietà alla fides bona, evitando una qualificazione di esso in termini espliciti di dolus
malus e quindi intenzionalmente diretto a frodare la controparte. Per Cicerone l’exceptio
muciana doveva servire a colpire i comportamenti dolosi nei negozi in Cilicia, senza però in
tal modo ledere la fama e la dignità degli equites operanti in essa. In sostanza, una soluzione
di compromesso.
Problema ulteriore sembra quello della scelta operata da Cicerone di includere tale exceptio
nel genus provinciale del suo editto, e di non ritenere di per sé sufficiente una gestione delle
astuzie negoziali e dei comportamenti dolosi in Cilicia attraverso la modulazione decretale,
causa cognita, delle formulae in base agli editti cittadini. Si può ritenere che nel 51 a.C. le
formulae de dolo fossero già state proposte negli editti cittadini, sebbene non si possa dire se
esse già avessero acquisito una certa stabilità come parte tralatizia dell'editto. Di sicuro,
qualcosa di molto simile all’exceptio doli, era stato incluso da Cornelio Bibulo nel suo editto
per la Siria in quell'anno. Si doveva trattare quindi di formulae che proprio in quei decenni
stavano acquisendo una certa stabilità negli editti cittadini e da essi sembrano espandersi
anche ai vari editti provinciali. La scelta di Cicerone, di non seguire una strada simile a
quella che Ulpiano proporrà in rapporto ad esigenze analoghe, di mitigare cioè in via
decretale il tenore letterale della formula (dolus malus) menzionando in negativo una
condotta contraria alla fides bona, è spiegabile in ragione di una strategia: imporre un
principio generale di condotta negoziale informata alla correttezza nella provincia da lui
amministrata, evitando però di ledere in questo modo la dignità dell'orbo equester. Di qui la
scelta di Cicerone di includere l’exceptio muciana come clausola nel suo editto «provinciale».
La rilevata tensione tra significato letterale della conceptio verborum della exceptio 'extra
quam si' e sua contestualizzazione delimitante da parte di Cicerone nel suo editto in Cilicia,
dimostra che essa nell’operazione ciceroniana non fu modificata, sì da confermarsi la sua
testuale derivazione dall'editto asiatico di Q. Mucio.
d. L’edictum Asiaticum di Quinto Mucio pontifex e ruolo della exceptio 'extra quam'
L'editto di Q. Mucio per l'Asia fu realizzato da Q. Mucio in collaborazione con Rutilio Rufo.
La data della promagistratura in Asia è quella del 94 a.C, subito dopo il consolato.
L'amministrazione di questa provincia guadagnò a Q. Mucio onori quasi divini da parte dei
provinciali e costò a lui e a Rutilio Rufo l'inimicizia dei publicani.
Per quanto attiene alle materie regolate su modelli romani, Q. Mucio tendeva ad includerle
nel suo editto.
Nel suo editto Q. Mucio aveva sancito con una clausola edittale la facoltà dei greci delle varie
- [Pagina
5] Si deve quindi
civitates di poter regolare i loro rapporti e agire ABCtribe.com
in giudizio suis
legibus.
supporre che egli non si sottraeva dal regolare nel suo editto provinciale con norme mirate i
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rapporti tra romani e greci e tra greci di diverse civitates, come appunto l’exceptio 'extra
quam si' conferma in concreto.
Le figure negoziali in astratto coinvolte dall'applicazione dell’exceptio non trovano alcuna
chiarificazione di natura sistematica, come invece è accaduto per l'editto di Cicerone.
Nella exceptio 'extra quam si' di Q. Mucio, negotium gerere indica un'area generica,
quella degli "affari" creditizi, che abbia assunto una sua veste giuridica sebbene in un
quadro molto fluido e complesso (come syngrapha, come mutuo e stipulatio, come pactio),
tale da produrre effetti vincolanti per le parti.
Il quidque contractum di D. 46,3,80 avrebbe escluso tutti quei negozi (syngraphae e
pactiones) non producenti l'effetto vincolante tipico espresso dal sintagma [oportere o oportere ex fide bona], mentre lo stari ne indicava la forza senza limitarsi tecnicamente in un
concetto estraneo alla realtà provinciale. Il pacisci e lo stipulari di D. 50,17,73,4 coprivano
solo alcuni degli schemi giuridici nei quali la negozialità del fenomeno creditizio trovava
espressione nelle province ellenistiche, lasciando fuori probabilmente la forma negoziale
statisticamente più utilizzata, cioè le syngraphae. Dalle testimonianze ciceroniane si evince
come i diversi schemi giuridici potessero intrecciarsi, in rapporto altresì ai diversi usi
negoziali, a fronte di un unitario negozio di prestito tra romano e peregrino. Negotium
gestum e stari oportere ex fide bona si dimostrano, quindi, perfettamente adatti a regolare la realtà negoziale per la quale l'exceptio 'extra quam si' di Q. Mucio fu pensata,
proprio perché tendenti a modellarsi al dato concreto senza inutili irrigidimenti tecnici
propri della realtà romana.
L’exceptio 'extra quam si', mentre doveva svolgere sul piano delle actiones un ruolo
tipicizzato entro le figure contrattuali che negli edicta urbani avevano dato vita agli arbitria
bonae fidei (societates, fiduciae, mandata, res emptae, res venditae, res conductae,
res locatae), in rapporto a quella parte dell'editto asiatico di Q. Mucio più propriamente
provinciale nel senso ciceroniano, essa assume una portata più ampia, di vera e propria
clausola generale, sebbene mitigata negli effetti processuali che vi si riconnettono in termini
di praescriptio pro reo.
Se la praescriptio 'extra quam si' è idonea a impedire il prodursi degli effetti vincolanti
connessi al negotium concluso in base a raggiri e frodi, la sua reinterpretazione in chiave
esclusivamente soggettiva è un’eredità della contestualizzazione ciceroniana. Il tenore di essa, al contrario, sembra condizionare lo stari oportere ex fide bona del negozio anche: a
comportamenti in sede di conclusione dello stesso o nell'adempimento degli impegni assunti
che si dimostrino in contrasto con il modello di correttezza e lealtà del vir bonus; o alla
valutazione di singole parti dell'accordo che si pongano in contrasto col principio (si pensi ad
accordi che prevedano tassi usurari). L'unica fase da escludere, dato il riferimento al
negotium gestum est, è quella dell'esercizio dell'azione.
Quinto Mucio, nell'esercizio della sua iurisdictio in Asia nel primo decennio del I sec. a.C,
ritiene di non limitarsi alla già ampia rilevanza della fides bona negli editti cittadini rispetto
ad una serie di schemi negoziali tipizzati nei rapporti tra Romani e peregrini e tutelati con
arbitrio bonae fidei, ma ne propone un più esteso ambito di applicazione, subordinando la
vincolatività di tutta un'ulteriore serie di schemi negoziali, nei quali prendeva forma il
fenomeno del prestito in provincia, al rispetto di un principio di lealtà e correttezza nell'agire
negoziale. Tale più ampia applicazione viene riconosciuta vuoi rispetto ad una serie di
schemi giuridici inclusi nel ius gentium (stipulationes, mutui dationes, pactiones), vuoi
rispetto a negozi tipici della realtà provinciale greca (syngraphae).
È perfettamente adeguato ad una tale scelta -imporre in un àmbito più vasto il rispetto di
un principio romano che si presume adeguato a fondare i rapporti tra romani e stranieri, ma
proprio soltanto di una parte dei tipici contractus iuris gentium- che la fides bona non
divenga il criterio di integrazione del contenuto contrattuale di questi negotia, ma
semplicemente un requisito che ne condizioni in negativo la vincolatività.
L'intervento che Q. Mucio propone è solo di natura esterna; non sul piano della validità del
negozio, né su quello di un’integrazione del contenuto contrattuale, ma su quello della
paralisi del rispetto del vincolo (stari non oporteat ex fide bona). È una soluzione rispettosa
della struttura tipica del negozio gerito in concreto nella provincia tra romano e greco
(prestito calato in syngraphae, mutui dationes et stipulationes, pactiones), che non rinuncia
però a pesare il principio di lealtà e correttezza nell'agire negoziale, principio a cui devono
informarsi i rapporti tra Romani e peregrini.
Q. Mucio ha ritenuto inutile la previsione di un actio o addirittura di restitutiones in
integrum.
Quello che Q. Mucio propone nel suo edictum Asiaticum è un modello che riconosce alla
buona fede maggiore forza precettiva e invasiva nella gestione dell'agire negoziale rispetto
alla successiva espansione del modello che Aquilio Gallo (auditor Mudi) proporrà con le
formulae de dolo. Sarà proprio questa successiva strada a pesare la gestione della negozialità
nella sua globalità escludendo le condotte dolose. Il modello mudano, al contrario, sembra
poter fondare sviluppi diversi costruiti su un’espansione della bona fides, non delimitata
nella tipicità del sistema contrattuale romano, aperta ad una valutazione 'principiale' anche
di ambiti negoziali non strutturalmente adeguati ad una sua inclusione nel tipo interessato
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(in primis le syngraphae).
La scelta di Q. Mucio, si dimostra perfettamente simmetrica alla concretizzazione muciana
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circolarità dei processi interpretativi. Dato un testo da interpretare, si evidenzia come l'app
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