Ufficio per la Pastorale Giovanile e gli Oratori
Diocesi di Lodi
Ti dono l’anima... tore!
Sussidio pratico
per animatori del grest e dell’oratorio
LEGGERE ATTENTAMENTE IL FOGLIETTO ILLUSTRATIVO…
Come e quando si può usare questo fascicolo?
NON è sempre utile LEGGERLO TUTTO DI SEGUITO! Le dosi massicce possono creare
effetti collaterali tipo: angosce (non ce la farò mai a fare tutto!), crisi di riso (causa
vignette), insonnia (precedente al primo giorno di Grest)…
Ti consigliamo di leggerlo PRIMA DI PENSARE A UN PEZZETTO DI GREST. Ad esempio:
se il don ti ha affibbiato per il giorno dopo il racconto della storia del grest, leggi, della
terza parte, il laboratorio sulla narrazione;
se ti tocca pensare ai gesti da abbinare alla canzone del grest per lo spettacolo finale,
leggi l’ultima parte (espressione corporea);
se sta per cominciare il grest e vuoi capire come fare l’animatore divertendoti, leggi la
prima parte;
e così via…
Puoi leggerlo anche DOPO aver vissuto un’esperienza del grest. Ad esempio: se hai
preparato dei bellissimi giochi ma i ragazzi li hanno giocati “male”, per capire cos’è
successo non strozzare gli altri animatori che non ti hanno aiutato, e non farti venire manie
omicide verso la tua squadra, ma leggi, la sera, con calma, dopo una buona doccia, la parte
sul gioco… O invece: se hai raccontato la storia del grest e i ragazzi ti hanno guardato
per tutto il tempo con occhi e bocca spalancati, non precipitarti davanti allo specchio per
controllare se non ti sei tramutato/a in Leonardo Di Caprio o Britney Spears, ma leggi il
capitolo sulla narrazione…
Ma l’uso migliore che puoi farne è: LEGGERLO A PICCOLE DOSI, prima o durante il grest,
pensandoci sopra e provando ad attuare qualche consiglio e qualche indicazione. Ricordati
comunque che, se ti sembra di essere molto distante da quello che viene proposto qui,
comunque animatori non si nasce ma si diventa: con i talenti che si possiedono, ma
soprattutto con l’allenamento quotidiano. E che comunque ogni piccolo risultato che
otterrai nel tuo cammino ti darà tanta gioia… perché essere animatori dei più piccoli E’
TROPPO FORTE!
Ti dono l’anima... tore
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Introduzione
UN GRAZIE A…
E’ bello avere qualcuno a cui dire grazie. E questo fascicolo, se esiste, deve dire grazie a:
Elena (l’animatore; la narrazione), Marco e Vale (il gioco), Antonia e Alby (ambientazione),
Deborah per l’ultimo laboratorio (espressione corporea) e per l’assemblaggio, Paolo di
Media & Grafica per l’editing, e la partecipazione straordinaria di LELE CORVI per i disegni
originali.
E comunque queste pagine sono dedicate all’équipe dell’UPG: Deborah, Alberto, Anna,
Antonia, Chiara, Christian, Ciccio, Cristina (suor), Daniela, Elena, Laura, Margherita,
Marco M., Marco P., Maurizio (don), Myriam, Patrizia, Raffaele, Sara, Valentina. E a Giada,
che ha avuto la buona idea…
ANIMATORI: STRUZZI O GIRAFFE?
LA DIFFERENZA TRA CHI SI NASCONDE
E CHI VA FIERO DI CIO’ CHE E’
Introduzione
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Ti dono l’anima... tore
PARTE PRIMA
L’ANIMATORE... CHI E’ COSTUI?
A molti di voi questa domanda suonerà un tantino strana:”Ma come, chi è l’animatore?
Lo sanno tutti! E’ quella persona che fa il grest all’oratorio durante l’estate”.
Il problema è proprio questo! L’animatore non è (solo) uno che fa, ma uno che è in
un determinato modo!
E siccome per animare bisogna avere un’anima, pensiamo che possano esservi utili
alcuni consigli pratici che vi portino ad essere, piuttosto che fare gli animatori.
DECALOGO DELL’ANIMATORE
1) Vuole bene a Cristo e ogni giorno impara a lasciarsi amare da lui: può
sembrare una banalità, ma chi non vuol bene a Cristo troverà serie difficoltà ad essere un
buon animatore! Del resto, come è possibile per un animatore prendersi cura dei ragazzi
che gli vengono affidati, se tale premura non scaturisce dall’amore cristiano? Sarebbe poi
ipocrita quell’animatore che pretendesse di svolgere il suo ruolo all’interno di un grest,
senza amare la fonte e il punto di riferimento per qualsiasi proposta educativa di tipo
cristiano, come vuole esserlo proprio l’oratorio estivo. Un buon animatore è dunque colui
che si sforza di voler bene a Cristo, con tutta la sua fragilità di essere umano e per questo
non perfetto, peccatore, ma proprio per questo amato da Dio. Consapevole di tale amore,
egli saprà poi voler bene anche ai ragazzi a lui affidati; imparerà ad accoglierli e ad accettarli
così come sono, per quello che valgono (anche se magari valgono solo zero!), proprio
come ha fatto Gesù con l’adultera o il padre misericordioso con il figliol prodigo.
2) Vuol bene ai ragazzi e sa stare con loro: altra cosa assolutamente indispensabile
per chi voglia essere un vero animatore! Voler bene ai ragazzi vuol dire accettarli per quello che
sono, con tutti i loro limiti e difetti (del resto anche noi ne abbiamo!). Voler bene ai ragazzi
vuol dire mettere al centro le loro esigenze,i loro bisogni e desideri; spostare l’epicentro
dell’esperienza del grest da noi a loro. Non siamo noi i protagonisti dell’oratorio estivo,
ma loro. Noi li accompagniamo solamente in una tappa (importante) della loro crescita. I
ragazzi devono poi percepire che noi siamo lì perchè ci piace condividere il nostro tempo
con loro e perchè ci teniamo a loro, e non perchè il don ci ha costretti o perchè non avevamo
niente di meglio da fare. Il nostro stare con loro non deve essere una sorta di momentaneo
“parcheggio” in attesa di fare altro, anche perchè i nostri ragazzi lo percepirebbero eccome!
La nostra insofferenza, anche se non espressa verbalmente, verrebbe comunque comunicata
ai ragazzi attraverso il nostro corpo:atteggiamenti, gesti, espressioni, comportamenti come
codici di comunicazione non verbale. L’animatore deve sempre giocare in perdita! Deve
sempre aver voglia di “perdere” del tempo per stare con i suoi ragazzi!
L’animatore... chi è costui?
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Ti dono l’anima... tore
3) Sa ascoltare ed osservare: il filosofo Zenone diceva:”Gli dei ci hanno dato due
orecchie ed una sola bocca per ascoltare il doppio e parlare la metà”. Ascoltare significa
lasciar parlare; non interrompere e lasciare all’altro tutto il tempo necessario per esprimersi,
senza pensare di sapere già tutto, perchè l’altro ha sempre qualcosa di nuovo da dirci e
qualcosa di bello con cui sorprenderci.
4) Conosce i ragazzi per nome: un animatore deve conoscere le persone a cui si
rivolge.Tale conoscenza ha due aspetti: generale (età, esigenze ed interessi dei ragazzi);
particolare (conoscere ciascuno col proprio nome, capacità, limiti, ma anche la famiglia e
l’ambiente in cui vive). Sappiamo che non è facile imparare tutte queste cose, ma è una
fatica che merita di essere fatta! Per un bambino è molto importante vedere che il proprio
animatore si ricorda di lui e si interessa alla sua vita.
5) Non è una figura isolata: l’animatore non deve mai agire da solo. Egli non è un eroe
solitario ma si colloca all’interno di una comunità educativo-pastorale, nella quale assume un
ruolo specifico in collaborazione e coordinazione con altri. Oltre a lui esistono infatti altri
“compagni di viaggio” nel difficile compito dell’educare. Ci sono innanzi tutto gli altri animatori
che devono essere visti come colleghi e non come rivali. E’ vero che ognuno ha il suo stile, il suo
modo di fare e di pensare, ed è proprio per questo che risulterà bello vivere insieme l’esperienza
del grest. Chi vuol fare da solo, perchè pensa magari di essere migliore degli altri, ha toppato
in partenza! Tra i vari animatori deve esserci coesione e collaborazione; nessuno è migliore
degli altri e tutti insieme si potrà fare il bene: quello dei ragazzi! E poi c’è il don. Egli non è
lì solo per dirigere le fila del discorso. Anche lui è un compagno di viaggio che ha bisogno di
non sentirsi solo durante il cammino. Tutti assieme sapremo rendere il grest più coinvolgente
e divertente, nella misura in cui ognuno farà la sua parte senza cercare di prevaricare sugli altri.
Nessuno è indispensabile ma tutti sono necessari per la buona riuscita dell’oratorio estivo!
6) E’ un tipo “sprint”: l’animatore deve
essere originale, brillante, geniale. Deve
avere la temerarietà di lanciarsi e fare cose
stravaganti ma intelligenti. Deve possedere
una fantasia aperta per scoprire e inventare
nuove attività. Domenico Savio diceva
sempre:”Noi facciamo consistere la santità
nello stare molto allegri”. Se siamo sprint
comunichiamo gioia e voglia di vivere alle
persone che ci circondano.
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L’animatore... chi è costui?
7) Non ha vergogna di mettersi in gioco: stare con i ragazzi vuol dire tirar fuori
quello “spirito bambino” che è dentro di noi. Uno spirito che non ha vergogna di giocare
con loro, di fare l’imitatore, il giocoliere, il clown… Uno spirito che sa ancora sorridere di
se stessi e meravigliarsi della vita.
8) E’ consapevole del suo ruolo: l’animatore non deve diventare “l’amicone” dei
ragazzi, ma deve mantenere il proprio ruolo educativo che stabilisce relazioni e crea
amicizia. L’animatore dovrebbe essere simile ad una “giraffa” che gioca coi bambini al
momento opportuno, ma mantiene la situazione sotto controllo e non si fa sommergere
dagli eventi. Egli dovrebbe avere i piedi coi bambini mentre si gioca e gli occhi e la testa
sopra loro per gestire il tutto.
9) Si prepara perchè vuole essere un tipo competente: per essere educatori,
bisogna prima essere educati! Nel mestiere dell’animatore, nulla s’improvvisa; tutto ciò
che diciamo o facciamo deve avere un senso ed uno scopo. L’animatore non può poi
accontentarsi di sapere due o tre giochi da ripetere all’infinito, ma deve continuamente
aggiornarsi con l’aiuto di libri, riviste, videocassette, corsi di formazione e animazione.
10) E’ capace di organizzarsi: sa che è bene non lasciare nulla al caso e
all’improvvisazione. Stabilisce prima, insieme agli altri, cosa fare durante una giornata di
grest. Sa distribuire il tempo a sua disposizione tra le varie componenti che costituiscono
un oratorio estivo: gioco, attività di gruppo, preghiera.
L’animatore... chi è costui?
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Ti dono l’anima... tore
IDENTIKIT DEL NON ANIMATORE
l’animatore struzzo: è l’animatore che si nasconde, che ha paura di mettersi in
gioco, che ha vergogna di sé stesso, quando gli viene chiesto di essere un clown,
oppure un saltimbanco, un giocoliere, un ballerino o qualche altro personaggio strano
ma tanto caro ai ragazzi…
“In verità vi dico se non vi convertirete e non diventerete come i bambini non entrerete
nel regno dei cieli” (Mt 18-3)
l’animatore miope e astigmatico: è l’animatore che non che non sa osservare
i propri ragazzi, che non sa notare in loro nessun cambiamento. Spesso i ragazzi
esternano le loro angosce, tensioni, ansie utilizzando come canale comunicativo il
proprio corpo. I momenti di gioco e di animazione sono un’occasione privilegiata e
speciale per conoscere e ascoltare il corpo dei ragazzi. Attraverso gesti, movimenti,
posture, atteggiamenti i ragazzi comunicano. Il gioco rappresenta una dimensione
nuova, tra realtà e fantasia, in
cui i partecipanti si sentono
protetti e quindi più liberi di
lasciarsi andare, di mostrare le
parti più nascoste e sincere di se
stessi.
E’ allora importante osservare i
ragazzi mentre giocano, si muovono
e si relazionano, per ascoltare i loro
bisogni, disagi, gioie, ed emozioni
per accoglierli e rassicurarli.
Ti dono l’anima... tore
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L’animatore... chi è costui?
l’animatore sordo: è l’animatore che non sa ascoltare i ragazzi, che è sordo di
fronte ai loro richiami…”non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire”!. Per i ragazzi
è importante sentirsi ascoltati e accolti dai propri animatori. Per loro è un modo
per sentirsi parte di un qualcosa (il grest), nel quale loro sono i protagonisti attivi.
Si tratta di un sano protagonismo, capace di insegnare loro ad accettare alcune
semplici regole di convivenza e di rispetto dell’altro…anche il grest sa essere una
scuola di vita.
l’animatore criticone: è l’animatore che sa solo criticare senza essere propositivo.
E’ l’animatore che sa solo giudicare l’altro senza conoscerlo. E’ l’animatore che non sa
accogliere l’altro.
“…chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me.” (Mt 18-5)
l’animatore volgare: è l’animatore che si esprime volgarmente di fronte ai ragazzi.
Non bisogna dimenticare che l’animatore, specialmente per il bambino più piccolo,
rappresenta un modello educativo verso il quale rapportarsi. L’emulazione dell’adulto
(nel senso della persona più grande di lui) fa parte del normale processo di crescita e
sviluppo del bambino.
“Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli
nel cielo vedono sempre la faccia del padre mio che è nei cieli” (Mt 18-10)
L’animatore pappamolle: E’ l’animatore sempre stanco, che non ha voglia di stare
con i ragazzi. Non pensate che i ragazzi non se ne accorgano, loro sono molto più
attenti ai nostri comportamenti di quanto noi lo siamo dei loro. Dedicare del tempo
agli altri non è mai tempo perso ma guadagnato.
“In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli
più piccoli lo avete fatto e me”(Mt 25-40)
l’animatore turista: è l’animatore che vede il periodo del grest come parcheggio
momentaneo in mancanza d’altro. L’atteggiamento è quello tipico di chi è in
“prestito”: gironzola in giro, si guarda intorno un po’ di qua e un po’ di la, non si
espone mai troppo…certo… lui (l’animatore turista) ha cose ben più importanti da fare
da un momento all’altro!!
Provate ad immergervi nelle situazioni invece di rimanere in superficie, potreste scoprire
tante qualità di voi stessi che non avreste mai immaginato di possedere…
L’animatore... chi è costui?
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Ti dono l’anima... tore
l’animatore “al sol leone”: è l’animatore che preferisce starsene sdraiato al sole
piuttosto che giocare con i ragazzi. L’animatore è l’anima che accende il grest, senza
di lui i ragazzi non giocano, non si divertono perché hanno bisogno di essere accesi,
come una miccia, che ha bisogno della scintilla per poter esplodere di gioia e allegria.
l’animatore “piccolo lord”: è l’animatore che ha paura di sporcarsi le mani, che
rimane sempre ai margini, in panchina, senza mai entrare in campo. Non abbiate
paura a “lanciarvi”…anche se qualche volta non riuscirete a fare “goal”…ricordatevi
che: “l’uomo che non fa errori di solito non fa nulla”
l’animatore a tempo determinato: è l’animatore che non fa altro che guardare
l’orologio aspettando la fine della giornata grest per andarsene. Per lui essere animatore
è una sorta di lavoro a tempo determinato, finite le ore stabilite nel contratto se ne
va. L’essere animatori è una vocazione a tempo indeterminato. Essere animatori è
uno “stile di vita” che mette al centro la persona di Gesù, il suo stile di vita, basato
sull’amore per il prossimo.
San Giovanni Bosco diceva: “l’educazione è cosa di cuore”. Se voglio capire una persona,
non devo preoccuparmi di come questa mi si presenta o di come è vestita, ma devo arrivare
al cuore della persona perché là trovo la forma di Dio.
Ogni ragazzo ha nel suo cuore una corda che appositamente toccata è in grado di suonare
le armonie di Dio. Non stanchiamoci mai di accompagnare questi fanciulli a scoprire il
segreto che c’è inciso nel loro cuore: sentiremo intorno a noi delle dolci melodie.
Ti dono l’anima... tore
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L’animatore... chi è costui?
GLI ATTEGGIAMENTI DANNOSI DELL’ANIMATORE
Esistono alcuni atteggiamenti e comportamenti che possono compromettere un esito
positivo della comunicazione tra l’animatore e il ragazzo.
Ecco alcuni esempi.
EFFETTO ALONE
Si realizza l’effetto alone ogni volta che esprimiamo un giudizio su determinate caratteristiche
di una persona e lo estendiamo poi ad altri ambiti, che non sono necessariamente collegati
con quelle caratteristiche.
Se ad esempio incontriamo un ragazzo ben vestito, pettinato, profumato, immediatamente
pensiamo che sia una persona ordinata, affidabile, intelligente…mentre se ci si trova di
fronte ad un ragazzo trasandato, si è portati subito a pensare che sia una persona ribelle,
maleducata…
Questo processo di categorizzazione rischia di incollare sulla fronte dei ragazzi etichette
L’animatore... chi è costui?
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Ti dono l’anima... tore
indelebili, stereotipi resistenti nel tempo e “aloni” negativi, che si estendono a tutta la loro
vita.
E’ indispensabile quindi evitare giudizi di valore immediati e frettolosi, basati unicamente
sulle caratteristiche esteriori, ma al contrario sforzarsi di conoscere il ragazzo che abbiamo
di fronte per quello che è e non per quello che sembra, o per come si presenta…potremmo
scoprire delle persone meravigliose.
EFFETTO PIGMAGLIONE
Questo effetto si verifica quando l’animatore crea delle aspettative positive o negative nei
confronti di uno o più ragazzi, i quali, proprio a causa degli atteggiamenti messi in atto
dall’animatore nei loro confronti, finiscono col adeguarvisi e si “trasformano” in “buoni”
o “cattivi” a seconda delle previsione che su di loro l’animatore si era fatto. L’animatore
infatti a seguito delle aspettative che si è costruito si comporterà di conseguenza adottando
comportamenti che rinforzano tali aspettative: emetterà segnali corporei, non intenzionali,
e più o meno sottili (ammiccamenti, sorrisi, sguardi…) in corrispondenza del manifestarsi
di comportamenti che si adeguano a quelle aspettative.
Quindi un ragazzo con cui “non c’è niente da fare” o che “non fa niente di buono”,
riceverà molte attenzioni soltanto in concomitanza di comportamenti negativi o inadeguati
(sono quelli che ci si aspetta da lui), che saranno rinforzati e si ripeteranno in futuro,
mentre verranno ignorati quelli positivi che lentamente si estingueranno.
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L’animatore... chi è costui?
GLI ATTEGGIAMENTI POSITIVI DELL’ANIMATORE…
”animatore non si nasce: si diventa”
Ecco tutta una serie di atteggiamenti e comportamenti positivi che l’animatore può mettere
in atto per far nascere e crescere una comunicazione accogliente.
S tratta di atteggiamenti che esprimono fiducia, accoglienza, sostegno…il clima di gruppo
ne subirà, fin da subito, un influsso positivo…provare per credere!!!
L’animatore, come primo garante della comunicazione nel gruppo, cercherà di promuovere
atteggiamenti sempre più favorevoli al dialogo. Ecco di seguito alcuni suggerimenti:
Ascoltare senza interrompere e senza giudicare: le frequenti interruzioni non
facilitano la comunicazione e non permettono di esporre le proprie idee.
Ascoltare e accogliere chi ha opinioni diverse dalle nostre: accogliere le opinioni
diverse dalle nostre è il miglior modo per arricchirsi di nuove idee e nuovi modi di vedere.
Pensare prima di parlare: frasi offensive o fuori luogo sono il modo più sicuro per non
ottenere quello che si vuole e per perdere la fiducia degli altri.
Non criticare se non con buoni motivi mostrando soluzioni costruttive: le
critiche sono importanti per confrontarsi sull’esito più o meno positivo di una attività, ma,
attenzione, devono essere critiche costruttive non distruttive…
Essere sinceri, parlare in prima persona dicendo ciò che ci sta a cuore: bisogna
imparare ad essere sinceri con se stessi e non continuare a nascondersi dietro il gruppo.
In frasi tipo: “Questa idea non piace a nessuno”, oppure “Smettila dai fastidio a tutti”, si
utilizza la forma impersonale o plurale per evitare di esporsi in prima persona così facendo
non si imparerà mai a comunicare con responsabilità e impegno le proprie idee e opinioni.
Distinguere l’oggetto dal soggetto durante le critiche: l’animatore sa riconoscere
la differenza che tra dire: “siete (soggetto) cattivi” dal dire: “avete detto o fatto una cosa
(oggetto) cattiva”. Non è giusto identificare la persona, nella sua totalità, con quello che,
in una certa occasione o circostanza, ha detto o fatto…ogni persona è sempre “di più” di
quello che fa o dice.
Non presupporre di conoscere a priori il pensiero altrui: impariamo ad ascoltare
il pensiero degli altri e a confrontarci se questo si discosta dal nostro…nessuno di noi
è talmente superiore da pretendere di leggere nel pensiero degli altri. Ascoltare è l’unica
arte magica che ci permette di incontrare e conoscere l’altro…e magari di fare anche delle
magie!!
L’animatore... chi è costui?
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Ti dono l’anima... tore
PARTE SECONDA
METTERSI IN... GIOCO
La domanda sorge spontanea: “Come mai tanto spazio dedicato al gioco?”. Del resto far
giocare dei bambini è una cosa banale, no? Noi non ne siamo così sicuri e crediamo che
molto ci sia ancora da imparare sul gioco. Vediamo un po’ se riusciamo a farlo insieme!!
Definizione di gioco:
ATTIVITA’ STRUTTURATA MIRANTE AD UNA GRATIFICAZIONE
SINGOLA O DI GRUPPO, SVINCOLATA DA FINI DI PRODUZIONE
E DA NECESSITA’ IMMEDIATE DI DIFESA!
Cos’è ‘sta roba?!?!???????
A noi questa specie di definizione non piace, forse è meglio cambiare……………..
Rinchiudere il gioco in una definizione sarebbe come fargli un torto, quindi………..ci
parleremo un po’ intorno! Tipico del gioco è sicuramente il desiderio di vivere un’esperienza
divertente, dove trovare la propria identità e vedere riconosciuto un ruolo che spesso la
realtà quotidiana ci nega. È un’occasione per socializzare, competere, distrarsi e, perché no,
soddisfare le esigenze di protagonismo, piacere, affermazione, fortemente ricercate nell’età
adolescenziale… ma forse a tutte le età!
Un buon gioco è in grado di coinvolgere globalmente la persona in contesti collaborativi
o competitivi dove, se da un lato è infinita la possibilità di variare il “ruolo” e le
“competenze” che invitano ad “uscire fuori”, dall’altro lato è tendente a zero il rischio di
compromettersi od incidere sulla realtà quotidiana. Il gioco possiede due qualità particolari:
la capacità di procurare soddisfazione, piacere a chi lo pratica e l’assoluta libertà di scelta
e partecipazione. Drizzate le antenne………. una caratteristica fondamentale per il gioco è
la GRATUITA’.
Questo requisito è essenziale per poter definire un’attività “gioco”, perché esso offre i suoi
benefici effetti gratuitamente, senza cioè che chi gioca debba proporseli!
Esistono diversi tipi di gioco:
☺ paidia
☺ play
☺ game, ludus
ammazza come siamo colti……………….
….per noi animatori “profani”…….
☺ puro divertimento: attività di improvvisazione motoria, verbale o mentale che
hanno un elevato carattere di giocosità ed un quasi inesistente fondo di preparazione e
strutturazione;
esempio: bulldozer scatenato
Mettersi in... gioco
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Ti dono l’anima... tore
☺ trastullo: attività che si articolano attraverso regole improvvisate; chi vi partecipa
finge, imita ed è sollecitato a continua invenzione (che è il carattere primario del trastullo)
esempio: gara di mimo
☺ gioco vero e proprio: attività strutturate secondo regole formali, che consistono o
nello svolgimento gratuito di un compito finalizzato o nella competizione durante una
sfida. Il gioco vero e proprio si distingue dalle altre forme, appunto, per la presenza di un
insieme di regole formalizzate.
……e adesso diventiamo psicologi!
La ricerca ha messo in luce gli stretti legami esistenti tra attività ludico-motoria e vita
emotiva, sociale e conoscitiva, e ha riconosciuto il significato evolutivo e formativo del
gioco. Il gioco è una preziosa occasione che ha l’educatore per mettersi in contatto con i
bambini. San Giovanni Bosco diceva: “Non basta far giocare i bambini, occorre giocare
CON i bambini”.
L’educatore deve, infatti, partecipare all’esperienza ludica infantile e deve sfruttarla
valorizzandone le potenzialità espressive e liberatorie.
Il ruolo dell’educatore all’interno del gioco non deve essere quello del VIGILE, che
controlla ed infligge multe (magari vantandosi del potere che CREDE di avere!), ma deve
predisporre gli spazi e i materiali per stimolare il ragazzo, favorire le occasioni di incontro,
suggerire nuove idee quando il gioco si fa ripetitivo o conflittuale.
Oltre a tre tipi di gioco, esistono tre modi per giocare:
Giocare di testa
Bisogna utilizzare il gioco
stimolando le capacità di
astrazione, di indagine e di fantasia
della propria mente; è necessario
allenare le proprie capacità
logico-deduttive e acquisire nuove
competenze culturali sociali e,
ancora, abituare il ragazzo a
pensarsi fuori da se stesso (il corso
di clown ci ha aiutato a “prenderci
in giro” per accettarci veramente:
Ti dono l’anima... tore
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Mettersi in... gioco
perché non trasmettere ai ragazzi questa sorta di “fuga da se stessi” per potersi guardare
dall’esterno e potersi anche giudicare? Del resto si sa: una cosa la si capisce meglio se la si
guarda con occhi “esterni”!!!!!!)
Giocare con il corpo
L’immagine è quella dell’incontro/scontro. Attraverso questa dinamica il ragazzo capisce
chi realmente è, e scopre la diversità dell’altro, stabilendo un primo contatto “fisico”, assai
importante nel gioco. La dimensione corporale si traduce anche in gesti ed esibizioni che
aiutano ad esprimersi, e possono (anzi devono!) essere utilizzati anche strumento per
“raccontare” un gioco e crearne il contorno folkloristico.
Giocare con gli altri
Il gioco può costringere ad aprirsi a nuove relazioni, a dover imparare a lavorare per o
contro l’altro. Un collaborare, un interagire che diventa un indiretto guardarsi allo specchio
e scoprire chi realmente siamo e come reagiamo alle situazioni, quali sentimenti più
propriamente ci delineano.
Ora vi lasciamo con qualche consiglio pratico per la preparazione e la conduzione del gioco
con i vostri bambini e ragazzi!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Vademecum
1) SCELTA DEL GIOCO
• IDEAZIONE (obiettivo, analisi ambientale, ricerca del gioco)
• PREPARAZIONE (ricerca locazione, materiale, collaboratori
ed eventuale gioco di sostituzione)
2) PRESENTAZIONE DEL GIOCO
• CONVOCAZIONE (pubblicità, clima, riferimenti spazio/tempo)
• STRUTTURAZIONE (spiegazione, articolazione, regole, ruoli)
3) ESECUZIONE DEL GIOCO
• REALIZZAZIONE (obiettivo, rapporto animatore-ragazzo e ragazzo-ragazzo, tenendo
presente il gradimento e la durata)
• PREMIAZIONE (riconoscimento, rilancio del gioco)
4) VERIFICA (raggiungimento dell’obiettivo, conduzione,
riuscita dal confronto sia con i ragazzi che con i collaboratori)
Mettersi in... gioco
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Ti dono l’anima... tore
E’ importante, nella scelta del gioco, considerare l’età dei bambini e dei ragazzi per
proporre l’attività più adatta a loro. Nei bambini più piccoli (fino a 8 anni), infatti,
prevale il bisogno di spontaneità, fantasia e creatività; si preferisce quindi proporre
giochi che favoriscano gli schemi motori e la socializzazione. La regola è….. POCHE
REGOLE E PRECISE!!!!!!!!!! Per i più grandicelli, invece, è necessario proporre giochi
più strutturati e complessi sotto l’aspetto psico-motorio, con più regole.
Il gioco è luogo dell’espressione di sé, libera e incondizionata; luogo della scoperta
di sé, come individuo dotato di un corpo e un’anima; luogo di esercizio di fantasia
e strategia; luogo della conoscenza di regole e valori; ecc……….
………..ma attenzione
Il gioco presenta anche dei rischi e degli svantaggi: astrazione eccessiva
dalla realtà, isolamento, alienazione; ricerca ossessiva della vittoria; stimola
aggressività; idolatrare il “campione”; ecc…..
Ti dono l’anima... tore
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Mettersi in... gioco
PARTE TERZA
“LABORATORI...AMO”
LA NARRAZIONE: DIVENTIAMO DEI CANTASTORIE
Come tutti sanno, ogni anno il grest è accompagnato da un tema diverso e accanto, ed in
aiuto ad esso, viene sempre proposta anche una storia. L’anno scorso c’erano ad esempio le
avventure degli artisti di strada, prima ancora, ogni giorno era scandito dalla presentazione
della vicenda di un determinato personaggio sportivo, reale o di fantasia.
Sembra però che negli ultimi anni il momento della narrazione, e dunque la storia proposta,
non abbia più sugli addetti ai lavori (animatori e sacerdoti) quella presa che aveva fino a
qualche anno fa. E’ vero che talvolta le storie proposte nel sussidio del grest, non sono poi
così semplici da rappresentare o leggere, o così corte da poter essere sempre presenti nel
palinsesto di una giornata tipo.
Ma allora sorge spontanea una domanda:”Vale ancora la pena che all’interno del sussidio
venga presentata una storia che accompagna il tema dei vari anni?” Peggio ancora:”Vale la
pena che noi educatori ci sbattiamo tanto per proporre ogni giorno un brano della storia che
poi magari non è neanche tanto bella oppure interessa poco ai nostri ragazzi?” E’ ovvio che
se siamo qui a scrivere delle pagine sull’importanza della narrazione e sul suo significato,
la risposta è sicuramente SI’: NE VALE ANCORA LA PENA e nelle prossime pagine,
oltre a spiegarne i perchè, cercheremo anche di darvi dei semplici consigli per migliorare il
momento della narrazione di una storia. Ancora una volta scopriremo insieme la differenza
tra il “FARE” e “L’ESSERE”: ciò che passa tra il voler fare semplicemente il narratore di una
storia e l’ ESSERE invece DEI CANTASTORIE.
PERCHE’ TANTA IMPORTANZA AL RACCONTO?
Chiunque prendesse in mano un vocabolario o un qualsiasi libro che tratta il tema della
narrazione, scoprirebbe innanzitutto che il raccontare viene definito come una forma orale
di arte, antica perchè conosciuta fin dai tempi più remoti, che consiste nel conservare e
tramandare idee, immagini ed emozioni in cui ogni individuo si può identificare.
Se molte storie del passato sono giunte fino a noi, ciò sta a significare che il raccontare
ha sempre rivestito un ruolo fondamentale nella vita degli individui di tutte le civiltà,
e che molte delle ragioni per cui il raccontare storie non è mai passato di moda sono
valide anche oggi. Con la narrazione si può innanzitutto conoscere il passato, recente o
lontanissimo da noi.
“Laboratori... amo”
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Ti dono l’anima... tore
I racconti ci fanno poi conoscere molti aspetti della vita di altre culture e ci aiutano ad
aprire gli orizzonti e ad essere tolleranti nei confronti della diversità (e badate bene che,
in tempi come quelli attuali in cui si parla tanto di interculturalità, l’educazione alla
tolleranza e alla fraternità, non è da sottovalutarsi!)
Le storie invitano poi all’ascolto e sviluppano dunque l’attenzione nostra ma soprattutto
dei ragazzi, i quali penderanno dalle vostre labbra tanto più sarete capaci di catturare
e tenere i loro occhi e le loro orecchie puntate su di voi.
Altro aspetto di primaria importanza: le storie ci fanno familiarizzare con le emozioni e
le inclinazioni umane. In un epoca in cui i sentimenti sembrano celati dietro il display
di un telefono cellulare o nascosti dentro il monitor di un PC, risentire, direttamente sulla
propria pelle, tutta la forza e il valore di un sentimento o di un’emozione, come solo le
storie possono trasmettere, ci sembra cosa di non poca rilevanza! Ricordate che quando
raccontiamo ci sentiamo più vivi, proprio come accade agli attori sul palcoscenico.
Ampliamo e assorbiamo in maniera diversa tutte le emozioni di cui siamo capaci. I racconti,
fin dall’antichità, insegnano a grandi e piccini gli aspetti morali della vita umana e aiutano
a far sì che si desiderino e apprezzino le qualità positive dei protagonisti. Rafforzano poi ad
esempio l’idea che è sbagliato rubare o mentire, uccidere o frodare gli altri.
Nell’atto di scegliere una storia, prepararla e presentarla al nostro pubblico, impariamo
anche qualcosa su noi stessi. Le storie aiutano infatti a cristallizzare le nostre idee, i
nostri sentimenti e le nostre esigenze. Quando pensiamo ad una storia da raccontare, ci
rendiamo subito conto se ciò che dice è importante per noi.
Raccontare storie aiuta ad immaginare e a creare dei mondi e dei personaggi sia per noi
che per gli altri: in una parola, sviluppa la fantasia.
Narrare ci fa poi vedere che siamo simili ad altri, creando un legame tra noi e questi
altri. Spesso ci fa sentire anche più vicini a chi ascolta le nostre storie.
Se narrando terremo presenti tutti questi aspetti e pregi del raccontare, diventeremo
dei veri CANTASTORIE, cioè delle persone che desiderano e che hanno addirittura
bisogno di condividere con gli altri le proprie esperienze e a cui piace comunicare. Il
CANTASTORIE prende una storia, originale o già esistente, ci aggiunge il suo senso
di umanità (che non è poco!) e la fa rivivere per il suo pubblico. Il CANTASTORIE
interpreta la vita, presenta una verità e aiuta i suoi ascoltatori ad entrare in altre realtà
per divertimento ma anche per acquisire conoscenza. CHE BELLO POTER FARE TUTTO
CIO’ PER I NOSTRI RAGAZZI!!!
Tutto quanto detto finora, ci fa capire quale, ma soprattutto quanta importanza possa
rivestire la narrazione anche all’interno dei nostri grest. Essa è indispensabile per
tutti i motivi sopra descritti. Essa aiuta e fa crescere noi e soprattutto i nostri ragazzi.
Vogliamo ancora farne a meno?
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Se non ve l’hanno mai detto, noi vi diciamo anche che le storie fanno bene alla salute. In
particolare esse svolgono una funzione organica: fanno cioè qualcosa di cui il nostro corpo
ha bisogno. Le storie, insomma, “favoriscono un migliore funzionamento dell’organismo”,
proprio come si legge sulle bottiglie dell’acqua minerale. Una riflessione sulla funzione
e sul funzionamento delle storie e della narrazione non può dunque prescindere da una
fisiologia del consumatore/produttore di storie.
Proponiamo per questo la seguente tavola.
TAVOLA ANATOMICA DEGLI EFFETTI E DELLE FUNZIONI
DELLE STORIE SECONDO GLI ORGANI DEL CORPO
CISTIFELLEA: le storie e la scrittura sono un ottimo sfogo prima di diventare verdi di bile.
Scrivere o raccontare ad amici quello che ci è successo può servire ad analizzare, capire ed
esorcizzare i fatti e la loro crudele nudità.
Posologia: scrivere e raccontare, per noi e per gli altri, tutto ciò che ci emoziona.
CUORE: la scrittura è sangue e le storie circolano. Una storia emozionante o che fa paura
fa battere forte il cuore e suscita moltissime emozioni.
Posologia: leggersi ad alta voce, reciprocamente, le pagine più significative di un testo;
raccontare non solo le proprie storie ma anche quelle degli altri.
FEGATO: le storie sono coraggiose, a volte anche rivoluzionarie. Tutti poi abbiamo il
diritto di scrivere e raccontare la nostra storia.
Posologia: giocare con le storie può essere un ottimo modo per farsi passare la paura e per
raccontare storie senza pretendere di fare La Storia.
INTESTINO: le storie nutrono l’animo e il corpo. Per quanto lungo sia il loro percorso
dentro di noi, non sono mai eterne. Certe storie durano dentro di noi degli anni, altre pochi
mesi, alcune tutta la vita, ma con forza diversa. Quando un libro ha segnato la vita di una
persona, è stato metabolizzato, è diventato corpo, è divenuto vita: è entrato in comunione
con il resto di quella persona.
Posologia: rileggere i libri che ci hanno emozionati e tenere un diario delle nostre letture.
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Ti dono l’anima... tore
LINGUA: si possono raccontare storie senza parole (per immagini, per gesti, nei
sogni...), e si possono mettere insieme molte parole senza farne una storia. Eppure quasi
sempre assegniamo un ruolo molto più rilevante alla parola che al resto. Come se la parola
fosse arrivata prima della storia. In realtà è nata prima la storia o le storie. Le parole sono
arrivate dopo e sono risultate utilissime a raccontare le storie.
Posologia: lasciar scorrere le storie nel modo più libero possibile e far sì che siano loro a
trovare la propria lingua, anzichè costringerle noi ad una lingua definita.
MUSCOLI: la scrittura è un muscolo. La narrazione è un muscolo. Anzitutto: la scrittura
viene dal nostro corpo, non solo dalla nostra testa. Scrivere è un’attività, un’azione, prima
di un pensiero o di una teoria. Come tutti i muscoli, quando non lo si usa, tende ad
atrofizzarsi; per raccontare storie bisogna tenersi in allenamento.
Ancora: non si inizia a correre di scatto, non si entra in campo partendo come un razzo.
Altrimenti i muscoli protestano, si bloccano dopo poco, si riempiono di acido lattico o si
contraggono in crampi dolorosi. C’è una fase preliminare detta di riscaldamento. Neanche
con le storie si parte a freddo: sia che le si racconti, sia che le si inventino, conviene iniziare
piano piano.
Posologia: allenare il nostro corpo al “duro esercizio” dello scrivere e del raccontare. Fare
ogni giorno qualche esercizio di riscaldamento e non perdere mai il ritmo.
NERVI: le storie acuiscono ed espandono le nostre sensazioni. E con una narrazione ben
fatta, la storia entra dentro i nostri nervi, ci fa vedere, sentire, annusare, gustare e toccare
con mano. I protagonisti sono vivi davanti a noi, al presente, qui e ora. Leggendo ed
ascoltando, ci lasciamo plasmare dalla storia, ma siamo tutt’altro che passivi: collaboriamo,
inventiamo, evochiamo l’intera storia a partire dalle parole che la raccontano.
Posologia: di fronte ad una storia, poniti in maniera tranquilla e rilassata; il nervosismo è
controproducente! In questo modo la storia narrata ti entrerà dentro e ti arricchirà.
ORGANI DELL’APPARATO RIPRODUTTIVO: fare storie e raccontarle è un capriccio
creativo. La creatività è un bisogno, un impulso, una funzione primaria. Indipendentemente
dal risultato. Creare storie, narrarle e tramandarle, è poi un ottimo modo di vincere la sterilità
di un mondo che a volte non offre abbastanza se preso così com’è!
Posologia: creare e raccontare senza preoccuparsi troppo del risultato. Coltivando di più il
prodotto in sè, che il risultato, quest’ultimo verrà di conseguenza.
PELLE: è la membrana che ci separa dal mondo e che con il mondo ci mette in contatto. Con
le storie ci presentiamo e ci mascheriamo, ci raccontiamo per rivelarci o per inventarci.
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“Laboratori... amo”
Posologia: non coprire troppo questa membrana per paura di “scottarsi”: mantenere la
pelle all’aria per migliorare esternamente e internamente.
POLMONI: ogni storia ha un suo respiro. Ognuno ha un suo respiro. Una bella storia
allarga la nostra cassa toracica e ci scende dentro. Raccontare storie è anche ritrovare il
proprio respiro, quella qualità di ritmo e di suoni che precede le parole, che sta nella voce
prima che nel dire.
Posologia: ascoltare le proprie e le altrui storie con un orecchio al contenuto e uno al
contenitore: sentire qual è il respiro (il ritmo e i suoni) di un narratore e di una storia.
Coltivarlo, farlo proprio, applicarlo.
RENI: le storie puliscono l’organismo. Fra le storie e le scorie c’è un rapporto diretto:
quando un racconto tocca un punto delicato, un rimosso, un’ossessione, si sente
un’intensità diversa. L’utilità terapeutica delle storie è nel riconoscimento di se stessi e
della propria completezza, che passa anche attraverso una delicata pulizia fisiologica.
Attenzione: quando la diuresi si complica, si formano dei calcoli. Le storie aiutano
anche ad espellere da noi questi calcoli (paure, freni, inibizioni) fastidiosi per il corretto
funzionamento del corpo.
Posologia: scrivere e raccontare storie può aiutare a ristabilire una fisiologia meno tesa, più
rilassata. Certe storie sono poi diuretiche e liberano l’organismo da certe scorie inutili.
STOMACO: le storie servono per digerire certi fatti, belli o brutti. Le storie colpiscono
anche nella pancia, ci fanno ricordare che sentiamo come un tutt’uno e non come una
raccolta di organi tenuti insieme da fili.
Posologia: usare anche la pancia per scrivere e raccontare, ma anche per ascoltare: non
lasciamo fare tutto alla testa! Adottare una dieta variata, con storie leggere e più pesanti,
ricche di fibre e nutrienti.
TESTA: certo, la testa continua ad avere un ruolo principale nell’acquisizione/produzione
di storie. Non bisogna dimenticarsela, non bisogna perdere la testa, anche se dobbiamo
imparare che non può fare tutto da sola: ha bisogno infatti della partecipazione di tutto il
corpo per scrivere e raccontare storie nella maniera più completa possibile!
Posologia: non utilizzatela troppo! Il successo le da’ “alla testa!” La scrittura e la narrazione
non sono solo calcolo e cervello, ma (soprattutto) fantasia e spontaneità.
VESCICA: la scrittura e la narrazione sono, come già detto, un bisogno impellente
dell’essere umano. Se vi scappa da scrivere o da raccontare, fatelo subito! Certo, ci si
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vergogna, all’inizio; a farla così in pubblico, una storia, ci vuole coraggio…
Posologia: ogni giorno, svuotarsi di una storia o due, raccontandola o scrivendola.
VOCE: siamo noi a dare voce alle storie, e a dar loro ascolto. Con la voce tocchiamo gli
altri, e degli altri ascoltiamo e sentiamo la loro voce, il modo in cui la storia prende corpo.
Dar voce ad una storia significa anche incorporarla in noi, fondere la nostra voce con una
storia altrui: rinunciare ad una voce unica e storica.
Posologia: dare voce ai sentimenti che portiamo dentro. Alzare il tono perchè questa voce
possa essere ascoltata da tutti. Abbassarlo, a tempo debito, perchè anche gli altri possano
avere la possibilità, parlando, di arricchire la nostra storia.
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Laboratorio di ambientazione
“IL CONTORNO”
Cos’è un pollo senza le patatine fritte?….
Una bistecca ai ferri senza una bella insalatona?…
E il mondo senza Nutella?!?
Beh… è come un GREST senza “colore”!
Ora: chiudete gli occhi e immaginate……
Primo giorno di GREST
I ragazzi arrivano e di colpo vengono catapultati in un mondo tutto nuovo: davanti ai
loro occhi un oratorio trasformato, che stentano a riconoscere, uno spettacolo che rompe
le barriere del tempo… il Mediterraneo del I secolo d.C.!!! Beh, forse stiamo esagerando,
ma è così che si accende la prima miccia, quella della curiosità, dell’attrazione verso
un ambiente rinnovato, della gioia di iniziare un nuovo cammino spinti dal desiderio di
buttarsi in una nuova avventura.
Aprendo gli occhi alcuni si chiederanno:” E come si fa?!?”
Niente paura, ecco qui di seguito alcuni consigli utili (almeno lo speriamo!!!) per
“contornare” il vostro GREST:
♦
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Documentarsi, prima di tutto! Nessuno si presenta a un interrogazione senza aver
prima studiato la lezione!!! Lo sappiamo, siete in vacanza!! Ma si tratta solamente
di prendere qualche spunto per mettere qualche colonna qua e la (dorica, ionica o
corinzia a voi la scelta!), bighe, centurioni, gladiatori, templi e piazze… chissà quante
ne avrà viste il nostro caro San Paolo nei suoi viaggi!!!
Materializzarsi: è sempre bene fare un elenco del materiale necessario prima di
iniziare un lavoro, onde evitare di lasciare le cose a metà! Nota Bene: non occorre
saccheggiare la Bennet! L’ideale sarebbe poter utilizzare materiale già presente in
oratorio, se possibile riutilizzarlo (i cartelloni, come le monete, hanno sempre un
rovescio!!) senza inutili sprechi!
Squadrizzarsi: l’unione fa la forza! Non sotterriamo l’artista dell’oratorio tra carta,
pennelli, forbici… aiutiamolo rimboccandoci le maniche, cercando sempre di…
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Ti dono l’anima... tore
♦
♦
♦
Entusiasmarsi: in fondo, non occorre essere Giotto! Non avviliamoci se tutto non è
perfetto… l’importante è mettercela tutta.
Ingegnarsi: non tutto è scritto nei libri e manuali. La nostra fantasia è un tesoro
inestimabile… usiamolo senza parsimonia!
Grestizzarsi: ed ora tocca a voi!!! Buon lavoro!
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Laboratorio di
ESPRESSIONE CORPOREA
“Il corpo è il primo mezzo con cui l’uomo si esprime,
dice l’armonia della persona”
Non si può non comunicare…l’uomo non è stato fatto per rimanere da solo.
La costruzione della nostra identità non è il frutto di trasformazioni genetiche, ma la
somma di esperienze e relazioni significative.
Ogni processo di comunicazione si svolge almeno tra due interlocutori che scambievolmente
di volta in volta sono ora emittente (colui che emette il messaggio) ora ricevente (colui che
riceve il messaggio).
Si comunica per mezzo di un codice, cioè attraverso un linguaggio condiviso che rende
possibile la trasmissione del messaggio. Ci sono due tipi di codici, o meglio di linguaggi:
quello verbale e quello non verbale.
Il linguaggio verbale utilizza come canale comunicativo la parola; è quello coordinato e
diretto dal nostro emisfero sinistro (del cervello, s’intende), l’emisfero razionale.
Il linguaggio non verbale utilizza invece un altro canale comunicativo: il corpo. il
movimento, la mimica, l’espressione… è quello che maggiormente coinvolge il nostro
emisfero destro, l’emisfero che si emoziona, che ci aiuta ad emozionarci.
E’ chiaro che un linguaggio non esclude l’altro, nel senso che, quando si comunica, si
comunica con tutta la persona. Si parla e si ascolta non solo con la bocca e le orecchie, ma
anche con la mente, l’anima, lo sguardo, la posizione del corpo, le mani…
In questa parte del sussidio ci occuperemo del linguaggio non verbale; o meglio di un
aspetto della comunicazione non verbale: l’espressione corporea.
Il corpo è il primo strumento che viene utilizzato per entrare immediatamente in contatto
con l’altro. Pensiamo, ad esempio, al rapporto simbiotico che si instaura da subito, dal
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“Laboratori... amo”
concepimento fin alla nascita e ancora di seguito nei primi mesi di vita tra la mamma
e il proprio bambino. La mamma e il bambino comunicano principalmente attraverso
il contatto corporeo, il calore materno è un fattore importane, irrinunciabile nella fase
dell’attaccamento.
Il corpo ci identifica, il corpo ci mette in contatto con gli altri…
Col corpo si comunica, si danza, si balla…ci si emoziona insieme in allegria…e questo non
è il grest? Il grest non è forse un momento dove tanti volti, tanti corpi, tante persone si
incontrano, si divertono, danzano, si emozionano insieme in allegria?
L’ESPRESSIONE CORPOREA NEL GREST
Espressione corporea = mescolanza di movimento, danza, psicomotricità.
L’espressione corporea favorisce la manifestazione di sé stessi.
Essa si realizza nella scoperta del proprio corpo come strumento di comunicazione delle
proprie emozioni, sensazioni, paure, bisogni, disagi.
Essa guida alla riscoperta di sé, delle proprie potenzialità e dei propri limiti, valorizza
le differenze e crea una spazio nel quale ognuno è libero di esprimersi liberamente,
ascoltandosi e creando………
Il corpo parla, siamo capaci di ascoltarlo?
Il corpo comunica, siamo capaci di comprenderlo?
Il corpo esprime chi siamo, siamo sicuri di conoscerlo?
Il corpo è un dono prezioso e compagno per tutta la vita, bisogna averne cura………
Diventa quindi importante guidare i ragazzi a conoscere il proprio corpo, ad ascoltare il proprio
corpo: battito del cuore, respiro, nonché fornire esempi di tecniche di animazione e giochi
attraverso il linguaggio non verbale-corporeo: gesti, posture, toni della voce, sguardi, ecc.
ESEMPI DI TECNICHE O GIOCHI PER ESPRIMERCI COL CORPO
Prima di iniziare qualsiasi sport per evitare di farsi male è molto importante riscaldarsi.
Anche quando si sta con i ragazzi non bisogna mai dimenticare di riscaldare il
gruppo…
GIOCO “PRESENTAZIONE MUTA”: Ogni partecipante a turno si alza, dice il
suo nome e mima con un gesto o un’azione qualche caratteristica o qualcosa che
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gli piace fare, e gli altri ripetono tutti insieme il nome del compagno e quello che lui
ha mimato.
Obiettivi del gioco:
Presentarsi e rompere il ghiaccio
Facilitare l’interazione di gruppo
Attenuare l’imbarazzo iniziale e riscaldare il gruppo
L’animatore è colui che sa osservare e ascoltare il bambino che ha di fronte,
consapevole del fatto che per un bambino risulta molto più facile esprimere
un’emozione attraverso il corpo che non attraverso le parole. Ci sono emozioni che
per il loro forte impatto non sempre si riescono ad esprimere verbalmente. L’animatore
attento però sa leggere tra le righe quelle parole nascoste che passano attraverso
comportamenti, posture, espressioni, modi di vestirsi, di presentarsi…
GIOCO PER CONOSCERSI E SOCIALIZZARE: I partecipanti si mettono in piedi
in ordine sparso occupando tutto lo spazio disponibile. All’inizio devono soltanto
camminare liberamente. Al comando dell’animatore dovranno camminare nel modo
in cui viene loro suggerito (“siete di fretta”, “vi scappa la pipì”, “siete tristi”, “avete
appena vinto alla lotteria”, “vi siete persi”…)
Obiettivi del gioco:
prendere confidenza con lo spazio in cui si gioca.
diventare consapevoli che il nostro corpo parla, comunica e che esso è un
elemento importante, a cui prestare attenzione.
favorire l’espressione corporea libera e creativa.
riscaldare il gruppo e attenuare l’imbarazzo iniziale
GIOCO “IL CORPO CHE PARLA E … INGANNA”: Un ragazzo esce e si mette in
mezzo agli altri, fermo con le gambe aperte e le braccia distese lungo il corpo. gli altri
devono descriverlo e dire, solo guardandolo (lui deve stare in silenzio), se secondo
loro è un tipo ordinato oppure no, se ha mai sofferto per amore, se è un tipo estroverso
o introverso, ecc. Al termine del gioco il ragazzo dovrà dire se quello che hanno detto
è vero oppure no.
Obiettivi del gioco:
Diventare consapevoli che il nostro corpo comunica anche nel modo in cui ci
vestiamo e ci presentiamo agli altri.
riflettere sui meccanismi che il corpo mette in atto per ingannare l’altro. Esistono
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“Laboratori... amo”
degli atteggiamenti, dei comportamenti che possono indurre in errori di valutazione
e giudizio dell’altro, compromettendo, in questo modo, le relazioni comunicative
(effetto alone, effetto pigmaglione… vedi prima parte di questo fascicolo)
I bambini che ci stanno di fronte sono come la creta in mano ad un vasaio. Il vasaio
può modellare la creta come vuole ma deve stare attento perché ad un piccolo gesto
brusco il vaso si affloscia. Tutti noi siamo delle opere d’arte ma abbiamo bisogno di
un vasaio che ci aiuti a costruire, o meglio, a scoprire l’opera d’arte che c’è in ciascuno
di noi. L’animatore è il vasaio che può, con i suoi gesti, attenzioni, comportamenti,
modellare il bambino che ha di fronte aiutandolo a diventare un’opera d’arte …
attenzione! l’opera d’arte è fragile: basta un piccolo gesto sbagliato per farla cadere.
GIOCO PER COLLABORARE “ARTISTI ALL’OPERA”: Ci si divide in gruppi di
tre o quattro persone (dipende dal n. dei ragazzi) e, in ognuno di essi, si decide chi fa
il pittore. Il pittore dovrà esprimere uno stato d’animo oppure un messaggio particolare
che vuole condividere con gli altri del gruppo utilizzando come elementi della sua
opera d’arte soltanto i corpi dei componenti del proprio gruppo. Gli altri gruppi
dovranno indovinare cosa ha voluto rappresentare il pittore con quella opera d’arte.
Obiettivi del gioco:
Facilitare il contatto corporeo
favorire l’espressione creativa
sperimentare il lavoro dell’ animatore vasaio che, con tanta pazienza e passione,
dà forma al suo vaso di creta (il bambino).
GIOCO PER COMUNICARE SENSAZIONI, EMOZIONI “IL CORPO IN
BALLO”: I partecipanti sono liberi di muoversi come preferiscono nello spazio. Il loro
movimento libero sarà accompagnato da un sottofondo musicale, appositamente scelto
dal conduttore del gioco, (le canzoni o sinfonie scelte servono a stimolare una certa
reazione emotiva dei ragazzi: gioia, rabbia, ecc.) e i ragazzi dovranno muovere il proprio
corpo a seconda delle sensazioni o delle emozione che tale musica suggerisce loro.
Obiettivi del gioco:
Introdurre il legame tra musica e corpo per poi arrivare al ballo.
Aiutare i ragazzi ad essere consapevoli delle proprie emozioni.
Stimolare i ragazzi ad esprimere le proprie emozioni e a darle un nome,
utilizzando, come canale comunicativo, non la voce ma il corpo.
Aiutare i ragazzi a comunicare con il corpo, senza temere l’espressione dei loro
stati emotivi, recuperando un contatto profondo soprattutto con se stessi.
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ESEMPIO DI COREOGRAFIA DI UNA CANZONE
Costruire una coreografia significa abbinare gesti e movimenti del corpo capaci di animare,
di dare vita, al testo semplicemente scritto di una canzone e che, nello stesso tempo,
riescano a comunicare agli altri le emozioni che tale musica racchiude dentro di sé.
Obiettivi dell’insegnare una coreografia:
Sperimentare la difficoltà di mettersi in gioco.
Favorire nei ragazzi la consapevolezza della bellezza di coinvolgere i bambini, vincendo,
prima di tutto, la loro paura di mettersi in gioco di fronte ai bambini del loro gruppo.
E’ come mettersi in cammino per raggiungere una meta in cima ad una montagna:
sperimentare la difficoltà di mettersi in cammino;
superare lo sconforto che sopraggiunge a metà del viaggio;
sentire il proprio corpo che esprime la fatica, la stanchezza ma anche la volontà di
riuscirci, di arrivare in cima;
assaporare la bellezza di raggiungere la cima e la contentezza data dalla consapevolezza
di avercela fatta.
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“Laboratori... amo”
Bibliografia minima
Abbiamo preso parecchi spunti di questo fascicolo da:
CASSADY Marsh, Raccontare storie, Vicenza 1996
MONTANARI L., Le parole del corpo. Tecniche e giochi per l’animazione attraverso il
linguaggio del corpo, Milano 2001
TONDELLI G., Giocare per sport. Proposte di attività ludico-motorie presportive per ragazzi
dai nove ai tredici anni, Milano 2002
Composizione e stampa: Media & Grafica - LODI - Febbraio 2003
Potrai trovare altre idee in:
CENINI A., Ciurma, questo silenzio cos’è? 35 tecniche per animare la discussione nel
gruppo, Milano 2001
LASCONI T., Uffa, che bello! Quasi 2, Roma 1993
SAMARITANI M., TURRINI L., Attori dal ridere. 50 giochi teatrali per tutte le occasioni,
Leumann 1997
Bibliografia
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