DI CHI SONO LE ALPI?
Appartenenze politiche, economiche e culturali nel mondo alpino contemporaneo
WHOSE ALPS ARE THESE?
Governance, ownerships and belongings in contemporary Alpine regions
a cura di/edited by
Mauro Varotto, Benedetta Castiglioni
7(+6=(<50=,9:0;@79,::
Intorno al documentario “Piccola terra”:
nuovi modi di abitare nell’arco alpino contemporaneo
Luca Lodatti1
Abstract
About the documentary “Small land”: new ways of dwelling in the contemporary Alps − The documentary Small land (Trentini e Romano, 2012) focuses on people who return to employ the
terraced mountain slopes in the River Brenta Valley, that until the 20th century hosted an extensive
tobacco-growing and today are affected by depopulation and abandonment. The analysis comes to
consider the present commitment of people from outside the valley in restoring the terraced slopes,
embodied by the story of Aziz, a young Moroccan immigrant who grows mint on a terracing. The
comparison of the documentary with an historical video (Taffarel, 1963) allows to see the various
transformations occurred in the meantime, which brought at first the inhabitants to abandon the
slopes and nowadays a new social interest to emerge outside the valley for this environment.
1. Introduzione2
Il documentario presentato in anteprima al convegno “Di chi sono le Alpi?” nella
serata del 22 settembre 2012 ha avuto origine nell’ambito di una borsa di dottorato
FSE sul tema “Paesaggi culturali tra eredità storica e innovazione”, finanziata dalla
Regione Veneto presso il Dipartimento di Geografia dell’Università di Padova (Re1
2
Dipartimento di Scienze Storiche Geografiche e dell’Antichità, Università di Padova.
Questo articolo è una sintesi della tesi di Dottorato dell’Autore (Lodatti, 2012).
260 Intorno al documentario “Piccola terra”
gione Veneto, 2008). Argomento delle attività di ricerca sono state le dinamiche di
evoluzione territoriale che hanno interessato una valle prealpina veneta dal XVIII
secolo a oggi, corrispondente alla formazione e al successivo abbandono di un esteso
sistema di terrazzamenti agricoli sui versanti vallivi (Perco e Varotto, 2004; Signori,
1981 e 1995). L’area in questione è il Canale di Brenta in provincia di Vicenza, storicamente interessata da una coltivazione intensiva di tabacco, ma nell’ultimo mezzo
secolo soggetta a un tendenziale processo di spopolamento e abbandono e all’instaurarsi di una relazione di dipendenza economica rispetto ai centri industriali della
vicina pianura (Fontanari e Patassini, 2008; Tres e Zatta, 2006). È in questo quadro
di ricerca che ha preso forma la realizzazione del documentario Piccola terra, incentrato su alcune esperienze attuali di ritorno ad un uso attivo dei versanti terrazzati
del Canale di Brenta.
2. Un antecedente storico: il documentario di Giuseppe Taffarel (1963)
Il percorso di produzione e realizzazione di Piccola terra si colloca fra il 2009 e il
2012. L’opportunità di produrre un nuovo documentario si lega ad una circostanza
particolare: l’esistenza di un documentario sull’area di studio che risale ai primi anni
’60, realizzato dal regista Giuseppe Taffarel intitolato Fazzoletti di terra (Taffarel,
1963). Il cortometraggio, della lunghezza di 13 minuti, mostra la costruzione di un
terrazzamento da parte di due anziani contadini e l’avvio delle coltivazioni con le
tecniche tradizionali, che ancora venivano utilizzate all’epoca delle riprese (Fig. 1,
inserto centrale p. XXII). Il valore del documento è testimoniato dalla sua presenza
in numerose cineteche in ambito nazionale e internazionale (Cineteca di Bologna,
Shanghai Film Archive): durante la seconda metà del ’900 l’opera è stata progressivamente dimenticata dal grande pubblico come da quello specializzato, per essere
riscoperta agli inizi degli anni Duemila e in seguito proiettata più volte nell’ambito
di rassegne cinematografiche (Focus d’Autore alla Cineteca di Bologna, Slow Food on
Film 2009) ed eventi organizzati dalle amministrazioni del Canale di Brenta, che
hanno portato al recente (2012) restauro della pellicola ad opera del Comune di
Valstagna con il sostegno della Regione Veneto.
Il documentario storico mostra il lavoro di edificazione dei terrazzamenti e coltivazione del tabacco come avveniva fino a oltre la metà del XX secolo: lo sguardo
che il regista getta su questa realtà è quello neorealista (Melanco, 2012), ma accanto
alla testimonianza estremamente realistica delle tecniche di lavorazione tradizionali
si fa portatore di un messaggio di denuncia della condizione di lavoro a cui erano
soggetti gli abitanti locali sui versanti montani. Nelle immagini e nel commento
fuori campo l’attività che i due protagonisti portano avanti per la loro sopravvivenza si presenta oltremodo gravosa. Il documentario dipinge l’opera dei due anziani
Luca Lodatti
261
come eroica ma segnata dall’arretratezza, mentre sullo sfondo gli autocarri vengono
ritratti mentre percorrono il fondovalle, preannunciando l’imminente processo di
industrializzazione. Per farne solo un esempio, alla domanda Che cosa desideri di più
nella vita? la protagonista risponde Dormire tre giorni di fila; e alla nuova sollecitazione dell’intervistatore Null’altro?, la risposta è perentoria Sì, morire. In questo senso il
documentario è immagine della situazione esistente nell’area di studio fino alla metà
del secolo scorso, ma anche testimonianza di un punto di vista specifico che si deve
contestualizzare nel quadro sociale ed economico dell’epoca (Nepoti, 1988).
Al cortometraggio risalente agli anni ‘60 fa da controcanto il nuovo documentario Piccola terra, che fa esplicito riferimento ad esso grazie all’inclusione di alcuni
spezzoni del video storico. Nelle nuove immagini è evidente l’intenzione di misurare
la distanza tra le condizioni passate e quelle odierne, presentando le trasformazioni
sia territoriali che sociali occorse nel frattempo. In questo senso, la nuova opera va a
delineare il quadro complesso dei cambiamenti avvenuti nei 50 anni che li separano,
gli effetti positivi legati allo sviluppo e benessere per la popolazione e insieme negativi
connessi con l’abbandono e il rimboschimento dei versanti. ll nuovo mediometraggio va infatti ad esplorare la situazione presente dell’uso dei versanti montani nel
Canale di Brenta, lo stato di abbandono e le ampie aree di avanzamento del bosco,
insieme ai fenomeni puntuali di ritorno a queste aree risalenti all’ultimo decennio,
puntando l’attenzione sulle trasformazioni in corso (Cipra, 2008; Grandi, 2008; Scaramellini e Varotto, 2008).
Il nuovo documentario assume così un carattere di registrazione del tempo trascorso ed anche di documentazione di nuove modalità di ritorno all’uso dei versanti
montani, rispondendo a una funzione che peraltro aveva già svolto nel secolo scorso
il documentario di Taffarel e altri girati nel secondo dopoguerra (v. ad es. Ivens,
1959). Tramite il confronto con il suo omologo storico il nuovo cortometraggio si
fa portatore delle istanze favorevoli alle esperienze puntuali di ritorno all’uso dei versanti terrazzati, prendendo posizione nell’ambito dei processi di trasformazione che
stanno lentamente avendo luogo nell’ambito del Canale di Brenta e più ampiamente
in quello alpino (Guiseppelli, 2005 e 2006).
3. Interno/esterno, alto/basso: nuovi sguardi sui versanti terrazzati
Lo sviluppo del documentario segue alcune figure rappresentative che al momento attuale abitano o lavorano con modalità diverse sui versanti terrazzati in abbandono, tramite le riprese delle loro pratiche quotidiane ed una serie di interviste filmate.
Questo approccio era già stato adottato dai due autori, di formazione antropologi,
che nel 2008 avevano realizzato un’opera incentrata sull’esperienza di lavoro in montagna di una giovane pastora nella Valle di Rabbi (Trentini e Romano, 2008), dove
262 Intorno al documentario “Piccola terra”
un accordo con l’amministrazione comunale le consente di pascolare il suo gregge sui
prati in abbandono. In questo lavoro i due autori seguivano la protagonista nel suo
lavoro, nel rapporto con gli animali, e insieme nelle sue difficoltà e nelle incertezze
legate al portare avanti un’attività generalmente considerata marginale dalla comunità, mostrandone il servizio di presidio territoriale che offre.
Per Piccola terra si è scelto di seguire quattro protagonisti, che si caratterizzano per
le attività che portano avanti sui versanti terrazzati del Canale di Brenta (manutenzione delle strutture, coltivazione, ecc.) e per il loro background (luogo di origine,
impiego svolto in precedenza) e li distinguono nell’approccio all’uso dei versanti e
nelle motivazioni che li sostengono. Attraverso le loro vicende il documentario va a
costituire un quadro complesso della realtà territoriale e sociale dei versanti montani
della valle, con particolare attenzione per il diverso legame che unisce costoro alle
aree terrazzate. Il profilo dei protagonisti può essere descritto sinteticamente come
segue:
- Claudio, un abitante di Valstagna che risiede nella monumentale casa paterna
situata fra i terrazzamenti, portando avanti le attività tradizionali insieme alla
madre;
- Giacomo, tornato ad abitare in una proprietà sui versanti dopo aver lavorato
presso una cava, ora impegnato a costruire un’attività agrituristica;
- Romeo e Antonia, una coppia di abitanti di Bassano del Grappa che ha avuto in
affido dal Comune di Valstagna un terrazzamento e sta allargando la coltivazione
ad orto;
- Aziz, di origine marocchina, che gestisce una pizzeria nel Canale di Brenta e su
un terrazzamento ha iniziato una piccola piantagione di menta.
Guardando le immagini del documentario si può sviluppare una riflessione a partire dalle vicende presentate sulle relazioni territoriali e sociali che esse indagano e su
cui portano l’attenzione. Per fare questo si possono considerare alcuni degli elementi
principali del cortometraggio (Nepoti, 1988): la struttura del racconto che esso sviluppa e la sua organizzazione in macro-sequenze (Casetti e Di Chio, 1990) accanto
agli ambienti che accolgono le storie narrate (Rondolino e Tomasi, 1995), evidenziando alcuni caratteri del documentario che emergono fin da una prima visione.
Il documentario presenta infatti le vicende dei protagonisti strutturandole in
modo significativo: la storia di Aziz, abitante di Valstagna originario del Marocco,
svolge il ruolo di filo conduttore narrativo in cui si inseriscono come singoli episodi le vicende degli altri protagonisti. Il giovane marocchino ritorna a intervalli
regolari sullo schermo, intercalando le diverse storie, e la sua vicenda va a costituire
il filo conduttore delle altre, che presentano il carattere di episodi autoconclusi. Il
ruolo di Aziz nell’economia complessiva del documentario rimanda a un’attenzione
particolare che il documentario pone al rapporto fra l’area del Canale di Brenta e il
territorio esterno. Il giovane marocchino incarna questa relazione, caratterizzandosi
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263
come outsider, pur nei contatti stretti che ha con la comunità locale. Il suo ruolo di
rappresentante del mondo esterno all’area emerge esplicitamente in alcune scene alla
fine del documentario che lo mostrano in Marocco, dove si reca per acquistare delle
piante di menta da coltivare sui versanti della valle, nel terrazzamento adottato.
Questo non è il solo elemento del documentario che si può interpretare come
segnale dell’importanza del collegamento fra il Canale di Brenta e lo spazio esterno:
fin dal titolo il documentario, Piccola terra, va a sottolineare il legame ineludibile fra
la valle e il mondo esterno. Le ripetute inquadrature del traffico sulla Strada Statale
47 Valsugana, della ferrovia che attraversa la valle, così come l’elicottero iniziale o la
scia di un aereo nel cielo, costituiscono ulteriori prove a conferma dell’importanza
di questa relazione. A partire da queste osservazioni si può ricavare che il rapporto
esterno/interno rispetto all’area del Canale di Brenta costituisce una relazione strutturale per il documentario, sul quale in molti momenti i registi focalizzano lo sguardo
e indirizzano l’attenzione dello spettatore. Attraverso le interviste e i dialoghi, l’asse
interno/esterno si evidenzia come un elemento della percezione degli stessi personaggi, che il documentario va a fare proprio, conformandosi ad esso nella sua struttura
e negli accostamenti di immagini, prendendolo come criterio di riferimento per il
suo sviluppo.
Un secondo elemento rilevante nel documentario emerge dagli ambienti ritratti,
quali ambito d’azione dei protagonisti o quali immagine panoramiche. A tale riguardo è immediato osservare come i protagonisti vengano sempre ritratti nelle aree
di versante della valle, terrazzate o boscate. L’ambito dei versanti viene così postato
sullo schermo, mostrandone luoghi e aspetti diversi, dall’abbandono alla coltivazione
dei terrazzamenti, dai prati d’alta quota ai piccoli nuclei di case, confermandone la
posizione privilegiata per il documentario. Questi ambienti si alternano però con
regolarità ad immagini che ritraggono piuttosto il fondovalle, le cui riprese rivestono
un ruolo di contorno e insieme di opposizione rispetto alle vicende dei protagonisti.
Le panoramiche del fondovalle ritornano con regolarità nel documentario e ne occupano anch’esse una parte importante, sotto forma di inserti alternati alle vicende
dei protagonisti: mostrano in particolare il traffico dei camion lungo la superstrada, i
treni e le linea ferroviaria, i turisti che praticano sport acquatici lungo il fiume. Punteggiano il film di immagini molto diverse da quelle che caratterizzano le storie dei
protagonisti, instaurando con esse una relazione di continuo confronto.
Questa alternanza di immagini conduce a identificare una seconda relazione strutturale del documentario nel rapporto fra fondovalle e versanti, fra i luoghi in alto e
quelli in basso, come vengono indicati dagli stessi protagonisti. I versanti occupano
un posto di primo piano nel documentario, il fondovalle piuttosto una posizione di
contorno, che pure viene sistematicamente registrata e messa a confronto con l’altra.
Una conferma di questa osservazione si può avere guardando un’immagine del cortometraggio presente nel libretto che lo accompagna, costruita proprio sul rapporto
264 Intorno al documentario “Piccola terra”
di contrapposizione fra il primo piano di un prato di mezza costa dove siede uno dei
protagonisti e lo sfondo del lungofiume con la grande arteria della Strada Statale
47 e la prospiciente cava (Fig. 1, inserto centrale p. XXII, in basso). Anche questa
relazione alto/basso che organizza la costruzione del documentario restituisce una
percezione degli stessi protagonisti, come emerge sovente dalle interviste. Si tratta di
una opposizione, fra i versanti e il fondovalle, che nel documentario va a impostare
l’accostamento delle immagini, con il montaggio alternato di riprese contrastanti di
luoghi diversi, improntandone infine l’impianto figurativo generale.
Si può allora sintetizzare questo breve percorso attraverso le immagini del documentario considerando entrambi le relazioni strutturali individuate alla base della
sua costruzione, il rapporto interno/esterno e quello alto/basso. Si tratta di due componenti della percezione sociale del territorio del Canale di Brenta che emergono dalle
interviste ai protagonisti, dei quali il documentario si fa ricettore e cassa di risonanza.
Per esaminare il loro intrecciarsi si possono considerare insieme le due relazioni,
quella interno/esterno con riferimento alla provenienza dei personaggi e quella alto/
basso rispetto agli ambienti di versante e di fondovalle.
Una delle situazioni che il documentario mette in evidenza entro questo quadro
è allora il coinvolgimento da parte di persone provenienti dall’esterno della valle nel
recupero dei luoghi posti sui versanti terrazzati, attraverso il ritorno all’uso di questi
spazi. Questo nuovo rapporto emerge in particolare attraverso la vicenda di Aziz,
come abbiamo visto filo conduttore del documentario, che nello sguardo dei registi
si fa rappresentativa del nascente interesse da parte degli abitanti esterni per la cura
degli spazi abbandonati della valle. Tale impegno spicca nel documentario per la
novità delle relazioni che s’instaurano fra i personaggi e il territorio: viene messa in
luce in questo modo una relazione inedita nella storia recente, rispetto a quelle più
prevedibili fra abitanti locali e versanti, abitanti esterni e fondovalle.
Con il legame tra i nuovi abitatori e i versanti viene messo in evidenza il lavoro
per la cura di questo territorio nelle forme seminali di ritorno all’utilizzo delle aree
terrazzate tramite il loro recupero e coltivazione. Di questo lavoro sono un emblema
le immagini finali che ritraggono la piantumazione su un terrazzamento della menta
proveniente dal Marocco, ma ad esso si rifa anche la manutenzione dei terrazzamenti
da parte di Antonia e Romeo, protagonisti che abitano a Bassano del Grappa. Si può
allora giungere a considerare come il documentario vada a puntare l’attenzione sulla
nuova attitudine verso le aree dei versanti montani, che si accompagna da parte di
abitanti esterni ad un nuovo modo d’utilizzo del territorio e conduce al recupero
all’uso dei versanti.
Luca Lodatti
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4. Il confronto fra le immagini di ieri e oggi
Si possono prendere allora quale punto di partenza privilegiato le relazioni emerse
nel precedente paragrafo, osservando le trasformazioni che nel periodo dal secondo
dopoguerra ad oggi esse hanno incontrato.
Si può quindi considerare l’aspetto paesaggistico del confronto, esaminando il
ruolo profondamente diverso rivestito dai terrazzamenti nei due documentari. Queste aree nel 1963 costituivano in primis dei luoghi di produzione agricola, votati da
quasi due secoli alla coltivazione del tabacco per il sostentamento della popolazione,
ed il loro aspetto era quello di terreni lavorati, nudi e spogli nel periodo invernale,
verdi per le foglie delle piante coltivate in quello estivo. Oggi essi sono divenuti
piuttosto marginali, esclusi dalle attività produttive e dalla vita delle comunità locali,
segnati nel loro aspetto dallo stato di abbandono e dall’avanzata della vegetazione
sui terrazzamenti. Lo spazio del fondovalle, per contro, era nel 1963 solo una parte
dell’ambito di vita della popolazione, occupato dai centri abitati e dai trasporti ferroviari e stradali. Oggi esso concentra tutte le attività umane, con le nuove infrastrutture, le piccole produzioni industriali e le attività ricreative lungo il fiume, escludendo
dalla frequentazione quotidiana degli abitanti la parte restante dello spazio vallivo.
Questi mutamenti hanno portato ad una contrazione del territorio occupato allo
spazio del fondovalle, lasciando solo siti isolati e marginali sui versanti, influendo
profondamente sulle abitudini di vita delle comunità locali. È questa una trasformazione che emerge con forza dall’accostamento delle immagini e va a costituire
l’elemento basilare del confronto fra i due documentari, improntando la condizione
di vita sui versanti montani nei diversi momenti storici che essi mettono a fuoco.
Accanto a questo mutamento, però, va menzionato come le due pellicole pongano in evidenza il diverso valore del lavoro sui versanti montani che emerge alla metà
del secolo scorso e al momento attuale. Nel secondo dopoguerra il lavoro sui terrazzamenti rappresentava una condizione di arretratezza produttiva, un lavoro gravoso
e non debitamente remunerato, logorante per la durezza delle attività da realizzare
senza l’utilizzo di macchine. Molto diverso è il quadro dei lavoratori sui versanti di
oggi, quale appare nelle immagini di Piccola terra. Il lavoro difatti in questo caso si
configura come una libera scelta di chi lo svolge, una forma di contributo al mantenimento dell’ambiente della valle, appartiene ad un ambito di impegno e di soddisfazione personale piuttosto che di bisogno e necessità. Le poche persone che oggi si
recano sui versanti e portano avanti la manutenzione delle aree terrazzate sono mosse
dalla ricerca di uno spazio di libera partecipazione al mantenimento di un ambiente
di valore, estranei a motivi economici, e trovano in questi spazi un ambito di lavoro
socialmente utile e ambientalmente sensibile.
In questo senso anche l’altra relazione individuata come significativa, fra la valle
ed il territorio esterno, appare profondamente cambiata. Alla metà del secolo scorso
266 Intorno al documentario “Piccola terra”
la pianura fuori dalla valle e l’industrializzazione in corso rappresentavano una prospettiva di emancipazione per gli abitanti della valle, un richiamo per i lavoratori
agricoli, offrivano a livello sociale l’apertura a nuove forme produttive e a un maggiore benessere. Il messaggio che giungeva dall’esterno della valle era un richiamo
alla modernizzazione produttiva e all’adesione a un nuovo stile di consumo, che
garantivano un tenore di vita più elevato. Nell’ultimo decennio invece, con l’inizio
del nuovo secolo, dal territorio esterno alla valle hanno cominciato a giungere piuttosto dei riconoscimenti circa l’importanza dell’ambiente vallivo sotto il profilo sia
ambientale che turistico. Pubblicazioni e iniziative ne riconoscono il valore ecologico
per la biodiversità, quello storico-culturale per i manufatti e le conoscenze tradizionali, quello sportivo e ricreativo. Apprezzamenti giungono da parte del mondo scientifico (Trischitta, 2005; Scaramellini e Varotto, 2008), della società civile e talora
delle istituzioni (Regione Veneto, 2004). Le nuove prospettive della società odierna
vedono negli ambiti terrazzati lo spazio potenziale di una sostenibilità complessiva:
economica, sociale e ambientale. Manifestano una disponibilità a sostenere il recupero di questi luoghi e sanciscono il nuovo interesse che investe i versanti montani.
A questi due diversi momenti storici, alle differenti condizioni di lavoro e prospettive di vita, anche alle contraddizioni che portano con sé, si viene condotti a
riflettere seguendo le immagini a confronto dei due documentari, riflettendo sulle
nuove esperienze di ritorno all’uso dei versanti terrazzati.
Nel secondo dopoguerra il territorio del Canale di Brenta, sede di produzione
del tabacco, sentiva il peso del lavoro di coltivazione come arretratezza e guardava
alla pianura come orizzonte di progresso ed emancipazione. Oggi, con la percezione
diffusa di segnali di un esaurimento dell’espansione industriale, la montagna viene
sentita piuttosto come l’ambito di un impegno per l’ambiente, di una maggiore qualità della vita, alimentando forme di ritorno ad un uso attivo del paesaggio terrazzato.
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XXII
Fig. 1 (Lodatti) – Una scena
(sopra) dal documentario storico “Fazzoletti di terra” [Taffarel, 1963] e un’immagine
a cinquant’anni di distanza
(sotto) tratta dal documentario “Piccola terra” [Trentini e
Romano, 2012]. A frame (above, 1a) from the historic documentary “Handkerchief of land”
[Taffarel, 1963] and a fifty-years-later image (below, 1b) from
the documentary “Small land”
[Trentini and Romano, 2012].
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