1 2 I. PER UN PROFILO BIO-BIBLIOGRAFICO Marco Vichi è nato nel 1957 a Firenze, ma al traffico cittadino ha preferito la tranquillità della campagna e oggi vive immerso nel verde dei suoi ulivi, alle porte del Chianti. Scrivere è sempre stata una passione coltivata in segreto, al riparo da quegli sguardi rapaci che avrebbero potuto fraintendere e deprezzare un momento di profonda intimità. L'atmosfera privilegiata per saggiare il proprio estro è la sera, nel calore della sua sala da pranzo, protetto dal guscio domestico. In un'intervista pubblicata nel volume Trucchi d'autore, alla domanda del giornalista Mariano Sabatini3 inerente la capacità innata di essere scrittore o la possibilità di diventarlo, Vichi risponde: Credo che si nasca con una certa capacità di scrivere storie, così come si nasce con i piedi giusti per il calcio. Poi però bisogna lavorare, così come si allena un calciatore. Insomma bisogna lavorare sul serio ma non prendersi sul serio.4 Per molti anni Vichi si è “allenato” scrivendo per il proprio piacere, senza riconoscimenti ufficiali, ma ciò non lo ha persuaso ad astenersi dal farlo, poiché già sapeva, avrebbe continuato con o senza successo. Comunque la soddisfazione di vedersi pubblicato è arrivata grazie ad una catena ininterrotta di lettori, attraverso i quali alcuni suoi dattiloscritti sono giunti all'attenzione di Luigi Brioschi, presidente della casa editrice Guanda. Un simpatico aneddoto 3 Giornalista e scrittore italiano, lavora per la carta stampata, la televisione e la radio. Partecipa come opinionista a programmi radio e TV su reti locali, nazionali e satellitari. In Trucchi d'autore ha analizzato le abitudini, i segreti, le manie di molti scrittori famosi fra cui Dacia Maraini, Giorgio Faletti, Andrea Camilleri e tanti altri. 4 L'insoddisfazione di Marco Vichi, in M. Sabatini Trucchi d'autore, Roma, Nutrimenti, 2005 pp. 49-54. 3 accompagna la storia di uno dei racconti di Vichi, Il Portafogli5, capitato nelle mani dell'editore in modo bizzarro. Pare che, dopo varie peripezie, lo scritto fosse pervenuto a Luigi Spagnol, direttore della casa editrice Salani, il quale sembra aver mancato la giusta fermata del bus talmente avvinto dalla lettura. Come ultimo step verso il successo, il racconto è arrivato a Brioschi; prova del duraturo rapporto di proficua collaborazione fra Vichi e la casa editrice. L'esordio al romanzo risale al marzo del 1999 con L'Inquilino, per Guanda Editore, uscito anche in Grecia6 e da cui Vichi ha tratto una sceneggiatura per il cinema assieme ad Antonio Leotti. Lo stile agile ed immediato, ma soprattutto la ricchezza dei dialoghi, rendono il romanzo particolarmente adeguato ad esser arrangiato per il cinema. In un'intervista tenuta dalla Radio Svizzera Italiana in occasione dell'uscita de L'Inquilino, Vichi afferma: Io mi diverto molto a scrivere i dialoghi e se potessi scriverei un romanzo fatto solo di dialoghi.[...] É un modo di far conoscere i personaggi attraverso le reazioni reciproche durante un dialogo, invece di spiegarle si fanno capire.7 La vicenda è ambientata nella Firenze dei nostri giorni; il protagonista è Carlo Vicarelli, traduttore, in un momento lavorativo delicato che lo costringe a prender la decisione di affittare una stanza della propria casa per arginare le difficoltà economiche. Vive in un appartamento al quarto piano nella periferia di Firenze, quella vera, distante dalle immagini patinate che tanto affascinano i turisti; la vicina del piano inferiore non perde occasione per spettegolare e metter il naso nelle faccende degli altri, mentre all'ultimo piano vive la dolce Giovanna con cui Carlo ha un ottimo rapporto d'amicizia. La serenità 5 Il Portafogli, è stato poi inserito nella raccolta Perché dollari?, Parma, Guanda, 2005. Vichi nelle note d'accompagnamento al volume afferma «Ringrazio una notizia del telegiornale del tutto diversa dal racconto, che mi ha dato la scintilla per disseppellire questa storia». Il racconto, di stampo Kafkiano, ha come protagonista un razionale e metodico personaggio spinto a mettere in discussione le sicurezze di una vita, in seguito al ritrovamento di un portafoglio smarrito. 6 Atene, Empiria Publications, 2000. 7 L'intervista per la Radio Svizzera Italiana si può ascoltare alla pagina http://www.marcovichi.it/Libri/linquilino.html del sito ufficiale di Vichi. 4 quotidiana, minacciata solo da qualche bega lavorativa, s'infrange irreparabilmente con l'arrivo di Fred, il nuovo inquilino. L'uomo mette subito a disagio Carlo e la convivenza non risulterà per niente facile; Fred si presenta maleducato, sporco, pigro e soprattutto abilissimo nel capovolgere la situazione a proprio vantaggio, assume le vesti della vittima senza badare allo sconvolgimento che ha causato nella vita del padrone di casa. Carlo appare profondamente diverso dal bizzarro ed irritante coinquilino che assume le vesti di coprotagonista: il primo ha la testa sulle spalle, Fred è un irresponsabile; uno ha abitudini consolidate, l'altro è imprevedibile; all'alta razionalità umana si contrappone il bieco istinto animale. Carlo arriva a credere che Fred sia coinvolto nei due omicidi avvenuti nel palazzo dirimpetto al loro, proprio al quarto piano; anche la polizia li interroga, eppure il padrone di casa non denuncia i propri sospetti. Fred è indebitato, ha precedenti penali e riceve strani messaggi in codice da gente poco raccomandabile, tutti gli elementi sembrano confermare la sua colpevolezza. Per quanto Carlo ripugni il nuovo inquilino, prova nei confronti del suo stile di vita una forte attrazione; la sua libertà lo affascina. Totale indipendenza, sicurezza di sé, successo con le donne sono caratteristiche che rendono Fred profondamente diverso dal padrone di casa, responsabile e metodico, tuttavia non sempre una persona è esattamente ciò che appare e Carlo alla fine lo imparerà. «L'uomo non è mai ciò che sembra»8 è la frase con cui Fred si congeda dal compagno nel biglietto d'addio. In effetti le loro personalità, a confronto, sembrano due colori complementari sulla tavolozza di un pittore; due entità separate e distinte che, inaspettatamente, possono fondersi dando origine ad una nuova sfumatura. La conclusione del romanzo indirizzerà lo sguardo di Carlo verso un aspetto sconosciuto di Fred; anche un tipo granitico come lui può celare una vena gentile e generosa, riesce a commuoversi ed è tormentato da intime angosce proprio al pari di Carlo che, forse, non lo sentirà più così distante. Questo primo romanzo è stato scritto da Vichi tutto d'un fiato, in appena una settimana 8 M. Vichi, L'Inquilino, Parma, Guanda, 1999, p. 142. 5 e, per quanto non presenti tratti autobiografici, l'autore ammette di ravvisare in Carlo e Fred due suoi alter ego; nell'intervista radiofonica sopra citata, afferma di aver cercato di far dialogare due parti di sé. Scrivendo L'Inquilino, Vichi non ha progettato di rappresentare un proprio conflitto interiore attraverso lo scontro dei due personaggi, ma in un secondo momento, ha ravvisato in Carlo e Fred due parti di sé stesso prendendo coscienza di ciò solo attraverso il dibattito con altri scrittori e venendo a contatto con l'opinione di alcuni lettori durante presentazioni ed interviste. Questa è la prova lampante di come un romanzo non si estingua nella messa nero su bianco di una certa trama, la sua storia non si conclude con la pubblicazione, ma l'opera vive di vita propria, crescendo attraverso le interpretazioni e le critiche. Lo scrittore non deve imporsi un messaggio da comunicare, ma accompagnare il libero fluire della storia rispettando la distanza che lo separa da essa. Porsi un obbiettivo specifico, come una morale da divulgare, rischia di frenare la forza dirompente della storia stessa, che lo scrittore ha sì il compito di originare, ma non d'indirizzare in modo strettamente calcolato. L'autore non coincide con la sua opera e l'opera non combacia col creatore, i due sono legati da un rapporto necessario, ma si mantengono distinti. Nello stesso 1999 Vichi ha condotto cinque puntate della trasmissione “Le Cento Lire” per RAI RADIO TRE. Si tratta di un documentario relativo al tema dell'arte, ma non quella classica dei geni artistici rivolta a ricchi commissionari, bensì quella del riscatto per chi nella vita ha commesso errori e, dal carcere, comunica sentimenti ed esperienze attraverso varie forme artistiche. Vichi ha intervistato i detenuti del penitenziario di San Vittore a Milano, raccontando la storia del loro personale recupero grazie alle attività di laboratorio di scrittura, musica, teatro e pittura che hanno alleviato la pesantezza della reclusione. Un secondo romanzo, Donne Donne, è uscito nel 2000 per Guanda 6 Editore, tradotto in Grecia9 quattro anni dopo e riedito nel 2008. É un romanzo piuttosto corposo, ma questo non significa che la trama sia particolarmente elaborata. Filippo Landini, il protagonista, è un uomo che rincorre le proprie passioni: la scrittura e le donne. Vichi lo ritiene il personaggio che meglio lo rappresenti definendolo: «Un caro amico che mi somiglia troppo»10. La storia è un intreccio di vicende che lo vedono alternarsi fra l'una e l'altra. L'elenco delle sue relazioni è infinito, come quello dei lavori letterari terminati o ancora in corso d'opera, il titolo di uno di questi, Reparto macelleria11, è davvero un racconto di Vichi. Filippo abita a Firenze e conduce una perfetta vita da single; la palazzina appare piuttosto squallida a partire dall'appartamento di Porciatti, lo squattrinato dell'ultimo piano, che vive come un topo nella sua lurida tana. Filippo, fra una telefonata della mamma apprensiva e una chiacchierata con Porciatti nel suo buco, conosce in un bar Marina, siciliana dalla bellezza destabilizzante. Le varie tattiche di corteggiamento e i tentativi di racimolare un po' di soldi sembrano monitorati dagli occhi del padre, deceduto, la cui foto però è conservata nel bagno, stanza più intima e rivelatrice della materialità umana, un perfetto confessionale. Donne Donne è l'esempio lampante del talento di Vichi nel saper gestire un intreccio esile senza privare la storia d'interesse; i punti forti, infatti, sono altri: i ritratti psicologici del personaggio, le elucubrazioni mentali, il modo di rapportarsi agli altri e al mondo... Un oceano di umanità che trasuda, dalle opere dello scrittore, indipendentemente dal genere letterario affrontato. Già nei primi due romanzi pubblicati, si ravvisano le caratteristiche fondamentali nello stile di Vichi: realismo, concretezza e linearità. Lo scrittore attinge ad un 9 Atene, Empiria Publications, 2004. 10 Come lo stesso autore afferma in numerose interviste e conferma in un incontro gentilmente concessomi. 11 Nella raccolta Perché dollari?, cit. La storia ricorda gli orrori delle torture nazifasciste, la brutalità di una guerra combattuta da partigiani italiani contro propri connazionali. Nonostante le sevizie subite Camillo, personaggio centrale nel racconto, riesce dopo anni dalla fine del conflitto a vincere quel bisogno di riscatto che lo aveva spinto a rintracciare il proprio aguzzino. Quell'uomo ormai è un vecchio acciaccato e Camillo decide di non farsi riconoscere, mantenendo l'ideale di non cedere ad una crudeltà gratuita. 7 ampio bagaglio esperienziale ed emotivo; infatti ogni ricordo o avvenimento, vissuto in prima persona o raccontato, costituisce materiale potenziale da usare nella narrazione. Generare emozioni attraverso la propria scrittura, è il rimborso per il piacere che l'autore ha a sua volta provato leggendo. Raccontare delle storie, inventare, ma allo stesso tempo parlare della verità; questo è ciò che Vichi ammira ed emula nei suoi grandi maestri quali Edgar Allan Poe, Charles Bukovski, Primo Levi, Beppe Fenoglio, e i russi Dostoevskij, Gogol, Pushkin, Bulgakov e Cechov. Partire da istanze reali per creare qualcosa di assolutamente originale che, in molti casi, diviene testimonianza di un'epoca e riveste un valore storico, poiché gli scrittori, più o meno consapevolmente, si fanno portavoce della realtà attorno a loro. Attraverso queste armi, e soprattutto grazie all'utilizzo di un linguaggio fresco e semplice, Vichi è riuscito presto a far breccia nel cuore dei lettori. Nel gennaio 2002 è uscito il terzo romanzo per Guanda Editore, Il commissario Bordelli, la prima inchiesta di un personaggio che da subito affascinerà il pubblico, presentandosi più come amico dell'autore che mera invenzione letteraria. Edito nel 2003 in Portogallo12 e nel 2004 in Spagna13 e Germania14. La seconda avventura di Bordelli, Una brutta faccenda, segue a ruota nel febbraio 2003; questo libro è acquistato, come primo della serie, da Spagna, Germania e Portogallo. Sempre nel 2003 Vichi ha curato il libretto di “omaggi” a John Fante, per Fazi Editore; contributo letterario d'accompagnamento al documentario della regista Giovanna Di Lello John Fante: Profilo di scrittore, vincitore nel 2003 del Los Angeles Film Awards. Vichi riconosce nel grande scrittore americano uno dei miti intramontabili per tutta la narrativa del '900 e fin dall'inizio della propria carriera è intervenuto a favore della diffusione di Fante in Italia. Un 12 Porto, Casa editrice ASA, 2003. 13 Salamanca, Casa editrice Tempora, 2004. 14 Monaco, Casa editrice Bastei Lübbe, 2004. 8 estratto della tesi di laurea di Alessio Romano15, La fortuna di Fante in tre interviste, viene pubblicato nella rivista letteraria «Quaderni del '900». I tre personaggi interpellati, Sandro Veronesi, Giovanna Di Lello e Marco Vichi, sono legati alla riscoperta dello scrittore in Italia. Fante è nato a Denver nel 1909, ma ha origini italiane: suo padre era abruzzese ed anche la mamma era figlia d'immigrati. Quando Romano chiede a Vichi quanto la mancata rinuncia alle proprie origini abbia influito sullo scarso successo in America questo risponde: Per uno come Fante, che scriveva con le budella, non sarebbe stato facile rinunciare a qualcosa di così profondo come le proprie radici.16 Un'infanzia travagliata, un padre violento ed alcolizzato ed una condizione economica disagiata spingono Fante ad impiegarsi in lavori precari ed a cercare fortuna nella Los Angeles degli anni '30. Si avvicina alla scrittura, pubblica alcuni primi racconti e collabora con le riviste American Mercury e Atlantic Monthly grazie all'aiuto del corrispondente Henry Louis Mencken, giornalista, saggista e famoso editor noto soprattutto per la pungente satira rivolta alla mentalità puritana dominante e per quegli studi di linguistica che lo hanno reso uno dei più influenti scrittori americani della prima metà del XX secolo. Fante, nelle vesti di sceneggiatore, inizia un'assidua collaborazione con Hollywood; questo lavoro gli garantisce una discreta sicurezza economica, ma non rispecchia la sua vera passione, la narrativa. Romanzi come: Aspetta primavera, Bandini, La strada per Los Angeles, Chiedi alla polvere, Sogni di Bunker Hill17 danno prova della straordinaria capacità di Fante nel far 15 Giovane scrittore italiano, nato a Pescara nel 1978. Laureatosi in Lettere Moderne con una tesi su Fante all'Università “La Sapienza” di Roma, ha pubblicato Paradise for All (Fazi, 2005). 16 A. Romano, La fortuna di fante in tre interviste, in «Quaderni del '900», n. VI, anno 2006, pp. 43-55. 17 Ciclo dedicato all'alter ego di Fante, Arturo Bandini, elencati nell'ordine logico rispecchiante le tappe della vita del protagonista. In realtà l'ordine di composizione è: La strada per Los Angeles (terminato nel 1936, ma pubblicato postumo nel 1985 e in Italia, Milano, Leonardo, 1988); Aspetta primavera, Bandini (1938, tradotto Aspettiamo 9 convivere tragico e divertente; ci presentano un antieroe, sfrontato e superbo, ma dotato di grande ironia, goffo nel suo perpetuo attacco alle convenzioni nevralgiche del vivere civile. Irriverenza, materialità, satira pungente sono caratteristiche che Vichi riconosce ed ammira nel maestro statunitense. A John Fante è dedicato il festival letterario “Il Dio di mio padre”, di cui Giovanna Di Lello è dal 2006 direttrice artistica; una manifestazione culturale di livello internazionale che si tiene ogni estate a Torricella Peligna (Abruzzo), il paese d’origine di suo padre Nick. Sia questo luogo che la figura dell'autoritario genitore sono argomenti frequentemente trattati nei racconti e romanzi dell'autore. Il titolo della rassegna richiama uno degli scritti più emozionanti e ironici di Fante, Il Dio di mio padre, un racconto in cui la figura del padre è presentata in tutta la sua superiorità. Ad Antonio Bandini, invece, è intitolata la Scuola di Narrazioni, fondata nel 2005, dall'associazione Nausika18, con cui Vichi collabora. Si tratta di un percorso annuale destinato ad incrementare le competenze narrative in relazione a diverse esigenze professionali, la scuola è diretta da Federico Batini e coordinata da Simone Giusti. L'obbiettivo è promuovere la letteratura, la narrazione, la scrittura e la lettura come strumenti di sviluppo delle persone e delle loro comunità. Vichi è sensibile a questo argomento: dal 2003, si occupa di laboratori di scrittura in varie città d'Italia e collabora con l'Università di Firenze nel corso di laurea in Media e Giornalismo. Nel marzo 2004 è uscito il terzo romanzo di Bordelli Il nuovo venuto; i primi tre della serie sono dunque stati pubblicati a distanza di un solo anno l'uno dall'altro, mentre il quarto si lascerà attendere più a lungo, a testimonianza del fervido lavoro di stesura di una trama che necessiterà di primavera, Bandini, Milano, Mondadori, 1948); Chiedi alla polvere (1939, tradotto Il cammino nella polvere, Milano, Mondadori, 1941); Sogni di Bunker Hill (pubblicato nel 1982 e in Italia, Mondadori, Milano, 1988). 18 Nausika è un'associazione senza fini di lucro che contribuisce allo sviluppo di soggetti e comunità attraverso la crescita culturale. Opera nel teatro con una scuola di recitazione, danza, voce ed organizza due festival: Narrazioni-Libera Tutti ed ArezzoFestival ai quali son legati due premi “Libera i Libri” e “Sergio Manetti-ArezzoPoesia” destinati alle performance tratte da libri di narrativa e poesia. 10 grande attenzione nella ricerca di fonti relative ad un preciso avvenimento storico. Nell'aprile 2005 è uscita per Guanda la raccolta Perché dollari? che prende il nome dall'eponimo racconto dedicato a Bordelli, in essa contenuto; nel luglio 2006 Vichi ha curato, sempre per Guanda, l'antologia Città in nero dove è presente un suo racconto, Morto due volte che ha per protagonista il commissario. Dell'ottobre 2006 è il romanzo, Il brigante, ambientato nel Granducato di Toscana d'inizio '800 e raccontato in prima persona da un viandante/cacciatore. In una notte di pioggia, l'uomo vaga nei boschi dell'Appennino pistoiese alla ricerca di un riparo, intravede una taverna dal nome non molto invitante: Il Tasso Morto. Entrato, si siede vicino ad altri tre tipi silenziosi. Come se l'atmosfera lugubre e il fragore dei tuoni non bastassero, a pochi passi dal loro tavolo dorme, disteso su una panca, il più famigerato brigante di tutti i tempi, Frate Capestro, chiamato così per la macabra abitudine d'incidere una croce sulla fronte dei malcapitati che lo incontrano. I quattro uomini si squadrano: uno sembra giovane, ma ha il volto segnato; un altro, grande e grosso, difetta di due dita di una mano; il terzo è un vecchio, ma ancora vigoroso e infine l'ultimo arrivato, il narratore. Tutti uniti nel pensiero dallo stesso peso, il Frate, un personaggio leggendario che spaventa ma, inevitabilmente, attrae. Di lui si raccontano tante storie e così lontane negli anni, da iniziare a credere all'immortalità di questo mito. Il libro assume le vesti di romanzo a cornice, infatti la storia principale diventa contenitore per i racconti dei quattro uomini. Il primo a parlare è Dita Mozze, figlio di una donna e di un uomo sposatisi nonostante fossero fratellastri; il nonno non aveva accettato l'unione ed aveva maledetto, in punto di morte, la loro prole. I fratelli di Dita Mozze erano già deceduti in circostanze violente, ad attendere la sorte nefasta resta solo lui. Segue il racconto del Vecchio, fabbro triste e solitario, che solo la bella Nina sapeva confortare. La mancanza di coraggio nel confessarle l'amore al momento giusto e la violenza 11 animalesca provocata dal rifiuto di lei, causarono all'uomo la perdita inevitabile di Nina. Dopo molti anni si era presentata al Vecchio l'occasione per riscattare il male compiuto verso la donna, prendendosi cura di una piccola orfana considerata una nipotina acquisita. É la volta dell'Ultimo Arrivato, un cacciatore figlio di una bravata adolescenziale, che per tutta la vita aveva cercato di vendicarsi del nobile che aveva stuprato sua madre, ancora bambina. Aveva iniziato a intrufolarsi nelle camere di conti e baroni, sperando sempre di rintracciare l'ignobile padre per ucciderlo. Giunto però faccia a faccia con lui non era riuscito a compiere il gesto, abbandonando ogni progetto di vendetta. Infine la storia del Giovane, ragazzo di umilissimi origini. Il suo rapporto con la nobiltà aveva alternato un primo momento di profondo odio ed invidia ad un seguente periodo di convivenza e riconoscenza, mentre si trovava a servizio presso un marchese. Solo l'incontro con uno dei rivoluzionari della montagna lo porterà ad abbandonare una vita da servitore per adottare quella del partigiano avverso ad ogni forma di tirannia. Nel 2009 una seconda pubblicazione de Il brigante, per la casa editrice TEA, presenta un finale diverso rispetto a quello originale del 2006, che comunque viene riportato di seguito al nuovo. Vichi inserisce una Nota d'autore in cui giustifica l'esistenza di due finali per lo stesso romanzo: A mia difesa ho un solo argomento: a volte le storie si sovrappongono quasi del tutto, un po' come certe sinopie che differiscono dall'affresco in alcuni particolari: una Madonna del tutto uguale, e un bambin Gesù con la testa voltata da un'altra parte. Non so se qualcuno crederà alle mie parole, ma quello che posso dire è che fin dalla prima stesura Il brigante aveva due finali, come una lucertola a due code.19 Il brigante deve esser letto tenendo conto di entrambi i finali perché, eliminarne uno, porterebbe ad una lacuna che intaccherebbe la completezza dell'opera. La prima versione prevedeva il tradimento dei quattro uomini nei 19 M. Vichi, Il brigante, Milano, TEA, 2009, p. 163. 12 confronti del frate. Una voce misteriosa, nel buio della notte, li istiga ad uccidere il brigante con lo scopo di riscuotere la taglia che grava su di lui. Nell'oscurità, nessuno riesce a capire chi stia parlando, ma il denaro alletta e tutti accettano di sorteggiare colui che compirà il delitto. Solo il Vecchio tenterà di persuadere a non sfidare la sorte. In realtà i tre uomini son vittima di un inganno che si intuisce ordito dal Frate stesso, proveranno la loro disonestà e saranno puniti. Il finale, macabro e violento, si pone in linea con la vena adottata in tutto il romanzo. Infatti i vari racconti, fra stupri e tradimenti, torture e violenze, sono prove dirette della cattiveria connaturata all'uomo. La versione pubblicata nella seconda edizione prevede il racconto del Frate di seguito alle quattro storie appena udite, mentre sembrava assopito. Una sorta di apologia del male, creato da Dio stesso e necessario all'artefice come la femmina al maschio. Una giustificazione al proprio bisogno di vendetta sul Mondo, in quanto tramutato in “mano del demonio” dalla terribile esperienza della morte dei genitori e le violenze subite in convento, dai frati, prima di diventare adulto. Questo finale risulta più lineare dal punto di vista strutturale, in quanto a quattro racconti si succede quello del personaggio che non è mai scomparso dalla scena, per quanto non vi abbia preso parte direttamente. Un cerchio, dunque, che parte da Frate Capestro come “fonte d'ispirazione” a raccontare e si chiude su di lui come oratore. In entrambe le versioni, al sorgere del giorno, Frate Capestro si allontana dalla taverna assieme al Vecchio. I due parlano come se si conoscessero da tempo e si salutano con affetto quando le loro strade si separano; quasi simboleggiassero il Bene e il Male, con quest'ultimo che procede per la via opposta rispetto a quella dell'uomo che ha peccato, ma si è redento. Il romanzo costringe a prendere atto dei propri lati oscuri, presentando l'atavico conflitto fra Bene e Male, nessuno dei quali avrebbero senso d'esistere in assenza dell'altro. Nello stesso mese de Il brigante è uscito, per Aliberti Editore, il libro 13 Firenze Nera20 in cui sono contenuti due racconti, uno di Vichi l'altro di Emiliano Gucci, emergente scrittore fiorentino legato a Vichi da sincera amicizia. A novembre 2006 un racconto di Vichi è stato pubblicato nell'antologia La vita addosso21, edito da Fernandel, nell'ambito di un progetto legato alla comunità Ceis di Lucca. Il Ceis è un gruppo di volontariato che dal 1976 cerca di opporsi alla crescita della povertà e marginalità sociale, offrendo servizi altrimenti sottovalutati. La logica che motiva l'operato di questa associazione ricorda le teorie del commissario Bordelli, il personaggio più celebre nella narrativa di Vichi. Anche lui infatti, nel ruolo di poliziotto, cerca di riparare ai torti commessi verso i più umili e spesso il suo intento di migliorare la società, si scontra o anticipa i tempi delle istituzioni. Nel giugno 2007 Vichi ha curato l'antologia Delitti in provincia22 e nel settembre dello stesso anno è uscito Nero di luna, entrambi per Guanda. Il protagonista di questo romanzo è Emilio Bettazzi, giovane scrittore fiorentino, che si ritrova ad abitare una grande casa nel Chianti che un amico, prima di morire, aveva preso in affitto. É convinto che la campagna stimoli l'ispirazione, per questo si dedica a lunghe passeggiate sperando di ottenere spunti per il suo romanzo. Fin dal principio, però, gli abitanti e l'atmosfera agreste si presentano diversi da come Emilio li aveva immaginati: le donne in bottega sono diffidenti e lo guardano con sospetto, i contadini pronunciano allarmanti frasi stoppate sempre a metà, nelle campagne la notte si compiono inspiegabili stragi di polli 20 Il racconto di Vichi s'intitola Cucina a domicilio. Una storia che rivela quel grigio sostrato che spesso si nasconde dietro l'apparentemente normale vita quotidiana. Una vendetta brutale ai danni di un uomo, agli occhi di tutti, innocente, ma nel profondo macchiato da gravi immoralità. 21 Il racconto s'intitola Io sono Paola, si tratta di un interrogatorio di un giudice ad un transessuale, ma l'atmosfera non è tesa né ostile. La vita dura e l'esperienze spiacevoli, passate da Paola, giustificano le sue colpe e l'uso di droghe. Il giudice è forse il primo a non esprimere giudizi di fronte a Paola e a non farla sentire colpevole, nonostante l'interrogatorio si svolga in carcere. 22 Una raccolta di nove racconti, scritti da nove autori specializzati nel noir. Storie di un'Italia non protagonista, quella della provincia meno conosciuta, dove spesso le moderne smanie di protagonismo e successo sono insistenti come nelle grandi città; il problema è che di queste, spesso, si assimilano solo i difetti. Vichi ambienta il suo racconto, Una vita normale, a Massa Carrara, un guazzabuglio di spacciatori e traffici illegali, droghe e crisi d'astinenza, furti e minacce di morte. 14 e conigli... Tutto sembra tingersi di mistero quando Emilio avverte delle urla provenire da una villa disabitata e viene a sapere che i Rondanini, proprietari della casa, erano stati colpiti da una terribile disgrazia tanti anni prima. Fra storie di fantasmi e lupi mannari, lo scrittore porta avanti le proprie ricerche accanto alla bella dottoressa Camilla, cercando di trovare il filo conduttore che spieghi razionalmente ogni stranezza. E se le grida della villa sono da imputarsi ai giochi sessuali che l'influente vicesindaco si diverte a portare avanti con una giovane ragazza demente, la tragedia dei Rondanini viene spiegata in tutta la sua macabra verità. Un romanzo avvincente, quasi una ghost story, ambientato nel Chianti, tanto caro e vicino all'autore, da dare alla proprietaria del negozio di alimentari della storia il nome vero della bottegaia dove Vichi si serve. Nonostante la forte impronta di mistero rischi in molti punti di fare sconfinare nel territorio dell'irreale, la trama resta ben radicata al vero; a riprova della diffidenza che Vichi ha nei confronti del fantastico. Le cene di Emilio e Camilla son così ben descritte nei sapori e nei profumi, da calare completamente il lettore nella parte, immaginandosi seduti davanti ad un gustoso piatto di pasta con un bicchiere di buon vino rosso in mano. Se i sensi sono piacevolmente appagati in Nero di luna, grande importanza hanno anche in Bloody Mary, romanzo scritto a quattro mani con Leonardo Gori uscito nel maggio 2008 per la collana Verdenero di Legambiente; infatti la recensione scelta da Vichi per il proprio sito, a cura di Alfonso d'Agostino 23, è articolata in cinque punti d'analisi ognuno corrispondente ad uno dei sensi. É un libro che si osserva, attraverso gli occhi della protagonista Aleya, ragazza nigeriana bellissima e, per questo, venduta e sfruttata come strumento di piacere prima in patria e poi in Italia. Si percepisce al tatto, tramite le mani di Marek, polacco, partito da casa alla ricerca di un futuro migliore; anche lui sfruttato nei campi pugliesi per la raccolta di pomodori. É un libro che si assapora, attraverso l'odore delle speranze infrante, della felicità bruciata, del 23 La recensione è stata scoperta da Vichi nel sito di Alfonso d'Agostino: www.alfonso76.com . 15 sangue versato e della sporcizia sopportata. Si sente grazie agli ordini gridati dagli sfruttatori in faccia a chi è stremato e i rimproveri urlati contro chi ha perso la forza di prender parola per ribellarsi. Infine questo libro si gusta, attraverso l'amarezza che provoca una storia così cruda da lasciare un nodo alla gola che stringe sempre più nel constatare quanto presente e irrimediabile sia questa realtà. Un romanzo che palesa i soprusi di una società incline solo al guadagno, pronta ad abbassarsi ad ogni compromesso pur di arricchirsi; nella quale i corrotti giocano la loro immorale partita usando, come pedine, i più deboli. La copertina stessa ed il titolo del libro sottendono un acuto studio. La prima consiste nell'immagine di un pomodoro schiacciato, rosso vivo come il sangue, dal quale scende la polpa che va a comporre una chiazza raffigurante l'Africa: connubio fra il simbolo della schiavitù di Marek e il povero continente d'origine di Aleya. Il titolo inoltre, ricorda il personaggio storico di Maria I Tudor, regina d'Inghilterra e d'Irlanda dal 19 luglio 1553 fino alla morte avvenuta il 17 novembre 1558. La monarca è infatti nota per l'appellativo Bloody Mary, in italiano Maria la Sanguinaria, a causa dell'ingente numero di oppositori religiosi fatti giustiziare durante il suo regno, improntato al ripristino del cattolicesimo in Inghilterra in seguito alla Riforma. Questo romanzo di denuncia non presenta tratti noir, così come non si può confinare in questo genere Per nessun motivo uscito nel novembre 2008 per Rizzoli. Il protagonista è Antonio, vicino ai sessant'anni, sposato, due figli maschi, dedito al bricolage. Una vita limpida, che non sembra più riservare sorprese; quando un giorno, direttamente dal passato, salta fuori una lettera. Il mittente era, infatti, una giovane donna con cui Antonio aveva vissuto una breve, ma intensa storia d'amore a Parigi e, il messaggio, la richiesta di un aiuto economico per la figlia nata dalla relazione. Antonio non sapeva d'esser padre perché sua moglie aveva insabbiato la notizia per salvare il loro matrimonio. Con diversi anni di ritardo, decide di recarsi a Parigi per cercare la donna della lettera, morta però qualche anno prima, e Coco, loro figlia. Ha inizio una vera e propria commedia degli equivoci fatta di parole mal 16 interpretate, scambi di persona, notizie taciute e verità nascoste. Antonio infatti conosce Coco, giovane e bella studentessa, ma non riuscirà a confessarle di essere suo padre e nemmeno a dirle il suo vero nome. D'altro canto Coco non risponderà mai chiaramente alle domande che Antonio le farà sui suoi genitori e, pian piano, s'invaghirà di quest'uomo tanto più vecchio che la circonda di attenzioni. Nel momento in cui il rapporto fra i due si fa pericoloso, Antonio si allontana, per non cedere al sentimento incestuoso e trovare la forza di dire la verità alla figlia. Quando tornerà sarà troppo tardi, perché lei se ne sarà andata. Nessuno dei due saprà che, alla base del loro rapporto travagliato, stava un terribile malinteso: Coco, infatti, non è legata ad Antonio da nessuna parentela, ma è la coinquilina della vera figlia di lui, terzo personaggio ingannato, irrimediabilmente, dalla sorte. Non si tratta di un noir, ma il romanzo rispetta tutte le regole del giallo, come la suspence dell'attesa e il crescendo di emozioni fino al colpo di scena finale. Il risultato è appassionante, ma l'intrigo lascia l'inguaribile sensazione di essere vittime delle beffe del destino che non sempre viene tenuto a bada da decisioni ponderate. Sempre nel novembre 2008 esce per Barbes la raccolta Buio d'amore, dal titolo del primo dei nove racconti in essa contenuto. Il libro assume le vesti di un diario intimo, attraverso nove storie che parlano d'amore da quello raggiunto a quello perduto, da quello desiderato a quello non corrisposto24. Nel settembre 2009 esce, per Guanda, Morte a Firenze, la quarta avventura del commissario Bordelli. Vincitore di ben tre premi importanti: Scerbanenco, Rieti e Camaiore; la grande attesa da parte del pubblico è stata ripagata e la riprova è il gran successo ottenuto grazie anche alla edizione come Audiolibro per Salani. Nel maggio 2010 esce, per Guanda, Un tipo tranquillo, storia di un pensionato fiorentino alle prese con la metodicità quotidiana. Già il nome del personaggio, Mario Rossi, lascia intuire lo stile di 24 Due dei nove racconti sono inediti, Tempesta e Valentina, gli altri erano comparsi su precedenti pubblicazioni periodiche, come indicato in bibliografia. 17 vita semplice, privo di grandi emozioni, di un uomo che, improvvisamente, si rende conto di detestare il bagaglio di abitudini che si porta appresso, ma dal quale non sa allontanarsi. La svolta si ha dopo il pensionamento e la morte della moglie, una donna buona e gentile, che però Mario reputa di non aver mai davvero amata. Ha inizio una lunga riflessione su se stesso nella quale ripercorre quelle tappe che nella vita dovrebbero essere importanti, ma che ora Mario non riesce a vedere se non ricoperte da una triste patina grigia. Il lavoro, il matrimonio, i figli, le vacanze, tutto sembra esser avvenuto seguendo le regole del buon senso, ma senza alcuna passione. La retrospettiva potrebbe esser valida, o forse Mario, appesantito dall'età, non riesce più ad apprezzare le gioie semplici di una vita tranquilla; in ogni caso ha inizio un viaggio, non solo interiore, che lo porterà a vivere emozioni davvero forti. L'epilogo della vicenda non sarà felice, Mario si perderà nel buio di un tunnel in cui si sarà calato da solo, secondo la logica imprevedibile di quei “misteriosi atti nostri”25 inspiegabili perfino all'agente diretto. Nel giugno 2010 esce una raccolta tutta speciale, per Mauro Pagliai Editore; si tratta di Pellegrinaggio in città, una serie di articoli di Vichi sui luoghi di culto di Firenze e dintorni. Nel gennaio del 2008 il direttore del «Corriere Fiorentino», Paolo Ermini, e il vicedirettore Eugenio Tassini chiesero a Vichi di occuparsi di una rubrica che raccontasse Firenze ai fiorentini. Lo scopo era infatti promuovere la conoscenza dei luoghi di culto della città, non per i turisti, ma per gli abitanti stessi che, sicuramente, non conoscevano la ricca realtà che lo scrittore stesso ha scoperto vivendo un aspetto della propria città fino ad allora ignorato. Immaginare Vichi percorrere le ampie navate delle grandi basiliche ed aggirarsi fra le panche delle chiesette di campagna, ricorda le lunghe passeggiate meditative di Bordelli nei cimiteri. Un lungo viaggio attraverso collaborazioni giornalistiche, articoli, racconti usciti su diverse riviste italiane ed esperienze artistiche di ogni genere fanno 25 Nota formula usata dallo scrittore Federigo Tozzi per indicare quelle pulsioni irrefrenabili e imperscrutabili che scaturiscono dal misterioso animo di ogni uomo. 18 oggi, di Vichi, un autore in ascesa . I suoi interessi sconfinano anche nel territorio del teatro e della musica. Nel novembre 2008 al teatro Puccini di Firenze è andata in scena la prima dell'opera da camera Hanno detto con testi di Vichi e musiche di Massimo Buffetti. Si tratta di uno spettacolo di teatromusica che avvolge cinque musicisti, una voce narrante e una cantante attorno al ricordo di un attore che racconta come è nato e morto. Ma nell'atmosfera commemorativa pian piano si inseriscono l'ironia e il divertimento, fino al raggiungimento dell'equilibrio. Nel gennaio 2009 è andata in scena la prima di La cena di Oberto nel Saloncino del teatro della Pergola. Questo lavoro teatrale è tratto dall'opera di Vichi Noi soli. Oberto e Maria, due monologhi che denunciano due differenti tipi di solitudine: quella di un figlio, schiacciato da una madre oppressiva, e quella di una donna, non realizzatasi né nel ruolo di figlia né in quello di madre, disillusa e infelice . L'adattamento teatrale è un omaggio a Franco di Francescantonio, grande amico di Vichi, che aveva partorito l'idea di un uomo, solo sul palco, di fronte ad una lunga tavola e alla sua disperata solitudine. La storia avrebbe dovuto tenere un piglio ironico per colpire nel vivo lo spettatore. Vichi, in brevissimo tempo, scrisse un testo che, dopo adeguate modifiche, ha dato vita all'opera teatrale. Per quello che concerne la musica a giugno 2009 è uscito, per Magazzini Salani, il cofanetto (CD+Libro) Nessuna Pietà, un progetto indirizzato a musicare le più grandi tragedie dell'umanità. I testi delle canzoni, scritti da Marco Vichi, convivono con le note di Nicola Pecci26 per ricordare il vergognoso sterminio dei pellirossa, la disumanità dei campi di sterminio nazisti e dei gulag russi, la bomba su Hiroshima e il dramma dei desaparecidos. Al progetto hanno collaborato personaggi noti come Piero Pelù, Ginevra Di Marco e Luca Scarlini, il quale ha curato anche il libro che raccoglie dieci testi corrispondenti, nell'argomento trattato, alle dieci canzoni. Parole e musica per 26 Attore e musicista diplomato presso la “Bottega teatrale” di Vittorio Gassman. Ha firmato un contratto discografico con la Major Cgd-East-West Warner Music ed ha vinto il primo concorso Alice Tim “Area 24”. Si è esibito sui palchi del Pistoia blues e del Play Arezzo ed è stato in tour con il gruppo Dirotta su Cuba. 19 comunicare rabbia e orrore; sentimenti che ognuno avverte difronte alle ingiustizie, passate e presenti, comunque radicate nel mondo che viviamo. L'introduzione al volume è di Carlo Lucarelli, uno dei più autorevoli giallisti italiani, ideatore e conduttore del programma “Blu Notte” inerente ai casi d'omicidio e misteri d'Italia mai risolti, autore di serie letterarie tradotte poi in film e sceneggiati televisivi27. Vichi, recensito ed intervistato su numerosi quotidiani e riviste letterarie, ha oggi alle proprie spalle un discreto “esercito” di romanzi e racconti. I titoli degli articoli a lui dedicati sono spesso farciti di elementi fondamentali per lo stile dello scrittore: Firenze, noir, delitto, “città in nero”, ma è soprattutto la figura del commissario Bordelli a destare curiosità. Protagonista di una serie di polizieschi ormai noti, non si limita alla risoluzione di casi difficili, ma porta alla luce un coinvolgente carico di umanità che rende la lettura avvincente. Quattro indagini poliziesche, quattro gialli da risolvere, ma soprattutto un integro commissario che non cede a compromessi immorali; il suo giovane braccio destro Piras, un sardo tutto d'un pezzo, acuto come una volpe; un esperto medico legale, il dottor Diotivede, che ama tanto la professione da maneggiare viscere umane con la stessa premura con cui una bambina raccoglie margherite. Ritratti quotidiani, curati nella descrizione intima e psicologica, attraverso un linguaggio familiare, privo di fronzoli, perché scrivere è rispondere ad un impulso che l'autore avverte come vitale. Per quanto la creazione fantastica sia prodotto dell'inventiva dello scrittore, la materia trattata è sempre legata a doppio filo alla realtà, e Vichi non vuole comunicare qualcosa di vero mascherandolo dietro orpelli di corredo. Storie avvincenti costellate di presenze umane cui risulti difficile non affezionarsi... Questi gli elementi che rendono fortunata la serie. 27 Ad esempio la serie de L'ispettore Coliandro e Il commissario De Luca. 20 II. LA SERIE DEL COMMISSARIO BORDELLI Quando Vichi ha creato Franco Bordelli non aveva in mente niente di strutturato, il personaggio è cresciuto nelle sue mani, si è evoluto riga per riga, assumendo sembianze sempre più concrete. Sembra che l'autore lo abbia incontrato, più che creato, offrendogli parola e occasione di raccontarsi. Scrivere è una scoperta continua, anche per l'autore stesso; l'emozione somiglia a quella che prova l'archeologo quando scava intorno ad un oggetto che emerge dal terreno, può sembrare un vaso... invece è una statua: Anche per chi scrive è così: lo scrittore sa che la storia c'è, ne afferra l'inizio, e magari crede di sapere come continuerà e come finirà, ma non sa dire precisamente cosa verrà fuori, anzi spesso vede emergere una storia che lo stupisce, che non sa da dove viene.28 L'idea di ambientare un poliziesco a Firenze è balenata mentre Vichi si trovava a casa di un amico e l'impulso a scrivere ha portato alla stesura dei primi elementi della serie dedicata al commissario Bordelli: nell'arco di poco più di tre mesi, nel lontano 1995, sono nati i tre romanzi Il commissario Bordelli, Una brutta faccenda, Il nuovo venuto e il racconto Perché dollari?. Il secondo romanzo si presenta oggi come il risultato della fusione fra due iniziali versioni, operata da Vichi avvalendosi dell'aiuto di un esperto giallista, Lucarelli. Per alcuni anni, Vichi conserva questi lavori come diamanti grezzi, perseverando in una lenta ma continua operazione di 28 M. Vichi, Gli scrittori son tombaroli, prefazione alla raccolta miscellanea di racconti Crimini etruschi, Pitigliano (Grosseto), Editrice Laurum, 2006, p. 7. 21 limatura fino alla pubblicazione de Il commissario Bordelli (Guanda, 2002). Successivamente, nel 2003 e 2004, escono per la stessa casa editrice, Una brutta faccenda e Il nuovo venuto. Perché dollari? viene pubblicato, nella omonima raccolta (Guanda, 2005); mentre Morto due volte, un secondo racconto frattanto ideato e composto, viene pubblicato nell'antologia Città in nero (Guanda, 2006). Tre anni dopo esce il quarto e conclusivo romanzo della serie, Morte a Firenze (Guanda 2009), in seguito ad un assiduo lavoro per il recupero di fonti e testimonianze relative al momento dell'alluvione del 1966. Non esiste un motivo specifico per cui le vicende si ambientino negli anni '60 se non l'aver immaginato il commissario aggirarsi per le vie di Firenze, certamente meno trafficate, a bordo del suo caro Maggiolino. Bordelli ha vissuto la guerra e ha combattuto contro i tedeschi, non come partigiano, ma nelle fila dell'esercito regolare. Attraverso i ricordi che tormentano il commissario, soprattutto la sera prima di addormentarsi, Vichi tramanda l'esperienza militare del padre. Ogni incubo, ogni memoria, ogni momento bellico richiamato nei romanzi è stato vissuto sulla propria pelle da Franco, padre di Vichi. Gli aneddoti inseriti nelle pagine, come pensieri di un nostalgico guastatore del San Marco, sono attinti alla memoria dei racconti paterni che Vichi ascoltava, ammirato, quando era piccolo. Nelle note conclusive del romanzo Una brutta faccenda, lo scrittore ringrazia il padre ricordando: Quando ero bambino, dopo cena, ci raccontava storie di guerra, alcune divertenti, altre terribili, ma aveva sempre uno scintillio negli occhi che mi faceva pensare a quanto dovesse essere stato bello fare la guerra. Ne ero così convinto che da bambino, quando qualcuno mi faceva la classica domanda “Cosa vuoi fare da grande?”, io rispondevo convinto “La guerra”.29 Lo strano scintillio che animava gli occhi dell'uomo mentre raccontava non era dovuto alla bellezza della guerra, come il figlio aveva frainteso, ma 29 M. Vichi, Una brutta faccenda, Parma, Guanda, 2003, p. 245. 22 alla gioia d'esser vivo per tramandare la propria esperienza. Gli avvenimenti vissuti in prima persona o ricordati da altri, costituiscono un ricco repertorio cui Vichi attinge spesso, anche nei romanzi “non bordelliani”30. Lo stimolo a scrivere deriva dalla volontà di non dimenticare e non lasciare svanire storie potenzialmente costruttive o interessanti, permettendo alla propria memoria di sopravvivere alla materialità della vita. Le scelte stilistiche di Vichi s'improntano a tematiche realistiche, per questo Bordelli è un personaggio studiato a 360°; il suo animo, la sua psicologia e le sue relazioni, descritti accuratamente, sono i veri protagonisti sulla scena. In linea con la tradizione del poliziesco, Vichi si avvale della figura del commissario, il quale viene analizzato ben oltre i limitati confini professionali e presentato in tutta la sua umanità. Al giallo classico, in cui prevale la dimensione deduttiva ricca di particolari riguardo gli alibi dei personaggi e i moventi dei colpevoli, Vichi preferisce coloriture noir, sottogenere in cui si analizza anche l'altra faccia del reato, attraverso il punto di vista del criminale, e si concentra l'attenzione sull'atmosfera entro cui si muovono quei personaggi di cui viene analizzata a fondo la psicologia. Il suo si potrebbe definire un poliziesco di “costume” dal momento che vengono rappresentati i comportamenti degli individui che muovono la storia e non le fini strategie che, solitamente, rendono intricata la trama. All'elaborazione di un intreccio macchinoso, carico di suspence, Vichi preferisce il ritratto di quei personaggi che rischierebbero di assolvere unicamente la funzione di corredo. Il Botta, abile scassinatore con la passione per la cucina; Totò, cuoco pugliese che ha sempre un aneddoto adatto all'occasione; Rosa, ex prostituta conosciuta da Bordelli durante una retata... Figure che non impedirebbero, con la loro assenza, il normale svolgimento dell'inchiesta, ma che attraverso la loro presenza rendono la storia molto più 30 In Per nessun motivo (Milano, Rizzoli, 2008), Vichi cita una nobildonna, sua nonna, che alla notizia della morte di un suo ex cameriere è tanto insensibile da pronunciar la frase “Capitano tutte a me”. 23 interessante e variegata, ricca di episodi non strettamente legati alla professione di Bordelli, ma relativi alla quotidianità della vita. I personaggi di Vichi sono dinamici, subiscono cambiamenti nel corso del medesimo romanzo e ancor di più lungo tutta la serie, vengono analizzati “a tutto tondo” presentandone un dettagliato profilo psicologico. Anche la caratterizzazione linguistica è ben studiata e il risultato è un armonico gioco di voci che si alternano. Bordelli parla in modo molto schietto e diretto, spesso a contatto con superiori arroganti o colleghi corrotti si concede qualche colorita volgarità; ciò non accade quasi mai, invece, all'elegante Diotivede un vero signore sotto ogni aspetto. Piras usa spesso l'espressione “minca”, intercalare inconfondibile, che lo riconduce alla terra natia; Rosa coi suoi vezzeggiativi e le sue paroline mielose ha un modo tutto suo per rapportarsi ad un mondo che, specie nei confronti di una come lei, ha davvero poco di dolce. La materia plasmata da Vichi è sempre la solita, composta da personaggi conosciuti che in ogni avventura tornano, si alternano, s'incrociano dando all'opera forme sempre diverse. L'indagine è come una cornice che inquadra il medesimo dipinto rendendolo, di volta in volta, più luminoso, più cupo, più ricco; ciò non esclude, ovviamente, un'attenzione particolare verso quegli aspetti che meno competono il mestiere dello scrittore. Vichi vuole che le indagini del suo commissario rispecchino in maniera verosimile le reali inchieste di polizia e si avvale dell'aiuto della cugina Francesca per le consulenze mediche, necessarie soprattutto per la credibilità scientifica delle analisi del medico legale Diotivede. Alla domanda di Mariano Sabatini, inerente le ricerche effettuate a vantaggio della credibilità del romanzo Il nuovo venuto, Vichi risponde: Anche per questo romanzo, prima ho scritto, poi sono andato a verificare date, strade e altre cose per non fare troppi errori legati agli anni sessanta in cui è ambientato.31 31 In M. Sabatini, Trucchi d'autore, cit., p. 49. 24 II.1 Il commissario Bordelli Il primo romanzo della serie dedicata al commissario Bordelli, è stato pubblicato nel 2002 per Guanda ed è stato scritto mentre Vichi si trovava nella casa dell'amico Franco di Francescantonio, che gliela aveva prestata per tre mesi. Il protagonismo del titolo, Il commissario Bordelli, rispecchia il carattere illustrativo di questo primo romanzo, una sorta di presentazione del personaggio e della realtà a lui circostante. La storia si svolge a Firenze, ambientazione costante per l'intera serie, nella calda estate del 1963. Bordelli è un commissario di cinquantatré anni, alle prese con i primi problemi di sovrappeso; non si è mai sposato e vive da solo in un appartamento nel quartiere di San Frediano. La sua natura, profondamente meditativa, lo porta spesso ad immaginare l'incontro con la donna giusta: Non aveva nessuna idea precisa, ma era sicuro che se l'avesse avuta davanti avrebbe capito subito che era lei. Sarebbe stata una grande vittoria. Poi pensò che ormai era tardi. Se la trovava adesso, a cinquantatré anni, sarebbe stata una sconfitta. Forse aveva sbagliato tutto. Aveva sempre aspettato qualcosa di speciale, come una bambina che crede al principe azzurro, consumandosi stupidamente in quell'illusione.32 A volte la solitudine si fa troppo pesante e Bordelli si abbandona a storie brevi, con ragazze squallide che inevitabilmente gli lasciano addosso tanta voglia di stare solo. L'unica davvero in grado di trasmettere un po' di pace al commissario è Rosa, una donna di mezza età che ha esercitato il mestiere fino all'entrata in vigore della legge Merlin, che sanciva l'abolizione delle case di tolleranza; con i propri risparmi ha acquistato un appartamento in Via de Neri dove spesso il poliziotto la va a trovare. Nonostante sia stata una prostituta, 32 M. Vichi, Il commissario Bordelli, Parma, Guanda, 2002, p. 80. 25 Rosa mantiene una purezza ed un candore speciali; il suo ottimismo non è scioccamente motivato, ma pienamente cosciente dei mali della vita, per questo Bordelli ama stare con lei nei momenti più cupi. L'aiuto della donna, per quanto inconsapevole, risulta spesso determinante nella risoluzione del caso, proprio come accade nel primo romanzo. In Il commissario Bordelli l'indagine riguarda il decesso di una ricca e anziana signora malata d'asma. Rebecca Pedretti Strassen vive in una delle zone collinari più prestigiose di Firenze; la villa nobiliare deve risalire al Seicento ed è adornata da un cancello monumentale e da un parco vastissimo. La donna viene trovata morta nella propria camera e la causa del decesso sembra imputarsi ad una crisi respiratoria, ma un dettaglio insospettisce: la boccetta del farmaco contro la malattia, è stata trovata ben avvitata sul comodino; come se la poveretta non avesse neppure tentato di salvarsi. A fomentare i sospetti, le aperte accuse d'omicidio dirette dalla dama di compagnia ai Morozzi, i due meschini nipoti della vittima. In questa prima inchiesta è chiaro fin dall'inizio il nome dei colpevoli e il giallo si riduce, quasi unicamente, alla demolizione del loro alibi e alla ricerca del trucco usato dagli assassini per uccidere la donna. Bordelli riesce a scoprire che i Morozzi avevano sostituito, al farmaco della zia, una identica boccetta piena d'acqua e cosparso la schiena del gatto della donna con il polline di una pianta particolarmente allergizzante; dopodiché si erano recati alla casa al mare, lontano da Firenze. Conoscendo le abitudini della bestiola, che ogni sera alle nove in punto si faceva trovare in camera dalla padrona per le consuete coccole, ed intuendo così l'ora del decesso, i Morozzi non avrebbero avuto altro da fare se non trovare chi testimoniasse la loro presenza al mare nell'arco della serata. Poi, durante la notte, uno dei due sarebbe tornato a Firenze per sostituire la boccetta d'acqua con il vero medicinale, cancellando ogni prova del delitto. L'errore, che smaschererà il colpevole, sarà di aver lasciato troppo ordine; infatti la medicina, tappata stretta, desterà i sospetti di Bordelli e Piras. 26 Essere affiancato nell'investigazione dal giovane sardo Pietrino Piras, figlio di un vecchio compagno del San Marco, aiuta Bordelli a far convivere presente e passato in un continuo intreccio di attualità e memoria. É proprio questo complesso rapporto fra presente e passato, uno dei tratti caratterizzanti la tormentata personalità del commissario. A volte un nome, altre un luogo, in certi casi un odore sono sufficienti a scatenare, nella mente del nostalgico poliziotto, un uragano di ricordi che spaziano dalle scene più cruenti di guerra ai più teneri momenti dell'infanzia. L'esperienza militare, della Resistenza, è sicuramente il momento che più ha segnato la vita di Bordelli «[...] quegli anni non riusciva a dimenticarli, erano sempre lì, presenti e concreti come le sue mani .»33. Sia si tratti di incubi, sia si parli di ricordi razionalmente richiamati, tutto quel che inerisce la guerra affiora, nitido, alla mente del commissario. Se la memoria dei compagni di battaglia infiamma il presente di Bordelli, le reminiscenze dei momenti trascorsi con la propria famiglia acuiscono un profondo senso di nostalgia. Nel primo romanzo l'odore del mare, riporta ai lontani giorni passati in villeggiatura con le zie in una casa d'altri tempi: tavoli di travertino, pergolati di passiflora, biscotti stantii, ma soprattutto le quattro donne sulla spiaggia vestite ed acconciate come partecipassero ad un ricevimento. Quegli anni appaiono tanto diversi dai tempi odierni da definirli «lontani fra loro come un calesse da una Lancia Flaminia.»34. La trama del primo romanzo, più che colorirsi di mistero, risulta funzionale alla presentazione del commissario, della sua vita e dei compagni di viaggio che lo accompagneranno nelle avventure successive. La voce narrante non è onnisciente, ma una terza persona con punto di vista limitato. In questo caso Vichi non descrive gli eventi in prima persona, ma mostra al lettore la vicenda attraverso gli occhi del solo protagonista, usando quindi una focalizzazione interna. Il lettore osserva la Firenze dove il commissario vive e lavora, una società malsana entro cui Bordelli cerca di combattere l'ingiustizia, 33 Ivi, p. 99. 34 Ivi, p. 123. 27 per quanto si senta una goccia in mezzo all'oceano. Ha preso parte alla guerra ed ha ucciso, con l'obbiettivo di liberare l'Italia dall'oppressione nazista e garantirle nuovi sani principi; il problema è che questo progetto non si è realizzato. Un'Italia migliore non è stata raggiunta e spesso Bordelli si chiede per cosa abbia combattuto, se non per chi ancora sta male e continua ad essere sfruttato, il potere è in mano a pochi e il denaro fa da padrone. L'Italia si culla in quell'ameno sogno di ricchezza dovuto alle vantaggiose contingenze del periodo definito “miracolo economico”, che si estende dagli anni cinquanta ai settanta del XX secolo. L'Italia non poteva uscire dalla Seconda Guerra Mondiale con la stessa fierezza degli Alleati vincitori; fino all'otto settembre del 1943, data dell'armistizio proclamato dal Maresciallo Badoglio, era infatti un paese nemico. Occupata dalle truppe straniere ed arretrata rispetto ai paesi europei più sviluppati, sembrava versare in una difficile situazione da cui si sarebbe ripresa solo grazie agli ingenti aiuti provenienti dal Piano Marshall ed indirizzati all'Italia in merito alla sua posizione geografica favorevole agli scambi. Più che l'intraprendenza e l'abilità degli imprenditori, fu l'incremento del commercio internazionale e la fine del protezionismo italiano a sostenere la crescita. L'aumento della produzione e lo sviluppo dei settori siderurgici e meccanici non avrebbe avuto luogo senza il basso costo della manodopera, gli alti livelli di disoccupazione negli anni cinquanta determinarono un aumento ingente della domanda di lavoro rispetto all'offerta, che comunque riguardava il settore terziario e dell'industria a scapito dell'agricoltura. Ne risultò un'imponente moto migratorio dalle campagne alle città, col relativo ingrossamento delle fila di disoccupati ai margini della società. Inoltre il modello di vita urbano, attraeva inevitabilmente i giovani che abbandonarono in blocco il Mezzogiorno. Il progresso tecnologico e l'aumento della produttività ebbero esiti dirompenti e imprevisti che, mancando un razionale incanalamento della crescita, portarono un grave divario sociale. Ad esser privilegiati furono quei beni di lusso spesso 28 dedicati all'uso privato ed individuale, senza un'adeguata corrispondenza nella crescita dei settori pubblici, scuole, ospedali, trasporti e consumi di prima necessità. Questa situazione generale può essere circoscritta alla realtà fiorentina, dove Bordelli non può fare a meno di constatare pericolosi squilibri sociali. «La legge è uguale per tutti» è la frase che il questore Inzipone continua a ripetere al testardo commissario, senza però tenere conto che non tutti sono uguali. Secondo Bordelli, le norme non possono esser applicate freddamente nei confronti di chi delinque per fame e si trova, senza possibilità di scelta, di fronte ad un sistema che lo estromette dalla società “per bene”. Si giustifica così l'antipatia del commissario verso le retate e comunque, quando è costretto a farle, chiude un occhio lasciando sfuggire i disgraziati che gli capitano fra le mani. Gli amici di Bordelli sono prostitute come Rosa e scassinatori come il Botta, un ladruncolo che ha imparato la cucina di mezzo mondo spostandosi da un carcere all'altro ed ha insegnato al commissario ad aprire le serrature più difficili. Contrabbandieri e falsari, un esercito di gente umile che si arrangia per vivere; non sono loro i veri “cattivi” della società, ma coloro che non provano rimorso neppure di fronte a torti compiuti ai danni di familiari, poveracci, innocenti o bambini. In questa società, che spesso pecca di egoismo ed individualismo, Bordelli cerca compagnia nel contatto umano coltivando rapporti stravaganti: la particolare amicizia che lo lega a Rosa, le cene tra pochi intimi organizzate con l'aiuto dell'ottimo cuoco Botta, gli ordinari pasti consumati nella cucina della trattoria Da Cesare, viziato dalle leccornie preparate da Totò... Spesso Bordelli, sospinto dalla propria natura meditativa, si perde: [...] nell'ipotetica e impossibile famiglia che a volte s'immaginava di formare in vecchiaia: una cascina in mezzo ai vigneti, sei o sette amici fidati, passeggiate, cene che non finivano mai e una valanga di ricordi, storie passate da ascoltare e raccontare d'inverno davanti 29 al camino, oppure d'estate sotto il pergolato coi grilli che ti bucano le orecchie, E ogni tanto, perché no, una partita a bocce dietro l'orto. Diotivede quasi centenario avrebbe curato gli animali feriti, il Botta e Totò fissi in cucina, lo psicoanalista Fabiani per i momenti di depressione, e Rosa per colorare la clausura con la sua ingenuità immacolata. Ci avrebbe visto bene anche quel visionario di Dante, che avrebbe incantato tutti coi suoi congegni […].35 Uno degli amici più vicini a Bordelli è il dottor Diotivede, che incarna l'antico rapporto che lega la medicina alla legge; il suo paradossale cognome sembra dare un avvertimento ai criminali: quando la giustizia non basta ad incastrarli, c'è sempre una legge superiore cui rendere atto. La professione di Diotivede diventa facile bersaglio per le frecciatine del poliziotto, anche se il medico non si scompone. Non avverte la particolarità del proprio lavoro e non comprende come si possa definire “macabro” ciò che fa con grande passione. Il rapporto col commissario è di sincera stima reciproca anche se, non riconoscerlo e stuzzicarsi a vicenda, è una delle cose che più diverte entrambi. Diotivede non è più un ragazzino e, per quanto non sembri, ha passato già i settanta anni; forse proprio lavorare a stretto contatto con i morti gli ha insegnato ad apprezzare la vita tanto che, in Morte a Firenze, s'innamora di Marianna, molto più giovane. Bordelli si chiede spesso se una tale fortuna capiterà mai anche a lui, alternando frequenti momenti di sconforto a più rari attimi di ottimismo. Il pensiero si presenta alla mente del commissario già nel primo romanzo, quando il cugino Rodrigo, innamorandosi, perde la razionalità che lo ha sempre caratterizzato e vede pian piano crollare quel castello di carte che sosteneva una vita perfetta da lupo solitario.36 Anche il giovane sardo, Piras, incontra Sofia durante una delle indagini svolte a fianco del commissario, esattamente in Una brutta faccenda. 35 Ivi, p. 95. 36 Rodrigo ha solo pochi anni meno del cugino Franco, ma i due sono molti diversi e non si piacciono. Entrambi single, per motivi differenti, si cercano periodicamente per confrontarsi e confermare a se stessi le proprie scelte di vita. Rodrigo, quando s'innamora, cambia totalmente abbandonando la maschera di professore meticoloso e pignolo per mostrare al cugino l'uomo che c'è in lui. 30 II.2 Una brutta faccenda Questo secondo romanzo si ambienta a Firenze nell'aprile del 1964, la primavera si lascia attendere, mentre la pioggia continua a cadere. La storia si apre con la notizia concitata dell'avvistamento di un cadavere in un oliveto da parte di Casimiro, un nano amico di Bordelli. Il campo si trova nei pressi di una villa settecentesca sulle colline di Fiesole; tornati sul posto, non solo è sparita ogni traccia del morto, ma i due rischiano addirittura di esser attaccati da un dobermann inferocito che il commissario uccide con un colpo di pistola. Lo spavento è tanto da giustificare la ritirata, ma la curiosità di Bordelli è più forte e lo costringe a tornare nell'oliveto dove anche il corpo del cane sembra svanito. Ad un tratto, un rumore proveniente dalla villa richiama l'attenzione del commissario sulla ringhiera che si affaccia a strapiombo sull'oliveto; Bordelli favorito dalla posizione nascosta, riesce a scorgere nel chiarore lunare il profilo di un uomo con una grande macchia scura sul collo. Quell'uomo e soprattutto quel particolare inconfondibile rammentano qualcosa al commissario anche se non riesce a ricordare cosa. Decide di suonare alla villa per ottenere qualche informazione sul padrone di casa, ma la governante afferma di esser sola, poiché il barone è sempre in viaggio. Le stranezze cominciano ad esser troppe e Bordelli decide di far partire una piccola indagine personale potendo avvalersi anche dell'aiuto “dell'audace” Casimiro. Pochi giorni dopo, giunge in questura la terribile notizia di un omicidio ai danni di una bambina di sette anni. La piccola è stata strangolata e riporta le tracce di un morso sull'addome, il delitto sembra proprio esser opera di un maniaco e Bordelli teme nuove vittime. L'orribile presagio si realizza, infatti ben quattro bambine saranno uccise, con le stesse modalità, prima che Bordelli scopra l'assassino. Mentre concentrazione ed energie si orientano alla ricerca 31 del killer seriale, un brutto pensiero aleggia nella mente del commissario: che fine ha fatto Casimiro? L'ultima volta il nano aveva raccontato di voler appostarsi presso la villa per spiare il barone; nonostante Bordelli avesse cercato di persuaderlo a non immischiarsi in faccende più grandi di lui, Casimiro non gli aveva dato ascolto. Il cadavere del nano viene rinvenuto dal commissario stesso e dall'autopsia di Diotivede, emerge che la morte è stata indotta per avvelenamento. I sospetti cadono subito sul barone, avvalorati dal ritrovamento nei pressi della villa del portafortuna da cui Casimiro non si separava mai, uno scheletrino di plastica. In questo romanzo Bordelli affronta due difficili casi che procedono di pari passo: da un lato la catena di bambine vittime del maniaco, le testimonianze, i sospetti, il graduale avvicinamento al colpevole; dall'altro il ritrovamento del corpo di Casimiro, l'accertamento delle cause della morte, la ricerca di informazioni sull'identità dell'uomo dalla macchia scura sul collo. Bordelli è aiutato in questo ultimo punto dalla Colomba Bianca, un'organizzazione segreta cui aveva collaborato di persona, che si occupa di portare a termine le sentenze di Norimberga contro quei nazisti scampati alla condanna. Individuato il barone, Karl Strüffen eminenza del Terzo Reich, Bordelli ha finalmente il nome dell'assassino dell'amico Casimiro. Il commissario vorrebbe assicurare il colpevole alla giustizia, ma la Colomba Bianca porta avanti un progetto molto più radicale che non le permette di risparmiare la vita ad ex nazisti. Inaspettatamente anche l'altra inchiesta, quella relativa agli omicidi seriali delle bambine, è legata all'organizzazione segreta. Il killer è Davide Rivalta, che Bordelli scoprirà chiamarsi in realtà Rovigo, ex membro della Colomba Bianca. Rovigo era un ebreo, deportato ad Auschwitz e qui maltrattato e umiliato fino a privarlo di ogni dignità; nel campo di sterminio gli avevano strappato un dito della mano, ma soprattutto gli avevano portato via l'affetto più caro: la figlia Rebecca. Qualcuno aveva addirittura raccontato a Rovigo che i tedeschi, prima di spedire la bambina alla camera a 32 gas, le avessero aizzato contro un cane lupo; giustificazione dei morsi sull'addome delle vittime. Tornato a casa, Rovigo non aveva potuto cancellare l'odio verso i nazisti né saziare la sete di vendetta, tanto forte, da spingerlo ad uccidere quattro bambine, la cui unica colpa, era esser figlie di tedeschi. La serie del commissario Bordelli subisce un'evoluzione sotto molti punti di vista; riguardo alla complessità dell'indagine, certe differenze si possono già riscontrare fra il primo e il secondo romanzo. I fratelli Morozzi, i “cattivi” de Il commissario Bordelli, erano personaggi deboli, privi di personalità, spaventati solo dall'idea di venire scoperti; il loro omicidio non aveva altro movente se non il desiderio di impossessarsi delle ricchezze della zia. Ad un'uccisione per motivi ereditari, seguono i due articolati casi presenti in Una brutta faccenda. É il 1964, la terribile esperienza della guerra e le scelleratezze dell'olocausto sono ancora questioni fresche e vive nella mente di chi, in un modo o nell'altro, vi prese parte. In questo romanzo due personaggi, profondamente distanti, assumono le stesse vesti di assassino. Da un lato Karl Strüffen, uno spietato criminale nazista, macchiatosi del sangue di vittime innocenti, soprattutto ebrei, Dopo la caduta del Terzo Reich era stato condannato ad una vita da fuggiasco, a causa della sentenza deliberata a suo danno durante il processo di Norimberga. Aver ucciso Casimiro, che certamente non rappresentava una reale minaccia, è la prova di come Strüffen vivesse in uno stato d'allerta perenne, non potendosi permettere di lasciare nulla al caso. Dall'altro lato Rovigo, deportato ebreo oppresso dalle persecuzioni naziste e, indirettamente, dallo stesso Strüffen. La detenzione nel campo di concentramento l'ha reso folle, la perdita della figlia Rebecca ha annientato ogni residuo d'umanità nel padre che, da vittima, si è tramutato in carnefice. Il programma perseguito dall'organizzazione della Colomba Bianca ai danni dei diretti responsabili dei crimini di guerra, non appaga il disperato bisogno di vendetta di Rovigo che arriva ad accanirsi sulle figlie innocenti di uomini tedeschi. 33 Bordelli è riuscito anche stavolta a smascherare i colpevoli: un tedesco, incantato dai malati ideali di un movimento politico spietato e crudele ed un ebreo, reso pazzo dal trauma subito a causa della deportazione. In entrambi i casi si tratta davvero di una “brutta faccenda” e Bordelli, nella conclusione del romanzo, non può fare a meno di provare una forte amarezza: In un modo o nell'altro quei casi di omicidio erano stati risolti. Un altro nazista era stato giustiziato, il mostro delle bambine era ormai sottoterra, sepolto insieme alla sua follia. Era tutto finito, tutto finito... almeno fino a quando l'equilibrio mentale di altri uomini non si fosse improvvisamente spezzato. Mentre schiacciava la cicca nel posacenere un moscone mezzo moribondo gli si posò sul polso. Era grasso e nero, con le zampe pelose. Il commissario tenne ferma la mano per non farlo volare via, per non sentirsi solo.37 La precarietà dell'animo rende spesso l'uomo vittima di quella degenerazione morale che lo spinge a commettere le peggiori nefandezze. Il commissario sa che contro questo male non esiste una cura efficace e si sente solo di fronte a quel grande mistero che è la psiche umana. Conosce bene i limiti del proprio lavoro e sa di non poter eliminare ogni iniquità. Il profondo e personalissimo senso di giustizia spingono Bordelli a lavorare come poliziotto con lo scopo di ripulire il suo piccolo mondo dai veri pericoli, affrontando minacce concrete e non accanendosi contro quei delinquenti occasionali che le istituzioni additano come responsabili di ogni male. A sostenerlo, nell'operazione di garanzia di giustizia, il suo braccio destro Piras. Serietà, intuito, solerzia sono caratteristiche che il giovane sardo palesa fin dal principio, non limitandosi mai al semplice ruolo di spalla, ma contribuendo attivamente alla risoluzione del caso. 37 M. Vichi, Una brutta faccenda, cit., p. 243. 34 II.3 Il nuovo venuto Il personaggio di Piras, attraverso i primi due romanzi, si consolida nei suoi tratti caratterizzanti e si delinea come comprimario di Bordelli. Ne Il nuovo venuto, conduce una personale indagine mentre si trova a casa, in Sardegna, per riprendersi da una ferita alle gambe riportata in uno scontro a fuoco. Due percorsi investigativi si affiancano viaggiando in parallelo, anche se a distanza; un ponte telefonico collega Bordelli a Piras, Firenze a Bonarcado, consentendo ai due di aggiornarsi sugli sviluppi del rispettivo caso. Il commissario indaga sulla morte di un usuraio, calandosi nelle dinamiche dei suoi loschi traffici; Piras si trova invischiato in un apparente suicidio collegato a vecchie storie risalenti agli anni della guerra, usuale dominio di Bordelli. Un altro anno è passato, le vicende si svolgono nel freddo dicembre del 1965 quando il Natale e l'anno nuovo sono alle porte. Piras non crede che Benigno, suo conoscente, si sia tolto la vita e sospetta un omicidio in piena regola di cui, grazie all'aiuto e ai consigli dell'amico fiorentino, smaschera il colpevole. Badalamenti è un usuraio venuto a Firenze dal Sud Italia, il decesso è stato provocato da un violento colpo inferto alla base del collo con un paio di forbici. Le analisi di Diotivede rivelano che l'assassino è sicuramente mancino, punto di partenza per le indagini. Nonostante Bordelli si trovi davanti ad un caso di omicidio, non riesce a provare verso il colpevole l'antipatia che solitamente sente verso chi uccide. In questo caso l'odio per i soprusi commessi dall'usuraio Badalamenti è molto più forte, come se la vittima avesse sfidato la sorte con le sue estorsioni e ricatti, meritandosi una vendetta violenta. Bordelli, in casa dello strozzino, scopre un pacchetto intero di cambiali, fedi nuziali e gioielli sicuramente impegnati da povera gente che non sarebbe mai riuscita a pagare gli interessi esosi pretesi dall'aguzzino. 35 Intanto Piras trova il corpo senza vita di un amico di famiglia, Benigno. L'uomo sembra essersi suicidato con un colpo di pistola nella propria abitazione, ma l'acuto spirito di osservazione del giovane poliziotto e la predisposizione a non fidarsi delle apparenze, lo inducono a constatare l'assenza di un dettaglio fondamentale sulla scena del delitto: il proiettile. Essendosi Benigno suicidato, non è possibile che nella stanza non si trovi il bossolo; qualcuno deve averlo portato via inavvertitamente. I sospetti si rivelano corretti; dopo aver scoperto che Benigno era in contatto con un avvocato che mediasse la trattativa di vendita di un suo terreno con un compratore, Piras decide di seguire questa pista. Viene a sapere che al momento dell'incontro con Pintus, il costruttore interessato a comprare, Benigno si era comportato in modo davvero strano; sembrava stupito e, all'improvviso, se n'era andato ritirando l'offerta di vendita. Piras riesce a scoprire perché Benigno fosse così turbato di fronte al compratore, quel volto lo conosceva e non ricordava nulla di positivo. Anni prima, quando negli ultimi mesi di guerra tentava di tornare in Sardegna dopo aver disertato, era stato catturato assieme ad una famiglia di ebrei da un gruppo di fascisti il capo dei quali era proprio Pintus. Dopo aver razziato i beni della famiglia ed aver tormentato i prigionieri, i fascisti avevano aperto il fuoco uccidendoli tutti, tranne Benigno che se l'era cavata con una ferita alla spalla e un ricordo terribile che lo aveva accompagnato tutta al vita. Benigno, dopo tanti anni, di fronte al volto di Pintus non aveva potuto nascondere una reazione di profondo sconforto; il fascista, accortosi di ciò, aveva deciso di uccidere il pericoloso testimone. Il procedimento teorico che spiega il delitto è chiaro, ma mancano le prove. Quando finalmente Piras incontra Pintus, con un incredibile colpo di scena, intravede incastrato sotto uno dei suoi scarponi il bossolo scomparso dalla casa di Benigno, riuscendo così ad incastrare l'assassino. Un vero e proprio coupe du théâtre aiuta il caparbio poliziotto a risolvere il suo primo caso, dimostrando così l'intenzione di Vichi volta più a presentarci la personalità e l'intuito del personaggio che a costruire un macchinoso ordito. 36 Intanto, a Firenze, il commissario consegna alle vittime dell'usuraio i loro beni e le cambiali che finalmente possono stracciare; vuole completare l'operazione prima di Natale così da fare un gran bel regalo a tutti. Il più fortunato sarà Odoardo, un ragazzo giovanissimo rimasto orfano, la cui mamma si era trovata invischiata nella rete di Badalamenti. L'usuraio era in possesso di fotografie compromettenti che la ritraevano in atteggiamenti provocanti assieme a soldati americani durante la guerra. Probabilmente la donna era stata costretta ad un lavoro poco nobilitante dalle difficoltà del periodo, ma al figlio non aveva voluto raccontare il suo passato. Badalamenti non aveva perso occasione di ricattare la donna minacciandola di far sapere tutto al figlio. Lei era morta prima di saldare il suo debito e Odoardo aveva fatto di tutto per farla riposare in pace, cercando di pagare lo strozzino. Avrebbe voluto vedere le foto, cui non voleva credere, ma l'aguzzino continuava a tormentarlo, insultandolo fino allo sfinimento... Odoardo aveva ucciso Badalamenti con un paio di forbici, ma per lui il 1966 sarà comunque un buon anno, poiché Bordelli ha deciso di ascoltare la propria coscienza. Di fronte alla confessione del ragazzo, il commissario non riesce a considerarlo colpevole; anzi ritiene responsabile dell'accaduto il giudice Ginzillo che aveva impedito di far luce sui loschi affari di Badalamenti per tempo. Molti mesi prima dell'omicidio, infatti, Bordelli aveva richiesto al questore Inzipone un mandato di perquisizione per incastrare lo strozzino; ovviamente senza denunce né prove concrete il giudice lo aveva negato. Bordelli aveva di nuovo ottenuto prova della meschinità delle istituzioni. Ginzillo non voleva osteggiare un personaggio influente come Badalamenti, amico di politici e famiglie prestigiose. La preoccupazione principale non era garantire la giustizia, ma rischiare di mancare di rispetto ad un uomo tanto potente , compromettendo l'immagine del dipartimento. Non aver smascherato l'usuraio per tempo ha prolungato le sofferenze dei suoi debitori e ha indotto un ragazzo come Odoardo a cedere alla rabbia compiendo un gesto che la 37 stessa giustizia avrebbe potuto evitare. Bordelli decide di pareggiare i conti: ad un torto subito corrisponde una grazia ricevuta, Odoardo non sconterà la negligenza di un giudice non professionale. Per quanto non manchino umane giustificazioni alla scelta di Bordelli, l'esito de Il nuovo venuto risulta molto singolare. Il commissario di Vichi è anomalo rispetto alle figure del poliziesco tradizionale; certi aspetti possono avvicinarlo a Maigret, personaggio nato dalla fantasia di Georges Simenon. Entrambi nell'affrontare un'indagine, si affidano al proprio intuito, si calano nell'atmosfera entro cui è stato compiuto il delitto e cercano di capire la personalità dei presunti colpevoli e delle vittime. Nelle inchieste di Maigret l'indagine psicologica assume particolare rilevanza, a volte appare al commissario più importante dell'effettiva risoluzione del caso. La dignità dei colpevoli non viene offesa, né con severi giudizi né attraverso spietate condanne, ma la loro umanità è rispettata. Anche Maigret spesso viene osteggiato dal giudice istruttore Ernest Comeliau, contrario ai suoi metodi investigativi, ma che tuttavia rispetta. In diverse inchieste del commissario, ottenuta la verità, il colpevole viene assicurato alla giustizia, ma a volte viene rintracciato dopo anni, altre condannato ad una pena leggera. Nei polizieschi di Maigret non sempre il meccanismo indagine-giustizia sembra funzionare. In Italia un altro esempio di commissario sui generis è il siciliano Salvo Montalbano, protagonista dei polizieschi di Andrea Camilleri. Personaggio introverso e meteoropatico, rigoroso ma soggetto alle umane debolezze; preferisce condurre le indagini da solo, anche se si avvale dell'aiuto di vari collaboratori: l'ispettore Fazio, l'agente Catarella e il vice-commissario Domenico Augello, detto Mimì. Non si esime da critiche feroci a quei colleghi di cui non condivide i metodi, dimostrandosi irreprensibile nello svolgimento delle proprie funzioni. Anche Montalbano, come Maigret e Bordelli, possiede un personale concetto di giustizia che lo spinge spesso a prendere iniziative non esattamente ortodosse. La sorprendente particolarità di 38 Vichi, però, riguarda il comportamento irrituale del protagonista, il suo sostituirsi alla giustizia, al processo e alla condanna. Odoardo si è macchiato d'omicidio e, pur tenendo conto di tutte le attenuanti inerenti il caso, non sarebbe assolto da nessuna giuria. Bordelli decide di seguire il proprio istinto e, amareggiato da un sistema sociale mal funzionante, si comporta in modo anarchico. «Un poliziotto deve fare il suo dovere fino in fondo. Ma prima di tutto deve essere... giusto»38 questo ammonimento, rivolto al commissario dal collega Oreste nei suoi ultimi giorni di vita, suscita in Bordelli quel moto di coscienza che gli impedirà di arrestare Odoardo. Il nuovo venuto, datato 1965, è il primo momento in cui Vichi presenta le riflessioni di Bordelli sul lento, ma inesorabile approssimarsi della vecchiaia e, infine, della morte: Immaginava il suo cuore imprigionato tra i polmoni che si contraeva e si dilatava, e vedeva un muscolo ripugnante che dopo decenni di spasmi aveva solo voglia di scoppiare o semplicemente di fermarsi. […] In fondo non smetteva mai di pensare alla morte. Ce l'aveva in testa ogni minuto, era diventata un'abitudine. A volte si ritrovava a immaginare di morire nei modi più diversi. Ci pensava così, senza un motivo preciso. Anche nei periodi migliori.39 Mentre il commissario si reca alla cascina dove abita Odoardo, attraversa le campagne limitrofe a Firenze: Galluzzo, Tavarnuzze, Le Rose, Quintole, paesini lontani dal traffico cittadino, immersi nella pace e nel silenzio. La tranquillità e il recupero del contatto con la natura incoraggiano i progetti futuri di Bordelli, che s'immagina trascorrere la vecchiaia fra viti ed olivi, lontano dalla caotica Firenze. Trasferirsi in campagna durante gli anni del boom economico, è una scelta controcorrente rispetto all'andamento generale di quel periodo. Si respira, infatti, un generale clima di cambiamento, dovuto soprattutto allo straordinario progresso tecnologico e si avvertono già in 38 M. Vichi, Il nuovo venuto, Parma, Guanda, 2004, p. 394. 39 Ivi, pp. 30-31. 39 lontananza i moti rivoluzionari tipici della fine degli anni '60. La TV aumenta i programmi, i telegiornali riportano notizie da tutto il mondo, gli imperi coloniali sembrano crollare, da America e Inghilterra arrivano musiche e mode nuove, le donne scoprono le gambe mentre gli uomini allungano i capelli. L'Italia cavalca l'onda di un benessere inaspettato, il boom economico ha portato sulle strade cartelloni pubblicitari più grandi, macchine ed elettrodomestici. Lo sviluppo inarrestabile, viene ripagato dalle disuguaglianze sociali. La gioventù di questi anni è profondamente diversa dalla precedente generazione, non ha preso parte alla guerra e si dichiara fortemente intenzionata a cambiare il mondo. I nuovi ragazzi sono forse meno “uomini” di quei giovani costretti a crescere troppo rapidamente sotto le armi, ma non per questo mancano di senso di responsabilità. Attorno a sé avvertono i rimproveri di quei “vecchi” che non sanno capirli e per questo il loro inno al cambiamento si fa sempre più forte. Bordelli nel corso dell'indagine, deve interrogare Raffaele, un ventenne sospettato di aver ucciso l'usuraio che aveva ingannato la sua giovane sorella Marisa. La ragazza aveva ingenuamente ceduto alle lusinghe di Badalamenti, che voleva farle delle fotografie da inviare a grandi produttori cinematografici; intuendo tardi le vere intenzioni Marisa era fuggita dall'appartamento, ma non aveva recuperato le foto. Bordelli, attraverso Raffaele, viene a contatto con un mondo distante dal suo: giacche di pelle, Rolling Stones, capelli lunghi... Non aveva mai pensato di essere vecchio dentro, e cercava di capire cosa volesse dire di preciso. Ma se guardava Raffaele poteva cominciare a farsi un'idea. Quel ragazzo era fatto di una materia che non aveva mai visto così da vicino. Non era arrogante, e nemmeno offensivo. Era solo un ragazzo pieno di rabbia e di rancore, come se il mondo gli avesse fatto il gran torto di non essere come voleva lui.40 Il contrasto generazionale che lo stesso Bordelli aveva vissuto col padre, lo aveva portato a credere di parlare lingue diverse, ma inerenti la medesima 40 Ivi, p. 160. 40 realtà. Con Raffaele, invece, Bordelli sente di non condividere nulla: non solo non usano il medesimo codice, ma neppure condividono il mondo circostante. Il ragazzo sembra provenire da un altro pianeta e quando viene interrogato lancia accuse sicure che turbano il commissario. Bordelli viene additato come un “matusa” incapace di conformarsi ai tempi e quando tenta di farsi valere agli occhi del giovane, giocando la carta dell'uomo vissuto che ha fatto la guerra, Raffaele lo sminuisce affermando di sapere tutto di quell'esperienza, anche senza averla vissuta direttamente. I primi tre romanzi della serie dedicata a Bordelli raccontano le indagini affrontate dal commissario relative agli anni 1963, 1964 e 1965. Sebbene siano stati scritti uno dietro l'altro nel 1995, alcuni fattori subiscono modifiche, per quanto lievi. La figura di Bordelli si evolve negli anni, i suoi compagni di viaggio crescono assieme a lui, ma soprattutto cambia il rapporto dello scrittore con la materia letteraria. Vichi sembra acquisire scioltezza e compiere un percorso di stabilizzazione fra sé e il materiale trattato: il commissario, il suo mondo, le sue relazioni, sono realtà cui lo stesso autore deve abituarsi, acquistando dimestichezza nel raccontarle. Le inchieste diventano di volta in volta più avvincenti, i criminali acquistano carattere e lo studio della loro persona è sempre più complesso. La collocazione geografica, la città di Firenze, coesiste con i personaggi che la animano e non si limita ad un ruolo marginale, soprattutto nel quarto romanzo della serie Morte a Firenze. Vichi è nato in questa città e dichiara, in molte interviste, di ambientare i suoi romanzi nei luoghi che conosce proprio per riuscire ad essere più credibile, più vero. Per quanto riguarda la collocazione temporale invece, non esiste nessun particolare motivo che giustifichi la scelta degli anni '60; Vichi per descrivere vicende ambientate nel passato, per quanto prossimo, ha dovuto calarsi in un clima ed una mentalità diversi da quelli odierni. In seguito a Il commissario Bordelli, Una brutta faccenda e Il nuovo venuto, sono stati pubblicati i 41 racconti Perché dollari?41 e Morto due volte42, due nuove avventure del commissario, rispettivamente ambientati nel 1957 e '58. «Io credo che i miei gialli siano dei romanzi con qualcosa di giallo dentro»43, è questa la migliore definizione, frequentemente usata da Vichi, per i suoi polizieschi. Ultimo tassello nella composizione di quel mosaico che ha per soggetto il commissario Bordelli, è Morte a Firenze (Guanda, 2009). Il titolo già preannuncia il tetro scenario che farà da sfondo al romanzo: un terribile caso di cronaca nera affrontato durante i drammatici giorni dell'alluvione di Firenze nel 1966. 41 Nell'omonima raccolta, Parma, Guanda, 2005. 42 Nell'antologia AA.VV., Città in nero, Parma, Guanda, 2006. 43 L'intervista da cui è tratta la citazione è stata tenuta da Vichi per Fahrenheit , in onda su Rai Radio Tre e si può ascoltare alla pagina http://www.marcovichi.it/Libri/ilnuovovenuto.html del suo sito ufficiale. 42 II.4 Morte a Firenze “E Cristo?”disse mia madre. “Ci ha salvati dal marciume.” “È morto per niente” dissi, “il suo sacrificio non è servito a nulla. I buoni si salvano, ma i cattivi, nulla da fare. E gli uomini sono cattivi.” MALAPARTE Questa citazione, tratta da Mamma Marcia44 di Curzio Malaparte, è posta in apertura di Morte a Firenze, ultimo dei quattro romanzi della serie del commissario Bordelli. Lo stile di Vichi è concreto, totalmente attinente al reale ed è questo ciò che lo lega profondamente ad uno scrittore “del vero” come Malaparte. Il ricorso ad un'epigrafe tanto tetra è giustificato dalla drammaticità della trama di Morte a Firenze: il lettore non deve essere ingannato con rosee speranze, quando l'illusione svanisce si rivela un retroscena scoraggiante. Mamma Marcia è una profonda analisi delle gioie e dei dolori caratterizzanti la vita dello scrittore, affrontata al capezzale della madre morente; si tratta di un romanzo-confessione, uscito postumo. Il clima, di sincera intimità, che s'instaura fra madre e figlio, consente a questo di aprire pienamente il proprio animo alla donna che lo ha generato, la quale svolge il ruolo di testimone di un racconto che mai si ripeterà. Il figlio parla della guerra, dei soprusi e del sangue di cui si è macchiato; il male tocca amici e nemici e, in battaglia, è l'intera umanità a venire dilaniata, senza vittime né vincitori. I reduci convivono con i propri incubi e, perfino chi non riporta danni fisici permanenti, è costretto a fare i conti per il resto della vita, con un proprio lato oscuro inevitabilmente emerso per via della guerra, cancro di cui l'uomo mai si libererà. Dio, artefice del genere umano e delle sue pecche, diventa bersaglio dello scrittore che orienta la sua rabbia a Cristo, morto inutilmente; l'uomo non si redime e non vincerà mai quella violenza che gli è connaturata. L'Europa è 44 C. Malaparte, Mamma Marcia, Firenze, Vallecchi, 1959, p. 65. 43 ormai una mamma marcia, dice Malaparte; se è la stessa origine ad essere infetta, come potrà il figlio salvarsi? Al buon soldato è stata insegnata la prassi di uccidere in guerra, farlo è doveroso, tuttavia è impossibile imparare a dimenticare. Esempio eclatante di questa difficoltà è Bordelli. La notte, prima che sopraggiunga il sonno, la sua mente si affolla di immagini dal passato: volti di vecchi compagni dilaniati dalle mine, esplosioni, donne violentate e bambini seviziati, nemici crudeli, ma anche giovani tedeschi innamorati che ripudiano la guerra45. Anche Bordelli ha vissuto sotto le armi, ha ucciso ed è incappato in quelle mostruosità di cui l'uomo è capace. In alcuni casi però, ha optato per la vita, come ricorda ne Il nuovo venuto. Inglesi, Americani, Tedeschi, nemici o no, uccidere un uomo indifeso, disarmato, non è facile; in questo episodio, Bordelli e i compagni, avrebbero potuto sterminare, senza correr il rischio di un contrattacco, un intero plotone nazista... Se non averlo fatto lascerà la coscienza più leggera, per aver risparmiato delle vite, parimenti graverà l'animo col peso di aver, forse, permesso ulteriori violenze e carneficine; poiché l'uomo, troppo spesso, è cattivo. Come Malaparte anche Vichi tratta il rapporto del suo personaggio con la madre. In Una brutta faccenda Bordelli ritrova una propria lettera inviata ai genitori nel '43, quando infuriava la guerra. Il tono era calmo e rassicurante, ma dietro le parole serene si nascondeva la profonda angoscia di un uomo ancora in balia del destino. Il conflitto sarebbe finito molto tempo dopo e Bordelli non avrebbe più scritto a casa. Quando era riuscito a tornare a Firenze, qualche settimana dopo la Liberazione, sbirciando dalla finestra di casa aveva visto sua madre in ginocchio davanti ad un tavolo pieno di candele. Pregava per il figlio, che tutti ormai credevano disperso e avrebbe continuato a farlo fino all'ultimo respiro, come Bordelli ricorda in Morte a Firenze. La 45 Episodio vissuto realmente dal padre di Vichi e riportato in Il commissario Bordelli. Il tedesco ucciso aveva diciassette anni, sull'elmetto la croce uncinata era stata cancellata con della vernice rossa e in alto campeggiava il nome Anna, accanto ad un cuore. 44 donna implora il suo Franco di pentirsi per gli uomini uccisi, lui la tranquillizza rinunciando a giustificare le proprie azioni di fronte alla madre che non avrebbe mai potuto comprendere la complessa gravità della guerra. Viverla in prima persona è l'unico modo per capire, davvero, l'irreversibilità del cambiamento necessario in chi abbia tenuto in mano le armi. Solo nel momento in cui la mamma non potrà più udirlo, Bordelli, dirà tutto quello che ha sempre celato dentro di sé, ciò che ha rischiato più volte di raccontare, trattenendosi, per non gravare su chi ha tanto pregato per lui. La crudeltà dell'uomo comunque, si palesa in tutta la sua crudezza anche nella quotidianità della vita, non occorrono necessariamente conflitti su scala mondiale. II.4.1 Il caso L'inchiesta che Bordelli conduce in Morte a Firenze è davvero delicata: un caso di pedofilia e violenza degenerato in omicidio. Spesso le prime impressioni ingannano e dietro un'apparente facies elegante e dabbene si nasconde una insospettabile malvagità. Giacomo Pellissari è un ragazzetto di tredici anni scomparso da casa da qualche giorno; Bordelli e Piras, col passare del tempo, vedono sempre più svanire la possibilità di ritrovare il bambino vivo. Una mattina giunge in questura la telefonata tanto temuta, Giacomo viene ritrovato in un bosco da un cacciatore, la vittima doveva esser stata sotterrata qualche giorno prima. Il bambino è stato strangolato e l'immagine terribile del suo corpicino, in stato già avanzato di putrefazione, sconvolge gli stessi agenti; per di più Diotivede, dopo le accurate analisi rivela una verità ancora più sconcertante: il bambino è stato violentato da almeno tre uomini prima di morire. La risoluzione del caso si presenta agli occhi del commissario davvero difficile: non ci sono indizi né testimoni ad aprire un varco nel buio dell'indagine. Bordelli rischierà di perdere ogni speranza quando subentreranno le difficoltà dovute alla piena dell'Arno e all'allagamento di 45 Firenze, triste evento che si rivelerà però fondamentale nell'individuazione del colpevole. Nonostante le avversità e le preoccupazioni per risollevare la città dalla tragedia, Bordelli riuscirà a far chiarezza sull'omicidio aiutato un po' dalla fortuna. Passeggiando nella zona del ritrovamento del corpo di Giacomo alla ricerca d'indizi, il commissario viene attirato dal miagolio di una gattina; cercando di recuperarla da un cespuglio di sterpi, trova una bolletta della SIP indirizzata alla Macelleria Panerai. Le speranze del poliziotto sono subito alimentate da questo dettaglio che, però, non può garantire niente più che un'effimera pista da seguire. Livio Panerai viene spiato e pedinato giorno e notte e, proprio nel momento in cui Bordelli sta per arrendersi di fronte alla sua apparente innocenza, l'ombra dei sospetti si allarga a due loschi individui a lui collegati. I tre uomini si conoscono da tempo, nostalgici degli anni del Duce e del fascismo, fedeli ai principi di una società “di fatto” che li unisce anche nei perversi giochi sessuali. A Beccaroni, un avvocato claudicante, e all'alto prelato monsignor Sercambi, amici del macellaio dai tempi delle scuole, si aggiunge il nome di un ragazzo molto più giovane, Signorini, nella villa del quale si consumano spesso i festini dell'allegra brigata. Sarà proprio quest'ultimo l'anello debole della catena; pressato dall'insistenza di Bordelli, il ragazzo confesserà la triste verità su Giacomo Pellissari, raccontando con cura la storia dei suoi personali rapporti coi tre uomini. Suo padre, quando lui era ancora bambino, aveva conosciuto i tre durante un'estate al mare; l'amicizia immediatamente sbocciata e il clima di sintonia, avevano portato il padre a fidarsi ciecamente dei nuovi compagni tanto da lasciarli il figlio in custodia. Panerai, Beccaroni e Sercambi erano in realtà molto diversi da ciò che le apparenze potevano far credere, Signorini lo aveva sperimentato sulla propria pelle; irretito dai loro giochi perversi, aveva iniziato a vivere in uno stato di dipendenza sempre più forte nei confronti di chi lo usava solo come oggetto di piacere, arrivando a fornire nuove prede all'insaziabile concupiscenza dei tre. Giacomo era stato solo l'ennesima vittima di un losco traffico. Signorini lo aveva visto correre verso casa sotto la pioggia, l'idea era balenata in un 46 momento: il bambino era stato attirato in macchina, drogato e portato addormentato in un appartamento usato dai quattro per le loro orge. Quella stessa sera erano arrivati anche gli altri, tutti pienamente coscienti della situazione e spaventati poiché coinvolti in un rapimento in piena regola, ma non tanto da rinunciare alla depravata idea. Nessuna preoccupazione aveva impedito ai tre mostri di consumare la violenza, mentre Signorini si sentiva schiacciare dai sensi di colpa percependo la paura di Giacomo. L'esito drammatico della vicenda era stato causato da un eccesso d'impeto da parte di Panerai che, non dosando la propria forza, aveva strangolato il bambino; partendo da una semplice bolletta dispersa nel bosco, Bordelli viene finalmente a conoscere ogni terribile dettaglio del retroscena del delitto. Nonostante il caso sia stato chiarito, la piena risoluzione e la condanna dei colpevoli è ancora lontana: Signorini in seguito alla confessione si era suicidato, approfittando di una distrazione del commissario; Beccaroni per quanto intimidito, non cede a pericolose dichiarazioni; monsignor Sercambi, dall'alto della sua posizione, appare intoccabile; Panerai, forse per i sensi di colpa o più probabilmente per le minacce di Bordelli, si spara un colpo in bocca vicino alle zone del ritrovamento del cadavere di Giacomo. Le colline dell'orrore. Suicidio nel bosco. Macellaio fiorentino di 44 anni si spara in bocca nel bosco di Cintoia Alta. La moglie e la figlia distrutte dal dolore.46 La notizia riportata da un articolo del giornale La Nazione datato lunedì 20 febbraio 1967, chiude il romanzo in modo provvisorio; il capitolo inerente la morte di Giacomo non è ancora concluso. Bordelli ha individuato i colpevoli dell'omicidio, ma non può fare nulla per incastrarli, mancano le prove e Signorini, unico testimone reo confesso, si è ucciso. Un profondo senso di amarezza domina la trama e l'atteggiamento del commissario, sconfitto. Ad acuire il senso d'impotenza del commissario la vendetta, ordinata 46 M. Vichi, Morte a Firenze, Parma, Guanda, 2009, p. 344. 47 da Sercambi contro di lui, perpetrata ai danni di Eleonora. Pochi giorni prima dell'alluvione, Bordelli aveva scorto in un negozio una bellissima ragazza, Eleonora; non potendo frenare il desiderio di parlarle era entrato per comprare un articolo a caso, mascherando l'intenzione di conoscerla. Poi Firenze era stata sconvolta dalla piena dell'Arno; l'acqua aveva devastato case e negozi, trascinando via ogni cosa... comprese le speranze di rivedere la ragazza. Solo la fatalità aveva fatto rincontrare i due nella zona di S. Niccolò dove, fra la ripulitura di un sotterraneo e la distribuzione di viveri e medicinali, era sbocciato l'amore. Un tenero commissario di cinquantasei anni, alle prese con una giovanissima ragazza spontanea e sicura di sé... Una coppia strana, soprattutto per quegli anni, quando a vent'anni si era uomini e a quaranta praticamente vecchi. La storia era comunque iniziata nel migliore dei modi, per quanto l'atmosfera tutt'intorno non fosse delle più romantiche. Quando Bordelli inizia a fare pressione sui colpevoli coinvolti nell'omicidio di Giacomo, non ha idea di stare mettendo a repentaglio la sicurezza delle persone che ama. Monsignor Sercambi, sfruttando le sue conoscenze e il proprio prestigio, stila una lista degli affetti di Bordelli e, come avvertimento, manda due scagnozzi a picchiare e violentare Eleonora. Il commissario ha perso la cosa più bella che gli fosse mai capitata, esattamente come aveva predetto Amelia, un'amica di Rosa che gli aveva letto i tarocchi tempo prima, non solo pronosticando la breve e triste storia con Eleonora, ma anche il ritrovamento di Giacomo. Il libro si conclude con la presentazione, al questore Inzipone, delle dimissioni di un commissario che, dopo vent'anni di Pubblica Sicurezza, si sente schiacciato dalla sconfitta. Il quarto romanzo di Vichi tratta un tema molto delicato, articolato in problematiche forti, anche e soprattutto per l'attualità: la pedofilia, l'omosessualità, il sopruso. L'indagine è ancora agli albori quando Bordelli incontra per strada un vecchio compagno di scuola, Poggiali, preso di mira da un gruppo di ragazzi che lo deridono e lo malmenano. L'uomo è tacciato, con 48 parole oscene, per la sua omosessualità e accusato di preferire i bambini, come se un gay fosse automaticamente pedofilo; Poggiali parla dell'accaduto con Bordelli affermando che il disprezzo verso quelli come lui non si limita all'opinione di vecchio stampo, ma si registrerà sempre. Per quanto l'omosessualità sia sempre esistita, è e sarà considerata una malattia, una perversione e, di conseguenza, affiancata a depravazioni come la pedofilia. Bordelli è un uomo moderno, di larghe vedute, ma di fronte ai gusti sessuali dell'amico mostra un certo imbarazzo nel chiedergli informazioni utili per rintracciare gli assassini di Giacomo. Poggiali darà un avvertimento al poliziotto: Be', non ti aspettare che siano orribili a vedersi come gli orchi delle fiabe. Chi fa queste cose è malato nella testa, ma può essere tranquillamente il tuo simpatico dentista o il fornaio sotto casa. Insomma, uno che fa una vita normalissima. I peggiori pervertiti che ho conosciuto erano ricchi borghesi con la reputazione di uomini specchiati.47 Accanto alla tragedia dell'omicidio del bambino, si consuma un secondo dramma su scala ben più vasta: l'alluvione di Firenze del 1966. Si tratta di uno dei momenti più neri nella storia della città, alla vigilia dell'anniversario della Festa della Vittoria, il quattro novembre. l'Arno straripa inondando strade ed edifici, in alcuni tratti le spallette degli argini vengono distrutte, il fango sommerge tutto. I danni sono incalcolabili e si possono addirittura paragonare alle conseguenze di un bombardamento. Era stufo di stare a letto, e decise di alzarsi. […] Si avvicinò alla finestra per aprire gli scuri. Gettò un'occhiata dalle stecche delle persiane... e rimase a bocca aperta. Al posto della strada c'era un fiume di acqua fangosa che correva veloce verso piazza Tasso. Spalancò i vetri e le persiane, e vide decine di persone affacciate alle finestre, strette nei cappotti. Occhi increduli come i suoi spiavano la strada inondata. La pioggia cadeva con la stessa violenza della sera prima, L'acqua arrivava quasi a coprire i portoni, 47 Ivi, pp. 86-87. 49 e correva veloce trascinando automobili, alberi, armadi sfasciati...48 Questo il panorama che si propone agli occhi ancora assonnati di Bordelli. Tutti dovranno darsi da fare perché Firenze torni come prima, sempre che un recupero totale sia possibile. Nulla ha potuto, contro l'irruenza dei flutti, il passato glorioso di Firenze; il sontuoso Ponte Vecchio non ha sbarrato l'esondazione dell'Arno; i tesori antichi del ricco Rinascimento non hanno intimidito il fango. La città è stravolta, i primi soccorsi giungono con difficoltà, si attendono i rinforzi e l'intervento dell'esercito; nelle strade le persone si rimboccano le maniche, laboriose, per aiutarsi l'un l'altro. Non mancano i profittatori pronti a sfruttare il momento di debolezza; in questura piovono segnalazioni di furti e prevaricazioni. Il commissario stesso affronta un negoziante che, nella sua merceria lontana dalla zona colpita dalla piena, vende a prezzi esorbitanti stivali, scope, secchi e altri oggetti necessari agli sfollati. In Borgo Allegri la folla aveva quasi linciato uno sciacallo scoperto a frugare in una casa alluvionata, alle Cure un gruppo di persone aveva assaltato e derubato una salumeria... In una tale condizione d'allarme Bordelli non sopporta il mancato mutuo soccorso, le situazioni d'emergenza dovrebbero stimolare la generosità e non, come troppo spesso, farsi teatrino di privati egoismi. Non mancano comunque gesti d'aiuto: da Siena giunge un camion di pane pagato da un privato e un italiano, che aveva aperto una pizzeria in Finlandia, porta di persona agli alluvionati un intero container di stivali di gomma. La tragedia fiorentina mobilitò numerosi giovani, molti dei quali stranieri, accorsi nel capoluogo toscano per contribuire al recupero dell'inestimabile patrimonio artistico e del copioso materiale cartaceo appartenente alla Biblioteca Nazionale, colpita duramente a causa della posizione attigua al fiume. I volontari, armati di secchi, scope e tanta buona volontà, sono ragazzi dai capelli lunghi, pronti ad intonare con le loro chitarre l'inno pacifista Blowin' in the Wind49, esempio di una gioventù disillusa e di 48 Ivi, p. 164. 49 Composta da Bob Dylan nel 1962, la canzone Blowin' in the Wind diventa il manifesto 50 stampo anti-istituzionale, ma propositiva e capace di tirar fuori qualcosa di buono dal mare di melma in cui affondano le mani meritando così l'appellativo “angeli del fango”. Vichi aveva nove anni nel 1966, ma la memoria di quei drammatici giorni è nitida: «Ricordo mia madre pregare a lume di candela, le auto accatastate in Piazza Beccaria, i militari che non facevano entrare in centro»50. Durante la stesura di Morte a Firenze le difficoltà maggiori si sono presentate proprio nei momenti dedicati all'alluvione; l'autore racconta di esser riuscito a ritenersi soddisfatto solo dopo molti mesi di lavoro e ciò capita di rado, a chi come lui, è abituato a scrivere di getto. Importantissimo è stato l'aiuto dell'amico Leonardo Gori, che già aveva affrontato la difficile materia in L'angelo del fango (Milano, Rizzoli, 2005), i filmati delle Teche Rai, gli archivi fotografici e le carte dell'Istituto Geografico Militare con le indicazioni dei livelli di altezza raggiunti dall'acqua nelle varie zone di Firenze. Vichi cita il nome della prima vera vittima della furia dell'Arno, Carlo Maggiorelli addetto alla sorveglianza dell'acquedotto dell'Anconella; descrive la perdita dei cavalli nelle scuderie del parco delle Cascine; ricorda la fuga di circa ottanta detenuti del carcere delle Murate, uno dei quali morì travolto dall'acqua; elenca i movimenti del sindaco Bargellini dal momento in cui gli era stato telefonato lo stato d'allarme... Dettagliato recupero di fonti e notizie. II.4.2 Firenze Bordelli guarda Firenze, dove è nato e cresciuto, la città per cui ha combattuto e che non può non amare nonostante una certa amarezza: della generazione di giovani statunitensi disillusi ed avversi alle pericolose scelte politiche americane degli anni cinquanta/sessanta del secolo scorso. 50 G. Ametrano, Una alluvione nera con delitto e castigo, in «Corriere Fiorentino», 25 Agosto 2009. 51 Davanti al Lungarno franato aveva sentito addirittura una punta di piacere, come se finalmente si fosse compiuta una vendetta. Fosse almeno crollato Ponte Vecchio, e magari anche il Duomo, Palazzo Vecchio e tutti i filistei... Firenze credeva di essere salva in nome del suo passato glorioso […]. Guardatevi intorno e sbalordite, tutte le cose belle che vedete le abbiamo fatte noi... noi fiorentini. Da qui è partita la scintilla del rinnovamento del mondo, tutti devono inchinarsi di fronte al nostro genio. Venite a spendere i vostri soldi nella culla del Rinascimento, comprate i nostri ninnoli, le nostre cartoline artistiche, le statuette del David […]. Che ce ne importa di creare altre opere immortali, quando possiamo vendere quelle che già abbiamo? La nostra vera anima è sempre stata il commercio, il dio che ci protegge è lo stesso dio dei ladri... E adesso Firenze tremava, perché il suo tesoro era stato inzaccherato dal fango. Ricchi o poveri non faceva alcuna differenza.51 Così appare Firenze agli occhi del commissario. Il diluvio netterà le colpe fiorentine? «L'oro innanzitutto»52 borbotta Bordelli quando una guardia, su Ponte Vecchio, lo ferma per garantire il recupero, dalla melma, di gioielli e preziosi. Il velo di Maia è lacero, l'idillio rinascimentale spezzato, spazzato via dal fango che, i fiorentini hanno imparato, macchia i poveri come i ricchi. Un alternarsi di amore e odio caratterizza il rapporto di Bordelli con la propria città, che Vichi mantiene viva sullo sfondo di ogni romanzo per darle maggior risalto in Morte a Firenze. L'autore, per quanto non ami essere imbrigliato in un genere letterario specifico, viene spesso considerato affine al sottogenere del “noir metropolitano”; in questo caso la città svolge un ruolo importante all'interno della vicenda, spesso emerge in primo piano, come protagonista, risultando funzionale alla trama attraverso tematiche correlate come il degrado e la criminalità locale. La Firenze di Vichi spesso si sovrappone a quella del commissario, in un connubio di autobiografia e immaginazione, che non può che affascinare il lettore soprattutto se fiorentino. Non sono descritti tesori artistici universalmente conosciuti, ma piuttosto quelli trascurati quali i vicoli del centro, le taverne e le osterie, le vivaci case 51 M. Vichi, Morte a Firenze, cit., p. 177. 52 Ivi, p. 178. 52 popolari. Firenze svolge il suo ruolo di personaggio integrato nella vicenda non solo nel ciclo dedicato a Bordelli, ma anche in altri romanzi come L'Inquilino, Donne Donne, Un tipo tranquillo dove vengono citate piazze, vie e realtà effettive del centro urbano e della vicina periferia. Ancora più familiari, allo stesso Vichi, le zone descritte in Nero di luna, ambientato nelle vicinanze dell'abitazione dello scrittore: le colline del Chianti. Paesini e piccole frazioni quali il Galluzzo, Tavarnuzze, Impruneta, Le Rose e Baruffi costellano il romanzo Il nuovo venuto costituendo lo scenario delle passeggiate di un nostalgico commissario proiettato già verso la pensione, periodo che ambirebbe trascorrere in un posticino tranquillo in mezzo al verde. Dante, caro amico del protagonista conosciuto in Il commissario Bordelli, vive in località Mezzomonte in una grande cascina, oasi serena dove spesso il poliziotto si reca per riordinare le idee e dimenticare le noie del lavoro. Dante era fratello della signora Pedretti Strassen, la vittima della prima indagine del commissario, che abitava la Firenze nobile, alto borghese delle ville monumentali e dei giardini sontuosi. Accanto a queste ricche residenze Vichi mostra dimore ben più modeste. Rosa, con i risparmi accumulati durante il periodo di svolgimento del mestiere, è riuscita a comprare un appartamento in Via Dei Neri; in questo nido accogliente Bordelli si rifugia spesso per farsi coccolare dalla cara amica. La casa non è certo una reggia, ma per la collocazione in alto, al quinto piano, può godere di uno splendido panorama di Firenze. Tutt'altra storia per il Botta che nel suo seminterrato in Via del Campuccio convive con l'umidità e la muffa delle pareti. Per quanto Bordelli paragoni Firenze ad «una merda di mucca con delle candeline sopra»53 e non risparmi ampie critiche, soprattutto ai suoi abitanti, vive con la propria città momenti d'intensa emozione. L'immagine edulcorata conosciuta in tutto il mondo attraverso fotografie sui libri di storia dell'arte e cartoline colorate , non rispecchia il cuore di Firenze. I quartieri popolari, l'allegria delle botteghe, le grida dei bambini che giocano a pallone nel cortile, è questa la forza vitale 53 M. Vichi, Una brutta faccenda, cit., p. 12. 53 che anima la città. Gli squilibri sociali e i disagi della povera gente che abita nelle Case Minime sono problemi concreti che Firenze dovrebbe affrontare con coraggio e non fingere di non vedere. Bordelli non è immune all'indifferenza fiorentina e ciò prova il forte legame che, in fondo, lo lega alla propria città. II.4.3 La Morte e l'Angelo La stessa Firenze, calata nel clima di disagio e malumore dell'alluvione, fa da cornice al giallo di Leonardo Gori L'angelo del fango (Milano, Rizzoli, 2005). Lo scrittore è coetaneo di Vichi, come lui abita a Firenze e nel 2000 ha esordito nel giallo con Nero di maggio, dopo essersi interessato per anni al fumetto e al disegno animato. In questo suo primo romanzo compare la figura del capitano dei carabinieri Bruno Arcieri, che si ripresenterà in molte delle opere dello scrittore fra cui L'angelo del fango, vincitore nel 2005 del Premio Scerbanenco e Fedeli. Il romanzo di Gori ricostruisce i difficili giorni dell'alluvione nel capoluogo toscano e in tutte le terre limitrofe al fiume Arno, straripato in più punti. Il momento è critico per tutti: dalle autorità alla gente del borgo, dai redattori de «La Nazione», che vedono la sede del giornale invasa dall'acqua, ai frati di Santa Croce, intenti a salvare il patrimonio artistico della chiesa. L'autore riesce perfettamente a far convivere realtà storica e invenzione romanzesca, il presidente Saragat con il colonnello Arcieri. Il clima che si respira nel suo libro ricorda il Lucarelli di romanzi come Il commissario De Luca. De Luca è una figura a metà fra personaggio storico ed invenzione letteraria; è un poliziotto fedele allo Stato, vissuto in un'era di continui cambiamenti di potere: prima il Regime per cui i nemici erano comunisti ed antifascisti, poi la polizia partigiana contro gli ex fascisti, infine quella democristiana avversa ai partigiani. Un perenne passaggio di testimone, da chi 54 comandava a chi poco prima rappresentava il nemico; una danza che De Luca rispetta, senza però conformarsi mai pienamente all'uno o all'altro modello di potere. Per questi autori risulta fruttuoso attingere al repertorio dei tanti misteri italiani mai risolti, soprattutto durante il periodo di fine e immediato dopoguerra. De Luca si muove proprio in quegli anni; Arcieri si trova, invece, ad indagare su un attentato organizzato da ex fascisti ed apparentemente diretto al presidente Saragat in visita agli alluvionati. La trama del giallo di Gori, ben studiata e articolata, segue contemporaneamente più filoni che convergeranno, scoprendo i reciproci nessi, solo nel finale. Il colonnello Bruno Arcieri vive a Roma da anni, ma a Firenze ha lasciato il cuore e la casa dove ha vissuto con la ex fidanzata Elena, mai del tutto dimenticata. Capitano dei carabinieri prima, poi cooptato agente del servizio di informazioni militari (conosciuto come SIM, poi SIFAR, infine SID) è stato spedito a Firenze per garantire la sicurezza del presidente Saragat, in visita alla città, con la collaborazione di una squadra di funzionari fra cui il dottor Lorenzo Graziosi, del Ministero dell'Interno. Qui conosce Anna, dall'oscuro passato, la quale lo avvicina col pretesto di rendergli noto ciò che sa di Elena, da tanti anni fuggita in Israele. Anna racconta di averla conosciuta attraverso il lavoro di bibliotecaria, ma in realtà il fine della donna è ottenere la protezione del colonnello, che ritiene esserle dovuta, dal momento che era stato proprio Arcieri a dare l'ordine d'esecuzione nei confronti di Eugenio Gianfalco, suo giovane fratello, spia delle Brigate Nere. Prima di morire Eugenio era riuscito a lasciarle dei documenti importanti che si erano poi trasformati nella sua condanna; per tutta la vita Anna era stata perseguitata da chi voleva impossessarsi di tali carte, che provvidenzialmente aveva nascosto nell'immensa Biblioteca Nazionale dove lavorava, salvaguardandosi in quanto unica conoscitrice della collocazione. Con l'alluvione e la totale perdita dei fascicoli cartacei, custoditi nei sotterranei, la sua vita è in pericolo. Arcieri stenta a credere alla storia e pensa che Anna soffra di manie di persecuzione, 55 ma vuole comunque verificare il racconto. Lei gli ha confessato di essersi recata nella Biblioteca poco prima dell'esondazione del fiume per salvare i documenti, accortasi però d'esser stata seguita, era riuscita a chiudere a chiave il sicario in uno dei sotterranei, dove lo aveva sorpreso la piena. Arcieri indaga su questa morte che, nella confusione del momento, era stata archiviata come una delle tante da imputarsi all'alluvione senza tener conto che la porta dello scantinato era stata trovata chiusa a chiave dall'esterno. É così confermata la storia di Anna, con la quale nel frattempo Arcieri ha intrapreso una relazione. All'indagine personale, il colonnello, deve affiancare quella ufficiale volta a scoprire gli artefici dell'attentato fallito al presidente. Emergono dal passato orditi complessi che mettono in relazione un gruppo di ex fascisti, legati alla Repubblica di Salò, Lorenzo Graziosi, bersaglio effettivo degli attentatori, la stessa Anna Gianfalco e addirittura Elena, la ex fidanzata di Arcieri: una lunga scia di ricatti e minacce, rapimenti e messaggi in codice destinata a concludersi nel sangue. Morte a Firenze di Vichi e L'angelo del fango di Gori, per quanto accostabili sotto molti punti di vista, testimoniano stili letterari diversi e si distinguono per loro specifiche peculiarità. Il ricorso ai personaggi del commissario di polizia Bordelli e del colonnello dei carabinieri Arcieri, figure caratteristiche della letteratura poliziesca, risultano funzionali ai due autori per trattare tematiche tipiche del giallo. Vichi e Gori attingono a vari modelli e indirizzi di un genere dove s'inseriscono, ma in cui non vogliono essere ingabbiati. Molti pregiudizi, di lettori, scrittori ed editori, hanno gravato sul giallo che, per molto tempo, ha rappresentato una forma narrativa che spesso si è evitato di inquadrare come vera “letteratura”, valutandolo un prodotto di serie B, indirizzato esclusivamente all'evasione. Oggi la situazione è diversa, i confini dei generi letterari sono molto più labili e l'evoluzione e sovrapposizione di tematiche ha portato a classificazioni molto meno marcate. 56 Loris Rambelli54 in Riflessioni sulla scrittura afferma che «gli autori non amano presentarsi come “giallisti”, ma come scrittori che affrontano tematiche tradizionalmente legate al giallo»55. Nello stesso articolo Vichi manifesta la propria sfiducia nei confronti del tipico schema del giallo, che solitamente predilige la trama ben congegnata a discapito dell'emozione e dell'analisi dei personaggi. La distinzione che l'autore opera fra libro e libro non riguarda il genere, ma la natura dell'opera che può essere bella o brutta indipendentemente dal contenitore entro cui si tenta di relegare. Un capolavoro universalmente riconosciuto, quale Delitto e castigo, presenta tutti gli elementi tipici del poliziesco, ma nessuno ha osato mai classificarlo come giallo perché il pregiudizio ha sempre condannato questo genere. Con gli stessi ingredienti si possono scrivere un buon romanzo o un brutto giallo, Vichi non prende dunque aprioristicamente le distanze dal genere, ma ribadisce che per lui l'intreccio macchinoso del poliziesco è solo uno schema sterile se non viene associato ad un contenuto umano ed emotivo forte. Altro pregiudizio contro cui Vichi si è schierato, è quello avverso alla forma narrativa del racconto, spesso giudicato inferiore al romanzo a causa della minore estensione e dell'erronea convinzione circa un contenuto tematico effimero. Lo scrittore opera una vera e propria apologia del racconto, con cui si è misurato spesso attraverso antologie da lui stesso curate o alle quali ha collaborato, dando vita a piccole perle letterarie che nulla hanno da invidiare nella costruzione, nello stile e nella sostanza al “collega” romanzo. L'attenzione di Vichi e di Gori si concentra molto sull'uomo, l'animo di Bordelli e di Arcieri viene analizzato profondamente, conferendo ai due romanzi caratteristiche antitetiche rispetto al giallo classico. La personalità tormentata, il contrasto interiore, la vecchiaia che incombe, l'incompatibilità 54 Autore di Storia del “giallo” italiano, Milano, Garzanti, 1979; curatore con Renzo Cremante di La trama del delitto. Teoria e analisi del racconto poliziesco, Parma, Pratiche editrice, 1980; e con Elisabetta Camerlo di Delitto per iscritto. Il racconto giallo italiano, Firenze, Palumbo, 1997. 55 L. Rambelli-M. Vichi, Riflessioni sulla scrittura, in «Delitti di carta», anno X, n.7/8, Pistoia, Libreria dell'Orso, novembre 2006-maggio 2007, p. 101. 57 con le nuove generazioni e il confronto con la propria coscienza sono solo alcuni di quegli elementi che avvicinano fra loro i due personaggi, arricchendo entrambi i polizieschi di una carica psicologica che li apre ad una classificazione letteraria meno selettiva. Arcieri e Bordelli presentano connotati comuni ai commissari “italiani” Antonio Sarti56, di Loriano Macchiavelli e Salvo Montalbano, di Andrea Camilleri. Dedizione alla professione e amore per la giustizia non sono gli unici fattori condivisi; rilevante risulta la semplicità dei quattro personaggi che, alle prese con la realtà quotidiana, non hanno nulla dell'eroe. Sono uomini malinconici, spesso provati dai dolori della vita e soggetti a piccoli vizi e passatempi: Bordelli non riesce a fare a meno delle sue sigarette, Montalbano non sa resistere ai peccati di gola, Sarti impazzisce per il baseball, Arcieri si culla sulle nostalgiche note del jazz. Lo stress legato al lavoro, ha provocato in Sarti un'inguaribile colite nervosa, Arcieri accusa una vecchia ferita al ginocchio, Bordelli soffre di acidità di stomaco, Montalbano è fortemente meteoropatico... Nessun malessere è tanto grave da compromettere il rendimento lavorativo; solo il pensiero della vecchiaia, sempre più vicina, allerta e preoccupa i quattro personaggi. Firenze svolge un ruolo di coprotagonista nel romanzo di Bordelli; Bologna, città immorale e sordida, interagisce attivamente con Sarti; la Sicilia irrompe nei dialoghi di Montalbano, ricchi di espressioni dialettali. Arcieri ha un rapporto più complicato con la propria città d'origine: Firenze gli sta a cuore, ma richiama un dolore profondo, quello per la perdita di Elena, amore irraggiungibile. La solitudine e la precarietà dei rapporti sono realtà ben conosciute da ognuno di questi “commissari”, i quali affrontano i mali di una società immorale con piena coscienza dei limiti del proprio operato. Sebbene troppo spesso l'avanzamento di grado viaggi di pari passo con 56 Loriano Macchiavelli (Vergato 1934 - ). Scrittore italiano, autore di pièces teatrali, racconti e romanzi polizieschi con protagonista il commissario Antonio Sarti. Le indagini della bizzarra coppia, composta dall'onesto e tenace Antonio Sarti e dall'extraparlamentare di sinistra Rosas, verranno tradotte in una miniserie televisiva e in fumetto. 58 l'oblio dei sani principi del mestiere e con la tolleranza del compromesso, Arcieri e Bordelli si distinguono per la loro integrità morale. Retti e giusti, si trovano spesso ostacolati dallo stesso sistema per cui lavorano, constatandone i mali interni. Il concetto di giustizia del commissario si scontra più volte con le idee del giudice Ginzillo o del questore Inzipone, solitamente attenti a salvaguardare le apparenze e la reputazione di fronte a personaggi influenti più che a combattere l'illegalità e l'ingiustizia. In Morte a Firenze Bordelli reagisce alla violenza dei metodi d'interrogatorio di un collega, che sta torchiando un giovane anarchico colpevole unicamente di volantinaggio, colpendolo con un cazzotto. Arcieri, dal canto suo, scoprirà troppo tardi il coinvolgimento di Graziosi in entrambe le questioni trattate, le minacce di morte ad Anna e l'attentato al presidente; quando il funzionario del Ministero dell'Interno confesserà al colonnello di lavorare fin dai tempi della guerra per i servizi segreti britannici, Anna avrà ormai perso la vita. Diverso è però, in Vichi e Gori, l'approccio all'intreccio. La trama di Morte a Firenze mantiene toni intimistici e personali che si discostano dalla politicità de L'angelo del fango, decisamente calato in un concreto contesto storico attraverso il frequente ricorso alla citazione di strutture segrete di partito, movimenti clandestini post bellici, scontri a fuoco e tristi episodi realmente accaduti57. Vichi non manca di collegamenti con la storia, soprattutto relativa agli anni della seconda Guerra Mondiale, ma il suo personaggio, più che date e sigle, ricorda volti, corpi, voci e tutto quello che lo ha toccato nell'animo. L'intrico di Gori è palesemente studiato affinché alla fine tutte le maglie della complessa rete d'indagine combacino, mentre Vichi ha sempre decantato il suo minimo intervento sulla trama, lasciando che fosse lei stessa a guidare le redini della stesura dell'opera. 57 La Brigata Nera “R. Manganiello” unità costituita fra il 1944-45 da fascisti fiorentini in onore del federale ucciso dai partigiani e poi riconosciuta ufficialmente da Pavolini, segretario del PFR (Partito Fascista Repubblicano). Il Movimento dei Giovani Italiani Repubblicani , nato nel '41 e volto a rigenerare il Fascismo attraverso il ripristino dell'ideologia originaria al partito. Il PDM una struttura segreta del PFR volta alla ricostituzione del Fascismo dopo l'inevitabile sconfitta. 59 Arcieri e Bordelli hanno combattuto la stessa guerra: il primo come ufficiale di collegamento con gli inglesi, il secondo come capitano della San Marco badogliana; il pensiero guida è comune ad entrambi e consiste nel garantire al paese libertà e giustizia. Nonostante i rapporti fra polizia e carabinieri siano spesso complicati, il nesso temperamentale fra i due personaggi viene suggellato da una serie d'incontri avvenuti in diverse circostanze. In ordine di tempo, Arcieri si presenta alla questura di Firenze in Perché dollari? (1957) chiedendo la discreta collaborazione del commissario per il recupero di un fascicolo riguardante un fascista che era stato intimo di Pavolini. Il momento di presentazione sancisce l'inizio di un'intesa fra i due, che non mancheranno di cercarsi in seguenti difficoltà, confidando l'uno nella professionalità dell'altro. Arcieri, a conclusione di questo stesso racconto, ricambierà il favore accettando di non far sottoporre al controllo dei posti di blocco dei carabinieri un furgoncino segnalato da Bordelli. Acconsentirà solo con la garanzia del commissario di non star commettendo un'operazione che vada contro i più alti principi umani, dimostrando fiducia nei confronti del compagno. Il secondo contatto avviene per telefono in Morto due volte (Firenze 1958). Bordelli chiama il colonnello a Roma per avere, grazie agli archivi del SIFAR, tutte le informazioni disponibili su Antonio Samsa, l'uomo che apparentemente si trova sepolto in due cimiteri. In Musica nera (Hobby & Work, 2008), romanzo di Gori ambientato nella Versilia del '67, Arcieri contatta telefonicamente Bordelli per avere notizie sul proprietario di un immobile a Firenze. Durante l'episodio il colonnello non risparmia complimenti all'amico poliziotto, l'unico che abbia mai conosciuto davvero valido nel proprio mestiere. Infine Arcieri e Bordelli sono contemporaneamente presenti nella Firenze alluvionata. Una notte il colonnello si presenta nell'appartamento in San Frediano del commissario per chiedergli di far visita ad un fascista, legato ad una sua indagine, aiutandolo così nel preparare il terreno all'interrogatorio. Arcieri sa che Bordelli ha in antipatia i fascisti tanto quanto lui e i rispettivi metodi, per metter sotto 60 pressione e persuadere alla collaborazione, non sono immemori della rivalità bellica. Anche stavolta la collaborazione non sarà unilaterale: Bordelli, indagando sul fascista e le sue frequentazioni, si avvicinerà agli assassini di Giacomo. Gli autori hanno elaborato assieme un dialogo plausibile usato poi in entrambi i romanzi, Morte a Firenze e L'angelo del fango. La cooperazione dei personaggi di Vichi e Gori rispecchia, così, quella degli stessi scrittori, entrambi fiorentini e coetanei, non solo legati dai romanzi d'indagine poliziesca, ma anche da altri progetti. Bloody Mary, uscito nel 2008 per la collana Verdenero di Edizioni Ambiente ed edito nuovamente nel 2010 per Einaudi, è un romanzo di ecomafia che denuncia i mali dei giorni nostri e i soprusi ai danni dei più sfortunati. L'obbiettivo comune è mostrare all'individuo, nero su bianco, la drammaticità che lo circonda, invitandolo a non cedere all'abitudine che troppo spesso porta ad assuefarsi all'indifferenza. La storia è stata ideata di getto, in appena un pomeriggio, il lavoro di stesura ha richiesto l'impegno individuale di entrambi, ma soprattutto un'operazione di fusione di due linguaggi e stili; Gori si è cimentato per la prima volta in un'ambientazione attuale, infatti i suoi romanzi sono sempre collocati negli anni '60, cari a lui e all'amico Vichi. 61 II.5 Bordelli in breve Alla serie composta dai quattro romanzi: Il commissario Bordelli, Una brutta faccenda, Il nuovo venuto e Morte a Firenze, si devono aggiungere i racconti Perché dollari?58 e Morto due volte59. Il primo è ambientato nel novembre del 1957, il secondo nell'aprile del 1958; le vicende sono dunque cronologicamente anteriori rispetto a quelle descritte nei romanzi. Diotivede e Rosa, ormai presenze fisse, affiancano Bordelli anche in queste due avventure; Piras, invece, non si trova ancora a Firenze; inoltre manca l'altro amico fidato del commissario, il Maggiolino, auto da cui difficilmente si separa nel corso dei romanzi. Spesso i lettori vengono a conoscenza dei due racconti in seguito alla lettura dei primi romanzi, proprio perché son stati pubblicati dopo, lo stesso Vichi suggerisce di seguire questo ordine di lettura, posticipando i racconti. L'inizio di Perché dollari? apparirà dunque strano all'occhio esperto del lettore: il narratore parla sempre in terza persona, ma il punto di vista usuale, Bordelli, viene abbandonato per presentare la scena attraverso gli occhi di Diotivede. Il medico si trova nel suo laboratorio, quando il commissario lo interrompe chiedendogli a cosa pensi sentendo la parola “Il Pavone”; sono infatti giunte in questura due lettere anonime, con questa scritta composta da lettere ritagliate dal giornale. Grazie all'aiuto dell'amico, Bordelli ricorda una villa settecentesca che porta proprio il nome dell'animale e decide di recarvisi. Per entrare nell'abitazione sarà fondamentale l'aiuto del Botta che, proprio in questo racconto, insegnerà al commissario la fine arte dello scasso, rendendolo capace di aprire i primi due tipi di serrature della sua personale scala di difficoltà: da nulla, rognose, da bestemmia. Il lettore già conosceva il Botta e dava per scontato l'insegnamento impartito al commissario, questo racconto 58 Inserito nell'omonima raccolta, Parma, Guanda, 2005. 59 Inserito nell'antologia AA.VV., Città in nero, Parma, Guanda, 2006. 62 recupera il momento esatto descrivendolo; allo stesso modo presenta Rosa, sempre in attività, dato che la legge Merlin non è ancora entrata in vigore. Bordelli, entrato nella villa, viene accolto da un vecchio che inizia a raccontare una storia; il commissario chiede se finirà bene, ma il vecchio risponde che l'esito dipenderà solo da lui... «Non le conviene, i miei romanzi finiscono tutti male»60. La frase, pronunciata da Bordelli, sembra adattarsi molto allo stesso Vichi che spesso conclude i suoi scritti con una nota amara, lasciando i lettori liberi di reagire attivamente all'elaborazione di un messaggio negativo o scoraggiarsi per la mancanza di un lieto fine. Il vecchio racconta di far parte di un'agenzia di servizi molto particolare la quale dirotta denaro, destinato al commercio d'armi e contrabbando, verso paesi sottosviluppati di Africa e America Meridionale per sostenerne la rivolta armata contro i dittatori. L'aiuto del commissario è necessario per uno spostamento aereo del gruppo, che dovrà avvenire senza controlli né difficoltà. Bordelli conosce in questa circostanza il nome di battesimo di Diotivede, Peppino; è stato proprio il medico a consigliarlo all'organizzazione per la spiccata capacità di discernere le situazioni in cui una legge vada applicata da quelle in cui sia profondamente ingiusto il suo utilizzo. Il vecchio si addentra in un discorso sul futuro, più o meno prossimo, in cui l'uomo dovrà affrontare la carenza d'acqua, l'inquinamento e addirittura arriverà a manipolare embrioni... Una panoramica sul mondo d'oggi, analizzato in ogni sua difficoltà, con occhio critico. Bordelli decide di aiutare questo strano gruppo escogitando un sistema bizzarro: commissiona ad un ladruncolo suo amico otto sai da frate, noleggia presso un convento di suore un pulmino e compra sette biglietti per Casablanca. Dopo una serie di imprevisti il gruppo di falsi frati, tra cui Bordelli, raggiunge l'aeroporto di Roma; i membri dell'associazione partono mentre il commissario torna a Firenze dove, dopo del tempo, arriva il lauto compenso per il buon esito della missione. Bordelli non vuole tenere per sé tutto il denaro e decide di portarlo come offerta alla Basilica di San Miniato, il racconto si conclude 60 M. Vichi, Perché dollari?, TEA, 2007, p. 44. 63 con l'apertura della busta da parte di uno dei frati e la relativa aspettata domanda “Perché dollari?”. Questo primo racconto non affronta una vera e propria indagine, ma il bizzarro incontro di Bordelli con un'organizzazione misteriosa coinvolta in traffici mondiali e, appunto per questo, priva di un'effettiva collocazione temporale e spaziale. I suoi membri sono a Firenze “di passaggio” e contribuiscono a regalarci un divertente spaccato di vita del commissario. Morto due volte, dal canto suo, affronta esplicitamente il problema della corruzione politica. Spesso la società si macchia da sola, attraverso l'immoralità dei magistrati ed una serie di ingiustizie “legali” mascherate e taciute. A rimetterci sono gli umili che Bordelli cerca di aiutare come può: prestando loro soldi, impiegandoli in compiti non strettamente necessari, trovando loro lavoretti di fortuna. Quando però il danno è irreparabile, tenta almeno di fare chiarezza, come accade nel caso di Antonio Samsa. Bordelli, uomo nostalgico e riflessivo, trova conforto alle ansie che lo tormentano passeggiando nei cimiteri della sua città. Li conosce tutti, ha percorso quei vialetti molte volte, navigando in un mare di pensieri riguardanti il lavoro, l'amore, la solitudine e, ovviamente, il corso della vita. Bordelli non teme la morte, con la quale si è spesso confrontato durante la guerra; passeggiare nei cimiteri aiuta a ristabilire le giuste priorità. Sorride davanti agli eccessivi elogi incisi sulle lapidi, a memoria di uomini e donne che spesso tanto impeccabili non erano e immagina la sua tomba con su scritto «Qui giace Franco Bordelli, il quale vorrebbe essere ancora vivo.»61. Durante una di queste camminate Bordelli si trova difronte alla tomba di un uomo il cui cognome, Samsa, richiama un personaggio di Kafka62 e il giorno di nascita, il 2 aprile, il suo stesso compleanno. Bordelli ricorda di aver già avuto quel pensiero, ma non nello stesso cimitero; seguendo la memoria si reca in un altro camposanto 61 M. Vichi, Morto due volte, in AA.VV.,Città in nero, cit., p. 258. 62 Il protagonista del celebre racconto, La metamorfosi, dello scrittore boemo Franz Kafka si chiama Gregor Samsa. 64 dove effettivamente trova una seconda lapide intestata ad Antonio Samsa: stessa data di nascita, ma differente anno di morte. Indubbiamente si tratta di una stranezza, forse un banale caso di omonimia, ma per quanto semplice sia la spiegazione, il maniacale amore per la verità spinge Bordelli ad investigare. Smentita l'esistenza di due Antonio Samsa, l'indagine inizia con l'incontro di Bordelli con la vedova del defunto. La donna racconta che il marito si era suicidato nel '54, anno corrispondente ad una delle due lapidi, dopo lunghe angosce provocate dall'esperienza della deportazione. Samsa era uno degli ebrei sopravvissuti alla fame, alle torture e alle umiliazioni inferte dai nazisti, ma la vita dopo quel momento non era più stata la stessa. Quando la vedova racconta che il marito avrebbe dovuto raggiungere la Svizzera dopo aver sistemato delle faccende, Bordelli immagina volesse mettere in salvo un po' delle sue ricchezze. Qualcosa, però, era andato storto e Samsa era stato catturato. La moglie continua a parlare accennando a Maggini, un amico di famiglia, e allo strano incontro col marito, poco prima del suicidio. Bordelli conosce il nome di Maggini dai manifesti elettorali della DC che tappezzano la città e vorrebbe evitare contatti diretti con la classe politica, che lo ripugna; interrogarlo sembra però l'unica via per risolvere il mistero delle due tombe. Giocando d'astuzia, il commissario ottiene dal politico una confessione che non si sarebbe aspettato. Maggini era figlio di un caro amico di Antonio Samsa, questo lo aveva contattato per farsi aiutare a nascondere una cassa da morto carica di oggetti personali, prima di fuggire dall'Italia. Maggini, convinto che la bara contenesse ben più che lettere e cari ricordi, non aveva resistito al desiderio di arricchirsi facilmente ed aveva denunciato l'ebreo ai fascisti. Per pura vigliaccheria, non aveva voluto far sospettare a Samsa il tradimento e si era fatto arrestare e picchiare assieme a lui. Sbarazzatosi del legittimo proprietario, avrebbe potuto serenamente nascondere la bara per poi attingere all'oro in tempi meno burrascosi. Ecco spiegata l'esistenza di una seconda tomba datata 1943 e recante il nome Samsa: nemmeno l'ideatore del piano originale l'avrebbe mai cercata sotto il proprio nome. 65 Maggini è il personaggio negativo di questo racconto, è un uomo avido, bugiardo, ma soprattutto tanto vigliacco da non sostenere il peso delle proprie azioni. Deve apparire gentile e accomodante agli occhi di tutti: abbassandosi al ruolo di spia coi fascisti che non apprezzano il doppio gioco, fingendo di aiutare l'amico che in realtà sta tradendo ed ingannando la vedova e le figlie della vittima che solo lui avrebbe potuto salvare. Le menzogne sono dirette a tutti, prima e dopo l'arresto di Samsa, poiché Maggini non aveva avuto il coraggio di ammettere le proprie colpe neppure in seguito al ritorno dell'amico dal lager. Bordelli sa che quest'uomo è un politico, probabilmente l'emblema di una cerchia entro cui tutti sono macchiati di corruzione e immoralità... Sapere che nelle mani di questa classe sta il potere di governare il paese è una panoramica desolante. 66 III. QUANDO IL LIBRO NON BASTA Vichi intrattiene con le proprie opere un rapporto dinamico: la trama cresce nelle sue mani, ma arricchisce di contro la personalità dello scrittore; i romanzi e i racconti editi non sono considerati un capitolo chiuso, spesso mantengono agli occhi dell'autore una forza tale da giustificare una rielaborazione attraverso nuovi linguaggi, dal teatro alla musica, dal film al disegno. Vichi è un artista eclettico, collabora alla stesura di sceneggiature, scrive articoli per vari quotidiani e riviste su scala nazionale; ultimamente ha partecipato al progetto L'ingenuo creativo, destinato a ragazzi diversamente abili. Insieme ad alcuni scrittori fra cui Valerio Aiolli, Emiliano Gucci, Valeria Parrella e Rino Gallo ha svolto la funzione di capocantiere nei confronti di una squadra composta da ragazzi pronti a dar prova della propria fantasia in base alle capacità e i mezzi di ciascuno. A loro volta, gli scrittori si sono calati in un gioco tutto nuovo, hanno imparato a stimolare la creatività e la curiosità del team ed hanno sperimentato la forza coinvolgente del lavoro di squadra. Le storie nate grazie a questo progetto, impreziosite poi da illustrazioni fatte dai ragazzi stessi, sono confluite nel libro Arancione -one -one uscito nel 2010 per Sarnus. In calce ad un proprio racconto Vichi annota: «Ho […] capito che scrivere poteva servire a farmi vedere un po' meglio quello che avevo dentro.»63, una simile affermazione denuncia il potere chiarificatore dell'opera nei confronti dell'autore stesso. Esiste uno scambio reciproco fra Vichi e la materia letteraria 63 M. Vichi, Buio d'amore, in AA.VV., Almanacco del Giallo Toscano 2004, a cura di Graziano Braschi e Luca Conti, San Miniato (Pisa), FM Edizioni, 2003, pp. 61-74. 67 e ciò spiega il rapporto che lo lega al proprio personaggio. Bordelli diventa un vero e proprio amico che lo scrittore immagina vivere quotidianamente anche fuori dalle pagine dei romanzi. Nel numero ottobre/novembre 2004 della rivista bimestrale «Il Vitellozzo», nata nello stesso anno per iniziativa di Filippo Bologna e Antonio Leotti, Vichi presenta una brevissima avventura dell'ormai pensionato commissario. La storia si svolge nel novembre del 1970 e si ambienta nelle campagne senesi; Bordelli si è perso e vaga con la sua auto alla ricerca della strada per Firenze. Nel frattempo la sua mente ripercorre gli ultimi tre anni di lavoro, carichi di difficoltà: i primi scontri fra studenti e polizia, il precario equilibrio politico, il potere sempre più forte del partito della DC... La guerra combattuta in prima persona, non era servita a garantire all'Italia giustizia ed equità e il destino appare sempre meno roseo. Vichi regala un brevissimo spaccato di vita del pensionato Bordelli, forse solo un anticipo di un progetto futuro... Recentemente un progetto originale ha impegnato Vichi: la trasformazione in graphic novel del racconto Morto due volte64. Il commissario Bordelli assume le sembianze del fumetto, acquista un proprio volto, in un'avventura riadattata alla forma della “striscia”, pur mantenendo il contenuto della storia. Il disegnatore è Werther Dell'Edera nato a Bari nel 1975; ha dato vita a diverse storie come quelle della serie di culto John Doe e dell'horror-western Garrett: Ucciderò ancora Billy The Kid. Ha inoltre collaborato con numerose case editrici di fumetti americane come Marvel e DC Comics e ha realizzato il graphic novel Dark Entries su testi di Ian Rankin. Esiste un vero e proprio genere che raccoglie i fumetti di stampo poliziesco, spesso le strisce sono ispirate da opere letterarie, filmiche o serie TV che trattano il giallo. Un esempio italiano è Lucarelli che ha visto i romanzi dedicati all'ispettore Coliandro assumere non solo la forma di serie TV, ma anche quella del fumetto. Inoltre il racconto Il delitto di Natale, dove il commissario si 64 Uscito a settembre 2010 per il marchio Guanda Graphic, di Ugo Guanda Editore. 68 chiamava Leonardi, si è poi trasformato in storia a fumetti col protagonista ribattezzato in De Luca. La trama del graphic novel, Morto due volte viene suddivisa in tre parti: il prologo, la prima parte dedicata ad Antonio Samsa e la seconda ad Enzo Maggini. Nel prologo, Bordelli passeggia fra le tombe del cimitero delle Porte Sante, che abbraccia la basilica di San Miniato, la preferita del commissario. Soffermandosi su l'iscrizione di una lapide, ricorda di aver già letto quel nome e quella data di morte, ma non nello stesso cimitero. Effettivamente il nome del defunto, Antonio Samsa, ebreo, è riportato anche su un'altra tomba, ma con differente data di morte, la prima nel '43 la seconda nel '54. Lo strano caso dell'uomo morto due volte incuriosisce il commissario che si lancia in una personalissima indagine senza partire da una denuncia o dalla scoperta di un reato e senza seguire le classiche vie burocratiche, unicamente facendo capo al proprio istinto. Ha inizio la prima parte: Bordelli, dopo gli adeguati controlli all'anagrafe e l'esclusione di un caso di omonimia, interroga la vedova Samsa che conferma la morte del marito per suicidio, in seguito all'orribile esperienza della deportazione, in data '54. Dal racconto emerge un nome: Enzo Maggini, vecchio amico di famiglia, che il commissario sospetta coinvolto nelle stranezze che ancora necessitano di chiarimenti. Nella seconda parte Bordelli incontra Maggini, deputato della Democrazia Cristiana, sebbene ripugni l'idea di aver a che fare con un politico. Interrogarlo sembra davvero l'unico modo per risolvere l'intera vicenda; infatti Maggini, pressato dalle domande del commissario, confesserà un retroscena di violenze e tradimenti difficilmente sospettabili. Per quanto la trama del racconto corrisponda a quella del graphic novel, l'approfondimento dei meccanismi psicologici si adatta molto meglio ad un testo più elaborato rispetto alla nuvoletta del fumetto. A volte la sintesi, necessaria per l'adattamento dalla forma originale a quella illustrata, snatura un po' lo stile di Vichi, che si sofferma moltissimo sulle sensazioni, intuizioni 69 ed elucubrazioni mentali dei personaggi. D'altra parte il potere evocativo del fumetto riesce a rendere l'indagine davvero avvincente. Entrambe le forme presentano dei punti di forza mostrando la stessa storia attraverso l'uso di filtri diversi. L'idea estrosa di affiancare un racconto ad una forma grafica, costituisce un modo simpatico per seguire le avventure di un eroe che non usa super poteri. Fare quel che piace non può che divertire; questo accade a Vichi quando si appresta a fare ciò che più lo aggrada, cioè scrivere: Scrivendo si gioca, è inevitabile. Piccoli giochi riservati a una cerchia ristretta di persone. Si usano nomi di amici per farli sobbalzare quando leggeranno, o magari si usano nomi di persone antipatiche per personaggi odiosi e spregevoli. Ma ci sono anche altri piccoli giochi ancora più riservati, direi quasi intimi, scaturiti da coincidenze che si prestano ad essere alimentate. Il racconto con il commissario Bordelli perché dollari? Non solo si svolge nel 1957 ma è anche uscito nel 2005. Sono nato nel '57 e nel 2005 avevo 47 anni... la stessa età di Bordelli nel '57 (classe 1910). Ma con le storie del commissario è nato anche un altro gioco, all'inizio per caso e poi volontario: nel primo romanzo non si sapeva il nome di battesimo di Bordelli, che è apparso nel secondo romanzo. Nel terzo romanzo è arrivato il nome di battesimo di Piras, il suo giovane aiutante sardo, e nel racconto Perché dollari? (la quarta storia) si trova il nome di Diotivede, il medico legale. Ci sono altri giochi ovviamente, che non possono essere rivelati. I romanzi sono un piccolo mondo di cui lo scrittore è il dio che riesce, in mezzo al libero arbitrio dei personaggi, a piazzare qualche elemento personale, per gioco o magari per avere la sensazione che non vada perso.65 Nonostante ciò, Vichi non permette mai che le sue storie perdano naturalezza e spontaneità; se a Bordelli è stato sufficiente l'aiuto della mano dell'autore per raccontarsi e Vichi si è lasciato trasportare dal flusso della storia del commissario, così accade con tutti gli altri personaggi. Rosa, Piras, Diotivede, il Botta, Totò non svolgono il ruolo di comparse nei romanzi, ma si 65 L. Rambelli-M. Vichi, Riflessioni sulla scrittura, cit., p. 105. 70 trasformano in compagni di viaggio per Bordelli e per il pubblico, che si sentirà avvolgere da un'atmosfera reale e familiare. Coinvolgere il lettore nella vicenda, tanto da riuscire a fargli dimenticare di avere in mano un libro, è lo scopo postosi da Vichi, ma in generale da ogni autore. Comunicare emozioni, esser in grado di infondere sensazioni forti e durature, questo è proprio del bravo scrittore. Condividere col lettore la gioia e i sentimenti del momento creativo, la messa nero su bianco di una storia, è come invitarlo ad entrare nel proprio mondo. Apprezzare un libro e definirlo buono non significa, solo, ricordarne la trama esatta dopo anni dalla prima lettura, ma associare ad esso un turbamento. Leggere e non venir minimamente toccati dalla materia trattata, può sì denunciare un forte disinteresse verso l'argomento, ma anche render conto dell'incapacità dello scrittore a coinvolgere e appassionare. Percepire le ansie di Rascolnikov, osservare l'orizzonte con la dignitosa rassegnazione dell'ufficiale Giovanni Drogo, vivere la solitudine angosciante del barone Cosimo Piovasco di Rondò; provare queste sensazioni e serbarle vive nel proprio animo, costituisce la conferma del successo di un'opera. Vichi aspira a questo: trattare in modo verosimile della realtà affrontando la vita nei suoi aspetti più crudi e concreti, appassionare alla verità senza promuovere false speranze. Spesso la critica accusa i suoi finali, decisamente non lieti, di mancare di costruttività, ma Vichi non vuole inserire nei romanzi una morale classicamente istruttiva; l'intento è provocare una reazione, di qualunque genere si tratti, attraverso l'attestazione della natura umana, molto più spesso cattiva che rosea. Facendo “arrabbiare” il lettore, Vichi, spera di aiutarlo a prender coscienza delle ingiustizie che si compiono ogni giorno e di generare in lui lo stimolo indirizzato al cambiamento e miglioramento della situazione. L'affermazione di Massimo Siviero «il romanzo d'evasione diventa allora romanzo d'invasione delle coscienze addormentate: deve scuotere più che divertire»66, rispecchia perfettamente il 66 M. Siviero, Come scrivere un giallo napoletano - con elementi di sceneggiatura, Napoli, Graus, 2003. 71 pensiero di Vichi. Non vuole deprimere né annientare la speranza di un futuro migliore, ma mostrare quella componente oscura ed a tratti animale, che è connaturata ad ogni essere umano, con la quale tutti devono imparare a convivere. Vichi descrive l'incontro più temibile che l'uomo debba affrontare, quello con sé stesso e lo fa in diverse occasioni. Nel romanzo d'esordio, L'Inquilino, Carlo si scontra con Fred, sregolato e pronto a sacrificare al proprio tornaconto chiunque; la logica sembra suggerire di prender le distanze da un tipo così, ma in realtà Fred non è altro che l'altra faccia di Carlo. Il brigante raccoglie le testimonianze di quattro assassini, radunati attorno a Frate Capestro, autentico simbolo del Male. Gli uomini sono istigati a testare la loro vera natura da una voce misteriosa, durante la notte; le prime luci dell'alba non saranno sufficienti a diradare le ombre, la meschinità dell'uomo si è manifestata in tutta la sua brutalità e nessuno può sfuggire a sé stesso. La semplicità di Mario Rossi sembra davvero confermare il titolo del romanzo di cui è protagonista, Un tipo tranquillo, ma anche in questo caso il conflitto interiore porterà allo scoperto quel volto mostruoso che, spesso, si cela dietro una calma apparente. La presenza in noi di una forte componente violenta non viene taciuta, riconoscere il forte fascino che il male esercita può rappresentare il modo migliore per incanalare e controllare questo istinto primordiale. 72 Marco Vichi, Morto due volte, graphic novel, pp. 90-91 73 BIBLIOGRAFIA OPERE DI MARCO VICHI Romanzi L'Inquilino, Parma, Guanda, 1999, poi, ivi, 2009, con diversa copertina. Donne Donne, Parma, Guanda, 2000, poi, ivi, 2008, con diversa copertina e separazione dal testo della sezione “Le donne di Filippo Landini”. Il commissario Bordelli, Parma, Guanda, 2002, poi, Milano, edizione speciale “Grandi detective TEA”, 2005, poi, Milano, Superpocket, 2007. Una brutta faccenda, Parma, Guanda, 2003, poi, Milano, TEA, 2005. 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