DEL POPOLO ce vo /la .hr dit w.e ww palcoscenico An no IV • n. 4 08 • Martedì, 1 aprile 20 Sipario UN CAFFÈ CON... Maurizio Micheli Pagine 2-3 LA RECENSIONE Il contrabbasso Riva i druxi Non si paga Pagine 4-5 ALFATEATRO P come... Q come... Pagina 6 TEATRALIA Giornata mondiale Pagina 7 NOTES Aprile nelle CI Pagina 7 CARNET PALCOSCENICO Il cartellone del mese Pagina 8 2 palcoscenico Martedì, 1 aprile 2008 UN CAFFÈ CON... T rieste. Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia. Incontriamo Maurizio Micheli all’interno del nuovo bar aperto al piano terra del Politeama Rossetti, spazio un tempo adibito ai laboratori per le scene. Ora sui muri campeggiano le gigantografie di grandi attori del passato e di tanti che ancora quotidianamente aspettano che si apra il sipario. Molti di questi hanno esordito anni fa, alcuni come Maurizio Micheli negli anni ’60, gli anni della contestazione, del grande cambiamento sociale, in cui tutto doveva essere serio, riflessivo, ponderato e soprattutto dibattuto. Il teatro era impegnato. Maurizio Micheli crebbe in questo contesto, al Piccolo Teatro di Milano, quello di Strehler per intendere, ma diventò noto al grande pubblico all’inizio degli anni Settanta, ironia della sorte, grazie al personaggio, da lui ideato, di Nicola di Mola, il dj di Radio Bitonto Libera, innamorato perennemente della brunetta dei Ricchi e Poveri. Nicola era una macchietta che faceva il verso alle numerose stazioni radiofoniche indipendenti che sorsero in Italia in quel periodo. Passato di conseguenza al genere comico, nel 1977 recitò nel film Allegro non troppo di Bruno Bozzetto. Sul grande schermo Micheli ha lavorato soprattutto con Sergio Corbucci, “Sono un fenomeno paranormale” del 1985, “Rimini Rimini” e “Roba da ricchi” del 1987 e con Steno, “Mani di fata” del 1983, “Animali metropolitani” del 1987. Ma è con “Il commissario Lo Gatto” (1986) di Dino Risi che divenne molto popolare. Dagli anni Novanta si è dedicato quasi esclusivamente al teatro, limitando l’attività cinematografica a qualche sporadica apparizione. Con gli spettacoli recenti, “Un paio d’ali” e “La Presidentessa”, protagonista assieme a Sabrina Ferilli, è stato anche sul palcoscenico del Rossetti. Ma se andiamo più in là negli anni scopriamo che sempre a Trieste si presentò in scena con “Mi voleva Strehler” nel 1980, e con Dario Fo nel 1982 ne “L’opera dello sghignazzo”. Maurizio Micheli non dimostra tutti gli anni di vita e di carriera che ha sulle spalle. Magro, serioso, ironico, a vederlo di persona non svela le sue qualità artistiche, anzi si direbbe che il suo mestiere sia un altro, un lavoro “normale” direi. Ora è in tournée con “Il contrabbasso”, testo serio ma che lui rende divertente, per la seconda volta, in quanto incontrò Süskind, l’autore, già molti anni fa in un’edizione per Spoleto? Io volevo fare l’attore drammatico, facevo teatro universitario e la scuola del Piccolo Teatro, sperando di diventare Albertazzi, poi mi sono accorto di avere una vena comica Maurizio Micheli palcoscenico 3 Martedì, 1 aprile 2008 di Rossana Poletti i, lo spettacolo debuttò a Spoleto nel 1985. L’ho ripreso perché è stata la prima volta che ho fatto una parte drammatica e grottesca, in uno spettacolo che attiene più al dramma che alla farsa e alla commedia brillante. Ho l’età più giusta per fare un personaggio così, sul finire della sua carriera o perlomeno che si considera finito. Come nasce l’incontro con Süskind e la forza di questo testo, che ancora oggi racconta le nevrosi dell’uomo moderno? Ho accentuato la condizione di questo uomo, facendolo passare per un italo-tedesco, ed evidenziare così la solitudine dell’emigrato, un po’ come Manfredi, emigrato in Svizzera, nel film Pane e Cioccolata (ndr. il protagonista di questo spettacolo è un musicista che suona il contrabbasso nell’orchestra di stato tedesca, Micheli lo mette in scena con il nome di Tricarico, facendolo così passare per un emigrato di seconda generazione, che però non vuole riconoscersi come italiano). Il personaggio non mi somiglia minimamente, io amo stare in mezzo alle persone, non vivrei in una stanza isolata acusticamente. Mi somiglia forse in certi meccanismi comici. Per far ridere il pubblico bisogna avere delle qualità, la comicità nasce dal dramma, bisogna che ti capitino delle cose drammatiche che possono far ridere il pubblico. Questo personaggio è un poveraccio, non conosce nessuno, non sa dove andare, suona uno strumento che non lo soddisfa, anche se a tratti lo adora, ama una donna che non l’ha mai visto, lei sta sul palcoscenico lui in fondo alla buca dell’orchestra. Non mi somiglia, ma ho ben chiari i suoi lati drammatici e contemporaneamente divertenti. Le opere famose di Süskind S sime da leggere ma sono impossibili da interpretare. Quindi ho dovuto lavorare molto su questo aspetto, per adattare al recitato il pensiero dell’autore. e carne e pesce In un’intervista ti definisci né carne né pesce, essendo troppo serio per essere attore comico, troppo autoironico per crederti fino in fondo nella prosa, in real- Mettersi in bocca quello che un altro ha scritto non sempre è facile. Ci sono delle pagine che sono indicibili, in quanto l’autore è molto letterario, una cosa è la letteratura un’altra il teatro. Ci sono pagine che sono bellissime da leggere ma sono impossibili da interpretare tà possiedi una versatilità che ti permette di fare tutto, anche l’operetta (ndr. Maurizio Micheli ha partecipato anche al Paese dei Campanelli nell’ultimo Festival Internazionale dell’Operetta di Trieste). In tutte queste dimensioni, quale ti fa sentire più a tuo agio? Io, se potessi scegliere, farei sempre spettacoli comici, con un minimo di contenuto e di indagine psicologica sui personaggi, con però una vena di malinconia, perché così mi sento io. Ad esempio in “Mi voleva Strehler”, scritto con Umberto Simonetta, che faccio dal 1978, è esattamente questo. Un attore deve fare un provino con il grande maestro e passa la notte precedente a provare. Egli lavora in uno squallido cabaret della periferia di Milano negli anni ’70, ma, come tutti gli artisti di quell’epoca, sogna l’incontro con Strehler. Nessuno di noi sognava Broadway, noi ave- Sto male se il pubblico non ride e io ringrazio chi mi viene a vedere: pochi o tanti vengono sperando di ridere: io non posso tradirli sono due: “Profumo” è la più conosciuta, di cui è stato fatto un film due anni fa, che non è andato bene. Peccato perché era un film proprio bello. L’altra opera sua è “Il Piccione”. Leggendole ti rendi conto che il tema della solitudine in lui torna sempre. In Profumo, il protagonista è un mostro che nasce senza odore e sente tutti gli odori del mondo, nel Piccione è una guardia giurata che non vuole che gli capiti mai niente di diverso nella sua giornata, programmata fino all’ossessione. Finché un bel giorno gli entra un piccione dalla finestra e da quel momento la sua vita diventa un inferno, al punto da non farlo più tornare in casa. Credo che anche Süskind viva isolato, totalmente lontano dalla notorietà. Le suo opere in qualche modo raccontano di lui. Com’è stata quindi l’esperienza di mettere in scena questo testo? Mettersi in bocca quello che un altro ha scritto non sempre è facile. Ci sono delle pagine che sono indicibili, in quanto l’autore è molto letterario, una cosa è la letteratura un’altra il teatro. Ci sono pagine che sono bellis- mo che è una spalla comica, lui ha i suoi effetti comici. Se fossi cattivo come erano cattivi i vecchi attori, gliela leverei la sua battuta comica, perché in realtà lui usa una sua comicità, fa ridere il pubblico e io prendo fiato. La comicità è tutta costruita a tavolino, battuta, risposta, pausa, effetto, poche cose si aggiungono così di getto, spontaneamente. È difficile far ridere, e talvolta non vamo in mente il Piccolo Teatro di Milano. Questo è il mio ideale di spettacolo, che faccio ancora, che mi rimane dentro; grandi effetti comici ma con contenuti, non solo acqua fresca, non solo farsa pura. Il mio obiettivo principale è far ridere il pubblico. Se il pubblico non si diverte io soffro moltissimo. Pochi fanno teatro comico oramai, come lo concepisco io, con la vena malinconica, ovvero comico pensante. una spalla per ridere e sostenere Lavorando con un partner, in questo spettacolo giovane e peraltro quasi muto, quali sono gli accorgimenti che l’attore usa. Che cosa ci puoi svelare? Gli autori di testi comici, come “Le Pillole d’Ercole” che ho recentemente allestito con il mio attuale giovane partner Federico Vigorito, Hennequin, Bilhaud, Feydeau, i francesi degli inizi del ‘900 erano dei grandi costruttori di trame comiche. Con Federico ci comprendiamo alla grande, ridiamo delle stesse cose, abbiamo gli stessi tempi. Federico non è una vera e propria spalla, dicia- ci si riesce. Ricordo un fatto accaduto a Roma, la prima volta che feci questo spettacolo all’agente letterario dissi: “speriamo che il signor Süskind venga a vederci” e lui mi rispose “meglio di no”. Chissà probabilmente non si sarebbe riconosciuto in quello che noi avevamo realizzato. la geografia del pubblico E l’apporto del pubblico pesa in questo senso? Tutte le sere, io potrei tracciare una mappa delle reazioni del l’orchestra, come nell’operetta, lì ci sono cinquanta persone che vanno avanti e tu magari resti indietro, con le basi sei terrorizzato perché quella è una macchina che va, indipendentemente da tutto. Nella prosa hai sempre paura di non ricordare la parte. A Spoleto al debutto del Contrabbasso nel 1985, con i giornalisti di tutto il mondo e il grande Menotti presenti in sala, a metà del mio monologo dimenticai la parte, un vuoto totale, era tanta la tensione che non riuscivo a ricordare niente; allora finsi di dover andare in bagno, il personaggio beve molta birra e quindi trovai la scusa di dover fare la pipì e, uscito fuori di scena, col copione il regista mi disse come andare avanti. Il suggeritore c’era una volta nelle compagnie di giro, perché c’era il repertorio. Le compagnie stavano ferme magari tre o quattro mesi in uno stesso posto e allestivano fino a sei, sette commedie. Gli attori non ricordavano tutte le battute, dovendo passare da un testo ad un altro, senza avere il tempo di provare a lungo come accade oggi, e quindi il suggeritore lì nella buca, che oggi non esiste più, dava le battute. Per un periodo si usò il suggeritore durante le prove, negli ultimi dieci giorni, e poi durante lo spettacolo stava in quinta. Oggi io metto in scena uno spettacolo e con quello giro per tre o quattro mesi, si capisce che non ho bisogno di quella figura. È mai venuto un vero contrabbassista a vedere questo tuo spettacolo? Il nord è più disponibile; far ridere al sud è più difficile, Napoli poi non ne parliamo, Bari non fa testo, la Sicilia poi... pubblico italiano. Il nord è più disponibile, noi attori siamo più contenti di andare al nord. Far ridere al sud è più difficile, Napoli poi non ne parliamo, a meno che non si facciano cose in dialetto, Napoli è un continente, ridono delle loro cose. Bari non fa testo perché pur essendo livornese ho vissuto tanto tempo lì e quindi sono di casa, in genere però anche i pugliesi ridono solo delle loro cose, possibilmente dialettali. In Sicilia non ne parliamo, voi direte è un’isola, ma anche la Sardegna è un’isola e pure lì ridono. Chissà perché! È un mistero. attore? “matto” aiuta Le rivalità i tic dei protagonisti, com’è il mestiere dell’attore? Chi fa l’attore deve essere un po’ matto, “io a teatro non vado più, non ne posso più di vedere ogni sera uno che finge di essere un altro”, diceva un noto autore, scrittore e commediografo. Se si va d’accordo tra colleghi però grandi problemi non ci sono. Io cerco di fare compagnia con gli amici. Se capita di lavorare però con persone che non sono amiche tue, possono esserci rivalità. Per il resto poi è tutto uguale come nella musica, nella prima hai paura, moltissima paura perché temi di dimenticare, e nelle commedie musicali è particolarmente dura perché devi cantare, sei spaventato se canti con È venuto uno di fama europea, di cui non ricordo il nome, l’altr’anno all’Eliseo di Roma, mi ha detto che alcune cose sono completamente false, però è rimasto colpito dal personaggio, si è immedesimato, ha pianto e riso fino alle lacrime. Il contrabbasso non sta in fondo all’orchestra, è l’ultimo degli strumenti a corda, ma non sta in fondo (in culo, come dico io) all’orchestra. Qualche bugia c’è. un giorno sarò Albertazzi Quando ti sei accorto del tuo talento? Io volevo fare l’attore drammatico, facevo teatro universitario e la scuola del Piccolo Teatro, sperando di diventare Albertazzi. Non dico proprio lui, ma quella era la mia direzione. Quando ho incontrato Albertazzi gliel’ho anche detto. Portai all’esame una pezzo che faceva lui di Dante, il sonetto “Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io fossimo presi per incantamento...”. Poi mi sono accorto che avevo una vena comica e così ho cominciato a fare parti che facevano ridere e non ho più smesso. E non potrebbe che essere così, sto male se il pubblico non ride, per me è una grande responsabilità. So che quelli che vengono a vedermi (li ringrazio ogni giorno, perché il teatro non esiste senza il pubblico), pochi o tanti vengono sperando di ridere, io non posso tradirli. 4 palcoscenico Martedì, 1 aprile 2008 Martedì, 1 aprile 2008 Il contrabbasso Riva i druxi, la nostra storia amara Quando Pola incontrò Pula “Riva i druxi”. È l’anno del Signore (in senso metaforico, perché, mica tanto del Signore, considerata l’ideologia) 1947: la guerra è finita, comincia quel sofferto dopoguerra fatto di scombussolamenti sociali, politici, economici, demografici, sociali, linguistici Il “Toscana” parte, ritorna, riparte, ri-ritorna… per la popolazione italiana è esodo e “riva i druxi”. A forze congiunte, Dramma Italiano di Fiume e Teatro Popolare Istriano di Pola, hanno portato in scena “Riva i druxi”, adattamento teatrale di Lary Zappia (con la benedizione dell’autore) del romanzo e dramma di Milan Rakovac, Riva i druxi, appunto. Sottotitolo, “La nostra storia amara”, ma in effetti si tratta di un concatenarsi di storie amare, un amarcord recitativo su scenografia ed effetti luce più moderni, amalgamati in un palcoscenico che mette a disagio. Segno che giochi di luce e ambiente reggono. Quando Pola incontrò Pula. Per chi va, c’è chi viene, e non sempre il dialogo è facile, a volte capirsi non è solo questione di lingua (a dire il vero, nell’incontro sul palco, per l’impostazione, per un po’ si è rasentato il pericolo del forza- to, quasi grottesco, ma forse è solo sensazione). Ma è storia un po' difficile da trattare, compromettente per paure di lasciar andare l'ago della bilancia. Ma non vuole essere cronaca, bensì teatro. Pur trattando cronaca, anzi, storia. La storia si evolve attraverso Grgo, un ragazzino che arriva a Pola con la madre dopo che il padre è andato sottoterra e la terra alla cooperativa. Situazioni vissute, che la platea (non i più giovani) ben conosce, come conosce quell’impasto di lingue e dialetti, di incomprensioni, di sguardi spesso indagatori e sospettosi (la nostra storia amara, no?). Dicevamo l'ambiente. Una'enorme impalcatura, dodici gabbie (quelle nelle quali l'uomo vive la propria esclusività o solitudine?), una sorta di "radna akcija" costante (parola d'ordine, "takmičenje"). Grande resa degli attori, lodi a luci e scenografia. E lodi a Zappia. Un altro "Riva i druxi". Fa testo... il testo, il libro della pièce con entrambe le versioni, quella di Rakovac e quella di Zappia. Non ce ne voglia Rakovac, ma dal confronto, Zappia, ci sembra ne esce meglio. (Cierre) Sotto paga, non si paga! Un carrello... spesato per protesta Trieste. Teatro La Contrada. C’è tutta l’anima contestataria e ribelle alle regole di una società che stritola i più poveri nello spettacolo di Dario Fo, che ha appena debuttato al Teatro Orazio Bobbio di Trieste. “Sotto paga! Non si paga!” è la rivisitazione in chiave attuale della commedia che nel 1974 generò un fatto di cronaca. In quell’anno “Non si paga! Non si paga”, questo era il titolo allora, era ispirata dal crescente malumore della gente che andando a fare la spesa si sentiva rapinata dai commercianti e dai prezzi in continua crescita e quindi, ad un certo punto, si sentì in diritto di pagare la metà di quanto stava scritto sullo scontrino. Alcuni mesi dopo alcuni presero d’assalto due supermercati e fecero nella realtà quanto Dario Fo aveva suggerito sulle scene. Solo alcuni anni più tardi l’assalto proletario sarebbe diventato arbitrario strumento di lotta politica per mano di gruppi estremi, che al furto aggiungevano anche il danneggiamento. E la provocazione intellettuale, divertente e sfrontata perdeva i toni dell’ironia per trasformarsi in violenza gratuita. L’azione teatrale di Fo è invece provocazione politica, giocata sul filo delle parole e delle azioni di scena. Spassosissima perché l’autore sa esserlo come pochi, perfettamente eseguita da attori collaudati nel comico come Marina Massironi e An- tonio Catania, ma anche dai loro compagni d’avventura Marina De Juli, Renato Marchetti e Sergio Valastro. La storia è sempre la stessa, i costi aumentano ogni giorno che passa, per mangiare non si pagano le bollette della luce, il mutuo della casa o l’affitto, il lavoro scarseggia e ne fanno le spese le donne, le mogli, che sempre più frequentemente sono costrette a lavori precari, mal pagati sotto il ricatto continuo del licenziamento. Finché un giorno avviene quanto già descritto, le donne vanno al supermercato, si infuriano per l’ennesimo strepitoso aumento e decido di prendersi la spesa pagando quello che ritengono giusto e in qualche caso anche niente. Per il quartiere, povera periferia di Milano, destinata ad essere buttata giù per far posto a qualche speculazione di lusso, girano donne incinte in numero spropositato, perché all’annuncio dell’arrivo della polizia, c’è il fuggi fuggi a nascondere la “refurtiva”: pane, pasta, latte e scatolame vario che finisce a mo’ di pancione sotto i cappotti, anche di giovanissime adolescenti. In casa dei nostri protagonisti ne avvengono di tutti i colori, perché lei (Marina Massironi), stanca ed estenuata dalle difficoltà che la famiglia affronta, arraffa tutto quello che può pur di mangiare, anche una scatola di miglio per uccellini, carne in sca- tola per cani e teste congelate di coniglio. Il marito invece è un integerrimo operaio sindacalista (Antonio Catania), inquadrato nel sistema delle regole legittime; i soprusi e le diseguaglianze si combattono con il meccanismo dell’organizzazione sindacale, di rappresentanza dei partiti e delle maggioranze e opposizioni, quello che oramai nella nostra società molti indicano come un gran fallimento, e su cui Dario Fo in particolare punta il dito, deridendo quella sinistra che è diventata realista e conservatrice, “serva dei padroni”, figlia di una politica incapace di cogliere i veri sentimenti e le autentiche ispirazioni alla libertà del popolo, proiettata piuttosto agli affari e alla finanza. Non mancano ovviamente i riferimenti al caso Unipol, alla scalata alle banche, alle intercettazioni fatte affondare o perlomeno minimizzate. La farsa, strumento espressivo forte di Fo, si gioca attorno alla necessità di nascondere al marito la spesa introdotta in casa, complice l’amica, facendogli bere di aver comperato il cibo per animali, che lui ha scoperto per caso, solo perché non possono spendere di più. Fatto peraltro che accade sempre più frequentemente nella realtà, soprattutto tra gli anziani più poveri. Raccontando all’ignaro marito come l’amica sia stata incinta e abbia nascosto la pancia, apparsa all’improvviso, sotto pesanti bendature, per evitare il licenziamento, lasciandone all’oscuro anche il marito. Le gag popoleranno poi l’azione con la comparsa di un poliziotto, ispirato all’idea delle forze dell’ordine “figlie del popolo”, per la cui affermazione Pasolini negli anni ’70 subì non poche critiche all’interno della sinistra. Lo stesso divente- rà poi carabiniere, autista delle pompe funebri e padre del protagonista, facendo di questa trasformazione un pezzo di teatro nel teatro, su cui si giocheranno le battute più divertenti dello spettacolo. Non ci può essere lieto fine in questa storia, perché non c’è neppure nella realtà e Dario Fo lo sa bene. (rp) Solitudine e psicosi dell’epoca contemporanea Di Rossana Poletti TRIESTE – Maurizio Micheli ci aveva abituato ai recenti spettacoli teatrali leggeri, con la Ferilli, quali “Un paio d’ali” e poi “La presidentessa”, dopo anni di personaggi comici televisivi che l’avevano reso famoso. I meno giovani ricorderanno sicuramente la macchietta del DJ Nicola di Mola di Radio Bitonto Libera, innamorato perennemente della brunetta dei Ricchi e Poveri. Ma anche i tanti film comici degli anni ’70 e ’80, tra cui “Sono un fenomeno paranormale” e, forse più noto, “Il commissario Lo Gatto” di Risi. Con “Il contrabbasso” invece Micheli riscopre la sua formazione più seria; teatralmente si formò infatti in ruoli drammatici al Piccolo Teatro di Milano. Non che questo testo non sia divertente, anzi è spassoso, pur cimentandosi in un tema alquanto triste, quale la solitudine e le psicosi dell’epoca contemporanea. Ma la stoffa recitativa del protagonista è diversa dal comico a cui ci aveva abituato. Egli regge per un’ora e un quarto un colloquio, che è sostanzialmente un lungo monologo, con botte e risposte. La spalla è un giovane ragazzo, figlio della portinaia, piuttosto ignorante, a cui sono concesse poche e significative espressioni facciali di stupore o di vuota inconsapevolezza, che consentono appunto la risposta alla battuta che Micheli, il professore, si era posta. Il professore è un contrabbassista impiegato nell’orchestra di stato tedesca. Egli passa, nel corso del suo sproloquiare, dall’esaltazione del suo strumento, considerato il più importante al mondo, anche più del direttore d’orchestra. “senza – dice – l’orchestra sarebbe come Babilonia, Sodoma”, per concludere con l’esecrazione più feroce: “Ultimo in fondo, nel culo dell’orchestra, sta il contrabbasso. Solo il timpano è dietro, ma quello tutti lo vedono e lo sentono”. Il contrabbasso è però solo la scusa per trattenere il ragazzo, avere qualcuno con cui parlare, raccontare la propria devastante solitudine, l’incolmabile disperazione che questa condizione gli impone. Mostrandogli le foto della famiglia gli dice “Questa è mia madre, che ama mio padre, che ama mia sorella e nessuno ama me”. Ma anche una feroce digressione sulla sua frustrazione personale di compositore fallito, arrabbiato nero con gente della risma di Wagner, butterato e violento, o con Mozart che ha avuto una porca fortuna. Egli si è chiuso vivo in un appartamento imbottito contro i rumori. Non lo sentono fuori e neanche lui sente ciò che accade al di là dei pannelli fonoassorbenti. La sua vita scorre senza una donna, ma ne ama disperatamente una, Sara, la giovanissima cantante. “Sembra incredibile che una voce così vada a mangiare il pesce ogni sera con i cantanti” senza accorgersi di lui, che vorrebbe gridare dal fondo del palcoscenico il suo amore per lei, senza temere le conseguenze del folle gesto. Ma il suo grigiore ha ormai divorato anche il più piccolo briciolo di coraggio e così il grido gli muore in gola, quando le luci si spengono e il direttore d’orchestra dà l’avvio alla musica. 5 6 palcoscenico Martedì, 1 aprile 2008 ALFATEATRO Personaggi del palcoscenico dall’A alla Z «P» come... «P» come... ...Pierrot La maschera di Pierrot nasce in Italia verso la fine del Cinquecento, ad opera di Giovanni Pellesini, attore della Compagnia dei Gelosi. Il suo personaggio di nome Pedrolino era una variazione sul tema dello Zanni, il servo, di cui indossava l’abito bianco e ampio. Servo accorto e fidato, pronto a intessere imbrogli che poi districava con grande abilità, per trarre d’impaccio il proprio padrone, Pedrolino era un personaggio forte, di primaria importanza nell’economia della commedia. Il personaggio seguì i Gelosi in Francia, dove ebbe immediato successo, entrando a far parte degli scenari delle Compagnie francesi con il nome di Pierrot. Nella versione francese Pierrot perde gran parte della sua astuzia, conservando solo l’onestà e l’amore per la verità, spinto a volte fino all’eccesso. Dopo un periodo di declino il personaggio tornò in primo piano grazie all’interpretazione del mimo Jean-Gaspard Debureau (1796-1846), che gli infuse nuova energia, impersonandolo dal 1826 al Théâtre des Funanbules. Debureau definì il costume che dopo di lui fu tipico di Pierrot: un ampio abito bianco formato da casacca e pantaloni, ornato da bottoni neri, una piccola coppolina nera sul capo e il viso imbiancato. ... Pulcinella Pulcinella è una delle maschere più note della tradizione italiana meridionale. La sua origine risale al Seicento, essendo la sua presenza documentata da diverse raffigurazioni dell’epoca. L’abito di scena richiama quello dello Zanni, con l’ampio camicione bianco stretto dalla cintura nera tenuta bassa sopra i calzoni cadenti. La sua maschera è nera, glabra, con gli occhi piccoli e il naso adunco, che dava alla voce degli attori una caratteristica tonalità stridula e chioccia. Alcuni attori e burattinai utilizzavano un particolare strumento detto “sgherlo” o “pivetta”, per accentuare questa caratteristica della voce. Alla voce e al naso a becco sembra essere legato anche il nome pulcinella, da “pulcino” (solo che il Nostro è un po’ sgraziato). Il carattere del personaggio richiama quello dello Zanni. Servo sciocco e insensato, a volte si ritrova, inaspettatamento dosi di arguzia e buon senso popolare. In lui si mescolano un’intensa vitalità ed un’indole inquieta, triste e sempre pronta a stupirsi delle cose del mondo. «Q» come... «Q» come... Quando si dice destino avverso! Nato brutto, bruttissimo, deforme, abbandonato per questo dai genitori in chiesa e sia quel che sia, Quasimodo cresce brutto ma buonissimo: quello che al corpo è stato negato, lo ha avuto il cuore, insomma. Ma anche il cuore è destinato a soffrire: per la bella Esmeralda che vive in una tribù di zingari alla periferia di Parigi, la Corte dei Miracoli. Un amore tragico, quello del campanaro gobbo di Notre Dame per la bellissima, contesa tra Frollo (arcidiacono di Parigi) e Febo, capitano delle guardie del re. La storia è nota: Esmeralda accetta di incontrare Febo che le fa la corte, l’arcidiacono che li spia nella stanza nascosto dietro la tende, cieco di gelosia pugna- la Febo e meschinamente scappa. La ragazza viene trovata accando al corpo di Febo (ferito, poi si riprenderà e sposerà una ragazza ricca) e dichiararla colpevole è un attimo. Per la sfortunata gitana sarà carcere, tortura e condanna a morte. Quasimodo, rischiando la vita, la rapisce per salvarla e la porta in Notre Dame. Torna, da cotroaltare, il “cattivo”, Frollo (il fatto che sia uomo di chiesa, non importa): le fa la corte, Esmeralda rifiuta e lui la consegna ai gendarmi. Per Esmeralda è la morte certa, ma anche per Frollo che Quasimodo lancia dalla torre della cattedrale. Ma muore anche il brutto ma buono Quasimodo, accanto alla tomba della ragazza che ha tanto, inutilmente, amato. Povero, nobile, campanaro. ... Quasimodo L’origine della maschera è sicuramente veneziana, come il dialetto nel quale si esprime. Più incerta è la storia del suo nome: alcuni vi ravvisano il termine “pianta leoni” con cui venivano chiamati i mercanti veneziani che erano soliti ergere il vessillo raffigurante il Leone ovunque si recassero per commerci; altri invece ritengono che il nome derivi dai pantaloni indossati dal personaggio fin dai primi esordi nella Commedia dell’Arte. Comunque sia, il costume appare fin da subito catterizzato da lunghi pantaloni attillati di colore nero, una giubba rossa, una lunga zimarra nera, le pantofole ed una maschera dal lungo naso a becco. Un corto spadino e la borsa contenente i denari (la “scarsela”) completano l’abbigliamento del personaggio. Il carattere è estremamente vitale e sensuale, caricatura del mercante mediamente anziano, ancora attratto dalle grazie delle giovani donne, spesso in conflitto con i giovani per procurarsene i favori. Goldoni smorzò fortememte i contrasti di questo carattere, facendone soprattutto un vecchio assennato e saggio, il cui buon senso modera spesso gli entusiasmi dei giovani. palcoscenico 7 Martedì, 1 aprile 2008 TEATRALIA Giornata mondiale NOTES Aprile nelle CI Robert Lepage: “Teatro, reinventati” CI BUIE 4 aprile ore 19 concerto umanitario con la partecipazione dei gruppi della CI 11 aprile ore 19,30 presentazione del libro di Gabriella Chmet “Libera” 12 aprile, ora da definire rassegna delle Filodrammatiche delle CI 27 aprile ore 17 incontro dei gruppi giovanili delle CI “Bimbi allegri” CI DIGNANO 2 aprile ore 19 alla Casa del giovane, I incontro dei gruppi folk dell’infanzia. Partecipano la CI e la SEI di Dignano, la CI di Valle, la SE di Juršići ed il gruppo folk “Naso” (Sicilia) CI FIUME 5 aprile ore 19 concerto in memoria di Mateo Katulić (1984 – 2007). Si esibiscono Diana Haller, Krešimir Škunca, Marijan Padavić e Cvetan Pelčić che proporranno brani tratti dal “Barbiere di Siviglia” di G. Rossini, accompagnamento al pianoforte di Vjera Lukšić CI PIRANO 7, 8 e 10 aprile dalle ore 10,30 alle ore 13 Casa Tartini, “Dedicato a Tartini: Qualche nozione sul suono. Qual’è lo strumento musicale per eccellenza?- racconto 9 aprile 2008 ore 18 Sala delle Vedute,“Tartini a Padova” (con Margherita Canale) 9 aprile ore 19 Giovani e maestri in concerto con Tommaso Zuccon Ghiotto (violino), Enrico Carraro, Giovanni Simeoni (viole), Davide Bernardi (violoncello), partecipazione straordinaria di Sonig Tchakerian (violino) 11 aprile ore 10 presso la SE “Vincenzo e Diego de Castro” di Lucia, Laboratori artistici: “Chi è Giuseppe Tartini?” guidato da Neven Stipanov, “Le fiabe della musica” guidato da Liviana Poropat, “Conosciamo il violino” guidato dalla violinista Verena Rojc 18 aprile ore 17, mostra alla Galleria Herman Pečarič 20.00 al teatro Tartini serata folkloristica con il gruppo “Val” di Pirano 20 aprile ore 9 in Piazza Tartini musica con la banda ed il coro “Giuseppe Tartini” 20 aprile ore 15 apertura della mostra “Le mie saline” Dal 19 al 26 aprile 2008 a Maribor Literatura slovenskih manjšin in etničnih skupin.(Combi) 28 aprile ore 20 in Casa Tartini, Concerto della pianista Laura Nocchiero. In programma musiche di Schubert, Beethoven, Prokofiev, Debussy U na Giornata Mondiale del (e per il) Teatro. Creata nel 1961 dall’International Theatre Institute (Iti), viene celebrata ogni anno il 27 marzo, in tutto il mondo, con numerose manifestazioni ed eventi teatrali. Ogni anno un celebre autore teatrale propone un messaggio e una riflessione sul tema del teatro e della cultura della pace. Il primo fu scritto nel ‘62 da Jean Cocteau, mentre quest’anno, dopo nomi come Paplo Neruda, Luchino Visconti, Peter Brook, Edward Albee e Richard Burton, è stato scelto il regista e scenografo canadese Robert Lepage. Il discorso-messaggio di Lepage formulato per la Giornata era intitolato: “Il teatro deve reinventarsi”. Facendo riferi- A cura di Daniela Rotta Stoiljković CI ALBONA 2 aprile ore 20 al cinema di Albona, il Dramma Italiano presenta “Bonaventura” 19 aprile ore 19 serata nella ricorrenza del nono anniversario della costituzione del coro della CI di Albona. Ospite della serata il coro della CI di Rovigno mento all’inizio ancestrale di quest’arte, quando gli uomini raccontando storie in caverne alla luce del fuoco scoprirono la possibilità di utilizzare le ombre per aiutarsi a narrare, Lepage ricorda come la tecnologia sia all’origine stessa del teatro e non debba essere vissuta come una minaccia, bensì come un elemento che riunisce. “La sopravvivenza dell’arte teatrale dipende dalla sua capacità di reinventarsi ed integrarsi di nuovi strumenti e di nuovi linguaggi. [...] Per rappresentare il mondo in tutta la sua complessità, l’artista deve proporsi forme ed idee nuove, affidandosi all’intelligenza dello spettatore, capace di distinguere la forma dell’umanità in questo perpetuo gioco di ombre e luce”. CI ROVIGNO 1.mo aprile ore 20 al Teatro “Gandusio”, il Dramma Italiano presenta la commedia “Bonaventura”. La matinée alle ore 12 11 aprile ore 19 al Teatro “Gandusio”, spettacolo del Gruppo teatrale per il dialetto di Trieste che presenta “La linea di Estremo Oriente” di Carpenteri e Faraguna. Adattamento teatrale di Giorgio Amodeo, regia di Gianfranco Saletta 25 aprile ore 19 al Centro multimediale della Città di Rovigno, concerto del Gruppo mandolinistico “Serenate” di Pirano CI SISSANO 26 aprile ore 20 spettacolo con ospiti le CI di Fasana e Gallesano Il programma può subire modifiche 8 palcoscenico Martedì, 1 aprile 2008 CARNET PALCOSCENICO rubriche a cura di Carla Rotta TEATRO Il cartellone del mese IN CROAZIA IN ITALIA Teatro Nazionale Ivan de Zajc - Fiume Teatro lirico Giuseppe Verdi - Trieste 1.mo, 2 e 3 aprile ore 19,30 Serata d’autore con Milko Šparemblek tonela Malis / Leonora Surian, Anastazija Balaž Lečić / Kristina Kaplan 8, 9, 10, 11 e 12 aprile ore 10 Teatro Fenice L’ape Maia di Bruno Bjelinski. Opera per ragazzi 17, 18, 19, 21, 22, 23, 24, 25 e 26 aprile ore 19,30 La bisbetica domata commedia di W. Shakespeare. Regia Vito Taufer 29 e 30 aprile ore 19,30 4 e 7 aprile ore 19,30 Nunsense di Dan Goggin. Regia Mojca Horvat. Interpreti Olivera Baljak /Andreja Blagojević, Vivien Galletta / Leonora Surian, Andreja Blagojević / Elena Brumini, An- Romeo e Giulietta balletto di S. Prokofjev. Coreografia e regia Staša Zurovac. Dirige Nada Matošević. Interpreti Laura Popa, Cristina Lukanec, Sabina Voinea, Andrei Köteles, Leonid Antontsev, Staša Zurovac, Tomaš Danielis, Roberto Pereira Barbosa Junior, Ashatbek Yusupzhanov, Alen Nezirević 12, 15, 16, 17, 18 aprile ore 20,30; 13 aprile ore 16; 19 aprile ore 17 I sette peccati capitali su libretto di Bertolt Brecht; musiche di Kurt Weill e Trouble in Tahiti libretto musiche di Leonard Bernstein. Interprete principale Daniela Mazzucato Politeama Rossetti - Trieste Ciclo:Prosa 8, 10, 11 e 12 aprile ore 20,30; 9 e 13 aprile ore 16 Il berretto a sonagli di Luigi Pirandello. Regia Mauro Bolognini - ripresa da Sebastiano Lo Monaco. Interpreti Sebastiano Lo Monaco, Maria Rosaria Carli e con Clelia Piscitello, Claudio Mazzenga, Franca Maresa, Viviana Larice, Rosario Petix, Ylenia Vasile 23, 24, 25 e 26 aprile ore 20,30; 24 e 27 aprile ore 16 Inventato di sana pianta, ovvero gli affari del Barone Laborde di Hermann Broch. Regia Luca Ronconi. Interpreti Massimo De Francovich, Pia Lanciotti, Massimo Popolizio, Anna Bonaiuto, Giovanni Crippa, Giacinto Palmarini, Luca Criscuoli, Davide Zaccaro, Gabriele Ciavarra, Marco Brinzi 4 e 5 aprile ore 21; 6 aprile ore 17 Indemoniate drammaturgia di Giuliana Musso, Carlo Tolazzi. Regia Massimo Somaglino. Interpreti Sandra Cosatto, Marta Cuscunà, Fabiano Fantini, Riccardo Maranzana, Federico Scridel, Massimo Somaglino Teatro cittadino - Pola 1.mo aprile ore 20 Dundo Maroje di Marin Držić. Regia Ozren Prohić. Interpreti Zijad Gračić, Krunoslav Šarić, Nikša Kušelj, Dušan Gojić, Milan Pleština, Mirta Zečević, Tomislav Krstanović, Marija Kohn, Livio Badurina, Ana Begić, Žarko Potočnjak, Joško Ševo, Vedran Mlikota, Ljubomir Kerekeš, Ivan Jončić, Franjo Kuhar, Barbara Vicković, Ivana Boban, Dora Lipovčan, Ivan Brkić, Alen Šalinović, Davor Borčić, Tomislav Stojković, Zijad Gračić, Miro Šegrt 16 aprile ore 20 Il signor Bruschino di Gioacchino Rossini. Regia Dinko Bogdanić. Solisti Henrik Šimunković, Lidija Horvat Dunjko, Ronald Braus, Stjepan Franetović, Ozren Bilušić, Blanka Tkalčić Breglec / Mihaela Soko, Vatroslav Maltar 24 aprile ore 20 Caratteri sloveni Regia Željko Vukmirica. Interpreti Kristijan Guček, Minca Lorenci, Barbara Medvešek, Damjan M. Trbovc, Barbara Vidovič 5 aprile ore 20 Riva i druxi di Milan Rakovac. Regia Lary Zappia. Interpreti Aleksandar Cvjetković, Filip Lugarić, Elvia Nacinovich, Bruno Nacinovich, Denis Brižić, Romina Vitasović, Rosanna Bubola, Elena Brumini, Alida Delcaro, Lucio Slama, Teodor Tiani, Rade Radolović 28 e 29 aprile ore 9.30 e 11; 30 aprile ore 9,30 e 18 Giochi sociali di Gordon Scammell. Regia Aleksandar Bančić. Interpreti Matija Ljuba, Lukas Jovanović, Saša Stepanović, Diego Kliman, Marko Costantini, Petra Kožljan / Iva Kevra, Ana Rumak / Sara Poljak, Zuzana Čulić / Anita Knežević / Kristina Brajković, Nina Veizović / Irena Bilčić IN SLOVENIA Teatro cittadino - Capodistria Chiuso per restauro Ciclo: Fuori abbonamento 3 aprile ore 21 Canto perchè non so nuotare... da 40 anni Massimo Ranieri in concerto 29 aprile ore 20,30; 30 aprile ore 16 Il dubbio di John Patrick Shanley. Regia Sergio Castellitto. Interpreti Stefano Accorsi, Lucilla Morlacchi Ciclo: Danza e dintorni 19 aprile ore 20,30; 20 aprile ore 16 Hubbard Street Dance Chicago coreografie di Jiri Kylian, Nacho Duato, Daniel Ezralow, Twyla Tharp La Contrada - Trieste 11, 12, 16, 17, 18 e 19 aprile ore 20,30; 13, 15 e 20 aprile ore 16,30 Indovina chi viene a cena di William Arthur Rose. Regia Patrick Rossi Gastaldi. Interpreti Gianfranco D’Angelo, Ivana Monti, Timothy Martin, Emanuela Trovato, Howard Ray, Mary Hubert, Fatimata Bendele, Mario Saletta Anno IV / n. 4 1 aprile 2008 “LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina IN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat edizione: PALCOSCENICO Redattore esecutivo: Carla Rotta / Impaginazione: Annamaria Picco Collaboratori: Rossana Poletti, Daniela Rotta Stoiljković / Foto: Mauricio Ferlin La pubblicazione del presente supplemento viene supportata dall’Unione Italiana grazie alle risorse stanziate dal Governo italiano con la Legge 193/04, in esecuzione al Contratto N° 83 del 14 gennaio 2008, Convezione MAE-UI N° 2724 del 24 novembre 2004