DEL POPOLO
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IV
• n. 4
08
• Martedì, 1 aprile 20
Sipario
UN CAFFÈ CON...
Maurizio Micheli
Pagine 2-3
LA RECENSIONE
Il contrabbasso
Riva i druxi
Non si paga
Pagine 4-5
ALFATEATRO
P come...
Q come...
Pagina 6
TEATRALIA
Giornata mondiale
Pagina 7
NOTES
Aprile nelle CI
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CARNET PALCOSCENICO
Il cartellone del mese
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2 palcoscenico
Martedì, 1 aprile 2008
UN CAFFÈ CON...
T
rieste. Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia. Incontriamo Maurizio Micheli all’interno del nuovo bar aperto al
piano terra del Politeama Rossetti, spazio un tempo adibito
ai laboratori per le scene. Ora sui muri campeggiano le gigantografie di grandi attori del passato e di tanti che ancora quotidianamente aspettano che si apra il sipario. Molti di
questi hanno esordito anni fa, alcuni come Maurizio Micheli
negli anni ’60, gli anni della contestazione, del grande cambiamento sociale, in cui tutto doveva essere serio, riflessivo,
ponderato e soprattutto dibattuto. Il teatro era impegnato.
Maurizio Micheli crebbe in questo contesto, al Piccolo Teatro
di Milano, quello di Strehler per intendere, ma diventò noto
al grande pubblico all’inizio degli anni Settanta, ironia della
sorte, grazie al personaggio, da lui ideato, di Nicola di Mola,
il dj di Radio Bitonto Libera, innamorato perennemente della
brunetta dei Ricchi e Poveri. Nicola era una macchietta che
faceva il verso alle numerose stazioni radiofoniche indipendenti che sorsero in Italia in quel periodo. Passato di conseguenza al genere comico, nel 1977 recitò nel film Allegro non
troppo di Bruno Bozzetto. Sul grande schermo Micheli ha lavorato soprattutto con Sergio Corbucci, “Sono un fenomeno
paranormale” del 1985, “Rimini Rimini” e “Roba da ricchi”
del 1987 e con Steno, “Mani di fata” del 1983, “Animali metropolitani” del 1987. Ma è con “Il commissario Lo Gatto”
(1986) di Dino Risi che divenne molto popolare. Dagli anni
Novanta si è dedicato quasi esclusivamente al teatro, limitando l’attività cinematografica a qualche sporadica apparizione. Con gli spettacoli recenti, “Un paio d’ali” e “La Presidentessa”, protagonista assieme a Sabrina Ferilli, è stato anche
sul palcoscenico del Rossetti. Ma se andiamo più in là negli
anni scopriamo che sempre a Trieste si presentò in scena con
“Mi voleva Strehler” nel 1980, e con Dario Fo nel 1982 ne
“L’opera dello sghignazzo”. Maurizio Micheli non dimostra
tutti gli anni di vita e di carriera che ha sulle spalle. Magro,
serioso, ironico, a vederlo di persona non svela le sue qualità
artistiche, anzi si direbbe che il suo mestiere sia un altro, un
lavoro “normale” direi. Ora è in tournée con “Il contrabbasso”, testo serio ma che lui rende divertente, per la seconda
volta, in quanto incontrò Süskind, l’autore, già molti anni fa
in un’edizione per Spoleto?
Io volevo fare l’attore drammatico,
facevo teatro universitario e
la scuola del Piccolo Teatro,
sperando di diventare Albertazzi,
poi mi sono accorto di avere una
vena comica
Maurizio
Micheli
palcoscenico 3
Martedì, 1 aprile 2008
di Rossana Poletti
i, lo spettacolo debuttò a
Spoleto nel 1985. L’ho ripreso perché è stata la prima volta che ho fatto una parte drammatica e grottesca, in
uno spettacolo che attiene più
al dramma che alla farsa e alla
commedia brillante. Ho l’età più
giusta per fare un personaggio
così, sul finire della sua carriera o perlomeno che si considera finito.
Come nasce l’incontro con
Süskind e la forza di questo testo, che ancora oggi racconta le
nevrosi dell’uomo moderno?
Ho accentuato la condizione
di questo uomo, facendolo passare per un italo-tedesco, ed evidenziare così la solitudine dell’emigrato, un po’ come Manfredi, emigrato in Svizzera, nel film
Pane e Cioccolata (ndr. il protagonista di questo spettacolo è un
musicista che suona il contrabbasso nell’orchestra di stato tedesca, Micheli lo mette in scena
con il nome di Tricarico, facendolo così passare per un emigrato
di seconda generazione, che però
non vuole riconoscersi come italiano). Il personaggio non mi somiglia minimamente, io amo stare
in mezzo alle persone, non vivrei
in una stanza isolata acusticamente. Mi somiglia forse in certi
meccanismi comici. Per far ridere il pubblico bisogna avere delle qualità, la comicità nasce dal
dramma, bisogna che ti capitino
delle cose drammatiche che possono far ridere il pubblico. Questo personaggio è un poveraccio,
non conosce nessuno, non sa dove
andare, suona uno strumento che
non lo soddisfa, anche se a tratti
lo adora, ama una donna che non
l’ha mai visto, lei sta sul palcoscenico lui in fondo alla buca dell’orchestra. Non mi somiglia, ma
ho ben chiari i suoi lati drammatici e contemporaneamente divertenti. Le opere famose di Süskind
S
sime da leggere ma sono impossibili da interpretare. Quindi ho
dovuto lavorare molto su questo
aspetto, per adattare al recitato il
pensiero dell’autore.
e carne e pesce
In un’intervista ti definisci né
carne né pesce, essendo troppo
serio per essere attore comico,
troppo autoironico per crederti
fino in fondo nella prosa, in real-
Mettersi in bocca quello che un
altro ha scritto non sempre è facile.
Ci sono delle pagine che sono
indicibili, in quanto l’autore è molto
letterario, una cosa è la letteratura
un’altra il teatro. Ci sono pagine
che sono bellissime da leggere ma
sono impossibili da interpretare
tà possiedi una versatilità che
ti permette di fare tutto, anche
l’operetta (ndr. Maurizio Micheli ha partecipato anche al Paese
dei Campanelli nell’ultimo Festival Internazionale dell’Operetta di Trieste). In tutte queste
dimensioni, quale ti fa sentire
più a tuo agio?
Io, se potessi scegliere, farei
sempre spettacoli comici, con un
minimo di contenuto e di indagine psicologica sui personaggi,
con però una vena di malinconia, perché così mi sento io. Ad
esempio in “Mi voleva Strehler”,
scritto con Umberto Simonetta,
che faccio dal 1978, è esattamente questo. Un attore deve fare un
provino con il grande maestro e
passa la notte precedente a provare. Egli lavora in uno squallido
cabaret della periferia di Milano
negli anni ’70, ma, come tutti gli
artisti di quell’epoca, sogna l’incontro con Strehler. Nessuno di
noi sognava Broadway, noi ave-
Sto male se il pubblico non ride
e io ringrazio chi mi viene a vedere:
pochi o tanti vengono sperando
di ridere: io non posso tradirli
sono due: “Profumo” è la più conosciuta, di cui è stato fatto un
film due anni fa, che non è andato
bene. Peccato perché era un film
proprio bello. L’altra opera sua è
“Il Piccione”. Leggendole ti rendi conto che il tema della solitudine in lui torna sempre. In Profumo, il protagonista è un mostro
che nasce senza odore e sente tutti gli odori del mondo, nel Piccione è una guardia giurata che
non vuole che gli capiti mai niente di diverso nella sua giornata,
programmata fino all’ossessione.
Finché un bel giorno gli entra un
piccione dalla finestra e da quel
momento la sua vita diventa un
inferno, al punto da non farlo più
tornare in casa. Credo che anche
Süskind viva isolato, totalmente
lontano dalla notorietà. Le suo
opere in qualche modo raccontano di lui.
Com’è stata quindi l’esperienza di mettere in scena questo testo?
Mettersi in bocca quello che
un altro ha scritto non sempre è
facile. Ci sono delle pagine che
sono indicibili, in quanto l’autore è molto letterario, una cosa è
la letteratura un’altra il teatro.
Ci sono pagine che sono bellis-
mo che è una spalla comica, lui
ha i suoi effetti comici. Se fossi
cattivo come erano cattivi i vecchi attori, gliela leverei la sua
battuta comica, perché in realtà
lui usa una sua comicità, fa ridere il pubblico e io prendo fiato. La
comicità è tutta costruita a tavolino, battuta, risposta, pausa, effetto, poche cose si aggiungono
così di getto, spontaneamente. È
difficile far ridere, e talvolta non
vamo in mente il Piccolo Teatro
di Milano. Questo è il mio ideale
di spettacolo, che faccio ancora,
che mi rimane dentro; grandi effetti comici ma con contenuti, non
solo acqua fresca, non solo farsa
pura. Il mio obiettivo principale è
far ridere il pubblico. Se il pubblico non si diverte io soffro moltissimo. Pochi fanno teatro comico oramai, come lo concepisco io,
con la vena malinconica, ovvero
comico pensante.
una spalla per
ridere e sostenere
Lavorando con un partner,
in questo spettacolo giovane e
peraltro quasi muto, quali sono
gli accorgimenti che l’attore usa.
Che cosa ci puoi svelare?
Gli autori di testi comici, come
“Le Pillole d’Ercole” che ho recentemente allestito con il mio
attuale giovane partner Federico Vigorito, Hennequin, Bilhaud,
Feydeau, i francesi degli inizi del
‘900 erano dei grandi costruttori
di trame comiche. Con Federico
ci comprendiamo alla grande, ridiamo delle stesse cose, abbiamo
gli stessi tempi. Federico non è
una vera e propria spalla, dicia-
ci si riesce. Ricordo un fatto accaduto a Roma, la prima volta che
feci questo spettacolo all’agente
letterario dissi: “speriamo che il
signor Süskind venga a vederci”
e lui mi rispose “meglio di no”.
Chissà probabilmente non si sarebbe riconosciuto in quello che
noi avevamo realizzato.
la geografia
del pubblico
E l’apporto del pubblico pesa
in questo senso?
Tutte le sere, io potrei tracciare una mappa delle reazioni del
l’orchestra, come nell’operetta,
lì ci sono cinquanta persone che
vanno avanti e tu magari resti indietro, con le basi sei terrorizzato perché quella è una macchina
che va, indipendentemente da tutto. Nella prosa hai sempre paura
di non ricordare la parte. A Spoleto al debutto del Contrabbasso
nel 1985, con i giornalisti di tutto
il mondo e il grande Menotti presenti in sala, a metà del mio monologo dimenticai la parte, un
vuoto totale, era tanta la tensione
che non riuscivo a ricordare niente; allora finsi di dover andare in
bagno, il personaggio beve molta birra e quindi trovai la scusa
di dover fare la pipì e, uscito fuori di scena, col copione il regista
mi disse come andare avanti. Il
suggeritore c’era una volta nelle
compagnie di giro, perché c’era
il repertorio. Le compagnie stavano ferme magari tre o quattro
mesi in uno stesso posto e allestivano fino a sei, sette commedie.
Gli attori non ricordavano tutte
le battute, dovendo passare da
un testo ad un altro, senza avere
il tempo di provare a lungo come
accade oggi, e quindi il suggeritore lì nella buca, che oggi non
esiste più, dava le battute. Per un
periodo si usò il suggeritore durante le prove, negli ultimi dieci
giorni, e poi durante lo spettacolo
stava in quinta. Oggi io metto in
scena uno spettacolo e con quello
giro per tre o quattro mesi, si capisce che non ho bisogno di quella figura.
È mai venuto un vero contrabbassista a vedere questo tuo
spettacolo?
Il nord è più disponibile; far ridere
al sud è più difficile, Napoli poi
non ne parliamo, Bari non fa
testo, la Sicilia poi...
pubblico italiano. Il nord è più
disponibile, noi attori siamo più
contenti di andare al nord. Far
ridere al sud è più difficile, Napoli poi non ne parliamo, a meno
che non si facciano cose in dialetto, Napoli è un continente, ridono delle loro cose. Bari non fa testo perché pur essendo livornese
ho vissuto tanto tempo lì e quindi
sono di casa, in genere però anche i pugliesi ridono solo delle
loro cose, possibilmente dialettali. In Sicilia non ne parliamo,
voi direte è un’isola, ma anche
la Sardegna è un’isola e pure lì
ridono. Chissà perché! È un mistero.
attore? “matto”
aiuta
Le rivalità i tic dei protagonisti, com’è il mestiere dell’attore?
Chi fa l’attore deve essere un
po’ matto, “io a teatro non vado
più, non ne posso più di vedere
ogni sera uno che finge di essere un altro”, diceva un noto autore, scrittore e commediografo. Se si va d’accordo tra colleghi però grandi problemi non ci
sono. Io cerco di fare compagnia
con gli amici. Se capita di lavorare però con persone che non
sono amiche tue, possono esserci rivalità. Per il resto poi è tutto
uguale come nella musica, nella
prima hai paura, moltissima paura perché temi di dimenticare, e
nelle commedie musicali è particolarmente dura perché devi cantare, sei spaventato se canti con
È venuto uno di fama europea,
di cui non ricordo il nome, l’altr’anno all’Eliseo di Roma, mi ha
detto che alcune cose sono completamente false, però è rimasto
colpito dal personaggio, si è immedesimato, ha pianto e riso fino
alle lacrime. Il contrabbasso non
sta in fondo all’orchestra, è l’ultimo degli strumenti a corda, ma
non sta in fondo (in culo, come
dico io) all’orchestra. Qualche
bugia c’è.
un giorno sarò
Albertazzi
Quando ti sei accorto del tuo
talento?
Io volevo fare l’attore drammatico, facevo teatro universitario e la scuola del Piccolo Teatro,
sperando di diventare Albertazzi.
Non dico proprio lui, ma quella era la mia direzione. Quando
ho incontrato Albertazzi gliel’ho
anche detto. Portai all’esame una
pezzo che faceva lui di Dante, il
sonetto “Guido, i’ vorrei che tu e
Lapo ed io fossimo presi per incantamento...”. Poi mi sono accorto che avevo una vena comica
e così ho cominciato a fare parti
che facevano ridere e non ho più
smesso. E non potrebbe che essere così, sto male se il pubblico
non ride, per me è una grande
responsabilità. So che quelli che
vengono a vedermi (li ringrazio
ogni giorno, perché il teatro non
esiste senza il pubblico), pochi o
tanti vengono sperando di ridere,
io non posso tradirli.
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palcoscenico
Martedì, 1 aprile 2008
Martedì, 1 aprile 2008
Il contrabbasso
Riva i druxi, la nostra storia amara
Quando Pola incontrò Pula
“Riva i druxi”. È l’anno del Signore (in senso metaforico, perché, mica tanto del Signore,
considerata l’ideologia) 1947: la guerra è finita, comincia quel sofferto dopoguerra fatto di
scombussolamenti sociali, politici, economici,
demografici, sociali, linguistici Il “Toscana”
parte, ritorna, riparte, ri-ritorna… per la popolazione italiana è esodo e “riva i druxi”.
A forze congiunte, Dramma Italiano di Fiume e Teatro Popolare Istriano di Pola, hanno
portato in scena “Riva i druxi”, adattamento
teatrale di Lary Zappia (con la benedizione dell’autore) del romanzo e dramma di Milan Rakovac, Riva i druxi, appunto. Sottotitolo, “La nostra storia amara”, ma in effetti si tratta di un
concatenarsi di storie amare, un amarcord recitativo su scenografia ed effetti luce più moderni,
amalgamati in un palcoscenico che mette a disagio. Segno che giochi di luce e ambiente reggono.
Quando Pola incontrò Pula. Per chi va, c’è
chi viene, e non sempre il dialogo è facile, a volte capirsi non è solo questione di lingua (a dire
il vero, nell’incontro sul palco, per l’impostazione, per un po’ si è rasentato il pericolo del forza-
to, quasi grottesco, ma forse è solo sensazione).
Ma è storia un po' difficile da trattare, compromettente per paure di lasciar andare l'ago della bilancia. Ma non vuole essere cronaca, bensì
teatro. Pur trattando cronaca, anzi, storia.
La storia si evolve attraverso Grgo, un ragazzino che arriva a Pola con la madre dopo che il
padre è andato sottoterra e la terra alla cooperativa. Situazioni vissute, che la platea (non i più
giovani) ben conosce, come conosce quell’impasto di lingue e dialetti, di incomprensioni, di
sguardi spesso indagatori e sospettosi (la nostra
storia amara, no?).
Dicevamo l'ambiente. Una'enorme impalcatura, dodici gabbie (quelle nelle quali l'uomo
vive la propria esclusività o solitudine?), una
sorta di "radna akcija" costante (parola d'ordine, "takmičenje").
Grande resa degli attori, lodi a luci e scenografia. E lodi a Zappia. Un altro "Riva i
druxi". Fa testo... il testo, il libro della pièce
con entrambe le versioni, quella di Rakovac e
quella di Zappia. Non ce ne voglia Rakovac,
ma dal confronto, Zappia, ci sembra ne esce
meglio. (Cierre)
Sotto paga, non si paga!
Un carrello... spesato per protesta
Trieste. Teatro La Contrada. C’è tutta
l’anima contestataria e ribelle alle regole
di una società che stritola i più poveri nello
spettacolo di Dario Fo, che ha appena debuttato al Teatro Orazio Bobbio di Trieste.
“Sotto paga! Non si paga!” è la rivisitazione in chiave attuale della commedia che
nel 1974 generò un fatto di cronaca. In
quell’anno “Non si paga! Non si paga”,
questo era il titolo allora, era ispirata dal
crescente malumore della gente che andando a fare la spesa si sentiva rapinata
dai commercianti e dai prezzi in continua
crescita e quindi, ad un certo punto, si
sentì in diritto di pagare la metà di quanto
stava scritto sullo scontrino. Alcuni mesi
dopo alcuni presero d’assalto due supermercati e fecero nella realtà quanto Dario Fo aveva suggerito sulle scene. Solo
alcuni anni più tardi l’assalto proletario
sarebbe diventato arbitrario strumento di
lotta politica per mano di gruppi estremi,
che al furto aggiungevano anche il danneggiamento. E la provocazione intellettuale, divertente e sfrontata perdeva i toni
dell’ironia per trasformarsi in violenza
gratuita. L’azione teatrale di Fo è invece
provocazione politica, giocata sul filo delle
parole e delle azioni di scena. Spassosissima perché l’autore sa esserlo come pochi,
perfettamente eseguita da attori collaudati
nel comico come Marina Massironi e An-
tonio Catania, ma anche dai loro compagni d’avventura Marina De Juli, Renato
Marchetti e Sergio Valastro.
La storia è sempre la stessa, i costi aumentano ogni giorno che passa, per mangiare non si pagano le bollette della luce, il
mutuo della casa o l’affitto, il lavoro scarseggia e ne fanno le spese le donne, le mogli, che sempre più frequentemente sono
costrette a lavori precari, mal pagati sotto
il ricatto continuo del licenziamento. Finché un giorno avviene quanto già descritto, le donne vanno al supermercato, si infuriano per l’ennesimo strepitoso aumento e decido di prendersi la spesa pagando
quello che ritengono giusto e in qualche
caso anche niente. Per il quartiere, povera periferia di Milano, destinata ad essere
buttata giù per far posto a qualche speculazione di lusso, girano donne incinte in
numero spropositato, perché all’annuncio dell’arrivo della polizia, c’è il fuggi
fuggi a nascondere la “refurtiva”: pane,
pasta, latte e scatolame vario che finisce
a mo’ di pancione sotto i cappotti, anche
di giovanissime adolescenti. In casa dei
nostri protagonisti ne avvengono di tutti
i colori, perché lei (Marina Massironi),
stanca ed estenuata dalle difficoltà che
la famiglia affronta, arraffa tutto quello
che può pur di mangiare, anche una scatola di miglio per uccellini, carne in sca-
tola per cani e teste congelate di coniglio.
Il marito invece è un integerrimo operaio
sindacalista (Antonio Catania), inquadrato nel sistema delle regole legittime; i soprusi e le diseguaglianze si combattono
con il meccanismo dell’organizzazione
sindacale, di rappresentanza dei partiti e
delle maggioranze e opposizioni, quello
che oramai nella nostra società molti indicano come un gran fallimento, e su cui
Dario Fo in particolare punta il dito, deridendo quella sinistra che è diventata realista e conservatrice, “serva dei padroni”,
figlia di una politica incapace di cogliere i
veri sentimenti e le autentiche ispirazioni
alla libertà del popolo, proiettata piuttosto
agli affari e alla finanza. Non mancano
ovviamente i riferimenti al caso Unipol,
alla scalata alle banche, alle intercettazioni fatte affondare o perlomeno minimizzate. La farsa, strumento espressivo forte di
Fo, si gioca attorno alla necessità di nascondere al marito la spesa introdotta in
casa, complice l’amica, facendogli bere di
aver comperato il cibo per animali, che lui
ha scoperto per caso, solo perché non possono spendere di più. Fatto peraltro che
accade sempre più frequentemente nella
realtà, soprattutto tra gli anziani più poveri. Raccontando all’ignaro marito come
l’amica sia stata incinta e abbia nascosto
la pancia, apparsa all’improvviso, sotto
pesanti bendature, per evitare il licenziamento, lasciandone all’oscuro anche il
marito. Le gag popoleranno poi l’azione
con la comparsa di un poliziotto, ispirato
all’idea delle forze dell’ordine “figlie del
popolo”, per la cui affermazione Pasolini
negli anni ’70 subì non poche critiche all’interno della sinistra. Lo stesso divente-
rà poi carabiniere, autista delle pompe funebri e padre del protagonista, facendo di
questa trasformazione un pezzo di teatro
nel teatro, su cui si giocheranno le battute
più divertenti dello spettacolo. Non ci può
essere lieto fine in questa storia, perché
non c’è neppure nella realtà e Dario Fo
lo sa bene. (rp)
Solitudine e psicosi
dell’epoca contemporanea
Di Rossana Poletti
TRIESTE – Maurizio Micheli ci aveva abituato ai recenti spettacoli teatrali leggeri, con la Ferilli, quali “Un paio d’ali” e poi “La presidentessa”,
dopo anni di personaggi comici televisivi che l’avevano reso famoso. I meno giovani ricorderanno sicuramente la macchietta del DJ Nicola di Mola di
Radio Bitonto Libera, innamorato perennemente
della brunetta dei Ricchi e Poveri. Ma anche i tanti film comici degli anni ’70 e ’80, tra cui “Sono un
fenomeno paranormale” e, forse più noto, “Il commissario Lo Gatto” di Risi.
Con “Il contrabbasso” invece Micheli riscopre
la sua formazione più seria; teatralmente si formò
infatti in ruoli drammatici al Piccolo Teatro di Milano. Non che questo testo non sia divertente, anzi
è spassoso, pur cimentandosi in un tema alquanto triste, quale la solitudine e le psicosi dell’epoca
contemporanea. Ma la stoffa recitativa del protagonista è diversa dal comico a cui ci aveva abituato. Egli regge per un’ora e un quarto un colloquio,
che è sostanzialmente un lungo monologo, con botte e risposte.
La spalla è un giovane ragazzo, figlio della portinaia, piuttosto ignorante, a cui sono concesse poche e significative espressioni facciali di stupore o
di vuota inconsapevolezza, che consentono appunto la risposta alla battuta che Micheli, il professore, si era posta. Il professore è un contrabbassista
impiegato nell’orchestra di stato tedesca. Egli passa, nel corso del suo sproloquiare, dall’esaltazione
del suo strumento, considerato il più importante al
mondo, anche più del direttore d’orchestra. “senza
– dice – l’orchestra sarebbe come Babilonia, Sodoma”, per concludere con l’esecrazione più feroce: “Ultimo in fondo, nel culo dell’orchestra, sta il
contrabbasso. Solo il timpano è dietro, ma quello
tutti lo vedono e lo sentono”.
Il contrabbasso è però solo la scusa per trattenere il ragazzo, avere qualcuno con cui parlare, raccontare la propria devastante solitudine, l’incolmabile disperazione che questa condizione gli impone.
Mostrandogli le foto della famiglia gli dice “Questa
è mia madre, che ama mio padre, che ama mia sorella e nessuno ama me”. Ma anche una feroce digressione sulla sua frustrazione personale di compositore fallito, arrabbiato nero con gente della risma di Wagner, butterato e violento, o con Mozart
che ha avuto una porca fortuna.
Egli si è chiuso vivo in un appartamento imbottito contro i rumori. Non lo sentono fuori e neanche lui sente ciò che accade al di là dei pannelli fonoassorbenti. La sua vita scorre senza una donna,
ma ne ama disperatamente una, Sara, la giovanissima cantante. “Sembra incredibile che una voce
così vada a mangiare il pesce ogni sera con i cantanti” senza accorgersi di lui, che vorrebbe gridare dal fondo del palcoscenico il suo amore per lei,
senza temere le conseguenze del folle gesto. Ma il
suo grigiore ha ormai divorato anche il più piccolo
briciolo di coraggio e così il grido gli muore in gola,
quando le luci si spengono e il direttore d’orchestra
dà l’avvio alla musica.
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6 palcoscenico
Martedì, 1 aprile 2008
ALFATEATRO Personaggi del palcoscenico dall’A alla Z
«P» come...
«P» come...
...Pierrot
La maschera di Pierrot nasce in Italia verso la fine del Cinquecento, ad opera di
Giovanni Pellesini, attore della Compagnia dei Gelosi. Il suo personaggio di nome
Pedrolino era una variazione sul tema dello Zanni, il servo, di cui indossava l’abito
bianco e ampio. Servo accorto e fidato, pronto a intessere imbrogli che poi districava
con grande abilità, per trarre d’impaccio il proprio padrone, Pedrolino era un personaggio forte, di primaria importanza nell’economia della commedia. Il personaggio
seguì i Gelosi in Francia, dove ebbe immediato successo, entrando a far parte degli
scenari delle Compagnie francesi con il nome di Pierrot. Nella versione francese Pierrot perde gran parte della sua astuzia, conservando solo l’onestà e l’amore per la verità, spinto a volte fino all’eccesso. Dopo un periodo di declino il personaggio tornò in
primo piano grazie all’interpretazione
del mimo Jean-Gaspard Debureau (1796-1846), che gli infuse nuova energia, impersonandolo dal 1826 al Théâtre des Funanbules. Debureau definì il costume che
dopo di lui fu tipico di Pierrot: un ampio abito bianco formato da casacca e pantaloni,
ornato da bottoni neri, una piccola coppolina nera sul capo e il viso imbiancato.
... Pulcinella
Pulcinella è una delle maschere più note della tradizione italiana meridionale. La sua origine risale al Seicento, essendo la sua presenza documentata da diverse raffigurazioni dell’epoca. L’abito di scena richiama
quello dello Zanni, con l’ampio camicione bianco stretto
dalla cintura nera tenuta bassa sopra i calzoni cadenti.
La sua maschera è nera, glabra, con gli occhi piccoli e il
naso adunco, che dava alla voce degli attori una caratteristica tonalità stridula e chioccia. Alcuni attori e burattinai utilizzavano un particolare strumento detto “sgherlo” o “pivetta”, per accentuare questa caratteristica della voce. Alla voce e al naso a becco sembra essere legato
anche il nome pulcinella, da “pulcino” (solo che il Nostro è un po’ sgraziato). Il carattere del personaggio richiama quello dello Zanni. Servo sciocco e insensato, a
volte si ritrova, inaspettatamento dosi di arguzia e buon
senso popolare. In lui si mescolano un’intensa vitalità ed
un’indole inquieta, triste e sempre pronta a stupirsi delle
cose del mondo.
«Q» come...
«Q» come...
Quando si dice destino avverso! Nato brutto, bruttissimo, deforme, abbandonato per questo
dai genitori in chiesa e sia quel
che sia, Quasimodo cresce brutto ma buonissimo: quello che al
corpo è stato negato, lo ha avuto il cuore, insomma. Ma anche
il cuore è destinato a soffrire:
per la bella Esmeralda che vive
in una tribù di zingari alla periferia di Parigi, la Corte dei Miracoli.
Un amore tragico, quello del
campanaro gobbo di Notre Dame
per la bellissima, contesa tra
Frollo (arcidiacono di Parigi) e
Febo, capitano delle guardie del
re. La storia è nota: Esmeralda
accetta di incontrare Febo che
le fa la corte, l’arcidiacono che li
spia nella stanza nascosto dietro
la tende, cieco di gelosia pugna-
la Febo e meschinamente scappa.
La ragazza viene trovata accando
al corpo di Febo (ferito, poi si riprenderà e sposerà una ragazza
ricca) e dichiararla colpevole è
un attimo.
Per la sfortunata gitana sarà
carcere, tortura e condanna a
morte. Quasimodo, rischiando la
vita, la rapisce per salvarla e la
porta in Notre Dame. Torna, da
cotroaltare, il “cattivo”, Frollo (il
fatto che sia uomo di chiesa, non
importa): le fa la corte, Esmeralda rifiuta e lui la consegna
ai gendarmi. Per Esmeralda è la
morte certa, ma anche per Frollo
che Quasimodo lancia dalla torre
della cattedrale. Ma muore anche
il brutto ma buono Quasimodo,
accanto alla tomba della ragazza
che ha tanto, inutilmente, amato.
Povero, nobile, campanaro.
... Quasimodo
L’origine della maschera è sicuramente veneziana, come il dialetto nel quale si esprime. Più incerta è
la storia del suo nome: alcuni vi ravvisano il termine
“pianta leoni” con cui venivano chiamati i mercanti veneziani che erano soliti ergere il vessillo raffigurante il
Leone ovunque si recassero per commerci; altri invece
ritengono che il nome derivi dai pantaloni indossati dal
personaggio fin dai primi esordi nella Commedia dell’Arte. Comunque sia, il costume appare fin da subito
catterizzato da lunghi pantaloni attillati di colore nero,
una giubba rossa, una lunga zimarra nera, le
pantofole ed una maschera dal lungo naso
a becco. Un corto spadino e la borsa contenente i denari (la “scarsela”) completano l’abbigliamento del personaggio. Il carattere
è estremamente vitale e sensuale, caricatura del mercante
mediamente anziano,
ancora attratto dalle
grazie delle giovani donne, spesso in
conflitto con i giovani per procurarsene i favori. Goldoni smorzò fortememte i contrasti
di questo carattere, facendone
soprattutto un
vecchio assennato e saggio,
il cui buon
senso modera
spesso gli entusiasmi dei giovani.
palcoscenico 7
Martedì, 1 aprile 2008
TEATRALIA Giornata mondiale
NOTES
Aprile nelle CI
Robert Lepage:
“Teatro,
reinventati”
CI BUIE
4 aprile ore 19 concerto umanitario con la partecipazione dei gruppi della CI
11 aprile ore 19,30 presentazione del libro di Gabriella Chmet “Libera”
12 aprile, ora da definire rassegna delle Filodrammatiche delle CI
27 aprile ore 17 incontro dei gruppi giovanili delle CI “Bimbi allegri”
CI DIGNANO
2 aprile ore 19 alla Casa del giovane, I incontro dei gruppi folk dell’infanzia. Partecipano la CI e la SEI di Dignano, la CI di Valle, la
SE di Juršići ed il gruppo folk “Naso” (Sicilia)
CI FIUME
5 aprile ore 19 concerto in memoria di Mateo Katulić (1984
– 2007). Si esibiscono Diana Haller, Krešimir Škunca, Marijan
Padavić e Cvetan Pelčić che proporranno brani tratti dal “Barbiere
di Siviglia” di G. Rossini, accompagnamento al pianoforte di Vjera Lukšić
CI PIRANO
7, 8 e 10 aprile dalle ore 10,30 alle ore 13 Casa Tartini, “Dedicato
a Tartini: Qualche nozione sul suono. Qual’è lo strumento musicale
per eccellenza?- racconto
9 aprile 2008 ore 18 Sala delle Vedute,“Tartini a Padova” (con Margherita Canale)
9 aprile ore 19 Giovani e maestri in concerto con Tommaso Zuccon
Ghiotto (violino), Enrico Carraro, Giovanni Simeoni (viole), Davide Bernardi (violoncello), partecipazione straordinaria di Sonig
Tchakerian (violino)
11 aprile ore 10 presso la SE “Vincenzo e Diego de Castro” di Lucia, Laboratori artistici: “Chi è Giuseppe Tartini?” guidato da Neven Stipanov, “Le fiabe della musica” guidato da Liviana Poropat,
“Conosciamo il violino” guidato dalla violinista Verena Rojc
18 aprile ore 17, mostra alla Galleria Herman Pečarič
20.00 al teatro Tartini serata folkloristica con il gruppo “Val” di Pirano
20 aprile ore 9 in Piazza Tartini musica con la banda ed il coro
“Giuseppe Tartini”
20 aprile ore 15 apertura della mostra “Le mie saline”
Dal 19 al 26 aprile 2008 a Maribor Literatura slovenskih manjšin in
etničnih skupin.(Combi)
28 aprile ore 20 in Casa Tartini, Concerto della pianista Laura Nocchiero. In programma musiche di Schubert, Beethoven, Prokofiev,
Debussy
U
na Giornata Mondiale del (e per il) Teatro.
Creata nel 1961 dall’International Theatre Institute
(Iti), viene celebrata ogni anno
il 27 marzo, in tutto il mondo,
con numerose manifestazioni
ed eventi teatrali.
Ogni anno un celebre autore teatrale propone un messaggio e una riflessione sul tema
del teatro e della cultura della
pace. Il primo fu scritto nel ‘62
da Jean Cocteau, mentre quest’anno, dopo nomi come Paplo
Neruda, Luchino Visconti, Peter Brook, Edward Albee e Richard Burton, è stato scelto il
regista e scenografo canadese
Robert Lepage.
Il discorso-messaggio di Lepage formulato per la Giornata era intitolato: “Il teatro deve
reinventarsi”. Facendo riferi-
A cura di Daniela Rotta Stoiljković
CI ALBONA
2 aprile ore 20 al cinema di Albona, il Dramma Italiano presenta
“Bonaventura”
19 aprile ore 19 serata nella ricorrenza del nono anniversario della
costituzione del coro della CI di Albona. Ospite della serata il coro
della CI di Rovigno
mento all’inizio ancestrale di
quest’arte, quando gli uomini
raccontando storie in caverne
alla luce del fuoco scoprirono
la possibilità di utilizzare le
ombre per aiutarsi a narrare,
Lepage ricorda come la tecnologia sia all’origine stessa del
teatro e non debba essere vissuta come una minaccia, bensì
come un elemento che riunisce.
“La sopravvivenza dell’arte
teatrale dipende dalla sua capacità di reinventarsi ed integrarsi di nuovi strumenti e di
nuovi linguaggi. [...] Per rappresentare il mondo in tutta la
sua complessità, l’artista deve
proporsi forme ed idee nuove,
affidandosi all’intelligenza dello spettatore, capace di distinguere la forma dell’umanità in
questo perpetuo gioco di ombre
e luce”.
CI ROVIGNO
1.mo aprile ore 20 al Teatro “Gandusio”, il Dramma Italiano presenta la commedia “Bonaventura”. La matinée alle ore 12
11 aprile ore 19 al Teatro “Gandusio”, spettacolo del Gruppo teatrale per il dialetto di Trieste che presenta “La linea di Estremo Oriente” di Carpenteri e Faraguna. Adattamento teatrale di Giorgio Amodeo, regia di Gianfranco Saletta
25 aprile ore 19 al Centro multimediale della Città di Rovigno, concerto del Gruppo mandolinistico “Serenate” di Pirano
CI SISSANO
26 aprile ore 20 spettacolo con ospiti le CI di Fasana e Gallesano
Il programma può subire modifiche
8 palcoscenico
Martedì, 1 aprile 2008
CARNET PALCOSCENICO rubriche a cura di Carla Rotta
TEATRO Il cartellone del mese
IN CROAZIA
IN ITALIA
Teatro Nazionale Ivan de Zajc - Fiume Teatro lirico Giuseppe Verdi - Trieste
1.mo, 2 e 3 aprile ore 19,30
Serata d’autore con Milko
Šparemblek
tonela Malis / Leonora Surian,
Anastazija Balaž Lečić / Kristina Kaplan
8, 9, 10, 11 e 12 aprile ore 10
Teatro Fenice
L’ape Maia di Bruno Bjelinski. Opera per ragazzi
17, 18, 19, 21, 22, 23, 24, 25
e 26 aprile ore 19,30
La bisbetica domata commedia di W. Shakespeare. Regia
Vito Taufer
29 e 30 aprile ore 19,30
4 e 7 aprile ore 19,30
Nunsense di Dan Goggin.
Regia Mojca Horvat. Interpreti Olivera Baljak /Andreja
Blagojević, Vivien Galletta / Leonora Surian, Andreja
Blagojević / Elena Brumini, An-
Romeo e Giulietta balletto di S. Prokofjev. Coreografia
e regia Staša Zurovac. Dirige
Nada Matošević. Interpreti Laura Popa, Cristina Lukanec, Sabina Voinea, Andrei Köteles, Leonid Antontsev, Staša Zurovac,
Tomaš Danielis, Roberto Pereira Barbosa Junior, Ashatbek
Yusupzhanov, Alen Nezirević
12, 15, 16, 17, 18 aprile ore 20,30; 13 aprile ore 16; 19 aprile ore
17
I sette peccati capitali su libretto di Bertolt Brecht; musiche di Kurt
Weill e Trouble in Tahiti libretto musiche di Leonard Bernstein. Interprete principale Daniela Mazzucato
Politeama Rossetti - Trieste
Ciclo:Prosa
8, 10, 11 e 12 aprile ore 20,30; 9 e 13 aprile
ore 16
Il berretto a sonagli di Luigi Pirandello. Regia
Mauro Bolognini - ripresa da Sebastiano Lo Monaco. Interpreti Sebastiano Lo Monaco, Maria Rosaria Carli e con Clelia Piscitello, Claudio Mazzenga, Franca Maresa, Viviana Larice, Rosario Petix,
Ylenia Vasile
23, 24, 25 e 26 aprile ore 20,30; 24 e 27 aprile ore 16
Inventato di sana pianta, ovvero gli affari del
Barone Laborde di Hermann Broch. Regia Luca
Ronconi. Interpreti Massimo De Francovich, Pia
Lanciotti, Massimo Popolizio, Anna Bonaiuto,
Giovanni Crippa, Giacinto Palmarini, Luca Criscuoli, Davide Zaccaro, Gabriele Ciavarra, Marco Brinzi
4 e 5 aprile ore 21; 6 aprile ore 17
Indemoniate drammaturgia di Giuliana Musso,
Carlo Tolazzi. Regia Massimo Somaglino. Interpreti Sandra Cosatto, Marta Cuscunà, Fabiano Fantini, Riccardo Maranzana, Federico Scridel, Massimo Somaglino
Teatro cittadino - Pola
1.mo aprile ore 20
Dundo Maroje di Marin
Držić. Regia Ozren Prohić. Interpreti Zijad Gračić, Krunoslav Šarić, Nikša Kušelj, Dušan
Gojić, Milan Pleština, Mirta
Zečević, Tomislav Krstanović,
Marija Kohn, Livio Badurina,
Ana Begić, Žarko Potočnjak,
Joško Ševo, Vedran Mlikota,
Ljubomir Kerekeš, Ivan Jončić,
Franjo Kuhar, Barbara Vicković,
Ivana Boban, Dora Lipovčan,
Ivan Brkić, Alen Šalinović, Davor Borčić, Tomislav Stojković,
Zijad Gračić, Miro Šegrt
16 aprile ore 20
Il signor Bruschino di
Gioacchino Rossini. Regia
Dinko Bogdanić. Solisti Henrik Šimunković, Lidija Horvat
Dunjko, Ronald Braus, Stjepan Franetović, Ozren Bilušić,
Blanka Tkalčić Breglec / Mihaela Soko, Vatroslav Maltar
24 aprile ore 20
Caratteri sloveni Regia
Željko Vukmirica. Interpreti
Kristijan Guček, Minca Lorenci,
Barbara Medvešek, Damjan M.
Trbovc, Barbara Vidovič
5 aprile ore 20
Riva i druxi di Milan Rakovac. Regia Lary Zappia. Interpreti Aleksandar Cvjetković,
Filip Lugarić, Elvia Nacinovich, Bruno Nacinovich, Denis
Brižić, Romina Vitasović, Rosanna Bubola, Elena Brumini,
Alida Delcaro, Lucio Slama,
Teodor Tiani, Rade Radolović
28 e 29 aprile ore 9.30 e 11;
30 aprile ore 9,30 e 18
Giochi sociali di Gordon
Scammell. Regia Aleksandar Bančić. Interpreti Matija
Ljuba, Lukas Jovanović, Saša
Stepanović, Diego Kliman,
Marko Costantini, Petra Kožljan
/ Iva Kevra, Ana Rumak / Sara
Poljak, Zuzana Čulić / Anita
Knežević / Kristina Brajković,
Nina Veizović / Irena Bilčić
IN SLOVENIA
Teatro cittadino - Capodistria
Chiuso per restauro
Ciclo: Fuori abbonamento
3 aprile ore 21
Canto perchè non so nuotare... da 40 anni
Massimo Ranieri in concerto
29 aprile ore 20,30; 30 aprile ore 16
Il dubbio di John Patrick Shanley. Regia Sergio Castellitto. Interpreti Stefano Accorsi, Lucilla
Morlacchi
Ciclo: Danza e dintorni
19 aprile ore 20,30; 20 aprile ore 16
Hubbard Street Dance Chicago coreografie di
Jiri Kylian, Nacho Duato, Daniel Ezralow, Twyla
Tharp
La Contrada - Trieste
11, 12, 16, 17, 18 e 19 aprile ore 20,30;
13, 15 e 20 aprile ore 16,30
Indovina chi viene a cena di William Arthur Rose. Regia Patrick Rossi Gastaldi. Interpreti Gianfranco D’Angelo, Ivana Monti,
Timothy Martin, Emanuela Trovato, Howard
Ray, Mary Hubert, Fatimata Bendele, Mario
Saletta
Anno IV / n. 4 1 aprile 2008
“LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina
IN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina
Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat
edizione: PALCOSCENICO
Redattore esecutivo: Carla Rotta / Impaginazione: Annamaria Picco
Collaboratori: Rossana Poletti, Daniela Rotta Stoiljković / Foto: Mauricio Ferlin
La pubblicazione del presente supplemento viene supportata dall’Unione Italiana grazie alle risorse stanziate dal Governo italiano
con la Legge 193/04, in esecuzione al Contratto N° 83 del 14 gennaio 2008, Convezione MAE-UI N° 2724 del 24 novembre 2004
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