Un eroe del nostro tempo
« Taluni lettori vorranno forse conoscere la mia opinione sul carattere
di Piciórin... La mia risposta è il titolo di questo libro ».
LERMONTOV, L'eroe del nostro tempo
PARTE PRIMA
I
Nella terrazza le donne avevano steso delle corde
per appendere la biancheria. Accosto al muricciolo
v'era il pollaio di Virginia, col tetto di lamiera e il
graticcio di rete; sul parapetto la cassetta di terra ove
Faliero coltivava i pomodori. La cucina era grande
abbastanza perché le donne potessero avere ciascuna
il suo fornello, e un tavolo sul quale appoggiare gli
utensili, la spesa. Era gente a cui la guerra aveva tolto
la propria casa, o che una casa propria non aveva mai
avuto. Tre famiglie in uno stesso appartamento, a un
ultimo piano che il vicinato gli invidiava, per la terrazza soprattutto, e perché vi stavano agiati, due a
due com'erano. Con in piú questo: che la terza famiglia, composta di una sola persona, nemmeno si
poteva chiamar tale. Di essa i vicini dicevano:
«La signora del pollame».
«La repubblichina».
Non sapevano altro di Virginia, se non che era
vedova e che il marito glielo avevano fucilato i partigiani. Ella viveva sola, appartata: il suo ostentato
cordoglio eccitava le immaginazioni. Era alta, bionda, col seno pieno e gli occhi chiari: bella per gli
uomini, e superba per le donne.
Veniva da un paese della campagna, da una famiglia di piccoli proprietari. Quindici anni prima, adesso ne aveva trentatré, costruivano un ponte nuovo sul
fiume, dirimpetto alla sua casa. Dirigeva i lavori un
ingegnere di quarant'anni, alto, dalle tempie tutte
bianche e il fare spigliato. Egli le pose gli occhi ad-
dosso e si sposarono. Le dette una casa in città, con
l'orto, il bagno. Ella viveva del suo affetto, della sua
soggezione e della casa, in attesa del bambino. Invece del figlio era venuta la guerra. Lui era già anziano, non andò soldato. Ella era contenta. Lo fu
fino al giorno in cui i nemici bombardarono il suo
paese, proprio il ponte sul fiume, e i suoi genitori
rimasero uccisi. Quel giorno ella si vesti di nero: un
lutto destinato a durare dentro il suo cuore come nel
colore dell'abito. Quando finí il fascismo, per rinascere subito dopo, suo marito cambiò da cosí a cosí:
ella non sapeva ancora spiegarsi. Tutto in lui diventò
diverso, anche la voce. Stava giornate intere fuori
casa, vestito da fascista. («Dunque non era piú al
Genio Civile?». Nei dieci anni di matrimonio, Virginia non si era mai permessa di interrogarlo). Una
notte egli non rientrò; l'indomani si combatteva per
le strade. Lo rivide su una tavola mortuaria, dentro
degli abiti che non erano suoi, la testa sfracellata.
Poi ella dovette lasciare la sua casa. Coloro che vi
subentrarono le avevano trovato quella camera in
subaffitto, all'altro capo della città, un mondo nuovo.
Erano passati sei mesi e ad essa sembrava ancora
di vivere « sollevata da terra », l'aveva detto al confessore. Non riusciva a raccogliersi col pensiero. Aveva tentazioni assurde, e piú forte d'ogni altra, quella
di recarsi al cinematografo. Della sua casa era riuscita a salvare la mobilia della camera da letto e, chissà come scampata alla razzia, una parte del suo pollaio. Ci fu una risata ed un applauso allorché arrivò
nel nuovo quartiere, con in braccio le due galline.
Una donna disse: «Rispettate il lutto».
« Ha gli occhi ancora gonfi di pianto», disse
un'altra.
E un'altra: «Lacrime di coccodrillo».
Ecco, ovunque ella andasse, anche in un mondo
per lei ignoto fino ad allora, la gente le sarebbe stata
ostile. Ella ne era sempre piú stupita ed offesa. Trovò un'istintiva difesa accettando la propria solitudine : Nei giorni che seguirono, in chiesa, per le scale,
nei negozi, alcune donne le si erano avvicinate, con
un'espressione consolante sotto la quale ella credette
intravedere cattiveria e ironia. La sua naturale timidezza si era trasformata in sospetto, in terrore.
Anche con gli inquilini dell'appartamento, i suoi
rapporti si limitavano al saluto. Di ciascuno, origliando, ella aveva imparato le abitudini. Sbrigava le pro-
prie faccende quando essi dormivano. Del resto, la
piú parte della giornata ella restava sola in casa, con
la cucina intera, e la terrazza, a sua disposizione.
Nella camera accanto alla sua abitavano una madre
e un figlio giovanetto. Virginia seguiva i loro colloqui attraverso la parete. Sapeva ormai tutto di essi:
della loro povertà e dell'irrequietezza del figlio che
la madre chiamava Sandrino. Il ragazzo era commesso in un negozio di tessuti. Virginia non lo aveva mai
visto. La madre, invece, la conosceva: era una donna
dimessa, con la voce querula e lo sguardo dolce.
« Mi scopro anch'io cosí sola, a volte», le aveva
detto costei offrendole la propria compagnia, che
Virginia aveva rifiutato. «Vado a servizio e torno
che è già buio. La mattina esco appena fa giorno,
mi sente passare per il corridoio? ».
Certo che la sentiva. Il suo sonno era lieve. Bastava
il suono di una campana, lontanissima tuttavia, a
destarla.
«Non mi chiami signora», le aveva detto la madre di Sandrino. «Mi chiami Lucia. E non si privi
di chiedermi qualcosa, se le serve».
Poi le aveva detto: «Il mio ragazzo fa rumore
quando si alza? La disturba? ».
Se faceva rumore, il ragazzo! Ma era il rumore di
un ragazzo, l'unico che non la costringesse a sussultare. Egli cantava, appena alzato. Attraverso la parete Virginia lo seguiva ogni mattina, dal momento
in cui si destava al suono della sveglia che la madre
gli caricava uscendo. Virginia lo udiva lavarsi e cantare, frugare nei cassetti, spostare le sedie, percorrere
il corridoio, e poi sbattere la porta sulle scale. Allora, andatosene Sandrino, ella restava sola in casa fino
al pomeriggio inoltrato.
Gli altri due inquilini erano già fuori da qualche
ora. Erano una coppia di sposi ed occupavano la camera con le finestre sulla strada. Un meccanico ed
un'impiegata. Le si erano presentati pochi giorni dopo il suo arrivo, di sera tardi. Bussarono alla sua porta e Virginia si finse addormentata. Tremava. Insistevano, e dove farsi viva.
«È soltanto per le presentazioni», disse il giovane.
Si capiva che si stava divertendo. La sposa lo rimproverava a bassa voce, anch'essa frenando l'ilarità.
Disse:
«Non si impressioni, signora. Ci sono anch'io, e
sono donna».
Virginia si vestí, prima di introdurli. Tirò su le
coperte e ravviò la camera. Il giovane, dal corridoio,
disse:
«Faccia pure il suo comodo. Noi ci siamo seduti».
Ma appena le furono dinanzi, erano diventati seri
ed impacciati. Si tenevano per la mano. Le parvero
incredibilmente giovani, la ragazza in specie. Lui
era sbarbato e pettinato lustro: era in maglietta e
pantaloni corti corti in modo assurdo, con le cosce bionde e pelose. Le ripeté:
«Volevamo fare la sua conoscenza. È dei nostri da
una settimana e se ne sta sempre chiusa in camera».
Chiese il permesso di accendere la sigaretta. La
sposa gli lasciò la mano per infilarla attraverso il suo
braccio.
Virginia cercava di sfuggire i loro sguardi. Non
sapeva cosa rispondere e temeva per ogni parola che
potesse uscirle di bocca e comprometterla, in qualche
modo.
Il giovane disse:
«Io sono Faliero. Questa è mia moglie».
«Bruna», disse la ragazza.
E lui: «Di cognome Susini, ma non ha importanza ».
Quindi, accendendo la sigaretta, aggiunse:
«Già, è questo che volevamo dirle. Lei non deve
credere di trovarsi tra dei nemici. Forse qualcuno può
averle riferito quali sono le nostre idee, ragion per
cui lei è portata ad immaginare... Invece, no».
La ragazza lo interruppe. Si staccò dal suo braccio, si fece avanti di un passo, disse:
«Sappiamo soltanto che lei è sola. Se dobbiamo
vivere nella stessa casa, bisogna diventare amici. Perché la sera non mangia al tavolo con noi, in cucina ? ».
Virginia si era seduta; aveva il petto oppresso. Non
udiva la ragazza, bensí le parole di Faliero l'avevano
colpita, «come una martellata», dove c'è il cuore.
Ora era certa che nella stanza dirimpetto alla sua
abitavano dei nemici, forse proprio uno di coloro che
avevano ucciso suo marito. Teneva la testa bassa e le
mani in grembo: vedeva attraverso una nebbia quelle
cosce bruciate dal sole, con la peluria bionda, fitta.
Poi si era accorta che la ragazza le porgeva un bicchiere d'acqua. Il giovane era uscito.
«Ci dispiace di averle procurato un'emozione»,
le disse Bruna. «Volevamo tutt'altro».
Virginia l'aveva guardata in viso. I suoi capelli erano castani, lunghi, retti da un nastro legato sotto la
nuca, gli orecchi scoperti, gli occhi grandi, scuri,
addolorati, e le braccia nude ed esili, il seno sciolto
sotto la camicetta. Per un istante aveva provato il
desiderio di abbandonarsi al pianto tra quelle braccia,
quel viso, che le ispiravano consolazione. Ma immediatamente aveva ricordato che la ragazza era la moglie di colui che aveva detto di chiamarsi Faliero,
«un partigiano». Di nuovo l'aveva assalita il terrore,
l'ansia di difendersi da un pericolo. Si era alzata,
rigida nella persona, incapace di parlare: andava con
lo sguardo dalla ragazza alla porta ch'era rimasta
socchiusa.
La ragazza aveva posato il bicchiere: «Io vado,
signora. Non la importuneremo piú. Si convincerà
da sé che siamo brava gente», le disse.
Cosí erano passati sei mesi, un'estate torrida, un
autunno piovoso. L'inverno si annunziava gelido, con
la prima neve. Ed era accaduto qualcosa di terribile
e di dolce insieme che aveva sconvolto l'animo di
Virginia recandole una gioia inattesa, sconosciuta finora, e che nello stesso tempo aveva trasformato il
suo terrore in un'angoscia d'altra specie, piú profonda. Ossessiva.
In apparenza ella conduceva la sua solita vita solitaria, chiusa nel suo cordoglio come nel suo abito
di vedova. Tuttavia i rapporti con gli altri inquilini,
pur limitandosi ancora, nei rari incontri, alle frasi
di convenienza, si erano distesi; non v'era piú, nel
suo atteggiamento e nel tono della sua voce, quella
superbia che mascherava il timore. Adesso la sua persistente laconicità, la sua stessa misantropia, avevano
acquistato un che di umile, di patetico, da suggerire
la melanconia piú che il disprezzo o il timore. Le
sue attenzioni non erano piú riservate unicamente al
pollaio ed ai mobili della propria camera; lo stesso
velo nero non le ricadeva piú dal cappello sulle spalle;
un tenue rosso le ravvivava le labbra. Ma ancora i
suoi occhi erano spesso gonfi di pianto, le sue visite
al cimitero erano ancora lunghe e frequenti, la sua
solitudine ugualmente irreducibile. Usciva dalla sua
camera allorché la casa si era fatta deserta e Bruna,
ch'era la prima a rientrare, sulla sera, già ve la trovava rinchiusa: la salutava passando per il corridoio
e ne riceveva le notizie che riguardavano lei e Faliero, se ve ne erano: la posta, l'imbasciata di un
amico. Anche con Faliero si scambiavano il saluto,
attraverso il corridoio. Avevano cominciato loro, ed
a Virginia era sembrato dapprima pericoloso, poi
soltanto scortese non ricambiarli. Coi giorni, coi mesi,
la sua voce era diventata cordiale. Faliero si annunciava dal pianerottolo, col ronzio che faceva la moltiplica della bicicletta. Una volta, involontariamente,
era stata Virginia a dargli per prima la buonasera.
Faliero si era fermato nel corridoio, aveva detto:
«Brava. Quando si deciderà ad onorarci? ».
E lei, Virginia: «Prima o poi», gli aveva risposto.
Questo era accaduto in settembre. E siccome spesso,
al mattino, Faliero non faceva in tempo a recarsi
in terrazza, era Virginia che segretamente innaffiava
la cassetta ov'egli coltivava i pomodori. Ora, seppure
non credesse ancora ch'essi le volessero bene, come
dicevano, sapeva tutto anche di loro. Sapeva come
Faliero e Bruna si erano incontrati, perché si erano
incontrati; sapeva che i tedeschi avevano arrestato Faliero. l'avevano torturato e lui aveva subito le torture
zitto, finché i suoi compagni partigiani erano riusciti
ad organizzargli l'evasione; sapeva che Bruna, con
quei suoi occhi e quelle braccia, aveva attraversato in
lungo e largo la città, nascondendo gli esplosivi dentro la borsa della spesa.
Chiusa nella sua camera, i segreti della casa venivano a lei. Della sua vicina di stanza, Lucia, Virginia
sapeva che un uomo l'aveva messa incinta e poi le
aveva confessato di essere già sposato: aveva continuato a mantenerli, lei e il bambino, fino a quando
era scoppiata la guerra in Abissinia, e c'era morto.
Ora il ragazzo aveva compiuto sedici anni, si chiamava Alessandro come il padre, Sandrino tuttavia,
e Virginia lo aveva conosciuto. Era suo amico.
II
Virginia conobbe Sandrino il giorno in cui essa
compiva trentatrè anni. I ricordi l'avevano sopraffatta tutta notte, e piú di ogni altro quello di un suo
compleanno di bambina, di quando aveva nove o
dieci anni: si era ammalata di difterite e sembrava
dovesse morire. Il giorno del suo onomastico il padre
era rientrato con un regalo: una bambola che le misero sotto le coperte e che l'indomani fecero sparire,
siccome nel delirio la bambola le aveva fatto paura.
Gliela restituirono durante la convalescenza, coricata
dentro una culla celeste, col baldacchino. La conservò
sempre, da giovanetta e poi da sposa; aveva preso l'abitudine di farle un vestitino nuovo e di cambiarle
pettinatura ogni stagione. Con gli anni la culla aveva perduto il baldacchino. Suo marito le diceva:
«Quando avremo un figlio, ne sarai gelosa». Ora non
l'aveva piú con sé. Di ritorno dall'aver sepolto Ezio,
suo marito, trovò la casa saccheggiata. S'erano presi
tutti gli oggetti di valore, ed anche la bambola. La
culla era rovesciata in un angolo, azzoppata. Allora,
durante la convalescenza, era stata ansiosa di far vedere la bambola alle sue amiche, soprattutto a Lisina,
la figlia del fattore, ch'era la sua vera amica. Poi
seppe che Lisina era morta per il «gruppe».
Quel ricordo in specie l'aveva tormentata tutta notte. Era come se si sentisse di nuovo strangolare, ardere dalla febbre e prossima a morire, sola, chiusa
nella sua camera, tra nemici che non le avrebbero
dato un bicchiere d'acqua per aiutarla. Un bicchiere
d'acqua, sí, e poi si sarebbero congedati. Le avrebbero
detto: «Me ne vado, signora». Si era appena assopita che la destò il suono della campana; attraverso
la parete sentí che Lucia lasciava il letto. Quindi aveva udito Sandrino gridare contro la madre, con quella sua voce forte, di adolescente irritato e pieno di
sonno: «Possibile che tu mi debba svegliare tutte le
mattine per dirmi addio? Hai caricato la sveglia, dunque, come posso fare tardi al negozio?». Anche Bruna e Faliero se ne erano poi andati.
Virginia stava pettinandosi alla specchiera; si scaldò il caffè sulla macchinetta a spirito, ravviò la camera. Passò un'ora e suonò la sveglia, al di là della
parete. Ella tese l'orecchio. Le piaceva sentire Sandrino muoversi e cantarellare. Ma non lo voleva conoscere. Le piaceva seguirlo segretamente. Adesso anche
lui le dava timore, e se i suoi rumori e la sua voce
non la facevano sussultare, tuttavia le procuravano
turbamento. Dopo l'episodio di una settimana prima,
origliare dietro la parete, sapendolo solo nell'altra
stanza, le era gradito e insieme le repugnava.
Una settimana prima, era suonata la sveglia e Virginia si aspettava di sentirlo alzarsi. Invece c'era stato
un lungo silenzio. Lei si era avvicinata alla parete.
Dal silenzio, al suo orecchio in allarme era pervenuto
il cigolio del letto, e poi, sempre piú intenso, il lamento di Sandrino, la sua gioia conclusa con delle
grida strozzate. Lo udí lavarsi, frugare nei cassetti,
percorrere il corridoio. Allora, con un'ansia di cui
non seppe mai rendersi conto, si era precipitata alla
porta, aveva tolto la chiave e messo l'occhio alla serratura. Si aspettava di vederlo uscire assieme ad una
donna, anche se era assurdo pensarlo. Aveva visto appena le sue gambe, gli stinchi fasciati dai calzettoni,
e per un attimo la sua mano, la destra, una sigaretta
accesa tra le dita. Era solo, e Virginia se ne intenerí;
si scoperse a sorridere davanti alla specchiera.
Ora, al mattino, era con una curiosità sempre piú
morbosa e un sempre piú combattuto pudore ch'ella
lo spiava attraverso la parete e quasi, ogni mattina,
con un senso di delusione, siccome l'episodio non si
ripeteva. E da una settimana ormai, allorché egli raggiungeva il corridoio, una forza irresistibile la spingeva al suo osservatorio, trattenendo il fiato, una mano sul petto, inginocchiata. Cosí quel mattino in cui
compiva trentatré anni.
Era suonata la sveglia e Virginia si era accostata
al muro, il pettine tra i capelli. Trascorse mezz'ora
senza un segno di vita al di là della parete. Dubitò
ch'egli se ne fosse andato, ma era impossibile che le
fosse sfuggita la sua presenza nel corridoio. Piuttosto,
questa volta il suo lamento era forse tanto segreto
da fondersi col silenzio? La curiosità di Virginia si
espandeva di respiro in respiro. Divenne un'agitazione che ella non sapeva piú dominare, come il battito
del cuore. Aveva le guance avvampate, e tuttavia rabbrividiva. Il ragazzo poteva sentirsi male: solo e
svenuto, incapace di chiedere aiuto. O soltanto non
aveva udito la suoneria. Bisognava svegliarlo, evitargli di arrivare in ritardo al negozio, l'avrebbero licenziato; e i rimproveri della madre, la punizione.
Virginia sollevò una sedia e la lasciò ricadere vicino
al muro. Attese, le mani strette e premute sul petto.
Ripeté il gesto e il rumore. Inutilmente. Tolse di
sotto il portafiori il piatto di metallo e lo gettò a
terra: il fracasso le sembrò echeggiasse nella casa intera. Bussare al muro non voleva, Sandrino si sarebbe
sentito in dovere di risponderle e interrogarla. Tuttavia, pochi minuti dopo già batteva con le nocche sui
parati, lievemente, e poi piú forte, con lunghe pause
che accrescevano il suo orgasmo. Si faceva una colpa
del ritardo di Sandrino; ne soffriva come di una propria leggerezza le cui conseguenze avrebbero potuto
essere irreparabili. Poi l'idea ch'egli fosse stato colpito
da un malore le sembrò la sola possibile; l'angoscia
patita durante la notte tornò a dominarla. Ricordò
che la difterite assale d'improvviso: ella si era svegliata con una gran febbre, una grande prostrazione,
incapace di parlare. Non pensò piú a se stessa, alla
propria condizione. Pensò che al di là della parete
c'era un ragazzo moribondo e abbandonato. Uscí nel
corridoio, raggiunse la porta della camera di Sandrino, e ad ogni passo le aumentava la certezza: non
ebbe piú né titubanza né timore. Girò di colpo la
maniglia, aperse. Egli stava appoggiato con le reni
al davanzale della finestra, e sorrideva. Disse:
« Benvenuta ».
Ella cadde riversa sulla soglia.
In seguito ella si disse che riaprendo gli occhi era
diventata un'altra donna. La vedova Virginia, accorsa per recare aiuto ad un ragazzo sofferente, avrebbe
agito diversamente vedendosi burlata: si sarebbe, almeno, alzata furibonda dal letto in cui Sandrino l'aveva adagiata, e rinchiusa nella propria camera per
dare sfogo alla disperazione.
Gli sorrise, invece. Gli disse: «Ti sembrano scherzi da fare?».
Egli le sedeva di fronte, sulla sponda del letto.
Disse: «Vuol bere? Scelga: acqua o caffelatte. Non
c'è di meglio a disposizione».
Ella lo guardava; per prima cosa pensò che doveva
essere forte se l'aveva sollevata da terra e stesa sopra
il letto. Forte lo era anche all'apparenza. Un uomo,
quasi, per la larghezza delle spalle e del torace. Il
maglione che aveva indosso lo modellava. Ma la faccia era la sua, di ragazzo, con quel che di patito e di
tenero proprio dell'adolescenza. L'ombreggiatura agli
angoli della bocca sottolineava la femminilità dei lineamenti, meravigliosamente armoniosi. Aveva la
fronte alta, gli occhi grandi e celesti, il naso diritto,
delicatissimo, dalle narici leggermente rilevate. Gli
orecchi appena staccati e rosei; la bocca piccola, ancora di bambino, con le labbra del colore di sangue
vivo. V’era nella sua espressione e la bocca e lo
sguardo li determinavano candore e voracità insieme. Un'infantile, aggressiva dolcezza che lo rendeva amabile. Appariva un ragazzo furbo e bellissimo, precocemente cresciuto e sicuramente discolo; invogliava a tirargli i capelli infilando le dita in quel
suo casco biondocastano, tutto ricci.
Egli ripeté: «Di solito, dopo uno svenimento, bere
è di rigore ».
«Sto già bene», ella disse. Si sollevò, mise i piedi
a terra. Parlavano da amici, come vi fosse confidenza
tra di loro. Ella non sapeva staccare lo sguardo dal
suo viso e ogni volta lo sguardo di Sandrino, fisso su
di lei, la costringeva a distrarre la propria attenzione.
Ma non la turbava. La disponeva, semmai, al sorriso
che da tanto tempo aveva dimenticato. Ella disse, e
sembrò una riflessione:
«Sono andata giú di scoppio».
«Come una peracotta», egli commentò.
I loro sguardi si incontrarono di nuovo, ma lei sola sorrise, ed arrossí.
«Non fai tardi al negozio? », gli chiese.
«Mi sono preso una vacanza, siccome avevo deciso
di conoscere la misteriosa signora della camera accanto ».
«L'hai fatto apposta? ».
« Sí, l'ho fatto apposta. Lei esce quando in casa
non c'è piú nessuno. La domenica si barrica in camera per tutta la giornata. Mi avrebbe aperto se avessi bussato alla sua porta? ».
Ora che lo conosceva Virginia pensò che gli avrebbe aperto.
«Forse no », gli rispose.
«Allora mi sono detto: se non do segni di vita, lei
penserà che sono uscito e la potrò vedere».
Da mesi Virginia viveva in una cella. Anche le
strade erano una cella, ovunque vi fosse vita e persone. I suoi rapporti con la gente si esaurivano in monosillabi, in frasi laconiche e recise, piú dolorose del
mutismo. Adesso, dopo mesi, era la prima volta che
tornava a parlare ritrovando un barlume di serenità.
Vi si affidava con una riservatezza sempre minore,
come ansiosa di godere il piú possibile quell'attimo di
consolazione che le sarebbe dovuto servire a lungo,
nella sua solitudine.
Disse: «Ed ora che mi hai veduta?».
«Penso di averle fatto piacere», egli rispose. E di
seguito, col tono acerbo e deciso che ella già gli conosceva, aggiunse: «Quindi penso di invitarla ad
una passeggiata».
Questo riuscí a turbarla. Invece di rispondergli,
Virginia abbassò il capo e si guardò le mani. Diceva
a se stessa che entrare in amicizia con Sandrino avrebbe significato frequentare sua madre, partecipare poco o molto alla loro vita, incontrare Bruna e Faliero,
mettersi nelle mani dei nemici. Sandrino, nella sua
innocenza, le tendeva un agguato. Decise di rifiutarsi. Ma egli sembrò entrare nei suoi pensieri:
«All'insaputa di mia madre e di tutti, voglio dire.
Mia madre è buona e cara ma appiccicosa, finirebbe
col costringerla a fare mensa comune. E il resto della casa è gente di cui non ci si può fidare. Non capiscono nulla della sua disgrazia. Non sono forse i tipi
come loro che l'hanno resa infelice?».
La sua faccia era dolce, amica, casta come il colore
degli occhi. Virginia gli prese una mano, gli disse:
«Tu sei un bravo ragazzo. Fai un'opera buona ad
offrirmi un po' di conforto ».
«Faccio soltanto il mio dovere», egli le rispose,
e come per cancellare ciò che aveva detto: « E perché anche a me fa piacere», aggiunse.
Si alzò, conservando stretta nella sua la mano di
Virginia. «Cominci intanto col non piangere », le
disse. E poi: «Sentiamo, dove aveva intenzione di
recarsi, stamattina?».
«Al cimitero».
«L'accompagno. Ora vada a vestirsi. Io l'aspetterò
alla fermata del tram».
Ecco, adesso era sola in camera sua come le altre
mattine, compiva trentatré anni e attorno a lei non
c’era nulla di cambiato. Eppure dentro di lei era avvenuto qualcosa che stava per renderla diversa: aveva
un amico di cui potersi fidare, un ragazzo che era
ragazzo ed era saggio e forte piú di lei. La sua mente, scossa dalle diverse emozioni rapidamente subite,
si rifiutava di pensare. O meglio, ella non voleva pensare per non annullare con la riflessione la tenue luce
ch'era apparsa all'orizzonte della sua desolazione. Per
scongiurare ogni possibile perplessità le bastava dirsi che «si trattava di un ragazzo». Tuttavia quando
vestendosi si accorse che poco prima, per aiutarla a
riaversi, il ragazzo doveva averle slacciato il reggipetto, lo smarrimento che ne provò fu piú forte dell'idea di aver turbato la verginità di Sandrino.
III
Era autunno, giornate grigie e ventose, il cielo
basso sulle case le cui facciate, coi manifesti e le
scritte, riproponevano ai passanti l'animosità e l'entusiasmo che erano stati loro propri nelle settimane
e nei mesi successivi alla Liberazione. V’era ormai negli animi, sopraffatti da piú immediate preoccupa-
zioni o da nuovi egoismi, quasi un'assuefazione, una
febbrilità tutta interiore, temperata dall'amarezza.
Con l'odio che lentamente si andava assopendo, anche la speranza assumeva piú limitati contorni. Ora
Virginia avvertiva che per le strade le sue gramaglie
non destavano piú negli sconosciuti quella pur superficiale pietà dei primi tempi, l'umana attenzione
che le era costata un continuo terrore. Piú nessuna
donna ormai, o soltanto per un personale conforto,
le chiedeva la ragione del suo lutto avvicinandola in
tram, da un fioraio, dal panettiere, e piú nessun uomo,
reso ardito dal suo aspetto piacente, cercava di scoprire se per caso suo marito gli fosse stato amico
o compagno in Africa, in una brigata partigiana, in
un campo di concentramento. Anche il mondo le
sembrava meno ostile. Del resto, adesso ella usciva
raramente sola, appena per acquistare il necessario
nel negozi vicini. La sua recente amicizia con Sandrino aveva conferito alla sua giornata una fisionomia piú attiva, ed al suo spirito una nuova, consolante, materna freschezza.
Quel 18 ottobre dei suo trentatreesimo compleanno, Sandrino l'aveva accompagnata al cimitero e
poi erano tornati a piedi in città indugiando davanti al Luna Park incontrato lungo il cammino.
Egli era un ragazzo: dimenticandosi dei suoi occhi
ancora rossi di pianto, e delle parole da adulto che
egli stesso le aveva rivolto per consolarla, sorreggendole il braccio nei viali del camposanto, l'aveva
poi invitata, insistente, imperioso, alla pista delle automobiline. Ella aveva saputo trattenersi proprio
quando, presa dalla sua allegria, stava per salire
i tre gradini del baraccone. Era stato il gesto spontaneo di raccogliersi il velo sulla fronte a ricordarle la propria condizione. Aveva a sua volta incitato
Sandrino al tirassegno. Egli imbracciava il fucile con
la dimestichezza del soldato. Aveva fatto centro al
primo colpo, era scattato il lampo di magnesio ed
ora ella conservava la fotografia del giorno in cui si
erano conosciuti. La teneva in un cassetto del comò,
tra un capo e l'altro della biancheria. Nella fotografia
essa gli stava alle spalle, lo sovrastava di tutta la testa:
aveva gli occhi ridenti, sotto il velo. Questo se lo tolse definitivamente una settimana dopo, allorché Sandrino le disse:
«Il velo la immiserisce. Deve tenersi su, invece,
farsi bella com'è. La gente non deve avere l'impres-
sione che lei non si dà pace. È questo che vogliono.
Piú si accorgono che lei soffre, piú gli fa piacere».
Poi disse, già come un bambino che sa di ottenere
coi gesti: «E del resto, parliamoci chiaro, col velo
mi è antipatica».
« Me lo tolgo perché è finito il tempo del lutto
stretto», ella disse.
L'indomani riprese il bastoncino del rossetto: se
ne dette un'ombra, «un'ombra appena», sulle labbra, perché Sandrino la vedesse bella e stesse volentieri con lei. Si propose di essere un po' allegra e
spigliata, di non parlargli piú della propria solitudine e del proprio dolore. Che attrattiva può avere,
per un ragazzo in specie, una vedova che non fa
altro che piangere sulla propria sventura? Soddisfatta la curiosità di conoscerla, scoperto che sotto il
mistero del suo sfuggire la gente, non c'erano che
lacrime e squallore, Sandrino si sarebbe presto allontanato da lei. Aveva forse qualcosa in comune la
vita di Sandrino con la sua?
Per rispondere alla domanda le bastò capovolgerla
e quindi decidersi al rossetto, a rifarsi le unghie, a
pettinarsi con una cura maggiore, a umettarsi di
profumo il petto e le orecchie. Era la sua propria
vita ad avere qualcosa in comune con quella di Sandrino. La compagnia di Sandrino abbisognava al
suo spirito. Di ciò ella ricercava la ragione percorrendo a ritroso il proprio passato.
L'educazione ricevuta aveva compresso il suo istinto fin quasi ad annullarlo, e costretto alla supinità
ogni sua volitiva intuizione. Ella era cresciuta modellandosi sul carattere della madre come lo era stata
dal suo grembo, e soggiacendo al dominio, alla scontrosa affettuosità paterna fino ai ventitue anni. Per
i dieci anni successivi, la volontà del marito era stata
la sua stessa volontà. Praticamente ella era passata
dal padre al marito conservando per entrambi la
stessa intensità e le medesime sfumature sentimentali. Di questo incesto, tradizionale e legittimo, ella
subí il peso allorché le circostanze la resero sola al
mondo, padrona ma anche responsabile di se stessa.
Ella si trovò per di piú a dovere imparare a vivere
in un mondo che la respingeva ai propri margini e
che stava profanando quella società di cui fino ad
allora ella aveva innocentemente goduto l'assistenza
e il tepore. Al momento di giudicare la realtà coi
propri occhi prima di affrontarla, questa realtà le
apparve completamente sconosciuta. Un mondo avverso, impenetrabile, nel quale l'unica certezza che
le si offriva era l'ostilità. E il dolore. Lo choc fu
tale da far arretrare la sua mente in un limbo infantile. Fu tuttavia un modo di ritrovare, inavvertitamente, i primi moti dell'istinto, il senso del proprio corpo, della propria libertà.
Subito dopo averlo conosciuto, ella aveva capito
che Sandrino era ormai la sua vita stessa. Egli era
l'unica persona con la quale potesse scambiare delle
parole senza sentirla nemica, interessata o soltanto
curiosa, pronta a trasformare in pettegolezzo le sue
confidenze. Ella era sola al mondo, senza parenti né
amici (suo marito non le aveva permesso mai di diventare amica di qualcuno, nemmeno delle mogli
dei suoi amici) e il proprio orgoglio, il timore, l'incertezza sulla sorte altrui, la facevano rifuggire dal
visitare le antiche conoscenze e dal recare in case
che la conobbero signora e contenta, la propria pena
e desolazione. Il suo bisogno di pietà era cosí intenso, struggente, che la induceva a diffidare di coloro
che sembravano disposti a confortarla, e tanto piú
ne diffidava quanto piú il compianto e la partecipazione che riceveva si sforzavano di apparire spontanei: ella li avvertiva troppo immediati per essere
sinceri, troppo lamentosi per non celare l'ipocrisia.
Invece di consolarla la irritavano, le accrescevano
l'angoscia.
Anche le monotone esortazioni alla rassegnazione
e al perdono impartitele dal suo confessore avevano
finito per suonarle come parole di circostanza, prive
di carità. Ella aveva già esplicitamente accettato il
proprio destino, e la sua conoscenza dei fatti, come
la sua capacità di reazione, erano troppo imprecise
perché essa potesse concretamente maledire e odiare. La Fede, alla quale si era sempre mantenuta osservante, e nella quale aveva trovato rifugio in ogni
occasione meno lieta della sua vita, adesso non la riscaldava abbastanza da fondere il ghiaccio rappreso
attorno al suo cuore. Non c'era grazia nelle sue preghiere. I suoi colloqui con Dio erano dei lunghi monologhi in cui Virginia compiangeva se stessa: un
disperato, cavilloso riepilogo di fatti dei quali non
attingeva mai la ragione. Dio era il suo invisibile,
paziente spettatore. Per la prima volta, dopo tanti
anni, ch'ella avrebbe dovuto riscontrare con assoluta
devozione la sua anima di donna sul suo catechismo
di bambina, ella mancava alla prova. La sventura,
anziché irrobustire la sua fede, la fletteva. Non era
ancora il dubbio, bensí, ancora, la coscienza della
propria pochezza. Dio restava nel suo cielo: giusto,
dolce e terribile com'era dipinto nel soffitto della
chiesa. E della morte, Virginia (che conservava perpetuamente davanti agli occhi la visione dei corpi di
suo padre e di sua madre scempiati sotto le macerie, di suo marito col cranio scoperchiato dalla mitraglia) aveva una disumana paura. La solitaria e
sprovveduta Virginia andava formandosi a poco a
poco l'immagine di un Signore ascoltatore passivo
delle nostre confidenze terrene. Né era ancora un
rifiuto. Se Egli assegna a ciascuno di noi il proprio
Calvario e vuole che si beva il calice fino in fondo,
ella pensava, ecco che noi restiamo soli in attesa del
la morte. Arrivare alla morte, attraverso la solitudine e le pene, era la sua idea ossessiva.
Finora ella si era sentita vivere soggiacendo ad
una presenza fisica (i genitori prima, il marito poi):
esistere significava per lei dipendere da una realtà
che ti possiede, da qualcuno che ti istruisce e ti guida, che ti richiede e ti dona, e venendo a mancare il
quale l'ostilità del mondo ti consegna alla solitudine: la lenta agonia che prelude la morte. Sandrino
aveva voluto dire il ritrovamento di quella realtà,
la confusa ma indubitabile speranza di sopravvivere,
cosí come durante il loro primo colloquio le era
sembrato di tornare a parlare, a sorridere dopo mesi
di silenzio, di angosciosa impassibilità. Il pensiero
di annoiarlo, di perdere se non il suo affetto, la sua
amicizia (e non averlo piú vicino a sé le poche ore
della giornata che egli le dedicava) la riempiva di
sgomento. Egli era un ragazzo, ed appunto perché
tale l'aveva attratta. Nella sua semplicità e schiettezza, anche se non nella sua innocenza, ella ritrovava
quella consolazione e quel calore dei quali la società
le aveva fatto dubitare e che la Fede non aveva saputo offrirle. Egli non era piú innocente, il suo
corpo stesso lo diceva, e quel suo lamento ch'essa
aveva sorpreso al di là della parete, prima ancora di
conoscerlo, ne era una conferma. Ma aveva pur sempre sedici anni o poco piú, era un ragazzo, ed i suoi
pensieri, i suoi desideri, che adesso le confidava, le
espressioni ch'egli usava per distrarla dal suo dolore
erano autentici, sinceri, palpitavano della loro stessa
convinzione. Erano, a volte, anche brutali, recisi:
erano ordini dettati con la tracotanza che hanno i
ragazzi persuasi delle proprie idee. Ella subiva le
sue violenze con gioia, lo compiaceva e assecondava
al di là delle sue intenzioni. Egli era un ragazzo,
era sincero, si stava affezionando a lei, non l'avvolgeva in una coltre di rimpianto ma la sollecitava a
riprendere confidenza con la vita, ad affrontare il
mondo ad armi pari, ad essere bella ed a sorridere.
La invitava ad essere ragazzo assieme a lui, a montare sulle automobiline di ritorno dal cimitero.
Simulando il proprio proposito con dei richiami
materni, Virginia si era data presto una risposta:
fare in modo che Sandrino scoprisse ogni giorno di
piú qualcosa di comune tra la propria vita e la sua.
« In comune», egli aveva detto ridendo, « abbiamo le iniziali: Alessandro Vergesi e Virginia Aloisi.
Basta rovesciarle ».
Ma c'era anche qualcosa d'altro che le aveva avvicinato Sandrino ed ora la rafforzava nella sua persuasione. Un episodio della sua vita che Sandrino le
confidò fino dal primo giorno, tra il cimitero e il
tirassegno, Egli le aveva rivelato di partecipare delle
idee «per le quali è caduto suo marito».
«Sono stato fascista anch'io», le aveva detto. «Sono un nero, ho vestito la divisa fino alla vigilia dell'arrivo degli Alleati». Quindi aveva aggiunto:
«Tornerà la nostra ora. Vendicheremo suo marito e
i trecentomila caduti come lui, fino all'ultimo. Ne
fucileremo dieci per ciascuno dei nostri».
Parlava come se conversasse, sereno in viso, camminando all'unisono col passo di lei. Soltanto gli
occhi, immobili, gli brillavano. Era un ragazzo ed
ella credette che stesse inventando per consolarla, caro ed infantile qual era. Tuttavia le sue parole la
turbarono.
«Non parlare di queste cose. Ti sono grata perché tu credi mi piaccia ascoltarle. Al contrario, mi
spaventano. Io non so nulla e non voglio sapere
nulla. Di una cosa sola sono certa: che mio marito
era buono e l'hanno ucciso. Sarà il Signore che punirà i suoi assassini ».
« Lei è donna », egli disse.
La serietà della sua espressione le aveva strappato
un mesto sorriso.
E d'improvviso, con un tono piú grande di lui,
ch'ella non seppe se la facesse nuovamente sorridere
o tremare:
«Non gliene parlerò piú finché non sarà venuto
il momento. È una regola, del resto. Le donne che
hanno paura degli spari e del sangue, e che sono
disposte a perdonare come è disposta lei, meno sanno, meglio è... Faceva bene a tacerle, suo marito».
Poi aggiunse: «Seguirò il suo esempio ».
Allora ella gli aveva apertamente e dolcemente
sorriso.
IV
Adesso, dopo averlo salutato al mattino, ella lo attendeva poco distante dal negozio, quando Sandrino usciva per il pranzo, e la sera. Siccome la madre era occupata coi suoi servizi, a mezzogiorno Sandrino desinava come un operaio. Assieme al pane
preferiva la polenta fritta che acquistava alla rosticceria. Raramente prendeva una minestra alla Mensa
Popolare; il piú dei giorni era polenta fritta, sopressata, fichi neri, in mezzo al pane. Mangiava camminando, facendo due o tre palleggi con la carta ch'era
servita ad avvolgere il cibo, prima di gettarla. Aveva
due ore di libertà, dalla una alle tre. Andavano a
passeggiare sul lungofiume, sedevano sulla panchina
di un giardino. Lui accendeva una sigaretta. Di tanto
in tanto, mentre parlavano, egli raccoglieva della
ghiaia e coi sassi piú grossi tentava di colpire i piccioni che beccavano vicino. Uno dei primi giorni
dove avere spezzato un'ala ad una delle bestiole che
pigolò appena e con l'ala distesa andò a nascondersi
in una siepe: parve cercarvi rifugio per la propria
agonia. Era un piccione bianco e grigio, si trascinava penosamente: il vento era lieve e tuttavia sembrava abbatterlo ad ogni istante. Finché scomparve
dentro la siepe.
Virginia ne fu turbata. Gli batté una mano sulla
mano perché Sandrino gettasse gli altri sassi.
«Vergogna», gli disse.
Egli sorrideva, lasciò cadere la ghiaia, disse: «Ha
visto? non ha nemmeno tentato di volare».
Ella si alzò col proposito di soccorrere il piccione,
ma Sandrino la trattenne. La prese al polso: «Può
uscire una guardia da qualche parte», le disse.
Abbandonò la stretta quando Virginia fu nuovamente seduta.
«Non devi fare queste cose. Sei un ragazzaccio».
«Bisogna pigliarmi come sono».
Oppure andavano ad un caffè. Era lei ad offrire.
Le faceva pena ch'egli non prendesse niente di caldo, a mezzogiorno. La prima volta ordinarono due
caffè e siccome il cameriere portò il piatto delle paste, egli ne addentò una, e una seconda, sempre che
lei gli tenesse compagnia. Una settimana dopo quel
caffè era diventato una tappa consueta, prima di salutarsi; anche senza che si sedessero, egli mangiava
le sue paste.
«Quante ne mangeresti?», ella gli chiese. «Scommetto che ne mangeresti sei addirittura? ».
«Dica pure dodici», egli rispose.
« Scommettiamo ? ».
Le mangiò, ed ella temeva si fosse preso un'indigestione; poi pensò che ogni giorno il ragazzo soffriva la fame. Cominciò col portargli una fetta di
carne avvolta nella carta oleata. Egli accettò con naturalezza, disse che non c'era sale abbastanza.
«Ora indovina cosa ho dentro la borsa».
«Un caco, forse due».
«Come lo sai?».
«Ieri le dissi che mi piacevano».
Quel giorno era cominciato a piovere e dal giardino si erano rifugiati nella sala d'aspetto del tranvai,
ad un capolinea, distante pochi passi. Era appena
piú grande di un casotto, nel mezzo della strada,
col suo marciapiede giro giro che spartiva i binari
e il traffico sui due lati. V'erano delle panche infisse
al muro, trovarono posto ed egli vi finí il suo pranzo, tra la gente che aspettava il tram, o che spiovesse, o che parlava ad alta voce. Addentando il
frutto, egli commentò:
«Mi sta viziando».
«Sono sciocchezze, a paragone del conforto che
tu mi dai», ella disse.
Il suo conforto era tutto lí, ed era immenso: stargli vicina e vederlo mangiare, ascoltarlo raccontare
ciò che gli capitava nel negozio, nel corso della giornata, e dei film che aveva visto, delle sue speranze
per l'avvenire. Appena gli fosse stato possibile, egli
diceva, sarebbe scappato in Cina: era l'unico posto
dove si combattesse ancora e dove i comunisti le stavano prendendo.
«Ciang Kaishek è grande quasi quanto Mussolini ».
Ella si guardava attorno, gli implorava di tacere.
Pensava ancora ch'egli le dicesse quelle cose, ragazzo
qual era, credendo di farle piacere. Invece no, ne
soffriva. Ma lo ascoltava, e gli dava ragione quando
le diceva di non concedere la piú piccola confidenza
agli altri inquilini. Faliero e Bruna erano dei sovversivi.
«Io mi fingo loro amico per via del mio passato», diceva. «Ma appena... », e non terminava la
frase.
Di sua madre ripeteva: «È meglio che lei la
tenga distante. Una santa donna, ma con la lingua
lenta come una bambina, lei pure, sebbene senza
malignità... Ha avuto una vita difficile, sola, con
me piccino, ed ora è piena di palpitazioni, di timori...
Dovetti tenerle nascosto di essermi arruolato nei maro,
per non darle il crepacuore... Crede ancora che durante la Repubblica sia rimasto al sicuro, in campagna, da degli amici... Costoro erano camerati e ressero la parte».
Diceva che sua madre era una bambina con la stessa
sicurezza e con lo stesso affetto di un figlio già adulto che sa, per averli, cosa siano i bambini. Virginia
sorrideva, guardandolo: pensava, malgrado tutto, che
il bambino era ancora lui.
Un bambino che fumava, tuttavia, con l'intensità
e il gusto che provava un uomo e che conferiva alla
sua persona, mentre aspirava la sigaretta, un'aria smaliziata. Certi momenti, fissandola, egli la turbava. O
la prendeva a braccetto. Ella gli si affidava, involontariamente e spontaneamente insieme, ma presto se
ne staccava «per via della gente ». Poiché se da solo
a sola egli era per lei ancora un ragazzo, appena:
ella avvertiva lo sguardo di un estraneo, si sentiva
a disagio, come se nel proprio atteggiamento vi fosse
qualcosa di colposo.
Era cosí anche al caffè. Avevano preso a sedersi a
un tavolo d'angolo. Virginia vi era stata indotta
dal suo timore della gente, ma adesso che sedersi a
quel tavolo era diventata una consuetudine del mattino e della sera, lo sguardo del cameriere le sembrava ironico, come le occhiate distratte dei soliti
giocatori di scacchi. Perfino nel saluto della cassiera
e del barista scopriva una intenzione. Sandrino era
un ragazzo, non si accorgeva di tutto questo. Il cappuccino gli piaceva che fosse dolce, e le paste che
avessero la crema dentro.
Un giorno era rimasto senza sigarette.
«Se non ci fumo dietro, mi sembra di non avere
assaporato niente», disse.
Chiamò il cameriere e gli chiese un pacchetto di
Morris; prese la borsa dal grembo di Virginia, furtivamente, per pagarlo. Il suo gesto fu cosí semplice,
rapido e spontaneo ch'ella non se ne stupí. Si rallegrò, anzi, ch'egli avesse abbandonato l'infantile riserbo dei primi giorni, e la prevenisse nel soddisfare
i propri desideri. Non era certamente alla madre
ch'egli poteva ricorrere per i soldi delle sigarette.
Si salutavano lontano da casa. Egli la precedeva,
Virginia faceva un lungo giro prima di rientrare. Si
indugiava davanti ai cinematografi, guardava le fotografie dei film che Sandrino le aveva raccontato:
udiva ancora la sua voce. Entrava in una chiesa e si
raccoglieva nella preghiera, candidamente: era il
tempo in cui ringraziava il Signore di averle fatto
incontrare quell'anima innocente.
La loro amicizia si evolveva di giorno in giorno.
Quando suonava la sveglia di Sandrino, Virginia
aveva già riscaldato il caffelatte che la madre gli lasciava attorno al fuoco. Lo versava nella tazza e bussava alla sua porta. Trovava Sandrino ancora a letto,
o che si stava lavando. In questi casi egli le offriva il
mignolo per salutarla; tuffava la testa intera dentro
la catinella, «come un animaluccio ». Ella andava
nella propria camera ad affettare il pane e spalmarlo
di marmellata.
Poi gli sedeva di fronte e godeva di vederlo mangiare; sorbiva il caffè assieme a lui.
«Sei il mio figlioccio», gli disse una mattina.
Egli rispose: « Non mi piace».
« Potresti essere mio figlio veramente».
«È una bugia, e lei lo sa», egli disse. «Lo sa
tanto bene che sta facendo il viso rosso».
Virginia si era alzata per darsi un contegno; riuniva le due tazze nel piatto.
Egli disse: « Stia attenta di non portarsi via anche
la mia, e di non lasciar qui la sua. Come ce la caveremmo con mia madre?».
Quel mattino egli era stato impertinente. Glielo
rimproverò qualche ora dopo, al giardino. Fu il suo
primo ed ultimo tentativo di ristabilire una distanza
ormai perduta, che essa stessa aveva fatto di tutto
per accorciare. Gli disse:
«Hai ripensato a quello che mi hai detto stamani? Mi hai mancato di rispetto».
«Non me ne sono accorto», egli rispose. Quindi
le disse: «Si è mai confrontata allo specchio con
mia madre? ».
«Ora manchi di rispetto anche a tua madre».
Egli era un ragazzo, ed essa doveva riprenderlo, se
sbagliava.
«Cosa c'è di diverso, tra me e lei? », gli chiese.
«Tua madre avrà appena qualche anno piú di me.
Un ragazzo deve amare i propri genitori, tu in specie, che sei orfano di padre, dovresti venerare la tua
mamma».
Egli si alzò, aspirando la sigaretta.
«Ora è proprio mia madre», esclamò.
Si portò una mano alla tempia, nel saluto militare,
e la lasciò. Camminava svelto e Virginia dovette
correre per raggiungerlo. Aveva il cuore in gola, non
ragionava piú, capiva soltanto di averlo offeso.
« Ti chiedo scusa », gli disse. « Andiamo al caffè? ».
«Certo», egli disse. «Mi sono alzato perché il
vento mi metteva freddo, senza giacca come sono».
Nel caffè, ella cercava dei pretesti per farlo parlare
e persuadersi che non le serbava rancore. Gli chiese:
«Perché non ti sei messo la giacca? È già autunno. Vuoi fare lo sportivo?».
«Non l'ho messa perché non l'ho. Ne ho due,
per la verità, ma sono vecchie e non mi piacciono
piú. Eppoi, faccio ridere se me le infilo: mi arrivano
sopra le reni».
Rimasero in silenzio; lui giocherellava col cucchiaino; lei sembrava meditare, poi disse:
«Ti offenderesti se ci pensassi io? Potrei comperare un vestito da uomo e offrirlo a tua madre dicendo che apparteneva a mio marito». Si era fatta
triste, aggiunse: «Ezio aveva dei bei vestiti, ma mi
portarono via tutto, fino all'ultimo capo».
Egli scuoteva la sigaretta nel bicchiere, parve non
udire il suo commento. Disse: «Non si potrebbe,
invece, farmelo fare senz'altro su misura? ».
«E tua madre?».
«Le direi che me lo ha regalato il padrone del
negozio ».
«Ci crederebbe? ».
«Mia madre crede sempre a quello che le dico.
Non le racconto mai delle bugie».
Virginia era già presa d'entusiasmo, disse: «Benissimo, allora». Non riflette che se anche Sandrino
non aveva mai mentito a sua madre, quella sarebbe
stata la prima bugia che le diceva.
Egli era intento a schiacciare la cicca nel rimasuglio del caffè; la pigiava e sventrava col cucchiaino
vi teneva fisso lo sguardo. Ella lo vedeva di profilo:
vedeva il suo orecchio col lobo appena staccato, roseo, trasparente quasi, e i riccioli castano chiari gli
scendevano per il collo e scomparivano sotto il bavero
del maglione. Ne era intenerita, contenta di saperlo
di nuovo suo amico, di essere lei a potergli fare un
vestito e tenerlo caldo, ora che l'inverno si avvicinava, il suo ragazzo.
« E il cappotto ce l'hai ? », gli chiese.
« Una gabardine».
«Si potrebbe fare anche il cappotto», ella aggiunse.
Egli mescolava l'intruglio di caffè, cenere e tabacco; aveva un'espressione corrucciata. Disse:
«Ho esagerato. Non voglio. Lei mica deve navigare nell'oro».
«Ecco che sei il solito bambino. Se mi sono offerta, significa che posso. Non ti preoccupare».
«Invece, sí. Anche se lei ha qualche risparmio,
non le durerà eterno. Lei deve pensare all'avvenire,
nessuno le darà mai una mano. Né io sono in grado
di prometterle la restituzione».
Virginia era commossa.
«Ora mi fai piangere, sei contento? », gli disse.
Lui insisté: «Non ho il diritto di conoscere i suoi
interessi, ma non posso accettare un regalo cosí grosso, di un vestito e di un cappotto, se prima lei non
mi accenna, almeno sommariamente, come stanno
le cose».
Ella disse: «Ho un deposito in banca, a mio nome. L'eredità che mi lasciarono i miei genitori».
«Quanto?».
«Trecentocinquantamila lire. Sei persuaso?».
«Le finirà presto, con ciò che costa la vita. No,
non voglio».
« Ho anche i denari che erano di mio marito.
Quelli sono molto di piú, ma sono bloccati. Ma
prima o poi, se non tutti una parte, dicono che me
li dovranno restituire».
«Quanto? », egli ripete.
«Molto piú dei miei».
«Allora, saresti milionaria», egli esclamò.
Fu da quel momento che Sandrino le dette del tu,
ed anche questo era accaduto spontaneamente, come
il suo gesto di abbandonare il cucchiaino e rivolgerle
lo sguardo suo solito, celeste ed innocente.
« Il vestito mi piacerebbe grigio», egli aggiunse.
Questo accadeva alla fine di novembre. Era venuto
il freddo e Sandrino indossava il suo vestito e cappotto nuovi. Nelle giornate di pioggia o di nevischio
metteva in testa un basco blu, liso e un poco stinto,
che aveva preferito ad uno nuovo comperatogli da
Virginia a sua insaputa, perché c'era affezionato.
«Siamo vecchi amici, lui è il solo a sapere tutto
di me», egli disse.
«Dunque mantieni dei segreti. Non dico con me,
che in fondo ti sono estranea, ma con tua madre».
«Certo», egli rispose. «Ti meraviglia? Alle donne è buona regola far sapere quello che gli può far
piacere, e basta». Aggiunse: «Alle donne a cui si
vuol bene, poi, è elementare ».
Era mattino, la vigilia di San Silvestro. Erano nel
corridoio ed egli stava tirando il paletto per uscire.
Ella aveva preso scherzosamente quelle sue parole,
come tutte le sue parole. Considerava ancora i suoi
pensieri come i pensieri di un ragazzo, e tuttavia, inconsciamente, per mantenersi la sua amicizia, e compiacerlo, si uniformava ai suoi pensieri. La volontà
di Sandrino diventava la sua propria. Disse:
«Me li immagino, i tuoi segreti». Quindi, senza
riflettere, aggiunse: «Sono segreti che riguardano te
e qualche ragazzina».
Egli disse: «Hai indovinato. Ciao».
Virginia lo spiò allontanarsi, affacciata alla finestra del corridoio. Ora le sembrava di essere certa
che una giovinetta lo attendesse sulla strada.
Ma costei non era sulla strada, bensí alla finestra
dirimpetto. Era bionda, aveva un golf d'angora tutto
bianco indosso, i capelli le ricadevano sul volto e lo
coprivano a metà; stava anch'essa affacciata alla finestra, con un cuscino sul quale appoggiava le braccia. Guardava sulla strada, poi alzò la testa, e accennò un saluto vedendo che Virginia la fissava. Virginia si allontanò, chiuse le imposte con ostentazione,
si gettò sul letto, singhiozzando. Era un pianto irragionevole, di cui non riusciva a spiegarsi il motivo.
Allorché poté calmarsi si disse che Sandrino doveva avere parlato di lei alla fanciulla: per questo
essa l'aveva salutata. Poi si disse che essa lo avrebbe
rapito al suo affetto. Vicino alla fanciulla Sandrino
sarebbe diventato uomo, e la fanciulla donna: una
donna gelosa di questa amica del suo uomo. Gli
avrebbe imposto di troncare la loro innocente amicizia. Virginia pensò che presto o tardi era nuovamente la solitudine che l'attendeva; la sua speranza
di una nuova vita era stata dunque un'illusione. «Il
miglioramento prima dell'agonia», si trovò a concludere, seduta davanti alla specchiera, col pettine in
una mano. Febbrilmente, e pazientemente insieme,
curò la propria faccia e la propria acconciatura, quel
giorno, fece un po' piú ampia la scollatura del suo
abito allentando il fisciú. Invece del cappotto di lutto, indossò la pelliccia.
Sandrino emise un fischio, nel vederla.
«Che eleganza », disse.
Andarono al giardino ed ella cavò dalla borsa la
scatola di alluminio e le posate. Da piú di due settimane gli portava il pranzo, ogni giorno. Egli tolse
la fetta di carne e la depose dentro il coperchio.
Mangiando la pastasciutta, disse:
«Con la pelliccia, mi metti soggezione ».
Virginia cercò di mostrarsi disinvolta, e di sorridergli.
«Sono i resti del passato. L'avevo data a rimodernare in primavera e senza volerlo l'ho salvata dal
saccheggio ».
Poi, d'improvviso, impulsiva:
«L’ho vista. Mi piace».
«Ti sta bene».
«Non la pelliccia», ella esclamò «La tua bella.
Ho scoperto i tuoi misteri prima che tu pensassi, come vedi. La ami? », gli chiese.
Egli finse di stare al gioco che ancora non capiva.
«Molto, infinitamente molto», disse.
«Parlo sul serio», continuò Virginia. «All'apparenza mi sembrava brava. A che famiglia appartiene ? ».
« Benestanti », egli disse, inghiottendo il boccone.
«Ha una dote di tre e cinquanta».
Virginia lo fissava, angosciata e tuttavia vincendo
il proprio orgasmo. Ebbe per un istante l'impressione che Sandrino entrasse dal gioco nella realtà e
la facesse propria, ma immediatamente dopo le sue
parole la persuasero. Ella era certa di avere scoperto
una verità: le parole ch'egli pronunciava erano quelle
ch'essa si aspettava. Non pensò piú che Sandrino
perpetuasse un equivoco per farla soffrire.
«Come ci hai scoperto? Ci hai seguiti?».
«No, mi è bastato vederla alla sua finestra. Lei
mi ha salutato. Cosa le hai detto di me? ».
«Niente. Le ho detto che te ne stai sempre segregata ».
«E le vuoi bene?», gli chiese di nuovo.
« Certo ».
«Ma siete ancora dei ragazzi».
« Cresceremo ».
«Come si chiama?».
«Fosca ».
«Quanti anni ha?».
«Quanti credi ne abbia?».
«Sedici».
«Quasi».
«E quando vi incontrate?».
«Hai proprio intenzione di fare la mammina?».
«Tu sei un ragazzo. Non ti rendi conto», ella
esclamò.
Si era accesa in viso e la sua voce era eccitata.
«Ho sete e ho freddo», egli disse.
Si alzò. Virginia lo trattenne per l'avambraccio con
la mano:
«Ascoltami, Sandrino», gli disse.
Egli ebbe un gesto e un tono di voce che la umiliarono e insieme le diedero tenerezza.
«È quasi una scena di gelosia, non te ne accorgi?».
Il mattino seguente, fine d'anno, egli le disse:
«Ti ho fatto stare in agitazione da ieri sera, immagino».
Inzuppava il pane nel caffelatte ed ella gli sedeva
di fronte, nella camera di lui, con la schiena contro
il letto, in vestaglia, come ogni mattina. La sua vestaglia era rosa, lunga fino alla caviglia, la modellava
ai fianchi. Teneva i capelli tirati sulla nuca, con negligenza.
«Non è vero nulla», egli disse. «Non sono fidanzato e quella di cui tu mi parlasti non la conosco
nemmeno di vista».
«Giuralo», ella disse, precipitosa, già disposta a
crederlo, tanto era desiderosa di credergli, e in sospetto tuttavia, con un fremito in tutta la persona.
Egli era calmo, ragazzo, e convinto delle proprie
parole.
«Sulla tomba di mio padre», disse.
Si era fatto triste, una ruga gli si era disegnata sulla fronte, quel cipiglio era nuovo per Virginia. Nel
suo sguardo ella intravide un'ombra di dolore, che
gli era impropria, e pertanto anche piú sua: bastò
perché ella avesse certezza della sua sincerità. Egli
le tese la mano, aggiunse:
«È un giuramento che faccio di rado».
Poi era tornato il Sandrino di sempre, ed essa si
sentiva felice.
Le disse: «Del resto, rifletti. La casa di fronte
ha l'ingresso su di un'altra strada. È un palazzo
di signori... Come vuoi che un'ereditiera si interessi
a un disperato come me?».
Quando furono sul corridoio, disse invece:
«Sono curioso di vederla, la mia fidanzata. È
alla finestra anche stamani? Forse lei mi ama senza
che io lo sappia... Potrei essere io la Cenerentola, in
questo caso ».
Virginia scostò la tendina e vide la fanciulla al
davanzale.
«C'è», esclamò. «Sfida anche la neve». E improvvisamente l'assalí l'affanno. Disse: «È cosí, è
innamorata sola. Aspetta che tu esca per accompagnarti con gli occhi».
La sua voce era nuovamente eccitata, stridula.
« Si contenta di guardarti... Vuoi vederla anche
tu? Non ti fare scorgere se vuoi osservarla bene».
Egli si accostò al muro con le spalle, sollevò il
lembo della tendina. Virginia si premeva al suo
fianco. L'angolo di visuale era cosí ristretto ch'ella
si sporgeva attraverso il torace di Sandrino, per poter
seguire assieme a lui i movimenti della fanciulla. Era
ansante, avvampata, l'empito dei sentimenti le aveva fatto perdere la nozione dei propri gesti. Curva
com'era, la vestaglia lasciava intravedere il seno, sciolto e candido sotto la combinazione.
«La vedi? Ti piace? Vero che è bella? Vero che
ti piace? Su, dillo: sí mi piace, sí mi piace ».
«Sí», egli diceva, «sí», e guardava il suo volto,
invece, la sua guancia accaldata, il suo seno bianco,
raccolto. D'improvviso la strinse tra le braccia, le
rovesciò la testa, la tenne stretta e riversa all'altezza
del proprio petto, le labbra sulle labbra. Poi, con
una mossa brusca, l'abbandonò contro il muro, aperse
la porta ed uscí. Virginia scivolò lungo il muro, si
trovo seduta per terra, a piangere dolcemente, ed a
guardarsi le mani.
Era il 31 dicembre, una giornata rigida di fine
d'anno, il cielo plumbeo e compatto. Poco dopo cominciò a cadere la neve. Ella aveva il pranzo dentro
la scatola d'alluminio. Si incontrarono al solito an-
golo di strada, due isolati oltre il negozio, verso il
fiume. Si salutarono entrambi senza impaccio.
Egli disse: «Che giornata. Hai mangiato?».
«No», ella disse. «Non ne ho avuto il tempo».
«Andiamo in trattoria».
La prese a braccetto ed ella si affidò a lui, malgrado
la gente. Egli scelse una trattoria elegante, un ristorante, con la porta girevole e i camerieri in frac,
l'ambiente anche troppo riscaldato. Parlarono soltanto dei cibi che andavano scegliendo e che mangiavano. Egli ordinò il dolce e il caffè; chiese il conto.
Ella fece il gesto di passargli la borsetta sotto il
tavolo, ma Sandrino la respinse con lo sguardo. Pagò
lui, coi suoi soldi. Fu piú svelto del cameriere a
porgerle la pelliccia che Virginia aveva abbandonato
sullo schienale della sedia. Nell'accomiatarsi le disse:
«Stanotte mia madre non rientrerà, fa lo straordinario, siccome c'è festa nella casa dove lavora.
Tu non chiuderti a chiave. Ti raggiungerò prima di
mezzanotte».
V
La vera felicità durò venti giorni. Ella era tuttora
felice, ma di una felicità diversa, già mischiata al
terrore e al dolore che sotto una nuova veste erano
tornati ad ospitarla. Quando era sola e si provava a
ricordare, le era difficile «rendersi conto». È impossibile riportarsi coi sentimenti «a quel momento», ella pensava. I sentimenti di adesso sono sempre i piú forti, riempiono per intero la nostra capacità di riflettere, e sicuramente sono i medesimi pensieri di oggi, gli stessi fatti ed azioni che stiamo
vivendo e compiamo in piena coscienza o in piena
innocenza, che domani, tra un mese o un anno, ci
parranno assurdi, incredibili, e sarà impossibile rendersi conto di come siano potuti accadere. Virginia
era una creatura perpetuamente costretta a lasciarsi
vivere ed a rimproverarsi un passato, astratto come
un avvenire.
Il suo piú recente passato aveva avuto inizio con
la notte di San Silvestro. Quella sera Bruna l'aveva
chiamata dal corridoio invitandola «ad uscire dalla
sua prigione » per festeggiare insieme la fine d'anno.
Chiusa dentro la sua camera, Virginia si rifiutò. E
siccome Bruna insisteva:
«In nome di Dio, la prego», le disse.
Sembrò tanto spaurita ed allarmata che Bruna si
persuase.
« Ci avrebbe fatto contenti», insiste. Poi disse:
«Dovrà scusarci se faremo un po' di chiasso. Abbiamo invitato degli amici».
Costoro giunsero, ed a Virginia balzava il cuore.
Temeva che la loro presenza ostacolasse Sandrino.
Ella aveva girato la chiave e stava in piedi dietro
la porta da due ore, tutta un tremito, per l'emozione
e il freddo che la prendeva. Si era indugiata davanti allo specchio la serata intera. Sandrino non
era ormai piú un ragazzo, era il suo uomo, e cosí
ella lo attendeva. Arrossiva, sola, rimanendo col pettine sospeso, la lingua tra i denti, pensando al momento in cui egli sarebbe entrato, alle parole, i
movimenti, gli sguardi che ne sarebbero immediatamente seguiti. Tutto ciò era nuovo, imprevedibile,
inutilmente ella tentava di sollecitare la propria immaginazione. Aveva acquistato dei fiori ed adornato
il tavolo, il comò. Sul tavolo v'era una bottiglia di
spumante e il dessert. (Egli aveva promesso di essere da lei prima di mezzanotte: avrebbero festeggiato l'anno nuovo). I mobili della sua camera di
sposa, «salvati dal saccheggio», erano lustri e familiari al suo sguardo; il letto candido, di bucato:
si era sorpresa a carezzare la federa destinata a Sandrino.
Ella aveva compiuto i gesti per abbigliarsi e prepararsi all'amore, ordinatamente, con calma. Il suo
pudore era tutto interno, unito alla dolcezza e alla
trepidazione dell'attesa. I suoi sensi erano tuttora
sopiti, adagiati nella loro lunga astinenza; nondimeno ella non pensò mai di sottrarsi al desiderio
di Sandrino. La sua timidezza era sommersa sotto
l'affetto, cosí come non esisteva il rimorso di tradire la memoria del marito, sempre piú viva e
presente nel suo spirito. Sandrino riempiva una parte
tutta nuova di lei, inedita e palpitante: era una sensazione inspiegabile eppure certa, di cui le sembrava
avvertire perfino fisicamente l'esistenza. Ella poteva
contemplare il proprio corpo e nello stesso tempo
promettersi l'amplesso di cui non si nascondeva l'imminenza. Lo anticipava, anzi, col pensiero, smarrendovisi tuttavia, per l'incapacità di concretare la propria immagine e quella di Sandrino. Era una Virginia nuovamente vergine, e solitamente indifesa
ch'essa gli avrebbe offerto, senza morbosità e senza ipocrisia. L'apparecchiamento ch'ella aveva disposto
di se stessa, e delle cose, le era stato suggerito da una
intuizione naturale, nessuna esperienza e nessun ricordo l'avevano ispirata. Ella era nuda e odorosa sotto la camicia da notte, sulla quale aveva indossato la
vestaglia. I suoi capelli erano appena trattenuti da
un nastro all'altezza della nuca, tirati sulla fronte e
sulle tempie, le orecchie scoperte, con le buccole di
corallo.
Da due ore lo attendeva, infreddolita e col cuore
in tumulto. Pervenivano fino a lei le voci di Faliero,
di Bruna e dei loro amici, dalla camera dirimpetto:
avevano aperto la radio e ballavano. Sandrino sarebbe venuto direttamente di fuori. Virginia era in piedi
contro la porta, la mano sulla maniglia, seguiva la
lancetta dell'orologio come il proprio respiro. Mancavano venti minuti a mezzanotte quando avvertí il
fruscío della chiave alla porta d'ingresso e sentí il
bisogno di guardarsi nello specchio. Subito la propria acconciatura le parve volgare, impudica. Aperse
febbrilmente l'armadio e ne cavò la pelliccia, prese
dalla toletta delle forcine per raccogliersi i capelli.
Sandrino era già entrato e la interrogava con lo
sguardo, riflesso nello specchio. Ella era rimasta attonita, una bambina sorpresa nella marachella, con
la pelliccia che le pendeva da una spalla e le mani
tra i capelli. Egli le si avvicinò ed a bassa voce le
disse:
«Cosa stavi facendo? Uscivi? ».
Virginia si lasciò cadere sulla sedia. Gli rispose
scuotendo la testa. Egli le strinse il mento nella mano, la baciò con la stessa intensità del mattino, la liberò della pelliccia. « Su, alzati», le disse. L'aiutò sorreggendola all'ascella.
«Pensavo che quelli là avrebbero passato la fine
d'anno fuori casa», egli disse. «Invece Faliero mi
ha perfino invitato».
La teneva col braccio attraverso la vita. Era appena piú basso di lei e i suoi riccioli le sfioravano la
guancia.
«Coricati», le disse.
Le sciolse egli stesso la cinta. Ella ubbidí, in silenzio, sorpresa e confusa com'era. Desiderava guardarlo, vedere che i suoi occhi erano gli stessi, celesti,
di sempre: questo era il suo solo pensiero, in esso si
dibatteva, incapace di sollevare lo sguardo su di lui.
Era calata sulle sue palpebre una pesantezza di sonno, e nelle sue membra un'eguale spossatezza, come
se delle innumerevoli emozioni da tanto tempo subite, l'ultima, e la piú puerile, ne avesse accumulato lo
sfinimento. Tuttavia il suo sguardo restava fisso, esorcizzato, su Sandrino, soltanto la faccia di lui le era
esclusa.
Egli si svestiva: aggiustò la giacca alla spalliera
della sedia, vi distese i pantaloni. Liberatosi del maglione era rimasto nudo, in scarpe e mutandine. Aveva la carnagione bruna, forse ancora di sole: il suo
torace era implume, solido, il segno delle mammelle
era teso, come delicatamente impresso, gli omeri perfetti e levigati; le coscie alte, muscolose, con la peluria fitta, inattesa.
Ella lo guardava e i suoi pensieri naufragavano
nel torpore delle membra. Subiva un sentimento che
le era ignoto, e la sfibrava: una consolazione che
la induceva al pianto. Tuttavia le sue labbra gli sorridevano.
Sandrino si era seduto sulla sponda del letto, si
toglieva le scarpe, le sussurrò:
«Sai che nevica ancora? Non mi chiedi se ho
freddo cosí spogliato? Macché, la neve mi fa bollire».
Si alzò, e fu nudo del tutto, senza pudore e senza
ostentazione. Ella vedeva il suo pube che era biondo,
il suo sesso invogliato. Gli sorrideva, e le guance le
si rigavano di lacrime.
Egli salí sul letto e la scavalcò per coricarsi vicino
a lei. Dalla camera di fronte la musica e le voci si
facevano piú forti. Virginia si portò le mani dietro
la nuca. Ora che lo sguardo di lui le si offriva, essa
aveva chiuso gli occhi. Avvertí il suo alito sul proprio volto, udí ch'egli le diceva:
«Fai la statua o ti vergogni? ».
Virginia scosse la testa.
«Apri gli occhi», egli le disse.
Ella sentí la sua mano stringerle il mento come
pochi minuti prima davanti allo specchio, ma violenta adesso, da darle dolore.
«Svegliati», egli le sussurrò ancora. «Non mi
piace cosí ».
Poi il gesto di Sandrino fu improvviso, feroce, una
aggressione, che li congiunse compiutamente, ed ella non poté trattenere un grido.
La radio venne spenta, tacquero le voci nella camera dirimpetto. Bruna si affacciò sul corridoio:
«Signora Virginia», disse. «Signora Virginia».
Virginia era stordita e terrorizzata insieme. Sandrino era schiacciato su di lei e l'opprimeva; le ingiunse di non rispondere torcendole la carne su un
fianco. Ella si morse le labbra per non urlare.
Anche Faliero e gli amici erano venuti nel corridoio.
«Signora», insisté Bruna.
E una voce d'uomo, sconosciuta: «Dev'essere stato dalla strada». Aggiunse: «Ragazzi, mancano
due minuti a mezzanotte».
Rientrarono e subito si udirono saltare i tappi dello spumante. Virginia era ormai un corpo senza vita
tra le braccia di Sandrino.
Quindi egli riaccese la luce.
«Non mi piace se fai sempre cosí», le ripeté.
E prima ancora ch'essa gli rispondesse, era sceso
dal letto. Disse:
«Ho promesso a Faliero che mi sarei fatto vivo...
Vedo che anche tu avevi preparato lo champagne».
E tornando vicino al letto: «Come si può aprire la
bottiglia? Sentirebbero. Me la porto io, cosí farò
bella figura».
Prese una manciata di biscotti dal vassoio; la salutò alla militare, chinandosi su di lei e baciandola
su una guancia.
«Sembri una partoriente», le disse.
Ripeté il suo attenti, e se ne uscí cauto, sulla punta
dei piedi. Virginia lo udí che apriva la porta sulle
scale, e la richiudeva con forza; udí che nella camera dirimpetto lo accoglievano con battimani; distinse Faliero che diceva: «Hai finito l'anno per la
strada... », poi delle parole che le sfuggirono, commentate da una risata generale. Ella era rimasta immobile, supina, le voci le giungevano da una lontananza indicibile. Si era tirata le coperte sul mento,
rabbrividiva, e tuttavia covava il proprio sudore sotto
la gola, all'inguine, tra seno e seno, come una cosa
fisica, di Sandrino, da custodire. Faticosamente si
voltò su un fianco, dalla parte ove Sandrino l'aveva
tormentata e che ancora le doleva: era un dolore che
la riempiva di tenerezza e la consegnava al sonno.
Altrettanto dolce e quasi come un sogno che
continuasse fu il risveglio. Si trovò di nuovo tra
le braccia di Sandrino, col suo corpo nudo che la
premeva, il suo fiato che sapeva di tabacco e di liquore. La luce era spenta. Sandrino le sussurrò al-
l'orecchio:
«Sei contenta che sia tornato?».
Questa volta essa fu l'amante che Sandrino desiderava.
Nella casa si era fatto silenzio. Al di là del corridoio, dalla strada, di tanto in tanto pervenivano dei
canti, degli strombettii attutiti dalla distanza e dalla
neve.
«Sai che siamo nell'anno nuovo? », egli disse.
Le stava coricato accanto, con una mano nella sua,
le dita tra le dita. Le chiese:
«Non dici nulla? Dobbiamo scambiarci gli auguri ».
Ella gli carezzava il braccio, timidamente; gli percorse i fianchi con la mano. Gli sussurrò:
«Avevo gli occhi aperti, sai. Se c'era la luce te ne
saresti accorto. Non sarò piú una statua. È stata
una cosa tutta nuova, mi credi? Sono come ti aspettavi ? ».
Egli mugolò, ritrasse la mano dalla sua, le volse
le spalle. Ella si accorse che si era addormentato. Rimase desta, a vegliarlo, fino a mattino inoltrato. Non
pensava piú ch'egli fosse un ragazzo, né di essere
stata la sua prima donna. Era già un'amante segretamente gelosa, tutta disposta al suo desiderio, timorosa di poterlo deludere.
VI
Trascorsero insieme il Capodanno. La madre di
Sandrino era impegnata per l'intera giornata nella
casa dei suoi signori. Egli uscí per primo e Virginia
lo raggiunse al solito caffè. Aveva la pelliccia e in
testa un fazzoletto fantasia che le incorniciava il volto accuratamente dipinto. I suoi occhi erano chiari e
brillavano. Si sedette. Egli le ordinò l'aperitivo.
Il caffè era quasi deserto, con imperterriti i due
giocatori di scacchi e ad un tavolo di fronte due
giovanotti e una ragazza. Costei era bionda, vistosa,
le ciglia colorate d'azzurro. Sandrino aveva ripreso a
leggere un giornale sportivo. Sul tavolo c'erano le
sigarette e i fiammiferi. Virginia si sentiva felice,
contenta di sedergli vicino, del calore dell'ambiente
e degli sguardi di quegli uomini posati su di lei,
del proprio corpo che il lungo specchio della sala rifletteva. Prese una sigaretta dal pacchetto, e l'accese.
Sandrino sembrava immerso nella lettura. Esclamò:
«Ti diverti a dare spettacolo? ».
Istintivamente ella posò la sigaretta. D'un tratto
Sandrino piegò il giornale, chiamò il cameriere per
pagare. Uscirono.
Attraversarono la piazza, ove la neve dava alle
caviglie. Egli aveva evitato di proposito il sentiero
aperto dagli spalatori. Virginia slittò e per poco non
cadde.
«Perdonami», ella disse. «Ho già tutti i piedi
bagnati ».
«È il meno che ti potessi fare», egli replicò.
Il tono della sua voce era severo, ma incerto nello
stesso tempo; e sul suo volto il cipiglio era quello di
un bambino. Ella credette volesse scherzare: si chinò, fece una palla di neve e gliela scagliò addosso.
Sandrino dovette abbassarsi per scansarla. Era diventato rosso in viso, bizzoso: raccolse a sua volta
della neve, la compresse nella mano. Ora Virginia
era certa delle sue intenzioni: fuggí e lo prese di
nuovo a bersaglio. Sandrino pareva furibondo; sempre inseguendola, a manciate di neve, le gridava di
fermarsi e di ascoltarlo.
«Pigliami, allora», ella gli rispondeva.
Correndo, sulla neve, aveva raggiunto il monumento, vi girò attorno, e dei ragazzi entrarono nel
gioco: accolsero Sandrino con una sparatoria nutrita.
«La difendiamo noi», gridavano a Virginia. « Sotto. Sotto».
Sandrino si riparò dietro il monumento. Virginia,
dalle spalle dei ragazzi, lo incitava a venir fuori. Si
era tolta i guanti, aveva la neve in entrambe le mani.
I ragazzi partirono all'attacco.
«Il nemico è accerchiato», gridavano.
Sandrino si liberò incuneandosi a corpo basso tra
di loro; quindi si slanciò su Virginia; e siccome essa
era piegata per raccogliere altra neve, l'impeto con
il quale egli la raggiunse, le fece perdere l'equilibrio.
Caddero entrambi bocconi. Essa era incolume, pronta al riso, allorché un colpo dietro la nuca le riconfisse la testa nella neve. Dapprima ella credette di essere stata raggiunta da un proiettile dei ragazzi, ma
subito un secondo colpo, piú forte, alla scapola questo, le tolse il respiro.
«Ohè», gridarono i ragazzi. «Ora non gioca piú.
Ora la picchia».
Ella era intontita e prossima a svenire, gli occhi e
la bocca pieni di neve. Tuttavia poté sollevarsi sulle
braccia. I ragazzi avevano ripreso la sparatoria contro Sandrino; accorrevano dei curiosi dalle estremità
della piazza. Sandrino la agguantò ai polsi. Fuggirono, inseguiti dai ragazzi fino ad una traversa. Il
fazzoletto di Virginia era rimasto sulla neve.
Era l'una dopo mezzogiorno, del Capodanno 1946;
la strada deserta, stretta, tra due quinte di palazzi
medievali. Una radio era la sola presenza. Ripararono dentro un androne. Virginia aveva il volto lavato dalla neve e dalle lacrime, i capelli arruffati.
V'era tuttavia, nel suo atteggiamento, un'involontaria
fierezza, e quel suo gesto di ricacciarsi indietro i capelli la rendeva anche piú bella e scontrosa.
«Làsciateli giú sulle spalle », egli disse. « Stai
meglio ».
«Non sono una ragazzina».
«Mi piaci di piú».
«Per oggi soltanto?».
«Va bene».
«Domani tornerò a pettinarmi come dico io? ».
«Sì», egli disse.
Ella gli prese la mano, pacificata.
Nel caffè Sandrino si era rivelato geloso di quegli
uomini che la guardavano; poi, sulla piazza, essa
l'aveva messo in ridicolo schierandosi dalla parte dei
ragazzi: allora Sandrino aveva avuto un momento
di collera e l'aveva colpita. Era stato impulsivo, ma
giusto, ella pensava. E adesso era pentito; castigando
il proprio orgoglio, faceva di tutto perché lei lo perdonasse. Ella gli fece sostenere la borsetta per potersi
ritoccare la faccia allo specchietto.
«Piú in alto», gli diceva. «Piú in basso. Devi
fare esperienza».
Tornarono al ristorante del giorno prima. Lo stesso cameriere gli corse in contro e li condusse verso
un tavolo, accanto al termosifone.
«Vogliono lasciar fare a me? », disse.
Parlava rivolto a Virginia, ed ella gli rispose:
«Senta il signore».
Le parve di scorgere nello sguardo del cameriere
un'ironia che la metteva in imbarazzo, e la umiliava.
Sandrino disse: «Purché escluda il pesce. E tagliatelle, come primo».
«Antipasti, no? », insisté il cameriere.
Aveva un tono suadente e il suo ossequio, la sua
disinvoltura, sottolineavano una complicità. Quasi un
ricatto.
«Si fidino di me», ripeté. «Sarà un pranzo di
Capodanno del quale si dovranno ricordare».
«Sicché? Non sei adirata? », le chiese Sandrino
poco dopo.
Ella gli sorrise ed incontrò i suoi occhi, calmi, celesti. Solo allora si accorse che la peluria sulle sue
labbra era curata, come improvvisamente cresciuta.
I baffetti davano al suo volto una virilità, e insieme
lo rendevano ancor piú adolescente. Le sembrò di rivederlo in quell'istante, dopo tanto tempo: la notte
appena trascorsa le si presentò con piú insistenza alla memoria. Arrossí. Sandrino sbocconcellava il suo
pane.
«Stai pensando brutte cose», le disse, con intenzione.
Egli le leggeva, dunque, nel pensiero. Questo le
accelerò i battiti del cuore. Ne era lieta e spaventata.
«Sei un mago? », gli chiese.
«Sei tu che ti fai leggere come un libro aperto».
«Perché ti voglio bene», ella sillabò.
E lui: «Non credi che sia perché ormai ti ho sulla
punta delle dita? ».
Ci fu un silenzio, durante il quale le parole di
Sandrino assunsero il peso di una verità. Ella capí
che non avrebbe mai potuto, anche desiderandolo, sottrarsi alla sua volontà; ed egli scoperse che
le proprie parole corrispondevano ad una certezza.
Dopo quel silenzio, entrambi, seppure diversamente,
non ebbero piú né timore né pudore dei propri sentimenti. Il proprio immediato destino sembrò ad entrambi sicuro, poiché rivolto all'esito che avevano segretamente sperato.
Fu un pranzo di Capodanno degno di essere ricordato, «specie per il conto», com'egli disse appena lasciato il ristorante e insieme risero e si tenevano a braccetto.
Era uscito il sole, l'aria si era fatta tepida, le strade
spaventosamente deserte in quell’ora, con le vetrine
tutte ghirigori e agli angoli i venditori di caldarroste.
«Il programma lo dirigo io», egli disse, imitando
la voce del cameriere.
La costrinse a salire su una carrozza chiusa; ordinò al vetturino una passeggiata sui viali.
Stavano stretti e caldi nell'interno, lei raccolta nella pelliccia, con un braccio di lui attorno alla vita,
la mano nella mano: egli le tolse il guanto e se la
portò alla guancia. Poi la baciò sul collo, le accarezzava i capelli. Ella si lasciava fare, commossa e felice. Egli le toccò la nuca:
«È qui che ti ho fatto male?».
«Quando?», ella disse. «Non mi ricordo».
Era la prima volta ch'egli la vezzeggiava. Ella ne
riceveva l'impressione di un amabile disagio; accoglieva le sue carezze, come i suoi gesti impulsivi, con
dolce sopportazione. Il suo affetto per Sandrino era
una continua, sollecitata violenza: soltanto nella furia dell'amplesso essa aveva potuto liberarsi da questa gradita passività, e partecipare con tutti i propri
sensi alla sua effusione.
Egli disse: «Stanotte, nel sonno, mi è parso che
tu mi chiedessi se ti voglio bene. Non ne sei sicura ? ».
Ella credette di doversi esprimere sinceramente;
tuttavia avvertí un'ipocrisia nella propria risposta.
Disse: «Non ti irritare. È sempre perché so di esser
molto piú vecchia di te. Tu non mi potrai mai voler
bene come ad una ragazza della tua età».
«Allora sei pentita».
« No ».
«Sei finta, allora. Sai benissimo di non poter piú
fare a meno di me. Hai me solo al mondo. Tutto
il resto della gente ti odia».
«Perché me lo ricordi? », ella disse.
Egli la tormentò sul braccio come l'aveva tormentata al fianco la notte precedente.
«Come sei cattivo a momenti», ella disse.
Erano su un viale della periferia, in un deserto di
alberi spogli e di neve; il cavallo andava al piccolo
trotto, il suo passo era silenzioso sulla neve; al di
là dei vetri appannati che li isolavano dagli sguardi,
transitò un tram col suo fracasso.
«È vero o no quello che dico? », insisté Sandrino.
E d'improvviso tornò a tormentarla alle braccia,
ai fianchi, alle cosce, aprendole la pelliccia. Le agguantò una mammella e gliela strinse ferocemente.
Ella gettò un grido, cercò di liberarsi dalla stretta
che si faceva sempre piú lancinante, finché rovesciò
il capo sulla spalliera, accasciata dal dolore.
Il tram era passato, ed era tornato il silenzio; la
carrozza procedeva nel suo lieve rollio. Sandrino
schiuse lentamente la mano.
«Rispondi», le disse.
Il suo sguardo, come la sua voce, avevano quella
luce e quel tono consueti, di serietà e di scherzo insieme.
Ella era oppressa dall'affanno, annuí, abbandonata
contro la spalliera.
Sandrino disse: «Dunque, se hai me solo al mondo, perché dubiti del mio affetto ? Anche se non ti
volessi bene, tu dovresti crederlo egualmente».
La costrinse, dolcemente adesso, a piegarsi su di
lui, ed a posare la nuca sulle sue ginocchia.
«Sei tu la bambina, e non io».
Ella lo guardava, si lasciava carezzare e lui era
bello, ed era spietato perché l'amava.
Egli disse: «Non pensi piuttosto a quanto ci possiamo divertire? La mattina appena mia madre esce,
io verrò da te. Staremo assieme tre ore ogni mattina. E la sera, dopo cena, con una scusa o l'altra
vado sempre fuori fino a mezzanotte. Vuoi che ti
preferisca al cinematografo? Ho tante cose da insegnarti. Non ti accorgi che ho abbandonato tutte le
amicizie per stare con te? Starò con te tutti i momenti liberi della giornata. Tu non dovrai piú uscire.
Dovrai stare sempre ad aspettarmi. Può darsi che desideri vederti a qualsiasi ora: allora chiederò un permesso al negozio e farò un salto fino a casa. Se non
ti ci troverò, quando tornerai ti strapperò il seno. Si
sente male a torcerlo? ».
Virginia era riversa sulle sue ginocchia. Lo ascoltava parlare, sempre con un tono identico di voce e
la stessa serenità nello sguardo e tutto di lui, le minacce come le affettuosità, le era gradito. Le sue cosce erano forti e la sostenevano. Le sembrava di riposare pienamente per la prima volta, dacché era
nata.
« Sí», ella rispose. «Toglie il respiro».
«Ecco. Cosí sai quello che ti aspetta», egli riprese. «Al cimitero ti ci condurrò io. Una volta la
settimana basta. Tuo marito puoi ricordarlo anche
restando a casa. Lui è morto e di lui non sono geloso. Però la fotografia sul cassettone, falla sparire.
Non sopporto che ci stia a guardare. In chiesa nemmeno voglio che tu ci vada, nemmeno una volta alla
settimana, mai. Saresti capace di raccontare tutto al
prete, e lui chiamerebbe mia madre e poi avvertirebbe la Questura. Se dovessi trovarmi in riformatorio per colpa tua, il seno te lo strapperei veramente».
Gli sorse il cipiglio, lo stesso ch'ella gli aveva scorto
quando le aveva parlato di suo padre. Virginia gli
carezzò le guance; ora trepidava alle sue parole.
V'era in lei l'ansia di cancellare dal viso di Sandrino quell'ombra di dolore, e di donarglisi interamente per vederlo rasserenato. Gli disse:
«Farò tutto quello che tu vorrai. Ho te solo, l'hai
detto. Sarei sotto la neve se non ti avessi incontrato.
Dimmi ciò che desideri. Sei il mio bambino».
«Sono il tuo amante», egli disse.
Ella temé che tornasse ad assalirla; invece corrucciò le labbra e scosse la testa. Era, com'essa adesso
lo vedeva, un ragazzo contrariato. Si sollevò, seduta
sulle sue ginocchia, gli prese la faccia tra le mani e
lo baciò sulla bocca, con l'intensità e il trasporto che
lui stesso le aveva insegnato.
Poi egli disse: « Il programma lo faccio io, ma
voglio che ti piaccia. Dove vorresti andare?».
«Al cinema. Non ne ho mai avuto il coraggio in
tutto questo tempo. Temevo sempre di incontrare
qualcuno».
Egli pulí il vetro con la mano.
«Qui siamo in periferia, chi vuoi ti conosca? E
un cinema c'è, ed è anche elegante. Dammi la borsetta. Ho rovesciato le tasche per arrivare a pagare
il conto, in trattoria».
Lasciarono la carrozza dinanzi all'ingresso del cinematografo; lessero la locandina e lui disse:
«Ho cambiato idea. Facciamo una passeggiata».
Ma ella era gaia, si provò a contrastarlo.
«Voglio andarci, invece».
Egli la prese per il braccio e la trascinò via.
«Non sai apprezzare la gentilezza... Non vedi che
è un film contro i fascisti? Roma città aperta, ti piacerebbe ? ».
Abbandonarono il viale. Davanti a loro si apriva
un vasto prato di neve. Le case proseguivano su un
lato solo, interrotte qua e là dai vuoti delle macerie.
Sul fondo v'era la strada ferrata e piú lontano ancora
spuntava una ciminiera. Il sole era scomparso. Sotto
il cielo opaco, l'aria era di nuovo pungente, e tanto
piú per essi che venivano dal tepore della carrozza.
Girarono attorno al prato per raggiungere il centro
del quartiere.
« Sai a memoria tutta la città », ella disse. « Io ci
abito da dieci anni e non sono mai venuta da queste
parti ».
«È la zona industriale, ma gli Alleati l'hanno
massacrata. Non era mica cosí: qui davanti c'era una
fabbrica di proiettili. Se l'è sugata Cristo con le
bombe».
Ella fu colpita dalla sua imprecazione, e volle non
aver sentito.
«Dove andiamo? », gli chiese. «Ho freddo».
«Ancora qualche passo, e poi vedrai. Andiamo a
ballare, sei contenta? ».
Era un ballera di fortuna, che in passato doveva
aver servito da deposito di materiale: il tetto ad
hangar e le pareti di legno. V'era caldo, tuttavia, ma
forse piú per la gente che l'affollava che per la stufa
collocata a metà dell'ambiente. Il buffet era sulla destra, e torno torno alla pista, a ridosso di essa, c'erano i tavolini. Ne trovarono uno libero, prossimo ad
una seconda uscita. L'orchestra si trovava su un palco di assi ancora grezze, al di sopra della stufa. Si
sedettero, Virginia gli chiese:
«Sei di casa? ».
«No», egli disse. «L'hanno aperta da poco. Ho
letto la réclame sul giornale. Ma tra gente che balla
si fa presto conoscenza. Vuoi vedere? ».
L'orchestra aveva attaccato uno slow. Sandrino si
alzò, fu svelto piú di molti altri giovanotti nel presentarsi ad una delle ragazze che stavano ai margini
della pista, impazienti nella loro disinvoltura. Era
una ragazza bruna, coi capelli pettinati alti e un pellicciotto a bolero sul vestito chiaro. Già danzavano,
quasi abbracciati: Sandrino parlava e costei rideva.
Virginia li accompagnava con lo sguardo nella ressa
delle coppie. Li perdeva e li cercava ansiosa. Un uomo vide soltanto che aveva la cravatta gialla
si avvicinò al suo tavolo e la invitò. Ella fu sorpresa,
allarmata; si rifiutò seccamente, tanta era la sua tensione: cercava Sandrino e la ragazza, lontani ormai, all'altra estremità della pista. Senza voltarsi,
sentí che il ballerino si era seduto a un tavolo alle
sue spalle, e la fissava. Ella non sapeva darsi un contegno: la salvò il cameriere giungendo con il ponce
che aveva ordinato.
«Hai visto», le disse Sandrino poco dopo. «Se ti
interessa, quella ragazza si chiama Vilma, ed è contabilestenografa ».
Sorseggiava il ponce, e Virginia gli disse:
«Balla bene».
«Non sei offesa?», egli esclamò. «Ho voluto
scherzare, non invitandoti al primo giro. Perché tu
te ne offendessi».
«Io non posso ballare, col lutto » gli rispose. « Eppoi, sono fuori esercizio. Per di piú, i balli nuovi
non li conosco».
La musica suonava adesso un sincopato, qualcosa
da potersi adattare a boogiewoogie.
«Meglio», disse Sandrino. «È quello che ci vuole. Butteremo a gambe all'aria tutta la sala».
Invece non fu cosí. Ella si affidò alle sue braccia;
egli la guidava e la faceva vorticare, equilibrata e
leggera come nemmeno lei immaginava di potere essere. Ma non finirono il ballo: le cominciò a girare
la testa; era sbiancata in viso. Tuttavia, fu lei stessa,
e coscientemente, perché Vilma o qualche altra ragazza non glielo «rubassero», a chiedergli di farla
ritentare, quando si accorse che il motivo era lento
e i passi della danza pausati. Egli la sorreggeva alla
vita; doveva ballare alzato sulle punte poiché le teneva guancia contro guancia; era agile, e la sua
stretta era lieve e i suoi capelli erano biondi, celesti i suoi occhi, e il suo torace era forte e l'accoglieva intera.
Ballando, Sandrino le disse:
«Da domani ti insegnerò le nuove figure. Ci dedicheremo mezz'ora ogni dopopranzo».
«Dove?».
«Non mi vuoi piú offrire il pane quotidiano? »,
egli disse, serio e scherzoso. Aggiunse: «Ormai è
ridicolo che ti aspetti al giardino e consumi il pranzo come un carcerato. Verrò a casa tua alla una e tu
mi farai trovare pronto. Siamo piú sicuri in casa che
fuori. A quell'ora non c'è sicuramente mai nessuno ».
«Certo», ella disse.
E pensò che sarebbe stato meraviglioso.
VII
Passarono due settimane. Virginia le ricordava come le piú belle della sua vita. «Le piú pazze», ella
si disse in seguito, appunto perché erano state le piú
felici, e incredibili. La sua esistenza recuperava la
vitalità della sua prima gioventú. Il suo corpo stesso
sembrava giovarsi della pienezza dei sentimenti che
l'animavano. Un rifiorire improvviso in cui la maturità diventava ancor piú remota. Aveva gli sguardi
degli uomini addosso, ora piú che mai, nei brevi momenti in cui usciva per la spesa: assillanti, gentili
ed importuni come le parole che i piú arditi le rivolgevano. Giorno per giorno essa affrontava il
mondo con sempre maggior ardimento, «si svezzava dalla paura, tirava fuori il capo dalla paglia»,
come le diceva Sandrino. Lui era la sua forza e la
sua guida, la sapeva apprezzare e correggere, le dava
fiducia e conforto e nell'intimità una gioia finora
ignorata, che a volte, ripensando al proprio passato
di sposa, la sgomentava, la faceva rabbrividire e insieme le accresceva il desiderio di avere Sandrino accanto a sé.
Stavano assieme la piú parte della giornata, ormai. Al mattino, ella lo accoglieva nel proprio letto,
appena uscita la madre. Il loro amore era silenzioso,
furtivo. Gli altri andavano e venivano dalle camere
alla cucina; essi trattenevano l'affanno con la bocca
sulla bocca. Bruna e Faliero salutavano Virginia attraverso il corridoio. Virginia gli rispondeva cercando di apparire tranquilla, assonnata. Sandrino era
amabilmente ragazzo in qui momenti. La solleticava apposta, l'assaliva.
« Ti voglio compromettere», le sussurrava all'orecchio. « Un giorno o l'altro mi metterò a parlare ad
alta voce, o aprirò la porta mentre loro passano. Tu
che farai ? ».
«Dirò che mi hai aggredita».
«E sai loro cosa diranno? Repubblichina e pervertita. Anzi, diranno che le due cose stanno bene insieme. Ti manderanno in prigione. Allora sarò io
che dovrò portarti da mangiare».
E subito aggiungeva: «Non lo farò mai. Mi bisogni troppo. Ossia: lo farò quando ti avrò preso
tutto. Perché ti porterò via tutto, un poco alla volta,
parliamoci chiaro».
La casa si faceva deserta, ed essi potevano sentirsi
a loro agio. Ella si alzava, tirava il paletto di sicurezza e gli preparava la colazione. Lo serviva nella
propria camera, con lui ancora in letto, sedendogli
vicino. All'una pranzavano in cucina, ed ella pensava che siccome la terrazza era isolata, con la primavera gli ci avrebbe fatto trovare il tavolo apparecchiato. Ella lo nutriva! Aveva imparato subito i suoi
gusti e le sue debolezze: gli piaceva che il sugo
fosse denso, la carne bruciata quasi, le verdure mai
lesse, e che il pollo, se c'era, fosse fritto. Voleva il
marsala, invece del vino comune, durante il pasto,
e sul tavolo, uno di qua uno di là dal piatto, voleva
che tutti i giorni ci fossero i cachi. La casa era tutta
per loro; dopo i primi giorni la sicurezza di Sandrino aveva fugato le sue trepidazioni.
«Chi vuol che venga... Sono tutti col capo sul lavoro », le diceva. «Ti dovevi sognare d'avere l'amante a domicilio».
Ma anche nella volgarità conservava un tono scanzonato ed amabile. Ciò che avrebbe dovuto offenderla, quasi la compiaceva. Era il modo suo proprio di
essere allegro e di scherzare; non si poteva fare a
meno di sorridergli. Egli aveva perfino dato un nome alle due galline: quella bianca la chiamava «signora Letizia», ch'era il nome della moglie del suo
padrone, siccome le rassomigliava.
Sandrino leggeva il giornale sportivo; Virginia
riordinava la cucina, in fretta perché Sandrino non si
spazientisse. Ad insegnarle i nuovi balli ci aveva rinunziato: avrebbe fatto del rumore e potuto destar
sospetto nel vicinato «con quei muri di cartavelina».
La istruiva, invece, sul giuoco del calcio e sulle squadre: una delle prossime domeniche l'avrebbe condotta allo stadio. Sandrino era il sole ed essa gli
girava attorno, com'egli le aveva detto. Dipendeva
da lui tenerla in vita o farla sprofondare.
Sapeva essere anche gentile, tuttavia. Le aveva
detto:
«Il mio padrone vende tessuti, è un merciaio ma
ha un debole per l'astronomia. Lo chiamano Flammarione. Stamani parlava di uno scienziato che ha
scoperto una nuova stella e ne ha dato comunicazione. Io ho pensato che costui è un idiota. Se gli piacciono le stelle, cosa c'era di meglio di averne una
per sé solo, che nessuno sa che esiste? Ora tutti gliela possono guardare. Sarebbe come se io confidassi a
qualcuno di te e di me. Il bello della nostra relazione
è proprio questo: che non c'è anima viva che la
possa immaginare».
Alla sera Virginia lo attendeva ancora all'uscita
del negozio. Andavano al caffè. Oppure al cinematografo. C'era andata, al cinema, finalmente, e le
sembrava di avere distrutto l'ultimo legame col suo
periodo di terrore, di essersi conquistata in pieno una
nuova vita. Cosicché, dodici giorni dopo il Capodanno, quando Sandrino le ripeté di non farsi illusioni, ch'egli avrebbe preteso tutto da lei, essa gli
rispose:
«Ma sono io che voglio darti tutto. Non hai che
da chiedermi».
«Voglio un cronometro», egli disse. «Mi serve
per regolare il tempo delle partite».
Era mattino e stavano facendo colazione.
«Oh, è tutto qui? », ella esclamò. «Io che credevo chissà cosa».
Egli volle darle un bacio per ringraziarla; la rovesciò sul letto e la prese una volta ancora. Poi ella
sorse per prima, allarmata.
«Sono le dieci. Come ti giustificherai al negozio? ».
«Non ci andrò affatto. Mi darò per malato».
Non andò quel giorno e nemmeno l'indomani.
Il terzo giorno ella tornava dal fare gli acquisti e lo
trovò che l'aspettava.
«Mi hanno licenziato», le disse: «Flammarione
ha messo in dubbio che mi fossi sentito male, mi ha
minacciato di togliermi le due giornate di salario.
Io gli ho buttato il metro sul banco e me ne sono
andato».
«Allora non ti hanno licenziato. Sei venuto via
da te», ella disse, ingenuamente.
« E be'? Forse vuoi sapere anche te dove sono
stato questi due giorni? Sono stato a giocare al pallone, non è vero? O piuttosto sono stato a fare delle
porcherie con una donna?».
Era riuscito ad offenderla, ma soprattutto ella si
sentiva umiliata dalle sue parole. Ebbe per un istante
il senso della sua ingiustizia e della propria condizione. Si era seduta al tavolo di cucina, si teneva la
mano sulla fronte: non pensava di essere sudata, e
se ne sorprese. Fu un attimo. Subito dopo si disse
che le parole di Sandrino erano giuste, che era stata
lei a trattenerlo ed a fargli perdere il lavoro. Si alzò
per carezzarlo. Egli si lasciò blandire, posò la testa
sul suo seno. Le baciò teneramente la gola.
«Non mi approvi?», le chiese, timido come non
lo aveva mai udito.
«Hai fatto benissimo», ella disse. «Cosí starai
sempre con me... Apri la borsa, guarda cosa ti ho
portato ».
C'era il cronometro; era d'oro, ed egli ne fu entusiasta.
«Ti manderò in rovina, se dài ascolto a tutti i
miei capricci».
«Sono io che ti ho voluto fare un regalo, non tu
che me l'hai chiesto», ella disse. Simulò la voce di
lui, il suo gesto, e aggiunse: «Parliamoci chiaro»,
ridendo.
A tavola. egli disse:
«Del resto, posti come quello che ho lasciato, li
trovo ad occhi chiusi».
Tuttavia per quel giorno, siccome era sabato, ella
gli dové dare l'equivalente del salario che ogni settimana egli versava a sua madre. Appunto perché
sua madre non venisse a sapere che da quel momento era disoccupato.
Virginia stessa gli aveva offerto la soluzione, allorché Sandrino si era fatto pensieroso e, col cipiglio
che gli atteggiava la faccia al dolore, aveva detto:
«Non ho pensato a mia madre».
Avuto il denaro, egli disse: «Questi te li renderò».
Volle sdebitarsi l'indomani medesimo. Ella mangiò in camera, come al solito, riscaldando il cibo
sulla spiritiera, per non incontrarsi con gli altri che
alla domenica erano per la casa. Attese che Sandrino fosse uscito e lo raggiunse al caffè dove si erano
dati appuntamento.
Egli le disse: «Non andiamo al calcio, ma andiamo lo stesso ad uno spettacolo sportivo. Andiamo allo Sferisterio. Cosí ti restituisco subito quello
che mi hai prestato. Basta tu mi anticipi altre cento-lire».
Ella capí soltanto che gli occorrevano cento lire,
appoggiò la borsa sul tavolo, l'aperse e ne stava
cavando il denaro. Lui la fulminò con lo sguardo.
«Sei mostruosa. Vedi che quelli che giocano a
scacchi non ci tolgono gli occhi di dosso, vedi che
il cameriere sta davanti a noi e cacci i soldi dalla
borsa. Vuoi ripetere la scena di Capodanno? Ci godi ad apparire come quella bionda, a quanto pare.
Vuoi proprio farmi passare per il tuo mantenuto.
Oppure pensi che mi credano il tuo bambino? ».
Parlava tra i denti, era impallidito, gli tremavano
le labbra, e il suo sguardo, di un celeste che Virginia
non riconosceva, cupo, l'agghiacciava. La sua voce
aveva avuto un tono adulto, di odio. Questa volta il
suo sarcasmo non le aveva lasciato modo di intravedere la burla. La crudezza delle sue parole era
confermata dal fremito del suo corpo, faticosamente
dominato, e dall'intensità con cui egli stringeva i
pugni e li premeva sul tavolo. Le nocche spiccavano lucide e bianchissime, come prossime ad esplo-
dere.
«Ecco, sí, fai cotesta faccia», egli riprese. «È proprio quello che ci vuole. Fai la terrorizzata, cosí
crederanno che sono scontento di quanto mi hai
portato. Lascia capire che appena usciti di qui ti sevizio, forse qualcuno ti verrà in aiuto».
Virginia era basita. Lo sguardo di Sandrino la
uccideva: era un ago che le bucava la nuca; ebbe
la sensazione di sentirsi aspirare dentro la testa: un
freddo che di secondo in secondo le si circoscriveva
alle tempie e al cuore, contemporaneamente. Egli
sillabava le parole con una pacatezza spietata.
«Sicuramente tra un momento sverrai, non è cosí? », le disse. «È nel tuo sistema. Ma ti avverto
che questa volta non ti serve. Appena cadi io scappo, vado a casa e dico tutto. Dico ai partigiani che
eri la complice di tuo marito, che adescavi i ragazzi per farli iscrivere nei marò. Dirò che l'hai
fatto anche con me, che per colpa tua mi arruolai».
Virginia si sostenne con una mano all'orlo del
tavolo per trovarvi appoggio e respiro, tentò con
l'altra di raggiungere la bottiglia che era in mezzo
al tavolo. Egli la prevenne:
«Vuoi bere? Ci sono qua io».
Ora il cameriere si avvicinava, premuroso, incuriosito, le chiese se le occorreva qualcosa. Ma ella
riuscí a recuperare le proprie forze, a sorridere perfino:
«Un capogiro», esclamò. E rivolta a Sandrino:
«Avevi ragione. Non dovevo uscire, dopo la febbre che ho avuto stanotte. Va già meglio. Se vuoi
che andiamo».
Egli la stringeva al braccio, e appena fuori il
caffè, invece di attraversare la piazza la costrinse
a voltare per una stradetta laterale che appariva
deserta in tutta la sua lunghezza di vicolo. Ella
s'immaginò che adesso Sandrino l'avrebbe assalita
e percossa, forse l'avrebbe uccisa. Ma non reagí: si
affidò anzi piú docilmente al suo braccio. Erano
arrivati a metà del vicolo, in silenzio. Egli le lasciò il braccio, la prese delicatamente ai gomiti, la
fece appoggiare al muro.
«Riposati», le disse, con un tono improvvisamente diverso. «Non metteremo piú piede in quel locale», aggiunse.
Era tornato il Sandrino di sempre, come se nulla fosse accaduto di quanto era accaduto. Pure riac-
quistando la calma, la nozione del luogo e delle
cose, interiormente ella ne fu maggiormente stravolta. Egli le appariva sereno, padrone dei propri
gesti, spontaneo, sinceramente preoccupato della sua
salute; era il medesimo Sandrino che essa aveva
conosciuto il giorno del suo compleanno al tirassegno, che la guidava alla ballera, che la baciava per
il cronometro promesso, quello degli istanti ineffabili che seguivano l'amore, che le diceva: «Il bello è proprio questo: che soltanto tu ed io sappiamo
cosa siamo l'uno per l’altro». Ella non riusciva a
restituirgli la faccia di pochi minuti prima, nel caffè, la voce spietata e convinta che l'aveva chiamata
sgualdrina, la ferocia e la violenza omicida ch'era
nei suoi pugni chiusi posati come ordigni sulla tovaglia a quadri. Credeva di essere certa che anche
costui era stato Sandrino, eppure ne dubitava, attribuiva ad un proprio svenimento, ad un proprio
sogno malsano la realtà di quell'immagine. Egli
le rivolgeva adesso parole amiche, affettuosamente
preoccupate; la sua faccia era innocente, dolcissima;
non poteva essersi trasformato in tanto poco tempo,
e colorirsi in viso, avere quelle sue mani ferme, leggere, che la carezzavano. Cosí come il suo sguardo,
che era di nuovo celeste ed ella vi si poteva specchiare. Gli occhi di Sandrino, tutta la sua persona le
dicevano ch'egli «ignorava » ciò che era accaduto.
Questo la sconvolgeva. Aveva spavento di se stessa,
adesso, della propria mente che vacillava; e nello
stesso tempo era già tutta raccolta con devozione,
riconoscenza, umiltà nelle braccia di Sandrino, che
era buono, generoso, indulgente e la perdonava.
«Non lo farò piú», ella credette di dovergli dire.
«Capisco che in certi momenti perdi il controllo
delle tue azioni».
«Ho fatto molto male?».
«Sí, ma all'ultimo istante hai saputo dominarti».
Poi le sollevò il mento, esclamò: «Brek! Non parliamone piú. Ti ho già perdonata».
Ciò che egli le perdonava, quale era stato l'ultimo istante, ed ultimo rispetto a chi o a che cosa,
questo ella voleva sapere per fare chiaro nella propria mente. Tuttavia aveva timore di chiederglielo.
Temeva ch'egli le confermasse indirettamente, e forse esplicitamente, le proprie parole, gli insulti, e
quindi il suo volto d'allora, i suoi pugni, tutto quanto ella credeva di ricordare e non voleva fosse vero,
perché non poteva essere vero. Altrettanto temeva
che facendogli una domanda precisa egli potesse oscurarsi di nuovo, riacquistare quello sguardo, quella
voce, quei suoi pugni che adesso l'avrebbero raggiunta, stroncata e le avrebbero tolto l'ultima speranza nella quale si era determinata: persuadersi
che nulla fosse accaduto, che soltanto la sua mente
avesse vacillato un istante.
Egli guardò il cronometro, disse: «Datti un po'
di cipria, è tardi. La prima partita sarà già cominciata».
Camminavano in una strada del centro, domenicale, affollata. Egli volle entrare in un bar e farle
prendere un cordiale. Sapeva d'uovo e di cognac,
e la riscaldò. Salirono su un tram, stipato, rumoroso: egli le stava di fronte, nella calca, e la proteggeva.
«Non sei per nulla suonata», egli disse.
Virginia non capi il senso delle sue parole, ma lo
vedeva allegro, contento. Gli chiese: «Dove andiamo? ».
«Te l'ho detto: allo Sferisterio».
«Non ci sono mai stata. Che film c'è?».
«D'ambiente di gioco, ti piace?».
Ella era poi passata dallo stordimento alla sorpresa e dalla sorpresa ad uno stato di torpore. Sandrino
l'aveva accompagnata fino alla piccola tribuna, al
fondo della rete. Ella sedeva in una specie di box.
con le paratie all'altezza dei gomiti: aveva la rete
davanti a sé, al di là della quale s'innalzava un muro
altissimo che si perdeva allo sguardo, alto piú della
volta della sala. Tra la rete e il muro v'era la pista
di gioco e quegli uomini vestiti di bianco, coi
calzoncini da minuetto e le fusciacche azzurre e
rosse che si rimandavano la palla sul tamburello,
correndo, volteggiando, imprecando. L'aria era affocata, pesante, densa di fumo nella sala e stranamente
limpida al di là della rete, come rarefatta dalle vampe dei riflettori. Ad ogni palla che si ingabbiava
contro la rete, che spirava sul cordino, che si volatizzava al di sopra del muro, ad ogni colpo sonoro
dei tamburelli, facevano eco le urla degli spettatori,
i loro incitamenti, le loro bestemmie e gli evviva.
L'ambiente la intontiva, e la spossava. Ovunque
ella volgesse lo sguardo, v'era un motivo di allucinazione. Davanti a lei le sagome dei giocatori, la luce
accecante dei riflettori che illuminavano la pista; alla
sua destra, alto sul tumultuare degli spettatori, un
tabellone bianco, e su un palco aereo un uomo che
vi picchiava sopra con una canna e lo maculava di
numeri rossi, accanto alla fila di nomi scritti in nero
e in colonna. Un apparire e sparire di cifre bianche,
rosse, nere, magicamente evocate dalla canna di
quell'uomo piccolo, calvo, rattrappito. Alla sua sinistra, gli spettatori che le sedevano vicino, sulla
balconata, o aggruppati e frementi alle maglie della
rete, gli uni a ridosso degli altri, preda alcuni di un
eccitamento bestiale, altri di una sfrenata allegria,
altri ancora chiusi in un mutismo ostentato e sornione.
Venuta lentamente a cadere la tensione che l'aveva
sorretta fino all'ingresso dello Sferisterio, il calore
dell'ambiente, le sue allucinanti presenze, lo stare da
due ore immobile, seduta, ostinatamente chiusa nella pelliccia, l'avevano sfibrata. Ella chiudeva gli occhi e cercava il sopore. La riscuoteva, di tanto in tanto, il fragore di una suoneria che scoppiava lacerante,
improvviso: si spegnevano le luci della pista e si accendeva la sala. Allora Sandrino, che vanamente
dapprima ella aveva cercato di riconoscere tra la folla
accalcata alla rete, la raggiungeva per qualche minuto. Ella gli sorrideva per rassicurarlo.
«Hai vinto?», gli chiedeva.
«Solo quando usciremo te lo potrò dire. Non chiedermelo piú, porta scalogna».
Lo vedeva infilarsi nella marca di teste, col suo
amico basco sulla nuca e i riccioli sulla fronte, scompariva tra coloro pigiati al banco del totalizzatore.
Cessava la suoneria e il gioco riprendeva. Virginia
tornava ad assopirsi. Nella sua mente confusa, l'episodio del caffè, il vicolo, il tram si accavallavano, sfumavano nell'incoscienza del sonno. La richiamò a sé
una voce, quasi al suo orecchio:
« Se mi avessero detto: la testa. Io avrei scommesso
la testa, ma la signora Virginia al tamburello, proprio non ce l'avrei fatta ».
Era Faliero.
VIII
Questo incontro segnò un piú vasto mutamento
nella vita di Virginia. Le circostanze la costrinsero a
familiarizzare col resto della casa.
L'apparizione di Faliero l'aveva improvvisamente
rianimata; ella ebbe un primo ed unico pensiero:
evitare che Sandrino la raggiungesse e che Faliero
potesse rendersi conto, in un istante, della loro intimità. L'imminenza e la gravità del pericolo la resero agitata. Gli porse la mano.
«Non sono permesse delle distrazioni? », gli disse. Si alzò. «Me ne stavo andando».
«Se è sola mi permetto di accompagnarla», disse
Faliero. «Nemmeno io punto all'ultima partita».
«È l'ultima partita? », ella chiese. «Io, vengo soltanto per l'ambiente. Mi svaga piú del cinematografo ».
Scendeva i gradini della balconata, spigliata ma
col cuore in gola: potevano trovarsi faccia a faccia
con Sandrino, mentre Faliero le faceva strada tra gli
spettatori. (In realtà, Sandrino aveva miracolosamente evitato Faliero poco prima: li seguiva, adesso, nascosto dietro una colonna).
Faliero disse: «Aspettiamo il tram? ».
Egli indossava un paltò blu, con la cintura che gli
snelliva il corpo. Era senza cappello; era bruno, ed
alto, quasi quanto lei.
«Fa un giro troppo lungo. Preferisco andare a
piedi», gli rispose.
Faliero era intraprendente, e tuttavia impacciato,
nel sostenere la conversazione. Disse:
«Mi chiedo se lei è proprio lei».
Ella era ansiosa di allontanarlo dallo Sferisterio, e
di distrarlo. Per fare ciò le sembrava di dover essere disinvolta, cordiale, ma la precipitazione, la condiscendenza e a momenti la stranezza delle sue risposte, tradivano il suo orgasmo: una febbrilità che
Faliero non sapeva ancora come interpretare.
«Avessi preso, per caso, un abbaglio? », egli ripeté.
«Lei non sa ancora capacitarsi di avermi incontrata allo Sferisterio, è cosí? ».
«Infatti », egli le rispose, «e sono contento di non
farle piú paura».
« Ma non mi ha mai fatto paura. Ho cambiato
opinione su di lei».
«Non mi dica quella di prima, mi dica quella
di ora».
«Penso che lei è un galantuomo».
Avevano voltato strada due volte e Virginia si
sentiva piú sicura. Erano poco distanti da un bar,
nel raggio di luce azzurra e bianca dell'insegna. Ella
lo sfiorò con lo sguardo: il suo sorriso era aperto,
generoso; la intimidí e la rassicurò nello stesso tempo. Egli volle offrirle l'aperitivo.
«Mi immagino la contentezza di mia moglie»,
disse, in piedi, al banco. «Poiché lei, stasera, sarà
nostra ospite. Niente ma. Basta ormai con la segregazione. Per tutti questi mesi ci ha costretto a sentirci come suoi carcerieri. La signora Lucia in specie, che quando lei arrivò credette di avere trovato
finalmente la compagna per il suo rosario. Dice
sempre che noi non la capiamo. Che abbiamo sale
in zucca quanto il suo ragazzo».
«Perché? Lei, la madre, capisce qualcosa di Sandrino? », esclamò Virginia, e subito ebbe coscienza
della leggerezza commessa. Era avvampata in viso.
«È cosí irrequieto perché è giovane», aggiunse per
correggersi.
Faliero si era fatto improvvisamente serio. Disse:
«Sí, purtroppo, è irrequieto. Ma si sta avviando
sulla strada buona».
Aveva posato il bicchiere sul banco, con un gesto
che accompagnava il suo pensiero.
«Be'», concluse, e le sorrise, prima di cambiare
argomento. Le disse che anche fisicamente gli sembrava rimessa.
Ma in Virginia, quel gesto e le sue poche frasi
avevano avuto un'eco allarmante: egli pensava male
di Sandrino, era ancora suo nemico. Ora entrare in
confidenza con Faliero e sua moglie le faceva piacere. Avrebbe saputo cosa pensavano di Sandrino,
cosa tramavano contro di lui: avrebbe forse avuto
modo di prevenire i loro piani. (Pensò a quella madre sciagurata, cieca, che si confidava coi nemici di
suo figlio). Si immedesimò talmente, e precipitosamente, nella propria parte che, usciti dal bar, fu lei
stessa a riportarvi il discorso: lo fece in maniera
esplicita, irriflessiva. Faliero ne fu sorpreso e insospettito.
«Cosa si può rimproverare a quel ragazzo? », ella
disse. «Di essere stato fascista? È ancora questo?».
Eccitata dalle proprie parole, i suoi sentimenti la
travolgevano; la sua voce acquistava una durezza
offensiva.
«Anche i ragazzi continuate a perseguitare? », riprese. «Lei gli fa l'amico per tenerlo d'occhio. Ora
capisco ».
Faliero si arrestò, le si mise di fronte.
«La prego, non parliamone. Lei è una signora che
io rispetto perché so che non ha nulla da rimproverarsi. Anzi, posso dirle che l'ammiro siccome sta
dando prova di una grande fermezza, anche se un
po' eccessiva», aggiunse indulgendo alla cordialità.
«In quanto a Sandrino, non credevo che lei fosse
informata».
Ella aveva ritrovato la propria padronanza, e un
contegno.
«Ne sono informata mio malgrado. I muri sono
di cartavelina».
« Direi, il contrario della persecuzione », egli continuò. «Lo stavano rinchiudendo in riformatorio,
ed io mi sono fatto garante per lui».
Ora Faliero sospettava. Come poteva Virginia avere appreso, sia pure origliando, il recente passato di
Sandrino, se nessuno ne parlava mai in casa, e tanto
meno Sandrino con sua madre? Ma non volle porle
la domanda, per non sciupare la conciliazione allora
avvenuta, e perché ciò poteva rivelargli una verità
che era necessario scoprire indirettamente per appurarla intera. Egli aveva creduto di sapere tutto di
Virginia (della sua innocenza e solitudine); per questo, assieme a Bruna, avevano cercato di alleviarle il
dolore offrendole la loro amicizia: si erano proposti
di «aiutarla a ritrovare la fiducia nella società». Ed
ecco che si disponeva lui, adesso, a cambiare opinione su Virginia. Soltanto Sandrino poteva averle raccontato la propria storia: si conoscevano, quindi, si
erano incontrati e si incontravano tuttora. Ma quando, e perché?
Quella sera, a cena, c'era dunque la nuova ospite.
Bruna le assegnò il posto d'onore, a capotavola. Lucia si fece promettere che l'avrebbe accompagnata
nel suo rosario d'ogni sera.
Virginia fu presa dal calore della loro accoglienza,
si scusò piú volte di averle offese col contegno tenuto
fino ad allora. Fu stupita e commossa, ma via via
che il tempo passava, veniva la notte e Sandrino non
rientrava, con sempre maggiore fatica ella riusciva a
reprimere la propria ansia, forse piú sofferta di quella esteriormente manifestata dalla madre.
Il ritardo di Sandrino diradò a poco a poco l'atmosfera di cordialità, diventò per ciascuno motivo
d'angoscia, d'inquietudine. Lucia si lamentava ad
alta voce.
«Non l'ha mai fatto di non tornare a cena... Mi
diceva sempre tutto: dove conta di andare e dove
poi è andato... "Oggi, mammina, il programma è
questo", mi ha detto. "Sigarette, stadio e se mi restano soldi, un film di avventure". Si è raccomandato gli facessi trovare pronto per le otto, poiché
voleva andare a letto subito. Domattina deve trovarsi presto sul lavoro, alle cinque addirittura. "Una
volta tanto mi alzerò prima di te", mi ha detto.
“Facciamo l'inventario della merce per una vendita
a prezzi di liquidazione”. Vedete? Mi dice tutto.
Liquidano gli articoli di fine stagione. Il padrone
gli vuole bene come ad un figliolo. Gli ha promesso
di mandarlo a Milano a trattare un affare al posto
suo ».
«Avrà voluto rivedere il film, tanto gli sarà piaciuto», le disse Bruna.
«Certo», disse Faliero. «È sveglio piú di quanto
lei non crede».
Virginia era impietrita. Faliero la fissava ed essa
non riusciva piú a darsi un contegno, irrigidita sulla
sedia, gli occhi stralunati.
Bruna le disse: «Le sta entrando il freddo, non è
vero? Perché non va a coricarsi? O almeno, ad infilarsi la pelliccia».
Virginia si alzò, meccanicamente, percorse il corridoio, girò la maniglia, e mentre al buio cercava
l'interruttore, questo scattò, si accese la luce nella
camera ed ella si trovò dinanzi Sandrino che l'agguantò alla vita e le chiuse la bocca con la mano,
per impedirle un grido, di sorpresa. Ella si abbandonò
tra le sue braccia; immediatamente l'angoscia le si
scioglieva in lacrime.
Sandrino le sussurrò, irritato:
« Ci voleva molto a capirlo, che ti aspettavo? Faliero ha visto che eravamo insieme? Hai un cervello
di gallina. Devo pur sapere come ti sei comportata,
prima di presentarmi. Ti ha cavato nulla di bocca,
strada facendo?».
Ella gli rispose scuotendo la testa. Allora Sandrino
l'abbandonò su una sedia, scivolò cauto nel corridoio.
Uscendo le disse:
« A proposito: abbiamo perduto tutto, ma ci rifaremo».
Virginia aveva poggiato il capo sulla spalliera del
letto, piangeva di consolazione.
Poi sentí bussare alla porta.
«Il camorrista è tornato», le disse Bruna dall'e-
sterno. «Venga che glielo presento».
«Meglio domani», ella le rispose. «Ho freddo, e
mi sono gia coricata».
Ma Sandrino fu tanto ardito da venire di persona
nel corridoio.
« Mi dicono che la prigioniera ha spezzato le
sbarre. Brava. Sarò lieto di conoscerla. Per adesso,
buona notte. E buon sonno».
«Buona notte, signorino Sandro», ella gli rispose.
Poco dopo, spossata e serena, si addormentava.
Era, quella notte, la notte dalla domenica 25 al
lunedí 26 gennaio, la prima della nuova luna che
mitigò la stagione e recò alcuni giorni tepidi, di
primavera. L'alba fu nitida, senza caligine né vento:
si levò un sole luminoso che prometteva di asciugare
presto la biancheria. La massaia del piano di sotto
stendeva i panni alla sua finestra sulla corte, e cantava, invidiando, per i suoi ragazzi e il suo bucato,
la terrazza soprastante. La sua voce destò Virginia.
Il sole si insinuava attraverso le gelosie abbassate. Ella
godeva di quel risveglio che la trovava riposata, languida, a covare il tepore del proprio corpo. Stava ad
occhi chiusi, raggomitolata sotto le coperte, le mani
tra le cosce. Era un modo delizioso e indolente di
riprendere possesso dei propri pensieri e sentimenti.
di richiamare al proprio cuore e alla mente le persone e le cose che le erano attorno e l'attendevano.
Rievocava pigramente gli avvenimenti della vigilia. Il suo spirito, disposto alla dolcezza, alla quiete,
operava in essi una selezione spontanea: li giudicava
nella misura del proprio ottimismo. Ciascun episodio
le recava diletto, adesso. Dapprima Sandrino era stato
feroce, perché l'amava: la gelosia che al tavolo del
caffè l'aveva fatto trascendere fino alla brutalità, le
era cara a ricordarsi poiché le confermava una volta
ancora, e definitivamente, la profondità del suo affetto. Gli stessi suoi insulti, di cui aveva dimenticato
le parole, le risuonavano come tenerezze. E piú di
essi, ella ricordava ciò che ne era seguito: le attenzioni ch'egli le aveva prodigato nel vicolo, la sua
insistenza per farle bere il cordiale, l'amorosa intensità del suo sguardo mentre sul tram si recavano
allo Sferisterio. Anche dello Sferisterio ella conservava un'immagine gradita: era un'altra verità rivelatale da Sandrino, come il ristorante di lusso, come
la ballera.
«Non conosci nulla della vita. Mi sembri una bam-
bina da divezzare », le aveva detto, ballando, il giorno di Capodanno. Egli si era quindi proposto di farle
scoprire il mondo. Lo Sferisterio rappresentava anch'esso una tappa sulla strada della conoscenza, tanto
affascinante che l'aveva stordita. Era stata davvero
simile a una bambina che si addormenta nel palco,
ad una serata di gala. Cosí come l'incontro con Faliero aveva finito per distruggere dentro di lei il terrore della gente. Sandrino aveva ragione: gli estranei
«Vanno messi sotto con furbizia»; o sono ipocriti, ed
occorre essere ipocriti piú di loro, prendersene gioco,
o sono ingenui e allora bisogna giovarsi della loro
ingenuità per difendere «i nostri interessi».
Virginia pensava che il suo interesse era uno solo:
era Sandrino. E del resto, dopo di averli frequentati
quelle poche ore, Bruna, Faliero, Lucia, aveva potuto persuadersi ch'essi erano piú ingenui che cattivi: anche Faliero, piú che nemico si sentiva protettore di Sandrino. Un protettore! Di Sandrino! Ora,
portare in mezzo ad essi il suo segreto, l'idea di dover fingere che anche Sandrino fosse per lei un
estraneo, la faceva sorridere; si disponeva ad affrontare il gioco con la trepidante sicurezza che l'avventura avrebbe maggiormente impreziosito il loro
amore.
La massaia dal piano di sotto cantava sciorinando
i suoi panni. La casa era in silenzio. Tutti dovevano
essere andati. Sandrino non era venuto da lei come
ogni mattina, appena uscita la madre. Certamente
si era addormentato di nuovo, come lei stessa che
non aveva udito il saluto di Bruna e di Lucia. Ella
covava la propria indolenza e si proponeva ciò che
avrebbe fatto nella giornata: si sarebbe alzata, intanto, avrebbe preparato il caffè e destato Sandrino.
Forse lui l'avrebbe costretta a giacersi, e questo era
ciò che anche lei desiderava; si augurava di vederlo
giungere da un istante all'altro; di poterlo accogliere
tra le braccia in quel tepore che non si decideva ad
abbandonare, e di darsi a lui con ancora le membra
deliziosamente stanche dopo il lungo sonno, di sciogliersi sotto la sua violenza. Poi Sandrino sarebbe
rimasto a letto, indaffarato alla sua «vendita di fine
stagione»! Ella doveva uscire per la spesa, e per recarsi in banca a prelevare il denaro. Sandrino non
aveva avuto fortuna, ieri sera; aveva perduto le tremila lire che le rimanevano. Distrattamente pensò
che negli ultimi tempi aveva ritirato denaro piú spes-
so che per il passato, quasi centomila, da ottobre.
Al ritorno dalla banca, aveva in progetto di fermarsi
all'oreficeria; voleva fargli la sorpresa di un nuovo
regalo: la catenella da polso, già ordinata, che sapeva gli sarebbe piaciuta, con incise le iniziali di Sandrino, che erano anche le sue.
Il canto era cessato; la massaia doveva essersi ritirata. E doveva essere ancora molto presto se il silenzio era cosí profondo, nella casa. Virginia tornò ad
assopirsi: di minuto in minuto poteva giungere Sandrino; nell'amplesso le avrebbe ripetuto: «Sei la
mia amante, lo sai? Lo sai? ».
Si destò d'improvviso, agitata per via di un sogno
che le aveva dato degli incubi e che appena aperti
gli occhi non ricordava. Sudava. Guardò l'orologio:
era mezzogiorno passato. Sul comodino, trattenuto
sotto l'orologio, c'era un pezzo di carta gialla, gualcito. V'erano scritte delle parole a lapis copiativo.
Dicevano:
Starò fuori qualche giorno, forse anche piú di una
settimana. Acqua in bocca e buona fortuna. S.
Ella rimase a lungo immobile, seduta nel letto,
col foglio giallo in una mano. Il sudore le si era
raggelato in tutto il corpo, tremava, ed era incapace
di pensare. Ostinatamente si ripeteva le stesse domande, senza riuscire a formulare un'ipotesi. Come
sempre, l'improvviso l'annichiliva, le toglieva ogni
possibilità d'immaginazione. Cosa poteva averlo obbligato ad allontanarsi? E perché cosí, all'improvviso? Perché non l'aveva destata? D'un tratto pensò
che Sandrino le avesse voluto fare uno scherzo: era
nella sua camera e l'aspettava.
Vi si diresse correndo, chiamandolo per nome. La
porta era chiusa a chiave e dapprima ella fu certa
che Sandrino stesse giocando.
«Aprimi», gli diceva. «È riuscito benissimo. Mi
sono impaurita».
Abbassava la voce: «Amore, aprimi», ripeteva.
E lo chiamava sempre piú forte, con l'angoscia
che rapidamente la tornava a possedere: « Basta Sandrino, ti scongiuro».
Girava la maniglia, scuoteva la porta, lievemente,
e poi con tutta la sua forza.
«Basta. Mi sentiranno. Non mi so. piú controllare, ti prego».
Quindi le traversò la mente l'idea ch'egli volesse
complicare il gioco, che avesse chiuso la camera per
trarla in inganno, e fosse nascosto altrove. Andò in
cucina. Lo vedeva dietro l'angolo del focolare, tra
muro e dispensa, sotto il tavolo, nel vano tra l'acquaio e la finestra, nel gabinetto, nel ripostiglio ove
le donne tenevano gli stracci e le scope, ogni volta
persuasa di scoprirlo e di rifugiarsi tra le sue braccia,
e ogni volta delusa, spaventata.
Vieni fuori... Ho paura... », diceva.
Era in terrazza! Oh, certo, era in terrazza, come
non averci pensato?
L'aria la fece rabbrividire, ed ancora piú il sole
tepido che l'inondava.
«Dove sei?».
C'era steso il bucato che Bruna aveva fatto il giorno prima. Egli era dietro i lenzuoli, e vi si nascondeva! Virginia scostava febbrilmente i lenzuoli, gli
asciugamani, i pigiama: quella ricerca affannosa,
inutile, finí di toglierle la ragione. Ebbe terrore del
proprio stesso grido: era sconvolta ormai. Gettò a
terra tutta la biancheria ch'era appesa, sempre vedendo Sandrino dietro ciascuno schermo. Assurdamente pensò ch'egli fosse rannicchiato dentro la stia.
Si gettò carponi, infilando la testa nel pertugio; le
galline starnazzarono, vennero ad urtare contro la
sua faccia, la graffiarono sul petto, fuggendo dalla
loro prigione, esse stesse spaventate.
Ecco, Sandrino le era girato alle spalle: ora l'aspettava sorridendo nella sua camera! Ella percorse di
nuovo l'itinerario: camera, corridoio, terrazza, cucina, due, tre volte, sempre vedendo l'ombra di Sandrino scomparire dietro un angolo, tra mobile e mobile, di pertugio in pertugio.
Poi pensò ch'egli si era chiuso, questa volta davvero, nella propria stanza! Era crudele e spietato,
era lui, e gioiva a sentirla soffrire. Tornò davanti alla
sua porta; fu umile, tenera, sconsolata; lo chiamò
dolcemente, ebbe scatti di cui subito gli chiedeva
perdono, scosse la porta con tutta la sua energia, e
poi la carezzò come avrebbe carezzato il volto di Sandrino appena egli ne fosse uscito, scongiurandolo di
essere buono, pietoso, di non farla piú soffrire.
Quindi la tensione venne meno a poco a poco,
siccome Virginia crollava sui ginocchi. Era accucciata
davanti alla porta di Sandrino, piangeva in silenzio,
di tanto in tanto chiamandolo ancora, ma senza piú
speranza. Vi rimase per delle ore, lacrimante, la
fronte premuta contro lo zoccolo della porta, ed in
grembo, teneramente stretta, una delle galline. Finché riuscí a sollevarsi. Il terrore che gli altri potessero sorprenderla fu piú forte della sua desolazione.
Riordinò la biancheria sulle corde, rinchiuse le galline nella stia, dispensò loro il becchime.
Rientrata nella propria camera, si sedette davanti
alla specchiera, si guardò a lungo, scarmigliata e
sconvolta qual era. Si riordinò i capelli, fissandosi, e
si interrogava. Poté infine dirsi che forse Sandrino
era stato meno crudele con sua madre; forse Lucia
sapeva dov'era andato, e perché.
Era ancora nuda sotto la vestaglia. Il freddo le
era entrato addosso, violento; non reggeva il pettine
nella mano. Accese la spiritiera e si scaldò il caffè.
Intanto si vestiva. Doveva mostrarsi disinvolta con
gli inquilini, ed affrontarli per sapere da Lucia notizie di Sandrino. Pensò di uscire per distrarsi e acquistare la calma necessaria. Deponendo il foglio
giallo nella borsetta scoperse che la borsetta era vuota.
Evidentemente la sera prima, allo Sferisterio, Sandrino aveva avuto bisogno anche delle ultime lire.
Lei non ricordava. Era cosí lontana la sera prima! E
lui dove poteva trovarsi adesso?
Dove? E con chi?
Era già sera. Scomparso il sole, l'aria aveva riacquistato la sua asprezza invernale. Il vento, agli incroci, tagliava il viso. La sua mente era confusa e
quel gelo, invece di diradare il suo turbamento, lo
accentuava. Era come se la sua testa e il suo volto
trattenessero il vento, e questo vi si solidificasse; a
poco a poco il suo viso e la sua nuca diventavano di
ghiaccio; le tempie le trafiggevano il cervello. Sentiva le due file dei denti l'una sull'altra, strette suo
malgrado: distaccarle ed aprire la bocca era una fatica a cui si rifiutava perché incapace.
Tuttavia il suo corpo era sciolto in ogni giuntura,
e la portava avanti, sempre piú stordita e irresponsabile. L'ultima riflessione, prima di questa vacanza
della volontà e della memoria, fu che si era dimenticata di sorbire il caffè: aveva lasciato la cuccuma
sulla spiritiera accesa. Si tranquillizzò dicendosi che
presto sarebbe rientrata. Invece andava avanti per
inerzia e nello stesso tempo franca, tra i passanti
come lei veloci e infreddoliti. Le pareva di sostenere
sul collo un peso immane, gelido. Distingueva le
luci, le persone e le cose senza riconoscerle, con la
trafittura lancinante, simultanea. all'altezza delle
tempie.
Si ritrovò nel caffè ov'era solita recarsi con Sandrino, seduta al loro tavolo d'angolo, con davanti
una tazza di cioccolata. Il dolore alle tempie si era
attenuato; ella riacquistava il dominio di sé e insieme
le saliva dalle cosce fino al seno un'estenuazione dolorosa, una stanchezza simile a quella provata la
sera prima allo Sferisterio, e tuttavia diversa: ciò che
la sera prima era stato stordimento, bisogno di sonno
e di riposo, adesso era come il risveglio di quello
stesso mattino, ma senza velleità, né palpitazione. Le
sembrò, e cosí era, di rientrare in possesso del proprio
corpo. Una sensazione gradita. Il suo gesto di raccogliersi col mento dentro il bavero della pelliccia,
come per accelerare quella riconquista, fu istintivo e
goduto, e la indusse a sorridersi, a portarsi subito
dopo alle labbra la tazza della cioccolata con avidità. «Ho fame», ella si disse, e mormorò le parole,
si ascoltò.
Chiamò il cameriere e gli chiese dei dolci. Era disinvolta come si proponeva. Gli disse: «Inteso che
pagherò domani».
Il cameriere era sornione, complice, al solito. Le
rispose: «C'è il locale intero a sua disposizione». E
tornando, con la pastiera: «Il suo amico ritarda,
stasera. Oppure, dopo la scenata d'ieri, vi siete
rotti? ».
Ella non rimase sorpresa delle sue parole, né esse
la offesero. Addentò una pasta, disse: «È dovuto
partire per affari. Starà fuori una settimana».
Poiché cosí sembrava a lei stessa. Sandrino era
partito e sarebbe tornato, forse era già a casa che
l'attendeva... Ma erano pensieri che sfioravano la
sua mente e che ella non riusciva a trattenere. Tutto
era meno forte della rilassatezza, del languore che
la possedevano e la rendevano leggera, padrona del
proprio corpo, e nello stesso tempo la immobilizzavano. Ora le pareva impossibile di potersi alzare, fidarsi sulle gambe era un tentativo assurdo, come poco
fa distaccare i denti di sopra da quelli di sotto. Ella
si lasciava affondare nella sedia, al suo tavolo d'angolo, il mento entro la pelliccia, consolata dal proprio tepore, ad occhi spalancati.
Il caffè era affollato, pieno di fumo e brusio, di
luci, di specchi che riflettevano le immagini, le volute di fumo, i volti e i gesti delle persone, il loro
sedersi e andare e venire. Ella vi intratteneva lo
sguardo, distaccata ed assente tuttavia, rivolta a sé
sola; gustava il sapore della crema, della cioccolata
sul palato; ebbe desiderio di fumare e aperse la borsetta. Una mano, attraverso il tavolo, le presentò la
fiammella dell'accendisigaro. Ella accese alzando lo
sguardo sullo sconosciuto.
Non era uno sconosciuto, era una faccia che conosceva, rasata, larga e come tumefatta ai pomelli, col
cranio lucido e liscio che continuava la fronte. Le
sopracciglia, invece, grigie e folte, pettinate, nascondevano gli occhi, quasi forzatamente socchiusi e nondimeno mobilissimi, che sembravano sciabolare tante
piccole luci dalle quali immediatamente Virginia si
senti assediata. Gli sorrise.
« Sa che stavo per rinunciarci? », disse l'uomo riponendo l'accendisigaro nel gilé.
Ella si era adagiata di nuovo contro la spalliera e
fumava.
«A che cosa?», gli chiese.
«Ma a fare la sua conoscenza, cara. Mai una volta
che venisse sola, o se veniva sola mai una volta che
lui ritardasse piú di cinque minuti. Ho perduto delle
partite da principiante. Cavalli e regine mi partivano
di sotto gli occhi, per guardare lei, che crede? Non
si sente un poco responsabile di avermi rovinato la
fama di scacchista? ».
Cosa gli doveva rispondere? Anche parlare le costava fatica, come ascoltare, muoversi e parlare. Soltanto di guardare era capace, senza dover capire né
associare le immagini. Ecco, ora le sembrava che lo
sconosciuto, interrogandola, la spiegasse a lei stessa.
«Lei mi guarda e non mi vede, non è cosí?». Aggiunse: « Sia sincera, posso restare? ».
«Certo», ella gli disse.
Perché non avrebbe potuto restare?
Poco dopo costui diceva: «Cosí bella com'è dovrebbe già avere preso la fortuna per i capelli». E
poi: «Ci alziamo? ».
La precedette per infilarsi soprabito e cappello; le
offerse la mano. Ella gli affidò la propria meccanicamente, soggiaceva a un ordine. Era in piedi, e gli
camminava dinanzi. Uscirono sulla piazza, egli la
prese al braccio. Era piccolo, grassoccio, molto piú
basso di Sandrino. Il vento li investiva alle spalle. Si
sentiva trascinata dal braccio dello sconosciuto e dal
vento.
«Vuoi che andiamo prima a cena? Io preferirei,
se tu non sei impegnata. Se pensi che il tuo maquerau sia d'accordo ».
Rise, un gorgoglio, con tutta la persona. Virginia
capí solo ch'egli alludeva a Sandrino e che con quell'espressione aveva inteso di offenderlo. Questa volta
fu lo sdegno a restituirle la nozione delle cose.
«Io... », protestò, cercava di svincolarsi dal suo
braccio.
«Non volevo dispiacerti», egli disse. «Sei una
cara creatura».
Allora ella provò disgusto e paura. Fuggí. Corse
come sentendosi inseguita, fino all'imbocco della strada dove abitava; si rinchiuse nella propria camera,
si gettò supina sul letto, trafelata.
Poco dopo Bruna bussava alla porta.
«Stasera è stata lei a farci preoccupare», le disse.
«Sono le dieci. Noi dobbiamo uscire, ma abbiamo
voluto aspettarla, siccome Lucia si è già coricata».
«E il signorino Sandro? », le chiese Virginia.
«Il padrone lo ha mandato a Milano, come gli
aveva promesso. Tornerà tra qualche giorno. È stata
una decisione improvvisa. Il ragazzo ha avvertito la
madre telefonandole dove lei lavora».
Apparve Faliero nel vano della porta, disse:
«È libera domani sera? Bruna vuole conoscere il
nostro luogo di perdizione. Andremo tutti e tre insieme allo Sferisterio, se lei è d'accordo».
« Senz'altro », ella disse.
Rimasta sola si coricò. Trascorse una notte insonne, angosciata al pensiero di Sandrino, della sua assenza di cui non riusciva spiegarsi il motivo, reso
piú oscuro e inesplicabile dopo la bugia con la quale
egli si era accomiatato dalla madre. E della propria
vita che si era promessa nuova e felice e adesso, da
giorni, l'afferrava alla gola, un'ora dopo l'altra, con
sempre piú intense emozioni, in una disperazione
continuatamente rinnovata, ebbe un'infinita pietà.
Pianse ancora, sconsolatamente, su una astratta Virginia le cui vicende la commuovevano.
L'indomani mattina, già pronta per recarsi in banca, tolse dal cassettone il libretto degli assegni per
riempirne uno della cifra che le occorreva. Lo aperse
e vi trovò scritte queste parole: «Ho prelevato l'intera copertura». Piú sotto, in luogo della firma, Sandrino aveva disegnato un teschio e due tibie incrociate.
IX
Era digiuna da quarantotto ore, con soltanto la
cioccolata e le due paste della sera prima. Quel giorno, e i due successivi, si nutrí con l'uovo della gallina che Sandrino chiamava «signora Letizia», e
un po' di caffè che le restava, preparato sulla spiritiera. Non aveva denaro, nemmeno i pochi spiccioli
necessari per acquistare la razione del pane. Pensava
che nessuno le avrebbe fatto credito, repubblichina
quale la consideravano. Ora le sembrava capire che
nulla era cambiato agli occhi della gente nell'ultimo
scorcio di tempo, durante il quale ella aveva vissuto
nella luna. E del resto, il suo orgoglio, e piú ancora
la sua timidezza, le impedivano di chiedere.
Andò a piedi al cimitero, per la prima volta senza
portare fiori alla tomba del marito. Non vi si recava
dalla vigilia di San Silvestro, da quando era diventata l'amante di Sandrino. Tuttavia non provava rimorso: viveva adesso in uno stato di insensibilità e
di attesa. La sua situazione era diventata inesplicabile, rendeva impropria ogni riflessione. V’era in lei
una sola speranza, suggeritale dalla disperazione:
Sandrino sarebbe tornato di giorno in giorno, le
avrebbe spiegato, e tutto si sarebbe risolto spontaneamente. Ricercare i motivi che potevano avere indotto Sandrino. a fuggire dopo avere firmato un assegno col suo nome e incassato fino all’ultimo centesimo del suo deposito in banca, significava affrontare un mare di congetture in cui sarebbe certamente
naufragata. Provandovisi, dapprima, aveva creduto di
impazzire. Ora la sua natura si difendeva rifugiandosi in questo limbo di esterrefazione e di assenza.
Perpetuamente incapace di rendersi conto dei fatti
e di affrontarli, ella attendeva dai fatti stessi una
soluzione che non era in suo potere né accelerare né
protrarre. I fatti si identificavano con Sandrino, il
loro esito dipendeva unicamente dal ritorno di Sandrino. Non sarebbe stato nemmeno necessario ch'egli
le spiegasse: la sua sola presenza sarebbe bastata
perché il mondo e la propria vita ripigliassero il loro
corso. Davanti alla tomba del marito, Virginia pregò
candidamente perché Sandrino ritornasse presto, e
perché nessun male gli accadesse colà dove si trovava.
Ella viveva cosí, da quattro giorni, in questo distacco e in questa attesa che conferivano al suo spi-
rito, per contrasto, e come naturale conseguenza,
quasi uno stato di grazia, un'ebetudine che la rendeva perfino loquace. Aveva portato al Monte di
Pietà l'anello ricevuto da Ezio in occasione del lontano fidanzamento. La sera mangiava in cucina assieme agli altri inquilini, partecipava alla conversazione e vi si interessava. Aveva avuto dei momenti di autentica distrazione allo Sferisterio, allorché
Faliero, istruendo Bruna, aveva indirettamente spiegato anche a lei il meccanismo del gioco: s'era appassionata all'alternarsi delle sorti durante la partita, e avendo puntato al totalizzatore in società con
Faliero, la vincita l'aveva rallegrata.
Dopo cena rimaneva a lungo sola con Lucia, nella
sua camera, con davanti agli occhi l'ambiente che le
ricordava Sandrino, ed era pieno di lui. Lucia parlava sempre del figlio: ogni suo pensiero e proposito lo riguardavano. Virginia la sollecitava ostentando curiosità e partecipazione. Si intenerí alle fotografie che Lucia le presentò, di Sandrino in fasce,
e di Sandrino ad un anno, bocconi su un tappeto,
con la testa diritta e fiera, con già i riccioli e gli occhioni spalancati. «Era biondissimo, allora», le disse
Lucia. E poi col sottanino, tra mamma e papà, ma
scontroso in questa posa, con l'accenno del cipiglio
dinanzi al quale Virginia si era sentita sgomenta.
«Lui mi dice: sono cresciuto in fretta, mamma,
tu mi vedi sempre come quando ero in sottanino,
invece ho sedici anni piú che compiuti. E se io gli
dico che, appunto, non ne ha ancora diciassette, ed
è sempre un bambino, sa cosa mi risponde? Sono un
metro e settantuno, questo ti persuade? Ora si fa
perfino crescere i baffi ».
Le fece vedere il ritratto del padre di Sandrino,
l'ultimo, fatto poco prima di partire per l'Abissinia.
Le raccontò la propria storia, senza finzione e senza
rammarico.
«Mi aveva dato una casa, ma per un insieme di
motivi non riusciva a rompere con sua moglie. Io
avevo accettato il mio destino, siccome ci amavamo.
Era cosí da piú di dieci anni, io avevo superato la
trentina, quando rimasi incinta di Sandrino... Lui,
da sua moglie, figli non ne aveva avuti, ma nemmeno io li volevo. Tuttavia, allorché accadde, e chissà
come accadde, lui sembrava impazzito dalla gioia...
Poi venne la guerra d'Africa, e soltanto dopo la sua
morte seppi che c'era andato volontario... Sandrino
aveva sei anni quando lui morí. Questa è l'ultima
lettera che mi scrisse, da un ospedale da campo: era
ferito grave e sapeva di dover morire. Mi diceva di
avere pensato a me e a suo figlio nel testamento, che
aveva informato sua moglie di tutto. Invece essa non
mi volle mai nemmeno ricevere. Era una spagnola.
Partí subito per il suo paese. Interessai un avvocato,
ma essa dimostrò che tutto quello che aveva era suo,
di dote. Il regalo che ci fece fu di lasciare a Sandrino la pensione. È una miseria, ed ora forse ce la
toglieranno... Sono stati duri questi dieci anni, dopo
la sua morte, con Sandrino da allevare. Lo feci studiare finché potei, ossia, a dire la verità, finché ne
ebbe voglia. Mi sono dovuta adattare: ora lucido i
pavimenti e faccio la cucina in casa d'altri, brava
gente, che mi trattano da pari a pari, perché sanno
che ho avuto anch'io un'educazione: avevo fatto le
complementari. Mio padre era ragioniere in banca.
Ma quando dovetti guadagnarmi la vita, per me e
il mio bambino, mi accorsi che l'unico mestiere che
sapevo erano le faccende di casa. Anzi, no: sapevo
strimpellare il piano, se lo immagina?... Questa è la
lettera che lui scrisse per Sandrino, perché gliela facessi leggere quando fosse in età di capire. “ Onora
sempre tua madre. È una santa donna e mi ha amato
fino al sacrificio. Ma onora soprattutto, con ogni atto
e pensiero della tua giornata, e col tuo sangue se
sarà necessario, la piú grande Madre che è la Patria.
Odia i suoi nemici, tutti coloro che vorrebbero fare
di essa una democrazia imbelle e rinunciataria, sottraendola cosí al destino imperiale che le appartiene,
e combattili...”. Sandrino l'ha imparata a memoria,
ha una venerazione per suo padre... Temetti, al tempo dell'occupazione, che facesse qualche sciocchezza,
ma è ancora un ragazzo, e fu sensato: passò quel
periodo fuori città, nella casa di un conoscente contadino... ».
Tutto ciò riusciva gradito a Virginia. Ella conosceva Sandrino meglio di sua madre; e non soltanto
sapeva ch'era uomo ormai, capace di dare la felicità,
ma sapeva di lui e del suo passato cose che la madre
ignorava: sapeva che Sandrino aveva tenuto fede
alla memoria del padre, che aveva fatto proprie le
sue esortazioni. Ella sentiva di non temere quella
madre che ora le si confidava e che l'avrebbe assalita
e perseguitata se avesse appreso dei suoi rapporti con
Sandrino. L'ascoltava, invece, e la compiaceva nelle
sue lamentazioni, con la condiscendenza propria di
un adulto per le angustie di una bambina. Lucia era
la prima persona verso la quale Virginia aveva provato fino dall'inizio un senso di superiorità; ed anche adesso che Lucia le parlava della fortuna che il
figlio aveva avuto di incontrarsi con un padrone che
lo sapeva apprezzare e gli affidava incarichi di fiducia, pur nella rigidezza dei sentimenti che la dominava, Virginia provava per la madre di Sandrino
compassione e sufficienza ad un tempo. L'ignoranza
di Lucia la rendeva sicura.
Con Faliero e con Bruna, invece, doveva restare
guardinga. Li temeva ancora, e le loro attenzioni, la
loro cordialità, non bastavano a distoglierla completamente dal suo sospetto. Piú di una volta Faliero
l'aveva colta di sorpresa con delle domande. Di ritorno dallo Sferisterio, quel mercoledí notte, per un
nulla non si era tradita. Faliero aveva detto:
«A Milano ci sono sei centimetri di neve. Chissà
il povero Sandrino col suo impermeabile di velo, e
la sua testa nuda... ».
«Oh, sotto il suo basco, lui non ha paura... », ella
aveva esclamato.
Era seguito un silenzio alle sue parole, poi Bruna
le era venuta involontariamente in aiuto.
« A quanto pare, Lucia glielo ha descritto dalla
testa ai piedi».
«Non fa che parlarmi di lui», aveva ammesso
Virginia.
E l'indomani, il giovedí, a tavola, per la cena che
adesso consumavano riuniti, Lucia disse:
«Oggi parlavo di Sandrino con la mia signora.
Mi ha detto che a Milano cucinano col lardo, e Sandrino non c'è abituato... La signora ha poi letto sul
giornale che per via della neve c'è stato un paio di
giorni di carestia. La città è rimasta senza carne e
senza verdura».
Virginia ebbe un pensiero improvviso, e non si accorse di esprimerlo ad alta voce.
«Speriamo sia riuscito a trovare i suoi cachi»,
disse.
Vide Bruna restare col cucchiaio a mezz'aria; sentí
sopra di sé lo sguardo di Faliero che le sedeva di
fianco. Ma riuscí subito a dominarsi; rivolta verso
Lucia aggiunse:
«Proprio lei mi diceva che suo figlio non può
farne a meno».
Il mercoledí la madre aveva ricevuto una sua cartolina di saluti, all'indirizzo dove lavorava. E il venerdí sera tornò con una lettera.
«Sarà la decima volta che la rileggo, da stamani»,
disse.
Sandrino le raccontava che l'affare per il padrone
era ormai concluso, ma che doveva trattenersi qualche giorno ancora perché aveva scoperto delle possibilità «di trattare in proprio». « Significherebbe
potermi emancipare, capisci mamma?», le scriveva.
«I tessuti salgono di prezzo giorno per giorno. Entrati nel giro si possono guadagnare biglietti da mille
da un'ora all'altra, e nella maniera piú pulita». Dava
notizie della neve e dell'albergo dove alloggiava, « col
riscaldamento»; la supplicava di non preoccuparsi
anche se lui tardava qualche giorno ancora e che
per nessuna ragione passasse dal negozio. «Sei una
colomba e Flammarione ti leggerebbe negli occhi
che cerco di fargli la finestra sul tetto». Invece non
era vero. Trattava in proprio. E del resto, «gli affari sono affari», le scriveva.
Finito il rosario, sola sola con Lucia, Virginia
le chiese di rileggere la lettera, « che l'avrà fatta felice, immagino», le disse, e lo diceva a se stessa.
Poiché adesso ella era davvero felice. Quella lettera
le aveva fatto scoprire una verità ch'ella riteneva inconfutabile: Sandrino si era preso il denaro per acquistare i tessuti e poi rivenderli, «per emanciparsi»; avrebbe guadagnato, ed era il suo denaro che
gliene dava la possibilità. Egli non le aveva detto
nulla per farle una sorpresa; era partito senza salutarla appunto perché temeva di tradirsi se lei avesse
insistito nel chiedergli il motivo del viaggio. E del
denaro, forse pensava che lei non si sarebbe accorta
subito. Appena tornato lo avrebbe nuovamente depositato e chissà per quanto tempo avrebbe continuato a chiederle: «Indovina chi mi ha dato i denari per incominciare». «Forse Biancaneve. Forse
la Bambina dai Capelli Turchini», si prometteva di
rispondergli.
Prima di coricarsi prese il libretto degli assegni
dalla borsetta e lo ripose al solito posto, là dove
Sandrino l'aveva lasciato. Ora tutto le era doppiamente caro: il pezzo di carta gialla col suo
commiato, e le poche parole scritte sul libretto degli
assegni. «Ho prelevato l'intera copertura», già si
esprimeva come un commerciante, in un linguag-
gio che lei stessa non avrebbe capito fino a pochi
mesi addietro. E quel disegno non racchiudeva un
ammonimento e una minaccia, come dapprima le
era passato per la mente e alla cui idea si era giustamente rifiutata. Sandrino era un fascista. Era stato
imprudente e impulsivo a disegnare il simbolo, teschio e tibie, ma chi poteva vederlo se non lei soltanto? Ch'egli fosse fascista non le dava piú sgomento. Doveva piacerle tutto di lui. Trepidare per
Sandrino faceva parte del suo amore.
Fu per Virginia una notte felice, di attesa amorosa
adesso, e di dolce trepidazione.
X
L'indomani Bruna non andò al lavoro. Virginia
la trovò in cucina che stirava. La ragazza era ancora
spettinata, sembrava tutta presa nel gesto di avvicinarsi il ferro alla guancia e di passarlo su di una
combinazione di seta. Quell'atteggiamento la rendeva anche piú giovane dei suoi ventidue anni, quasi
adolescente. Indossava il suo cappotto grigio da cui
sbucavano i pantaloni del pigiama e le pantofole celesti. I suoi capelli erano castani, naturalmente ondulati, lunghi sull'omero, e cosí sciolti la illeggiadrivano.
Aveva una carnagione bianchissima, un volto magro
di cui gli zigomi appena rilevati, e il taglio profondo
delle labbra, accentuavano il pallore. Il suo viso, non
bello ma franco in ogni sua espressione, come lo
sguardo al quale l'impercettibile strabismo conferiva
una dolcezza tutta femminile, come i suoi gesti e la
sua voce, suggerivano un'immediata simpatia. La sua
fisionomia, tutta la sua persona, normale d'altezza
e dalle forme esili ma armoniosamente compiute, era
l'immagine di una giovinezza persuasa di sé. Nel
suo sguardo, indubbiamente sincero, brillava una luce di sano egoismo, dentro le pupille scure.
«Ho già acceso il fuoco», ella disse a Virginia,
«se ne vuole approfittare».
«Piú tardi, magari», disse Virginia.
Si sede sulla sedia ch'era accanto al tavolo su cui
Bruna stirava. «Ha fatto vacanza, oggi?».
«Una mia collega mi sostituisce».
Virginia era serena e felice, aveva desiderio di
espandersi, di parlare.
«Non le ho mai detto che per poco non finivo
stiratrice? La mia madrina aveva un laboratorio di
“ stireria e modista”, come succede nei paesi, dove
il farmacista vende la cromatina... A furia di frequentare l'ambiente fino da piccola, ero diventata
un po' una lavorante... Sono passati venti anni,
ormai ».
«Anch'io, verso i quindici anni sono stata in una
filanda per qualche mese... Me ne è sempre rimasta
la nostalgia. E a volte, ancora oggi, mi chiedo, stupidamente, se per essere coerente fino in fondo alle
mie idee, non avrei dovuto restare tessitrice, invece
di finire in un ufficio».
Aveva ripiegato la combinazione, passava il ferro
su un fazzoletto, con lo sguardo fisso su Virginia.
«Ecco, ora lei è turbata... Le ho ricordato che
qualcosa ci può dividere... Le dirò, allora, che l'ho
fatto apposta. Le dirò di piú: che sono rimasta in
casa, stamani, siccome ho bisogno di parlarle».
Posò il ferro e si appoggiò sul tavolo con le braccia conserte.
«Resti seduta, e mi guardi in viso. Tra noi due,
quella piú in imbarazzo sono io, come non si accorge ? ».
Virginia teneva le mani in grembo, infilate l'una
nell'altra per le dita, a palme rovesciate: se le storceva per dominare il proprio turbamento. Ma era
calma in apparenza, e poteva sostenere lo sguardo
della ragazza.
«Mio marito era un onest'uomo», esclamò.
Le parole le erano venute tanto spontanee quanto
irriflessive, e pronunciate con fermezza, fissando
Bruna negli occhi.
Fu allora che Bruna, scandendo parola per parola, disse:
«Forse. Ma certamente non si può dire lo stesso
di Sandrino ».
Virginia temette di crollare; trovò invece un'energia disperata che la irrigidí. Bruna si rialzò sulla
persona, trascinò una sedia e le sedette di fronte, ginocchia contro ginocchia; le prese le mani nelle sue,
sciogliendole dalla stretta.
«Mi ascolti», le disse.
Virginia sentiva che le mani di Bruna erano piú
fredde delle sue, e che la voce medesima tradiva una
incertezza.
«Che è accaduto a Sandrino?», esclamò.
«Lo chiedo a lei», disse Bruna.
«Io non so nulla. È partito lasciandomi due righe
di saluto ».
Aveva rivelato a Bruna il suo segreto, ma senza
rendersene conto. L'ansia per la sorte di Sandrino
aveva sopraffatto in lei ogni proposito di ritensione,
di difesa. Disse:
«Non ho altri al mondo che lui... È innocente...
Prendetevela con me».
«Non credevo fino a questo punto», disse Bruna,
e le carezzava le mani. «Avrei dovuto intervenire
prima», aggiunse. « Quindici giorni fa forse bastava,
quella mattina che mi sembrò di vedere Sandrino
entrare nella sua camera. Ma non volli fidarmi dei
miei occhi. Mi sembrava ancora impossibile».
« Impossibile cosa? ».
«Che lei fosse diventata la sua amante. E adesso
chissà in che pasticcio la sta trascinando ».
«Sandrino è a Milano per trattare affari. Lo ha
scritto anche a sua madre».
«Oh», esclamò Bruna. «Quello che dice e scrive
Sandrino, soltanto Lucia gli può credere. Ed anche
lei purtroppo ».
«Gli ho dato io i denari per acquistare le stoffe».
«Ma perché si ostina a mentire? Non capisce che
io desidero aiutarla? Lei non sapeva nulla della partenza di Sandrino, nemmeno dove si trova, lo ha
ammesso pochi minuti fa».
«L'ho ammesso per scoprire le sue intenzioni».
«E va bene», disse Bruna.
Cavò una lettera dalla tasca del soprabito, la spiegò e l'offerse a Virginia. V'erano tracciate poche righe, di pugno di Sandrino, dirette a Bruna, e testualmente dicevano: «La vedova di casa la conosco prima di te e degli altri. Ora ti ordino di
vigilarla perché potrebbe mettermi nei guai. Non
lo farà, ma è un'isterica pazza e non si può mai
sapere. Se ci dovessero essere delle conseguenze, le
mie sarebbero anche le tue, colomba bruna».
Al posto della firma v'erano il teschio e le tibie.
Virginia era stravolta; sillabò appena poche parole,
disse:
«È anche amante suo».
«No, ma è peggio», disse Bruna. «Mi ricatta
come se lo fosse». Poi aggiunse: «Ma ora basta. Ce
ne libereremo insieme».
Le raccontò di sé e di Sandrino.
Virginia l'ascoltava in silenzio, guardando oltre i
vetri del terrazzo su cui batteva il sole, e di tanto
in tanto sfiorando con lo sguardo il volto della ragazza, che era tornato calmo e deciso, come la sua
voce.
Bruna disse:
«È di me che le devo parlare, perché lei possa
credermi, prima che di Sandrino. Vengo da una famiglia di operai. Mio padre era segretario della Camera del Lavoro, nel '24, quando nacqui io. Avevo
due anni quando l'arrestarono e poi lo chiusero in
prigione. Mia madre rimase sola con noi due ragazzi,
io ero la minore, ma riuscí a tirarci su lo stesso.
Presto mio fratello fu in grado di aiutarla imparando
un mestiere. Mio padre uscí di carcere e lo mandarono al confino, finché dopo otto anni lo rimisero
in libertà. Ma lo vigilavano continuamente e l'avrebbero arrestato di nuovo se non fosse espatriato. È
morto in Francia, nel '36, di polmonite. In quello
stesso anno arrestarono mio fratello. Ora lei capisce
in che atmosfera sono cresciuta, diversa dalla sua.
Lei, Virginia, è sempre stata persuasa che il suo compito nella vita si esaurisse tra il letto ed i fornelli.
Mica è colpa sua, lei ha fatto il suo dovere come l'ho
fatto io. Forse quando sentiva parlare di antifascisti
se li figurava dei kingkong, e i comunisti se li sarà
immaginati magari il diavolo in persona. Per me
era diverso, i comunisti per me erano uomini piú
uomini degli altri: erano mio padre e mio fratello.
Ecco perché se pensavo all'avvenire c'erano letto e
fornelli anche per me, con la differenza che per me
erano condizionati alla fine del fascismo.
«Fu a sedici anni che ricevetti i primi incarichi.
Era già scoppiata la guerra e i giornali clandestini
mi bruciavano il seno dove li nascondevo. Sono state
le uniche lettere d'amore che ho ricevuto. Faliero
non ha mai avuto occasione di scrivermene. In quel
tempo Faliero era uno col quale fingevo di essere
fidanzata, per andarci insieme e passargli la stampa.
L'amore venne da sé. Quando scoprimmo d'amarci
ci sembrò di esserci amati da sempre.
«Ai primi del '43 io rimasi incinta e ci dovemmo
sposare. Ma non potevamo pensare a mettere su una
casa, senza risparmi e con la prospettiva di dovere
scappare da un momento all'altro, siccome sapevamo
che la Polizia ci pedinava. Perciò venimmo ad abitare qui, in una camera a subaffitto. Io ero di quat-
tro mesi. Poi, disgraziatamente, abortii in seguito ad
una caduta».
«Sandrino già lo conosceva?», disse Virginia.
«Sí, ma non pensi delle cose che mi potrebbero
offendere. Non c'è stato nulla di fatale tra me e
Sandrino. Ossia, sono stata io a rendere fatale quel
nulla che c'è stato».
«Sandrino abitava già con la madre? ».
«Certo, ed era veramente un ragazzo, tre anni fa,
soltanto incredibilmente cresciuto, sempre assetato di
sigarette e con la mania dei libri gialli. Ricordo che
di tanto in tanto me ne facevo prestare qualcuno.
Era inquieto, ma allegro. Faliero lo portava con sé
allo stadio, lo chiamava "vaporino" siccome gli
chiedeva continuamente da fumare. Era infatuato,
parlava con le stesse parole che leggeva sui giornali;
se Faliero si azzardava a contraddirlo, diventava una
furia. Per noi Sandrino era un esempio della rovina
a cui il fascismo aveva condotto la gioventú, un ragazzo da salvare. Soprattutto per questo gli volevamo
bene. Ci dicevamo, scherzando, che dovevamo fare
di Sandrino il nostro convertito privato».
«Non ci siete riusciti», esclamò Virginia; e sentí
di amare Sandrino immensamente, in quel momento.
Egli era stato piú forte di loro, era piú forte di loro.
Li dominava. Ora ella credeva di capire che il racconto di Bruna non fosse altro che la storia della
mancata conversione di Sandrino. Si pentiva di essersi lasciata prendere dall'ansietà di poco prima,
meditava come ritrattare di fronte alla ragazza le
ammissioni che le erano sfuggite. Ma subito ricordò
la lettera che Bruna le aveva fatto leggere e che
aveva riposto nella tasca del soprabito; lo sgomento
di nuovo la invase.
Bruna continuò:
«Non ci siamo riusciti, e nemmeno lei deve rallegrarsene. Ce ne cominciammo a persuadere dalla
reazione che Sandrino ebbe dopo la caduta del fascismo. Arrivò a dire delle parole grosse, fino a
questo: che se avesse saputo prima chi eravamo, ci
avrebbe denunziato. Era arrogante, inferocito, e una
sera Faliero lo schiaffeggiò, qui in cucina. Si picchiarono, ruzzolarono per terra. Ma quando io sentii
che stava arrivando Lucia, e lo dissi, Sandrino abbandonò subito la lotta. Credo che l'affetto per la madre sia il suo unico sentimento buono: un affetto
tutto a modo suo, in ogni caso.
«Poi i fascisti tornarono, coi tedeschi, e una delle
prime visite la fecero qui, ma noi già ce ne eravamo
andati, badavamo bene dal girare da queste parti.
Non per questo si stava rintanati, tutt'altro, come
lei può immaginare. Un giorno, nel gennaio del '44,
l'indomani che gli Alleati erano sbarcati ad Anzio,
Faliero fu preso dalla polizia repubblichina ».
Virginia sussultò e Bruna le strinse piú forte le
mani.
«Furono brutti giorni, ma Faliero fu bravo come
tutti ci si aspettava che fosse. Non parlò. Riuscimmo ad organizzare un'evasione e appena ci riabbracciammo, per prima cosa mi disse che una mattina, tra i neri che avevano condotto al carcere dei
renitenti alla leva, gli era parso di riconoscere Sandrino. Ma non poteva giurarlo, ed io stessa credevo
si sbagliasse poiché Lucia, che avevo incontrato per
strada, mi aveva manifestato la sua contentezza di
sapere il figlio al sicuro, presso un parente contadino.
«Invece Faliero era nel vero, toccò a me sincerarmene. Pochi giorni dopo, al mattino, dovevo trasportare degli esplosivi da un luogo ad un altro, in
una strada del centro. Li avevo dentro una borsa
della spesa, frammezzo ai cespi d'insalata. Avevo imboccato la strada quando dalla porta dove ero diretta, vidi uscire un nero. Era Sandrino, lo riconobbi
soltanto allorché mi fu vicino. È un bel ragazzo,
fisicamente. Ebbene, allora era anche piú bello, spavaldo com'era. Eppure ai miei occhi era bestiale piú
della sua divisa, e ancor piú perché era il ragazzo a
cui Faliero ed io volevamo bene.
«Mi fermò e mi disse: "Se è al ventuno secondo
piano che sei diretta, ti consiglio di tornare indietro". Poi aggiunse che se avessi avuto bisogno di
lui potevo cercarlo a un certo numero di telefono.
Mi richiamò indietro per dirmi che si era arruolato
sotto un falso nome. "Segnatelo", mi disse, "ti potrà servire".
« Faliero fu piú addolorato di me. Entrambi ci
rimproverammo di non avere fatto abbastanza per
tirarlo a noi. Ma eravamo dei combattenti e Sandrino si trovava dall'altra parte della barricata; dovevamo dominare sentimenti anche piú forti di questo per poter fare quello che facevamo; e il fatto che
Sandrino mi avesse aiutato significava che egli ci conservava un'amicizia della quale dovevamo approfittare. Poteva darci delle notizie preziose, qualunque
fossero, per la Resistenza. Pensavano di essere utili
noi a lui, suo malgrado, il giorno della liberazione,
con la nostra testimonianza. Decidemmo che quella
sera stessa avrei telefonato.
«Cosí feci e Sandrino mi dette appuntamento per
il pomeriggio successivo, al giardino... ».
«Dirimpetto al fiume», esclamò Virginia.
Ora il racconto di Bruna l'aveva presa; l'ascoltava,
emozionata e ansiosa, come una leggenda. E Sandrino le appariva pur sempre un essere generoso, audace.
«Quello», Bruna disse. «Non mi stupisce che
abbia condotto lí anche lei. Fin da allora lo chiamava la sua "garçonniere". Ci andava a giocare da
bambino; è rimasto il suo giardino d'infanzia. Tutte
le sue azioni hanno conservato qualcosa d'infantile,
perchè è piú che perverso, è mostruoso. Ecco, lei ora
vorrebbe difenderlo perché lo ama, malgrado quello
che deve averle fatto, malgrado la lettera che le ho
fatto leggere... ».
«Lei pure lo ama. È la sola cosa che finora sono
riuscita a capire», disse Virginia.
Gli occhi le si riempirono di lacrime.
Bruna scosse la testa, mestamente, disse: «Amore come lo intende lei, no. E tanto meno allora.
Andando all'appuntamento lo consideravo ancora un
ragazzo che si era messo sulla piú infame delle strade, un irresponsabile, e mi auguravo ch'egli aderisse
a ciò che gli avrei proposto, piú per il suo bene che
per il nostro.
«Lo trovai che mi aspettava, e subito, appena mi
ebbe salutato, le sue parole mi fecero rabbrividire.
Mi disse: "Sbaglio o sei venuta a propormi di fare
la spia? Se pagate meglio della Repubblica, ci sto".
Capii la sua ironia; compresi immediatamente che,
incosciente qual era, egli credeva nella sua divisa, e
che non avrebbe mai tradito quella che era la sua
fede. Il suo modo di esordire costrinse anche me a
giocare subito la carta che sapevo essere l'unica alla
quale potevo affidare delle speranze. Gli dissi:
"Sono venuta per chiederti notizie di tua madre".
Si oscurò in viso e mi rispose: "Sapevo che avresti
cercato di ricattarmi tirando in ballo mia madre.
Mia madre non sa nulla, d'accordo, ma tu pensi che
se io facessi la spia sarei un figlio di cui lei si sentirebbe onorata?". "Perché allora non le hai detto
che ti sei arruolato?", gli chiesi. "Perché fingi di
scriverle delle lettere dalla campagna?", insistei. E
lui: "Mi considera ancora un bambino e starebbe
doppiamente in pena per la mia vita. Io non sopporto di vederla soffrire. Non sarei piú capace di
far nulla, e verrei meno al mio dovere. Poiché questo è il mio dovere", e si batté la mano sulla fondina. Il mio dovere è sterminare la gente come te
e tuo marito".
«Ora era soltanto un nemico. Lo guardai negli
occhi e gli dissi: "Saremo noi a sterminarvi. Vi
stiamo già sterminando, non te ne accorgi? Avete i
giorni contati. Ero venuta a proporti di fare la
spia, come tu dici. In realtà, la spia, e qualcosa di
peggio, la stai facendo adesso". Gli parlavo cosí e
il mio scopo era di persuaderlo a darci delle notizie
che ci potevano essere preziose. Lo guardavo, parlandogli, ma il disprezzo, la durezza che mettevo nelle
mie parole, non mi partiva dal cuore. Questo l'ho capito dopo, ma anche fino da allora sentivo di provare
un disagio diverso da quello che mi fingevo di provare. La verità era che Sandrino non mi intimoriva
né mi faceva ribrezzo. Il suo viso era troppo innocente per potergli attribuire della cattiveria. Inspiegabilmente le mie parole mi allontanavano da ciò che
era il mio scopo. Gli dissi: "Sei ancora in tempo
per salvarti. Passa coi partigiani". Sorrise, poi mi
disse: "Ho capito, sei venuta per arruolarmi. Alla
rovescia, è una cosa che fanno anche le nostre ausiliarie. Ma le nostre ausiliarie vanno prima a letto col
candidato per completare l'opera di persuasione".
«Queste sue parole mi ballano ancora nella mente, tali e quali lui le disse, e proprio per il candore
con cui le disse. Fu una cosa tremenda, una suggestione, o che fossi stanca, o fosse il sole che mi
batteva negli occhi e mi distraeva mio malgrado,
non so, certo è che guardavo la sua faccia, chiara,
innocente, e quelle sue parole, invece di offendermi
e di disgustarmi, è vergognoso, non mi fecero reagire. Quasi mi compiacquero. Gli risposi: "Perchè?
Se venissi a letto con te, ti faresti partigiano? ". Lui
fu ancora piú volgare, disse: " Dipenderebbe da
quanto tu sei brava." E io fui ancora piú stordita:
In che senso?", gli chiesi. " Nel senso di come sai
stare a letto", lui mi disse.
«Era una schermaglia schifosa, eppure, ora sono
sincera, era cosí schifosa che quasi mi divertiva. Tuttavia ero cosciente. Non mi succede mai nulla di cui
non abbia coscienza. Sono sempre lucida, in special
modo nei miei momenti di debolezza. Per questo
posso ricordare perfettamente perfino le parole. In
quel momento io mi prefiggevo di rendermi conto
quanto il suo volto d'innocente potesse ingannare su
quelli che in realtà erano i suoi pensieri. Era un
mostro e io volevo sincerarmi fino a che punto lo
fosse. Davanti a me avevo una forza di natura rivoltata in tutta la sua abbiezione, ne ero nauseata,
ma anche attratta, indubbiamente. Pensavo di non
avere perduto tutte le possibilità di raggiungere lo
scopo per il quale lo avevo avvicinato e questo bastava per tranquillizzare la mia coscienza.
« Ricordo che era calata la sera quasi senza che ce
ne fossimo accorti. Il giardino era deserto, qua e là
c'erano i lampioni accesi, schermati per via del coprifuoco, ma uno, proprio sopra la panchina dove
c'eravamo seduti, faceva spiovere la sua luce sulle
nostre teste e ci permetteva di vederci in faccia. Sedevamo di fronte, lui a cavalcioni; ci fissavamo parlando come se ci sfidassimo a chi riusciva ad essere
piú impassibile e impudico. Gli risposi: "Quanti
modi tu pensi ci siano di stare a letto?". Intendi
sempre un uomo e una donna insieme?", egli mi
chiese. Io dissi: "Naturalmente, di questo stiamo parlando." "Un'infinità", lui disse. "Portamene un
esempio , insistei. "Ci sono donne", lui rispose,
"che ti svengono tra le braccia, hai l'impressione di
possedere una moribonda. Queste non mi piacciono." "E poi?", io gli chiesi. "Poi ci sono quelle
troppo deste, invece, che ti mordono e sembrano decise ad ingoiarti. Nemmeno queste mi piacciono: è
come se ti volessero succhiare. Ti senti un gingillo,
e io non sopporto nemmeno in quei momenti le
umiliazioni." "Ce ne sarà anche una terza specie,
immagino", io dissi. Lui mi guardò piú intensamente: "Già, esistono quelle pervertite, o che almeno vorrebbero pervertirti. Quelle mi fanno veramente schifo." "Di tutto questo parli per esperienza personale?", gli dissi. "Ti è dovuto passare un
bel campionario di ausiliarie tra le mani." "Sei una
stupida", protestò. "Noi non pratichiamo il libero
amore come voialtri badogliani. Tra noi, se una
donna si dà, si dà per amore. O per dovere", aggiunse. Poi disse: "Non ti ho ancora detto qual
è la donna ideale, secondo me". "Qual è, sentiamo", io gli domandai. "Quella che dapprincipio
ti resiste e che si lascia uccidere a poco a poco. Mi
capisci? Per me avere una donna è come ammazzarla. Sentire una cosa che si difende e che tu puoi
schiacciare, schiacciare, schiacciare fino a toglierle il
respiro.
«Accompagnava le sue parole battendosi il pugno
chiuso sulle cosce. Schiacciare, schiacciare diceva; e
tuttavia il suo volto restava angelico, il suo sguardo
era appena piú luminoso. Ora sí, mi faceva ribrezzo,
e forse per questo mi accresceva l'interesse».
Virginia la fissava in silenzio; animosa e sbigottita insieme. Nella ressa dei sentimenti che la squassavano. la gelosia era piú forte.
Bruna disse: «Lei adesso piú che mai crede che io
le racconti tutto questo per farla soffrire. È per aiutarla a liberarsene invece. A lei sarà piú facile, dovrà
fare i conti con la sua sola coscienza. Io invece dovrò affrontare il passo piú tremendo della mia vita:
dovrò parlarne a Faliero».
«Non sa nulla suo marito? ».
«Sa fino a questo punto. È ciò che accadde dopo
che gli ho taciuto».
«Cosa gli ha taciuto?».
«Ciò che accadde dopo», ripeté Bruna, «dopo
che Sandrino ebbe detto schiacciare e io ebbi a rispondergli: "Me in quale categoria mi metteresti?". "Non fare troppo la strafottente », lui disse.
"Ti potrei saltare addosso." "Oh, figurati", io gli
dissi. "Mi troveresti meno arrendevole delle tue ausiliarie. "
«Ora lo vedevo per quello che era, sentivo di giudicarlo e di poterlo dominare. Lo disprezzavo, quindi non mi faceva paura. Mi resi conto, piuttosto,
che eravamo soli nel giardino e calcolai il gesto. Soltanto che lui avesse tentato di abbracciarmi, come
mi sembrava meditasse, io mi sarei abbandonata tra
le sue braccia, gli avrei furtivamente tolto la rivoltella dalla fondina e gli avrei sparato a bruciapelo.
Era un fascista, ed ucciderlo, oltre che una legittima
difesa, sarebbe stata una buona azione... Invece,
quando un istante dopo lui mi abbracciò, e mi stringeva, e premeva le sue labbra sulle mie, non so...
Ossia, so bene, rimasi immobile, non pensai piú di
ucciderlo, non pensai piú nulla. Il suo modo di baciarmi mi stordiva. Questo veramente non so; so
soltanto che per un lungo momento, mi piacque.
Lui mi sollevò senza staccare la sua bocca dalla mia,
mi depose sui margini dell'aiuola lí vicino. La ru-
dezza del suo panno militare lui infastidiva, ma l'intensità del suo bacio, il calore e nello stesso tempo
la freschezza delle sue labbra mi stordivano.
«Finché dentro di me la reazione scoppiò improvvisa, subito dopo, allorché egli mi lasciò la bocca
ed io potei respirare ampiamente. Stava per prendermi. Sentii il contatto del suo sesso sulle mie cosce,
e il raccapriccio fu immediato, come una scarica
elettrica che mi percosse da cima a fondo la persona.
Cominciò una lotta sorda, violenta, tra lui che mi
teneva con le braccia in croce, inchiodata ai polsi
dalle sue mani contro la terra e io che mi divincolavo. Non mi venne di gridare, non pensai che
qualcuno potesse accorrere in mio aiuto. Poi lui mi
crocifisse anche la testa: riuscí a far combaciare la
sua fronte con la mia e a conficcarmi con la nuca
nel terreno. La sua fronte mi frantumava il cranio.
Era ormai persuaso della vittoria, e allentò impercettibilmente la sua morsa. Fu sufficiente perché potessi liberarmi con un braccio. Lo afferrai ai capelli,
staccai la sua fronte dalla mia, gli agguantai un orecchio tra i denti e glielo morsi con la forza della
disperazione. Egli lanciò un urlo e ricadde su un
fianco.
«Io ero già in piedi. Alzandomi avevo incespicato
nel cinturone che lui doveva essersi tolto mentre mi
baciava. Lo raccolsi precipitosamente, estrassi la rivoltella dalla fondina... No, non gli sparai, non so,
mi fece pietà e schifo tutto in una volta. Piagnucolava toccandosi l'orecchio, infagottato nella sua uniforme. Magari gli avessi sparato».
Virginia trasalí. Bruna ebbe un gesto di rammarico, scosse la testa, disse:
«Oh, certo per lei non può essere una colpa che
Sandrino abbia appartenuto ai marò e nemmeno che
sia stato brutale con me, quella sera, dal momento
che io mi ero dapprima quasi offerta. Lui stesso si
fece subito questa opinione, e me lo disse fino dal
momento che abbassai la rivoltella. Mi disse: "Ti
ho lasciata andare perché non mi piaci. Sei una di
quelle donne che assaltano fino in fondo." Io fremevo, di sdegno, e gli dissi: "Già, sono della seconda specie. " " Proprio cosí ", egli mi rispose. Era
tornato calmo e volgare, disse: " Non sei il mio tipo
e non posso diventare partigiano." Pochi giorni dopo si ferí armeggiando la rivoltella ».
«Si ferí? ».
« Stava verificando il caricatore, la culatta gli resistette, lui forzò e gli fuggi un colpo che gli trapassò la coscia. Fu la sua fortuna. Dovette restare in
ospedale fino alla liberazione. A noi ha detto che
l'aveva fatto apposta, per imboscarsi, siccome si era
ravveduto. Cosí ci ha fatto credere. Tuttavia, che negli ultimi tempi era rimasto in ospedale è certo, lo
sapevamo già da allora.
«Era a casa la prima sera che noi ci tornammo.
Sua madre era assente e lui ci venne incontro stendendoci la mano. Disse: "Un autolesionista vi saluta." Faliero gli disse: "Potevi darti alla macchia, riscattarti combattendo." "Saperla, la strada", lui
disse. "Vi ho cercato per mare e per terra. Perché,
Bruna non mi telefonò piú?". Allora Faliero gli
strinse la mano. Soltanto io potevo capire quanto
fosse profonda l'ipocrisia in quelle sue parole che
sembravano essergli uscite dal cuore. Faliero gli aveva detto: "Sei ancora un ragazzo, hai tutta la vita
davanti a te", e lui rispose: " D'ora in avanti intendo impiegarla bene. Vuoi la prima prova?", aggiunse. "Ti regalo la mia rivoltella di marò." Ecco,
Virginia, è soprattutto da questo punto che la mia
esperienza le deve servire».
Bruna tacque un istante. Ciò che finora aveva detto era un'avventura scontata per il suo spirito, una
preistoria dell'angoscia in cui adesso viveva. Per questo aveva potuto essere obiettiva, serena. Adesso era
la sua piaga che doveva scoprire, e sapeva che nessun
conforto poteva venirle da Virginia che sentiva tuttora sospettosa ed avversa, unicamente tesa ad indovinare nel suo racconto dei propositi che potessero
nuocere a Sandrino. Del resto, né da Virginia né da
nessuna altra persona, anche fraterna, Bruna sollecitava un conforto. Era, com'essa stessa aveva detto,
con Faliero che doveva «fare i conti», e questa sua
confessione era sí rivolta a Virginia, perché la sua
interlocutrice se ne giovasse, ma soprattutto, e non
se lo nascondeva, era a se stessa che Bruna parlava;
un modo di saggiare ad alta voce la consistenza dei
propri sentimenti, prima di affrontare Faliero.
Il sole non batteva piú sui vetri della terrazza,
sepolto dalle nubi del cielo tornato al suo grigiore.
Si udiva il pigolare delle galline, voci sperdute provenivano dal cortile. La cucina era vasta e fredda.
Bruna si era raccolta con le mani nelle tasche del
soprabito, e dinanzi a lei stava Virginia avvolta nella
vestaglia, membra e cuore gelati dal rigore dell'aria, dall'apprensione.
Bruna riprese: «Per dei mesi ho subito il ricatto
di Sandrino, da quando egli intuí che io avevo taciuto con Faliero del mio momento di debolezza nel
giardino. Questa è la mia dannazione. Faliero mi
ama, non ci sono schermi tra lui e me, mi ritiene
la sua migliore compagna. Oltre alla nostra vita intima, sentimentale e dolcissima, ci legano le nostre
idee. È una cosa che forse lei non può capire fino in
fondo. Una fissazione, magari, ma che ci serve per
essere quelli che siamo. Consideriamo l'insincerità il
peggiore dei tradimenti. Chi mentisce, anche per
delle sciocchezze, è un appestato. Faliero non è soltanto un uomo delle mie stesse idee, è anche mio
marito, e da un anno e mezzo io gli sto mentendo,
come la piú borghese delle mogli. Cioè lo tradisco
da un anno e mezzo, un minuto dopo l'altro.
«A volte ho creduto di stare esagerandomi la mia
colpa. Tuttavia so che quando mi confiderò a Faliero, cambierà qualcosa tra me e lui. Anche se lui,
com'è naturale, non giudicherà una colpa quel mio
momento di debolezza, verrà a sapere che per un
anno e mezzo io gli ho taciuto un fatto che via via
che i giorni passavano sentivo sempre piú come una
colpa. Faliero saprà che le infinite volte che abbiamo
discusso a proposito di Sandrino, le mie parole erano
insincere, che tutte le volte che gli rispondevo lo
tradivo. Avrà la certezza che sono capace di mentirgli a lungo, premeditatamente. Non so con precisione quale potrà essere la sua reazione, ma posso
immaginare le conseguenze mettendomi io nelle sue
condizioni. Se fossi io al posto suo, e lui al mio,
potrei arrivare a capirlo e perdonarlo, ma dubiterei
di potergli volere lo stesso bene. Si può sbagliare e
poi ricredersi, ma tradire no. E dover dare o ricevere il perdono è una cosa ripugnante, che incenerisce... Ma lei non pianga, adesso. Né io né Faliero
faremo del male a Sandrino. Su, mi restituisca le
mani, le mie sono gelate. Ecco, avvolgiamoci le gambe nella coperta da stirare. Anche lei dovrà essere
intirizzita».
Bruna le prese la coperta dal tavolo; e Virginia
lasciò fare, le disse:
«Cosa può rimproverare a Sandrino? Ora mi racconterà delle invenzioni».
«Le dirò invece il minimo possibile. Appena due
o tre episodi dei tanti a cui Sandrino mi ha costretta», disse Bruna, e riprese:
«Un mese dopo, all'incirca, rimasi in casa una
mattina, siccome durante la notte avevo avuto un po'
di febbre. Credevo di essere sola allorché udii bussare alla porta, subito entrò Sandrino. "Non sei andato a lavorare?", gli chiesi. Si era occupato al negozio da qualche giorno. " Faliero, uscendo, mi ha
detto che restavi in casa. Allora ho preferito tenerti
compagnia." Si era seduto sulla sponda del letto,
era al solito calmo e scherzoso, ma c'era troppa serenità nella sua voce, molto simile a quella compostezza di cui mi ricordavo. Era la prima volta da
allora che ci trovavamo da solo a sola, e dal suo atteggiamento io credetti di intuire ch'egli non era affatto cambiato, ma che anzi la lezione subita, il
crollo di tutte le sue speranze, invece di ricondurlo
alla ragione e all'umiltà che ostentava alla presenza
di Faliero, avevano esasperato i suoi istinti peggiori.
Disse: "Ora spiritualmente sono un partigiano."
"T'illudi", io replicai. "Hai ancora molto fieno da
masticare! ". Egli tacque e mi sembrò di vederlo soprappensiero. " Cosa pensi ? ", gli chiesi. Mi rispose:
" Faliero è stato troppo generoso con me. Troppo. "
"Perché troppo?", gli dissi. "Le tue colpe non sono
state gravi. Non hai ammazzato nessuno, poi ti sei
autolesionato, come tu dici, per non partecipare ai
rastrellamenti. Noi mica perseguitiamo la gente per
il gusto di perseguitarla, specie i giovani come te."
"Ora mi fai una lezione di democrazia", lui disse,
e mi fissava negli occhi. Io sostenevo il suo sguardo, ma ero amareggiata e delusa di come egli si
esprimeva. Diventai furibonda subito dopo, allorché
lui disse: "Non intendevo riferirmi alla generosità
di tuo marito rispetto al mio, diciamo cosí, traviamento politico. Questo lo posso anche capire. Mi
stupisce invece il fatto che Faliero abbia potuto tanto
presto perdonarmi di avergli fottuto la moglie". Per
un istante la mia sorpresa fu piú forte dell'indignazione, ed egli ebbe il tempo di ripetere il suo commento: "Ma forse non tengo presente che voi praticate il libero amore."
«Allora esplosi. Scesi dal letto, in pigiama e forse
in disordine com'ero. Avevo il sangue alla testa, mi
pareva di dovergli dire mille improperi e di spiaccicarlo contro il muro. Avevo una sola viltà da rimproverarmi nella mia vita, e Sandrino mi ricordava
che la dividevo con lui. Era un complice, e pure avvertendo la sciagurataggine in cui precipitavo, invece
di cacciarlo di camera, di attendere Faliero e rivelargli tutto, finalmente, non trovai di meglio che insultarlo, protestando unicamente contro l'inesattezza
delle sue parole. Gli gridai che non era vero che
fossi stata sua. Egli indietreggiò di qualche passo.
"Non gridare perché evidentemente non è nel tuo
interesse", disse, con quel tono di voce, quelle parole piú grandi di lui, quel suo linguaggio che non
ha nulla della sua età e che egli sembra avere imparato vivendo tre giorni in uno, da quando è nato.
"Calmati e discutiamo", proseguí. Ed io accettai di
discutere, inspiegabilmente lí per lí. In seguito capii
che avevo accettato di discutere perché Sandrino mi
aveva fatto paura. Ma nemmeno paura. Era orrore.
Tuttavia gli dissi: "Non c'è nulla da discutere."
"Come no?", lui disse "Se sei stata zitta significa
che è una cosa che Faliero inghiottirebbe male."
«Io ero stupidamente ostinata a negargli di avermi posseduta, come lui sapeva bene, e non mi accorgevo di dargli in mano le armi che si aspettava di
ricevere, cioè la prova che io avevo taciuto a Faliero
anche quello che realmente era accaduto. " È naturale che tu non voglia ammetterlo", lui disse. "Ma
io sono il solo a cui non lo puoi negare." Fingeva
di stupirsi della mia collera, sembrava volermi istillare un dubbio angoscioso. "Faliero sa tutto", dissi.
"Gli ho raccontato tutto fino da quella sera, come
stasera gli dirò di questa conversazione. Si pentirà
di essere stato generoso con te, ti toglierà la sua protezione. Informeremo tua madre. Ti faremo rinchiudere in riformatorio." Egli fu gelido e spietato, disse: "Qui stiamo scambiando le parti. Parliamoci
chiaro: sono io che ricatto te." Soltanto allora misurai la profondità della sua abbiezione, provai vergogna per lui, sinceramente. Era cosí totale il mio
disprezzo che non lo temevo nemmeno piú. Gli
potevo anche parlare, tanto lo sentivo lontano; e non
mi accorgevo di accettare la sua schermaglia, di aderire alle sue condizioni, di infangarmi io pure.
«Egli disse: "Tutt'al piú, un ricatto annulla
l'altro. Ma chi credi che subirebbe peggiori conseguenze dalle reciproche rivelazioni, tu od io? Parlo
dal lato sentimentale, naturalmente. Io andrei a finire in riformatorio, questo è certo, e mia madre mi
vorrebbe piú bene di prima. Ma Faliero, te, ti ame-
rebbe piú di prima?". "Non consideri", io gli dissi,
ed ero già sul suo stesso piano anche se credevo di
parlargli da un piedistallo, "non consideri che per
Faliero le tue non sarebbero rivelazioni." "Cosa
gli hai detto", lui incalzò, crudele, volgare qual era.
"Che eravamo arrivati in anticamera? Davvero ti ha
creduto? Non gli hai detto con che passione mi baciavi quando ti sollevai dalla panchina? Non gli hai
detto che se non arrivai a prenderti, vedi ora te lo
concedo" aggiunse cinicamente "tanto so di averti
nelle mie mani, se non arrivai a prenderti fu perché
avesti chissà quale pentimento improvviso, forse ti
disgustò il mio odore di caserma, ma se fossi stato
piú svelto era già tutto fatto. Come tu desideravi, del
resto. Sei abbastanza intelligente per sapere che spiritualmente, è un bel modo di dire", sottolineò e poi
concluse: "già, spiritualmente è come se ti fossi lasciata andare con tutti i sacramenti! Questo, a tuo
marito, glielo hai detto?".
«Le sue ultime parole mi sgomentarono. Egli aveva espresso, in modo spietato e chiaro, ciò che agli
stessi miei occhi appariva la mia colpa. Moralmente,
io dicevo e dico tuttora a me stessa, notte e giorno,
moralmente è come se Sandrino mi avesse avuto. Soltanto una reazione fisica mi aveva staccato da lui all'ultimo momento, non la mia propria volontà. Perciò la sera in cui l'episodio era accaduto avevo istintivamente taciuto con Faliero. Dovevo e volevo essere
sincera con mio marito, ma per esserlo completamente avrei avuto bisogno di spiegarmi, di diffondermi come faccio adesso. Avevamo invece poco
tempo a nostra disposizione, non dormivamo nella
stessa casa in quei giorni, per esigenze della cospirazione. E fu proprio riflettendo su ciò che di piú importante stavamo compiendo, alle azioni di rischio
a cui Faliero si assoggettava nella sua opera di gappista, che io non volli recargli un possibile turbamento. Venuta la liberazione, un'identica mollezza
mi pervase: di non gettare un'ombra nella felicità e
nell'entusiasmo che adesso lo animavano. Lasciai passare i giorni, anche mi illusi di poter tacere per sempre. Ma da questa considerazione ad avvertire l'abisso che mi ero scavata sotto i piedi, il passo fu breve.
Cosicché quella mattina in cui Sandrino mi espose
brutalmente il suo ricatto, io ero già nella condizione in cui mi trovo adesso. I mesi che sono trascorsi
da allora non hanno aggiunto altro che delle prove
di viltà alla viltà di cui mi sapevo ricoperta. Tuttavia,
quella mattina, sentirlo esprimere in un modo lucidissimo, e nello stesso tempo quasi ovvio, il pensiero
che piú mi tormentava, voglio dire la conseguenza
morale della mia colpa, mi fece rabbrividire. Sandrino possedeva dunque una capacità di indurre cosí
acuta e perversa da interpretare immediatamente il
mio pensiero, da fare centro di colpo nel mio assillo. Allora lo temetti, francamente, lo temetti come
si può temere una belva sciolta e affamata. Non dubitai un istante che il suo ricatto consistesse nel chiedermi di giacere d'ora innanzi con lui quando gli
fosse piaciuto, e fino da quel momento, per cominciare. Decisi di fingermi condiscendente ma di distrarlo (avrei preso a pretesto la mia indisposizione
per eludere la sua voglia) e di confessarmi con Faliero quella stessa sera.
«Ma non fu cosí, Sandrino era piú abbietto di
quanto lo giudicavo. Me lo confermò esplicitamente
allorché io gli domandai quale compenso esigesse
per mantenere il segreto. "Non ti chiedo di riprendere l'operazione al punto in cui la lasciammo" , mi
disse. "Almeno non per ora. In questo momento ti
faccio troppo schifo, e pur di rifiutarmi saresti capace di affrontare tuo marito." Egli parlava col mio
stesso cervello, e sempre piú mi intimoriva. "Cosa
vuoi allora?", gli chiesi. "Nulla", egli disse. "Mi
piace tenerti in soggezione." "E se stasera io parlo a
Faliero?". "Ricominciamo il discorso dapprincipio?", lui ripeté. "Te l'ho già detto: fallo, se ti conviene. Ma perderai la sua amicizia." Aveva detto
amicizia, una parola esatta. Avrei perduto l'amicizia
di Faliero.
«Fui debole una volta di piú. Non parlai con mio
marito, quella sera, né mai finora. Nei mesi successivi Sandrino mise in atto la sua perfidia. Mi faceva
dei dispetti da ragazzo, il che mi dimostrava che la
sua immaginazione è rimasta quella di un ragazzo,
anche se la sua intelligenza si è perversamente sviluppata, come il suo corpo. Egli ha acquistato una conoscenza sciagurata dell'animo umano, ma la sua
fantasia è rimasta infantile, perciò è mostruoso. Tuttavia, imparare a capire Sandrino cosa mi serviva?
Può servire oggi a lei, Virginia, ed unicamente a
questo scopo le dico quel poco che può ancora interessarla.
«Si dovette procurare, non so come, una chiave
della mia camera. Entrava quando Faliero ed io
eravamo assenti e spezzava un vaso, azzoppava un
mobile, incendiava una sedia, e poi mi telefonava
perché io accorressi a riparare. Mi costringeva ad
accumulare tante piccole menzogne sulla menzogna
piú grande, nei confronti di Faliero: che il vaso mi
era caduto di mano, che il letto aveva ceduto mentre
lo rifacevo, che avevo rovesciato la spiritiera accesa
sulla sedia e cosí la sedia aveva preso fuoco. Di tanto
in tanto mi chiedeva dei denari, ed anche a questo
io ero trascesa, a dargli i pochi spiccioli di cui potevo disporre all'insaputa di Faliero. Ma ero giunta
all'esasperazione, sempre illudendo me stessa, giorno
per giorno, che avrei finalmente parlato con Faliero.
Senonché, un pomeriggio, l'ottobre scorso, Sandrino
mi telefonò per dirmi che aveva da comunicarmi una
cosa importante. "No", aggiunse. "Non ti ho rovinato né nascosto nulla, questa volta. Ho deciso
di cambiar vita. D'ora innanzi non ti darò piú fastidio. Son incamminato sulla strada buona." Pensai a un suo modo di irridermi, invece mantenne la
promessa che mi aveva fatto spontaneamente. Tuttavia io ero certa che stesse compiendo qualcosa di
grave, di delittuoso. Soltanto sua madre poteva credere che fosse stato il padrone del negozio a regalargli il vestito e il cappotto, e che il cronometro d'oro
l'avesse vinto ad una fiera di beneficenza.
« Finché la lettera ricevuta ieri, questa lettera, mi
ha confermato che la sua vittima, adesso, è lei, Virginia, e mi ha convinto che Sandrino non abbandonerà mai l'idea di ricattarmi. Perciò ho deciso di
confessare tutto a Faliero, stasera stessa».
Ci fu un lungo silenzio. Virginia era intimorita e
tuttavia sprezzante. Bruna capí che la sua confessione era stata inutile. La pietà che Virginia le aveva suscitato, e l'aiuto concreto che sapeva di poterle dare,
l'avevano indotta ad una confidenza piena, spontanea; ora, col suo mutismo, Virginia dimostrava di
rifiutare perfino la solidarietà che essa le offriva. Se
ne risentí. In un impeto di generosità aveva confidato a Virginia un segreto che considerava decisivo
del proprio avvenire, e Virginia la ricambiava con
un silenzio di secondo in secondo sempre piú odioso.
Il pensiero di esserle apparsa ridicola mentre le metteva a nudo il proprio cuore la irritò maggiormente,
e le parole che poco dopo Virginia si decise a pronunciare finirono di offenderla.
Bruna disse: «Faliero dubita che lei e Sandrino
facciate parte di una organizzazione fascista clandestina. Parlandogli di me, gli dimostrerò che non è
vero. Cosí Faliero potrà aiutarla».
«Aiutarmi come?».
«Ma dopo che lei avrà rotto con Sandrino. Perché
Sandrino non possa ricattarla come finora ha ricattato me».
«Non sarà necessario».
«Eppure io dirò tutto a Faliero. Gli dirò anche
qual è stato il motivo che mi ha finalmente deciso a
parlargli ».
«Gli dica che ama ancora Sandrino, se vuole essere sincera », ripeté Virginia, e fece per alzarsi.
Ma Bruna la costrinse di nuovo sulla sedia. Si era
alzata lei, adesso, e stava in piedi, di fronte a Virginia. Le poggiava le mani sugli omeri, le disse: « Possibile che sia tanto stordita? ».
In quel momento qualcuno aperse la porta sulle
scale, subito dopo apparve Faliero nel corridoio. Bruna gli andò incontro.
«Ho una febbre da cavallo», egli disse. «È una
fortuna trovarti in casa. Non ho potuto nemmeno
finire il turno, non mi reggevo in piedi».
Entrando in letto, disse: «Da diversi giorni sentivo qualcosa che non funzionava. Ecco perché avevo
perso l'appetito. Un'indigestione, bella mia».
Virginia era rimasta sola in cucina. Era ancora
seduta e pensava che Bruna amava Sandrino, che la
lettera di Sandrino era falsa, scritta da Bruna per rendere plausibile la storia che le aveva raccontato. Pensava che Bruna era giovane quasi quanto Sandrino.
PARTE SECONDA
XI
Sandrino si trattenne quindici giorni a Milano.
Intanto, a sua insaputa, il cerchio si strinse attorno
a lui, allorché Bruna confidò a Faliero il proprio
segreto. Fu la sera successiva a quella in cui Faliero
era rientrato con la febbre alta e il timore di avere
preso l'indigestione. Era soltanto un eccesso di stanchezza: una lunga dormita, ventiquattro ore di riposo, gli restituirono intere le sue forze e il suo robusto appetito. Fingendo di festeggiare la sua conva-
lescenza, ma in realtà per protrarre la particolare intimità determinata dalla circostanza, Bruna gli serví
in camera la cena. Col tavolo apparecchiato nel mezzo della stanza, riflesso nello specchio dell'armadio,
la lampada sul tavolo, e la radio accesa e bassa, l'uno
di fronte all'altra, erano alla frutta, e lui disse:
«Ci voleva non mi sentissi bene per avere il senso
di quanto ci trascuriamo. Facevo il calcolo, poco
fa, mentre tu cucinavi. Tra che siamo lontani, ciascuno al proprio lavoro, e il tempo che dormiamo,
stiamo insieme sí e no tre o quattro ore nel corso
della giornata».
Ella sorrise e in un modo che volle essere grazioso
e fu soltanto impacciato, gli disse:
«Ma anche le ore che dormiamo, le dormiamo
insieme ».
Egli le carezzò il mento, attraverso il tavolo. Teneva la sigaretta nell'altra mano, il gomito posato
sul tavolo, la guardò a lungo negli occhi, dolcemente.
«Cos'è, Bruna, che non va? », le chiese. «Il lavovoro? ».
Ella sosteneva il suo sguardo: lo fissava come per
ricordarsi, in seguito, di lui e del suo amore, come
erano, prima che lei gli dicesse di averli traditi. Tuttavia le accadeva qualcosa ch'essa non riusciva a
spiegarsi e che la rendeva odiosa a se stessa. Adesso
che era fermamente decisa a parlargli, che l'indisposizione di Faliero le aveva permesso di stargli vicino
come da tempo non avveniva, stabilendo tra di loro
quell'atmosfera di una segretezza tutta amorosa;
adesso che lui medesimo, con le sue parole, sembrava invitarla a confidarsi, ella si sentiva animosa
verso il marito, provava un sentimento che chiamare
odio era troppo, e insofferenza era troppo poco. Di
certo ella capiva questo: che il suo stato d'animo era
esattamente il contrario dello stato d'animo che la
sua volontà avrebbe desiderato, come se Faliero, con
la sua sola presenza, e tanto piú ora con quelle sue
ultime parole, la costringesse ad un'azione ingrata,
repugnante quasi.
«Il lavoro va benissimo», ella disse.
«Eppure da qualche tempo», egli insiste, «sei
come di vetro. Vibri per un nonnulla ».
Ella arrossí appena, alle guance. Disfaceva la mollica di pane e abbassò gli occhi per ammucchiare le
briciole con le dita. Egli aspirò la sigaretta.
«Guardami», le disse, e trattenendo il fumo, la
bocca socchiusa, e nello sguardo un sorriso furbo e
contento:
«Facesti cosí anche l'altra volta. Ti vergognavi di
dovermelo dire. Ma ora è diverso, non c'è piú pericolo che nasca in carcere assieme a noi».
Ella subí un'emozione che la sconvolse, e insieme
la incoraggiò. Se poco prima, nell'imminenza di rivelare a Faliero il proprio errore, ella aveva provato
per lui una specie tutta particolare di avversione, ed
altro non era se non un estremo risentimento del
proprio orgoglio, che forse l'avrebbe indotta a tacergli e ad ingannarlo ancora, ora, esprimendosi come si era espresso, Faliero aveva infranto l'ultimo diaframma della sua coscienza che gli resisteva. Confusamente, ma in modo vivo e cocente, ella capí che
dopo che Faliero si era accorto della sua pena, smentire con una nuova menzogna la causa alla quale egli
credeva di doverla attribuire, avrebbe significato corrompere il loro amore in ciò che esso aveva di piú
intimo e prezioso. Tuttavia ella era la ragazza che
era, con una sua forza morale e un rispetto di sé e
dei propri sentimenti. Riuscí a dominare la sua emozione e l'empito che stava per gettarla piangente tra
le braccia del marito; si tenne con le mani strette
l'una nell'altra, appoggiate sul tavolo, gli disse:
«No, non è il bambino. Ma tu hai capito. Ti ho
nascosto una cosa molto grave. E non da un po' di
tempo, come tu credi, ma da un anno e mezzo».
Egli aspirò la sigaretta, e in quel gesto riuscí a nascondere il proprio pensiero.
«E allora? », le chiese.
«Ti ho tradito con Sandrino», ella disse, e ristette un attimo. Egli fece un gesto con la mano,
trattenendo la sigaretta tra le labbra.
«Parla», le disse. «Vedo che mi vuoi spiegare».
«Sí», ella ripeté. «Ti debbo spiegare. È come se
ti avessi tradito, voglio dire. Ti ho tradito dopo, mi
capisci? ».
«No», egli disse. «Esattamente quando? Immagina di raccontarmi una storia che non ti appartiene.
Tutte le storie hanno un inizio, una data, anche la
tua avrà inizio da una data».
«Mi appartiene, invece. E la data è uno dei primi
giorni del febbraio '44, quando ebbi quell'appuntamento con lui al giardino, ti ricordi? ».
Egli accennò di sí con la testa. Il suo viso era ri-
masto sereno, né si alterò per tutto il tempo ch'ella
gli ricapitolò la propria storia: sembrava capire tutto
perfettamente, come se ella si esprimesse, come in
realtà si esprimeva, nella maniera piú logica e piú
chiara. Non l'aiutò mai, né con un'interiezione né
con una domanda che servisse a facilitarle il discorso, ma soltanto annuendo allorché Bruna lo interrogava se gli sembrasse precisa abbastanza nella sua
esposizione, o chiedendogli conferma di una circostanza comune. Ella fu quale si era proposta di essere: obbiettiva, sincera fino alla brutalità, alla spersonificazione. Gli parlava guardandolo sempre. Egli
continuava a fumare, impassibile e allo stesso tempo
con una luce di cordialità nello sguardo, che la incoraggiava e la sosteneva. Nondimeno, via via che parlava, essa avvertiva un senso di abbandono, come
se l'amarezza finalmente esalata le lasciasse un rimpianto: provava il bisogno di immediatamente suffragare con una certezza la verità dolorosa ma arida
della quale si andava disfacendo. Ad un certo momento la sensazione fu tanto intensa e sfibrante che
essa si interruppe per commentarla:
«Questo che ti sto dicendo mi libera da un'ossessione, ma non mi purifica. Al contrario».
«Continua», egli disse. «Le conseguenze le ricercheremo dopo, assieme ».
Soltanto allora ella cominciava a capire, con spavento, di non avere mai dato una ragione concreta,
attiva, alla propria angoscia e di avere ancora tutto
da temere dal proprio errore, poiché la sua pena era
stata sterile, non l'aveva in realtà preparata né a rinunciare all'affetto di Faliero né a difenderlo. L'improvviso pensiero di non avere mai precisato un progetto per il proprio avvenire, e il non essersi mai
posta con convinzione la domanda di quali avrebbero potuto essere le «conseguenze» che Faliero
avrebbe tratto dalla sua confessione, la resero immediatamente cosciente di tutto ciò. Questa Bruna, forte, razionale, caparbia, doveva d'un tratto ammettere
di essere tutta esposta alla decisione di Faliero, e di
doverla comunque accettare: anche il suo perdono,
se Faliero avesse voluto perdonarla. Giunta alla fine
della sua confessione, essa si rese conto di non sapersi ormai piú immaginare sola, senza Faliero, e
che se lui l'abbandonava, il mondo l'abbandonava,
tutte le idee e le cose in cui credeva l'abbandonavano.
«Ora sai», ella concluse.
Faliero premette il mozzicone nel portacenere, e
le sorrise come pochi momenti prima ch'ella avesse
incominciato a parlare. E le disse:
«Hai parlato il tempo di due sigarette».
Quindi le prese una mano nella sua, la destra, e
e con l'altra gliela carezzava; e alzando il mento, fingendosi serio per sottolineare la cordialità che avrebbero avuto le sue parole, aggiunse:
«E se ti dico che tutto questo già lo sapevo? ».
Era ciò che ella non si attendeva. Ritirò la mano
che gli aveva abbandonato:
«Non sbagliare tu, adesso», gli disse.
Egli cavò una sigaretta dal pacchetto, costrinse
Bruna ad accettarla tra le labbra dalle sue mani,
gliela accese, e intanto le diceva:
«Permetti che prenda io la parola? », e sempre
nel suo tono cordiale, affettuosamente ironico: «Mi
spetta, non ti pare? ».
Ella batté il pugno sul margine del tavolo, scattò:
«Non scherzare, ti prego. Non ti ho raccontato
un sogno, bensí una cosa terribile, che mi è costata
mesi e mesi di angoscia, e che ti deve avere offeso.
Non considerarmi una sciocca... Offendimi, ma come credo di meritare».
Egli la interruppe, reciso questa volta.
«Ti ripeto che lo sapevo».
Bruna si persuase ch'egli era sincero, stupita tuttavia, ma adesso interamente disposta a seguirlo, siccome Faliero sembrava prenderla anche spiritualmente per la mano, per ricondurla a se stessa ed a
lui. Ed egli le confermò questo apertamente, perché
essa non ne dubitasse un secondo di piú, seppure
ne aveva dubitato mai.
«È il nostro amore che io voglio proteggere, poiche è la cosa che mi preme piú di ogni altra», le
disse.
Il loro colloquio divenne semplice, schietto, di due
persone che si amavano e si riconoscevano, che avevano le stesse idee e un comune, intenso passato che
era servito a farle riconoscere e innamorare.
Egli riprese:
«Tu stessa me lo dicesti, quella sera. Ricordati:
mi raccontasti, in fretta per il poco tempo che avevamo, che Sandrino ti aveva assalita, che eri stata sul
punto di ammazzarlo... Insieme convenimmo che era
meglio cosí, lo sparo avrebbe richiamato gente, non
avresti avuto vie d'uscita nel giardino. Io ti strinsi il
braccio e tu mi battesti la fronte sulla spalla. Mi sussurrasti nell'orecchio: "Fare il gappista, ti sta addolcendo il cuore." »
«Sí», ella esclamò, e gli sorrise. Aggiunse: «Io
che mi picco di avere una memoria tanto buona ».
«Non si tratta di memoria. Si tratta di spiegare
noi a noi stessi», egli disse. «Ricordati dove eravamo quando mi raccontasti l'episodio».
«Al ChioscoBar. Non vollero servirci, stavano
chiudendo, mancava mezz'ora al coprifuoco. Restavamo fuori la soglia, di fronte alla fermata del tram,
in attesa dell'ultima vettura che andava al deposito
e che io avrei preso. Tu no, in quel tempo ti ritiravi
in una casa lí vicino. Ma accadeva cosí tutte le sere,
o quasi. Non so se anche quella sera fu cosí».
«Fu cosí. E fu il 12 febbraio. Vedi, io ricordo anche la data. Ti dirò dopo perché la ricordo».
«Poi il tram dové giungere, ed io ti salutai », ella
aggiunse, incerta, e lo guardò intensamente dentro
le pupille.
Egli versò del vino nel bicchiere. Teneva il bicchiere a mezz'aria, nella mano, le disse:
« Il tram stava per arrestarsi alla fermata. Prima
di darmi la mano tu mi dicesti ancora poche parole.
Ricordatele ».
«Cosa ti dissi? ».
«Questo testualmente. Mi dicesti: "non pensavo
al pericolo a cui mi sarei esposta, sparandogli. Ma
un momento prima ero sul punto di lasciarmi andare." Subito dopo, nel salutarmi, indugiasti con la
tua mano nella mia. Io ti dissi: "vuoi perdere il
tram?". Non ricordi cosa mi rispondesti prima di attraversare di corsa la strada? Mi rispondesti: "magari, cosí stasera saresti costretto a tenermi con te" ».
Ci fu un silenzio, ed egli si portò il bicchiere alla
bocca. Fu Bruna, adesso, a prendergli la mano.
«E questo ti bastò per capire? ».
«Non subito», egli disse. «Ma ripensandoci, durante la notte. Non riuscivo ad addormentarmi. L'indomani dovevamo compiere un'azione contro il Comando delle SS. Era l'azione piú difficile a cui ci
fossimo cimentati, in grande stile, ci si giocava il
tutto per tutto. Mi era stata riservata una parte delle
piú rischiose. Perciò non riuscivo a prendere sonno.
Avevo addosso l'agitazione che ho sempre avuto alla
vigilia di un'azione. Diciamo pure paura. Stavo in
una camera solo, cercavo di ripetermi una volta an-
cora il piano per l'indomani, e invece il pensiero
tornava sempre a te. Avevo paura, ti ripeto. Sí, anche di morire. Era la prima volta che mi capitava
di riflettervi seriamente. Forse perché questa volta le
possibilità di cavarmela, io personalmente, erano ridotte piú di sempre. L'esito dell'azione era nelle mie
mani. Se io fossi o no riuscito a collocare la bomba
sulla finestra del piano terreno e ad accendere la
miccia. Scoppiata la bomba si sarebbe dato l'assalto
per poi ritirarci all'arrivo dei rinforzi tedeschi. Nel
frattempo, il meglio che mi poteva capitare era di
rimanere tra i due fuochi. L'indomani andò tutto
bene, ma in quel momento poteva andare tutto a
monte, e che i tedeschi mi pigliassero con la bomba
ancora indosso. Il buio mi sgomentava, ma non volevo accendere la luce, volevo costringermi a dormire per avere i nervi a posto l'indomani. Mi trovavo continuamente a ripetermi che reazione tu
avresti avuto se fossi morto, non dico sul momento,
dico dopo la liberazione, per il resto della vita. Era
un sentimento egoista: non ti sapevo immaginare
senza di me, come non sapevo immaginare me senza
di te».
Bruna gli carezzava il dorso della mano, gliela
rovesciò e vi pose sopra la propria guancia, attraverso il tavolo.
«È cosí, micina. In quel momento ti desiderai come non ti avevo mai desiderato, stavo con la faccia
contro il guanciale, come un idiota. Presi a ricordarmi di come ti avevo visto l'ultima volta, poche
ore prima, che poteva davvero essere l'ultima. Avevi
il tuo cappottino chiaro e i capelli tutti arruffati. Mi
pentii di non averti trattenuto la mano che non ti
decidevi a lasciarmi, facendoti perdere il tram. Avrei
violato una regola della cospirazione portandoti nel
mio rifugio, ma ora pensavo che ti volevo bene e
basta. Allora, ricordandomi di quel tuo gesto, mi
ricordai anche delle tue parole, di tutto il tuo racconto, di Sandrino, e del tono con cui me l'avevi
riferito. Confusamente, piena di ritegno, come scegliendo le parole che dovevi dirmi in fretta. Capii
che il tuo turbamento non doveva derivarti soltanto
dal fatto che Sandrino ti avesse assalito, le cose dovevano essere andate in un modo diverso. E la tua
ultima frase mi sembrò fosse una chiave per capire
quello che mi avevi taciuto. "Un momento prima
ero sul punto di lasciarmi andare", mi avevi detto,
e l'avevi detto come soprappensiero, come a te stessa.
Poi, quel tuo modo di stringermi la mano, e le parole di dopo: "cosí saresti costretto a tenermi con
te stasera", che non erano un vezzo di donnina:
tu, tutta ligia alla cospirazione, tutta decisa ai nostri
scopi di allora, non avresti avuto questa inflessione
se qualcosa non ti avesse turbato. Ma non arrivai a
penetrare fino in fondo il tuo segreto: credetti ancora di attribuire tutto ciò alla tua sensibilità: che
il pericolo corso, che Sandrino ti avesse potuto avere,
sia pure a forza, era come un pericolo corso dal nostro amore, e che nel rivedermi tu provassi un bisogno incontenibile che io ti prendessi, per dimostrare
a te e a me che cosí era. Questo pensiero mi fece
spasimare ancora di piú, e mi tolse il sonno. Tuttavia serví anche a farmi dimenticare la paura».
Ella sollevò la testa, trattenendogli ancora la mano
nelle sue.
«Era esatto, Faliero. E tanto piú lo era perché
avevo subito quello stordimento, quando Sandrino
mi sollevò dalla panchina».
Egli le fece aspirare la sigaretta, mantendola tra
le proprie dita. Continuò:
«D'altra parte, tu non dovesti meditare con te
stessa, quella notte. Fino da allora tu dovesti lasciarti prendere dal panico di una colpa che non
avevi commesso. Il tuo tradimento, come tu lo chiami, cominciò sí da allora e consiste nel fatto che non
mi avevi detto tutto del tuo momento di debolezza.
Ma fu una colpa che cominciasti a rimproverarti prima ancora di averla commessa, per cui poi, via via
che la perpetuavi col tuo silenzio, già la stavi scontando, non l'aggravavi come tu credi. Il tuo momento di debolezza me l'avevi già confessato, quella
sera stessa, nella maniera piú semplice, lasciandomelo capire. Lo capii subito dopo, infatti».
«Quando? », ella chiese.
«Ma dalla prima volta che tornammo ad incontrarci, che fummo soli, e ogni giorno, poi, è stato
una conferma ».
«E come?».
«Nel modo ancora piú naturale», egli disse. «Per
il semplice fatto che tu non hai mai piú alluso al
tuo colloquio con lui nel giardino. Tutte le volte
che parlando di Sandrino io cercavo di riportarvi il
discorso, sempre tu evitavi di riferirti all'episodio.
Cosí io capii che c'era qualcosa di cui ti sentivi in
colpa verso di me. No, amore», egli esclamò, siccome Bruna ebbe una luce di tristezza nello sguardo, «non ho mai dubitato che Sandrino ti avesse
avuta, sia pure con la violenza, sia pure tuo malgrado. Ti conosco, ed ero certo che se Sandrino ti avesse
avuta, comunque fosse accaduto, tu non avresti piú
potuto essere mia senza esitazione, senza infingimenti, come sei stata... Allora, le tue parole di quella
sera mi furono abbastanza chiare: "ero sul punto
di lasciarmi andare", tu mi avevi detto. E se anche
logicamente non potevo dedurre i particolari, l'esatto
perché, ciò che sapevo era questo: che non verso di
me tu ti sentivi colpevole, ma verso te stessa».
Ella disse: «Perché, allora, non mi hai interrogata? Perché non mi hai aiutata? Non avrei saputo
mentire ad una tua domanda diretta».
«Ma proprio per questo», e fu lui adesso che riprese a carezzarle le mani. «Perché ti sentivi colpevole verso te stessa, ed unicamente da te stessa potevi
assolverti o condannarti. Era il tuo carattere che si
stava cimentando, che subiva una prova morale, infinitamente piú importante di quelle fisiche e di
quelle ideologiche, ora lo sai, te ne sei accorta. Il
giorno in cui tu me ne avessi finalmente parlato
saresti cresciuta ai tuoi occhi, prima ancora che ai
miei. Oggi è questo giorno».
Poi le disse: « Alzati, vieni qua».
Ella gli sedette sulle ginocchia, e si baciarono.
«Ma potevo perdermi. Potevo cedere fino in fondo
al ricatto di Sandrino, potevo diventare qualcosa di
simile a quella sciagurata di Virginia », ella insisté.
«Appunto perché non lo sei diventata, non lo potevi diventare... Perché avevi me, accanto, e mi amavi. Il nostro amore era estraneo alla tua crisi; e proprio se io fossi intervenuto l'avrei messo in pericolo.
Se io ti avessi invitata a parlarmene, oppure ti avessi
fatto capire di avere intuito qualcosa, saresti subito
caduta in una condizione d'inferiorità. Allora sí che
la tua sarebbe stata una menzogna; ti saresti trovata,
rispetto a me, nella condizione di un traditore scoperto a tradire. Soltanto allora qualcosa sarebbe cambiato tra di noi, a scapito del nostro amore», egli
commentò. « Cosí no. Tutto questo non è servito
che ad aumentare il bene che ci vogliamo».
Ella gli pose la fronte sulla spalla, gli sussurrò:
«Tu sei tanto migliore di me, Faliero».
Ed egli le sollevò la testa, le prese la faccia tra le
mani:
«Perché? Tu ed io non siamo piú la stessa cosa? ».
E con un tono che fu tenero ed ammaestrato insieme: «Non abbiamo e non ci battiamo per le stesse
idee? Non sono state forse le nostre idee a farci
incontrare? Ti ricordi, ci siamo detti il nostro vero
nome dopo che ci siamo baciati la prima volta. E
via via che siamo migliorati nelle nostre idee, ci
siamo voluti sempre piú bene».
Ella gli teneva le braccia attorno al collo, gli sorrideva, gli disse:
«Malgrado tutto ho anch'io un po' di memoria.
E mi ricordo che mi dicesti proprio questo dopo
avermi baciato: che le idee che abbiamo diminuiscono di significato se non c'è l'amore... Eravamo
seduti sul greto e io buttavo i sassi dentro il fiume,
per darmi un contegno. Mi dicesti che le nostre idee
sono giuste fino al capello appunto perché sono piene
d'amore, e io pensai che tu eri un conquistatore, ma
che eri anche un compagno istruito».
« E io ero ancora in tuta da lavoro, temevo abbracciandoti di sporcarti il vestito». Poi aggiunse:
«Di quello che ti dicevo allora, oggi ne sono maggiormente convinto: penso che non si possa volere
interamente il bene dell'umanità, che non si possa
lottare con tutta la scienza e la freddezza necessarie,
se non si ama anche fisicamente qualcuno. Vedi, io
avrei spavento, e dovrei rovesciarmi da cima a fondo,
e ammettere di avere ucciso e rischiato la mia vita
per nulla, se dovessi persuadermi che esistono dei
compagni che non alimentano la loro fede con l'amore, ma che sono arrivati alla fede soltanto per
via dei libri che hanno letto, o delle angherie che
hanno subíto o del sudore che hanno versato».
«Dunque, non è l'unione, ma è l'amore che fa la
forza», ella esclamò, futile, con l'intenzione di esserlo, e lo baciò sulla bocca. Poi gli sussurrò: «Avevi
pensato veramente ad un bambino? ».
«Sí, per un momento », egli disse, e la sollevò
sulle braccia.
Poco dopo, in letto, ella con la guancia sul suo
petto adesso, egli che fumava l'ultima sigaretta, dopo
l'amore, e v'era il silenzio della notte attorno a loro,
il vento d'inverno che faceva vibrare le persiane, egli
disse:
«Ormai è assurdo sperare ancora in Sandrino, abbiamo fatto il possibile per indirizzarlo sulla strada
buona. Abbiamo il dovere di informare finalmente
sua madre, e di deciderla a rinchiuderlo in riformatorio. Ma dobbiamo aspettare che Sandrino sia tornato, è in sua presenza che dobbiamo parlare a Lucia: se lo facessimo adesso, le faremmo vivere dei
giorni d'angoscia inutilmente».
«E Virginia? », disse Bruna. « È invasata di lui.
Sembra sia arrivata a dargli in mano i suoi denari
per acquistare i tessuti».
«Le parlerò domattina. Cercherò di convincere lei
pure. Che altro possiamo fare? Mica la denunzieremo per corruzione di minorenne. È lei la minorenne, in questo caso. L'importante è di riuscire a togliere Sandrino dalla circolazione. È pericoloso a se
stesso e agli altri».
«Forse è soltanto un delinquente. Tu non lo conosci com'è, quando è lui, cioè quando è sincero».
E Faliero commentò: «La società l'ha reso qual è.
Lui era soltanto un ragazzo irrequieto, pieno di
istinti, pieno di vita. Gli hanno fatto credere che il
male fosse il bene, e viceversa, e lui non ha avuto
la possibilità di riflettere, smanioso di muoversi come
era. Gli sono bastati i primi passi per persuadersi di
sapere ormai correre e camminare. Ora corre, cammina e se qualcuno interviene egli pensa intervenga
per tagliargli la strada ed ingannarlo. Ha bisogno di
cadere, di ruzzolare per cominciare ad aprire gli
occhi».
«Non gli ha servito veder crollare come sono
crollati gli idoli in cui credeva».
«Infatti, non gli ha servito. Ha bisogno di qualcosa di piú forte, che lo investa personalmente, che
lo metta a capo sotto senza remissione».
«E questo può essere il riformatorio? ».
«Purtroppo, no», egli disse. «Ma ormai è una
forza scatenata e bisogna imbrigliarla in qualche
modo».
«Penso a Lucia», ella esclamò, già tra il sonno.
«Sarà uno schianto per lei».
«Certo, ma è una madre e resisterà. L'altra piuttosto, Virginia, alla deriva com'è, dovremo vigilarla,
che non commetta pazzie».
E con gli occhi che le si chiudevano, tutta tepida
della sua amorosa vitalità, Bruna disse:
«Davvero, Faliero, sono cresciuta? ».
XII
Erano trascorse anche per Virginia ventiquattro
ore che essa stessa, poche settimane dopo, ebbe a
chiamare decisive. Finora, malgrado le angosce, e
proprio in virtú di esse, una costante felicità aveva
accompagnato la sua nuova vita. Il dolore patito era
stato opera di Sandrino; subirlo, via via che un'angoscia sempre piú cruda si sostituiva alla precedente,
significava rendere sempre piú ineffabili gli ormai
rari momenti di intimità e di quiete. Come Sandrino
le aveva detto, egli era il sole, stava a lui darle calore o seppellirla sotto la neve. Ed appunto perché
pensava di non avere nulla da contrapporgli né da
difendere contro di lui, Virginia era sempre pronta
a fare ribaltare nel proprio cuore le sue brutalità
come prove di affetto. Ma nello stesso tempo, era
Sandrino l'unica cosa che Virginia avesse da alimentare e da difendere per continuare ad esistere. Ora,
comunque ella cercasse di interpretare il racconto di
Bruna o che Bruna fosse innamorata di Sandrino,
come le sembrava inconfutabile, o che ciò che Bruna
le aveva rivelato corrispondesse interamente o in parte
alla verità nelle diverse ipotesi il pericolo per Sandrino (il suo proprio pericolo: di perderlo, di doversi staccare da lui) persisteva. Cosicché, il mattino
successivo, quando Faliero bussò alla sua porta, Virginia credette di intuire immediatamente le sue intenzioni. Ella era spaurita, ma decisa a conservare la
presenza di spirito necessaria per dominare la situazione, che non implicava piú lei sola, ma Sandrino,
«la vita stessa». La sua mente, che per tutte quelle
ore aveva girato a vuoto, angosciata dalla gelosia,
subito, appena udita la presenza di Faliero dietro la
porta, le suggerí la decisione da prendere. Ecco, non
doveva affrontare Faliero; capiva che comunque si
fosse comportata avrebbe compromesso la situazione
di Sandrino e la propria. Indubbiamente Bruna, vero
o non vero, aveva ripetuto a Faliero il suo racconto;
adesso Faliero, seppure non dubitava piú che appartenessero ad un movimento clandestino, sapeva tuttavia che lei e Sandrino erano amanti. Le voleva
dunque parlare per estorcerle delle circostanze e servirsene poi contro Sandrino. Come se ne sarebbe
servito, e con quale diritto, ella non se lo chiedeva.
La sua certezza era questa: che Faliero era ormai
determinato a nuocere a Sandrino. Si trattava quindi
di informare Sandrino, di raggiungerlo, di mettersi
al riparo della sua forza di volontà e di decisione:
di sentirsi protetta, proteggendolo. Sarebbe immediatamente partita per Milano.
Siccome Virginia non gli rispondeva, Faliero, ed
anche Bruna che lo aveva raggiunto, insistevano a
bussare. Virginia stava in piedi, trattenendo il respiro, una mano sul petto, addossata alla parete. Lucia se ne era già andata, madre cieca ed ignara, e
Virginia si sapeva sola in casa, assediata dai nemici,
suoi e di Sandrino. Finché essi tentarono la maniglia
e finirono di convincersi ch'ella fosse uscita.
Faliero disse: « La vedremo stasera. Durante la
giornata penserò meglio cosa dirle ».
Aveva appoggiato la bicicletta al muro del corridoio e stava gonfiando una gomma. Aggiunse:
«Del resto, che effetto potrò ottenere facendole la
morale? Otterrò, come risultato, di impaurirla piú
che mai».
«Vuoi che riprovi io? », disse Bruna.
«Sarebbe lo stesso. Evidentemente tu le fai un
altro genere di paura. La ingelosisci, e basta. Forse
è piú opportuno non parlarle né tu né io», concluse
Faliero. «L'unico dovere che noi abbiamo, sociale
addirittura, oltre che privato, è di fare rinchiudere
Sandrino. Dopo di che, qualunque sia il motivo che
l'attacca a Sandrino, Virginia dovrebbe capirlo da
sé che Sandrino è sul punto di rovinarsi definitivamente. Non è certo facendo il mantenuto di una
donna che gli potrebbe essere madre, almeno come
capacità di riflessione, che Sandrino può incamminarsi sulla strada buona».
«Ma essa lo ama», disse Bruna. «Sarà un amore
in certo senso innaturale, d'accordo, ma dopo lo
choc che lei ha subíto, Sandrino è diventato la sua
unica àncora di salvezza».
«E con ciò?», egli disse, e riponeva la pompa al
di sotto, del telaio. «Se anche Virginia non ha vergogna di se stessa, possibile non si renda conto che,
nella migliore delle ipotesi, finiranno tutti e due
in un precipizio?».
«Lei si sente nelle condizioni di chi non ha piú
nulla da perdere», Bruna disse, e gli apriva la porta
sulle scale.
«Già», concluse Faliero, e si sistemava la bicicletta sulla spalla. «Lei! Ma Sandrino ha ancora
tutta la vita davanti a sé, come non capirlo? Credi
che Virginia sia cinica e pazza fino a questo
punto?».
« Non è né cinica né pazza », disse Bruna, « è
soltanto spaventosamente incosciente », e si chiuse la
porta alle spalle.
Essi usciti, Virginia si abbandonò su una sedia.
Il dialogo di Bruna e di Faliero, origliato attraverso
il corridoio, l'aveva annichilita. Essi si credevano
soli, quindi le loro parole erano, state sincere. Ella
si sentí distrutta. Le considerazioni espresse da Faliero erano le medesime che Virginia aveva piú
volte proposto a se stessa durante quei due mesi e
che tuttavia era sempre riuscita a respingere, confondendo di volta in volta il proprio spirito nella serie
ininterrotta delle emozioni, l'una piú forte dell'altra,
l'una piú disperatamente complessa dell'altra, in cui
Sandrino l'aveva impegnata. Ora, invece, l'autentico
significato dei suoi rapporti con Sandrino non apparteneva piú al segreto della sua coscienza (alla
quale le era riuscito perfino spontaneo mentire fingendosi il proprio peccato come una condizione
ideale di quella che essa chiamava la sua nuova vita);
la sua colpa le era stata rimproverata ad alta voce.
Era diventata una verità impossibile da ignorare. Era
l'ultima frase di Faliero, il commento di Bruna, alla
cui eco ella già sapeva di non potere piú sfuggire.
Anzi, di secondo in secondo, quelle loro parole acquistavano per Virginia il significato di un'imposizione, tanto piú violenta ed esplicita quanto piú
nella realtà le loro voci erano state affettive, quasi
desolate.
Il corpo abbandonato sulla sedia, lo sguardo smarrito, ella si interrogava; ed era con enorme fatica,
con uno sfinimento tutto fisico, che richiedeva a se
stessa di formularsi un proponimento, di infondersi
il coraggio necessario per attuare una decisione ormai
formulata, ma nondimeno superiore alle sue energie,
alla sua mente che tornava a vacillare. Se poco prima
ella aveva pensato di raggiungere Sandrino, adesso,
inerte sulla sedia, si preparava a scomparire per sempre dalla sua esistenza, a sacrificargli ugualmente e
interamente se stessa, ma nella maniera che meglio
avrebbe giovato alla sua vita ancora tutta da vivere,
al suo avvenire. Nello stesso tempo, la passività e la
codardia che erano proprie della sua natura (e che
erano le sue stesse doti, capaci com'erano di trasformarsi in devozione e in sacrificio) la istigavano an-
cora al compianto di sé, la scioglievano in lacrime
per quella Virginia perseguitata dal destino, nuovamente costretta in ginocchio, suo malgrado. Sola e
sconsolata, ella si ricordava di un rimprovero che,
prima da suo padre e poi da suo marito, le era capitato sovente di ricevere, che era diventato proverbiale nella cerchia di quegli affetti lontani: «Virginia, le cose, ha bisogno di sentirsele ripetere».
Cosí era. Per quello che i fatti finora noti ci consentono di precisare, l'unica virtú, di Virginia consisteva nella dedizione. Tuttavia la sua capacità di
dedizione era pari alla sua inettitudine. Le avversità
via via incontrate, invece di evolvere la sua mente,
la squilibravano; ed il suo spirito, anziché illuminarsi, accresceva la propria irresolutezza. Non solo, ma
la sua necessità di sentirsi guidata e protetta, per
esistere (ed a compenso, il suo bisogno di annientare
la propria personalità nella devozione) stavano a testimoniare della debolezza del suo carattere, e insieme la sua pavidità e il suo profondo egoismo. La
verità è che Virginia amava soltanto se stessa. Riducendo il proprio compito ai doveri tutti gioiosi di un
affetto esclusivo, ella garantiva a se stessa una eterna
vacanza della coscienza, si conquistava, sia nel bene
sia nel male, la sconfinata libertà dell'irresponsabile.
Lasciata poi sola e messa di fronte ad una realtà
comunque determinatasi, immediatamente ella si sentiva tradita: la pietà di sé era il primo sentimento
che si manifestava al suo spirito. Subito dopo, l'istinto
della conservazione la possedeva. Inetta dinanzi alle
responsabilità, non le restava quindi altra scelta che
sottrarsene. Se questa era Virginia, come anche il
seguito delle circostanze verrà a confermare, è facilmente comprensibile che le parole di Faliero e di
Bruna le avessero permesso di «rendersi conto soltanto allora» della catastrofe verso la quale ella si
stava incamminando al fianco di Sandrino, ora che
altri sapevano, che «il mondo sapeva». Il pensiero
di essere costretta ad ammettere i suoi rapporti con
Sandrino, ed in un modo o nell'altro a scagionarsi
ed a difendere la propria condotta, la sconvolgeva.
E faticosamente meditando, fu con terrore che dové
giungere a riconoscere la legittimità dell'accusa che
le sarebbe stata mossa, e che già Faliero le aveva rivolto senza saperlo attraverso la parete. Era la prima
volta ch'essa si sentiva personalmente responsabile di
una colpa da lei stessa premeditata, elaborata, con-
sumata per dei mesi. Questo dette una consistenza
al suo terrore: un tremito di tutta la persona che la
obbligava a stringere le mani l'una nell'altra ed a
premersele contro il ventre per trattenerle. Faliero
era la presenza, vaga ma aggressiva, del panico che
la dominava.
Ora meno di sempre ella si disponeva ad agire
con la percezione dei propri atti. Era, bensí, l'angoscia della propria persona fisica (che ella considerava
riflessa nello specchio, ingiustamente avvilita) una
paura animale, di minuto in minuto sempre piú inconsulta, che finí col restituirle, esasperate e febbrili,
e sue energie. Andarsene, ruggire. Liberarsi, scomparendo, di una realtà che stava per sopraffarla. Si
alzò di scatto. Non piú padrona dei propri gesti, ma
unicamente guidata da quell'equilibrio acquisito con
l'abitudine, discese la valigia di sopra l'armadio,
l'aperse e la riempí della propria biancheria, di tutto
quanto poteva contenere e servirle in un avvenire immediato. Si vestí, si aggiustò in fretta la faccia, ebbe
perfino la fermezza sufficiente per ritoccare la mezzaluna delle labbra non perfettamente arcuate. Nondimeno, mentre collocava nella valigia le ultime robe,
era ancora abbastanza controllata, o abbastanza candida, da mentire al proprio spirito, da toccare il
punto estremo dell'omertà verso se stessa: Faliero,
con le sue parole, le aveva aperto gli occhi. Era
unicamente per il bene di Sandrino ch'ella scompariva! Fuggire, andare incontro ad una sorte ancora
ignota ma di certo crudele, significava sacrificare a
Sandrino, per l'amore che gli portava, tutta se stessa,
sicuramente anche la vita. Voleva dire, qualunque
fosse il destino che l'attendeva, uccidersi perché Sandrino vivesse. Ora l'oggetto del suo terrore era Sandrino. Poteva anche giungere da un momento all'altro, ed ella sapeva di non potersi opporre alla sua
volontà: l'avrebbe costretta a restare, ad affrontare
le conseguenze della loro colpa, a resistere comunque insieme, e in mille modi, contro Faliero. Tutto
ciò che mezz'ora prima, quando ancora il pericolo
era incerto e lontano, le era apparso come l'esito naturale delle cose, tanto da accarezzare il progetto di
raggiungere Sandrino, senza nemmeno sapere dove
poterlo rintracciare nella città sconosciuta, adesso erano bastate poche parole di Faliero e di Bruna, origliate attraverso il corridoio (era bastato, cioè, che la
minaccia si facesse imminente e precisa) perché ella
abbracciasse l'idea di sottrarsi alla lotta, di rinunciare a Sandrino. Di abbandonarlo.
D'un tratto, la sua mente, pur sconvolta qual era,
e vacillante, ed appunto perché tale con maggiore
violenza, le suggerí che se Sandrino l'avesse sorpresa
cosí in fuga, non avrebbe creduto ch'ella agiva per il
suo bene, avrebbe bensí interpretato la sua fuga come
una diserzione. E l'avrebbe punita. Alla nuca, come
quella volta sulla neve. Con la ferocia, ora scatenata,
di quella volta nel bar. Le avrebbe strappato il seno.
Fu come s'ella ricevesse realmente il colpo dietro la
nuca, si sentí mancare il respiro come se la mano di
Sandrino le stringesse la mammella: lo stesso dolore di allora, dentro la carrozza, il giorno di Capodanno. Alla paura, al terrore, fino a quel momento contenuti, subentrò il delirio. Ed allorché,
per il gesto impulsivo con cui era stato sospinto in
avanti, il coperchio della valigia ricadeva su se stesso, e la porta ancora vibrava per la violenza con la
quale era stata aperta e richiusa, Virginia già scendeva precipitosamente le scale, lasciava per sempre
la casa ove aveva creduto di essersi conquistata una
nuova vita. Quella che adesso sembrava averla invece condotta sul limitare della follia.
La notte successiva, Bruna e Faliero rimasero in
piedi fino a tarda ora. Rincasando avevano bussato
alla porta di Virginia e persistendo il silenzio erano
entrati nella camera, non piú chiusa a chiave come
al mattino. Trovarono la stanza sottosopra: le sedie
rovesciate, i cassetti spalancati, il letto disfatto, e,
sopra di esso, la valigia piena degli indumenti collocativi alla rinfusa. Il portafiori era in frantumi sul
pavimento; una forcina di corno stava miracolosamente in bilico sull'orlo della toletta. Superata la
sorpresa, bastò loro un esame un po' piú approfondito per escludere l'ipotesi che un ladro si fosse introdotto nella casa e che un rumore sospetto, o il
loro arrivo medesimo, lo avesse messo in fuga. A
parte l'assenza di denaro, un ladro non rimpinza la
valigia con delle pantofole usate, le spazzole e i fazzoletti da signora, per lasciare al loro posto, nel
cassettone, i lenzuoli e i pannilani; pure affannato e
frettoloso, la sua scelta è istintiva: alla coperta di
raso non preferisce le calze da rammendare, una bottiglia di lavanda per tre quarti vuota. Cosí come non
rinuncia a degli asciugamani freschi di stiro, spugnosi, belli e colorati, per delle posate di metallo e
una vecchia spiritiera. E soprattutto, tra le tante su
cui posare gli occhi e le mani, l'album delle fotografie sarà l'ultima cosa che attirerà la sua attenzione.
Bruna disse: «Aveva intenzione di partire e poi
ci ha ripensato».
«Ma è uscita indubbiamente in fretta e furia, come fosse stata lei la ladra», commentò Faliero.
«Una decisione presa lí per lí».
«Incalzata da Sandrino, io credo, dopo che Virginia gli ha riferito il colloquio che tu avesti con lei».
Poco dopo giunse Lucia; fiera per la commozione
mostrò loro una lettera di Sandrino. Essi finsero di
rallegrarsi; le dissero che Virginia, alla quale essa
intendeva partecipare la notizia, si era già coricata.
Tuttavia, questo fatto rendeva piú incerta la spiegazione che Faliero si era dato. Sandrino poteva essere tornato all'improvviso, ma anche no, se ancora
ieri si trovava a Milano. La scomparsa di Virginia
apriva adesso il campo alle piú opposte congetture,
che infine, via via che le ore passavano, ed era ormai notte alta, le due, le tre dopo mezzanotte, sembravano ridursi ad una solamente, la piú angosciosa
epperò quella che piú a lungo essi si trattennero dal
formulare. Finché Bruna, che già si sentiva oppressa
dall'ombra di un rimorso, esplicitamente disse:
«Escludi che si possa essere uccisa?».
«Non abbiamo gli elementi per giudicare », egli
le rispose. «Occorrerebbe sapere fino a che punto le
premeva Sandrino, e la reazione che le tue confidenze possono averle procurato».
« L'avevano sconvolta, questo è certo. Tuttavia mi
pareva che fosse decisa a difendersi, a strapparmelo,
come lei credeva».
Si coricarono, e al mattino furono ciascuno al proprio lavoro. La cronaca dei giornali sembrò tranquillizzarli. Passarono un altro giorno e un'altra notte;
Lucia riceve nuovamente notizie da Sandrino. Bruna
e Faliero avevano riordinato la camera di Virginia,
ma non avevano potuto impedire che Lucia si accorgesse della sua assenza. La sera ancora successiva Lucia li costrinse a partecipare della sua apprensione.
«È sola al mondo. Mi ha confidato tutto di sé.
Non può che esserle accaduta una disgrazia», ripeteva. Poi disse qualcosa per cui Faliero fu sul punto
di rivelarle quella parte della verità ch'essa ignorava
e che riguardava Sandrino oltre che Virginia.
Lucia disse: «Il marito di Virginia ha lasciato
troppi odii dietro di sé. Ma Virginia è innocente,
voi lo sapete e siete stati buoni con lei. Tuttavia, tra
coloro che la pensano come voi, non tutti sono buoni
come voi due. Proprio stamani, dalle parti dove io
lavoro, hanno trovato ucciso uno che era stato fascista fino all'ultimo, e non si sa chi l'abbia ucciso».
Lo sguardo di Bruna trattenne Faliero dallo
«schiantarle il cuore» innanzi tempo, alla povera
Lucia. Le promise, invece, che il giorno dopo avrebbe fatto tutto quello che c'era da fare per rintracciare Virginia.
Lucia commentò:
«Pensate: è stata qui sei mesi, muro a muro, e
Sandrino non l'ha nemmeno vista in faccia».
Allora anche a Bruna, anche a Faliero, adusati
a dominare i propri sentimenti, tremò la voce mentre le rispondevano:
« Già ».
«Davvero».
XIII
Eccolo l'eroe, torna da Milano. Ha uno straccetto nero nella tasca di dietro dei calzoni, conservato assieme alla carta d'identità ed al ritratto del
padre in divisa di legionario. Non ha piú il suo cronometro d'oro, né una lira né una sigaretta. In compenso l'amarezza gli stringe il cuore. Glielo stringe
come se una mano glielo stringesse. È infuriato con
se stesso, e appunto per questo l'oppressione che
prova al cuore lo indigna maggiormente. Egli non è
un debole, non può soggiacere allo scoraggiamento.
Torna per rifornirsi di denaro e ripartire. Costringerà Virginia a vendere tutto quello che possiede:
un anello coi brillanti, la fede, una collana. Durante la notte trascorsa insonne nel treno, ha già
fatto l'inventario. Gli occorre denaro il piú possibile: dovrà trattenersi a Milano per un tempo indeterminato, dovrà viaggiare, andrà all'estero se necessario e non sarà solo in questa giostra. Deve
scovare un uomo, anzi due, anzi tre, ma uno in
particolare, e deve farlo fuori. Costui è l'uomo che
si è fatto pagare le stoffe e poi è scomparso senza
consegnargliele.
In realtà quelle stoffe erano armi, e dovevano ser-
vire per l'Insurrezione. Con le trecentomila lire che
Sandrino aveva versato si sarebbe dovuto armare una
squadra, già battezzata col nome di suo padre, e di
cui lui stesso avrebbe assunto il comando, all'ora X.
Se lo erano giocato sul velluto, come un ragazzo
dai denti di latte. Dinanzi alla sua impazienza uno
dei compari aveva detto:
« Sei giovane, non ti prospetti le difficoltà. Soltanto a cambiare l'assegno il rischio è forte».
E lui, immaginando che la difficoltà fosse tutta lí:
« A saperlo avrei portato contanti », aveva risposto.
Quindi gli avevano dato appuntamento per la sera,
in una casa ove gli sarebbero stati presentati i suoi
subalterni, in via Ignota, 34. Ma può esistere via
Ignota? Nemmeno la vedova avrebbe creduto che
fossero stati quei tre a rapire la salma di Mussolini.
La ricevuta delle trecentomila lire consisteva nello
straccetto nero: un lembo della camicia indossata da
Mussolini il giorno del martirio! Ecco, il pezzo di
stoffa lo avrebbe cacciato in gola al numero uno,
dopo averlo steso.
Non conosceva i loro veri nomi. Gli avevano detto
di chiamarsi Luca, Guido e Andrea. Luca era il numero uno, colui che Sandrino aveva deciso di ammazzare. Gli altri due erano compari, forse soltanto
dei malviventi, Luca era stato legionario, degli M.,
di un battaglione diverso dal suo, lo ricordava. Non
semplicemente, dunque, un pregiudicato, ma un traditore, che truffava gli excamerati rimasti fedeli
all'Idea e disposti a sacrificarle la vita e gli averi.
Perciò l'avrebbe ucciso.
Era stato Luca ad avvicinarlo.
«Non mi riconosci? Ti ho visto al caffè, il giorno
di Capodanno. Stavi con una signora e non ti volli
disturbare ».
«E tu assieme ad un amico e ad una ragazza
bionda ».
«Quella signora era tua madre? ».
«Era la mia amante».
Nei giorni successivi, Luca gli aveva parlato del
Movimento, della sua attività e del dovere di ogni
camerata di contribuire al fondo per l'acquisto delle
armi necessarie all'insurrezione.
«La tua amica, impellicciata com'è, ne deve ruzzolare ».
Cosí gli aveva suggerito l'idea. E siccome Sandrino ebbe qualche titubanza, Luca gli disse:
«Parto per Milano. Hai tre giorni di tempo per
raggiungermi. Càpito al tale caffè, nella tal via. E
non ti portar dietro il pugnale che dici di tenere
conservato. Durante il viaggio ti potrebbero perquisire, per una ragione o per l'altra. Ti rovineresti senza scopo. È un ordine. Pensa invece al denaro. Se
raggranelli tanto da armare una squadra, mi impegno di fartene assumere il comando».
«Piuttosto, perché non mi metti in contatto coi
camerati di qui? Posso mobilitarne dei nuovi ».
«Non c'è il tempo di vagliare le ammissioni. Dobbiamo agire subito, ora che ci credono dispersi e
bocca a terra. È questione di giorni. Insorgeremo a
Roma ed a Milano. Prese le due città, il gioco è
fatto ».
«Trecentomila bastano per armare una squadra?».
«Vedremo di farle bastare».
Quando fu persuaso che via Ignota non esisteva
e dopo averli attesi inutilmente al caffè dove l'avevano truffato, e dove i camerieri nemmeno li raffiguravano Sandrino girò la città dal centro alla
periferia, dall'alba a notte alta, con gli occhi addosso
alla gente, per giorni, nella città sconosciuta che gli
sembrava girare essa attorno a lui, riportandolo al
punto di partenza, allorché credeva di essersene chissà quanto allontanato. Entrò nei tanti caffè che incontrava, informandosi di un Luca, di un Andrea,
di un Guido cosí e cosí, inutilmente, per una settimana. finché anche il poco denaro che si era conservato finí. Vendette il cronometro e continuò la sua
perlustrazione. Ora la città gli sembrava di conoscerla, era immensa e li aveva inghiottiti. O piú probabilmente, fatto il colpo, se ne erano allontanati.
La sera, in albergo, scriveva le lettere che servivano
a tranquillizzare sua madre. Trascorse un'altra settimana, gli rimanevano mille lire e gia meditava di
tornarsene e di costringere Virginia a disfarsi delle
gioie. Era sera, era freddo, camminando i passanti
sembravano entrare ed uscire dalla nebbia come di
dietro un sipario. D'un tratto gli parve di riconoscere la donna che si accompagnava a Luca il giorno
di Capodanno. Era bionda, bella, provocante: una
prostituta quale gli era apparsa anche seduta tra i
suoi amici, ma con un'espressione superba, difficile
da affrontare. Questo lo trattenne dall'andarle direttamente incontro: si disse che era meglio seguirla,
essa lo avrebbe condotto faccia a faccia con Luca, a
sua insaputa. Ella indossava una pelliccia grigia, lunga ai polpacci, una sciarpa a cercine tra i capelli,
verde, che spiccava sull'oro della chioma. Entrò dapprima in una profumeria, si fermò ad un'edicola di
giornali, sorrise ad un uomo che la salutava togliendosi il cappello, ironico e ossequioso insieme, come
di chi è amico e in confidenza. Quindi traversò Piazza del Duomo, poi delle strade strette e oscure che
Sandrino ancora non conosceva, sboccò su un largo
tra mezzo alle macerie, fu in una specie di vicolo
lungo e diritto: dei negozi, tutti su di un lato, bucavano la nebbia con le loro luci. Sandrino le camminava alle spalle, a pochi passi: gli sembrava impossibile ch'ella non desse segno di sentirsi seguita.
Raggiunse una latteria e si sedette a ridosso della
stufa. Sandrino occupò un tavolo sulla fila dirimpetto. Adesso poteva vederla a proprio agio, e nella posizione in cui l'aveva intravista la prima volta: si
persuase di essersi sbagliato. Tuttavia doveva udire
la sua voce per convincersi che non fosse lei: il suo
modo di ridere soprattutto, che il giorno di Capodanno lo aveva irritato sembrandogli di essere oggetto della sua ironia.
La latteria era pressoché deserta, soltanto piú
avanti, là dove scesi alcuni gradini si apriva una
sala interna, pervenivano voci allegre, risate, di una
brigata: degli studenti forse, degli artisti. La donna
si era slacciata la pelliccia. Le sue mani erano lunghe, bianchissime, con le unghie laccate di un rosso
cupo. Il suo atteggiamento era dolce e torbido insieme, naturalmente sensitivo, come il gesto di portarsi alle labbra il cucchiaino ed assaporare l'yoghurt
risucchiando le guance. Egli si alzò ancora prima
di essersi deciso a farlo: fu un moto istintivo, un'attrazione. La raggiunse, si chinò su di lei poggiando
le mani alle estremità del tavolo.
«Sono un amico di Luca», le disse.
La donna lo guardò, dal basso in alto, piegando
la testa da un lato, con ostentazione, con freddezza.
«Mai sentito nominare», rispose. «Ma può
darsi».
La sua voce era diversa da quella che a Sandrino
sembrava di ricordare; ma ella era superba, indolente, e gli piaceva. Le sedé di fronte.
« È sicuro di essere gradito? », ella disse.
«A quanto pare», egli replicò.
« Be'», ella disse. «È il seguito che dovrà riuscire
interessante ».
Poco dopo ella diceva: « Cosí seduto sembri proprio un ragazzo».
«Ho ventidue anni».
«Non ne dubito, specie se ti presto io quelli che
di solito mi tolgo».
«Vuoi che andiamo d'accordo? », egli esclamò,
risentito.
« Figurarsi », ella disse. « Ma d'altra parte, se ti
arrabbi prendi subito la faccia di maggiorenne. Arrabbiati anche passando davanti al bureau».
Poi, quando furono nella camera d'albergo dove
la donna lo aveva condotto, ed a lui sembrava di
avere posseduto per la prima volta una donna che
veramente gli piaceva, mentre egli indugiava sul letto ed essa riordinava il lavabo, ancora tutta nuda,
ella gli chiese:
«Eri nei marò? ».
La domanda gli sembrò naturale.
« Sí, ti dispiace ? », le rispose. « Piuttosto, come
l'hai capito? ».
«A fiuto. Gran mestiere quello che faccio, cara
stella ».
Egli si alzò seduto sul letto.
«Sei in rapporto con qualche ex?».
Ella si incipriava il seno e le ascelle.
«Partita chiusa», disse. «Gente che ormai porta
rogna ».
«Mi basta che tu mi indichi qualcuno. Li avvicinerò da me. Devo rintracciare una persona », aggiunse, ma a se stesso piú che a lei.
A lei dette le mille lire che gli rimanevano, e un
appuntamento per l'indomani, perché essa gli indicasse i camerati che conosceva, anche se adesso non
voleva promettergli che lo avrebbe accontentato
e perché essa gli piaceva come nessuna donna prima
d'allora, delle poche che aveva avuto e che poteva
ricordare a una a una, sempre viva e sempre docile
tra le sue braccia, tepida, liscia, odorosa. Già fantasticava sulla gioia che essa gli avrebbe dato l'indomani; non pensava che l'indomani gli si sarebbe rifiutata poiché lui non avrebbe avuto da pagarla.
Fu la donna stessa, Kati, cosí aveva detto di chiamarsi, a ricordarglielo. Avevano finito le sigarette.
Ella disse:
« Suona, ce le facciamo portare. Americane o inglesi, come le preferisci? In questa sporca città gli
Alleati hanno portato di buono soltanto le sigarette,
loro e i loro quattrini sono rimasti per la strada. Al
posto loro, aspetta aspetta, sono arrivati i partigiani,
pieni di voglie e squattrinati».
«Le sigarette le compreremo dopo, uscendo», egli
disse.
Si stava vestendo. Kati gli andò vicino, gli chiuse
la serratura lampo del maglione, e lo guardò negli
occhi.
«Queste mille lire, erano le sole che avevi, non è
cosí? Fortuna mia», commentò.
Quindi lo costrinse ad accettare i denari per il
viaggio. Volle accompagnarlo fino alla stazione. Accomiatandosi gli disse:
«Non mi càpita spesso di essere generosa. E le
rare volte che mi càpita, subito me ne dimentico».
«Tornerò carico di quattrini. Gireremo il mondo
in cerca di una persona. Soprattutto dopo averla trovata, lo gireremo», egli le disse, stringendole la
mano dal finestrino del treno.
Ora, a Milano, lo richiamavano «la vendetta e
l'amore». Dalla vendita delle gioie di Virginia,
avrebbe salvato l'anello coi i brillanti, per donarlo a
Kati. E perché i conti tornassero, mancando i denari
dell'anello, aveva pensato di disfarsi della pelliccia di
Virginia. Che bisogno ne aveva, Virginia, della pelliccia, dal momento che possedeva un soprabito pesante, nuovo per giunta? Nuovo? Quindi, di valore.
Tuttavia, appena uscito dalla stazione, il piú immediato dei suoi pensieri fu quello di telefonare alla
madre, là dove essa lucidava i pavimenti e rifaceva
la cucina. La sentí commossa.
«Tutte belle cose, ma a saperti solo per il mondo,
mi si stringeva il cuore ».
Le si stringeva il cuore?
«Non ti lascerò piú partire».
Egli la blandí, le disse che si recava subito a casa:
era stanco e voleva riposare.
« Troverai delle novità », gli disse la madre.
Ma Sandrino aveva fretta e attaccò il ricevitore
senza chiederle quali fossero, e se essa le giudicava
buone o cattive. Non erano, comunque, novità che
lo riguardavano, altrimenti la madre gliele avrebbe
comunicate appena udita la sua voce. Erano le undici del mattino, e qualsiasi novità fosse accaduta,
in casa doveva trovarsi soltanto Virginia. Si propose
di giungerle alle spalle di sorpresa. Avanzò cauto
lungo il corridoio, schiuse lentamente la porta della,
camera di Virginia.
La camera era vuota di suppellettili, le mura tinte
di fresco, decorate a nuovo, il pavimento cosparso di
schizzi di calce, polveroso. La finestra era chiusa.
Cosí spoglia e investita dal sole, la stanza gli sembrò irriconoscibile, smisuratamente grande, odorosa di
vernice.
« Si è portata via anche le tendine».
Furono le prime parole che Sandrino formulò a
se stesso. Stringeva ancora la maniglia, e la stringeva
con tutta la sua forza per trattenere il furore che l'invadeva e che non trovava un bersaglio su cui riversarsi. Dapprima egli aveva subito una stretta piú forte
al cuore, improvvisa, nel vedere la stanza deserta,
coi segni di una futura presenza che non era piú
quella di Virginia; immediatamente dopo aveva provato una sensazione nuova per lui: si era sentito
come risucchiare dal cervello alle ginocchia e ricadere
su di sé, o meglio sulle proprie spoglie. In quell'istante aveva impugnato la maniglia, l'aveva girata e trattenuta impegnandovi tutte le sue energie,
col senso di strangolare l'unica cosa viva, a portata
di mano, che gli resisteva. Cosí era riuscito a padroneggiarsi, a costruire il primo pensiero attorno alla
propria ira, di secondo in secondo piú violenta e
nello stesso tempo piú gelida e determinata.
« Si è portata via anche le tendine », ripeté a se
stesso, già convinto di ritrovare Virginia di lí a poco,
di «farle pagare » il gesto di ribellione ch'ella aveva osato, fuggendo.
Egli era ormai in grado di associare le circostanze,
di concretare dei propositi. La realtà, anche se tuttora inesplicabile, la sua cattiva coscienza, e piú ancora la sua capacità tutta istintiva di penetrare il
senso delle cose, gli lasciavano facilmente intuire che
Virginia aveva creduto di sottrarsi a lui scomparendo. Ma egli sapeva che Virginia era incapace di prendere una qualsiasi risoluzione, ed a maggior motivo
questa risoluzione, se qualcuno non gliela avesse suggerita ed imposta. Questo qualcuno non poteva essere stato altri che Bruna. La sua ira si concentrava
su Bruna, avvolgeva l'immagine di Bruna di un furore omicida. Lo stesso furore, adesso maggiormente
esasperato, con il quale aveva inseguito Luca per
giorni e giorni, nella città sconosciuta, e che Kati
gli aveva appena sopito facendogli conoscere per la
prima volta il pieno godimento dei sensi e dandogli l'impressione di avere soltanto allora scoperto la
donna.
Questo era Sandrino. La sua natura era il suo carcere; ogni suo tentativo di evasione si concludeva col
restringersi dello spazio della sua cella. Egli era costantemente assediato da sentimenti oggettivi, anche
se crudeli, da propositi a volte puerili e a volte inumani, ma sempre meditati, che tuttavia, di occasione
in occasione, volutamente dimenticava per darsi tutto
al proposito piú immediato, al sentimento piú emotivo. Adesso doveva trovare Bruna.
Volle sincerarsi che non fosse in casa. Bussò alla
camera, che era chiusa, senza ottenere risposta, raggiunse la cucina. Dalla terrazza proveniva un canto
di donna, a mezza voce. Attraverso la porta a vetri
egli vide due mani che fermavano un lenzuolo sulla
corda. Irruppe in terrazza come proiettato dal proprio furore, nello stesso momento in cui la donna
usciva di dietro lo schermo della biancheria tesa ad
asciugare. Era l'inquilina del piano sottostante. Si
trovarono di fronte all'improvviso; egli col pugno
già alzato che la donna evitò trascinata indietro dalla
sorpresa, dallo spavento: trovò il muretto alle spalle,
che la sorresse. Sandrino fece uno sforzo disperato
per trattenere il proprio slancio, tentò di volgere in
scherzo la propria apparizione. Il suo volto si era subitamente ricomposto, soltanto nel profondo del suo
sguardo sussisteva una luce di ferocia che tuttavia
sembrava maggiormente illimpidire il celeste intenso
delle pupille. La sua voce era calma, festosa.
« Parliamoci chiaro», egli disse. «Le ho fatto piú
paura dei tedeschi, quella volta che vennero a cercare
suo marito».
La donna si sorreggeva con le reni al muretto,
esausta.
« Portami una sedia », disse.
Egli insisteva nella sua commedia.
«E un bicchier d'acqua, immagino. Ho un'esperienza in materia ».
Tornò con la sedia e il bicchiere. Disse: « Ma se
è già di nuovo colorita».
La donna sedette, si teneva le mani sul ventre,
disse:
«Vorrei, anzi dovrei prenderti a schiaffi. Invece
a guardarti mi viene da sorridere. Sei cresciuto tanto
per nulla », aggiunse. « Hai ancora il cervello del
mio piú piccino».
Egli si finse corrucciato, e con un tono che doveva subito farle pensare ad una bugia, infantilmente
disse:
« Credevo che in terrazza ci fossero i ladri. Come
potevo pensare che era lei? Torno ora da Milano».
«Sicché non sai che ormai sono anch'io di casa?
Ero venuta per affittare la camera dove abitava la
repubblichina ».
«Ah», egli la interruppe, con appena un tremore
nella voce, che parve nascergli dall'improvvisa curiosità: «E la repubblichina dove se ne è andata? ».
«Mistero... Scomparve una settimana e mezzo fa,
e quattro giorni or sono vennero dei suoi incaricati
dell'Agenzia Trasporti a portarsi la mobilia. Dimenticarono le due galline, come vedi. La signora Bruna
ha detto che se nessuno si fa piú vivo, sono mie.
Intanto io le custodisco, siccome ce n'è una che quasi
tutti i giorni mi dà un uovo... Lo so, sarebbero spettate alla tua mamma. Ma è stata lei stessa a insistere, per via che ho i bambini, e non navighiamo
nell'oro... Sai, un uovo, fresco, preso di sotto la gallina... ».
«M'importa assai dell'uovo», egli esclamò.
«Di cosa, allora? Della repubblichina? ».
«Anche», egli disse, duramente adesso, non piú
ragazzo..
«Anche, cosa vuol dire? ».
«Vuol dire», egli proseguí, e subito s'interruppe,
addolcí la sua inflessione; e perché la donna desse
sfogo alla propria loquacità, informandolo su ciò che
gli premeva sapere: « Ecco», le disse, « la signora
Bruna, che le ha regalato le galline, sa perché la repubblichina se ne è andata? Cosa le ha detto? ».
«Ti ripeto, nulla. Lei e il signor Faliero ne sanno
quanto me. La vedova è scomparsa e poi vennero
quelli dei trasporti, con i documenti in piena regola
per prendersi la roba. Domandai io ai facchini dove
traslocavano; mi risposero che la mobilia avevano
l'ordine di portarla al deposito dell'Agenzia».
Egli era ancora accigliato e la donna credette di
interpretare il suo disappunto.
«Ti dispiace che io sia di casa? Mica ci abito. Appena la vedova se ne fu andata, mi precipitai per
affittare la sua camera, ma la signora Bruna non me
la volle dare. Mi concesse tuttavia il diritto alla terraz-
za. In realtà era questo che io volevo. Era tanto che
ci facevo all'amore con la terrazza, per i miei ragazzi, quando tornano da scuola, e per la biancheria.
Asciuga in un baleno in giornate come questa... ».
Si era alzata ed aveva ripreso a stendere i suoi
cenci. Egli si congedò, un momento dopo tornava
per chiederle:
« E nella camera della repubblichina, cosí rimessa
a nuovo, chi ci viene?».
«Nessuno. La signora Bruna ci farà il suo salotto», rispose la donna. Quindi commentò: «Quante
cose, eh, sono accadute mentre tu non c'eri».
«Proprio», egli si ripeteva scendendo le scale, con
ancora intatto il suo furore disperatamente represso.
« Quante cose sono accadute. E siamo appena all'inizio ».
Non sapeva ancora che era per lui, l'inizio.
XIV
Dalle sue tasche vuote, di fondo al cappotto, uscí
un gettone. Non stette a ricordarsi come vi si trovasse, né da quanto tempo, o perché. Non era una
circostanza che potesse sorprenderlo, dominato dall'ira qual era. Del resto, avere a portata di mano
tutto ciò che favoriva i suoi disegni, era un fatto naturale per Sandrino. Entrò in un bar e si chiuse dentro la cabina del telefono. Cercò una sigaretta. In
ogni momento della sua giornata, quando stava per
intraprendere un'azione, anche la piú consueta, gli
bisognava fumare. La sigaretta accesa tra le mani, il
gusto del fumo, lo completavano; altrimenti si sentiva sprovvisto, provava uno sfinimento improvviso
che gli riduceva le facoltà di agire e di pensare. Staccato il ricevitore, si frugò addosso, inutilmente. Questa circostanza finí di decidere del suo comportamento allorché Bruna si fece udire nell'apparecchio.
« Ho bisogno di parlarti, subito», le disse.
Capí di averla colta di sorpresa, siccome tardava
a rispondergli. Nel microfono c'era il ticchettio lontano di una macchina per scrivere.
« Hai capito? », egli insisté.
« Adesso non mi è possibile», ella disse. «Ci vediamo stasera, a casa ».
«Troppo facile», egli disse. «Vuoi che salga io
nel tuo ufficio? ».
«Non te lo consiglio».
La sua voce era calma, quasi distratta, cosí minacciosa tuttavia, che lo impressionò e lo accrebbe nella
sua furiosa impazienza.
«Sei tu che mi consigli», egli esplose, gridava
senza rendersi conto di gridare. « Hai dato dei buoni
consigli anche a Virginia? Dov'è, dimmi, dov'è?»
«Al coperto, voglio sperare », ella disse. Poi ammaestrò il proprio tono, fu conciliante, gli disse:
« Calmati, e stasera ne parliamo».
«Ne parliamo anche con tuo marito», egli inveí.
« Sí, anche con lui... Ora credo avrai capito. Hai
tutto il pomeriggio per riflettere e cambiare atteggiamento ».
Poco dopo Sandrino andava su e giú lungo il marciapiede dirimpetto all'ufficio di Bruna. Tirava un
vento gelido, il cielo era basso e nevoso, egli camminava per vincere il freddo e la propria agitazione,
le mani dentro le tasche del cappotto. Era mezzogiorno e Bruna sarebbe dovuta uscire per recarsi a
colazione. Di tanto in tanto alzava gli occhi sulla
facciata del palazzo. D'un tratto si accorse che Bruna
era dietro i vetri di una finestra, e lo guardava. Egli
le si rivolse, dalla strada, ed istintivamente alzò la
mano trattenendola nella tasca del cappotto, come
per minacciarla di essere armato. Ella scomparve. Subito Sandrino si pentí del gesto che aveva compiuto:
impaurita di saperlo armato, ella non sarebbe piú
uscita, non sola comunque. Invece, di lí a qualche
minuto, Bruna attraversava la strada. Indossava il
suo soprabito grigio, la testa riparata in un cappuccio di lana, annodato sotto la gola.
«Dunque, vuoi fare il pazzo fino in fondo», gli
disse. «Dammi la rivoltella».
«Non ce l'ho», egli le rispose. Tirò fuori le mani, e prima ancora che Sandrino riuscisse ad impedirglielo, Bruna gli frugava nelle due tasche del
cappotto, contemporaneamente.
« Meglio cosí », ella disse.
Gli stava di fronte, evitando di incontrare il suo
sguardo.
«Dove vai a colazione?», gli chiese. «Accetti un
mio invito alla Mensa? ».
Egli cercava di orientare i propri pensieri. Il contegno di Bruna gli aveva lasciato capire ch'ella non
lo temeva piú. Per un istante egli si sentí sopraffatto; e quella stessa violenza, cosí naturalmente su-
bita, di lasciarsi perquisire, lo avvilí. Nondimeno,
subito dopo le sorrise, le disse:
« Sicuro che accetto... Per intanto, mi potresti anticipare una sigaretta? ».
Si sedé a un tavolo mentre Bruna acquistava i tagliandi alla Cassa. Ed allorché essa lo ebbe raggiunto, rompendo il silenzio durato per il breve pezzo
di strada, egli le disse: « Vuoi essere tanto gentile
da spiegarmi? ».
Reggeva la sigaretta per diritto, sostenendola con
la punta delle dita e sfiorandosi il naso con la capocchia accesa, socchiudeva gli occhi per via del fumo,
i gomiti sulla tavola.
«Se ho sbagliato, sono disposto a pagare», aggiunse.
« Cosí mi piaci», ella disse. Distese il tovagliolo
di carta e vi appoggiò sopra le posate. «Ma non
pensare che ti creda », continuò. « Cotesta capacità
di simulazione che hai, di cambiare da un momento all'altro, tu credi sia la tua forza... ».
« Io faccio sempre sul serio», egli la interruppe.
Poi disse: « Credevo che tu avessi da darmi delle notizie. Invece mi porti dei paragoni. Forse il dente
si e riservato di togliermelo tuo marito? ».
Ella lo inchiodò alle sue proprie parole. «Vedi che
non mi inganno? Sei ancora pieno di veleno, sotto
cotesta aria di agnello».
Egli tirò una lunga boccata di fumo.
«Ti sbagli», le disse. «Ho capito che sono nelle
vostre mani. Ora sono persuaso che tu hai parlato
con Faliero, che tutti e due volete il mio bene... Se
tu avessi agito prima mi avresti impedito di commettere dei torti verso quella povera Virginia... ».
Il cameriere arrivò con la minestra. Egli spense
la sigaretta e ripose il mozzicone. Bruna si portò il
cucchiaio alle labbra; lo guardava senza rispondergli,
con un'espressione di amarezza e di disgusto insieme.
«Non mi vuoi dire proprio niente? », egli ripeté.
«No» ella disse, recisa. « Cosa preferisci per secondo? ».
Continuarono a mangiare in silenzio, tra il brusio
e il via vai dei camerieri, degli avventori. Erano a
metà della pietanza quando apparve Faliero. Arrivò
d'improvviso, alle spalle di Sandrino, e si sedette alla
sua destra, appoggio le braccia sul tavolo, una mano
sull'altra.
« Ed eccoti tornato», gli disse, come saluto.
Si tolse il berretto e lo infilò nella tasca dell'impermeabile: sotto aveva la tuta da lavoro.
«Hai mangiato? », gli chiese Bruna.
« Sí », egli rispose. « Riprendo col turno della una.
Ho voluto fare un salto per salutare il nostro eroe ».
E rivolto a Sandrino: «Dunque», gli disse, «ora
che grosso modo conosci la situazione, le tue intenzioni quali sono? ».
Sandrino guardava non lui, ma Bruna che sosteneva il suo sguardo, duramente. Come non immaginarsi ch'ella doveva avere telefonato a Faliero?
Come non sospettare l'agguato nel suo invito a colazione? Stringeva il pugno per dominare la propria
collera. Riprese il mozzicone.
«Fammi accendere», disse a Faliero.
«Aspetta di aver mangiato la frutta. Poi te ne
darò una intera », Faliero disse. Gli toccò il braccio,
aggiunse: « Senti bene, Sandrino. Tutto quello che
io posso dire a te e tu a me, sia tu che io crediamo
di saperlo. Ma è bene dircelo. E in fretta, siccome
ho poco tempo. Dobbiamo concretare qualcosa prima di affrontare tua madre, stasera».
Sandrino si era accigliato, stringeva i pollici dentro i pugni, tuttavia calmo in apparenza. Non gli
rispose. Poi, come per una decisione presa all'improvviso, lo interrogò a sua volta:
«Ti faccio una domanda», gli disse bruscamente.
«Con quale diritto ti permetti di sindacare la mia
vita e di impormi la tua volontà? Perché sono stato
fascista? Non è piú un reato».
«No, non per questo», disse Faliero.
Da quel momento, e fino alla sua conclusione, il
loro dialogo fu serrato ed esplicito, violento soltanto
nel significato delle parole che si scambiarono. Erano
entrambi posseduti da sentimenti animosi, anche se
opposti, ma entrambi con una capacità comune di
dominarli onde potere ascoltare l'uno dalla bocca dell'altro ciò che già sapevano l'uno dell'altro, ma che
gli occorreva di sentirsi ripetere, e sincerarsene, per
affrontarsi risolutamente. E se le offese di Sandrino
non raggiungevano Faliero, bensí finivano di persuaderlo della giustizia e dell'opportunità del suo
intervento, egualmente, in Sandrino, le minacce di
Faliero anziché sgomentarlo gli dimostravano l'imminenza di un pericolo contro il quale si disponeva
a lottare. Erano due avversari che si pronunciavano,
che raccoglievano la sfida, ciascuno con la coscienza,
lo scopo, la riflessività loro propri. Il tono delle loro
voci non si alterò, né i loro corpi si scomposero sulle.
sedie. Bruna li seguiva con lo sguardo, si mantenne
calma, le mani intente a sbucciare un'arancia.
Faliero ripeté: «Non perché sei stato fascista. Né
perché lo sei ancora adesso, nemmeno questo è reato
finché non farai qualcosa per farlo diventare. Prova
a sottopormi qualche altra induzione ».
«Vuoi che ti dica proprio quella vera? È perché
sono stato l'amante di tua moglie e ti vuoi vendicare ».
«Nemmeno. Tu sei stato l'amante di mia moglie,
sissignore. E con ciò? ».
«Ma è la tua donna».
«Di conseguenza è con lei che me la dovrò vedere, tu che c'entri? Era lei che doveva avere la coscienza di fare del male. Vai avanti. Non è per questo che ti farò rinchiudere in riformatorio».
«E perché, allora? Per via di Virginia? Ma parliamoci chiaro: l'hai detto tu un secondo fa. Virginia è la mia donna, e i conti vanno regolati tra lei
e me. Forse perché io sono minorenne? Io ho piú
cervello di lei».
«Infatti, sí. Ed è proprio per questo che ti accompagnerò fino sulla porta del riformatorio. Perché hai troppo cervello, e voglio tu impari ad usarlo
in pro di te stesso, non contro te stesso».
«Parole. E sei anche in contraddizione».
Qui Faliero gli tese il trabocchetto e Sandrino vi
precipitò, a sua insaputa.
«Di fronte alla legge basteranno i soldi che hai
preso a Virginia. Lo sai all'incirca, quanti sono?».
«Cento o trecento, cosa importa? Deve essere lei
a denunziarmi, deve ripetere davanti a me che l'assegno non l'ha firmato lei».
«Ah, è cosí».
«Vedi che ti metto in imbarazzo? ».
«Ho spavento per te».
«Fanne a meno, mi so custodire».
« Basta! E parliamoci chiaro, lo dico io a te adesso.
Per farti entrare in riformatorio è sufficiente l'assegno che confessi di aver firmato, e che hai già speso,
evidentemente, chissà come, trecentomila lire, se non
hai nemmeno da fumare».
«Non ti ho detto di averlo firmato, né tanto meno
riscosso. Dev'essere lei a denunziarmi », ripeté Sandrino.
« Se non lo farà lei, lo farò io... E del resto, non
serve... Non sono venuto per interessarmi di Virginia, e nemmeno di te. È di tua madre che mi preoccupo ».
«Lasciala perdere mia madre».
« Ha te solo al mondo, e non si merita che tu ti
sporchi ancora di piú, finché sei in tempo... Se fosse
vivo tuo padre... ».
«Se fosse vivo mio padre, ti ammazzerebbe ».
Allora Faliero si alzò, si rimise il berretto, disse:
« Ho perduto un'ora del mio lavoro... Tu che
fai? », chiese a Bruna.
« Ti accompagno», ella disse.
Prima di andarsene Faliero cavò tre sigarette dal
pacchetto, le fece ruzzolare sul tavolo, verso Sandrino.
« Tieni», gli disse. « Ci vediamo stasera. E non
meditare delle sciocchezze. Non andresti mai tanto
lontano da non poter essere raggiunto. Aggraveresti
la tua situazione, e non altro».
«Fammi accendere», gli ripeté Sandrino.
E mentre Faliero gli prestava il fuoco, con la sigaretta tra le labbra, Sandrino gli mugolò qualcosa
che Faliero intese ma che finse di non avere udito.
«Ricordati Faliero, ormai io non ho piú nulla da
perdere. Nemmeno mia madre».
Sandrino era poi rimasto solo al tavolo della Mensa, con la sua arancia nel piatto ancora da sbucciare.
Tagliò la scorza a spirale, ne estrasse il frutto e lo
divise in spicchi. Li allineò. Era un gioco di pazienza
col quale accompagnava i suoi pensieri. Via via che
questi procedevano, anche la sua operazione procedeva. Spogliò gli spicchi della loro pelle, tentò di
espellerne i pigmenti con la punta del coltello. Per
quanto egli era immerso nelle sue riflessioni, le sue
mani sembravano commentarle. Finora gli era sempre riuscito naturale di circoscrivere ed isolare le difficoltà. I suoi successi si spiegavano con la sua capacità tutta istintiva di proporsi di volta in volta uno
scopo sempre unico e definitivo. Anche se scatenata
e crudele, la sua natura era semplice e razionale, con
ancora la bizzosità e i rapidi trapassi d'umore propri
dell'adolescenza. Adesso, le diverse offese ricevute gli
torturavano la mente, si accavallavano l'una all'altra,
e pur fecondandosi di odio, quasi si neutralizzavano.
Il tradimento di Luca si legava al tradimento di
Bruna, al tradimento e alla diserzione di Virginia,
sfociavano insieme nella minaccia di Faliero, nel pericolo imminente del riformatorio. Il che significava perdere la libertà, e con essa la possibilità di
punire coloro che lo avevano tradito. Significava rinunziare a Kati; ferire il cuore della madre.
La scorza campeggiava dentro il piatto, intatta
come un'arancia sana. Sandrino vi confisse la forchetta, e con un moto lento, implacabile del coltello,
la ridusse in filamenti. Era l'impassibilità della disperazione. Ebbe la certezza di trovarsi, cosí come sedeva, con le spalle al muro. Tutto ciò che nei brevi
anni della sua vita egli aveva preso credendo gli
fosse dovuto e che quindi aveva schiacciato e distrutto a suo piacere, ma anche furiosamente amato
premeva adesso contro la sua coscienza per soffocarla definitivamente. Egli si sentí restituito alla
sua condizione di adolescente, a cui è negato perfino
di assumere le proprie responsabilità. Questo, invece
di sgomentarlo, lo inasprí ancora di piú. Pensava che
il mondo nel quale il padre gli aveva insegnato a
credere lo aveva a suo tempo accolto e stimato riconoscendogli la maturità e l'audacia ch'egli sapeva
di possedere: gli aveva dato una divisa e un fucile,
diritto di vita e di morte sui suoi nemici. Ora, il
mondo in cui adesso viveva, che era il mondo dei
suoi nemici, si vendicava. Faliero si vendicava. Gli
toglieva la libertà. L'aria. La luce degli occhi. Colpiva a morte il cuore di sua madre.
Nella sua mente fiori il proposito. Non vago e
avventuroso come quello che lo aveva mosso contro
Luca fino a poche ore prima, ma esplicito come il
precipitare degli avvenimenti e la situazione improvvisamente rivelatasi gli suggerivano. Riversò unicamente su Faliero la carica di disperazione dalla
quale si sentiva oppresso. Intanto, calmo e puerile,
infieriva con forchetta e coltello nella poltiglia di
arancia.
«Mi dispiace toglierle il divertimento», gli disse
il cameriere.
Radunate le stoviglie, passò col canovaccio sulla
tovaglia di incerato.
«Queste sigarette sono sue? », gli chiese, mentre
Sandrino si alzava per andarsene.
Erano le due dopo mezzogiorno; il vento si era
placato, l'aria era gelida, il cielo algido e compatto;
nei negozi, sul tram le luci erano gia accese; l'intera
città sembrava sospesa in attesa della neve. Sandrino
camminava, le mani nelle tasche del cappotto, il basco sulla nuca, con la sua andatura sciolta e scanzonata di ragazzo cresciuto, sereno per quanto interiormente posseduto dalla sua follia.
V'era tuttavia nelle sue membra qualcosa che non
si accompagnava all'animosità del suo spirito. Sempre, nelle occasioni le piú comuni e le piú drammatiche della sua vita, la sua disposizione ad agire aveva
trovato rispondenza nella pienezza fisica delle sue
forze. Ora, nell'imminenza di giocare la partita che
poteva essere decisiva per il suo destino, un'improvvisa rilassatezza riduceva le sue energie. Come una
resistenza delle giunture, un rifiuto dell'istinto ad affrontare l'ostacolo, ch'egli attribuí alla mancanza di
riposo. Non dormiva da quarantotto ore, dalla notte
precedente al suo incontro con Kati, avvenuto appena ieri (aveva ancora addosso il suo odore) e già
cosí distante da patirne il ricordo. Comunque, l'oppressione provata durante il viaggio si era accentuata
nelle ultime ore. L'aria, rigida, gli offendeva la faccia, gli calava col respiro nei polmoni, si trasformava
in un freddo tutto interno che lo costringeva a trattenere la lingua tra i denti per non batterli.
Ma se il suo organismo, anch'esso, sembrava proprio ora volerlo tradire, la sua determinazione non
lo avrebbe abbandonato. Il suo pensiero era nuovamente uno solo, sottrarsene gli sarebbe stato impossibile. Formulato un proposito, la sua volontà si imponeva a lui stesso. Egli era una forza di natura che
trovava nella violenza il suo equilibrio. Dal momento
in cui era stato in grado di valutare la propria origine e l'avvenire che gli si prometteva, il suo posto
tra gli uomini gli era sembrato inferiore al suo diritto, si era persuaso che la sua esistenza fosse osteggiata: prima ancora che le avversità e le ingiustizie
avessero potuto legittimare in qualche modo il suo
atteggiamento, egli stesso aveva assediato il proprio
spirito. L'inquietudine era la sua condizione naturale, l'eccesso la sua misura. Ed ora che la realtà
aveva finito col dargli crudelmente ragione sopraffacendolo, vincolando la sua libertà (violentando perfino l'unica e trepida luce della sua anima, rappresentata dall'affetto per la madre), uccidere Faliero
voleva dire ribellarsi definitivamente, lasciare un segno incancellabile della sua protesta. E siccome Faliero non soltanto era un nemico suo proprio, ma era
soprattutto nemico delle sue idee (delle idee di suo
padre) Sandrino attribuiva un significato eroico al
delitto che si preparava a consumare.
Nondimeno, la remora che il suo corpo opponeva
alla sua volontà lo irritava. La tensione a cui era
costretto per reagire al freddo che lo aveva invaso
gli impediva di concretare il suo proposito. Mancandogli la rivoltella, lo avrebbe pugnalato! Nella terrazza, in una fessura del parapetto, proprio sotto la
cassetta piena di terra ove Faliero coltivava i pomodori, c'era murato il suo pugnale di marò. Era conservato nella custodia, e questa avvolta in un lembo
di tela cerata: la lama era bella e tagliente, non poteva essersi arrugginita. Rispettare l'« ordine» di
Luca gli aveva portato fortuna: il suo pugnale era
ancora lí e l'aspettava. Accelerò il passo con l'immagine del pugnale davanti agli occhi. La lingua
gli doleva, forse gli sanguinava, tanto vi premeva coi
denti. Il freddo gli era sceso allo stomaco e glielo
chiudeva. La trafittura dalla parte del cuore era diventata costante come se, ed era ridicolo pensarlo,
egli provasse una pena.
Era ormai prossimo a casa, percorreva le strade
che gli erano familiari, orientato solo dall'istinto. La
sua retina non riteneva altre immagini che quella,
ossessiva, a cui era tesa la sua mente. Un semaforo
inversamente acceso lo costrinse a sostare. Come
lo avrebbe assalito? Dove? Stasera stessa? Questo
era ciò che il tremito, il freddo, gli impedivano di
concretare.
« Suvvia, verde, fai il bravo», disse qualcuno che
gli stava al fianco.
Finora il brusio della strada lo aveva maggiormente isolato nel suo pensiero. D'un tratto, quella voce,
cosí vicina al suo orecchio, lo fece trasalire. Era una
voce giovane, allegra, di fanciulla.
Sandrino si voltò.
XV
Dapprima nemmeno la vide. Era una macchia di
colore all'altezza della sua spalla. Subito dopo riacquistò la percezione delle cose: si stupí di essere
giunto a pochi passi da casa, gli sembrò di avere percorso un lungo cammino ad occhi chiusi, soprappensiero. Spesso gli capitava di attraversare mezza città
sprofondato nella lettura di un giornale e di venire
richiamato bruscamente alla realtà dall'ombra di un
ostacolo: un'edicola, un lampione, una fossa aperta
sul selciato. Fu cosí, e sull'istante ne ricevé il sussulto e insieme l'irritazione che sono propri della
circostanza.
«Che cipiglio», gli disse la sconosciuta. «Ce l'ha
con me?».
«Cretina», egli esclamò.
La fanciulla tacque. Siccome il semaforo dava via
libera, ella si mosse, raggiunse il marciapiede opposto. L'incidente, seppure banale, aveva deviato il
corso dei suoi pensieri, lo costringeva a distrarsene
suo malgrado. La fanciulla camminava qualche metro innanzi a lui. Indossava un cappotto rosso, ampio, a sacco. Aveva i capelli biondi, sciolti, che le
scendevano fin sotto il bavero. D'un tratto ella si arrestò, e quando Sandrino già la stava oltrepassando,
lo affrontò fermandolo per il braccio. Aveva i guanti
di lana alle mani, celesti, come la sciarpa attorno al
collo.
«Perché mi hai insultata? », disse la fanciulla.
Sandrino tentò di liberarsi della sua mano e proseguire, ma non vi riuscí. Dové abbassare il braccio
con violenza, di colpo, affinché ella lo abbandonasse.
Il gesto la squilibrò, andò ad urtare con la testa sul
petto di Sandrino. Istintivamente egli la sorresse.
«Mi deve spiegare, cosa crede? », ella insisté.
Si era staccata da lui, si aggiustava la sciarpa sulla
scollatura del cappotto. Aveva il volto esile, minuto,
ancora adolescente, ma due grandi occhi, intensamente verdi, pieni di una furbizia, di un languore,
e di un duro risentimento adesso, non piú innocenti.
Egli la guardava, irritato, e nello stesso tempo incuriosito della sua audacia e della sua energia.
«Basta, ragazzina », le disse. « O vuoi due
schiaffi? ».
Ella si infilava le dita di una mano in quelle dell'altra, come per calzarsi meglio i guanti. Gli rispose:
«Credi che me li lascerei dare? ».
Sostenne la sfida con una voce cosí decisa e un
cosí luminoso lampeggiare dello sguardo ch'egli non
poté fare a meno di sorridere. Già in lui la curiosità
demoliva l'irritazione.
« Non lo vedi? Potrei prenderti con un dito»,
le disse, ed allungò l'indice per toccarle il naso.
Ella si scansò tirando indietro la testa, ma senza
spostarsi.
«Mi hai offeso. Mi hai detto cretina e nemmeno
sai chi sono».
«Ma sí che lo so», egli disse.
Cosí era, infatti. Cercava invano di ricordarsi come
e dove l'aveva conosciuta. Ella sembrò raddolcirsi.
«A maggior ragione, allora. Perché mi hai chiamato cretina? ».
È questo l'omicida? Questo è Sandrino. Le rispose:
«Ho inteso farti un complimento».
«Guardandomi come mi guardavi?».
«Come ti guardavo? ».
«Come se tu mi volessi mangiare».
«Veramente? », egli disse, e tentò di prenderla a
braccetto. «Non senti che freddo? Io tremo tutto».
Ella lo costrinse a fermarsi dopo pochi passi.
«Mica vorrai accompagnarmi sulla porta di casa? », gli disse.
«Non mi ricordavo che tu abitassi da queste
parti ».
«Era come pensavo», ella esclamò. «Non è vero
che tu mi conosci».
E caparbia, ripeté: «Ma perché mi hai dato della
cretina? Non si offende la prima persona che si incontra ».
« Be', ti chiedo scusa», lui disse. «Facciamo come
al tamburello. La prima palla è battuta sul cordino.
Conosci il tamburello? Il nostro incontro comincia
adesso ».
«È come al tennis », ella disse. «Chi serve? ».
«Servo io».
«Lungo? ».
«Certo. Alla Cucelli. Anzi, alla Borotra».
«Io a rete, stile Susanne ».
Poi ella disse: « E il quindici chi lo fa? ».
«Vuoi dire chi lo perde? Lo perde chi manca
una risposta... Allora, Susanne, come ti chiami? ».
«Elena ».
« Sandro».
« Mondei».
« Vergesi ».
« Terza liceo».
«Diploma media inferiore».
«Perché mi hai dato della cretina? ».
«Perché lo domandi ancora? ».
«Quindici. Non hai risposto».
Inavvertitamente, era la fanciulla che camminan-
do, scherzando, lo guidava. Aveva voltato l'angolo,
ed al quadrivio una ventata, gelida, aveva mozzato
loro il respiro. Ella lo prese per la mano e quindi,
staccando la corsa, trascinandolo quasi, lo costrinse
ad attraversare la strada.
«Cambiamo campo», gridò.
Raggiunsero il portone della Posta Centrale, dirimpetto. Vi si introdussero, stretti nel medesimo
scomparto della porta girevole, poi tra il via vai del
salone d'ingresso, urtandosi con la gente.
«Credo che questo tepore ti ci volesse. O sbaglio? », ella gli chiese. « Hai la faccia di un morto.
Non sopporti il freddo? ».
«Mi ha preso allo stomaco».
«All'estero ci sono i campi coperti. Giocano nelle
serre», ella disse, cercando, ma senza piú convinzione, di riprendere lo scherzo.
Egli era stranamente stordito. L'intraprendenza
della fanciulla gli richiedeva una partecipazione a
cui non gli riusciva di rifiutarsi. Era un fatto nuovo,
che lo sorprendeva, e lo invogliava suo malgrado.
Una violenza subita con diletto.
Entrarono nella sala del telegrafo; sedettero sugli sgabelli.
« Riposati, ti gioverà », ella disse. « Forse hai mangiato da poco. Ne soffri? ».
«Mai prima d'ora», lui disse. «Ma è già passato... Sicché, Elena, siamo amici ».
Le prese la mano ed ella arrossí
Egli disse: «Dov'è che ci siamo conosciuti? A
ballare? ».
Ella tolse una penna dal tavolo, faceva un arabesco su un modulo per telegramma. Gli rispose:
«Abito nel palazzo di fronte al tuo, abbiamo le
finestre visàvis ».
«Stavi al davanzale il giorno... Aspetta», si interruppe. Chiese a un vicino di accendergli la sigaretta. Riprese: «Il mattino della fine d'anno? ».
«Credo di sí», ella disse.
« Avevi un golf bianco».
« Questo ».
Si scostò il cappotto, ed egli intravide il suo seno
modellato dal golf, piccolo, alto, di fanciulla. Il ricordo di lei, al davanzale, che si associava al ricordo di Virginia, lo restituí ai suoi funesti pensieri.
«Perché proprio quel giorno? Ti rammenta qualcosa di particolare? ».
«Non di te, di me».
«Dico bene, di te. Che cosa? ».
«Parliamoci chiaro», egli disse, seccamente. «Se
vogliamo diventare amici, non devi farmi delle domande. Ti dirò io quando vorrò essere interrogato».
Ella si alzò, disse: «Non voglio sapere altro».
«Cioè? ».
«Sei un maleducato», ella disse.
E se ne andò.
Egli era rimasto seduto. Avrebbe voluto seguirla,
e non lo fece, ripreso dai suoi pensieri com'era. E
improvvisamente anche piú stanco, quasi che il calore dell'ambiente gli avesse definitivamente troncato
le giunture. Affrontare il freddo lo spaventava. Aveva la testa pesante come le membra. Appoggiò un
braccio sul tavolo e vi reclinò la fronte.
Poco dopo il custode lo scuoteva: «Animo, il telegrafo non è fatto per dormire. Provi nelle sale
della stazione ».
Sandrino si sollevò a fatica, fece alcuni passi verso
l'uscita. Il custode lo richiamò. Gli tese un modulo,
gli disse, ironico:
« E il suo telegramma? Cos'è, dopo averci schiacciato sopra un pisolino, ha rinunciato a spedirlo? ».
Egli prese il foglio distrattamente, ancora tra il
sonno, come se fosse realmente suo. E lo era, siccome era riempito del suo nome e indirizzo. Vi lesse,
subito sotto: « 25791. Elena».
Fuori trovò che nevicava. La neve cadeva fitta e
lenta; aveva già ricoperto le strade, i tetti dei veicoli,
gli ombrelli dei passanti. Poco distante da lui un cavallo scivolò sulle zampe di dietro, rimase seduto e ridicolo, le natiche sulla neve, insensibile al richiami del
vetturino. Piú oltre, un venditore di caldarroste gli
intronò le orecchie col suo grido. Egli camminava riparando la testa tra le spalle, intontito dalla stanchezza e dal freddo. Il sonno, bruscamente interrotto,
gli aveva lasciato la testa ora piú che mai vuota e
pesante. L'aria gelida gli ridestava l'oppressione al
cuore. Provava il bisogno di qualcosa di caldo, di
forte. Pensò di dirigersi verso un caffè che non frequentava da mesi, da quando si era interamente dedicato alla sua avventura con Virginia. Colà aveva
delle conoscenze: vi capitavano i suoi pochi amici.
Blandi amici, tuttavia. L'amicizia era un sentimento
che Sandrino ignorava, di cui la vita non lo aveva
ancora beneficato, ch'egli non aveva fatto nulla per
meritare. Il suo carattere autoritario, intemperante,
scontroso, gli alienava le simpatie, né egli d'altra
parte possedeva la versatilità e la fermezza necessarie
per accentrare su di sé le prerogative di un capo.
Cosí era stato durante l'infanzia, e poi a scuola e
nella sua esperienza di legionario. Di volta in volta
soltanto delle complicità lo avevano legato ai suoi
simili. Anche i tre o quattro amici di caffè erano
giovani di età poco maggiore della sua, che come lui
erano rapidamente riusciti a fare dimenticare di avere appartenuto all'esercito nero. Lo tenevano ostentatamente al di fuori dei loro interessi e dei loro piú
segreti pensieri. Similmente egli li ricambiava: partendo per Milano si era ripromesso di umiliarli, dopo
l'Insurrezione alla quale essi sarebbero mancati.
Il caffè era lontano dal centro dove egli si trovava,
in un quartiere della periferia, nelle vicinanze della
ballera ove aveva condotto Virginia il giorno di
Capodanno. Vi giunse ricoperto di neve e intirizzito. Ordinò un ponce né si sorprese che il cameriere
lo trattasse con un'attenzione tutta particolare. Si
fece accendere l'ultima sigaretta che gli rimaneva.
«Sono stato fuori città».
«Me lo immagino», gli rispose il cameriere. E si
allontanò.
Sandrino tolse dalla tasca il modulo del telegramma, lo considerò con un sorriso. Gradatamente riacquistava le energie, la lucidità e la volontà che gli
erano proprie. Tuttavia, adesso, tra Faliero e lui, che
si sentiva pur sempre deciso ad ucciderlo, v'era quella
fanciulla. Aveva l'impressione che dopo il loro breve
colloquio fosse rimasto qualcosa di non detto, che si
dovevano dire. Ella era la fidanzata che Virginia gli
aveva attribuito: gli apparteneva, dunque, in qualche modo. Tanto gli apparteneva da incontrarla poche ore prima di compiere un gesto oltre il quale
egli stesso si proibiva di guardare per non venir meno
al proprio destino. Elena gli era andata incontro da
sé, lo aveva costretto nel gioco, lo aveva compiaciuto
e distratto: era tornata sui propri passi per lasciargli
scritto il suo numero di telefono. Il che significava
che gli restava amica. E gli restava, malgrado tutto,
sconosciuta. Pensarla, lo accendeva di curiosità, di
allegria quasi. Tra lui e l'ombra che sentiva addensarsi su di sé meditando il delitto, v'erano, piú esattamente, quegli occhi di fanciulla incredibilmente
grandi, spensierati, v'era quella voce ch'era stata via
via risentita ed allegra, saggia ed infantile. V'era
qualcosa ch'egli non conosceva ancora, che lo attirava appunto perché inesplicabile e che sentiva spettargli. Qualcosa di diverso da ciò che egli poteva immaginare: che cioè Elena fosse innamorata di lui,
come Virginia gli aveva predetto. Non soltanto ciò,
qualcosa d'altro, di fascinoso, accompagnava l'immagine di Elena. Nella sua mente stanca ed eccitata dalle piú recenti emozioni, Elena era diventata la
piú forte. Anche per questo si era diretto al caffè,
dove avrebbe trovato un telefono a sua disposizione.
Formò il numero e fu essa a rispondergli. Appena udita la sua voce, gli disse,
«Come va, Borotra? Dormito bene?».
«Mi ha svegliato il fattorino col tuo telegramma»,
egli disse.
«Aspettavo tu mi chiamassi. Mi era rimasto da
dirti una cosa.
«A me pure: che sei bella».
« Sbagli tattica », ella disse. « Cotesta poteva forse
servirti un'ora fa. Ora c'è nevicato sopra ».
«Domani, allora. Col sole».
« Mai piú. Era proprio questo che avevo da dirti.
Di non farti illusioni per il modo in cui mi sono
comportata. È nel mio carattere di essere intraprendente, come è nel tuo di essere maleducato. Maleducato è per usarti un riguardo. Mi senti? ».
« Ti sento, sí. E voglio vederti. Subito».
«Credo non mi vedrai piú. Nemmeno alla finestra, anche se adesso ci farai caso. Ma lasciami dire.
Avevo bisogno di conoscerti, per ubbie mie, private.
Questo è tutto. Principio e fine».
«Vuoi dire che ti ho deluso?».
«No. Mi avresti deluso se ti avessi creduto diverso. Non sapevo nulla di te. Sapevo che a vederti eri
un ragazzo col quale sarei potuta andare d'accordo.
Invece non lo sei».
«Come fai ad esserne sicura? Hai il cervello sbrigativo come la lingua?».
«E con questo? ».
«Mi devi una spiegazione, specie dopo quello che
mi hai detto».
« Cosa ti ho detto? ».
«Che ti facevo, almeno, simpatia».
« Certo, e ora non piú ».
«Già, ma parliamoci chiaro, ora la fai tu a me,
simpatia ».
La sentí che sorrideva. Poi gli disse: «Ti saluto»,
e attaccò il ricevitore.
Egli tornò a formare il numero e subito ella gli
rispose:
«Sei ancora lí? ».
« Dove ti trovi ? », egli disse. « A casa tua ? ».
«Sono da un'amica».
«Dunque uscirai».
«Tardi. C'è Cicerone che ci fa sudare ».
«Chi è? ».
«Come chi è? Non ne hai mai sentito parlare?
Somnium Scipionis... ».
Adesso rideva apertamente, e la sua risata aveva
un'eco.
«Non sei sola all'apparecchio? ».
«Naturalmente, no. Ho un testimone... ».
« Sono io, l'amica», disse l'altra voce. «E lei è
un insolente. Non si tratta a quel modo una ragazza
che ha fatto di tutto per essere presa in considerazione... ».
« Stupida... Ora lui se lo crede », intervenne Elena. «Dammi il ricevitore... Pronto, senti Borotra...
Levatelo dalla testa ».
«Cosa? Non ho nulla in testa».
«Oh, lo sappiamo».
E risate, dall'altra parte del filo. Lui pure, solo,
nell'angolo del caffè, sorrideva. Sentí che toglievano
la comunicazione. Formò il numero di nuovo, venne
l'amica di Elena, all'apparecchio. Gli disse:
«Seriamente parlando, Elena, glielo assicuro io
che la conosco, basta un nulla per darle una convinzione. Non ci torna su nemmeno con le cannonate. Ci rinunzi».
«Ma ho il diritto di rivederla. Stasera stessa. Ora,
immediatamente».
«Lei deve comprendere a volo le persone», commentò la ragazza, con un tono allegro, di commiserazione.
«Dove abitate?», egli insisté.
«Ciao, bello», si sentí dire.
Le richiamò ancora. Attese a lungo, questa volta,
prima di udire una delle due voci. Capí tuttavia che
avevano staccato il ricevitore e lo ascoltavano.
«Elena, dico a te. Dammi la rivincita. Bisogna che
ti parli».
Rivederla era ciò che desiderava. Esistere, adesso,
per Sandrino, significava incontrarsi con la fanciulla
conosciuta appena un'ora prima. Disse:
« Ero nervoso, ero stanco... L'hai visto, mi sono
addormentato. Di scoppio. Ti sembra naturale addormentarsi in una sala del telegrafo come mi sono
addormentato io? ».
«Va bene», gli rispose Elena. «Dormici sopra e
domani ne riparliamo. Io farò lo stesso».
«Ma non potrò dormire, con te in sospeso... Vengo
a prenderti, all'ora che tu vuoi... Ti accompagnerò
a casa». La scongiurò. «Ti prego», le disse.
Ella gli fissò l'appuntamento per due ore dopo.
Sandrino tornò a sedersi; chiese delle sigarette al
cameriere. Costui gliele portò e gli disse il prezzo.
« Segnale in conto, insieme al ponce e alle telefonate. Sono in pari, no? ».
«Il conto è chiuso».
«Come chiuso? Non ho sempre pagato? Non veniamo sempre qui, io e i miei amici? ».
«I suoi amici hanno cambiato locale, mentre lei
era fuori città. Mi spiego? », gli disse il cameriere,
con intenzione, allusivo e minaccioso insieme.
Sandrino pensò che li avessero arrestati; pensò
che essi e non lui avevano saputo mantenersi fedeli
all'Idea.
«Quando li hanno presi? », chiese.
Il suo stupore era cosí spontaneo, la sua faccia
era cosí chiara ed innocente, che il cameriere dubitò
fosse sincero.
«Davvero non ne sa niente? La banda dell'autostrada, i rapinatori, erano loro... ».
Continuava a guardarlo, titubante, poi gli si accostò, gli disse:
«Non so se faccio bene o male. Ma vedo che lei
non si muove, quindi deve avere la coscienza tranquilla... Del resto, lo dicevo al padrone, poco fa,
mentre lei telefonava... Il fatto stesso che lei è qui,
se era uno di loro, se, è lei quello che non hanno
ancora preso, mica tornava al caffè dove si vedevano tutte le sere».
«Allora? », lo incalzò Sandrino.
«Allora, mentre lei occupava il nostro telefono,
il padrone è uscito per servirsi di quello del ristorante e chiamare la Polizia... Lo deve capire, signorino:
è un esercente... Queste sono le sigarette... La interrogheranno, lei dimostrerà che non c'entrava... ».
Sandrino gli tolse di mano le sigarette, lo scostò
col braccio di violenza, infilò la porta correndo. Già,
capeggiati dallo stesso cameriere, piú uomini gli erano dietro, gridavano. Qualcuno dové sparare in aria,
con la rivoltella, un colpo, due. Dunque la Polizia
era arrivata, un secondo dopo il suo scatto. Sentí una
raffica di mitra alle proprie spalle, ma lontana ancora, sufficiente a raggiungerlo tuttavia, s'egli non
avesse voltato. Egli correva, sulla neve, col fiato subito grosso, accecato dalla neve che gli batteva contro
il viso, con l'energia della disperazione, con intere
le sue forze adesso, e le sue gambe, che erano giovani, di atleta. E lo salvarono, miracolosamente per
lui stesso.
Si era inoltrato nel quartiere, nelle sue vie strette
e popolate malgrado la neve. Ad un angolo, dopo
trecento metri nemmeno che correva, e dopo avere
voltato due strade, un vicolo, si era fermato all'improvviso, prima ancora che i passanti potessero rendersi conto del tumulto e capissero che l'inseguito
era lui. Cosí aveva disperso coloro che gli davano la
caccia. I quali si accanirono contro un'ombra in fuga
dalla parte opposta alla sua, quella di un uomo intimidito dagli spari.
XVI
In seguito, commentando l'accaduto, Sandrino diceva: «Conobbi per la prima volta cosa significa
aver paura ». Quella sera la paura era stata tanta e
tale da fargli dimenticare l'appuntamento con la sua
nuova amica. Appena sfuggito agli inseguitori, pensò
solo di raggiungere casa il piú rapidamente possibile.
Richiuse la porta alle proprie spalle e vi si sostenne
qualche istante, per riprendere fiato e ricomporsi dall'emozione. Il suo arrivo richiamò Faliero che era
già rientrato, solo, e lo attendeva.
«Aiutami Faliero», esclamò Sandrino nel vederlo.
Faliero gli impose di tacere, lo condusse in cucina,
gli dette una tazza del tè allora preparato, gli sedé
di fronte come poche ore prima alla Mensa, gli
disse:
«Ti ricordi quanto ti chiamavo vaporino? Ti volevo bene come ad un fratello minore, discolo e da
emendare. Anche ora, malgrado tutto... Dicevo: io
non so ciò che tu hai meditato in queste ore, e che
cosa tu stia per volermi far credere. L'unica cosa
che tu dovresti capire è che non c'è nulla che tu
mi possa dare ad intendere ».
« Quant'è vero Iddio, Faliero. È un miracolo se
sono vivo».
Gli raccontò concitatamente la sua avventura.
«Tu sai che non è vero. Tu sai tutto di me, ora
per ora, quello che ho fatto in questi mesi».
Spiava sul viso di Faliero l'eco che vi trovavano le
sue parole, e che dapprima sembrò un'eco sorda,
ostile.
«Se le cose stanno come tu dici, non hai nulla
da temere », disse Faliero.
Lo guardava lui negli occhi, adesso.
« Presentati alla Polizia e illustra il tuo alibi. Porta
delle testimonianze ».
«Virginia è il mio alibi... Lei può testimoniare...
Siamo sempre stati assieme».
«Sempre è una parola... E del resto, se Virginia
dice la verità, cosa ne risulta? Che hai rapinato pure
lei di tutto quello che aveva... Certo, può testimoniare che l'hai lasciata in vita... Ma dove si trova
adesso? Tu lo sai? ».
« Sono innocente... », ripeteva Sandrino, abbrancava Faliero alle braccia.
«Te lo auguro. Comunque, è strano che tu sia
partito giusto nei giorni, ora che collego, in cui i
giornali riportavano la notizia dell'arresto dei tuoi
amici... Credo che piú della testimonianza di Virginia, ti occorrerà quella del tuo padrone che ti ha
mandato a Milano e dei negozianti di lassú, con i
quali hai trattato l'acquisto dei tessuti... », disse Faliero, spietato nella sua ironia.
Sandrino provava solo allora cosa significa paura.
Ne fu invaso, allagato come una terra su cui si abbatte un nubifragio e i fiumi straripano. Scongiurava
Faliero di aiutarlo. Era un ragazzo che chiedeva pietà. Aveva tuttavia percezione della propria viltà, sapeva di stare mendicando la solidarietà del suo peggior nemico, giusto nel luogo e nell'ora in cui si
era proposto di ucciderlo. Comunque, Faliero vedeva
chiaramente la situazione. Il suo alibi era la sua condanna.
Similmente, lo spavento sopraffaceva la sua ragione. Adesso era veramente la spoglia di Sandrino riversa sul tavolo, la testa tra le mani, posseduta da
una sensazione anch'essa nuova, umiliante ed imperiosa insieme il bisogno di sfogarsi nel pianto.
Ma invano. Il groppo che gli chiudeva la gola e gli
impediva di riflettere, di parlare perfino, invece di
sciogliersi, si ispessiva come se le lacrime ch'egli sollecitava con tutte le sue forze, si solidificassero fino a
diventare pietra dentro il suo petto.
Vi fu un lungo silenzio, durante il quale Faliero
lasciò che Sandrino si dibattesse da solo in quella
crisi che gli poteva essere salutare, tacitamente augurandogli di pervenire al limite massimo dell'angoscia, di avvilirsi e di disperare nella misura piú profonda che la sua coscienza gli poteva consentire. Finché Sandrino rialzò la testa e con la voce spenta,
le braccia abbandonate, gli chiese:
« Che devo fare? ».
«Accorgerti di quello che stai soffrendo», gli disse Faliero. « Il resto sono fesserie. Ho seguito i giornali. Non è te che cercano, naturalmente, ma un
uomo sui trent'anni di cui la Polizia possiede nome,
cognome e connotati. I tuoi excamerati hanno confessato tutto quello che c'era da confessare. Il tuo
nome non è venuto fuori nemmeno indirettamente,
altrimenti la Polizia si sarebbe fatta viva... Tuttavia,
ora, fuggendo dal caffè, tu hai destato dei sospetti. È
necessario ti presenti... Ti accompagnerò... Tu dimostrerai la tua buona fede e, giovane come sei, sarà
facile darti atto del momento di panico che ti ha
preso, dopo le parole del cameriere».
Lo guardò negli occhi, dentro quei suoi occhi celesti che tornavano ad illuminarsi, umili come non
mai, fanciulleschi, gli disse:
«Proprio questa volta che non hai nulla da rimproverarti, ti spaventi?».
Sandrino ebbe un sorriso amaro, un abbandono,
disse:
«Forse proprio per questo». E inconsciamente aggiunse: «Io ho bisogno di inventare per credere in
quello che dico».
Faliero scosse mestamente la testa, anch'egli con
un eguale sorriso:
«Be', in qualcosa dovrai mentire. Per non complicare le cose, credo sia bene tu non accenni al
tuo viaggio a Milano. Ma a me devi dirlo, e subito,
cosa ti ha condotto a Milano, e perché ci sei restato
tre settimane ».
Le parole di Faliero lo resuscitavano; Sandrino richiamava in vita se stesso. Cercò una frase che eludesse la domanda di Faliero e gli desse il tempo di
riflettere qual era la risposta che piú gli conveniva.
«Qualunque sia stato il mio scopo? ».
«Certamente ».
E Sandrino, già del tutto lui, ora che la sua mente tornava a servirlo (ma soprattutto perché temeva
che la verità potesse irritare Faliero e limitare l'intenzione ch'egli aveva di aiutarlo), disse:
« È stato per una donna ».
«Chi é? Dove l'hai conosciuta?».
«È una puttana. Ma mi piace. È l'unica donna
che mi sa capire, tu intendi cosa voglio dire. Si
chiama Kati. L'ho conosciuta quando ero nei marò.
A quell'epoca, era l'amante di un tedesco. Mi aveva
lasciato il suo indirizzo di Milano. Non ho saputo
resistere ».
« E ti ha finito trecentomila lire in quindici
giorni? ».
« Ci siamo dati alla pazza gioia. Le ho regalato
una pelliccia. Me ne pento, ma è stato piú forte
di me ».
«Non te ne penti affatto... Come hai detto che
si chiama? Kati è un nome d'arte, quello vero dico,
non lo sai?».
«Kati sta per Caterina. Si chiama proprio Caterina. Caterina Serpieri».
«Non è piú col tedesco?».
« Come vuoi sia ancora col tedesco... No, è libera.
Batte i caffè ».
«E dove abita? ».
«Perché mi interroghi? Non mi credi? ».
« Sí e no... Ma soprattutto se è no, rispondermi ti
servirà di allenamento, qualora ti trovassi costretto a
dire alla Polizia di essere stato a Milano».
Alla Polizia, poche ore dopo, già rinfrancato qual
era, Sandrino disse invece di non essersi mai mosso
dalla città, e che tutti loro, della banda dell'autostrada, erano semplici conoscenze di caffè, di tavolo
di ramino. L'interrogatorio fu minuzioso, ma facile
facile per Sandrino siccome colui che la Polizia ricercava, l'ultimo componente della banda, era
stato arrestato quella mattina stessa. Persuase la Polizia il fatto che Sandrino si fosse immediatamente
presentato, giustificando la sua fuga dal caffè col
panico che lo aveva assalito di venire linciato, dopo
la rivelazione del cameriere.
«L'hai scampata bella, giovanotto », gli disse il
commissario stringendogli la mano. «D'ora in avanti, se non puoi farne a meno, di giocare, stai attento
con chi giochi».
Egli spalancò i suoi occhi celesti:
«Non si facevano mai piatti superiori a cento-lire ».
E lungo la strada per tornare a casa, sulla neve
che era già alta e continuava a fioccare, a Faliero
che lo aveva atteso, Sandrino disse:
«Ne parlerò io a mia madre, di Virginia e di
tutto. Concedimi due giorni di tempo. Stasera non
ne ho la forza. Casco dalla stanchezza, dopo quanto
ho passato nelle ultime quarantotto ore ».
Faliero lo guidò in un bar e gli offerse l'aperitivo.
«Guardami, Sandrino», gli disse. «Non parlarne ancora a tua madre. Ti do non due giorni, ma
quattro, una settimana perché tu mediti appunto su
quanto ti è capitato in queste ultime ore. Dovrai essere tu stesso a dirmi cosa intendi fare di te stesso.
Nessun riformatorio ti potrà mai riformare come potrebbero farlo, se tu volessi, l'affetto di tua madre e
l'amicizia di veri amici».
« Ti dovrei abbracciare ».
«Aspetta. Non sono disposto io ancora ».
Piú oltre, usciti dal bar:
« Che ne pensi, Faliero, del Torino? ».
«Avevo o no ragione? Nel calcio l'avvenire è delle squadre che giocano col nuovo sistema».
«Eppure il Modena gioca col metodo, all'antica,
ed è lo stesso una bella squadra ».
«Squadra di scarponi».
« Di mastini».
«Ora, appena arrivati a casa, leggerai cosa ne dice
la Gazzetta».
Il giornale sportivo scriveva che il Modena era una
bella squadra, ma dall'avvenire incerto, e Sandrino
era troppo sfinito per contraddire gli argomenti di
Faliero. Si coricò pregando la madre di rimandare
all'indomani la sua curiosità di apprendere fino a
che punto era riuscito a concludere gli affari. (Siccome i giornali ne avrebbero sicuramente parlato,
era stato necessario dirle subito dell'incidente e dell'interrogatorio alla Polizia; e malgrado le si fosse
detto il minimo indispensabile, e Faliero fosse intervenuto a persuaderla, calmarla della sua apprensione
era stato lungo e sfibrante.
Lucia vegliò la notte intera sul figlio addormentato. All'alba si alzò, preparò il caffè d'orzo, destò
Sandrino e porgendogli la tazzina, lo costrinse ad
ascoltarla. Gli disse:
«Ora che hai dormito, dimmi del tuo viaggio».
Aveva il viso affaticato per la veglia e per l'ansia
che l'opprimeva. Il suo sguardo era dolce e smarrito,
atteggiato a una severità dolorosa a sostenere. Poggiava una mano sulle coperte del letto, sopra una coscia di Sandrino, e teneramente gliela stringeva. Gli
mise il proprio scialle sulle spalle, siccome egli si era
sollevato e sorbiva il caffè, con una pausa tra un
sorso e l'altro. Era, agli occhi della madre, un angiolo biondo che sorrideva.
«Dunque, mammina. Milano è una città molto
grande e molto bella, cosí grande che tu non hai
l'idea, dieci volte la nostra. Ci sono delle chiese meravigliose. Il Duomo è altissimo, con in cima una
Madonnina tutta d'oro».
«Lo so, e la conosco, in cartolina».
«Ma a vederla è un'altra cosa... Come la galleria,
non ci si immagina la gente che ci può entrare. I
caffè poi... A Milano c'è un caffè o un bar ogni due
passi. Fanno già la cioccolata buona come prima
della guerra... La periferia, poi, non è come da noi,
un prolungamento della città... Là sono tanti paesi
a sé. Ci si arriva coi tram che hanno i velluti rossi
sui sedili».
La madre lo interruppe: « E i tuoi affari? ».
«Per il momento ho combinato poco o nulla. Ma
ho gettato le basi... ».
« Gli incarichi che ti aveva affidato il tuo padrone,
quelli, li hai conclusi? ».
«Quelli, sí. Flammarione mi dovrà essere grato.
Anzi, se non è tirchio, dovrebbe darmi la percentuale. Conto su questo per cominciare a trattare in
proprio... Tutto sta nel muovere il primo passo».
La madre lo interruppe di nuovo, seccamente questa volta.
«Non dirmi di piú».
La camera era in penombra, rischiarata dalla poca
luce che proveniva dalle persiane accostate. Lucia
dava le spalle alla finestra per cui Sandrino non poteva vederla in viso. Le parlava persuaso della sua
credulità, meditando ciò che avrebbe fatto appena essa se ne fosse uscita. Le parole che essa pronunciò
lo colsero di sorpresa.
Lucia disse:
«Anche qui da noi ci sono i tram. Senza velluti
rossi, ma ci sono. La sera quando mi sento piú stanca
del solito prendo il 19 per tornare a casa ».
« Be'», egli disse. «Cosa c'entra, mammina? ».
« Ieri sera ero ansiosa di rivederti, ed ho preso il
tram. Ci ho incontrato Flammarione e sua moglie.
Dimmi tu adesso, cosa devo pensare? ».
Egli posò la tazzina sul comodino, poi disse:
«E stanotte, scommetto, non hai chiuso occhio».
Ella gli prese le mani tra le sue.
«È la prima volta che mi hai detto una bugia.
Perché? Dove hai preso il salario delle ultime settimane, e i soldi per il viaggio, per trattenerti tanti
giorni lontano da casa? Non ho dormito, stanotte,
è vero. Ed anche ora sono cosí stordita che non ti
so nemmeno rimproverare».
Gli stringeva le mani.
«Dimmi tutto, bambino mio».
Egli le buttò le braccia al collo, l'abbracciò stretta,
la baciò sulle guance. Era sincero quando le disse:
«Non piangere, mamma. Se tu piangi, impazzisco ».
Era sincero e sgomento al pari della madre, forse
sul punto di confidarsi a lei: era un ragazzo che
per farsi perdonare dalla madre le rivela interamente
le sue marachelle, anche quelle che la madre ignora,
affinché essa torni a credergli e, consolandosi della
sua sincerità, a propria volta lo istruisca e consoli. Fu
un attimo, tuttavia, un barlume che mise a nudo la
sua coscienza (come la sera prima dinanzi a Faliero).
per farla subito dopo nuovamente arretrare nel suo
limbo di oscurità e di finzione. E inconsciamente, fu
Lucia medesima, col suo affetto cieco e pietoso di
madre, a lasciare una volta ancora Sandrino solo a
se stesso, proprio nell'istante in cui il figlio le era
vicino come non mai, ed essa a lui, desiderosa di
aiutarlo, di distruggersi per il suo bene. Confusa
dalle sue carezze, Lucia gli suggerí la giustificazione
che desiderava di sentirgli ripetere. Gli disse:
«La colpa è tutta mia. Mi lamento troppo spesso
della vita che faccio. Ti induco a commettere delle
sciocchezze... ».
«Avevo messo insieme dei risparmi, con delle gratifiche che ti avevo nascosto, ecco tutto», egli disse.
«Pensavo di emanciparmi comperando della merce
per conto mio e rivendendola. Invece i soldi mi sono
bastati appena per il viaggio... Troverò un altro impiego, migliore di quello che avevo da Flammarione ».
« Era come pensavo... Vorresti che io non andassi
piú a lavorare... L'hai fatto per me».
Singhiozzava, ed egli dovette calmarla, coi suoi
baci e le sue carezze. Le promise, com'essa gli chiedeva, che non si sarebbe piú lasciato tentare da quell'idea, «almeno fino a quando non fosse nell'età
della ragione». Glielo giurò davanti alla fotografia
del padre. Poi Lucia disse:
«Non è necessario che tu cerchi un nuovo impiego. Flammarione è pronto a riprenderti oggi stesso...
Ho retto la parte. Forse lui non si è nemmeno accorto che io non sapevo».
Egli tornò ad abbracciarla. Rincalzandogli le coperte, ella disse:
« Sulla sedia c'è la biancheria pulita. Nella dispensa, in cucina, troverai la colazione. Riposati fino
a tardi. Nel pomeriggio vai al cinema, ti ho messo
cinquanta lire nella tasca dei calzoni, ma telefonami
appena esci. Ed in serata passa dal negozio, Flammarione ti dirà di rientrare in servizio domattina...
E non lo chiamare Flammarione... Sii cortese, sii
umile, sappi fare».
Sandrino la rassicurò, quindi le chiese se continuava a nevicare.
«No», ella disse. «C'è il sole. E io sono in ritardo. Bruna e Faliero se ne sono andati già da
un'ora ».
Si affacciò nuovamente dalla soglia per dirgli.
«Tu non sai nulla di Virginia... Stasera ne parliamo».
Uscita la madre egli si alzò, rimase a lungo dietro
i vetri della finestra del corridoio, finché dietro i
vetri della finestra dirimpetto apparve Elena. Si intesero a cenni. Dapprima ella sembrò recalcitrante,
poi accondiscese a trovarsi di lí a poco davanti al
semaforo del giorno prima. Sandrino la precedé. Gli
restavano quattro sigarette del pacchetto involato
al cameriere. Ne fumò due nell'attesa.
XVII
Ella giunse, con indosso il suo cappotto rosso, e i
capelli tutti raccolti dentro una sciarpa celeste, girata a turbante sulla fronte e dietro la nuca. Infilata
alla spalla, e pendula sul fianco, aveva una borsa di
pelle, dello stesso colore dei guanti e del turbante.
Cosí acconciata, sembrava stranamente piú alta, « piú
seducente » com'egli si disse nel vederla.
« Ti ho fatto aspettare? ».
«Non importa ».
«È già qualcosa».
«Cosa? ».
« Che tu dica: non importa. Per essere perfetto
avresti dovuto dire: aspettare? Macché».
«Dove andiamo?».
«Devi saperlo tu. Sei tu che mi hai invitato,».
« Passeggiamo? ».
«Purché si resti nelle strade dove la neve è già
spalata ».
«Ti spaventa camminare sulla neve? ».
«Sí, quando non si tratta di sciare ».
« Sei tennista, sciatrice... Che altro sport sai fare? ».
«Nuoto, pallacanestro ... ».
«Sai andare in bicicletta».
«Eh, già».
«Guidare l'automobile».
«Ma è naturale».
«Waterpolo, forse no».
«Direi di sí».
« Immaginiamoci cavalcare ».
«Figurarsi».
« E cuocere due uova? ».
«Diplomata».
«Sollevamento pesi?».
« Be', ora cominci ad esagerare ».
Rise ed egli la prese per la mano. Camminavano
dove la neve era spalata, allontanandosi dal centro
tuttavia. Egli la guidava, ma a caso per lui stesso,
dove i passi lo portavano, contento di starle vicino,
di tenerla per la mano, compiaciuto che ella fosse
risentita e puerile come si dimostrava. E che lo
guardasse, quando lui la guardava, con quei suoi
occhi grandi e furbi che volevano apparirgli diffidenti ed erano pieni di allegria.
«Sei elegante», le disse.
« Volevi farmi un complimento? Allora non si
dice: sei elegante. Una donna è elegante di per sé.
Si dice: grazioso cotesto turbante. Oppure è per il
cappotto? ».
« Anche per il cappotto, per tutto».
«Allora si dice: sei... ».
« Sei? ».
«A seconda di cosa intendevi dire ».
Si erano fermati, stavano l'uno di fronte all'altra,
si sorridevano con gli occhi.
«Sentiamo», ella ripeté. «Cosa intendevi dire? ».
«Che mi piaci».
« Be', dillo».
«Mi piaci ».
«Va bene. E poi? ».
« Ora sta a te... Io ti piaccio? ».
«Cosí e cosí... Meno di quando ancora non ti
avevo parlato, piú di dopo averti parlato la prima
volta ».
« Non ancora abbastanza, in poche parole... Quel
" cretina" ti sta ancora in gola».
«Devo ancora persuadermi che ti derivasse dal
non aver dormito. Ed anche in questo caso non si
spiegherebbe... C'è, sí, il fatto che non mi serbi rancore per averti lasciato ieri sera sotto la neve... ».
«Ah, ah», egli esclamò. «Ti aspettai esattamente
un'ora e dieci. Ero diventato una statua di neve... ».
«Dico, non vorrai mica che entriamo nel giardino? Affonderemmo a mezza gamba, non lo vedi?».
Erano davanti al cancello del giardino, dove egli
aveva giocato durante l'infanzia, dove era accaduto
l'episodio con Bruna, dove Virginia gli portava la
colazione, appena un mese prima. Si sorprese di
ritrovarvisi di fronte, che l'istinto ve lo avesse guidato. I ricordi, subitamente ridestati, lo turbarono.
Il suo volto si oscurò. La sua mano strinse quella
della fanciulla, forte da schiacciarle le dita. Tuttavia
ella non gridò, le bastò guardarlo per intuire ch'era
a se stesso ch'egli usava violenza, non a lei. A lei,
anzi, sembrava richiedere un tacito aiuto. Ella capí
di non doverlo interrogare. La simpatia tutta naturale che l'aveva indotta a curiosare su quel ragazzo
sconosciuto, occhieggiando dalla propria verso la sua
finestra, ed il vago desiderio di conoscerlo che le
circostanze le avevano favorito, diventarono da quell'istante per Elena una certezza affettiva, che la turbò
a sua volta ma che la dispose ad abbandonare il suo
atteggiamento scherzoso per rivolgersi a Sandrino
con altro animo ed una piú intensa partecipazione.
Gli disse:
«Mi fai quasi male, te ne accorgi? », e la sua voce
fu dolce, come comprensiva dello stato d'animo di
Sandrino.
Egli allentò la stretta, ma non le lasciò la mano.
La ricondusse indietro, verso il fiume lí vicino. Le
disse:
«Qui gli spalatori non sono arrivati. Non mi rimproveri di farti camminare sulla neve? ».
«Ora no», ella disse. «Ora stiamo diventando
amici ».
«Non volevo portarti nel giardino. Non so nemmeno io perché mi ci sono diretto».
Cercava di dare una spiegazione a se stesso, parlandole. Credette di avere trovato la ragione e gliela
disse. Le disse:
« Forse è proprio per via della neve. È insolito
che ne cada tanta qui da noi, non è vero? Non
siamo abituati ».
Ella lo incoraggiò: «Vuoi dire che la neve cambia le prospettive? Che non si riconoscono piú le
strade? È cosí. Sono tornata al Sestriere, l'anno scorso d'estate, dopo che c'ero andata anni fa, d'inverno,
a sciare, e il paesaggio era tutto diverso. Non riuscivo ad orientarmi».
Poco dopo sedevano nell'interno del Chiosco Bar,
sul viale, dirimpetto al fiume, ad uno dei due soli
tavolini che v'erano, in angolo, ella dava le spalle
alla vetrata.
«Hai detto che stiamo diventando amici. Significa che ho finito col piacerti? Ma non ho fatto nulla
di straordinario, nel frattempo».
« È stato il modo con cui mi hai stretto la mano».
Allora, e fu inspiegabile a lui stesso, Sandrino provò come un franare improvviso dentro di sé: qualcosa che lo annichiliva e insieme lo scioglieva. Le
sue guance si arrossarono. Ella gli sorrideva, i suoi
occhi erano grandi, belli, tenerissimi a specchiarvisi.
Ed era come se Elena sapesse tutto di lui, e lo perdonasse prima ancora di averlo giudicato, ma nello
stesso tempo gli richiedesse una sincerità ch'egli non
avrebbe mai dovuto tradire.
Ella disse ancora: «Non mi dare spiegazioni. Immediatamente dopo ce ne potremmo pentire, tu di
avermele date, io di averle ricevute. Tu sei indubbiamente un ragazzo strano ed anch'io non debbo esserti apparsa del tutto naturale. Invece credo di esserlo, come tu pure certamente lo sarai. Impariamo
prima a conoscerci. Ti va? ».
«Mi va», gli disse. «A patto che tu non mi lasci piú ».
«È un impegno troppo grosso. Io sono abituata a
mantenere quello che prometto. È l'unica dote che
credo di potermi riconoscere ».
«È anche la mia», egli disse. «Ossia, credevo lo
fosse, fino a ieri. Quando ti ho incontrata avevo in
testa un proposito. Ora sono felice di essermi mancato di parola ».
Ella volle fingere di non avere udito, appunto
perché Sandrino sembrava deciso a dirle ciò che ancora ella non voleva sapere, fosse piccola o grande la
ragione della sua angoscia: e se era insignificante
per non restarne delusa, e se era enorme per non
spaventarsene. Ed a maggior ragione se era comprensibile ed umana, siccome ella aveva ancora da rispondere a se stessa, in che veste e misura sentiva
di doverlo accogliere tra i suoi affetti. Gli disse:
«Sai qual è la maniera piú semplice? Ripigliamo
il nostro incontro al punto in cui ieri ci lasciammo.
Batto io, sei d'accordo? ».
Egli era ormai tutto preso di lei, umilmente, come
aveva cercato di dirle dicendole di non lasciarlo piú.
« Batti a rete, ti prego».
«Ma certo», ella disse. Aggiunse: «Hai finito le
sigarette? Ne ho io».
Avevano sorbito il caffè, fumavano; rari clienti
entravano ed uscivano; i due baristi s'intrattenevano
con la cassiera; la radio trasmetteva dei ballabili. Al
di là della vetrata, v'era un posteggio di taxi; sulla
distesa di neve, nel piazzale dirimpetto al fiume, la
gente sostava alla fermata del tram. Elena disse:
«Non sono una ragazza misteriosa. Sai come mi
chiamo e che scuola faccio. Te ne ricordi? ».
«Elena Mondei, terza liceo. Liceo? ».
«Già», ella disse. « Siccome ho perduto due anni,
come ti dirò. Del resto, te lo immagini. Non si poteva certo andare a scuola coi tedeschi e fascisti. Io
in specie, dopo che s'erano presi mio padre... ».
«Era un comunista?».
« No, non era nulla. Voglio dire che non apparteneva a nessun partito. Era semplicemente un uomo
che amava la libertà. Era uno scrittore. Lavorava coi
comunisti, tuttavia. Li riteneva quelli che facevano
piú cose per ottenerla. Lo presero e non è piú tornato. Non si è piú saputo nulla di lui. Lo portarono
in Germania, era con dei suoi compagni a Mauthausen, poi lo inviarono in un altro lager, chi dice a
Dachau, chi a Belsen, chi altrove, ma nessuno dei
reduci di questi campi, con i quali abbiamo parlato
la mamma ed io, lo ha mai visto arrivare. Tutte le
ricerche sono state inutili. Di sicuro si sa soltanto
che partí da Mauthausen, è accertato che partí, che
non fu ucciso lí, per questo mia madre lo aspetta
ancora ».
«Tu no? ».
«No, io no», ella disse.
Parlava calma, e seria, diversa dalla fanciulla che
egli aveva imparato a conoscere fino ad un'ora innanzi. V'era nella compostezza della sua voce un
distacco che accentuava i sentimenti che le sue parole esprimevano: una fermezza d'animo di fronte
alla quale, e non soltanto per quello che essa diceva,
ma appunto per come lo diceva, Sandrino si sentiva
sempre piú scoperto e intimidito.
«Io no», ella ripeté, «non lo aspetto piú. Nessuno di coloro che partirono con lui ha piú dato notizie. E del resto, non si torna dall'inferno, di mano
ai nazi poi. Le testimonianze dei suoi compagni hanno finito per persuadermi. Mio padre era già debole
di suo. Aveva fatto la fame da giovane, si era rovinato la salute a furia di privazioni; e i suoi compagni che lo videro partire dicono ch'era ridotto pelle
ed ossa, che quando partí sputava sangue da piú giorni. La notte prima aveva avuto un'emottisi spaventosa, ed i suoi aguzzini furono costretti a caricarlo
di peso sul camion, siccome era svenuto sotto il calcio di un fucile... L'immagine che mi son fatta è che
papà sia morto lungo la strada, che abbiano scaraventato il suo corpo in un fossato. Forse qualche anima
pietosa gli avrà dato sepoltura, se non altro per igiene... Non ti spaventare. Per me tutto questo è molto
naturale. Papà stesso sapeva che gli sarebbe andata
cosí. Me l'ha lasciato scritto».
« Cosa ti ha lasciato scritto? ».
« In una lettera, che riuscí a farci avere prima di
essere trasportato in Germania. Era di quattro facciate, due per me e due per la mamma. Ci diceva che
sicuramente non sarebbe tornato, lo sentiva. Nel
carcere, per via delle percosse, gli avevano già riaperto le lesioni ai polmoni... a me diceva che era
giusto che la mamma dovesse piangere e disperarsi,
ma io no, non dovevo perché... Be', se veramente
diventeremo amici ti farò leggere la sua lettera... Ed
anche i suoi libri. Sono come lui che li ha scritti. Io
ho imparato a conoscerlo veramente da poco tempo,
dopo che lui è morto e rileggo le sue storie. Leggendole mi sembra di sentire la sua voce che me le
legge... Era un uomo triste nel suo profondo, ma
pieno di ironia ».
Si arrestò per schiacciare il resto della sigaretta sul
portacenere.
« Perdonami», gli disse. « Ho tanto dentro al sangue mio padre che quando comincio a parlare di lui,
non mi riesce staccarmene piú... Ti dovevo parlare
di me, invece... ».
«È di te che mi stai parlando».
«In fondo, sí», ella disse. «È perché di me non
ho nulla da dire. Cerco di vivere e di comportarmi
come lui mi ha insegnato, e non ha fatto nulla per
insegnarmelo, sai? Era soltanto un mio amico. Veniva a sciare con me, in piscina con me, al concerto
con me, al cinema con me... ».
« E tua madre? », le chiese Sandrino; pensava alla
propria madre, al colloquio che aveva avuto con lei
quel mattino medesimo.
« Mia madre è buona, è debole. È una madre, tu
capisci ? Per lei io non sono cresciuta. Si spaventa
di tutto, di come parlo, di come penso. Ora poi, un
poco mi odia perché sa che io non ho nessuna speranza che papà sia vivo... Ma anche di lei parleremo,
se diventeremo amici».
«Già lo siamo, no? », egli disse, e si riconobbe
trepidante nel farle la domanda. «L'hai detto tu
stessa ».
«Non lo siamo abbastanza », ella gli rispose. Poi
disse:
« Io ho pochissimi amici, forse nessuno di veramente intimo. Ho delle conoscenze, dei ragazzi e
delle ragazze come me, la mia amica che ti parlò
ieri al telefono, per esempio, con i quali scherzo,
ballo, studio, faccio i pettegolezzi, ci scambiamo le
idee, facciamo gli scemi e le persone serie a seconda
delle circostanze, ma dentro, dentro è diverso. Ci
sono dei tasti che toccati una volta per conoscersi
quali siamo, non si toccano piú, non si va a fondo.
Si resta amici, ma si sa che certi argomenti non si
debbono piú toccare. Ci si sopporta e stima a vicenda. Papà diceva: ci si aiuta a vivere. Guai se cosí
non fosse. Ma l'amicizia, diceva papà, l'amicizia vera è un sentimento forte. È un volersi bene spietato,
un guardarsi continuamente negli occhi, lui diceva.
L'amore poi... ».
E fu la sua volta di arrossire, di persuadersi che
stava innamorandosi di quello strano ragazzo, che
non sapeva ancora chi fosse, e che forse aveva qualcosa di oscuro che l'opprimeva. Allora provò il desiderio di conoscere ciò che l'opprimeva, di sapere
di lui tutto ciò ch'egli avesse voluto dirle. Tacque
un istante, offerse a Sandrino e a se stessa una seconda sigaretta, disse:
« Be', credo di aver vuotato il sacco per ora... Vuoi
l'età? Diciotto, circa... Trovi forse che non sono alta abbastanza per la mia età, sii sincero».
«Io ho gli stessi anni tuoi, e al contrario sono
forse cresciuto troppo, che ne dici? ».
«Dipende. Non è la statura che conta. Oddio,
conta anche quella, eccome... Del resto, anche tua
madre è alta quanto e piú di te... La vedevo spesso
alla finestra, fino a qualche tempo fa. Dev'essere un
po' scorbutica, o mi sbaglio? Tutte le volte che accennavo un saluto, si ritirava. Ora non la vedo da
diversi giorni... Sai, nella stanza che dà sulla tua
strada, c'è lo studio di papà. C'è anche il piano, e
io ci passo quasi tutte le ore che sto in casa... Non
mi dire che tua madre non s'è accorta della mia attenzione. Le madri sono tremende, hanno un sesto
senso, in questi casi... Un giorno mi parve ti baciasse apposta, per farmi credere, che so, che invece
di tua madre fosse la tua amante ».
Egli meditò prima di risponderle. Ciò che Elena
gli aveva raccontato di sé, la franchezza con cui gli
aveva parlato, le proprie idee e convinzioni a cui
essa aveva alluso, avevano finito di turbarlo. Ella gli
sollecitava una sincerità alla quale Sandrino sentiva
di aderire, ormai, compiutamente, ma che tuttavia
per un momento pensò di rifiutarle. Fu una lotta
rapida e crudele (stringeva il pugno sotto il tavolo,
le unghie dentro il palmo contratto) che Sandrino
sostenne contro la propria natura abituata al calcolo,
alla finzione, e immediatamente risoltasi a favore dei
sentimenti nuovi, inesplicabili eppur graditi, che
Elena gli andava ispirando. Egli decise di ricambiare
con pari lealtà il suo dono d'amicizia. Piú esattamente, egli credeva di poter placare il tumulto che
lo agitava, soltanto contrapponendo la propria verità
alla verità che Elena gli aveva rivelato. Erano due
verità che assomigliandosi forse si completavano. Di
certo, egli era suggestionato dalla presenza fisica della
fanciulla piú che dal suo eloquio. Intuiva tuttavia di
doversi portare sul suo stesso piano per conquistarla.
Non calcolò la reazione che le proprie parole le potevano suscitare. Questi sentimenti erano in lui tanto
assillanti quanto imprecisi. Egli non aveva ancora
formulato un giudizio su se stesso, comunque adesso
se non era il rimorso, non era piú nemmeno l'orgoglio di ciò che aveva compiuto a determinare il
suo stato d'animo. Ascoltò unicamente il proprio
istinto, il quale gli istigava un desiderio veemente,
morboso, di raccontare ad Elena per intero le proprie
gesta recenti e remote.
Ella ripeté: «Scusami, ma ebbi questa esatta impressione: che essa volesse farmi credere che tu le
fossi qualcosa di diverso da un figlio».
«Infatti», egli disse. «Non era mia madre, era la
mia amante. Ma adesso non lo è piú. È partita... ».
Elena abbassò lo sguardo un istante, quindi tornò
a sorridergli.
«Ne ero convinta... Eri tu che la baciavi come un
forsennato, non lei ».
«Ti ripeto», egli la interruppe. «Non so piú nemmeno dove si trovi... Non mi importa piú nulla di
lei... Mi credi? ».
«Perché non dovrei crederti, se tu lo dici? ».
Ritti al banco, due tranvieri bevevano la grappa;
un ragazzostrillone entrò per consegnare alla cassiera il giornale del mezzogiorno; la radio, attutita,
trasmetteva implacabile la sua musica leggera. Al tavolo dirimpetto, il solo oltre a quello dove sedevano
Elena e Sandrino, uno dei baristi ordinava in tanti
mucchietti i denari delle mance. Essi erano isolati
nel loro angolo, ella con le spalle contro la vetrata,
al di là della quale, parlandole, egli vedeva la distesa
di neve, le case lunghe in fila, interrotte dalle macerie, i taxisti immobili al volante, il rado via vai delle auto e dei pedoni, i tram che prendevano e lasciavano alla fermata il loro carico di passeggeri.
Egli disse, e fu l'ultima considerazione che si concesse:
«Dallo scherzo siamo passati alle cose serie ».
«Se dobbiamo diventare amici», ella commentò.
«Ed è strano che io abbia detto che lo siamo già »,
riprese Sandrino. « Ossia, non è strano affatto, perché sento di essere già tuo amico. In tutti i sensi. Mi
sembra come se fossimo già stati a letto insieme ».
Ella trattenne il fumo che stava aspirando, s'imporporò alle guance. Gli rispose: «Galoppi con la
fantasia... Comunque, perché ti sembra strano? ».
«Perché tu mi hai detto chi sei, e suppergiú come la pensi... Voglio dire che appartieni alla democrazia... Io invece sono un fascista ».
La guardò. Vide che anche adesso, come poco prima, ella non reagí, se non socchiudendo un attimo
gli occhi, quasi si sforzasse di individuare qualcosa
che le appariva in lontananza. Ma subito dopo la
sua voce rivelò la sua sorpresa, ch'ella cercò di mascherare in tono d'indifferenza, appena un poco ironico.
«Ah, interessante », ella disse. « Sei stato fascista
fino a quando? ».
«Sempre, e lo sono ancora. Ora forse piú di
prima ».
« Incredibile», ella esclamò. « È la prima volta
che il mio istinto mi ha tradito».
« Perché sei una ragazza per bene, evidentemente.
E non hai esperienza. Giorni fa, una donna da marciapiede capí subito che ero un exmarò».
«Anche exmarò », ella ripeté.
Aveva appoggiato il gomito al tavolino e il mento
sulla palma della mano. «Ed ora piú di prima»,
commentò, con le sue parole. Poi gli chiese:
«Non stai fingendo, per caso? Mica sarà un modo
tutto tuo speciale di fare la corte? Saresti stupido».
«È la verità », egli disse. « Mio padre era diverso
dal tuo. Commercialista invece che scrittore. Seniore
della Milizia fascista. È morto in Africa, nel '36. E
non stato mai mio amico perché io sí e no l'ho
conosciuto. Non porto nemmeno il suo nome, ma è
come se lo portassi due volte al posto d'una. L'ho
nel sangue come tu hai il tuo ».
Parlando scopriva di chiarire sé a se stesso, accentuava via via la brutalità del proprio linguaggio
persuaso, in tal modo, di avvicinarsi sempre piú ad
Elena. Egli agiva come se il loro amore, cosí come
gli sembrava fosse sbocciato, dovesse rapidamente
fiorire e consolidarsi attraverso la provocazione. Ella
lo ascoltava senza piú dubitare della sua sincerità,
allarmata ma quasi piú di prima, seppure già diversamente, attratta verso Sandrino, per conoscerlo e
capirlo e dare una ragione alla simpatia ch'egli le
aveva suscitato e che non era ormai piú soltanto
quella determinata dalla sua bellezza.
Egli disse:
«Ecco, ora comprendo perché ci siamo incontrati.
Perché abbiamo un destino in comune».
«Un momento», ella intervenne. «Mi pare che
i nostri destini siano talmente comuni da stare ai
poli opposti... La tua storia puoi finirla lí... So che
tu non eri tra coloro che vennero a prendersi mio
padre, ma è come se tu ci fossi stato... Ma c'è un'ultima domanda alla quale ti prego di rispondermi...
Perdonami», aggiunse, con un sorriso di amara ironia « sono cosí fatta. Non riesco a realizzare un pensiero se non ho chiaro il punto di partenza... Si tratta di questo: poco fa dicevi sul serio quando dicevi
che io ti piacevo? Bene. In questo caso, tu stai sempre cercando di riuscirmi simpatico, non è cosí? È
cosí. E allora: come speri di riuscirmi simpatico dicendomi ciò che mi dici?».
La domanda sorprese Sandrino, gli sembrò ovvia
al punto da temere di non averla capita.
« Ripeti, per favore», le disse.
«Voglio dire, se intendi entrare nelle mie grazie,
perché ti riveli immediatamente per quello che sei? ».
« Ma perché tu sei stata sincera, e mi hai richiesto
di esserlo a mia volta ».
«D'accordo, ma tu sapevi che essendo sincero non
potevi procurarmi altro che ripugnanza. Quindi non
è vero che mi volevi, diciamo cosí, conquistare. Al
contrario: quando hai saputo chi sono e cosa penso,
io pure ti ho destato ripugnanza, e ti sei accinto a
dimostrarmelo... Non ce n'è bisogno, l'ho già capito... Questa è la verità. Ora, dimmi che questa è la
verità, dopo di che... ».
Fece per alzarsi, ma Sandrino la fermò premendole
la mano sul braccio. Con un tono basso della voce,
ma violento e nello stesso tempo smarrito, che riaccese l'interesse della ragazza, egli disse:
«Mi vuoi far pentire di non aver barato? Una
delle rare volte, nella mia vita... ».
«Ma cosa ti proponi? », ella insisté, ed ebbe un
accento d'impazienza. «È questo che non capisco».
Si era ricomposta sulla sedia e lo guardava, come
per richiedere al suo viso, ch'era bello e le piaceva,
ancora malgrado tutto le piaceva, ciò che le sue parole non riuscivano a dirle.
«Io non ti ho promesso nulla prima, ed ora poi... »
gli disse. «Nemmeno se tu mi dicessi che hai scherzato. Non ci crederei, ed anche se fosse, ti saprei
troppo stupido... No, stupido non sei... Troppo di
cattivo gusto, per potermi innamorare... Non ho det-
to innamorare, volevo dire... Be', hai perduto la parola? Vuoi fumare ancora? Tieni... Se volevi mettermi in imbarazzo, ecco, ci sei riuscito. E con
questo? ».
Egli depose la propria mano sulla sua appoggiata
sul tavolo. Le disse:
«Con questo è che ti voglio bene, in un modo che
non ho mai provato prima d'ora... Cosa significa
che abbiamo idee contrarie? Io credevo di non dover
rinunziare alle mie per tutto l'oro del mondo, eppure parlando con te mi sembra di parlarne come
delle idee di un altro... Ora desidero soltanto che tu
mi voglia bene... Mi sembra di stare in ginocchio, e
non ci sono abituato», aggiunse. Poi disse:
«Vedi, ieri ho conosciuto per la prima volta cosa
voglia dire aver paura. Mi avevano scambiato per
un assassino e mi rincorrevano. Mi fermai perché
sentivo che le gambe non mi avrebbero portato nemmeno per altri dieci metri, e il fatto di essermi fermato mi salvò. Forse mi salvò addirittura la vita...
Ora, se penso di non poter riuscire a farmi voler bene
da te, provo la stessa paura di ieri. Doppia, tripla...
In questi ultimi giorni mi sono successe un'infinità
di cose, e una si è sovrammessa all'altra da togliermi
la ragione. Non so piú né quello che faccio né quello che dico. Ed ho paura, è cosí, ho paura ».
Ella si liberò della sua mano, per cercare nuovamente i fiammiferi nella borsetta, e perché il contatto, adesso, la turbava. E non, com'essa avrebbe
desiderato, per un senso di repugnanza verso Sandrino. Accendendogli la sigaretta, gli disse:
«Finirai col mettere paura tu a me. Mi accenni
via via a cose sempre piú, come ti devo dire? inconsuete, sí, spaventose, e le lasci a metà... Come se
io sapessi già tutto di te. Nello stesso tempo ho l'impressione che tu stesso veramente non sappia piú dare un corso logico ai tuoi pensieri... Sembra tu cerchi
proprio me per confidarti di qualcosa che ti opprime, una persona che conosci appena... Alla quale
pretendi di stare facendo la corte, come se non avessi nessun altro che ti possa aiutare».
«Infatti», egli disse, e tornò a prenderle la mano. «Non ho nessuno. Nessuno. Ho mia madre, ma
è pressappoco come la tua. Mi perdonerebbe tutto,
anche il peggiore delitto. Ma non mi direbbe mai
una parola che io non sapessi in anticipo che me la
direbbe, nulla di nuovo che mi aprisse il cervello
come oggi ho bisogno di sentirmi aprire, e da me
solo non ci riesco... Ci sono sempre riuscito, ora
no... Se ne parlassi a mia madre finirebbe o addirittura comincerebbe col mettersi a piangere... E allora? Anzi, e con questo? come dici tu. Rimarrei solo
piú di prima ».
Tacque e la fissò negli occhi. Si guardarono a lungo, in silenzio, la mano nella mano. Forse soltanto
allora s'incontrarono.
XVIII
Nevicava da tre giorni e tre notti, quasi ininterrottamente, sulla città e sulle sue macerie. I tram
avevano smesso di circolare, gruppi di sciatori percorrevano i viali e la bassa collina. Un giornale scriveva: « Per i poveri e gli sventurati, la guerra continua ». Nella terrazza, la neve aveva sommerso la
stia. La donna del piano sottostante si era presa la
gallina superstite: l'altra, quella a cui Sandrino aveva imposto il nome della moglie di Flammarione,
era stata uccisa dal gelo.
A Sandrino invece, come per il passato, e come
lui stesso aveva detto a Virginia, la neve gli dava
calore. Certamente egli non ricordava le parole scambiate con l'amante la notte di fine d'anno. Anche
l'immagine di Virginia era sfuocata nella sua memoria, simile ai richiami della strada che giungevano
al suo orecchio attutiti dalla neve. Dopo la notte sul
Capodanno si erano avute giornate miti, col sole,
poi era tornato il vento, il cielo grigio e basso sulle
case, e quindi ancora la neve, questa incredibile neve
di marzo sulla città, che non era piú quella di tre
mesi prima. Aveva un diverso calore. Qualcosa era
accaduto che aveva scosso la sua volontà e umiliato
il suo istinto, determinandogli dei sentimenti comunque nuovi. La paura dapprima, e poi l'amore. Ora,
a questa paura ed a questo amore, egli cercava di
dare una ragione, riflettendo sulle circostanze e intrattenendosi con Elena al tavolo del Chiosco Bar
ove da piú giorni tornavano mattino e sera. (Ella
marinava la scuola; egli aveva ottenuto da Flammarione di riprendere il lavoro con l'inizio della settimana ventura).
Sandrino era ormai persuaso che il suo amore per
Elena doveva identificarsi con lo spavento per il proprio passato: l'amore sarebbe diventato vero amore
soltanto allorché egli fosse riuscito a seppellire il proprio passato «moralmente, nella tua coscienza », come Elena gli diceva. Elena era adesso la sola cosa
al mondo ch'egli desiderasse, non sussisteva altro di
piú importante e immediato. E se per ottenerla gli
occorreva di sacrificare ciò che aveva di piú prezioso,
egli lo avrebbe sacrificato. La presenza di Elena operava quindi, per il momento, soltanto alla superficie
della sua coscienza, i suoi propositi erano tuttora
egoistici, animosi, senonché per la prima volta, ne
fosse o no persuaso, era contro se stesso che Sandrino
li dirigeva. Accanto ad Elena egli si sentiva invadere
da una dolcezza ed una trepidazione nuove, simili
a quelle provate per la madre e tuttavia diverse, che
insieme alla sua ragione turbavano i suoi sensi. Mentre con la madre gli era impossibile avviare un colloquio, parlando ad Elena gli venivano alle labbra
parole che lo inducevano a interpretazioni inedite,
della realtà, che illuminavano inaspettatamente degli episodi su cui egli aveva creduto di essersi dato
da tempo un giudizio definitivo. Egli si spiegava a
se stesso, cominciava a dubitare di se stesso. Dinanzi
allo sconforto della madre, insofferente del suo pianto, Sandrino le aveva detto che le sue lacrime avrebbero finito col farlo impazzire; ora capiva che ciò
sarebbe realmente avvenuto qualora Elena lo avesse
abbandonato. Glielo ripeté, le disse:
«Tu insisti perché io regoli i conti con la mia coscienza. Invece, in certi momenti, a me sembra di
averli da regolare soltanto con te. Voglio dire, che
dipende da te, da quel tuo sí o no che non ti decidi
a pronunciare, se riuscirò a capire qualcosa in quello che mi sta succedendo... Stanotte», le disse, «ho
fatto un sogno. Mi vedevo che ero sonnambulo e
camminavo sull'orlo della terrazza, col vuoto sotto.
Tu mi accompagnavi a un passo di distanza, ma di
dentro la terrazza. Io barcollavo, ero sul punto di
cadere a capofitto sulla strada... Allora mi sono destato. Ecco perché sta a te: puoi darmi una spinta
o trattenermi per il pigiama ».
«Non credi lo stia già facendo? », ella gli chiese.
« Il fatto stesso che continuo ad ascoltarti, non ti
basta? Tuttavia non voglio, come devo dire? non
voglio toccarti. Non voglio correre il rischio di precipitare assieme a te ».
Erano al loro tavolinetto d'angolo, era pomeriggio
inoltrato, il bar acceso di tutte le sue luci, col suo
via vai di gente, di sportivi che alzavano la voce, e
al di là dei vetri la neve che cadeva lenta e rada.
Ella disse: «Tu ripeti spesso "parliamoci chiaro",
soprattutto nei momenti in cui vuoi farmi l'impressione di essere persuaso di quello che dici. Ebbene,
è proprio allora che dici le cose piú confuse, e ti rimangi tutto quello che di sensato ti era uscito di
bocca fino ad allora... Poiché è cosí: sembra che le
parole ti escano di bocca senza che tu le accompagni
col pensiero... Papà diceva che questo è tipico degli
irresponsabili... L'ha scritto in un suo libro, a proposito di una donna dominata dagli istinti. Tutto
quello che le sue emozioni la portavano a fare, le
sue parole erano lí pronte a giustificarlo. Le sue riflessioni, che essa credeva avvenissero sempre un istante prima dei fatti, accadevano in realtà sempre un
istante dopo... Cotesta donna non aveva mai il tempo
di vivere con se stessa, era sempre fuori di sé, specie
quando era piú sola e credeva di riflettere... Ma ora
sto facendo delle citazioni», ella commentò, e sorrise. «È un personaggio che si chiama Nora. Forse
tu sei uguale a lei. Fai il male senza rendertene conto. Come papà ha scritto di Nora, tu pure bruci tutto
e non ti accorgi di dar fuoco a te stesso. È il tuo fascismo, io credo», ella concluse.
« Cosa te lo fa pensare? », egli le chiese. E senza
aspettare la sua risposta, aggiunse: « Forse è vero
che brucio soltanto me stesso, ma sono sempre stati
gli altri a darmi fuoco... Soltanto ora me ne convinco: non ho mai portato in fondo nulla di quanto
mi sono via via proposto. Ed ho sempre pagato per
cento volte di piú di quello che avevo avuto intenzione di fare... ».
«Ecco», ella lo interruppe. «Ascolta ciò che stai
dicendo. Ti consideri tu la vittima... Arriverai a credere di non essere stato nemmeno marò ».
«Sono stato marò, ma non ho mai ammazzato
nessuno... Alla vigilia di cominciare a sparare su
qualcuno mi esplose la rivoltella tra le mani e ferii
me stesso... ».
«Dopo di che», ella scattò, « tutte le rivoltelle e
i mitra, e le bombe e i cannoni dei tedeschi e dei
fascisti scoppiarono allo stesso modo... ».
«Volevo dire che non sono mai stato nemmeno
quello che avrei voluto essere ».
Stava leggermente curvo verso di lei, teneva le
mani tra le ginocchia e lo sguardo fisso sopra il
tavolo.
«È spaventoso», esclamò.
«Davvero», ella disse. «È spaventoso», e guardava i suoi riccioli biondi che sbucavano dal basco e
gli carezzavano la fronte. «Vuoi ordinare un'altra
cioccolata? », gli chiese. Quindi gli disse:
«Ieri sera vennero fuori parole grosse, ti ricordi?
E tu mi dicesti che anche per te libertà e patria avevano lo stesso significato che gli davo io, siccome
anche tuo padre, come il mio, era morto con quegli
stessi ideali... Lasciai cadere il discorso per non salutarti una volta per sempre. Ora mi sento disposta
a riprenderlo, ora che hai detto spaventoso».
«È cosí», egli disse. «Io sono stato nei marò per
difendere la patria, tutti noi fascisti, e i tedeschi, ne
eravamo convinti... Va bene, a parole... ».
« No, no», ella esclamò. E si aggiustò la cinghia
della borsetta sulla spalla, come per raccogliersi e
sentirsi tutta a proprio agio. Gli disse:
« Intendo l'effetto che fanno adesso dentro di te,
queste parole. I giornali che hai avuto tra le mani
in questi mesi, i documentari che hai visto nei cinema, le celle di tortura, le camere a gas, possibile
non ti abbiano fatto riflettere? E se non te ne senti
responsabile, perché tu ignoravi tutto questo, possibile che almeno tu non ti senta tradito? E non ti
sfiora il pensiero che la tua idea di libertà e di patria
la difendessero proprio coloro che stavano dall'altra
parte della barricata? ».
Egli taceva, gli occhi sul tavolo, ed ella gli accarezzava i capelli con lo sguardo. Riprese:
«Voglio portarti un esempio, che credo valga ancora di piú, appunto perché non ci tocca da vicino.
È un episodio che ho appreso in questi giorni, da
una rivista... C'era un paese in Cecoslovacchia, si
chiamava Lidice, poche migliaia di abitanti, un borgo qualsiasi, in aperta campagna, con uomini, donne e bambini ai quali un Chiosco Bar come questo
sarebbe forse sembrato la settima meraviglia della
terra... Ora, in una strada molto fuori dell'abitato
venne ucciso un comandante nazista. Fuori l'abitato,
ti ripeto... Quelli di Lidice non c'entravano per nulla, avevano soltanto la colpa di abitare nella località piú vicina al punto in cui era avvenuto l'attentato... Sai quale fu la rappresaglia dei tedeschi? Fucilarono tutti gli uomini di Lidice, le donne e i bambini superstiti li deportarono e rasero al suolo il paese.
Trasportarono, perfino le macerie, perché non rimanesse traccia che lí era esistito un paese che si chiamava Lidice, e perché non rimanesse nessun segno,
fecero arare la terra e la seminarono a grano... C'era
un altro paese, in Francia, si chiamava Oradour,
questo era sul mare, e fu lo stesso, o quasi. Decine
di altri paesi, in Russia, in Polonia, e qui, in Italia,
e fu lo stesso... Ora tutto questo, lo sterminio, la
crudeltà di avere pensato al resto, non ti offende? Te
come individuo, te che eri dalla parte dei nazi... ».
«Oh », egli disse, « che valore può avere? Se fossi
stato dalla parte di coloro che rasero al suolo Hiroshima, e Colonia, e la nostra città medesima, proprio questo chiosco, che è stato rifatto di recente,
se non lo sai, non dovrei essere offeso ugualmente?
Ed a maggior ragione, siccome è casa mia... ».
Alzò la fronte e la guardò negli occhi. La vide risentita, ostile, tuttavia con un'ombra di turbamento
nelle pupille, che la intristiva.
« Sei un cretino», ella esclamò. « Sono contenta
di poterti restituire l'insulto che mi hai dato... Speri
ti si apra la testa, mi dicesti. Ebbene, ci troverai
segatura. E se ti spacchi il petto, al posto del cuore
scoprirai d'avere non so che ».
«Una pietra... », egli disse, sorridendo.
«Nemmeno, una pietra è già qualcosa con troppo
sentimento ».
Subito dopo credette di avere trovato ciò che gli
doveva dire.
«È come ti ripetevo poco fa: non hai il minimo
senso di ciò che sia verità e di ciò che sia menzogna...
Non capisci che a volte è piú penoso essere giusti
che ingiusti... A volte, anzi, sempre io credo».
Egli le cercò la mano, ma essa la ritrasse. Le disse:
«Sei tu, adesso, ingiusta... Non è vero che io non
mi voglia persuadere... Nessuno mi aveva mai parlato come tu mi parli, da pari a pari... E capisco
soprattutto un fatto: che sia tu che io non facciamo
che ripetere cose che ci sono state insegnate. Perché
non parliamo di noi soltanto? Sei tu che io voglio,
cosí come sei, mi basta guardarti per sapere come
sei... ».
Per un attimo ella sentí come sue le parole di
Sandrino. Era arrossita e dové stringere i denti per
superare l'emozione. Finché riuscí a dirgli:
« Il mio errore consiste nell'avere la pretesa di catechizzarti... Non c'è nessun punto su cui ci si pos-
sa incontrare... Tranne che nello sport», aggiunse.
Poi concluse: «È giusto quindi che non ci si debba
piú rivedere ».
La sua voce era ferma, come il suo sguardo, triste ma recisa. Egli si attaccò disperatamente alle sue
parole, smarrito della decisione che sembrava averle determinate. Le disse:
«Ora non piú. Ora vuoi essere giusta, e ne soffri... ».
«E con questo? ».
«Con questo è che anche tu mi ami... Ricominciamo a parlare di sport, se è su questa strada che
c'incontriamo. Ti va? ».
Ma venne meno egli stesso al proprio invito, siccome disse:
«Anche con Faliero, hai detto che ti è simpatico
dal modo come te ne ho parlato, anche con lui è
discutendo di calcio che stiamo diventando amici.
E appena pochi giorni fa mi proponevo di ucciderlo... Col pugnale, come ti dissi... Immagino accadrebbe lo stesso se incontrassi Luca e la sua banda...
Questo sento di doverlo a te, perché da quando ti ho
incontrata non ho che te in testa, mi fai sembrare
ridicolo tutto il resto... Non pensi che se mi lasci,
quei pensieri mi riassalirebbero tutti in una volta,
potrei farmi prendere dalla disperazione».
Ella gli rispose esattamente ciò che pensava, nondimeno mentre gli rispondeva le sembrò di stare
esasperando il proprio pensiero, o che comunque le
sue parole fossero piú forti del sentimento che in
realtà provava.
« Significherebbe che io non avrei contato nulla
per te... Altrimenti sarebbe proprio dopo che io ti
avessi lasciato che tu dovresti pensare a me piú di
prima ».
«Sí», egli disse, «ma non mettermi ancora alla
prova... Non sono ancora in fiato, capisci? Non ho
il punto di palla... Vedrai, un po' alla volta imparerò il tuo stile... ».
Fu allora che tornarono a sorridersi.
Uscirono, egli la teneva a braccetto, sulla neve,
che era alta e rendeva faticoso e allegro il cammino.
Il cielo era sgombro di nubi, apparivano timide le
stelle; e l'aria era pungente ma gradita, cosí come i
radi fiocchi di neve che raggiungevano i loro volti,
portati da un vento lieve che carezzava i balconi,
le cimase. Una venditrice di caldarroste li fermò
col suo richiamo: era vecchia, grassa, imbacuccata
sotto l'ombrellone verde carico di neve, tutta raccolta sul trespolo che le procurava da vivere e la faceva
scampare dal gelo col suo calore. Riempí ad entrambi
le mani delle sue castagne, e queste erano bollenti,
scricchiolavano tra le dita. Aveva una voce dolce,
cordiale: gli disse che il freddo non li doveva spaventare, poiché erano giovani e li riscaldava l'amore.
Essi la salutarono chiamandola nonnina. Procedettero
al fianco l'una dell'altro, sbucciando le castagne, protestando perché erano dure e bacate quando le trovavano dure e bacate; egli gettava in aria i gusci e li
calciava al volo: ad un certo momento la neve lo
tradí, scivolò, ella lo sorresse e gli evitò la caduta.
«Sei un cattivo terzino, nei tuoi rimandi», gli
disse.
Risero e si ripresero a braccetto, celebri terzini entrambi, «Ballarin e Maroso», com'egli disse, «del
Torino », poiché Elena aveva il cappotto rosso e rossa era la maglia del Torino, anche se il Torino non
era la squadra del suo cuore.
Sembravano tacitamente d'accordo nell'evitare le
strade del centro su cui la neve era spalata, per raggiungere casa. Prendevano le vie strette e traverse,
ove la neve dava alle caviglie, ove ad ogni incrocio
il vento era piú forte e di volta in volta li costringeva
a stringersi al braccio per superare la prima folata.
Girarono attorno al giardino dirimpetto al lungofiume, ed ella si fermò come per riposarsi appena un
istante, appoggiata con le spalle alla bassa cancellata. Gli disse:
«Mi hai raccontato tutto di te. Tanto che non
voglio sapere di piú, anche se ci fosse qualcosa d'altro da sapere. Non per ora, almeno... Ma c'è un'ultima cosa che desidererei conoscere: se fu vera o no
l'impressione che ebbi la prima volta che ci ritrovammo qui, davanti al giardino... Mi sembrò che
questo luogo ti destasse un turbamento, la paura che
poi mi confessasti... ».
Egli la recinse tra le sue braccia, tenendosi con le
mani alle sbarre della cancellata che finivano come
tante picche, l'una accanto all'altra.
« C'è sempre un'ultima cosa che ti occorre sapere,
per aver chiaro il punto di partenza, nevvero? ».
«È cosí » ella disse. « E con questo? ».
Egli imitò la sua voce: « E con questo... parliamoci chiaro... ».
Si sorrisero e Sandrino posò le sue labbra su quelle
di Elena. Fu un bacio casto, fuggitivo ella con le
spalle contro la cancellata, egli che la rinchiudeva tra
le sue braccia, restando coi pugni stretti attorno alle
sbarre che tuttavia li sconvolse, e della cui reciproca emozione né l'una né l'altro vollero darsi un
segno.
Cosí, come se nulla fosse accaduto, di ciò che era
accaduto, e che entrambi sentivano fatalmente accaduto, egli riprese:
«Mi sembrò che tu avessi capito fino da allora...
Dunque, adesso non vuoi soltanto una conferma, vuoi
che te ne spieghi la ragione... ».
«Sí », ella disse. «Anche se all'incirca la conosco
già... Fu qui che avvenne l'episodio con Bruna? ».
«Non soltanto per quello... L'episodio con Bruna
è sepolto, di questo ne sono piú che sicuro... È che
qui ci sono venuto fin da bambino, le due o tre
ragazzette con le quali ho amoreggiato ci ho amoreggiato qui, qui venivo con Virginia... Chiamavo
questo giardino la mia garçonniere, e il fatto di avertici guidato senza volerlo... Poiché già da quel momento sentivo che con te era diverso... ».
Ella gli chiese di baciarla.
Poi gli disse: «Non significa ancora che sono innamorata... Bisogna tu riesca a farmi dimenticare
che dovrei considerarti un nemico ».
E siccome Sandrino taceva, ella aggiunse:
« Ti chiedo proprio ciò a cui credo tu stia pensando: di rinunciare a tuo padre... Tu non l'hai
quasi nemmeno conosciuto, per te è poco piú di
un'immagine, una fotografia, ti ha indicato una strada di cui ti stai accorgendo ch'era sbagliata... Il mio,
per me, e stato una realtà, mi ha insegnato tutto:
dalle vocali sul sillabario ai cristiania sulla neve, e
non solo... Anche il volerti bene, se arriverò a volertelo, lo dovrò a lui».
Poco dopo si salutarono, si dettero appuntamento
per l'indomani. Egli l'aveva accompagnata sul portone di casa. Ella agitò la mano richiudendo la porta
a vetri dell'ascensore, poi questo si mosse portandosi
in alto la sua figura che salutava. Ora Sandrino doveva girare attorno all'isolato per raggiungere la propria abitazione. Preferí indugiare per le strade, voleva godersi ancora un poco, tutto solo, la sua vittoria. Non si chiedeva nulla, né del passato né dell'avvenire, estranei a quel presente cosí intensamente vissuto. Era una creatura persuasa di sé, che stringeva il
mondo nel pugno e lo tratteneva senza sforzo e senza
presunzione. Pensava ad Elena, ed ella bloccava il
tempo con la sua figura. Egli camminava solo, sulla
neve, fumando la sigaretta, e la sua figura lo accompagnava. Ella era stata trepida ed animata tra le
sue braccia mentre la baciava, i suoi baci sembravano promettergli l'appagamento dei sensi che soltanto
Kati aveva saputo dargli. Ed Elena era di certo
vergine, come nessuna delle donne ch'egli aveva
avuto.
Questo pensiero tornò ad intorbidare la sua mente.
Tentò invano di richiamarsi ai sentimenti di tenerezza che Elena gli aveva ispirato onde sfuggire a
quel pensiero che la offendeva, e che tuttavia era
piú forte di lui, gli accendeva i sensi. All'immagine
fuggitiva di Kati si succedeva quella di Virginia
ch'era la donna di cui Sandrino aveva piú a lungo
goduto, e con essa gli si riproponevano alla memoria
le sue effusioni, la nudità di Virginia, la battaglia
ch'egli aveva cinicamente combattuto per debellare
ogni suo pudore, i momenti in cui Virginia era
tutta offerta al suo arbitrio ed egli soffriva di non
poterla distruggere, e le torceva la carne sui fianchi,
la istigava a compiere qualcosa di lubrico, di osceno
ch'egli stesso non sapeva suggerirle. Ora, suo malgrado, egli comparava mentalmente il corpo nudo
ed eccitato di Virginia a quello ancora segreto di
Elena, li identificava, ne subiva il desiderio e l'angoscia. Stringeva il pugno per cercare di arrestare il
fluire delle immagini nella memoria. Staccò la corsa,
sulla neve, per liberarsene. Entrò in un bar, lo stesso
da dove pochi giorni prima aveva telefonato a Bruna,
si chiuse nella cabina, formò il numero di Elena.
Era già piú calmo e padrone di sé, le disse:
«Volevo salutarti ».
«Io pure... Ho portato il telefono nello studio di
papà. Ero qui anche un momento prima che tu chiamassi... Spiavo dai vetri per vederti rientrare... ».
« Ora sono sicuro di amarti», egli le disse. « Qualsiasi cosa accada ».
«Non accade mai nulla a nostra insaputa. C'è
sempre il tempo di accorgersene. Soltanto che a volte
non si può impedire che accada ».
«È una risposta? ».
« Credo di sí... capisco che tu te ne entusiasmi. Io
no, invece. Ero cosí allegra e sicura di me fino a una
settimana fa... Facevo la scema due terzi della gior-
nata e mi sentivo felice... Non ti adirare, ma temo
che tu ti sia preso da me la sicurezza che avevi perduto, e mi abbia lasciato in cambio la tua paura».
«E con questo?... Parliamoci chiaro... ».
«Parliamoci seriamente, piuttosto... Sei proprio sicuro di te stesso? Di poter mantenere quello che
un'ora fa mi è sembrato tu mi volessi promettere? ».
«Tutto quello che ti è sembrato, e molto di piú».
«Per esempio?».
«Non so... Non credo di dover compiere nessuna
azione dimostrativa... Te ne persuaderai giorno per
giorno ».
« È questo che desideravo tu mi dicessi ».
« Anzi no, qualcosa di concreto comincerò a fare.
Parlerò di te a Faliero stasera stessa... Domani scade
la settimana di tempo che mi aveva dato e voglio
dimostrargli che non ho bisogno di proroghe... Lui
e Bruna ti vorranno conoscere. Bisogna ti conoscano... Tu sei il mio alibi... Voglio dire, tu sola puoi
testimoniare che ciò che io gli avrò raccontato non
è una invenzione del vecchio Sandrino».
«Ma esiste un Sandrino nuovo? ».
«Ne dubiti ancora?».
« Sí, perché sento di volerti bene e credo di avere
imparato a leggere dentro di te, anche se in fretta ».
«Aspetta a giudicarmi ».
« È ciò che io dico a te: aspetta a giudicarti ».
« Credo di avere superato la crisi proprio in quest'ultima mezz'ora, dal momento in cui ti ho lasciata, al momento in cui mi hai risposto al telefono».
«Ed esattamente? », ella gli chiese.
«Ti ho, sí, ti ho offeso col pensiero ».
Credette di esserle stato sincero, e si sorprese allorché, rispondendogli, ella fu veramente sincera, cinica
quasi, pure di esserlo.
«Che tu mi desideri è naturale... Hai pensato che
Possa aver baciato qualche altro ragazzo prima di te?
Ma certo che ne ho baciati... O forse hai pensato
peggio ancora? ».
Già da tempo qualcuno apriva e chiudeva la porta
della cabina, per sollecitarlo.
«Ora devo lasciarti... Ma non riflettere su questo...
Ti giuro che il peggio non l'ho pensato».
« Significherebbe che tu mi ameresti come il vecchio Sandrino, se tu l'avessi pensato», ella disse.
Egli uscí dal bar. Sentiva di essere il nuovo San-
drino che Elena gli aveva augurato di essere; e adesso era unicamente all'avvenire che pensava, ad Elena,
che avrebbe fatta conoscere a Bruna ed a Faliero, e
tutti e quattro assieme sarebbero andati la domenica
alla partita di calcio, al tamburello, a giocare al tennis, a sciare. E la mamma sarebbe stata contenta di
saperlo di nuovo dietro il banco di Flammarione, a
misurare le passamanerie, col metro di legno tra le
mani. Dal bar dove aveva telefonato fino a casa il
tragitto era breve, egli camminava spedito, era giovane e i suoi passi erano lunghi, malgrado la neve.
Non ebbe il tempo di dare una forma logica al suo
ragionamento, né di risalire al passato nel corso dei
suoi pensieri. Questi lo assalivano in modo turbinoso
ma allietante, siccome sgorgavano dalla sorgente piú
limpida del suo animo, ed erano ansiosi di vita, d'avvenire. Il passato lo aggredí d'improvviso, sull'angolo
della strada in cui Sandrino abitava. Un'ombra di
donna avanzò di un passo dalla parte opposta del
marciapiede, lo chiamò con un tremore nella voce,
poi piú forte poiché egli procedeva senza averla udita, ripeté una terza volta il suo nome.
« Sandrino fermati».
Questa volta egli la intese, e la riconobbe. Si voltò
di scatto e vide Virginia davanti a sé, raccolta nella
pelliccia, in testa il suo feltro nero, la borsetta sotto
l'ascella. Ella restava immobile a qualche metro di
distanza, sulla neve, con un orizzonte di case e di
neve alle proprie spalle. La sua voce lo aveva folgorato.
Passarono pochi istanti prima che Sandrino le si
avvicinasse, intanto la guardava. Subito egli si sentí
incapace di rifiutarsi alla realtà quale gli appariva:
la sua vita riprendeva il suo corso naturale dal punto
in cui l'incontro con Elena l'aveva interrotta. La presenza di Virginia escludeva Elena, la sopprimeva. Gli
parve di separarsi da Elena come se l'immagine della fanciulla si staccasse fisicamente dal suo fianco per
dileguarsi davanti ai suoi occhi. Il volto di Elena era
triste nel dargli il commiato, bianco come la neve.
«Allontaniamoci di qui», disse Virginia. Era incerta, emozionata. «Ho bisogno di parlarti», aggiunse.
XIX
Camminarono per un lungo tratto in silenzio. Era
già tarda sera e le strade pressoché deserte, con le
case poggiate sulla neve. Nel cielo sgombro e senza
luna, le stelle erano anche piú fitte: la città vi specchiava il suo pallore. Il semaforo sotto il quale Elena
e Sandrino avevano sostato pochi giorni prima era
bloccato sul giallo, occhieggiava ad intermittenza come un piccolo faro sulla distesa di neve. Ad un crocicchio, là dove un'edicola di giornali, spenta e disabitata, creava un'ombra piú fonda, egli la costrinse a fermarsi spingendola bruscamente tra il muro
e l'edicola.
« Ci siamo allontanati abbastanza», le disse.
Virginia restava a capo basso, le braccia strette attorno alla vita, e taceva. Sandrino sollevò il pugno,
lo lasciò ricadere con violenza sull'omero della donna.
«Non ho tempo da perdere», le ripeté.
Ella soffocò un grido. Il colpo, improvviso , l'aveva
piegata sulle ginocchia. Egli la sostenne; quando fu
di nuovo dritta davanti a lui, le vibrò uno schiaffo
sulla guancia.
«Parla», le ingiunse.
Ella sussurrò: «Non ho fatto nulla di male».
«Davvero?», egli disse. «Ti stritolo se non mi
spieghi. Perché sei tornata? ».
«Per rivederti».
Ella era stordita, la sua voce rivelava il suo smarrimento. Ma come era stato aggressivo, crudele, d'un
tratto egli diventò tenero, suadente. Le sollevò il
mento con la mano, le disse:
«Non puoi fare a meno di me, non è cosí? ».
Ella annuí e timidamente alzò lo sguardo sul suo
viso, desiderò di vedere le sue pupille celesti, i suoi
capelli biondi che l'oscurità le impediva di riconoscere.
«Dimmi prima di te, di Faliero», disse.
Egli la rassicurò, poi le chiese:
«Sei mancata per venti giorni... Dove sei stata?
Con chi? ».
«Non ho mai smesso di pensarti né di volerti bene », ella disse. Ed a bassa voce, chinando la testa,
raccogliendosi nelle spalle per sostenere il colpo che
si attendeva, aggiunse: «Non ti ho tradito, te lo
giuro ».
Egli sembrò di non averla udita.
«Come hai vissuto? ».
«Ti dirò tutto... Ma promettimi che mi picchierai dopo, che prima mi lascerai parlare».
«Non ti picchierò né ora né poi... Non ti picchiero mai piú».
«Andiamo in un luogo qualsiasi... Sono in strada
da stamani ».
«Niente», egli esclamò, e subito mascherò di affettuosa impazienza il gesto di furore col quale l'aveva respinta a ridosso dell'edicola. «Voglio sapere
immediatamente, qui... ».
«Fu una paura improvvisa», cominciò Virginia.
«Non me ne rendo conto nemmeno io... Sentii di
dietro la porta Bruna e Faliero che minacciavano di
dividerci, di farci chissà cosa... Tu non c'eri ed io
persi la testa... Scappai... Mi volevo ammazzare...
Dovetti vagare forse tutta la notte, non ricordo piú
Ero sul lungofiume, fissavo l'acqua e non trovavo
la forza di buttarmi giú... Mi pareva di averlo già
fatto, di essere già morta, aspettavo che cominciasse
l'altra vita, vedevo Gesú che aveva la tua faccia...
Ero fuori di me... Lui mi ha raccontato di avermi
trovata svenuta, e che una guardia voleva portarmi
all'ospedale... Lui disse di conoscermi, siccome infatti mi conosceva, chiamò un taxi e mi condusse a
casa sua... Mi ha detto che deliravo... Tornai in me
due giorni dopo, non mi rammentavo piú nulla...
Anche ora non sono capace di ricostruire, di rendermi conto».
Ella parlava, trepidante e sconvolta qual era, come
se Sandrino già sapesse della sua avventura, ed essa
gli dovesse soltanto confermare la realtà di per sé
irripetibile dei fatti. Era ansiosa di liberarsi del ricordo di avvenimenti che a lei stessa sembravano
lontani ed inutili, come un sogno doloroso, ormai
sfuggito alla memoria. Ella cercava piuttosto di rincuorarsi con la propria voce, onde trovare il coraggio
di rivelare a Sandrino il fatto che piú le premeva,
la circostanza cioè che l'aveva ricondotta a lui e che
restava tuttora sepolta nel segreto del suo cuore. Parlava a scatti, con un tono concitato e querulo insieme, alzando e abbassando lo sguardo dal volto di
Sandrino, tutto in ombra, di cui non riusciva a sorprendere l'espressione.
« Mi credi quando ti dico che non mi rendo
conto? ».
« Certo », egli disse. « E lui, questo lui, chi è? ».
«Un avvocato, una persona gentile, ricca... Mi ha
rispettata, ti giuro, si e commosso della mia sventura... Dimmi che ci credi che mi abbia rispettata ».
« Chi è? », egli ripete.
Ella gli disse chi fosse, il suo nome e il suo conome, e della bella casa che possedeva, solo, scapolo,
dove l'aveva accolta e rispettata.
«Lo conosci anche tu... È uno di quelli che giocavano a scacchi, nel nostro caffè... Quello basso,
stempiato... ».
«Testa di morto», egli esclamò.
Stava per pronunciare un'insolenza, e si corresse:
« Una persona distinta... ».
« Una brava persona», ella aggiunse, «fine, educata... ».
Passò una comitiva di giovanotti e ragazze che si
tenevano in fila, l'uno al braccio dell'altro, e cantavano e prendevano a calci la neve. Virginia tacque
finché si furono allontanati, stretta tra il muro e la
edicola, siccome Sandrino le si era fatto addosso per
nascondere lei e se stesso alla brigata. Egli cercava
di renderle lieve il peso della propria persona.
«Scusami», le sussurrò all'orecchio.
Il suo fiato era caldo, la sua voce era dolce: ella
si sentí perdonata. Questo sembrò ristabilire una confidenza tra di loro. Ella riprese a parlare, caotica,
febbrile. Ascoltandola, Sandrino riguadagnava se stesso, timidamente, alla speranza. Per alcuni istanti
pensò che Virginia lo avesse avvicinato al solo scopo
di ottenere da lui la promessa ch'egli non le avrebbe
insidiato la felicità domestica appena riconquistata.
Era la solita Virginia, alla quale il timore di un suo
ricatto velava la ragione. Sandrino fu sul punto di
provarne pietà, di addolorarsi per averla allora percossa ed insultata. Rifletté di avere ancora un lungo
cammino da percorrere, la mano nella mano di
Elena, prima di giungere a debellare il vecchio Sandrino ridesto al primo spiraglio aperto sul passato.
Senonché, di lí a poco, le parole di Virginia lo restituirono al suo stato d'animo di furore e di sgomento insieme.
« Sei venuta per scoprire le mie intenzioni, ma non
ne ho.. Tu sei libera... Non mi vedrai mai piú».
«Allora, non mi credi ».
«Come non ti credo? Ti credo e sono contento
che tu abbia ritrovato la tua strada... Se costui è una
brava persona, ti sposerà, ti farà felice... ».
« Ma l'ho lasciato», ella disse, e in fretta, nuovamente concitata, aggiunse: «Dall'altro ieri, l'ho lasciato... Ho preso in affitto due stanze alla periferia
dalle parti della ballera, ti ricordi? Ho già fatto portare la mobilia, l'ingresso è indipendente... Mi hanno sbloccato il denaro di mio marito, lui, l'avvocato
mi ha aiutata... Potrai aprire un magazzino di tessuti, se vorrai... ».
La mano di Sandrino si serrò sul suo braccio. Ella si piegò sotto la stretta, ma non volle gridare. Lo
supplicò, gli disse:
« Avevi promesso che mi avresti ascoltata... Mi
tieni per sempre, ormai. Non ti potrò piú sfuggire,
nemmeno se lo volessi... No, non lo voglio, non lo
vorrò mai... Perché allora sarei tornata?».
Egli le liberò il braccio; il suo gesto fu brusco,
violento, la riconfisse tra il muro e l'edicola.
«È ancora quello che non ti decidi a spiegarmi».
Ora la speranza lo aveva definitivamente abbandonato, la sua angoscia sopraffaceva il suo furore,
aveva l'impressione di essere legato a Virginia come
se una corda li tenesse stretti ed uniti, con le membra
immobilizzate nei suoi giri. In realtà, avrebbe voluto
colpirla di nuovo, spietatamente, per eccitarsi e sfuggire allo sgomento che lo invadeva, fino a schiacciarla sulla neve, e nondimeno era incapace di farlo, poteva soltanto ferirla con la voce, richiamandosi
alla tracotanza del passato. Le disse:
«Dopo che sei stata venti giorni con un altro,
hai provato nostalgia, perciò sei tornata... Ricordi
cosa di avevo promesso in questo caso? Di strapparti
il seno ».
Un taxi attraversava il crocicchio a passo d'uomo,
lo chauffeur batteva la mano sulla lamiera dello
sportello.
«Prendiamo quella macchina», ella disse. «Come il giorno di Capodanno».
Sandrino la respinse nel suo angolo. Il taxi si allontanò sulla neve.
Egli disse: «Per Capodanno era una carrozza, ero
romantico allora, e tu non eri ancora una puttana... ».
« Sto per crollare».
«Meglio cosí... Io me ne andrò e ti troveranno
morta assiderata».
Ella era esausta e si teneva per le spalle contro il
muro. Pronunciò la frase senza meditarla, cosí come
il sentimento gliela portava alle labbra, disse:
«Non morirei sola».
Tacque, quasi spaventata delle proprie parole e
insieme contenta di averle pronunciate, ora che le
aveva pronunciate.
«Pensi che al tuo avvocato, aprendo il giornale,
gli verrebbe il crepacuore? Oppure che sarei io a
morirne, per il rimorso? ».
Quanto piú egli era ironico, tanto piú adesso ella
si sentiva audace.
«Qualcuno che morirebbe con me, nello stesso
istante ».
Sandrino non capiva ancora, non capi finché Virginia non glielo disse con la frase piú propria, che
era incinta di lui e che ne era stata dapprima terrorizzata e poi felice. E nemmeno dopo che Virginia
glielo ebbe detto egli fu capace di realizzare l'idea,
la quale gli sembrava impensabile, assurda, e che
tuttavia lo annichiliva, lo inchiodava nuovamente coi
piedi sulla neve, lo respingeva nel profondo della
sua angoscia, senza piú volontà né determinazione.
L'immagine di Elena apparve e disparve alla sua
mente, inghiottita dal rombo che adesso gli torturava le orecchie.
Virginia gli aveva messo le braccia attorno al collo, gli disse:
«Dapprincipio non me ne resi conto, credevo, tu
capisci, poi mi sono fatta visitare... Dové essere subito, forse proprio la notte sul Capodanno... L'ostetrico dice che non lo si può ancora affermare con
certezza, ma io ne sono ormai sicura, lo sento».
Egli avvertiva il contatto dei suoi guanti, freddi,
piú freddi dell'aria, dietro la nuca. Ora che l'oscurità gli era familiare, si vedevano l'un l'altra in viso.
Ella parlava e cercava il suo sguardo, desiderava
sempre piú di specchiarsi dentro le sue pupille. Gli
disse:
« Non voglio costringerti a nulla... Gli darò il mio
nome... Mi basta che tu lo riconosca davanti a me...
Ho di nuovo del denaro, forse anche tu ne hai ancora, non importa se non ne hai piú... Ne ho io per
tutti e tre, e per qualche anno... Finché tu mi vorrai. Se poi mi vorrai per sempre... Ora, quando tu
mi dovessi lasciare, nulla mi farebbe piú paura...
Non ti deve dispiacere. Appena tu lo vorrai, sarò io
a scomparire. Ma posso darti ancora tutta me stessa...
Mi vuoi sempre un po' di bene? Me ne vuoi di
piu o di meno, adesso? Cosí poco da non darmi un
bacio?
Gli cercò la bocca e Sandrino si lasciò baciare.
«Dimmi qualcosa, non mi merito nemmeno una
parola? ».
«Sei una sciagurata», egli esclamò.
Si sottrasse alla sua effusione prendendola per i
polsi e lasciandole ricadere le braccia con violenza.
«Vuoi trascinarmi a fondo con te», aggiunse, incerto, siccome lo sgomento lo prostrava. Poi disse:
«È una tua trovata, per intenerirmi e farti perdonare... Ed anche se fosse vero, non è mio... Sei
stata venti giorni con un altro uomo».
Il tono della sua voce dava a Virginia il coraggio
di potergli replicare e quasi la certezza che Sandrino la contrastasse per mascherare la propria commozione.
«Non mi ha toccato, nemmeno una carezza... E
se pensi che ti abbia tradito, rifiuta me, non il bambino... Il bambino come puoi rifiutarlo? ».
Ella si staccò dal muro, lo prese a braccetto, s'incamminarono. Sandrino si faceva condurre, guardava la neve sotto i suoi piedi, anche piú bianca
nell'oscurità: aveva gli occhi pieni di quel bianco
che gli accecava gli occhi e il cervello. Virginia lo
sospinse dentro una porta a vetri illuminata. Il calore dell'ambiente li stordí entrambi, la luce ed insieme un effluvio intenso di fiori. Ella scoppiò in
una risata, tanto piú irrefrenabile in quanto Sandrino
sembrava tardare a rendersi conto e la interrogava
con lo sguardo.
Era un negozio di fioraio. La commessa potava
il gambo a delle rose, passandole di vaso; gli si fece
incontro, simulando di partecipare della loro allegria. Siccome Virginia oppressa dalle risa si era appoggiata allo stipite della serra a muro, la ragazza
si rivolse a Sandrino, gli presentò la rosa che teneva
in mano, spiritosa e gentile gli disse:
« Colte adesso, sotto la neve... Non va? Allora,
un fascio di mimose? Orchidee, per la signora?».
Egli era interdetto, quindi si sentí ridicolo, avvampò e subito lo assalí l'ira. Scostò la ragazza che gli
era dinanzi, e piú brutalmente ancora scosse Virginia agguantandola per il braccio. Ella era tutta presa
d'ilarità, la sua violenza riuscí appena a ridurle l'empito delle risa. Mentre Sandrino la trascinava sulla
strada, Virginia agitò la mano verso la ragazza:
« Credevamo fosse un caffè», le gridò. «Il vetro
era appannato ».
Appena fuori, il pugno di Sandrino la raggiunse
allo sterno, benché attutito dalla pelliccia le mozzò
le risa e il respiro. Ella si morse le labbra per il dolore, ma non ne dette altro segno. Si ricompose e
poi gli disse:
«Hai ragione, mi sono comportata come una bambina».
Avevano raggiunto il centro della città, animato
delle sue insegne luminose, dei passanti e delle auto; una squadra di spalatori notturni apriva dei camminamenti tra la neve; gli strilloni gridavano le
ultime edizioni. L'aria aveva temperato il suo rigore
ed il cielo, col suo stellato, prometteva un indomani
di sole, forse il timido annuncio della primavera che
si distendeva sopra l'ultima neve. Entrarono in un
bar e si servirono all'impiedi, come Sandrino le
impose.
«Non sopporto la luce», egli disse. «Ed anche
la gente, stasera, mi dà noia».
Volle un liquore, che fosse forte e dolce; lo bevve
d'un fiato e gli venne da tossire. Ora Virginia poteva
goderselo di nuovo con gli occhi e accumulare tenerezza nel proprio cuore. Egli conservava il cipiglio che in altre circostanze l'aveva sgomentata,
ma adesso no: nelle sue pupille v'era un che di stupefatto e di ansioso che addolciva la sua espressione.
Ella chiese una tazza di latte: era bollente e la ristorava. Respirava profondamente, tra l'uno e l'altro
sorso.
«Mi sembra di rinascere», commentò. « È come
se ogni sorsata mi si tramutasse in sangue».
Sorrise, poi ripeté:
«Ho camminato tutto il giorno, in su e in giú coi
facchini, nei negozi, per sistemare la casa... Ho dovuto chiamare l'elettricista, siccome vicino al letto
non c'era la presa. Vedrai che belle lampade ho
comperato per i comodini... Ho comperato anche...
non te lo volevo dire. Doveva essere una sorpresa».
Desiderava che Sandrino la sollecitasse a parlare;
e Sandrino la interrogò come lei desiderava, ma distrattamente.
«Cosa? ».
«Prova a dire».
«Non saprei, un oggetto?».
«Sí e no. Comunque, un oggetto grande... Non
un mobile tuttavia ».
Questo gioco accentuava l'avvilimento di Sandrino. Virginia lo aveva legato al suo destino. Essa si
sentiva rinascere allo stesso modo in cui lui si sentiva finito. La sua presenza lo riportava alla condidizione che gli era stata propria fino a pochi giorni
prima: di ragazzo discolo, da emendare, secondo la
definizione piú garbata espressa da Faliero, di irresponsabile, come Elena gli aveva detto. Il ritorno di Virginia, la paternità ch'essa gli attribuiva,
avevano ristabilito questa situazione: ribellarsi significava riprendere la lotta per evadere dal cerchio
che si era nuovamente chiuso attorno a lui, ed egli
non aveva piú né forza né volontà di lottare. Destituito di ogni proposito, Sandrino si affidava alle circostanze: non cercava piú né di prevenirle né di determinarle, le subiva ormai. Compiaceva Virginia
nel suo gioco con la condiscendenza di un complice;
e nell'amarezza che lo angosciava, quasi era preso
di lei, le si avvicinava come per ottenere un conforto.
Nello stesso tempo ripeteva a se stesso una frase di
Elena, improvvisamente riaffioratagli nella memoria:
«Mica si scappa da noi stessi... Papà diceva che ci
si porta sempre dietro, come portiamo il viso. E tu
vorresti già essere un altro, con tutto quello che hai
ancora di scoperto dietro di te». La sua mente affannava irresoluta attorno ad un discorso che gli sembrava già concluso.
Virginia lo richiamò al gioco, gli disse:
«Prova ancora ».
«È un buffet... Se hai due stanze, una l'adatterai
a salotto e camera da pranzo».
Avevano lasciato il bar, ed ella era felice che Sandrino si dimostrasse incuriosito. Si allontanavano
dalle vie centrali, tornavano nella distesa d'ombra e
di neve delle strade secondarie, verso la periferia e il
capo opposto della città, incontro al fiume. Era lei
che insensibilmente decideva il cammino, con un
senso inconscio ma volontario di ripercorrere quelle
stesse strade che erano state loro familiari appena due
mesi prima, dove avevano passeggiato ogni giorno,
mattina e sera, avendo di volta in volta, come meta,
il caffè ed il giardino.
«È una radio», ella disse. «Mi terrà compagnia
quando tu non ci sarai e prima che lui nasca... Imparerò le nuove canzoni... Tu non sai che... », sorrise, aggiunse. «Sono intonata, ecco».
Era allegra, felice, ritrovava forse per la prima
volta compiutamente, dopo tanto tempo, la spontaneità che doveva esserle stata propria.
«Vero che non fa piú freddo? La neve pare perfino finta... Come nella Bohème», commentò. Poi
disse: «Guarda la sala d'aspetto del capolinea... Ti
ricordi di quel giorno che pioveva?».
Vi si diressero. Il luogo era deserto, nella strada
che furono costretti ad attraversare la neve era quasi
intatta, e cosí sul marciapiede della pensilina, fin
dentro la sala, appena rischiarata da una lampadina
incastrata nel soffitto.
«Qui non c'è né gente né spreco di luce», ella
disse. «I tram non camminano da stamani».
Ripuliva il sedile del velo di neve portatavi dal
vento.
«Perciò è sempre aperto qua dentro», aggiunse
guardandosi attorno, « perché non c'è nulla da portar via. Anche le panche sono infisse al muro».
Egli si sedette, le mani nelle tasche del cappotto,
il mento sul petto, e taceva. Ella gli si mise accanto,
e dopo qualche istante di silenzio, gli disse, con
altra voce:
«Facevo cosí per darmi un contegno... So che tu
adesso mi devi rimproverare ».
Egli le rispose ciò che in quel momento pensava
di lei, con le prime parole che gli vennero alle labbra, ma che tuttavia facevano parte di un suo preciso
pensiero, e quasi dolcemente, per cui la durezza che
v'era nelle sue parole sembrava recare implicito un
affettuoso perdono:
« Mi chiedo soltanto come puoi essere tanto irresponsabile... Alla tua età, e nelle tue condizioni...
Non sembri piú una bambina, ma qualcosa come
una pazza».
«Mi hai voluto ricordare che non ho il diritto di
sacrificare la tua esistenza... Certo, sarò una vecchia
quando tu sarai un uomo nel fiore della vita, ma
ancora non e cosí... Se ancora mi vuoi, finché mi
vorrai », ripeté.
Egli taceva, e Virginia stessa capiva di stare parlando a se stessa piú che a lui:
« Io ti sarò sempre grata, comunque deciderai...
Tu mi hai dato soltanto gioie, fino a questa che ho
in seno e che è la piú grande di tutte... Era lo scopo
della mia vita quando credevo che la mia vita avesse uno scopo, la famiglia... Adesso lo è diventato
piú che mai... ».
Sandrino seguiva il suo commento e insieme il
corso dei propri pensieri.
«Perché sei tornata, allora, perché? Se quell'avvocato ti voleva, perché non sei rimasta con lui,
forse ti avrebbe presa anche cosí, o avresti potuto
abortire... Avresti avuto un nome, una bella casa».
Ella trasalí e d'improvviso le si inumidirono gli
occhi, piangeva serenamente, tuttavia, cosí come parlò, subito dopo:
«Abortire è uccidere, cosa credi? No, non mi è
passata per la testa un'idea simile, ed ora mi rendo
conto del perché... Sarebbe stato come uccidere te... ».
«E poi, non sei pazza», egli disse. Quindi aggiunse: «Del resto, a quel tuo avvocato, gli potevi
far credere che eri rimasta incinta di lui... Per un'altra donna sarebbe stata una cosa da nulla».
«Dunque, non vuoi credere che non mi abbia
toccata ».
Egli accendeva una sigaretta, riparato nel cavo
delle mani ove teneva il cerino, le disse:
«Bastava tu ti facessi toccare... ».
«Oh», ella esclamò. « Ora mi fai anche piú paura... Finora le cose tremende che mi dicevi, me le
dicevi durante l'amore o mentre mi picchiavi; ora
invece sei calmo, sono cose che pensi veramente».
«Che ti ho detto di tanto orribile? ».
« Ciò che hai detto».
Le lacrime le scendevano adesso lungo il volto, ella
le arrestava portandosi le dita sotto gli zigomi.
«Avrei dovuto darmi a lui, sapendo di avere in
seno una creatura concepita con te».
Sandrino sorrise, e per un momento ritrovò il suo
cinismo, la sua antica ironia.
«Parli di seno e di concezione come nelle preghiere... Non ti senti per caso una Madonna? Perché in questo caso io sarei il Padreterno».
La guardò e soltanto allora si accorse che Virginia
piangeva. L'improvvisa baldanza non lo sorresse: si
era tutta esaurita nella volgarità delle sue parole. Egli
ricadde nello stato d'animo di poco prima, nell'abulia che l'apparizione di Virginia gli aveva determinato, e dentro la quale il loro recente colloquio aveva finito per radicarlo. Provò soltanto fastidio del
suo pianto, e non pensò di imporsi a lei con la violenza, bensí fingendo una comprensione che nemmeno lui capiva piú se interamente simulata.
«Accetto le tue condizioni», le disse. «Finché
mi piacerai ti resterò vicino... Poi vedremo che reazione avrò di fronte a questo figlio, per adesso non
me lo so nemmeno immaginare».
L'attirò a sé e la baciò sulla bocca. Di lí a poco,
ella si era appoggiata col capo sul suo petto, già
tutta e di nuovo pacificata, uno sconosciuto apparve
sulla soglia. I suoi passi erano stati silenziosi sulla
neve, ed essi si accorsero di lui solo dopo che fu
entrato.
Era un uomo indefinibile per l'età, ma visibilmente un accattone, rinvoltato in uno stinto cappotto da
militare, con in testa una bustina dello stesso tipo,
ed a tracolla un saccapane altrettanto logoro e rappezzato, come il cappotto e come le scarpe, e rigonfio.
Dapprima sembrò non vederli, raggiunse il sedile
all'altra estremità dell'ambiente e subito vi si distese, collocandosi il saccapane sotto la testa. Poi
disse:
« Non buttate cotesta cicca, giovanotto. Lanciatela
dalle mie parti».
Sandrino cosí fece. Intanto si era alzato, insieme a
Virginia. Gli dettero la buonasera. Ma lo sconosciuto li richiamò, dicendo:
« Buonasera è troppo poco. Questa, da una certa
ora in avanti, non e piú dell'Azienda dei tram, è
casa mia. Mia e di altri che ancora devono arrivare.
Mi dovete pagare il fitto della panca».
Quindi, prendendo le poche lire che Sandrino, sospinto da Virginia, gli porgeva:
«Dico, compagno, mica ti sei offeso? Tu capisci,
si fa per farsi coraggio. È una naia che dura da sette
anni. Cinque in India. P. W. nove, cinque, sette,
tre, 9573, se vuoi giocarli al Lotto... E non accenna
a far giorno, non balugina una luce di lavoro», e si
rivoltò sull'altro fianco.
Gli gridò ancora dietro:
«Dico, compagno, se volete restare mica mi date
noia... ».
Essi già non lo udivano piú. Sandrino sosteneva
Virginia per il braccio, e badavano dove posavano i
piedi, sulla neve. Raggiunsero il marciapiede dirimpetto, e lei disse:
«Quando ci vediamo?».
« Domani, naturalmente», egli le rispose.
E subito, lo possedé una certezza che nemmeno in
seguito Sandrino seppe spiegarsi compiutamente, ma
che tuttavia era stata cosí propria al suo stato d'ani-
mo da apparirgli perfino ovvia, rivelatagli dalle sue
stesse parole. Appena ebbe detto «domani», gli sembrò assurdo che potesse venire il domani, col sole magari, le strade senza neve. Impossibile che potesse
sorgere il nuovo giorno, e baluginare una luce. Da
quel momento le sue parole furono logiche, assennate, remissive, anche, ma estranee al suo intelletto.
Similmente, dal suo spirito era assente ogni velleità,
ogni sentimento. Egli era ormai esorbitato da se
stesso, tutto immedesimato nel pensiero che il mondo
sarebbe finito quando quella notte fosse finita. Ascoltava Virginia, le rispondeva, ma di vivo in lui v'era
unicamente la paziente attesa di un evento che non
lo riguardava nemmeno piú tanto egli vi si era arreso, disposto a subire le parole e i gesti che le circostanze gli avrebbero via via richiesto. Che Virginia
gli avrebbe richiesto, poiché essa, con la sua presenza, aveva bloccato il tempo e doveva quindi volgerlo
alla sua soluzione. Sandrino le si affidava.
«Accompagnami altri due passi», ella disse.
«Prenderò un taxi al posteggio... Pensi lo troverò? ».
«Forse, ma ti chiederà un'enormità».
« Che importa... Ho già speso un patrimonio in
questi giorni, per la casa... Domani devi aiutarmi a
fare i conti... Poi bisognerà decidere se i soldi li lascio
in banca o tu preferisci investirli... Ma una certa
cifra mi occorrerà averla a disposizione ».
«Ti bisogneranno tante cose».
«Soltanto per il corredino... ».
Si stringeva a lui, con la spalla sul suo petto, ed
egli la teneva al braccio e la sosteneva. Ella gli chiese, timidamente:
«Tu non hai piú niente? ».
«No, niente ».
«Non voglio sapere... Ti andrà meglio un'altra
volta ».
Ora la strada sboccava su di un largo, con la lampada ad arco che lo illuminava e dirimpetto, affondato nell'oscurità e nella neve, c'era il giardino, recinto dalla sua bassa cancellata. Il luogo era deserto,
l'insegna del posteggio sembrava infissa nella neve.
«Con questo tempo, i taxi faranno il servizio di
notte? Dove potremmo chiedere? A quel caffè là in
fondo? ».
«È una farmacia », egli disse.
Ella rise e gli si appoggiò con la fronte sull'omero.
«Ne facevo un'altra delle mie, come dalla fioraia».
« Andiamo ad informarci?».
« No, proviamo ad aspettare qualche minuto, chissà... Mettimi un braccio attorno alla vita, mi riscaldi».
Era piegata su di lui e gli porgeva la faccia.
«Mi pensavi spesso? Come mi pensavi? ».
«Come eri... Come sei ».
«Io sempre, anche nei momenti che piú mi credevo decisa a dimenticarti... Ma poi ho capito perché
ti ricordavo, per quello che mi avevi dato e non lo
sapevo ancora ... Ecco il taxi ».
« È una macchina privata».
L'auto passò davanti a loro, rallentando alla voltata, e sparí. Ella tornò a lasciarsi sostenere dalle braccia di Sandrino che la cingevano torno torno alla
vita. Lo guardava ed al chiarore della lampada ad
arco, ravvivato dal riflesso della neve, vedeva il suo
volto metà in ombra metà in luce, calmo, dolce, che
la inteneriva.
«Povero il nostro giardino», ella disse, « sotto la
neve ».
L'assalí un pensiero improvviso: il ricordo dell'episodio raccontatole da Bruna, accaduto lí, su una
di quelle aiuole sepolte sotto la neve. Ma non volle
dar segno del proprio turbamento. Temeva di irritarlo, adesso che Sandrino si dimostrava cosí buono
con lei, e la teneva sul suo petto, abbracciandola alla
vita. Disse:
«Perché non andiamo a dargli un saluto, sia pure
dal di fuori? Ti ricordi il giorno in cui ti feci la
sorpresa dei cachi? ».
Attraversarono lo spiazzo, e Sandrino disse:
«Fu lo stesso giorno che poi venne a piovere».
Giunsero dinanzi alla cancellata, in un punto distante appena pochi metri da quello ove poche ore
prima Elena gli aveva chiesto di baciarla.
«E il giorno prima, ti ricordi? Avevi vinto la
scommessa delle dodici paste».
Ella si sporgeva sulla cancellata.
«La neve è molto piú bassa di quello che credevo... Guarda, anche al buio s'intravede la nostra
panchina... Qui, tra i due alberi... L'ombra piú
grande è quella della vasca, una delle altre, la seconda a destra.
«Uhm, uhm», egli annuí.
Virginia si voltò, affidandosi con le spalle alla cancellata, tra l'una e l'altra delle sbarre che finivano a
forma di lancia, giusto all'altezza della sua testa,
come aveva fatto Elena. Istintivamente egli la rinchiuse dentro le sue braccia, stringendo le mani alle
sbarre.
«Mi commuovo come una sciocca», ella disse. E
quindi, con un'ironica, affettuosa amarezza nella voce, aggiunse: «Alla mia età, e nelle mie condizioni,
mi comporto come non si comporterebbe nemmeno
la ragazzina che ti faceva la corte dalla sua finestra ».
Egli non provò nessuna emozione a quelle sue parole, tuttavia sentí che le proprie mani si tenevano
piú saldamente alle sbarre della cancellata, avvertí un
afflusso di energie in tutta la persona, come un'improvvisa, oscura coscienza delle proprie forze.
Virginia aveva riversato la testa all'indietro, la poggiava sulla cima di una delle sbarre, in un abbandono
che compiva il suo stato di grazia, per cui anche il
premere lieve della punta acuminata della lancia contro la nuca le era gradito.
La penombra, lí, era piú fitta, e l'ampio largo deserto nella sua distesa di neve, con in fondo il globo
rosso ed acceso della farmacia.
Virginia disse: «Quante stelle, vedessi... Il tuo
padrone le conosceva a una a una, doveva essere un
uomo felice... Guarda quella com'è bassa, com'è luminosa... ».
Sandrino era piegato su di lei, attratto dal suo volto, dalla sua voce, col senso di precipitare assieme a
lei in quell'oscurità senza fine; e ad ogni istante sempre piú accresciuto della propria forza, come se fosse
il pallore del volto di Virginia, il suono della sua
voce a dargli un'energia sempre maggiore. Ed erano
i suoi occhi, che adesso vedeva anche piú bianchi del
suo viso e della neve, rivolti in alto, ad attirarlo in
un'intenzione amorosa, di attimo in attimo sempre
piú intensa, a fargli nascere il desiderio improvviso,
lancinante di schiacciarli, di cancellarli quegli occhi,
con le proprie mani.
Ella disse, e furono le sue ultime parole:
« Se tu non mi lasciassi, potrei restare qui tutta la
notte, a guardare le stelle come una bambina, infilata per la testa... ».
Le mani di Sandrino si serrarono sulle sbarre come
draghe, con la stessa, graduale, implacabile intensità.
E d'un tratto, esse, le sue mani, sentí che gli esplodevano, agivano da sole, strinsero Virginia alle mandibole e, cariche di tutta la loro forza, le riversarono
la testa ancora piú indietro, di colpo, da conficcarle
la lancia nella nuca. Contemporaneamente le sue
gambe si erano serrate sui fianchi di Virginia, e la
immobilizzavano. Ella gettò un grido, non piú umano, che risuonò come un feroce, disperato grugnito.
Egli si trovò la testa di lei inerte tra le mani, e il
suo volto scoperto, con gli occhi piú grandi e piú
bianchi, rovesciati. Il corpo della donna si afflosciava
sotto la stretta, trascinava in basso la testa come per
sottrarla alla sua morsa. Egli la sollevò di nuovo e di
nuovo tornò ad appiccarla, due volte, tre volte, quattro volte ancora, finché la testa gli sfuggí dalle mani
viscide di sangue e Virginia rimase infissa alla sua
croce. Egli arretrò di un passo e per un lungo istante
rimase immobile a fissare l'amante ancora in piedi
davanti a lui, col mento eretto, le braccia pendule
sulla pelliccia, un fantoccio che gli offriva la gola.
Ai suoi piedi c'era la borsetta nera, come deposta
sulla neve.
Quindi Sandrino si abbassò di spalle, lentamente,
sui talloni, tuffò le mani nella neve, le lavò con
calma, con attenzione, passando le unghie dei pollici
dentro le unghie delle altre dita, spiando ai due orizzonti sulla distesa di neve. Pochi minuti dopo, mentre già egli aveva raggiunto il marciapiede dirimpetto e là, nell'ombra, Virginia si faceva un piedistallo del proprio sangue, con gli occhi inutilmente
sbarrati a scoprire le stelle un taxi si arrestò davanti al palo del posteggio. Lo chauffeur sporse la
testa verso Sandrino che era venuto a trovarsi all'altezza della macchina. Egli proseguí senza rispondergli, voltò l'angolo, ma non fuggí, accelerò il passo
e piú oltre si fermò. Dette fuoco ad alcuni cerini per
accertarsi se i suoi abiti fossero macchiati di sangue,
e con l'ultimo, rassicurato, accese la sigaretta.
Allora, riprese il cammino, imboccando il viale su
cui era passato poco prima al fianco di Virginia. Si
sentiva liberato d'ogni angoscia, quieto e leggero come non mai. La sua ragione era felicemente assopita,
il suo cervello ospitava soltanto le immagini che apparivano concrete davanti ai suoi occhi, come se i
suoi pensieri si formulassero all'unisono col paesaggio. Ecco, egli aveva da percorrere una strada lunga
e diritta, tutta oscurità, tutta neve, a capo della quale,
lontanissima e tuttavia visibile, da toccare s'egli avesse allungato una mano, c'era Elena che gli sorrideva.
FINE
Napoli, inverno 1947.
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