Un eroe del nostro tempo « Taluni lettori vorranno forse conoscere la mia opinione sul carattere di Piciórin... La mia risposta è il titolo di questo libro ». LERMONTOV, L'eroe del nostro tempo PARTE PRIMA I Nella terrazza le donne avevano steso delle corde per appendere la biancheria. Accosto al muricciolo v'era il pollaio di Virginia, col tetto di lamiera e il graticcio di rete; sul parapetto la cassetta di terra ove Faliero coltivava i pomodori. La cucina era grande abbastanza perché le donne potessero avere ciascuna il suo fornello, e un tavolo sul quale appoggiare gli utensili, la spesa. Era gente a cui la guerra aveva tolto la propria casa, o che una casa propria non aveva mai avuto. Tre famiglie in uno stesso appartamento, a un ultimo piano che il vicinato gli invidiava, per la terrazza soprattutto, e perché vi stavano agiati, due a due com'erano. Con in piú questo: che la terza famiglia, composta di una sola persona, nemmeno si poteva chiamar tale. Di essa i vicini dicevano: «La signora del pollame». «La repubblichina». Non sapevano altro di Virginia, se non che era vedova e che il marito glielo avevano fucilato i partigiani. Ella viveva sola, appartata: il suo ostentato cordoglio eccitava le immaginazioni. Era alta, bionda, col seno pieno e gli occhi chiari: bella per gli uomini, e superba per le donne. Veniva da un paese della campagna, da una famiglia di piccoli proprietari. Quindici anni prima, adesso ne aveva trentatré, costruivano un ponte nuovo sul fiume, dirimpetto alla sua casa. Dirigeva i lavori un ingegnere di quarant'anni, alto, dalle tempie tutte bianche e il fare spigliato. Egli le pose gli occhi ad- dosso e si sposarono. Le dette una casa in città, con l'orto, il bagno. Ella viveva del suo affetto, della sua soggezione e della casa, in attesa del bambino. Invece del figlio era venuta la guerra. Lui era già anziano, non andò soldato. Ella era contenta. Lo fu fino al giorno in cui i nemici bombardarono il suo paese, proprio il ponte sul fiume, e i suoi genitori rimasero uccisi. Quel giorno ella si vesti di nero: un lutto destinato a durare dentro il suo cuore come nel colore dell'abito. Quando finí il fascismo, per rinascere subito dopo, suo marito cambiò da cosí a cosí: ella non sapeva ancora spiegarsi. Tutto in lui diventò diverso, anche la voce. Stava giornate intere fuori casa, vestito da fascista. («Dunque non era piú al Genio Civile?». Nei dieci anni di matrimonio, Virginia non si era mai permessa di interrogarlo). Una notte egli non rientrò; l'indomani si combatteva per le strade. Lo rivide su una tavola mortuaria, dentro degli abiti che non erano suoi, la testa sfracellata. Poi ella dovette lasciare la sua casa. Coloro che vi subentrarono le avevano trovato quella camera in subaffitto, all'altro capo della città, un mondo nuovo. Erano passati sei mesi e ad essa sembrava ancora di vivere « sollevata da terra », l'aveva detto al confessore. Non riusciva a raccogliersi col pensiero. Aveva tentazioni assurde, e piú forte d'ogni altra, quella di recarsi al cinematografo. Della sua casa era riuscita a salvare la mobilia della camera da letto e, chissà come scampata alla razzia, una parte del suo pollaio. Ci fu una risata ed un applauso allorché arrivò nel nuovo quartiere, con in braccio le due galline. Una donna disse: «Rispettate il lutto». « Ha gli occhi ancora gonfi di pianto», disse un'altra. E un'altra: «Lacrime di coccodrillo». Ecco, ovunque ella andasse, anche in un mondo per lei ignoto fino ad allora, la gente le sarebbe stata ostile. Ella ne era sempre piú stupita ed offesa. Trovò un'istintiva difesa accettando la propria solitudine : Nei giorni che seguirono, in chiesa, per le scale, nei negozi, alcune donne le si erano avvicinate, con un'espressione consolante sotto la quale ella credette intravedere cattiveria e ironia. La sua naturale timidezza si era trasformata in sospetto, in terrore. Anche con gli inquilini dell'appartamento, i suoi rapporti si limitavano al saluto. Di ciascuno, origliando, ella aveva imparato le abitudini. Sbrigava le pro- prie faccende quando essi dormivano. Del resto, la piú parte della giornata ella restava sola in casa, con la cucina intera, e la terrazza, a sua disposizione. Nella camera accanto alla sua abitavano una madre e un figlio giovanetto. Virginia seguiva i loro colloqui attraverso la parete. Sapeva ormai tutto di essi: della loro povertà e dell'irrequietezza del figlio che la madre chiamava Sandrino. Il ragazzo era commesso in un negozio di tessuti. Virginia non lo aveva mai visto. La madre, invece, la conosceva: era una donna dimessa, con la voce querula e lo sguardo dolce. « Mi scopro anch'io cosí sola, a volte», le aveva detto costei offrendole la propria compagnia, che Virginia aveva rifiutato. «Vado a servizio e torno che è già buio. La mattina esco appena fa giorno, mi sente passare per il corridoio? ». Certo che la sentiva. Il suo sonno era lieve. Bastava il suono di una campana, lontanissima tuttavia, a destarla. «Non mi chiami signora», le aveva detto la madre di Sandrino. «Mi chiami Lucia. E non si privi di chiedermi qualcosa, se le serve». Poi le aveva detto: «Il mio ragazzo fa rumore quando si alza? La disturba? ». Se faceva rumore, il ragazzo! Ma era il rumore di un ragazzo, l'unico che non la costringesse a sussultare. Egli cantava, appena alzato. Attraverso la parete Virginia lo seguiva ogni mattina, dal momento in cui si destava al suono della sveglia che la madre gli caricava uscendo. Virginia lo udiva lavarsi e cantare, frugare nei cassetti, spostare le sedie, percorrere il corridoio, e poi sbattere la porta sulle scale. Allora, andatosene Sandrino, ella restava sola in casa fino al pomeriggio inoltrato. Gli altri due inquilini erano già fuori da qualche ora. Erano una coppia di sposi ed occupavano la camera con le finestre sulla strada. Un meccanico ed un'impiegata. Le si erano presentati pochi giorni dopo il suo arrivo, di sera tardi. Bussarono alla sua porta e Virginia si finse addormentata. Tremava. Insistevano, e dove farsi viva. «È soltanto per le presentazioni», disse il giovane. Si capiva che si stava divertendo. La sposa lo rimproverava a bassa voce, anch'essa frenando l'ilarità. Disse: «Non si impressioni, signora. Ci sono anch'io, e sono donna». Virginia si vestí, prima di introdurli. Tirò su le coperte e ravviò la camera. Il giovane, dal corridoio, disse: «Faccia pure il suo comodo. Noi ci siamo seduti». Ma appena le furono dinanzi, erano diventati seri ed impacciati. Si tenevano per la mano. Le parvero incredibilmente giovani, la ragazza in specie. Lui era sbarbato e pettinato lustro: era in maglietta e pantaloni corti corti in modo assurdo, con le cosce bionde e pelose. Le ripeté: «Volevamo fare la sua conoscenza. È dei nostri da una settimana e se ne sta sempre chiusa in camera». Chiese il permesso di accendere la sigaretta. La sposa gli lasciò la mano per infilarla attraverso il suo braccio. Virginia cercava di sfuggire i loro sguardi. Non sapeva cosa rispondere e temeva per ogni parola che potesse uscirle di bocca e comprometterla, in qualche modo. Il giovane disse: «Io sono Faliero. Questa è mia moglie». «Bruna», disse la ragazza. E lui: «Di cognome Susini, ma non ha importanza ». Quindi, accendendo la sigaretta, aggiunse: «Già, è questo che volevamo dirle. Lei non deve credere di trovarsi tra dei nemici. Forse qualcuno può averle riferito quali sono le nostre idee, ragion per cui lei è portata ad immaginare... Invece, no». La ragazza lo interruppe. Si staccò dal suo braccio, si fece avanti di un passo, disse: «Sappiamo soltanto che lei è sola. Se dobbiamo vivere nella stessa casa, bisogna diventare amici. Perché la sera non mangia al tavolo con noi, in cucina ? ». Virginia si era seduta; aveva il petto oppresso. Non udiva la ragazza, bensí le parole di Faliero l'avevano colpita, «come una martellata», dove c'è il cuore. Ora era certa che nella stanza dirimpetto alla sua abitavano dei nemici, forse proprio uno di coloro che avevano ucciso suo marito. Teneva la testa bassa e le mani in grembo: vedeva attraverso una nebbia quelle cosce bruciate dal sole, con la peluria bionda, fitta. Poi si era accorta che la ragazza le porgeva un bicchiere d'acqua. Il giovane era uscito. «Ci dispiace di averle procurato un'emozione», le disse Bruna. «Volevamo tutt'altro». Virginia l'aveva guardata in viso. I suoi capelli erano castani, lunghi, retti da un nastro legato sotto la nuca, gli orecchi scoperti, gli occhi grandi, scuri, addolorati, e le braccia nude ed esili, il seno sciolto sotto la camicetta. Per un istante aveva provato il desiderio di abbandonarsi al pianto tra quelle braccia, quel viso, che le ispiravano consolazione. Ma immediatamente aveva ricordato che la ragazza era la moglie di colui che aveva detto di chiamarsi Faliero, «un partigiano». Di nuovo l'aveva assalita il terrore, l'ansia di difendersi da un pericolo. Si era alzata, rigida nella persona, incapace di parlare: andava con lo sguardo dalla ragazza alla porta ch'era rimasta socchiusa. La ragazza aveva posato il bicchiere: «Io vado, signora. Non la importuneremo piú. Si convincerà da sé che siamo brava gente», le disse. Cosí erano passati sei mesi, un'estate torrida, un autunno piovoso. L'inverno si annunziava gelido, con la prima neve. Ed era accaduto qualcosa di terribile e di dolce insieme che aveva sconvolto l'animo di Virginia recandole una gioia inattesa, sconosciuta finora, e che nello stesso tempo aveva trasformato il suo terrore in un'angoscia d'altra specie, piú profonda. Ossessiva. In apparenza ella conduceva la sua solita vita solitaria, chiusa nel suo cordoglio come nel suo abito di vedova. Tuttavia i rapporti con gli altri inquilini, pur limitandosi ancora, nei rari incontri, alle frasi di convenienza, si erano distesi; non v'era piú, nel suo atteggiamento e nel tono della sua voce, quella superbia che mascherava il timore. Adesso la sua persistente laconicità, la sua stessa misantropia, avevano acquistato un che di umile, di patetico, da suggerire la melanconia piú che il disprezzo o il timore. Le sue attenzioni non erano piú riservate unicamente al pollaio ed ai mobili della propria camera; lo stesso velo nero non le ricadeva piú dal cappello sulle spalle; un tenue rosso le ravvivava le labbra. Ma ancora i suoi occhi erano spesso gonfi di pianto, le sue visite al cimitero erano ancora lunghe e frequenti, la sua solitudine ugualmente irreducibile. Usciva dalla sua camera allorché la casa si era fatta deserta e Bruna, ch'era la prima a rientrare, sulla sera, già ve la trovava rinchiusa: la salutava passando per il corridoio e ne riceveva le notizie che riguardavano lei e Faliero, se ve ne erano: la posta, l'imbasciata di un amico. Anche con Faliero si scambiavano il saluto, attraverso il corridoio. Avevano cominciato loro, ed a Virginia era sembrato dapprima pericoloso, poi soltanto scortese non ricambiarli. Coi giorni, coi mesi, la sua voce era diventata cordiale. Faliero si annunciava dal pianerottolo, col ronzio che faceva la moltiplica della bicicletta. Una volta, involontariamente, era stata Virginia a dargli per prima la buonasera. Faliero si era fermato nel corridoio, aveva detto: «Brava. Quando si deciderà ad onorarci? ». E lei, Virginia: «Prima o poi», gli aveva risposto. Questo era accaduto in settembre. E siccome spesso, al mattino, Faliero non faceva in tempo a recarsi in terrazza, era Virginia che segretamente innaffiava la cassetta ov'egli coltivava i pomodori. Ora, seppure non credesse ancora ch'essi le volessero bene, come dicevano, sapeva tutto anche di loro. Sapeva come Faliero e Bruna si erano incontrati, perché si erano incontrati; sapeva che i tedeschi avevano arrestato Faliero. l'avevano torturato e lui aveva subito le torture zitto, finché i suoi compagni partigiani erano riusciti ad organizzargli l'evasione; sapeva che Bruna, con quei suoi occhi e quelle braccia, aveva attraversato in lungo e largo la città, nascondendo gli esplosivi dentro la borsa della spesa. Chiusa nella sua camera, i segreti della casa venivano a lei. Della sua vicina di stanza, Lucia, Virginia sapeva che un uomo l'aveva messa incinta e poi le aveva confessato di essere già sposato: aveva continuato a mantenerli, lei e il bambino, fino a quando era scoppiata la guerra in Abissinia, e c'era morto. Ora il ragazzo aveva compiuto sedici anni, si chiamava Alessandro come il padre, Sandrino tuttavia, e Virginia lo aveva conosciuto. Era suo amico. II Virginia conobbe Sandrino il giorno in cui essa compiva trentatrè anni. I ricordi l'avevano sopraffatta tutta notte, e piú di ogni altro quello di un suo compleanno di bambina, di quando aveva nove o dieci anni: si era ammalata di difterite e sembrava dovesse morire. Il giorno del suo onomastico il padre era rientrato con un regalo: una bambola che le misero sotto le coperte e che l'indomani fecero sparire, siccome nel delirio la bambola le aveva fatto paura. Gliela restituirono durante la convalescenza, coricata dentro una culla celeste, col baldacchino. La conservò sempre, da giovanetta e poi da sposa; aveva preso l'abitudine di farle un vestitino nuovo e di cambiarle pettinatura ogni stagione. Con gli anni la culla aveva perduto il baldacchino. Suo marito le diceva: «Quando avremo un figlio, ne sarai gelosa». Ora non l'aveva piú con sé. Di ritorno dall'aver sepolto Ezio, suo marito, trovò la casa saccheggiata. S'erano presi tutti gli oggetti di valore, ed anche la bambola. La culla era rovesciata in un angolo, azzoppata. Allora, durante la convalescenza, era stata ansiosa di far vedere la bambola alle sue amiche, soprattutto a Lisina, la figlia del fattore, ch'era la sua vera amica. Poi seppe che Lisina era morta per il «gruppe». Quel ricordo in specie l'aveva tormentata tutta notte. Era come se si sentisse di nuovo strangolare, ardere dalla febbre e prossima a morire, sola, chiusa nella sua camera, tra nemici che non le avrebbero dato un bicchiere d'acqua per aiutarla. Un bicchiere d'acqua, sí, e poi si sarebbero congedati. Le avrebbero detto: «Me ne vado, signora». Si era appena assopita che la destò il suono della campana; attraverso la parete sentí che Lucia lasciava il letto. Quindi aveva udito Sandrino gridare contro la madre, con quella sua voce forte, di adolescente irritato e pieno di sonno: «Possibile che tu mi debba svegliare tutte le mattine per dirmi addio? Hai caricato la sveglia, dunque, come posso fare tardi al negozio?». Anche Bruna e Faliero se ne erano poi andati. Virginia stava pettinandosi alla specchiera; si scaldò il caffè sulla macchinetta a spirito, ravviò la camera. Passò un'ora e suonò la sveglia, al di là della parete. Ella tese l'orecchio. Le piaceva sentire Sandrino muoversi e cantarellare. Ma non lo voleva conoscere. Le piaceva seguirlo segretamente. Adesso anche lui le dava timore, e se i suoi rumori e la sua voce non la facevano sussultare, tuttavia le procuravano turbamento. Dopo l'episodio di una settimana prima, origliare dietro la parete, sapendolo solo nell'altra stanza, le era gradito e insieme le repugnava. Una settimana prima, era suonata la sveglia e Virginia si aspettava di sentirlo alzarsi. Invece c'era stato un lungo silenzio. Lei si era avvicinata alla parete. Dal silenzio, al suo orecchio in allarme era pervenuto il cigolio del letto, e poi, sempre piú intenso, il lamento di Sandrino, la sua gioia conclusa con delle grida strozzate. Lo udí lavarsi, frugare nei cassetti, percorrere il corridoio. Allora, con un'ansia di cui non seppe mai rendersi conto, si era precipitata alla porta, aveva tolto la chiave e messo l'occhio alla serratura. Si aspettava di vederlo uscire assieme ad una donna, anche se era assurdo pensarlo. Aveva visto appena le sue gambe, gli stinchi fasciati dai calzettoni, e per un attimo la sua mano, la destra, una sigaretta accesa tra le dita. Era solo, e Virginia se ne intenerí; si scoperse a sorridere davanti alla specchiera. Ora, al mattino, era con una curiosità sempre piú morbosa e un sempre piú combattuto pudore ch'ella lo spiava attraverso la parete e quasi, ogni mattina, con un senso di delusione, siccome l'episodio non si ripeteva. E da una settimana ormai, allorché egli raggiungeva il corridoio, una forza irresistibile la spingeva al suo osservatorio, trattenendo il fiato, una mano sul petto, inginocchiata. Cosí quel mattino in cui compiva trentatré anni. Era suonata la sveglia e Virginia si era accostata al muro, il pettine tra i capelli. Trascorse mezz'ora senza un segno di vita al di là della parete. Dubitò ch'egli se ne fosse andato, ma era impossibile che le fosse sfuggita la sua presenza nel corridoio. Piuttosto, questa volta il suo lamento era forse tanto segreto da fondersi col silenzio? La curiosità di Virginia si espandeva di respiro in respiro. Divenne un'agitazione che ella non sapeva piú dominare, come il battito del cuore. Aveva le guance avvampate, e tuttavia rabbrividiva. Il ragazzo poteva sentirsi male: solo e svenuto, incapace di chiedere aiuto. O soltanto non aveva udito la suoneria. Bisognava svegliarlo, evitargli di arrivare in ritardo al negozio, l'avrebbero licenziato; e i rimproveri della madre, la punizione. Virginia sollevò una sedia e la lasciò ricadere vicino al muro. Attese, le mani strette e premute sul petto. Ripeté il gesto e il rumore. Inutilmente. Tolse di sotto il portafiori il piatto di metallo e lo gettò a terra: il fracasso le sembrò echeggiasse nella casa intera. Bussare al muro non voleva, Sandrino si sarebbe sentito in dovere di risponderle e interrogarla. Tuttavia, pochi minuti dopo già batteva con le nocche sui parati, lievemente, e poi piú forte, con lunghe pause che accrescevano il suo orgasmo. Si faceva una colpa del ritardo di Sandrino; ne soffriva come di una propria leggerezza le cui conseguenze avrebbero potuto essere irreparabili. Poi l'idea ch'egli fosse stato colpito da un malore le sembrò la sola possibile; l'angoscia patita durante la notte tornò a dominarla. Ricordò che la difterite assale d'improvviso: ella si era svegliata con una gran febbre, una grande prostrazione, incapace di parlare. Non pensò piú a se stessa, alla propria condizione. Pensò che al di là della parete c'era un ragazzo moribondo e abbandonato. Uscí nel corridoio, raggiunse la porta della camera di Sandrino, e ad ogni passo le aumentava la certezza: non ebbe piú né titubanza né timore. Girò di colpo la maniglia, aperse. Egli stava appoggiato con le reni al davanzale della finestra, e sorrideva. Disse: « Benvenuta ». Ella cadde riversa sulla soglia. In seguito ella si disse che riaprendo gli occhi era diventata un'altra donna. La vedova Virginia, accorsa per recare aiuto ad un ragazzo sofferente, avrebbe agito diversamente vedendosi burlata: si sarebbe, almeno, alzata furibonda dal letto in cui Sandrino l'aveva adagiata, e rinchiusa nella propria camera per dare sfogo alla disperazione. Gli sorrise, invece. Gli disse: «Ti sembrano scherzi da fare?». Egli le sedeva di fronte, sulla sponda del letto. Disse: «Vuol bere? Scelga: acqua o caffelatte. Non c'è di meglio a disposizione». Ella lo guardava; per prima cosa pensò che doveva essere forte se l'aveva sollevata da terra e stesa sopra il letto. Forte lo era anche all'apparenza. Un uomo, quasi, per la larghezza delle spalle e del torace. Il maglione che aveva indosso lo modellava. Ma la faccia era la sua, di ragazzo, con quel che di patito e di tenero proprio dell'adolescenza. L'ombreggiatura agli angoli della bocca sottolineava la femminilità dei lineamenti, meravigliosamente armoniosi. Aveva la fronte alta, gli occhi grandi e celesti, il naso diritto, delicatissimo, dalle narici leggermente rilevate. Gli orecchi appena staccati e rosei; la bocca piccola, ancora di bambino, con le labbra del colore di sangue vivo. V’era nella sua espressione e la bocca e lo sguardo li determinavano candore e voracità insieme. Un'infantile, aggressiva dolcezza che lo rendeva amabile. Appariva un ragazzo furbo e bellissimo, precocemente cresciuto e sicuramente discolo; invogliava a tirargli i capelli infilando le dita in quel suo casco biondocastano, tutto ricci. Egli ripeté: «Di solito, dopo uno svenimento, bere è di rigore ». «Sto già bene», ella disse. Si sollevò, mise i piedi a terra. Parlavano da amici, come vi fosse confidenza tra di loro. Ella non sapeva staccare lo sguardo dal suo viso e ogni volta lo sguardo di Sandrino, fisso su di lei, la costringeva a distrarre la propria attenzione. Ma non la turbava. La disponeva, semmai, al sorriso che da tanto tempo aveva dimenticato. Ella disse, e sembrò una riflessione: «Sono andata giú di scoppio». «Come una peracotta», egli commentò. I loro sguardi si incontrarono di nuovo, ma lei sola sorrise, ed arrossí. «Non fai tardi al negozio? », gli chiese. «Mi sono preso una vacanza, siccome avevo deciso di conoscere la misteriosa signora della camera accanto ». «L'hai fatto apposta? ». « Sí, l'ho fatto apposta. Lei esce quando in casa non c'è piú nessuno. La domenica si barrica in camera per tutta la giornata. Mi avrebbe aperto se avessi bussato alla sua porta? ». Ora che lo conosceva Virginia pensò che gli avrebbe aperto. «Forse no », gli rispose. «Allora mi sono detto: se non do segni di vita, lei penserà che sono uscito e la potrò vedere». Da mesi Virginia viveva in una cella. Anche le strade erano una cella, ovunque vi fosse vita e persone. I suoi rapporti con la gente si esaurivano in monosillabi, in frasi laconiche e recise, piú dolorose del mutismo. Adesso, dopo mesi, era la prima volta che tornava a parlare ritrovando un barlume di serenità. Vi si affidava con una riservatezza sempre minore, come ansiosa di godere il piú possibile quell'attimo di consolazione che le sarebbe dovuto servire a lungo, nella sua solitudine. Disse: «Ed ora che mi hai veduta?». «Penso di averle fatto piacere», egli rispose. E di seguito, col tono acerbo e deciso che ella già gli conosceva, aggiunse: «Quindi penso di invitarla ad una passeggiata». Questo riuscí a turbarla. Invece di rispondergli, Virginia abbassò il capo e si guardò le mani. Diceva a se stessa che entrare in amicizia con Sandrino avrebbe significato frequentare sua madre, partecipare poco o molto alla loro vita, incontrare Bruna e Faliero, mettersi nelle mani dei nemici. Sandrino, nella sua innocenza, le tendeva un agguato. Decise di rifiutarsi. Ma egli sembrò entrare nei suoi pensieri: «All'insaputa di mia madre e di tutti, voglio dire. Mia madre è buona e cara ma appiccicosa, finirebbe col costringerla a fare mensa comune. E il resto della casa è gente di cui non ci si può fidare. Non capiscono nulla della sua disgrazia. Non sono forse i tipi come loro che l'hanno resa infelice?». La sua faccia era dolce, amica, casta come il colore degli occhi. Virginia gli prese una mano, gli disse: «Tu sei un bravo ragazzo. Fai un'opera buona ad offrirmi un po' di conforto ». «Faccio soltanto il mio dovere», egli le rispose, e come per cancellare ciò che aveva detto: « E perché anche a me fa piacere», aggiunse. Si alzò, conservando stretta nella sua la mano di Virginia. «Cominci intanto col non piangere », le disse. E poi: «Sentiamo, dove aveva intenzione di recarsi, stamattina?». «Al cimitero». «L'accompagno. Ora vada a vestirsi. Io l'aspetterò alla fermata del tram». Ecco, adesso era sola in camera sua come le altre mattine, compiva trentatré anni e attorno a lei non c’era nulla di cambiato. Eppure dentro di lei era avvenuto qualcosa che stava per renderla diversa: aveva un amico di cui potersi fidare, un ragazzo che era ragazzo ed era saggio e forte piú di lei. La sua mente, scossa dalle diverse emozioni rapidamente subite, si rifiutava di pensare. O meglio, ella non voleva pensare per non annullare con la riflessione la tenue luce ch'era apparsa all'orizzonte della sua desolazione. Per scongiurare ogni possibile perplessità le bastava dirsi che «si trattava di un ragazzo». Tuttavia quando vestendosi si accorse che poco prima, per aiutarla a riaversi, il ragazzo doveva averle slacciato il reggipetto, lo smarrimento che ne provò fu piú forte dell'idea di aver turbato la verginità di Sandrino. III Era autunno, giornate grigie e ventose, il cielo basso sulle case le cui facciate, coi manifesti e le scritte, riproponevano ai passanti l'animosità e l'entusiasmo che erano stati loro propri nelle settimane e nei mesi successivi alla Liberazione. V’era ormai negli animi, sopraffatti da piú immediate preoccupa- zioni o da nuovi egoismi, quasi un'assuefazione, una febbrilità tutta interiore, temperata dall'amarezza. Con l'odio che lentamente si andava assopendo, anche la speranza assumeva piú limitati contorni. Ora Virginia avvertiva che per le strade le sue gramaglie non destavano piú negli sconosciuti quella pur superficiale pietà dei primi tempi, l'umana attenzione che le era costata un continuo terrore. Piú nessuna donna ormai, o soltanto per un personale conforto, le chiedeva la ragione del suo lutto avvicinandola in tram, da un fioraio, dal panettiere, e piú nessun uomo, reso ardito dal suo aspetto piacente, cercava di scoprire se per caso suo marito gli fosse stato amico o compagno in Africa, in una brigata partigiana, in un campo di concentramento. Anche il mondo le sembrava meno ostile. Del resto, adesso ella usciva raramente sola, appena per acquistare il necessario nel negozi vicini. La sua recente amicizia con Sandrino aveva conferito alla sua giornata una fisionomia piú attiva, ed al suo spirito una nuova, consolante, materna freschezza. Quel 18 ottobre dei suo trentatreesimo compleanno, Sandrino l'aveva accompagnata al cimitero e poi erano tornati a piedi in città indugiando davanti al Luna Park incontrato lungo il cammino. Egli era un ragazzo: dimenticandosi dei suoi occhi ancora rossi di pianto, e delle parole da adulto che egli stesso le aveva rivolto per consolarla, sorreggendole il braccio nei viali del camposanto, l'aveva poi invitata, insistente, imperioso, alla pista delle automobiline. Ella aveva saputo trattenersi proprio quando, presa dalla sua allegria, stava per salire i tre gradini del baraccone. Era stato il gesto spontaneo di raccogliersi il velo sulla fronte a ricordarle la propria condizione. Aveva a sua volta incitato Sandrino al tirassegno. Egli imbracciava il fucile con la dimestichezza del soldato. Aveva fatto centro al primo colpo, era scattato il lampo di magnesio ed ora ella conservava la fotografia del giorno in cui si erano conosciuti. La teneva in un cassetto del comò, tra un capo e l'altro della biancheria. Nella fotografia essa gli stava alle spalle, lo sovrastava di tutta la testa: aveva gli occhi ridenti, sotto il velo. Questo se lo tolse definitivamente una settimana dopo, allorché Sandrino le disse: «Il velo la immiserisce. Deve tenersi su, invece, farsi bella com'è. La gente non deve avere l'impres- sione che lei non si dà pace. È questo che vogliono. Piú si accorgono che lei soffre, piú gli fa piacere». Poi disse, già come un bambino che sa di ottenere coi gesti: «E del resto, parliamoci chiaro, col velo mi è antipatica». « Me lo tolgo perché è finito il tempo del lutto stretto», ella disse. L'indomani riprese il bastoncino del rossetto: se ne dette un'ombra, «un'ombra appena», sulle labbra, perché Sandrino la vedesse bella e stesse volentieri con lei. Si propose di essere un po' allegra e spigliata, di non parlargli piú della propria solitudine e del proprio dolore. Che attrattiva può avere, per un ragazzo in specie, una vedova che non fa altro che piangere sulla propria sventura? Soddisfatta la curiosità di conoscerla, scoperto che sotto il mistero del suo sfuggire la gente, non c'erano che lacrime e squallore, Sandrino si sarebbe presto allontanato da lei. Aveva forse qualcosa in comune la vita di Sandrino con la sua? Per rispondere alla domanda le bastò capovolgerla e quindi decidersi al rossetto, a rifarsi le unghie, a pettinarsi con una cura maggiore, a umettarsi di profumo il petto e le orecchie. Era la sua propria vita ad avere qualcosa in comune con quella di Sandrino. La compagnia di Sandrino abbisognava al suo spirito. Di ciò ella ricercava la ragione percorrendo a ritroso il proprio passato. L'educazione ricevuta aveva compresso il suo istinto fin quasi ad annullarlo, e costretto alla supinità ogni sua volitiva intuizione. Ella era cresciuta modellandosi sul carattere della madre come lo era stata dal suo grembo, e soggiacendo al dominio, alla scontrosa affettuosità paterna fino ai ventitue anni. Per i dieci anni successivi, la volontà del marito era stata la sua stessa volontà. Praticamente ella era passata dal padre al marito conservando per entrambi la stessa intensità e le medesime sfumature sentimentali. Di questo incesto, tradizionale e legittimo, ella subí il peso allorché le circostanze la resero sola al mondo, padrona ma anche responsabile di se stessa. Ella si trovò per di piú a dovere imparare a vivere in un mondo che la respingeva ai propri margini e che stava profanando quella società di cui fino ad allora ella aveva innocentemente goduto l'assistenza e il tepore. Al momento di giudicare la realtà coi propri occhi prima di affrontarla, questa realtà le apparve completamente sconosciuta. Un mondo avverso, impenetrabile, nel quale l'unica certezza che le si offriva era l'ostilità. E il dolore. Lo choc fu tale da far arretrare la sua mente in un limbo infantile. Fu tuttavia un modo di ritrovare, inavvertitamente, i primi moti dell'istinto, il senso del proprio corpo, della propria libertà. Subito dopo averlo conosciuto, ella aveva capito che Sandrino era ormai la sua vita stessa. Egli era l'unica persona con la quale potesse scambiare delle parole senza sentirla nemica, interessata o soltanto curiosa, pronta a trasformare in pettegolezzo le sue confidenze. Ella era sola al mondo, senza parenti né amici (suo marito non le aveva permesso mai di diventare amica di qualcuno, nemmeno delle mogli dei suoi amici) e il proprio orgoglio, il timore, l'incertezza sulla sorte altrui, la facevano rifuggire dal visitare le antiche conoscenze e dal recare in case che la conobbero signora e contenta, la propria pena e desolazione. Il suo bisogno di pietà era cosí intenso, struggente, che la induceva a diffidare di coloro che sembravano disposti a confortarla, e tanto piú ne diffidava quanto piú il compianto e la partecipazione che riceveva si sforzavano di apparire spontanei: ella li avvertiva troppo immediati per essere sinceri, troppo lamentosi per non celare l'ipocrisia. Invece di consolarla la irritavano, le accrescevano l'angoscia. Anche le monotone esortazioni alla rassegnazione e al perdono impartitele dal suo confessore avevano finito per suonarle come parole di circostanza, prive di carità. Ella aveva già esplicitamente accettato il proprio destino, e la sua conoscenza dei fatti, come la sua capacità di reazione, erano troppo imprecise perché essa potesse concretamente maledire e odiare. La Fede, alla quale si era sempre mantenuta osservante, e nella quale aveva trovato rifugio in ogni occasione meno lieta della sua vita, adesso non la riscaldava abbastanza da fondere il ghiaccio rappreso attorno al suo cuore. Non c'era grazia nelle sue preghiere. I suoi colloqui con Dio erano dei lunghi monologhi in cui Virginia compiangeva se stessa: un disperato, cavilloso riepilogo di fatti dei quali non attingeva mai la ragione. Dio era il suo invisibile, paziente spettatore. Per la prima volta, dopo tanti anni, ch'ella avrebbe dovuto riscontrare con assoluta devozione la sua anima di donna sul suo catechismo di bambina, ella mancava alla prova. La sventura, anziché irrobustire la sua fede, la fletteva. Non era ancora il dubbio, bensí, ancora, la coscienza della propria pochezza. Dio restava nel suo cielo: giusto, dolce e terribile com'era dipinto nel soffitto della chiesa. E della morte, Virginia (che conservava perpetuamente davanti agli occhi la visione dei corpi di suo padre e di sua madre scempiati sotto le macerie, di suo marito col cranio scoperchiato dalla mitraglia) aveva una disumana paura. La solitaria e sprovveduta Virginia andava formandosi a poco a poco l'immagine di un Signore ascoltatore passivo delle nostre confidenze terrene. Né era ancora un rifiuto. Se Egli assegna a ciascuno di noi il proprio Calvario e vuole che si beva il calice fino in fondo, ella pensava, ecco che noi restiamo soli in attesa del la morte. Arrivare alla morte, attraverso la solitudine e le pene, era la sua idea ossessiva. Finora ella si era sentita vivere soggiacendo ad una presenza fisica (i genitori prima, il marito poi): esistere significava per lei dipendere da una realtà che ti possiede, da qualcuno che ti istruisce e ti guida, che ti richiede e ti dona, e venendo a mancare il quale l'ostilità del mondo ti consegna alla solitudine: la lenta agonia che prelude la morte. Sandrino aveva voluto dire il ritrovamento di quella realtà, la confusa ma indubitabile speranza di sopravvivere, cosí come durante il loro primo colloquio le era sembrato di tornare a parlare, a sorridere dopo mesi di silenzio, di angosciosa impassibilità. Il pensiero di annoiarlo, di perdere se non il suo affetto, la sua amicizia (e non averlo piú vicino a sé le poche ore della giornata che egli le dedicava) la riempiva di sgomento. Egli era un ragazzo, ed appunto perché tale l'aveva attratta. Nella sua semplicità e schiettezza, anche se non nella sua innocenza, ella ritrovava quella consolazione e quel calore dei quali la società le aveva fatto dubitare e che la Fede non aveva saputo offrirle. Egli non era piú innocente, il suo corpo stesso lo diceva, e quel suo lamento ch'essa aveva sorpreso al di là della parete, prima ancora di conoscerlo, ne era una conferma. Ma aveva pur sempre sedici anni o poco piú, era un ragazzo, ed i suoi pensieri, i suoi desideri, che adesso le confidava, le espressioni ch'egli usava per distrarla dal suo dolore erano autentici, sinceri, palpitavano della loro stessa convinzione. Erano, a volte, anche brutali, recisi: erano ordini dettati con la tracotanza che hanno i ragazzi persuasi delle proprie idee. Ella subiva le sue violenze con gioia, lo compiaceva e assecondava al di là delle sue intenzioni. Egli era un ragazzo, era sincero, si stava affezionando a lei, non l'avvolgeva in una coltre di rimpianto ma la sollecitava a riprendere confidenza con la vita, ad affrontare il mondo ad armi pari, ad essere bella ed a sorridere. La invitava ad essere ragazzo assieme a lui, a montare sulle automobiline di ritorno dal cimitero. Simulando il proprio proposito con dei richiami materni, Virginia si era data presto una risposta: fare in modo che Sandrino scoprisse ogni giorno di piú qualcosa di comune tra la propria vita e la sua. « In comune», egli aveva detto ridendo, « abbiamo le iniziali: Alessandro Vergesi e Virginia Aloisi. Basta rovesciarle ». Ma c'era anche qualcosa d'altro che le aveva avvicinato Sandrino ed ora la rafforzava nella sua persuasione. Un episodio della sua vita che Sandrino le confidò fino dal primo giorno, tra il cimitero e il tirassegno, Egli le aveva rivelato di partecipare delle idee «per le quali è caduto suo marito». «Sono stato fascista anch'io», le aveva detto. «Sono un nero, ho vestito la divisa fino alla vigilia dell'arrivo degli Alleati». Quindi aveva aggiunto: «Tornerà la nostra ora. Vendicheremo suo marito e i trecentomila caduti come lui, fino all'ultimo. Ne fucileremo dieci per ciascuno dei nostri». Parlava come se conversasse, sereno in viso, camminando all'unisono col passo di lei. Soltanto gli occhi, immobili, gli brillavano. Era un ragazzo ed ella credette che stesse inventando per consolarla, caro ed infantile qual era. Tuttavia le sue parole la turbarono. «Non parlare di queste cose. Ti sono grata perché tu credi mi piaccia ascoltarle. Al contrario, mi spaventano. Io non so nulla e non voglio sapere nulla. Di una cosa sola sono certa: che mio marito era buono e l'hanno ucciso. Sarà il Signore che punirà i suoi assassini ». « Lei è donna », egli disse. La serietà della sua espressione le aveva strappato un mesto sorriso. E d'improvviso, con un tono piú grande di lui, ch'ella non seppe se la facesse nuovamente sorridere o tremare: «Non gliene parlerò piú finché non sarà venuto il momento. È una regola, del resto. Le donne che hanno paura degli spari e del sangue, e che sono disposte a perdonare come è disposta lei, meno sanno, meglio è... Faceva bene a tacerle, suo marito». Poi aggiunse: «Seguirò il suo esempio ». Allora ella gli aveva apertamente e dolcemente sorriso. IV Adesso, dopo averlo salutato al mattino, ella lo attendeva poco distante dal negozio, quando Sandrino usciva per il pranzo, e la sera. Siccome la madre era occupata coi suoi servizi, a mezzogiorno Sandrino desinava come un operaio. Assieme al pane preferiva la polenta fritta che acquistava alla rosticceria. Raramente prendeva una minestra alla Mensa Popolare; il piú dei giorni era polenta fritta, sopressata, fichi neri, in mezzo al pane. Mangiava camminando, facendo due o tre palleggi con la carta ch'era servita ad avvolgere il cibo, prima di gettarla. Aveva due ore di libertà, dalla una alle tre. Andavano a passeggiare sul lungofiume, sedevano sulla panchina di un giardino. Lui accendeva una sigaretta. Di tanto in tanto, mentre parlavano, egli raccoglieva della ghiaia e coi sassi piú grossi tentava di colpire i piccioni che beccavano vicino. Uno dei primi giorni dove avere spezzato un'ala ad una delle bestiole che pigolò appena e con l'ala distesa andò a nascondersi in una siepe: parve cercarvi rifugio per la propria agonia. Era un piccione bianco e grigio, si trascinava penosamente: il vento era lieve e tuttavia sembrava abbatterlo ad ogni istante. Finché scomparve dentro la siepe. Virginia ne fu turbata. Gli batté una mano sulla mano perché Sandrino gettasse gli altri sassi. «Vergogna», gli disse. Egli sorrideva, lasciò cadere la ghiaia, disse: «Ha visto? non ha nemmeno tentato di volare». Ella si alzò col proposito di soccorrere il piccione, ma Sandrino la trattenne. La prese al polso: «Può uscire una guardia da qualche parte», le disse. Abbandonò la stretta quando Virginia fu nuovamente seduta. «Non devi fare queste cose. Sei un ragazzaccio». «Bisogna pigliarmi come sono». Oppure andavano ad un caffè. Era lei ad offrire. Le faceva pena ch'egli non prendesse niente di caldo, a mezzogiorno. La prima volta ordinarono due caffè e siccome il cameriere portò il piatto delle paste, egli ne addentò una, e una seconda, sempre che lei gli tenesse compagnia. Una settimana dopo quel caffè era diventato una tappa consueta, prima di salutarsi; anche senza che si sedessero, egli mangiava le sue paste. «Quante ne mangeresti?», ella gli chiese. «Scommetto che ne mangeresti sei addirittura? ». «Dica pure dodici», egli rispose. « Scommettiamo ? ». Le mangiò, ed ella temeva si fosse preso un'indigestione; poi pensò che ogni giorno il ragazzo soffriva la fame. Cominciò col portargli una fetta di carne avvolta nella carta oleata. Egli accettò con naturalezza, disse che non c'era sale abbastanza. «Ora indovina cosa ho dentro la borsa». «Un caco, forse due». «Come lo sai?». «Ieri le dissi che mi piacevano». Quel giorno era cominciato a piovere e dal giardino si erano rifugiati nella sala d'aspetto del tranvai, ad un capolinea, distante pochi passi. Era appena piú grande di un casotto, nel mezzo della strada, col suo marciapiede giro giro che spartiva i binari e il traffico sui due lati. V'erano delle panche infisse al muro, trovarono posto ed egli vi finí il suo pranzo, tra la gente che aspettava il tram, o che spiovesse, o che parlava ad alta voce. Addentando il frutto, egli commentò: «Mi sta viziando». «Sono sciocchezze, a paragone del conforto che tu mi dai», ella disse. Il suo conforto era tutto lí, ed era immenso: stargli vicina e vederlo mangiare, ascoltarlo raccontare ciò che gli capitava nel negozio, nel corso della giornata, e dei film che aveva visto, delle sue speranze per l'avvenire. Appena gli fosse stato possibile, egli diceva, sarebbe scappato in Cina: era l'unico posto dove si combattesse ancora e dove i comunisti le stavano prendendo. «Ciang Kaishek è grande quasi quanto Mussolini ». Ella si guardava attorno, gli implorava di tacere. Pensava ancora ch'egli le dicesse quelle cose, ragazzo qual era, credendo di farle piacere. Invece no, ne soffriva. Ma lo ascoltava, e gli dava ragione quando le diceva di non concedere la piú piccola confidenza agli altri inquilini. Faliero e Bruna erano dei sovversivi. «Io mi fingo loro amico per via del mio passato», diceva. «Ma appena... », e non terminava la frase. Di sua madre ripeteva: «È meglio che lei la tenga distante. Una santa donna, ma con la lingua lenta come una bambina, lei pure, sebbene senza malignità... Ha avuto una vita difficile, sola, con me piccino, ed ora è piena di palpitazioni, di timori... Dovetti tenerle nascosto di essermi arruolato nei maro, per non darle il crepacuore... Crede ancora che durante la Repubblica sia rimasto al sicuro, in campagna, da degli amici... Costoro erano camerati e ressero la parte». Diceva che sua madre era una bambina con la stessa sicurezza e con lo stesso affetto di un figlio già adulto che sa, per averli, cosa siano i bambini. Virginia sorrideva, guardandolo: pensava, malgrado tutto, che il bambino era ancora lui. Un bambino che fumava, tuttavia, con l'intensità e il gusto che provava un uomo e che conferiva alla sua persona, mentre aspirava la sigaretta, un'aria smaliziata. Certi momenti, fissandola, egli la turbava. O la prendeva a braccetto. Ella gli si affidava, involontariamente e spontaneamente insieme, ma presto se ne staccava «per via della gente ». Poiché se da solo a sola egli era per lei ancora un ragazzo, appena: ella avvertiva lo sguardo di un estraneo, si sentiva a disagio, come se nel proprio atteggiamento vi fosse qualcosa di colposo. Era cosí anche al caffè. Avevano preso a sedersi a un tavolo d'angolo. Virginia vi era stata indotta dal suo timore della gente, ma adesso che sedersi a quel tavolo era diventata una consuetudine del mattino e della sera, lo sguardo del cameriere le sembrava ironico, come le occhiate distratte dei soliti giocatori di scacchi. Perfino nel saluto della cassiera e del barista scopriva una intenzione. Sandrino era un ragazzo, non si accorgeva di tutto questo. Il cappuccino gli piaceva che fosse dolce, e le paste che avessero la crema dentro. Un giorno era rimasto senza sigarette. «Se non ci fumo dietro, mi sembra di non avere assaporato niente», disse. Chiamò il cameriere e gli chiese un pacchetto di Morris; prese la borsa dal grembo di Virginia, furtivamente, per pagarlo. Il suo gesto fu cosí semplice, rapido e spontaneo ch'ella non se ne stupí. Si rallegrò, anzi, ch'egli avesse abbandonato l'infantile riserbo dei primi giorni, e la prevenisse nel soddisfare i propri desideri. Non era certamente alla madre ch'egli poteva ricorrere per i soldi delle sigarette. Si salutavano lontano da casa. Egli la precedeva, Virginia faceva un lungo giro prima di rientrare. Si indugiava davanti ai cinematografi, guardava le fotografie dei film che Sandrino le aveva raccontato: udiva ancora la sua voce. Entrava in una chiesa e si raccoglieva nella preghiera, candidamente: era il tempo in cui ringraziava il Signore di averle fatto incontrare quell'anima innocente. La loro amicizia si evolveva di giorno in giorno. Quando suonava la sveglia di Sandrino, Virginia aveva già riscaldato il caffelatte che la madre gli lasciava attorno al fuoco. Lo versava nella tazza e bussava alla sua porta. Trovava Sandrino ancora a letto, o che si stava lavando. In questi casi egli le offriva il mignolo per salutarla; tuffava la testa intera dentro la catinella, «come un animaluccio ». Ella andava nella propria camera ad affettare il pane e spalmarlo di marmellata. Poi gli sedeva di fronte e godeva di vederlo mangiare; sorbiva il caffè assieme a lui. «Sei il mio figlioccio», gli disse una mattina. Egli rispose: « Non mi piace». « Potresti essere mio figlio veramente». «È una bugia, e lei lo sa», egli disse. «Lo sa tanto bene che sta facendo il viso rosso». Virginia si era alzata per darsi un contegno; riuniva le due tazze nel piatto. Egli disse: « Stia attenta di non portarsi via anche la mia, e di non lasciar qui la sua. Come ce la caveremmo con mia madre?». Quel mattino egli era stato impertinente. Glielo rimproverò qualche ora dopo, al giardino. Fu il suo primo ed ultimo tentativo di ristabilire una distanza ormai perduta, che essa stessa aveva fatto di tutto per accorciare. Gli disse: «Hai ripensato a quello che mi hai detto stamani? Mi hai mancato di rispetto». «Non me ne sono accorto», egli rispose. Quindi le disse: «Si è mai confrontata allo specchio con mia madre? ». «Ora manchi di rispetto anche a tua madre». Egli era un ragazzo, ed essa doveva riprenderlo, se sbagliava. «Cosa c'è di diverso, tra me e lei? », gli chiese. «Tua madre avrà appena qualche anno piú di me. Un ragazzo deve amare i propri genitori, tu in specie, che sei orfano di padre, dovresti venerare la tua mamma». Egli si alzò, aspirando la sigaretta. «Ora è proprio mia madre», esclamò. Si portò una mano alla tempia, nel saluto militare, e la lasciò. Camminava svelto e Virginia dovette correre per raggiungerlo. Aveva il cuore in gola, non ragionava piú, capiva soltanto di averlo offeso. « Ti chiedo scusa », gli disse. « Andiamo al caffè? ». «Certo», egli disse. «Mi sono alzato perché il vento mi metteva freddo, senza giacca come sono». Nel caffè, ella cercava dei pretesti per farlo parlare e persuadersi che non le serbava rancore. Gli chiese: «Perché non ti sei messo la giacca? È già autunno. Vuoi fare lo sportivo?». «Non l'ho messa perché non l'ho. Ne ho due, per la verità, ma sono vecchie e non mi piacciono piú. Eppoi, faccio ridere se me le infilo: mi arrivano sopra le reni». Rimasero in silenzio; lui giocherellava col cucchiaino; lei sembrava meditare, poi disse: «Ti offenderesti se ci pensassi io? Potrei comperare un vestito da uomo e offrirlo a tua madre dicendo che apparteneva a mio marito». Si era fatta triste, aggiunse: «Ezio aveva dei bei vestiti, ma mi portarono via tutto, fino all'ultimo capo». Egli scuoteva la sigaretta nel bicchiere, parve non udire il suo commento. Disse: «Non si potrebbe, invece, farmelo fare senz'altro su misura? ». «E tua madre?». «Le direi che me lo ha regalato il padrone del negozio ». «Ci crederebbe? ». «Mia madre crede sempre a quello che le dico. Non le racconto mai delle bugie». Virginia era già presa d'entusiasmo, disse: «Benissimo, allora». Non riflette che se anche Sandrino non aveva mai mentito a sua madre, quella sarebbe stata la prima bugia che le diceva. Egli era intento a schiacciare la cicca nel rimasuglio del caffè; la pigiava e sventrava col cucchiaino vi teneva fisso lo sguardo. Ella lo vedeva di profilo: vedeva il suo orecchio col lobo appena staccato, roseo, trasparente quasi, e i riccioli castano chiari gli scendevano per il collo e scomparivano sotto il bavero del maglione. Ne era intenerita, contenta di saperlo di nuovo suo amico, di essere lei a potergli fare un vestito e tenerlo caldo, ora che l'inverno si avvicinava, il suo ragazzo. « E il cappotto ce l'hai ? », gli chiese. « Una gabardine». «Si potrebbe fare anche il cappotto», ella aggiunse. Egli mescolava l'intruglio di caffè, cenere e tabacco; aveva un'espressione corrucciata. Disse: «Ho esagerato. Non voglio. Lei mica deve navigare nell'oro». «Ecco che sei il solito bambino. Se mi sono offerta, significa che posso. Non ti preoccupare». «Invece, sí. Anche se lei ha qualche risparmio, non le durerà eterno. Lei deve pensare all'avvenire, nessuno le darà mai una mano. Né io sono in grado di prometterle la restituzione». Virginia era commossa. «Ora mi fai piangere, sei contento? », gli disse. Lui insisté: «Non ho il diritto di conoscere i suoi interessi, ma non posso accettare un regalo cosí grosso, di un vestito e di un cappotto, se prima lei non mi accenna, almeno sommariamente, come stanno le cose». Ella disse: «Ho un deposito in banca, a mio nome. L'eredità che mi lasciarono i miei genitori». «Quanto?». «Trecentocinquantamila lire. Sei persuaso?». «Le finirà presto, con ciò che costa la vita. No, non voglio». « Ho anche i denari che erano di mio marito. Quelli sono molto di piú, ma sono bloccati. Ma prima o poi, se non tutti una parte, dicono che me li dovranno restituire». «Quanto? », egli ripete. «Molto piú dei miei». «Allora, saresti milionaria», egli esclamò. Fu da quel momento che Sandrino le dette del tu, ed anche questo era accaduto spontaneamente, come il suo gesto di abbandonare il cucchiaino e rivolgerle lo sguardo suo solito, celeste ed innocente. « Il vestito mi piacerebbe grigio», egli aggiunse. Questo accadeva alla fine di novembre. Era venuto il freddo e Sandrino indossava il suo vestito e cappotto nuovi. Nelle giornate di pioggia o di nevischio metteva in testa un basco blu, liso e un poco stinto, che aveva preferito ad uno nuovo comperatogli da Virginia a sua insaputa, perché c'era affezionato. «Siamo vecchi amici, lui è il solo a sapere tutto di me», egli disse. «Dunque mantieni dei segreti. Non dico con me, che in fondo ti sono estranea, ma con tua madre». «Certo», egli rispose. «Ti meraviglia? Alle donne è buona regola far sapere quello che gli può far piacere, e basta». Aggiunse: «Alle donne a cui si vuol bene, poi, è elementare ». Era mattino, la vigilia di San Silvestro. Erano nel corridoio ed egli stava tirando il paletto per uscire. Ella aveva preso scherzosamente quelle sue parole, come tutte le sue parole. Considerava ancora i suoi pensieri come i pensieri di un ragazzo, e tuttavia, inconsciamente, per mantenersi la sua amicizia, e compiacerlo, si uniformava ai suoi pensieri. La volontà di Sandrino diventava la sua propria. Disse: «Me li immagino, i tuoi segreti». Quindi, senza riflettere, aggiunse: «Sono segreti che riguardano te e qualche ragazzina». Egli disse: «Hai indovinato. Ciao». Virginia lo spiò allontanarsi, affacciata alla finestra del corridoio. Ora le sembrava di essere certa che una giovinetta lo attendesse sulla strada. Ma costei non era sulla strada, bensí alla finestra dirimpetto. Era bionda, aveva un golf d'angora tutto bianco indosso, i capelli le ricadevano sul volto e lo coprivano a metà; stava anch'essa affacciata alla finestra, con un cuscino sul quale appoggiava le braccia. Guardava sulla strada, poi alzò la testa, e accennò un saluto vedendo che Virginia la fissava. Virginia si allontanò, chiuse le imposte con ostentazione, si gettò sul letto, singhiozzando. Era un pianto irragionevole, di cui non riusciva a spiegarsi il motivo. Allorché poté calmarsi si disse che Sandrino doveva avere parlato di lei alla fanciulla: per questo essa l'aveva salutata. Poi si disse che essa lo avrebbe rapito al suo affetto. Vicino alla fanciulla Sandrino sarebbe diventato uomo, e la fanciulla donna: una donna gelosa di questa amica del suo uomo. Gli avrebbe imposto di troncare la loro innocente amicizia. Virginia pensò che presto o tardi era nuovamente la solitudine che l'attendeva; la sua speranza di una nuova vita era stata dunque un'illusione. «Il miglioramento prima dell'agonia», si trovò a concludere, seduta davanti alla specchiera, col pettine in una mano. Febbrilmente, e pazientemente insieme, curò la propria faccia e la propria acconciatura, quel giorno, fece un po' piú ampia la scollatura del suo abito allentando il fisciú. Invece del cappotto di lutto, indossò la pelliccia. Sandrino emise un fischio, nel vederla. «Che eleganza », disse. Andarono al giardino ed ella cavò dalla borsa la scatola di alluminio e le posate. Da piú di due settimane gli portava il pranzo, ogni giorno. Egli tolse la fetta di carne e la depose dentro il coperchio. Mangiando la pastasciutta, disse: «Con la pelliccia, mi metti soggezione ». Virginia cercò di mostrarsi disinvolta, e di sorridergli. «Sono i resti del passato. L'avevo data a rimodernare in primavera e senza volerlo l'ho salvata dal saccheggio ». Poi, d'improvviso, impulsiva: «L’ho vista. Mi piace». «Ti sta bene». «Non la pelliccia», ella esclamò «La tua bella. Ho scoperto i tuoi misteri prima che tu pensassi, come vedi. La ami? », gli chiese. Egli finse di stare al gioco che ancora non capiva. «Molto, infinitamente molto», disse. «Parlo sul serio», continuò Virginia. «All'apparenza mi sembrava brava. A che famiglia appartiene ? ». « Benestanti », egli disse, inghiottendo il boccone. «Ha una dote di tre e cinquanta». Virginia lo fissava, angosciata e tuttavia vincendo il proprio orgasmo. Ebbe per un istante l'impressione che Sandrino entrasse dal gioco nella realtà e la facesse propria, ma immediatamente dopo le sue parole la persuasero. Ella era certa di avere scoperto una verità: le parole ch'egli pronunciava erano quelle ch'essa si aspettava. Non pensò piú che Sandrino perpetuasse un equivoco per farla soffrire. «Come ci hai scoperto? Ci hai seguiti?». «No, mi è bastato vederla alla sua finestra. Lei mi ha salutato. Cosa le hai detto di me? ». «Niente. Le ho detto che te ne stai sempre segregata ». «E le vuoi bene?», gli chiese di nuovo. « Certo ». «Ma siete ancora dei ragazzi». « Cresceremo ». «Come si chiama?». «Fosca ». «Quanti anni ha?». «Quanti credi ne abbia?». «Sedici». «Quasi». «E quando vi incontrate?». «Hai proprio intenzione di fare la mammina?». «Tu sei un ragazzo. Non ti rendi conto», ella esclamò. Si era accesa in viso e la sua voce era eccitata. «Ho sete e ho freddo», egli disse. Si alzò. Virginia lo trattenne per l'avambraccio con la mano: «Ascoltami, Sandrino», gli disse. Egli ebbe un gesto e un tono di voce che la umiliarono e insieme le diedero tenerezza. «È quasi una scena di gelosia, non te ne accorgi?». Il mattino seguente, fine d'anno, egli le disse: «Ti ho fatto stare in agitazione da ieri sera, immagino». Inzuppava il pane nel caffelatte ed ella gli sedeva di fronte, nella camera di lui, con la schiena contro il letto, in vestaglia, come ogni mattina. La sua vestaglia era rosa, lunga fino alla caviglia, la modellava ai fianchi. Teneva i capelli tirati sulla nuca, con negligenza. «Non è vero nulla», egli disse. «Non sono fidanzato e quella di cui tu mi parlasti non la conosco nemmeno di vista». «Giuralo», ella disse, precipitosa, già disposta a crederlo, tanto era desiderosa di credergli, e in sospetto tuttavia, con un fremito in tutta la persona. Egli era calmo, ragazzo, e convinto delle proprie parole. «Sulla tomba di mio padre», disse. Si era fatto triste, una ruga gli si era disegnata sulla fronte, quel cipiglio era nuovo per Virginia. Nel suo sguardo ella intravide un'ombra di dolore, che gli era impropria, e pertanto anche piú sua: bastò perché ella avesse certezza della sua sincerità. Egli le tese la mano, aggiunse: «È un giuramento che faccio di rado». Poi era tornato il Sandrino di sempre, ed essa si sentiva felice. Le disse: «Del resto, rifletti. La casa di fronte ha l'ingresso su di un'altra strada. È un palazzo di signori... Come vuoi che un'ereditiera si interessi a un disperato come me?». Quando furono sul corridoio, disse invece: «Sono curioso di vederla, la mia fidanzata. È alla finestra anche stamani? Forse lei mi ama senza che io lo sappia... Potrei essere io la Cenerentola, in questo caso ». Virginia scostò la tendina e vide la fanciulla al davanzale. «C'è», esclamò. «Sfida anche la neve». E improvvisamente l'assalí l'affanno. Disse: «È cosí, è innamorata sola. Aspetta che tu esca per accompagnarti con gli occhi». La sua voce era nuovamente eccitata, stridula. « Si contenta di guardarti... Vuoi vederla anche tu? Non ti fare scorgere se vuoi osservarla bene». Egli si accostò al muro con le spalle, sollevò il lembo della tendina. Virginia si premeva al suo fianco. L'angolo di visuale era cosí ristretto ch'ella si sporgeva attraverso il torace di Sandrino, per poter seguire assieme a lui i movimenti della fanciulla. Era ansante, avvampata, l'empito dei sentimenti le aveva fatto perdere la nozione dei propri gesti. Curva com'era, la vestaglia lasciava intravedere il seno, sciolto e candido sotto la combinazione. «La vedi? Ti piace? Vero che è bella? Vero che ti piace? Su, dillo: sí mi piace, sí mi piace ». «Sí», egli diceva, «sí», e guardava il suo volto, invece, la sua guancia accaldata, il suo seno bianco, raccolto. D'improvviso la strinse tra le braccia, le rovesciò la testa, la tenne stretta e riversa all'altezza del proprio petto, le labbra sulle labbra. Poi, con una mossa brusca, l'abbandonò contro il muro, aperse la porta ed uscí. Virginia scivolò lungo il muro, si trovo seduta per terra, a piangere dolcemente, ed a guardarsi le mani. Era il 31 dicembre, una giornata rigida di fine d'anno, il cielo plumbeo e compatto. Poco dopo cominciò a cadere la neve. Ella aveva il pranzo dentro la scatola d'alluminio. Si incontrarono al solito an- golo di strada, due isolati oltre il negozio, verso il fiume. Si salutarono entrambi senza impaccio. Egli disse: «Che giornata. Hai mangiato?». «No», ella disse. «Non ne ho avuto il tempo». «Andiamo in trattoria». La prese a braccetto ed ella si affidò a lui, malgrado la gente. Egli scelse una trattoria elegante, un ristorante, con la porta girevole e i camerieri in frac, l'ambiente anche troppo riscaldato. Parlarono soltanto dei cibi che andavano scegliendo e che mangiavano. Egli ordinò il dolce e il caffè; chiese il conto. Ella fece il gesto di passargli la borsetta sotto il tavolo, ma Sandrino la respinse con lo sguardo. Pagò lui, coi suoi soldi. Fu piú svelto del cameriere a porgerle la pelliccia che Virginia aveva abbandonato sullo schienale della sedia. Nell'accomiatarsi le disse: «Stanotte mia madre non rientrerà, fa lo straordinario, siccome c'è festa nella casa dove lavora. Tu non chiuderti a chiave. Ti raggiungerò prima di mezzanotte». V La vera felicità durò venti giorni. Ella era tuttora felice, ma di una felicità diversa, già mischiata al terrore e al dolore che sotto una nuova veste erano tornati ad ospitarla. Quando era sola e si provava a ricordare, le era difficile «rendersi conto». È impossibile riportarsi coi sentimenti «a quel momento», ella pensava. I sentimenti di adesso sono sempre i piú forti, riempiono per intero la nostra capacità di riflettere, e sicuramente sono i medesimi pensieri di oggi, gli stessi fatti ed azioni che stiamo vivendo e compiamo in piena coscienza o in piena innocenza, che domani, tra un mese o un anno, ci parranno assurdi, incredibili, e sarà impossibile rendersi conto di come siano potuti accadere. Virginia era una creatura perpetuamente costretta a lasciarsi vivere ed a rimproverarsi un passato, astratto come un avvenire. Il suo piú recente passato aveva avuto inizio con la notte di San Silvestro. Quella sera Bruna l'aveva chiamata dal corridoio invitandola «ad uscire dalla sua prigione » per festeggiare insieme la fine d'anno. Chiusa dentro la sua camera, Virginia si rifiutò. E siccome Bruna insisteva: «In nome di Dio, la prego», le disse. Sembrò tanto spaurita ed allarmata che Bruna si persuase. « Ci avrebbe fatto contenti», insiste. Poi disse: «Dovrà scusarci se faremo un po' di chiasso. Abbiamo invitato degli amici». Costoro giunsero, ed a Virginia balzava il cuore. Temeva che la loro presenza ostacolasse Sandrino. Ella aveva girato la chiave e stava in piedi dietro la porta da due ore, tutta un tremito, per l'emozione e il freddo che la prendeva. Si era indugiata davanti allo specchio la serata intera. Sandrino non era ormai piú un ragazzo, era il suo uomo, e cosí ella lo attendeva. Arrossiva, sola, rimanendo col pettine sospeso, la lingua tra i denti, pensando al momento in cui egli sarebbe entrato, alle parole, i movimenti, gli sguardi che ne sarebbero immediatamente seguiti. Tutto ciò era nuovo, imprevedibile, inutilmente ella tentava di sollecitare la propria immaginazione. Aveva acquistato dei fiori ed adornato il tavolo, il comò. Sul tavolo v'era una bottiglia di spumante e il dessert. (Egli aveva promesso di essere da lei prima di mezzanotte: avrebbero festeggiato l'anno nuovo). I mobili della sua camera di sposa, «salvati dal saccheggio», erano lustri e familiari al suo sguardo; il letto candido, di bucato: si era sorpresa a carezzare la federa destinata a Sandrino. Ella aveva compiuto i gesti per abbigliarsi e prepararsi all'amore, ordinatamente, con calma. Il suo pudore era tutto interno, unito alla dolcezza e alla trepidazione dell'attesa. I suoi sensi erano tuttora sopiti, adagiati nella loro lunga astinenza; nondimeno ella non pensò mai di sottrarsi al desiderio di Sandrino. La sua timidezza era sommersa sotto l'affetto, cosí come non esisteva il rimorso di tradire la memoria del marito, sempre piú viva e presente nel suo spirito. Sandrino riempiva una parte tutta nuova di lei, inedita e palpitante: era una sensazione inspiegabile eppure certa, di cui le sembrava avvertire perfino fisicamente l'esistenza. Ella poteva contemplare il proprio corpo e nello stesso tempo promettersi l'amplesso di cui non si nascondeva l'imminenza. Lo anticipava, anzi, col pensiero, smarrendovisi tuttavia, per l'incapacità di concretare la propria immagine e quella di Sandrino. Era una Virginia nuovamente vergine, e solitamente indifesa ch'essa gli avrebbe offerto, senza morbosità e senza ipocrisia. L'apparecchiamento ch'ella aveva disposto di se stessa, e delle cose, le era stato suggerito da una intuizione naturale, nessuna esperienza e nessun ricordo l'avevano ispirata. Ella era nuda e odorosa sotto la camicia da notte, sulla quale aveva indossato la vestaglia. I suoi capelli erano appena trattenuti da un nastro all'altezza della nuca, tirati sulla fronte e sulle tempie, le orecchie scoperte, con le buccole di corallo. Da due ore lo attendeva, infreddolita e col cuore in tumulto. Pervenivano fino a lei le voci di Faliero, di Bruna e dei loro amici, dalla camera dirimpetto: avevano aperto la radio e ballavano. Sandrino sarebbe venuto direttamente di fuori. Virginia era in piedi contro la porta, la mano sulla maniglia, seguiva la lancetta dell'orologio come il proprio respiro. Mancavano venti minuti a mezzanotte quando avvertí il fruscío della chiave alla porta d'ingresso e sentí il bisogno di guardarsi nello specchio. Subito la propria acconciatura le parve volgare, impudica. Aperse febbrilmente l'armadio e ne cavò la pelliccia, prese dalla toletta delle forcine per raccogliersi i capelli. Sandrino era già entrato e la interrogava con lo sguardo, riflesso nello specchio. Ella era rimasta attonita, una bambina sorpresa nella marachella, con la pelliccia che le pendeva da una spalla e le mani tra i capelli. Egli le si avvicinò ed a bassa voce le disse: «Cosa stavi facendo? Uscivi? ». Virginia si lasciò cadere sulla sedia. Gli rispose scuotendo la testa. Egli le strinse il mento nella mano, la baciò con la stessa intensità del mattino, la liberò della pelliccia. « Su, alzati», le disse. L'aiutò sorreggendola all'ascella. «Pensavo che quelli là avrebbero passato la fine d'anno fuori casa», egli disse. «Invece Faliero mi ha perfino invitato». La teneva col braccio attraverso la vita. Era appena piú basso di lei e i suoi riccioli le sfioravano la guancia. «Coricati», le disse. Le sciolse egli stesso la cinta. Ella ubbidí, in silenzio, sorpresa e confusa com'era. Desiderava guardarlo, vedere che i suoi occhi erano gli stessi, celesti, di sempre: questo era il suo solo pensiero, in esso si dibatteva, incapace di sollevare lo sguardo su di lui. Era calata sulle sue palpebre una pesantezza di sonno, e nelle sue membra un'eguale spossatezza, come se delle innumerevoli emozioni da tanto tempo subite, l'ultima, e la piú puerile, ne avesse accumulato lo sfinimento. Tuttavia il suo sguardo restava fisso, esorcizzato, su Sandrino, soltanto la faccia di lui le era esclusa. Egli si svestiva: aggiustò la giacca alla spalliera della sedia, vi distese i pantaloni. Liberatosi del maglione era rimasto nudo, in scarpe e mutandine. Aveva la carnagione bruna, forse ancora di sole: il suo torace era implume, solido, il segno delle mammelle era teso, come delicatamente impresso, gli omeri perfetti e levigati; le coscie alte, muscolose, con la peluria fitta, inattesa. Ella lo guardava e i suoi pensieri naufragavano nel torpore delle membra. Subiva un sentimento che le era ignoto, e la sfibrava: una consolazione che la induceva al pianto. Tuttavia le sue labbra gli sorridevano. Sandrino si era seduto sulla sponda del letto, si toglieva le scarpe, le sussurrò: «Sai che nevica ancora? Non mi chiedi se ho freddo cosí spogliato? Macché, la neve mi fa bollire». Si alzò, e fu nudo del tutto, senza pudore e senza ostentazione. Ella vedeva il suo pube che era biondo, il suo sesso invogliato. Gli sorrideva, e le guance le si rigavano di lacrime. Egli salí sul letto e la scavalcò per coricarsi vicino a lei. Dalla camera di fronte la musica e le voci si facevano piú forti. Virginia si portò le mani dietro la nuca. Ora che lo sguardo di lui le si offriva, essa aveva chiuso gli occhi. Avvertí il suo alito sul proprio volto, udí ch'egli le diceva: «Fai la statua o ti vergogni? ». Virginia scosse la testa. «Apri gli occhi», egli le disse. Ella sentí la sua mano stringerle il mento come pochi minuti prima davanti allo specchio, ma violenta adesso, da darle dolore. «Svegliati», egli le sussurrò ancora. «Non mi piace cosí ». Poi il gesto di Sandrino fu improvviso, feroce, una aggressione, che li congiunse compiutamente, ed ella non poté trattenere un grido. La radio venne spenta, tacquero le voci nella camera dirimpetto. Bruna si affacciò sul corridoio: «Signora Virginia», disse. «Signora Virginia». Virginia era stordita e terrorizzata insieme. Sandrino era schiacciato su di lei e l'opprimeva; le ingiunse di non rispondere torcendole la carne su un fianco. Ella si morse le labbra per non urlare. Anche Faliero e gli amici erano venuti nel corridoio. «Signora», insisté Bruna. E una voce d'uomo, sconosciuta: «Dev'essere stato dalla strada». Aggiunse: «Ragazzi, mancano due minuti a mezzanotte». Rientrarono e subito si udirono saltare i tappi dello spumante. Virginia era ormai un corpo senza vita tra le braccia di Sandrino. Quindi egli riaccese la luce. «Non mi piace se fai sempre cosí», le ripeté. E prima ancora ch'essa gli rispondesse, era sceso dal letto. Disse: «Ho promesso a Faliero che mi sarei fatto vivo... Vedo che anche tu avevi preparato lo champagne». E tornando vicino al letto: «Come si può aprire la bottiglia? Sentirebbero. Me la porto io, cosí farò bella figura». Prese una manciata di biscotti dal vassoio; la salutò alla militare, chinandosi su di lei e baciandola su una guancia. «Sembri una partoriente», le disse. Ripeté il suo attenti, e se ne uscí cauto, sulla punta dei piedi. Virginia lo udí che apriva la porta sulle scale, e la richiudeva con forza; udí che nella camera dirimpetto lo accoglievano con battimani; distinse Faliero che diceva: «Hai finito l'anno per la strada... », poi delle parole che le sfuggirono, commentate da una risata generale. Ella era rimasta immobile, supina, le voci le giungevano da una lontananza indicibile. Si era tirata le coperte sul mento, rabbrividiva, e tuttavia covava il proprio sudore sotto la gola, all'inguine, tra seno e seno, come una cosa fisica, di Sandrino, da custodire. Faticosamente si voltò su un fianco, dalla parte ove Sandrino l'aveva tormentata e che ancora le doleva: era un dolore che la riempiva di tenerezza e la consegnava al sonno. Altrettanto dolce e quasi come un sogno che continuasse fu il risveglio. Si trovò di nuovo tra le braccia di Sandrino, col suo corpo nudo che la premeva, il suo fiato che sapeva di tabacco e di liquore. La luce era spenta. Sandrino le sussurrò al- l'orecchio: «Sei contenta che sia tornato?». Questa volta essa fu l'amante che Sandrino desiderava. Nella casa si era fatto silenzio. Al di là del corridoio, dalla strada, di tanto in tanto pervenivano dei canti, degli strombettii attutiti dalla distanza e dalla neve. «Sai che siamo nell'anno nuovo? », egli disse. Le stava coricato accanto, con una mano nella sua, le dita tra le dita. Le chiese: «Non dici nulla? Dobbiamo scambiarci gli auguri ». Ella gli carezzava il braccio, timidamente; gli percorse i fianchi con la mano. Gli sussurrò: «Avevo gli occhi aperti, sai. Se c'era la luce te ne saresti accorto. Non sarò piú una statua. È stata una cosa tutta nuova, mi credi? Sono come ti aspettavi ? ». Egli mugolò, ritrasse la mano dalla sua, le volse le spalle. Ella si accorse che si era addormentato. Rimase desta, a vegliarlo, fino a mattino inoltrato. Non pensava piú ch'egli fosse un ragazzo, né di essere stata la sua prima donna. Era già un'amante segretamente gelosa, tutta disposta al suo desiderio, timorosa di poterlo deludere. VI Trascorsero insieme il Capodanno. La madre di Sandrino era impegnata per l'intera giornata nella casa dei suoi signori. Egli uscí per primo e Virginia lo raggiunse al solito caffè. Aveva la pelliccia e in testa un fazzoletto fantasia che le incorniciava il volto accuratamente dipinto. I suoi occhi erano chiari e brillavano. Si sedette. Egli le ordinò l'aperitivo. Il caffè era quasi deserto, con imperterriti i due giocatori di scacchi e ad un tavolo di fronte due giovanotti e una ragazza. Costei era bionda, vistosa, le ciglia colorate d'azzurro. Sandrino aveva ripreso a leggere un giornale sportivo. Sul tavolo c'erano le sigarette e i fiammiferi. Virginia si sentiva felice, contenta di sedergli vicino, del calore dell'ambiente e degli sguardi di quegli uomini posati su di lei, del proprio corpo che il lungo specchio della sala rifletteva. Prese una sigaretta dal pacchetto, e l'accese. Sandrino sembrava immerso nella lettura. Esclamò: «Ti diverti a dare spettacolo? ». Istintivamente ella posò la sigaretta. D'un tratto Sandrino piegò il giornale, chiamò il cameriere per pagare. Uscirono. Attraversarono la piazza, ove la neve dava alle caviglie. Egli aveva evitato di proposito il sentiero aperto dagli spalatori. Virginia slittò e per poco non cadde. «Perdonami», ella disse. «Ho già tutti i piedi bagnati ». «È il meno che ti potessi fare», egli replicò. Il tono della sua voce era severo, ma incerto nello stesso tempo; e sul suo volto il cipiglio era quello di un bambino. Ella credette volesse scherzare: si chinò, fece una palla di neve e gliela scagliò addosso. Sandrino dovette abbassarsi per scansarla. Era diventato rosso in viso, bizzoso: raccolse a sua volta della neve, la compresse nella mano. Ora Virginia era certa delle sue intenzioni: fuggí e lo prese di nuovo a bersaglio. Sandrino pareva furibondo; sempre inseguendola, a manciate di neve, le gridava di fermarsi e di ascoltarlo. «Pigliami, allora», ella gli rispondeva. Correndo, sulla neve, aveva raggiunto il monumento, vi girò attorno, e dei ragazzi entrarono nel gioco: accolsero Sandrino con una sparatoria nutrita. «La difendiamo noi», gridavano a Virginia. « Sotto. Sotto». Sandrino si riparò dietro il monumento. Virginia, dalle spalle dei ragazzi, lo incitava a venir fuori. Si era tolta i guanti, aveva la neve in entrambe le mani. I ragazzi partirono all'attacco. «Il nemico è accerchiato», gridavano. Sandrino si liberò incuneandosi a corpo basso tra di loro; quindi si slanciò su Virginia; e siccome essa era piegata per raccogliere altra neve, l'impeto con il quale egli la raggiunse, le fece perdere l'equilibrio. Caddero entrambi bocconi. Essa era incolume, pronta al riso, allorché un colpo dietro la nuca le riconfisse la testa nella neve. Dapprima ella credette di essere stata raggiunta da un proiettile dei ragazzi, ma subito un secondo colpo, piú forte, alla scapola questo, le tolse il respiro. «Ohè», gridarono i ragazzi. «Ora non gioca piú. Ora la picchia». Ella era intontita e prossima a svenire, gli occhi e la bocca pieni di neve. Tuttavia poté sollevarsi sulle braccia. I ragazzi avevano ripreso la sparatoria contro Sandrino; accorrevano dei curiosi dalle estremità della piazza. Sandrino la agguantò ai polsi. Fuggirono, inseguiti dai ragazzi fino ad una traversa. Il fazzoletto di Virginia era rimasto sulla neve. Era l'una dopo mezzogiorno, del Capodanno 1946; la strada deserta, stretta, tra due quinte di palazzi medievali. Una radio era la sola presenza. Ripararono dentro un androne. Virginia aveva il volto lavato dalla neve e dalle lacrime, i capelli arruffati. V'era tuttavia, nel suo atteggiamento, un'involontaria fierezza, e quel suo gesto di ricacciarsi indietro i capelli la rendeva anche piú bella e scontrosa. «Làsciateli giú sulle spalle », egli disse. « Stai meglio ». «Non sono una ragazzina». «Mi piaci di piú». «Per oggi soltanto?». «Va bene». «Domani tornerò a pettinarmi come dico io? ». «Sì», egli disse. Ella gli prese la mano, pacificata. Nel caffè Sandrino si era rivelato geloso di quegli uomini che la guardavano; poi, sulla piazza, essa l'aveva messo in ridicolo schierandosi dalla parte dei ragazzi: allora Sandrino aveva avuto un momento di collera e l'aveva colpita. Era stato impulsivo, ma giusto, ella pensava. E adesso era pentito; castigando il proprio orgoglio, faceva di tutto perché lei lo perdonasse. Ella gli fece sostenere la borsetta per potersi ritoccare la faccia allo specchietto. «Piú in alto», gli diceva. «Piú in basso. Devi fare esperienza». Tornarono al ristorante del giorno prima. Lo stesso cameriere gli corse in contro e li condusse verso un tavolo, accanto al termosifone. «Vogliono lasciar fare a me? », disse. Parlava rivolto a Virginia, ed ella gli rispose: «Senta il signore». Le parve di scorgere nello sguardo del cameriere un'ironia che la metteva in imbarazzo, e la umiliava. Sandrino disse: «Purché escluda il pesce. E tagliatelle, come primo». «Antipasti, no? », insisté il cameriere. Aveva un tono suadente e il suo ossequio, la sua disinvoltura, sottolineavano una complicità. Quasi un ricatto. «Si fidino di me», ripeté. «Sarà un pranzo di Capodanno del quale si dovranno ricordare». «Sicché? Non sei adirata? », le chiese Sandrino poco dopo. Ella gli sorrise ed incontrò i suoi occhi, calmi, celesti. Solo allora si accorse che la peluria sulle sue labbra era curata, come improvvisamente cresciuta. I baffetti davano al suo volto una virilità, e insieme lo rendevano ancor piú adolescente. Le sembrò di rivederlo in quell'istante, dopo tanto tempo: la notte appena trascorsa le si presentò con piú insistenza alla memoria. Arrossí. Sandrino sbocconcellava il suo pane. «Stai pensando brutte cose», le disse, con intenzione. Egli le leggeva, dunque, nel pensiero. Questo le accelerò i battiti del cuore. Ne era lieta e spaventata. «Sei un mago? », gli chiese. «Sei tu che ti fai leggere come un libro aperto». «Perché ti voglio bene», ella sillabò. E lui: «Non credi che sia perché ormai ti ho sulla punta delle dita? ». Ci fu un silenzio, durante il quale le parole di Sandrino assunsero il peso di una verità. Ella capí che non avrebbe mai potuto, anche desiderandolo, sottrarsi alla sua volontà; ed egli scoperse che le proprie parole corrispondevano ad una certezza. Dopo quel silenzio, entrambi, seppure diversamente, non ebbero piú né timore né pudore dei propri sentimenti. Il proprio immediato destino sembrò ad entrambi sicuro, poiché rivolto all'esito che avevano segretamente sperato. Fu un pranzo di Capodanno degno di essere ricordato, «specie per il conto», com'egli disse appena lasciato il ristorante e insieme risero e si tenevano a braccetto. Era uscito il sole, l'aria si era fatta tepida, le strade spaventosamente deserte in quell’ora, con le vetrine tutte ghirigori e agli angoli i venditori di caldarroste. «Il programma lo dirigo io», egli disse, imitando la voce del cameriere. La costrinse a salire su una carrozza chiusa; ordinò al vetturino una passeggiata sui viali. Stavano stretti e caldi nell'interno, lei raccolta nella pelliccia, con un braccio di lui attorno alla vita, la mano nella mano: egli le tolse il guanto e se la portò alla guancia. Poi la baciò sul collo, le accarezzava i capelli. Ella si lasciava fare, commossa e felice. Egli le toccò la nuca: «È qui che ti ho fatto male?». «Quando?», ella disse. «Non mi ricordo». Era la prima volta ch'egli la vezzeggiava. Ella ne riceveva l'impressione di un amabile disagio; accoglieva le sue carezze, come i suoi gesti impulsivi, con dolce sopportazione. Il suo affetto per Sandrino era una continua, sollecitata violenza: soltanto nella furia dell'amplesso essa aveva potuto liberarsi da questa gradita passività, e partecipare con tutti i propri sensi alla sua effusione. Egli disse: «Stanotte, nel sonno, mi è parso che tu mi chiedessi se ti voglio bene. Non ne sei sicura ? ». Ella credette di doversi esprimere sinceramente; tuttavia avvertí un'ipocrisia nella propria risposta. Disse: «Non ti irritare. È sempre perché so di esser molto piú vecchia di te. Tu non mi potrai mai voler bene come ad una ragazza della tua età». «Allora sei pentita». « No ». «Sei finta, allora. Sai benissimo di non poter piú fare a meno di me. Hai me solo al mondo. Tutto il resto della gente ti odia». «Perché me lo ricordi? », ella disse. Egli la tormentò sul braccio come l'aveva tormentata al fianco la notte precedente. «Come sei cattivo a momenti», ella disse. Erano su un viale della periferia, in un deserto di alberi spogli e di neve; il cavallo andava al piccolo trotto, il suo passo era silenzioso sulla neve; al di là dei vetri appannati che li isolavano dagli sguardi, transitò un tram col suo fracasso. «È vero o no quello che dico? », insisté Sandrino. E d'improvviso tornò a tormentarla alle braccia, ai fianchi, alle cosce, aprendole la pelliccia. Le agguantò una mammella e gliela strinse ferocemente. Ella gettò un grido, cercò di liberarsi dalla stretta che si faceva sempre piú lancinante, finché rovesciò il capo sulla spalliera, accasciata dal dolore. Il tram era passato, ed era tornato il silenzio; la carrozza procedeva nel suo lieve rollio. Sandrino schiuse lentamente la mano. «Rispondi», le disse. Il suo sguardo, come la sua voce, avevano quella luce e quel tono consueti, di serietà e di scherzo insieme. Ella era oppressa dall'affanno, annuí, abbandonata contro la spalliera. Sandrino disse: «Dunque, se hai me solo al mondo, perché dubiti del mio affetto ? Anche se non ti volessi bene, tu dovresti crederlo egualmente». La costrinse, dolcemente adesso, a piegarsi su di lui, ed a posare la nuca sulle sue ginocchia. «Sei tu la bambina, e non io». Ella lo guardava, si lasciava carezzare e lui era bello, ed era spietato perché l'amava. Egli disse: «Non pensi piuttosto a quanto ci possiamo divertire? La mattina appena mia madre esce, io verrò da te. Staremo assieme tre ore ogni mattina. E la sera, dopo cena, con una scusa o l'altra vado sempre fuori fino a mezzanotte. Vuoi che ti preferisca al cinematografo? Ho tante cose da insegnarti. Non ti accorgi che ho abbandonato tutte le amicizie per stare con te? Starò con te tutti i momenti liberi della giornata. Tu non dovrai piú uscire. Dovrai stare sempre ad aspettarmi. Può darsi che desideri vederti a qualsiasi ora: allora chiederò un permesso al negozio e farò un salto fino a casa. Se non ti ci troverò, quando tornerai ti strapperò il seno. Si sente male a torcerlo? ». Virginia era riversa sulle sue ginocchia. Lo ascoltava parlare, sempre con un tono identico di voce e la stessa serenità nello sguardo e tutto di lui, le minacce come le affettuosità, le era gradito. Le sue cosce erano forti e la sostenevano. Le sembrava di riposare pienamente per la prima volta, dacché era nata. « Sí», ella rispose. «Toglie il respiro». «Ecco. Cosí sai quello che ti aspetta», egli riprese. «Al cimitero ti ci condurrò io. Una volta la settimana basta. Tuo marito puoi ricordarlo anche restando a casa. Lui è morto e di lui non sono geloso. Però la fotografia sul cassettone, falla sparire. Non sopporto che ci stia a guardare. In chiesa nemmeno voglio che tu ci vada, nemmeno una volta alla settimana, mai. Saresti capace di raccontare tutto al prete, e lui chiamerebbe mia madre e poi avvertirebbe la Questura. Se dovessi trovarmi in riformatorio per colpa tua, il seno te lo strapperei veramente». Gli sorse il cipiglio, lo stesso ch'ella gli aveva scorto quando le aveva parlato di suo padre. Virginia gli carezzò le guance; ora trepidava alle sue parole. V'era in lei l'ansia di cancellare dal viso di Sandrino quell'ombra di dolore, e di donarglisi interamente per vederlo rasserenato. Gli disse: «Farò tutto quello che tu vorrai. Ho te solo, l'hai detto. Sarei sotto la neve se non ti avessi incontrato. Dimmi ciò che desideri. Sei il mio bambino». «Sono il tuo amante», egli disse. Ella temé che tornasse ad assalirla; invece corrucciò le labbra e scosse la testa. Era, com'essa adesso lo vedeva, un ragazzo contrariato. Si sollevò, seduta sulle sue ginocchia, gli prese la faccia tra le mani e lo baciò sulla bocca, con l'intensità e il trasporto che lui stesso le aveva insegnato. Poi egli disse: « Il programma lo faccio io, ma voglio che ti piaccia. Dove vorresti andare?». «Al cinema. Non ne ho mai avuto il coraggio in tutto questo tempo. Temevo sempre di incontrare qualcuno». Egli pulí il vetro con la mano. «Qui siamo in periferia, chi vuoi ti conosca? E un cinema c'è, ed è anche elegante. Dammi la borsetta. Ho rovesciato le tasche per arrivare a pagare il conto, in trattoria». Lasciarono la carrozza dinanzi all'ingresso del cinematografo; lessero la locandina e lui disse: «Ho cambiato idea. Facciamo una passeggiata». Ma ella era gaia, si provò a contrastarlo. «Voglio andarci, invece». Egli la prese per il braccio e la trascinò via. «Non sai apprezzare la gentilezza... Non vedi che è un film contro i fascisti? Roma città aperta, ti piacerebbe ? ». Abbandonarono il viale. Davanti a loro si apriva un vasto prato di neve. Le case proseguivano su un lato solo, interrotte qua e là dai vuoti delle macerie. Sul fondo v'era la strada ferrata e piú lontano ancora spuntava una ciminiera. Il sole era scomparso. Sotto il cielo opaco, l'aria era di nuovo pungente, e tanto piú per essi che venivano dal tepore della carrozza. Girarono attorno al prato per raggiungere il centro del quartiere. « Sai a memoria tutta la città », ella disse. « Io ci abito da dieci anni e non sono mai venuta da queste parti ». «È la zona industriale, ma gli Alleati l'hanno massacrata. Non era mica cosí: qui davanti c'era una fabbrica di proiettili. Se l'è sugata Cristo con le bombe». Ella fu colpita dalla sua imprecazione, e volle non aver sentito. «Dove andiamo? », gli chiese. «Ho freddo». «Ancora qualche passo, e poi vedrai. Andiamo a ballare, sei contenta? ». Era un ballera di fortuna, che in passato doveva aver servito da deposito di materiale: il tetto ad hangar e le pareti di legno. V'era caldo, tuttavia, ma forse piú per la gente che l'affollava che per la stufa collocata a metà dell'ambiente. Il buffet era sulla destra, e torno torno alla pista, a ridosso di essa, c'erano i tavolini. Ne trovarono uno libero, prossimo ad una seconda uscita. L'orchestra si trovava su un palco di assi ancora grezze, al di sopra della stufa. Si sedettero, Virginia gli chiese: «Sei di casa? ». «No», egli disse. «L'hanno aperta da poco. Ho letto la réclame sul giornale. Ma tra gente che balla si fa presto conoscenza. Vuoi vedere? ». L'orchestra aveva attaccato uno slow. Sandrino si alzò, fu svelto piú di molti altri giovanotti nel presentarsi ad una delle ragazze che stavano ai margini della pista, impazienti nella loro disinvoltura. Era una ragazza bruna, coi capelli pettinati alti e un pellicciotto a bolero sul vestito chiaro. Già danzavano, quasi abbracciati: Sandrino parlava e costei rideva. Virginia li accompagnava con lo sguardo nella ressa delle coppie. Li perdeva e li cercava ansiosa. Un uomo vide soltanto che aveva la cravatta gialla si avvicinò al suo tavolo e la invitò. Ella fu sorpresa, allarmata; si rifiutò seccamente, tanta era la sua tensione: cercava Sandrino e la ragazza, lontani ormai, all'altra estremità della pista. Senza voltarsi, sentí che il ballerino si era seduto a un tavolo alle sue spalle, e la fissava. Ella non sapeva darsi un contegno: la salvò il cameriere giungendo con il ponce che aveva ordinato. «Hai visto», le disse Sandrino poco dopo. «Se ti interessa, quella ragazza si chiama Vilma, ed è contabilestenografa ». Sorseggiava il ponce, e Virginia gli disse: «Balla bene». «Non sei offesa?», egli esclamò. «Ho voluto scherzare, non invitandoti al primo giro. Perché tu te ne offendessi». «Io non posso ballare, col lutto » gli rispose. « Eppoi, sono fuori esercizio. Per di piú, i balli nuovi non li conosco». La musica suonava adesso un sincopato, qualcosa da potersi adattare a boogiewoogie. «Meglio», disse Sandrino. «È quello che ci vuole. Butteremo a gambe all'aria tutta la sala». Invece non fu cosí. Ella si affidò alle sue braccia; egli la guidava e la faceva vorticare, equilibrata e leggera come nemmeno lei immaginava di potere essere. Ma non finirono il ballo: le cominciò a girare la testa; era sbiancata in viso. Tuttavia, fu lei stessa, e coscientemente, perché Vilma o qualche altra ragazza non glielo «rubassero», a chiedergli di farla ritentare, quando si accorse che il motivo era lento e i passi della danza pausati. Egli la sorreggeva alla vita; doveva ballare alzato sulle punte poiché le teneva guancia contro guancia; era agile, e la sua stretta era lieve e i suoi capelli erano biondi, celesti i suoi occhi, e il suo torace era forte e l'accoglieva intera. Ballando, Sandrino le disse: «Da domani ti insegnerò le nuove figure. Ci dedicheremo mezz'ora ogni dopopranzo». «Dove?». «Non mi vuoi piú offrire il pane quotidiano? », egli disse, serio e scherzoso. Aggiunse: «Ormai è ridicolo che ti aspetti al giardino e consumi il pranzo come un carcerato. Verrò a casa tua alla una e tu mi farai trovare pronto. Siamo piú sicuri in casa che fuori. A quell'ora non c'è sicuramente mai nessuno ». «Certo», ella disse. E pensò che sarebbe stato meraviglioso. VII Passarono due settimane. Virginia le ricordava come le piú belle della sua vita. «Le piú pazze», ella si disse in seguito, appunto perché erano state le piú felici, e incredibili. La sua esistenza recuperava la vitalità della sua prima gioventú. Il suo corpo stesso sembrava giovarsi della pienezza dei sentimenti che l'animavano. Un rifiorire improvviso in cui la maturità diventava ancor piú remota. Aveva gli sguardi degli uomini addosso, ora piú che mai, nei brevi momenti in cui usciva per la spesa: assillanti, gentili ed importuni come le parole che i piú arditi le rivolgevano. Giorno per giorno essa affrontava il mondo con sempre maggior ardimento, «si svezzava dalla paura, tirava fuori il capo dalla paglia», come le diceva Sandrino. Lui era la sua forza e la sua guida, la sapeva apprezzare e correggere, le dava fiducia e conforto e nell'intimità una gioia finora ignorata, che a volte, ripensando al proprio passato di sposa, la sgomentava, la faceva rabbrividire e insieme le accresceva il desiderio di avere Sandrino accanto a sé. Stavano assieme la piú parte della giornata, ormai. Al mattino, ella lo accoglieva nel proprio letto, appena uscita la madre. Il loro amore era silenzioso, furtivo. Gli altri andavano e venivano dalle camere alla cucina; essi trattenevano l'affanno con la bocca sulla bocca. Bruna e Faliero salutavano Virginia attraverso il corridoio. Virginia gli rispondeva cercando di apparire tranquilla, assonnata. Sandrino era amabilmente ragazzo in qui momenti. La solleticava apposta, l'assaliva. « Ti voglio compromettere», le sussurrava all'orecchio. « Un giorno o l'altro mi metterò a parlare ad alta voce, o aprirò la porta mentre loro passano. Tu che farai ? ». «Dirò che mi hai aggredita». «E sai loro cosa diranno? Repubblichina e pervertita. Anzi, diranno che le due cose stanno bene insieme. Ti manderanno in prigione. Allora sarò io che dovrò portarti da mangiare». E subito aggiungeva: «Non lo farò mai. Mi bisogni troppo. Ossia: lo farò quando ti avrò preso tutto. Perché ti porterò via tutto, un poco alla volta, parliamoci chiaro». La casa si faceva deserta, ed essi potevano sentirsi a loro agio. Ella si alzava, tirava il paletto di sicurezza e gli preparava la colazione. Lo serviva nella propria camera, con lui ancora in letto, sedendogli vicino. All'una pranzavano in cucina, ed ella pensava che siccome la terrazza era isolata, con la primavera gli ci avrebbe fatto trovare il tavolo apparecchiato. Ella lo nutriva! Aveva imparato subito i suoi gusti e le sue debolezze: gli piaceva che il sugo fosse denso, la carne bruciata quasi, le verdure mai lesse, e che il pollo, se c'era, fosse fritto. Voleva il marsala, invece del vino comune, durante il pasto, e sul tavolo, uno di qua uno di là dal piatto, voleva che tutti i giorni ci fossero i cachi. La casa era tutta per loro; dopo i primi giorni la sicurezza di Sandrino aveva fugato le sue trepidazioni. «Chi vuol che venga... Sono tutti col capo sul lavoro », le diceva. «Ti dovevi sognare d'avere l'amante a domicilio». Ma anche nella volgarità conservava un tono scanzonato ed amabile. Ciò che avrebbe dovuto offenderla, quasi la compiaceva. Era il modo suo proprio di essere allegro e di scherzare; non si poteva fare a meno di sorridergli. Egli aveva perfino dato un nome alle due galline: quella bianca la chiamava «signora Letizia», ch'era il nome della moglie del suo padrone, siccome le rassomigliava. Sandrino leggeva il giornale sportivo; Virginia riordinava la cucina, in fretta perché Sandrino non si spazientisse. Ad insegnarle i nuovi balli ci aveva rinunziato: avrebbe fatto del rumore e potuto destar sospetto nel vicinato «con quei muri di cartavelina». La istruiva, invece, sul giuoco del calcio e sulle squadre: una delle prossime domeniche l'avrebbe condotta allo stadio. Sandrino era il sole ed essa gli girava attorno, com'egli le aveva detto. Dipendeva da lui tenerla in vita o farla sprofondare. Sapeva essere anche gentile, tuttavia. Le aveva detto: «Il mio padrone vende tessuti, è un merciaio ma ha un debole per l'astronomia. Lo chiamano Flammarione. Stamani parlava di uno scienziato che ha scoperto una nuova stella e ne ha dato comunicazione. Io ho pensato che costui è un idiota. Se gli piacciono le stelle, cosa c'era di meglio di averne una per sé solo, che nessuno sa che esiste? Ora tutti gliela possono guardare. Sarebbe come se io confidassi a qualcuno di te e di me. Il bello della nostra relazione è proprio questo: che non c'è anima viva che la possa immaginare». Alla sera Virginia lo attendeva ancora all'uscita del negozio. Andavano al caffè. Oppure al cinematografo. C'era andata, al cinema, finalmente, e le sembrava di avere distrutto l'ultimo legame col suo periodo di terrore, di essersi conquistata in pieno una nuova vita. Cosicché, dodici giorni dopo il Capodanno, quando Sandrino le ripeté di non farsi illusioni, ch'egli avrebbe preteso tutto da lei, essa gli rispose: «Ma sono io che voglio darti tutto. Non hai che da chiedermi». «Voglio un cronometro», egli disse. «Mi serve per regolare il tempo delle partite». Era mattino e stavano facendo colazione. «Oh, è tutto qui? », ella esclamò. «Io che credevo chissà cosa». Egli volle darle un bacio per ringraziarla; la rovesciò sul letto e la prese una volta ancora. Poi ella sorse per prima, allarmata. «Sono le dieci. Come ti giustificherai al negozio? ». «Non ci andrò affatto. Mi darò per malato». Non andò quel giorno e nemmeno l'indomani. Il terzo giorno ella tornava dal fare gli acquisti e lo trovò che l'aspettava. «Mi hanno licenziato», le disse: «Flammarione ha messo in dubbio che mi fossi sentito male, mi ha minacciato di togliermi le due giornate di salario. Io gli ho buttato il metro sul banco e me ne sono andato». «Allora non ti hanno licenziato. Sei venuto via da te», ella disse, ingenuamente. « E be'? Forse vuoi sapere anche te dove sono stato questi due giorni? Sono stato a giocare al pallone, non è vero? O piuttosto sono stato a fare delle porcherie con una donna?». Era riuscito ad offenderla, ma soprattutto ella si sentiva umiliata dalle sue parole. Ebbe per un istante il senso della sua ingiustizia e della propria condizione. Si era seduta al tavolo di cucina, si teneva la mano sulla fronte: non pensava di essere sudata, e se ne sorprese. Fu un attimo. Subito dopo si disse che le parole di Sandrino erano giuste, che era stata lei a trattenerlo ed a fargli perdere il lavoro. Si alzò per carezzarlo. Egli si lasciò blandire, posò la testa sul suo seno. Le baciò teneramente la gola. «Non mi approvi?», le chiese, timido come non lo aveva mai udito. «Hai fatto benissimo», ella disse. «Cosí starai sempre con me... Apri la borsa, guarda cosa ti ho portato ». C'era il cronometro; era d'oro, ed egli ne fu entusiasta. «Ti manderò in rovina, se dài ascolto a tutti i miei capricci». «Sono io che ti ho voluto fare un regalo, non tu che me l'hai chiesto», ella disse. Simulò la voce di lui, il suo gesto, e aggiunse: «Parliamoci chiaro», ridendo. A tavola. egli disse: «Del resto, posti come quello che ho lasciato, li trovo ad occhi chiusi». Tuttavia per quel giorno, siccome era sabato, ella gli dové dare l'equivalente del salario che ogni settimana egli versava a sua madre. Appunto perché sua madre non venisse a sapere che da quel momento era disoccupato. Virginia stessa gli aveva offerto la soluzione, allorché Sandrino si era fatto pensieroso e, col cipiglio che gli atteggiava la faccia al dolore, aveva detto: «Non ho pensato a mia madre». Avuto il denaro, egli disse: «Questi te li renderò». Volle sdebitarsi l'indomani medesimo. Ella mangiò in camera, come al solito, riscaldando il cibo sulla spiritiera, per non incontrarsi con gli altri che alla domenica erano per la casa. Attese che Sandrino fosse uscito e lo raggiunse al caffè dove si erano dati appuntamento. Egli le disse: «Non andiamo al calcio, ma andiamo lo stesso ad uno spettacolo sportivo. Andiamo allo Sferisterio. Cosí ti restituisco subito quello che mi hai prestato. Basta tu mi anticipi altre cento-lire». Ella capí soltanto che gli occorrevano cento lire, appoggiò la borsa sul tavolo, l'aperse e ne stava cavando il denaro. Lui la fulminò con lo sguardo. «Sei mostruosa. Vedi che quelli che giocano a scacchi non ci tolgono gli occhi di dosso, vedi che il cameriere sta davanti a noi e cacci i soldi dalla borsa. Vuoi ripetere la scena di Capodanno? Ci godi ad apparire come quella bionda, a quanto pare. Vuoi proprio farmi passare per il tuo mantenuto. Oppure pensi che mi credano il tuo bambino? ». Parlava tra i denti, era impallidito, gli tremavano le labbra, e il suo sguardo, di un celeste che Virginia non riconosceva, cupo, l'agghiacciava. La sua voce aveva avuto un tono adulto, di odio. Questa volta il suo sarcasmo non le aveva lasciato modo di intravedere la burla. La crudezza delle sue parole era confermata dal fremito del suo corpo, faticosamente dominato, e dall'intensità con cui egli stringeva i pugni e li premeva sul tavolo. Le nocche spiccavano lucide e bianchissime, come prossime ad esplo- dere. «Ecco, sí, fai cotesta faccia», egli riprese. «È proprio quello che ci vuole. Fai la terrorizzata, cosí crederanno che sono scontento di quanto mi hai portato. Lascia capire che appena usciti di qui ti sevizio, forse qualcuno ti verrà in aiuto». Virginia era basita. Lo sguardo di Sandrino la uccideva: era un ago che le bucava la nuca; ebbe la sensazione di sentirsi aspirare dentro la testa: un freddo che di secondo in secondo le si circoscriveva alle tempie e al cuore, contemporaneamente. Egli sillabava le parole con una pacatezza spietata. «Sicuramente tra un momento sverrai, non è cosí? », le disse. «È nel tuo sistema. Ma ti avverto che questa volta non ti serve. Appena cadi io scappo, vado a casa e dico tutto. Dico ai partigiani che eri la complice di tuo marito, che adescavi i ragazzi per farli iscrivere nei marò. Dirò che l'hai fatto anche con me, che per colpa tua mi arruolai». Virginia si sostenne con una mano all'orlo del tavolo per trovarvi appoggio e respiro, tentò con l'altra di raggiungere la bottiglia che era in mezzo al tavolo. Egli la prevenne: «Vuoi bere? Ci sono qua io». Ora il cameriere si avvicinava, premuroso, incuriosito, le chiese se le occorreva qualcosa. Ma ella riuscí a recuperare le proprie forze, a sorridere perfino: «Un capogiro», esclamò. E rivolta a Sandrino: «Avevi ragione. Non dovevo uscire, dopo la febbre che ho avuto stanotte. Va già meglio. Se vuoi che andiamo». Egli la stringeva al braccio, e appena fuori il caffè, invece di attraversare la piazza la costrinse a voltare per una stradetta laterale che appariva deserta in tutta la sua lunghezza di vicolo. Ella s'immaginò che adesso Sandrino l'avrebbe assalita e percossa, forse l'avrebbe uccisa. Ma non reagí: si affidò anzi piú docilmente al suo braccio. Erano arrivati a metà del vicolo, in silenzio. Egli le lasciò il braccio, la prese delicatamente ai gomiti, la fece appoggiare al muro. «Riposati», le disse, con un tono improvvisamente diverso. «Non metteremo piú piede in quel locale», aggiunse. Era tornato il Sandrino di sempre, come se nulla fosse accaduto di quanto era accaduto. Pure riac- quistando la calma, la nozione del luogo e delle cose, interiormente ella ne fu maggiormente stravolta. Egli le appariva sereno, padrone dei propri gesti, spontaneo, sinceramente preoccupato della sua salute; era il medesimo Sandrino che essa aveva conosciuto il giorno del suo compleanno al tirassegno, che la guidava alla ballera, che la baciava per il cronometro promesso, quello degli istanti ineffabili che seguivano l'amore, che le diceva: «Il bello è proprio questo: che soltanto tu ed io sappiamo cosa siamo l'uno per l’altro». Ella non riusciva a restituirgli la faccia di pochi minuti prima, nel caffè, la voce spietata e convinta che l'aveva chiamata sgualdrina, la ferocia e la violenza omicida ch'era nei suoi pugni chiusi posati come ordigni sulla tovaglia a quadri. Credeva di essere certa che anche costui era stato Sandrino, eppure ne dubitava, attribuiva ad un proprio svenimento, ad un proprio sogno malsano la realtà di quell'immagine. Egli le rivolgeva adesso parole amiche, affettuosamente preoccupate; la sua faccia era innocente, dolcissima; non poteva essersi trasformato in tanto poco tempo, e colorirsi in viso, avere quelle sue mani ferme, leggere, che la carezzavano. Cosí come il suo sguardo, che era di nuovo celeste ed ella vi si poteva specchiare. Gli occhi di Sandrino, tutta la sua persona le dicevano ch'egli «ignorava » ciò che era accaduto. Questo la sconvolgeva. Aveva spavento di se stessa, adesso, della propria mente che vacillava; e nello stesso tempo era già tutta raccolta con devozione, riconoscenza, umiltà nelle braccia di Sandrino, che era buono, generoso, indulgente e la perdonava. «Non lo farò piú», ella credette di dovergli dire. «Capisco che in certi momenti perdi il controllo delle tue azioni». «Ho fatto molto male?». «Sí, ma all'ultimo istante hai saputo dominarti». Poi le sollevò il mento, esclamò: «Brek! Non parliamone piú. Ti ho già perdonata». Ciò che egli le perdonava, quale era stato l'ultimo istante, ed ultimo rispetto a chi o a che cosa, questo ella voleva sapere per fare chiaro nella propria mente. Tuttavia aveva timore di chiederglielo. Temeva ch'egli le confermasse indirettamente, e forse esplicitamente, le proprie parole, gli insulti, e quindi il suo volto d'allora, i suoi pugni, tutto quanto ella credeva di ricordare e non voleva fosse vero, perché non poteva essere vero. Altrettanto temeva che facendogli una domanda precisa egli potesse oscurarsi di nuovo, riacquistare quello sguardo, quella voce, quei suoi pugni che adesso l'avrebbero raggiunta, stroncata e le avrebbero tolto l'ultima speranza nella quale si era determinata: persuadersi che nulla fosse accaduto, che soltanto la sua mente avesse vacillato un istante. Egli guardò il cronometro, disse: «Datti un po' di cipria, è tardi. La prima partita sarà già cominciata». Camminavano in una strada del centro, domenicale, affollata. Egli volle entrare in un bar e farle prendere un cordiale. Sapeva d'uovo e di cognac, e la riscaldò. Salirono su un tram, stipato, rumoroso: egli le stava di fronte, nella calca, e la proteggeva. «Non sei per nulla suonata», egli disse. Virginia non capi il senso delle sue parole, ma lo vedeva allegro, contento. Gli chiese: «Dove andiamo? ». «Te l'ho detto: allo Sferisterio». «Non ci sono mai stata. Che film c'è?». «D'ambiente di gioco, ti piace?». Ella era poi passata dallo stordimento alla sorpresa e dalla sorpresa ad uno stato di torpore. Sandrino l'aveva accompagnata fino alla piccola tribuna, al fondo della rete. Ella sedeva in una specie di box. con le paratie all'altezza dei gomiti: aveva la rete davanti a sé, al di là della quale s'innalzava un muro altissimo che si perdeva allo sguardo, alto piú della volta della sala. Tra la rete e il muro v'era la pista di gioco e quegli uomini vestiti di bianco, coi calzoncini da minuetto e le fusciacche azzurre e rosse che si rimandavano la palla sul tamburello, correndo, volteggiando, imprecando. L'aria era affocata, pesante, densa di fumo nella sala e stranamente limpida al di là della rete, come rarefatta dalle vampe dei riflettori. Ad ogni palla che si ingabbiava contro la rete, che spirava sul cordino, che si volatizzava al di sopra del muro, ad ogni colpo sonoro dei tamburelli, facevano eco le urla degli spettatori, i loro incitamenti, le loro bestemmie e gli evviva. L'ambiente la intontiva, e la spossava. Ovunque ella volgesse lo sguardo, v'era un motivo di allucinazione. Davanti a lei le sagome dei giocatori, la luce accecante dei riflettori che illuminavano la pista; alla sua destra, alto sul tumultuare degli spettatori, un tabellone bianco, e su un palco aereo un uomo che vi picchiava sopra con una canna e lo maculava di numeri rossi, accanto alla fila di nomi scritti in nero e in colonna. Un apparire e sparire di cifre bianche, rosse, nere, magicamente evocate dalla canna di quell'uomo piccolo, calvo, rattrappito. Alla sua sinistra, gli spettatori che le sedevano vicino, sulla balconata, o aggruppati e frementi alle maglie della rete, gli uni a ridosso degli altri, preda alcuni di un eccitamento bestiale, altri di una sfrenata allegria, altri ancora chiusi in un mutismo ostentato e sornione. Venuta lentamente a cadere la tensione che l'aveva sorretta fino all'ingresso dello Sferisterio, il calore dell'ambiente, le sue allucinanti presenze, lo stare da due ore immobile, seduta, ostinatamente chiusa nella pelliccia, l'avevano sfibrata. Ella chiudeva gli occhi e cercava il sopore. La riscuoteva, di tanto in tanto, il fragore di una suoneria che scoppiava lacerante, improvviso: si spegnevano le luci della pista e si accendeva la sala. Allora Sandrino, che vanamente dapprima ella aveva cercato di riconoscere tra la folla accalcata alla rete, la raggiungeva per qualche minuto. Ella gli sorrideva per rassicurarlo. «Hai vinto?», gli chiedeva. «Solo quando usciremo te lo potrò dire. Non chiedermelo piú, porta scalogna». Lo vedeva infilarsi nella marca di teste, col suo amico basco sulla nuca e i riccioli sulla fronte, scompariva tra coloro pigiati al banco del totalizzatore. Cessava la suoneria e il gioco riprendeva. Virginia tornava ad assopirsi. Nella sua mente confusa, l'episodio del caffè, il vicolo, il tram si accavallavano, sfumavano nell'incoscienza del sonno. La richiamò a sé una voce, quasi al suo orecchio: « Se mi avessero detto: la testa. Io avrei scommesso la testa, ma la signora Virginia al tamburello, proprio non ce l'avrei fatta ». Era Faliero. VIII Questo incontro segnò un piú vasto mutamento nella vita di Virginia. Le circostanze la costrinsero a familiarizzare col resto della casa. L'apparizione di Faliero l'aveva improvvisamente rianimata; ella ebbe un primo ed unico pensiero: evitare che Sandrino la raggiungesse e che Faliero potesse rendersi conto, in un istante, della loro intimità. L'imminenza e la gravità del pericolo la resero agitata. Gli porse la mano. «Non sono permesse delle distrazioni? », gli disse. Si alzò. «Me ne stavo andando». «Se è sola mi permetto di accompagnarla», disse Faliero. «Nemmeno io punto all'ultima partita». «È l'ultima partita? », ella chiese. «Io, vengo soltanto per l'ambiente. Mi svaga piú del cinematografo ». Scendeva i gradini della balconata, spigliata ma col cuore in gola: potevano trovarsi faccia a faccia con Sandrino, mentre Faliero le faceva strada tra gli spettatori. (In realtà, Sandrino aveva miracolosamente evitato Faliero poco prima: li seguiva, adesso, nascosto dietro una colonna). Faliero disse: «Aspettiamo il tram? ». Egli indossava un paltò blu, con la cintura che gli snelliva il corpo. Era senza cappello; era bruno, ed alto, quasi quanto lei. «Fa un giro troppo lungo. Preferisco andare a piedi», gli rispose. Faliero era intraprendente, e tuttavia impacciato, nel sostenere la conversazione. Disse: «Mi chiedo se lei è proprio lei». Ella era ansiosa di allontanarlo dallo Sferisterio, e di distrarlo. Per fare ciò le sembrava di dover essere disinvolta, cordiale, ma la precipitazione, la condiscendenza e a momenti la stranezza delle sue risposte, tradivano il suo orgasmo: una febbrilità che Faliero non sapeva ancora come interpretare. «Avessi preso, per caso, un abbaglio? », egli ripeté. «Lei non sa ancora capacitarsi di avermi incontrata allo Sferisterio, è cosí? ». «Infatti », egli le rispose, «e sono contento di non farle piú paura». « Ma non mi ha mai fatto paura. Ho cambiato opinione su di lei». «Non mi dica quella di prima, mi dica quella di ora». «Penso che lei è un galantuomo». Avevano voltato strada due volte e Virginia si sentiva piú sicura. Erano poco distanti da un bar, nel raggio di luce azzurra e bianca dell'insegna. Ella lo sfiorò con lo sguardo: il suo sorriso era aperto, generoso; la intimidí e la rassicurò nello stesso tempo. Egli volle offrirle l'aperitivo. «Mi immagino la contentezza di mia moglie», disse, in piedi, al banco. «Poiché lei, stasera, sarà nostra ospite. Niente ma. Basta ormai con la segregazione. Per tutti questi mesi ci ha costretto a sentirci come suoi carcerieri. La signora Lucia in specie, che quando lei arrivò credette di avere trovato finalmente la compagna per il suo rosario. Dice sempre che noi non la capiamo. Che abbiamo sale in zucca quanto il suo ragazzo». «Perché? Lei, la madre, capisce qualcosa di Sandrino? », esclamò Virginia, e subito ebbe coscienza della leggerezza commessa. Era avvampata in viso. «È cosí irrequieto perché è giovane», aggiunse per correggersi. Faliero si era fatto improvvisamente serio. Disse: «Sí, purtroppo, è irrequieto. Ma si sta avviando sulla strada buona». Aveva posato il bicchiere sul banco, con un gesto che accompagnava il suo pensiero. «Be'», concluse, e le sorrise, prima di cambiare argomento. Le disse che anche fisicamente gli sembrava rimessa. Ma in Virginia, quel gesto e le sue poche frasi avevano avuto un'eco allarmante: egli pensava male di Sandrino, era ancora suo nemico. Ora entrare in confidenza con Faliero e sua moglie le faceva piacere. Avrebbe saputo cosa pensavano di Sandrino, cosa tramavano contro di lui: avrebbe forse avuto modo di prevenire i loro piani. (Pensò a quella madre sciagurata, cieca, che si confidava coi nemici di suo figlio). Si immedesimò talmente, e precipitosamente, nella propria parte che, usciti dal bar, fu lei stessa a riportarvi il discorso: lo fece in maniera esplicita, irriflessiva. Faliero ne fu sorpreso e insospettito. «Cosa si può rimproverare a quel ragazzo? », ella disse. «Di essere stato fascista? È ancora questo?». Eccitata dalle proprie parole, i suoi sentimenti la travolgevano; la sua voce acquistava una durezza offensiva. «Anche i ragazzi continuate a perseguitare? », riprese. «Lei gli fa l'amico per tenerlo d'occhio. Ora capisco ». Faliero si arrestò, le si mise di fronte. «La prego, non parliamone. Lei è una signora che io rispetto perché so che non ha nulla da rimproverarsi. Anzi, posso dirle che l'ammiro siccome sta dando prova di una grande fermezza, anche se un po' eccessiva», aggiunse indulgendo alla cordialità. «In quanto a Sandrino, non credevo che lei fosse informata». Ella aveva ritrovato la propria padronanza, e un contegno. «Ne sono informata mio malgrado. I muri sono di cartavelina». « Direi, il contrario della persecuzione », egli continuò. «Lo stavano rinchiudendo in riformatorio, ed io mi sono fatto garante per lui». Ora Faliero sospettava. Come poteva Virginia avere appreso, sia pure origliando, il recente passato di Sandrino, se nessuno ne parlava mai in casa, e tanto meno Sandrino con sua madre? Ma non volle porle la domanda, per non sciupare la conciliazione allora avvenuta, e perché ciò poteva rivelargli una verità che era necessario scoprire indirettamente per appurarla intera. Egli aveva creduto di sapere tutto di Virginia (della sua innocenza e solitudine); per questo, assieme a Bruna, avevano cercato di alleviarle il dolore offrendole la loro amicizia: si erano proposti di «aiutarla a ritrovare la fiducia nella società». Ed ecco che si disponeva lui, adesso, a cambiare opinione su Virginia. Soltanto Sandrino poteva averle raccontato la propria storia: si conoscevano, quindi, si erano incontrati e si incontravano tuttora. Ma quando, e perché? Quella sera, a cena, c'era dunque la nuova ospite. Bruna le assegnò il posto d'onore, a capotavola. Lucia si fece promettere che l'avrebbe accompagnata nel suo rosario d'ogni sera. Virginia fu presa dal calore della loro accoglienza, si scusò piú volte di averle offese col contegno tenuto fino ad allora. Fu stupita e commossa, ma via via che il tempo passava, veniva la notte e Sandrino non rientrava, con sempre maggiore fatica ella riusciva a reprimere la propria ansia, forse piú sofferta di quella esteriormente manifestata dalla madre. Il ritardo di Sandrino diradò a poco a poco l'atmosfera di cordialità, diventò per ciascuno motivo d'angoscia, d'inquietudine. Lucia si lamentava ad alta voce. «Non l'ha mai fatto di non tornare a cena... Mi diceva sempre tutto: dove conta di andare e dove poi è andato... "Oggi, mammina, il programma è questo", mi ha detto. "Sigarette, stadio e se mi restano soldi, un film di avventure". Si è raccomandato gli facessi trovare pronto per le otto, poiché voleva andare a letto subito. Domattina deve trovarsi presto sul lavoro, alle cinque addirittura. "Una volta tanto mi alzerò prima di te", mi ha detto. “Facciamo l'inventario della merce per una vendita a prezzi di liquidazione”. Vedete? Mi dice tutto. Liquidano gli articoli di fine stagione. Il padrone gli vuole bene come ad un figliolo. Gli ha promesso di mandarlo a Milano a trattare un affare al posto suo ». «Avrà voluto rivedere il film, tanto gli sarà piaciuto», le disse Bruna. «Certo», disse Faliero. «È sveglio piú di quanto lei non crede». Virginia era impietrita. Faliero la fissava ed essa non riusciva piú a darsi un contegno, irrigidita sulla sedia, gli occhi stralunati. Bruna le disse: «Le sta entrando il freddo, non è vero? Perché non va a coricarsi? O almeno, ad infilarsi la pelliccia». Virginia si alzò, meccanicamente, percorse il corridoio, girò la maniglia, e mentre al buio cercava l'interruttore, questo scattò, si accese la luce nella camera ed ella si trovò dinanzi Sandrino che l'agguantò alla vita e le chiuse la bocca con la mano, per impedirle un grido, di sorpresa. Ella si abbandonò tra le sue braccia; immediatamente l'angoscia le si scioglieva in lacrime. Sandrino le sussurrò, irritato: « Ci voleva molto a capirlo, che ti aspettavo? Faliero ha visto che eravamo insieme? Hai un cervello di gallina. Devo pur sapere come ti sei comportata, prima di presentarmi. Ti ha cavato nulla di bocca, strada facendo?». Ella gli rispose scuotendo la testa. Allora Sandrino l'abbandonò su una sedia, scivolò cauto nel corridoio. Uscendo le disse: « A proposito: abbiamo perduto tutto, ma ci rifaremo». Virginia aveva poggiato il capo sulla spalliera del letto, piangeva di consolazione. Poi sentí bussare alla porta. «Il camorrista è tornato», le disse Bruna dall'e- sterno. «Venga che glielo presento». «Meglio domani», ella le rispose. «Ho freddo, e mi sono gia coricata». Ma Sandrino fu tanto ardito da venire di persona nel corridoio. « Mi dicono che la prigioniera ha spezzato le sbarre. Brava. Sarò lieto di conoscerla. Per adesso, buona notte. E buon sonno». «Buona notte, signorino Sandro», ella gli rispose. Poco dopo, spossata e serena, si addormentava. Era, quella notte, la notte dalla domenica 25 al lunedí 26 gennaio, la prima della nuova luna che mitigò la stagione e recò alcuni giorni tepidi, di primavera. L'alba fu nitida, senza caligine né vento: si levò un sole luminoso che prometteva di asciugare presto la biancheria. La massaia del piano di sotto stendeva i panni alla sua finestra sulla corte, e cantava, invidiando, per i suoi ragazzi e il suo bucato, la terrazza soprastante. La sua voce destò Virginia. Il sole si insinuava attraverso le gelosie abbassate. Ella godeva di quel risveglio che la trovava riposata, languida, a covare il tepore del proprio corpo. Stava ad occhi chiusi, raggomitolata sotto le coperte, le mani tra le cosce. Era un modo delizioso e indolente di riprendere possesso dei propri pensieri e sentimenti. di richiamare al proprio cuore e alla mente le persone e le cose che le erano attorno e l'attendevano. Rievocava pigramente gli avvenimenti della vigilia. Il suo spirito, disposto alla dolcezza, alla quiete, operava in essi una selezione spontanea: li giudicava nella misura del proprio ottimismo. Ciascun episodio le recava diletto, adesso. Dapprima Sandrino era stato feroce, perché l'amava: la gelosia che al tavolo del caffè l'aveva fatto trascendere fino alla brutalità, le era cara a ricordarsi poiché le confermava una volta ancora, e definitivamente, la profondità del suo affetto. Gli stessi suoi insulti, di cui aveva dimenticato le parole, le risuonavano come tenerezze. E piú di essi, ella ricordava ciò che ne era seguito: le attenzioni ch'egli le aveva prodigato nel vicolo, la sua insistenza per farle bere il cordiale, l'amorosa intensità del suo sguardo mentre sul tram si recavano allo Sferisterio. Anche dello Sferisterio ella conservava un'immagine gradita: era un'altra verità rivelatale da Sandrino, come il ristorante di lusso, come la ballera. «Non conosci nulla della vita. Mi sembri una bam- bina da divezzare », le aveva detto, ballando, il giorno di Capodanno. Egli si era quindi proposto di farle scoprire il mondo. Lo Sferisterio rappresentava anch'esso una tappa sulla strada della conoscenza, tanto affascinante che l'aveva stordita. Era stata davvero simile a una bambina che si addormenta nel palco, ad una serata di gala. Cosí come l'incontro con Faliero aveva finito per distruggere dentro di lei il terrore della gente. Sandrino aveva ragione: gli estranei «Vanno messi sotto con furbizia»; o sono ipocriti, ed occorre essere ipocriti piú di loro, prendersene gioco, o sono ingenui e allora bisogna giovarsi della loro ingenuità per difendere «i nostri interessi». Virginia pensava che il suo interesse era uno solo: era Sandrino. E del resto, dopo di averli frequentati quelle poche ore, Bruna, Faliero, Lucia, aveva potuto persuadersi ch'essi erano piú ingenui che cattivi: anche Faliero, piú che nemico si sentiva protettore di Sandrino. Un protettore! Di Sandrino! Ora, portare in mezzo ad essi il suo segreto, l'idea di dover fingere che anche Sandrino fosse per lei un estraneo, la faceva sorridere; si disponeva ad affrontare il gioco con la trepidante sicurezza che l'avventura avrebbe maggiormente impreziosito il loro amore. La massaia dal piano di sotto cantava sciorinando i suoi panni. La casa era in silenzio. Tutti dovevano essere andati. Sandrino non era venuto da lei come ogni mattina, appena uscita la madre. Certamente si era addormentato di nuovo, come lei stessa che non aveva udito il saluto di Bruna e di Lucia. Ella covava la propria indolenza e si proponeva ciò che avrebbe fatto nella giornata: si sarebbe alzata, intanto, avrebbe preparato il caffè e destato Sandrino. Forse lui l'avrebbe costretta a giacersi, e questo era ciò che anche lei desiderava; si augurava di vederlo giungere da un istante all'altro; di poterlo accogliere tra le braccia in quel tepore che non si decideva ad abbandonare, e di darsi a lui con ancora le membra deliziosamente stanche dopo il lungo sonno, di sciogliersi sotto la sua violenza. Poi Sandrino sarebbe rimasto a letto, indaffarato alla sua «vendita di fine stagione»! Ella doveva uscire per la spesa, e per recarsi in banca a prelevare il denaro. Sandrino non aveva avuto fortuna, ieri sera; aveva perduto le tremila lire che le rimanevano. Distrattamente pensò che negli ultimi tempi aveva ritirato denaro piú spes- so che per il passato, quasi centomila, da ottobre. Al ritorno dalla banca, aveva in progetto di fermarsi all'oreficeria; voleva fargli la sorpresa di un nuovo regalo: la catenella da polso, già ordinata, che sapeva gli sarebbe piaciuta, con incise le iniziali di Sandrino, che erano anche le sue. Il canto era cessato; la massaia doveva essersi ritirata. E doveva essere ancora molto presto se il silenzio era cosí profondo, nella casa. Virginia tornò ad assopirsi: di minuto in minuto poteva giungere Sandrino; nell'amplesso le avrebbe ripetuto: «Sei la mia amante, lo sai? Lo sai? ». Si destò d'improvviso, agitata per via di un sogno che le aveva dato degli incubi e che appena aperti gli occhi non ricordava. Sudava. Guardò l'orologio: era mezzogiorno passato. Sul comodino, trattenuto sotto l'orologio, c'era un pezzo di carta gialla, gualcito. V'erano scritte delle parole a lapis copiativo. Dicevano: Starò fuori qualche giorno, forse anche piú di una settimana. Acqua in bocca e buona fortuna. S. Ella rimase a lungo immobile, seduta nel letto, col foglio giallo in una mano. Il sudore le si era raggelato in tutto il corpo, tremava, ed era incapace di pensare. Ostinatamente si ripeteva le stesse domande, senza riuscire a formulare un'ipotesi. Come sempre, l'improvviso l'annichiliva, le toglieva ogni possibilità d'immaginazione. Cosa poteva averlo obbligato ad allontanarsi? E perché cosí, all'improvviso? Perché non l'aveva destata? D'un tratto pensò che Sandrino le avesse voluto fare uno scherzo: era nella sua camera e l'aspettava. Vi si diresse correndo, chiamandolo per nome. La porta era chiusa a chiave e dapprima ella fu certa che Sandrino stesse giocando. «Aprimi», gli diceva. «È riuscito benissimo. Mi sono impaurita». Abbassava la voce: «Amore, aprimi», ripeteva. E lo chiamava sempre piú forte, con l'angoscia che rapidamente la tornava a possedere: « Basta Sandrino, ti scongiuro». Girava la maniglia, scuoteva la porta, lievemente, e poi con tutta la sua forza. «Basta. Mi sentiranno. Non mi so. piú controllare, ti prego». Quindi le traversò la mente l'idea ch'egli volesse complicare il gioco, che avesse chiuso la camera per trarla in inganno, e fosse nascosto altrove. Andò in cucina. Lo vedeva dietro l'angolo del focolare, tra muro e dispensa, sotto il tavolo, nel vano tra l'acquaio e la finestra, nel gabinetto, nel ripostiglio ove le donne tenevano gli stracci e le scope, ogni volta persuasa di scoprirlo e di rifugiarsi tra le sue braccia, e ogni volta delusa, spaventata. Vieni fuori... Ho paura... », diceva. Era in terrazza! Oh, certo, era in terrazza, come non averci pensato? L'aria la fece rabbrividire, ed ancora piú il sole tepido che l'inondava. «Dove sei?». C'era steso il bucato che Bruna aveva fatto il giorno prima. Egli era dietro i lenzuoli, e vi si nascondeva! Virginia scostava febbrilmente i lenzuoli, gli asciugamani, i pigiama: quella ricerca affannosa, inutile, finí di toglierle la ragione. Ebbe terrore del proprio stesso grido: era sconvolta ormai. Gettò a terra tutta la biancheria ch'era appesa, sempre vedendo Sandrino dietro ciascuno schermo. Assurdamente pensò ch'egli fosse rannicchiato dentro la stia. Si gettò carponi, infilando la testa nel pertugio; le galline starnazzarono, vennero ad urtare contro la sua faccia, la graffiarono sul petto, fuggendo dalla loro prigione, esse stesse spaventate. Ecco, Sandrino le era girato alle spalle: ora l'aspettava sorridendo nella sua camera! Ella percorse di nuovo l'itinerario: camera, corridoio, terrazza, cucina, due, tre volte, sempre vedendo l'ombra di Sandrino scomparire dietro un angolo, tra mobile e mobile, di pertugio in pertugio. Poi pensò ch'egli si era chiuso, questa volta davvero, nella propria stanza! Era crudele e spietato, era lui, e gioiva a sentirla soffrire. Tornò davanti alla sua porta; fu umile, tenera, sconsolata; lo chiamò dolcemente, ebbe scatti di cui subito gli chiedeva perdono, scosse la porta con tutta la sua energia, e poi la carezzò come avrebbe carezzato il volto di Sandrino appena egli ne fosse uscito, scongiurandolo di essere buono, pietoso, di non farla piú soffrire. Quindi la tensione venne meno a poco a poco, siccome Virginia crollava sui ginocchi. Era accucciata davanti alla porta di Sandrino, piangeva in silenzio, di tanto in tanto chiamandolo ancora, ma senza piú speranza. Vi rimase per delle ore, lacrimante, la fronte premuta contro lo zoccolo della porta, ed in grembo, teneramente stretta, una delle galline. Finché riuscí a sollevarsi. Il terrore che gli altri potessero sorprenderla fu piú forte della sua desolazione. Riordinò la biancheria sulle corde, rinchiuse le galline nella stia, dispensò loro il becchime. Rientrata nella propria camera, si sedette davanti alla specchiera, si guardò a lungo, scarmigliata e sconvolta qual era. Si riordinò i capelli, fissandosi, e si interrogava. Poté infine dirsi che forse Sandrino era stato meno crudele con sua madre; forse Lucia sapeva dov'era andato, e perché. Era ancora nuda sotto la vestaglia. Il freddo le era entrato addosso, violento; non reggeva il pettine nella mano. Accese la spiritiera e si scaldò il caffè. Intanto si vestiva. Doveva mostrarsi disinvolta con gli inquilini, ed affrontarli per sapere da Lucia notizie di Sandrino. Pensò di uscire per distrarsi e acquistare la calma necessaria. Deponendo il foglio giallo nella borsetta scoperse che la borsetta era vuota. Evidentemente la sera prima, allo Sferisterio, Sandrino aveva avuto bisogno anche delle ultime lire. Lei non ricordava. Era cosí lontana la sera prima! E lui dove poteva trovarsi adesso? Dove? E con chi? Era già sera. Scomparso il sole, l'aria aveva riacquistato la sua asprezza invernale. Il vento, agli incroci, tagliava il viso. La sua mente era confusa e quel gelo, invece di diradare il suo turbamento, lo accentuava. Era come se la sua testa e il suo volto trattenessero il vento, e questo vi si solidificasse; a poco a poco il suo viso e la sua nuca diventavano di ghiaccio; le tempie le trafiggevano il cervello. Sentiva le due file dei denti l'una sull'altra, strette suo malgrado: distaccarle ed aprire la bocca era una fatica a cui si rifiutava perché incapace. Tuttavia il suo corpo era sciolto in ogni giuntura, e la portava avanti, sempre piú stordita e irresponsabile. L'ultima riflessione, prima di questa vacanza della volontà e della memoria, fu che si era dimenticata di sorbire il caffè: aveva lasciato la cuccuma sulla spiritiera accesa. Si tranquillizzò dicendosi che presto sarebbe rientrata. Invece andava avanti per inerzia e nello stesso tempo franca, tra i passanti come lei veloci e infreddoliti. Le pareva di sostenere sul collo un peso immane, gelido. Distingueva le luci, le persone e le cose senza riconoscerle, con la trafittura lancinante, simultanea. all'altezza delle tempie. Si ritrovò nel caffè ov'era solita recarsi con Sandrino, seduta al loro tavolo d'angolo, con davanti una tazza di cioccolata. Il dolore alle tempie si era attenuato; ella riacquistava il dominio di sé e insieme le saliva dalle cosce fino al seno un'estenuazione dolorosa, una stanchezza simile a quella provata la sera prima allo Sferisterio, e tuttavia diversa: ciò che la sera prima era stato stordimento, bisogno di sonno e di riposo, adesso era come il risveglio di quello stesso mattino, ma senza velleità, né palpitazione. Le sembrò, e cosí era, di rientrare in possesso del proprio corpo. Una sensazione gradita. Il suo gesto di raccogliersi col mento dentro il bavero della pelliccia, come per accelerare quella riconquista, fu istintivo e goduto, e la indusse a sorridersi, a portarsi subito dopo alle labbra la tazza della cioccolata con avidità. «Ho fame», ella si disse, e mormorò le parole, si ascoltò. Chiamò il cameriere e gli chiese dei dolci. Era disinvolta come si proponeva. Gli disse: «Inteso che pagherò domani». Il cameriere era sornione, complice, al solito. Le rispose: «C'è il locale intero a sua disposizione». E tornando, con la pastiera: «Il suo amico ritarda, stasera. Oppure, dopo la scenata d'ieri, vi siete rotti? ». Ella non rimase sorpresa delle sue parole, né esse la offesero. Addentò una pasta, disse: «È dovuto partire per affari. Starà fuori una settimana». Poiché cosí sembrava a lei stessa. Sandrino era partito e sarebbe tornato, forse era già a casa che l'attendeva... Ma erano pensieri che sfioravano la sua mente e che ella non riusciva a trattenere. Tutto era meno forte della rilassatezza, del languore che la possedevano e la rendevano leggera, padrona del proprio corpo, e nello stesso tempo la immobilizzavano. Ora le pareva impossibile di potersi alzare, fidarsi sulle gambe era un tentativo assurdo, come poco fa distaccare i denti di sopra da quelli di sotto. Ella si lasciava affondare nella sedia, al suo tavolo d'angolo, il mento entro la pelliccia, consolata dal proprio tepore, ad occhi spalancati. Il caffè era affollato, pieno di fumo e brusio, di luci, di specchi che riflettevano le immagini, le volute di fumo, i volti e i gesti delle persone, il loro sedersi e andare e venire. Ella vi intratteneva lo sguardo, distaccata ed assente tuttavia, rivolta a sé sola; gustava il sapore della crema, della cioccolata sul palato; ebbe desiderio di fumare e aperse la borsetta. Una mano, attraverso il tavolo, le presentò la fiammella dell'accendisigaro. Ella accese alzando lo sguardo sullo sconosciuto. Non era uno sconosciuto, era una faccia che conosceva, rasata, larga e come tumefatta ai pomelli, col cranio lucido e liscio che continuava la fronte. Le sopracciglia, invece, grigie e folte, pettinate, nascondevano gli occhi, quasi forzatamente socchiusi e nondimeno mobilissimi, che sembravano sciabolare tante piccole luci dalle quali immediatamente Virginia si senti assediata. Gli sorrise. « Sa che stavo per rinunciarci? », disse l'uomo riponendo l'accendisigaro nel gilé. Ella si era adagiata di nuovo contro la spalliera e fumava. «A che cosa?», gli chiese. «Ma a fare la sua conoscenza, cara. Mai una volta che venisse sola, o se veniva sola mai una volta che lui ritardasse piú di cinque minuti. Ho perduto delle partite da principiante. Cavalli e regine mi partivano di sotto gli occhi, per guardare lei, che crede? Non si sente un poco responsabile di avermi rovinato la fama di scacchista? ». Cosa gli doveva rispondere? Anche parlare le costava fatica, come ascoltare, muoversi e parlare. Soltanto di guardare era capace, senza dover capire né associare le immagini. Ecco, ora le sembrava che lo sconosciuto, interrogandola, la spiegasse a lei stessa. «Lei mi guarda e non mi vede, non è cosí?». Aggiunse: « Sia sincera, posso restare? ». «Certo», ella gli disse. Perché non avrebbe potuto restare? Poco dopo costui diceva: «Cosí bella com'è dovrebbe già avere preso la fortuna per i capelli». E poi: «Ci alziamo? ». La precedette per infilarsi soprabito e cappello; le offerse la mano. Ella gli affidò la propria meccanicamente, soggiaceva a un ordine. Era in piedi, e gli camminava dinanzi. Uscirono sulla piazza, egli la prese al braccio. Era piccolo, grassoccio, molto piú basso di Sandrino. Il vento li investiva alle spalle. Si sentiva trascinata dal braccio dello sconosciuto e dal vento. «Vuoi che andiamo prima a cena? Io preferirei, se tu non sei impegnata. Se pensi che il tuo maquerau sia d'accordo ». Rise, un gorgoglio, con tutta la persona. Virginia capí solo ch'egli alludeva a Sandrino e che con quell'espressione aveva inteso di offenderlo. Questa volta fu lo sdegno a restituirle la nozione delle cose. «Io... », protestò, cercava di svincolarsi dal suo braccio. «Non volevo dispiacerti», egli disse. «Sei una cara creatura». Allora ella provò disgusto e paura. Fuggí. Corse come sentendosi inseguita, fino all'imbocco della strada dove abitava; si rinchiuse nella propria camera, si gettò supina sul letto, trafelata. Poco dopo Bruna bussava alla porta. «Stasera è stata lei a farci preoccupare», le disse. «Sono le dieci. Noi dobbiamo uscire, ma abbiamo voluto aspettarla, siccome Lucia si è già coricata». «E il signorino Sandro? », le chiese Virginia. «Il padrone lo ha mandato a Milano, come gli aveva promesso. Tornerà tra qualche giorno. È stata una decisione improvvisa. Il ragazzo ha avvertito la madre telefonandole dove lei lavora». Apparve Faliero nel vano della porta, disse: «È libera domani sera? Bruna vuole conoscere il nostro luogo di perdizione. Andremo tutti e tre insieme allo Sferisterio, se lei è d'accordo». « Senz'altro », ella disse. Rimasta sola si coricò. Trascorse una notte insonne, angosciata al pensiero di Sandrino, della sua assenza di cui non riusciva spiegarsi il motivo, reso piú oscuro e inesplicabile dopo la bugia con la quale egli si era accomiatato dalla madre. E della propria vita che si era promessa nuova e felice e adesso, da giorni, l'afferrava alla gola, un'ora dopo l'altra, con sempre piú intense emozioni, in una disperazione continuatamente rinnovata, ebbe un'infinita pietà. Pianse ancora, sconsolatamente, su una astratta Virginia le cui vicende la commuovevano. L'indomani mattina, già pronta per recarsi in banca, tolse dal cassettone il libretto degli assegni per riempirne uno della cifra che le occorreva. Lo aperse e vi trovò scritte queste parole: «Ho prelevato l'intera copertura». Piú sotto, in luogo della firma, Sandrino aveva disegnato un teschio e due tibie incrociate. IX Era digiuna da quarantotto ore, con soltanto la cioccolata e le due paste della sera prima. Quel giorno, e i due successivi, si nutrí con l'uovo della gallina che Sandrino chiamava «signora Letizia», e un po' di caffè che le restava, preparato sulla spiritiera. Non aveva denaro, nemmeno i pochi spiccioli necessari per acquistare la razione del pane. Pensava che nessuno le avrebbe fatto credito, repubblichina quale la consideravano. Ora le sembrava capire che nulla era cambiato agli occhi della gente nell'ultimo scorcio di tempo, durante il quale ella aveva vissuto nella luna. E del resto, il suo orgoglio, e piú ancora la sua timidezza, le impedivano di chiedere. Andò a piedi al cimitero, per la prima volta senza portare fiori alla tomba del marito. Non vi si recava dalla vigilia di San Silvestro, da quando era diventata l'amante di Sandrino. Tuttavia non provava rimorso: viveva adesso in uno stato di insensibilità e di attesa. La sua situazione era diventata inesplicabile, rendeva impropria ogni riflessione. V’era in lei una sola speranza, suggeritale dalla disperazione: Sandrino sarebbe tornato di giorno in giorno, le avrebbe spiegato, e tutto si sarebbe risolto spontaneamente. Ricercare i motivi che potevano avere indotto Sandrino. a fuggire dopo avere firmato un assegno col suo nome e incassato fino all’ultimo centesimo del suo deposito in banca, significava affrontare un mare di congetture in cui sarebbe certamente naufragata. Provandovisi, dapprima, aveva creduto di impazzire. Ora la sua natura si difendeva rifugiandosi in questo limbo di esterrefazione e di assenza. Perpetuamente incapace di rendersi conto dei fatti e di affrontarli, ella attendeva dai fatti stessi una soluzione che non era in suo potere né accelerare né protrarre. I fatti si identificavano con Sandrino, il loro esito dipendeva unicamente dal ritorno di Sandrino. Non sarebbe stato nemmeno necessario ch'egli le spiegasse: la sua sola presenza sarebbe bastata perché il mondo e la propria vita ripigliassero il loro corso. Davanti alla tomba del marito, Virginia pregò candidamente perché Sandrino ritornasse presto, e perché nessun male gli accadesse colà dove si trovava. Ella viveva cosí, da quattro giorni, in questo distacco e in questa attesa che conferivano al suo spi- rito, per contrasto, e come naturale conseguenza, quasi uno stato di grazia, un'ebetudine che la rendeva perfino loquace. Aveva portato al Monte di Pietà l'anello ricevuto da Ezio in occasione del lontano fidanzamento. La sera mangiava in cucina assieme agli altri inquilini, partecipava alla conversazione e vi si interessava. Aveva avuto dei momenti di autentica distrazione allo Sferisterio, allorché Faliero, istruendo Bruna, aveva indirettamente spiegato anche a lei il meccanismo del gioco: s'era appassionata all'alternarsi delle sorti durante la partita, e avendo puntato al totalizzatore in società con Faliero, la vincita l'aveva rallegrata. Dopo cena rimaneva a lungo sola con Lucia, nella sua camera, con davanti agli occhi l'ambiente che le ricordava Sandrino, ed era pieno di lui. Lucia parlava sempre del figlio: ogni suo pensiero e proposito lo riguardavano. Virginia la sollecitava ostentando curiosità e partecipazione. Si intenerí alle fotografie che Lucia le presentò, di Sandrino in fasce, e di Sandrino ad un anno, bocconi su un tappeto, con la testa diritta e fiera, con già i riccioli e gli occhioni spalancati. «Era biondissimo, allora», le disse Lucia. E poi col sottanino, tra mamma e papà, ma scontroso in questa posa, con l'accenno del cipiglio dinanzi al quale Virginia si era sentita sgomenta. «Lui mi dice: sono cresciuto in fretta, mamma, tu mi vedi sempre come quando ero in sottanino, invece ho sedici anni piú che compiuti. E se io gli dico che, appunto, non ne ha ancora diciassette, ed è sempre un bambino, sa cosa mi risponde? Sono un metro e settantuno, questo ti persuade? Ora si fa perfino crescere i baffi ». Le fece vedere il ritratto del padre di Sandrino, l'ultimo, fatto poco prima di partire per l'Abissinia. Le raccontò la propria storia, senza finzione e senza rammarico. «Mi aveva dato una casa, ma per un insieme di motivi non riusciva a rompere con sua moglie. Io avevo accettato il mio destino, siccome ci amavamo. Era cosí da piú di dieci anni, io avevo superato la trentina, quando rimasi incinta di Sandrino... Lui, da sua moglie, figli non ne aveva avuti, ma nemmeno io li volevo. Tuttavia, allorché accadde, e chissà come accadde, lui sembrava impazzito dalla gioia... Poi venne la guerra d'Africa, e soltanto dopo la sua morte seppi che c'era andato volontario... Sandrino aveva sei anni quando lui morí. Questa è l'ultima lettera che mi scrisse, da un ospedale da campo: era ferito grave e sapeva di dover morire. Mi diceva di avere pensato a me e a suo figlio nel testamento, che aveva informato sua moglie di tutto. Invece essa non mi volle mai nemmeno ricevere. Era una spagnola. Partí subito per il suo paese. Interessai un avvocato, ma essa dimostrò che tutto quello che aveva era suo, di dote. Il regalo che ci fece fu di lasciare a Sandrino la pensione. È una miseria, ed ora forse ce la toglieranno... Sono stati duri questi dieci anni, dopo la sua morte, con Sandrino da allevare. Lo feci studiare finché potei, ossia, a dire la verità, finché ne ebbe voglia. Mi sono dovuta adattare: ora lucido i pavimenti e faccio la cucina in casa d'altri, brava gente, che mi trattano da pari a pari, perché sanno che ho avuto anch'io un'educazione: avevo fatto le complementari. Mio padre era ragioniere in banca. Ma quando dovetti guadagnarmi la vita, per me e il mio bambino, mi accorsi che l'unico mestiere che sapevo erano le faccende di casa. Anzi, no: sapevo strimpellare il piano, se lo immagina?... Questa è la lettera che lui scrisse per Sandrino, perché gliela facessi leggere quando fosse in età di capire. “ Onora sempre tua madre. È una santa donna e mi ha amato fino al sacrificio. Ma onora soprattutto, con ogni atto e pensiero della tua giornata, e col tuo sangue se sarà necessario, la piú grande Madre che è la Patria. Odia i suoi nemici, tutti coloro che vorrebbero fare di essa una democrazia imbelle e rinunciataria, sottraendola cosí al destino imperiale che le appartiene, e combattili...”. Sandrino l'ha imparata a memoria, ha una venerazione per suo padre... Temetti, al tempo dell'occupazione, che facesse qualche sciocchezza, ma è ancora un ragazzo, e fu sensato: passò quel periodo fuori città, nella casa di un conoscente contadino... ». Tutto ciò riusciva gradito a Virginia. Ella conosceva Sandrino meglio di sua madre; e non soltanto sapeva ch'era uomo ormai, capace di dare la felicità, ma sapeva di lui e del suo passato cose che la madre ignorava: sapeva che Sandrino aveva tenuto fede alla memoria del padre, che aveva fatto proprie le sue esortazioni. Ella sentiva di non temere quella madre che ora le si confidava e che l'avrebbe assalita e perseguitata se avesse appreso dei suoi rapporti con Sandrino. L'ascoltava, invece, e la compiaceva nelle sue lamentazioni, con la condiscendenza propria di un adulto per le angustie di una bambina. Lucia era la prima persona verso la quale Virginia aveva provato fino dall'inizio un senso di superiorità; ed anche adesso che Lucia le parlava della fortuna che il figlio aveva avuto di incontrarsi con un padrone che lo sapeva apprezzare e gli affidava incarichi di fiducia, pur nella rigidezza dei sentimenti che la dominava, Virginia provava per la madre di Sandrino compassione e sufficienza ad un tempo. L'ignoranza di Lucia la rendeva sicura. Con Faliero e con Bruna, invece, doveva restare guardinga. Li temeva ancora, e le loro attenzioni, la loro cordialità, non bastavano a distoglierla completamente dal suo sospetto. Piú di una volta Faliero l'aveva colta di sorpresa con delle domande. Di ritorno dallo Sferisterio, quel mercoledí notte, per un nulla non si era tradita. Faliero aveva detto: «A Milano ci sono sei centimetri di neve. Chissà il povero Sandrino col suo impermeabile di velo, e la sua testa nuda... ». «Oh, sotto il suo basco, lui non ha paura... », ella aveva esclamato. Era seguito un silenzio alle sue parole, poi Bruna le era venuta involontariamente in aiuto. « A quanto pare, Lucia glielo ha descritto dalla testa ai piedi». «Non fa che parlarmi di lui», aveva ammesso Virginia. E l'indomani, il giovedí, a tavola, per la cena che adesso consumavano riuniti, Lucia disse: «Oggi parlavo di Sandrino con la mia signora. Mi ha detto che a Milano cucinano col lardo, e Sandrino non c'è abituato... La signora ha poi letto sul giornale che per via della neve c'è stato un paio di giorni di carestia. La città è rimasta senza carne e senza verdura». Virginia ebbe un pensiero improvviso, e non si accorse di esprimerlo ad alta voce. «Speriamo sia riuscito a trovare i suoi cachi», disse. Vide Bruna restare col cucchiaio a mezz'aria; sentí sopra di sé lo sguardo di Faliero che le sedeva di fianco. Ma riuscí subito a dominarsi; rivolta verso Lucia aggiunse: «Proprio lei mi diceva che suo figlio non può farne a meno». Il mercoledí la madre aveva ricevuto una sua cartolina di saluti, all'indirizzo dove lavorava. E il venerdí sera tornò con una lettera. «Sarà la decima volta che la rileggo, da stamani», disse. Sandrino le raccontava che l'affare per il padrone era ormai concluso, ma che doveva trattenersi qualche giorno ancora perché aveva scoperto delle possibilità «di trattare in proprio». « Significherebbe potermi emancipare, capisci mamma?», le scriveva. «I tessuti salgono di prezzo giorno per giorno. Entrati nel giro si possono guadagnare biglietti da mille da un'ora all'altra, e nella maniera piú pulita». Dava notizie della neve e dell'albergo dove alloggiava, « col riscaldamento»; la supplicava di non preoccuparsi anche se lui tardava qualche giorno ancora e che per nessuna ragione passasse dal negozio. «Sei una colomba e Flammarione ti leggerebbe negli occhi che cerco di fargli la finestra sul tetto». Invece non era vero. Trattava in proprio. E del resto, «gli affari sono affari», le scriveva. Finito il rosario, sola sola con Lucia, Virginia le chiese di rileggere la lettera, « che l'avrà fatta felice, immagino», le disse, e lo diceva a se stessa. Poiché adesso ella era davvero felice. Quella lettera le aveva fatto scoprire una verità ch'ella riteneva inconfutabile: Sandrino si era preso il denaro per acquistare i tessuti e poi rivenderli, «per emanciparsi»; avrebbe guadagnato, ed era il suo denaro che gliene dava la possibilità. Egli non le aveva detto nulla per farle una sorpresa; era partito senza salutarla appunto perché temeva di tradirsi se lei avesse insistito nel chiedergli il motivo del viaggio. E del denaro, forse pensava che lei non si sarebbe accorta subito. Appena tornato lo avrebbe nuovamente depositato e chissà per quanto tempo avrebbe continuato a chiederle: «Indovina chi mi ha dato i denari per incominciare». «Forse Biancaneve. Forse la Bambina dai Capelli Turchini», si prometteva di rispondergli. Prima di coricarsi prese il libretto degli assegni dalla borsetta e lo ripose al solito posto, là dove Sandrino l'aveva lasciato. Ora tutto le era doppiamente caro: il pezzo di carta gialla col suo commiato, e le poche parole scritte sul libretto degli assegni. «Ho prelevato l'intera copertura», già si esprimeva come un commerciante, in un linguag- gio che lei stessa non avrebbe capito fino a pochi mesi addietro. E quel disegno non racchiudeva un ammonimento e una minaccia, come dapprima le era passato per la mente e alla cui idea si era giustamente rifiutata. Sandrino era un fascista. Era stato imprudente e impulsivo a disegnare il simbolo, teschio e tibie, ma chi poteva vederlo se non lei soltanto? Ch'egli fosse fascista non le dava piú sgomento. Doveva piacerle tutto di lui. Trepidare per Sandrino faceva parte del suo amore. Fu per Virginia una notte felice, di attesa amorosa adesso, e di dolce trepidazione. X L'indomani Bruna non andò al lavoro. Virginia la trovò in cucina che stirava. La ragazza era ancora spettinata, sembrava tutta presa nel gesto di avvicinarsi il ferro alla guancia e di passarlo su di una combinazione di seta. Quell'atteggiamento la rendeva anche piú giovane dei suoi ventidue anni, quasi adolescente. Indossava il suo cappotto grigio da cui sbucavano i pantaloni del pigiama e le pantofole celesti. I suoi capelli erano castani, naturalmente ondulati, lunghi sull'omero, e cosí sciolti la illeggiadrivano. Aveva una carnagione bianchissima, un volto magro di cui gli zigomi appena rilevati, e il taglio profondo delle labbra, accentuavano il pallore. Il suo viso, non bello ma franco in ogni sua espressione, come lo sguardo al quale l'impercettibile strabismo conferiva una dolcezza tutta femminile, come i suoi gesti e la sua voce, suggerivano un'immediata simpatia. La sua fisionomia, tutta la sua persona, normale d'altezza e dalle forme esili ma armoniosamente compiute, era l'immagine di una giovinezza persuasa di sé. Nel suo sguardo, indubbiamente sincero, brillava una luce di sano egoismo, dentro le pupille scure. «Ho già acceso il fuoco», ella disse a Virginia, «se ne vuole approfittare». «Piú tardi, magari», disse Virginia. Si sede sulla sedia ch'era accanto al tavolo su cui Bruna stirava. «Ha fatto vacanza, oggi?». «Una mia collega mi sostituisce». Virginia era serena e felice, aveva desiderio di espandersi, di parlare. «Non le ho mai detto che per poco non finivo stiratrice? La mia madrina aveva un laboratorio di “ stireria e modista”, come succede nei paesi, dove il farmacista vende la cromatina... A furia di frequentare l'ambiente fino da piccola, ero diventata un po' una lavorante... Sono passati venti anni, ormai ». «Anch'io, verso i quindici anni sono stata in una filanda per qualche mese... Me ne è sempre rimasta la nostalgia. E a volte, ancora oggi, mi chiedo, stupidamente, se per essere coerente fino in fondo alle mie idee, non avrei dovuto restare tessitrice, invece di finire in un ufficio». Aveva ripiegato la combinazione, passava il ferro su un fazzoletto, con lo sguardo fisso su Virginia. «Ecco, ora lei è turbata... Le ho ricordato che qualcosa ci può dividere... Le dirò, allora, che l'ho fatto apposta. Le dirò di piú: che sono rimasta in casa, stamani, siccome ho bisogno di parlarle». Posò il ferro e si appoggiò sul tavolo con le braccia conserte. «Resti seduta, e mi guardi in viso. Tra noi due, quella piú in imbarazzo sono io, come non si accorge ? ». Virginia teneva le mani in grembo, infilate l'una nell'altra per le dita, a palme rovesciate: se le storceva per dominare il proprio turbamento. Ma era calma in apparenza, e poteva sostenere lo sguardo della ragazza. «Mio marito era un onest'uomo», esclamò. Le parole le erano venute tanto spontanee quanto irriflessive, e pronunciate con fermezza, fissando Bruna negli occhi. Fu allora che Bruna, scandendo parola per parola, disse: «Forse. Ma certamente non si può dire lo stesso di Sandrino ». Virginia temette di crollare; trovò invece un'energia disperata che la irrigidí. Bruna si rialzò sulla persona, trascinò una sedia e le sedette di fronte, ginocchia contro ginocchia; le prese le mani nelle sue, sciogliendole dalla stretta. «Mi ascolti», le disse. Virginia sentiva che le mani di Bruna erano piú fredde delle sue, e che la voce medesima tradiva una incertezza. «Che è accaduto a Sandrino?», esclamò. «Lo chiedo a lei», disse Bruna. «Io non so nulla. È partito lasciandomi due righe di saluto ». Aveva rivelato a Bruna il suo segreto, ma senza rendersene conto. L'ansia per la sorte di Sandrino aveva sopraffatto in lei ogni proposito di ritensione, di difesa. Disse: «Non ho altri al mondo che lui... È innocente... Prendetevela con me». «Non credevo fino a questo punto», disse Bruna, e le carezzava le mani. «Avrei dovuto intervenire prima», aggiunse. « Quindici giorni fa forse bastava, quella mattina che mi sembrò di vedere Sandrino entrare nella sua camera. Ma non volli fidarmi dei miei occhi. Mi sembrava ancora impossibile». « Impossibile cosa? ». «Che lei fosse diventata la sua amante. E adesso chissà in che pasticcio la sta trascinando ». «Sandrino è a Milano per trattare affari. Lo ha scritto anche a sua madre». «Oh», esclamò Bruna. «Quello che dice e scrive Sandrino, soltanto Lucia gli può credere. Ed anche lei purtroppo ». «Gli ho dato io i denari per acquistare le stoffe». «Ma perché si ostina a mentire? Non capisce che io desidero aiutarla? Lei non sapeva nulla della partenza di Sandrino, nemmeno dove si trova, lo ha ammesso pochi minuti fa». «L'ho ammesso per scoprire le sue intenzioni». «E va bene», disse Bruna. Cavò una lettera dalla tasca del soprabito, la spiegò e l'offerse a Virginia. V'erano tracciate poche righe, di pugno di Sandrino, dirette a Bruna, e testualmente dicevano: «La vedova di casa la conosco prima di te e degli altri. Ora ti ordino di vigilarla perché potrebbe mettermi nei guai. Non lo farà, ma è un'isterica pazza e non si può mai sapere. Se ci dovessero essere delle conseguenze, le mie sarebbero anche le tue, colomba bruna». Al posto della firma v'erano il teschio e le tibie. Virginia era stravolta; sillabò appena poche parole, disse: «È anche amante suo». «No, ma è peggio», disse Bruna. «Mi ricatta come se lo fosse». Poi aggiunse: «Ma ora basta. Ce ne libereremo insieme». Le raccontò di sé e di Sandrino. Virginia l'ascoltava in silenzio, guardando oltre i vetri del terrazzo su cui batteva il sole, e di tanto in tanto sfiorando con lo sguardo il volto della ragazza, che era tornato calmo e deciso, come la sua voce. Bruna disse: «È di me che le devo parlare, perché lei possa credermi, prima che di Sandrino. Vengo da una famiglia di operai. Mio padre era segretario della Camera del Lavoro, nel '24, quando nacqui io. Avevo due anni quando l'arrestarono e poi lo chiusero in prigione. Mia madre rimase sola con noi due ragazzi, io ero la minore, ma riuscí a tirarci su lo stesso. Presto mio fratello fu in grado di aiutarla imparando un mestiere. Mio padre uscí di carcere e lo mandarono al confino, finché dopo otto anni lo rimisero in libertà. Ma lo vigilavano continuamente e l'avrebbero arrestato di nuovo se non fosse espatriato. È morto in Francia, nel '36, di polmonite. In quello stesso anno arrestarono mio fratello. Ora lei capisce in che atmosfera sono cresciuta, diversa dalla sua. Lei, Virginia, è sempre stata persuasa che il suo compito nella vita si esaurisse tra il letto ed i fornelli. Mica è colpa sua, lei ha fatto il suo dovere come l'ho fatto io. Forse quando sentiva parlare di antifascisti se li figurava dei kingkong, e i comunisti se li sarà immaginati magari il diavolo in persona. Per me era diverso, i comunisti per me erano uomini piú uomini degli altri: erano mio padre e mio fratello. Ecco perché se pensavo all'avvenire c'erano letto e fornelli anche per me, con la differenza che per me erano condizionati alla fine del fascismo. «Fu a sedici anni che ricevetti i primi incarichi. Era già scoppiata la guerra e i giornali clandestini mi bruciavano il seno dove li nascondevo. Sono state le uniche lettere d'amore che ho ricevuto. Faliero non ha mai avuto occasione di scrivermene. In quel tempo Faliero era uno col quale fingevo di essere fidanzata, per andarci insieme e passargli la stampa. L'amore venne da sé. Quando scoprimmo d'amarci ci sembrò di esserci amati da sempre. «Ai primi del '43 io rimasi incinta e ci dovemmo sposare. Ma non potevamo pensare a mettere su una casa, senza risparmi e con la prospettiva di dovere scappare da un momento all'altro, siccome sapevamo che la Polizia ci pedinava. Perciò venimmo ad abitare qui, in una camera a subaffitto. Io ero di quat- tro mesi. Poi, disgraziatamente, abortii in seguito ad una caduta». «Sandrino già lo conosceva?», disse Virginia. «Sí, ma non pensi delle cose che mi potrebbero offendere. Non c'è stato nulla di fatale tra me e Sandrino. Ossia, sono stata io a rendere fatale quel nulla che c'è stato». «Sandrino abitava già con la madre? ». «Certo, ed era veramente un ragazzo, tre anni fa, soltanto incredibilmente cresciuto, sempre assetato di sigarette e con la mania dei libri gialli. Ricordo che di tanto in tanto me ne facevo prestare qualcuno. Era inquieto, ma allegro. Faliero lo portava con sé allo stadio, lo chiamava "vaporino" siccome gli chiedeva continuamente da fumare. Era infatuato, parlava con le stesse parole che leggeva sui giornali; se Faliero si azzardava a contraddirlo, diventava una furia. Per noi Sandrino era un esempio della rovina a cui il fascismo aveva condotto la gioventú, un ragazzo da salvare. Soprattutto per questo gli volevamo bene. Ci dicevamo, scherzando, che dovevamo fare di Sandrino il nostro convertito privato». «Non ci siete riusciti», esclamò Virginia; e sentí di amare Sandrino immensamente, in quel momento. Egli era stato piú forte di loro, era piú forte di loro. Li dominava. Ora ella credeva di capire che il racconto di Bruna non fosse altro che la storia della mancata conversione di Sandrino. Si pentiva di essersi lasciata prendere dall'ansietà di poco prima, meditava come ritrattare di fronte alla ragazza le ammissioni che le erano sfuggite. Ma subito ricordò la lettera che Bruna le aveva fatto leggere e che aveva riposto nella tasca del soprabito; lo sgomento di nuovo la invase. Bruna continuò: «Non ci siamo riusciti, e nemmeno lei deve rallegrarsene. Ce ne cominciammo a persuadere dalla reazione che Sandrino ebbe dopo la caduta del fascismo. Arrivò a dire delle parole grosse, fino a questo: che se avesse saputo prima chi eravamo, ci avrebbe denunziato. Era arrogante, inferocito, e una sera Faliero lo schiaffeggiò, qui in cucina. Si picchiarono, ruzzolarono per terra. Ma quando io sentii che stava arrivando Lucia, e lo dissi, Sandrino abbandonò subito la lotta. Credo che l'affetto per la madre sia il suo unico sentimento buono: un affetto tutto a modo suo, in ogni caso. «Poi i fascisti tornarono, coi tedeschi, e una delle prime visite la fecero qui, ma noi già ce ne eravamo andati, badavamo bene dal girare da queste parti. Non per questo si stava rintanati, tutt'altro, come lei può immaginare. Un giorno, nel gennaio del '44, l'indomani che gli Alleati erano sbarcati ad Anzio, Faliero fu preso dalla polizia repubblichina ». Virginia sussultò e Bruna le strinse piú forte le mani. «Furono brutti giorni, ma Faliero fu bravo come tutti ci si aspettava che fosse. Non parlò. Riuscimmo ad organizzare un'evasione e appena ci riabbracciammo, per prima cosa mi disse che una mattina, tra i neri che avevano condotto al carcere dei renitenti alla leva, gli era parso di riconoscere Sandrino. Ma non poteva giurarlo, ed io stessa credevo si sbagliasse poiché Lucia, che avevo incontrato per strada, mi aveva manifestato la sua contentezza di sapere il figlio al sicuro, presso un parente contadino. «Invece Faliero era nel vero, toccò a me sincerarmene. Pochi giorni dopo, al mattino, dovevo trasportare degli esplosivi da un luogo ad un altro, in una strada del centro. Li avevo dentro una borsa della spesa, frammezzo ai cespi d'insalata. Avevo imboccato la strada quando dalla porta dove ero diretta, vidi uscire un nero. Era Sandrino, lo riconobbi soltanto allorché mi fu vicino. È un bel ragazzo, fisicamente. Ebbene, allora era anche piú bello, spavaldo com'era. Eppure ai miei occhi era bestiale piú della sua divisa, e ancor piú perché era il ragazzo a cui Faliero ed io volevamo bene. «Mi fermò e mi disse: "Se è al ventuno secondo piano che sei diretta, ti consiglio di tornare indietro". Poi aggiunse che se avessi avuto bisogno di lui potevo cercarlo a un certo numero di telefono. Mi richiamò indietro per dirmi che si era arruolato sotto un falso nome. "Segnatelo", mi disse, "ti potrà servire". « Faliero fu piú addolorato di me. Entrambi ci rimproverammo di non avere fatto abbastanza per tirarlo a noi. Ma eravamo dei combattenti e Sandrino si trovava dall'altra parte della barricata; dovevamo dominare sentimenti anche piú forti di questo per poter fare quello che facevamo; e il fatto che Sandrino mi avesse aiutato significava che egli ci conservava un'amicizia della quale dovevamo approfittare. Poteva darci delle notizie preziose, qualunque fossero, per la Resistenza. Pensavano di essere utili noi a lui, suo malgrado, il giorno della liberazione, con la nostra testimonianza. Decidemmo che quella sera stessa avrei telefonato. «Cosí feci e Sandrino mi dette appuntamento per il pomeriggio successivo, al giardino... ». «Dirimpetto al fiume», esclamò Virginia. Ora il racconto di Bruna l'aveva presa; l'ascoltava, emozionata e ansiosa, come una leggenda. E Sandrino le appariva pur sempre un essere generoso, audace. «Quello», Bruna disse. «Non mi stupisce che abbia condotto lí anche lei. Fin da allora lo chiamava la sua "garçonniere". Ci andava a giocare da bambino; è rimasto il suo giardino d'infanzia. Tutte le sue azioni hanno conservato qualcosa d'infantile, perchè è piú che perverso, è mostruoso. Ecco, lei ora vorrebbe difenderlo perché lo ama, malgrado quello che deve averle fatto, malgrado la lettera che le ho fatto leggere... ». «Lei pure lo ama. È la sola cosa che finora sono riuscita a capire», disse Virginia. Gli occhi le si riempirono di lacrime. Bruna scosse la testa, mestamente, disse: «Amore come lo intende lei, no. E tanto meno allora. Andando all'appuntamento lo consideravo ancora un ragazzo che si era messo sulla piú infame delle strade, un irresponsabile, e mi auguravo ch'egli aderisse a ciò che gli avrei proposto, piú per il suo bene che per il nostro. «Lo trovai che mi aspettava, e subito, appena mi ebbe salutato, le sue parole mi fecero rabbrividire. Mi disse: "Sbaglio o sei venuta a propormi di fare la spia? Se pagate meglio della Repubblica, ci sto". Capii la sua ironia; compresi immediatamente che, incosciente qual era, egli credeva nella sua divisa, e che non avrebbe mai tradito quella che era la sua fede. Il suo modo di esordire costrinse anche me a giocare subito la carta che sapevo essere l'unica alla quale potevo affidare delle speranze. Gli dissi: "Sono venuta per chiederti notizie di tua madre". Si oscurò in viso e mi rispose: "Sapevo che avresti cercato di ricattarmi tirando in ballo mia madre. Mia madre non sa nulla, d'accordo, ma tu pensi che se io facessi la spia sarei un figlio di cui lei si sentirebbe onorata?". "Perché allora non le hai detto che ti sei arruolato?", gli chiesi. "Perché fingi di scriverle delle lettere dalla campagna?", insistei. E lui: "Mi considera ancora un bambino e starebbe doppiamente in pena per la mia vita. Io non sopporto di vederla soffrire. Non sarei piú capace di far nulla, e verrei meno al mio dovere. Poiché questo è il mio dovere", e si batté la mano sulla fondina. Il mio dovere è sterminare la gente come te e tuo marito". «Ora era soltanto un nemico. Lo guardai negli occhi e gli dissi: "Saremo noi a sterminarvi. Vi stiamo già sterminando, non te ne accorgi? Avete i giorni contati. Ero venuta a proporti di fare la spia, come tu dici. In realtà, la spia, e qualcosa di peggio, la stai facendo adesso". Gli parlavo cosí e il mio scopo era di persuaderlo a darci delle notizie che ci potevano essere preziose. Lo guardavo, parlandogli, ma il disprezzo, la durezza che mettevo nelle mie parole, non mi partiva dal cuore. Questo l'ho capito dopo, ma anche fino da allora sentivo di provare un disagio diverso da quello che mi fingevo di provare. La verità era che Sandrino non mi intimoriva né mi faceva ribrezzo. Il suo viso era troppo innocente per potergli attribuire della cattiveria. Inspiegabilmente le mie parole mi allontanavano da ciò che era il mio scopo. Gli dissi: "Sei ancora in tempo per salvarti. Passa coi partigiani". Sorrise, poi mi disse: "Ho capito, sei venuta per arruolarmi. Alla rovescia, è una cosa che fanno anche le nostre ausiliarie. Ma le nostre ausiliarie vanno prima a letto col candidato per completare l'opera di persuasione". «Queste sue parole mi ballano ancora nella mente, tali e quali lui le disse, e proprio per il candore con cui le disse. Fu una cosa tremenda, una suggestione, o che fossi stanca, o fosse il sole che mi batteva negli occhi e mi distraeva mio malgrado, non so, certo è che guardavo la sua faccia, chiara, innocente, e quelle sue parole, invece di offendermi e di disgustarmi, è vergognoso, non mi fecero reagire. Quasi mi compiacquero. Gli risposi: "Perchè? Se venissi a letto con te, ti faresti partigiano? ". Lui fu ancora piú volgare, disse: " Dipenderebbe da quanto tu sei brava." E io fui ancora piú stordita: In che senso?", gli chiesi. " Nel senso di come sai stare a letto", lui mi disse. «Era una schermaglia schifosa, eppure, ora sono sincera, era cosí schifosa che quasi mi divertiva. Tuttavia ero cosciente. Non mi succede mai nulla di cui non abbia coscienza. Sono sempre lucida, in special modo nei miei momenti di debolezza. Per questo posso ricordare perfettamente perfino le parole. In quel momento io mi prefiggevo di rendermi conto quanto il suo volto d'innocente potesse ingannare su quelli che in realtà erano i suoi pensieri. Era un mostro e io volevo sincerarmi fino a che punto lo fosse. Davanti a me avevo una forza di natura rivoltata in tutta la sua abbiezione, ne ero nauseata, ma anche attratta, indubbiamente. Pensavo di non avere perduto tutte le possibilità di raggiungere lo scopo per il quale lo avevo avvicinato e questo bastava per tranquillizzare la mia coscienza. « Ricordo che era calata la sera quasi senza che ce ne fossimo accorti. Il giardino era deserto, qua e là c'erano i lampioni accesi, schermati per via del coprifuoco, ma uno, proprio sopra la panchina dove c'eravamo seduti, faceva spiovere la sua luce sulle nostre teste e ci permetteva di vederci in faccia. Sedevamo di fronte, lui a cavalcioni; ci fissavamo parlando come se ci sfidassimo a chi riusciva ad essere piú impassibile e impudico. Gli risposi: "Quanti modi tu pensi ci siano di stare a letto?". Intendi sempre un uomo e una donna insieme?", egli mi chiese. Io dissi: "Naturalmente, di questo stiamo parlando." "Un'infinità", lui disse. "Portamene un esempio , insistei. "Ci sono donne", lui rispose, "che ti svengono tra le braccia, hai l'impressione di possedere una moribonda. Queste non mi piacciono." "E poi?", io gli chiesi. "Poi ci sono quelle troppo deste, invece, che ti mordono e sembrano decise ad ingoiarti. Nemmeno queste mi piacciono: è come se ti volessero succhiare. Ti senti un gingillo, e io non sopporto nemmeno in quei momenti le umiliazioni." "Ce ne sarà anche una terza specie, immagino", io dissi. Lui mi guardò piú intensamente: "Già, esistono quelle pervertite, o che almeno vorrebbero pervertirti. Quelle mi fanno veramente schifo." "Di tutto questo parli per esperienza personale?", gli dissi. "Ti è dovuto passare un bel campionario di ausiliarie tra le mani." "Sei una stupida", protestò. "Noi non pratichiamo il libero amore come voialtri badogliani. Tra noi, se una donna si dà, si dà per amore. O per dovere", aggiunse. Poi disse: "Non ti ho ancora detto qual è la donna ideale, secondo me". "Qual è, sentiamo", io gli domandai. "Quella che dapprincipio ti resiste e che si lascia uccidere a poco a poco. Mi capisci? Per me avere una donna è come ammazzarla. Sentire una cosa che si difende e che tu puoi schiacciare, schiacciare, schiacciare fino a toglierle il respiro. «Accompagnava le sue parole battendosi il pugno chiuso sulle cosce. Schiacciare, schiacciare diceva; e tuttavia il suo volto restava angelico, il suo sguardo era appena piú luminoso. Ora sí, mi faceva ribrezzo, e forse per questo mi accresceva l'interesse». Virginia la fissava in silenzio; animosa e sbigottita insieme. Nella ressa dei sentimenti che la squassavano. la gelosia era piú forte. Bruna disse: «Lei adesso piú che mai crede che io le racconti tutto questo per farla soffrire. È per aiutarla a liberarsene invece. A lei sarà piú facile, dovrà fare i conti con la sua sola coscienza. Io invece dovrò affrontare il passo piú tremendo della mia vita: dovrò parlarne a Faliero». «Non sa nulla suo marito? ». «Sa fino a questo punto. È ciò che accadde dopo che gli ho taciuto». «Cosa gli ha taciuto?». «Ciò che accadde dopo», ripeté Bruna, «dopo che Sandrino ebbe detto schiacciare e io ebbi a rispondergli: "Me in quale categoria mi metteresti?". "Non fare troppo la strafottente », lui disse. "Ti potrei saltare addosso." "Oh, figurati", io gli dissi. "Mi troveresti meno arrendevole delle tue ausiliarie. " «Ora lo vedevo per quello che era, sentivo di giudicarlo e di poterlo dominare. Lo disprezzavo, quindi non mi faceva paura. Mi resi conto, piuttosto, che eravamo soli nel giardino e calcolai il gesto. Soltanto che lui avesse tentato di abbracciarmi, come mi sembrava meditasse, io mi sarei abbandonata tra le sue braccia, gli avrei furtivamente tolto la rivoltella dalla fondina e gli avrei sparato a bruciapelo. Era un fascista, ed ucciderlo, oltre che una legittima difesa, sarebbe stata una buona azione... Invece, quando un istante dopo lui mi abbracciò, e mi stringeva, e premeva le sue labbra sulle mie, non so... Ossia, so bene, rimasi immobile, non pensai piú di ucciderlo, non pensai piú nulla. Il suo modo di baciarmi mi stordiva. Questo veramente non so; so soltanto che per un lungo momento, mi piacque. Lui mi sollevò senza staccare la sua bocca dalla mia, mi depose sui margini dell'aiuola lí vicino. La ru- dezza del suo panno militare lui infastidiva, ma l'intensità del suo bacio, il calore e nello stesso tempo la freschezza delle sue labbra mi stordivano. «Finché dentro di me la reazione scoppiò improvvisa, subito dopo, allorché egli mi lasciò la bocca ed io potei respirare ampiamente. Stava per prendermi. Sentii il contatto del suo sesso sulle mie cosce, e il raccapriccio fu immediato, come una scarica elettrica che mi percosse da cima a fondo la persona. Cominciò una lotta sorda, violenta, tra lui che mi teneva con le braccia in croce, inchiodata ai polsi dalle sue mani contro la terra e io che mi divincolavo. Non mi venne di gridare, non pensai che qualcuno potesse accorrere in mio aiuto. Poi lui mi crocifisse anche la testa: riuscí a far combaciare la sua fronte con la mia e a conficcarmi con la nuca nel terreno. La sua fronte mi frantumava il cranio. Era ormai persuaso della vittoria, e allentò impercettibilmente la sua morsa. Fu sufficiente perché potessi liberarmi con un braccio. Lo afferrai ai capelli, staccai la sua fronte dalla mia, gli agguantai un orecchio tra i denti e glielo morsi con la forza della disperazione. Egli lanciò un urlo e ricadde su un fianco. «Io ero già in piedi. Alzandomi avevo incespicato nel cinturone che lui doveva essersi tolto mentre mi baciava. Lo raccolsi precipitosamente, estrassi la rivoltella dalla fondina... No, non gli sparai, non so, mi fece pietà e schifo tutto in una volta. Piagnucolava toccandosi l'orecchio, infagottato nella sua uniforme. Magari gli avessi sparato». Virginia trasalí. Bruna ebbe un gesto di rammarico, scosse la testa, disse: «Oh, certo per lei non può essere una colpa che Sandrino abbia appartenuto ai marò e nemmeno che sia stato brutale con me, quella sera, dal momento che io mi ero dapprima quasi offerta. Lui stesso si fece subito questa opinione, e me lo disse fino dal momento che abbassai la rivoltella. Mi disse: "Ti ho lasciata andare perché non mi piaci. Sei una di quelle donne che assaltano fino in fondo." Io fremevo, di sdegno, e gli dissi: "Già, sono della seconda specie. " " Proprio cosí ", egli mi rispose. Era tornato calmo e volgare, disse: " Non sei il mio tipo e non posso diventare partigiano." Pochi giorni dopo si ferí armeggiando la rivoltella ». «Si ferí? ». « Stava verificando il caricatore, la culatta gli resistette, lui forzò e gli fuggi un colpo che gli trapassò la coscia. Fu la sua fortuna. Dovette restare in ospedale fino alla liberazione. A noi ha detto che l'aveva fatto apposta, per imboscarsi, siccome si era ravveduto. Cosí ci ha fatto credere. Tuttavia, che negli ultimi tempi era rimasto in ospedale è certo, lo sapevamo già da allora. «Era a casa la prima sera che noi ci tornammo. Sua madre era assente e lui ci venne incontro stendendoci la mano. Disse: "Un autolesionista vi saluta." Faliero gli disse: "Potevi darti alla macchia, riscattarti combattendo." "Saperla, la strada", lui disse. "Vi ho cercato per mare e per terra. Perché, Bruna non mi telefonò piú?". Allora Faliero gli strinse la mano. Soltanto io potevo capire quanto fosse profonda l'ipocrisia in quelle sue parole che sembravano essergli uscite dal cuore. Faliero gli aveva detto: "Sei ancora un ragazzo, hai tutta la vita davanti a te", e lui rispose: " D'ora in avanti intendo impiegarla bene. Vuoi la prima prova?", aggiunse. "Ti regalo la mia rivoltella di marò." Ecco, Virginia, è soprattutto da questo punto che la mia esperienza le deve servire». Bruna tacque un istante. Ciò che finora aveva detto era un'avventura scontata per il suo spirito, una preistoria dell'angoscia in cui adesso viveva. Per questo aveva potuto essere obiettiva, serena. Adesso era la sua piaga che doveva scoprire, e sapeva che nessun conforto poteva venirle da Virginia che sentiva tuttora sospettosa ed avversa, unicamente tesa ad indovinare nel suo racconto dei propositi che potessero nuocere a Sandrino. Del resto, né da Virginia né da nessuna altra persona, anche fraterna, Bruna sollecitava un conforto. Era, com'essa stessa aveva detto, con Faliero che doveva «fare i conti», e questa sua confessione era sí rivolta a Virginia, perché la sua interlocutrice se ne giovasse, ma soprattutto, e non se lo nascondeva, era a se stessa che Bruna parlava; un modo di saggiare ad alta voce la consistenza dei propri sentimenti, prima di affrontare Faliero. Il sole non batteva piú sui vetri della terrazza, sepolto dalle nubi del cielo tornato al suo grigiore. Si udiva il pigolare delle galline, voci sperdute provenivano dal cortile. La cucina era vasta e fredda. Bruna si era raccolta con le mani nelle tasche del soprabito, e dinanzi a lei stava Virginia avvolta nella vestaglia, membra e cuore gelati dal rigore dell'aria, dall'apprensione. Bruna riprese: «Per dei mesi ho subito il ricatto di Sandrino, da quando egli intuí che io avevo taciuto con Faliero del mio momento di debolezza nel giardino. Questa è la mia dannazione. Faliero mi ama, non ci sono schermi tra lui e me, mi ritiene la sua migliore compagna. Oltre alla nostra vita intima, sentimentale e dolcissima, ci legano le nostre idee. È una cosa che forse lei non può capire fino in fondo. Una fissazione, magari, ma che ci serve per essere quelli che siamo. Consideriamo l'insincerità il peggiore dei tradimenti. Chi mentisce, anche per delle sciocchezze, è un appestato. Faliero non è soltanto un uomo delle mie stesse idee, è anche mio marito, e da un anno e mezzo io gli sto mentendo, come la piú borghese delle mogli. Cioè lo tradisco da un anno e mezzo, un minuto dopo l'altro. «A volte ho creduto di stare esagerandomi la mia colpa. Tuttavia so che quando mi confiderò a Faliero, cambierà qualcosa tra me e lui. Anche se lui, com'è naturale, non giudicherà una colpa quel mio momento di debolezza, verrà a sapere che per un anno e mezzo io gli ho taciuto un fatto che via via che i giorni passavano sentivo sempre piú come una colpa. Faliero saprà che le infinite volte che abbiamo discusso a proposito di Sandrino, le mie parole erano insincere, che tutte le volte che gli rispondevo lo tradivo. Avrà la certezza che sono capace di mentirgli a lungo, premeditatamente. Non so con precisione quale potrà essere la sua reazione, ma posso immaginare le conseguenze mettendomi io nelle sue condizioni. Se fossi io al posto suo, e lui al mio, potrei arrivare a capirlo e perdonarlo, ma dubiterei di potergli volere lo stesso bene. Si può sbagliare e poi ricredersi, ma tradire no. E dover dare o ricevere il perdono è una cosa ripugnante, che incenerisce... Ma lei non pianga, adesso. Né io né Faliero faremo del male a Sandrino. Su, mi restituisca le mani, le mie sono gelate. Ecco, avvolgiamoci le gambe nella coperta da stirare. Anche lei dovrà essere intirizzita». Bruna le prese la coperta dal tavolo; e Virginia lasciò fare, le disse: «Cosa può rimproverare a Sandrino? Ora mi racconterà delle invenzioni». «Le dirò invece il minimo possibile. Appena due o tre episodi dei tanti a cui Sandrino mi ha costretta», disse Bruna, e riprese: «Un mese dopo, all'incirca, rimasi in casa una mattina, siccome durante la notte avevo avuto un po' di febbre. Credevo di essere sola allorché udii bussare alla porta, subito entrò Sandrino. "Non sei andato a lavorare?", gli chiesi. Si era occupato al negozio da qualche giorno. " Faliero, uscendo, mi ha detto che restavi in casa. Allora ho preferito tenerti compagnia." Si era seduto sulla sponda del letto, era al solito calmo e scherzoso, ma c'era troppa serenità nella sua voce, molto simile a quella compostezza di cui mi ricordavo. Era la prima volta da allora che ci trovavamo da solo a sola, e dal suo atteggiamento io credetti di intuire ch'egli non era affatto cambiato, ma che anzi la lezione subita, il crollo di tutte le sue speranze, invece di ricondurlo alla ragione e all'umiltà che ostentava alla presenza di Faliero, avevano esasperato i suoi istinti peggiori. Disse: "Ora spiritualmente sono un partigiano." "T'illudi", io replicai. "Hai ancora molto fieno da masticare! ". Egli tacque e mi sembrò di vederlo soprappensiero. " Cosa pensi ? ", gli chiesi. Mi rispose: " Faliero è stato troppo generoso con me. Troppo. " "Perché troppo?", gli dissi. "Le tue colpe non sono state gravi. Non hai ammazzato nessuno, poi ti sei autolesionato, come tu dici, per non partecipare ai rastrellamenti. Noi mica perseguitiamo la gente per il gusto di perseguitarla, specie i giovani come te." "Ora mi fai una lezione di democrazia", lui disse, e mi fissava negli occhi. Io sostenevo il suo sguardo, ma ero amareggiata e delusa di come egli si esprimeva. Diventai furibonda subito dopo, allorché lui disse: "Non intendevo riferirmi alla generosità di tuo marito rispetto al mio, diciamo cosí, traviamento politico. Questo lo posso anche capire. Mi stupisce invece il fatto che Faliero abbia potuto tanto presto perdonarmi di avergli fottuto la moglie". Per un istante la mia sorpresa fu piú forte dell'indignazione, ed egli ebbe il tempo di ripetere il suo commento: "Ma forse non tengo presente che voi praticate il libero amore." «Allora esplosi. Scesi dal letto, in pigiama e forse in disordine com'ero. Avevo il sangue alla testa, mi pareva di dovergli dire mille improperi e di spiaccicarlo contro il muro. Avevo una sola viltà da rimproverarmi nella mia vita, e Sandrino mi ricordava che la dividevo con lui. Era un complice, e pure avvertendo la sciagurataggine in cui precipitavo, invece di cacciarlo di camera, di attendere Faliero e rivelargli tutto, finalmente, non trovai di meglio che insultarlo, protestando unicamente contro l'inesattezza delle sue parole. Gli gridai che non era vero che fossi stata sua. Egli indietreggiò di qualche passo. "Non gridare perché evidentemente non è nel tuo interesse", disse, con quel tono di voce, quelle parole piú grandi di lui, quel suo linguaggio che non ha nulla della sua età e che egli sembra avere imparato vivendo tre giorni in uno, da quando è nato. "Calmati e discutiamo", proseguí. Ed io accettai di discutere, inspiegabilmente lí per lí. In seguito capii che avevo accettato di discutere perché Sandrino mi aveva fatto paura. Ma nemmeno paura. Era orrore. Tuttavia gli dissi: "Non c'è nulla da discutere." "Come no?", lui disse "Se sei stata zitta significa che è una cosa che Faliero inghiottirebbe male." «Io ero stupidamente ostinata a negargli di avermi posseduta, come lui sapeva bene, e non mi accorgevo di dargli in mano le armi che si aspettava di ricevere, cioè la prova che io avevo taciuto a Faliero anche quello che realmente era accaduto. " È naturale che tu non voglia ammetterlo", lui disse. "Ma io sono il solo a cui non lo puoi negare." Fingeva di stupirsi della mia collera, sembrava volermi istillare un dubbio angoscioso. "Faliero sa tutto", dissi. "Gli ho raccontato tutto fino da quella sera, come stasera gli dirò di questa conversazione. Si pentirà di essere stato generoso con te, ti toglierà la sua protezione. Informeremo tua madre. Ti faremo rinchiudere in riformatorio." Egli fu gelido e spietato, disse: "Qui stiamo scambiando le parti. Parliamoci chiaro: sono io che ricatto te." Soltanto allora misurai la profondità della sua abbiezione, provai vergogna per lui, sinceramente. Era cosí totale il mio disprezzo che non lo temevo nemmeno piú. Gli potevo anche parlare, tanto lo sentivo lontano; e non mi accorgevo di accettare la sua schermaglia, di aderire alle sue condizioni, di infangarmi io pure. «Egli disse: "Tutt'al piú, un ricatto annulla l'altro. Ma chi credi che subirebbe peggiori conseguenze dalle reciproche rivelazioni, tu od io? Parlo dal lato sentimentale, naturalmente. Io andrei a finire in riformatorio, questo è certo, e mia madre mi vorrebbe piú bene di prima. Ma Faliero, te, ti ame- rebbe piú di prima?". "Non consideri", io gli dissi, ed ero già sul suo stesso piano anche se credevo di parlargli da un piedistallo, "non consideri che per Faliero le tue non sarebbero rivelazioni." "Cosa gli hai detto", lui incalzò, crudele, volgare qual era. "Che eravamo arrivati in anticamera? Davvero ti ha creduto? Non gli hai detto con che passione mi baciavi quando ti sollevai dalla panchina? Non gli hai detto che se non arrivai a prenderti, vedi ora te lo concedo" aggiunse cinicamente "tanto so di averti nelle mie mani, se non arrivai a prenderti fu perché avesti chissà quale pentimento improvviso, forse ti disgustò il mio odore di caserma, ma se fossi stato piú svelto era già tutto fatto. Come tu desideravi, del resto. Sei abbastanza intelligente per sapere che spiritualmente, è un bel modo di dire", sottolineò e poi concluse: "già, spiritualmente è come se ti fossi lasciata andare con tutti i sacramenti! Questo, a tuo marito, glielo hai detto?". «Le sue ultime parole mi sgomentarono. Egli aveva espresso, in modo spietato e chiaro, ciò che agli stessi miei occhi appariva la mia colpa. Moralmente, io dicevo e dico tuttora a me stessa, notte e giorno, moralmente è come se Sandrino mi avesse avuto. Soltanto una reazione fisica mi aveva staccato da lui all'ultimo momento, non la mia propria volontà. Perciò la sera in cui l'episodio era accaduto avevo istintivamente taciuto con Faliero. Dovevo e volevo essere sincera con mio marito, ma per esserlo completamente avrei avuto bisogno di spiegarmi, di diffondermi come faccio adesso. Avevamo invece poco tempo a nostra disposizione, non dormivamo nella stessa casa in quei giorni, per esigenze della cospirazione. E fu proprio riflettendo su ciò che di piú importante stavamo compiendo, alle azioni di rischio a cui Faliero si assoggettava nella sua opera di gappista, che io non volli recargli un possibile turbamento. Venuta la liberazione, un'identica mollezza mi pervase: di non gettare un'ombra nella felicità e nell'entusiasmo che adesso lo animavano. Lasciai passare i giorni, anche mi illusi di poter tacere per sempre. Ma da questa considerazione ad avvertire l'abisso che mi ero scavata sotto i piedi, il passo fu breve. Cosicché quella mattina in cui Sandrino mi espose brutalmente il suo ricatto, io ero già nella condizione in cui mi trovo adesso. I mesi che sono trascorsi da allora non hanno aggiunto altro che delle prove di viltà alla viltà di cui mi sapevo ricoperta. Tuttavia, quella mattina, sentirlo esprimere in un modo lucidissimo, e nello stesso tempo quasi ovvio, il pensiero che piú mi tormentava, voglio dire la conseguenza morale della mia colpa, mi fece rabbrividire. Sandrino possedeva dunque una capacità di indurre cosí acuta e perversa da interpretare immediatamente il mio pensiero, da fare centro di colpo nel mio assillo. Allora lo temetti, francamente, lo temetti come si può temere una belva sciolta e affamata. Non dubitai un istante che il suo ricatto consistesse nel chiedermi di giacere d'ora innanzi con lui quando gli fosse piaciuto, e fino da quel momento, per cominciare. Decisi di fingermi condiscendente ma di distrarlo (avrei preso a pretesto la mia indisposizione per eludere la sua voglia) e di confessarmi con Faliero quella stessa sera. «Ma non fu cosí, Sandrino era piú abbietto di quanto lo giudicavo. Me lo confermò esplicitamente allorché io gli domandai quale compenso esigesse per mantenere il segreto. "Non ti chiedo di riprendere l'operazione al punto in cui la lasciammo" , mi disse. "Almeno non per ora. In questo momento ti faccio troppo schifo, e pur di rifiutarmi saresti capace di affrontare tuo marito." Egli parlava col mio stesso cervello, e sempre piú mi intimoriva. "Cosa vuoi allora?", gli chiesi. "Nulla", egli disse. "Mi piace tenerti in soggezione." "E se stasera io parlo a Faliero?". "Ricominciamo il discorso dapprincipio?", lui ripeté. "Te l'ho già detto: fallo, se ti conviene. Ma perderai la sua amicizia." Aveva detto amicizia, una parola esatta. Avrei perduto l'amicizia di Faliero. «Fui debole una volta di piú. Non parlai con mio marito, quella sera, né mai finora. Nei mesi successivi Sandrino mise in atto la sua perfidia. Mi faceva dei dispetti da ragazzo, il che mi dimostrava che la sua immaginazione è rimasta quella di un ragazzo, anche se la sua intelligenza si è perversamente sviluppata, come il suo corpo. Egli ha acquistato una conoscenza sciagurata dell'animo umano, ma la sua fantasia è rimasta infantile, perciò è mostruoso. Tuttavia, imparare a capire Sandrino cosa mi serviva? Può servire oggi a lei, Virginia, ed unicamente a questo scopo le dico quel poco che può ancora interessarla. «Si dovette procurare, non so come, una chiave della mia camera. Entrava quando Faliero ed io eravamo assenti e spezzava un vaso, azzoppava un mobile, incendiava una sedia, e poi mi telefonava perché io accorressi a riparare. Mi costringeva ad accumulare tante piccole menzogne sulla menzogna piú grande, nei confronti di Faliero: che il vaso mi era caduto di mano, che il letto aveva ceduto mentre lo rifacevo, che avevo rovesciato la spiritiera accesa sulla sedia e cosí la sedia aveva preso fuoco. Di tanto in tanto mi chiedeva dei denari, ed anche a questo io ero trascesa, a dargli i pochi spiccioli di cui potevo disporre all'insaputa di Faliero. Ma ero giunta all'esasperazione, sempre illudendo me stessa, giorno per giorno, che avrei finalmente parlato con Faliero. Senonché, un pomeriggio, l'ottobre scorso, Sandrino mi telefonò per dirmi che aveva da comunicarmi una cosa importante. "No", aggiunse. "Non ti ho rovinato né nascosto nulla, questa volta. Ho deciso di cambiar vita. D'ora innanzi non ti darò piú fastidio. Son incamminato sulla strada buona." Pensai a un suo modo di irridermi, invece mantenne la promessa che mi aveva fatto spontaneamente. Tuttavia io ero certa che stesse compiendo qualcosa di grave, di delittuoso. Soltanto sua madre poteva credere che fosse stato il padrone del negozio a regalargli il vestito e il cappotto, e che il cronometro d'oro l'avesse vinto ad una fiera di beneficenza. « Finché la lettera ricevuta ieri, questa lettera, mi ha confermato che la sua vittima, adesso, è lei, Virginia, e mi ha convinto che Sandrino non abbandonerà mai l'idea di ricattarmi. Perciò ho deciso di confessare tutto a Faliero, stasera stessa». Ci fu un lungo silenzio. Virginia era intimorita e tuttavia sprezzante. Bruna capí che la sua confessione era stata inutile. La pietà che Virginia le aveva suscitato, e l'aiuto concreto che sapeva di poterle dare, l'avevano indotta ad una confidenza piena, spontanea; ora, col suo mutismo, Virginia dimostrava di rifiutare perfino la solidarietà che essa le offriva. Se ne risentí. In un impeto di generosità aveva confidato a Virginia un segreto che considerava decisivo del proprio avvenire, e Virginia la ricambiava con un silenzio di secondo in secondo sempre piú odioso. Il pensiero di esserle apparsa ridicola mentre le metteva a nudo il proprio cuore la irritò maggiormente, e le parole che poco dopo Virginia si decise a pronunciare finirono di offenderla. Bruna disse: «Faliero dubita che lei e Sandrino facciate parte di una organizzazione fascista clandestina. Parlandogli di me, gli dimostrerò che non è vero. Cosí Faliero potrà aiutarla». «Aiutarmi come?». «Ma dopo che lei avrà rotto con Sandrino. Perché Sandrino non possa ricattarla come finora ha ricattato me». «Non sarà necessario». «Eppure io dirò tutto a Faliero. Gli dirò anche qual è stato il motivo che mi ha finalmente deciso a parlargli ». «Gli dica che ama ancora Sandrino, se vuole essere sincera », ripeté Virginia, e fece per alzarsi. Ma Bruna la costrinse di nuovo sulla sedia. Si era alzata lei, adesso, e stava in piedi, di fronte a Virginia. Le poggiava le mani sugli omeri, le disse: « Possibile che sia tanto stordita? ». In quel momento qualcuno aperse la porta sulle scale, subito dopo apparve Faliero nel corridoio. Bruna gli andò incontro. «Ho una febbre da cavallo», egli disse. «È una fortuna trovarti in casa. Non ho potuto nemmeno finire il turno, non mi reggevo in piedi». Entrando in letto, disse: «Da diversi giorni sentivo qualcosa che non funzionava. Ecco perché avevo perso l'appetito. Un'indigestione, bella mia». Virginia era rimasta sola in cucina. Era ancora seduta e pensava che Bruna amava Sandrino, che la lettera di Sandrino era falsa, scritta da Bruna per rendere plausibile la storia che le aveva raccontato. Pensava che Bruna era giovane quasi quanto Sandrino. PARTE SECONDA XI Sandrino si trattenne quindici giorni a Milano. Intanto, a sua insaputa, il cerchio si strinse attorno a lui, allorché Bruna confidò a Faliero il proprio segreto. Fu la sera successiva a quella in cui Faliero era rientrato con la febbre alta e il timore di avere preso l'indigestione. Era soltanto un eccesso di stanchezza: una lunga dormita, ventiquattro ore di riposo, gli restituirono intere le sue forze e il suo robusto appetito. Fingendo di festeggiare la sua conva- lescenza, ma in realtà per protrarre la particolare intimità determinata dalla circostanza, Bruna gli serví in camera la cena. Col tavolo apparecchiato nel mezzo della stanza, riflesso nello specchio dell'armadio, la lampada sul tavolo, e la radio accesa e bassa, l'uno di fronte all'altra, erano alla frutta, e lui disse: «Ci voleva non mi sentissi bene per avere il senso di quanto ci trascuriamo. Facevo il calcolo, poco fa, mentre tu cucinavi. Tra che siamo lontani, ciascuno al proprio lavoro, e il tempo che dormiamo, stiamo insieme sí e no tre o quattro ore nel corso della giornata». Ella sorrise e in un modo che volle essere grazioso e fu soltanto impacciato, gli disse: «Ma anche le ore che dormiamo, le dormiamo insieme ». Egli le carezzò il mento, attraverso il tavolo. Teneva la sigaretta nell'altra mano, il gomito posato sul tavolo, la guardò a lungo negli occhi, dolcemente. «Cos'è, Bruna, che non va? », le chiese. «Il lavovoro? ». Ella sosteneva il suo sguardo: lo fissava come per ricordarsi, in seguito, di lui e del suo amore, come erano, prima che lei gli dicesse di averli traditi. Tuttavia le accadeva qualcosa ch'essa non riusciva a spiegarsi e che la rendeva odiosa a se stessa. Adesso che era fermamente decisa a parlargli, che l'indisposizione di Faliero le aveva permesso di stargli vicino come da tempo non avveniva, stabilendo tra di loro quell'atmosfera di una segretezza tutta amorosa; adesso che lui medesimo, con le sue parole, sembrava invitarla a confidarsi, ella si sentiva animosa verso il marito, provava un sentimento che chiamare odio era troppo, e insofferenza era troppo poco. Di certo ella capiva questo: che il suo stato d'animo era esattamente il contrario dello stato d'animo che la sua volontà avrebbe desiderato, come se Faliero, con la sua sola presenza, e tanto piú ora con quelle sue ultime parole, la costringesse ad un'azione ingrata, repugnante quasi. «Il lavoro va benissimo», ella disse. «Eppure da qualche tempo», egli insiste, «sei come di vetro. Vibri per un nonnulla ». Ella arrossí appena, alle guance. Disfaceva la mollica di pane e abbassò gli occhi per ammucchiare le briciole con le dita. Egli aspirò la sigaretta. «Guardami», le disse, e trattenendo il fumo, la bocca socchiusa, e nello sguardo un sorriso furbo e contento: «Facesti cosí anche l'altra volta. Ti vergognavi di dovermelo dire. Ma ora è diverso, non c'è piú pericolo che nasca in carcere assieme a noi». Ella subí un'emozione che la sconvolse, e insieme la incoraggiò. Se poco prima, nell'imminenza di rivelare a Faliero il proprio errore, ella aveva provato per lui una specie tutta particolare di avversione, ed altro non era se non un estremo risentimento del proprio orgoglio, che forse l'avrebbe indotta a tacergli e ad ingannarlo ancora, ora, esprimendosi come si era espresso, Faliero aveva infranto l'ultimo diaframma della sua coscienza che gli resisteva. Confusamente, ma in modo vivo e cocente, ella capí che dopo che Faliero si era accorto della sua pena, smentire con una nuova menzogna la causa alla quale egli credeva di doverla attribuire, avrebbe significato corrompere il loro amore in ciò che esso aveva di piú intimo e prezioso. Tuttavia ella era la ragazza che era, con una sua forza morale e un rispetto di sé e dei propri sentimenti. Riuscí a dominare la sua emozione e l'empito che stava per gettarla piangente tra le braccia del marito; si tenne con le mani strette l'una nell'altra, appoggiate sul tavolo, gli disse: «No, non è il bambino. Ma tu hai capito. Ti ho nascosto una cosa molto grave. E non da un po' di tempo, come tu credi, ma da un anno e mezzo». Egli aspirò la sigaretta, e in quel gesto riuscí a nascondere il proprio pensiero. «E allora? », le chiese. «Ti ho tradito con Sandrino», ella disse, e ristette un attimo. Egli fece un gesto con la mano, trattenendo la sigaretta tra le labbra. «Parla», le disse. «Vedo che mi vuoi spiegare». «Sí», ella ripeté. «Ti debbo spiegare. È come se ti avessi tradito, voglio dire. Ti ho tradito dopo, mi capisci? ». «No», egli disse. «Esattamente quando? Immagina di raccontarmi una storia che non ti appartiene. Tutte le storie hanno un inizio, una data, anche la tua avrà inizio da una data». «Mi appartiene, invece. E la data è uno dei primi giorni del febbraio '44, quando ebbi quell'appuntamento con lui al giardino, ti ricordi? ». Egli accennò di sí con la testa. Il suo viso era ri- masto sereno, né si alterò per tutto il tempo ch'ella gli ricapitolò la propria storia: sembrava capire tutto perfettamente, come se ella si esprimesse, come in realtà si esprimeva, nella maniera piú logica e piú chiara. Non l'aiutò mai, né con un'interiezione né con una domanda che servisse a facilitarle il discorso, ma soltanto annuendo allorché Bruna lo interrogava se gli sembrasse precisa abbastanza nella sua esposizione, o chiedendogli conferma di una circostanza comune. Ella fu quale si era proposta di essere: obbiettiva, sincera fino alla brutalità, alla spersonificazione. Gli parlava guardandolo sempre. Egli continuava a fumare, impassibile e allo stesso tempo con una luce di cordialità nello sguardo, che la incoraggiava e la sosteneva. Nondimeno, via via che parlava, essa avvertiva un senso di abbandono, come se l'amarezza finalmente esalata le lasciasse un rimpianto: provava il bisogno di immediatamente suffragare con una certezza la verità dolorosa ma arida della quale si andava disfacendo. Ad un certo momento la sensazione fu tanto intensa e sfibrante che essa si interruppe per commentarla: «Questo che ti sto dicendo mi libera da un'ossessione, ma non mi purifica. Al contrario». «Continua», egli disse. «Le conseguenze le ricercheremo dopo, assieme ». Soltanto allora ella cominciava a capire, con spavento, di non avere mai dato una ragione concreta, attiva, alla propria angoscia e di avere ancora tutto da temere dal proprio errore, poiché la sua pena era stata sterile, non l'aveva in realtà preparata né a rinunciare all'affetto di Faliero né a difenderlo. L'improvviso pensiero di non avere mai precisato un progetto per il proprio avvenire, e il non essersi mai posta con convinzione la domanda di quali avrebbero potuto essere le «conseguenze» che Faliero avrebbe tratto dalla sua confessione, la resero immediatamente cosciente di tutto ciò. Questa Bruna, forte, razionale, caparbia, doveva d'un tratto ammettere di essere tutta esposta alla decisione di Faliero, e di doverla comunque accettare: anche il suo perdono, se Faliero avesse voluto perdonarla. Giunta alla fine della sua confessione, essa si rese conto di non sapersi ormai piú immaginare sola, senza Faliero, e che se lui l'abbandonava, il mondo l'abbandonava, tutte le idee e le cose in cui credeva l'abbandonavano. «Ora sai», ella concluse. Faliero premette il mozzicone nel portacenere, e le sorrise come pochi momenti prima ch'ella avesse incominciato a parlare. E le disse: «Hai parlato il tempo di due sigarette». Quindi le prese una mano nella sua, la destra, e e con l'altra gliela carezzava; e alzando il mento, fingendosi serio per sottolineare la cordialità che avrebbero avuto le sue parole, aggiunse: «E se ti dico che tutto questo già lo sapevo? ». Era ciò che ella non si attendeva. Ritirò la mano che gli aveva abbandonato: «Non sbagliare tu, adesso», gli disse. Egli cavò una sigaretta dal pacchetto, costrinse Bruna ad accettarla tra le labbra dalle sue mani, gliela accese, e intanto le diceva: «Permetti che prenda io la parola? », e sempre nel suo tono cordiale, affettuosamente ironico: «Mi spetta, non ti pare? ». Ella batté il pugno sul margine del tavolo, scattò: «Non scherzare, ti prego. Non ti ho raccontato un sogno, bensí una cosa terribile, che mi è costata mesi e mesi di angoscia, e che ti deve avere offeso. Non considerarmi una sciocca... Offendimi, ma come credo di meritare». Egli la interruppe, reciso questa volta. «Ti ripeto che lo sapevo». Bruna si persuase ch'egli era sincero, stupita tuttavia, ma adesso interamente disposta a seguirlo, siccome Faliero sembrava prenderla anche spiritualmente per la mano, per ricondurla a se stessa ed a lui. Ed egli le confermò questo apertamente, perché essa non ne dubitasse un secondo di piú, seppure ne aveva dubitato mai. «È il nostro amore che io voglio proteggere, poiche è la cosa che mi preme piú di ogni altra», le disse. Il loro colloquio divenne semplice, schietto, di due persone che si amavano e si riconoscevano, che avevano le stesse idee e un comune, intenso passato che era servito a farle riconoscere e innamorare. Egli riprese: «Tu stessa me lo dicesti, quella sera. Ricordati: mi raccontasti, in fretta per il poco tempo che avevamo, che Sandrino ti aveva assalita, che eri stata sul punto di ammazzarlo... Insieme convenimmo che era meglio cosí, lo sparo avrebbe richiamato gente, non avresti avuto vie d'uscita nel giardino. Io ti strinsi il braccio e tu mi battesti la fronte sulla spalla. Mi sussurrasti nell'orecchio: "Fare il gappista, ti sta addolcendo il cuore." » «Sí», ella esclamò, e gli sorrise. Aggiunse: «Io che mi picco di avere una memoria tanto buona ». «Non si tratta di memoria. Si tratta di spiegare noi a noi stessi», egli disse. «Ricordati dove eravamo quando mi raccontasti l'episodio». «Al ChioscoBar. Non vollero servirci, stavano chiudendo, mancava mezz'ora al coprifuoco. Restavamo fuori la soglia, di fronte alla fermata del tram, in attesa dell'ultima vettura che andava al deposito e che io avrei preso. Tu no, in quel tempo ti ritiravi in una casa lí vicino. Ma accadeva cosí tutte le sere, o quasi. Non so se anche quella sera fu cosí». «Fu cosí. E fu il 12 febbraio. Vedi, io ricordo anche la data. Ti dirò dopo perché la ricordo». «Poi il tram dové giungere, ed io ti salutai », ella aggiunse, incerta, e lo guardò intensamente dentro le pupille. Egli versò del vino nel bicchiere. Teneva il bicchiere a mezz'aria, nella mano, le disse: « Il tram stava per arrestarsi alla fermata. Prima di darmi la mano tu mi dicesti ancora poche parole. Ricordatele ». «Cosa ti dissi? ». «Questo testualmente. Mi dicesti: "non pensavo al pericolo a cui mi sarei esposta, sparandogli. Ma un momento prima ero sul punto di lasciarmi andare." Subito dopo, nel salutarmi, indugiasti con la tua mano nella mia. Io ti dissi: "vuoi perdere il tram?". Non ricordi cosa mi rispondesti prima di attraversare di corsa la strada? Mi rispondesti: "magari, cosí stasera saresti costretto a tenermi con te" ». Ci fu un silenzio, ed egli si portò il bicchiere alla bocca. Fu Bruna, adesso, a prendergli la mano. «E questo ti bastò per capire? ». «Non subito», egli disse. «Ma ripensandoci, durante la notte. Non riuscivo ad addormentarmi. L'indomani dovevamo compiere un'azione contro il Comando delle SS. Era l'azione piú difficile a cui ci fossimo cimentati, in grande stile, ci si giocava il tutto per tutto. Mi era stata riservata una parte delle piú rischiose. Perciò non riuscivo a prendere sonno. Avevo addosso l'agitazione che ho sempre avuto alla vigilia di un'azione. Diciamo pure paura. Stavo in una camera solo, cercavo di ripetermi una volta an- cora il piano per l'indomani, e invece il pensiero tornava sempre a te. Avevo paura, ti ripeto. Sí, anche di morire. Era la prima volta che mi capitava di riflettervi seriamente. Forse perché questa volta le possibilità di cavarmela, io personalmente, erano ridotte piú di sempre. L'esito dell'azione era nelle mie mani. Se io fossi o no riuscito a collocare la bomba sulla finestra del piano terreno e ad accendere la miccia. Scoppiata la bomba si sarebbe dato l'assalto per poi ritirarci all'arrivo dei rinforzi tedeschi. Nel frattempo, il meglio che mi poteva capitare era di rimanere tra i due fuochi. L'indomani andò tutto bene, ma in quel momento poteva andare tutto a monte, e che i tedeschi mi pigliassero con la bomba ancora indosso. Il buio mi sgomentava, ma non volevo accendere la luce, volevo costringermi a dormire per avere i nervi a posto l'indomani. Mi trovavo continuamente a ripetermi che reazione tu avresti avuto se fossi morto, non dico sul momento, dico dopo la liberazione, per il resto della vita. Era un sentimento egoista: non ti sapevo immaginare senza di me, come non sapevo immaginare me senza di te». Bruna gli carezzava il dorso della mano, gliela rovesciò e vi pose sopra la propria guancia, attraverso il tavolo. «È cosí, micina. In quel momento ti desiderai come non ti avevo mai desiderato, stavo con la faccia contro il guanciale, come un idiota. Presi a ricordarmi di come ti avevo visto l'ultima volta, poche ore prima, che poteva davvero essere l'ultima. Avevi il tuo cappottino chiaro e i capelli tutti arruffati. Mi pentii di non averti trattenuto la mano che non ti decidevi a lasciarmi, facendoti perdere il tram. Avrei violato una regola della cospirazione portandoti nel mio rifugio, ma ora pensavo che ti volevo bene e basta. Allora, ricordandomi di quel tuo gesto, mi ricordai anche delle tue parole, di tutto il tuo racconto, di Sandrino, e del tono con cui me l'avevi riferito. Confusamente, piena di ritegno, come scegliendo le parole che dovevi dirmi in fretta. Capii che il tuo turbamento non doveva derivarti soltanto dal fatto che Sandrino ti avesse assalito, le cose dovevano essere andate in un modo diverso. E la tua ultima frase mi sembrò fosse una chiave per capire quello che mi avevi taciuto. "Un momento prima ero sul punto di lasciarmi andare", mi avevi detto, e l'avevi detto come soprappensiero, come a te stessa. Poi, quel tuo modo di stringermi la mano, e le parole di dopo: "cosí saresti costretto a tenermi con te stasera", che non erano un vezzo di donnina: tu, tutta ligia alla cospirazione, tutta decisa ai nostri scopi di allora, non avresti avuto questa inflessione se qualcosa non ti avesse turbato. Ma non arrivai a penetrare fino in fondo il tuo segreto: credetti ancora di attribuire tutto ciò alla tua sensibilità: che il pericolo corso, che Sandrino ti avesse potuto avere, sia pure a forza, era come un pericolo corso dal nostro amore, e che nel rivedermi tu provassi un bisogno incontenibile che io ti prendessi, per dimostrare a te e a me che cosí era. Questo pensiero mi fece spasimare ancora di piú, e mi tolse il sonno. Tuttavia serví anche a farmi dimenticare la paura». Ella sollevò la testa, trattenendogli ancora la mano nelle sue. «Era esatto, Faliero. E tanto piú lo era perché avevo subito quello stordimento, quando Sandrino mi sollevò dalla panchina». Egli le fece aspirare la sigaretta, mantendola tra le proprie dita. Continuò: «D'altra parte, tu non dovesti meditare con te stessa, quella notte. Fino da allora tu dovesti lasciarti prendere dal panico di una colpa che non avevi commesso. Il tuo tradimento, come tu lo chiami, cominciò sí da allora e consiste nel fatto che non mi avevi detto tutto del tuo momento di debolezza. Ma fu una colpa che cominciasti a rimproverarti prima ancora di averla commessa, per cui poi, via via che la perpetuavi col tuo silenzio, già la stavi scontando, non l'aggravavi come tu credi. Il tuo momento di debolezza me l'avevi già confessato, quella sera stessa, nella maniera piú semplice, lasciandomelo capire. Lo capii subito dopo, infatti». «Quando? », ella chiese. «Ma dalla prima volta che tornammo ad incontrarci, che fummo soli, e ogni giorno, poi, è stato una conferma ». «E come?». «Nel modo ancora piú naturale», egli disse. «Per il semplice fatto che tu non hai mai piú alluso al tuo colloquio con lui nel giardino. Tutte le volte che parlando di Sandrino io cercavo di riportarvi il discorso, sempre tu evitavi di riferirti all'episodio. Cosí io capii che c'era qualcosa di cui ti sentivi in colpa verso di me. No, amore», egli esclamò, siccome Bruna ebbe una luce di tristezza nello sguardo, «non ho mai dubitato che Sandrino ti avesse avuta, sia pure con la violenza, sia pure tuo malgrado. Ti conosco, ed ero certo che se Sandrino ti avesse avuta, comunque fosse accaduto, tu non avresti piú potuto essere mia senza esitazione, senza infingimenti, come sei stata... Allora, le tue parole di quella sera mi furono abbastanza chiare: "ero sul punto di lasciarmi andare", tu mi avevi detto. E se anche logicamente non potevo dedurre i particolari, l'esatto perché, ciò che sapevo era questo: che non verso di me tu ti sentivi colpevole, ma verso te stessa». Ella disse: «Perché, allora, non mi hai interrogata? Perché non mi hai aiutata? Non avrei saputo mentire ad una tua domanda diretta». «Ma proprio per questo», e fu lui adesso che riprese a carezzarle le mani. «Perché ti sentivi colpevole verso te stessa, ed unicamente da te stessa potevi assolverti o condannarti. Era il tuo carattere che si stava cimentando, che subiva una prova morale, infinitamente piú importante di quelle fisiche e di quelle ideologiche, ora lo sai, te ne sei accorta. Il giorno in cui tu me ne avessi finalmente parlato saresti cresciuta ai tuoi occhi, prima ancora che ai miei. Oggi è questo giorno». Poi le disse: « Alzati, vieni qua». Ella gli sedette sulle ginocchia, e si baciarono. «Ma potevo perdermi. Potevo cedere fino in fondo al ricatto di Sandrino, potevo diventare qualcosa di simile a quella sciagurata di Virginia », ella insisté. «Appunto perché non lo sei diventata, non lo potevi diventare... Perché avevi me, accanto, e mi amavi. Il nostro amore era estraneo alla tua crisi; e proprio se io fossi intervenuto l'avrei messo in pericolo. Se io ti avessi invitata a parlarmene, oppure ti avessi fatto capire di avere intuito qualcosa, saresti subito caduta in una condizione d'inferiorità. Allora sí che la tua sarebbe stata una menzogna; ti saresti trovata, rispetto a me, nella condizione di un traditore scoperto a tradire. Soltanto allora qualcosa sarebbe cambiato tra di noi, a scapito del nostro amore», egli commentò. « Cosí no. Tutto questo non è servito che ad aumentare il bene che ci vogliamo». Ella gli pose la fronte sulla spalla, gli sussurrò: «Tu sei tanto migliore di me, Faliero». Ed egli le sollevò la testa, le prese la faccia tra le mani: «Perché? Tu ed io non siamo piú la stessa cosa? ». E con un tono che fu tenero ed ammaestrato insieme: «Non abbiamo e non ci battiamo per le stesse idee? Non sono state forse le nostre idee a farci incontrare? Ti ricordi, ci siamo detti il nostro vero nome dopo che ci siamo baciati la prima volta. E via via che siamo migliorati nelle nostre idee, ci siamo voluti sempre piú bene». Ella gli teneva le braccia attorno al collo, gli sorrideva, gli disse: «Malgrado tutto ho anch'io un po' di memoria. E mi ricordo che mi dicesti proprio questo dopo avermi baciato: che le idee che abbiamo diminuiscono di significato se non c'è l'amore... Eravamo seduti sul greto e io buttavo i sassi dentro il fiume, per darmi un contegno. Mi dicesti che le nostre idee sono giuste fino al capello appunto perché sono piene d'amore, e io pensai che tu eri un conquistatore, ma che eri anche un compagno istruito». « E io ero ancora in tuta da lavoro, temevo abbracciandoti di sporcarti il vestito». Poi aggiunse: «Di quello che ti dicevo allora, oggi ne sono maggiormente convinto: penso che non si possa volere interamente il bene dell'umanità, che non si possa lottare con tutta la scienza e la freddezza necessarie, se non si ama anche fisicamente qualcuno. Vedi, io avrei spavento, e dovrei rovesciarmi da cima a fondo, e ammettere di avere ucciso e rischiato la mia vita per nulla, se dovessi persuadermi che esistono dei compagni che non alimentano la loro fede con l'amore, ma che sono arrivati alla fede soltanto per via dei libri che hanno letto, o delle angherie che hanno subíto o del sudore che hanno versato». «Dunque, non è l'unione, ma è l'amore che fa la forza», ella esclamò, futile, con l'intenzione di esserlo, e lo baciò sulla bocca. Poi gli sussurrò: «Avevi pensato veramente ad un bambino? ». «Sí, per un momento », egli disse, e la sollevò sulle braccia. Poco dopo, in letto, ella con la guancia sul suo petto adesso, egli che fumava l'ultima sigaretta, dopo l'amore, e v'era il silenzio della notte attorno a loro, il vento d'inverno che faceva vibrare le persiane, egli disse: «Ormai è assurdo sperare ancora in Sandrino, abbiamo fatto il possibile per indirizzarlo sulla strada buona. Abbiamo il dovere di informare finalmente sua madre, e di deciderla a rinchiuderlo in riformatorio. Ma dobbiamo aspettare che Sandrino sia tornato, è in sua presenza che dobbiamo parlare a Lucia: se lo facessimo adesso, le faremmo vivere dei giorni d'angoscia inutilmente». «E Virginia? », disse Bruna. « È invasata di lui. Sembra sia arrivata a dargli in mano i suoi denari per acquistare i tessuti». «Le parlerò domattina. Cercherò di convincere lei pure. Che altro possiamo fare? Mica la denunzieremo per corruzione di minorenne. È lei la minorenne, in questo caso. L'importante è di riuscire a togliere Sandrino dalla circolazione. È pericoloso a se stesso e agli altri». «Forse è soltanto un delinquente. Tu non lo conosci com'è, quando è lui, cioè quando è sincero». E Faliero commentò: «La società l'ha reso qual è. Lui era soltanto un ragazzo irrequieto, pieno di istinti, pieno di vita. Gli hanno fatto credere che il male fosse il bene, e viceversa, e lui non ha avuto la possibilità di riflettere, smanioso di muoversi come era. Gli sono bastati i primi passi per persuadersi di sapere ormai correre e camminare. Ora corre, cammina e se qualcuno interviene egli pensa intervenga per tagliargli la strada ed ingannarlo. Ha bisogno di cadere, di ruzzolare per cominciare ad aprire gli occhi». «Non gli ha servito veder crollare come sono crollati gli idoli in cui credeva». «Infatti, non gli ha servito. Ha bisogno di qualcosa di piú forte, che lo investa personalmente, che lo metta a capo sotto senza remissione». «E questo può essere il riformatorio? ». «Purtroppo, no», egli disse. «Ma ormai è una forza scatenata e bisogna imbrigliarla in qualche modo». «Penso a Lucia», ella esclamò, già tra il sonno. «Sarà uno schianto per lei». «Certo, ma è una madre e resisterà. L'altra piuttosto, Virginia, alla deriva com'è, dovremo vigilarla, che non commetta pazzie». E con gli occhi che le si chiudevano, tutta tepida della sua amorosa vitalità, Bruna disse: «Davvero, Faliero, sono cresciuta? ». XII Erano trascorse anche per Virginia ventiquattro ore che essa stessa, poche settimane dopo, ebbe a chiamare decisive. Finora, malgrado le angosce, e proprio in virtú di esse, una costante felicità aveva accompagnato la sua nuova vita. Il dolore patito era stato opera di Sandrino; subirlo, via via che un'angoscia sempre piú cruda si sostituiva alla precedente, significava rendere sempre piú ineffabili gli ormai rari momenti di intimità e di quiete. Come Sandrino le aveva detto, egli era il sole, stava a lui darle calore o seppellirla sotto la neve. Ed appunto perché pensava di non avere nulla da contrapporgli né da difendere contro di lui, Virginia era sempre pronta a fare ribaltare nel proprio cuore le sue brutalità come prove di affetto. Ma nello stesso tempo, era Sandrino l'unica cosa che Virginia avesse da alimentare e da difendere per continuare ad esistere. Ora, comunque ella cercasse di interpretare il racconto di Bruna o che Bruna fosse innamorata di Sandrino, come le sembrava inconfutabile, o che ciò che Bruna le aveva rivelato corrispondesse interamente o in parte alla verità nelle diverse ipotesi il pericolo per Sandrino (il suo proprio pericolo: di perderlo, di doversi staccare da lui) persisteva. Cosicché, il mattino successivo, quando Faliero bussò alla sua porta, Virginia credette di intuire immediatamente le sue intenzioni. Ella era spaurita, ma decisa a conservare la presenza di spirito necessaria per dominare la situazione, che non implicava piú lei sola, ma Sandrino, «la vita stessa». La sua mente, che per tutte quelle ore aveva girato a vuoto, angosciata dalla gelosia, subito, appena udita la presenza di Faliero dietro la porta, le suggerí la decisione da prendere. Ecco, non doveva affrontare Faliero; capiva che comunque si fosse comportata avrebbe compromesso la situazione di Sandrino e la propria. Indubbiamente Bruna, vero o non vero, aveva ripetuto a Faliero il suo racconto; adesso Faliero, seppure non dubitava piú che appartenessero ad un movimento clandestino, sapeva tuttavia che lei e Sandrino erano amanti. Le voleva dunque parlare per estorcerle delle circostanze e servirsene poi contro Sandrino. Come se ne sarebbe servito, e con quale diritto, ella non se lo chiedeva. La sua certezza era questa: che Faliero era ormai determinato a nuocere a Sandrino. Si trattava quindi di informare Sandrino, di raggiungerlo, di mettersi al riparo della sua forza di volontà e di decisione: di sentirsi protetta, proteggendolo. Sarebbe immediatamente partita per Milano. Siccome Virginia non gli rispondeva, Faliero, ed anche Bruna che lo aveva raggiunto, insistevano a bussare. Virginia stava in piedi, trattenendo il respiro, una mano sul petto, addossata alla parete. Lucia se ne era già andata, madre cieca ed ignara, e Virginia si sapeva sola in casa, assediata dai nemici, suoi e di Sandrino. Finché essi tentarono la maniglia e finirono di convincersi ch'ella fosse uscita. Faliero disse: « La vedremo stasera. Durante la giornata penserò meglio cosa dirle ». Aveva appoggiato la bicicletta al muro del corridoio e stava gonfiando una gomma. Aggiunse: «Del resto, che effetto potrò ottenere facendole la morale? Otterrò, come risultato, di impaurirla piú che mai». «Vuoi che riprovi io? », disse Bruna. «Sarebbe lo stesso. Evidentemente tu le fai un altro genere di paura. La ingelosisci, e basta. Forse è piú opportuno non parlarle né tu né io», concluse Faliero. «L'unico dovere che noi abbiamo, sociale addirittura, oltre che privato, è di fare rinchiudere Sandrino. Dopo di che, qualunque sia il motivo che l'attacca a Sandrino, Virginia dovrebbe capirlo da sé che Sandrino è sul punto di rovinarsi definitivamente. Non è certo facendo il mantenuto di una donna che gli potrebbe essere madre, almeno come capacità di riflessione, che Sandrino può incamminarsi sulla strada buona». «Ma essa lo ama», disse Bruna. «Sarà un amore in certo senso innaturale, d'accordo, ma dopo lo choc che lei ha subíto, Sandrino è diventato la sua unica àncora di salvezza». «E con ciò?», egli disse, e riponeva la pompa al di sotto, del telaio. «Se anche Virginia non ha vergogna di se stessa, possibile non si renda conto che, nella migliore delle ipotesi, finiranno tutti e due in un precipizio?». «Lei si sente nelle condizioni di chi non ha piú nulla da perdere», Bruna disse, e gli apriva la porta sulle scale. «Già», concluse Faliero, e si sistemava la bicicletta sulla spalla. «Lei! Ma Sandrino ha ancora tutta la vita davanti a sé, come non capirlo? Credi che Virginia sia cinica e pazza fino a questo punto?». « Non è né cinica né pazza », disse Bruna, « è soltanto spaventosamente incosciente », e si chiuse la porta alle spalle. Essi usciti, Virginia si abbandonò su una sedia. Il dialogo di Bruna e di Faliero, origliato attraverso il corridoio, l'aveva annichilita. Essi si credevano soli, quindi le loro parole erano, state sincere. Ella si sentí distrutta. Le considerazioni espresse da Faliero erano le medesime che Virginia aveva piú volte proposto a se stessa durante quei due mesi e che tuttavia era sempre riuscita a respingere, confondendo di volta in volta il proprio spirito nella serie ininterrotta delle emozioni, l'una piú forte dell'altra, l'una piú disperatamente complessa dell'altra, in cui Sandrino l'aveva impegnata. Ora, invece, l'autentico significato dei suoi rapporti con Sandrino non apparteneva piú al segreto della sua coscienza (alla quale le era riuscito perfino spontaneo mentire fingendosi il proprio peccato come una condizione ideale di quella che essa chiamava la sua nuova vita); la sua colpa le era stata rimproverata ad alta voce. Era diventata una verità impossibile da ignorare. Era l'ultima frase di Faliero, il commento di Bruna, alla cui eco ella già sapeva di non potere piú sfuggire. Anzi, di secondo in secondo, quelle loro parole acquistavano per Virginia il significato di un'imposizione, tanto piú violenta ed esplicita quanto piú nella realtà le loro voci erano state affettive, quasi desolate. Il corpo abbandonato sulla sedia, lo sguardo smarrito, ella si interrogava; ed era con enorme fatica, con uno sfinimento tutto fisico, che richiedeva a se stessa di formularsi un proponimento, di infondersi il coraggio necessario per attuare una decisione ormai formulata, ma nondimeno superiore alle sue energie, alla sua mente che tornava a vacillare. Se poco prima ella aveva pensato di raggiungere Sandrino, adesso, inerte sulla sedia, si preparava a scomparire per sempre dalla sua esistenza, a sacrificargli ugualmente e interamente se stessa, ma nella maniera che meglio avrebbe giovato alla sua vita ancora tutta da vivere, al suo avvenire. Nello stesso tempo, la passività e la codardia che erano proprie della sua natura (e che erano le sue stesse doti, capaci com'erano di trasformarsi in devozione e in sacrificio) la istigavano an- cora al compianto di sé, la scioglievano in lacrime per quella Virginia perseguitata dal destino, nuovamente costretta in ginocchio, suo malgrado. Sola e sconsolata, ella si ricordava di un rimprovero che, prima da suo padre e poi da suo marito, le era capitato sovente di ricevere, che era diventato proverbiale nella cerchia di quegli affetti lontani: «Virginia, le cose, ha bisogno di sentirsele ripetere». Cosí era. Per quello che i fatti finora noti ci consentono di precisare, l'unica virtú, di Virginia consisteva nella dedizione. Tuttavia la sua capacità di dedizione era pari alla sua inettitudine. Le avversità via via incontrate, invece di evolvere la sua mente, la squilibravano; ed il suo spirito, anziché illuminarsi, accresceva la propria irresolutezza. Non solo, ma la sua necessità di sentirsi guidata e protetta, per esistere (ed a compenso, il suo bisogno di annientare la propria personalità nella devozione) stavano a testimoniare della debolezza del suo carattere, e insieme la sua pavidità e il suo profondo egoismo. La verità è che Virginia amava soltanto se stessa. Riducendo il proprio compito ai doveri tutti gioiosi di un affetto esclusivo, ella garantiva a se stessa una eterna vacanza della coscienza, si conquistava, sia nel bene sia nel male, la sconfinata libertà dell'irresponsabile. Lasciata poi sola e messa di fronte ad una realtà comunque determinatasi, immediatamente ella si sentiva tradita: la pietà di sé era il primo sentimento che si manifestava al suo spirito. Subito dopo, l'istinto della conservazione la possedeva. Inetta dinanzi alle responsabilità, non le restava quindi altra scelta che sottrarsene. Se questa era Virginia, come anche il seguito delle circostanze verrà a confermare, è facilmente comprensibile che le parole di Faliero e di Bruna le avessero permesso di «rendersi conto soltanto allora» della catastrofe verso la quale ella si stava incamminando al fianco di Sandrino, ora che altri sapevano, che «il mondo sapeva». Il pensiero di essere costretta ad ammettere i suoi rapporti con Sandrino, ed in un modo o nell'altro a scagionarsi ed a difendere la propria condotta, la sconvolgeva. E faticosamente meditando, fu con terrore che dové giungere a riconoscere la legittimità dell'accusa che le sarebbe stata mossa, e che già Faliero le aveva rivolto senza saperlo attraverso la parete. Era la prima volta ch'essa si sentiva personalmente responsabile di una colpa da lei stessa premeditata, elaborata, con- sumata per dei mesi. Questo dette una consistenza al suo terrore: un tremito di tutta la persona che la obbligava a stringere le mani l'una nell'altra ed a premersele contro il ventre per trattenerle. Faliero era la presenza, vaga ma aggressiva, del panico che la dominava. Ora meno di sempre ella si disponeva ad agire con la percezione dei propri atti. Era, bensí, l'angoscia della propria persona fisica (che ella considerava riflessa nello specchio, ingiustamente avvilita) una paura animale, di minuto in minuto sempre piú inconsulta, che finí col restituirle, esasperate e febbrili, e sue energie. Andarsene, ruggire. Liberarsi, scomparendo, di una realtà che stava per sopraffarla. Si alzò di scatto. Non piú padrona dei propri gesti, ma unicamente guidata da quell'equilibrio acquisito con l'abitudine, discese la valigia di sopra l'armadio, l'aperse e la riempí della propria biancheria, di tutto quanto poteva contenere e servirle in un avvenire immediato. Si vestí, si aggiustò in fretta la faccia, ebbe perfino la fermezza sufficiente per ritoccare la mezzaluna delle labbra non perfettamente arcuate. Nondimeno, mentre collocava nella valigia le ultime robe, era ancora abbastanza controllata, o abbastanza candida, da mentire al proprio spirito, da toccare il punto estremo dell'omertà verso se stessa: Faliero, con le sue parole, le aveva aperto gli occhi. Era unicamente per il bene di Sandrino ch'ella scompariva! Fuggire, andare incontro ad una sorte ancora ignota ma di certo crudele, significava sacrificare a Sandrino, per l'amore che gli portava, tutta se stessa, sicuramente anche la vita. Voleva dire, qualunque fosse il destino che l'attendeva, uccidersi perché Sandrino vivesse. Ora l'oggetto del suo terrore era Sandrino. Poteva anche giungere da un momento all'altro, ed ella sapeva di non potersi opporre alla sua volontà: l'avrebbe costretta a restare, ad affrontare le conseguenze della loro colpa, a resistere comunque insieme, e in mille modi, contro Faliero. Tutto ciò che mezz'ora prima, quando ancora il pericolo era incerto e lontano, le era apparso come l'esito naturale delle cose, tanto da accarezzare il progetto di raggiungere Sandrino, senza nemmeno sapere dove poterlo rintracciare nella città sconosciuta, adesso erano bastate poche parole di Faliero e di Bruna, origliate attraverso il corridoio (era bastato, cioè, che la minaccia si facesse imminente e precisa) perché ella abbracciasse l'idea di sottrarsi alla lotta, di rinunciare a Sandrino. Di abbandonarlo. D'un tratto, la sua mente, pur sconvolta qual era, e vacillante, ed appunto perché tale con maggiore violenza, le suggerí che se Sandrino l'avesse sorpresa cosí in fuga, non avrebbe creduto ch'ella agiva per il suo bene, avrebbe bensí interpretato la sua fuga come una diserzione. E l'avrebbe punita. Alla nuca, come quella volta sulla neve. Con la ferocia, ora scatenata, di quella volta nel bar. Le avrebbe strappato il seno. Fu come s'ella ricevesse realmente il colpo dietro la nuca, si sentí mancare il respiro come se la mano di Sandrino le stringesse la mammella: lo stesso dolore di allora, dentro la carrozza, il giorno di Capodanno. Alla paura, al terrore, fino a quel momento contenuti, subentrò il delirio. Ed allorché, per il gesto impulsivo con cui era stato sospinto in avanti, il coperchio della valigia ricadeva su se stesso, e la porta ancora vibrava per la violenza con la quale era stata aperta e richiusa, Virginia già scendeva precipitosamente le scale, lasciava per sempre la casa ove aveva creduto di essersi conquistata una nuova vita. Quella che adesso sembrava averla invece condotta sul limitare della follia. La notte successiva, Bruna e Faliero rimasero in piedi fino a tarda ora. Rincasando avevano bussato alla porta di Virginia e persistendo il silenzio erano entrati nella camera, non piú chiusa a chiave come al mattino. Trovarono la stanza sottosopra: le sedie rovesciate, i cassetti spalancati, il letto disfatto, e, sopra di esso, la valigia piena degli indumenti collocativi alla rinfusa. Il portafiori era in frantumi sul pavimento; una forcina di corno stava miracolosamente in bilico sull'orlo della toletta. Superata la sorpresa, bastò loro un esame un po' piú approfondito per escludere l'ipotesi che un ladro si fosse introdotto nella casa e che un rumore sospetto, o il loro arrivo medesimo, lo avesse messo in fuga. A parte l'assenza di denaro, un ladro non rimpinza la valigia con delle pantofole usate, le spazzole e i fazzoletti da signora, per lasciare al loro posto, nel cassettone, i lenzuoli e i pannilani; pure affannato e frettoloso, la sua scelta è istintiva: alla coperta di raso non preferisce le calze da rammendare, una bottiglia di lavanda per tre quarti vuota. Cosí come non rinuncia a degli asciugamani freschi di stiro, spugnosi, belli e colorati, per delle posate di metallo e una vecchia spiritiera. E soprattutto, tra le tante su cui posare gli occhi e le mani, l'album delle fotografie sarà l'ultima cosa che attirerà la sua attenzione. Bruna disse: «Aveva intenzione di partire e poi ci ha ripensato». «Ma è uscita indubbiamente in fretta e furia, come fosse stata lei la ladra», commentò Faliero. «Una decisione presa lí per lí». «Incalzata da Sandrino, io credo, dopo che Virginia gli ha riferito il colloquio che tu avesti con lei». Poco dopo giunse Lucia; fiera per la commozione mostrò loro una lettera di Sandrino. Essi finsero di rallegrarsi; le dissero che Virginia, alla quale essa intendeva partecipare la notizia, si era già coricata. Tuttavia, questo fatto rendeva piú incerta la spiegazione che Faliero si era dato. Sandrino poteva essere tornato all'improvviso, ma anche no, se ancora ieri si trovava a Milano. La scomparsa di Virginia apriva adesso il campo alle piú opposte congetture, che infine, via via che le ore passavano, ed era ormai notte alta, le due, le tre dopo mezzanotte, sembravano ridursi ad una solamente, la piú angosciosa epperò quella che piú a lungo essi si trattennero dal formulare. Finché Bruna, che già si sentiva oppressa dall'ombra di un rimorso, esplicitamente disse: «Escludi che si possa essere uccisa?». «Non abbiamo gli elementi per giudicare », egli le rispose. «Occorrerebbe sapere fino a che punto le premeva Sandrino, e la reazione che le tue confidenze possono averle procurato». « L'avevano sconvolta, questo è certo. Tuttavia mi pareva che fosse decisa a difendersi, a strapparmelo, come lei credeva». Si coricarono, e al mattino furono ciascuno al proprio lavoro. La cronaca dei giornali sembrò tranquillizzarli. Passarono un altro giorno e un'altra notte; Lucia riceve nuovamente notizie da Sandrino. Bruna e Faliero avevano riordinato la camera di Virginia, ma non avevano potuto impedire che Lucia si accorgesse della sua assenza. La sera ancora successiva Lucia li costrinse a partecipare della sua apprensione. «È sola al mondo. Mi ha confidato tutto di sé. Non può che esserle accaduta una disgrazia», ripeteva. Poi disse qualcosa per cui Faliero fu sul punto di rivelarle quella parte della verità ch'essa ignorava e che riguardava Sandrino oltre che Virginia. Lucia disse: «Il marito di Virginia ha lasciato troppi odii dietro di sé. Ma Virginia è innocente, voi lo sapete e siete stati buoni con lei. Tuttavia, tra coloro che la pensano come voi, non tutti sono buoni come voi due. Proprio stamani, dalle parti dove io lavoro, hanno trovato ucciso uno che era stato fascista fino all'ultimo, e non si sa chi l'abbia ucciso». Lo sguardo di Bruna trattenne Faliero dallo «schiantarle il cuore» innanzi tempo, alla povera Lucia. Le promise, invece, che il giorno dopo avrebbe fatto tutto quello che c'era da fare per rintracciare Virginia. Lucia commentò: «Pensate: è stata qui sei mesi, muro a muro, e Sandrino non l'ha nemmeno vista in faccia». Allora anche a Bruna, anche a Faliero, adusati a dominare i propri sentimenti, tremò la voce mentre le rispondevano: « Già ». «Davvero». XIII Eccolo l'eroe, torna da Milano. Ha uno straccetto nero nella tasca di dietro dei calzoni, conservato assieme alla carta d'identità ed al ritratto del padre in divisa di legionario. Non ha piú il suo cronometro d'oro, né una lira né una sigaretta. In compenso l'amarezza gli stringe il cuore. Glielo stringe come se una mano glielo stringesse. È infuriato con se stesso, e appunto per questo l'oppressione che prova al cuore lo indigna maggiormente. Egli non è un debole, non può soggiacere allo scoraggiamento. Torna per rifornirsi di denaro e ripartire. Costringerà Virginia a vendere tutto quello che possiede: un anello coi brillanti, la fede, una collana. Durante la notte trascorsa insonne nel treno, ha già fatto l'inventario. Gli occorre denaro il piú possibile: dovrà trattenersi a Milano per un tempo indeterminato, dovrà viaggiare, andrà all'estero se necessario e non sarà solo in questa giostra. Deve scovare un uomo, anzi due, anzi tre, ma uno in particolare, e deve farlo fuori. Costui è l'uomo che si è fatto pagare le stoffe e poi è scomparso senza consegnargliele. In realtà quelle stoffe erano armi, e dovevano ser- vire per l'Insurrezione. Con le trecentomila lire che Sandrino aveva versato si sarebbe dovuto armare una squadra, già battezzata col nome di suo padre, e di cui lui stesso avrebbe assunto il comando, all'ora X. Se lo erano giocato sul velluto, come un ragazzo dai denti di latte. Dinanzi alla sua impazienza uno dei compari aveva detto: « Sei giovane, non ti prospetti le difficoltà. Soltanto a cambiare l'assegno il rischio è forte». E lui, immaginando che la difficoltà fosse tutta lí: « A saperlo avrei portato contanti », aveva risposto. Quindi gli avevano dato appuntamento per la sera, in una casa ove gli sarebbero stati presentati i suoi subalterni, in via Ignota, 34. Ma può esistere via Ignota? Nemmeno la vedova avrebbe creduto che fossero stati quei tre a rapire la salma di Mussolini. La ricevuta delle trecentomila lire consisteva nello straccetto nero: un lembo della camicia indossata da Mussolini il giorno del martirio! Ecco, il pezzo di stoffa lo avrebbe cacciato in gola al numero uno, dopo averlo steso. Non conosceva i loro veri nomi. Gli avevano detto di chiamarsi Luca, Guido e Andrea. Luca era il numero uno, colui che Sandrino aveva deciso di ammazzare. Gli altri due erano compari, forse soltanto dei malviventi, Luca era stato legionario, degli M., di un battaglione diverso dal suo, lo ricordava. Non semplicemente, dunque, un pregiudicato, ma un traditore, che truffava gli excamerati rimasti fedeli all'Idea e disposti a sacrificarle la vita e gli averi. Perciò l'avrebbe ucciso. Era stato Luca ad avvicinarlo. «Non mi riconosci? Ti ho visto al caffè, il giorno di Capodanno. Stavi con una signora e non ti volli disturbare ». «E tu assieme ad un amico e ad una ragazza bionda ». «Quella signora era tua madre? ». «Era la mia amante». Nei giorni successivi, Luca gli aveva parlato del Movimento, della sua attività e del dovere di ogni camerata di contribuire al fondo per l'acquisto delle armi necessarie all'insurrezione. «La tua amica, impellicciata com'è, ne deve ruzzolare ». Cosí gli aveva suggerito l'idea. E siccome Sandrino ebbe qualche titubanza, Luca gli disse: «Parto per Milano. Hai tre giorni di tempo per raggiungermi. Càpito al tale caffè, nella tal via. E non ti portar dietro il pugnale che dici di tenere conservato. Durante il viaggio ti potrebbero perquisire, per una ragione o per l'altra. Ti rovineresti senza scopo. È un ordine. Pensa invece al denaro. Se raggranelli tanto da armare una squadra, mi impegno di fartene assumere il comando». «Piuttosto, perché non mi metti in contatto coi camerati di qui? Posso mobilitarne dei nuovi ». «Non c'è il tempo di vagliare le ammissioni. Dobbiamo agire subito, ora che ci credono dispersi e bocca a terra. È questione di giorni. Insorgeremo a Roma ed a Milano. Prese le due città, il gioco è fatto ». «Trecentomila bastano per armare una squadra?». «Vedremo di farle bastare». Quando fu persuaso che via Ignota non esisteva e dopo averli attesi inutilmente al caffè dove l'avevano truffato, e dove i camerieri nemmeno li raffiguravano Sandrino girò la città dal centro alla periferia, dall'alba a notte alta, con gli occhi addosso alla gente, per giorni, nella città sconosciuta che gli sembrava girare essa attorno a lui, riportandolo al punto di partenza, allorché credeva di essersene chissà quanto allontanato. Entrò nei tanti caffè che incontrava, informandosi di un Luca, di un Andrea, di un Guido cosí e cosí, inutilmente, per una settimana. finché anche il poco denaro che si era conservato finí. Vendette il cronometro e continuò la sua perlustrazione. Ora la città gli sembrava di conoscerla, era immensa e li aveva inghiottiti. O piú probabilmente, fatto il colpo, se ne erano allontanati. La sera, in albergo, scriveva le lettere che servivano a tranquillizzare sua madre. Trascorse un'altra settimana, gli rimanevano mille lire e gia meditava di tornarsene e di costringere Virginia a disfarsi delle gioie. Era sera, era freddo, camminando i passanti sembravano entrare ed uscire dalla nebbia come di dietro un sipario. D'un tratto gli parve di riconoscere la donna che si accompagnava a Luca il giorno di Capodanno. Era bionda, bella, provocante: una prostituta quale gli era apparsa anche seduta tra i suoi amici, ma con un'espressione superba, difficile da affrontare. Questo lo trattenne dall'andarle direttamente incontro: si disse che era meglio seguirla, essa lo avrebbe condotto faccia a faccia con Luca, a sua insaputa. Ella indossava una pelliccia grigia, lunga ai polpacci, una sciarpa a cercine tra i capelli, verde, che spiccava sull'oro della chioma. Entrò dapprima in una profumeria, si fermò ad un'edicola di giornali, sorrise ad un uomo che la salutava togliendosi il cappello, ironico e ossequioso insieme, come di chi è amico e in confidenza. Quindi traversò Piazza del Duomo, poi delle strade strette e oscure che Sandrino ancora non conosceva, sboccò su un largo tra mezzo alle macerie, fu in una specie di vicolo lungo e diritto: dei negozi, tutti su di un lato, bucavano la nebbia con le loro luci. Sandrino le camminava alle spalle, a pochi passi: gli sembrava impossibile ch'ella non desse segno di sentirsi seguita. Raggiunse una latteria e si sedette a ridosso della stufa. Sandrino occupò un tavolo sulla fila dirimpetto. Adesso poteva vederla a proprio agio, e nella posizione in cui l'aveva intravista la prima volta: si persuase di essersi sbagliato. Tuttavia doveva udire la sua voce per convincersi che non fosse lei: il suo modo di ridere soprattutto, che il giorno di Capodanno lo aveva irritato sembrandogli di essere oggetto della sua ironia. La latteria era pressoché deserta, soltanto piú avanti, là dove scesi alcuni gradini si apriva una sala interna, pervenivano voci allegre, risate, di una brigata: degli studenti forse, degli artisti. La donna si era slacciata la pelliccia. Le sue mani erano lunghe, bianchissime, con le unghie laccate di un rosso cupo. Il suo atteggiamento era dolce e torbido insieme, naturalmente sensitivo, come il gesto di portarsi alle labbra il cucchiaino ed assaporare l'yoghurt risucchiando le guance. Egli si alzò ancora prima di essersi deciso a farlo: fu un moto istintivo, un'attrazione. La raggiunse, si chinò su di lei poggiando le mani alle estremità del tavolo. «Sono un amico di Luca», le disse. La donna lo guardò, dal basso in alto, piegando la testa da un lato, con ostentazione, con freddezza. «Mai sentito nominare», rispose. «Ma può darsi». La sua voce era diversa da quella che a Sandrino sembrava di ricordare; ma ella era superba, indolente, e gli piaceva. Le sedé di fronte. « È sicuro di essere gradito? », ella disse. «A quanto pare», egli replicò. « Be'», ella disse. «È il seguito che dovrà riuscire interessante ». Poco dopo ella diceva: « Cosí seduto sembri proprio un ragazzo». «Ho ventidue anni». «Non ne dubito, specie se ti presto io quelli che di solito mi tolgo». «Vuoi che andiamo d'accordo? », egli esclamò, risentito. « Figurarsi », ella disse. « Ma d'altra parte, se ti arrabbi prendi subito la faccia di maggiorenne. Arrabbiati anche passando davanti al bureau». Poi, quando furono nella camera d'albergo dove la donna lo aveva condotto, ed a lui sembrava di avere posseduto per la prima volta una donna che veramente gli piaceva, mentre egli indugiava sul letto ed essa riordinava il lavabo, ancora tutta nuda, ella gli chiese: «Eri nei marò? ». La domanda gli sembrò naturale. « Sí, ti dispiace ? », le rispose. « Piuttosto, come l'hai capito? ». «A fiuto. Gran mestiere quello che faccio, cara stella ». Egli si alzò seduto sul letto. «Sei in rapporto con qualche ex?». Ella si incipriava il seno e le ascelle. «Partita chiusa», disse. «Gente che ormai porta rogna ». «Mi basta che tu mi indichi qualcuno. Li avvicinerò da me. Devo rintracciare una persona », aggiunse, ma a se stesso piú che a lei. A lei dette le mille lire che gli rimanevano, e un appuntamento per l'indomani, perché essa gli indicasse i camerati che conosceva, anche se adesso non voleva promettergli che lo avrebbe accontentato e perché essa gli piaceva come nessuna donna prima d'allora, delle poche che aveva avuto e che poteva ricordare a una a una, sempre viva e sempre docile tra le sue braccia, tepida, liscia, odorosa. Già fantasticava sulla gioia che essa gli avrebbe dato l'indomani; non pensava che l'indomani gli si sarebbe rifiutata poiché lui non avrebbe avuto da pagarla. Fu la donna stessa, Kati, cosí aveva detto di chiamarsi, a ricordarglielo. Avevano finito le sigarette. Ella disse: « Suona, ce le facciamo portare. Americane o inglesi, come le preferisci? In questa sporca città gli Alleati hanno portato di buono soltanto le sigarette, loro e i loro quattrini sono rimasti per la strada. Al posto loro, aspetta aspetta, sono arrivati i partigiani, pieni di voglie e squattrinati». «Le sigarette le compreremo dopo, uscendo», egli disse. Si stava vestendo. Kati gli andò vicino, gli chiuse la serratura lampo del maglione, e lo guardò negli occhi. «Queste mille lire, erano le sole che avevi, non è cosí? Fortuna mia», commentò. Quindi lo costrinse ad accettare i denari per il viaggio. Volle accompagnarlo fino alla stazione. Accomiatandosi gli disse: «Non mi càpita spesso di essere generosa. E le rare volte che mi càpita, subito me ne dimentico». «Tornerò carico di quattrini. Gireremo il mondo in cerca di una persona. Soprattutto dopo averla trovata, lo gireremo», egli le disse, stringendole la mano dal finestrino del treno. Ora, a Milano, lo richiamavano «la vendetta e l'amore». Dalla vendita delle gioie di Virginia, avrebbe salvato l'anello coi i brillanti, per donarlo a Kati. E perché i conti tornassero, mancando i denari dell'anello, aveva pensato di disfarsi della pelliccia di Virginia. Che bisogno ne aveva, Virginia, della pelliccia, dal momento che possedeva un soprabito pesante, nuovo per giunta? Nuovo? Quindi, di valore. Tuttavia, appena uscito dalla stazione, il piú immediato dei suoi pensieri fu quello di telefonare alla madre, là dove essa lucidava i pavimenti e rifaceva la cucina. La sentí commossa. «Tutte belle cose, ma a saperti solo per il mondo, mi si stringeva il cuore ». Le si stringeva il cuore? «Non ti lascerò piú partire». Egli la blandí, le disse che si recava subito a casa: era stanco e voleva riposare. « Troverai delle novità », gli disse la madre. Ma Sandrino aveva fretta e attaccò il ricevitore senza chiederle quali fossero, e se essa le giudicava buone o cattive. Non erano, comunque, novità che lo riguardavano, altrimenti la madre gliele avrebbe comunicate appena udita la sua voce. Erano le undici del mattino, e qualsiasi novità fosse accaduta, in casa doveva trovarsi soltanto Virginia. Si propose di giungerle alle spalle di sorpresa. Avanzò cauto lungo il corridoio, schiuse lentamente la porta della, camera di Virginia. La camera era vuota di suppellettili, le mura tinte di fresco, decorate a nuovo, il pavimento cosparso di schizzi di calce, polveroso. La finestra era chiusa. Cosí spoglia e investita dal sole, la stanza gli sembrò irriconoscibile, smisuratamente grande, odorosa di vernice. « Si è portata via anche le tendine». Furono le prime parole che Sandrino formulò a se stesso. Stringeva ancora la maniglia, e la stringeva con tutta la sua forza per trattenere il furore che l'invadeva e che non trovava un bersaglio su cui riversarsi. Dapprima egli aveva subito una stretta piú forte al cuore, improvvisa, nel vedere la stanza deserta, coi segni di una futura presenza che non era piú quella di Virginia; immediatamente dopo aveva provato una sensazione nuova per lui: si era sentito come risucchiare dal cervello alle ginocchia e ricadere su di sé, o meglio sulle proprie spoglie. In quell'istante aveva impugnato la maniglia, l'aveva girata e trattenuta impegnandovi tutte le sue energie, col senso di strangolare l'unica cosa viva, a portata di mano, che gli resisteva. Cosí era riuscito a padroneggiarsi, a costruire il primo pensiero attorno alla propria ira, di secondo in secondo piú violenta e nello stesso tempo piú gelida e determinata. « Si è portata via anche le tendine », ripeté a se stesso, già convinto di ritrovare Virginia di lí a poco, di «farle pagare » il gesto di ribellione ch'ella aveva osato, fuggendo. Egli era ormai in grado di associare le circostanze, di concretare dei propositi. La realtà, anche se tuttora inesplicabile, la sua cattiva coscienza, e piú ancora la sua capacità tutta istintiva di penetrare il senso delle cose, gli lasciavano facilmente intuire che Virginia aveva creduto di sottrarsi a lui scomparendo. Ma egli sapeva che Virginia era incapace di prendere una qualsiasi risoluzione, ed a maggior motivo questa risoluzione, se qualcuno non gliela avesse suggerita ed imposta. Questo qualcuno non poteva essere stato altri che Bruna. La sua ira si concentrava su Bruna, avvolgeva l'immagine di Bruna di un furore omicida. Lo stesso furore, adesso maggiormente esasperato, con il quale aveva inseguito Luca per giorni e giorni, nella città sconosciuta, e che Kati gli aveva appena sopito facendogli conoscere per la prima volta il pieno godimento dei sensi e dandogli l'impressione di avere soltanto allora scoperto la donna. Questo era Sandrino. La sua natura era il suo carcere; ogni suo tentativo di evasione si concludeva col restringersi dello spazio della sua cella. Egli era costantemente assediato da sentimenti oggettivi, anche se crudeli, da propositi a volte puerili e a volte inumani, ma sempre meditati, che tuttavia, di occasione in occasione, volutamente dimenticava per darsi tutto al proposito piú immediato, al sentimento piú emotivo. Adesso doveva trovare Bruna. Volle sincerarsi che non fosse in casa. Bussò alla camera, che era chiusa, senza ottenere risposta, raggiunse la cucina. Dalla terrazza proveniva un canto di donna, a mezza voce. Attraverso la porta a vetri egli vide due mani che fermavano un lenzuolo sulla corda. Irruppe in terrazza come proiettato dal proprio furore, nello stesso momento in cui la donna usciva di dietro lo schermo della biancheria tesa ad asciugare. Era l'inquilina del piano sottostante. Si trovarono di fronte all'improvviso; egli col pugno già alzato che la donna evitò trascinata indietro dalla sorpresa, dallo spavento: trovò il muretto alle spalle, che la sorresse. Sandrino fece uno sforzo disperato per trattenere il proprio slancio, tentò di volgere in scherzo la propria apparizione. Il suo volto si era subitamente ricomposto, soltanto nel profondo del suo sguardo sussisteva una luce di ferocia che tuttavia sembrava maggiormente illimpidire il celeste intenso delle pupille. La sua voce era calma, festosa. « Parliamoci chiaro», egli disse. «Le ho fatto piú paura dei tedeschi, quella volta che vennero a cercare suo marito». La donna si sorreggeva con le reni al muretto, esausta. « Portami una sedia », disse. Egli insisteva nella sua commedia. «E un bicchier d'acqua, immagino. Ho un'esperienza in materia ». Tornò con la sedia e il bicchiere. Disse: « Ma se è già di nuovo colorita». La donna sedette, si teneva le mani sul ventre, disse: «Vorrei, anzi dovrei prenderti a schiaffi. Invece a guardarti mi viene da sorridere. Sei cresciuto tanto per nulla », aggiunse. « Hai ancora il cervello del mio piú piccino». Egli si finse corrucciato, e con un tono che doveva subito farle pensare ad una bugia, infantilmente disse: « Credevo che in terrazza ci fossero i ladri. Come potevo pensare che era lei? Torno ora da Milano». «Sicché non sai che ormai sono anch'io di casa? Ero venuta per affittare la camera dove abitava la repubblichina ». «Ah», egli la interruppe, con appena un tremore nella voce, che parve nascergli dall'improvvisa curiosità: «E la repubblichina dove se ne è andata? ». «Mistero... Scomparve una settimana e mezzo fa, e quattro giorni or sono vennero dei suoi incaricati dell'Agenzia Trasporti a portarsi la mobilia. Dimenticarono le due galline, come vedi. La signora Bruna ha detto che se nessuno si fa piú vivo, sono mie. Intanto io le custodisco, siccome ce n'è una che quasi tutti i giorni mi dà un uovo... Lo so, sarebbero spettate alla tua mamma. Ma è stata lei stessa a insistere, per via che ho i bambini, e non navighiamo nell'oro... Sai, un uovo, fresco, preso di sotto la gallina... ». «M'importa assai dell'uovo», egli esclamò. «Di cosa, allora? Della repubblichina? ». «Anche», egli disse, duramente adesso, non piú ragazzo.. «Anche, cosa vuol dire? ». «Vuol dire», egli proseguí, e subito s'interruppe, addolcí la sua inflessione; e perché la donna desse sfogo alla propria loquacità, informandolo su ciò che gli premeva sapere: « Ecco», le disse, « la signora Bruna, che le ha regalato le galline, sa perché la repubblichina se ne è andata? Cosa le ha detto? ». «Ti ripeto, nulla. Lei e il signor Faliero ne sanno quanto me. La vedova è scomparsa e poi vennero quelli dei trasporti, con i documenti in piena regola per prendersi la roba. Domandai io ai facchini dove traslocavano; mi risposero che la mobilia avevano l'ordine di portarla al deposito dell'Agenzia». Egli era ancora accigliato e la donna credette di interpretare il suo disappunto. «Ti dispiace che io sia di casa? Mica ci abito. Appena la vedova se ne fu andata, mi precipitai per affittare la sua camera, ma la signora Bruna non me la volle dare. Mi concesse tuttavia il diritto alla terraz- za. In realtà era questo che io volevo. Era tanto che ci facevo all'amore con la terrazza, per i miei ragazzi, quando tornano da scuola, e per la biancheria. Asciuga in un baleno in giornate come questa... ». Si era alzata ed aveva ripreso a stendere i suoi cenci. Egli si congedò, un momento dopo tornava per chiederle: « E nella camera della repubblichina, cosí rimessa a nuovo, chi ci viene?». «Nessuno. La signora Bruna ci farà il suo salotto», rispose la donna. Quindi commentò: «Quante cose, eh, sono accadute mentre tu non c'eri». «Proprio», egli si ripeteva scendendo le scale, con ancora intatto il suo furore disperatamente represso. « Quante cose sono accadute. E siamo appena all'inizio ». Non sapeva ancora che era per lui, l'inizio. XIV Dalle sue tasche vuote, di fondo al cappotto, uscí un gettone. Non stette a ricordarsi come vi si trovasse, né da quanto tempo, o perché. Non era una circostanza che potesse sorprenderlo, dominato dall'ira qual era. Del resto, avere a portata di mano tutto ciò che favoriva i suoi disegni, era un fatto naturale per Sandrino. Entrò in un bar e si chiuse dentro la cabina del telefono. Cercò una sigaretta. In ogni momento della sua giornata, quando stava per intraprendere un'azione, anche la piú consueta, gli bisognava fumare. La sigaretta accesa tra le mani, il gusto del fumo, lo completavano; altrimenti si sentiva sprovvisto, provava uno sfinimento improvviso che gli riduceva le facoltà di agire e di pensare. Staccato il ricevitore, si frugò addosso, inutilmente. Questa circostanza finí di decidere del suo comportamento allorché Bruna si fece udire nell'apparecchio. « Ho bisogno di parlarti, subito», le disse. Capí di averla colta di sorpresa, siccome tardava a rispondergli. Nel microfono c'era il ticchettio lontano di una macchina per scrivere. « Hai capito? », egli insisté. « Adesso non mi è possibile», ella disse. «Ci vediamo stasera, a casa ». «Troppo facile», egli disse. «Vuoi che salga io nel tuo ufficio? ». «Non te lo consiglio». La sua voce era calma, quasi distratta, cosí minacciosa tuttavia, che lo impressionò e lo accrebbe nella sua furiosa impazienza. «Sei tu che mi consigli», egli esplose, gridava senza rendersi conto di gridare. « Hai dato dei buoni consigli anche a Virginia? Dov'è, dimmi, dov'è?» «Al coperto, voglio sperare », ella disse. Poi ammaestrò il proprio tono, fu conciliante, gli disse: « Calmati, e stasera ne parliamo». «Ne parliamo anche con tuo marito», egli inveí. « Sí, anche con lui... Ora credo avrai capito. Hai tutto il pomeriggio per riflettere e cambiare atteggiamento ». Poco dopo Sandrino andava su e giú lungo il marciapiede dirimpetto all'ufficio di Bruna. Tirava un vento gelido, il cielo era basso e nevoso, egli camminava per vincere il freddo e la propria agitazione, le mani dentro le tasche del cappotto. Era mezzogiorno e Bruna sarebbe dovuta uscire per recarsi a colazione. Di tanto in tanto alzava gli occhi sulla facciata del palazzo. D'un tratto si accorse che Bruna era dietro i vetri di una finestra, e lo guardava. Egli le si rivolse, dalla strada, ed istintivamente alzò la mano trattenendola nella tasca del cappotto, come per minacciarla di essere armato. Ella scomparve. Subito Sandrino si pentí del gesto che aveva compiuto: impaurita di saperlo armato, ella non sarebbe piú uscita, non sola comunque. Invece, di lí a qualche minuto, Bruna attraversava la strada. Indossava il suo soprabito grigio, la testa riparata in un cappuccio di lana, annodato sotto la gola. «Dunque, vuoi fare il pazzo fino in fondo», gli disse. «Dammi la rivoltella». «Non ce l'ho», egli le rispose. Tirò fuori le mani, e prima ancora che Sandrino riuscisse ad impedirglielo, Bruna gli frugava nelle due tasche del cappotto, contemporaneamente. « Meglio cosí », ella disse. Gli stava di fronte, evitando di incontrare il suo sguardo. «Dove vai a colazione?», gli chiese. «Accetti un mio invito alla Mensa? ». Egli cercava di orientare i propri pensieri. Il contegno di Bruna gli aveva lasciato capire ch'ella non lo temeva piú. Per un istante egli si sentí sopraffatto; e quella stessa violenza, cosí naturalmente su- bita, di lasciarsi perquisire, lo avvilí. Nondimeno, subito dopo le sorrise, le disse: « Sicuro che accetto... Per intanto, mi potresti anticipare una sigaretta? ». Si sedé a un tavolo mentre Bruna acquistava i tagliandi alla Cassa. Ed allorché essa lo ebbe raggiunto, rompendo il silenzio durato per il breve pezzo di strada, egli le disse: « Vuoi essere tanto gentile da spiegarmi? ». Reggeva la sigaretta per diritto, sostenendola con la punta delle dita e sfiorandosi il naso con la capocchia accesa, socchiudeva gli occhi per via del fumo, i gomiti sulla tavola. «Se ho sbagliato, sono disposto a pagare», aggiunse. « Cosí mi piaci», ella disse. Distese il tovagliolo di carta e vi appoggiò sopra le posate. «Ma non pensare che ti creda », continuò. « Cotesta capacità di simulazione che hai, di cambiare da un momento all'altro, tu credi sia la tua forza... ». « Io faccio sempre sul serio», egli la interruppe. Poi disse: « Credevo che tu avessi da darmi delle notizie. Invece mi porti dei paragoni. Forse il dente si e riservato di togliermelo tuo marito? ». Ella lo inchiodò alle sue proprie parole. «Vedi che non mi inganno? Sei ancora pieno di veleno, sotto cotesta aria di agnello». Egli tirò una lunga boccata di fumo. «Ti sbagli», le disse. «Ho capito che sono nelle vostre mani. Ora sono persuaso che tu hai parlato con Faliero, che tutti e due volete il mio bene... Se tu avessi agito prima mi avresti impedito di commettere dei torti verso quella povera Virginia... ». Il cameriere arrivò con la minestra. Egli spense la sigaretta e ripose il mozzicone. Bruna si portò il cucchiaio alle labbra; lo guardava senza rispondergli, con un'espressione di amarezza e di disgusto insieme. «Non mi vuoi dire proprio niente? », egli ripeté. «No» ella disse, recisa. « Cosa preferisci per secondo? ». Continuarono a mangiare in silenzio, tra il brusio e il via vai dei camerieri, degli avventori. Erano a metà della pietanza quando apparve Faliero. Arrivò d'improvviso, alle spalle di Sandrino, e si sedette alla sua destra, appoggio le braccia sul tavolo, una mano sull'altra. « Ed eccoti tornato», gli disse, come saluto. Si tolse il berretto e lo infilò nella tasca dell'impermeabile: sotto aveva la tuta da lavoro. «Hai mangiato? », gli chiese Bruna. « Sí », egli rispose. « Riprendo col turno della una. Ho voluto fare un salto per salutare il nostro eroe ». E rivolto a Sandrino: «Dunque», gli disse, «ora che grosso modo conosci la situazione, le tue intenzioni quali sono? ». Sandrino guardava non lui, ma Bruna che sosteneva il suo sguardo, duramente. Come non immaginarsi ch'ella doveva avere telefonato a Faliero? Come non sospettare l'agguato nel suo invito a colazione? Stringeva il pugno per dominare la propria collera. Riprese il mozzicone. «Fammi accendere», disse a Faliero. «Aspetta di aver mangiato la frutta. Poi te ne darò una intera », Faliero disse. Gli toccò il braccio, aggiunse: « Senti bene, Sandrino. Tutto quello che io posso dire a te e tu a me, sia tu che io crediamo di saperlo. Ma è bene dircelo. E in fretta, siccome ho poco tempo. Dobbiamo concretare qualcosa prima di affrontare tua madre, stasera». Sandrino si era accigliato, stringeva i pollici dentro i pugni, tuttavia calmo in apparenza. Non gli rispose. Poi, come per una decisione presa all'improvviso, lo interrogò a sua volta: «Ti faccio una domanda», gli disse bruscamente. «Con quale diritto ti permetti di sindacare la mia vita e di impormi la tua volontà? Perché sono stato fascista? Non è piú un reato». «No, non per questo», disse Faliero. Da quel momento, e fino alla sua conclusione, il loro dialogo fu serrato ed esplicito, violento soltanto nel significato delle parole che si scambiarono. Erano entrambi posseduti da sentimenti animosi, anche se opposti, ma entrambi con una capacità comune di dominarli onde potere ascoltare l'uno dalla bocca dell'altro ciò che già sapevano l'uno dell'altro, ma che gli occorreva di sentirsi ripetere, e sincerarsene, per affrontarsi risolutamente. E se le offese di Sandrino non raggiungevano Faliero, bensí finivano di persuaderlo della giustizia e dell'opportunità del suo intervento, egualmente, in Sandrino, le minacce di Faliero anziché sgomentarlo gli dimostravano l'imminenza di un pericolo contro il quale si disponeva a lottare. Erano due avversari che si pronunciavano, che raccoglievano la sfida, ciascuno con la coscienza, lo scopo, la riflessività loro propri. Il tono delle loro voci non si alterò, né i loro corpi si scomposero sulle. sedie. Bruna li seguiva con lo sguardo, si mantenne calma, le mani intente a sbucciare un'arancia. Faliero ripeté: «Non perché sei stato fascista. Né perché lo sei ancora adesso, nemmeno questo è reato finché non farai qualcosa per farlo diventare. Prova a sottopormi qualche altra induzione ». «Vuoi che ti dica proprio quella vera? È perché sono stato l'amante di tua moglie e ti vuoi vendicare ». «Nemmeno. Tu sei stato l'amante di mia moglie, sissignore. E con ciò? ». «Ma è la tua donna». «Di conseguenza è con lei che me la dovrò vedere, tu che c'entri? Era lei che doveva avere la coscienza di fare del male. Vai avanti. Non è per questo che ti farò rinchiudere in riformatorio». «E perché, allora? Per via di Virginia? Ma parliamoci chiaro: l'hai detto tu un secondo fa. Virginia è la mia donna, e i conti vanno regolati tra lei e me. Forse perché io sono minorenne? Io ho piú cervello di lei». «Infatti, sí. Ed è proprio per questo che ti accompagnerò fino sulla porta del riformatorio. Perché hai troppo cervello, e voglio tu impari ad usarlo in pro di te stesso, non contro te stesso». «Parole. E sei anche in contraddizione». Qui Faliero gli tese il trabocchetto e Sandrino vi precipitò, a sua insaputa. «Di fronte alla legge basteranno i soldi che hai preso a Virginia. Lo sai all'incirca, quanti sono?». «Cento o trecento, cosa importa? Deve essere lei a denunziarmi, deve ripetere davanti a me che l'assegno non l'ha firmato lei». «Ah, è cosí». «Vedi che ti metto in imbarazzo? ». «Ho spavento per te». «Fanne a meno, mi so custodire». « Basta! E parliamoci chiaro, lo dico io a te adesso. Per farti entrare in riformatorio è sufficiente l'assegno che confessi di aver firmato, e che hai già speso, evidentemente, chissà come, trecentomila lire, se non hai nemmeno da fumare». «Non ti ho detto di averlo firmato, né tanto meno riscosso. Dev'essere lei a denunziarmi », ripeté Sandrino. « Se non lo farà lei, lo farò io... E del resto, non serve... Non sono venuto per interessarmi di Virginia, e nemmeno di te. È di tua madre che mi preoccupo ». «Lasciala perdere mia madre». « Ha te solo al mondo, e non si merita che tu ti sporchi ancora di piú, finché sei in tempo... Se fosse vivo tuo padre... ». «Se fosse vivo mio padre, ti ammazzerebbe ». Allora Faliero si alzò, si rimise il berretto, disse: « Ho perduto un'ora del mio lavoro... Tu che fai? », chiese a Bruna. « Ti accompagno», ella disse. Prima di andarsene Faliero cavò tre sigarette dal pacchetto, le fece ruzzolare sul tavolo, verso Sandrino. « Tieni», gli disse. « Ci vediamo stasera. E non meditare delle sciocchezze. Non andresti mai tanto lontano da non poter essere raggiunto. Aggraveresti la tua situazione, e non altro». «Fammi accendere», gli ripeté Sandrino. E mentre Faliero gli prestava il fuoco, con la sigaretta tra le labbra, Sandrino gli mugolò qualcosa che Faliero intese ma che finse di non avere udito. «Ricordati Faliero, ormai io non ho piú nulla da perdere. Nemmeno mia madre». Sandrino era poi rimasto solo al tavolo della Mensa, con la sua arancia nel piatto ancora da sbucciare. Tagliò la scorza a spirale, ne estrasse il frutto e lo divise in spicchi. Li allineò. Era un gioco di pazienza col quale accompagnava i suoi pensieri. Via via che questi procedevano, anche la sua operazione procedeva. Spogliò gli spicchi della loro pelle, tentò di espellerne i pigmenti con la punta del coltello. Per quanto egli era immerso nelle sue riflessioni, le sue mani sembravano commentarle. Finora gli era sempre riuscito naturale di circoscrivere ed isolare le difficoltà. I suoi successi si spiegavano con la sua capacità tutta istintiva di proporsi di volta in volta uno scopo sempre unico e definitivo. Anche se scatenata e crudele, la sua natura era semplice e razionale, con ancora la bizzosità e i rapidi trapassi d'umore propri dell'adolescenza. Adesso, le diverse offese ricevute gli torturavano la mente, si accavallavano l'una all'altra, e pur fecondandosi di odio, quasi si neutralizzavano. Il tradimento di Luca si legava al tradimento di Bruna, al tradimento e alla diserzione di Virginia, sfociavano insieme nella minaccia di Faliero, nel pericolo imminente del riformatorio. Il che significava perdere la libertà, e con essa la possibilità di punire coloro che lo avevano tradito. Significava rinunziare a Kati; ferire il cuore della madre. La scorza campeggiava dentro il piatto, intatta come un'arancia sana. Sandrino vi confisse la forchetta, e con un moto lento, implacabile del coltello, la ridusse in filamenti. Era l'impassibilità della disperazione. Ebbe la certezza di trovarsi, cosí come sedeva, con le spalle al muro. Tutto ciò che nei brevi anni della sua vita egli aveva preso credendo gli fosse dovuto e che quindi aveva schiacciato e distrutto a suo piacere, ma anche furiosamente amato premeva adesso contro la sua coscienza per soffocarla definitivamente. Egli si sentí restituito alla sua condizione di adolescente, a cui è negato perfino di assumere le proprie responsabilità. Questo, invece di sgomentarlo, lo inasprí ancora di piú. Pensava che il mondo nel quale il padre gli aveva insegnato a credere lo aveva a suo tempo accolto e stimato riconoscendogli la maturità e l'audacia ch'egli sapeva di possedere: gli aveva dato una divisa e un fucile, diritto di vita e di morte sui suoi nemici. Ora, il mondo in cui adesso viveva, che era il mondo dei suoi nemici, si vendicava. Faliero si vendicava. Gli toglieva la libertà. L'aria. La luce degli occhi. Colpiva a morte il cuore di sua madre. Nella sua mente fiori il proposito. Non vago e avventuroso come quello che lo aveva mosso contro Luca fino a poche ore prima, ma esplicito come il precipitare degli avvenimenti e la situazione improvvisamente rivelatasi gli suggerivano. Riversò unicamente su Faliero la carica di disperazione dalla quale si sentiva oppresso. Intanto, calmo e puerile, infieriva con forchetta e coltello nella poltiglia di arancia. «Mi dispiace toglierle il divertimento», gli disse il cameriere. Radunate le stoviglie, passò col canovaccio sulla tovaglia di incerato. «Queste sigarette sono sue? », gli chiese, mentre Sandrino si alzava per andarsene. Erano le due dopo mezzogiorno; il vento si era placato, l'aria era gelida, il cielo algido e compatto; nei negozi, sul tram le luci erano gia accese; l'intera città sembrava sospesa in attesa della neve. Sandrino camminava, le mani nelle tasche del cappotto, il basco sulla nuca, con la sua andatura sciolta e scanzonata di ragazzo cresciuto, sereno per quanto interiormente posseduto dalla sua follia. V'era tuttavia nelle sue membra qualcosa che non si accompagnava all'animosità del suo spirito. Sempre, nelle occasioni le piú comuni e le piú drammatiche della sua vita, la sua disposizione ad agire aveva trovato rispondenza nella pienezza fisica delle sue forze. Ora, nell'imminenza di giocare la partita che poteva essere decisiva per il suo destino, un'improvvisa rilassatezza riduceva le sue energie. Come una resistenza delle giunture, un rifiuto dell'istinto ad affrontare l'ostacolo, ch'egli attribuí alla mancanza di riposo. Non dormiva da quarantotto ore, dalla notte precedente al suo incontro con Kati, avvenuto appena ieri (aveva ancora addosso il suo odore) e già cosí distante da patirne il ricordo. Comunque, l'oppressione provata durante il viaggio si era accentuata nelle ultime ore. L'aria, rigida, gli offendeva la faccia, gli calava col respiro nei polmoni, si trasformava in un freddo tutto interno che lo costringeva a trattenere la lingua tra i denti per non batterli. Ma se il suo organismo, anch'esso, sembrava proprio ora volerlo tradire, la sua determinazione non lo avrebbe abbandonato. Il suo pensiero era nuovamente uno solo, sottrarsene gli sarebbe stato impossibile. Formulato un proposito, la sua volontà si imponeva a lui stesso. Egli era una forza di natura che trovava nella violenza il suo equilibrio. Dal momento in cui era stato in grado di valutare la propria origine e l'avvenire che gli si prometteva, il suo posto tra gli uomini gli era sembrato inferiore al suo diritto, si era persuaso che la sua esistenza fosse osteggiata: prima ancora che le avversità e le ingiustizie avessero potuto legittimare in qualche modo il suo atteggiamento, egli stesso aveva assediato il proprio spirito. L'inquietudine era la sua condizione naturale, l'eccesso la sua misura. Ed ora che la realtà aveva finito col dargli crudelmente ragione sopraffacendolo, vincolando la sua libertà (violentando perfino l'unica e trepida luce della sua anima, rappresentata dall'affetto per la madre), uccidere Faliero voleva dire ribellarsi definitivamente, lasciare un segno incancellabile della sua protesta. E siccome Faliero non soltanto era un nemico suo proprio, ma era soprattutto nemico delle sue idee (delle idee di suo padre) Sandrino attribuiva un significato eroico al delitto che si preparava a consumare. Nondimeno, la remora che il suo corpo opponeva alla sua volontà lo irritava. La tensione a cui era costretto per reagire al freddo che lo aveva invaso gli impediva di concretare il suo proposito. Mancandogli la rivoltella, lo avrebbe pugnalato! Nella terrazza, in una fessura del parapetto, proprio sotto la cassetta piena di terra ove Faliero coltivava i pomodori, c'era murato il suo pugnale di marò. Era conservato nella custodia, e questa avvolta in un lembo di tela cerata: la lama era bella e tagliente, non poteva essersi arrugginita. Rispettare l'« ordine» di Luca gli aveva portato fortuna: il suo pugnale era ancora lí e l'aspettava. Accelerò il passo con l'immagine del pugnale davanti agli occhi. La lingua gli doleva, forse gli sanguinava, tanto vi premeva coi denti. Il freddo gli era sceso allo stomaco e glielo chiudeva. La trafittura dalla parte del cuore era diventata costante come se, ed era ridicolo pensarlo, egli provasse una pena. Era ormai prossimo a casa, percorreva le strade che gli erano familiari, orientato solo dall'istinto. La sua retina non riteneva altre immagini che quella, ossessiva, a cui era tesa la sua mente. Un semaforo inversamente acceso lo costrinse a sostare. Come lo avrebbe assalito? Dove? Stasera stessa? Questo era ciò che il tremito, il freddo, gli impedivano di concretare. « Suvvia, verde, fai il bravo», disse qualcuno che gli stava al fianco. Finora il brusio della strada lo aveva maggiormente isolato nel suo pensiero. D'un tratto, quella voce, cosí vicina al suo orecchio, lo fece trasalire. Era una voce giovane, allegra, di fanciulla. Sandrino si voltò. XV Dapprima nemmeno la vide. Era una macchia di colore all'altezza della sua spalla. Subito dopo riacquistò la percezione delle cose: si stupí di essere giunto a pochi passi da casa, gli sembrò di avere percorso un lungo cammino ad occhi chiusi, soprappensiero. Spesso gli capitava di attraversare mezza città sprofondato nella lettura di un giornale e di venire richiamato bruscamente alla realtà dall'ombra di un ostacolo: un'edicola, un lampione, una fossa aperta sul selciato. Fu cosí, e sull'istante ne ricevé il sussulto e insieme l'irritazione che sono propri della circostanza. «Che cipiglio», gli disse la sconosciuta. «Ce l'ha con me?». «Cretina», egli esclamò. La fanciulla tacque. Siccome il semaforo dava via libera, ella si mosse, raggiunse il marciapiede opposto. L'incidente, seppure banale, aveva deviato il corso dei suoi pensieri, lo costringeva a distrarsene suo malgrado. La fanciulla camminava qualche metro innanzi a lui. Indossava un cappotto rosso, ampio, a sacco. Aveva i capelli biondi, sciolti, che le scendevano fin sotto il bavero. D'un tratto ella si arrestò, e quando Sandrino già la stava oltrepassando, lo affrontò fermandolo per il braccio. Aveva i guanti di lana alle mani, celesti, come la sciarpa attorno al collo. «Perché mi hai insultata? », disse la fanciulla. Sandrino tentò di liberarsi della sua mano e proseguire, ma non vi riuscí. Dové abbassare il braccio con violenza, di colpo, affinché ella lo abbandonasse. Il gesto la squilibrò, andò ad urtare con la testa sul petto di Sandrino. Istintivamente egli la sorresse. «Mi deve spiegare, cosa crede? », ella insisté. Si era staccata da lui, si aggiustava la sciarpa sulla scollatura del cappotto. Aveva il volto esile, minuto, ancora adolescente, ma due grandi occhi, intensamente verdi, pieni di una furbizia, di un languore, e di un duro risentimento adesso, non piú innocenti. Egli la guardava, irritato, e nello stesso tempo incuriosito della sua audacia e della sua energia. «Basta, ragazzina », le disse. « O vuoi due schiaffi? ». Ella si infilava le dita di una mano in quelle dell'altra, come per calzarsi meglio i guanti. Gli rispose: «Credi che me li lascerei dare? ». Sostenne la sfida con una voce cosí decisa e un cosí luminoso lampeggiare dello sguardo ch'egli non poté fare a meno di sorridere. Già in lui la curiosità demoliva l'irritazione. « Non lo vedi? Potrei prenderti con un dito», le disse, ed allungò l'indice per toccarle il naso. Ella si scansò tirando indietro la testa, ma senza spostarsi. «Mi hai offeso. Mi hai detto cretina e nemmeno sai chi sono». «Ma sí che lo so», egli disse. Cosí era, infatti. Cercava invano di ricordarsi come e dove l'aveva conosciuta. Ella sembrò raddolcirsi. «A maggior ragione, allora. Perché mi hai chiamato cretina? ». È questo l'omicida? Questo è Sandrino. Le rispose: «Ho inteso farti un complimento». «Guardandomi come mi guardavi?». «Come ti guardavo? ». «Come se tu mi volessi mangiare». «Veramente? », egli disse, e tentò di prenderla a braccetto. «Non senti che freddo? Io tremo tutto». Ella lo costrinse a fermarsi dopo pochi passi. «Mica vorrai accompagnarmi sulla porta di casa? », gli disse. «Non mi ricordavo che tu abitassi da queste parti ». «Era come pensavo», ella esclamò. «Non è vero che tu mi conosci». E caparbia, ripeté: «Ma perché mi hai dato della cretina? Non si offende la prima persona che si incontra ». « Be', ti chiedo scusa», lui disse. «Facciamo come al tamburello. La prima palla è battuta sul cordino. Conosci il tamburello? Il nostro incontro comincia adesso ». «È come al tennis », ella disse. «Chi serve? ». «Servo io». «Lungo? ». «Certo. Alla Cucelli. Anzi, alla Borotra». «Io a rete, stile Susanne ». Poi ella disse: « E il quindici chi lo fa? ». «Vuoi dire chi lo perde? Lo perde chi manca una risposta... Allora, Susanne, come ti chiami? ». «Elena ». « Sandro». « Mondei». « Vergesi ». « Terza liceo». «Diploma media inferiore». «Perché mi hai dato della cretina? ». «Perché lo domandi ancora? ». «Quindici. Non hai risposto». Inavvertitamente, era la fanciulla che camminan- do, scherzando, lo guidava. Aveva voltato l'angolo, ed al quadrivio una ventata, gelida, aveva mozzato loro il respiro. Ella lo prese per la mano e quindi, staccando la corsa, trascinandolo quasi, lo costrinse ad attraversare la strada. «Cambiamo campo», gridò. Raggiunsero il portone della Posta Centrale, dirimpetto. Vi si introdussero, stretti nel medesimo scomparto della porta girevole, poi tra il via vai del salone d'ingresso, urtandosi con la gente. «Credo che questo tepore ti ci volesse. O sbaglio? », ella gli chiese. « Hai la faccia di un morto. Non sopporti il freddo? ». «Mi ha preso allo stomaco». «All'estero ci sono i campi coperti. Giocano nelle serre», ella disse, cercando, ma senza piú convinzione, di riprendere lo scherzo. Egli era stranamente stordito. L'intraprendenza della fanciulla gli richiedeva una partecipazione a cui non gli riusciva di rifiutarsi. Era un fatto nuovo, che lo sorprendeva, e lo invogliava suo malgrado. Una violenza subita con diletto. Entrarono nella sala del telegrafo; sedettero sugli sgabelli. « Riposati, ti gioverà », ella disse. « Forse hai mangiato da poco. Ne soffri? ». «Mai prima d'ora», lui disse. «Ma è già passato... Sicché, Elena, siamo amici ». Le prese la mano ed ella arrossí Egli disse: «Dov'è che ci siamo conosciuti? A ballare? ». Ella tolse una penna dal tavolo, faceva un arabesco su un modulo per telegramma. Gli rispose: «Abito nel palazzo di fronte al tuo, abbiamo le finestre visàvis ». «Stavi al davanzale il giorno... Aspetta», si interruppe. Chiese a un vicino di accendergli la sigaretta. Riprese: «Il mattino della fine d'anno? ». «Credo di sí», ella disse. « Avevi un golf bianco». « Questo ». Si scostò il cappotto, ed egli intravide il suo seno modellato dal golf, piccolo, alto, di fanciulla. Il ricordo di lei, al davanzale, che si associava al ricordo di Virginia, lo restituí ai suoi funesti pensieri. «Perché proprio quel giorno? Ti rammenta qualcosa di particolare? ». «Non di te, di me». «Dico bene, di te. Che cosa? ». «Parliamoci chiaro», egli disse, seccamente. «Se vogliamo diventare amici, non devi farmi delle domande. Ti dirò io quando vorrò essere interrogato». Ella si alzò, disse: «Non voglio sapere altro». «Cioè? ». «Sei un maleducato», ella disse. E se ne andò. Egli era rimasto seduto. Avrebbe voluto seguirla, e non lo fece, ripreso dai suoi pensieri com'era. E improvvisamente anche piú stanco, quasi che il calore dell'ambiente gli avesse definitivamente troncato le giunture. Affrontare il freddo lo spaventava. Aveva la testa pesante come le membra. Appoggiò un braccio sul tavolo e vi reclinò la fronte. Poco dopo il custode lo scuoteva: «Animo, il telegrafo non è fatto per dormire. Provi nelle sale della stazione ». Sandrino si sollevò a fatica, fece alcuni passi verso l'uscita. Il custode lo richiamò. Gli tese un modulo, gli disse, ironico: « E il suo telegramma? Cos'è, dopo averci schiacciato sopra un pisolino, ha rinunciato a spedirlo? ». Egli prese il foglio distrattamente, ancora tra il sonno, come se fosse realmente suo. E lo era, siccome era riempito del suo nome e indirizzo. Vi lesse, subito sotto: « 25791. Elena». Fuori trovò che nevicava. La neve cadeva fitta e lenta; aveva già ricoperto le strade, i tetti dei veicoli, gli ombrelli dei passanti. Poco distante da lui un cavallo scivolò sulle zampe di dietro, rimase seduto e ridicolo, le natiche sulla neve, insensibile al richiami del vetturino. Piú oltre, un venditore di caldarroste gli intronò le orecchie col suo grido. Egli camminava riparando la testa tra le spalle, intontito dalla stanchezza e dal freddo. Il sonno, bruscamente interrotto, gli aveva lasciato la testa ora piú che mai vuota e pesante. L'aria gelida gli ridestava l'oppressione al cuore. Provava il bisogno di qualcosa di caldo, di forte. Pensò di dirigersi verso un caffè che non frequentava da mesi, da quando si era interamente dedicato alla sua avventura con Virginia. Colà aveva delle conoscenze: vi capitavano i suoi pochi amici. Blandi amici, tuttavia. L'amicizia era un sentimento che Sandrino ignorava, di cui la vita non lo aveva ancora beneficato, ch'egli non aveva fatto nulla per meritare. Il suo carattere autoritario, intemperante, scontroso, gli alienava le simpatie, né egli d'altra parte possedeva la versatilità e la fermezza necessarie per accentrare su di sé le prerogative di un capo. Cosí era stato durante l'infanzia, e poi a scuola e nella sua esperienza di legionario. Di volta in volta soltanto delle complicità lo avevano legato ai suoi simili. Anche i tre o quattro amici di caffè erano giovani di età poco maggiore della sua, che come lui erano rapidamente riusciti a fare dimenticare di avere appartenuto all'esercito nero. Lo tenevano ostentatamente al di fuori dei loro interessi e dei loro piú segreti pensieri. Similmente egli li ricambiava: partendo per Milano si era ripromesso di umiliarli, dopo l'Insurrezione alla quale essi sarebbero mancati. Il caffè era lontano dal centro dove egli si trovava, in un quartiere della periferia, nelle vicinanze della ballera ove aveva condotto Virginia il giorno di Capodanno. Vi giunse ricoperto di neve e intirizzito. Ordinò un ponce né si sorprese che il cameriere lo trattasse con un'attenzione tutta particolare. Si fece accendere l'ultima sigaretta che gli rimaneva. «Sono stato fuori città». «Me lo immagino», gli rispose il cameriere. E si allontanò. Sandrino tolse dalla tasca il modulo del telegramma, lo considerò con un sorriso. Gradatamente riacquistava le energie, la lucidità e la volontà che gli erano proprie. Tuttavia, adesso, tra Faliero e lui, che si sentiva pur sempre deciso ad ucciderlo, v'era quella fanciulla. Aveva l'impressione che dopo il loro breve colloquio fosse rimasto qualcosa di non detto, che si dovevano dire. Ella era la fidanzata che Virginia gli aveva attribuito: gli apparteneva, dunque, in qualche modo. Tanto gli apparteneva da incontrarla poche ore prima di compiere un gesto oltre il quale egli stesso si proibiva di guardare per non venir meno al proprio destino. Elena gli era andata incontro da sé, lo aveva costretto nel gioco, lo aveva compiaciuto e distratto: era tornata sui propri passi per lasciargli scritto il suo numero di telefono. Il che significava che gli restava amica. E gli restava, malgrado tutto, sconosciuta. Pensarla, lo accendeva di curiosità, di allegria quasi. Tra lui e l'ombra che sentiva addensarsi su di sé meditando il delitto, v'erano, piú esattamente, quegli occhi di fanciulla incredibilmente grandi, spensierati, v'era quella voce ch'era stata via via risentita ed allegra, saggia ed infantile. V'era qualcosa ch'egli non conosceva ancora, che lo attirava appunto perché inesplicabile e che sentiva spettargli. Qualcosa di diverso da ciò che egli poteva immaginare: che cioè Elena fosse innamorata di lui, come Virginia gli aveva predetto. Non soltanto ciò, qualcosa d'altro, di fascinoso, accompagnava l'immagine di Elena. Nella sua mente stanca ed eccitata dalle piú recenti emozioni, Elena era diventata la piú forte. Anche per questo si era diretto al caffè, dove avrebbe trovato un telefono a sua disposizione. Formò il numero e fu essa a rispondergli. Appena udita la sua voce, gli disse, «Come va, Borotra? Dormito bene?». «Mi ha svegliato il fattorino col tuo telegramma», egli disse. «Aspettavo tu mi chiamassi. Mi era rimasto da dirti una cosa. «A me pure: che sei bella». « Sbagli tattica », ella disse. « Cotesta poteva forse servirti un'ora fa. Ora c'è nevicato sopra ». «Domani, allora. Col sole». « Mai piú. Era proprio questo che avevo da dirti. Di non farti illusioni per il modo in cui mi sono comportata. È nel mio carattere di essere intraprendente, come è nel tuo di essere maleducato. Maleducato è per usarti un riguardo. Mi senti? ». « Ti sento, sí. E voglio vederti. Subito». «Credo non mi vedrai piú. Nemmeno alla finestra, anche se adesso ci farai caso. Ma lasciami dire. Avevo bisogno di conoscerti, per ubbie mie, private. Questo è tutto. Principio e fine». «Vuoi dire che ti ho deluso?». «No. Mi avresti deluso se ti avessi creduto diverso. Non sapevo nulla di te. Sapevo che a vederti eri un ragazzo col quale sarei potuta andare d'accordo. Invece non lo sei». «Come fai ad esserne sicura? Hai il cervello sbrigativo come la lingua?». «E con questo? ». «Mi devi una spiegazione, specie dopo quello che mi hai detto». « Cosa ti ho detto? ». «Che ti facevo, almeno, simpatia». « Certo, e ora non piú ». «Già, ma parliamoci chiaro, ora la fai tu a me, simpatia ». La sentí che sorrideva. Poi gli disse: «Ti saluto», e attaccò il ricevitore. Egli tornò a formare il numero e subito ella gli rispose: «Sei ancora lí? ». « Dove ti trovi ? », egli disse. « A casa tua ? ». «Sono da un'amica». «Dunque uscirai». «Tardi. C'è Cicerone che ci fa sudare ». «Chi è? ». «Come chi è? Non ne hai mai sentito parlare? Somnium Scipionis... ». Adesso rideva apertamente, e la sua risata aveva un'eco. «Non sei sola all'apparecchio? ». «Naturalmente, no. Ho un testimone... ». « Sono io, l'amica», disse l'altra voce. «E lei è un insolente. Non si tratta a quel modo una ragazza che ha fatto di tutto per essere presa in considerazione... ». « Stupida... Ora lui se lo crede », intervenne Elena. «Dammi il ricevitore... Pronto, senti Borotra... Levatelo dalla testa ». «Cosa? Non ho nulla in testa». «Oh, lo sappiamo». E risate, dall'altra parte del filo. Lui pure, solo, nell'angolo del caffè, sorrideva. Sentí che toglievano la comunicazione. Formò il numero di nuovo, venne l'amica di Elena, all'apparecchio. Gli disse: «Seriamente parlando, Elena, glielo assicuro io che la conosco, basta un nulla per darle una convinzione. Non ci torna su nemmeno con le cannonate. Ci rinunzi». «Ma ho il diritto di rivederla. Stasera stessa. Ora, immediatamente». «Lei deve comprendere a volo le persone», commentò la ragazza, con un tono allegro, di commiserazione. «Dove abitate?», egli insisté. «Ciao, bello», si sentí dire. Le richiamò ancora. Attese a lungo, questa volta, prima di udire una delle due voci. Capí tuttavia che avevano staccato il ricevitore e lo ascoltavano. «Elena, dico a te. Dammi la rivincita. Bisogna che ti parli». Rivederla era ciò che desiderava. Esistere, adesso, per Sandrino, significava incontrarsi con la fanciulla conosciuta appena un'ora prima. Disse: « Ero nervoso, ero stanco... L'hai visto, mi sono addormentato. Di scoppio. Ti sembra naturale addormentarsi in una sala del telegrafo come mi sono addormentato io? ». «Va bene», gli rispose Elena. «Dormici sopra e domani ne riparliamo. Io farò lo stesso». «Ma non potrò dormire, con te in sospeso... Vengo a prenderti, all'ora che tu vuoi... Ti accompagnerò a casa». La scongiurò. «Ti prego», le disse. Ella gli fissò l'appuntamento per due ore dopo. Sandrino tornò a sedersi; chiese delle sigarette al cameriere. Costui gliele portò e gli disse il prezzo. « Segnale in conto, insieme al ponce e alle telefonate. Sono in pari, no? ». «Il conto è chiuso». «Come chiuso? Non ho sempre pagato? Non veniamo sempre qui, io e i miei amici? ». «I suoi amici hanno cambiato locale, mentre lei era fuori città. Mi spiego? », gli disse il cameriere, con intenzione, allusivo e minaccioso insieme. Sandrino pensò che li avessero arrestati; pensò che essi e non lui avevano saputo mantenersi fedeli all'Idea. «Quando li hanno presi? », chiese. Il suo stupore era cosí spontaneo, la sua faccia era cosí chiara ed innocente, che il cameriere dubitò fosse sincero. «Davvero non ne sa niente? La banda dell'autostrada, i rapinatori, erano loro... ». Continuava a guardarlo, titubante, poi gli si accostò, gli disse: «Non so se faccio bene o male. Ma vedo che lei non si muove, quindi deve avere la coscienza tranquilla... Del resto, lo dicevo al padrone, poco fa, mentre lei telefonava... Il fatto stesso che lei è qui, se era uno di loro, se, è lei quello che non hanno ancora preso, mica tornava al caffè dove si vedevano tutte le sere». «Allora? », lo incalzò Sandrino. «Allora, mentre lei occupava il nostro telefono, il padrone è uscito per servirsi di quello del ristorante e chiamare la Polizia... Lo deve capire, signorino: è un esercente... Queste sono le sigarette... La interrogheranno, lei dimostrerà che non c'entrava... ». Sandrino gli tolse di mano le sigarette, lo scostò col braccio di violenza, infilò la porta correndo. Già, capeggiati dallo stesso cameriere, piú uomini gli erano dietro, gridavano. Qualcuno dové sparare in aria, con la rivoltella, un colpo, due. Dunque la Polizia era arrivata, un secondo dopo il suo scatto. Sentí una raffica di mitra alle proprie spalle, ma lontana ancora, sufficiente a raggiungerlo tuttavia, s'egli non avesse voltato. Egli correva, sulla neve, col fiato subito grosso, accecato dalla neve che gli batteva contro il viso, con l'energia della disperazione, con intere le sue forze adesso, e le sue gambe, che erano giovani, di atleta. E lo salvarono, miracolosamente per lui stesso. Si era inoltrato nel quartiere, nelle sue vie strette e popolate malgrado la neve. Ad un angolo, dopo trecento metri nemmeno che correva, e dopo avere voltato due strade, un vicolo, si era fermato all'improvviso, prima ancora che i passanti potessero rendersi conto del tumulto e capissero che l'inseguito era lui. Cosí aveva disperso coloro che gli davano la caccia. I quali si accanirono contro un'ombra in fuga dalla parte opposta alla sua, quella di un uomo intimidito dagli spari. XVI In seguito, commentando l'accaduto, Sandrino diceva: «Conobbi per la prima volta cosa significa aver paura ». Quella sera la paura era stata tanta e tale da fargli dimenticare l'appuntamento con la sua nuova amica. Appena sfuggito agli inseguitori, pensò solo di raggiungere casa il piú rapidamente possibile. Richiuse la porta alle proprie spalle e vi si sostenne qualche istante, per riprendere fiato e ricomporsi dall'emozione. Il suo arrivo richiamò Faliero che era già rientrato, solo, e lo attendeva. «Aiutami Faliero», esclamò Sandrino nel vederlo. Faliero gli impose di tacere, lo condusse in cucina, gli dette una tazza del tè allora preparato, gli sedé di fronte come poche ore prima alla Mensa, gli disse: «Ti ricordi quanto ti chiamavo vaporino? Ti volevo bene come ad un fratello minore, discolo e da emendare. Anche ora, malgrado tutto... Dicevo: io non so ciò che tu hai meditato in queste ore, e che cosa tu stia per volermi far credere. L'unica cosa che tu dovresti capire è che non c'è nulla che tu mi possa dare ad intendere ». « Quant'è vero Iddio, Faliero. È un miracolo se sono vivo». Gli raccontò concitatamente la sua avventura. «Tu sai che non è vero. Tu sai tutto di me, ora per ora, quello che ho fatto in questi mesi». Spiava sul viso di Faliero l'eco che vi trovavano le sue parole, e che dapprima sembrò un'eco sorda, ostile. «Se le cose stanno come tu dici, non hai nulla da temere », disse Faliero. Lo guardava lui negli occhi, adesso. « Presentati alla Polizia e illustra il tuo alibi. Porta delle testimonianze ». «Virginia è il mio alibi... Lei può testimoniare... Siamo sempre stati assieme». «Sempre è una parola... E del resto, se Virginia dice la verità, cosa ne risulta? Che hai rapinato pure lei di tutto quello che aveva... Certo, può testimoniare che l'hai lasciata in vita... Ma dove si trova adesso? Tu lo sai? ». « Sono innocente... », ripeteva Sandrino, abbrancava Faliero alle braccia. «Te lo auguro. Comunque, è strano che tu sia partito giusto nei giorni, ora che collego, in cui i giornali riportavano la notizia dell'arresto dei tuoi amici... Credo che piú della testimonianza di Virginia, ti occorrerà quella del tuo padrone che ti ha mandato a Milano e dei negozianti di lassú, con i quali hai trattato l'acquisto dei tessuti... », disse Faliero, spietato nella sua ironia. Sandrino provava solo allora cosa significa paura. Ne fu invaso, allagato come una terra su cui si abbatte un nubifragio e i fiumi straripano. Scongiurava Faliero di aiutarlo. Era un ragazzo che chiedeva pietà. Aveva tuttavia percezione della propria viltà, sapeva di stare mendicando la solidarietà del suo peggior nemico, giusto nel luogo e nell'ora in cui si era proposto di ucciderlo. Comunque, Faliero vedeva chiaramente la situazione. Il suo alibi era la sua condanna. Similmente, lo spavento sopraffaceva la sua ragione. Adesso era veramente la spoglia di Sandrino riversa sul tavolo, la testa tra le mani, posseduta da una sensazione anch'essa nuova, umiliante ed imperiosa insieme il bisogno di sfogarsi nel pianto. Ma invano. Il groppo che gli chiudeva la gola e gli impediva di riflettere, di parlare perfino, invece di sciogliersi, si ispessiva come se le lacrime ch'egli sollecitava con tutte le sue forze, si solidificassero fino a diventare pietra dentro il suo petto. Vi fu un lungo silenzio, durante il quale Faliero lasciò che Sandrino si dibattesse da solo in quella crisi che gli poteva essere salutare, tacitamente augurandogli di pervenire al limite massimo dell'angoscia, di avvilirsi e di disperare nella misura piú profonda che la sua coscienza gli poteva consentire. Finché Sandrino rialzò la testa e con la voce spenta, le braccia abbandonate, gli chiese: « Che devo fare? ». «Accorgerti di quello che stai soffrendo», gli disse Faliero. « Il resto sono fesserie. Ho seguito i giornali. Non è te che cercano, naturalmente, ma un uomo sui trent'anni di cui la Polizia possiede nome, cognome e connotati. I tuoi excamerati hanno confessato tutto quello che c'era da confessare. Il tuo nome non è venuto fuori nemmeno indirettamente, altrimenti la Polizia si sarebbe fatta viva... Tuttavia, ora, fuggendo dal caffè, tu hai destato dei sospetti. È necessario ti presenti... Ti accompagnerò... Tu dimostrerai la tua buona fede e, giovane come sei, sarà facile darti atto del momento di panico che ti ha preso, dopo le parole del cameriere». Lo guardò negli occhi, dentro quei suoi occhi celesti che tornavano ad illuminarsi, umili come non mai, fanciulleschi, gli disse: «Proprio questa volta che non hai nulla da rimproverarti, ti spaventi?». Sandrino ebbe un sorriso amaro, un abbandono, disse: «Forse proprio per questo». E inconsciamente aggiunse: «Io ho bisogno di inventare per credere in quello che dico». Faliero scosse mestamente la testa, anch'egli con un eguale sorriso: «Be', in qualcosa dovrai mentire. Per non complicare le cose, credo sia bene tu non accenni al tuo viaggio a Milano. Ma a me devi dirlo, e subito, cosa ti ha condotto a Milano, e perché ci sei restato tre settimane ». Le parole di Faliero lo resuscitavano; Sandrino richiamava in vita se stesso. Cercò una frase che eludesse la domanda di Faliero e gli desse il tempo di riflettere qual era la risposta che piú gli conveniva. «Qualunque sia stato il mio scopo? ». «Certamente ». E Sandrino, già del tutto lui, ora che la sua mente tornava a servirlo (ma soprattutto perché temeva che la verità potesse irritare Faliero e limitare l'intenzione ch'egli aveva di aiutarlo), disse: « È stato per una donna ». «Chi é? Dove l'hai conosciuta?». «È una puttana. Ma mi piace. È l'unica donna che mi sa capire, tu intendi cosa voglio dire. Si chiama Kati. L'ho conosciuta quando ero nei marò. A quell'epoca, era l'amante di un tedesco. Mi aveva lasciato il suo indirizzo di Milano. Non ho saputo resistere ». « E ti ha finito trecentomila lire in quindici giorni? ». « Ci siamo dati alla pazza gioia. Le ho regalato una pelliccia. Me ne pento, ma è stato piú forte di me ». «Non te ne penti affatto... Come hai detto che si chiama? Kati è un nome d'arte, quello vero dico, non lo sai?». «Kati sta per Caterina. Si chiama proprio Caterina. Caterina Serpieri». «Non è piú col tedesco?». « Come vuoi sia ancora col tedesco... No, è libera. Batte i caffè ». «E dove abita? ». «Perché mi interroghi? Non mi credi? ». « Sí e no... Ma soprattutto se è no, rispondermi ti servirà di allenamento, qualora ti trovassi costretto a dire alla Polizia di essere stato a Milano». Alla Polizia, poche ore dopo, già rinfrancato qual era, Sandrino disse invece di non essersi mai mosso dalla città, e che tutti loro, della banda dell'autostrada, erano semplici conoscenze di caffè, di tavolo di ramino. L'interrogatorio fu minuzioso, ma facile facile per Sandrino siccome colui che la Polizia ricercava, l'ultimo componente della banda, era stato arrestato quella mattina stessa. Persuase la Polizia il fatto che Sandrino si fosse immediatamente presentato, giustificando la sua fuga dal caffè col panico che lo aveva assalito di venire linciato, dopo la rivelazione del cameriere. «L'hai scampata bella, giovanotto », gli disse il commissario stringendogli la mano. «D'ora in avanti, se non puoi farne a meno, di giocare, stai attento con chi giochi». Egli spalancò i suoi occhi celesti: «Non si facevano mai piatti superiori a cento-lire ». E lungo la strada per tornare a casa, sulla neve che era già alta e continuava a fioccare, a Faliero che lo aveva atteso, Sandrino disse: «Ne parlerò io a mia madre, di Virginia e di tutto. Concedimi due giorni di tempo. Stasera non ne ho la forza. Casco dalla stanchezza, dopo quanto ho passato nelle ultime quarantotto ore ». Faliero lo guidò in un bar e gli offerse l'aperitivo. «Guardami, Sandrino», gli disse. «Non parlarne ancora a tua madre. Ti do non due giorni, ma quattro, una settimana perché tu mediti appunto su quanto ti è capitato in queste ultime ore. Dovrai essere tu stesso a dirmi cosa intendi fare di te stesso. Nessun riformatorio ti potrà mai riformare come potrebbero farlo, se tu volessi, l'affetto di tua madre e l'amicizia di veri amici». « Ti dovrei abbracciare ». «Aspetta. Non sono disposto io ancora ». Piú oltre, usciti dal bar: « Che ne pensi, Faliero, del Torino? ». «Avevo o no ragione? Nel calcio l'avvenire è delle squadre che giocano col nuovo sistema». «Eppure il Modena gioca col metodo, all'antica, ed è lo stesso una bella squadra ». «Squadra di scarponi». « Di mastini». «Ora, appena arrivati a casa, leggerai cosa ne dice la Gazzetta». Il giornale sportivo scriveva che il Modena era una bella squadra, ma dall'avvenire incerto, e Sandrino era troppo sfinito per contraddire gli argomenti di Faliero. Si coricò pregando la madre di rimandare all'indomani la sua curiosità di apprendere fino a che punto era riuscito a concludere gli affari. (Siccome i giornali ne avrebbero sicuramente parlato, era stato necessario dirle subito dell'incidente e dell'interrogatorio alla Polizia; e malgrado le si fosse detto il minimo indispensabile, e Faliero fosse intervenuto a persuaderla, calmarla della sua apprensione era stato lungo e sfibrante. Lucia vegliò la notte intera sul figlio addormentato. All'alba si alzò, preparò il caffè d'orzo, destò Sandrino e porgendogli la tazzina, lo costrinse ad ascoltarla. Gli disse: «Ora che hai dormito, dimmi del tuo viaggio». Aveva il viso affaticato per la veglia e per l'ansia che l'opprimeva. Il suo sguardo era dolce e smarrito, atteggiato a una severità dolorosa a sostenere. Poggiava una mano sulle coperte del letto, sopra una coscia di Sandrino, e teneramente gliela stringeva. Gli mise il proprio scialle sulle spalle, siccome egli si era sollevato e sorbiva il caffè, con una pausa tra un sorso e l'altro. Era, agli occhi della madre, un angiolo biondo che sorrideva. «Dunque, mammina. Milano è una città molto grande e molto bella, cosí grande che tu non hai l'idea, dieci volte la nostra. Ci sono delle chiese meravigliose. Il Duomo è altissimo, con in cima una Madonnina tutta d'oro». «Lo so, e la conosco, in cartolina». «Ma a vederla è un'altra cosa... Come la galleria, non ci si immagina la gente che ci può entrare. I caffè poi... A Milano c'è un caffè o un bar ogni due passi. Fanno già la cioccolata buona come prima della guerra... La periferia, poi, non è come da noi, un prolungamento della città... Là sono tanti paesi a sé. Ci si arriva coi tram che hanno i velluti rossi sui sedili». La madre lo interruppe: « E i tuoi affari? ». «Per il momento ho combinato poco o nulla. Ma ho gettato le basi... ». « Gli incarichi che ti aveva affidato il tuo padrone, quelli, li hai conclusi? ». «Quelli, sí. Flammarione mi dovrà essere grato. Anzi, se non è tirchio, dovrebbe darmi la percentuale. Conto su questo per cominciare a trattare in proprio... Tutto sta nel muovere il primo passo». La madre lo interruppe di nuovo, seccamente questa volta. «Non dirmi di piú». La camera era in penombra, rischiarata dalla poca luce che proveniva dalle persiane accostate. Lucia dava le spalle alla finestra per cui Sandrino non poteva vederla in viso. Le parlava persuaso della sua credulità, meditando ciò che avrebbe fatto appena essa se ne fosse uscita. Le parole che essa pronunciò lo colsero di sorpresa. Lucia disse: «Anche qui da noi ci sono i tram. Senza velluti rossi, ma ci sono. La sera quando mi sento piú stanca del solito prendo il 19 per tornare a casa ». « Be'», egli disse. «Cosa c'entra, mammina? ». « Ieri sera ero ansiosa di rivederti, ed ho preso il tram. Ci ho incontrato Flammarione e sua moglie. Dimmi tu adesso, cosa devo pensare? ». Egli posò la tazzina sul comodino, poi disse: «E stanotte, scommetto, non hai chiuso occhio». Ella gli prese le mani tra le sue. «È la prima volta che mi hai detto una bugia. Perché? Dove hai preso il salario delle ultime settimane, e i soldi per il viaggio, per trattenerti tanti giorni lontano da casa? Non ho dormito, stanotte, è vero. Ed anche ora sono cosí stordita che non ti so nemmeno rimproverare». Gli stringeva le mani. «Dimmi tutto, bambino mio». Egli le buttò le braccia al collo, l'abbracciò stretta, la baciò sulle guance. Era sincero quando le disse: «Non piangere, mamma. Se tu piangi, impazzisco ». Era sincero e sgomento al pari della madre, forse sul punto di confidarsi a lei: era un ragazzo che per farsi perdonare dalla madre le rivela interamente le sue marachelle, anche quelle che la madre ignora, affinché essa torni a credergli e, consolandosi della sua sincerità, a propria volta lo istruisca e consoli. Fu un attimo, tuttavia, un barlume che mise a nudo la sua coscienza (come la sera prima dinanzi a Faliero). per farla subito dopo nuovamente arretrare nel suo limbo di oscurità e di finzione. E inconsciamente, fu Lucia medesima, col suo affetto cieco e pietoso di madre, a lasciare una volta ancora Sandrino solo a se stesso, proprio nell'istante in cui il figlio le era vicino come non mai, ed essa a lui, desiderosa di aiutarlo, di distruggersi per il suo bene. Confusa dalle sue carezze, Lucia gli suggerí la giustificazione che desiderava di sentirgli ripetere. Gli disse: «La colpa è tutta mia. Mi lamento troppo spesso della vita che faccio. Ti induco a commettere delle sciocchezze... ». «Avevo messo insieme dei risparmi, con delle gratifiche che ti avevo nascosto, ecco tutto», egli disse. «Pensavo di emanciparmi comperando della merce per conto mio e rivendendola. Invece i soldi mi sono bastati appena per il viaggio... Troverò un altro impiego, migliore di quello che avevo da Flammarione ». « Era come pensavo... Vorresti che io non andassi piú a lavorare... L'hai fatto per me». Singhiozzava, ed egli dovette calmarla, coi suoi baci e le sue carezze. Le promise, com'essa gli chiedeva, che non si sarebbe piú lasciato tentare da quell'idea, «almeno fino a quando non fosse nell'età della ragione». Glielo giurò davanti alla fotografia del padre. Poi Lucia disse: «Non è necessario che tu cerchi un nuovo impiego. Flammarione è pronto a riprenderti oggi stesso... Ho retto la parte. Forse lui non si è nemmeno accorto che io non sapevo». Egli tornò ad abbracciarla. Rincalzandogli le coperte, ella disse: « Sulla sedia c'è la biancheria pulita. Nella dispensa, in cucina, troverai la colazione. Riposati fino a tardi. Nel pomeriggio vai al cinema, ti ho messo cinquanta lire nella tasca dei calzoni, ma telefonami appena esci. Ed in serata passa dal negozio, Flammarione ti dirà di rientrare in servizio domattina... E non lo chiamare Flammarione... Sii cortese, sii umile, sappi fare». Sandrino la rassicurò, quindi le chiese se continuava a nevicare. «No», ella disse. «C'è il sole. E io sono in ritardo. Bruna e Faliero se ne sono andati già da un'ora ». Si affacciò nuovamente dalla soglia per dirgli. «Tu non sai nulla di Virginia... Stasera ne parliamo». Uscita la madre egli si alzò, rimase a lungo dietro i vetri della finestra del corridoio, finché dietro i vetri della finestra dirimpetto apparve Elena. Si intesero a cenni. Dapprima ella sembrò recalcitrante, poi accondiscese a trovarsi di lí a poco davanti al semaforo del giorno prima. Sandrino la precedé. Gli restavano quattro sigarette del pacchetto involato al cameriere. Ne fumò due nell'attesa. XVII Ella giunse, con indosso il suo cappotto rosso, e i capelli tutti raccolti dentro una sciarpa celeste, girata a turbante sulla fronte e dietro la nuca. Infilata alla spalla, e pendula sul fianco, aveva una borsa di pelle, dello stesso colore dei guanti e del turbante. Cosí acconciata, sembrava stranamente piú alta, « piú seducente » com'egli si disse nel vederla. « Ti ho fatto aspettare? ». «Non importa ». «È già qualcosa». «Cosa? ». « Che tu dica: non importa. Per essere perfetto avresti dovuto dire: aspettare? Macché». «Dove andiamo?». «Devi saperlo tu. Sei tu che mi hai invitato,». « Passeggiamo? ». «Purché si resti nelle strade dove la neve è già spalata ». «Ti spaventa camminare sulla neve? ». «Sí, quando non si tratta di sciare ». « Sei tennista, sciatrice... Che altro sport sai fare? ». «Nuoto, pallacanestro ... ». «Sai andare in bicicletta». «Eh, già». «Guidare l'automobile». «Ma è naturale». «Waterpolo, forse no». «Direi di sí». « Immaginiamoci cavalcare ». «Figurarsi». « E cuocere due uova? ». «Diplomata». «Sollevamento pesi?». « Be', ora cominci ad esagerare ». Rise ed egli la prese per la mano. Camminavano dove la neve era spalata, allontanandosi dal centro tuttavia. Egli la guidava, ma a caso per lui stesso, dove i passi lo portavano, contento di starle vicino, di tenerla per la mano, compiaciuto che ella fosse risentita e puerile come si dimostrava. E che lo guardasse, quando lui la guardava, con quei suoi occhi grandi e furbi che volevano apparirgli diffidenti ed erano pieni di allegria. «Sei elegante», le disse. « Volevi farmi un complimento? Allora non si dice: sei elegante. Una donna è elegante di per sé. Si dice: grazioso cotesto turbante. Oppure è per il cappotto? ». « Anche per il cappotto, per tutto». «Allora si dice: sei... ». « Sei? ». «A seconda di cosa intendevi dire ». Si erano fermati, stavano l'uno di fronte all'altra, si sorridevano con gli occhi. «Sentiamo», ella ripeté. «Cosa intendevi dire? ». «Che mi piaci». « Be', dillo». «Mi piaci ». «Va bene. E poi? ». « Ora sta a te... Io ti piaccio? ». «Cosí e cosí... Meno di quando ancora non ti avevo parlato, piú di dopo averti parlato la prima volta ». « Non ancora abbastanza, in poche parole... Quel " cretina" ti sta ancora in gola». «Devo ancora persuadermi che ti derivasse dal non aver dormito. Ed anche in questo caso non si spiegherebbe... C'è, sí, il fatto che non mi serbi rancore per averti lasciato ieri sera sotto la neve... ». «Ah, ah», egli esclamò. «Ti aspettai esattamente un'ora e dieci. Ero diventato una statua di neve... ». «Dico, non vorrai mica che entriamo nel giardino? Affonderemmo a mezza gamba, non lo vedi?». Erano davanti al cancello del giardino, dove egli aveva giocato durante l'infanzia, dove era accaduto l'episodio con Bruna, dove Virginia gli portava la colazione, appena un mese prima. Si sorprese di ritrovarvisi di fronte, che l'istinto ve lo avesse guidato. I ricordi, subitamente ridestati, lo turbarono. Il suo volto si oscurò. La sua mano strinse quella della fanciulla, forte da schiacciarle le dita. Tuttavia ella non gridò, le bastò guardarlo per intuire ch'era a se stesso ch'egli usava violenza, non a lei. A lei, anzi, sembrava richiedere un tacito aiuto. Ella capí di non doverlo interrogare. La simpatia tutta naturale che l'aveva indotta a curiosare su quel ragazzo sconosciuto, occhieggiando dalla propria verso la sua finestra, ed il vago desiderio di conoscerlo che le circostanze le avevano favorito, diventarono da quell'istante per Elena una certezza affettiva, che la turbò a sua volta ma che la dispose ad abbandonare il suo atteggiamento scherzoso per rivolgersi a Sandrino con altro animo ed una piú intensa partecipazione. Gli disse: «Mi fai quasi male, te ne accorgi? », e la sua voce fu dolce, come comprensiva dello stato d'animo di Sandrino. Egli allentò la stretta, ma non le lasciò la mano. La ricondusse indietro, verso il fiume lí vicino. Le disse: «Qui gli spalatori non sono arrivati. Non mi rimproveri di farti camminare sulla neve? ». «Ora no», ella disse. «Ora stiamo diventando amici ». «Non volevo portarti nel giardino. Non so nemmeno io perché mi ci sono diretto». Cercava di dare una spiegazione a se stesso, parlandole. Credette di avere trovato la ragione e gliela disse. Le disse: « Forse è proprio per via della neve. È insolito che ne cada tanta qui da noi, non è vero? Non siamo abituati ». Ella lo incoraggiò: «Vuoi dire che la neve cambia le prospettive? Che non si riconoscono piú le strade? È cosí. Sono tornata al Sestriere, l'anno scorso d'estate, dopo che c'ero andata anni fa, d'inverno, a sciare, e il paesaggio era tutto diverso. Non riuscivo ad orientarmi». Poco dopo sedevano nell'interno del Chiosco Bar, sul viale, dirimpetto al fiume, ad uno dei due soli tavolini che v'erano, in angolo, ella dava le spalle alla vetrata. «Hai detto che stiamo diventando amici. Significa che ho finito col piacerti? Ma non ho fatto nulla di straordinario, nel frattempo». « È stato il modo con cui mi hai stretto la mano». Allora, e fu inspiegabile a lui stesso, Sandrino provò come un franare improvviso dentro di sé: qualcosa che lo annichiliva e insieme lo scioglieva. Le sue guance si arrossarono. Ella gli sorrideva, i suoi occhi erano grandi, belli, tenerissimi a specchiarvisi. Ed era come se Elena sapesse tutto di lui, e lo perdonasse prima ancora di averlo giudicato, ma nello stesso tempo gli richiedesse una sincerità ch'egli non avrebbe mai dovuto tradire. Ella disse ancora: «Non mi dare spiegazioni. Immediatamente dopo ce ne potremmo pentire, tu di avermele date, io di averle ricevute. Tu sei indubbiamente un ragazzo strano ed anch'io non debbo esserti apparsa del tutto naturale. Invece credo di esserlo, come tu pure certamente lo sarai. Impariamo prima a conoscerci. Ti va? ». «Mi va», gli disse. «A patto che tu non mi lasci piú ». «È un impegno troppo grosso. Io sono abituata a mantenere quello che prometto. È l'unica dote che credo di potermi riconoscere ». «È anche la mia», egli disse. «Ossia, credevo lo fosse, fino a ieri. Quando ti ho incontrata avevo in testa un proposito. Ora sono felice di essermi mancato di parola ». Ella volle fingere di non avere udito, appunto perché Sandrino sembrava deciso a dirle ciò che ancora ella non voleva sapere, fosse piccola o grande la ragione della sua angoscia: e se era insignificante per non restarne delusa, e se era enorme per non spaventarsene. Ed a maggior ragione se era comprensibile ed umana, siccome ella aveva ancora da rispondere a se stessa, in che veste e misura sentiva di doverlo accogliere tra i suoi affetti. Gli disse: «Sai qual è la maniera piú semplice? Ripigliamo il nostro incontro al punto in cui ieri ci lasciammo. Batto io, sei d'accordo? ». Egli era ormai tutto preso di lei, umilmente, come aveva cercato di dirle dicendole di non lasciarlo piú. « Batti a rete, ti prego». «Ma certo», ella disse. Aggiunse: «Hai finito le sigarette? Ne ho io». Avevano sorbito il caffè, fumavano; rari clienti entravano ed uscivano; i due baristi s'intrattenevano con la cassiera; la radio trasmetteva dei ballabili. Al di là della vetrata, v'era un posteggio di taxi; sulla distesa di neve, nel piazzale dirimpetto al fiume, la gente sostava alla fermata del tram. Elena disse: «Non sono una ragazza misteriosa. Sai come mi chiamo e che scuola faccio. Te ne ricordi? ». «Elena Mondei, terza liceo. Liceo? ». «Già», ella disse. « Siccome ho perduto due anni, come ti dirò. Del resto, te lo immagini. Non si poteva certo andare a scuola coi tedeschi e fascisti. Io in specie, dopo che s'erano presi mio padre... ». «Era un comunista?». « No, non era nulla. Voglio dire che non apparteneva a nessun partito. Era semplicemente un uomo che amava la libertà. Era uno scrittore. Lavorava coi comunisti, tuttavia. Li riteneva quelli che facevano piú cose per ottenerla. Lo presero e non è piú tornato. Non si è piú saputo nulla di lui. Lo portarono in Germania, era con dei suoi compagni a Mauthausen, poi lo inviarono in un altro lager, chi dice a Dachau, chi a Belsen, chi altrove, ma nessuno dei reduci di questi campi, con i quali abbiamo parlato la mamma ed io, lo ha mai visto arrivare. Tutte le ricerche sono state inutili. Di sicuro si sa soltanto che partí da Mauthausen, è accertato che partí, che non fu ucciso lí, per questo mia madre lo aspetta ancora ». «Tu no? ». «No, io no», ella disse. Parlava calma, e seria, diversa dalla fanciulla che egli aveva imparato a conoscere fino ad un'ora innanzi. V'era nella compostezza della sua voce un distacco che accentuava i sentimenti che le sue parole esprimevano: una fermezza d'animo di fronte alla quale, e non soltanto per quello che essa diceva, ma appunto per come lo diceva, Sandrino si sentiva sempre piú scoperto e intimidito. «Io no», ella ripeté, «non lo aspetto piú. Nessuno di coloro che partirono con lui ha piú dato notizie. E del resto, non si torna dall'inferno, di mano ai nazi poi. Le testimonianze dei suoi compagni hanno finito per persuadermi. Mio padre era già debole di suo. Aveva fatto la fame da giovane, si era rovinato la salute a furia di privazioni; e i suoi compagni che lo videro partire dicono ch'era ridotto pelle ed ossa, che quando partí sputava sangue da piú giorni. La notte prima aveva avuto un'emottisi spaventosa, ed i suoi aguzzini furono costretti a caricarlo di peso sul camion, siccome era svenuto sotto il calcio di un fucile... L'immagine che mi son fatta è che papà sia morto lungo la strada, che abbiano scaraventato il suo corpo in un fossato. Forse qualche anima pietosa gli avrà dato sepoltura, se non altro per igiene... Non ti spaventare. Per me tutto questo è molto naturale. Papà stesso sapeva che gli sarebbe andata cosí. Me l'ha lasciato scritto». « Cosa ti ha lasciato scritto? ». « In una lettera, che riuscí a farci avere prima di essere trasportato in Germania. Era di quattro facciate, due per me e due per la mamma. Ci diceva che sicuramente non sarebbe tornato, lo sentiva. Nel carcere, per via delle percosse, gli avevano già riaperto le lesioni ai polmoni... a me diceva che era giusto che la mamma dovesse piangere e disperarsi, ma io no, non dovevo perché... Be', se veramente diventeremo amici ti farò leggere la sua lettera... Ed anche i suoi libri. Sono come lui che li ha scritti. Io ho imparato a conoscerlo veramente da poco tempo, dopo che lui è morto e rileggo le sue storie. Leggendole mi sembra di sentire la sua voce che me le legge... Era un uomo triste nel suo profondo, ma pieno di ironia ». Si arrestò per schiacciare il resto della sigaretta sul portacenere. « Perdonami», gli disse. « Ho tanto dentro al sangue mio padre che quando comincio a parlare di lui, non mi riesce staccarmene piú... Ti dovevo parlare di me, invece... ». «È di te che mi stai parlando». «In fondo, sí», ella disse. «È perché di me non ho nulla da dire. Cerco di vivere e di comportarmi come lui mi ha insegnato, e non ha fatto nulla per insegnarmelo, sai? Era soltanto un mio amico. Veniva a sciare con me, in piscina con me, al concerto con me, al cinema con me... ». « E tua madre? », le chiese Sandrino; pensava alla propria madre, al colloquio che aveva avuto con lei quel mattino medesimo. « Mia madre è buona, è debole. È una madre, tu capisci ? Per lei io non sono cresciuta. Si spaventa di tutto, di come parlo, di come penso. Ora poi, un poco mi odia perché sa che io non ho nessuna speranza che papà sia vivo... Ma anche di lei parleremo, se diventeremo amici». «Già lo siamo, no? », egli disse, e si riconobbe trepidante nel farle la domanda. «L'hai detto tu stessa ». «Non lo siamo abbastanza », ella gli rispose. Poi disse: « Io ho pochissimi amici, forse nessuno di veramente intimo. Ho delle conoscenze, dei ragazzi e delle ragazze come me, la mia amica che ti parlò ieri al telefono, per esempio, con i quali scherzo, ballo, studio, faccio i pettegolezzi, ci scambiamo le idee, facciamo gli scemi e le persone serie a seconda delle circostanze, ma dentro, dentro è diverso. Ci sono dei tasti che toccati una volta per conoscersi quali siamo, non si toccano piú, non si va a fondo. Si resta amici, ma si sa che certi argomenti non si debbono piú toccare. Ci si sopporta e stima a vicenda. Papà diceva: ci si aiuta a vivere. Guai se cosí non fosse. Ma l'amicizia, diceva papà, l'amicizia vera è un sentimento forte. È un volersi bene spietato, un guardarsi continuamente negli occhi, lui diceva. L'amore poi... ». E fu la sua volta di arrossire, di persuadersi che stava innamorandosi di quello strano ragazzo, che non sapeva ancora chi fosse, e che forse aveva qualcosa di oscuro che l'opprimeva. Allora provò il desiderio di conoscere ciò che l'opprimeva, di sapere di lui tutto ciò ch'egli avesse voluto dirle. Tacque un istante, offerse a Sandrino e a se stessa una seconda sigaretta, disse: « Be', credo di aver vuotato il sacco per ora... Vuoi l'età? Diciotto, circa... Trovi forse che non sono alta abbastanza per la mia età, sii sincero». «Io ho gli stessi anni tuoi, e al contrario sono forse cresciuto troppo, che ne dici? ». «Dipende. Non è la statura che conta. Oddio, conta anche quella, eccome... Del resto, anche tua madre è alta quanto e piú di te... La vedevo spesso alla finestra, fino a qualche tempo fa. Dev'essere un po' scorbutica, o mi sbaglio? Tutte le volte che accennavo un saluto, si ritirava. Ora non la vedo da diversi giorni... Sai, nella stanza che dà sulla tua strada, c'è lo studio di papà. C'è anche il piano, e io ci passo quasi tutte le ore che sto in casa... Non mi dire che tua madre non s'è accorta della mia attenzione. Le madri sono tremende, hanno un sesto senso, in questi casi... Un giorno mi parve ti baciasse apposta, per farmi credere, che so, che invece di tua madre fosse la tua amante ». Egli meditò prima di risponderle. Ciò che Elena gli aveva raccontato di sé, la franchezza con cui gli aveva parlato, le proprie idee e convinzioni a cui essa aveva alluso, avevano finito di turbarlo. Ella gli sollecitava una sincerità alla quale Sandrino sentiva di aderire, ormai, compiutamente, ma che tuttavia per un momento pensò di rifiutarle. Fu una lotta rapida e crudele (stringeva il pugno sotto il tavolo, le unghie dentro il palmo contratto) che Sandrino sostenne contro la propria natura abituata al calcolo, alla finzione, e immediatamente risoltasi a favore dei sentimenti nuovi, inesplicabili eppur graditi, che Elena gli andava ispirando. Egli decise di ricambiare con pari lealtà il suo dono d'amicizia. Piú esattamente, egli credeva di poter placare il tumulto che lo agitava, soltanto contrapponendo la propria verità alla verità che Elena gli aveva rivelato. Erano due verità che assomigliandosi forse si completavano. Di certo, egli era suggestionato dalla presenza fisica della fanciulla piú che dal suo eloquio. Intuiva tuttavia di doversi portare sul suo stesso piano per conquistarla. Non calcolò la reazione che le proprie parole le potevano suscitare. Questi sentimenti erano in lui tanto assillanti quanto imprecisi. Egli non aveva ancora formulato un giudizio su se stesso, comunque adesso se non era il rimorso, non era piú nemmeno l'orgoglio di ciò che aveva compiuto a determinare il suo stato d'animo. Ascoltò unicamente il proprio istinto, il quale gli istigava un desiderio veemente, morboso, di raccontare ad Elena per intero le proprie gesta recenti e remote. Ella ripeté: «Scusami, ma ebbi questa esatta impressione: che essa volesse farmi credere che tu le fossi qualcosa di diverso da un figlio». «Infatti», egli disse. «Non era mia madre, era la mia amante. Ma adesso non lo è piú. È partita... ». Elena abbassò lo sguardo un istante, quindi tornò a sorridergli. «Ne ero convinta... Eri tu che la baciavi come un forsennato, non lei ». «Ti ripeto», egli la interruppe. «Non so piú nemmeno dove si trovi... Non mi importa piú nulla di lei... Mi credi? ». «Perché non dovrei crederti, se tu lo dici? ». Ritti al banco, due tranvieri bevevano la grappa; un ragazzostrillone entrò per consegnare alla cassiera il giornale del mezzogiorno; la radio, attutita, trasmetteva implacabile la sua musica leggera. Al tavolo dirimpetto, il solo oltre a quello dove sedevano Elena e Sandrino, uno dei baristi ordinava in tanti mucchietti i denari delle mance. Essi erano isolati nel loro angolo, ella con le spalle contro la vetrata, al di là della quale, parlandole, egli vedeva la distesa di neve, le case lunghe in fila, interrotte dalle macerie, i taxisti immobili al volante, il rado via vai delle auto e dei pedoni, i tram che prendevano e lasciavano alla fermata il loro carico di passeggeri. Egli disse, e fu l'ultima considerazione che si concesse: «Dallo scherzo siamo passati alle cose serie ». «Se dobbiamo diventare amici», ella commentò. «Ed è strano che io abbia detto che lo siamo già », riprese Sandrino. « Ossia, non è strano affatto, perché sento di essere già tuo amico. In tutti i sensi. Mi sembra come se fossimo già stati a letto insieme ». Ella trattenne il fumo che stava aspirando, s'imporporò alle guance. Gli rispose: «Galoppi con la fantasia... Comunque, perché ti sembra strano? ». «Perché tu mi hai detto chi sei, e suppergiú come la pensi... Voglio dire che appartieni alla democrazia... Io invece sono un fascista ». La guardò. Vide che anche adesso, come poco prima, ella non reagí, se non socchiudendo un attimo gli occhi, quasi si sforzasse di individuare qualcosa che le appariva in lontananza. Ma subito dopo la sua voce rivelò la sua sorpresa, ch'ella cercò di mascherare in tono d'indifferenza, appena un poco ironico. «Ah, interessante », ella disse. « Sei stato fascista fino a quando? ». «Sempre, e lo sono ancora. Ora forse piú di prima ». « Incredibile», ella esclamò. « È la prima volta che il mio istinto mi ha tradito». « Perché sei una ragazza per bene, evidentemente. E non hai esperienza. Giorni fa, una donna da marciapiede capí subito che ero un exmarò». «Anche exmarò », ella ripeté. Aveva appoggiato il gomito al tavolino e il mento sulla palma della mano. «Ed ora piú di prima», commentò, con le sue parole. Poi gli chiese: «Non stai fingendo, per caso? Mica sarà un modo tutto tuo speciale di fare la corte? Saresti stupido». «È la verità », egli disse. « Mio padre era diverso dal tuo. Commercialista invece che scrittore. Seniore della Milizia fascista. È morto in Africa, nel '36. E non stato mai mio amico perché io sí e no l'ho conosciuto. Non porto nemmeno il suo nome, ma è come se lo portassi due volte al posto d'una. L'ho nel sangue come tu hai il tuo ». Parlando scopriva di chiarire sé a se stesso, accentuava via via la brutalità del proprio linguaggio persuaso, in tal modo, di avvicinarsi sempre piú ad Elena. Egli agiva come se il loro amore, cosí come gli sembrava fosse sbocciato, dovesse rapidamente fiorire e consolidarsi attraverso la provocazione. Ella lo ascoltava senza piú dubitare della sua sincerità, allarmata ma quasi piú di prima, seppure già diversamente, attratta verso Sandrino, per conoscerlo e capirlo e dare una ragione alla simpatia ch'egli le aveva suscitato e che non era ormai piú soltanto quella determinata dalla sua bellezza. Egli disse: «Ecco, ora comprendo perché ci siamo incontrati. Perché abbiamo un destino in comune». «Un momento», ella intervenne. «Mi pare che i nostri destini siano talmente comuni da stare ai poli opposti... La tua storia puoi finirla lí... So che tu non eri tra coloro che vennero a prendersi mio padre, ma è come se tu ci fossi stato... Ma c'è un'ultima domanda alla quale ti prego di rispondermi... Perdonami», aggiunse, con un sorriso di amara ironia « sono cosí fatta. Non riesco a realizzare un pensiero se non ho chiaro il punto di partenza... Si tratta di questo: poco fa dicevi sul serio quando dicevi che io ti piacevo? Bene. In questo caso, tu stai sempre cercando di riuscirmi simpatico, non è cosí? È cosí. E allora: come speri di riuscirmi simpatico dicendomi ciò che mi dici?». La domanda sorprese Sandrino, gli sembrò ovvia al punto da temere di non averla capita. « Ripeti, per favore», le disse. «Voglio dire, se intendi entrare nelle mie grazie, perché ti riveli immediatamente per quello che sei? ». « Ma perché tu sei stata sincera, e mi hai richiesto di esserlo a mia volta ». «D'accordo, ma tu sapevi che essendo sincero non potevi procurarmi altro che ripugnanza. Quindi non è vero che mi volevi, diciamo cosí, conquistare. Al contrario: quando hai saputo chi sono e cosa penso, io pure ti ho destato ripugnanza, e ti sei accinto a dimostrarmelo... Non ce n'è bisogno, l'ho già capito... Questa è la verità. Ora, dimmi che questa è la verità, dopo di che... ». Fece per alzarsi, ma Sandrino la fermò premendole la mano sul braccio. Con un tono basso della voce, ma violento e nello stesso tempo smarrito, che riaccese l'interesse della ragazza, egli disse: «Mi vuoi far pentire di non aver barato? Una delle rare volte, nella mia vita... ». «Ma cosa ti proponi? », ella insisté, ed ebbe un accento d'impazienza. «È questo che non capisco». Si era ricomposta sulla sedia e lo guardava, come per richiedere al suo viso, ch'era bello e le piaceva, ancora malgrado tutto le piaceva, ciò che le sue parole non riuscivano a dirle. «Io non ti ho promesso nulla prima, ed ora poi... » gli disse. «Nemmeno se tu mi dicessi che hai scherzato. Non ci crederei, ed anche se fosse, ti saprei troppo stupido... No, stupido non sei... Troppo di cattivo gusto, per potermi innamorare... Non ho det- to innamorare, volevo dire... Be', hai perduto la parola? Vuoi fumare ancora? Tieni... Se volevi mettermi in imbarazzo, ecco, ci sei riuscito. E con questo? ». Egli depose la propria mano sulla sua appoggiata sul tavolo. Le disse: «Con questo è che ti voglio bene, in un modo che non ho mai provato prima d'ora... Cosa significa che abbiamo idee contrarie? Io credevo di non dover rinunziare alle mie per tutto l'oro del mondo, eppure parlando con te mi sembra di parlarne come delle idee di un altro... Ora desidero soltanto che tu mi voglia bene... Mi sembra di stare in ginocchio, e non ci sono abituato», aggiunse. Poi disse: «Vedi, ieri ho conosciuto per la prima volta cosa voglia dire aver paura. Mi avevano scambiato per un assassino e mi rincorrevano. Mi fermai perché sentivo che le gambe non mi avrebbero portato nemmeno per altri dieci metri, e il fatto di essermi fermato mi salvò. Forse mi salvò addirittura la vita... Ora, se penso di non poter riuscire a farmi voler bene da te, provo la stessa paura di ieri. Doppia, tripla... In questi ultimi giorni mi sono successe un'infinità di cose, e una si è sovrammessa all'altra da togliermi la ragione. Non so piú né quello che faccio né quello che dico. Ed ho paura, è cosí, ho paura ». Ella si liberò della sua mano, per cercare nuovamente i fiammiferi nella borsetta, e perché il contatto, adesso, la turbava. E non, com'essa avrebbe desiderato, per un senso di repugnanza verso Sandrino. Accendendogli la sigaretta, gli disse: «Finirai col mettere paura tu a me. Mi accenni via via a cose sempre piú, come ti devo dire? inconsuete, sí, spaventose, e le lasci a metà... Come se io sapessi già tutto di te. Nello stesso tempo ho l'impressione che tu stesso veramente non sappia piú dare un corso logico ai tuoi pensieri... Sembra tu cerchi proprio me per confidarti di qualcosa che ti opprime, una persona che conosci appena... Alla quale pretendi di stare facendo la corte, come se non avessi nessun altro che ti possa aiutare». «Infatti», egli disse, e tornò a prenderle la mano. «Non ho nessuno. Nessuno. Ho mia madre, ma è pressappoco come la tua. Mi perdonerebbe tutto, anche il peggiore delitto. Ma non mi direbbe mai una parola che io non sapessi in anticipo che me la direbbe, nulla di nuovo che mi aprisse il cervello come oggi ho bisogno di sentirmi aprire, e da me solo non ci riesco... Ci sono sempre riuscito, ora no... Se ne parlassi a mia madre finirebbe o addirittura comincerebbe col mettersi a piangere... E allora? Anzi, e con questo? come dici tu. Rimarrei solo piú di prima ». Tacque e la fissò negli occhi. Si guardarono a lungo, in silenzio, la mano nella mano. Forse soltanto allora s'incontrarono. XVIII Nevicava da tre giorni e tre notti, quasi ininterrottamente, sulla città e sulle sue macerie. I tram avevano smesso di circolare, gruppi di sciatori percorrevano i viali e la bassa collina. Un giornale scriveva: « Per i poveri e gli sventurati, la guerra continua ». Nella terrazza, la neve aveva sommerso la stia. La donna del piano sottostante si era presa la gallina superstite: l'altra, quella a cui Sandrino aveva imposto il nome della moglie di Flammarione, era stata uccisa dal gelo. A Sandrino invece, come per il passato, e come lui stesso aveva detto a Virginia, la neve gli dava calore. Certamente egli non ricordava le parole scambiate con l'amante la notte di fine d'anno. Anche l'immagine di Virginia era sfuocata nella sua memoria, simile ai richiami della strada che giungevano al suo orecchio attutiti dalla neve. Dopo la notte sul Capodanno si erano avute giornate miti, col sole, poi era tornato il vento, il cielo grigio e basso sulle case, e quindi ancora la neve, questa incredibile neve di marzo sulla città, che non era piú quella di tre mesi prima. Aveva un diverso calore. Qualcosa era accaduto che aveva scosso la sua volontà e umiliato il suo istinto, determinandogli dei sentimenti comunque nuovi. La paura dapprima, e poi l'amore. Ora, a questa paura ed a questo amore, egli cercava di dare una ragione, riflettendo sulle circostanze e intrattenendosi con Elena al tavolo del Chiosco Bar ove da piú giorni tornavano mattino e sera. (Ella marinava la scuola; egli aveva ottenuto da Flammarione di riprendere il lavoro con l'inizio della settimana ventura). Sandrino era ormai persuaso che il suo amore per Elena doveva identificarsi con lo spavento per il proprio passato: l'amore sarebbe diventato vero amore soltanto allorché egli fosse riuscito a seppellire il proprio passato «moralmente, nella tua coscienza », come Elena gli diceva. Elena era adesso la sola cosa al mondo ch'egli desiderasse, non sussisteva altro di piú importante e immediato. E se per ottenerla gli occorreva di sacrificare ciò che aveva di piú prezioso, egli lo avrebbe sacrificato. La presenza di Elena operava quindi, per il momento, soltanto alla superficie della sua coscienza, i suoi propositi erano tuttora egoistici, animosi, senonché per la prima volta, ne fosse o no persuaso, era contro se stesso che Sandrino li dirigeva. Accanto ad Elena egli si sentiva invadere da una dolcezza ed una trepidazione nuove, simili a quelle provate per la madre e tuttavia diverse, che insieme alla sua ragione turbavano i suoi sensi. Mentre con la madre gli era impossibile avviare un colloquio, parlando ad Elena gli venivano alle labbra parole che lo inducevano a interpretazioni inedite, della realtà, che illuminavano inaspettatamente degli episodi su cui egli aveva creduto di essersi dato da tempo un giudizio definitivo. Egli si spiegava a se stesso, cominciava a dubitare di se stesso. Dinanzi allo sconforto della madre, insofferente del suo pianto, Sandrino le aveva detto che le sue lacrime avrebbero finito col farlo impazzire; ora capiva che ciò sarebbe realmente avvenuto qualora Elena lo avesse abbandonato. Glielo ripeté, le disse: «Tu insisti perché io regoli i conti con la mia coscienza. Invece, in certi momenti, a me sembra di averli da regolare soltanto con te. Voglio dire, che dipende da te, da quel tuo sí o no che non ti decidi a pronunciare, se riuscirò a capire qualcosa in quello che mi sta succedendo... Stanotte», le disse, «ho fatto un sogno. Mi vedevo che ero sonnambulo e camminavo sull'orlo della terrazza, col vuoto sotto. Tu mi accompagnavi a un passo di distanza, ma di dentro la terrazza. Io barcollavo, ero sul punto di cadere a capofitto sulla strada... Allora mi sono destato. Ecco perché sta a te: puoi darmi una spinta o trattenermi per il pigiama ». «Non credi lo stia già facendo? », ella gli chiese. « Il fatto stesso che continuo ad ascoltarti, non ti basta? Tuttavia non voglio, come devo dire? non voglio toccarti. Non voglio correre il rischio di precipitare assieme a te ». Erano al loro tavolinetto d'angolo, era pomeriggio inoltrato, il bar acceso di tutte le sue luci, col suo via vai di gente, di sportivi che alzavano la voce, e al di là dei vetri la neve che cadeva lenta e rada. Ella disse: «Tu ripeti spesso "parliamoci chiaro", soprattutto nei momenti in cui vuoi farmi l'impressione di essere persuaso di quello che dici. Ebbene, è proprio allora che dici le cose piú confuse, e ti rimangi tutto quello che di sensato ti era uscito di bocca fino ad allora... Poiché è cosí: sembra che le parole ti escano di bocca senza che tu le accompagni col pensiero... Papà diceva che questo è tipico degli irresponsabili... L'ha scritto in un suo libro, a proposito di una donna dominata dagli istinti. Tutto quello che le sue emozioni la portavano a fare, le sue parole erano lí pronte a giustificarlo. Le sue riflessioni, che essa credeva avvenissero sempre un istante prima dei fatti, accadevano in realtà sempre un istante dopo... Cotesta donna non aveva mai il tempo di vivere con se stessa, era sempre fuori di sé, specie quando era piú sola e credeva di riflettere... Ma ora sto facendo delle citazioni», ella commentò, e sorrise. «È un personaggio che si chiama Nora. Forse tu sei uguale a lei. Fai il male senza rendertene conto. Come papà ha scritto di Nora, tu pure bruci tutto e non ti accorgi di dar fuoco a te stesso. È il tuo fascismo, io credo», ella concluse. « Cosa te lo fa pensare? », egli le chiese. E senza aspettare la sua risposta, aggiunse: « Forse è vero che brucio soltanto me stesso, ma sono sempre stati gli altri a darmi fuoco... Soltanto ora me ne convinco: non ho mai portato in fondo nulla di quanto mi sono via via proposto. Ed ho sempre pagato per cento volte di piú di quello che avevo avuto intenzione di fare... ». «Ecco», ella lo interruppe. «Ascolta ciò che stai dicendo. Ti consideri tu la vittima... Arriverai a credere di non essere stato nemmeno marò ». «Sono stato marò, ma non ho mai ammazzato nessuno... Alla vigilia di cominciare a sparare su qualcuno mi esplose la rivoltella tra le mani e ferii me stesso... ». «Dopo di che», ella scattò, « tutte le rivoltelle e i mitra, e le bombe e i cannoni dei tedeschi e dei fascisti scoppiarono allo stesso modo... ». «Volevo dire che non sono mai stato nemmeno quello che avrei voluto essere ». Stava leggermente curvo verso di lei, teneva le mani tra le ginocchia e lo sguardo fisso sopra il tavolo. «È spaventoso», esclamò. «Davvero», ella disse. «È spaventoso», e guardava i suoi riccioli biondi che sbucavano dal basco e gli carezzavano la fronte. «Vuoi ordinare un'altra cioccolata? », gli chiese. Quindi gli disse: «Ieri sera vennero fuori parole grosse, ti ricordi? E tu mi dicesti che anche per te libertà e patria avevano lo stesso significato che gli davo io, siccome anche tuo padre, come il mio, era morto con quegli stessi ideali... Lasciai cadere il discorso per non salutarti una volta per sempre. Ora mi sento disposta a riprenderlo, ora che hai detto spaventoso». «È cosí», egli disse. «Io sono stato nei marò per difendere la patria, tutti noi fascisti, e i tedeschi, ne eravamo convinti... Va bene, a parole... ». « No, no», ella esclamò. E si aggiustò la cinghia della borsetta sulla spalla, come per raccogliersi e sentirsi tutta a proprio agio. Gli disse: « Intendo l'effetto che fanno adesso dentro di te, queste parole. I giornali che hai avuto tra le mani in questi mesi, i documentari che hai visto nei cinema, le celle di tortura, le camere a gas, possibile non ti abbiano fatto riflettere? E se non te ne senti responsabile, perché tu ignoravi tutto questo, possibile che almeno tu non ti senta tradito? E non ti sfiora il pensiero che la tua idea di libertà e di patria la difendessero proprio coloro che stavano dall'altra parte della barricata? ». Egli taceva, gli occhi sul tavolo, ed ella gli accarezzava i capelli con lo sguardo. Riprese: «Voglio portarti un esempio, che credo valga ancora di piú, appunto perché non ci tocca da vicino. È un episodio che ho appreso in questi giorni, da una rivista... C'era un paese in Cecoslovacchia, si chiamava Lidice, poche migliaia di abitanti, un borgo qualsiasi, in aperta campagna, con uomini, donne e bambini ai quali un Chiosco Bar come questo sarebbe forse sembrato la settima meraviglia della terra... Ora, in una strada molto fuori dell'abitato venne ucciso un comandante nazista. Fuori l'abitato, ti ripeto... Quelli di Lidice non c'entravano per nulla, avevano soltanto la colpa di abitare nella località piú vicina al punto in cui era avvenuto l'attentato... Sai quale fu la rappresaglia dei tedeschi? Fucilarono tutti gli uomini di Lidice, le donne e i bambini superstiti li deportarono e rasero al suolo il paese. Trasportarono, perfino le macerie, perché non rimanesse traccia che lí era esistito un paese che si chiamava Lidice, e perché non rimanesse nessun segno, fecero arare la terra e la seminarono a grano... C'era un altro paese, in Francia, si chiamava Oradour, questo era sul mare, e fu lo stesso, o quasi. Decine di altri paesi, in Russia, in Polonia, e qui, in Italia, e fu lo stesso... Ora tutto questo, lo sterminio, la crudeltà di avere pensato al resto, non ti offende? Te come individuo, te che eri dalla parte dei nazi... ». «Oh », egli disse, « che valore può avere? Se fossi stato dalla parte di coloro che rasero al suolo Hiroshima, e Colonia, e la nostra città medesima, proprio questo chiosco, che è stato rifatto di recente, se non lo sai, non dovrei essere offeso ugualmente? Ed a maggior ragione, siccome è casa mia... ». Alzò la fronte e la guardò negli occhi. La vide risentita, ostile, tuttavia con un'ombra di turbamento nelle pupille, che la intristiva. « Sei un cretino», ella esclamò. « Sono contenta di poterti restituire l'insulto che mi hai dato... Speri ti si apra la testa, mi dicesti. Ebbene, ci troverai segatura. E se ti spacchi il petto, al posto del cuore scoprirai d'avere non so che ». «Una pietra... », egli disse, sorridendo. «Nemmeno, una pietra è già qualcosa con troppo sentimento ». Subito dopo credette di avere trovato ciò che gli doveva dire. «È come ti ripetevo poco fa: non hai il minimo senso di ciò che sia verità e di ciò che sia menzogna... Non capisci che a volte è piú penoso essere giusti che ingiusti... A volte, anzi, sempre io credo». Egli le cercò la mano, ma essa la ritrasse. Le disse: «Sei tu, adesso, ingiusta... Non è vero che io non mi voglia persuadere... Nessuno mi aveva mai parlato come tu mi parli, da pari a pari... E capisco soprattutto un fatto: che sia tu che io non facciamo che ripetere cose che ci sono state insegnate. Perché non parliamo di noi soltanto? Sei tu che io voglio, cosí come sei, mi basta guardarti per sapere come sei... ». Per un attimo ella sentí come sue le parole di Sandrino. Era arrossita e dové stringere i denti per superare l'emozione. Finché riuscí a dirgli: « Il mio errore consiste nell'avere la pretesa di catechizzarti... Non c'è nessun punto su cui ci si pos- sa incontrare... Tranne che nello sport», aggiunse. Poi concluse: «È giusto quindi che non ci si debba piú rivedere ». La sua voce era ferma, come il suo sguardo, triste ma recisa. Egli si attaccò disperatamente alle sue parole, smarrito della decisione che sembrava averle determinate. Le disse: «Ora non piú. Ora vuoi essere giusta, e ne soffri... ». «E con questo? ». «Con questo è che anche tu mi ami... Ricominciamo a parlare di sport, se è su questa strada che c'incontriamo. Ti va? ». Ma venne meno egli stesso al proprio invito, siccome disse: «Anche con Faliero, hai detto che ti è simpatico dal modo come te ne ho parlato, anche con lui è discutendo di calcio che stiamo diventando amici. E appena pochi giorni fa mi proponevo di ucciderlo... Col pugnale, come ti dissi... Immagino accadrebbe lo stesso se incontrassi Luca e la sua banda... Questo sento di doverlo a te, perché da quando ti ho incontrata non ho che te in testa, mi fai sembrare ridicolo tutto il resto... Non pensi che se mi lasci, quei pensieri mi riassalirebbero tutti in una volta, potrei farmi prendere dalla disperazione». Ella gli rispose esattamente ciò che pensava, nondimeno mentre gli rispondeva le sembrò di stare esasperando il proprio pensiero, o che comunque le sue parole fossero piú forti del sentimento che in realtà provava. « Significherebbe che io non avrei contato nulla per te... Altrimenti sarebbe proprio dopo che io ti avessi lasciato che tu dovresti pensare a me piú di prima ». «Sí», egli disse, «ma non mettermi ancora alla prova... Non sono ancora in fiato, capisci? Non ho il punto di palla... Vedrai, un po' alla volta imparerò il tuo stile... ». Fu allora che tornarono a sorridersi. Uscirono, egli la teneva a braccetto, sulla neve, che era alta e rendeva faticoso e allegro il cammino. Il cielo era sgombro di nubi, apparivano timide le stelle; e l'aria era pungente ma gradita, cosí come i radi fiocchi di neve che raggiungevano i loro volti, portati da un vento lieve che carezzava i balconi, le cimase. Una venditrice di caldarroste li fermò col suo richiamo: era vecchia, grassa, imbacuccata sotto l'ombrellone verde carico di neve, tutta raccolta sul trespolo che le procurava da vivere e la faceva scampare dal gelo col suo calore. Riempí ad entrambi le mani delle sue castagne, e queste erano bollenti, scricchiolavano tra le dita. Aveva una voce dolce, cordiale: gli disse che il freddo non li doveva spaventare, poiché erano giovani e li riscaldava l'amore. Essi la salutarono chiamandola nonnina. Procedettero al fianco l'una dell'altro, sbucciando le castagne, protestando perché erano dure e bacate quando le trovavano dure e bacate; egli gettava in aria i gusci e li calciava al volo: ad un certo momento la neve lo tradí, scivolò, ella lo sorresse e gli evitò la caduta. «Sei un cattivo terzino, nei tuoi rimandi», gli disse. Risero e si ripresero a braccetto, celebri terzini entrambi, «Ballarin e Maroso», com'egli disse, «del Torino », poiché Elena aveva il cappotto rosso e rossa era la maglia del Torino, anche se il Torino non era la squadra del suo cuore. Sembravano tacitamente d'accordo nell'evitare le strade del centro su cui la neve era spalata, per raggiungere casa. Prendevano le vie strette e traverse, ove la neve dava alle caviglie, ove ad ogni incrocio il vento era piú forte e di volta in volta li costringeva a stringersi al braccio per superare la prima folata. Girarono attorno al giardino dirimpetto al lungofiume, ed ella si fermò come per riposarsi appena un istante, appoggiata con le spalle alla bassa cancellata. Gli disse: «Mi hai raccontato tutto di te. Tanto che non voglio sapere di piú, anche se ci fosse qualcosa d'altro da sapere. Non per ora, almeno... Ma c'è un'ultima cosa che desidererei conoscere: se fu vera o no l'impressione che ebbi la prima volta che ci ritrovammo qui, davanti al giardino... Mi sembrò che questo luogo ti destasse un turbamento, la paura che poi mi confessasti... ». Egli la recinse tra le sue braccia, tenendosi con le mani alle sbarre della cancellata che finivano come tante picche, l'una accanto all'altra. « C'è sempre un'ultima cosa che ti occorre sapere, per aver chiaro il punto di partenza, nevvero? ». «È cosí » ella disse. « E con questo? ». Egli imitò la sua voce: « E con questo... parliamoci chiaro... ». Si sorrisero e Sandrino posò le sue labbra su quelle di Elena. Fu un bacio casto, fuggitivo ella con le spalle contro la cancellata, egli che la rinchiudeva tra le sue braccia, restando coi pugni stretti attorno alle sbarre che tuttavia li sconvolse, e della cui reciproca emozione né l'una né l'altro vollero darsi un segno. Cosí, come se nulla fosse accaduto, di ciò che era accaduto, e che entrambi sentivano fatalmente accaduto, egli riprese: «Mi sembrò che tu avessi capito fino da allora... Dunque, adesso non vuoi soltanto una conferma, vuoi che te ne spieghi la ragione... ». «Sí », ella disse. «Anche se all'incirca la conosco già... Fu qui che avvenne l'episodio con Bruna? ». «Non soltanto per quello... L'episodio con Bruna è sepolto, di questo ne sono piú che sicuro... È che qui ci sono venuto fin da bambino, le due o tre ragazzette con le quali ho amoreggiato ci ho amoreggiato qui, qui venivo con Virginia... Chiamavo questo giardino la mia garçonniere, e il fatto di avertici guidato senza volerlo... Poiché già da quel momento sentivo che con te era diverso... ». Ella gli chiese di baciarla. Poi gli disse: «Non significa ancora che sono innamorata... Bisogna tu riesca a farmi dimenticare che dovrei considerarti un nemico ». E siccome Sandrino taceva, ella aggiunse: « Ti chiedo proprio ciò a cui credo tu stia pensando: di rinunciare a tuo padre... Tu non l'hai quasi nemmeno conosciuto, per te è poco piú di un'immagine, una fotografia, ti ha indicato una strada di cui ti stai accorgendo ch'era sbagliata... Il mio, per me, e stato una realtà, mi ha insegnato tutto: dalle vocali sul sillabario ai cristiania sulla neve, e non solo... Anche il volerti bene, se arriverò a volertelo, lo dovrò a lui». Poco dopo si salutarono, si dettero appuntamento per l'indomani. Egli l'aveva accompagnata sul portone di casa. Ella agitò la mano richiudendo la porta a vetri dell'ascensore, poi questo si mosse portandosi in alto la sua figura che salutava. Ora Sandrino doveva girare attorno all'isolato per raggiungere la propria abitazione. Preferí indugiare per le strade, voleva godersi ancora un poco, tutto solo, la sua vittoria. Non si chiedeva nulla, né del passato né dell'avvenire, estranei a quel presente cosí intensamente vissuto. Era una creatura persuasa di sé, che stringeva il mondo nel pugno e lo tratteneva senza sforzo e senza presunzione. Pensava ad Elena, ed ella bloccava il tempo con la sua figura. Egli camminava solo, sulla neve, fumando la sigaretta, e la sua figura lo accompagnava. Ella era stata trepida ed animata tra le sue braccia mentre la baciava, i suoi baci sembravano promettergli l'appagamento dei sensi che soltanto Kati aveva saputo dargli. Ed Elena era di certo vergine, come nessuna delle donne ch'egli aveva avuto. Questo pensiero tornò ad intorbidare la sua mente. Tentò invano di richiamarsi ai sentimenti di tenerezza che Elena gli aveva ispirato onde sfuggire a quel pensiero che la offendeva, e che tuttavia era piú forte di lui, gli accendeva i sensi. All'immagine fuggitiva di Kati si succedeva quella di Virginia ch'era la donna di cui Sandrino aveva piú a lungo goduto, e con essa gli si riproponevano alla memoria le sue effusioni, la nudità di Virginia, la battaglia ch'egli aveva cinicamente combattuto per debellare ogni suo pudore, i momenti in cui Virginia era tutta offerta al suo arbitrio ed egli soffriva di non poterla distruggere, e le torceva la carne sui fianchi, la istigava a compiere qualcosa di lubrico, di osceno ch'egli stesso non sapeva suggerirle. Ora, suo malgrado, egli comparava mentalmente il corpo nudo ed eccitato di Virginia a quello ancora segreto di Elena, li identificava, ne subiva il desiderio e l'angoscia. Stringeva il pugno per cercare di arrestare il fluire delle immagini nella memoria. Staccò la corsa, sulla neve, per liberarsene. Entrò in un bar, lo stesso da dove pochi giorni prima aveva telefonato a Bruna, si chiuse nella cabina, formò il numero di Elena. Era già piú calmo e padrone di sé, le disse: «Volevo salutarti ». «Io pure... Ho portato il telefono nello studio di papà. Ero qui anche un momento prima che tu chiamassi... Spiavo dai vetri per vederti rientrare... ». « Ora sono sicuro di amarti», egli le disse. « Qualsiasi cosa accada ». «Non accade mai nulla a nostra insaputa. C'è sempre il tempo di accorgersene. Soltanto che a volte non si può impedire che accada ». «È una risposta? ». « Credo di sí... capisco che tu te ne entusiasmi. Io no, invece. Ero cosí allegra e sicura di me fino a una settimana fa... Facevo la scema due terzi della gior- nata e mi sentivo felice... Non ti adirare, ma temo che tu ti sia preso da me la sicurezza che avevi perduto, e mi abbia lasciato in cambio la tua paura». «E con questo?... Parliamoci chiaro... ». «Parliamoci seriamente, piuttosto... Sei proprio sicuro di te stesso? Di poter mantenere quello che un'ora fa mi è sembrato tu mi volessi promettere? ». «Tutto quello che ti è sembrato, e molto di piú». «Per esempio?». «Non so... Non credo di dover compiere nessuna azione dimostrativa... Te ne persuaderai giorno per giorno ». « È questo che desideravo tu mi dicessi ». « Anzi no, qualcosa di concreto comincerò a fare. Parlerò di te a Faliero stasera stessa... Domani scade la settimana di tempo che mi aveva dato e voglio dimostrargli che non ho bisogno di proroghe... Lui e Bruna ti vorranno conoscere. Bisogna ti conoscano... Tu sei il mio alibi... Voglio dire, tu sola puoi testimoniare che ciò che io gli avrò raccontato non è una invenzione del vecchio Sandrino». «Ma esiste un Sandrino nuovo? ». «Ne dubiti ancora?». « Sí, perché sento di volerti bene e credo di avere imparato a leggere dentro di te, anche se in fretta ». «Aspetta a giudicarmi ». « È ciò che io dico a te: aspetta a giudicarti ». « Credo di avere superato la crisi proprio in quest'ultima mezz'ora, dal momento in cui ti ho lasciata, al momento in cui mi hai risposto al telefono». «Ed esattamente? », ella gli chiese. «Ti ho, sí, ti ho offeso col pensiero ». Credette di esserle stato sincero, e si sorprese allorché, rispondendogli, ella fu veramente sincera, cinica quasi, pure di esserlo. «Che tu mi desideri è naturale... Hai pensato che Possa aver baciato qualche altro ragazzo prima di te? Ma certo che ne ho baciati... O forse hai pensato peggio ancora? ». Già da tempo qualcuno apriva e chiudeva la porta della cabina, per sollecitarlo. «Ora devo lasciarti... Ma non riflettere su questo... Ti giuro che il peggio non l'ho pensato». « Significherebbe che tu mi ameresti come il vecchio Sandrino, se tu l'avessi pensato», ella disse. Egli uscí dal bar. Sentiva di essere il nuovo San- drino che Elena gli aveva augurato di essere; e adesso era unicamente all'avvenire che pensava, ad Elena, che avrebbe fatta conoscere a Bruna ed a Faliero, e tutti e quattro assieme sarebbero andati la domenica alla partita di calcio, al tamburello, a giocare al tennis, a sciare. E la mamma sarebbe stata contenta di saperlo di nuovo dietro il banco di Flammarione, a misurare le passamanerie, col metro di legno tra le mani. Dal bar dove aveva telefonato fino a casa il tragitto era breve, egli camminava spedito, era giovane e i suoi passi erano lunghi, malgrado la neve. Non ebbe il tempo di dare una forma logica al suo ragionamento, né di risalire al passato nel corso dei suoi pensieri. Questi lo assalivano in modo turbinoso ma allietante, siccome sgorgavano dalla sorgente piú limpida del suo animo, ed erano ansiosi di vita, d'avvenire. Il passato lo aggredí d'improvviso, sull'angolo della strada in cui Sandrino abitava. Un'ombra di donna avanzò di un passo dalla parte opposta del marciapiede, lo chiamò con un tremore nella voce, poi piú forte poiché egli procedeva senza averla udita, ripeté una terza volta il suo nome. « Sandrino fermati». Questa volta egli la intese, e la riconobbe. Si voltò di scatto e vide Virginia davanti a sé, raccolta nella pelliccia, in testa il suo feltro nero, la borsetta sotto l'ascella. Ella restava immobile a qualche metro di distanza, sulla neve, con un orizzonte di case e di neve alle proprie spalle. La sua voce lo aveva folgorato. Passarono pochi istanti prima che Sandrino le si avvicinasse, intanto la guardava. Subito egli si sentí incapace di rifiutarsi alla realtà quale gli appariva: la sua vita riprendeva il suo corso naturale dal punto in cui l'incontro con Elena l'aveva interrotta. La presenza di Virginia escludeva Elena, la sopprimeva. Gli parve di separarsi da Elena come se l'immagine della fanciulla si staccasse fisicamente dal suo fianco per dileguarsi davanti ai suoi occhi. Il volto di Elena era triste nel dargli il commiato, bianco come la neve. «Allontaniamoci di qui», disse Virginia. Era incerta, emozionata. «Ho bisogno di parlarti», aggiunse. XIX Camminarono per un lungo tratto in silenzio. Era già tarda sera e le strade pressoché deserte, con le case poggiate sulla neve. Nel cielo sgombro e senza luna, le stelle erano anche piú fitte: la città vi specchiava il suo pallore. Il semaforo sotto il quale Elena e Sandrino avevano sostato pochi giorni prima era bloccato sul giallo, occhieggiava ad intermittenza come un piccolo faro sulla distesa di neve. Ad un crocicchio, là dove un'edicola di giornali, spenta e disabitata, creava un'ombra piú fonda, egli la costrinse a fermarsi spingendola bruscamente tra il muro e l'edicola. « Ci siamo allontanati abbastanza», le disse. Virginia restava a capo basso, le braccia strette attorno alla vita, e taceva. Sandrino sollevò il pugno, lo lasciò ricadere con violenza sull'omero della donna. «Non ho tempo da perdere», le ripeté. Ella soffocò un grido. Il colpo, improvviso , l'aveva piegata sulle ginocchia. Egli la sostenne; quando fu di nuovo dritta davanti a lui, le vibrò uno schiaffo sulla guancia. «Parla», le ingiunse. Ella sussurrò: «Non ho fatto nulla di male». «Davvero?», egli disse. «Ti stritolo se non mi spieghi. Perché sei tornata? ». «Per rivederti». Ella era stordita, la sua voce rivelava il suo smarrimento. Ma come era stato aggressivo, crudele, d'un tratto egli diventò tenero, suadente. Le sollevò il mento con la mano, le disse: «Non puoi fare a meno di me, non è cosí? ». Ella annuí e timidamente alzò lo sguardo sul suo viso, desiderò di vedere le sue pupille celesti, i suoi capelli biondi che l'oscurità le impediva di riconoscere. «Dimmi prima di te, di Faliero», disse. Egli la rassicurò, poi le chiese: «Sei mancata per venti giorni... Dove sei stata? Con chi? ». «Non ho mai smesso di pensarti né di volerti bene », ella disse. Ed a bassa voce, chinando la testa, raccogliendosi nelle spalle per sostenere il colpo che si attendeva, aggiunse: «Non ti ho tradito, te lo giuro ». Egli sembrò di non averla udita. «Come hai vissuto? ». «Ti dirò tutto... Ma promettimi che mi picchierai dopo, che prima mi lascerai parlare». «Non ti picchierò né ora né poi... Non ti picchiero mai piú». «Andiamo in un luogo qualsiasi... Sono in strada da stamani ». «Niente», egli esclamò, e subito mascherò di affettuosa impazienza il gesto di furore col quale l'aveva respinta a ridosso dell'edicola. «Voglio sapere immediatamente, qui... ». «Fu una paura improvvisa», cominciò Virginia. «Non me ne rendo conto nemmeno io... Sentii di dietro la porta Bruna e Faliero che minacciavano di dividerci, di farci chissà cosa... Tu non c'eri ed io persi la testa... Scappai... Mi volevo ammazzare... Dovetti vagare forse tutta la notte, non ricordo piú Ero sul lungofiume, fissavo l'acqua e non trovavo la forza di buttarmi giú... Mi pareva di averlo già fatto, di essere già morta, aspettavo che cominciasse l'altra vita, vedevo Gesú che aveva la tua faccia... Ero fuori di me... Lui mi ha raccontato di avermi trovata svenuta, e che una guardia voleva portarmi all'ospedale... Lui disse di conoscermi, siccome infatti mi conosceva, chiamò un taxi e mi condusse a casa sua... Mi ha detto che deliravo... Tornai in me due giorni dopo, non mi rammentavo piú nulla... Anche ora non sono capace di ricostruire, di rendermi conto». Ella parlava, trepidante e sconvolta qual era, come se Sandrino già sapesse della sua avventura, ed essa gli dovesse soltanto confermare la realtà di per sé irripetibile dei fatti. Era ansiosa di liberarsi del ricordo di avvenimenti che a lei stessa sembravano lontani ed inutili, come un sogno doloroso, ormai sfuggito alla memoria. Ella cercava piuttosto di rincuorarsi con la propria voce, onde trovare il coraggio di rivelare a Sandrino il fatto che piú le premeva, la circostanza cioè che l'aveva ricondotta a lui e che restava tuttora sepolta nel segreto del suo cuore. Parlava a scatti, con un tono concitato e querulo insieme, alzando e abbassando lo sguardo dal volto di Sandrino, tutto in ombra, di cui non riusciva a sorprendere l'espressione. « Mi credi quando ti dico che non mi rendo conto? ». « Certo », egli disse. « E lui, questo lui, chi è? ». «Un avvocato, una persona gentile, ricca... Mi ha rispettata, ti giuro, si e commosso della mia sventura... Dimmi che ci credi che mi abbia rispettata ». « Chi è? », egli ripete. Ella gli disse chi fosse, il suo nome e il suo conome, e della bella casa che possedeva, solo, scapolo, dove l'aveva accolta e rispettata. «Lo conosci anche tu... È uno di quelli che giocavano a scacchi, nel nostro caffè... Quello basso, stempiato... ». «Testa di morto», egli esclamò. Stava per pronunciare un'insolenza, e si corresse: « Una persona distinta... ». « Una brava persona», ella aggiunse, «fine, educata... ». Passò una comitiva di giovanotti e ragazze che si tenevano in fila, l'uno al braccio dell'altro, e cantavano e prendevano a calci la neve. Virginia tacque finché si furono allontanati, stretta tra il muro e la edicola, siccome Sandrino le si era fatto addosso per nascondere lei e se stesso alla brigata. Egli cercava di renderle lieve il peso della propria persona. «Scusami», le sussurrò all'orecchio. Il suo fiato era caldo, la sua voce era dolce: ella si sentí perdonata. Questo sembrò ristabilire una confidenza tra di loro. Ella riprese a parlare, caotica, febbrile. Ascoltandola, Sandrino riguadagnava se stesso, timidamente, alla speranza. Per alcuni istanti pensò che Virginia lo avesse avvicinato al solo scopo di ottenere da lui la promessa ch'egli non le avrebbe insidiato la felicità domestica appena riconquistata. Era la solita Virginia, alla quale il timore di un suo ricatto velava la ragione. Sandrino fu sul punto di provarne pietà, di addolorarsi per averla allora percossa ed insultata. Rifletté di avere ancora un lungo cammino da percorrere, la mano nella mano di Elena, prima di giungere a debellare il vecchio Sandrino ridesto al primo spiraglio aperto sul passato. Senonché, di lí a poco, le parole di Virginia lo restituirono al suo stato d'animo di furore e di sgomento insieme. « Sei venuta per scoprire le mie intenzioni, ma non ne ho.. Tu sei libera... Non mi vedrai mai piú». «Allora, non mi credi ». «Come non ti credo? Ti credo e sono contento che tu abbia ritrovato la tua strada... Se costui è una brava persona, ti sposerà, ti farà felice... ». « Ma l'ho lasciato», ella disse, e in fretta, nuovamente concitata, aggiunse: «Dall'altro ieri, l'ho lasciato... Ho preso in affitto due stanze alla periferia dalle parti della ballera, ti ricordi? Ho già fatto portare la mobilia, l'ingresso è indipendente... Mi hanno sbloccato il denaro di mio marito, lui, l'avvocato mi ha aiutata... Potrai aprire un magazzino di tessuti, se vorrai... ». La mano di Sandrino si serrò sul suo braccio. Ella si piegò sotto la stretta, ma non volle gridare. Lo supplicò, gli disse: « Avevi promesso che mi avresti ascoltata... Mi tieni per sempre, ormai. Non ti potrò piú sfuggire, nemmeno se lo volessi... No, non lo voglio, non lo vorrò mai... Perché allora sarei tornata?». Egli le liberò il braccio; il suo gesto fu brusco, violento, la riconfisse tra il muro e l'edicola. «È ancora quello che non ti decidi a spiegarmi». Ora la speranza lo aveva definitivamente abbandonato, la sua angoscia sopraffaceva il suo furore, aveva l'impressione di essere legato a Virginia come se una corda li tenesse stretti ed uniti, con le membra immobilizzate nei suoi giri. In realtà, avrebbe voluto colpirla di nuovo, spietatamente, per eccitarsi e sfuggire allo sgomento che lo invadeva, fino a schiacciarla sulla neve, e nondimeno era incapace di farlo, poteva soltanto ferirla con la voce, richiamandosi alla tracotanza del passato. Le disse: «Dopo che sei stata venti giorni con un altro, hai provato nostalgia, perciò sei tornata... Ricordi cosa di avevo promesso in questo caso? Di strapparti il seno ». Un taxi attraversava il crocicchio a passo d'uomo, lo chauffeur batteva la mano sulla lamiera dello sportello. «Prendiamo quella macchina», ella disse. «Come il giorno di Capodanno». Sandrino la respinse nel suo angolo. Il taxi si allontanò sulla neve. Egli disse: «Per Capodanno era una carrozza, ero romantico allora, e tu non eri ancora una puttana... ». « Sto per crollare». «Meglio cosí... Io me ne andrò e ti troveranno morta assiderata». Ella era esausta e si teneva per le spalle contro il muro. Pronunciò la frase senza meditarla, cosí come il sentimento gliela portava alle labbra, disse: «Non morirei sola». Tacque, quasi spaventata delle proprie parole e insieme contenta di averle pronunciate, ora che le aveva pronunciate. «Pensi che al tuo avvocato, aprendo il giornale, gli verrebbe il crepacuore? Oppure che sarei io a morirne, per il rimorso? ». Quanto piú egli era ironico, tanto piú adesso ella si sentiva audace. «Qualcuno che morirebbe con me, nello stesso istante ». Sandrino non capiva ancora, non capi finché Virginia non glielo disse con la frase piú propria, che era incinta di lui e che ne era stata dapprima terrorizzata e poi felice. E nemmeno dopo che Virginia glielo ebbe detto egli fu capace di realizzare l'idea, la quale gli sembrava impensabile, assurda, e che tuttavia lo annichiliva, lo inchiodava nuovamente coi piedi sulla neve, lo respingeva nel profondo della sua angoscia, senza piú volontà né determinazione. L'immagine di Elena apparve e disparve alla sua mente, inghiottita dal rombo che adesso gli torturava le orecchie. Virginia gli aveva messo le braccia attorno al collo, gli disse: «Dapprincipio non me ne resi conto, credevo, tu capisci, poi mi sono fatta visitare... Dové essere subito, forse proprio la notte sul Capodanno... L'ostetrico dice che non lo si può ancora affermare con certezza, ma io ne sono ormai sicura, lo sento». Egli avvertiva il contatto dei suoi guanti, freddi, piú freddi dell'aria, dietro la nuca. Ora che l'oscurità gli era familiare, si vedevano l'un l'altra in viso. Ella parlava e cercava il suo sguardo, desiderava sempre piú di specchiarsi dentro le sue pupille. Gli disse: « Non voglio costringerti a nulla... Gli darò il mio nome... Mi basta che tu lo riconosca davanti a me... Ho di nuovo del denaro, forse anche tu ne hai ancora, non importa se non ne hai piú... Ne ho io per tutti e tre, e per qualche anno... Finché tu mi vorrai. Se poi mi vorrai per sempre... Ora, quando tu mi dovessi lasciare, nulla mi farebbe piú paura... Non ti deve dispiacere. Appena tu lo vorrai, sarò io a scomparire. Ma posso darti ancora tutta me stessa... Mi vuoi sempre un po' di bene? Me ne vuoi di piu o di meno, adesso? Cosí poco da non darmi un bacio? Gli cercò la bocca e Sandrino si lasciò baciare. «Dimmi qualcosa, non mi merito nemmeno una parola? ». «Sei una sciagurata», egli esclamò. Si sottrasse alla sua effusione prendendola per i polsi e lasciandole ricadere le braccia con violenza. «Vuoi trascinarmi a fondo con te», aggiunse, incerto, siccome lo sgomento lo prostrava. Poi disse: «È una tua trovata, per intenerirmi e farti perdonare... Ed anche se fosse vero, non è mio... Sei stata venti giorni con un altro uomo». Il tono della sua voce dava a Virginia il coraggio di potergli replicare e quasi la certezza che Sandrino la contrastasse per mascherare la propria commozione. «Non mi ha toccato, nemmeno una carezza... E se pensi che ti abbia tradito, rifiuta me, non il bambino... Il bambino come puoi rifiutarlo? ». Ella si staccò dal muro, lo prese a braccetto, s'incamminarono. Sandrino si faceva condurre, guardava la neve sotto i suoi piedi, anche piú bianca nell'oscurità: aveva gli occhi pieni di quel bianco che gli accecava gli occhi e il cervello. Virginia lo sospinse dentro una porta a vetri illuminata. Il calore dell'ambiente li stordí entrambi, la luce ed insieme un effluvio intenso di fiori. Ella scoppiò in una risata, tanto piú irrefrenabile in quanto Sandrino sembrava tardare a rendersi conto e la interrogava con lo sguardo. Era un negozio di fioraio. La commessa potava il gambo a delle rose, passandole di vaso; gli si fece incontro, simulando di partecipare della loro allegria. Siccome Virginia oppressa dalle risa si era appoggiata allo stipite della serra a muro, la ragazza si rivolse a Sandrino, gli presentò la rosa che teneva in mano, spiritosa e gentile gli disse: « Colte adesso, sotto la neve... Non va? Allora, un fascio di mimose? Orchidee, per la signora?». Egli era interdetto, quindi si sentí ridicolo, avvampò e subito lo assalí l'ira. Scostò la ragazza che gli era dinanzi, e piú brutalmente ancora scosse Virginia agguantandola per il braccio. Ella era tutta presa d'ilarità, la sua violenza riuscí appena a ridurle l'empito delle risa. Mentre Sandrino la trascinava sulla strada, Virginia agitò la mano verso la ragazza: « Credevamo fosse un caffè», le gridò. «Il vetro era appannato ». Appena fuori, il pugno di Sandrino la raggiunse allo sterno, benché attutito dalla pelliccia le mozzò le risa e il respiro. Ella si morse le labbra per il dolore, ma non ne dette altro segno. Si ricompose e poi gli disse: «Hai ragione, mi sono comportata come una bambina». Avevano raggiunto il centro della città, animato delle sue insegne luminose, dei passanti e delle auto; una squadra di spalatori notturni apriva dei camminamenti tra la neve; gli strilloni gridavano le ultime edizioni. L'aria aveva temperato il suo rigore ed il cielo, col suo stellato, prometteva un indomani di sole, forse il timido annuncio della primavera che si distendeva sopra l'ultima neve. Entrarono in un bar e si servirono all'impiedi, come Sandrino le impose. «Non sopporto la luce», egli disse. «Ed anche la gente, stasera, mi dà noia». Volle un liquore, che fosse forte e dolce; lo bevve d'un fiato e gli venne da tossire. Ora Virginia poteva goderselo di nuovo con gli occhi e accumulare tenerezza nel proprio cuore. Egli conservava il cipiglio che in altre circostanze l'aveva sgomentata, ma adesso no: nelle sue pupille v'era un che di stupefatto e di ansioso che addolciva la sua espressione. Ella chiese una tazza di latte: era bollente e la ristorava. Respirava profondamente, tra l'uno e l'altro sorso. «Mi sembra di rinascere», commentò. « È come se ogni sorsata mi si tramutasse in sangue». Sorrise, poi ripeté: «Ho camminato tutto il giorno, in su e in giú coi facchini, nei negozi, per sistemare la casa... Ho dovuto chiamare l'elettricista, siccome vicino al letto non c'era la presa. Vedrai che belle lampade ho comperato per i comodini... Ho comperato anche... non te lo volevo dire. Doveva essere una sorpresa». Desiderava che Sandrino la sollecitasse a parlare; e Sandrino la interrogò come lei desiderava, ma distrattamente. «Cosa? ». «Prova a dire». «Non saprei, un oggetto?». «Sí e no. Comunque, un oggetto grande... Non un mobile tuttavia ». Questo gioco accentuava l'avvilimento di Sandrino. Virginia lo aveva legato al suo destino. Essa si sentiva rinascere allo stesso modo in cui lui si sentiva finito. La sua presenza lo riportava alla condidizione che gli era stata propria fino a pochi giorni prima: di ragazzo discolo, da emendare, secondo la definizione piú garbata espressa da Faliero, di irresponsabile, come Elena gli aveva detto. Il ritorno di Virginia, la paternità ch'essa gli attribuiva, avevano ristabilito questa situazione: ribellarsi significava riprendere la lotta per evadere dal cerchio che si era nuovamente chiuso attorno a lui, ed egli non aveva piú né forza né volontà di lottare. Destituito di ogni proposito, Sandrino si affidava alle circostanze: non cercava piú né di prevenirle né di determinarle, le subiva ormai. Compiaceva Virginia nel suo gioco con la condiscendenza di un complice; e nell'amarezza che lo angosciava, quasi era preso di lei, le si avvicinava come per ottenere un conforto. Nello stesso tempo ripeteva a se stesso una frase di Elena, improvvisamente riaffioratagli nella memoria: «Mica si scappa da noi stessi... Papà diceva che ci si porta sempre dietro, come portiamo il viso. E tu vorresti già essere un altro, con tutto quello che hai ancora di scoperto dietro di te». La sua mente affannava irresoluta attorno ad un discorso che gli sembrava già concluso. Virginia lo richiamò al gioco, gli disse: «Prova ancora ». «È un buffet... Se hai due stanze, una l'adatterai a salotto e camera da pranzo». Avevano lasciato il bar, ed ella era felice che Sandrino si dimostrasse incuriosito. Si allontanavano dalle vie centrali, tornavano nella distesa d'ombra e di neve delle strade secondarie, verso la periferia e il capo opposto della città, incontro al fiume. Era lei che insensibilmente decideva il cammino, con un senso inconscio ma volontario di ripercorrere quelle stesse strade che erano state loro familiari appena due mesi prima, dove avevano passeggiato ogni giorno, mattina e sera, avendo di volta in volta, come meta, il caffè ed il giardino. «È una radio», ella disse. «Mi terrà compagnia quando tu non ci sarai e prima che lui nasca... Imparerò le nuove canzoni... Tu non sai che... », sorrise, aggiunse. «Sono intonata, ecco». Era allegra, felice, ritrovava forse per la prima volta compiutamente, dopo tanto tempo, la spontaneità che doveva esserle stata propria. «Vero che non fa piú freddo? La neve pare perfino finta... Come nella Bohème», commentò. Poi disse: «Guarda la sala d'aspetto del capolinea... Ti ricordi di quel giorno che pioveva?». Vi si diressero. Il luogo era deserto, nella strada che furono costretti ad attraversare la neve era quasi intatta, e cosí sul marciapiede della pensilina, fin dentro la sala, appena rischiarata da una lampadina incastrata nel soffitto. «Qui non c'è né gente né spreco di luce», ella disse. «I tram non camminano da stamani». Ripuliva il sedile del velo di neve portatavi dal vento. «Perciò è sempre aperto qua dentro», aggiunse guardandosi attorno, « perché non c'è nulla da portar via. Anche le panche sono infisse al muro». Egli si sedette, le mani nelle tasche del cappotto, il mento sul petto, e taceva. Ella gli si mise accanto, e dopo qualche istante di silenzio, gli disse, con altra voce: «Facevo cosí per darmi un contegno... So che tu adesso mi devi rimproverare ». Egli le rispose ciò che in quel momento pensava di lei, con le prime parole che gli vennero alle labbra, ma che tuttavia facevano parte di un suo preciso pensiero, e quasi dolcemente, per cui la durezza che v'era nelle sue parole sembrava recare implicito un affettuoso perdono: « Mi chiedo soltanto come puoi essere tanto irresponsabile... Alla tua età, e nelle tue condizioni... Non sembri piú una bambina, ma qualcosa come una pazza». «Mi hai voluto ricordare che non ho il diritto di sacrificare la tua esistenza... Certo, sarò una vecchia quando tu sarai un uomo nel fiore della vita, ma ancora non e cosí... Se ancora mi vuoi, finché mi vorrai », ripeté. Egli taceva, e Virginia stessa capiva di stare parlando a se stessa piú che a lui: « Io ti sarò sempre grata, comunque deciderai... Tu mi hai dato soltanto gioie, fino a questa che ho in seno e che è la piú grande di tutte... Era lo scopo della mia vita quando credevo che la mia vita avesse uno scopo, la famiglia... Adesso lo è diventato piú che mai... ». Sandrino seguiva il suo commento e insieme il corso dei propri pensieri. «Perché sei tornata, allora, perché? Se quell'avvocato ti voleva, perché non sei rimasta con lui, forse ti avrebbe presa anche cosí, o avresti potuto abortire... Avresti avuto un nome, una bella casa». Ella trasalí e d'improvviso le si inumidirono gli occhi, piangeva serenamente, tuttavia, cosí come parlò, subito dopo: «Abortire è uccidere, cosa credi? No, non mi è passata per la testa un'idea simile, ed ora mi rendo conto del perché... Sarebbe stato come uccidere te... ». «E poi, non sei pazza», egli disse. Quindi aggiunse: «Del resto, a quel tuo avvocato, gli potevi far credere che eri rimasta incinta di lui... Per un'altra donna sarebbe stata una cosa da nulla». «Dunque, non vuoi credere che non mi abbia toccata ». Egli accendeva una sigaretta, riparato nel cavo delle mani ove teneva il cerino, le disse: «Bastava tu ti facessi toccare... ». «Oh», ella esclamò. « Ora mi fai anche piú paura... Finora le cose tremende che mi dicevi, me le dicevi durante l'amore o mentre mi picchiavi; ora invece sei calmo, sono cose che pensi veramente». «Che ti ho detto di tanto orribile? ». « Ciò che hai detto». Le lacrime le scendevano adesso lungo il volto, ella le arrestava portandosi le dita sotto gli zigomi. «Avrei dovuto darmi a lui, sapendo di avere in seno una creatura concepita con te». Sandrino sorrise, e per un momento ritrovò il suo cinismo, la sua antica ironia. «Parli di seno e di concezione come nelle preghiere... Non ti senti per caso una Madonna? Perché in questo caso io sarei il Padreterno». La guardò e soltanto allora si accorse che Virginia piangeva. L'improvvisa baldanza non lo sorresse: si era tutta esaurita nella volgarità delle sue parole. Egli ricadde nello stato d'animo di poco prima, nell'abulia che l'apparizione di Virginia gli aveva determinato, e dentro la quale il loro recente colloquio aveva finito per radicarlo. Provò soltanto fastidio del suo pianto, e non pensò di imporsi a lei con la violenza, bensí fingendo una comprensione che nemmeno lui capiva piú se interamente simulata. «Accetto le tue condizioni», le disse. «Finché mi piacerai ti resterò vicino... Poi vedremo che reazione avrò di fronte a questo figlio, per adesso non me lo so nemmeno immaginare». L'attirò a sé e la baciò sulla bocca. Di lí a poco, ella si era appoggiata col capo sul suo petto, già tutta e di nuovo pacificata, uno sconosciuto apparve sulla soglia. I suoi passi erano stati silenziosi sulla neve, ed essi si accorsero di lui solo dopo che fu entrato. Era un uomo indefinibile per l'età, ma visibilmente un accattone, rinvoltato in uno stinto cappotto da militare, con in testa una bustina dello stesso tipo, ed a tracolla un saccapane altrettanto logoro e rappezzato, come il cappotto e come le scarpe, e rigonfio. Dapprima sembrò non vederli, raggiunse il sedile all'altra estremità dell'ambiente e subito vi si distese, collocandosi il saccapane sotto la testa. Poi disse: « Non buttate cotesta cicca, giovanotto. Lanciatela dalle mie parti». Sandrino cosí fece. Intanto si era alzato, insieme a Virginia. Gli dettero la buonasera. Ma lo sconosciuto li richiamò, dicendo: « Buonasera è troppo poco. Questa, da una certa ora in avanti, non e piú dell'Azienda dei tram, è casa mia. Mia e di altri che ancora devono arrivare. Mi dovete pagare il fitto della panca». Quindi, prendendo le poche lire che Sandrino, sospinto da Virginia, gli porgeva: «Dico, compagno, mica ti sei offeso? Tu capisci, si fa per farsi coraggio. È una naia che dura da sette anni. Cinque in India. P. W. nove, cinque, sette, tre, 9573, se vuoi giocarli al Lotto... E non accenna a far giorno, non balugina una luce di lavoro», e si rivoltò sull'altro fianco. Gli gridò ancora dietro: «Dico, compagno, se volete restare mica mi date noia... ». Essi già non lo udivano piú. Sandrino sosteneva Virginia per il braccio, e badavano dove posavano i piedi, sulla neve. Raggiunsero il marciapiede dirimpetto, e lei disse: «Quando ci vediamo?». « Domani, naturalmente», egli le rispose. E subito, lo possedé una certezza che nemmeno in seguito Sandrino seppe spiegarsi compiutamente, ma che tuttavia era stata cosí propria al suo stato d'ani- mo da apparirgli perfino ovvia, rivelatagli dalle sue stesse parole. Appena ebbe detto «domani», gli sembrò assurdo che potesse venire il domani, col sole magari, le strade senza neve. Impossibile che potesse sorgere il nuovo giorno, e baluginare una luce. Da quel momento le sue parole furono logiche, assennate, remissive, anche, ma estranee al suo intelletto. Similmente, dal suo spirito era assente ogni velleità, ogni sentimento. Egli era ormai esorbitato da se stesso, tutto immedesimato nel pensiero che il mondo sarebbe finito quando quella notte fosse finita. Ascoltava Virginia, le rispondeva, ma di vivo in lui v'era unicamente la paziente attesa di un evento che non lo riguardava nemmeno piú tanto egli vi si era arreso, disposto a subire le parole e i gesti che le circostanze gli avrebbero via via richiesto. Che Virginia gli avrebbe richiesto, poiché essa, con la sua presenza, aveva bloccato il tempo e doveva quindi volgerlo alla sua soluzione. Sandrino le si affidava. «Accompagnami altri due passi», ella disse. «Prenderò un taxi al posteggio... Pensi lo troverò? ». «Forse, ma ti chiederà un'enormità». « Che importa... Ho già speso un patrimonio in questi giorni, per la casa... Domani devi aiutarmi a fare i conti... Poi bisognerà decidere se i soldi li lascio in banca o tu preferisci investirli... Ma una certa cifra mi occorrerà averla a disposizione ». «Ti bisogneranno tante cose». «Soltanto per il corredino... ». Si stringeva a lui, con la spalla sul suo petto, ed egli la teneva al braccio e la sosteneva. Ella gli chiese, timidamente: «Tu non hai piú niente? ». «No, niente ». «Non voglio sapere... Ti andrà meglio un'altra volta ». Ora la strada sboccava su di un largo, con la lampada ad arco che lo illuminava e dirimpetto, affondato nell'oscurità e nella neve, c'era il giardino, recinto dalla sua bassa cancellata. Il luogo era deserto, l'insegna del posteggio sembrava infissa nella neve. «Con questo tempo, i taxi faranno il servizio di notte? Dove potremmo chiedere? A quel caffè là in fondo? ». «È una farmacia », egli disse. Ella rise e gli si appoggiò con la fronte sull'omero. «Ne facevo un'altra delle mie, come dalla fioraia». « Andiamo ad informarci?». « No, proviamo ad aspettare qualche minuto, chissà... Mettimi un braccio attorno alla vita, mi riscaldi». Era piegata su di lui e gli porgeva la faccia. «Mi pensavi spesso? Come mi pensavi? ». «Come eri... Come sei ». «Io sempre, anche nei momenti che piú mi credevo decisa a dimenticarti... Ma poi ho capito perché ti ricordavo, per quello che mi avevi dato e non lo sapevo ancora ... Ecco il taxi ». « È una macchina privata». L'auto passò davanti a loro, rallentando alla voltata, e sparí. Ella tornò a lasciarsi sostenere dalle braccia di Sandrino che la cingevano torno torno alla vita. Lo guardava ed al chiarore della lampada ad arco, ravvivato dal riflesso della neve, vedeva il suo volto metà in ombra metà in luce, calmo, dolce, che la inteneriva. «Povero il nostro giardino», ella disse, « sotto la neve ». L'assalí un pensiero improvviso: il ricordo dell'episodio raccontatole da Bruna, accaduto lí, su una di quelle aiuole sepolte sotto la neve. Ma non volle dar segno del proprio turbamento. Temeva di irritarlo, adesso che Sandrino si dimostrava cosí buono con lei, e la teneva sul suo petto, abbracciandola alla vita. Disse: «Perché non andiamo a dargli un saluto, sia pure dal di fuori? Ti ricordi il giorno in cui ti feci la sorpresa dei cachi? ». Attraversarono lo spiazzo, e Sandrino disse: «Fu lo stesso giorno che poi venne a piovere». Giunsero dinanzi alla cancellata, in un punto distante appena pochi metri da quello ove poche ore prima Elena gli aveva chiesto di baciarla. «E il giorno prima, ti ricordi? Avevi vinto la scommessa delle dodici paste». Ella si sporgeva sulla cancellata. «La neve è molto piú bassa di quello che credevo... Guarda, anche al buio s'intravede la nostra panchina... Qui, tra i due alberi... L'ombra piú grande è quella della vasca, una delle altre, la seconda a destra. «Uhm, uhm», egli annuí. Virginia si voltò, affidandosi con le spalle alla cancellata, tra l'una e l'altra delle sbarre che finivano a forma di lancia, giusto all'altezza della sua testa, come aveva fatto Elena. Istintivamente egli la rinchiuse dentro le sue braccia, stringendo le mani alle sbarre. «Mi commuovo come una sciocca», ella disse. E quindi, con un'ironica, affettuosa amarezza nella voce, aggiunse: «Alla mia età, e nelle mie condizioni, mi comporto come non si comporterebbe nemmeno la ragazzina che ti faceva la corte dalla sua finestra ». Egli non provò nessuna emozione a quelle sue parole, tuttavia sentí che le proprie mani si tenevano piú saldamente alle sbarre della cancellata, avvertí un afflusso di energie in tutta la persona, come un'improvvisa, oscura coscienza delle proprie forze. Virginia aveva riversato la testa all'indietro, la poggiava sulla cima di una delle sbarre, in un abbandono che compiva il suo stato di grazia, per cui anche il premere lieve della punta acuminata della lancia contro la nuca le era gradito. La penombra, lí, era piú fitta, e l'ampio largo deserto nella sua distesa di neve, con in fondo il globo rosso ed acceso della farmacia. Virginia disse: «Quante stelle, vedessi... Il tuo padrone le conosceva a una a una, doveva essere un uomo felice... Guarda quella com'è bassa, com'è luminosa... ». Sandrino era piegato su di lei, attratto dal suo volto, dalla sua voce, col senso di precipitare assieme a lei in quell'oscurità senza fine; e ad ogni istante sempre piú accresciuto della propria forza, come se fosse il pallore del volto di Virginia, il suono della sua voce a dargli un'energia sempre maggiore. Ed erano i suoi occhi, che adesso vedeva anche piú bianchi del suo viso e della neve, rivolti in alto, ad attirarlo in un'intenzione amorosa, di attimo in attimo sempre piú intensa, a fargli nascere il desiderio improvviso, lancinante di schiacciarli, di cancellarli quegli occhi, con le proprie mani. Ella disse, e furono le sue ultime parole: « Se tu non mi lasciassi, potrei restare qui tutta la notte, a guardare le stelle come una bambina, infilata per la testa... ». Le mani di Sandrino si serrarono sulle sbarre come draghe, con la stessa, graduale, implacabile intensità. E d'un tratto, esse, le sue mani, sentí che gli esplodevano, agivano da sole, strinsero Virginia alle mandibole e, cariche di tutta la loro forza, le riversarono la testa ancora piú indietro, di colpo, da conficcarle la lancia nella nuca. Contemporaneamente le sue gambe si erano serrate sui fianchi di Virginia, e la immobilizzavano. Ella gettò un grido, non piú umano, che risuonò come un feroce, disperato grugnito. Egli si trovò la testa di lei inerte tra le mani, e il suo volto scoperto, con gli occhi piú grandi e piú bianchi, rovesciati. Il corpo della donna si afflosciava sotto la stretta, trascinava in basso la testa come per sottrarla alla sua morsa. Egli la sollevò di nuovo e di nuovo tornò ad appiccarla, due volte, tre volte, quattro volte ancora, finché la testa gli sfuggí dalle mani viscide di sangue e Virginia rimase infissa alla sua croce. Egli arretrò di un passo e per un lungo istante rimase immobile a fissare l'amante ancora in piedi davanti a lui, col mento eretto, le braccia pendule sulla pelliccia, un fantoccio che gli offriva la gola. Ai suoi piedi c'era la borsetta nera, come deposta sulla neve. Quindi Sandrino si abbassò di spalle, lentamente, sui talloni, tuffò le mani nella neve, le lavò con calma, con attenzione, passando le unghie dei pollici dentro le unghie delle altre dita, spiando ai due orizzonti sulla distesa di neve. Pochi minuti dopo, mentre già egli aveva raggiunto il marciapiede dirimpetto e là, nell'ombra, Virginia si faceva un piedistallo del proprio sangue, con gli occhi inutilmente sbarrati a scoprire le stelle un taxi si arrestò davanti al palo del posteggio. Lo chauffeur sporse la testa verso Sandrino che era venuto a trovarsi all'altezza della macchina. Egli proseguí senza rispondergli, voltò l'angolo, ma non fuggí, accelerò il passo e piú oltre si fermò. Dette fuoco ad alcuni cerini per accertarsi se i suoi abiti fossero macchiati di sangue, e con l'ultimo, rassicurato, accese la sigaretta. Allora, riprese il cammino, imboccando il viale su cui era passato poco prima al fianco di Virginia. Si sentiva liberato d'ogni angoscia, quieto e leggero come non mai. La sua ragione era felicemente assopita, il suo cervello ospitava soltanto le immagini che apparivano concrete davanti ai suoi occhi, come se i suoi pensieri si formulassero all'unisono col paesaggio. Ecco, egli aveva da percorrere una strada lunga e diritta, tutta oscurità, tutta neve, a capo della quale, lontanissima e tuttavia visibile, da toccare s'egli avesse allungato una mano, c'era Elena che gli sorrideva. FINE Napoli, inverno 1947.