HOLY MONEY: IL DIO UNICO DEL DENARO
Di
Enrico Bernard
Premessa
La conoscenza è sinonimo di "bene" o di "male"? Da sempre, la condizione
umana è caratterizzata dalla diaspora con Dio a causa del frutto proibito. La
seduzione del diavolo, insinuata dalle grazie di Eva, altro non è che la sete di
conoscenza, il desiderio di percepire nuove sensazioni ed emozioni, raggiungere
l'irraggiungibile: competere col Creatore impadronendosi delle leggi eterne che
governano la natura e svelare i misteri del creato.
La sessualità, il peccato originale da cui discendiamo, peccato che viene
lavato col Battesimo dopo la venuta di Cristo, è in realtà solo un espediente
diabolico per metterci in folle competizione con la sapienza divina. Scienza e sesso,
nella lettura piu' concervatrice delle Scritture, vengono dunque accomunati al Male
e dissimulati dall'attività dell'Anticristo. Perciò la conoscenza è stata considerata e
trattata, nella cultura medioevale, col sospetto della concupiscienza diabolica.
Conservata nei monasteri, divulgata col contagocce, la sapienza è stata, per tutto il
medioevo, oggetto di indagine teologica, comunque in odore di zolfo satanico.
Ma all'inizio del secondo millennio, con le prime forme di accumulazione
"borghese" e la nascita dei primi istituti bancari, l'attenzione si sposta dal problema
teologico della conoscenza a quello della ricchezza che, come vedremo, comporta
anche un richiamo alla questione "biblica" dell'eros.
Nel corso del Rinascimento - fino al tempo della Riforma - il problema
religioso della ricchezza, condannata da Cristo, trovó una soluzione individualistica:
San Francesco, spogliandosi dei beni in maniera definitiva e radicale, indicó una via
intermedia alla salvazione, un modello di vita ispirato alla „caritas“ cristiana, da un
lato, ma attento alla bellezza del Creato dall’altra. Cosí la ricchezza assunse nel corso
del Rinascimento una funzione sociale, per esempio col mecenatismo nell’arte che
produsse immensi capolavori dello spirito e dell’ingegno umano. San Francesco ebbe
cosí il merito di dimostrare – fu lui stesso poeta - come l’opera d’arte, l’opera dello
spirito, sia indispensabile al fine di elevare l’animo umano alla comprensione estetica
di Dio e delle sue Creature. Ed in questo contesto, fortemente sensuale se non
propriamente erotico, quantunque sublimato, ritroviamo l'humus del Rinascimento.
Che rappresenta un periodo ideale, lo dice anche Marx, poiché perfino la ricchezza,
in virtú della caritá e del mecenatismo dell’arte, assume una funzione parzialmente
sociale fondata sull’amore: per il prossimo, nelle opere caritatevoli, e per Dio,
nell’arte capace di lodarne la magnificenza.
Sul problema "sociale" della ricchezza, la Chiesa di Roma peraltro perseguí
una strategia di autosostentamento economico di dubbio valore etico: la
compravendita dei posti in paradiso tramite il commercio delle assoluzioni e delle
indulgenze. La Chiesa assunse una sorta di posizione esattoriale tra Dio e il ricco
borghese, al quale offrí una scorciatoia che bypassava il concetto di „opera sociale“
(fare il bene e promuovere il bello) del Capitalismo dell’epoca, il tutto per
un’operazione "di cassa". Il commercio delle indulgenze provocó indubbiamente un
progressivo indurimento dello spirito rinascimentale da parte della ricca borghesia
d’Oltralpe, del centro e nord Europa, poiché l’uomo facoltoso fu messo in condizione
di instaurare con l’al di lá un rapporto puramente fiscale ed economico, non morale o
tantomeno etico. A ció si aggiunse che la pratica ecclesiastica delle indulgenze si
configurò come una dittatura politica della Chiesa, un dominio delle coscienze. Cosí
ad un certo punto lo „spirito borghese“ alzò la testa per emanciparsi dal senso di colpa
della ricchezza, - e dal dominio politico che ne derivava: la Riforma, per dirla con
1
eccesso di sintesi, trasferí il senso di colpa della borghesia dal piano economico a
quello sessuale.
Lo spirito della Riforma nacque da questa esigenza di semplificazione e
razionalizazione della vita del borghese, che cominció a percepire il „bello“ e la
sensualitá, elementi tipici dell’arte rinascimentale, come qualcosa – per usare il
termine nella sua accezione negativa - di „barocco“, ossia di superfluo, quindi
peccaminoso.
La Riforma risolse il problema della ricchezza, anche per respingere le
sempre piú soffocanti pretese della Chiesa di Roma in fatto di indulgenze a
pagamento, con un sotterfugio teologico, peraltro non nuovo alla filosofia: la
„predestinazione“ segnó l’avvento - come sostiene Max Weber - del moderno
Capitalismo che trovó una giustificazione teologica sulla base del concetto di Grazia.
Con la „predestinazione“ la Riforma cercó di risolvere due questioni centrali:
l’autonomia dalla Chiesa di Roma e la giustificazione etica e morale della ricchezza!
L’uomo „sobrio“ uscito dalla Riforma altri non è, in sostanza, che il furbo affarista
che si avvale di una morale pseudoreligiosa per giustificare la scarsa eticitá della sua
condizione patrimoniale. L'unica attenzione che deve porre il borghese è quella di non
farsi distrarre da altre bagattelle in questo suo rapporto privilegiato – mi si perdoni
l’ironia - con l’ufficio patrimoniale dell’Altissimo che gli dispensa oro e profitti - ma
non piaceri erotici capaci di <distarlo>
In questo contesto socio-culturale e religioso, la sensualitá, la ricerca del
piacere e del bello tipica della societá rinascimentale, non poteva che venir depressa
(da Lutero) e addirittura repressa da altri Riformatori (Zwingli e Calvino, che
addirittura istituirono una vera e propria „polizia sessuale“ a Zurigo e Ginevra).
Naturalmente, la sessualitá, intesa come diletto, arte del piacere e quant’altro,
non poteva rientrare nel quadro della religiositá della Riforma, tutta ispirata ad un
pragmatismo economico e commerciale in cui poco o nessuno spazio poteva trovare
l’arte come espressione della sensualitá. Cosí, nella Riforma, l’erotismo si configuró
sempre piú come elemento che distoglie e confonde il ricco borghese „indaffarato“ e
impegnato in argomenti piú seri, alias il profitto del borghese finalmente benedetto
dalla Grazia divina e la cui ricchezza ne è segno. Il fatto che i Ministri del Culto
protestanti possano sposarsi ed avere figli, non è tanto espressione di liberalitá
sessuale, bensí un segno del rigido inquadramento e controllo di ogni pulsione
sessuale che, nel cattolicesimo viene mandato assolto con qualche „Ave Maria“, ma
che invece nella mentalitá protestante è causa di perdizione.
Su questo punto Lutero è categorico quando parla di „mascolinitá
sessualmente sobria e riservata“ cioé non distratta dalla mina vagante dell’erotismo1.
Va pure raccontato che la morale antierotica, ma non ancora sessuofobica, di Lutero
incontró qualche ostacolo: mi riferisco alla confessione alla moglie Katharina, nel
1546, della propria impotenza. Infatti, il padre della Riforma promette alla consorte di
cercare una cura o uno stimolo, per ovviare al problema. E lo stimolo gli viene dalla
pittura di Lucas Cranach d.Ä. (1476-1553). Il pittore, amico e consigliere di Lutero,
oltre a realizzare i famosi ritratti del Riformatore, fu anche grande artista erotico di
nuditá e corpi sinuosi (vedi ad esempio il dipinto „Das Zeitalter del Glückseligkeit“
conservato allo Städel Museum di Francoforte) che divennero fonte di ispirazione ed
eccitazione sessuale per Martin Lutero.
Insomma, Lutero sembra suggerire una fruizione sobria della sessualitá
stimolata da una forma di ricerca stuzzicante, ma non „assordante“, dell’erotismo:
tutto deve essere insomma coperto dalla morale religiosa e giustificato dalla funzione
dell’uomo nella societá. Scrive Walter Schubart:
„L’amore nella devozione della preghiera è sinonimo di una religiositá
erotica (e di erotismo), cosí come l’amore fisico è una forma di erotismo religioso (e
1
cfr. Ute Gasse, „Kirchgeschichte und Genderforschung: eine Einführung in protestantischer Perspektive“,
Mohr-Siebeck, Tübingen 2006, pag. 99.
2
di religione dell’Eros)... San Paolo e Lutero optavano per la prima forma di religione
(e di erotismo).“2
Tuttavia, il panorama della Riforma è molto vario e non è possibile rendere
conto in breve delle differenziazioni, rispetto alla questione „erotica“, dei vari filoni
confessionali. Certo è che la piú marcata sessuofobia di Calvino e la rigida morale di
Zwingli condussero da un lato ad una laicizzazione della sessualitá (e del
matrimonio), ma dall’altro, con l’istituzione della Magistratura del Matrimonio, si
instauró nelle cittá riformate, ad esempio Basilea e nella Zurigo di Zwingli, una vera
e propria „dittatura“ dei costumi e uno stato di polizia nei confronti dell’Eros. Una
dittatura che sostituí la ben piú lassista politica nei confronti dei reati contro il
costume e la morale degli organismi cattolici. Tanto che:
„Crebbe la volontá delle istituzioni di potere di ingerirsi nei conflitti interni
dei coniugi e di controllare cosí la famiglia come organismo elementare della societá
[...] Le Chiese riformate svilupparono una politica della morale che mirava a
tracciare una netta linea di confine tra comportamenti legittimi ed illegittimi, che
criminalizzava in modo sempre piú severo tutte le forme di sessualitá extramatrimoniale; e cosí concentrava le sue energie nella lotta contro tutto quello che
veniva definito come fornicazione, lascivia, scostumatezza (Unzucht).“ 3
Non è neppure il caso di dire che, sulla falsariga della politica di Zwingli a
Zurigo, a Basilea col riformatore Johannes Oekolampad e ancor di piú a Ginevra con
Calvino, si determinó una vera e propria repressione dei reati sessuali, il che condusse
ad una „fuga dall’eros“ nella vita pubblica. Ad Augusta tra il 1537 e il 1546 fu
istituito un Magistrato del „Buon Costume“, mentre a Costanza4 si seguí l’esempio
calvinista di Ginevra:
„In sintonia con questo orientamento repressivo della politica del costume e
della sessualitá... non stava tanto a cuore favorire e consolidare rapporti armoniosi
di coppia, ma imporre la concezione di una sessualitá ordinata e regolata ed
emarginare inesorabilmente tutte le forme di sessualitá illegittima (...) Nella seconda
metá del Cinquecento si arrivó generalmente a una focalizzazione dell’attenzione
delle autoritá secolari sulla giurisdizione restrittiva, che si evolse nel senso di una
politica della morale progressivamente sempre piú repressiva...“ 5
Sul versante cattolico, la Controriforma cercó di adattarsi alla nuova „forma
mentis“ sessuofobica della Riforma. Tant’è che, dopo il Concilio di Trento, i
„Tribunali Matrimoniali“ sorsero pure in cittá cattoliche come Monaco di Baviera.
L’inquisizione e la caccia alle streghe comportarono, alla fine del Cinquecento e per
tutto il Seicento, una forma violenta di misoginia: la tentazione erotica fu equiparata
ad un’opera diabolica e la donna fu vista come strumento di Satana.
Tuttavia, almeno fino al Concilio di Trento, la Chiesa cattolica non consideró
l’espressione della sessualitá come fonte di scandalo e offesa a Dio. Il teatro è la
cartina di tornasole di questa situazione: infatti nel 1521 debutta con successo una
commedia erotica di Machiavelli, „La mandragola“ cui fa seguito nel 1525 la
rappresentazione - addirittura a Roma - del capolavoro erotico di Pietro Aretino „La
cortigiana“. Lo stesso Aretino è poi l’autore dei componimenti pornografici con cui
si dilettavano il clero romano e lo stesso papato!
2
Walter Shubart, Religion und Eros“, Beck Verlag, München 1944, pag. 142. cfr. anche Max Josef Suda, „Die
Ethik Martin Luthers“ Vandenhoeck & Ruprecht Verlag, Göttingen, pag. 164.
3
Susanna Burghartz, „Tribunali matrimoniali nell’Europa della Riforma: Svizzera e Germania meridionale“, a
cura di S. Menchi e D. Quaglioni, Il Mulino, Bologna, 2006, pag. 214.
4
cfr. Beate Schuster, „Die freien Frauen“ Frankfurt a. M. 19.
5
S. Burghartz, cit., p. 214.
3
Ecco allora che nel Cristianesimo si apre una diaspora, tra mentalitá cattolica e
mentalitá „riformata“, a proposito della sessualitá e della ricchezza, su quale sia il
„vero“ peccato: quello „originale“ (il sesso) o quello „capitale“ (economico)?
I- Faust e il suo tempo.
Con l'invenzione della stampa - una sorta di coronamento del sogno
dell'Umanesimo - nella cittadina tedesca di Mainz da parte di Gutemberg (1448
circa), ha effettivamente inizio l'era moderna caratterizzata dalla diffusione della
conoscenza e delle idee. Contemporaneamente la scoperta delle Americhe del 1492
avvera la speranza rinascimentale di allargare la conoscenza e i confini umani del
cosmo e del creato. Sono del resto gli anni di Leonardo da Vinci e Michelangelo che
inseguono il miraggio di dominare la natura. Le esplorazioni, le invenzioni e i primi
progressi scientifici mettono in discussione persino l'idea geocentrica dei secoli
precedenti: la rivoluzione copernicana del 1513, pubblicata nel 1543, rende dunque
possibile una prima spiegazione matematica e razionale dell'origine e destino del
cosmo.
Tutto ciò comporta maggiori esigenze di libertà economiche, politiche
(nonostante una situazione generale complessa, spesso confusa) e religiose
dell'Europa che si sottrae con la Riforma luterana al dominio temporale e spirituale
della Chiesa di Roma.
Nel giro di pochi anni, dunque, tra il 1448 e il 1525, in Germania succede di
tutto: a Mainz, Gutemberg inventa la stampa, ad Heilsberg nasce la teoria eliocentrica
di Copernico e, contemporaneamente a questi eventi, prende avvio la Riforma
luterana. Senza contare l'invenzione della polvere da sparo e delle armi da fuoco che
rendono possibili nuove tecniche di guerra e di sterminio di massa. Ma anche altri
grandi avvenimenti, come accennato. gettano benzina sul fuoco della ricerca e
dell'indagine scientifica, medica, geografica. Insomma, tra la fine del '400 e la prima
metà del '500 cambia radicalmente la concezione dell'uomo e del "suo" mondo.
Comincia l'era del progresso tecnologico e scientifico, ma anche del dibattito
politico-religioso con la diaspora del Cristianesimo nei paesi riformati del nordeuropa.
Molti sono i fattori economici e sociali che sostengono e talvolta impongono i
cambiamenti culturali. Fra tante invenzioni e novità, è proprio la straordinaria
innovazione tecnica della stampa a permettere, nel mondo germanico, la diffusione
di una nuova lettura ed interpretazione delle Sacre Scritture da parte di Martin Lutero
(1483-1546). La pubblicazione delle 95 Tesi (1517) di Lutero segna il primo passo
della Riforma protestante, un movimento spirituale e sociale che oltre a portare alla
liberazione dai vincoli della Chiesa romana, rappresenta una affermazione di
autonomia della coscienza cristiana da qualsiasi rimorso e senso di colpa nei
confronti dell'accumulazione e del benessere. La ricchezza personale viene infatti
giustificata da Lutero come segno della benevolenza divina nell'ambito della teoria
della predestinazione, teoria che spazza via la pratica e il commercio delle bolle e
delle assoluzioni con cui i ricchi, prima della Riforma, speravano di acquistarsi un
posto in cielo.
Gli eventi e le novità dell'inizio dell'era moderna, cioè la fine del XV secolo,
comportano, comunque, una conseguenza pratica: lo sdoganamento della
problematica della conoscenza da un punto di vista religioso, - anche se la strada sarà
ancora lunga e dolorosa attraverso la Controriforma, il Concilio di Trento (15451563) e il secolo dell'Inquisizione. Fatto sta che la ricerca scientifica e l'indagine dei
segreti della natura comincia ad essere percepita, nel tempo della Riforma, come
un'impellente necessità di emancipazione e di libertà individuali ed esistenziali. Il
nuovo credo nella scienza che, agli albori dell'era moderna, pretese - con qualche
forma di esagerata esaltazione - di potersi sostituire alla fede senza considerare tutti i
limiti umani e tecnologici dell'indagine scientifica, procurò altresì crisi di coscienza,
dubbi e depressioni di fronte alla difficile intelleggibilità della Natura, che parve
volersi nascondere alla ricerca e alla ragione. Di qui la frustrazione degli uomini di
4
scienza che indusse, in qualche caso, al tentativo di annullare il gap nei confronti dei
segreti del creato col ricorso alle arti magiche e all'esoterismo.
È in questa zona d'ombra, di passaggio tra i cosiddetti secoli bui e l'era
moderna, in cui la scienza anche grazie all'Umanesimo e al Rinascimento riprende
slancio dopo millenaria stasi, è in questa fase transitoria dunque che fa capolino nel
mondo tedesco avviato alla Riforma, una figura di scienziato insoddisfatto e disposto
a tutto pur di penetrare e "possedere" i misteri del creato: il celebre Doctor Faustus.
Infatti, nella penombra del suo studio gotico lo scienziato-alchimista tedesco non
invoca inizialmente il diavolo, bensì maledice il giorno in cui ha cominciato ad
occuparsi di scienza per non approdare a niente di concreto, sperperando così
un'esistenza che avrebbe potuto altrimenti godere.
È in questo abisso di impotenza e di disperazione che il diavolo lancia la sua
sfida promettendo al vecchio Doctor Faustus di fargli recuperere tempo e piaceri
perduti. Insomma, un'altra giovinezza e una nuova vita da godersi fino all'apice del
godimento dei sensi, visto che il piacere della conoscenza, il dominio della natura
dal punto di vista scientifico, comporta anche un lato di forte sensualità erotica, come
bene spiega la simbolica "mela" biblica. E il primo desiderio di Faust, una volta
rigenerato e ringiovanito, sarà proprio quello di possedere sessualmente prima la
povera Margherita e poi, ambiziosamente, addirittura lo spirito di Elena di Troia!
5
II - Faust e Lutero
La genesi del mito di Faust e del suo patto col Diavolo risale alla fine del
1400. agli albori della Riforma e contemporaneamente all'invenzione della stampa.
Naturalmente Faust è una figura leggendaria, ma bisognerebbe domandarsi se la
leggenda abbia qualche attinenza con elementi reali e persone del periodo in
questione. In primo luogo, vanno evidenziate alcune "strane" coincidenze. La prima è
relativa al nome di Faust. Analizzeremo nel prossimo capitolo l'etimologia del nome,
ma è sorprendente che il principale collaboratore di Gutemberg nell'invenzione della
stampa si chiamasse Fust, quasi come il leggendario Faust, con una variante che
sembra fatta apposta per depistare. Fust è del resto un personaggio abbastanza oscuro.
Egli lavorò all'ombra di Gutemberg, provocando all'inventore della stampa anche
qualche spiacevole inconveniente, come una situazione economica fallimentare che
quasi bloccò e comunque ritardò l'esordio della macchina stampatrice. Ma la
stranezza consiste nel fatto che tra Faust e l'invenzione della stampa c'è una relazione
stretta. Infatti, nel "Faust -Zweiter Teil" (1808-1812) di Goethe è proprio Faust a
servirsi della stampa per risolvere i suoi problemi economici ed esistenziali. Come?
Inventando e cominciando a stampare carta moneta, cioè banconote. Su consiglio di
Mefistofele, Faust inventa il primo Istiotuto Poligrafico e Zecca di Stato della storia!
Il Doctor Faustus avrebbe dunque un Doppelgaenger in carne ed ossa nel
collaboratore di Gutemberg, cioè colui che con la sua invenzione contribuì alla
diffusione delle idee di Martin Lutero. Ma perfino in questo caso si incappa in una
curiosa circostanza: anche Martin Lutero viene chiamato "dottore" e, identicamente
al suo collega Doctor Faustus, è famoso per il caratteraccio. Celebri sono i suoi
accessi di ira dovuti a rabbia, frustrazione ed impotenza causati anche da una
tremenda stitichezza che lo costringeva nelle ore notturne a dolorose sedute con
imprecazioni e grugniti degni dell'incipit del poema goehiano.
Impressionanti sono le somiglianze caratteriali tra i due "dottori" della storia
tedesca. Il leggendario Faust viene sempre descritto come un "musone" animato da
eccessiva considerazione verso se stesso, tanto da illudersi di poter gabbare il diavolo
in persona e farla franca con Dio. Martin Lutero non fu da meno nella presunzione
personale, nell'autostima e nella facile e spocchiosa condanna del prossimo. Tuttavia,
oltre a questa forma di megalomania egocentrica, ambedue, Faust e Lutero, denotano
una tendenza psichica maniaco-depressiva. Tendenza che si manifesta sotto forma di
estrema irritabilità, suscettibilità e, soprattutto, contraddittorietà nel comportamento e
nelle decisioni che vengono di volta in volta prese ed annullate col rischio della totale
inazione:
"Per Lutero non esisteva nulla di deciso... L'istinto principale del suo
carattere è dominato dall'impulsività... Lo studioso delle sue opere inciampa
costantemente nelle contraddizioni". 6
Nel poema di Goethe, Faust è spesso rappresentato come un isterico pronto a
tornare sui suoi passi dopo aver preso una decisione, oppure come uno spirito
indeciso caduto in depressione per l'incapacità di agire che lo rende abulico come
nella scena "Alta montagna". Qui Faust è dapprima in piena prostrazione psichica e
medita addirittura il suicidio ("tutti gli abissi della solitudine mi si aprono sotto i
piedi"); ma poi, con un salto, rivendica l'azione totale e pretende il tutto o niente dal
diavolo. Il quale, avendo precedentemente intuito nello stato d'animo del suo protetto
i segni della depressione piu' nera, cerca di scuoterlo. Senonchè Faust, come uscendo
da un sogno, balza in piedi e sbraita come un esaltato:
FAUST: Sciocchezze! Nel mondo intero
c'è ancora tanto posto per la gloria.
Deve succedere qualcosa, per davvero!
Mi sento in vena di riscrivere la storia.
6
Horst Hermann, "Martin Luther - eine Biographie", Berlin 2003, p. 15.
6
(trad. Enrico Bernard)
Non finisce qui. La strana serie di concomitanze prosegue dal punto di vista
geografico. Nel 1512 Martin Lutero ottiene una cattedra in teologia a Wittemberg.
Dal momento che la nascita di Faust - secondo lo "Spiessische Handbuch" del 1587,
- prima testimonianza letteraria del mito faustiano - viene segnalata "intorno" al 1480
nella città di Wittemberg (Wuettemburg?), va da sé che tra Lutero e Faust vi siano
alcune, forse troppe analogie, che trovano puntuale conferma anche sul piano
biografico dei due personaggi. L'anno di nascita di Lutero è incerto, databile da alcuni
documenti e testimonianze "intorno" al 1483, però:
"Lutero si è piu' volte espresso circa la propria età e circa l'anno effettivo
della sua nascita che dunque oscilla secondo fonti ufficiali tra il 1482 e il 1484... ma
Lutero contestava queste date... sostenendo che lo si voleva ringiovanire per forza". 7
Il sospetto è che l'anno di nascita di Faust e di Lutero coincidano quasi come
se nel mito letterario di Faust entrassero elementi biografici (o autobiografici? l'interrogativo è d'obbligo) disseminati come rimandi e segnali di una vita veramente
vissuta: quella del padre della Riforma. Il quale, nell'elaborare la sua "creatura",
Faust, a propria immagine e somiglianza potrebbe averla battezzata con un nome
noto dell'epoca e a lui in qualche modo "vicino": il collaboratore e socio in affari di
Gutemberg, per l'appunto Fust, che Lutero doveva ben conoscere almeno di fama. C'è
un ulteriore particolare non insignificante: Fust aveva fatto in modo che Gutemberg si
indebitasse con lui, un'operazione di strozzinaggio vera e propria, forse finalizzata
allo sfruttamento della macchina stampatrice. Ora, Lutero discendeva da una famiglia
di origine contadina, poi imborghesitasi. Egli quindi conosceva il problema
dell'indebitamento delle campagne tedesche nei confronti degli strozzini delle città
durante il periodo della crisi agraria della seconda metà del '400. Indebitamento che
provocò non poche conseguenze anche corporali al ceto contadino. Di conseguenza,
la scelta del nome "Fust", probabilmente poi diventato "Faust" nelle trascrizioni,
rappresentava uno dei giochi di parole che il giovane Martin Lutero tanto amava. È
bene allora sapere che Martin Lutero amava la tradizione orale e la narrativa
popolare, i racconti stravagani, i giochi di parole, e i cosiddetti "Tischgespraeche" i
discorsi improvvisati - alla cui arte dedicò anche un'opera filosofica - e le fiabe:
"I suoi primi contatti nell'ambito della vita familiare col patrimonio narrativo
della tradizione popolare lo accompagneranno per tutta la vita. <Adoro le storie
stravaganti, - avrà modo di dire lui stesso, - che ho appreso nella mia dolce infanzia
o come esse mi sono successivamente pervenute, tanto che non me ne priverei per
tutto l'oro del mondo>. Le favole del mondo contadino saranno da lui lodate come
veicoli ed esempi di astuzia della ragione, al fine di sputare < la verità in faccia ai
potenti>. Lutero conosce bene fiabe come Frau Holle o Schlaraffenland, gli
indovinelli lo divertono, cosìcome le canzoni d'amore popolari assumono ai suoi
occhi un valore particolar... lo appassionano quei racconti i cui autori si schierano
al fianco del <nobile popolo> esponendo il sistema feudale ed il clero con le corti
nobiliari ad aspre critiche."8
Lutero si dilettava coi giochi di parole, al punto di fare oggetto di rebus e
scherzo linguistico il suo stesso cognome, da lui fissato definitivamente solo nel
1512, da "Eleutherius", latinizzazione delle forme barbariche Lodder, Lutter,
Lauther, Loder ecc. con cui si firmava la famiglia. Questo gioco linguistico tra il
nome latino (Faustus deriva appunto dal latino) e la "germanizzazione" (Faustus-FustFaust) dovette divertire un mondo il padre della Riforma!
Un altro elemento autobiografico che accomuna la vita di Lutero al mito
letterario di Faust è rappresentato dal tema del "patto" con l'aldilà. Lutero infatti
7
8
Horst Hermann, "Martin Luther - eine Biographie", cit. p. 13.
H. Hermann, cit. pp. 19-20.
7
stringe un "patto con Dio" - il giuramento ecclesiastico, - patto che diventa per lui
una vera e propria ossessione vissuta con rimpianto, rabbia e disperazione. Horst
Hermann racconta l'episodio della scelta monastica del giovane Lutero che, sorpreso
in una notte del 1505 da una bufera, spaventato da tremendi fulmini, invoca i Santi
promettendo a Dio di farsi monaco pur di avere salva la vita. A quel giuramento
Lutero terrà fede ma, come Faust fa con Mefistofele, cercherà ripetutamente e
inutilmente di dichiararlo nullo perchè stipulato con l'inganno celeste. Ecco che il
dottore in Giurisprudenza Lutero e il suo collega di ermellino Faust si giocano la
partita dell'anima nel tribunale divino a suon di malintesi, retromarce e furbate!
A questo punto, ci sarebbe davvero da chiedersi se l'autore originario del mito
faustiano non sia proprio Martin Lutero. Questa tesi è peraltro insinuata da altri
studiosi. Trattando dell'influenza e della trasposizione del mito faustiano nelle culture
nordeuropee, Finlandia e Svezia, Mariannelli Sorvakko-Spratte in una dissertazione
tenuta all'università di Flenseburg nel 2007 e pubblicata online dal titolo Il patto col
diavolo di Faust nella letteratura tedesca, finlandese e svedese centra il nocciolo
della questione:
"Una delle differenze piu' evidenti tra la leggenda tedesca e quella finnica di
Faust consiste nel legame tra Faust e Lutero. Queste personalità tra loro
cosìdifferenti vengono rappresentate, nella tradizione scandinava, addirittura come
fratellastri. Come si arriva a questo accostamento? In Germania una simile idea
sarebbe quasi sacrilega. Anche se la leggenda di Faust risale al tempo di Lutero, in
Germania si ritiene che tra loro non vi sia alcuna stretta parentela. In effetti l'unico
collegamento tra Faust e Lutero sta nel fatto che nei "Tischreden" Lutero chiama in
causa per ben due volte Faust. Faust e Lutero condividono il concetto che il Papato
debba essere spazzato via dalla storia. - Ma basta questo a considerarli parenti
stretti?"
L'interrogativo della germanista finlandese è retorico, rappresenta piu' che
altro un atto di cortesia nei confronti della germanistica tedesca - ospitante la
dissertazione su citata - che per secoli ha girato attorno al tema del faustismo di
Lutero sminuendone la reale portata per comprensibili motivi di rispetto religioso.
Rudolph Hartmut9, ad esempio, la cava ipotizzando che nella leggenda di Faust
potrebbero essere stati utilizzati pensieri e brani di opere di Lutero. In realtà, da
numerosi passaggi del poema di Goethe e dal Faust-Leverkuehn, il "diabolico"
musicista che Thomas Mann rappresenta come figlio di un pastore luterano,
sappiamo quale stretta parentela unisca Faust al suo inventore Martin Lutero. Tracce
di questo rapporto si trovano persino nel dramma teatrale "Luther" di Osborne e, piu'
recentemente, della tragedia di Peter Ries "Faust und Luther" andato recentemente in
scena allo Schauspielhaus di Stuttgart.
La germanistica tedesca, per la verità, ha sminuito la portata di un tema - il
patto col diavolo nella tradizione luterana - che è invece di ampia portata. E ciò
indipendentemente dal fatto che sia stato Lutero, materialmente, ad inventare di sana
pianta il mito di Faust, o se invece il padre della Riforma abbia ripreso alcune storie
tardomedioeveali; oppure se, come sostiene Rudolph Hartmuth, sia stata la tradizione
orale faustiana, pervenuta a Spiess dopo la morte di Lutero, ad inserire parole e
pensieri del riformatore tedesco in una vulgata popolare-grottesca. La constatazione
che il mito di Faust non abbia avuto fino ad oggi alcuna significativa prosecuzione
nelle letterature francese, italiana e spagnola (con le eccezioni di un più recente
"Faust" del portoghese Pessoa e il dramma musicale "La damnation de Faust" di
Gounod), è indicativa della sfera culturale-religiosa in cui ci muoviamo. Infatti, a
partire dalla letteratura inglese del periodo elisabettiano del '600, col "Faust" di
Marlowe, il patto col Diavolo accompagna la diffusione dello spirito della Riforma
nei paesi nordeuropei e in quelli anglosassoni. Faust rappresenta quindi un problema
ed un prodotto del luteranesimo e della mentalità religiosa del tempo:
9
Cfr. R. Hartmuth, in "Das Faustbuch im Kirchengeschichtlichen Zusammenhang", Berlin s.d., p. 42.
8
"Il diavolo e Dio erano due facce della stessa medaglia e procedevano in
piena sintonia, al punto che il passaggio da un estremo all'altro non incontrava
intoppi. La credenza in un Satana personale, quale incarnazione del Male nel
mondo, con cui si poteva persino stringere un patto per ottenere benefici, onori e
vantaggi... fa parte di un arcaico patrimonio culturale. Martin Lutero non riuscirà
mai a liberarsi da questi retaggi. Al contrario ne sarà sempre condizionato." 10
Hermann non cita mai direttamente Faust. Esistono, tuttavia, alcune
significative analogie tra il mito di Faust e lo spirito della Riforma luterana. In
questo caso ci soccorre il noto trattato di Max Weber "L'etica protestante e lo spirito
del capitalismo" (1922). Riassumendo in grandi linee, Weber individua nel concetto
di "predestinazione" formulato da Lutero, un fondamento etico e spirituale che
giustifica e "salva" l'accumulazione capitalistica e la ricchezza condannata dal
cristianesimo. L'uomo è, nel senso della Riforma, predestinato alla sua condizione
sociale: la ricchezza non è altro che una manifestazione della benevolenza divina.
Secondo Max Weber, insomma, la Riforma rappresenta il motore ideologico della
formazione di una ricca borghesia tedesca, indipendente dalla Chiesa cattolica e non
più costretta a comprarsi il paradiso e un posto nell'aldilà per scontare il peccato
dell'opulenza. Naturalmente il problema della ricchezza è centrale - come vedremo tra
poco - nel mito faustiano, al punto che, come accennato, Goethe attribuisce a Faust.
in complicità con Mefistofele, l'invenzione della banconota, cioè del sistema
finanziario capitalistico moderno. Al punto che Faust e Mefistofele compiono la
"genialata" di creare un'immensa fortuna di carta basata sul nulla dell'inganno
finanziario. Il loro ragionamento è semplice: dal momento che si presuppone che il
sottosuolo del regno nasconda immensi giacimenti d'oro, perchè allora non stampare
fogli di carta, anzichè scavare per cercare il metallo prezioso, per un corrispettivo
valore in oro che un eventuale portatore potrebbe sempre richiedere? Nasce,
insomma, la truffa del denaro che simula un inesistente controvalore di un metallo che
peraltro non serve a niente. Ecco che l'illusione finanziaria del capitalismo moderno
ha, guardacaso, proprio in Fust (responsabile dei guai economici di Gutemberg e
socio nell'invenzione della stampa) e in Faust (responsabile dell'invenzione del
denaro stampato) i due principali artefici.
III - Faust e il "faustismo".
Il Doctor Faustus nacque, come sostiene la leggenda popolare, intorno al 1480.
Luogo di nascita di questo spregiudicato, dotto protagonista del patto col diavolo:
incerto, anche se viene indicata la cittadina di Wittemberg nella regione Wüttemberg.
Si sostiene anche che sia in realtà originario di Knittlingen, piccola località della
stessa regione. Faust potrebbe infatti dovere il suo nome alla tradizione nobiliare di
usare il toponimo latinizzato del luogo di orgine al posto del cognome. Di qui
"Faustus", forma latina del termine germanico "Knittel" (clava), la cui radice
etimologica si ritrova per l'appunto nel nome della cittadina di Knittlingen. Faust
significa "pugno" nel moderno vocabolario tedesco, cioé quella parte a forma di
pugno che si trova all'estremità di una clava.
Alla leggenda di Faust, che pretendeva di conoscere la magica formula per
trasformare il carbone in oro zecchino - e per questa sua immeritata fama pare che
avesse addirittura ricevuto la visita del re di Francia, in cerca di facili introiti per
finanziare le imprese militari del regno, - si ispirò un libro francofortese del 1587 dal
titolo "Spiessische Handbuch", dal nome dello stampatore Spiess.
Un'altra versione della storia di Faust e del suo infernale patto, quella di
Widmann del 1599, è poi di notevole interesse in quanto rappresenta un'anticipazione
di ciò che nella versione goethiana dello "Urfaust" (1778) - prima stesura del "Faust
Erster und Zweiter Teil" (1802-1808) - diventerà la cosiddetta "tragedia di
10
H. Herrmann, cit., 24.
9
Margherita". Fu infatti Widmann a narrare per primo gli amori di Faust, il quale si
sarebbe appunto invaghito di una giovane popolana inducendola alla rovina.
Da queste prime storie, pubblicate come vere biografie nell'intento di mettere
in guardia il lettore cristiano contro le tentazioni diaboliche della sete di sapienza e
del raziocinio (il che rientra, come abbiamo visto, nel quadro mistico della Riforma),
il mito di Faust si trasforma in un capitolo dell'ideologia tedesca
Così il mito faustiano ha resistito alla corrosione e alla polvere dei secoli per
seguire la storia, almeno quella tedesca, fino all'epoca attuale. In questa storia anzi
sembra proprio che il diavolo ci abbia messo il suo zampino! Non vogliamo affrontare
il controverso, e già fin troppo discusso argomento del rapporto irrazionalismonazismo, nonché la questione dell'aspirazione demoniaco-faustiana, esoterica e
mistica, dello stesso Hitler. Il riferimento è, piuttosto, alla rivoluzione economica del
capitalismo che ha origine nel '500 con l'invenzione dell'imbroglio della carta moneta
che, sono parole di Goethe, rappresenta la vera natura del patto col Diavolo. Infatti, è
da questa trasformazione che nasce l'alienazione spirituale dell'uomo determinato solo
dal suo "valore finanziario" che ne mercifica la personalità. Sarebbe fin troppo
scontato citare Marx parlando di alienazione, preferiamo invece vedere in Faust un
simbolo letterario evidente del "malessere sociale" dell'uomo considerato solo come
individuo economico e non come "persona". È questo il significato del patto col
Diavolo come ci viene descritto dallo "Spiessische Handbuch" del 1587 che ne
riporta fedelmente il testo:
"Il Dottor Faust fece scorrere il suo sangue in una ciotola, la pose sui carboni
ardenti e scrisse:
Io Johann Faust, dottore, dichiaro e confermo pubblicamente quanto contiene
questa mia lettera autografa: dopo aver intrapreso lo studio degli elementi, con le
mie sole doti naturali, quelle che mi erano state benignamente concesse dall'Alto, non
trovando in me stesso tale capacità e non potendola avere dagli uomini, ho fatto voto
di sottomissione allo spirito che ha nome Mefistofele, suddito del Principe degli Inferi
in Oriente, e l'ho scelto affinché mi istruisca e m'insegni tali cose. Lui a sua volta si è
obbligato nei miei confronti ad essermi sottoposto ed ubbidiente in tutto e per tutto. In
cambio io gli prometto e giuro che, una volta trascorsi 24 anni dalla data di questa
lettera, egli potrà fare di me ciò che vorrà a suo piacimento, avrà potere sul corpo e
sull'anima, sulla carne e sul sangue fino all'eternità. Con questo patto io rinuncio a
vivere come tutti i miei conterranei, alle forze celesti e ai miei simili in genere, e così
sia. Per rendere definitivo il patto e per dargli maggior forza ho redatto questo
contratto con la mia propria mano avallandolo col mio proprio sangue ed affermo di
averlo stilato in pieno possesso di tutti i miei sensi. Firmato, Johann Faust, esperto
conoscitore degli elementi naturali e della dottrina teologica".
La modernità ed attualità del mito faustiano sta nel contratto che Faust
sostiene di aver stilato "per renderlo definitivo e dargli maggior credito". Ciò
dimostra che ci troviamo al cospetto con un vero e proprio contratto notarile, - cosa
ben strana essendo in gioco il Diavolo e il Regno degli Inferi che hanno un valore
simbolico, per non voler dire spirituale. Si tratta forse di una normale compravendita
"borghese"? Sarebbe lecito domandarsi: che se ne fa lo spirito del male di un attestato
scritto? Potrà mai esibirlo in un tribunale, qualora a Faust saltasse in mente di non
rispettarlo? Insomma, se si tratta di un "patto spirituale", allora a che serve la formula
scritta? Il fatto che sia il Diavolo a costringere Faust a stilare il patto per farlo sentire
così obbligato al rispetto delle norme in esso contenute, non cambia le cose. Anzitutto
perché Faust crede che il "patto borghese" valga anche per il Diavolo e per il suo
spirito, come se non fosse nella natura del Principe degli Abissi contraddirsi e
rimangiarsi la parola. Certo è che Mefistofele stesso sembra convinto che, se Faust
non sottoscrivesse il patto, egli non avrebbe alcun potere su di lui. Quindi il contratto
non è un semplice espediente, un deterrente psicologico con cui il Diavolo intende
soggiogare Faust, bensì un vero e proprio atto "commerciale": io ti dò l'anima per
sempre in cambio del benessere e dei piaceri per un dato periodo.
10
Seguiamo l'andamento delle trattative che vede impegnati, sempre nella
versione di Spiess, i due contendenti Faust e Mefistofele:
"Il Dottor Faust pretese dallo Spirito ciò che segue:
Primo, che desiderava ricevere per sé e mantenere le doti, la forma e la
sostanza di uno spirito.
Secondo, la piena obbedienza e disponibilità dello spirito stesso.
Terzo, la sua sottomisione incondizionata come da un servo.
Quarto, l'immediata apparizione nella sua casa ogni qualvolta lo evocasse.
Quinto, l'assoluta invibilità dello spirito che non può manifestarsi ad altri che
a lui.
Sesto, ove fosse necessario mostrarsi, Faust avrebbe di volta volta indicato le
sembianze da assumere.
Lo Spirito rispose a Faust di accettare questi sei punti e di eseguire
prontamente ogni suo ordine ed in cambio pretendeva a sua volta il soddisfacimento
di alcuni desideri. Le condizioni poste dallo Spirio furono le seguenti:
Primo, che egli, Faust, giurasse di volergli appartenere in via esclusiva.
Secondo, di samcire questo voto, per dargli maggior valore, con un patto di
sangue, promettendosi così a lui.
Terzo, di dichiararsi nemico giurato di tutti coloro i quali credono in Cristo.
Quarto, di abiurare la fede cristiana.
Per contro lo Spirito concederà a Faust molti anni per realizzare i suoi
desideri, ma quando questi anni saranno trascorsi, Faust dovrà andare via con lui.
L'orgoglio e la superbia del Dottor Faust crebbero a tal punto che, sebbene
avvertisse in parte di aver peccato, non volle riflettere sulla salvezza della sua anima,
ma promise al Maligno di accettare tutte le sue condizioni. Pensò che il Diavolo non
fosse così nero come lo si dipingeva e l'inferno così bollente come si racconta".
Bisogna convenire che Faust non ha tutti i torti a prendere sottogamba
Mefistofele, considerando quindi la possibilità di svincolarsi dall'impegno. Un conto è
darsi anima e corpo al Diavolo in cambio di inauditi benefici; altro, questo il punto,
mercanteggiare, porre condizioni, puntualizzazioni e distinguo, accettare i
"desiderata" della controparte.Forse che un Dottore in giurisprudenza del calibro di
Faust, non pensi in questo frangente di riuscire a rescindere il contratto con qualche
cavillo al momento debito? Chi può spaventare ed atterrire un contratto così
"borghesemente" stipulato? E poi, in caso di rottura del contratto, che avrebbe potuto
fare il Diavolo, ricorrere al giudice civile? Protestare la cambiale di sangue?
Il XVI secolo, in effetti, segna l'inizio dell'accumulazione capitalistica che
dal Rinascimento, attraverso una progressione strutturale e storica vertiginosa, all'inizio individualistica, poi impersonale (la finanza societaria), quindi virtuale e non
più di "persone", il capitalismo "mordi e fuggi" delle multinazionali,- arriva ai nostri
giorni. Faust è un fuscello umano in questo mare che comincia a farsi tempestoso. Fin
dalle origini conquecentesche della sua leggenda, egli è, alla fine, solo un borghese
frustrato che non riesce ad emanciparsi né socialmente né economicamente. Ha
studiato sodo, ma non è ricco e potente come aspirerebbe. Inoltre, desidererebbe
essere totalmente libero come individuo, - il che lo trasforma in un "campione" dello
spirito del tempo in cui comincia a porsi il problema della libertà personale. Faust,
però non riesce ad essere né ricco né libero. L'indigenza lo costringe a cercare di
forzare le leggi della natura, a piegare l'alchimia ai suoi scopi egoistici al fine di
tramutare la materia in oro, cosa in cui, contrariamente a quanto sostiene qualche
voce, non gli riuscì. Altrimenti non avrebbe avuto motivo di scendere a patti col
Diavolo per fare i suoi "porci" comodi nella storia dell'umanità.
11
IV - Faust e il suo doppio "inglese".
Alla fine del '500 il mito di Faust trova dunque la sua prima ampia audience
teatrale in Inghilterra. Marlowe, pur mantenendo l'ambientazione dell'opera in
Germania, mette fin dalle prime battute in risalto l'aspetto privato del dramma di
Faust alle prese col solito problema della ricchezza.
"Diventa medico, Faust, ammucchia oro".
Fare soldi - anche per Marlowe - sembra dunque essere il chiodo fisso di
Faust, da qualsiasi latitudine lo si voglia prendere. Siccome poi deve accorgersi che
la società del suo tempo, la società non ancora uscita dal feudalesimo, è troppo
restrittiva nei confronti del nuovo spirito borghese che brama libertà (di far denaro),
eccolo inveire - sempre nell'opera di Marlowe - contro le istituzioni del XVI secolo:
"Di questo trattano le istituzioni
e il corpo universale delle leggi.
Ma quest'opera è degna del servo
a caccia di nulla, di gusci vuoti,
per me troppo servile e illiberale."
"Illiberale": è senz'altro l'aggettivo chiave per la comprensione dello spirito
borghese che vuole sfondare ogni barriera fisica e politica, spirito che comincia ad
albergare nel petto di faust.
"Tutto ciò che si muove tra i poli fermi
sarà ai miei ordini.
Imperatori e re
sono rispettati solo nei loro domini
né possono alzar venti o squarciar nubi.
Ma chi riesce in questo, il suo dominio
è grande come il pensiero dell'uomo
e un bravo mago è come un semidio."
A che cosa aspira dunque l'animo borghese di Faust? Ad essere più potente di
Imperatori e re i quali "sono obbediti soltanto nelle loro terre". Ben altro è il sogno
borghese di faust che rivendica la proprietà di "tutto ciò che si muove tra i poli". E
questa non è, forse, una anticipazione, sia pur inconscia, dello sviluppo colonialistico
che animò dai tempi di Marlowe in poi la borghesia europea, - ed inglese, in
particolare, nel quadro dei paesi "riformati"?
Mefistofele, il quale in fin dei conti è un buon diavolo poiché gli piace fare le
cose all'antica e poco ci si raccapezza con la "moderna" mentalità, non nasconde a
Faust i pericoli delle sue manie di grandezza. Così è proprio il diavolo a scorgere nelle
prospettive "di classe" di Faust il vero problema dell'umanità:
"Ma è qui l'inferno, non ne sono fuori".
È sicuramente emblematica la risposta del diavolo alla domanda di Faust che
vuol sapere come e dove sia l'inferno. Questo stesso mondo è infernale, il che non
rappresenta solo un'osservazione più o meno spiritosa da parte del diavolo, né un
richiamo ad una certa mistica medievale "finemondista", né una banalità del genere "il
mondo stesso è una valle di lacrime". Si badi bene che Mefistofele in questi passaggi
vuol essere serio e dire tutta la verità a Faust:
"Il Dio che servi è il tuo desiderio".
12
Ecco che cosa rinfaccia il Principe del Male al piccolo borghese, represso
dalla società feudale e frustrato nei suoi sogni di ricchezza. Anche in questo "Faust"
di Marlowe come in tutta la tradizione faustiana, Mefistofele non si accontenta di un
patto verbale, "inter nos", pretende invece la firma su un pezzo di carta poiché sa che
per il borghese Faust la firma è notarilmente e legalmente più vincolante della parola
e del pensiero, - come se Dio non leggesse nel pensiero e fosse sordo alla parola,
oppure testimone inattendibile, dato il conflitto d'interessi col socio di minoranza
Satana!
MEFISTOFELE Posso stare con Faust finché vive
se compra il mio servizio con l'anima.
FAUST
L'ho già perduta per averti.
MEFISTOFELE Ma ora devi farne un lascito formale
e firmare il contratto col tuo sangue.
Lucifero pretende questa garanzia.
In questo breve scambio di battute Mefistofele cerca di adeguarsi finanche nei
termini allo spirito borghese del suo diretto interlocutore: comprare, servizio, lascito
formale, firmare il contratto, garanzia. Qui non siamo alle prese con un Diavolo vero
e proprio, ma con una specie di funzionario di banca che risolve la questione della
totalità umana di Faust da un punto di vista esclusivamente economico.
V - Faust e Shylock.
Nel corso del '600 la leggenda di Faust si trasferisce armi e bagagli in
Inghilterra. Proprio grazie al successo del poema drammatico (1590 circa) del
drammaturgo inglese del periodo elisabettiano, Christopher Marlowe, Faust
sopravvive Oltremanica prima di tornare in Germania, nel '700, con tutte le sue
diaboliche peripezie. Una forte eco del tema del patto col diavolo è presente anche nel
"Mercante di Venezia" (1594 circa) di Shakespeare, dove il Male è sicuramente
rappresentato dal mercante giudeo Shylock. A causa della caratterizzazione razziale e
religiosa del personaggio di Shylock, viene da tempo rivolta un'aspra critica a
Shakespeare: l'accusa di antisemitismo ha qualche tempo fa pregiudicato addirittura
l'allestimento dell'opera in Israele. Non è nostra intenzione entrare in questa polemica,
anzi vogliamo scantonarla attribuendo a Shylock una caratterizzazione economicosociale, piuttosto che religiosa e razziale. Nell'opera di Shakespeare, atteggiamento
antisemitico a parte, Shylock è un mercante, quindi rappresenta una particolare classe
sociale veneziana, la borghesia, indipendentemente dal credo religioso.
I due protagonisti del dramma scespiriano, Antonio e Shylock, stipulano un
contratto che ha delle curiose analogie con il contratto diabolico tra Faust e
Mefistofele. Infatti Antonio rappresenta, col suo voluttuoso attaccamento alle sorti di
Bassanio, un interesse più o meno platonico camuffato da umanistici ideali di
amicizia, la contraddittorietà di Faust che si dà nobili scopi per poi, nell'animo,
navigare più basso al livello di istinti sessuali. Shylock, dal canto suo, è sicuramente
l'elemento mefistofelico della vicenda, - la quale non sarebbe poi tanto diabolica se
non ci fosse in ballo una libbra di carne umana. E vedremo che in questo caso il
sangue avrà un ruolo principale da un punto di vista giuridico, proprio come accade
per Faust che viene obbligato dal Diavolo a firmare per ben due volte col sangue il
patto.
In entrambe le vicende che vanno oltre ogni regola del mondo civile, è il
denaro a farla da padrone e a sottomettere i protagonisti: 3000 ducati per una libbra di
carne umana, ecco ciò che unisce Faust ad Antonio, Shylock a Mefistofele. Da una
parte occorre denaro per il compimento di scopi più o meno umanistici, la salvezza
dell'amato amico, dall'altra la rivendicazione della proprietà dell'uomo sull'uomo
sempre determinata dall'elemento economico. Il fatto che Shylock pretenda dal suo
debitore, caduto in difficoltà finanziarie, il pezzo di corpo che gli spetta da contratto,
13
anziché l'anima, non deve trarre in inganno sulla sua natura diabolica: secondo la
concezione ebraica anima e corpo sono tutt'uno, si fondono nel sangue, nel génos e
nella stirpe intesi come unità fisica e corporea del popolo di Israele. Pretendendo una
libbra di carne umana in caso di insolvenza Shylock punta dunque, così come
Mefistofele fa con Faust, all'anima di Antonio.
Possibile che Shakespeare, un secolo dopo la prima comparsa di Faust,
avvertisse la natura diabolica della mercificazione della personalità, tanto da
riprendere il tema del "contratto" col diavolo da un punto di vista così strettamente
economico? Bisogna concludere che anche per Shakespeare il Diavolo non è altri che
un mercante che si frega le mani di fronte alle catastrofi e disgrazie del prossimo ed è
pronto ad usare il denaro per ottenere ciò che vuole? Il ruolo del denaro assume un
valore sempre più centrale e simbolico: Faust se ne serve per concupire Margherita,
così come Antonio in cuor suo spera di fare con Bassanio. Al tempo stesso per
Mefistofele e per Shylock esso è uno strumento di dominio.
Antonio si dichiara disposto a prestare tremila ducati all'amico Bassanio, ma
non ne ha al momento disponibilità immediata essendo la sua fortuna legata ad un
commercio dall'Oriente. Commercio che non presenta rischi, a parte il viaggio della
nave che pare ormai in rotta sicura per Venezia. Pensa dunque di potersi far garante
per Bassanio nei confronti di Shylock, pur odiando con tutta l'anima il mercante ebreo
per la sua fama di strozzino. Shylock, intimamente offeso dal trattamento superbo,
accetta la garanzia personale offerta da Antonio senza peraltro pretendere interessi in
caso di ritardo od insolvenza. Chiede "solo" una libbra di carne del debitore qualora
non gli venisse restituito il denaro nel tempo dovuto. Una condizione tanto
improbabile quanto assurda e, apparentemente, inesigibile. Condizione alla quale
Antonio non dà appunto alcun valore giuridico. Sbagliandosi, però, poiché i contratti
"borghesi" quantunque diabolici sono, purtroppo per Antonio, vincolanti. E perché?
Perché c'è di mezzo il denaro, l'interesse economico che sottrae ai rapporti umani
l'elemento della natura (e del diritto naturale) e del sentimento, immettendo un fittizio
valore estraneo allo spirito - ma non al portafoglio delle persone. Così i rapporti
estremamente forti tra i tre protagonisti del "Mercante" sono al principio puramente
naturali: Antonio ama Bassanio e odia Shylock il quale a sua volta odia la superbia di
Antonio. Dal momento che qui tutti i rapporti sono basati su odio e amore, due
sentimenti assolutamente naturali, ecco che è proprio il denaro a compiere la tragedia
rendendo diaboliche le relazioni interpersonali. Il denaro, all'apice della sua potenza
disumanizzante, si trasforma nell'opera di Shakespeare in carne umana: denaro in
cambio di carne, ecco emergere l'aspetto mefistofelico di Shylock che pretende, con
ragioni giuridicamente sostenibili, la riscossione della sua macabra ipoteca.
E qui entra in gioco il sangue, sangue che funge da inchiostro indelebile per
Faust causandone la perdizione, ma che per Antonio invece gioca a favore. Perché
Shylock potrà prendersi la libbra di carne che gli appartiene, così sancisce la legge,
ma non dovrà far sgorgare alcuna goccia di sangue, in quanto il contratto non ne
prevede spargimenti. Il Diavolo insomma fa le pentole ma non i coperchi nell'opera di
Shakespeare. Opera che rappresenta, a nostro avviso, più un atto di accusa contro
l'avidità borghese che contro i giudei, visti sprezzantemente nella loro qualità di
mercanti e non di appartenenti ad una fede. Sostenere, insomma, che uno strozzino
cattolico è ripugnante in quanto strozzino, non può certo essere ritenuta un'offesa
contro la fede cattolica! E siccome esistono strozzini ebrei, cattolici, induisti e perfino
qualcuno ateo, è ovvio che voler leggere il "Mercante" solo come un oltraggio
razzista e non come una condanna sociale di un particolare sviluppo economico
risulta alquanto riduttivo.
VI - Il gran mondo borghese di Faust.
Le tre stesure da parte di Goethe ("Urfaust" del 1781, "Faust" del 1802,
"Faust Erster und Zweiter Teil" del 1808) rappresentano il banco di prova del nostro
tentativo di interpretare il mito come un fantasioso paradosso della condizione
dell'uomo moderno mosso da due pulsioni: materiale ed economica la prima, ideale e
morale - quindi relativa alla sfera della libertà - la seconda. Il concetto del "gran
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mondo borghese di Faust" è stato coniato da Lucàks nel saggio "Goethe e il suo
tempo".
L'Urfaust parte da un concetto filosofico venuto prepotentemente alla ribalta
nella seconda metà del '700 per trasformarsi nella prima metà del secolo successivo,
in Hegel e Marx, nel grande problema dell'era moderna: l'alienazione - dello spirito in
Hegel, dell'uomo nel lavoro in Marx. Nella prima versione del "Faust" di Goethe
siamo naturalmente ancora lontani dalla concezione marxista dell'alienazione storicoeconomica, ci troviamo bensì alle prese con le formulazioni dialettiche (Io-Non Io,
Essere-Natura) di carattere epistemologico (Kant). Tuttavia a questo piano teoretico si
aggiunge, nel sentimento del poeta che descrive il dramma interiore di Faust, una
concezione dialettica più avanzata che sembra voler precorrere gli sviluppi della
filosofia hegeliana. Faust percepisce, e ne soffre, il distacco dell'uomo moderno dalle
forze della natura. Il suo lamento è rivolto al problema della conoscenza da parte del
dotto che si sente irrimediabilmente scisso dal rapporto con la natura:
FAUST: "Come arrivare a te, o infinita Natura!?"
In questo verso c'è molto di più del grido di impotenza della scienza a capire i
misteri del creato, oppure dell'uomo appassito tra le carte polverose che ha perso la
"sensibilità" (altro tema centrale del tempo con Feuerbach) naturale. Con questo verso
Goethe comincia ad intuire il disagio umano, la problematica derivante da uno
sviluppo economico della società che deve ambiguamente essere tanto libera da poter
garantire non più solo la ricchezza, bensì un nuovo concetto di proprietà privata che
invece di "arricchire" (tutti) viene a "privare" (molti) di qualcosa. Su questo
argomento è necessaria una sintesi forzosa per non perdersi in discorsi infiniti: Hegel,
come vedremo, ha tentato una giustificazione "naturale" della proprietà privata
fondata sulla teoria dei bisogni. Essendo mio il bisogno (la fame, ad esempio)
secondo Hegel deve essere anche mio l'oggetto per soddisfare il mio bisogno. Per
Marx naturalmente tutto ciò è solo un astratto gioco di parole, poiché il bisogno, in
realtà, è comune al genere umano e di conseguenza anche l'oggetto del bisogno deve
essere condiviso. Per Max Stirner (esponente del cosiddetto "hegelismo di destra")
invece, ma parleremo successivamente de "L'unico e la sua proprietà", il discorso di
Hegel giustifica il ricorso alla violenza "privata" per impadronirsi
indiscriminatamente degli oggetti che soddisfano i bisogni del privato e singolo
individuo.
Naturalmente Goethe è al di fuori di questo dibattito filosofico-ideologico, ma
non è estraneo al suo tempo. Tutt'altro. Egli intuisce le difficoltà dello sviluppo
borghese sul continente europeo, sviluppo che porta in Francia ad una
sanguinosissima rivoluzione ed in Germania ad uno stato di polizia con l'allenza tra
borghesia e sistema feudale. Soprattutto nella primissima stesura del 1776, il "Faust"
di Goethe non può che muoversi nell'ambito del rapporto uomo-natura. Ma qui si
concretizza un paradosso che avrà conseguenze serie nell'evoluzione ideologica
goethiana e nel destino del suo poema. Infatti, conoscere la natura significa anche
possederla, il che è perfettamente in linea sia col senso comune (sapere è potere), sia
con le tesi idealistiche di Kant ed Hegel, secondo i quali l'Io si appropria letteralmente
dell'oggetto della conoscenza nell'atto stesso della percezione cognitiva.
Accennavamo pocanzi alla "Filosofia del diritto" del 1820 di Hegel in cui si
legge che: "gli oggetti dei miei bisogni sono anche oggetti della mia proprietà",
concetto con cui peraltro Marx concorderebbe in linea astratta se Hegel, col termine
"proprietà", non intendesse la "proprietà privata" in senso notarile. Secondo Marx
bisognerebbe piuttosto parlare della proprietà umana in senso generico. Il fatto è che
tutti, tranne Stirner, sanno bene che la conoscenza non produce proprietà privata,
bensì una facoltà intellettiva, e basta. Il dramma dell'Urfaust concerne allora
l'impossibilità da parte del protagonista di possedere il mondo attraverso la sua
conoscenza. Così mentre il piccolo-borghese di Stirner evoca lo spettro della violenza
personale e "privata" al fine di impadronirsi della proprietà che ritiene propria, con
un gioco di parole, ma che il diritto non gli assegna d'ufficio, nell'Urfaust il dottore
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evoca lo spirito al quale affida il compito di realizzare il suo naturale-umano, la sua
proprietà.
In questo contesto si inserisce, come si è più volte accennato, la questione del
denaro che rappresenta una costante del mito faustiano e del patto col diavolo fin dalle
sue antichissime origini. Una problematica che ovviamente trova anche nell'opera di
Goethe una forte attenzione fino alla geniale attribuzione al Diavolo dell'invenzione
della carta moneta.
Il denaro dunque risolve il primo problema di Faust: quello dei mezzi per
ottenere ciò che vuole, potere e proprietà. Egli infatti sfrutta al meglio l'invenzione
diabolica del sistema finanziario moderno creato dalla Carta Moneta, l'oro virtuale,
escogitata da Mefistofele che così fa cadere di fronte al "nuovo", al borghese Faust, le
barriere politiche opposte dalla società feudale. Mefistofele sa bene che la Carta
Moneta cambierà il destino dell'umanità rovesciando troni e sconvolgendo il mondo
millenario: tolte di mezzo le barriere feudali, ora Faust è finalmente libero di
realizzare il suo sogno borghese, secondo un piano molto semplice di emancipazione
personale: impadronirsi del mondo. E, con l'aiuto del diavolo, ci riesce senza ripudiare
l'antica legge del più forte, magari versando qualche lacrimuccia di coccodrillo
quando bisogna usare le maniere forti e mandare i sicari in qualche spedizione
punitiva, ad esempio contro i due vecchi Filemone e Bauci che non intendono cedere
la capanna nel bosco al prepotente capitalista.
Mefistofele, per fare un altro esempio, divenuto compagno inseparabile nella
costruzione di un porto pirata per i loschi traffici del suo padrone, non nasconde al
socio Faust la verità circa la natura dei suoi metodi:
MEFISTOFELE: Tutto sta in un colpo come si deve:
si pigliano navi come fossero pesci.
E se nel colpo di mano bene riesci
alla tua flotta tutti insieme si beve
perché nessuno potrà più resistere
a chi avendo la forza ha pure il diritto.
La conclusione del diavolo non necessita di alcun commento:
MEFISTOFELE: Guerra, commercio e pirateria
sono la Trinità dell'anima mia. (trad. Enrico Bernard)
VII - Faust e Peter Schlemihl.
Col passare dei secoli, si rivela sempre di più la dialettica interiore di Faust. La
sua natura positiva corrisponde agli ideali umanistici, di progresso scientifico e
sociale che hanno ispirato la società borghese dal Rinascimento. Lo spirito maligno,
altresì, rappresenta gli istinti egoistici insiti nella dimensione economica di questo
processo storico che porta la nuova classe sociale alla ribalta. In Faust, avido di potere
e proprietà, ma anche idealista irriducibile, trova posto l'angosciosa contraddizione in
sui si dibatte lo spirito borghese combattuto tra un bene (il progresso e il benessere di
tutti) e un male (la riduzione alla dimensione economica privata). La prima metà del
XIX° secolo è il periodo cruciale di questa problematica faustiana: Lenau, Grabbe e
von Chamisso si sono cimentati col grande protagonista della letteratura tedesca. In
particolare ad Adelbert von Chamisso, in una versione breve ma molto efficace del
"Faustus, frammento del 1806" 11 riesce l'essenziale sintesi ideologica del mito.
Il poemetto drammatico di von Chamisso si apre con l'apparizione dei due
spiriti, benigno e maligno, che non si presentano però in carne ed ossa, sono bensì le
"voci di dentro" della coscienza di Faust. Va detto che anche in Marlowe si propone
una situazione simile, tranne una fondamentale differenza: le presenze spirituali in
Marlowe sono tre, il Diavolo e i due spiriti "interiori" che si contendono la coscienza
11
A.von Chamisso, "Faust un frammenrto" in "Ariel" anno III nr. 1 aprile 1988 pp. 101-120 traduzione, cura e
note di Enrico Bernard.
16
di Faust. Il dialogo tra il fantasma del bene e il suo antagonista, il male, hanno perciò
soltanto il valore di un ragionamento dialettico che Faust fa tra sé e sé circa la
profferta di Satana.
Nel frammento di von Chamisso ci si imbatte in un'intuizione psicologica
rilevante: per l'autore non esiste un male "in sé per sé", il Diavolo è solo una
proiezione dei più bassi istinti dell'uomo quindi deve sparire dall'opera. Un Faust
senza il Diavolo! Un patto col Maligno senza il Maligno stesso! La sfida di von
Chamisso è di rappresentare esclusivamente una dimensione interiore dialettica, non
una favoletta religiosa più o meno edificante. Le intuizioni freudiane di questo piccolo
capolavoro della letteratura tedesca, che Thomas Mann ha definito di grande
importanza, sono evidenti. I due spiriti che compaiono a Faust rappresentano le
pulsioni inconsce da un lato e il controllo della coscienza dell'Io. È interessante
notare che il Male, in questa versione del mito, non è qualcosa di esterno, oggettivo,
ma l'inconscio alle cui pulsioni istintuali è la coscienza stessa di Faust ad opporsi
richiamandolo (inutilmente) alla ragione.
SPIRITO MALIGNO Dà pure libero sfogo ai tuoi desideri!
SPIRITO BENIGNO Faust, Faust!
SPIRITO MALIGNO Ora promettimi solennemente di ripagarmi
con l'anima e ti schiuderò i tesori della verità
ciò che l'uomo più desidera a te apparterrà.
SPIRITO BENIGNO Faust, Faust!
Ripudia, ripudia fortuna e imperi terreni!
L'estrema sintesi del poemetto trova più succulento sviluppo nel capolavoro di
von Chamisso "La strabiliante storia di Peter Schlemihl" del 1812, un romanzo
fantastico dove, ancora una volta, è cruciale il tema del patto col diavolo. Anche in
questa versione si tratta di un vero e proprio contratto borghese col male che genera
per il protagonista ricchezza, ma è pure infelicità. Il Diavolo si presenta sotto le
duplici spoglie di prestigiatore ed astuto mercante di ombre. Che sarà mai, l'ombra?,
pensa ingenuamente Peter che cede la sua in cambio di una borsa da cui sgorgano
inesauribilmente monete d'oro.
Fin dalle prime battute, il protagonista Peter è presentato come una persona
che ha un grosso problema nella vita, problema peraltro comune a molti: la mancanza
di denaro. Egli giunge infatti da lontano in una terra straniera, con pochi soldi ed un
biglietto di presentazione per cercare di ottenere un impiego. Si presenta a casa del
destinatario per recapitargli la busta con la raccomandazione nella speranza di
ottenere un lavoro, ma capita nel bel mezzo di una festa sontuosa. L'anfitrione lo
accoglie benevolmente, ma certo in modo alquanto curioso se non proprio sospetto:
non a caso tra i suoi ospiti c'è anche il Diavolo. Il discorso, dopo poche battute, cade
naturalmente sul tema del denaro. Il padrone di casa non ha dubbi sul fatto che "chi
non possiede almeno un milione è sicuramente un delinquente". Che cosa può
replicare il povero Schlemihl se non un candido: "oh, deve essere proprio così"?
I giochi sono dunque fatti fin dalla prima pagina, dal momento che il
protagonista si è accorto del suo dramma: la mancanza di denaro che corrisponde alla
mancanza di "proprietà". Chi non ha soldi non solo non possiede nulla, ma non ha
alcuna "proprietà" ossia "qualità" nella vita: la sua stessa persona non vale nulla. Così,
quando il Diavolo con fare sornione propone lo scambio dell'ombra - a che cosa serve
un'ombra? - con una fonte inesauribile di ricchezza, Peter non può che sottoscrivere il
contratto "borghese" che gli appare più come un gioco di società che come un vero
impegno. E quand'anche fosse impegnativo, l'ombra non è che una inutile appendice
al nostro essere, se ne può fare benissimo a meno. Peter si accorgerà ben presto di
aver ceduto, in cambio della ricchezza, nientepopodimenoche la sua umanità: infatti la
gente, vedendolo girare alla luce del sole senza proiettare ombra, intuisce di avere a
che fare con qualcosa di demoniaco, nessuno accetta le monete del Diavolo e così la
ricchezza non serve a niente: la proprietà "privata" diventa "privativa" per Peter, cioé
priva lui della partecipazione alla vita umana come persona.
17
Il romanzo di von Chamisso ha dunque un evidente significato storico e
politico. Esso rappresenta il dramma della società borghese che, in cambio della
certezza del profitto, tradisce i propri ideali umanistici, e si disumanizza. Perde,
insomma, metaforicamente la propria ombra, ovvero la capacità di avere una funzione
nella formazione della società moderna. La ricchezza esclude Peter dalla vita civile.
Che l'opera in questione sia la cartina di tornasole dell'epoca è dimostrato dal fatto che
ci troviamo in un periodo molto particolare della storia tedesca. Non a caso nella
Germania del primo decennio dell'Ottocento furono avanzati da alcuni circoli
intellettuali moderati diversi progetti politici che proponevano piccoli ambiti di libertà
alla borghesia. Queste idee vennero considerate addirittura rivoluzionare dal vecchio
regime: ci riferiamo ad esempio alla proposta costituzionale di Humboldt del 1806,
nella quale si ipotizzano minuscole sfere di autonomia per il ceto borghese. Cosicché
il problema principale per Peter Schlemihl, dopo aver risolto la questione
patrimoniale, è quello della libertà personale: la libertà di poter agire liberamente in
base alla ricchezza acquisita.
Schlemihl alla fine del romanzo usa i suoi poteri diabolici per fuggire con gli
stivali delle sette leghe dal "mondo borghese", dall'Europa e, in particolare da quella
Germania dove la borghesia firmò il suo mefistofelico patto col vecchio regime
feudale in cambio della tutela poliziesca della propria sfera economica. Tutto ciò
buttando a mare gli ideali di progresso e di una nuova società, come avvenne invece
in Francia nel 1789. La fuga risultò allora l'unica via di uscita per lo stesso von
Chamisso che nel 1815 si imbarcò con una spedizione intorno al mondo durata diversi
anni.
VIII - Faust e Amleto
Il dubbio "amletico" concernente l'azione pratica, l'incapacità di decidersi per
il bene o per il male, si riallaccia alla dialettica tra lo Spirito Buono e lo Spirito
Maligno che abbiamo visto nella prima versione drammatica del mito di Faust, quella
di Marlowe. La situazione psicologica si ripete nel frammento di von Chamisso. Essa
corrisponde all'ambiguità dell'uomo moderno, del borghese lacerato interiormente
perché nella sua coscienza morale si agitano due fantasmi: l'ideale umanisticolibertario di una classe che vuole rinnovare e migliorare il mondo e, dall'altra parte,
l'interesse economico che cerca di sopraffare gli altri e comunque di limitarli.
Faust cade in un'abulia decisionale, una forma di irrisolutezza e di dubbio
perenne sul da farsi, dubbio da cui scaturisce la coscienza del male e del peccato. Per
questo il personaggio di Goethe si salva alla fine dinanzi al tribunale divino solo
perché agisce, pur sbagliando, ma aspirando (Streben) a qualcosa. Al contempo, per
von Chamisso la dannazione di Faust dipende dal suo stato di incertezza in cui
l'essere, dubbioso e indeciso su tutto, non può certo risolversi a nulla di buono. Non
fare nulla, questo è l'ammonimento dei drammaturghi che si sono cimentati col mito
faustiano, è peggio che sbagliare.
Definiamo allora "amletico" lo stato di incertezza di Faust. Che c'entra
Amleto? In via molto generica ricordiamo che Marlowe è stato fonte di ispirazione, se
proprio non la controfigura in carne ed ossa di Shakespeare, come proposto da
qualche storico. Notiamo però, da un punto di vista meno biografico e più filologico
che Orazio annuncia ad Amleto la comparsa dello spettro del padre poco dopo il suo
arrivo da... Wittemberg. Ma che coincidenza! Non è forse Wittemberg in Germania il
paese di oigine di Faust e di docenza di Lutero? Certo è che il giovane principe, noto
per la sua inazione e perenne incertezza, riassume l'origine del proprio male
esistenziale accusando un contrasto interiore tra due forze: "Il buono e il cattivo
dipendono solo dal pensiero che li rende tali".
Non è certo un caso che Amleto ripeta questo concetto "faustiano" con la
parabola del verme che si è nutrito del corpo di un re: se un pesce si nutre di quel
verme e viene pescato da un povero, ecco che il povero si nutre col corpo del re. È il
pensiero e le sue associazioni mentali a rendere malvagio un fatto naturale. Il rapporto
Faust-Amleto consiste nella incapacità di entrambi di distinguere chiaramente tra bene
e male. Bene e male per entrambi non sono altro che costruzioni del pensiero, proprio
18
come i due Spiriti che nel frammento di von Chamisso si contrastano nell'anima di
Faust la cui natura, essendo a doppia faccia, razionale e istintiva, libertaria (per sé) e
liberticida (per gli altri), paradisiaco od infernale, non sa decidersi tra il doppio
nietzschiano di apollineo o dionisiaco, caricando di sensualità l'attività mentale e
razionalizzando le pulsioni istintive: il "Don Giovanni e Faust" del 1829 di Christian
Dietrich Grabbe esprime questa doppiezza in cui anche Kirkegaard legge gli elementi
dell'individualismo moderno. Un individualismo che, nella nostra interpretazione,
trova una stretta connessione con lo sviluppo ideologico della borghesia europea a
partire dl '500. Non a caso il Faust che fa soldi e conquista il mondo borghese della
seconda parte del poema di Goethe, è preceduto dal suo alter ego seduttore e
libidinoso, Enrico.
IX - Don Giovanni e Faust
Il patto col Diavolo di Faust si unisce dunque nella storia del pensiero
borghese all'altro grande mito dell'era moderna: Don Giovanni. Si tratta di due eroi
borghesi, per quanto ribelli. Infatti. la loro ribellione è individualistica, incentrata
esclusivamente sul raggiungimento del piacere fisico (Don Giovanni e il suo
sessismo) e del godimento estetico-morale (Faust e il suo problema della conoscenza).
In entrambi, è presente una forma edonistica di raggiungimento della personalità
umana a livello delle pulsioni e dei pensieri. Possiamo affermare che si tratta di due
facce dello stesso animo che condividono un comune problema: il denaro per fare i
propri comodi. Di qui la vita truffaldina di Don Giovanni, e il patto col Diavolo del
potere economico per Faust: gira e rigira si finisce sempre lì, al contratto borghese e
alla problematica della compravendita. Problematica presente anche nel dramma di
Grabbe come risulta dal dialogo tra Faust e il Cavaliere appena evocato, alias il
Diavolo che risponde alla sete di conoscenza infinita del suo intelocutore:
CAVALIERE Ti chiedo subito (ormai siamo intimi) poche gocce di sangue
per firmare il contratto. Ecco carta e penna!
FAUST Già pronto? Che organizzazione!
CAVALIERE (a parte) Avrai tutto il tempo di provarla.
FAUST (si taglia il dito, fa sgorgare il sangue e firma il foglio che subito
restituisce al Cavaliere). Ecco qua! Che formalità inutile!12
Perfino Faust si accorge dell'animo gretto e piccolo-borghese di questo
diavoletto che ha bisogno della firma sul pezzo di carta per concretizzare la
transazione diabolica dell'anima in cambio di... poco o niente poiché quello che viene
offerto a Faust dal Demonio è solo un consiglio: fa come Don Giovanni che si gode la
vita. Non c'era bisogno di vendersi l'anima per arrivare a questa forma di saggezza
epicurea!
CAVALIERE Caro dottore, vuoi sapere cos'è la felicità? La felicità è l'umiltà
del verme che spera ardentemente di fermarsi al limite estremo della sua resistenza;
felicità è la gioia che prova Don Giovanni (da cui hai tanto da imparare) quando
pensa al piacere senza danneggiare il meccanismo del suo stomaco. L'infelicità,
invece, consiste in quella debolezza spirituale che t'impedisce di digerire cibi sani in
terra e ti spinge a inseguire castelli in aria...
Naturalmente Faust non ci sta e reagisce con ira:
FAUST "Stupido, non mi dici niente di nuovo, conosco queste risposte. Per
chi mi hai preso?".
Alché il Diavolo, costretto suo malgrado a rispettare il patto, non ha niente di
meglio da offrire se non le grazie di una bella fanciulla romana:
12
C. D. Grabbe, Don Giovanni e Faust, Genova 1986 a cura e Trad. di E. Groppali, p. 38.
19
CAVALIERE Non ho alcuna difficoltà! Non hai bisogno di volare lontano...
se vuoi amare, se vuoi avere fede, innamorati di Donna Anna, la fanciulla più
affascinante di Roma! In questo caso avresti subito tutto perché chi ama spera e
confida, dubita e gioisce! 13
Naturalmente Faust non è ancora pronto a ridurre ai minimi termini la sua
volontà di potenza e così costringe il Cavaliere a dargli "tutto e subito" anche se
questo "tutto e subito", come gli suggerisce il Signore degli Inferi, non è niente.
Infatti, il desiderio di Faust di possesso non sarà facilmente appagato. Così, mentre
Don Giovanni persegue la sua opera di circuire Donna Anna, ritroviamo Faust in cima
al Monte Bianco, un brano che tanto ricorda la scena "Alta Montagna" del poema di
Goethe:
"SCENA TERZA. Monte Bianco. Una sala del castello incantato di Faust.
FAUST (Passeggiando). Io devo ottenere quello che voglio o, in caso
contrario, distruggerlo! Quando desidero qualcosa (sia il cielo o sia l'amore non
posso saziarmi, come qualche povero malato di nostalgia, del solo desiderio, né
riesco a precipitare, sereno e calmo, nella dolorosa malinconia! No, preferisco il
ruolo della tigre, che ruggisce di fame finché non riesce a saziarsi e attende rabbiosa
la preda prima di sorprenderla nell'agguato! Si deve uccidere per trovare la gioia?
Forse sì: fa bene alla digestione. I bocconi sostanziosi sono nocivi: me lo confermano
l'anima e lo stomaco. E allora? Lei... lei, la sola che amo, custodirebbe nel suo cuore
il mio rivale, Don Giovanni?"14
Il Diavolo-Cavaliere aveva letto bene nell'animo di Faust: tutta la tua "volontà
di potenza" si riduce ad essere solo una "volontà di possesso". Se non riesci ad
ottenere quello che vuoi, sei disposto a distruggere, uccidere. La morale borghese di
Faust si differenzia di poco, nella forma e non nella sostanza, da quella di Don
Giovanni: entrambi devono possedere il corpo (e l'anima) dell'oggetto concupito,
esattamente come fa il Diavolo esattore borghese che necessita addirittura di un atto
formale e di una organizzazione legale. Questo Faust-Don Giovanni si distingue,
dicevamo, solo nella forma e non nei contenuti dal suo rivale Don Giovanni-Faust:
come la sensualità sta alla sessualità, ma entrambi godono soltanto nel possesso fisico
e nella sottomissione psicologica della donna, vista come oggetto della loro libido parafrasando Hegel - quindi come loro oggetto. Abbiamo visto che questo passaggio è
indispensabile per arrivare alla teorizzazione della violenza del Faust di Stirner,
riconoscibile ne l'Unico, cioé il piccolo-borghese tedesco che si sente umanizzato solo
dalla proprietà, si riconosce nella Sua Proprietà - come l'Essere di Heidegger che sa di
essere al mondo perché legge sugli oggetti della realtà la formuletta magica
dell'isterismo borghese: MIO!
Va da sé che la critica di Grabbe è indirizzata al piccolo-borghese Faust che
svende gli ideali di conoscenza e di libertà per gli istinti del basso ventre, mentre Don
Giovanni fa del basso ventre - con l'ammirazione del Diavolo - il luogo della propria
intelligenza e della propria ribellione. Non c'è alcun dubbio che Grabbe. pur
ambientando a Roma il suo dramma, molto chiaramente stia passando ai raggi x
l'ideologia tedesca quando fa confessare a Faust la sua natura tipicamente tedesca:
FAUST: ... Solo la terra natale rallegra il nostro cuore, preferirle il suolo
straniero è ignobile! Se non fossi tedesco, non potrei essere Faust! Quando penso a
te, Germania, patria adorata, non riesco a trattenere le lacrime. Non c'è paese che
possa eguagliarti in bellezza e nessun popolo è abile e valoroso come il tuo! Fiero e
orgoglioso, incoronato di verdi tralci, il Reno muore tristemente tra le sabbie
13
14
Op. cit. p. 39.
Op. cit., p. 78.
20
olandesi; superbo nella sua folle audacia il Danubio erompe sicuro a Oriente, e tante
vene tedesche ricolme di vita e di coraggio scorrono maestose come i fiumi!15
Ma siccome la Germania di Faust e la borghesia tedesca di Grabbe hanno
smarrito il senso ideale del mondo arcaico-barbarico e non hanno saputo rinnovare il
senso di libertà agognato in un serio progetto politico, ecco che Faust è costretto a
trasferirsi a Roma individuando in... Martin Lutero il vero responsabile di questo
mancato rinnovamento.
FAUST
Qui, dove la cupola di San Pietro si alza al cielo per placare
l'anelito dell'uomo all'infinito, un simbolo incrinato dalla voce di ferro e di tuono che
si è propagata, attraverso le Alpi, dalla mia città di Wittemberg, dalle labbra di
Lutero, il più illustre dei miei contemporanei! Ma in fondo, cos'hai ottenuto, Lutero?
Hai annientato l'illusione, come un lampo, l'hai arsa, l'hai ridotta in cenere e non hai
messo niente al suo posto: nessuna verità che ci dia finalmente la pace. Al nostro
sguardo deluso si apre l'abisso senza scampo. Distruggere e, con le macerie, erigere
una torre di rifiuti... O Germania, adorata patria...16
Ci penserà, un secolo dopo, Adolf Hitler, l'imbianchino piccolo-borghese
represso e frustrato, a realizzare l'incubo di Faust (e di Max Stirner): distruggere ciò
di cui non ci si può appropriare e, con le macerie della legge morale, erigere una torre
di rifiuti fino al cielo stellato del pur incolpevole Kant. Sarebbe del resto veramente
troppo tentare una spiegazione al nazismo, non solo come evoluzione dell'ideologia
del piccolo-borghese tedesco, ma addirittura dell'idealismo kantiano: il sonno della
ragione genera infatti mostri, non il principio razionale dell'Illuminismo borghese.
X – Faust e Mefisto: da Thomas a Klaus Mann.
Faust incarna dunque la duplicità, la doppiezza interiore della coscienza
borghese con tutto il suo carico di disperazione e negatività: due anime di una
borghesia in lotta con se stessa perché incapace - nella Germania dalla Riforma al
nazismo - di dar vita ad progetto politico in grado di realizzare le aspirazioni di
libertà. In questo nostro breve viaggio nel mito faustiano abbiamo costantemente
rintracciato e messo in evidenza il significato "storico", per non dire politico e sociale
del patto col Diavolo. Un Diavolo che si è presentato come notaio, broker o
funzionario di banca dispensando più trucchi finanziari che iperbole celesti. Il
frammento faustiano e, soprattutto, il capolavoro della letteratura romantica "La
strabiliante storia di Peter Schlemihl" di von Chamisso espongono con grande
chiarezza il dramma esistenziale provocato da una società che restringe i propri ideali
di libertà, di emancipazione intellettuale, di cultura alla meschina arte di far denaro.
Ma il denaro, privato di una sua funzione sociale, accumulato in banca, diventa
effimero, rende effimera la vita, la priva di fondamenti concreti, umani, priva l'uomo
del piacere di stare con altri uomini, in fin dei conti conduce alla follia. Una follia
dove è sempre possibile, anzi probabile l'agguato del Diavolo.
Thomas Mann non si fa certo sfuggire l'importanza delle opere di von
Chamisso e, in un saggio dedicato all'autore dello "Schlehmihl", scrive:
"Il racconto s'inizia con realismo borghese e l'abilità specificatamente
artistica dell'autore sta nell'aver saputo mantenere fino alla fine il tono veristaborghese... l'ombra nel Peter Schlemihl è divenuta simbolo di ogni solidità borghese
e di ogni relazione sociale"."
15
16
Op. cit. p. 34)
Op. cit. p. 34)
21
Mann è dunque affascinato, - e l'influenza dello "Schlemihl" si sente eccome
nel "Doctor Faustus", - dal tono "borghese" che esprime, sul piano della forma, la
"problematica" borghese del contenuto. Tant'è vero che Mann connette il problema
dell'ombra, cioé dell'anima e della personalità, a quella che lui definisce "rispettabilità
dell'individuo". Ed è chiaro che questa rispettabilità individuale del soggetto, asceso
alla ricchezza ed al benessere, si confonda coi valori etici e morali della società
borghese, in quanto ne rappresenta la sua vocazione umanistica e la sua aspirazione
ad un mondo governato da leggi giuste e valide per tutti. Ma quando il Diavolo degli
impulsi egoistici - il Demonio del profitto - irrompe nella coscienza borghese facendo
sparire gli ideali umanistici, c'è uno scotto da pagare: il senso di colpa.
"Il pentimento per il baratto è sconfinato", sostiene Thomas Mann a proposito
del protagonista del capolavoro di von Chamisso. E si potrebbe aggiungere che la
stessa espressione potrebbe valere per il pentimento di Faust, come per il rimorso di
Adrian Leverkühn, il Doctor Faustus di Thomas Mann. Con l'unica differenza che
mentre al Faust di Goethe ed anche al Peter Schlemihl di von Chamisso si apre ancora
una speranza di salvezza (la salvazione di Faust con l'intervento degli angeli in
Goethe, gli stivali delle sette leghe in von Chamisso), il protagonista del romanzo di
Thomas Mann è irrimediabilmente condannato alla dannazione eterna. L'avvento del
nazismo rese evidente agli occhi di Mann la definitiva sconfitta degli ideali della
borghesia tedesca: l'umanista Settembrini ne "La montagna incantata" rappresenta il
malato terminale di questa tradizione idealistica che trova nell'età di Goethe il suo
momento più alto.
Nel "Saggio sul Faust di Goethe" Thomas Mann individua gli elementi fin
qui trattati:
"Qui si tratta di un sentimento umanitario in cui si mescolano in un connubio
unico al mondo... l'elemento demoniaco e l'urbano, l'assoluto e il benevolmente
relativo".
Secondo Thomas Mann, dunque, l'intuizione goethiana dei problemi
ideologici della borghesia tedesca, dei drammi esistenziali in cui incappa l'individuo
che non trova nella società borghese del tempo un luogo per realizzare la propria
aspirazione di libertà, determina la natura di tanti suoi personaggi. Al punto che,
come sostiene Thomas Mann:
"Non passò molto tempo, e la nostra borghesia sapeva il Faust a memoria".
È chiaro che Mann sta dalla parte degli ideali borghesi, sta con Goethe e
guarda con sospetto gli slanci rivoluzionari e, attualizzando, il socialismo. Ma guarda
con sospetto ed orrore anche l'avanzata del capitalismo tedesco che realizza il sogno
del profitto senza realizzare il sogno più importante: la libertà politica. Ecco infatti
come Thomas Mann "bacchetta" Faust a proposito del sogno-metafora del volo:
"Il sogno si è adempiuto, come sogliono adempiersi i sogni degli uomini. Le
macchine rombanti ne hanno fatto una realtà, ma senza fumi ne sbornie. È
un'esperienza fredda e meccanica... E quando da un'altezza ben calcolata, bombe
incendiarie cadano sulle città degli uomini, dobbiamo convenire che Wagner, l'arido
pedante, aveva ragione di non condividere il desiderio di Faust: ben altrimentu ci
conducono le gioie spirituali / da libro a libro, di pagina in pagina."
Il "Doctor Faustus" di Thomas Mann non può fare sconti, non può fare
eccezioni alla natura politico-dialettica del mito di Faust. La stessa struttura narrativa
dell'opera di Mann è dialettica. L'Io narrante non è infatti il protagonista del romanzo,
cioé Adrian Leverkühn - peraltro rappresentato come figlio di un pastore luterano -,
bensì Serenus Zeitblom, un professore liceale, amico di Adrian, animato a sua volta
da sentimenti umanistico-liberali, anche se un po' conservatore, non privo di una certa
retorica moralistica. Quasi un alter-ego dell'autore, Serenus Zeitblom si presenta così
al lettore:
22
"Io sono un uomo perfettamente moderato e, posso ben dire, sano, di
temperamento umano, incline all'armonia e al raziocinio; un erudito (...) sono figlio
delle Muse nel senso accademico della parola e amo considerarmi discendente degli
umanisti tedeschi (...) Per quanto non osi negare l'influsso dei démoni sulla vita
umana, li ho sempre sentiti alieni alla mia natura, li ho esclusi istintivamente dalla
mia concezione del mondo..."
Ma di quali "démoni" sta parlando Serenus Zeitblom? Non si tratta
ovviamente di credenza infantile in strambe presenze infernali.
"Per questi miei sentimenti ho affrontato sacrifici, sacrifici ideali e di
materiale benessere, abbandonando senza esitare e prima del tempo la mia cara
professione di insegnante quando mi accorsi che non la potevo conciliare con lo
spirito e con le esigenze delle nostre evoluzioni storiche."
Le "evoluzioni storiche", il démone da cui Serenus si ritrae come fece lo
stesso Thomas Mann che emigrò oltreoceano, è il nazismo, cioé "la Germania
avvinghiata dai démoni e precipitante di abisso in abisso", come nota Lavinia
Mazzucchetti nell'introduzione all'edizione italiana del "Doctor Faustus".
L'importanza della dialettica storica nel romanzo faustiano di Mann si evince
fin dalle prime battute. Leverkühn-Faust, come Serenus-Mann, cade in un dilemma
angoscioso e, di fronte al démone nazista, si deresponsabilizza cercando di rimanere
estraneo agli eventi storici in corso. Il musicista Adrian scende a patti col Male al
fine di realizzare la propria essenza umana nella musica intesa come arte al di fuori
della storia. Leverkühn e Serenus rappresentano le due anime dialettiche di uno
stesso personaggio che "amleticamente", l'avverbio è brutto ma rende l'idea, non sa
risolversi all'azione. Da una parte c'è dunque l'umanista, l'Io narrante, dall'altra il
genio oscuro e malato di Adrian. Altrimenti non si spiegherebbe il motivo che spinge
Serenus a narrare la vicenda dell'amico musicista col quale condivide la colpa
(borghese) dell'inazione: Sereneus ne sconta il fio attraverso l'atto di narrare.
Narrazione che si trasforma indirettamente in un'azione morale-pedagogica rivolta
alla società del suo tempo. È proprio Serenus Zeitblom a chiarire questo argomento.
"...premetto alcune parole su me stesso e sulle mie condizioni.... M'induce a
questo passo unicamente la supposizione che il lettore, - dirò meglio, il futuro
lettore... a meno che per miracolo io possa lasciare la nostra fortezza europea, -...
sentirà il desiderio di sapere approssimativamente qualche cosa sul conto dello
scrivente... non senza timore, beninteso, di spingere così il lettore a chiedersi se è in
buone mani, vale a dire se io, in vista di tutta la mia esistenza, sia veramente uomo da
assumermi un compito al quale mi spinge forse più il cuore che qualsiasi altra
affinità giustificatrice".
Serenus, come abbiamo accennato, condivide con Adrian la colpa
dell'inazione che corrisponde ad una forma di deresponsabilizzazione, una
disattivazione della coscienza borghese di fronte al nazismo, considerato un male
passeggero, o tutt'al più un "male minore". In realtà, e qui azzardiamo, Serenus e
Adrian sono la stessa persona. In questo senso sono eloquenti le parole di Serenus a
proposito della sua amicizia con Adrian:
"Ma amarmi? Chi avrebbe mai amato quest'uomo? Una volta una donna forse. Un bambino alla fine - può darsi. Un giovane... che egli poi, probabilmente
appunto perché gli era affezionato, mandò via - e precisamente alla morte. A chi ha
mai aperto il suo cuore? chi ha mai accolto nella sua vita?... La sua indifferenza era
tale che raramente si accorgeva di ciò che accadeva intorno a lui, della società nella
quale si trovava..."
23
Serenus accusa, insomma, l'amico di essere "indifferente della società in cui si
trovava". Già, ma che dire allora di Serenus stesso che abbandona l'insegnamento per
sottrarsi alle "evoluzioni storiche"? La verità è che Serenus Zeitblom e Adrian
Leverkühn sono la stessa persona, al punto che oltre ad essere amici collaborano,
come riferisce lo stesso Serenus, condividendo insomma un po' inaspetattamente la
passione artistica:
"Mia fu l'elaborazione a libretto d'opera della commedia shakespeariana
Pene d'amore perdute, la capricciosa opera giovanile di Leverkühn, e io ho potuto
influire anche sulla preparazione del testo per la grottesca suite operistica Gesta
romanorum..."
Ma Serenus va oltre e tira in ballo il suo stesso autore, cioé Thomas Mann,
fondendosi in lui:
"Avevo appena incominciato a scrivere, allorché mi uscì dalla penna una
parola che, tra me e me, mi mise in un certo imbarazzo: la parola geniale adoperata
parlando della musicalità dell'amico defunto. Ora, la parola genio ha certamente un
suono, un carattere, nobile, armonico e umanamente sano, seppur trascendente
l'ordinario, e uomini come me, così lontani dalla pretesa di partecipare con la prpria
natura a queste zone elevate e di essere stati mai beneficiati con influssi divini ex
alto, non dovrebbero avere alcun motivo plausibile per ritrarsene spauriti... così
pare. Eppure non si può negare e non si è mai negato che i démoni e l'irrazionale
abbiano una parte sconcertante in questa zona radiosa, che tra essa e il regno degli
inferi esista sempre un collegamento capace di suscitare un leggero brivido..."
Thomas Mann si riconosce insomma in Serenus nella frase "avevo appena
cominciato a scrivere", visto che a scrivere sono due persone: l'Io narrante e il suo
autore. La parola "genio" apre però un ponte con la sponda del personaggio faustiano
Adrian Leverkühn. "Anche" Serenus infatti si sente infatti, sia pur con minor forza,
ispirato, toccato dal "genio". Tant'è che, intuendo di essere andato un po' troppo oltre
nella rivendicazione della propria genialità demoniaca, Serenus cerca di aprire il
paracadute per effettuare un atterraggio morbido sul piano della realtà:
"Qui m'interrompo, umiliato di aver commesso un errore e di non aver saputo
applicare il freno all'arte".
Ma a tagliare la testa al toro sull'unità delle tre coscienze narranti del
romanzo, ci pensa lo stesso Thomas Mann in un brano del "Saggio sul Faust di
Goethe" precedente all'ultima fase del "Doctor Faustus":
"Clavigo, Weislingen nel "Goetz" e Faust sono le figure con cui Goethe fece
poeticamente ammenda del suo tradimento d'amore, cercando tuttavia al contempo di
difenderlo dialetticamente e drammaticamente. Si pensi ai discorsi magistrali e nel
loro genere irrefutabili, con cui don Carlos persuade Clavigo della necessità di
lasciare Maria. Clavigo e Carlo sono la stessa persona nella poetica divisione delle
parti, così come Tasso e Antonio, Faust e Mefistofele sono spiegazioni dialettiche
della personalità del poeta".
Com'è noto Thomas Mann si considera a buon diritto erede, forse l'epigono
della grande tradizione umanistica di Goethe. Non a caso egli dedica al genio di
Weimar un saggio dal titolo significativo: "Goethe esponente dell'età borghese".
Mann deve però prendere atto, a differenza di Goethe che è ancora convinto di una
evoluzione positiva, del fallimento degli ideali del classicismo. Il "Faust" di Goethe si
discosta allora dall'opera di Thomas Mann nell'atto finale dove, nel passaggio dal XIX
al XX secolo, svanisce la possibilià della salvazione di Faust grazie alla sua volontà
di fare e sognare qualcosa (Streben) di positivo, pur nella condizione di aver stretto un
patto col Diavolo. Il male di Leverkühn è quello dell'incapacità ad agire e a reagire al
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di là del piano estetico-artistico ed individualistico, incapacità paradigmatica di una
società che ha covato il germe del Mefistofele nazista. Per queste ragioni come
sostiene Lavinia Mazzucchetti:
"Lukàcs tenta di scorgere in tutta l'opera di Mann la concreta premessa al
Doctor Faustus, cioé la denuncia di substrati barbarici nella Germania moderna".
Sarà il figlio di Thomas Mann, Klaus, a scrivere prima di suicidarsi, come
atto estremo di ribellione e di libertà individuale, un grande romanzo sul patto tra il
diavolo nazista Goering e l'artista borghese: "Mephisto" del 1936, opera che nella
"liberale" e moderna Germania federale ha subito la censura totale fino al 1980,
come accusa Erika Mann, sorella di Klaus, in un appello del 1968 a un editore
italiano:
"Se nella Germania d'oggi un libro, pur entro certi limiti, prende a modello il
pupillo di Goering, Gründgens, già consigliere di stato nazista e intendente generale
dello Staatstheater, per questo stesso motivo viene proibito, sebbene la costituzione
della nuova Germania uscita dal nazismo garantisca alle arti piena libertà di
espressione, ben si comprende in quale situazioni si trovi la nostra Repubblica
federale."
Da questa conclusione risulta, dunque, più comprensibile il passaggio storico
e tematico dallo spirito luterano di Faust, creatura probabilmente dello stesso Lutero,
all'educazione luterana del personaggio di Thomas Mann, Adrian Leverkühn, il
compositore vittima della tentazione borghese dell'individualismo e del solipsismo
Il 12 maggio 1949, nove giorni prima di suicidarsi, Klaus Mann scrive
l'ultima, disperata lettera all'editore Jacobi:
"Egregio signor Jacobi, la Sua lettera del 5 maggio è inestimabile. Pubblicare
un romanzo, lei me lo chiama intraprendere un'operazione. Questa operazione, a Suo
parere, sarebbe nel caso di Mephisto nient'affatto facile e deve essere perciò sospesa.
Perché? Perché il signor Gründgens riveste qui già un ruolo significativo.
Questa sì che è logica! E coraggio civile! E fedeltà ai contratti! Non so quello
che mi stupisce di più, se la bassezza dei Suoi sentimenti o l'ingenuità con cui li
confessa. Grüdgens ha successo: perché si dovrebbe pubblicare un libro che potrebbe
apparire diretto contro di lui? Mai rischiare! sempre con il Potere! Nuotare con la
corrente! Si sa dove porta: proprio a quei campi di concentramento di cui poi si dice
di non aver saputo niente..."17
Il romanzo di Klaus Mann potrà circolare liberamente in Germania solo nel
1981, otto anni prima della caduta del muro di Berlino e quattro anni dopo il
"suicidio" nel carcere di Stammheim di un altro ribelle della storia tedesca: Andreas
Baader, fondatore e ideologo della Rote Armeé Fraktion.
17
Klaus Mann, "Mephisto", Milano 1982 p. 282-283.
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