Lame di Giada Background dei personaggi Prologo Il Giudizio Vi fu un tempo in cui le guerre straziarono la terra, un tempo in cui le armate di Echtar il Nero calcarono il suolo portando fame e distruzione nei reami; sconfitte esse furono dalle forze congiunte di umani ed elfi, ma non prima che innumerevoli lutti piegassero lo spirito dei vivi. Ed in quel tempo, un vento si levò tra i picchi ghiacciati dei Corandar. Giù il vento corse, serpeggiando tra i passi delle alte vette, dove i lupi d’inverno giocano tra la neve, giù scivolò piano, accarezzando le fronde dei pini e degli abeti, e a valle si posò infine, giungendo alla città di Talhmen, terra di umani. Il vento non portava disperazione, essa era nel cuore dei cittadini; non portava discordia, il cui seme è facile a germogliare; non portava ribellione, il cui fuoco già attecchiva nei cuori. Ma il vento portava con sé un’oscura viaggiatrice, acuta nell’intelletto quanto sadica nella sua perfidia; ella si fece amico il popolo con false promesse e biechi inganni; infiammò gli animi, portando rabbia e pazzia, e gli uomini dimenticarono gli dèi. V’era in Talhmen un tempio, dedicato a St. Cuthbert del Randello, ove i Sacri Giudici amministravano la giustizia, e i saggi chierici discutevano del bene della città. Essi avevano decretato che in quei tempi duri una gran mole di cereali e farina fosse rinchiusa nel capiente granaio del monastero, al fine di conservare riserve di cibo per il gelido inverno che si apprestava ad arrivare. Il popolo provato dalla guerra aveva però già fame, e l’oscura viaggiatrice lo istigò alla violenza; armati di torce e forconi, i cittadini pretesero di avere subito ciò che i chierici intendevano conservare per donarlo loro nei bui tempi a venire. Come un mostro dalle molte teste rabbiose e sbavanti, la folla circondò il monastero, sfondò le porte, ed appiccò il fuoco; molti paladini caddero a difesa dei sacerdoti, che a stento riuscirono a fuggire, mentre i folli villici banchettavano con la preda dei loro atti scellerati. Pane strappato dalle mani dei futuri loro stessi, pane cotto dal fuoco che bruciò non solo il monastero, ma i suoi campi, i suoi orti, e il grande bosco che ivi aveva radici. Pochi tra i fedeli riuscirono a scampare e a trovar rifugio in terre dove il rispetto del Dio fosse ancora saldo, e là i sommi chierici si riunirono, per decidere del loro futuro. Quattro giorni durò il consiglio, ed infine una decisione fu presa: i paladini avrebbero cercato l'oscura viaggiatrice ed avrebbero fatto giustizia, facendole pagare con la vita i suoi loschi misfatti. Essi partirono, ma qualcuno ancora non era soddisfatto ed alzò, severa, la propria voce: era un grande giudice ed un fiero castigatore di malvagi, Folkor Daran era il suo nome. Egli propose di punire non solo il mandante dello scempio, ma anche gli esecutori, fino all’ultimo uomo; ognuno di essi si era macchiato di azioni innominabili, ed il castigo del Dio doveva giungere su di loro, per purificare le loro anime. Il consiglio tuttavia esitò, ed i chierici infine si rifiutarono di infierire su gente che a loro dire aveva già firmato la sua condanna consumando le ultime riserve di cibo. Il giudice Folkor allora si alzò e se ne andò sdegnato dal consesso, e quando fu solo cercò risposte alla sua sete di vendetta nei libri che erano stati salvati dall’incendio, e nelle biblioteche delle città vicine. Alfine, fu tra i volumi della collezione privata di un mago tanto grande in sapere quanto piccolo nella statura, che ebbe modo di reperire ciò che tanto anelava. Un grigio tomo, scritto secoli or sono da un grande profeta il cui nome si era perduto nelle nebbie del tempo, recò l’illuminazione alla mente del giudice, mediante una stanza in versi che descriveva i recenti eventi, e predicava l’avvento di quattro maestosi cavalieri. Essi sarebbero stati portatori della giusta vendetta contro tutti coloro che se l’erano meritata, ed avrebbero purificato quelle terre dal male che ancora vi serpeggiava. Non molto dovette cercare il fiero giudice per trovare i quattro eletti, poiché uno lo aveva già di fronte: rimase infatti infinitamente stupito nel notare che proprio il mago che possedeva il prezioso libro sembrava corrispondere in tanta parte ad uno dei brani della profezia. Un’altra persona gli tornò inoltre subito alla mente, un’aspirante paladina che tanto aveva desiderato combattere per la causa di st. Cuthbert ed era stata respinta. Questo era certamente un segno della benevolenza e dell'approvazione del Dio, che con tanta chiarezza gli illuminava il cammino. E così egli si mise in viaggio, per cominciare la sua ricerca degli altri membri del gruppo, per cui era scritto: “Ma verrà il giorno che Egli sulla terra Porterà a tutti i mal giusta vendetta Con Morte, Fame, Pestilenza e Guerra Pura farà la stirpe maledetta Ei manderà i suoi quattro Cavalieri Con ascia, con velen, fiere e magia Guidando il lor giudizio e i lor pensieri Vita ai peccator trarranno via” Capitolo 1 Warya, la Guerra "Sanguigna apparirà cavalcatura Porterà donna, di ferale aspetto Con l’ascia in pugno, priva di paura E tra gli uomini Guerra avrà ricetto" La Lama di Giada si abbatte e il sangue schizza in alto, sempre più in alto. Un colpo e un altro colpo ancora… vermi, esseri indegni della vita e mille volte meritevoli del castigo di Dio. Ancora un colpo per i compagni che risero della mia pelle verde e del mio naso tronco! Gli zoccoli di Bloody scivolano nella neve sul duro selciato davanti ai resti anneriti della chiesa distrutta da tempo, lo stesso selciato su cui per tanti giorni ho marciato in addestramento per servire Dio… ed ora la neve è rossa del sangue di chi diffidò di me e mi negò il posto che avrebbe dovuto essere mio! Ancora un colpo alle vostre schifose carcasse, vermi che incendiaste la chiesa di Dio! Vendetta! Vendetta per la chiesa! Vendetta per mio padre! E vendetta per me! Warya era una bambina brutta. Piangeva nell’androne della chiesa di st. Cuthbert al centro del paese di Talhmen, l’unico posto dove nessuno degli altri bambini osasse infastidirla, tutti timorosi che il suo immenso padre uscisse armato della sua famosa ascia doppia, Lama di Giada. Suo padre era un nobile paladino: aveva lasciato gli orchi delle montagne, aveva sposato una donna umana, era stato accolto nella chiesa di st. Cuthbert e nessuno avrebbe osato ridere del suo aspetto… ma lo stesso naso mozzato e la stessa carnagione verdognola facevano di Warya una bambina orribile. Quel giorno, tra le lacrime, decise che non sarebbe mai più tornata a scuola. Sarebbe rimasta alla chiesa, avrebbe studiato l’arte del combattimento, sarebbe divenuta forte come suo padre così che tutti la temessero come temevano lui! Anche lei sarebbe stata cavaliere, sarebbe stata paladino di st. Cuthbert ed un giorno avrebbe ereditato l’ascia di suo padre e punito tutti quelli che oggi le mancavano di rispetto! “Vieni avanti Warya”. La ragazza scattò avanti, militarmente precisa al richiamo del suo superiore. Il sole batteva sulla piazza d’armi dietro la chiesa e strappava scintille dalle armature dei paladini e dei chierici così come da quelle dei ragazzi allineati in attesa di conoscere il loro destino. Il chierico serio e dal profondo cipiglio non lasciava intuire nulla di ciò che la attendeva. Il viso di Warya era fisso in avanti, non voltarsi a cercare gli occhi di suo padre tra quelli dei paladini le costava una fatica immane. “Abbiamo discusso a lungo sul tuo caso. Hai studiato con noi per anni. Qualcuno sostiene persino che dovremmo ammetterti in ogni caso, per rispetto a tuo padre che per tanti anni è stato uno dei più grandi fra i nostri paladini. Ma non è così che si scelgono i giovani. Essere un paladino di st. Cuthbert del Randello e portare sul petto la sua stella di rubini è un onore per pochi. Il tuo maestro d’armi parla di te con parole lusinghiere, hai grande forza e disciplina per usarla.” Il cuore di Warya batteva più veloce del vento, anni di studio e finalmente era giunto il momento… “Ma il tuo maestro di catechismo è di parere avverso. Dice che hai appreso la Distruzione, la Forza e la Legge, ma che non comprendi la Protezione. La via del Dio richiede grande discernimento per riconoscere quelli che meritano la giusta punizione. Tu hai grande ardore nel portare il Castigo, ma manchi del buon senso per comprendere a chi portarlo. Per tanto sarai sempre bene accetta nel nostro esercito e tra i nostri fedeli, ma non possiamo accoglierti fra i sacri paladini...” Il chierico parlava ancora, ma Warya non sentiva più nulla. La sua anima urlava contro il tradimento che stava subendo. Aveva lottato per loro come semplice soldato per anni, aveva dato ogni attimo della propria vita, aveva dato anche il proprio sangue alla loro causa… Gettò la spada ai piedi del chierico e si voltò con occhi colmi d’odio verso suo padre, fermo nella sua armatura scintillante. Lui la guardò con tristezza e questo fu più di quanto lei avrebbe potuto sopportare; lanciò un urlo degno di un orco e corse via, verso le montagne. Warya viveva da sola nella grotta sulla montagna da più di un anno quando vide il fumo levarsi dalla direzione di Talhmen. Suo padre era venuto, ma lei non aveva voluto parlargli. Sua madre aveva pianto vicino alla porta, ma lei non aveva voluto vederla. Gli unici che lei avrebbe accolto, i chierici di st. Cuthbert, invece, non erano mai venuti a chiederle scusa e a ridarle il posto che le spettava fra i paladini. Fu per questo che per un attimo provò quasi gioia nel riconoscere la direzione da cui veniva il fumo: la chiesa di st. Cuthbert bruciava! Gli stupidi chierici arroganti pagavano le loro colpe! Ma era pur sempre la chiesa di Dio e suo padre era là… Partì verso la città dapprima con calma, poi sempre più in fretta via via che l’acre odore del fumo e le grida crescevano in intensità. Ma dalla montagna a Talhmen occorrevano ore. Prima di entrare in città incrociò dei chierici in fuga e gioì delle loro ferite: forse per suo padre e per la chiesa poteva anche accorrere, ma per quegli ingrati non avrebbe mai provato pietà. La città era un disastro, la gente girava in branchi, urlando, armata di qualsiasi oggetto potesse uccidere. Avevano dato fuoco alla chiesa e al bosco dietro di essa ed ancora giravano urlando. Warya non aveva idea di cosa potesse aver scatenato tutto questo, ma proseguì evitando i gruppi di contadini armati. Quando giunse al piazzale della chiesa, tutti i chierici che avevano potuto erano ormai fuggiti. Suo padre invece era lì. La sua carne bruciata riempiva ancora l’armatura sulla soglia carbonizzata della chiesa. Aveva difeso il suo Dio sino alla fine. Warya salì in silenzio i gradini della chiesa. Non c’erano morti attorno a lui, forse aveva cercato di convincerli solo a parole o aveva sperato che non avrebbero osato dar fuoco alla chiesa con lui davanti. Sciocco! Non il sangue di un contadino per vendicare la sua morte! I villici però non avevano osato avvicinarsi perché lui era ancora lì, con tutta l’armatura ancora indosso, Lama di Giada ancora stretta nei guanti di ferro. Warya si chinò e la raccolse. Per un attimo la strinse ferocemente in attesa del primo contadino che avesse avuto l’ardire di passare di là e con la ferma intenzione di vendicare su di lui l’accaduto… ma sarebbe stata una piccola vendetta ed il suo sangue si sarebbe aggiunto a quello di suo padre. Non andò nemmeno a vedere come stava sua madre. Si limitò a tornare sulle montagne. Quando vide un suo vecchio insegnante salire alla montagna, Warya non sapeva che pensare. Folkor Daran era sempre stato un uomo severo, di certo non uno di quelli che le erano ostili come il maestro di catechismo, ma nemmeno un amico. Eppure era salito sin lì e si era rivolto a lei come se la considerasse un membro dell’esercito di st. Cuthbert. Era stranamente parso felicissimo di vedere la sua nuova cavalla dal manto sauro, Bloody, e l’aveva chiamata un segno del destino. Poi le aveva parlato dei chierici vigliacchi che non avevano il coraggio di punire chi aveva alzato le armi contro la chiesa di Dio e di una profezia… E Warya aveva capito per quale Guerra avrebbe dovuto combattere. Capitolo 2 Venom, la Pestilenza "Su fiero destrier di nero ammantato Un cavalier sottil recherà fiala Di questa e del suo forte arco armato Con cui corpi vital corrompe e ammala" Finalmente sono finiti! Sembravano non terminare più, questi villici… Che pretese, sperare di colpirmi coi loro forconi! Speriamo almeno che abbiano qualcosa di valore nelle loro case, altrimenti tutta questa fatica non sarà servita a niente. La storia della profezia non mi convince del tutto, ma finché c’è da guadagnarci qualcosa sarò ben lieto di stare al gioco. Anche i miei compagni sono validi, e devo ammettere che essere considerato un cavaliere dell’Apocalisse inviato da St. Cuthbert in persona non è certo malaccio… credo proprio che potrei abituarmici sul serio… Findo è nato in un bordello d’alta classe della città. Non ha mai conosciuto suo padre, né ha mai avuto desiderio di conoscerlo, mentre sua madre era molto nota nell’ambiente per la sua incredibile bellezza, e Findo le somigliava molto più di quanto non avrebbe desiderato. Sua madre aveva infatti ammesso più volte di non aver gradito quella gravidanza, e anzi avrebbe preferito non avere figli. Questo spiegava certamente le poche attenzioni che gli aveva sempre rivolto e il nome scelto a caso, solo perché doveva pur chiamarlo in qualche modo. “E’ stato un incidente” aveva detto, con notevole naturalezza. Il gemito di agonia frammisto a sorpresa che aveva emesso dopo aver bevuto un sorso di vino però non era suonato altrettanto naturale. Dopo aver ucciso la madre e aver arraffato l’arraffabile, Findo si rifugiò nelle zone più malfamate della città e visse per un po’ di piccoli furti e rapine. Ben presto però fu costretto a comprendere che anche la vita nei bassifondi aveva le sue regole e che solo ai membri della gilda dei ladri di quella zona era consentito rubare. I quattro sicari venuti a punirlo per le sue gesta non autorizzate furono particolarmente difficili da convincere, ma Findo aveva imparato a plasmare le parole ascoltando i discorsi dei ricchi avventori del bordello e, anche se con qualche riserva, fu ammesso come membro della gilda e assegnato ad un mentore. Lo gnomo Dimble era un vero fenomeno con le serrature, ma anche la sua altezzosità e saccenza erano fenomenali. Findo sopportava pazientemente gli insultati per la sua scarsa abilità con serrature e congegni, ma dopo aver imparato quel che ritenne sufficiente per cavarsela da solo si cercò un altro mentore. Prig era un hobgoblin tutto muscoli, completamente opposto a Dimble come carattere, ma molto simile nell’insultare Findo, stavolta per la sua scarsa forza. Prig amava combattere, tanto che Findo si chiedeva spesso come mai non si fosse arruolato nell’esercito invece che entrare a far parte di una gilda di ladri, ma tutto sommato non era un problema suo. Quello che gli interessava era imparare il più possibile dal suo nuovo mentore, e certamente imparò molto nell’arte del combattimento. Prig non era solo forte, ma anche agile e sapeva bene come sfruttare l’agilità in battaglia. I suoi consigli si rivelarono preziosi per Findo, il cui corpo esile, dotato di sorprendente grazia e precisione, sembrava diventare tutt'uno con lo stocco. Nel tiro con l'arco giunse addirittura a superare in precisione il maestro grazie ai suoi occhi da elfo. Nonostante i suoi progressi, però, Prig continuava a canzonarlo per la sua scarsa forza fisica fino a che Findo perse la pazienza e decise di dargli una lezione: mise di nascosto del veleno di foglia sassone sulla lama da allenamento e colpì l’hobgoblin in piena fronte. Prig aveva iniziato la solita sequenza di insulti riguardanti la scarsa efficacia del suo colpo, ma si dovette fermare presto. Con un urlo lancinante si accasciò al suolo e dopo qualche secondo morì tra atroci sofferenze. Ormai la vendetta di Findo aveva avuto inizio e non si poteva fermare, così cosparse con la stessa sostanza una freccia e si appostò sul tetto di una casa in modo da avere una chiara visuale sulla strada sottostante. Dimble passava spesso da quelle parti, e, non appena lo vide, Findo incoccò la freccia, tese la corda del suo arco fino alla guancia e lasciò andare. La freccia percorse rapidamente la breve distanza con un sibilo sinistro e trapassò la gola dello gnomo, il quale morì direttamente per il colpo subito senza nemmeno rendersi conto di quel che stava accadendo. Mentre la gente ancora tentava di capire cosa fosse successo, Findo si dileguò agilmente di tetto in tetto e lasciò in fretta il paese. Nel suo girovagare in cerca di una nuova città che lo soddisfacesse, Findo continuò a mantenersi tramite piccoli furti e rapine, finché non incontrò per caso un ricco mercante in viaggio. Dall’abbigliamento e dall’imponente scorta, Findo sospettò che il carico del carro fosse di estremo valore, per cui decise che provare a rubarlo sarebbe stato certamente remunerativo. Fingendosi zoppo, convinse il mercante a offrirgli un passaggio sul suo carro e al momento della cena riuscì a mettere, senza farsi notare, delle gocce di veleno nella pentola che ribolliva sul fuoco e l’antidoto nel proprio calice di vino. Consumata la cena il mercante e la scorta ebbero solo il tempo di rendersi conto che era giunta la loro ora prima di accasciarsi senza vita al suolo. Findo ebbe così tutto il tempo di seppellire con calma i cadaveri, cambiarsi d’abito e impossessarsi dell’intero carro e del suo carico. Il bottino non era così consistente come aveva sperato in un primo momento, ma riuscì ugualmente a ricavare una discreta fortuna grazie alla quale avrebbe potuto stabilirsi in una nuova città. Per depistare eventuali inseguitori della gilda, assunse l’identità del mercante ucciso, utilizzando anche il suo sigillo: il mercante indossava infatti un anello con l’effigie di uno scorpione, e Findo pensò che quel simbolo gli calzasse perfettamente. Da quel momento si fece conoscere come Aramil Galanodèl, ricco mercante che aveva smesso l’attività per dedicarsi all’ozio in taverne e bordelli. Non aveva smesso però di rapinare e svaligiare, sempre grazie all’aiuto dei suoi amati veleni, e ben presto le notizie delle sue azioni si diffusero anche nelle città vicine. La gente inventò il nome di Venom per l’autore degli avvelenamenti e, grazie alla fama conquistata, poté facilmente vendere i propri servigi come assassino mercenario. Folkor Daran venne a conoscenza delle gesta di Venom e decise che si dovesse trattare del secondo Cavaliere menzionato nella Profezia. Certo fu difficile contattare il misterioso mercenario, ed ancora più difficile fargli accettare la missione. Tuttavia, forse per noia, forse per lusinga al pensiero di impersonare per un poco l’araldo di un dio, al termine del colloquio Venom accettò. E mentre in città si diffondeva la voce che Aramil Galanodèl partiva per un lungo viaggio d’affari, Pestilenza si unì agli altri Cavalieri. Capitolo 3 Y’Nedia, la Carestia "E su bianco animale un cavaliere Stringerà in pugno le ghiacciate lame Armato del potere delle fiere Nel mondo recherà con sé la Fame" Corro nella neve, rapido, ferale. Fame è al mio fianco, la sua sagoma di lupo bianco quasi invisibile sul candido terreno. Inseguiamo senza difficoltà l’ultimo dei fuggitivi, che arranca cercando riparo al di fuori della cittadina, ove un tempo stormivano le fronde degli alberi della foresta. Folli! Nella loro pazzia, nell’assurda ribellione ad un potere che non voleva far loro del male, gli abitanti della città avevano osato bruciare anche il bosco che circondava il monastero di St. Cuthbert. Bruciare! Con il fuoco! Un ringhio mi esce di bocca mentre sferro un micidiale colpo di taglio con Luna di Ghiaccio, l’ascia che da lungo tempo mi porto al fianco. Fame mi fa eco mentre salta al collo dell’umano, squarciandogli la gola con i suoi canini. E’ finita. Anche i miei alleati paiono aver completato la loro opera. Con tutto il fiato che ho in corpo, ululo, venendo imitato immediatamente dal mio fido compagno. Innalziamo le nostre voci a lutto, non per le morti che abbiamo causato, o per i colpevoli che abbiamo castigato, bensì per la vita che ingiustamente fu tolta a piante ed animali della foresta, bruciati dalla follia di coloro che non meritavano più di essere sostenuti dalla natura. Ululiamo pieni di tristezza, come quella volta, molti anni fa. Fin dal suo arrivo sui picchi dei Corandar, la Signora dei Ghiacci aveva mostrato la sua potenza. I capi delle caverne naniche avevano deciso che un Drago Bianco avrebbe di certo portato male e terrore nel territorio, ed avevano mandato molti guerrieri a combatterla. Eppure, da sola, ella scatenò le nevi e le forze della natura contro di essi; nel tempo in cui un lupo salterebbe un crepaccio, erano già sconfitti, nella morsa del gelo, oppure dilaniati dagli artigli suoi e delle fiere che combattevano per lei. Lupi, orsi, tanti animali la seguivano quanti alberi vi sono in un vasto bosco. Soltanto uno si salvò, riconoscendo la sua potenza e inchinandosi di fronte a lei. La pregò di risparmiarlo e di accettarlo al suo servizio, fosse anche come l’ultimo zoppo del suo branco; ed ella, sorprendentemente, accettò, e ne fece il suo messaggero presso i nani. Aurilindale, questo il nome della Signora, pretese un pesante tributo per l’attacco ingiustificato, e fissò le condizioni per il futuro del territorio: ella avrebbe lasciato le profondità delle caverne ai nani, ma avrebbe regnato su tutte le montagne e sui territori circostanti, e li avrebbe custoditi nel nome di Telchur dio delle Terre Gelate. I nani furono costretti a pagare il tributo: molto oro, pietre, armi, ed innumerevoli oggetti d’arte le furono consegnati; poi, i fieri minatori si rinchiusero nelle loro grotte, sprangando le pesanti porte in acciaio, lasciando all’esterno la grande Signora… e il suo nuovo discepolo. Lo considerarono un traditore, quando egli invece desiderava soltanto aiutarli a vivere in pace con Aurilindale. La Signora non era affatto una di quegli stupidi e giovani draghi che credono di poter divorare il mondo intero; ella era vissuta molto a lungo, ed aveva compreso l’essenza delle leggi della vita e della natura. Insegnò quindi al nano tutto ciò che doveva sapere circa la vita fuori dalle caverne, che fino ad allora aveva a malapena sperimentato; in cambio, pretese che giurasse fedeltà a lei ed alla causa della protezione dell’equilibrio naturale. Il nano dimenticò il suo clan e la sua ascendenza, e gli fu posto nome Y’Nedia, “Masso Ghiacciato”, come i lupi già lo chiamavano. Y’Nedia visse a lungo sulle montagne, imparando ad apprezzare la meravigliosa grandezza delle forze della natura, e divenne parte di esse, un membro dell’immenso branco che è il mondo delle creature vive; imparò come trattare con le bestie, quali fossero i loro poteri, e i loro bisogni. In particolare i lupi parevano gradire la sua compagnia, e negli anni ebbe sempre al suo fianco uno della loro genia. Un giorno nefasto, però, vide l’arrivo sui monti Corandar di una tribù di giganti, esseri enormi, che pretesero di fare i loro comodi senza consultare la grande Signora. Essi abbatterono alberi e cacciarono indiscriminatamente gli animali, uccidendo molto di più di quanto potessero mangiare. Ed allora, Aurilindale scese dalle cime più alte per rammentare a quegli esseri ove si trovassero, e quali fossero le ferree leggi della natura. Quegli abietti criminali si rifiutarono di ascoltarla, e la caricarono, come in preda alla rabbia sbavante. Dopo aver tentato di congelarli con il suo possente soffio, ed avendo visto che la loro specie era tale da renderli immuni, la Signora invocò in suo aiuto il grande branco delle montagne in forze; Y’Nedia combatté come un cervo braccato dai lupi, e diede fondo non solo all’istinto che aveva acquisito, ma anche alle conoscenze che aveva conservato dalla sua vita tra i nani. Molti giganti caddero quel giorno, e gli altri fuggirono, ma nella loro furia omicida, essi avevano incendiato dei tronchi, e li avevano usati come terribili armi contro la Signora. Il fuoco l’aveva resa debole, e prima di cadere l’ultimo dei giganti le sferrò il colpo fatale. Tutte le creature dei monti piansero, ed i lupi ulularono quella notte, in lutto per la morte della possente Aurilindale, Signora delle Montagne. Trasportarono il suo corpo alla sua grotta, sotto il grande ghiacciaio, e lì vegliarono per due cammini del sole. Tuttavia, come ella stessa aveva insegnato, la natura continua il suo corso anche dopo la morte dei capibranco, e gli spiriti dei morti ricordano ai vivi i motivi per andare avanti. Y’Nedia era il discepolo della Signora, aveva ereditato da lei la difesa delle montagne e della vita che camminava su di esse; non poteva lasciarsi abbattere, e non poteva consentire che lo spirito di Aurilindale fosse dimenticato. Staccò ampie scaglie color neve dal dorso di lei, e raccolse Luna di Ghiaccio, la grande ascia nanica che i nani le avevano donato tra i rilucenti oggetti del tributo, poi uscì dalla sua grotta e ululò di nuovo, assieme a tutti i lupi delle montagne. Con un fragore assordante, una grande massa di neve si staccò dal ghiacciaio, e chiuse per sempre la tomba della Signora, mentre il suo branco scendeva a valle con i cuori tristi ma determinati ad andare avanti. Y’Nedia passò mesi, in seguito, a scolpire le scaglie della pelle della Signora per adattarle al proprio corpo, in modo che chiunque lo vedesse potesse notare il segno che la sua autorità discendeva da Aurilindale, colei che custodì i Corandar e preservò il loro Equilibrio. Da allora, il nano vegliò sui monti; anche quando le genti degli umani si stabilirono ai loro piedi, ricordò sempre loro le infrangibili leggi della natura. Esiste un Equilibrio, esiste un ordine a tutto il mondo naturale, e chiunque lo infranga non è più degno di essere sostentato dai frutti della terra. Quando gli stolti abitanti di Talhmen osarono appiccare le fiamme al bosco, egli accorse per salvare quante più creature selvatiche fosse possibile; rimase poi nei pressi, reso furioso dalle troppe vite che non aveva potuto preservare, aspettando l’occasione per portare a quegli uomini la punizione della Natura. Attese con la pazienza del ghiaccio prima che un uomo, Folkor Daran, gli indicasse il modo. Che il sacro ghiaccio di Telchur inghiotta chi col fuoco distrugge, e la terra non dia più frutto a chi non si cura di lei. Capitolo 4 Tanat Os, la Morte "Ultimo giungerà su gran mastino Dal verde manto e denti come spade Colui che porta l’uomo al suo destino Avrà nome Morte, lo seguirà Ade" Sono tutti morti. I cadaveri sparsi ovunque sono una vista inebriante. Gli altri hanno svolto la loro parte alla perfezione. Guerra, Pestilenza, Carestia e Morte hanno vinto la loro prima battaglia con facilità. Ora dovrò convincere i miei compagni che la nostra missione non si conclude qui, che il compito affidatoci da Folkor Daran è stato soltanto un segno del destino, un modo per farci incontrare, che molti altri nel mondo meritano di ricevere la nostra punizione. L’Apocalisse è appena iniziata… “Ti sei finalmente deciso?” chiese bruscamente il vecchio elfo, posando la pergamena che stava studiando. Il piccolo halfling alzò lo sguardo, cosa che gli era consentita soltanto dopo che l’altro gli aveva rivolto la parola per primo. “Sì, nobile maestro” disse con voce tremante. “Dimmi dunque, il mio tempo è prezioso.” “Sarà un corvo, reverendissimo padrone.” “Un corvo?” il tono del vecchio Nekar si fece meno scontroso. “Ottima scelta, Tanat. E… hai già deciso quale sarà il suo nome?” “Sì, potente signore.” Il piccolo Tanat riabbassò lo sguardo, presagendo lo scoppio d’ira del maestro nel caso non avesse gradito il nome che aveva scelto. “Ci ho pensato molto e… credo di volerlo chiamare Ade.” Lo sguardo di Nekar si riempì di stupore. Il vecchio squadrò il suo apprendista: un piccolo e insignificante halfling, promettente certo, ma ancora all’inizio del suo percorso di apprendimento, inizio che moltissimi dei suoi precedenti allievi non avevano mai superato… E ora quell’halfling scuro, riflessivo e di poche parole, innocuo a vedersi, a malapena capace di distinguere le componenti materiali degli incantesimi più semplici, gli appariva in modo molto diverso. Adesso Nekar capiva: diversi elementi prima senza significato ne acquistavano ora uno chiaro e terribile. Come spiegare altrimenti che una nullità come Tanat scegliesse proprio quel nome per il suo famiglio non ancora evocato? E come aveva potuto ignorare che di recente il suo piccolo apprendista si era scelto un orrendo mastino verde da cavalcare per i suoi spostamenti? Come, infine, aveva potuto ridere di quel nome, Tanat Os, che in una lingua antica e perduta significava… “T-tu sei la Morte” sussurrò il vecchio Nekar, protendendo un indice tremante verso il piccolo halfling. “Come ha detto, mia oscura guida?” chiese Tanat, osservando con stupore l’espressione del vecchio. “La profezia…” mormorò Nekar, alzandosi dalla sedia. Poi si voltò e cominciò a scorrere con lo sguardo i tomi che occupavano la libreria. Tanat stette per un attimo a guardare il maestro, senza capire. “Posso andare?” disse infine, dopo aver atteso per qualche minuto in silenzio. Nekar trasalì nel sentire la sua voce e si voltò di scatto. Vide che a parlare era stato il suo piccolo apprendista e parve tranquillizzarsi. “Certo, puoi andare” disse. “Ci vediamo domani.” Soltanto più tardi, mentre accarezzava il manto pieno di cicatrici di Phobos, Tanat si rese conto che, alla fine del loro incontro, si era dimenticato di rivolgersi al maestro con le consuete formule, senza che ciò avesse conseguenze. Inoltre, quando il maestro lo aveva congedato, gli era parso che gli sorridesse, cosa che non aveva mai fatto prima. “Volevi vedermi, Nekar?” chiese in modo sbrigativo Tanat, entrando nella stanza dove il suo vecchio maestro giaceva, ormai infermo, su un grande letto. “Ciao Tanat, sono contento che tu abbia trovato il tempo di venire” disse il vecchio. “Credo che non mi resti molto da vivere ed è ora che tu sappia una cosa.” L’halfling si fece attento e si arrampicò su una sedia accanto al letto, mettendosi poi a sedere. “Si tratta di un’antica profezia. Ne sono venuto a conoscenza anni fa, consultando un libro vendutomi da una mercante dai curiosi occhi gialli venuta da molto lontano. Parla dell’Apocalisse, il tempo in cui un dio adirato darà mandato a quattro cavalieri di portare vendetta e punizione a coloro che avranno infranto i suoi dettami. Tanat, tu sei uno di quei cavalieri!” “Vecchio Nekar” sbottò Tanat, dopo qualche istante di incredulità, “tu abusi della mia pazienza. Non credo in simili fandonie.” “Lasciami finire, prima di giudicare. I quattro cavalieri descritti dalla profezia saranno Guerra, Pestilenza, Carestia e… Morte. Quest’ultimo cavalcherà un mastino verde e al suo seguito verrà Ade! Ti dicono niente queste cose?” Tanat restò a fissare il vecchio, senza dire nulla e senza mostrare reazioni alle sue parole. “Controlla tu stesso” continuò Nekar, porgendo all’halfling un piccolo libro rilegato di pelle grigia. L’halfling lo prese e cominciò a leggere la pagina che il vecchio gli aveva indicato. “Io… io non credo in queste sciocchezze” disse, ma stavolta con tono meno convinto. “E, anche se questa profezia fosse vera, cosa significherebbe? E quale sarebbe questo dio?” “Non so di quale divinità si tratti, gli accenni in proposito sono vaghi e l’autore è sconosciuto. Ma una profezia come questa non può essere presa alla leggera: devi trovare gli altri tre, Tanat! Raduna i quattro cavalieri e mettiti in viaggio. Qualche segno vi guiderà verso i vostri compiti.” “Nekar, dovresti saperlo: nessun dio riceverà i miei servigi se non l’Oscuro Mietitore.” “Ma, Tanat, sarà proprio morte che porterai tra la gente… quale miglior dono da fare a Nerull? E, se alle vostre spalle lascerete morte e distruzione, sul vostro cammino vi precederà il terrore, una volta che le vostre gesta e la profezia si conosceranno!” L’halfling fissò il vecchio per lungo tempo, soppesando le implicazioni delle sue parole. “Questo sembra già più interessante” disse infine. “Se sfruttassi questa profezia nel modo giusto, potrei effettivamente compiacere il Cupo Re in un modo che nessuno dei suoi servitori ha mai nemmeno concepito e, al contempo, accrescere infinitamente il mio potere…” “Ma tu ancora non credi alla profezia!” “Che importa se ci credo o meno, vecchio, l’importante è che ci credano gli altri…” “Ascoltami bene, Tanat, piccolo arrogante” disse Nekar, cercando di alzarsi a sedere sul letto, “non permetterò che tu ti prenda gioco di quella profezia: ho dedicato anni della mia vita ad insegnarti la magia necromantica soltanto grazie alle parole contenute nel libretto che ora tieni in mano.” Tanat si alzò in piedi sulla sedia, si mise il libro in tasca e allungò un braccio in direzione di Nekar. “Ormai hai assolto al tuo compito di maestro, vecchio. Come se non bastasse, sai cose che non posso permetterti di rivelare ad altri. In nome di Nerull, io mi prendo la tua vita.” Dalle dita di Tanat uscì un raggio incandescente che colpì Nekar al petto. Il vecchio lanciò un urlo e mentre le ultime forze lo abbandonavano, fissò con odio il piccolo halfling. “Che hai da guardare, vecchio? Me lo hai detto tu stesso: io sono la Morte.” “Quindi tu ritieni che sia st. Cuthbert il dio a cui si riferisce questa profezia?” chiese Folkor Daran, rigirandosi fra le mani il piccolo libro grigio. “Ne sono certo!” rispose il piccolo halfling, trattenendo un sorriso. “Non vedete il chiaro riferimento al Castigo dei peccatori? E quanto questa profezia si adatta ai fatti di cui mi parlate! Fino a quando non ho sentito la vostra storia nemmeno io ci credevo sino in fondo.” Una luce si accese negli occhi del chierico: senza dubbio st. Cuthbert gli stava finalmente indicando il modo di compiere la Sua vendetta! Epilogo L’Apocalisse L'oscura viaggiatrice guardava sorridendo dalla sommità della collina i risultati della strage, mentre i suoi curiosi occhi gialli luccicavano malignamente. Osservò i suoi inconsapevoli quattro cavalieri: poteva dirsi soddisfatta, il suo piano iniziava a dare frutti… era così semplice spingere i membri delle razze inferiori ad uccidersi fra di loro! Si voltò per andarsene seguita fra le ombre dai draghi che sempre la attorniavano. L’Apocalisse di Tiamat aveva avuto inizio. “Ma verrà il giorno che Egli sulla terra Porterà a tutti i mal giusta vendetta Con Morte, Fame, Pestilenza e Guerra Pura farà la stirpe maledetta Ei manderà i suoi quattro Cavalieri Con ascia, con velen, fiere e magia Guidando il lor giudizio e i lor pensieri Vita ai peccator trarranno via Sanguigna apparirà cavalcatura Porterà donna, di ferale aspetto Con l’ascia in pugno, priva di paura E tra gli uomini Guerra avrà ricetto Su fiero destrier di nero ammantato Un cavalier sottil recherà fiala Di questa e del suo forte arco armato Con cui corpi vital corrompe e ammala E su bianco animale un cavaliere Stringerà in pugno le ghiacciate lame Armato del potere delle fiere Nel mondo recherà con sé la Fame Ultimo giungerà su gran mastino Dal verde manto e denti come spade Colui che porta l’uomo al suo destino Avrà nome Morte, lo seguirà Ade”