Anno CXVIII - N° 11-12 - Poste Italiane S.p.A. - Sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1, DCB Roma
LEGA
NAVALE
PERIODICO DELLA LEGA NAVALE ITALIANA DAL 1897
NOVEMBRE
DICEMBRE
2 015
È tempo di regali
Per Natale dona
l’iscrizione alla Lega Navale
a un amico che ti è caro.
Te ne sarà grato
per sempre.
Sommario
Editoriale
3
Paolo Bembo
•
Uno “shooter” (direttore di volo
del personale di ponte nella sua
caratteristica tenuta verde che ne
contraddistingue la specialità) dà
il suo segnale di consenso al lancio di un Harrier AV8B+ a bordo
della portaerei Cavour (vedi articolo a pag. 6)
•
•
•
Impaginazione e Stampa
Stilgrafica srl
Via Ignazio Pettinengo, 31/33
00159 Roma - tel. 06 43588200
www.stilgrafica.com
e-mail: [email protected]
I Samurai
del mare nostrum
di Giuliano Da Frè
•
Poste Italiane S.p.A.
Sped. in abb. post. - D.L. 353/2003
(conv. in L. 27/02/2004 n. 46)
art. 1 comma 1 DCB Roma
Una meraviglia
della Marina svizzera
di Claudio Boccalatte
•
Registrazione Tribunale di Roma
n. 7727 del 24.10.1960
Musica a bordo!
di Franco Maria Puddu
Direttore Responsabile
Paolo Bembo
Direzione - Amministrazione
Via Guidubaldo Del Monte, 54
00197 Roma
tel. 06 809159203-fax 06 809159205
C.C. post. 30719009
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Ali sul mare
di Giampiero Maria Fabretti
Anno CXVIII - n. 11-12
novembre-dicembre 2015
Redazione
Franco Maria Puddu
Il punto nave
La Lega Navale
sulla buona rotta
Il Salone non lascia
anzi... raddoppia!
di Andrea Fazioli
•
I 20 anni della rubrica
“Vela a Vela”
di Giulio Guazzini
4
6
12
19
Sub
26
•
Ambienti
per le immersioni (4a parte)
Alberico Barbato
32
La voce del diportista
•
Bandiere extracomunitarie
in navigazione in acque
internazionali
Aniello Raiola
38
Manoscritti fotografie e disegni,
pubblicati o no, non si restituiscono.
ISSN 0024-032X
finito di stampare nel mese di novembre 2015
61
Emergenza sanitaria
•
La ruota a pale
conquista fiumi e mari
di Claudio Ressmann
•
Gli illustratori alla guerra
di Ciro Paoletti
Recensioni e segnalazioni
•
43
Umberto Verna
52
62
Corso di pesca
•
48
Prevenzione: saper fare
Parliamo di pastura
Riccardo Zago
Cronache delle
Sezioni e Delegazioni
Iscrizione R.O.C. n. 9378
La rivista viene inviata ai soci vitalizi,
benemeriti, ordinari e studenti.
58
RICORDIAMOCI DEI NOSTRI
FUCILIERI DI MARINA
Mostriamo loro la nostra solidarietà
inviando una e-mail a
[email protected]
63
66
Editoriale
I
l mondo del mare, tutti i suoi appassionati, chinano oggi per un momento il capo in segno di cordoglio. È venuto a mancare, prematuramente, Luca Sonnino Sorisio. Sicuramente buona parte dei nostri lettori lo ricorderanno come direttore di Nautica; qualcuno lo avrà anche conosciuto come raffinato fotografo subacqueo; tutti rammentiamo,
inoltre, le belle immagini dei suoi acquarelli. E poi, non c’era evento che avesse a che fare
con il mare, con la sua protezione, con l’industria che dal mare trae spunto, nelle sue varie ramificazioni, con la cultura che al mare fa capo che non vedesse Luca presente, quando non
protagonista. Memorabili alcuni suoi editoriali in difesa di tutto questo mondo, a noi così caro. Esso sentirà profondamente la sua mancanza.
Ritenevamo imprescindibile un ricordo di Luca Sonnino che solo la periodicità della Rivista ha
impedito fosse possibile prima. Adesso però, abbiamo il dovere di andare avanti, raccogliendo
magari anche il testimone che lui ha passato a tutti noi per continuare a combattere le sue battaglie, che sono anche le nostre, cosa che crediamo, pure la sua rivista continuerà a fare.
Per molti di noi, questa stagione è più caratterizzata dalle letture e dalla preparazione ai prossimi impegni della nuova stagione che già tra le brume dell’inverno, intravediamo. Sono momenti di cui fare tesoro, per arrivare preparati al meglio e poter così godere a pieno e in sicurezza delle gioie
che i nostri interessi
sul mare ci riserbano.
Pochi privilegiati
continuano
invece a
fruire del
mare anche
nella cattiva
stagione nei campi
più disparati che
vanno dai vari campionati
invernali a determinati tipi di pesca.
Quella che sicuramente non va mai in letargo, per nessuno di noi, è la passione, per questo, a
tutti, nell’approssimarsi delle Feste, vadano gli auguri di Lega Navale che oltre che essere di
Buon Natale e Felice Capodanno, sono anche di un futuro pieno di soddisfazioni sul mare.
Paolo Bembo
COMUNICAZIONE IMPORTANTE
Questo è l’ultimo numero della Rivista che viene spedito automaticamente a tutti i soci. La
coscienza ecologica dell’Associazione, unita ad una necessaria “revisione della spesa” operata dalla
Presidenza Nazionale, suggerisce di limitare al massimo l’impiego della carta necessaria alla stampa
della Rivista. Pertanto, a partire dal prossimo numero, questa Rivista verrà inviata soltanto a chi
ne farà espressa richiesta all’atto dell’associazione/rinnovo, accettando per questo di pagare
contestualmente una quota maggiorata di cinque euro l’anno a parziale copertura delle spese.
Il punto nave
La Lega Navale
sulla buona rotta
Cari Soci,
finalmente dal 23 al 25 ottobre, nella suggestiva e
accogliente sede di Napoli, ha avuto luogo l’attesa
e annunciata riunione dei presidenti delle sezioni
e delle delegazioni della Lega Navale Italiana. Le
condizioni meteo ci hanno dato una grossa mano: il sole caldo di Napoli e il golfo incantevole
della città partenopea hanno fatto da cornice al
seminario conferendo all’evento un aspetto particolare, “riscaldando” al punto giusto le riunioni
plenarie (di apertura e chiusura) nonché i vari tavoli tecnici che erano stati attivati (e di cui farò
un breve cenno in conclusione).
Le aspettative per questo importante incontro erano alte e sentite da molti (anche se devo sottolineare qualche assenza di troppo). Anzitutto, tutti
volevano sentirsi come rassicurati che la Lega Navale avesse ripreso la buona rotta e che il timone
fosse ormai ben saldo nelle mani del suo Presidente-Commissario. Da parte mia, oltre a voler rendermi conto – attraverso le parole dei presidenti –
dello stato di salute delle sezioni e di fare una prima reciproca conoscenza de visu degli stessi, ho
cercato per prima cosa di rassicurare sui conti economici che ho trovato in ottima “salute”, tanto da
consentirmi di far fronte alla totalità (o quasi) delle richieste di sovvenzione che erano pervenute
nel (lungo) periodo di vacanza dei vertici.
Ho anche avuto l’opportunità, affinché ne fossero
successivamente informati tutti i soci, di delineare
le linee guida sulle quali orienterò la mia azione e
di mettere a fuoco alcuni punti preminenti che riguardano la Lega Navale sia a livello nazionale
che a livello locale/regionale. Tra questi, c’è da ricercare, tutti insieme, il consolidamento dell’immagine della Lega Navale Italiana, leggermente
“graffiata” nell’ultimo periodo, che non potrà che
passare attraverso un rafforzamento dell’attività
4
novembre-dicembre 2015
delle Strutture Periferiche che debbono perseguire
i fini istituzionali propri della Lega navale che la
rendono unica nel panorama nazionale.
Il primo aspetto – emerso prepotentemente nell’ambito degli incontri – che dovrà, infatti, essere
curato è il rilancio del nostro Sodalizio e il recupero del ruolo e del prestigio che gli compete e che
lo ha sempre contraddistinto nei suoi 118 anni di
storia, per far sì che la gente percepisca sempre
che svolgiamo un servizio di interesse pubblico.
Dobbiamo tutti pretendere dai nostri soci, e questo è uno degli impegni più importanti che richiedo ai Consigli direttivi, una maggiore disponibilità a partecipare agli eventi sociali e istituzionali
per avviare attività nelle scuole, conferenze, corsi
di vela, nuoto o canoa/canottaggio, ecc. anche a
favore di personale disabile. In altri termini: sviluppare iniziative promozionali, culturali, sportive, ambientalistiche e naturalistiche idonee e conformi al conseguimento degli scopi statutari. Non
ci si può accontentare, o accettare, che chi si associa alla Lega Navale lo faccia con l’obiettivo di assicurarsi privilegi a costi contenuti per utilizzare le
concessioni demaniali (arenili, banchine per ormeggio imbarcazioni o sedi sociali/nautiche):
“non abbiamo interessi da presidiare, ma valori da
trasmettere”, per sviluppare la cultura marinara e
per condividere il nostro amore per il mare, soprattutto a favore dei giovani.
Come chiaramente emerso durante le “tre giornate” di Napoli, esistono però anche varie problematiche, tuttora aperte e che richiederanno enormi sforzi e grande coesione tra tutti, per trovare le
giuste soluzioni, pena il rischio di ridurre le capacità e la presenza delle Sezioni della Lega Navale
sul territorio nazionale. In primis, il problema dei
rinnovi delle concessioni demaniali, minacciate
dalla direttiva europea Bolkestein, come anche al-
cune direttive ministeriali che hanno creato qualche problema alle
sezioni che organizzano corsi di
istruzione nautica per il conseguimento delle abilitazioni alla conduzione delle imbarcazioni da diporto. Esiste anche la necessità di
ridurre le spese globali della Presidenza Nazionale, soprattutto ora
che da ormai tre anni sono cessati i
contributi statali: è questo un impegno che ho avviato fin dall’inizio del mio mandato e che dovrò
mettere in pratica già per il 2016.
Qualche “battuta” sui lavori dei
presidenti nei tavoli tecnici che
hanno affrontato con grande impegno, passione e forse anche
qualche animata discussione, alcuni temi importanti che sono scaturiti proprio dalle difficoltà in cui si
è trovata la nostra Organizzazione
negli ultimi mesi e che l’hanno
portata al commissariamento. Sono convinto che non ci siano i presupposti per modificare lo status di
“Ente pubblico” della Lega Navale
che, anzi, deve essere difeso con
tutte le nostre forze, per non intaccare la valenza del Sodalizio e le
sue prerogative che gli derivano da
più di un secolo di storia; perdere
Il Commissario Straordinario, contrammiraglio Romano Sauro
tale peculiarità metterebbe a forte
rischio soprattutto le concessioni
In conclusione, ritengo che l’incontro di Napoli
demaniali, su cui si basano e vivono le sezioni. Visia stato estremamente positivo e tutti gli interceversa, grazie al lavoro delle “tavole rotonde”,
venti effettuati, compresi i lavori non facili dei tadovremo valutare con grande attenzione alcune
voli tecnici, siano stati tutti precisi, puntuali e nei
proposte di modifica allo Statuto che sono emerquali, in gran parte, ho potuto notare una sostanse, tra cui spiccano le modalità di nomina dei verziale concordanza di vedute. Insomma, un semitici, come anche un aggiornamento dei compiti e
nario concreto e redditizio sotto tutti i punti di videgli scopi della nostra istituzione, soprattutto nel
sta, ricco di impulsi positivi e temi d’interesse.
settore della scuola e dell’attività sportiva non
La Lega Navale Italiana riparte da Napoli: non è
agonistica, oltre che quella di impegno ambientapiù una nave alla deriva senza una guida; ha rilista. Aspetti che ci vedranno tutti vincolati nei
preso, anche se lentamente, la sua rotta e si può
prossimi mesi per rinnovare la Lega Navale… nelavvalere di uno stato maggiore coeso e motivato e
la tradizione! Non ci illudiamo: sarà una navigadi un equipaggio unico che si sta accingendo a
zione in acque agitate e difficili, che richiederà
navigare verso nuovi obiettivi. Verso nuovi tramolto lavoro e determinazione, ma che comunguardi. Speriamo anche verso un grande futuro.
que bisogna saper affrontare senza paura e pregiudizi, senza cadere in facili entusiasmi, ma sopratBuon vento.
tutto evitando di imprimere pericolose spinte
Romano Sauro
centrifughe.
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Ali
sul mare
di Giampiero Maria Fabretti
L’
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l’intero agglomerato
operativo della Base, che
subì ingenti perdite.
Lo sfortunato incidente
offri, tuttavia, l’opportunità di acquisire i
nuovi e più affidabili
SH3D Sea King, che vennero affidati al neo-costituito 3° Gruppo Elicotteri. Contestualmente la necessità di disporre di una macchina compatta ed imbarcabile sulle fregate antisommergibile, portò all’introduzione in servizio dell’AB204.
La Componente proseguì il proprio sviluppo introducendo, nel 1976, l’elicottero Agusta-Bell 212,
con superiori capacità di contrasto ai sommergibili ed alla minaccia di superficie.
Negli anni successivi, lo sviluppo dell’Aviazione
Navale fu segnato da due eventi particolarmente
significativi: l’approvazione della legge N.57 del
1975, promossa dall’ammiraglio Gino De Giorgi,
Capo di Stato Maggiore, che portò, tra le altre cose, alla realizzazione dell’incrociatore portaeromobili Giuseppe Garibaldi, unità che consentì alla
Componente Aeromobili un notevole balzo di dimensioni, alla quale, più tardi, fece seguito l’approvazione della legge N.36 del 1989, che consentì alla Marina Militare di dotarsi di una componente ad ala fissa imbarcata, permettendo l’acquisizione dei velivoli AV-8B Harrier II+ inquadrati
nel neo-costituito Gruppo Aerei Imbarcati di Grottaglie (GRUPAER).
Breve storia
della componente
Aeromobili
della Marina Militare
Aviazione della
Marina nasce il
27 giugno del
1913, per iniziativa dell’ammiraglio Paolo
Thaon di Revel, all’epoca Capo di Stato Maggiore della Forza Armata, con la costituzione
dell’ufficio per il “Servizio Aeronautico della
Regia Marina” e della “Scuola di Aviazione della
Marina” di Venezia.
La Componente ebbe un fortissimo sviluppo durante la Prima Guerra Mondiale, nel corso della
quale le aeronavi della Marina condussero 1.355
missioni di esplorazione e 68 di bombardamento,
mentre gli idrovolanti portarono a compimento
1.884 missioni offensive e 1.500 di ricognizione.
Gli eventi citati segnarono l’inizio di un lungo
cammino che sfociò, nel 1956, nella costituzione
della prima base aeromarittima presso l’arsenale
militare di Augusta, in una zona denominata Terrevecchie, dove venne fondato il Primo Gruppo
Elicotteri, equipaggiato con sette Agusta AB47G.
Pochi anni dopo, il Primo Gruppo venne trasferito
a diretto ridosso dell’aeroporto Fontanarossa di
Catania, dove nel 1963, con l’arrivo dei primi elicotteri Sikorsky SH34J Seabat, verrà ufficialmente
costituita la Stazione Elicotteri Marina Militare
(MARISTAELI Catania).
L’anno successivo, il 1964, è ricordato invece come
un anno funesto, in cui una tromba d’aria devastò
novembre-dicembre 2015
Uno dei primi elicotteri AB-47J percorre il canale navigabile di Taranto rizzato sul ponte delle fregala Carlo Bergamini; era un netto
miglioramento rispetto al 47G che aveva ancora la fusoliera totalmente in plexiglas configurata a “bolla di sapone”. In apertura il distintivo da spalla degli appartenenti all’Aviazione Navale
Contemporaneamente, sul fronte elicotteristico,
venne fondato il Nucleo Lotta Anfibia (oggi Reparto Eliassalto), specializzato in operazioni di supporto al Reggimento San Marco.
Nel 2000 venne impostata la più recente iniziativa
di ristrutturazione e razionalizzazione organizzativa della componente, con l’istituzione del comando delle forze aeree e l’introduzione del concetto
di impiego degli aeromobili secondo i moduli delle sezioni elicotteri/aerei.
La riorganizzazione venne implementata con l’obiettivo di ottimizzare l’addestramento e la standardizzazione degli equipaggi, innalzare la disponibilità e l’efficacia operativa degli aeromobili e
migliorare ulteriormente l’impiego delle risorse
umane e materiali, per rispondere in modo sempre più appropriato alle nuove e crescenti esigenze
operative.
È sempre in questi anni che vennero messe in cantiere le principali iniziative di ammodernamento
dell’Aviazione Navale tra le quali l’introduzione
dell’EH101, dell’SH90, oltre all’impostazione ed al
varo della portaerei Cavour.
La nuova nave ammiraglia, di dimensioni ben superiori al Garibaldi, è caratterizzata da una grande
versatilità, frutto delle molteplici configurazioni
attribuibili all’insieme di aerei ed elicotteri imbarcabili (EH101, SH90, AB212 ed AV8B). Essa, inoltre, è in grado di giocare una varietà di ruoli che si
aggiungono a quelli tradizionali: quartier generale
avanzato, unità per operazioni anfibie, nave ospedale e unità per gli interventi umanitari di grande
scala.
La sfida più recente è rappresentata dalle iniziative
di sostituzione della linea AV8B, che si approssima
alla conclusione della vita operativa e per cui sono
da tempo in corso le attività propedeutiche. A tal
proposito è stato selezionato l’F35B Lightning II,
velivolo supersonico ed a bassa osservabilità radar.
La Componente Aeromobili oggi
La Componente Aeromobili della Marina è sostanzialmente articolata sulla base di uno staff centrale
e tre distinte Stazioni Aeree, distribuite sul territorio presso Sarzana, Grottaglie e Catania, ovvero in
stretta prossimità delle principali Basi Navali.
novembre-dicembre 2015
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Uno dei primi tentativi di navalizzare maggiormente i nuovi elicotteri è rappresentato da questo A106, con cabina allungata, carrello
con pattini e possibilità di essere vettore di un siluro A/S, ma la versione non ebbe grande successo e venne ben presto abbandonata
Lo staff centrale è suddiviso in due distinte ramificazioni: il Reparto Aeromobili dello Stato Maggiore della Marina ed il Comando delle Forze Aeree,
collocato presso il Comando in Capo della Squadra Navale. Le due ramificazioni fanno capo ad un
unico ammiraglio, che svolge il doppio ruolo di
capo del reparto aeromobili e comandante delle
forze aeree (COMFORAER).
Lo staff, in questa configurazione, ha carattere pienamente interdisciplinare ed è pertanto in grado
di attendere ad ogni settore della sfera dell’Aviazione Navale.
In particolare, il Reparto Aeromobili definisce la
“policy” di impiego e di sviluppo della componente, mentre il Comando delle Forze aeree accentra
tutte le funzioni relative all’addestramento ed alla
gestione operativa delle linee di volo.
Come già detto, sul territorio nazionale sono distribuite tre stazioni elicotteri/aeromobili, posizionate nelle immediate vicinanze delle tre principali
basi navali: quella di Catania, quella di Sarzana Luni e quella di Grottaglie. Su di esse sono dislocati i seguenti gruppi operativi: a Catania, il 2° e il 3°
Gruppo Elicotteri, rispettivamente con AB-212,
prevalentemente destinati ad imbarcare sulle unità navali delle forze da pattugliamento, ed EH101, specializzati in operazioni di controllo degli
spazi marittimi con capacità di contrasto alle minacce di superficie e subacquee.
A Luni - Sarzana (La Spezia) sono il 1° ed il 5°
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Gruppo Elicotteri, dotati di EH-101 per il supporto
alle Forze Speciali, con particolare riferimento al
vicino Comando Subacquei Incursori di La Spezia,
e dei nuovi SH-90A che stanno progressivamente
sostituendo gli AB-212. A Luni è basato inoltre il
Centro Sperimentale Aeromarittimo (CSA), distaccato dallo Stato Maggiore Marina, per condurre attività di studio, sperimentazione e valutazione
operativa dei nuovi equipaggiamenti ed assicurare
la piena integrazione degli aeromobili con le unità
navali.
A Grottaglie (Taranto), è invece la sede del Gruppo
Aerei Imbarcati, dotato di cacciabombardieri AV8B Plus e del 4° Gruppo Elicotteri, attualmente in
transizione dagli AB-212 ai nuovi SH-90.
In aggiunta, presso l’aeroporto di Pratica di Mare è
rischierata permanentemente una Sezione Aerea,
dotata di tre velivoli P-180 con compiti di collegamento/trasferimento logistico, supporto alla Squadra Navale e pattugliamento marittimo.
Iter di studi
Possono diventare piloti di Marina gli ufficiali dei
ruoli normali e gli allievi ufficiali piloti di Complemento (AUPC) Per i primi, l’iter che porta a diventare un pilota di Marina è lungo e impegnativo
ed inizia in Accademia Navale, dove è possibile accedere tramite concorso, dopo aver conseguito il
diploma di scuola media superiore e fino all’età di
23 anni. Al termine dell’iter di studi ordinario, 3
Un AB-212 con livrea e coccarde a bassa visibilità in fase di atterraggio sull’eliporto di Maristaeli Catania; acquisito dal 1976 in 68
esemplari, robusto, ben marinizzato e spazioso, questo elicottero ha dato eccellenti risultati sia a bordo che nell’impiego su terra
anni dall’ingresso in Accademia Navale, si avrà la
possibilità di essere selezionati ed essere brevettati
presso le scuole di volo della US NAVY quali piloti
di aerei ad ala fissa non aerotattici, elicotteri e Jet
(velivoli aerotattici). Invece, per diventare Ufficia-
le Pilota di Complemento è necessario avere un’età compresa tra i 17 e 23 anni, essere in possesso
di un diploma di scuola media superiore e partecipare al concorso per Allievo Ufficiale Pilota. I vincitori del concorso, inizialmente frequenteranno
Una bell’immagine dell’EH-101, macchina specializzata nel pattugliamento di vaste aree, con capacità di offesa e di contrasto a forze
sia di superficie che subacquee, di base anch’esso a Maristaeli Catania
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La linea di volo dell’aeroporto di Grottaglie, “la città degli Harrier” dove, unitamente a questi prestigiosi velivoli quando non sono
imbarcati, si trova anche il 4 Gruppo Elicotteri che sta gradatamente dotandosi dei nuovi SH-90 al posto degli AB-212
un corso pre-flight di circa 5 mesi in Accademia
Navale, per essere poi inviati negli Stati Uniti per
il corso di pilotaggio presso le scuole di volo della
US NAVY. Gli Ufficiali piloti dei Ruoli Normali
mantengono le stesse prospettive di carriera degli
altri colleghi del Ruolo Normale, essendo destinati
a ricoprire tutti gli incarichi relativi al proprio profilo di carriera quali il Comando di Unità Navali e
possono ambire alle
massime cariche in
seno alla Forza Armata e alla Difesa. Gli
AUPC, dopo 12 anni
di ferma hanno la
possibilità di transitare nel Corpo di
Stato Maggiore del
Ruolo Speciale, potendo così ambire di
raggiungere il grado
massimo di capitano
di vascello. Generalmente, gli ufficiali
piloti del ruolo speciale non sono destinati ad assumere il
comando di un’unità
navale. Oltre ai piloti, la Marina Militare
forma ufficiali e sotFinalmente non più una portaeromobili ma una vera portaerei plurimpiego (forse anche troppo), il
tufficiali tecnici di
Cavour, costituisce il vero nerbo della Squadra Navale italiana
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novembre-dicembre 2015
Un caccia Lockheed
Martin F-35 Lightning
II o Joint Strike Fighter-F35 durante una
manovra di appontaggio; si tratta di un
velivolo multiruolo
mo noposto, con ala
trapezoidale a caratteristiche stealth del
quale ne è prevista
una variante a decollo corto e atterraggio
verticale, per poter
operare da portaerei di dimensioni ridotte come l’italiana Cavour
aeromobili, scelti tra il personale già in forza alla
Forza Armata, i quali vengono indirizzati alla frequenza di corsi altamente specializzati, in Italia o
negli Stati Uniti, per l’impiego sui velivoli in servizio presso i Gruppi di Volo.
Può diventare Operatore di Volo o Specialista/Tecnico di Aeromobili il personale appartenente alle
categorie/specialità/qualificazioni sotto riportate
di età non superiore ai 35 anni del ruolo dei marescialli, sergenti e graduati in servizio permanente
nonché il VFP4 che non abbia superato il 2° anno
di ferma alla data di inizio del corso, idoneo sotto
il profilo medico legale quale” Aspirante agli Equipaggi Fissi di Volo della MM”. L’idoneità, requisito
essenziale per poter partecipare alla selezione, viene acquisita presso uno dei 3 istituti medici legali
dell’Aeronautica Militare.
a. SSC/Ecg, M/Ecg, M/Rd o SSc/Tlc quale operatore di volo;
b. SSP/Tm o M/Tm per la qualifica Specialista di Aeromobili o Tecnico di Aeromobili (SAER e TAER);
c. Tsc/Ete o M/Ete, SSP/Ete o M/Ete per la qualifica Tecnico di Aeromobili (Taer);
d. Tsc/Ma o M/Ma per la qualifica Taer.
Il corso di formazione ha una durata di circa 16
mesi e si svolge presso Maristaeli Catania. Alla fine
del corso il personale specialista sarà destinato
presso uno dei Gruppi di Volo.
Tra gli Ufficiali delle forze Aeree della MM sono
presenti anche gli Ufficiali Tecnici di Aeromobili
(TC/Aer) provenienti dagli Ufficiali del Ruolo Nor-
male o del ruolo Speciale del Corpo GN e AN. Essi
sono destinati ad assumere incarichi pressi le Maristaeli/Aer Gruppi di Volo o le Unità Navali Maggiori (Cavour e Garibaldi) e sono destinati a divenire Capi Servizio Tecnico dei Gruppi di Volo o delle
Maristeli/Maristaer. Il corso di durata compresa tra
i 14 e 18 mesi, in dipendenza dal tipo di macchina
di assegnazione si svolge presso Maristaeli Catania
e presso i Gruppi di Volo. Al termine del periodo
di Formazione i nuovi Ufficiali TC/Aer saranno
impiegati presso una delle basi/Gruppi di volo della MM.
Per partecipare al corso è indispensabile essere idonei sotto il profilo Medico legale ed acquisire la
idoneità quale “aspirante agli equipaggi fissi di volo della MM” presso uno dei tre istituti medici legali dell’AM. Al completamento del corso essi assumeranno una ferma della durata doppia a quella
della durata del corso.
■
ATTENZIONE
Nel testo a fianco sono state utilizzate alcune sigle che vanno intese così: SSC, specialista del sistema di combattimento; SSP, specialista del sitema di piattaforma; SAER, specialista di aeromobili; TAER, tecnico di aeromobili; M, marinaio. A queste sigle segue quella della specializzazione Ecg, ecogoniometrista; Rd, radarista;
Tlc, telecomunicatore; Ete, elettricista tecnico
elettronico; Ma, meccanico armarolo.
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11
Musica
a bordo!
di Franco Maria Puddu
C
12
monata per il gusto di
farlo e non per evitare
lo scorbuto, e di contraddire il capufficio,
senza per questo ricevere trenta colpi di gatto
a nove code.
Come ha fatto, questa
gigantesca band of brothers, a sopravvivere a
questo periglioso viaggio nel tempo? Certo non grazie ad una regola fissa:
a volte appoggiandosi a qualche superstizione o alla
religione (ma anche facendo un sapiente mix delle
due), a volte affidandosi al buon senso, spesso imparando oggi per il domani, copiando atteggiamenti
di altri e, non diciamo soprattutto ma in buona parte, socializzando fra compagni di sventura e avventura in maniera di creare una quasi fraterna compattezza, ricorrendo, per questo, anche al canto.
Balli, canti e musiche
da lavoro e non, nella
storia della marineria,
dalla piroga
alla nave da battaglia
ome tutti ben
sappiamo, la vita di chi ha scelto di andar per mare
non è mai stata, sin dalla notte dei tempi, un
facile cammino: da illo
tempore ce lo testimonia
la frase di Platone secondo il quale al mondo esistevano tre tipi di
persone, “i vivi, i morti e quelli che vanno per mare”.
Anche Pantero Pantera, capitano delle galee pontificie a cavallo tra il XVI e il XVII secolo, ricorderà nel
libro “L’armata navale”, del 1614, che a bordo delle
galee vigeva il detto “la vita è tormento, la morte è sollievo”, ma la testimonianza più deprimente arriva a
noi da un vecchio pescatore di Mazara del Vallo che,
intervistato negli Anni 50 da Vittorio G. Rossi, il
maggior scrittore di mare contemporaneo italiano,
disse di sé e dei suoi compagni: “noi, poveri vivi!”.
Pure, celando la realtà del suo vivere, o meglio sopravvivere, dietro un’apparenza sfrontata, scanzonata e, a seconda del caso, più o meno malandrina,
questa razza tanto a contatto con rischi e pericoli,
quanto tenacemente attaccata alla vita, è riuscita,
seguendo rotte imprevedibili e imperscrutabili ma,
spesso, fortunate, ad attraversare il grande oceano
della Storia per giungere ai giorni nostri.
Che, ben lo sappiamo, non saranno certo l’optimum per una vita serena, ma che almeno ci consentono di andare al bar senza temere di essere rapiti dagli arruolatori della Marina, di bere una li-
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C’è canto e canto
Quando parliamo di canto, chiariamolo subito,
non ci riferiamo a quelle canzoni, spesso languide
e strappalacrime che parlano di mari belli e incantati, e poi vanno a finire tutte nello stesso modo,
ossia, quanto è bello il mare di questo o quel posto,
tanto bello che lontani da questo non si può stare.
No, perché queste non sono canzoni per marinai.
Saranno belle, certo, con una musica eccellente,
però sono per chi sospira struggendosi e guardando il mare, stando con i piedi ben piantati sul molo o sull’impiantito del Bar del Porto.
Sopra, il disegno ricavato da un bassorilievo della prora di una
nave da guerra romana, i cui vogatori ritmavano la “palata” con
un canto corale o al suono del portisculus, una sorta di nacchera o martello del quale esiste un’unica immagine (a fianco) purtroppo non chiara, proveniente da un mosaico. In apertura, un
disegno della Mary Rose, il vascello britannico nel cui scafo
vennero rinvenuti numerosi strumenti appartenenti ai marinai
I canti dei marinai parlano di vite dure, di asperità,
spesso il mare non lo nominano neanche. Sono
canzoni di gruppo utilizzate per lavorare, il che, per
il marinaio che vive a bordo, equivale a far vivere la
sua casa (la nave) e la sua famiglia (l’equipaggio);
strambe melodie molto spesso improvvisate, prive
di autori di nome e cantate approssimativamente
da gente raffazzonata, ma componenti essenziali
del quotidiano di chi viveva sulle navi.
Ci è pervenuto dal passato un frammento di una
delle più antiche di queste, una celeuma; non sappiamo con esattezza se si trattasse di un vero canto
oppure di una sorta di incitazione corale senza
pretese musicali, che i rematori di una nave da
guerra romana utilizzavano per regolare i tempi di
vogata e, nella sincronizzazione dei gesti, ottenere
un miglior rendimento con minor fatica.
Di certo sappiamo che faceva parte dei canti “a risposta” nei quali un capo gruppo, un nocchiere
chiamato hortator, proclamava il primo verso al
quale l’equipaggio rispondeva.
Il “canto” era in esametri e sulle sillabe che seguono qui sotto è stata indicata con un accento acuto
l’arsi, ossia l’innalzamento tonale della voce che
per il declamatore sostituiva l’accento, il quale, di
conseguenza, non sempre si trova dove avrebbe
dovuto essere di norma, ma sul quale si “appoggiava” il vogatore con il suo remo ritmando la
propria azione.
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Inoltre, sulle molte che
facevano rotta per la
Terra Santa era molto
meglio astenersi da cori profani; i santi pellegrini andavano a sciacquarsi l’anima nel Santo Sepolcro, e non si sa
come avrebbero preso
le parole decisamente
prosaiche dei marinai i
quali, a loro volta, non
erano tipi da farsi saltare la mosca al naso.
Tuttavia, da un punto
di vista umano, il rapporto tra il marinaio e
la musica è sempre staSui vascelli alla sera, dopo che era stata battuta l’ultima guardia e prima del segnale di dormire, i mato molto intenso; nella
rinai si riunivano sottocoperta, vicino agli affusti dei cannoni e si distraevano cantando i loro cori
solitudine delle navigazioni, anche se i rapporti interpersonali fra
i compagni di bordo potevano divenire difficili, alLa “voce” delle triremi
le volte bastava un istante di musica per far rinaRiportiamo la prima strofa:
scere amicizia ed aggregazione. I comandanti ben
“Héia, Virí, Nostrúm Reboáns Echó Sonet Héia! (corlo sapevano e tutti, sia quelli militari che quelli
rettamente sarebbe stato Hèia, Vìri, Nòstrum Rèmercantili, favorivano, nei rari momenti di calma
boans echo Sonet Hèia) / Árbiter Éffusí Laté Maris
e ai liberi dal servizio, la possibilità di riunirsi per
Óre Seréno / Plácatúm Stravít Pelagús Posuítque Procélcantare fra loro e, se possibile, ballare, inteso che,
lam, / Édomitíque Vagó Sedérunt Póndere Flúctus.”
mare permettendo, una sera a settimana era dediche, tradotta, suonerebbe “Heia, uomini, come l’ecato al canto di robusti cori.
co rimbombante suoni il nostro heia. / Il signore
del mare che si stende ampiamente con voce sereGli strumenti di bordo
na / fece distendere placato il pelago e fece calare la
Per questo, a bordo di scafi affondati secoli fa, come
tempesta, / e i flutti domati si fermarono per mani britannici Mary Rose (1545) e General Carlcanza di spinta”, dove Heia era derivato da un antiton(1785), o lo svedese Gustavo Wasa(1628), sono
co grido di battaglia greco, qua usato per spronare
stati rinvenuti numerosi strumenti tra i generi peril rematore.
sonali dell’equipaggio, dai violini agli accordion, orLe parole evocano l’immagine di una nave che
ganetti bitonali a due mani (che i tedeschi chiamaprocede velocemente, con la prora che, dopo aver
vano Schifferklaviere, pianoforte del marinaio, mencavalcato con vigore le onde, con l’aiuto della ditre in Italia venivano chiamati concertine), ai tamvinità doma le forze del mare. Un canto da uomiburelli di svariate dimensioni e tipo ed altro ancora.
ni di mare, che formavano un tutt’uno con la proE pensiamo di non andare sull’errato se riteniamo
pria nave anche se, in genere, dubitiamo che siano
che sulle navi aventi comandanti scozzesi o irlanstati così aulici.
desi, qualcuno abbia portato a bordo una cornaIn seguito, però, non avremo più traccia di questi
musa, anche se alcune superstizioni dei marinai ci
canti, prima di tutto perché le marinerie facenti
avvertono che gli strumenti a sacco non sempre
parte dell’ormai dissolto Impero Romano vissero
incontravano il favore dei naviganti.
un lunghissimo periodo di estrema crisi, poi perTutti ricordavano infatti la vicenda di Ulisse al quaché quando iniziò una prima ripresa con l’avvento
le, al ritorno da Troia ad Itaca, venne donato un
della vela, questa, quadrata, era di limitate dimenotre che conteneva i venti pericolosi per agevolargli
sioni e le navi piccole come le caravelle, e non seril viaggio; ma i suoi compagni, pensando che convivano grandi sforzi per governarle.
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tenesse un tesoro che l’eroe non voleva dividere
con loro, lo aprirono malaccortamente, scatenando
la tragedia. Meglio non correre rischi inutili.
Ma anche per quanto riguarda la musica “di servizio”, le note non dovevano far sentire la loro mancanza sulle navi. Agli strumenti portati a bordo
per diletto personale dai marinai, nella seconda
metà del XVII secolo, sulle navi di Sua Maestà britannica si andarono ad aggiungere quelli “d’ordinanza” dei fanti di Marina, i Royal Marines da tutti
meglio conosciuti come “Lobsters” (aragoste), per
via dei soprabiti rosso acceso che indossavano.
Questi piccoli reparti (la consistenza oscillava da
una decina di uomini imbarcati sulle unità minori, fino ai cento ed oltre sui vascelli), avevano i
propri musicanti: un tamburo e un paio di pifferi
(così detti comunemente, ma che in realtà erano
flauti traversi) per i piccoli gruppi, molte più percussioni e fiati per quelli maggiori.
Il loro compito era quello di cadenzare le attività
dei Marines e, in caso di piccole operazioni anfibie,
partecipare a sbarchi o rastrellamenti; ma vivendo
fianco a fianco con l’equipaggio (non si può dire
in stretto contatto, perché i comandi di bordo facevano in modo che Marines e marinai fossero
mantenuti separati per motivi di sicurezza, in
quanto i primi erano anche polizia militare, destinata a vigilare e tenere sotto controllo la bassa forza) piano piano si realizzassero delle reciproche
collaborazioni che aiutavano a superare le difficoltà della “Vita sulle onde dell’Oceano”, come recita
la forse più celebre marcia della Royal Navy.
“Life on the Ocean waves”
Ad esempio, durante l’alaggio del capone per salpare le ancore, spesso un Marine suonatore di flauto si
sedeva sul grande argano fatto girare a braccia dall’equipaggio che faceva forza sulle stanghe infilate
lateralmente alla sua sommità e intonava un motivo cadenzato che aiutava gli uomini nello sforzo.
Cose analoghe avvenivano nelle marinerie civili,
ma qui in quel periodo si sviluppò maggiormente
la tendenza di intonare canti di lavoro, da parte dei
marinai, appunto in occasione dei maggiori sforzi
collettivi come alzare le vele o salpare l’ancora.
Gli equipaggi militari e mercantili, da un punto di
vista marinaresco, non differivano granché, e in
queste occasioni, intonavano dei canti fortemente
ritmati che si attagliavano perfettamente a questo
o quello sforzo e li agevolavano nella manovra,
coordinandone i tempi. I cori erano guidati da
uno Shantyman, in genere un robusto tenore, pos-
Seduto sulla sommità del grande argano salpa ancora, un musicante dei Royal Marines intona, con il suo flauto traverso,
una ritmata e briosa musichetta che cadenzerà il lavoro degli
uomini e li distrarrà, aiutandoli
sibilmente gallese, che riscuoteva vasto rispetto.
Questi canti erano definiti shanties (termine di origine britannica dall’etimo incerto), e si dividevano
in due “filoni”: uno per guidare i marinai durante
lavori che richiedevano uno sforzo intenso ma abbastanza breve come salpare un’ancora, l’altro per
sforzi di maggior durata, come per la manovra delle vele. Potevano essere tanto corali che a risposta.
Tutti quanti quelli che non erano contemplati in
questi casi, erano considerati sailor’s songs.
Ai giorni nostri abbiamo uno splendido esempio dei
primi nella scena che mostra la partenza da New
Bedford, della baleniera Pequod nel film “Moby Dick”
di John Houston del 1956, con Gregory Peck nella
parte del capitano Achab, durante la quale si vede un
ragazzino di colore che indossa una divisa simile a
quella che dall’inizio della seconda metà dell’800
venne distribuita ai marinai britannici (fino a quel
momento, sulle navi gli unici a indossare uniformi
regolamentari erano i Marines), e che ritma lo sforzo
degli uomini che alano l’ancora, cantando “Heave
away my Johnny”, battendo il tempo con un tamburello. Heave away è l’equivalente di un “Oh issa”.
Senza togliere niente alla bellezza delle immagini,
la scena è però una forzatura, in quanto il vestito
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Jack, al termine del periodo
di arruolamento, ora che sono finalmente “safe and sound
at home again” (sani e salvi a
casa di nuovo), ricordando di
quando “Long we’ve tossed on
the rolling main”, si potrebbe
dire “eravamo sbattuti dalla
tempesta” e altro ancora; si
tratta di un mondo indubbiamente molto diverso da quello degli ufficiali, anche se, bisogna riconoscerlo, neanche
per questi, l’imbarco era una
vita di rose e fiori.
Attecchì ovunque questa forma di arte indubbiamente
popolare? Possiamo con certezza ritenere di sì, anche se,
Una bella e realistica immagine tratta dal film del 2003 Master e Commander, di Peter Weir:
però, non ovunque allo stesnel pieno della battaglia l’armamento di un cannone è pronto al pezzo. Si vedono i marinai che reggono i cavi destinati a smorzare il rinculo dell’affusto mentre il capopezzo è in
so modo.
piedi, il pugno alzato, con in mano il cavetto tirafuoco dell’acciarino; dietro lui sono pronQuelli che divennero più
ti lo spugnatore e lo scovolatore. In queste situazioni nascevano grandi amicizie
“canterini” furono, per forza
di cose, i popoli che effettuadel ragazzo (una copia di una delle prime divise da
vano le più lunghe navigazioni, di conseguenza
marinaio della Royal Navy) e quel particolare shangli inglesi e i francesi; gli spagnoli, come pure gli
tie, sono forse posteriori di almeno un decennio se
italiani, ebbero invece più care le canzoni di marinon due rispetto all’episodio illustrato dal film, ma
na provenienti dalla propria tradizione popolare,
l’impatto magico e al contempo realistico che la
mentre per il lavoro preferivano fare affidamento
scena dà alla narrazione e all’atmosfera del momenpiù su un “oh issa” gridato che su un “have away”
to, fa superare qualsiasi licenza poetica del regista.
cantato. Però con una piccola eccezione.
Sin dall’XI Secolo, infatti, abbiamo notizia dello sviJohn e Jack, camerati di bordo
luppo della pesca del tonno in Sicilia (ma poi anche
Un esempio analogo è il canto “Don’t forget your
in Sardegna, Liguria, Toscana e Calabria), con speold shipmate” (non dimenticare il tuo vecchio caciali sistemi di reti chiamati tonnare, dove vengono
merata di bordo) da parte degli ufficiali dell’HMS
convogliati i branchi dei tonni di passaggio fino a
Surprise nel film “Master and Commander” di Peter
farli accedere ad un locale senza uscita detto “cameWeir, con Russel Crowe, del 2003.
ra della morte”. Qua i pesci vengono uccisi e estratIn questo caso, si badi bene però, la canzone è una
ti dall’acqua con degli arpioni dai “tonnaroti”, una
sailor’s song, un canto da marinaio, non uno shanconsorteria di marinai specializzati in questo lavotie da lavoro, e, probabilmente, anch’essa è, pur se
ro, guidati da un raìs, un capo indiscusso dotato di
di solo pochi anni, posteriore al momento storico
grande esperienza e ascendente sul personale.
della pellicola, volta al tentativo di mostrarci realiGli ordini della complessa serie di azioni richieste
sticamente il legame che intercorreva tra gli uffiper portare a termine la pesca vengono dati dal
ciali di bordo, e il rapporto che li legava allo spesraìs con una specie di discorso / preghiera che miso ingiustamente disprezzato equipaggio.
schia frasi esorcistiche a preghiere, a disposizioni,
Infatti, nel film, gli ufficiali, al termine di una pica frasi incomprensibili che fanno parte di eredità
colo intrattenimento svoltosi fra di loro in quadraancestrali, fino a che l’ultimo tonno non è ucciso
to, cantano in coro questo motivo; ma l’ascoltatoe l’acqua del mare è diventata totalmente rossa di
re attento intuisce che è stato scritto da marinai,
sangue, come dopo una battaglia. Il canto del raìs
per marinai, con termini e situazioni da marinaio.
si chiama Cialoma, e l’origine di questo etimo non
Parla del ritorno a terra di due shipmates, John e
è sicura. Certo, è molto simile a Celeuma.
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Il singolare e, a suo modo, impressionante “campo di battaglia” dove combattevano la loro cruenta guerra i tonnaroti siciliani, sardi,
liguri e calabresi del 700 e dell’800, al comando del raìs (al centro sulla barca, tingendosi di sangue e di sudore al canto della Celeuma
Anche tedeschi e baltici svilupparono una notevole corrente di canti ma attenzione, questi popoli
hanno sempre fatto ricorso a canti di gruppo in determinati ambienti, come quello militare o quello
navale, militare e mercantile; d’altronde, nonostante la differenziazione dovuta alla mentalità
degli abitanti dei vari Länder, la socializzazione tramite il canto corale è caratteristica di quest’area.
I canti iniziarono a prendere piede nei primi decenni del XVII Secolo, per poi prosperare nell’epoca coloniale, durante quella che si potrebbe chiamare la “saga” dei clipper, durante tutta l’epoca
della baleneria fino all’inizio dello scorso secolo
quando, gradatamente, andarono scemando con
la scomparsa della marineria veliera.
D’altronde, si sa, specialmente in Marina, i maggiori stravolgimenti sono sempre stati portati dal
progresso, mai dalle battaglie, con imprevedibili
cambiamenti delle abitudini e della vita di bordo.
Basti infatti pensare al povero celeusta che guidava
i rematori delle trireme ritmandone i tempi, scomparso perché sostituito dall’aguzzino che li controllava con ben più efficaci staffilate, il quale a
sua volta sarà scalzato, con tutti i remi e i rematori, dall’arrivo della vela quadra, che alla fine dovrà
cedere il passo alla più manovriera vela latina che
consentiva di andare di bolina. Quindi gli ultimi
due colpi di maglio: l’arrivo prima degli scafi in
ferro e poi della propulsione a vapore.
Quali “effetti collaterali” si direbbe oggi, ebbe la
diffusione delle canzoni da marinaio? Il primo fu,
sicuramente, lo svilupparsi di alcune danze che divennero poi caratteristiche di questo ambiente.
Già erano conosciute delle danze fra uomini che
alcuni definivano “Gighe”, ma la danza sembra esser nata nel corso del XVI secolo a bordo dei vascelli inglesi, unendo movimenti che mimavano
una serie di movimenti familiari ai marinai del
tempo come scrutare l’orizzonte facendosi ombra
agli occhi con la mano, alare l’ancora o arrampicarsi sulle griselle.
Dalla Hornpipe alla Hivinau
Ne esistevano almeno due varianti: una più veloce
e una più lenta, danzate con scarpe dalla scuola
dura per enfatizzare il tempo; dal XVII secolo divennero note con il nome di Hornpipe.
Si dice che il capitano Cook le considerasse un ottimo metodo per mantenere i suoi uomini in salute:
quando il mare era calmo e il ponte sgombro, ordinava che i marinai danzassero una hornpipe al suono di un violino, ed era convinto che grazie a que-
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mando”, del 1962, con uno splendido Alec Guinness ed un altrettanto
bravo quanto odioso Dirke Bogarde.
Ma ci furono altri effetti che nessuno avrebbe previsto; quando in vaste fasce d’Africa tutti gli europei,
di qualunque nazionalità fossero,
erano chiamati frengi (per via dei
colonizzatori francesi), a Otaheite
(Tahiti secondo la dizione dell’epoca) e in tutta la Polinesia erano definiti peritani (britons nell’accezione
locale del nome), a Tahiti nacque
una danza che qualcuno conosce
ancora: la hivinau, i cui esecutori
erano molto indaffarati sul palco.
In realtà mimavano i gesti dei marinai inglesi quando alavano l’ancora o, alle manovre, gridavano
Questa foto ripresa a bordo della HMS Warspite nel 1928 ci ricorda che una delle
“Heave now” (hivinau).
danze da marinaio preferite era la hornpipe, con la quale, nei momenti liberi, sulle
navi di Sua Maestà si tormentavano gli allievi costringendoli ad addestrarsi; con
Un solista guida con un canto a riquanta soddisfazione da parte loro non sappiamo, ma a giudicare dalle espressioni…
sposta il coro e le mosse dei ballerini, che danzano in un doppio cersto sulle sue navi le malattie erano scarse. Abbiamo
chio, schierati intorno all’orchestra di percussioni.
qualche dubbio, ma qualcuno la dovette prendere
Ma i buoni tahitiani imitavano con troppo zelo la
sul serio, stando alla immagine che pubblichiamo,
vita di un vascello con a bordo un grosso equipagscattata a bordo della Warspite nel 1928.
gio, e proprio per questo, e per la sopravvenuta
Noi comunque, volendo, possiamo vedere una belimpossibilità di trovare tanti ballerini quanti marila, se pur breve, rappresentazione di una danza di
nai, la hivinau sta cadendo nel dimenticatoio. Cobordo ottimamente ricostruita nel film “Ponte di come i canti di bordo.
■
La Hivinau, una certamente stupenda danza ballata dai nativi della Polinesia, il cui nome derivava da “Heave now”, l’equivalente britannico di “Oh issa!”sta andando vero il tramonto per i motivi che il lettore leggerà nell’articolo
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Una
meraviglia
della Marina svizzera
di Claudio Boccalatte
L
re francese Gérard d’Aboville (autore della prima traversata dell’oceano Atlantico a remi e
della prima traversata
dell’oceano Pacifico con
lo stesso mezzo), ha effettuato il giro del mondo, e il tedesco Immo
Ströher, finanziatore e
proprietario del mezzo.
Il progettista è il neozelandese Craig Loomes, che
ha concepito varie altre imbarcazioni innovative,
tra cui il multiscafo da 23m Earthrace, detentore
del record UIM per la più veloce circumnavigazione del globo con imbarcazione a motore. Il team
progettuale guidato da Loomes ha impiegato diversi mesi per scegliere le dimensioni e le principali caratteristiche di quest’unità biscafo, concepita
con l’obiettivo di compiere il giro del mondo: sono state oggetto di studio e ottimizzazione la raccolta, la conservazione e l’impiego dell’energia per
la propulsione, ma anche l’aerodinamica e la scelta dei materiali sono state oggetto di studi approfonditi; la struttura basata sulla fibra di carbonio
combina la leggerezza con la resistenza. Tra l’altro
sono state effettuate prove della carena in vasca e
al tunnel del vento, presso l’Australian Maritime
College, in Tasmania.
L’imbarcazione è stata costruita presso i cantieri
Knierim Yachtbau di Kiel, nel Nord della Germania; la realizzazione è iniziata nel gennaio 2009 e
il varo è avvenuto il 31 marzo 2010.
Il catamarano a energia
solare Planet Solar
completa una fase
della sua attività
e diventa Race for water
a Svizzera, paese
privo di accesso
al mare, è dotata
di una marina mercantile di tutto rispetto, al
settantaseiesimo posto
al mondo, con un tonnellaggio totale di circa
1.400.000 TSL e una
quarantina di navi, tutte registrate nel porto
di Basilea. Come potenza marittima, inoltre la
Svizzera ha una marina da diporto di circa 1.700
unità e un’industria che produce numerosi prodotti per il settore delle costruzioni navali, impiegando tecnologie all’avanguardia, in particolare
nei settori della protezione dell’ambiente e delle
energie rinnovabili.
Un esempio è l’imbarcazione con scafo a catamarano PlanetSolar, (recentemente ribattezzata Race for
water), la più grande imbarcazione con propulsione
a energia solare del mondo, che ha compiuto nel
2010-12 il giro del mondo e nel 2013 e 2014 due
campagne, la prima attraverso l’oceano Atlantico e
la seconda nel Mar Mediterraneo, con il doppio
scopo di eseguire, in collaborazione con l’Università di Ginevra, ricerche scientifiche di punta, e di
promuovere l’impiego dell’energia solare, anche,
ma non solo, nel campo della propulsione navale.
Il progetto è nato in Svizzera nel 2004 sulle rive del
lago di Neuchâtel, nell’ambito delle locali scuole
d’ingegneria; i suoi principali ideatori sono stati lo
svizzero Raphaël Domjan che, assieme al navigato-
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MS Tûranor PlanetSolar all’interno dei cantieri Knierim Yachtbau di Kiel prima del varo; in apertura una visione prodiera del catamarano solare
Dopo aver completato l’allestimento, le prove in
mare e l’addestramento dell’equipaggio, PlanetSolar
è partita il 27 settembre 2010 da Monaco per il giro
del mondo, compiuto su di una rotta equatoriale da
Est verso Ovest per un totale di oltre 60.000 km. Il
Il giro del mondo compiuto da MS Tûranor PlanetSolar nel 2010-2012
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giro è terminato quando l’imbarcazione è tornata a
Monaco il 4 maggio 2012, dopo quasi due anni nei
quali sono stati toccati 52 porti, 28 paesi, tutti i continenti, attraversato tutti gli oceani e i più importanti canali artificiali. Ogni sosta è stata un’occasione per incontrare le comunità locali e promuovere
l’impiego dell’energia solare, grazie anche al Solar Village, uno stand sull’energia
solare che ha seguito l’imbarcazione in tutte le tappe.
Nell’estate del 2012 l’imbarcazione ha compiuto
una campagna nel Mar
Mediterraneo, sostando
anche nel porto di Cagliari, e partecipando a eventi
legati all’impiego dell’energia solare, ed è stata oggetto di una sosta dedicata
a lavori di manutenzione e
rinnovamento, da cui è
uscita nel marzo 2013.
Il catamarano solare MS Tûranor PlanetSolar durante un delicato momento del varo
Planet Solar è poi partita da Le Ciotat (in Provenza)
l’8 aprile 2013, per una campagna transatlantica
terminata il 10 settembre 2013 con l’arrivo, dopo
aver risalito la Senna, a Parigi. Nel corso dei 156
giorni della campagna, l’unità ha percorso oltre
20.000 chilometri, promuovendo in ognuna delle
dodici tappe la diffusione delle tematiche ambientali e delle possibilità che offre l’energia solare e
svolgendo per 8.000 chilometri (da Miami a Londra) attività scientifica nell’ambito del programma
“PlanetSolar DeepWater”, in collaborazione con
l’Università di Ginevra per lo studio della corrente
del Golfo e in particolare dei vortici che si distaccano dal flusso principale della corrente e influenzano gli scambi di calore tra il mare e l’atmosfera e
il comportamento del fitoplancton.
La campagna 2013 ha inoltre consentito di stabilire il nuovo record di traversata transatlantica a
energia solare. In generale, nonostante alcune occasionali difficoltà, in particolare meteorologiche,
la campagna è stata un successo, dimostrando che
l’imbarcazione solare non è solo un dimostratore,
ma è in grado di rispettare un programma e di
svolgere reale attività scientifica, caratterizzata in
particolare, secondo la testimonianza del Comandante dell’unità, Gérard d’Aboville, da continue
variazioni di rotta dettate dalle esigenze della spedizione scientifica, guidata dal professor Martin
Beniston, noto climatologo e direttore dell’istituto
di scienze ambientali dell’università ginevrina. Da
sottolineare che le particolari caratteristiche di
PlanetSolar, che è completamente privo di emissioni in atmosfera, hanno consentito di raccogliere dati assolutamente sicuri sull’ambiente esterno,
senza alcuna contaminazione.
Dopo il completamento della campagna transatlantica 2013, PlanetSolar ha raggiunto Lorient, in
Bretagna, dove ha passato l’inverno, ormeggiata
all’interno della Cité de la Voile Eric Tabarly, un interessante sito dedicato al mare e alle attività marittime creato dalla comunità locale per onorare la
memoria del grande navigatore francese scomparso in mare nel 1998. Il catamarano tra gennaio e
febbraio 2014 è anche stato sottoposto a lavori di
carenaggio e manutenzioni periodiche nel bacino
in muratura della cittadina di Concarneau.
La campagna estiva 2014 è iniziata con la partenza
da Lorient il 10 aprile e una prima tappa a Boulo-
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MS Tûranor PlanetSolar entra a New York nella campagna estiva del giugno 2013
gne-sur-Mer dove, dal 17 al 21 aprile si è svolta la
23^ edizione del festival delle immagini del mare,
organizzata da NAUSICAA, il più grande complesso europeo dedicato alla conoscenza dell’universo
marino. Planet Solar ha lasciato Boulogne-sur-Mer,
dopo avervi effettuato anche alcuni lavori di rifinitura e terminato l’imbarco dell’equipaggio, il 25
maggio, e il 6 giugno, dopo essere entrato in mar
Mediterraneo passando dallo stretto di Gibilterra,
è giunto nel porto Marocchino di Atalayoun, recentemente oggetto di un importante piano di recupero dall’inquinamento e sviluppo sostenibile
che prevede un largo uso di energie rinnovabili.
Il catamarano ha lasciato quindi il Marocco a metà giugno per il principato di Monaco e nel mese
di luglio 2014 ha partecipato alla Solar 1 Monte
Carlo Cup 2014, una competizione tra imbarcazioni a energia solare con la quale è stata inaugurata
la nuova sede dello Yacht Club Monaco. Per le sue
grandi dimensioni e la sua bassa velocità, il catamarano svizzero non si è presentato alla competizione come concorrente, ma come unità per il
supporto logistico ospitando, ad esempio, la giuria
e la stampa, e soprattutto per dimostrare che le
imbarcazioni a energia solare non sono solo giocattoli. Per la cronaca, hanno partecipato come
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concorrenti ventitré imbarcazioni a propulsione
solare, gli olandesi si sono aggiudicati due delle tre
classi mentre la terza è andata a un equipaggio
russo. Una seconda edizione della competizione si
è svolta nel luglio 2015 ed è stata dominata nuovamente dagli olandesi, ed è già in programma l’edizione 2016.
Dopo Montecarlo il catamarano si è diretto in
Grecia, dove è servito come piattaforma scientifica
per una serie di misure geofisiche nel corso della
spedizione TerraSubmersa, il cui scopo è stato lo
studio di siti preistorici oggi sommersi, al largo
della grotta di Franchthi, sulla riva nord della baia
di Kiladha, nel golfo di Nauplia. La grotta è stata
occupata per un lunghissimo periodo, circa 35.000
anni tra il paleolitico e il neolitico; durante questo
periodo il livello del mare è variato e, circa 20.000
anni fa, alla fine dell’ultima glaciazione, era sensibilmente più basso del livello attuale.
Il programma TerraSubmersa è stato diretto dal professor Julien Beck, del Dipartimento di scienze antiche dell’Università di Ginevra; nel corso della spedizione sono stati effettuati rilievi che hanno consentito di individuare le zone nelle quali concentrare le future ricerche, e recuperati alcuni reperti, che
sono attualmente all’esame degli specialisti.
MS Tûranor PlanetSolar arriva a Londra facendo il suo ingresso trionfale sotto il London Bridge il 31 agosto 2013
La campagna 2014 di Planet Solar è terminata il 4
settembre con l’arrivo a Venezia, dove l’imbarcazione è rimasta ormeggiata all’isola della Certosa,
fino alla primavera 2015, nell’attesa di trovare un
nuovo acquirente, poiché il proprietario, la famiglia Ströher, attiva nel campo della produzione di
pannelli solari, ha ritenuto conclusa la prima fase
della vita dell’imbarcazione, avendo dimostrato la
fattibilità della propulsione solare per una vera
imbarcazione di grandi dimensioni, capace di fornire un concreto contributo ad attività nel settore
della ricerca.
CARATTERISTICHE PRINCIPALI DELL’IMBARCAZIONE
RACE FOR WATER
• Scafo a catamarano del tipo “wave piercing” (con terzo scafo centrale al di sopra del galleggiamento in
acqua tranquilla).
• Materiale: composito di fibra di carbonio e resina epossidica.
• Dimensioni: Lunghezza 31 m senza flap, 35 con i flap, larghezza 15 m senza flap, 23 m con i flap, altezza 6,3 m sopra il galleggiamento, immersione 1,55 m.
• Dislocamento: 89 tonnellate.
• Superficie dei pannelli solari: 516 m² - 29.160 cellule fotovoltaiche aventi rendimento del 18,8% e potenza installata totale di 93,5 Kw.
• 6 blocchi di batterie agli ioni di litio aventi un peso totale di 8,5 tonnellate.
• 2 motori elettrici da 60 kW ciascuno, 2 eliche a 5 pale aventi diametro di 81 cm e velocità di rotazione massima di 600 giri il minuto.
• Consumo medio 20 kW (17 per la propulsione e 3 per gli usi di bordo).
• Velocità massima 14 nodi – media 5 nodi.
• Equipaggio di 4 persone, oltre all’eventuale team scientifico - 6 cuccette con un totale di 9 posti – in
banchina a bordo possono essere ospitate fino a 60 persone.
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MS Tûranor PlanetSolar scivola sulla Senna entrando a Parigi nel mese di settembre 2013
Nell’aprile del 2015 Planet Solar è stato ceduto alla
fondazione “Race for Water”, e nel mese di maggio ha lasciato Venezia per Lorient, in Bretagna
per una sosta dedicata a lavori di manutenzione e
trasformazione. Nel mese di giugno, durante il tragitto tra Venezia e Lorient, ha fatto scalo a Marsiglia, dove ha partecipato al forum MEDCOP21 sul
cambiamento climatico nel Mar Mediterraneo, ed
è stata visitata dal presidente della repubblica
francese François Hollande.
Terminata ad ottobre 2015 la sosta lavori, l’imbarcazione, ribattezzata Race for water, ha lasciato Lorient per Parigi, dove sarà presente, con la sua
nuova livrea, come ambasciatore della fondazione
di cui porta ora il nome, in occasione della conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico COP21 in programma dal 23 novembre al 12
dicembre. Il 10 novembre è ufficialmente terminato il periodo di transitorio stabilito negli accordi di
aprile 2015, e tutte le responsabilità per la gestione e le operazioni dell’imbarcazione sono passate
alla fondazione Race for water dalla società svizzera
Planet Solar SA, che continuerà ad occuparsi dell’impianto ad energia solare, e si concentrerà sulla
promozione di concetti innovativi d’impiego dell’energia, ed in particolare dell’impiego dell’energia solare in ambienti particolarmente difficili, come quello marino.
■
ANNUNCIO IMPORTANTE PER TUTTI I SOCI
In riferimento all’annuncio pubblicitario relativo al Notiziario della Marina che appare in questo numero della Rivista, si fa presente a tutti i soci eventualmente interessati che saranno disponibili presso le Presidenze delle Sezioni alcuni numeri affinché possano rendersi conto della
qualità raggiunta dal Notiziario stesso e dai suoi attuali contenuti, atti a meglio far conoscere la
Marina Militare Italiana d’oggi.
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I Samurai
del mare
nostrum
di Giuliano Da Frè
L’
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se l’Inghilterra e l’Australia si disponevano a
impadronirsi dell’impero tedesco del Pacifico,
anche il Giappone
avrebbe avuto la sua
parte, puntando gli occhi sulle prospere concessioni ottenute dal
Kaiser in Cina, con la colonia di Kiaochau, le miniere dello Shantung, e soprattutto la città portuale di Tsingtao, dove in pochi anni era sorta una
moderna base navale, sede della Ostasiatischen
Kreuzergeschwader, la divisione navale tedesca dell’Asia orientale, all’epoca agli ordini dell’ammiraglio Maximilian von Spee.
L’illusione della neutralità nipponica, coltivata dai
capi militari tedeschi, durò solo fino all’ultimatum del 15 agosto, quando il Giappone chiese
Tsingtao alla Germania quale pegno per restare
fuori dal conflitto: ma quando Tokyo decise di
scendere in campo, lo fece fissando obbiettivi limitati, e disinteressandosi del fronte europeo.
Le forze giapponesi si concentrarono così sulla conquista di Tsingtao, caduta dopo un regolare assedio
(portato avanti da 50.000 uomini, appoggiati da
una squadra navale e dai primi raid aerei della storia) il 7 novembre 1914. Operazioni secondarie furono lanciate nel Pacifico centrale contro gli arcipelaghi delle Marianne, Marshall e Caroline, che passate dopo il 1918 sotto mandato giapponese formarono il perimetro esterno della roccaforte di isole
nella guerra contro gli Stati Uniti 25 anni dopo.
La divisione navale
giapponese
in Mediterraneo durante
la Grande Guerra
entrata in guerra dell’Impero
del Giappone a
fianco delle potenze europee dell’Intesa (Gran
Bretagna, Francia e Russia) contro gli Imperi
Centrali (Germania e
Austria-Ungheria), ufficializzata il 23 agosto 1914, rappresentò il primo coinvolgimento di una grande nazione extraeuropea
in un conflitto che, a questo punto, diveniva davvero mondiale. Nonostante l’alleanza con l’Inghilterra
risalisse al 1902, quando era stata stretta in chiave
anti-russa (per essere poi rinnovata nel 1911), il governo di Tokyo seguiva una politica intesa soprattutto a salvaguardare i propri interessi in Asia, disinteressandosi a quanto avveniva in Europa.
A lungo termine, in effetti, un conflitto che dissanguasse le grandi potenze europee, cui facevano
capo enormi imperi coloniali disseminati dall’Oceano Indiano alla Polinesia, e le numerose concessioni territoriali ed economiche in Cina (cui il
Giappone guardava come a un’area di naturale
espansione), non poteva che fare il gioco del Sol
Levante, come d’altronde gli eventi del 1939-1941
avrebbero più tardi dimostrato.
Dopo qualche titubanza iniziale (il Paese si era appena ripreso dalla crisi economica seguita alla vittoriosa ma costosa guerra contro la Russia del
1904-1905, e solo nel 1912-1913 le spese belliche
erano tornate ad aumentare, ma incontrando forti
opposizioni) a Tokyo si era presa la decisione che
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L’incrociatore da battaglia Goeben, classe “Moltke”, costruito nel 1904 e ceduto alla Marina Ottomana nel 1914 fu forse l’unica nave
moderna ed efficiente dello strano caravanserraglio turco; rimase in servizio fino al 1950 come nave ammiraglia di questa marina; in
apertura la bandiera da combattimento della Marina Imperiale giapponese
Marginale il contributo giapponese alla caccia scatenata dai comandi alleati contro la divisione navale di von Spee che, dopo aver distaccato l’incrociatore leggero Emden per una fruttuosa crociera
contro le linee di traffico inglesi in Oceano Indiano, il 1 novembre avrebbe colato a picco due incrociatori corazzati inglesi al largo del Cile, dove
era giunto eludendo le squadre inglesi e nipponiche, per poi sfociare in Atlantico, dove 5 settimane più tardi il reparto tedesco fu annientato presso
le Falkland.
Di intervenire tuttavia in Europa con truppe, o in
Atlantico con forze navali, Tokyo non voleva saperne: i generali giapponesi sapevano da un decennio cosa volesse dire attaccare linee fortemente trincerate difese da nidi di mitragliatrici; c’erano le tombe di 58.000 soldati del Tenno caduti
davanti alla fortezza russa di Port Arthur a dimostrarlo.
D’altra parte, come spiegò il ministro degli Esteri
Kato Takoaki (pur favorevole all’intervento) che
l’Inghilterra vincesse o perdesse, poco importava;
e così, negli anni successivi, pur puntellando le
posizioni alleate nel Pacifico e in Asia (come quando nel 1915 fanti di marina nipponici domarono
un ammutinamento di truppe coloniali anglo-indiane a Singapore), il Giappone continuò a perseguire i propri interessi, aumentando la pressione
sulla Cina, e compiendo i primi passi verso le aggressioni degli anni ’30. In Europa, Tokyo si limitò
a inviare piccole missioni tecniche dell’Esercito e
delle forze aeree, soprattutto per osservare l’evoluzione di tattiche e tecnologie belliche.
La flotta, strumento di mobilità e proiezione strategica per eccellenza, avrebbe rappresentato l’unico vero contributo operativo del Sol Levante alla
causa degli alleati. Ma se la 1a Divisione navale
speciale (1st Special Squadron), formata nel gennaio
1917, si limitò ad operare con 3 incrociatori e una
divisione di cacciatorpediniere a protezione dei
trasporti truppe tra l’Australia e Aden, e nello
stretto di Malacca, gli ordini per il 2nd Special
Squadron avrebbero portato i marinai giapponesi
agli antipodi….
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L’incrociatore protetto Akashi, nave di bandiera dell’ammiraglio Sato pur essendo entrato in servizio nel 1899, era stato ammodernato e
rimotorizzato nel 1912 tornando ad essere una unità totalmente efficiente
La 2a Divisione speciale
Con la Grand Fleet sempre più impegnata tenere a
bada la flotta d’alto mare tedesca, che il 31 maggio 1916 aveva inflitto alla Marina britannica
una dura lezione tattica nella gigantesca battaglia
navale dello Jutland, Londra era costretta a concentrare nella costruzione e manutenzione delle
navi da battaglia risorse che altrimenti sarebbero
state più utilmente impiegate per rafforzare il naviglio di scorta antisom, sotto pressione dall’Atlantico al Mediterraneo, dall’Oceano Indiano al
Pacifico.
Già nel 1914-1915, con discrezione, Londra aveva
sondato la disponibilità giapponese a inviare in
Mediterraneo unità di scorta e magari un paio di
moderne navi da battaglia, ma senza ottenere risultati. Il governo giapponese temeva di perdere le
sue costose navi sulle mine (che nel 1904-1905
avevano fatto pagare un tributo spaventoso alla
Flotta Combinata dell’ammiraglio Togo) o a causa
dei sommergibili, e di non poterne giustificare la
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distruzione davanti a una opinione pubblica sempre più fredda verso l’intervento.
Inoltre, anche il solo rafforzamento della presenza
giapponese nelle aree vitali del sud-est asiatico e
del Pacifico centrale permetteva di richiamare in
Europa parte dei reparti navali inglesi e francesi
colà distaccati nel 1914. Tuttavia, la crescente
pressione degli U-Boot tedeschi stava mettendo a
dura prova le difese alleate, e nel dicembre 1916,
quando ormai il naviglio mercantile affondato
dalla Germania superava le 300.000 t mensili, e gli
ammiragli alleati non sapevano più a che santo
votarsi per trovare un adeguato numero di navi
scorta (anch’esse decimate, e mentre i cantieri non
potevano concentrarsi sulle categorie leggere a
causa della persistente minaccia delle forze da battaglia tedesche), da Whitehall fu inoltrata una richiesta di rinforzi al governo giapponese.
Nella fattispecie, la 6a Divisione incrociatori nipponica, distaccata a Singapore, avrebbe dovuto
inviare 2 unità e un’adeguata scorta di caccia al
Sato, specialista d’artiglieria più volte destinato a
Capo di Buona Speranza, e una flottiglia in Medimissioni navali presso la Royal Navy (fu anche adterraneo.
detto navale a Londra nel 1903-1904), e veterano
La richiesta, ufficializzata l’11 gennaio 1917, nel
delle guerre contro Cina e Russia.
pieno della campagna di guerra sottomarina inNel 1915 aveva comandato la modernissima codiscriminata lanciata dai tedeschi, spaccò i vertirazzata Fuso, di cui aveva curato anche l’allestici navali giapponesi tra favorevoli all’intervento
mento, per poi essere promosso contrammiraglio
(con un occhio ai vantaggi da trarre in caso di
il primo dicembre 1916, a soli 45 anni. Sato alzava
vittoria alleata) e fautori di una politica più redal 7 febbraio 1917 la propria bandiera sull’incrostrittiva. Alla fine si giunse a un compromesso: i
ciatore protetto Akashi, unità di vecchio tipo in
rinforzi richiesti, e solo quelli strettamente neservizio dal 1899, ma ammodernata e rimotorizzacessari (e nessuna nave più grande di un incrota nel 1912, e veterana della campagna contro
ciatore corazzato vecchio modello) sarebbero staTsingtao: il reparto era completato dagli 8 cacciati concessi, a patto di non essere sottoposti al cotorpediniere delle 10ª e 11ª Flottiglia, tutti apparmando inglese, ma mantenendo la piena autonotenenti alla classe “Kaba”, modernissime unità
mia operativa.
completate nel 1915, e a cui si ispiravano anche i
La divisione destinata al Mediterraneo avrebbe
citati “Arabe” ordinati dalla Francia.
pertanto fatto base a Malta, ma solo coordinandoPiù tardi (agosto 1917) l’Akashi fu sostituito come
si col comandante di teatro britannico, e con la
nave comando dal più potente incrociatore corazprecisa clausola di non essere impiegata in Atlantizato Izumo, costruito nel 1898-1900 dai cantieri
co. Londra dovette poi accettare altri paletti: a coringlesi Armstrong Whitworth, armato con 4 canto anche di uomini, aveva proposto al Governo
giapponese di “affittargli” 1.800
ufficiali e marinai, dei quali ben
conosceva l’ottima preparazione,
avendo contribuito a formare la
Marina imperiale; Tokyo accettò
solamente di equipaggiare due
cacciatorpediniere della Mediterranean Fleet, a patto che venissero
trasferiti sotto la sua bandiera:
Minstrel e Nemesis (classe “H”, da
760 t.) furono così ribattezzati
Sendan e Kanran, e restituiti solo
nel 1919.
Più sostanzioso il contributo giapponese alla sostituzione del naviglio alleato affondato, visto che
nel 1917-1918 nei suoi cantieri
furono realizzati i 12 cacciatorpediniere francesi classe “Arabe” e
un’ottantina di pescherecci d’altura (circa 350-450 t di stazza) da
trasformare in cacciasommergibili
e pattugliatori, destinati a Italia e
Francia.
Nel frattempo, a metà aprile (proprio mentre anche gli Stati Uniti
si schieravano con l’Intesa, seguiti
a stretto giro dal Brasile) giungeva
a Malta il 2nd Special Squadron. La
formazione era stata affidata al
L’ammiraglio conte Maximilian von Spee, in questa illustrazione d’epoca fu comandangiovane contrammiraglio Kozo
te della divisione navale tedesca dell’estremo oriente
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L’incrociatore corazzato Nisshin fotografato a Malta nel 1919, affiancato dal sommergibile austriaco UC-90 dopo la resa di quest’ultimo
noni da 203 mm e 14 da 152, e già nave di bandiera dell’ammiraglio Kamimura (numero 2 della
Flotta Combinata) a Tsushima.
Nonostante appartenesse a un modello ormai superato, l’Izumo faceva la sua buona figura, ed era
una nave robusta e affidabile, tanto da essere impiegata, convertita in incrociatore antiaereo, anche durante la Seconda Guerra Mondiale, sino a
quando fu affondata in un raid aereo americano il
24 luglio 1945. Con l’Izumo giunsero di rinforzo i
4 caccia della 15ª Flottiglia (classe “Momo”, usciti
dai cantieri poche settimane prima), cui si affiancarono i già ricordati cacciatorpediniere ceduti
dalla Royal Navy, 2 pescherecci armati come unità
antisom, e l’incrociatore corazzato Nisshin, che in
Mediterraneo si trovava bene, essendo uno dei 2
“Garibaldi” costruiti dall’Ansaldo, e venduti al
Giappone nel 1904.
I samurai antisom
Con una squadra ormai forte di 2 incrociatori e 14
caccia, montati da equipaggi esperti e con quadri
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veterani, Sato poteva ben figurare a fianco di flotte
blasonate come quella inglese, francese e italiana,
e dovendo fronteggiare una minaccia alquanto
asimmetrica.
Di scontrarsi con le forze d’altura nemiche (la
squadra austro-ungarica, incentrata su 4 moderne
corazzate monocalibro classe “Tegetthoff”, e quella ottomana, formata da una sorta di museo navigante e con il solo incrociatore da battaglia tedesco Goeben (trasferito alla Turchia, ma con ammiraglio ed equipaggio tedeschi) all’altezza degli avversari) c’erano scarse possibilità: la maggior battaglia navale del Mediterraneo fu lo scontro di
Otranto del 15 maggio 1917, che coinvolse solo
un pugno di incrociatori leggeri e caccia, mentre
la maggiore offensiva pianificata dagli ammiragli
asburgici con le 4 navi da battaglia più moderne
fu stroncata dai Mas di Luigi Rizzo al largo di Premuda, il 10 giugno 1918.
Le azioni subacquee erano invece assai più insidiose: nel 1917 gli U-Boot austro-tedeschi affondavano una media di oltre 600 tonnellate di naviglio
Il comandante del 2nd Special Squadron, Kozo Sato era il più giovane contrammiraglio della
Marina Imperiale essendo stato nominato in quel grado a soli 45 anni
mercantile al giorno, e tra gennaio e agosto 1918
la media continuò ad oscillare attorno alle 450500 t.
Il 2nd Special Squadron nipponico fu assegnato
dunque alla scorta dei convogli carichi di truppe
e materiali lungo le rotte che collegavano Alessandria a Marsiglia e a Taranto, e Salonicco (base
del corpo di spedizione alleato nei Balcani) a
Malta.
La divisione dell’ammiraglio Sato effettuò 348
scorte a 788 unità mercantili (e 21 navi da guerra
inglesi), impegnate a trasportare oltre 70.000 uomini, salvando quasi 8.000 naufraghi vittime di
affondamenti. Eccellente il tasso di efficienza operativa, con 26 giorni trascorsi in mare al mese (e
6.000 miglia percorse), pari al 72%, contro il 60%
della flotta inglese, e al 45% circa di operatività
raggiunto dalle flotte francese e italiana.
Al di là dei numeri, i Giapponesi si conquistarono
subito una buona reputazione, soprattutto quando… il sommergibile U-63 colpì il trasporto truppe Transylvania. In soccorso al grande e moderno
piroscafo da 14.000 t, centrato da un siluro il 4
maggio 1917 mentre era in navigazione al largo di
Vado con a bordo 3.000 uomini, accorsero i 2 caccia nipponici della scorta.
Mentre il Sakaki dava la caccia al battello tedesco,
il Mutsu accostò la grande nave, e nonostante fosse stato sfiorato da un secondo siluro, andato a segno sul Trasylvania segnandone la fine, riuscì a recuperare i naufraghi, limitando le perdite a 412 tra
soldati e marinai.
Un mese più tardi fu il Sakaki al centro di una
brutta avventura, quando fu silurato dall’U-27 austriaco al largo di Creta: l’esplosione asportò la sezione prodiera del caccia, che tuttavia, moderno e
robusto, sopravvisse (fu riparato e restò in servizio sino al 1932), anche se restarono uccisi 68 uomini, concentrati nella mensa prodiera per il
pranzo.
Prestazioni che, supportate dal buon affiatamento
raggiunto tra Sato e l’ammiraglio Somerest GoughCalthorpe, comandante inglese in Mediterraneo,
valsero ai nipponici numerosi elogi ufficiali; e anche qualche amara considerazione ufficiosa, che
evidenziava l’efficienza della divisione di Sato (che
nella primavera 1917, coi suoi 8 caccia, rappresen-
tava meno del 10% della forza antisom di prima linea alleata in Mediterraneo), tanto da portare
Londra a tornare alla carica, nel 1918, per ottenere
ulteriori rinforzi di naviglio leggero giapponese in
Mediterraneo, dove nel frattempo si erano aggiunti, come accennato, altri 6 caccia.
Tokyo oppose però un cortese rifiuto: l’accrescersi
delle tensioni con la Cina, e la necessità di fronteggiare l’instabilità creata dalla rivoluzione russa
(presto un contingente nipponico avrebbe fatto
rotta per Vladivostok), rendevano indisponibili altre navi, oltre a quelle già assegnate alle forze da
pattugliamento in Mediterraneo, Oceano Indiano
e Pacifico.
A Londra e a Washington, tuttavia, molti maturavano un sospetto: che il Giappone stesse puntando sul logoramento delle forze navali dei due più
potenti alleati oceanici (Stati Uniti e Regno Unito)
per trovarsi in vantaggio nella futura ridefinizione
degli equilibri in Asia e nel Pacifico.
■
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Il Salone
non lascia
anzi… raddoppia!
di Andrea Fazioli
L’
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buito sensibilmente a
solleticare la curiosità
dei visitatori, facendo
in modo che il Salone
non fosse soltanto un
evento riservato agli investitori e, ammettiamolo, a chi può permettersi certe imbarcazioni, ma anche una vetrina sulle numerose attività che ruotano intorno alla nautica, dallo sport,
la vela su tutti, all’enogastronomia, dagli accessori
all’editoria nautica, senza tralasciare gli stand
“istituzionali”.
Ma procediamo con ordine. Novità di quest’anno
è stata la cerimonia di inaugurazione, non più sul
terrazzo del padiglione B con un protocollo abbastanza formale ed “ingessato”, discorsi di prammatica delle Autorità e, in fin dei conti, un’audience
piuttosto limitata.
L’inaugurazione del Salone Nautico 2015 si è svolta
invece al Teatro del Mare, vale dire un’area molto
più accessibile per i visitatori, già numerosi fin dal
primo mattino. Protocollo limitato all’Alza Bandiera e all’Inno Nazionale, seguito dagli interventi
delle Autorità, non più come semplici indirizzi di
saluto, ma organizzati in un vero e proprio talk
show che ha offerto significativi spunti di interesse.
Finalmente
nella manifestazione
di Genova sembra
scorgersi una luce
in fondo al tunnel
edizione 2015
del Salone Internazionale
della Nautica di Genova si è da poco conclusa. Anche quest’anno,
come in passato, alcuni
dubbi e incertezze sul
presente e sul futuro
della manifestazione
non lasciavano presagire nulla di buono: le discussioni interne ad UCINA
(che al Salone è il padrone di casa) le note “sofferenze” del settore e una certa disaffezione degli investitori e del pubblico avevano posto seri interrogativi sulla possibilità di sviluppare i timidi segnali di risveglio della nautica riscontrati nella passata
edizione.
Invece, l’edizione di quest’anno non solo ha riscosso un’affluenza in aumento (115.000 visitatori durante i sei giorni di esposizione, rispetto ai 109.000
dell’anno scorso) ma ha anche fatto registrare un
incremento delle vendite, con evidente soddisfazione degli organizzatori e degli espositori.
Va sottolineato che, nell’intento, riuscito, di ampliare l’offerta e le attrazioni per gli appassionati,
sono state introdotte alcune significative novità
nel palinsesto degli eventi e sono state presentate
alcune curiosità ed attrazioni che hanno contri-
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I Delegati Regionali della Lega Navale Italiana assieme al Commissario Straordinario all’inizio dei lavori; in apertura lo stand dell’Associazione
La dottoressa Carla Demaria, presidente di UCINA, ha fatto gli onori di casa accogliendo sul palco
l’onorevole Carlo Calenda, viceministro allo Sviluppo Economico, che ha confermato l’attenzione
del Governo per un settore come quello della Nautica che, pesantemente penalizzato nel recente
passato, costituisce pur sempre un’eccellenza nazionale e merita di essere sostenuto nel suo processo di rilancio.
Insieme al sindaco di Genova, Marco Doria e al
presidente de “I Saloni Nautici”, Anton Francesco
Albertoni, ha dato vita ad un vivace scambio di
opinioni sullo stato della nautica italiana, prendendo spunto dai risultati del Rapporto sulla Filiera Nautica presentato da Ermete Realacci, Presidente della Fondazione Symbola.
Sicuri poli di attrazione sono state due delle imbarcazioni che hanno preso parte alla Volvo Ocean
Race: “Team SCA” e “Vesta”, ormeggiate al pontile
esterno. Entrambi i team avevano allestito un proprio stand, ma quello del Team Vesta ha riscosso
un notevole interesse poiché presentava una “cross
section” dello scafo a grandezza naturale, con un
percorso guidato al suo interno che ha permesso ai
visitatori di toccare con mano le gioie e i dolori di
un’imbarcazione spinta all’estremo, come quelle
che partecipano alla Volvo Ocean Race.
Soluzioni tecnologiche avveniristiche, ergonomia
assoluta in spazi molto ristretti, fanno di questo ti-
po di imbarcazioni dei veri e propri “mostri” del
mare, capaci di viaggiare a medie superiori ai 20
nodi.
Non bisogna tuttavia mai dimenticare che il fattore umano gioca sempre un ruolo preponderante in
questo tipo di imprese. Lo si capisce molto bene
visitando lo stand e la barca di Team SCA, composto da sole donne, e ancor meglio ascoltando il
racconto, ampiamente documentato con immagini e testimonianze, dell’incidente occorso a Vesta,
che nel novembre dello scorso anno ha urtato il
reef delle Cargados Carajos Shoals al largo delle
Isole Mauritius, durante la tappa da Città del Capo
ad Abu Dhabi.
Un ampio squarcio nello scafo che ha messo a repentaglio l’equipaggio, che è però riuscito a salvare la barca, che ha così potuto essere portata in
cantiere e riparata a tempo di record per partecipare all’ultima tappa della Volvo Ocean Race. Il fatto
che il cantiere in cui è stata riparata sia il Cantiere
Persico Marine di Bergamo, costituisce un ulteriore
motivo di orgoglio per la cantieristica italiana.
Ulteriore attrattiva, anche per i visitatori più giovani, sono stati gli stand della Marina Militare e
della Guardia di Finanza, che hanno presentato i
rispettivi simulatori di navigazione, molto realistici e ampiamente utilizzati per l’addestramento degli equipaggi e quello della Guardia Costiera con
un vero e proprio porto nel quale era possibile far
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Lo stand della LNI realizzato nel Salone, quest’anno ha registrato un notevole incremento di visitatori
navigare modelli radiocomandati di differenti imbarcazioni.
Si è respirato quindi un clima diverso, certamente
più partecipato degli anni precedenti, sull’onda di
quei timidi segnali di ripresa del settore riscontrati
in passato e che quest’anno si sono manifestati in
maniera più consistente, nonostante i timori della
vigilia, dovuti in parte al meteo molto incerto,
(per due giorni si è avuto l’allarme arancione sulla
città di Genova), e in maniera preponderante, all’attesa della risposta del mercato.
Le incognite, infatti, non sono mancate: detto del
meteo, è risultata palpabile la preoccupazione degli organizzatori per la “defezione” di alcune importanti aziende, fuoriuscite da UCINA e confluite
nella nuova organizzazione “Nautica Italiana”, che
ha comportato una generale incertezza, in un momento di sofferenza del settore nel quale sarebbero state più opportune una maggiore
chiarezza e una maggiore coesione e comunità di intenti.
Ciò nonostante, il pubblico, alla fine, ha
riempito l’area espositiva, attratto, come
detto, da eventi e proposte più attinenti
ad una “festa del mare” che ad un Salone
Nautico. Ma forse è stata proprio questa
la carta vincente, che ha decretato il successo della formula attuale: i visitatori
sono apparsi più interessati e curiosi, disposti non solo a guardare, o sognare, le
imbarcazioni, ma anche a soffermarsi ed
approfondire, fino a sottoscrivere qualche contratto.
In un contesto, quindi, di incertezze e
preoccupazione, ma anche di speranze
ed iniziative per rivitalizzare il settore
della nautica, la Lega Navale Italiana ha
Il “Grillo” della Sezione di Genova, ormeggiato nella darsena del Salone
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scelto il Salone di Genova per rilanciare la propria attività dopo quindici
mesi di “vacanza” dei vertici: ospiti
del Salone Nautico, si sono infatti riuniti i Delegati Regionali convocati
dal Commissario Straordinario, ammiraglio Romano Sauro, per individuare
le linee guida del processo di rinnovamento dell’Associazione, conservandone le peculiarità e le tradizioni e per
preparare i documenti di lavoro che
da lì a poche settimane, sarebbero state oggetto di discussione nella riunione dei Presidenti delle Strutture Periferiche della LNI, dal titolo, appunto,
“Rinnovamento nella Tradizione”.
L’occasione è stata propizia anche per
incontrare le Istituzioni locali, segnatamente l’assessore regionale all’Urbanistica e Demanio, Marco Scajola, con
il quale sono state esaminate – sulla
scia del riconoscimento del ruolo sociale svolto in questi anni dalla Lega
Navale Italiana e dalle sue Sezioni sul
territorio – alcune delle tematiche di
interesse comune: Spazi da riqualificare nelle zone demaniali, prevenzione
del disagio giovanile, promozione sociale, monitoraggio ambientale.
L’assessore Scajola si è detto molto
soddisfatto dell’invito e ha ribadito la
propria volontà di continuare i buoni
Tanti giovani visitatori, curiosi, si affollano attorno ad un banco di lavoro ricoperto
rapporti che ci sono tra Regione Ligudi attrezzi usati dai maestri d’ascia, per sentirsi spiegare come venivano impiegati
ria e Lega Navale Italiana, garantendo
ulteriori incontri con i rappresentanti
che hanno riscosso un notevole interesse da parte
regionali della L.N.I., per affrontare e discutere i
dei visitatori: “Sentiero nel Blu” e “La virata di Sonia”.
nuovi progetti al centro della programmazione.
Il primo è un progetto di snorkeling ambientale
Per quanto riguarda la partecipazione della Lega
nella zona degli Scogli della Margonara e della MaNavale Italiana al Salone Nautico, lo stand allestidonnetta, nei pressi di Albissola Marina, con il trato in posizione di alta visibilità, accanto al Teatro
sparente intento di includere il Sentiero Blu nel
del Mare, ha registrato un discreto afflusso di visiParco naturale integrato del Monte Beigua e della
tatori interessati alle proposte esibite: dal banco di
Riviera di Ponente. Proposto dalla Sezione di Savolavoro dei maestri d’ascia con gli attrezzi tradiziona, è stato sviluppato in collaborazione con la
nali, necessari per restaurare un gozzo ligure, che
RSTA e la scuola di robotica di Genova, con il duha consentito ai più giovani, ma non solo, di ciplice obbiettivo di promuovere lo sport subacqueo
mentarsi con pialla e trapano, al “remoergomee, soprattutto, di sensibilizzare i giovani a rispettatro”, il vogatore per l’allenamento a terra dei care l’ambiente ed il mare secondo il principio etico
nottieri, per finire con il kit di montaggio di una
per cui “si tutela ciò che si conosce”.
piccola imbarcazione a vela interamente realizzato
Grazie anche ad alcune soluzioni tecnologiche indai ragazzi del progetto “LiscaBianca” con il supnovative, come uno “scafandro” per lo smartphone
porto dei soci della Sezione di Palermo Centro.
e relativa app, il progetto ha entusiasmato i ragazzi
Due le presentazioni effettuate al Teatro del Mare,
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La presentazione del progetto di snorkeling ambientale “Sentiero nel Blu” al Teatro del mare
che hanno partecipato alle escursioni svolte durante l’estate sotto la guida degli istruttori e di biologi marini qualificati.
“La virata di Sonia” è il titolo del documentario,
coprodotto dalla LNI, che racconta la storia di “LiscaBianca”, il ketch dei coniugi Albeggiani che i
ragazzi dell’Istituto Penale per i Minorenni di Palermo “ex-Malaspina” e i giovani della Comunità
di Recupero Sant’Onofrio di Trabia, stanno restaurando sotto la guida di maestranze esperte e mastri
d’ascia, apprendendo così i metodi e le modalità
di lavorazione, nonché l’utilizzo di macchinari
moderni e nuove tecnologie, nell’ottica di sviluppare possibilità concrete
di reinserimento lavorativo e sociale.
Il documentario racconterà
appunto la storia di questa
barca, che solcherà di nuovo i mari per insegnare che
la vera libertà è fatta di regole e che ogni riscatto ha
bisogno di fatica, ma porta
con sé enormi soddisfazioni. La racconterà attraverso
gli occhi e l’esperienza di
Sonia, che vive a Palermo
ed è affetta da tetraparesi
spastica. Il giorno del varo
di Lisca Bianca sarà anche
il giorno in cui Sonia farà
la sua prima virata.
A concludere degnamente
le proposte LNI al Salone,
Il pozzetto di Team SCA ormeggiato in banchina comodamente a portata ottica dei visitatori
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novembre-dicembre 2015
la premiazione del Trofeo Umberto Pitti, regata riservata alla classe
Optimist, che, dopo la
forzata parentesi dell’anno scorso, è tornata
nella sua tradizionale
collocazione del Salone
Nautico. Particolarmente festeggiati i giovanissimi regatanti, che
hanno dimostrato una
notevole perizia nel disputare la regata in condizioni meteorologiche
non certo agevoli.
Il bilancio finale del Salone è dunque di segno
positivo: le presenze di
visitatori sono aumentate, anche se di poco,
nonostante il tempo inclemente; l’atmosfera
generale evidenziava
qualche sorriso in più
che in passato, merito
delle nuove attrazioni e
di qualche timido segnale di ripresa del mercato e, infine, il rinnovato interesse e attenzione delle Istituzioni
per la nautica, dopo gli
errori degli scorsi anni.
In tale prospettiva,
UCINA Confindustria
Nautica, in collaborazione con “I Saloni
Nautici”, ha lanciato il
Lo scafo del Team Vesta 2 che ha preso parte alla Volvo Ocean Race ha riscosso notevole interesse
progetto di promuovere un nuovo appuntavamente all’inizio e alla fine del mese di settembre.
mento per la nautica nella primavera del prossimo
C’è ancora molto da fare, soprattutto per quanto
anno, in un contesto prestigioso come quello di
riguarda la logistica e le infrastrutture della Fiera
Venezia, nell’intento di coinvolgere con maggiore
di Genova: troppi padiglioni inutilizzati o inagibiefficacia il mondo nautico dell’Adriatico. In agli e una distribuzione degli spazi in mare da rivegiunta, cambieranno le date del Salone 2016, che
dere. Ma il parere unanime degli addetti ai lavori è
sarà anticipato di due-tre settimane, sia per evitare
che il mercato possa ricominciare, anche se lentasovrapposizioni con la Barcolana, che si disputa
mente, a riprendere il movimento. È un segnale
generalmente la domenica successiva alla chiusura
atteso da molto tempo, forse troppo, che va colto
del Salone di Genova, sia, soprattutto, per meglio
al volo per permettere la ripartenza, non solo del
competere con le analoghe esposizioni nautiche
Salone, ma di tutto il settore della nautica.
■
che si svolgono a Montecarlo e a Cannes, rispetti-
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I 20 anni
della rubrica
“Vela a Vela”
di Giulio Guazzini
V
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Prima considerazione è
che proporre la vela in
Tv non è certo cosa facile. Innanzitutto attenzione ai fuochi di
paglia. Basta pensare al
fenomeno Luna Rossa e
alle sue gesta entusiasmanti in Nuova Zelanda per capire quanto gli
Italiani in realtà siano
più tifosi che sportivi. Pronti cioè ad appassionarsi
alla vela con lo stesso interesse viscerale rivolto
abitualmente al calcio. Ma pronti anche a dimenticare velocemente.
Una riflessione profonda merita anche quella categoria dei velisti praticanti, super appassionati,
quelli che hanno una piccola barca o la vorrebbero acquistare. Questi sono gli stessi che si lamentano perché di vela in Tv, secondo loro, non se ne
vede mai abbastanza e quando c’è va in onda sempre ad orari improbabili. Per costoro non basterebbe un’intera trasmissione in prima serata Tv. Peccato. Perché, in realtà, di vela in televisione, almeno in RAI, grazie al sottoscritto, si parla e come!
Magari poco, ma se ne parla e da tempo.
Dimenticavo comunque di dire forse la cosa più importante. Il velista in genere è una persona “sana” e
di Tv ne vede poca e neanche tanto buona. Scherzi
Da due decenni
il nostro collaboratore
diffonde cultura
della vela e del mare
dalla Rai
ela e televisione, un binomio
che nell’era dell’immagine e della comunicazione globale
sembra ormai inscindibile. Eppure la cronaca
di una regata raccontata attraverso l’occhio
indiscreto della telecamera può essere considerata ancora un fatto inconsueto dal momento
che il piccolo schermo, fatta eccezione per la Coppa America e pochi altri grandi eventi come l’Olimpiade, la Volvo Ocean Race e il Vendee Globe,
non ha mai dedicato troppa attenzione agli sport
nautici e alla vela agonistica in particolare.
Se qualcosa ultimamente sta cambiando, questo è
dovuto alla crescente spettacolarizzazione del gesto sportivo, all’interesse sempre maggiore da parte degli sponsor a farsi conoscere ed ottenere un
ritorno mediatico. Credo a tale proposito che per
la vela, per il mare e gli sport nautici sia arrivato il
momento di farsi conoscere da un pubblico sempre più vasto. Dal momento che il sottoscritto lavora in televisione e del mare, della sua cultura, e
della vela ne ha fatto una professione oltre che
una ragione di vita, credo di potermi permettere
qualche riflessione.
novembre-dicembre 2015
a parte, da 20 anni (festeggiati in questi
mesi) la rubrica “Vela a Vela”, in onda,
prima su RAIUNO, poi RAIDUE e RAITRE, ora su RAISPORT 1, cerca da tempo di proporre, ogni settimana, le cronache sportive e le storie di mare, cercando di venire incontro a un’utenza
variegata: quella molto specialistica dei
super appassionati, in genere regatanti,
e quella dei curiosi, distrattamente interessati, certo incompetenti ma di fatto stregati dalla forza delle immagini, e
da quello che solo le storie avventurose
di mare sanno evocare.
I 20 anni di “ Vela a Vela “ rubrica storica di Raisport, dedicata alla vela, al mare e alle regate, testimonia con puntuale rigore la riscoperta di antichi valori,
di una cultura legata al mare, mai troppo conosciuta e spesso dimenticata.
Un’idea, quella di “Vela a Vela”, elaborata e sviluppata insieme all’amico e
collega velista Paolo Venanzangeli, ufficio stampa FIV (Federazione Italiana
della Vela) e redattore della rivista
Nautica. Una collaborazione quella
con Paolo durata oltre 15 anni.
Determinante sin dall’inizio il supporto di Eugenio De Paoli, uomo chiave e
futuro direttore di RAISPORT, sportivo
entusiasta, riferimento sempre presenL’Avv. Agnelli, qui intervistato da Guazzini, tentò inutilmente di introdurre
te nei momenti importanti delle scelte
l’Italia al magico mondo della Coppa America; in apertura un logo della trastrategiche.
smissione “Vela a Vela”
La fine degli anni ‘90, sono soprattutto gli anni in cui la vela inizia a fare
me un gioco antico ed esclusivo come il match rabreccia nell’immaginario collettivo degli italiani
ce (regatare uno contro l’altro invece che in flotta)
dopo il successo sportivo e mediatico del Moro di
può entusiasmare milioni di sportivi. Quasi 20 anVenezia in Coppa America a San Diego con il pani dopo, con Luna Rossa del team Prada, Patrizio
tron Raul Gardini e lo skipper californiano Paul
Bertelli e Francesco De Angelis, complice il fascino
Cayard, vincitore della Louis Vuitton Cup.
esotico della Nuova Zelanda e di Auckland, sono i
Un terreno che in realtà era stato preparato a doprotagonisti mattatori della prima diretta televisivere, molti anni prima, da Azzurra. Era il 1983, un
va della storia messa in piedi da un network televiesordio, quello di Newport, incredibile! Lo Skipper
sivo per raccontare dalla prima all’ultima regata
Cino Ricci, marinaio carismatico, motivatore d’ecl’avventura della Coppa. La vela si trasforma in
cezione, con un equipaggio quasi amatoriale. Al
grande spettacolo, in oggetto di tifo di massa.
timone il barbuto finnista Mauro Pelaschier, trieCon Azzurra l’America’s Cup entra nella vita degli
stino doc, talento del match race, carattere schietitaliani trasformandosi in una sorta di sacro Graal
to e intransigente. Sarà scelto, alcuni anni dopo,
della vela.
come nostro commentatore tecnico per olimpiadi
Così, attraverso le testimonianze, le imprese di
e Coppa America.
personaggi singolari, capitani coraggiosi, capaci di
Gli uomini di Azzurra al rientro in Italia vengono
intercettare con proverbiale anticipo ciò che di lì a
accolti da un tifo da stadio. Si inizia a scoprire co-
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Per il Paese di santi, poeti
e navigatori, per troppo
tempo rimasti alla finestra
ad osservare, era arrivato
il momento di gettare la
sfida!
Quando nel lontano autunno del 1962, Gianni
Agnelli, appassionato velista, naviga nelle acque
di Newport come spettatore al seguito delle regate
della XVIII edizione della
Coppa, ci vuole tutta la
classe, la signorile intraprendenza dell’”Avvocato” per tentare un approccio alla Coppa.
A bordo di Manitou, yacht
presidenziale, soprannominato Casa Bianca galA sinistra, Dennis Conner, porta colori della bandiera a stelle e strisce, che ha ceduto l’Enterprise,
leggiante, si ritrovano
vincitrice del 1980 dell’America’s Cup
John Fitzgerald Kennedy e
Jacqueline Lee Bouvier asbreve porterà al cambiamento, prendono forma le
sieme a Gianni Agnelli, Marella Caracciolo e Bepimprese della vela moderna.
pe Croce, uomo di punta della Federazione ItaliaÈ per questo forse che l’America’s Cup, regata delna della Vela. Agnelli vuole promuovere la Fiat nele regate, da sempre sfida per eccellenza, competigli Stati Uniti e portare l’Italia nel mondo dell’Azione sportiva fra le più antiche del mondo, si rimerica’s Cup, come prima di lui avevano fatto ilconferma paradigma ineccepibile, metro puntualustri personaggi quali Sir Thomas Lipton, celebre
le, per misurare i valori in campo, storie di vinti e
industriale del tè.
vincitori, gesta eroiche, talvolta
drammatiche di tycoon fuori dagli
schemi, disposti a tutto pur di vincere ed affermare insieme alla propria
ambizione, quell’indispensabile orgoglio nazionale legato alla bandiera,
al prestigio del proprio Paese.
Un gioco, tradizionalmente, riservato
alle nazioni anglosassoni ed a poche
altre europee come la Francia e la
Svezia. Una sfida che solo le grandi
potenze industriali potevano ambire
a sostenere contando sull’impiego di
materiali e scelte tecnologiche davvero all’avanguardia. Prima del 1983
un sogno per l’Italia, ritenuto quasi
un miraggio, un traguardo irraggiungibile.
A raccontare meglio di ogni altra cosa
il nostro cammino sono gli aneddoti,
le cronache del tempo.
Russel Coutts, mitico skipper di Oracle e uno dei “padroni” della Coppa America
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Ma il regolamento del
tempo prevedeva un challenger unico e il nostro
Paese non era in grado di
competere con le grandi
nazioni anglosassoni.
L’avvocato Agnelli, forte
del supporto di Henry Kissinger, raccomandò a Kennedy il nome dell’ammiraglio Tino Straulino, talento olimpico in pool position per la Coppa America.
Un lavoro inutile, stroncato da lì a breve dall’assassinio del presidente americano. Ci vollero 20 anni
per riprendere concretamente il discorso con Azzurra e lanciare la prima
sfida tutta Italiana al New
La simpatica Maria Grazia Cucinotta intervistata per la prima volta in barca a vela
York Yachting Club. Cino
Ricci acquista da Dennis
Conner, eroe nazionale,
protagonisti della storica rubrica di RAISport “Vela
porta colori della bandiera stelle e strisce, l’Enterpria Vela”, giunta al traguardo dei 20 anni.
se, barca sparring partner di Freedom, scafo vincitore
Sono loro che, attraverso i racconti, le emozioni,
nel 1980. L’avventura azzurra aveva preso forma.
le interviste inedite, riescono a comunicare quello
Dalle classi olimpiche alle traversate oceaniche dei
spirito agonistico, quel senso dell’avventura, quel
veloci multiscafi, ai giri del mondo in equipaggio
fascino della sfida, che la cultura del mare riverbesu imbarcazioni ipertecnologiche e alle regate insra sempre sul mondo dei “terrestri”.
hore fra le boe. Sono gli skipper, i marinai, i veri
Un filo sottile, mai spezzato, che si
srotola lentamente partendo dalle imprese di Azzurra nelle acque statunitensi di Newport, quando l’Italia si affaccia nel mondo dorato dell’America’s Cup appassionando, catturando
l’attenzione di un popolo di tifosi rimasto troppo tempo a guardare.
Quando “ Vela a Vela” si affaccia nel
panorama delle programmazioni RAI,
sono gli anni, al di là della Coppa
America, delle prime imprese di Giovanni Soldini, giovane navigatore solitario milanese emergente. Sono gli
anni dei Giri del Mondo, in solitario,
a tappe. Della Whitbread, il giro del
mondo in equipaggio, con le partecipazioni di personaggi che hanno fatto la storia della vela sulla scia delle
esperienze fatte da precursori dell’alEd ecco Paul Cayard, skipper di Artemis nell’edizione 2013 dell’Americas Cup
tura nostrana come il velista impren-
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to alle olimpiadi di Sydney 2000. Davvero
indimenticabile quella telecronaca dal mare
su una barca affittata all’ultimo momento,
per essere vicini ad Alessandra più degli altri.
Quel telefonino da pochi dollari usato per
trasmettere, mentre la regia internazionale si
affrettava a mostrare in diretta il trionfo finale di un’italiana insospettabile!
Negli annali di “Vela a Vela” passeranno
anche personaggi dello spettacolo come
Martina Colombari e Maria Grazia Cucinotta, intervistate per la prima volta in barca a
vela. Campioni provenienti da altre discipline come Giacomo Agostini e Alberto
Tomba alle prese con il vento e le onde.
Paul Cayard, mito della vela con le imprese
Un simpatico colloquio tra Guazzini e il famoso finnista triestino Mauro
del Moro di Venezia a San Diego nel 92, caPelaschier
pace di vincere anche un Giro del Mondo a
tempo di record.
ditore Giorgio Falck, caposcuola di un’intera stirpe
Russell Coutts e James Spithill padroni incontradi velisti oceanici, compreso il sottoscritto.
stati della mitica “Brocca” (Coppa America). Tutti,
Ma sono anche gli anni in cui Alessandra Sensini,
insieme a molti altri, hanno lasciato il segno digenio della tavola a vela, fuoriclasse indiscussa,
mostrando che, al di là del confronto sportivo,
dopo il bronzo di Atlanta, si prepara a costruire la
quello agonistico fra avversari, la vera sfida è semsua impresa più bella con l’oro inatteso conquistapre stata quella con se stessi.
■
Una immagine “storica”: Giulio Guazzini sul ponte della nave scuola Amerigo Vespucci ad Auckland, in Nuova Zelanda, in occasione dell’America’s Cup del 2003
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La ruota a pale
conquista
fiumi e mari
di Claudio Ressmann
L’
quando i due gentiluomini avevano presentato all’Accademia di
Scienze un modellino in
scala del Pyroscaphe, unitamente ad una relazione dalla quale si potevano desumere le caratteristiche del rivoluzionario battello: lunghezza
44,33 metri, larghezza
massima 4,60, dislocamento 120 tonnellate, dotato
di una macchina “a trombe di fuoco” con due cilindri del diametro di 65 centimetri ed un corsa dello
stantuffo di un metro e 95 centimetri che agiva su
una doppia cremagliera fornendo un movimento di
rotazione alle due ruote. Da notare che il disegno di
queste ultime era già molto avanzato: le singole pale, infatti, erano collegate ad una corona eccentrica
in grado di farle penetrare in acqua sempre verticali, cioè nella posizione di massimo rendimento.
La piccola folla era accorsa sul molo perché una
notizia diffusa in quei giorni annunciava che proprio il pomeriggio del 15 luglio lo strano natante,
giudicato un mostricciatolo senza futuro, avrebbe
tentato di navigare controcorrente sulla Saône,
senza fare ricorso né ai remi, né alle vele.
In quel caldo pomeriggio di luglio i curiosi non
andarono delusi: tra nuvole di fumo nero e sonori
Spinta da
una macchina
“a trombe di fuoco”,
la ruota a pale fa la sua
comparsa sulla scena
inizio della propulsione meccanica in campo navale si potrebbe
far risalire al 1787 nella
città di Lione protagonista dello storico evento.
Il pomeriggio del 15 luglio di quell’anno, come riferiscono le cronache, si era radunata una
piccola folla sul Quai Sant Antoine, laddove attraccavano le chiatte cariche di legname. In quel
punto la Saône lambisce il centro cittadino per poi
confluire nel Rodano. All’imbarcadero era ormeggiato un barcone dall’aspetto quanto meno singolare: privo di pontatura mostrava all’esterno delle
fiancate due ruote munite di pale calettate su un
lungo asse che attraversavano lo scafo in tutta la
sua larghezza. Tra le ruote era poi visibile un misterioso marchingegno meccanico sovrastato da
un alto fumaiolo cilindrico.
Tra le persone che armeggiavano a bordo del Pyroscaphe (questo era il nome scritto a prora) spiccavano due gentiluomini ben noti ai lionesi, il marchese
Claude de Jouffroy d’Abbans e il conte di Follunay,
finanziatori dell’impresa, nonché Louis Frèrejan,
un abile meccanico specializzato nella riparazione
di carri e carrozze. L’idea era nata sei mesi prima,
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Le ruote a pale poppiere di un vapore in servizio sul Mississippi;
in apertura un modello del Clermont di Robert Fulton. È ben visibile la caldaia, a poppavia della macchina
spruzzi di vapore lo strano natante senza remi e
senza vele percorse senza apparente sforzo l’ampia
ansa del fiume e, appena fuori dalla città, terminò
la sua corsa all’altezza dei Jardin des Chartreux:
erano stati percorsi in 20 minuti circa 1.500 metri”
senza l’aiuto di nessuna forza animale per effetto
solo della pompa a fuoco” come ebbe a scrivere la
Gazzetta di Lione del 16 luglio.
Il felice esperimento coronava una lunga serie di
esperienze nate 73 anni prima, quando Dennis Papin - un medico ugonotto perseguitato e per questo
emigrato in Gran Bretagna – aveva infelicemente
sperimentato in Germania sul fiume Fulda un rudimentale precursore dei battelli a vapore, che suscitò
l’ira dei marinai locali, i quali non esitarono a distruggerlo ritenendolo un temibile concorrente.
È da osservare che nonostante i suoi continui progressi, tra i quali quelli realizzati nel 1789 dallo
scozzese James Watt (inventore del condensatore e
del cassetto di distribuzione), le macchine a vapore venivano prevalentemente utilizzate in impieghi terrestri come l’industria manufatturiera, l’attività estrattiva e via dicendo. Neppure la più per-
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fezionata motrice a doppio effetto riuscì a trovare
posto su barche o su veicoli terrestri, come dimostrò nel 1769 il fallito tentativo del francese Joseph Cugnot di realizzare un carro a vapore.
Il successo ottenuto dal Pyroscaphe premiava la tenacia e l’ingegnosità del marchese De Jouffroy; il
suo era stato non tanto il primo quanto il più affidabile degli scafi a ruote fino ad allora costruiti e
oltretutto aveva dimostrato la sua efficienza di
fronte a centinaia di persone, conquistando il posto d’onore nelle cronache nazionali. Un trionfo,
in altre parole, che avrebbe potuto rappresentare
l’inizio della fortuna per una Compagnia di navigazione. Invece non fu così: l’indispensabile Privilegio Reale fu negato perché la severissima Accademia delle Scienze pretendeva altri esperimenti,
che il De Jouffroy, oberato di debiti, non era assolutamente in grado di finanziare. Per cui dovette
dire addio al suo sogno, con grande esultanza delle corporazioni dei barcaioli.
In quegli ultimi anni del XVIII secolo, le sperimentazioni sull’applicazione del vapore a bordo di
battelli fiorirono anche al di là dell’Atlantico, ma
senza raggiungere risultati apprezzabili.
Singolare in questo campo l’iniziativa degli americani John Fitch e Johan Voight, un orologiaio del
Connecticut il primo e un meccanico il secondo, i
quali nel 1787 risalirono il Deleware alla velocità
di otto nodi con una curiosa barca spinta da un
gruppo di sei pagaie mosso da una macchina monocilindrica a doppio effetto. Una seconda unità
di maggiori dimensioni, immessa sulla tratta Filadelfia- Trenton, dimostrò, però l’assurdità di una
tale soluzione e la “nave a pagaie” finì nel dimenticatoio.
In Scozia, una decina d’anni, più tardi l’industriale
Patrick Miller finanziò il progettista navale William Symington per la realizzazione di un rimorchiatore a doppio scafo con unica ruota posteriore. Il rendimento della macchina adottata si dimostrò però inaccettabile soprattutto perché James
Watt non aveva concesso l’impiego del condensatore da lui brevettato. Symington non si dette però per vinto ed attese che i diritti di Watt fossero
scaduti per tornare all’attacco, questa volta con il
Charlotte Dundas (dal nome del nuovo sponsor
Lord Dundas of Kerse), un tozzo rimorchiatore
con scafo a catamarano con ruota centrale che nel
marzo 1802, con un forte vento contrario, trainò
per 19 miglia lungo il canale Forth-Clyde due
chiatte con un carico di 70 tonnellate ciascuna.
Tuttavia gli amministratori del canale denunziaro-
no l’inventore per i danni alle sponde
provocati dal movimento delle ruote e
così l’iniziativa di Symington non ebbe
seguito.
Per quanto riguarda il trasporto di passeggeri è da ricordare, sempre in Inghilterra, un certo successo del Comet costruito da John Bell nel 1812. Faceva
servizio sul fiume Clyde, stazzava 28
tonnellate e disponeva di una macchina da quattro HP: il lungo fumaiolo serviva anche a sostenere una vela quadra.
Robert Fulton
Proveniente dalla Pensylvania, dove era
nato nel 1765, il giovane ingegnere RoIl Sirius, prima nave vapore a attraversare l’Atlantico nel 1838 senza far uso delbert Fulton cominciò a farsi notare nella vele
l’ultima decade del secolo negli ambienti scientifici inglesi e francesi.
te collaudato sulla Senna, con due chiatte a rimorGiunto in Europa per studiare pittura, rimase affachio. Fulton, però non doveva essere simpatico a
scinato dalla scienze meccaniche alle quali si dediNapoleone (forse per quei 10.000 franchi sprecacò con passione, confortato dai consensi ottenuti
ti), il quale non solo non apprezzò il rivoluzionada Symington e da Watt, che conobbe di persona.
rio mezzo di trasporto, ma addirittura accusò di
Stabilitosi in Francia, nel 1797 riuscì ad ottenere
ciarlataneria il suo inventore. Indignato Fulton soda Napoleone un contributo di 10.000 franchi per
spese la sperimentazione e fece ritorno negli Stati
la costruzione di un sommergibile (a propulsione
Uniti non senza avere prima ordinato alla famosa
… umana in immersione e a vela in emersione),
officina Bunton & Watt una macchina a doppio
che tuttavia non convinse gli ammiragli della Maeffetto da 24 cavalli, da spedirgli in Patria. Già inrine Royale. Allora Fulton rivolse la sua attenzione
travvedeva la possibilità di utilizzare i battelli a vaalla propulsione a vapore e, dopo avere studiato le
pore sui grandi fiumi statunitensi. Sempre finanrelazioni di De Jouffroy e del connazionale John
ziato da Livingstone cominciò così a prendere forFitch, dette inizio alla costruzione di un vapore a
ma nel cantiere di Charles Boownie, alla periferia
pale, finanziato dal facoltoso ambasciatore ameridi New York, uno scafo a fondo piatto in legno di
cano a Parigi, Robert Livingstone. Varato nel 1802,
pino, lungo 40 metri e largo 3,60, progettato da
il 9 agosto dell’anno successivo veniva felicemen-
Il Ferdinando I in un disegno conservato nella Camera di Commercio di Marsiglia
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lui stesso; era dotato tra l’altro di una caldaia Cave
& Son in grado di produrre le 3,5 atmosfere di vapore richieste dalla macchina, puntualmente
giunta dall’Inghilterra. Il battello chiamato Clermont, dal nome della cittadina sull’Hudson dove
Livingstone possedeva una fattoria, iniziò il suo
viaggio inaugurale il 17 agosto 1807, comandato
dal capitano Andrew Brick, con a bordo, oltre al
progettista ed al suo sponsor, una quarantina di
VIP appartenenti al mondo finanziario ed economico della città. Mollati gli ormeggi dal Greenwich Village, il Clermont risalì l’Hudson giungendo il mattino successivo di fronte alla località di
cui portava il nome, dopo un percorso di 110 miglia. Il 19 agosto salpava quindi alla volta di Albany, dove attraccava due ore più tardi. Lo stesso
giorno dava inizio ad un felice viaggio di ritorno,
dopo avere imbarcato tre passeggeri che pagarono
ciascuno sette dollari.
Sulla scia di questo grande successo, Fulton l’11
febbraio 1809 ottenne dallo Stato di New York una
Patente trentennale per la navigazione a motore
nelle acque interne dell’Unione. Da quell’anno la
navigazione a vapore si sarebbe estesa su tutti i
fiumi navigabili e su tutti i laghi degli Stati Uniti.
Le iniziative in Europa
In Europa il primo servizio regolare passeggeri con
battelli a pale fu istituito in Gran Bretagna, nel
1812, fra Glasgow, Greenhock e Helensburgh sul
fiume Clyde con il Comet, un battello progettato
da Henry Bell da 28 tonnellate di stazza, dotato di
Modello di macchina a vapore bicilindrica (anno 1825)
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novembre-dicembre 2015
un lungo fumaiolo che serviva anche a sostenere
una vela quadra; la tariffa era di quattro scellini
per la prima classe e tre per la seconda. Ormai il
ghiaccio era rotto e proprio sul Clyde, tre anni più
tardi, già navigavano regolarmente dieci vapori.
Nel 1816, veniva anche esercitato il servizio internazionale tra Rotterdam ed Anversa e contemporaneamente in Germania si dava il via alla navigazione meccanica su tutti i principali fiumi del Paese, ed in Russia veniva inaugurato il servizio tra
Kronstadt e Pietroburgo. In Svizzera nel 1823 entrò in servizio a Ginevra il Guillaume Tell, mentre
in Francia si infittivano le linee di navigazione sulla Senna, sulla Loira e sulla Garonna.
Anche la Spagna si cimentò in questo settore, inaugurando il 18 luglio 1817 il collegamento regolare
Siviglia-Cadice, in parte fluviale e in parte marittimo. Il servizio era esercitato dal Real Fernand, un
battello a vapore lungo 21,43 metri e largo 3,65,
dotato di una macchina da 40 HP costruita in Inghilterra dalle Officine Boulton & Watt. Era in grado di trasportare 95 persone.
Il lungo viaggio, effettuato sul ponte privo di qualsiasi sovrastruttura non dovette dimostrarsi molto
confortevole, per cui i potenziali clienti preferirono il tradizionale percorso via terra; così lo scarso
gradimento del pubblico e le continue avarie contribuirono ad affondare l’iniziativa che fu abbandonata nell’autunno di quello stesso anno.
La ruota affronta il mare
I fautori del nuovo mezzo di trasporto non trascurarono ovviamente le più impegnative acque marine, cercando di realizzare collegamenti marittimi
su percorsi brevi e facili, come la traversata della
Manica, per passare successivamente alle rotte di
lungo corso, prima fra tutte Stati Uniti - Gran Bretagna. L’Oceano fu attraversato la prima volta da
un vapore con vele ausiliarie nel 1818. Il viaggio
durò 27 giorni, ma le macchine furono utilizzate
solo per 85 ore, durante le quali venne bruciato
tutto il carbone disponibile. Protagonista dell’impresa fu il tre alberi statunitense Savannah, al comando del capitano Moses Rogers, lungo 33,5 metri e largo 7,5, dotato di una macchina ausiliaria a
vapore monocilindrica della potenza di 90 HP capace di imprimere alle due ruote (smontabili), del
diametro di 4,65 metri, un regime di rotazione di
16 giri/minuto. Sui tre alberi potevano essere alzati
e bordati circa 259 metri quadrati di velatura (è da
rilevare che sarebbero trascorsi altri 20 anni prima
di vedere l’Atlantico attraversato da una nave spin-
Il tre alberi a propulsione ausiliaria a ruote Sphinx, costruito a Rochefort nel 1829, che trasportò dall’Egitto a Parigi, l’obelisco che attualmente si erge su Place de la Concorde
ta soltanto dalle macchine: per la cronaca il Sirius
dotato di un motore da 300 HP).
Sempre nel 1818, nel Mediterraneo faceva la sua
comparsa la prima nave a vapore, il Ferdinando I,
battente la bandiera delle Due Sicilie. Lungo 38,80
metri e largo 6,15, era stato costruito nel cantiere
Filosa di Napoli e imbarcava una macchina da 45
HP realizzata in Gran Bretagna, collegata a due
ruote del diametro di 3,60 metri.
Partito da Napoli il 27 settembre al comando dell’alfiere di vascello della Real Marina Giuseppe Libetta, dopo avere toccato Livorno e Genova, concludeva felicemente il suo primo viaggio a Marsiglia il 30 ottobre. Avrebbe avuto una vita operativa molto breve, a causa delle continue avarie. Fu
radiato nel 1821.
Una protagonista
Nelle vicende relative al progresso della propulsione meccanica navale la ruota a pale nell’arco di un
secolo ha svolto senza dubbio il ruolo di protagonista, fino al 1836, anno in cui un ingegnoso agricoltore del Kent, Francis Pettit Smith, brevettò una
“screw revolving in the water at the stern”, cioè un’elica immersa collocata a poppa. Anche se Smith è
universalmente considerato come inventore dell’elica immersa, non si può ignorare che nel 1827 aveva ottenuto a Vienna il brevetto per una ”vite” subacquea il trentasettenne ingegnere boemo Josef Res-
sel, che operò per molti anni a Trieste. La nuova invenzione fu sperimentata l’anno successivo su una
imbarcazione che, però, poco dopo la partenza, si
bloccò irrimediabilmente. Della “vite” del Ressel
non se ne sarebbe avuta più notizia.
Differente invece la sorte del brevetto di Smith: il
dispositivo venne installato a titolo sperimentale
su una nave dal nome significativo, Archimedes, e
si rivelò talmente efficiente da meravigliare lo
stesso suo ideatore: in realtà, le prove ed i confronti effettuati con vapori di pari potenza, a ruote e
ad elica dimostrarono la indiscutibile superiorità
di quest’ultima, adottata immediatamente dalla
progettistica navale e considerata con grande favore negli uffici tecnici dell’Ammiragliato, attratti
della sua invulnerabilità.
Fu proprio l’Ammiragliato, nel 1845, ad organizzare l’esperimento più convincente, utilizzando
l’HMS Rattler, ad elica e l’HMS Alecto, munita di
ruote a pale, ambedue di pari potenza e stazza (800
t). Collegate le due poppe con un cavo fu effettuato un singolare “tiro alla fune” al termine del quale
il Rattler trascinò il rivale alla velocità di due nodi.
Fu il definitivo tramonto delle antiestetiche e ingombrati ruote che sparirono così gradualmente
dalla fiancate dei vapori. Resistono oggi soltanto
sui grandi fiumi americani, come il Mississippi e
su qualche lago dove rievocano romanticamente
poetiche immagini di tempi lontani.
■
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Gli illustratori
alla guerra
di Ciro Paoletti
L
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teva fare dello spirito
sui militari nazionali,
non era opportuno toccare troppo il tasto delle restrizioni, e infatti si
cominciò a farlo relativamente tardi, né accennare alle differenze
fra i combattenti e gli
imboscati; dunque restavano solo le battute
sul nemico, cercando di metterlo in ridicolo.
Va detto subito che le vignette pubblicate dall’intervento all’armistizio – dopo non ci fu più nessun
tentativo di far ridere – furono molte meno e su
molte meno testate di quanto si pensi. Alcune erano pubblicate in gruppi numerosi, come sulla
“Domenica del Corriere” o sul “Mattino illustrato”, che ne avevano anche una mezza dozzina abbondante a numero, ma di solito erano tutte o di
soggetto generico, o circoscritte all’ambito della
vita civile. Per di più la “Domenica del Corriere” le
pubblicava non al suo interno, ma sulla seconda
di copertina e la copertina, a differenza di quanto
si crede, non era quella con le famose illustrazioni
di Molino, ma un doppio foglio verdolino, che
forniva la prima, seconda, terza e quarta di copertina e conteneva pubblicità, piccole rubriche, cruciverba, vignette e spigolature varie ed entro il
quale si trovava la Domenica del Corriere che siamo abituati a conoscere.
Altre, come la già citata “Illustrazione Italiana”,
seguendo una tradizione iniziata durante la Gran-
La Marina
nelle vignette italiane
di propaganda nella
II Guerra Mondiale
a propaganda di
guerra è una cosa
antica. Prima libri e libelli, poi, dall’Ottocento, teatro e
giornali, infine il cinema sono stati utilizzati
da chi doveva farla, con
risultati più o meno efficaci.
La Grande Guerra fu la
prima in cui si cominciarono a usare delle vignette
umoristiche o satiriche di propaganda, di solito
prendendo come bersaglio il nemico. In Italia non
si fece eccezione, anche se la loro pubblicazione
sembra essere stata ridotta a poche testate. Alcune,
come il “Marc’Aurelio” e il “Bertoldo”, partivano
già con la nomea di satiriche e spaziavano un po’
su tutto; altre, invece, erano note come normali riviste d’informazione o d’attualità.
La propaganda su queste ultime veniva fatta in
modo più o meno esplicito. Poteva esserlo attraverso la pubblicità, dimostrando che un certo prodotto era usato dai militari, o per mezzo di foto,
magari a colori (colorate), come gli inserti de “L’Illustrazione italiana”, molti dei quali dedicati a
questa o quella branca delle Forze Armate. Infine
si faceva propaganda “anche” con classiche vignette satiriche.
Perché anche? Perché molti periodici di vignette
satiriche non ne pubblicavano affatto e, quando
lo facevano, molte, l’assoluta maggioranza, si trovavano davanti a dei limiti ben precisi: non si po-
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de Guerra, toccavano
più gli aspetti della politica del nemico che
quelli militari e le loro
vignette si trovavano
anch’esse in seconda di
copertina. Però “L’Illustrazione Italiana” negli
Anni ’40 aveva da tempo abbandonato le copertine esterne, le sue
erano celesti, mantenute dalla “Domenica”,
per cui le sue vignette
non solo sono più facili
da ritrovare, perché la
copertina esterna della
“Domenica” è quasi
sempre stata eliminata
dai lettori, ma sono più
riproducibili di quelle di
molte altre testate, spesso stampate male, su
carta assai scadente e
fondo non bianco, con
una resa pessima.
Altre riviste o non ne
avevano, come “Cronache della Guerra” o le
ebbero a periodi, come
“Tempo”. Poche, dicevamo, le vignette di soggetto militare in senso
stretto, ancora meno
quelle di soggetto marinaro e, senza andare olRiportiamo in queste pagine alcune vignette di propaganda di quei duri anni di guerra; in apertutre, qui se ne riportano
ra una caricatura dell’Imperialismo britannico per la penna del famoso illustratore Boccasile
alcune, che documentano abbastanza bene l’evoluzione di come la
“ecco in perfetta formazione, con la zattera ammiraguerra fosse sentita dall’estate del 1940 a quella
glia in testa, ritorna dal Mediterraneo la nostra invindel 1943.
cibile flotta” dice il soldato inglese sulla riva al civiCominciamo con due dell’agosto 1940. La guerra
le che guarda incuriosito. Che fine abbiano fatto
è iniziata da due mesi: la Francia è battuta, l’Inle navi, e gli aerei britannici, lo sappiamo dall’alghilterra in ginocchio, gli americani, alle prese
tra, in cui un pesce, vicino a una grossa nave incon le imminenti elezioni presidenziali, non sono
glese affondata, vedendo un aereo che si inabissa
disposti a farsi trascinare in guerra e l’Italia ha apdice “meno male, ci mandano anche un po’ d’aviaziopena occupato la Somalia Britannica.
ne. È indispensabile per difendere la flotta che posseLe cose non vanno male, non hanno nemmeno
diamo”. Viene da domandarsi: perché l’aereo invecominciato ad andare male e si può essere fiducioce delle coccarde ha le croci, che allora portavano
si e ottimisti. Dunque non c’è da stupirsi della crei soli aerei tedeschi, anche se nere e non bianche
dibilità delle due vignette qui riportate. La prima –
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migliori dei due alleati dell’Asse e la ripartizione
geopolitica e militare della loro azione.
A dicembre entrano in guerra gli Stati Uniti. Di lì
a undici mesi sbarcano in Nord Africa e cominciano a comparire in Mediterraneo: peggio per loro.
Lo capiscono – troppo tardi – i due marinai americani che, in questa vignetta del dicembre 1942
guardano la loro nave affondare e commentano:
“Ci avevan detto che l’Italia ha la forma di uno stivale, sembra invece abbia la forma di un siluro”, è sottinteso che siano stati i regi sommergibili, o almeno lo si spera.
Però ormai le cose vanno in maniera tale che gli
unici successi colti dall’Asse sono proprio quelli dei
sommergibili, per cui su quelli si batte, ed ecco
dunque, che, nell’aprile 1943, in scafandro “il titolare del dicastero antisommergibile, progettato dalla
Camera dei Lordi, si reca a fare un sopraluogo” perché
chiaramente la flotta inglese è ormai tutta a fondo.
E infatti il mese dopo, maggio ’43, “Lo Stato Maggiore della Marina anglosassone studia sul luogo i pia-
come qui? La cosa disorienta e riduce l’efficacia
della vignetta.
Il 1940 finisce e con lui la speranza di fare la
Guerra Parallela che Mussolini voleva combattere
“accanto” ai Tedeschi ma non con loro né per loro. Occorrerà metterseli in casa, in Libia e, fra poco, pure nei Balcani e in Sicilia, ma a gennaio del
1941, quando si pubblica questa vignetta, l’illusione di poter fare ancora la Guerra Parallela resiste. Infatti il pilota dello Stuka, che però con quelle svastiche sulle ali per chi se ne intende sembra
più finlandese che tedesco, dice al comandante
del sommergibile: “Dammi un’occhiata al Mediterraneo, io intanto la do all’Atlantico”. Ci si può quasi
credere.
La Marina è la forza armata migliore che ha l’Italia
– nonostante la recente notte di Taranto, di cui però il pubblico ignora i veri danni, e i sommergibili
hanno colto dei buoni successi. Lo Stuka è l’arma
più nota e impressionante che i Tedeschi abbiano
schierato, per cui l’effetto che si vuole è sottolineare chiaramente l’accoppiata dei sistemi d’arma
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Nel 1942 la propaganda italiana pensò bene di rivolgere l’attenzione dell’Asse alla lotta contro le Marine alleate come
mostra questa cartolina illustrata di Boccasile
ni per controbattere l’azione dei sommergibili dell’Asse”: sott’acqua, circondato da pesci e relitti.
Lo stesso mese si sono arrese le truppe italotedesche in Tunisia, poi a giugno sarà la volta
dell’Italia. Appunto in giugno il pilota alleato
dice di Pantelleria “con centinaia di cannonate
dal mare e migliaia di aeroplani dal cielo abbiamo subissato l’Isola”. “Dobbiamo proprio gloriarcene?” domanda il marinaio inglese, col viso
pensosamente appoggiato alla mano destra.
L’efficacia della vignetta è quasi nulla.
La vittoria alleata, e la catastrofe per le armi
italiane, è tale che non importa come sia stata
ottenuta e se ci sia da gloriarsene. La prossima
tappa è la Sicilia e le vignette diverranno sempre più generiche per mancanza di materia su
cui sbeffeggiare il nemico.
Poi cadrà il Fascismo e ci sarà l’armistizio. Il
19 settembre “L’Illustrazione Italiana” esce
di nuovo. È il primo numero preparato dopo
l’8 settembre. L’Italia è occupata, non ci sono più
vignette, ma, chissà se è per caso, c’è un disegno
pubblicitario a tutta pagina di una marca di impermeabili; un bambino e una bambina si ripara-
no sotto un cornicione dalla pioggia che cade e
la didascalia dice speranzosa: “presto verrà la
mamma e porterà la mantella”; la mamma, forse,
ma non l’Italia.
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Recensioni e segnalazioni
MICHELE COSENTINO
MAURIZIO BRESCIA
LA MARINA ITALIANA
1945 – 2015
Edizioni Storia Militare
Parma 2015
3 Voll. – Euro 30,00
All’inizio del 2015, M.Cosentino e M. Brescia hanno completato la loro storia fotografica della MMI in cui si narra
della ricostruzione, dello sviluppo e dell’evoluzione della
Forza Armata dal 1945 al 2015.
Sono tre volumi (n° 15 – 16 –
17) della Serie “Storia Militare
Dossier” in cui gli Autori, seguendo le linee guida tracciate
da E. Bagnasco con il suo
Supp.to alla Rivista Navale del
1988 (La Marina Militare Italiana–Quarant’anni in 250 immagini, dal 1946-1987) e ripetendone l’intelligente formula, ripercorrono gli ultimi settant’anni della Marina Milita-
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re. L’opera è certo una storia
per immagini le quali, però, al
di là della loro forza narrativa
intrinseca, sembrano un pretesto, un’impalcatura sulla quale
è costruita la storia con tutta
la sua valenza non solo documentale ma anche sentimentale ed affettiva specie per quei
lettori che di questi settant’anni ne hanno vissuto una buona parte e spesso ne sono stati
attori. A ciascun volume, infatti, fanno da cappello sintetici, intelligentemente schematici ma completamente
esaustivi, dei quadri della situazione geopolitica internazionale nei quali si innestano
esigenze, volontà, aspettative,
visioni strategiche, concetti
operativi nazionali con il loro
corredo di discussioni, diversità di opinioni, difficoltà finanziarie, divergenze tra le visioni
della “politica” e quelle di
quanti sono preposti a dar loro corso. Di ciò si parla in modo quasi distaccato, senza
esprimere valutazioni o prese
di posizione dirette. Del resto
è troppo presto per analizzare,
valutare e commentare dal
punto di vista storico: per ora
si può solo stare ai fatti raccontati da chi, in buona parte,
li ha vissuti dal di dentro. Nell’opera sono riprodotte oltre
750 immagini molte delle quali inedite o restaurate. Ad esse
vanno aggiunti disegni, tabelle, tavole di profili di unità na-
novembre-dicembre 2015
vali a loro volta corredati di
didascalie e schede descrittive
ricche di particolari non solo
tecnici ed operativi ma anche,
ad esempio, informativi circa
le valutazioni strategico-operative-politico-finanziarie, che
hanno determinato le scelte finali fino alle conseguenti specifiche per la costruzione. I tre
volumi coprono, rispettivamente, gli anni che vanno dal
1945 al 1970, dal 1971 al 1996
e dal 1997 al 2015. Si va, pertanto, dalla ricostruzione postbellica, particolarmente difficoltosa per i vincoli imposti
dai vincitori, alla prima “legge
navale” del ’75; al reinserimento della F.A. nel contesto
internazionale con i suoi gravosi impegni specie nel periodo successivo alla “guerra fredda”; alla nascita dell’aviazione
navale con il suo carico di contrasti anche gravi all’interno
della Difesa; alle collaborazioni internazionali per il concepimento, la realizzazione e lo
sviluppo di nuove costruzioni;
alla recente, purtroppo perdurante, crisi economica. Questa
storia per immagini ci presenta … un’immagine della Marina Italiana ancora internazionalmente apprezzata, temprata dalle sfide che ha dovuto affrontare negli ultimi sette decenni e che speriamo pronta a
proseguire nella sua crescita
nonostante tutto.
Emilio Taietta
CINO RICCI CON FABIO POZZO
Odiavo i velisti
Ed. Longanesi – Milano 2014
Pagg. 236 – Euro 16,40
Questo libro dal titolo vagamente provocatorio abbina due
nomi di spicco del mondo della
vela: un valoroso giornalista ed
il mitico skipper di Azzurra.
Cino Ricci meritava una biografia per essere da oltre un
trentennio un protagonista del
settore nautico e il volume, colmando tale lacuna, merita l’attenzione dei lettori velisti, sia
quelli che la passione per il mare se la sono portata dentro da
sempre, sia quelli che l’hanno
scoperta per merito di questo
tenace e testardo marinaio romagnolo.
Cino Ricci parte subito alla
grande, ricordando il colloquio
conclusivo di una lunga trattativa al termine del quale Gianni Agnelli aderì (Ricci, mi ha
convinto...) alla proposta di far
partecipare una barca italiana
alla prestigiosa America’s Cup.
È un momento magico della
sua vita, la realizzazione di un
sogno covato da lungo tempo e
più che mai da quando, qualche anno prima, gli americani
avevano spiegato proprio all’Avvocato che una partecipazione italiana alla Coppa sarebbe stata inopportuna perché
“non eravamo ancora maturi”.
Siamo nel 1981 e la vita per il
giovane skipper designato cambia nella maniera più radicale
colmandosi di soddisfazioni,
ma anche di inevitabili difficoltà di ogni genere: dalla sofferta
selezione degli uomini dell’equipaggio, alla dolorosa esclusione di velisti molto bravi ma
non all’altezza di una simile
competizione, dall’addestramento dell’equipaggio su una
barca del tutto da sperimentare. Poi anche il non facile rapporto con la dirigenza dello
Yacht Club Costa Smeralda: Cino Ricci non tollera alcuna ingerenza nel suo lavoro, con i
danni collaterali facilmente immaginabili, in un ambiente sostanzialmente scettico nei confronti di un’impresa tanto audace quanto incerta nei risultati. Il lettore vive con lui le esperienze maturate nel confronto
di Azzurra
con la barca-lepre Indipendence,
per passare alle emozioni vissute sul campo di regata di Newport quando Ricci si confronta
con i più bei nomi del Gotha
del velismo mondiale. Il risultato della prima presenza italiana in Coppa è a dir poco clamoroso, con l‘approdo alla semifinale della Louis Vuitton
Cup, “anticamera” della com-
petizione. Non ci si poteva
aspettare di più! Una emozione
irripetibile che lo skipper riesce
con il suo racconto a trasmettere al lettore con accenti sinceri
e appassionati.
Di quei giorni tutti rammentiamo il successo mediatico e di
conseguenza il livello di prestigio conquistato dal protagonista della incredibile sfida: mai
la vela nel nostro Paese aveva
goduto, merito suo, di tanta
popolarità.
Nelle successive edizioni la partecipazione italiana alla Coppa
diventerà abituale, ma il “superskipper”, per sua ferma decisione, non comparirà più come
protagonista, bensì come collaudato esperto per i nostri
team. Tutto questo bagaglio di
esperienze offre lo spunto a Cino Ricci per trasmetterci nelle
sue pagine interessanti considerazioni sull’evoluzione della
ultracentenaria regata non solo
per quanto riguarda i tipi di
barche partecipanti, ma anche
e sopratutto per lo spirito con
la quale è disputata; come ricordano i lettori velisti, assidui
spettatori delle sue telecronache dai campi di regata, insuperabili esempi di divulgazione di
uno sport ancora poco noto in
Italia.
Se il nome di Cino Ricci è legato
alla vela agonistica – le cui vicende, come è ovvio, mantengono la loro centralità nel contesto dell’architettura narrativa
della biografia - sono in gran
parte poco note le altre attività
alle quali ha dedicato il suo tempo quando non era impegnato a
trafficare con drizze e scotte. Lo
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Recensioni e segnalazioni
troviamo infatti come cacciatore sul massiccio del Pollino, come sub nel Mar Rosso e nelle
più vicine acque dell’Adriatico
e, ancora, come pescatore a bordo dei gozzi di Cervia.
Fattori comuni di questa multiforme attività sono l’ entusiasmo e la tenacia, un binomio vincente che è il segreto
del suo successo e che costituisce una lezione di vita valida non solo nel campo della
vela.
Conclude il volume una corposa postfazione, dovuta a Fabio Pozzo, che altro non è se
non un “fuori le quinte” di
quello stupendo spettacolo
che Azzurra ha regalato a tutti
gli italiani.
Claudio Ressmann
ENRICO CAMPANELLA
(TASHKENT)
Edizioni Erasmo - Livorno 2014
Pagg. 340 – Euro 16,00
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Questo è un romanzo storico
nel senso più autentico e pregnante dell’espressione: perché, impostato su di un accadimento reale, quello della
commessa a un cantiere navale italiano di una unità da
guerra per la Voenno Morskoj
Flot SSSR, la Marina Militare
sovietica, intreccia poi intorno ad esso una serie di vicende in cui è difficile, se non
impossibile, distinguere il reale dal fittizio; e in ciò sta proprio il fascino di un romanzo
storico.
Dunque, il fatto reale: nel 1937
l’Unione Sovietica affidò ai
Cantieri Orlando di Livorno la
costruzione di una unità da
guerra, a volte indicata come
incrociatore, a volte come cacciatorpediniere-comando, cui
fu imposto il nome di Tashkent, e che aveva come caratteristica principale quella di sviluppare una velocità notevolmente superiore alle unità
consimili dell’epoca (39 nodi,
e scusate se è poco!), qualità
peraltro che alla fin fine poco
importava, dato che a quella
velocità, con mare appena
mosso, una piattaforma ha
scarse o nulle possibilità di tiro
efficace.
Alla nave realizzata in Italia
avrebbero dovuto far seguito
altre quattro nei cantieri sovietici, ma di esse – a causa degli eventi bellici - solo due
presero il mare, il Kiev e il Yerevan. È invece piuttosto interessante notare che dagli studi
novembre-dicembre 2015
per il Tashkent ebbero sviluppo i progetti della classe “Capitani Romani” per la Regia
Marina.
Su questo fatto già di per sé intrigante, se si pensa a quelli
che erano i regimi allora dominanti rispettivamente in Italia
e in URSS, l’A. intreccia tutto
un viluppo di vicende su più
piani narrativi: i tentativi di
spionaggio dei Russi presenti a
Livorno per seguire i lavori, tra
i quali si staglia una affascinante Capitano Anastasia Fedosjuska Mihajlovna; la contro-intelligence italiana; il coinvolgimento in questa sorda
lotta di ignari tecnici del Cantiere; la figura complessa e impenetrabile (e storica) del Direttore, Achille Rougier, rievocata con tenerezza dalla figlia
Marilli in una premessa al libro; e infine un altro “personaggio”, una barca da diporto
stavolta, dal nome anch’essa di
Marilli, e la cui vicenda fa quasi
da controcanto a quella del
Tashkent.
Impossibile riassumere la narrazione per la sua complessità.
Però non si può far a meno di
rilevare la lingua ricca e insolita usata dal Campanella, una
lingua che si sarebbe portati a
definire “immaginifica”, e che
dapprima lascia un po’ spiazzati, ma poi abbaglia e coinvolge, fino a suscitare perfino
invidia in chi – ahimè – avverte di non disporre di una tavolozza altrettanto variegata.
Renato Ferraro
GIOVANNI PANELLA
LA VELA LATINA
Editore Hoepli – Milano 2015
Pagg. 163 – Euro 29,90
Abbiamo avuto occasione di
“incontrare” Giovanni Panella
quando pubblicò “Leudi di Liguria” e “Gozzi di Liguria”, rispettivamente nel 2002 e nel
2003, quella volta per i tipi
della genovese Tormena; due
volumetti dalle dimensioni
contenute, ma con un compendio di sapidi testi e belle
immagini tale da renderli due
piccoli scrigni di sapere del
mare.
Questa volta, con l’Editore
Hoepli, ci presenta un’Opera
di particolare importanza, perché non è dedicata ad una specifica imbarcazione, ad una
rotta storica o alle vicende di
una marineria, ma a tutti gli
aspetti, storici, fisici, etnici e
altro, della vela latina.
E allora? Dirà qualcuno. In fin
dei conti non parla di una
barca, di una storia o di una
marineria ma di una semplice
vela.
Agguantiamo. La vela latina è
quel triangolo di tela che ha
cambiato le tecniche della navigazione a partire dal IX Secolo, quando fu importata in
Mediterraneo dagli arabi, soppiantando in breve tempo la
vela quadra, caratteristica delle marinerie sin dall’antichità.
Come mai questo drastico mutamento?
Perché la vela latina è molto
più maneggevole di quella
quadra e consente molto più
agevolmente di “stringere il
vento”, ossia andare di bolina.
Per fare un esempio, come
spiega l’A., “la vela latina può
arrivare a stringere il vento sino
a 270°, mentre la vela quadra
può giungere solo fino a 225°.
Questa differenza, in mare, non
è davvero cosa da poco: in tempo
di pace vuol dire fare meno bordi
su una rotta che risalga il vento
su un’andatura di Bolina, mentre in guerra può consentire di
sfuggire facilmente a un veliero
nemico”.
Basti pensare che alla Battaglia di Lepanto, su 553 navi
che presero parte allo scontro,
ben 420 erano galere, navi che
oramai costituivano il nerbo
delle flotte (anche di quelle
dedicate alla pirateria) di tutte
le Marine del Mediterraneo.
Passando ad altro argomento,
è interessante vedere come la
vela latina si sia sviluppata e
diffusa non solo a causa della
sua “importazione” araba,
ma anche in località che l’hanno sviluppata autonoma-
mente per risolvere le necessità locali.
La sorpresa maggiore che ebbe
l’A. infatti fu quando, alcuni
decenni orsono, si recò “al volante di una scomoda ma inarrestabile 500” sul Mar Caspio,
un mare chiuso o lago salato
che giace in una depressione
che non ha contatti alcuni
con altri mari e si trova a migliaia di chilometri all’interno
del continente asiatico. Bene,
sulle spiagge del Caspio si trovavano barche da pesca sul cui
albero era inferta una vela latina.
L’Opera si suddivide in due
parti, necessarie alla bisogna,
in quanto la lunga storia di
questa particolare vela non si è
esaurita, di norma, come si sono esaurite quelle di tutte le
marinerie veliche, soppiantate
dall’avvento delle navi in ferro
e con propulsione a vapore,
ma ha avuto, in periodi abbastanza recenti una prepotente
rinascita un po’ in tutto il Mediterraneo, un po’ ovunque ma
particolarmente, in Sardegna.
Il volume, con copertina cartonata, ha un bell’aspetto, dovuto anche alla buona impaginazione, all’accurata ricerca
del materiale iconografico e
all’ottima carta. Un’opera che
dovrebbe far mostra di se sulle
librerie degli appassionati di
questo genere, possibilmente
a fianco di alcune altre, precedenti, dello stesso autore.
Franco Maria Puddu
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Recensioni e segnalazioni
PIERO FRESI
VOGLIA DI OCEANO
Edizioni Sole – Cagliari 2012
Pagg. 141 – Euro 15,00
Il mare è da sempre l’elemento
indissolubile dalla realtà della
Sardegna, la sua bellezza assoluta, la sua stessa essenza sono
una costante nella storia di
questa isola. Eppure paradossalmente i sardi sono, o istintivamente sentono di essere un popolo più legato alla terra che al
mare che amano, rispettano e
temono come può fare solo chi
il mare lo conosce profondamente e ne conosce veramente
la forza.
È con questo spirito che Piero
Fresi, sardo, non si è limitato
ad affrontare il mare della sua
terra, ma addirittura l’Oceano
Atlantico, sfidandone da solo
la potenza in due incredibili
traversate a vela in solitario
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che hanno rappresentato una
sfida quasi impossibile.
Lo ha fatto per realizzare il sogno di una vita, per quella sete
di mare che anima i veri marinai, per quella passione per la
navigazione che ti spinge anche oltre la ragione a misurarti
e metterti alla prova in situazioni estreme.
Fresi, navigatore esperto, ama il
mare da sempre e questa passione ha condizionato tutte le
sue scelte di vita, da quando
poco più che ragazzino, folgorato dalla visione di un piccolo
gozzo nelle acque di Castelsardo, scelse di studiare all’Istituto
Nautico di Porto Torres, al momento in cui decise di creare a
Sassari una scuola di navigazione per insegnare ai giovani ad
andare per mare, trasmettendo
loro la sua stessa passione e
quella voglia di mettersi in gioco che è stata una costante della sua vita.
L’Autore ci regala con “Voglia di
Oceano” il suo giornale di bordo, che del diario ha il linguaggio semplice e chiaro, per raccontarci le sue due traversate
dell’Atlantico in solitario, la seconda in 110 giorni di navigazione senza scalo: due imprese
straordinarie, realizzate senza
clamori, con pazienza, fatica e
determinazione, seguite con trepidazione da quella piccola
grande comunità di gente di
mare unita dalla stessa passione.
“Voglia di oceano” è il diario
degli eventi di ogni giorno di
novembre-dicembre 2015
navigazione, corredato da foto
e ricco di descrizioni spesso anche tecniche, ma accessibili ai
non addetti ai lavori grazie al
glossario che l’Autore inserisce
alla fine del volume.
Attraverso le pagine del suo libro, Piero Fresi ci racconta lo
stupore per l’inaspettata visione di luoghi dalla bellezza assolutamente intatta, il timore
quasi reverenziale di fronte alle burrasche e le tempeste improvvise, la fatica e la tensione dei momenti più difficili,
la gioia indescrivibile per la
meta inseguita con tenacia e
finalmente raggiunta, la gratitudine per la magia di momenti che solo la solitudine
sul mare può regalare, l’emozione di uno spazio senza limiti, la percezione di colori e
di suoni che puoi vedere e sentire solo in mare aperto in
un’alternanza di emozioni che
l’essere soli rende intense in
maniera quasi dolorosa e difficile da esprimere.
Fresi ci accompagna nella sua
navigazione solitaria e il suo libro si trasforma da diario a lezione di vita: la navigazione a
vela vissuta come disciplina,
lontano dalle luci della ribalta,
senza vinti né vincitori, in una
dimensione di totale simbiosi
con il mare e la propria barca e
dove ogni marinaio diventa
“padrone assoluto dopo Dio dello
spazio sconfinato e degli elementi
che lo circondano”.
Anna Mandraffino
A distanza di qualche anno, ecco
uscire un libro che
ha l’unico torto di
essere in inglese e
francese ma non in
italiano. Trattandosi essenzialmente di
un libro illustrato,
ci sentiamo però di
consigliarlo ugualmente ai lettori del-
AUTORI VARI
SEYCHELLES
Ars et Natura’s project for the
Archipelago’s Biodiversity
Pandion Edizioni – Roma 2015
Pagg. 192 – Euro 25,00
Qualche hanno fa, da queste
stesse pagine, avevamo parlato delle isole Seychelles, uno
splendido arcipelago tropicale dell’Oceano Indiano più
raggiungibile di quanto comunemente si pensi, a costi
non molto diversi da quanto
molti spendono per andare a
sciare.
L’idea di scrivere questo articolo, oltre che divulgativa ed informativa, era che gli appassionati del mare avrebbero potuto
continuare a coltivare la propria passione anche durante la
brutta stagione, spostandosi
per qualche giorno in mari tropicali.
Il luogo aveva inoltre una magia particolare ed un “appeal”
dovuto alle specificità climatiche e ambientali.
la Rivista.
Si tratta di un volume di qualità che nasce da uno sforzo congiunto Italo-Seicellese, grazie
soprattutto alla lungimiranza e
all’intelligenza della signora
Monette Roze, responsabile in
Italia dell’Ufficio del Turismo
di Seychelles.
A differenza di altre mete tropicali, Seychelles si caratterizza
per un turismo di più elevato
spessore culturale, un tipo di
turismo che privilegia il contatto con la natura, la storia e la
cultura locale senza per altro
fare dimenticare che qui ci si
trova di fronte ad uno dei mari
più belli del mondo che circonda isole affascinanti e piene di
attrattive
È quindi naturale che attorno
alle Seychelles sorgano iniziative del genere di quella messa in
atto dall’Ufficio del Turismo di
Seychelles in Italia e dall’Associazione italiana Ars et Natura,
che riunisce artisti con una particolare sensibilità ambientale,
specializzati nel ritrarre soggetti
naturali.
Essi, nel corso di una trasferta
nell’arcipelago, hanno realizzato una serie di opere d’arte,
raccolte poi in questo volume
insieme a brevi saggi sulla specificità ambientale del posto,
che ben raccontano gli aspetti
più peculiari della natura seicellese, con particolare riferimento, ovviamente, ai suoi
paesaggi marini, sopra e sotto
le acque, anche se non dimenticano le molte unicità della
flora e della fauna terrestre dell’arcipelago.
I testi sono scorrevoli e chiari e
le illustrazioni, riprodotte su
carta di qualità, ben rendono
sia la purezza dei luoghi e la loro eccezionalità naturalistica
che la qualità dell’impegno artistico di questa pattuglia di
pittori, che continuano le migliori tradizioni italiane di arte
e cultura.
Non trascurabile poi, alla fine,
anche un contributo di due
bravi artisti locali che con alcune loro opere danno maggior
completezza a questa interessante raccolta.
In definitiva, un ottimo apporto per una migliore conoscenza
dell’arcipelago e delle sue bellezze per chi non ci fosse ancora stato ed un completamento
di informazioni e di suggestioni per chi fosse già stato esposto al fascino di questi luoghi.
Da non perdere e da assaporare
giorno per giorno, pagina per
pagina.
Paolo Bembo
novembre-dicembre 2015
57
Sub
AMBIENTI
PER LE IMMERSIONI
(4a parte)
F
are tante immersioni, accumulare esperienza, informarsi il più possibile,
questi sono gli obiettivi principali di ogni subacqueo che ha
voglia di aumentare la sua abilità sott’acqua. Dopo avere certificato sul libretto d’immersione
(Logbook) il numero giusto di
discese per acquisire un brevetto
avanzato, ci iscriviamo e con-
quistiamo il secondo corso sub
(Advanced). Finalmente siamo
pronti per affrontare nuove mete subacquee più impegnative.
Leggendo dalle riviste che trattano le attività subacquee e dai
testi di biologia marina, acquisiamo le informazioni per finalizzare con più certezze la scelta
delle future esperienze in acqua.
La prossima immersione ha co-
La gorgonia deve il suo nome a quello dell’omonima dea greca che, secondo la leggenda aveva mille serpenti al posto dei capelli
58
novembre-dicembre 2015
me finalità principale la ricerca
di un particolare e raro abitante
dei nostri mari, l’Astrospartus
mediterraneus o Stella gorgone.
Le testimonianze di chi ha avuto
la fortuna d’incontrare questo
essere meraviglioso dall’aspetto
veramente insolito, ci consigliano i luoghi e le profondità per
un possibile incontro. Questo
echinoderma si può trovare nel
Mar Mediterraneo occidentale,
sulla costa dell’Oceano Atlantico
e sulle coste della Spagna e del
Senegal; è comune in Algeria e
in Marocco. Vive dai trenta agli
ottocento metri di profondità,
posizionata sulle gorgonie o sulle spugne. In Italia, fortunatamente, riusciamo anche a trovarla sulle secche di Tor Paterno,
zona comoda e facilmente accessibile sul litorale Romano, o poco più profonda nei meravigliosi
fondali di Scilla, in Calabria.
Questa affascinante creatura,
unica nella morfologia e nota
per le sue abitudini di vita, richiama con il suo inconfondibile aspetto la dea della mitologia
greca Gorgonia, che ha mille serpenti al posto dei capelli. Il corpo dell’Astrospartus possiede posteriormente delle piccole appendici prensili, che consentono
all’animale di ancorarsi salda-
Gli ctenofori dalla forma vagamente sferica si spostano grazie a delle ciglia vibratili che offrono, muovendosi, uno spettacolo di soprendente luminescenza
mente alla struttura preferita. Le
braccia sono letteralmente avvolte su se stesse, quasi arrotolate, e vengono aperte soltanto
durante la notte, per la cattura
del cibo. Distendendo le lunghe
appendici, la Stella Gorgone intrappola il plancton trasportato
dalla corrente, e infatti nel suo
stomaco, esaminato dai ricercatori, sono state rinvenute larve
di crostacei, pesci e gamberetti.
La ricchezza del cibo che può assumere questo animale è sopratutto dovuta alle strategiche
braccia utilizzate per la caccia: le
sottili estremità di queste possono avvinghiare il plancton, afferrarlo per mezzo di uncini acuminati posti sulle articolazioni
per bloccarlo definitivamente
con strati di muco.
Dopo avere acquisito queste importanti notizie su ciò che andremo a cercare, è il momento
di concentrarci sul nuovo e mai
affrontato programma d’immersione che ci condurrà su un banco sottomarino che ospita l’animale in oggetto. Sicuramente saremo costretti ad affrontare una
discesa nel blu verso il fondo, accanto alla cima dell’ancora della
barca che ci condurrà sul sito
d’immersione. L’emozionante
planata verso il fondale, deve essere gestita sempre mantenendo
un assetto idrostatico corretto, la
verticale liquida che ci mostrerà
all’improvviso il maestoso fondale sottostante deve essere affrontata con sicurezza e controllo tali da garantirci un’ emozionante nuova avventura, e non
un momento di paurosa esperienza. Consiglio per le prime discese nel blu, il contatto della
mano con il cavo dell’ancora durante l’affondamento: ciò ci fornirà una maggiore sicurezza psicologica e la comodità di verificare con calma il giusto utilizzo
novembre-dicembre 2015
59
Sub
porre più cime dalla barca verso
ganismi sono ermafroditi suffidel giubbetto equilibratore. Sucil fondo per stare comodi nelle
cienti e l’autofecondazione è un
cessivamente quando saremo
discese e nella risalite.
adattamento alla vita solitaria
più esperti, potremo planare avSospesi nel blu, in attesa che la
condotta nel mare aperto. I gavolti dall’acqua senza vincoli,
desaturazione del nostro corpo
meti, uova e spermatozoi, venverso il fondo, proprio come i
abbia termine, potremo contigono prodotti nella cavità gaparacadutisti volano nei cieli.
nuare a rimanere esterrefatti dalstrovascolare ed, attraverso la
Un altro importantissimo accorla bellezza dei nostri incontri.
bocca, espulsi all’esterno dove
gimento da osservare in questa
Ecco comparire davanti ai nostri
avviene la fecondazione. Lo zitipologia d’immersione è il conocchi una specie di navicella
gote da origine a una larva plantinuo e corretto controllo dell’ospaziale, dalle trasparenze e lutonica che metamorfosa in un
rientamento sott’acqua. È chiaro
minescenze che solo la natura
adulto. Lo spettacolo che offroche esaurito il nostro tempo di
nella sua grandezza ci può mono questi protagonisti del mare
permanenza sul fondo, dovremo
strare. È una Ctenophora, un oraperto ci fa dimenticare la noia
tornare sul cavo dell’ancora per
ganismo dal corpo trasparente,
dell’attesa per la necessaria desala risalita verso la superficie, e
iridescente, talvolta fosforescenturazione. Incantati da questi esquesto ci impone di mantenere
te, quasi interamente costituito
seri spesso li fotografiamo, li filin immersione il costante cond’acqua, viaggiatore in acque limiamo, e quando non abbiamo
trollo dell’ambiente o della busbere, trasportato dalle correnti.
alcun mezzo per acquisire quelle
sola, per avere la certezza del siGli Ctenofori mostrano una forimmagini così preziose, li depocuro ritorno al punto di partenma sferica; lo spostamento lento
sitiamo come ricordi nel nostro
za. I cavi o catene adottati per le
dell’animale nell’ambiente pelacuore, scrigno segreto e custode
discese e risalite possono essere
gico è dovuto a delle ciglia vibradelle cose più belle che spesso,
ritrovati agevolmente, anche vatili che nei loro movimenti ofnella nostra vita, la natura ci relutando e considerando sempre
frono uno spettacolo di sorprengala con generosità.
la presenza delle correnti sottodente luminescenza. Questi orAlberico Barbato
marine, presenti spesso nelle zone di mare aperto.
La risalita sul cavo
d’ancoraggio deve essere anch’essa un momento di relax; il contatto delle mani con la
cima verticale non va
utilizzato come ascensore; il nostro assetto
deve essere sempre
perfetto vicino a un
vincolo a volte molto
comodo anche per
contrastare la corrente
presente. I subacquei
dovranno disporsi ordinatamente vicino ai
cavi per evitare fastidiosi intasamenti e
qualche volta, in base
al numero dei sub opeDistendendo le sue lunghe appendici, la stella gorgone cattura il plancton trasportato dalle correnti
rativi, sarà utile disper nutrirsene
60
novembre-dicembre 2015
La voce del diportista
BANDIERE EXTRACOMUNITARIE
IN NAVIGAZIONE IN ACQUE NAZIONALI
N
el recente passato, sono state alla ribalta delle cronache
complesse operazioni di polizia tese a reprimere l’illecita pratica
di alcuni italiani che utilizzavano in
acque nazionali barche immatricolate sotto bandiera di Stati extracomunitari, in tal modo evadendo i diritti
doganali dovuti al nostro Stato.
Vale la pena, quindi, esaminare le
procedure previste per l’acquisto di
un’unità da diporto all’estero. Innanzi tutto, non è richiesta alcuna
autorizzazione. Però, se l’unità è proveniente da un Paese extracomunitario, l’ufficio di iscrizione darà comunicazione dell’avvenuta immatricolazione nei registri nazionali all’autorità doganale, che provvederà alla
cosiddetta operazione di importazione definitiva, determinando l’ammontare dell’IVA e degli altri eventuali diritti doganali da corrispondere. Se, invece, l’unità proviene da
Paesi dell’Unione europea, non si
pone neanche il problema, poiché
sin dal 1° gennaio 1993, a seguito
dell’abbattimento delle frontiere doganali tra gli Stati comunitari, non si
tratta in questi casi di “importazioni” (cioè, operazioni rilevanti ai fini
doganali), bensì di acquisti intracomunitari, disciplinati dalla legge n.
427/1993, che riporta le disposizioni
sull’applicazione dell’IVA alle operazioni intracomunitarie.
Grazie all’abbattimento delle frontiere doganali, le unità da diporto
battenti bandiera di uno Stato mem-
bro dell’Unione europea possono liberamente circolare nelle acque italiane e sostare nei porti nazionali,
nonché essere utilizzate senza alcun
limite da cittadini italiani.
Alle unità di bandiera extracomunitaria, invece, continuano ad applicarsi
la Convenzione di Ginevra del 1956
in materia di temporanea importazione, nonché i regolamenti CEE
2454/1993 e CE n. 993/2001, che fissano le disposizioni d’applicazione
del codice doganale comunitario.
Queste unità, quando giungono nel
primo porto italiano, devono comunicare l’arrivo all’autorità doganale
più vicina, perché possono sostare
nelle acque comunitarie (si badi bene, non solo italiane ma comunitarie) per un tempo massimo di 18 mesi (chiamato termine di appuramento). Se, cioè, l’unità dovesse arrivare
nelle acque italiane da un porto comunitario, il tempo di sosta in tale
porto deve essere computato nei 18
mesi, come pure ogni altra sosta nelle acque comunitarie. Durante la
permanenza nelle acque italiane, tali
unità sono considerate in regime di
temporanea importazione (o ammissione temporanea), cioè sono esonerate dalla corresponsione dei diritti
doganali e dell’IVA all’importazione.
Al termine dei 18 mesi, l’unità dovrà
lasciare le acque nazionali, altrimenti sarà soggetta all’importazione definitiva e alle sanzioni previste per il
reato di contrabbando.
Le unità battenti bandiera di Paesi
extracomunitari non possono essere
utilizzate in acque nazionali da cittadini comunitari. Infatti, il regolamento CEE 2454/93 prevede che, per
poter usufruire del regime di importazione temporanea senza pagamento dei diritti doganali, l’unità debba:
1) essere immatricolata in un paese
non appartenente all’Unione europea (se trattasi di mezzo non immatricolato, è sufficiente che “appartenga” a soggetto extracomunitario); 2)
essere di proprietà di un soggetto extracomunitario; 3) essere utilizzata da
quest’ultimo o comunque da un soggetto non comunitario. Quest’ultima
norma subisce due sole eccezioni: a)
soggetto comunitario che a titolo puramente occasionale utilizza la barca,
seguendo le istruzioni del soggetto
extracomunitario proprietario del bene, il quale si trova, al momento dell’utilizzazione, nella Comunità europea; b) soggetto comunitario che ha
un contratto di lavoro con un soggetto extracomunitario proprietario della barca, essendo previsto nell’ambito di tale contratto anche l’utilizzo
del mezzo per uso privato.
Se, invece, il soggetto comunitario
svolge attività di conduzione della
barca di proprietà del soggetto extracomunitario in maniera “sistematica” e, quindi, al di fuori delle due
ipotesi appena ricordate, non è applicabile il regime di importazione
temporanea e si incorre nel reato di
contrabbando.
Aniello Raiola
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Emergenza sanitaria
PREVENZIONE:
saper fare
Per 27 numeri vi abbiamo
presentato le problematiche
mediche che si riscontrano a
bordo. Lo abbiamo fatto utilizzando il materiale tratto da
Pan-Pan medico a bordo,
il primo manuale per la tele
assistenza medica. Un manuale che nasce per aiutarvi
ad affrontare questi problemi
di bordo con l’ausilio di un
medico esterno, che vi insegna come contattare il
C.I.R.M.: Centro Internazionale Radio Medico nato per
assistere chi naviga e totalmente gratuito. Il manuale è
stato realizzato in collaborazione con il professor Simon
Mastrangelo che ne ha studiato gli aspetti ergonomici
per renderlo più fruibile da
persone non esperte. E’ in
materiale plastico, formato IPad, con schede semplici e
chiare.
Siamo partiti dalle schede rosse del manuale Pan-Pan, i casi
che richiedono un intervento
più urgente: l’equivalente del
codice rosso del linguaggio
ospedaliero.
Poi dal numero di MarzoAprile 2013 abbiamo affrontato i temi più legati ai problemi meno urgenti che vanno però affrontati con metodo e che nel manuale PanPan sono raccolte nelle schede gialle con una logica intuitiva: dalla testa ai piedi, codice giallo.
Da questo numero iniziamo a
parlare di tutte quelle cose ed
azioni che bisognerebbe sapere prima di imbarcarsi: le posizioni da far assumere all’infortunato, come misurare i parametri vitali, come pulire e medicare una ferita e così via sino alle responsabilità del comandante, e a come si fa una
cassetta medica. A questo proposito vi informiamo che è in
atto la revisione della dotazio-
62
novembre-dicembre 2015
ne per le unità da diporto ma
per ora è ancora in vigore la
vecchia normativa.
Prima cosa da sapere è quali
sono i vantaggi di conoscere e
usare il C.I.R.M.
Il C.I.R.M. fa parte di un sistema mondiale di di centri di assistenza medica per chi naviga
T.M.A.S. (Tele Medical Assistance Service) resi obbligatori dall’organismo mondiale che sovraintende la navigazione
(I.M.O.). Ogni stato dovrebbe
dotarsi di un T.M.A.S. ed ogni
Comandante deve mettersi in
grado, prima di salpare, di poter sempre contattare un centro
medico durante la navigazione
della sua nave. Il comandante
deve quindi dotarsi di equipaggiamenti idonei ad assolvere a
questo obbligo, ed oggi abbiamo tutte le possibilità di farlo.
Contattare un centro radio medico è quindi, non solo assolvere ad un obbligo, ma fare e agire. Spesso si sente dire “meglio
non fare che fare male, non sei
mica un medico”; chiamare il
C.I.R.M. è fare e fare bene perché condividerete con un medico ogni vostra azione, il medico
vi consiglierà su cosa fare e cosa
non fare, il vostro equipaggio
sarà tranquillizzato dalle azioni
che vi consiglia di fare o non fare un medico, se siete a navigare
all’estero facendovi mettere in
contatto, anche con un ponte
radio, con il nostro T.M.A.S.
parlerete in italiano con un medico cosa ben diversa che farlo
in inglese con un medico magari spagnolo o francese.
Per poter usare questo importante servizio occorre che tutto
l’equipaggio ne sia informato e
che sappia usare la radio VHF
perché potrete contattarlo chiamando la Guardia Costiera più
vicina o lanciando il “Pan-Pan
medico” tre volte o lanciando
lo stesso messaggio dalla tastiera del vostro VHF-DSC.
Alternativa il telefono: 1530 o
+390659290263 dall’estero.
Umberto Verna
Corso di pesca
Parliamo di pastura
C
hissà quante tonnellate, tra pasture ed esche
finite in mare, ricaveremmo se facessimo un
ipotetico conto del consumo che se ne fa,
soprattutto nella classica pesca con il galleggiante
dai moli o dalle barriere di scogli. Già, si sa, l’uso
della pasturazione come richiamo e intrattenimento del pesce a tiro di lenza è diventato ormai indispensabile per fare qualche cattura degna di nota.
Sono lontani, purtroppo, i tempi in cui bastava
prendere una cannetta, innescare qualcosa di
commestibile, calare la lenza e salpare una preda.
Oggi, la musica è cambiata. Se una volta il traffico
marino era limitato, adesso di confusione in mare
ce n’è sempre. Nella bella stagione così come in
quella meno clemente. Anche i pescatori sono aumentati a disturbare la fauna ittica che, appena
può, si tiene alla larga. Senza parlare dei tratti adibiti a campi gara pressoché permanenti, dove il
pesce diventa sempre più smaliziato. Insomma, un
quadro sconsolante che potrebbe anche scoraggiare una bella pescata da terra e invogliare ad andare
al largo e pescare in profondità, dove di pesci “furbi” se ne trovano pochi. Invece, proprio come accennato all’inizio, per sfortuna da una parte ma
per fortuna se la vediamo in un’altra maniera, ci
sono sempre gli sfarinati con cui realizzare “profumate” pasture in grado di portarci le prede proprio
a tiro di canna.... A patto, naturalmente, di usare i
prodotti adatti e di farlo nel modo giusto.
Questione di bagnatura
Spesso chi produce e distribuisce articoli da pesca
annovera fra i propri prodotti anche una serie di
sfarinati, divisi in pasture “da superficie”, “da fondo” e “da mezzo fondo”, che si adattano ai diversi
pesci tipici della pesca da riva. A volte, addirittura,
queste pasture si trovano nei negozi con il nome
del pesce cui sono destinate: così abbiamo la “cefali”, la “saraghi e orate”, la “occhiate e salpe” e via
dicendo. Da questi derivano altri sfarinati come la
pastura “cefalo bianca”, la “superformaggio” e tante altre. Districarsi tra la miriade di prodotti in
commercio, per fortuna, non è difficile: la preparazione di base è
pressoché uguale per tutti, ciò che
ne differenzia molto l’azione è la
fase di aggiunta dell’acqua per rendere la pastura adatta allo scopo,
prima di tutto ottenendo una consistenza adeguata all’impiego nei
diversi strati d’acqua. A cominciare dalla pastura di superficie che
dovrà sfaldarsi appena tocca l’acqua creando un alone sapido e il
più possibile duraturo, quindi in
questo caso si aggiunge liquido fino a ottenere una specie di pappetta che può essere lanciata solLa pesca con il galleggiante e l’esca naturale è la tecnica che vede il maggior utilizzo deltanto con l’aiuto di un mestolo.
la pasturazione a base di sfarinati
novembre-dicembre 2015
63
Corso di pesca
asciugare per qualche minuto. Quando il composto
ha preso consistenza si procede alla seconda bagnatura, avendo l’accortezza di
aggiungere acqua gradatamente fino a ottenere un
impasto delicato e molliccio da lanciare con un cucchiaio. Una volta in acqua,
la pastura di superficie tende a dissolversi già a poche
decine di centimetri dalla
superficie, lasciando come
richiamo un marcato alone
L’effetto di richiamo della pasturazione è valido anche nella pesca notturna nei porti e lungo gli
che si dissolve lentamente.
antemurali. In questo caso vediamo la cattura di un sarago, pesce discretamente attratto da una
La definizione di pastura da
buona pastura di fondo
fondo indica solitamente
Per la pastura da fondo, invece, l’acqua va aggiunta
gli sfarinati adatti a cefali, saraghi e salpe. Sono papoco alla volta, mescolando energicamente e contisture composte da una base di pane tostato, formagnuamente per sciogliere eventuali grumi. Si parte
gio e farina di riso. A seconda della doratura del pada sfarinati a grana grossa per raggiungere la giusta
ne, la pastura potrà avere un colore più o meno bruconsistenza quando sarà possibile formare una palnito ma, di solito, gli sfarinati da fondo sono chiari.
la molto compatta, grossa come un’arancia, che
Va preparata aggiungendo acqua poco alla volta e
raggiungerà velocemente il fondo. Al primo lancio
mescolando il tutto in una bacinella abbastanza
di pastura, sia in superficie sia sul fondo, ne seguogrande. Il prodotto finito sarà perfetto quando si otno altri a intervalli regolari con porzioni ridotte per
terranno delle palle consistenti semplicemente
mantenere i pesci sul posto. Per gli sfarinati da
comprimendo l’impasto con le mani. Una volta in
mezzo fondo, ovviamente, la preparazione è una
acqua, questa pastura raggiunge velocemente il fonvia di mezzo. In ogni caso, la lavorazione dello sfado e la sua dispersione durante la discesa è minima.
rinato va fatta in una bacinella larga con i bordi
Questo tipo di richiamo si usa solitamente all’interbassi. L’acqua da aggiungere deve essere rigorosano dei porti o comunque là dove il fondale sia abbamente di mare e sempre raccolta sul posto.
stanza uniforme: impiegarlo su scogliere sommerse
con buche profonde potrebbe portare a disperdere i
In superficie, a fondo
pesci tra gli anfratti. Tutti gli sfarinati da fondo in
e a mezz’acqua
commercio sono venduti in confezioni da 1 e 3 chiLa pastura da superficie è un classico sfarinato da
li. I prezzi variano a seconda della qualità del prousare per piccoli pesci, per esempio latterini e cadotto e, comunque, si attestano intorno ai tre, quatstagnole. Si tratta di un composto di farine molto
tro euro per la confezione da 1 chilo.
fini, prevalentemente con sapore e odore dolci in
Lo sfarinato per il mezzo fondo serve per boghe,
virtù dell’alta percentuale di biscotto, latte in polocchiate, cefali e salpe. Il colore è brunito, una tinvere e dell’aggiunta, spesso, di dolcificanti. Gli inta che viene dall’alta percentuale di farina di pesce
gredienti di base, fra i quali il pane, hanno un alto
impiegata che, secondo l’origine (tonno, sarda,
potere assorbente per cui è bene bagnare il comaringa eccetera), può cambiare leggermente di toposto due volte. Durante la prima fase viene agnalità. Per dare corpo alla pastura c’è anche del pagiunta acqua e, mescolando bene il tutto, si lascia
ne tostato o belga, con doti di disgregante. Veri e
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novembre-dicembre 2015
propri aromi danno al prodotto un sapore più o
meno accentuato e particolare. La bagnatura di
questi prodotti è simile a quella per la pastura di
fondo. Il risultato è un composto semiumido che
si comprime perfettamente nella mano e, una volta in acqua, tende ad affondare abbastanza velocemente ma sfaldandosi durante la discesa e disperdendosi prima di raggiungere il fondo.
Per chi preferisce fare da sé
siamo anche provare a cimentarci con un’operazione che i nostri nonni eseguivano abitualmente. La
base va formata con un quantitativo pari al 35 per
cento del totale degli ingredienti di pane tostato,
tenuto per poco tempo nel forno perché il colore
deve essere chiaro e non molto dorato. Il pane va
acquistato già grattugiato e di grana media. Al primo elemento aggiungiamo un 25 per cento di formaggio grana o pecorino grattugiato, poi un 20 per
cento di farina di pesce (aringa o sarda bianca), un
10 per cento di latte in polvere e lo stesso quantitativo di farina di arachidi. Pane, formaggio e latte in
polvere si trovano al supermercato, la farina di pesce e quella di arachidi nei negozi di pesca. Gli ingredienti vanno amalgamati bene, eliminando gli
eventuali grumi. È un prodotto da pronto impiego,
al massimo si confeziona la sera e si usa la mattina
dopo, e va conservato nel frigorifero perché composto da ingredienti, vedi il formaggio, che si deteriorano velocemente e fanno perdere efficacia alla
pastura.
Riccardo Zago
C’è chi non si accontenta delle miscele già pronte
che si trovano nei negozi e, pur fidandosi del composto, aggiunge di volta in volta alcuni ingredienti
che ritiene necessari per aumentare il potere attirante. Di solito mette formaggio fresco, ingrediente
dedicato a cefali, salpe, occhiate e saraghi. Alcuni
pescatori, però, non prendono in considerazione i
preparati industriali e, come si faceva una volta,
confezionano da sé gli sfarinati... guardandosi bene dal rivelarne i componenti. Ma si tratta di un
comportamento puerile, perché per realizzare una
buona e semplice pastura, per esempio da usare
con i cefali, non occorrono ingredienti
da alchimista ma
semplici componenti che tutti possono trovare comunemente in commercio. Va detto,
però, che il costo di
una pastura fai-date è nettamente superiore a una commerciale prodotta
con ingredienti acquistati all’ingrosso
e adatta a essere
conservata. È chiaro che gli sfarinati
già pronti sono comodi, sono efficaci
e non richiedono
Dalla fase di bagnatura e impasto della pastura sfarinata può dipendere il risultato dell’intera battuta di
tanto tempo per la
pesca. L’acqua che serve per amalgamare, rigorosamente di mare, va aggiunta poco alla volta fino a ottepreparazione... ma,
nere la consistenza giusta. E bisogna evitare i grumi, che rovinano la palla di pastura ed “esplodono” in
acqua rilasciando solo un’inutile polverina
per una volta, pos-
novembre-dicembre 2015
65
Cronache delle Sezioni e Delegazioni
GENOVA
CENTRO
Modellismo
che passione
Il Gruppo Modellisti
della Sezione si è ricostituito nel 2005, erede del
precedente che si era distinto per grande attività e riconoscimenti negli Anni 60, come testimoniano diversi modelli storici esposti in sede.
Il Gruppo attuale in attività ha realizzato diversi
modelli di pregio che
vengono proposti in occasione di mostre, ricavando apprezzamenti
dal mondo modellistico
e non.
Le immagini che proponiamo sono ricavate da
alcune delle ultime mostre a cui abbiamo par-
Genova Centro – Una bellissima Galea capitana genovese del XVII secolo realizzata ed esposta dal
gruppo modellisti della Sezione
Genova Centro – Ancora alcune realizzazioni del gruppo modellisti tra le quali si possono ammirare uno sciabecco, un leudo, un gozzo e
l’U.S. defender Rainbow che partecipò alla Coppa America del 1934
66
novembre-dicembre 2015
ni e una riproduzione
dell’U.S. defender Rainbow che partecipò alla
Coppa America del
1934, realizzata dal socio Giorgio Donati. Tutti i modelli sono fedeli
riproduzioni frutto di ricerche, realizzati su disegni originali.
Il tema del programma
di attività si propone di
realizzare, nel tempo
una sorta di rievocazione delle imbarcazioni
che hanno caratterizzato la storia della marineria genovese e ligure.
Sono già state realizzate
oltre alla galea e allo
sciabecco di cui sopra,
una pareggia, un leudo,
un gozzo nelle sue varie
versioni, un pinco e una
saettia, che si affiancano
a imbarcazioni storiche
come la nave Amerigo
Vespucci, la Santa Maria
e molte altre che possono essere ammirate presso la nostra sede o alle
mostre.
Franco Donati
Responsabile
del Gruppo Modellistico
BORGHETTO
SANTO SPIRITO
Una scelta di vita
Parla la Sezione di Borghetto S. Spirito. Due le
parole chiave che la accompagnano da circa 10
anni: gioventù e vela.
Parole strettamente collegate tra loro poiché i
corsi di vela estivi condotti dalla Sezione, hanno portato all’iscrizione
e alla frequentazione
della base nautica da
parte di numerosi giovani, sempre più affascinati dall’arte di “andar per
mare”.
Un sogno, quello della
realizzazione di corsi di
vela per principianti e
non, che è nato per l’appunto quasi un decennio fa, e che oggi, nonostante le tante difficoltà riscontrate durante il
percorso, ha trovato
compimento nella formazione di diversi equipaggi che hanno inizia-
Borghetto Santo Spirito – Dopo la regata “La Ponentina” svoltasi a Ceriale, il Presidente della Sezione di Boghetto Michele Colamartino
mostra il premio ricevuto da Sofia e Alice Guarnieri, nella foto, terze classificate per la classe 420
novembre-dicembre 2015
67
Cronache delle Sezioni e Delegazioni
tecipato nello scorso anno, in particolare alla
mostra Mare Nostrum
di Rapallo, di cui proponiamo una vista d’insieme, e la mostra Expo
Model Show, tenutasi a
Genova presso la Fiera
Esposizioni.
I modelli rappresentati
sono: la riproduzione di
una galea capitana genovese del XVII secolo,
frutto di ricerche e collaborazioni con il Museo
Navale di Genova e il
Museo Navale di Barcellona, ad opera del socio
Franco Donati.
La riproduzione di uno
sciabecco genovese del
XVI secolo ad opera del
socio Silvano Malagugi-
Cronache delle Sezioni e Delegazioni
Borghetto Santo Spirito – Da sinistra Gaia Rovello e Valeria Monaco, che si sono classificate seconde nella regata di Albenga classe 420, e
il Presidente Michele Colamertino con Sofia e Alice Guarnieri, terze alla regata di Ceriale sempre in classe 420
to a prendere parte ad
alcune regate locali (la
Gironda di Albenga, la
Ponentina a Ceriale e la
Gran Baraonda di Laigueglia).
Il sogno della base, però, non finisce qui: si
vorrebbero coinvolgere
sempre di più i ragazzi
del luogo per incentivare la voglia di scoprire le
tante bellezze che ci
vengono offerte dal mare nella piena consapevolezza delle leggi che
lo regolano.
A questo proposito, ogni
anno verso maggio, vengono dedicate alle scuole locali giornate di full
immersion nel mondo
68
della vela, sempre molto
ben accolte da allievi ed
insegnanti. Nel periodo
estivo, invece, iniziano i
corsi settimanali di vela
su imbarcazioni come
Optimist (per i più piccoli), Equipe e 420, il
tutto seguito da istruttori certificati FIV.
La Sezione, ed in particolar modo il presidente Michele Colamartino, puntano molto sul
mondo velico che, oltre ad aver apportato
una ventata di novità
nel suo interno, ha dimostrato quanto questo mondo possa creare
legami di amicizia e anche, perché no, di sana
novembre-dicembre 2015
competizione fra giovani.
Per noi, giovani della
Sezione di Borghetto, le
estati passate all’insegna
della vela e di ciò che ne
può derivare, scuffie incluse, sono il miglior regalo che si possa mai ricevere.
LA SPEZIA
Regata Lei & Lui
Il 4 luglio la Sezione ha
ripetuto la suggestiva
regata Lei & Lui, dopo
il successo dello scorso
anno, regata concepita
molto tempo addietro
e da molti reclamata,
che è così tornata prepotentemente alla ribalta.
Più di trenta le coppie
in gara, molte costituite
da marito e moglie e
non sono mancate le issate di spinnaker e gennaker, anche sulle imbarcazioni più grandi ed
impegnative.
In ORC si sono affermati i coniugi Gabbanini
con la loro Roxane, barca abituata alle affermazioni, mentre nelle
Gran Crociera hanno
fatto il vuoto Francesco
e Paola Stefanini su Bella’mbriana.
Tra i Meteor, vittoria annunciata di Davide e Va-
Trofeo
Alfredo Perioli
Nel nome di Alfredo
Perioli, a suo tempo
Presidente della Sezione, ma soprattutto
grande filantropo, si è
disputata il 20 Settembre la regata che la Sezione dedica a Lui da
moltissimi anni.
Giornata splendida,
mare piatto e vento sostenuto da grecale
hanno consentito
una entusiasmante giornata di
sport, culminata
al termine in un
pranzo collettivo
alla “scuola di
mare“ di Santa Teresa, recentemente ristrutturata,
splendido sito posto all’uscita di levante della rada
della Spezia.
La regata, cui hanno preso parte una
trentina di imbarcazioni è stata
molto tecnica e veloce, per una percorrenza di circa 8
miglia, con impegnative andature
sia al lasco che di
bolina.
Nella classe ORC
ha prevalso X-Press
di Giovanni Elena,
per quasi un minuto su Neghené di
Giovanni Passeggeri e poco meno
di tre sulla Possente della
MM.
Nel gruppo Gran Crociera A, vittoria per Eugenia di Mauro Broglio,
a precedere Duchessa di
Pier Giuseppe Francese e
Scintilla di Attilio Piazza.
Nel B, strapotere di Bella’mbriana di Giovanni
Stefanini, poi Sound of
Silence di Roberto Roccati e Lussy di Adriano
D’Ippolito;
infine nel numeroso
gruppo dei Meteor, vittoria per Top Yacht di
Stefano Antognetti, e
poi Avance… di Roberto
Capozza e Luicchio di
Elio Righetti, con Sesta
a galla del capo flotta
Biagio Pergola buon
quarto.
Comitato di regata al
top con Sandro Gherarducci, Luigia Massolini,
Pier Luigi Isola e Roberta Talamoni.
Pranzo marinaro nella
splendida cornice di
Santa Teresa, con le barche assiepate in banchina ed ai pontili, introdotta dal figlio di Perioli, Michele, che a conclusione dell’evento ha
consegnato la prestigiosa “challenge “ a X-Press,
vincitore assoluto.
SIENA
VAL D’ELSA
Incontro
con il GS Vela
Fiamme Gialle
Una bellissima e riuscita iniziativa, per l’attività istituzionale della
nostra Sezione: il 26
febbraio, all’hotel Garden di Siena, Il capitano della Guardia di Finanza Enzo Dicapua,
ed il Finanziere Francesco Marrai, campione
Laser, in rappresentanza del GS Vela Fiamme
Gialle, della Scuola GdF di Gaeta,
hanno incontrato
i soci della Sezione, di Panathlon
Siena e Panathlon
Valdelsa.
Una serata bellissima, con la partecipazione di circa
120 persone che
sono rimaste tutte
affascinate dalle
esposizioni, dalle
immagini e dai filmati presentati.
Alla serata è seguito, venerdì 27 febbraio, l’incontro
fra il capitano Di
Capua, comandante del Gruppo
Sportivo, che ha
un intenso trascorso sportivo, dalla
canoa alla vela,
Campione
del
Mondo nella classe “J24”, e con
Francesco Marrai,
atleta di spicco
della Vela Nazionale, “promessa
novembre-dicembre 2015
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Cronache delle Sezioni e Delegazioni
lentina Sampiero con
Pekoranera, ed infine,
tra i libera Fiorenza e
Lorenzo Amadei con
Alisea.
Cronache delle Sezioni e Delegazioni
Siena Val D’Elsa – La locandina dell’incontro con il Gruppo Sportivo Vela Fiamme Gialle
azzurra” in gara per le
prossime Olimpiadi di
Rio de Janeiro 2016, che
nonostante la giovane
età, vanta al suo attivo
tre titoli mondiali e tre
titoli europei.
Erano presenti, nella au-
70
la magna del liceo scientifico Galileo Galilei di
Siena, 120 studenti delle
2 classi del liceo Sportivo e di 5 classi del liceo
scientifico.
L’incontro, organizzato
dalla nostra Sezione,
novembre-dicembre 2015
con l’approvazione del
Preside Antonio Vannini, la collaborazione della prof.ssa Beatrice Vannoni, docente di educazione fisica presso il Liceo Galilei, ha visto la
partecipazione di: Ro-
berto Montermini, presidente provinciale CONI, Alfredo Barlucchi,
per i Panathlon Club di
Siena e della Valdelsa, il
prof. Francesco Binella,
coordinatore territoriale
per l’Educazione Fisica e
Sportiva presso l’Ufficio
Scolastico Provinciale, e
Elisabetta Lastri, Giacomo Gistri e Sergio Speranza, in rappresentanza della nostra Sezione,
con in più, la comunicazione di auguri e partecipazione, da parte del
sig. Fabio Cerretani, presidente del CSI Siena.
Come è noto è stato iniziato da un anno, questo è il secondo, il corso
di Liceo Scientifico Sportivo, un corso di 5 anni,
come quello normale,
dove le materie e le discipline sportive, sono
trattate in maniera molto più approfondita.
La stessa iniziativa è stata adottata anche dall
Liceo A. Volta di Colle
val d’Elsa, con cui siamo
in ottimi rapporti e che
ha già fissato, con noi,
un corso di vela di 3
giorni, per i ragazzi del I
anno, per la prossima
primavera.
Questi nuovi corsi dovrebbero essere in corso
di adozione da parte di
molti licei Italiani, e si
spera che ci diano ulteriori possibilità di sviluppo e di avvicinamento dei ragazzi allo
sport della Vela.
Dunque, l’istituzione di
questo nuovo indirizzo
scolastico, sia al Galilei
di Siena che al Volta di
Colle Val d’Elsa, si avvale di questi incontri per
consentire agli studenti
di ampliare ed approfondire il proprio bagaglio di conoscenze e di
formazione in ambito
sportivo, approcciandosi, come prevede il piano di studio, a diverse
discipline sportive, molte di queste non facilmente od utilmente praticabili nella normale
programmazione scolastica.
Per la Vela, la nostra Sezione, grazie ai suoi volontari, alla struttura ed
alla attrezzatura, da e
darà tutto il suo contributo, per l’approfondi-
mento e la pratica sportiva, con promozionali e
la formazione di appositi Corsi di Vela di Base.
Ha coronato questa piccola maratona di conoscenza della Vela, la visita nella Contrada della
Torre, a cui va il nostro
ringraziamento per la
splendida esposizione e
narrazione della sua storia, delle sue tradizioni e
delle sue vittorie.
LICATA
Nuova vita
di un Beneteau
La Sezione di Licata, già
istituita nel 2009 come
Delegazione, conta attualmente una ottantina di soci, ed ha lo scopo di diffondere, nella
popolazione giovanile,
in particolare, lo spirito
marinaro, la conoscenza
delle tematiche marittime, la tutela dell’ambiente marino e delle
acque interne.
Nel luglio scorso, è stata
assegnata in affidamento, con facoltà d’uso, alla Sezione, un’imbarcazione a vela Beneteau
Oceanis 430 della lunghezza di 13 m, posta
sotto sequestro nel luglio scorso per traffico
di migranti. La Beneteau
è approdata a Licata il
giorno 28 dopo avere
fatto tappa a Marina di
Ragusa, con un equipaggio composto da alcuni
soci ed amici della Lega
Navale, che hanno volontariamente aderito
all’iniziativa.
Per potere espletare al
meglio le finalità previste dallo Statuto era necessario reperire un’imbarcazione a vela, che
consentisse l’insegnamento teorico e pratico
delle varie discipline,
anche mediante collaborazioni con altri Enti
ed Associazioni.
A tale scopo, sono stati
firmati protocolli d’intesa con l’Associazione di
novembre-dicembre 2015
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Cronache delle Sezioni e Delegazioni
Licata – Il Beneteau Oceanis 430 assegnato in affidamento, con facoltà d’uso alla locale Sezione
Cronache delle Sezioni e Delegazioni
Promozione Sociale
contro le mafie e le illegalità “A Testa Alta” ed
inoltre con la “Cooperativa Carpe Diem” che
ospita ragazzi affetti da
disabilità. Si prospettano in futuro attività ed
ulteriori collaborazioni
finalizzate alla crescita
umana, culturale e sociale del territorio di Licata, parte integrante e
rilevante della sponda
mediterranea.
SCAURI
FORMIA
Vittoria nel Trofeo
Ammiraglio
Sicurezza
Si è concluso il 25 ottobre, nelle acque antistanti il Circolo Vela Viva di Formia, il Trofeo
Ammiraglio Sicurezza,
una competizione, svoltasi in 2 giornate (13-25
ottobre) che ha coinvolto imbarcazioni di classe
29er, Laser, Feva, Sunfish ed Optimist.
Nonostante le condizioni meteo poco favorevoli a causa della scarsità
di vento, i giovani velisti hanno affrontato la
regata con grande spirito di determinazione in
un clima di festa e divertimento.
Soddisfacenti i risultati
degli equipaggi Scauresi,
nella classe 29er la coppia
Camerota-D’Acunto si
aggiudica la prima posizione mentre nella classe
Sunfish Giuseppe Pontecorvo è medaglia d’oro. Questi i commenti a
caldo dell’allenatore
Gianfranco Colavolpe:
“Ancora una volta i nostri
ragazzi hanno dimostrato
che l’impegno, la costanza
e l’entusiasmo raccolgono
sempre buoni frutti. Il nostro obiettivo è continuare a
crescere, imparare ed alle-
Scauri Formia – Chiara Camerota e Stefano D’Acunto vincitori in
classe 29er del Trofeo Ammiraglio Sicurezza
Scauri Formia – La coppia vincitrice Stefano D’Acunto e Chiara Camerota al termine della gara
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narci per poter raggiungere
traguardi sempre più importanti già dal prossimo appuntamento, il campionato
invernale del Golfo”.
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