G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3, 233-863 www.gimle.fsm.it © PI-ME, Pavia 2007 70° Congresso Nazionale Società Italiana di Medicina del Lavoro e Igiene Industriale La Medicina del Lavoro e le sfide del III millennio: la qualità, la compatibilità ambientale e lo sviluppo sostenibile Roma, 12-15 dicembre 2007 Editors: A. Bergamaschi, A. Pietroiusti, A. Magrini, M.C. Cappelletti G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3, 235-467 www.gimle.fsm.it © PI-ME, Pavia 2007 COMUNICAZIONI G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it SESSIONE SORVEGLIANZA SANITARIA COM-01 GESTIONE DELLA SALUTE DEI DIPENDENTI SAIPEM S.P.A. ASSEGNATI AI PROGETTI LAVORATIVI ALL’ESTERO V. Nicosia, S. De Sanctis, F. Mika, M. Consentino, G. Mascheroni QHSE SAIPEM/ Medical Dept. Saipem spa, Via Martiri di Cefalonia 67, 20097 San Donato Milanese RIASSUNTO. In zone geograficamente remote e nei Pesi in via di sviluppo, dove le strutture sanitarie sono spesso inadeguate, la Medicina del lavoro contribuisce a garantire la Salute dei lavoratori. Un esempio è quanto avviene in Saipem s.p.a. che operando nelle zone descritte deve garantire la salute dei lavoratori in relazione non solo ai rischi connessi all’attività lavorativa, ma valutando attentamente l’ambiente dove il dipendente si trova ad operare. In queste condizioni la medicina del lavoro gioca un ruolo importante non solo in termini preventivi classici, ma anche di protezione e miglioramento dello stato di salute. I rischi connessi all’attività lavorativa all’estero sono principalmente di tre tipi: 1) legati al lavoro 2) all’ambiente, 3) all’organizzazione del lavoro ed ai cambiamenti della giornata tipica lavorativa. I rischi legati al lavoro sono simili a quelli presenti in qualsiasi parte del mondo. I rischi relativi all’ambiente sono in relazione alle avverse condizioni climatiche, esposizione a temperature estreme e ad agenti biologici trasmessi da flora e fauna. Il Medico Competente è chiamato a rilasciare una idoneità per questi lavoratori che lavorano all’estero. Prima del rilascio del certificato di idoneità per i dipendenti tipo “long stay” il medico competente dovrà esaminare accuratamente tutti i parametri clinici e valutare attentamente il luogo dove dovrà recarsi. Parole chiave: medicina del lavoro, rischi, certificato di idoneità. HEALTH MANAGEMENT OF SAIPEM WORKERS WITH PROJECTS INVOLVING ABROAD ACTIVITIES ABSTRACT. In remote areas and in developing countries, where adequate health-care structures are few and sparse, Occupational Medicine contributes to guaranteeing workers’ health. Companies like Saipem, involved in activities that are carried out in remote, inhospitable areas must ensure the safety and guarantee the health conditions of workers in relation to the risk factors connected with the job as well as with the environment in which it is performed. In such situations, Occupational Medicine addresses both the health aspects of the workplace and of the community, and is the pivot around which revolves the health-care support of workers employed abroad in the sense of protection and enhancement of health. The risks connected with work abroad are of three main types: 1) jobrelated risks; 2) risks connected with the environment; 3) risks related to the organization of work and the changes in the worker’s daily life. The job-related risks are similar to those connected with analogous jobs performed elsewhere. The risks connected with the environment are related to adverse climatic conditions, extreme temperatures and unknown and often dangerous flora and fauna. The occupational physician is called upon to assess the suitability of workers for jobs that are based in remote areas. The main clinical conditions that can prevent issue of the Medical Fitness Certificate to workers for long-stay jobs abroad are discussed. Key words: occupational medicine, risks, medical fitness certificate. 237 In condizioni operative disagiate vi possono essere potenziali pericoli per l’incolumità e per la salute. Nell’individuazione dei potenziali pericoli per la salute si devono considerare molteplici fattori quali: località geografica; modalità di comunicazione; agenti fisici; agenti chimici; agenti biologici; agenti psicosociali. Prima di inviare un lavoratore all’estero bisogna considerare quanto sopra descritto. Un esempio è quanto avviene in Saipem s.p.a. secondo gli standard della Company, ed in accordo con quanto specificato dalle linee guida OGP/IPIECA. Saipem, una delle società del gruppo ENI, è leader a livello mondiale tra i contrattisti nel settore dell’industria petrolifera. La Società, con sede a San Donato Milanese, ha tre Unità Operative (Business Unit): costruzione mare, costruzione terra e perforazione (marre e terra). Operativamente, la Società è presente in tutte le aree geografiche del mondo, con un organico di circa 34.000 dipendenti provenienti da 107 nazionalità. All’interno di essa, come parte integrante della Direzione QHSE, opera il Servizio Medico con più di 310 professionisti. La ricerca del petrolio e del gas al giorno d’oggi si svolge sempre di più nelle zone remote e di frontiera del globo, laddove le strutture sanitarie sono difficilmente raggiungibili o non sono al livello richiesto dagli standard dell’industria. È per questo che la diagnosi, il controllo e le cure delle malattie e degli infortuni nell’industria petrolifera rappresenta una sfida importante per la medicina generale e quella del lavoro. MATERIALI E METODI Per impostare le linee di azione e stabilire gli strumenti preventivi nel lavoro all’estero, il Medico Competente deve effettuare un’attenta valutazione del rischio e poi strutturare un intervento che si articola in tre fasi: prima della partenza, durante il soggiorno all’estero, al ritorno dal viaggio. Il momento decisivo della procedura sanitaria è rappresentato dalle fasi operative che riguardano il lavoratore prima della partenza, in particolare la verifica della idoneità lavorativa alla mansione specifica in relazione allo svolgimento della stessa all’estero. Il Medico Competente deve conoscere la destinazione del lavoratore per organizzare il programma sanitario adeguato che si articola essenzialmente nella visita medica ed esami strumentali mirati, nelle vaccinazioni, nella informazione e formazione sanitaria che avviene attraverso colloquio, consegna di leaflets e manuale sanitario dei viaggiatori internazionali e presentazione mediante power point del Paese ove il dipendente dovrà recarsi. L’attività di medico Competente lo pone in una posizione esclusiva, consentendogli la periodica valutazione tanto del singolo lavoratore quanto della realtà epidemiologica in cui il lavoratore opera. Il Medico Competente nel rilascio del giudizio idoneativo alla mansione specifica dei lavoratori all’estero di tipo “long stay” deve tener conto non solo de- INTRODUZIONE Da molti anni le aziende italiane sono chiamate a realizzare progetti e ad aprire cantieri in tutto il mondo, compresi i paesi dell’area intertropicale, in numerosi settori produttivi (costruzioni, metalmeccanico, petrolchimico, elettrico, telefonico). La durata del soggiorno dei lavoratori che operano all’estero può variare da periodi brevi (giorni/settimane) a periodi prolungati (mesi/anno). Figura 1. Vaccination Booklet 238 Figura 2. Consuelling Sanitario Figura 3. Gipsi web G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it viene inserita all’interno del sistema denominato GIPSI (Gestione Informatica Prestazioni Sanitarie Individuali). Questo sistema, condiviso da tutto il nostro personale sanitario nel mondo, costituito da 158 medici e 132 infermieri, permette di effettuare: – la registrazione e monitoraggio delle visite mediche, esami specialistici e vaccinazioni effettuate con aggiornamento e controllo degli eventuali richiami – archiviazione dei dati rilevati in ottemperanza della legge sulla tutela della privacy – condivisione, anche dai siti più remoti, delle informazioni mediche rilevate – possibilità di confronti e consulti sanitari a distanza – inserimento di tutte le ispezioni sanitarie che vengono effettuate all’interno dei campi e dei cantieri – inserimento dei dati sanitari direttamente dagli ambulatori medici convenzionati – possibilità di produrre statistiche – Effettuazione della valutazione dei rischi per la salute (H.R.A.) Il processo di formazione ed informazione non si esaurisce alla partenza, ma continua nelle località estere di assegnazione. A tale proposito Saipem Med ha sviluppato dei programmi per la prevenzione e la promozione della salute: Il Malaria Control Program, il Sexual Transmitted Disease ed il Cardiovascular Diseases Control Program. DISCUSSIONE Sebbene ancora si discuta e si valutino le diversi interpretazioni dell’applicabilità del D.Lgs. 626/94 al di fuori del territorio italiano, è chiaro che il lavoratore di una azienda Italiana che viene inviato all’estero in realtà geografiche difficili, debba essere totalmente tutelato per quanto riguarda la salute da parte dell’azienda. I lavoratori dell’Oil and Gas Industry spesso sono inviati in paesi ove bisogna attenersi alle leggi locali in materia di sicurezza e salute dei lavoratori, con richiesta di protocolli sanitari a volte molto restrittivi (ad esempio la Norvegia per attività lavorativa in offshore). L’UKOOA (United Kingdom Offshore Operations Associations) ha fissato le Linee Guida per tutte le Oil Companies mondiali inerenti al giudizio di idoneità, stabilendo parametri ben precisi di valutazione. Saipem ha recepito queste indicazioni elaborando dei parametri ancor più restrittivi in considerazione delle aree remote ove spesso si trova ad ope- gli organi ed apparati che per effetto dell’attività lavorativa possono subire un’alterazione, ma deve rilevare lo stato di salute psicofisica generale; le eventuali patologie presenti e i relativi trattamenti messi in atto. Inoltre deve prevedere l’evoluzione della patologia in quanto il soggetto andrà ad operare in aree in cui vi sono temperature estreme, condizioni climatiche avverse, difficoltà logistiche, di comunicazione e carenza di strutture sanitarie locali di supporto. Da questi presupposti ne deriva che il giudizio di idoneità deve essere parametrato sulla base di variabili fondamentali rappresentate, la prima dall’itinerario/destinazione del viaggio, la seconda dalle condizioni di salute di chi viaggia. Questa metodologia rispetta i due termini del binomio su cui si fonda il giudizio di idoneità (uomo/ambiente) e che devono essere attentamente valutati, in quanto “l’ambiente” in questa tipologia di lavoro si riferisce non soltanto in senso stretto all’insediamento produttivo ed Figura 4. Attività di sorveglianza elaborata da Gipsi per l’anno 2006 a tutto ciò che lo circonda, ma anche a quello geografico. I criteri di idoneità alla missione all’estero si fondano essenzialmente sullo stato di salute e sulla capacità dell’individuo di adattarsi psicologicamente e fisicamente ai cambiamenti prodotti dal lavoro e dalla situazione socio-culturale di un’area geografica diversa. In questa prospettiva si possono configurare tre possibilità di giudizio: idoneità, idoneità con limitazioni, inidoneità ovvero controindicazione al viaggio assoluta o per aree geografiche. Una volta rilasciato il giudizio di idoneità la cartella clinica del dipendente Figura 5. Campagne di medicina preventiva Saipem G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it 239 COM-02 VALUTAZIONE DELLE ESIGENZE VISIVE DEL POSTO DI LAVORO E REQUISITI OFTALMOLOGICI PER L’IDONEITÀ ALLA MANSIONE SPECIFICA F. Perrelli, D. Crusiglia Cabodi, A. Baracco, A. Di Bari, L. Buffoni, M. Coggiola, C. Romano Dipartimento di T.O. e Medicina del Lavoro Università di Torino - A.S.O. C.T.O. - C.R.F. - Maria Adelaide Torino Figura 6. Saipem Medical Fitness Certificate rare. Soltanto per l’anno 2006 si sono eseguite più di 1000 visite di idoneità per l’estero con successivo rilascio di idoneità (Medical Fitness Certificate). CONCLUSIONI Per riuscire a sviluppare un sistema di gestione della salute per i dipendenti che operano all’estero è necessaria una grossa collaborazione da parte di tutte le componenti aziendali. Il Medico Competente deve essere dotato di tutti gli strumenti necessari per poter applicare in modo corretto le migliori procedure sanitarie e poter seguire il lavoratore durante tutto il suo periodo di assegnazione all’estero. Dentro la complessa filiera di attività che compone l’azienda Saipem il ruolo più importante è affidato al nostro asset di principale valore strategico: l’uomo. Il Servizio Medico si occupa di gestirne l’aspetto più intimo che è la sua Salute. BIBLIOGRAFIA 1) Fenga C, Barbaro M, Galtieri G. Riflessioni su una variabile nel lavoro d’ufficio: le abitudini alimentari nella pausa pasto. Rischio non misurabile nel percorso di prevenzione in Medicina del Lavoro. In Atti 60° Congresso Nazionale SIMLII, Palermo 24 Settembre 1997. 2) Lusk SL. Impacting health through the worksite. Nurs Clin North Am 2002; 37: 247-56. 3) Nicosia V, Lesma A, Madera A, Valentino M, Rapisarda V. La prevenzione del rischio biologico dei lavoratori all’estero: esperienza del Servizio Medico dell’ENI. G Ital Med Lav Erg 2002; 24:347-349. 4) Penkak M. Workplace health promotion programs. An overview. Nurs Clin North Am 1991; 26: 233-40. 5) Proper KI, Staal BJ. Effectiveness of physical activity programs at worksites with respect to work-related outcomes. Scand J Work Environ Health 2002; 28: 75-84. 6) Rapisarda V, Santini M, Bianconi A, Solina G, Valentino M. Promozione della salute nelle aziende: ruolo del Medico del Lavoro. Atti 66° Congresso Nazionale SIMLII, Bari 15-18 Ottobre 2003. G Ital Med Lav Erg 2003; 25: 407. 7) Talvi AI, Jarvisalo JO, Knuts LR. Health promotion program for oil refinery employees: changes of health promotion needs observed at three years. Occup Med 1999; 49: 93-101. 8) United Kingdom Offshore Operators Association (UKOOA). Guidelines on fitness to work offshore, 5th Edition, October 2003. 9) World Health Organization. Health promotion for working populations. Tech Rep Ser 765. Geneve, Switzerland: WHO, 1988. 10) World Health Organization. Ottawa charter for health promotion. Proceedings of the first international conference on health promotion. Ottawa, November 17-21, 1986. 11) Nicosia V, Lesma A, Rapisarda V, Ciuccarelli M, Feng C, Panciroli M, M. Valentino M, Mariani F. 28th International Congress on Occupational Health (ICOH) Milan June 11-16 2006. Medical prevention and management of Eni workers employed abroad: issuing the pass certificate for jobs at oil and gas exctraction and production plants in remote areas. Poster, book of abstracts, pag. 227. RIASSUNTO. Per definire i requisiti oftalmologici necessari alla formulazione dell’idoneità specifica in relazione alle esigenze visive del posto di lavoro occorre procedere alla valutazione delle funzioni visive principali, considerando effetti dell’età sulla funzione visiva, rischi specifici per l’apparato oculare legati all’attività lavorativa ed impegno visivo richiesto, in particolare per la visione da vicino. La valutazione di tali parametri permette di verificare la compatibilità tra le caratteristiche psico-fisiologiche dell’operatore e le richieste della mansione specifica e, conseguentemente, di formulare il giudizio di idoneità alla mansione stessa. Oltre alle situazioni visive funzionali, non bisogna dimenticare le influenze sull’idoneità lavorativa di condizioni visive organiche (affezioni croniche come congiuntiviti, blefariti, stenosi lacrimali, dacriocistiti, sindromi degenerative retiniche, alterazioni della motilità per anomalo equilibrio muscolare, alterazioni del tono endooculare). Il presente studio ha permesso di porre in correlazione le necessità visive degli operatori con alcuni gruppi di attività lavorative, nello specifico guida, attività impiegatizie tecniche con uso di vdt, lavori di precisione, attività manuali e lavori in altezza ed ha ipotizzato un approccio standardizzato per la definizione dell’idoneità lavorativa. In generale la metodica standardizzata proposta ha permesso una valutazione più puntuale della popolazione osservata contribuendo a definire con maggior correttezza e omogeneità i giudizi di idoneità riducendo la quota di soggettività del medico competente del lavoro. Parole chiave: requisiti oftalmologici, metodo standardizzato, idoneità alla mansione specifica. THE EVALUATION OF WORKPLACE VISUAL CHARACTERISTICS AND OPHTHAL- MOLOGIC REQUIREMENTS TO DEFINE FITNESS TO WORK ABSTRACT. It’s necessary to proceed to an evaluation of visual function to define principal ophthalmologic requirements and fitness to work in relation of workplace characteristics. We also have to consider the effects of age on visual function, the specific work risks on eyes and sight care especially for near sight. The evaluation of these parameters permits to verify the compatibility between the psychophysics characteristics of workers and the requests of tasks and then to define fitness to its work. Moreover to the visual functions we have to consider organic visual conditions like conjunctivitis, blepharitis, stenosis of lacrimal gland, dacriocystitis, retinic diseases, muscular motility alteration of the eyes, glaucoma. Our study shows the relation between ophthalmologic requirements of workers and some job groups like professional drivers, technical clerks, precision work, height level workers and proposes a standard method to define fitness to work. Our standard method permits a specific and homogeneous evaluation of fitness to work. Key words: ophthalmologic requirements, standard method, fitness to work. 1. INTRODUZIONE È stato condotto uno studio di tipo retrospettivo mirato alla valutazione dell’idoneità lavorativa alla mansione specifica su 89 lavoratori selezionati, tra il 2000 ed il 2006, presso l’Ambulatorio di Medicina del Lavoro per disturbi e patologie a carico dell’apparato oculare. È stato effettuato un confronto tra i criteri “non standardizzati” usati abitualmente, basati sull’esperienza derivante dalla conoscenza dei luoghi e metodi di lavoro, e i criteri “standardizzati” proposti nello studio al fine di verificare le differenze nella definizione del giudizio di idoneità alla mansione specifica. 240 G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it 2. MATERIALI E METODI Sono stati considerati i seguenti parametri: a) caratteristiche visive del soggetto, valutate attraverso esame vista e visita oculistica, con particolare riferimento a: acuità visiva, stereopsi in visione binoculare, senso cromatico, determinazione delle forie, determinazione del campo visivo, deficit rifrattivi e loro potenziale correzione, presenza di patologie oculari. b) caratteristiche visive del compito lavorativo: distanza visiva dall’area operativa (acuità vicina, lontana, intermedia), caratteristiche dei particolari da discriminare (grandezza e tipologia del particolare, caratteristiche cromatiche e stereoscopiche), impegno visivo e accomodativo richiesto sia per i tempi prolungati (ad esempio: vdt, microscopio, video) sia per esposizione a UV, IR, fonti di calore intenso, laser, polveri/fumi, c) caratteristiche dell’ambiente di lavoro quali illuminazione (naturale e/o artificiale) dell’ambiente di lavoro e dell’area operativa (campo visivo professionale), rischi infortunistici, presenza di inquinanti aerodispersi sia di natura chimica sia biologica. Sono stati identificate le seguenti categorie di attività: lavori di precisione (o minuterie); attività svolte da operai specializzati e manovali; autisti (carrellisti, autotrasportatori); attività comportanti lavori in altezza (elettricisti); attività impiegatizie di tipo tecnico con uso saltuario di vdt. Per alcune di queste attività sono presenti criteri-guida nella valutazione alla idoneità alla mansione specifica (come nel caso degli autisti) mentre nei restanti gruppi non avendo a disposizione criteri normati o riferibili a linee guida, la valutazione viene basata su criteri indicativi sulla base dell’esperienza dell’operatore. I lavoratori sono stati sottoposti ad esame della vista con valutazione dei seguenti parametri: uso di lenti correttive, acuità visiva per lontano (senza e con eventuali correzioni), acuità visiva per vicino (senza e con correzioni), test delle forie, stereopsi, senso cromatico, valutazione specialistica oculistica. Nel corso dell’attività ambulatoriale Tabella II. Criteri svolta e sulla base delle informazioni a disposizione, sono stati definiti i giudizi di idoneità, non idoneità, idoneità con prescrizioni (tabella I) alla mansione specifica. Il criterio alternativo proposto definisce parametri omogenei per la definizione dei giudizi di idoneità ed è un fattore e strumento critico, in special modo laddove non vi siano indicazioni legislative ad hoc. Per quanto riguarda l’apparato oculo-visivo posseggono una specifica codifica la guida professionale ed il lavoro di ufficio con uso saltuario di VDT. Rimangono da definire i criteri di idoneità per le altre attività considerate. Le attività svolte in altezza o precario equilibrio espongono il lavoratore al rischio di caduta da altezze superiori a 2 metri rispetto ad un piano stabile (lavori su tetti e coperture di edifici, lavori su tralicci e pali); sono comprese attività comportanti un elevato impegno visivo sia per la visione lontana che vicina (attività di elettricista sotto tensione svolta in altezza, con precisione nell’esecuzione delle riparazioni richieste). I lavori di precisione sono caratterizzati da una lavorazione manuale volta alla produzione di manufatti artigianali, caratterizzata da un elevato livello di qualità e precisione raggiunto mediante un’estrema accuratezza (restauratori, orafi, elettronica, ecc.). È necessario un corretto visus da vicino con eventuale senso cromatico. L’idoneità viene definita sulla base delle caratteristiche lavorative; sono fattori critici: contrasto di luminanza, astenopia, perdita visus da vicino, deficit stereopsi, ambliopia. Gli operai qualificati e manovali svolgono tutte quelle attività manuali più o meno specializzate, presenti nell’industria e artigianato per le quali non è richiesta un’elevata precisione e l’attenzione dell’operatore deve essere rivolta ad obiettivi posti a diversa distanza operativa (vicina, media, lontana). Nella tabella III sono presentati i possibili standard di valutazione dei requisiti visivi minimi necessari per assolvere i compiti lavorativi previsti. Tabella I. Prescrizioni adottate – non idoneo ad attività richiedenti senso stereoscopico per visione binoculare e/o percezione di particolari fini – non idoneo alla guida di automezzi aziendali – non idoneo ad attività che si svolgano in vicinanza di macchinari in movimento – non idoneo ad attività che si svolgano in altezza dal suolo o in condizioni di precario equilibrio – non idoneo ad attività che richiedano tempi di reazione solleciti – non idoneo ad attività che si svolgano in spazi confinati ristretti – attività da svolgere in condizioni illuminotecniche ottimali – non idoneo ad attività che necessitino di visione binoculare e/o percezione di particolari fini – non idoneo ad attività comportanti l’esposizione a fattori fisici, chimici e biologici potenzialmente lesivi e/o irritanti per l’occhio. (Tale esposizione può essere prevenuta con l’uso effettivo e continuativo degli idonei dispositivi di protezione individuale) – non idoneo ad attività comportanti elevato impegno visivo per periodi protratti senza la possibilità di usufruire di pause di ristoro ovvero cambio di attività, in particolare in condizioni di illuminazione non ottimali di idoneità per guida professionale e lavori impiegatizi Tabella III. Possibili standard di valutazione dei requisiti visivi minimi per attività considerata G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it 241 3. RISULTATI I casi esaminati tra il 2000 ed il 2006 sono così distribuiti: Tabella IV. Distribuzione lavoratori per attività lavorative svolte Attività lavorative % Guida professionale (patenti AB) 12,4% Guida professionale (patenti CDE) 2,3% Attività impiegatizie di tipo tecnico con uso saltuario di vdt 11,2% Lavori di precisione 16,8% Operai specializzati/manovali 52.8% Lavori in altezza 4,5% La valutazione dei lavoratori nel corso della quotidiana attività di ambulatorio aveva portato alla definizione del 42.7% di soggetti idonei, 39.3% di soggetti idonei con prescrizioni e del 18% di lavoratori non idonei. La valutazione degli stessi casi con la metodologia standardizzata proposta ha identificato una quota maggiore di soggetti idonei (50.5%), seguito dal 20.2% di soggetti idonei con prescrizioni ed il 29.3% di soggetti non idonei. Tabella V. Idoneità alla mansione specifica Dati generali Idonei Metodo NON standardizzato Metodo standardizzato proposto 42,70% 50,50% Non idonei 18% 29,30% Prescrizioni 39,30% 20,20% Tabella VI. Confronto risultati L’idoneità alla guida professionale ed alle attività impiegatizie di tipo tecnico con uso saltuario di VDT venivano, anche in precedenza, definite sulla base dei requisiti elencati rispettivamente nel D.P.R 495/92 e nel D.Lgs. 626/1994 (titolo VI, Allegato V) implementato dalle Linee Guida S.I.M.L.I.I. del 2003. Pertanto, non si osservano differenze nell’analisi. Nel gruppo di lavoratori adibiti ad attività “di precisione” si osserva un netto incremento dei soggetti idonei con prescrizioni a scapito di idonei e non idonei che si riducono rispetto a quanto definito con la metodica non standardizzata abitualmente utilizzata. Nel gruppo degli operai specializzati/manovali si osserva un risultato opposto rispetto al precedente: dai dati rilevati si osserva un aumento di lavoratori idonei e soprattutto non idonei con una drastica riduzione dei lavoratori la cui idoneità è subordinata a prescrizioni. Infine, nel gruppo lavoratori addetti a svolgere attività in altezza, le idoneità valutate con il metodo proposto coincidono con i referti espressi con il metodo non standardizzato: in questo caso il confronto dei dati non si presta a considerazioni di tipo statistico visto l’esiguo numero dei soggetti esaminati (4 casi). 4. CONCLUSIONI Lo studio condotto ha permesso di porre in correlazione le necessità visive degli operatori con alcuni gruppi di attività lavorative. Definite dalla legislazione vigente e da specifiche linee guida sia l’idoneità alla guida sia l’idoneità alle attività impiegatizie con uso di VDT; non sono invece codificati criteri per la definizione dell’idoneità visiva per i gruppi di lavoratori che svolgono lavori di precisione, attività manuali e attività in altezza cui è stata rivolta l’attenzione dello studio. Se si considera la casistica nel suo complesso, la metodica standardizzata proposta ha permesso una valutazione più puntuale ed omogenea della popolazione osservata. Ciò induce ad alcune riflessioni: 1) nella definizione dei giudizi di idoneità durante la pratica quotidiana può essere presente una sottostima od una sovrastima del problema oculo-visivo secondo la categoria lavorativa esaminata e secondo la sensibilità dell’esaminatore; 2) ciò può essere parzialmente riconducibile ad una maggiore attenzione verso patologie più diffuse nella popolazione generale e più invalidanti la capacità lavorativa quali cardiopatie, patologie muscoloscheletriche a carico del rachide o dell’arto superiore verso le quali vi è oggi una costante ed elevata attenzione. La necessità di una standardizzazione dei parametri valutativi utilizzati nella definizione dei giudizi di idoneità per i soggetti affetti da disturbi e patologie dell’apparato oculo-visivo è suggerito dai risultati ottenuti, dal confronto tra le due metodiche sia pur limitato ad una casistica ambulatoriale di ridotta dimensione, come presentato in questa occasione e oggetto di ulteriori studi da parte del nostro gruppo. BIBLIOGRAFIA Apostoli P, Bergamaschi A, Muzi G, Piccoli B, Romano C. Funzione visiva e idoneità al lavoro. Folia Med. 69, 13, 1998. G.I.L.V. II rapporto tra lavoro e visione sotto il profilo medico preventivo: primi orientamenti per un corretto approccio ergoftalmologico secondo il Gruppo Italiano per lo Studio dei Rapporti tra Lavoro e Visione. La Medicina del Lavoro, 311-331, 1993. Grandjean, E. Ergonomics in Computerized Offices. Taylor & Francis, London. 1987. Grieco A, Piccoli B. Visione e lavoro. Nota I: metodo per la valutazione del carico di lavoro visivo e delle condizioni illuminotecniche nei luoghi di lavoro. La Medicina del Lavoro, 5, 496-514, 1982. Linee Guida S.I.M.L.I.I. per la sorveglianza sanitaria degli addetti ad attività lavorativa con videoterminali PI.ME. 2003. Piccoli B, Miglior M, Grieco A. L’ergooftalmologia per la tutela della funzione visiva nel luoghi di lavoro. Atti VII Congresso Nazionale della S.I.E.T.O., Siena, 15, 1990. Romano C, Di Bari A. Fatica visiva da VDT: cause e rimedi, aspetti medico-legali. Tutto Norme, suppl. 1: 5-11, 1997. COM-03 EVIDENCE BASED OCCUPATIONAL MEDICINE: 10 ANNI DI ESAMI AUDIOMETRICI IN AZIENDE ARTIGIANALI G. Maccacaro1, S. Baratieri1, A. Princivalle2, L. Perbellini2 1 Servizio di Medicina del Lavoro, Via del Ronco 3, 38100 Bolzano Medicina del Lavoro, Dipartimento di Medicina e Sanità Pubblica Università di Verona 2 RIASSUNTO. Il presente lavoro descrive l’evoluzione della sensibilità uditiva di un gruppo di 1000 lavoratori appartenenti a differenti categorie lavorative artigiane nell’arco di 10 anni. Abbiamo calcolato il tasso di incidenza delle ipoacusie “da rumore” per periodi di 5 e 10 anni utilizzando gli esami audiometrici effettuati periodicamente. L’intensità dell’esposizione a rumore era in media di 88 dB(A), ma attorno ai 90 dB(A) per alcune categorie di lavoratori che comunque in grande maggioranza (93%) utilizzavano dispositivi otoprotettori. La Evidence Based Occupational Medicine dovrebbe identificare alcuni punti di riferimento che dimostrino l’efficacia dell’operato dei Medici Competenti: un trend positivo nella riduzione dell’incidenza delle ipoacusie da rumore dovrebbe essere il dato atteso per la conferma di un lavoro di qualità nell’ottica della prevenzione e della salute. Il nostro studio sottolinea che la protezione dal rumore finora adottata non è suffi- 242 G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it ciente ad eliminare la comparsa di nuovi casi di ipoacusie: queste sono comparse con una incidenza che si discosta considerevolmente dai modelli di previsione statistica accreditati per il calcolo di sviluppo e/o evoluzione di nuovi casi di danno acustico cronico da esposizione professionale. Nel caso specifico la Evidence Based Occupational Medicine non considera sufficiente e/o efficace quanto è stato realizzato in termini preventivi. Parole chiave: ipoacusia da rumore, incidenza, esposizioni per 10 anni. EVIDENCE BASED OCCUPATIONAL MEDICINE: TEN YEAR EXPERIENCE WITH 46 anni. I valori individuali di esposizione a rumore corrispondevano alla media delle misure fonometriche effettuate in più occasioni per quella specifica mansione e riportate nel documento di valutazione dei rischi delle aziende in cui i lavoratori erano inseriti. La mansione, il tipo di dispositivi di protezione per l’apparato uditivo, le abitudini voluttuarie, gli hobbies e le pregresse patologie auricolari venivano regolarmente registrati durante i controlli sanitari periodici. Le audiometrie sono state classificate secondo il metodo Merluzzi et al. (1979) e Klockoff et al (1974). Questo metodo fornisce un “indice sintetico”, ma piuttosto preciso, della sensibilità uditiva individuale. In totale sono stati presi in considerazione 3000 esami audiometrici. AUDIOMETRIC EXAMINATION IN A HANDICRAFT COMPANY ABSTRACT. This work describes the audiometry threshold assessment of 1000 workers employed in different artisan categories during a period of ten-year noise professional exposure. The hearing loss noise-induced rates were determined by analysing audiometric tests at the beginning of our period of study and after 5 and 10 years of noise exposure. Environmental noise exposures were on average 88 dB(A), but near 90 dB(A) in some work categories. Workers widely used hearing protection devices, nearly at 93%, during the period we studied. The Evidence Based Occupational Medicine should find out points of reference proving the efficiency and effectiveness of occupational physicians: in this case, a positive trend in the reduction of hearing loss rate will be expected to confirm the goodness of prevention practice. Our study suggests that the levels of protection so far accepted are not effective enough in order to reduce the incidence of noise-induced hearing loss in the course of the years: in despite of most accredited predicting models for hearing conservation programs, a significant percentage of workers exposed to industrial noise continues to present a high incidence of hearing loss. The Evidence Based Occupational Medicine suggests that the proposed prevention activities carried out in the described factories were not enough effective. Key words: noise-induced hearing loss - incidence - Ten-year noise exposure. 1. INTRODUZIONE L’Evidence Based Occupational Medicine (EBOM) dovrebbe rappresentare il principale punto di riferimento dell’attività del medico del lavoro e del medico competente: in realtà rare sono le occasioni in cui questi medici riescono a valutare ed a confermare che l’intenso e pesante lavoro che essi svolgono, si traduce in “evidenti” vantaggi per la salute dei lavoratori controllati. Alcuni esempi positivi della letteratura recente sono disponibili e riguardano vari aspetti della medicina del lavoro: la riduzione degli infortuni a livello oculare, la riduzione delle esposizioni ad idrocarburi aromatici policiclici ed a stirene (Mancini e coll. 2004, Dell’Omo e coll. 1998, Gobba e coll. 2000) L’esempio che portiamo rappresenta un contributo “tendenzialmente negativo” alla EBOM perché sottolinea come l’ipoacusia da rumore che viene spesso considerata una patologia “facilmente” prevenibile in relazione al diffuso utilizzo di dispositivi di protezione individuale (DPI) per l’udito, continui a comparire con preoccupante frequenza in molteplici tipi di attività lavorative e con incidenza piuttosto elevata. Lo scopo di questo lavoro è di descrivere l’incidenza delle ipoacusie da rumore in un gruppo di 1000 lavoratori artigiani seguiti per 10 anni e sottoposti periodicamente ad esame audiometrico. 2. MATERIALI E METODI Abbiamo analizzato un gruppo di 1000 lavoratori di sesso maschile impiegati in 11 differenti tipologie lavorative (falegnami, carpentieri, forestali, segantini, intagliatori del legno, muratori, fabbri, congegnatori meccanici, lattonieri, cantonieri, battilamiera). La loro esposizione a rumore comportava il rischio di sviluppare la specifica tecnopatia e pertanto erano sottoposti periodicamente (ogni 1-2 anni) a controllo audiometrico tonale. Tutti i soggetti dello studio sono stati professionalmente impiegati per l’intero periodo di tempo oggetto dell’analisi (10 anni) nella stessa ditta e con la medesima mansione lavorativa. In questo studio abbiamo preso in considerazione i controlli audiometrici effettuati per ciascun lavoratore nell’arco di dieci anni selezionando quelli effettuati nel 1996, nel 2001 e nel 2006. Al momento del primo controllo audiometrico la loro età era compresa tra 14 e 65 anni, mentre l’anzianità lavorativa tra 0 e 2.1 Analisi statistica Per valutare l’evoluzione della sensibilità uditiva è stato calcolato il tasso di incidenza delle ipoacusie per i 5 e 10 anni di esposizione al rumore. Per queste elaborazioni sono state considerate le condizioni di normoacusia (gruppo 0 della classificazione Merluzzi), gli altri gruppi di ipoacusia percettiva, come da trauma acustico cronico (gruppi da 1 a 5) e i gruppi 6 e 7 per le ipoacusia di origine non professionali (percettive non da rumore, trasmissive o miste). Per “peggioramenti lievi” sono stati presi in considerazione i casi che presentavano al primo controllo un esame audiometrico tonale normale (classe 0) ed ai successivi un passaggio ad una classe 1 (cioè la riduzione della sensibilità uditiva di oltre 25 dB solo a 4000 Hz), mentre per “peggioramento grave” tutti quelli passati da una condizione di normalità (classe 0) ad una classe superiore ad 1 oppure da classe 1 alle classi 2-3-4-5. Il confronto tra i tassi di incidenza dei peggioramenti uditivi ottenuti nei vari periodi considerati è stato effettuato utilizzando il test del “Chi quadrato”. L’esistenza di un trend nella percentuale di peggioramenti in relazione all’età ed all’anzianità lavorativa è stata invece valutata utilizzando il test di Cuzik. 3. RISULTATI E DISCUSSIONE I principali parametri statistici che descrivono l’intensità delle esposizioni a rumore dei lavoratori suddivisi per categoria di attività sono riportati nella tabella I. Come si nota i segantini, gli intagliatori di legno e i lattonieri avevano esposizioni mediane intorno ai 90 dB(A); gli altri lavoratori avevano esposizioni prossime agli 87 dB(A). L’utilizzo dei dispositivi per proteggere l’udito (cuffie nel 90,4%) era esplicitamente dichiarato da 927 lavoratori su 1000. Nella tabella II sono sintetizzati i dati riguardanti gli esami audiometrici registrati nel corso dei tre controlli (rispettivamente al primo Tabella I. Attività lavorative, numerosità del campione (N) e livelli di esposizione a rumore in dB(A) dei lavoratori sottoposti al controllo audiometrico Tabella II. Prevalenza (%) e numerosità (N) degli esami audiometrici effettuati nel decennio 1996-2006 classificati secondo la metodologia Merluzzi e Klockoff G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it Tabella III. Numerosità (N) e tasso di incidenza “annua” delle ipoacusie percettive come da trauma acustico cronico nel corso dei tre controlli audiometrici 243 COM-04 LA GESTIONE DELLE “IDONEITÀ DIFFICILI” NEGLI OPERATORI DELLA SANITÀ F. Tonelli1, M. Salvioni1, I. Cucchi2, E. Omeri2, C. Piretti2, M. Ronchin1, P. Carrer3 1 Unità Operativa di Medicina del Lavoro - A.O. Ospedale “L. Sacco” Polo Universitario - Milano 2 Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro - Università degli Studi di Milano - Milano 3 Unità Operativa di Medicina del Lavoro - A.O. Ospedale “L. Sacco” Polo Universitario - Università degli Studi di Milano - Milano controllo, dopo 5 e 10 anni di esposizione a rumore). Come si rileva i soggetti normoacusici passano da una percentuale del 74,4% al 52,7% dopo dieci anni. Le “lievi” ipoacusie da rumore passano dall’11,8 al 21,3%; quelle più gravi sono al 4% e al 12,8% rispettivamente all’inizio e al termine dello studio. Nel corso dei tre controlli, il 52,7% della popolazione lavorativa studiata ha presentato tracciati audiometrici costantemente normali, mentre il 47,3% ha evidenziato tracciati audiometrici indicativi di una ridotta sensibilità uditiva (o da rumore o di altra origine). Il passaggio da uno stato di normoacusia ad un ipoacusia percettiva da rumore di vario grado ha avuto un incidenza cumulativa media dopo 5 e 10 anni di esposizione rispettivamente del 9,8 e del 17,7%. La tabella III riporta l’incidenza annua di comparsa di ipoacusie da rumore, sia lievi che gravi, nel 1° quinquennio, nel 2° quinquennio e nel decennio considerati: ogni quinquennio peggiorano in media circa il 14,9% dei lavoratori e nel decennio circa il 27,6%. La percentuale dei peggioramenti (lievi e gravi) è significativamente associata con il tipo di mansione: in particolare, gli incrementi più evidenti dei danni da rumore si rilevano nel gruppo dei fabbri (con battilamiera e congegnatori meccanici), seguiti dai carpentieri e dai muratori. Il numero di lavoratori con ipoacusia bilaterale simmetrica come da trauma acustico cronico aumenta in relazione all’età anagrafica ed agli anni di esposizione professionale a rumore. Applicando il test di Cuzik, la prevalenza di soggetti con ipoacusia da rumore cresce con un trend statisticamente significativo (p<0,001) sia in relazione all’età, sia in relazione alla loro anzianità lavorativa. I dati riportati si discostano in modo evidente dai modelli di previsione statistica maggiormente accreditati per il calcolo di sviluppo e/o evoluzione di nuovi casi di danno acustico cronico da esposizione professionale. La norma ISO 1999/99 non prevede alcun peggioramento per esposizioni a livelli sonori di 88 dB(A) a 40 anni di età neppure dopo 20 anni di esposizione. Il fatto che il 27,4% dei lavoratori normoacusici abbia avuto una riduzione della sensibilità uditiva dopo soli 10 anni e nello stesso periodo il 15,7% di quelli con iniziale ipoacusia siano peggiorati sottolinea come i programmi di prevenzione per l’udito non siano stati sufficientemente efficaci. Probabilmente la disponibilità di DPI per l’udito non ha significato un loro uso costante; la loro manutenzione (essenziale per la loro efficacia) non è avvenuta con regolarità; la formazione-informazione dei lavoratori non è stata sufficiente per renderli preparati all’uso adeguato dei DPI per l’udito. ABSTRACT. The occupational physician, performing health surveillance within a hospital, may face to some difficulties due to the variety and complexity of the tasks and the health risk factors of the health care workers. One of the hardest issue for occupational physician is to provide judgement on worker’s fitness. Moreover, this task could be more complicated when a impaired worker could represent an hazard for his patients and colleagues. The authors will illustrate three critical clinical cases examined in Occupational Health Unit of Luigi Sacco Hospital, Milan; furthermore, the authors will show the difficulties and the applied solutions in order to provide the judgement on worker’s fitness. Key words: fit to work, health care workers, risks for the patients. BIBLIOGRAFIA 1) Dell’Omo M, Muzi G, Marchionna G, Latini L, Carrieri P, Paolemili P, Abbritti G Aromatic hydrocarbons at a graphite electrode plant. Preventive measures reduce exposure to polycyclic aromatic hydrocarbons. Occup Environ Med 1998, 55: 401-406. 2) Gobba F, Ghittori S, Imbriani M, Cavalleri A. Evaluation of half-mask respirator protection in styrene-exposed workers. Int Arch Occup Environ Health 2000; 73: 56-60. 3) Klockoff I, Drettner B, Svedberg A. Computerized classification of screening audiometry date from noise exposed groups. Audiology 1974;13: 326-34. 4) Mancini G, Baldasseroni A, Laffi G, Curti S, Mattioli,Violante FS. Multicomponent intervention among metal workers assessment of the effectiveness of a Prevention of work related eye injuries: long term. Occup Environ Med 2005; 62; 830-835. 5) Merluzzi F, Cornacchia L, Parigi G, Terrana T. Metodologia di esecuzione del controllo dell’udito dei lavoratori esposti a rumore. Nuovo. Arch Ital Otol 1979; 7: 695-714. INTRODUZIONE La prevenzione dei rischi nelle strutture sanitarie ed in particolare l’attività del Medico Competente (MC) presentano aspetti di notevole complessità correlati anche alla peculiarità e molteplicità delle prestazioni erogate e alla tipologia dei numerosi fattori di rischio per la salute a cui risultano esposti gli operatori. Uno dei momenti più impegnativi e qualificanti dell’attività del Medico del Lavoro consiste nella formulazione del giudizio di idoneità alla mansione specifica (GID). Nel caso in cui il lavoratore sia un operatore sanitario tale compito può dimostrarsi particolarmente complesso, specialmente quando il MC deve considerare anche il possibile rischio che l’operatore stesso può rappresentare per gli utenti e i colleghi in funzione della patologia di cui risulta affetto. Gli autori presentano alcuni casi critici recentemente giunti all’osservazione dell’Unità Operativa di Medicina del Lavoro dell’Azienda Ospedaliera Polo Universitario “Luigi Sacco” di Milano, illustrando le difficoltà incontrate e le soluzioni attuate in funzione della formulazione del GID. Corrispondenza: Dott. Fabio Tonelli, Unità Operativa di Medicina del Lavoro - A.O. Ospedale “L. Sacco” - Polo Universitario - Milano, e-mail: [email protected] RIASSUNTO. La prevenzione dei rischi nelle strutture sanitarie ed in particolare l’attività del Medico Competente (MC) presenta aspetti di notevole complessità correlati anche alla peculiarità e molteplicità delle prestazioni erogate e alla tipologia dei numerosi fattori di rischio per la salute a cui risultano esposti gli operatori. Uno dei momenti più impegnativi e qualificanti dell’attività del Medico del Lavoro consiste nella formulazione del giudizio di idoneità alla mansione specifica (GID). Nel caso in cui il lavoratore sia un operatore sanitario tale compito può dimostrarsi particolarmente complesso, specialmente quando il MC deve considerare anche il possibile rischio che l’operatore stesso può rappresentare per gli utenti e i colleghi in funzione della patologia di cui risulta affetto. Gli autori presentano alcuni casi critici recentemente giunti all’osservazione dell’Unità Operativa di Medicina del Lavoro dell’Azienda Ospedaliera Polo Universitario “Luigi Sacco” di Milano, illustrando le difficoltà incontrate e le soluzioni attuate in funzione della formulazione del giudizio di idoneità alla mansione specifica. Parole chiave: giudizio di idoneità alla mansione specifica, operatori della sanità, rischi per i pazienti. MANAGEMENT OF “COMPLICATED” WORK FITNESS JUDGEMENTS AMONG HEALTH CARE WORKERS 244 PRESENTAZIONE E DISCUSSIONE DEI CASI CLINICI Caso 1 S.C. femmina, 40 anni, operatrice socio sanitaria (OSS) presso il blocco operatorio. Familiarità positiva (padre) per cardiopatia ischemica cronica; nulla di rilevante in anamnesi fino all’età di 37 anni quando in seguito alla comparsa di dispnea per sforzi lievi (classe NYHA IIb), viene ricoverata per accertamenti e dimessa con diagnosi di “iniziale scompenso circolatorio in cardiomiopatia dilatativa di primo riscontro.” Gli esami eseguiti documentavano una severa riduzione della funzione sistolica del ventricolo sinistro (frazione d’eiezione pari a 30%) ed insufficienza mitralica severa, per cui veniva impostata terapia con ace-inibitore, betabloccante e diuretico d’ansa. GIUDIZIO DI IDONEITÀ FORMULATO: idonea purché adibita ad attività lavorative caratterizzate da minimo dispendio energetico, che non comportino turni notturni, sforzi fisici, movimentazione manuale di carichi, deambulazione protratta, prolungata stazione eretta senza la possibilità di assumere la posizione seduta in caso di necessità. A seguito di tale prescrizione l’interessata veniva trasferita in ambito non clinico con mansioni a carattere amministrativo di supporto in assenza di contatto diretto con il pubblico. Tre anni più tardi, in considerazione della labilità di compenso funzionale, la paziente veniva sottoposta a nuovo ricovero per rivalutazione e avvio di screening per eventuale candidatura a trapianto cardiaco. Un controllo successivo alla dimissione confermava la condizione di cardiomiopatia dilatativa idiopatica con severa riduzione della funzione sistolica del VS, associata ad insufficienza mitralica moderato-severa, iniziale danno d’organo epatico, comportante la necessità di impianto di defibrillatore automatico monocamerale. Sei mesi dopo la paziente veniva sottoposta a trapianto cardiaco ortotopico. Nel post operatorio si manifestava disfunzione ventricolare destra, ipertensione arteriosa sistemica, sviluppo di versamento pericardico, incremento degli indici di stasi epatica (per cui veniva sospeso il trattamento con azatioprina), e necessità di supporto emotrasfusionale per anemizzazione e piastrinosi. Dopo quattro mesi complessivi di degenza, a distanza di un mese dal trapianto, la paziente veniva dimessa, autonoma ed asintomatica, posta in trattamento con immunosoppressore (ciclosporina 175 mg x 2/die), corticosteroide sistemico (prednisone 10 mg/die), antipertensivi/diuretici, antiaggregante piastrinico, gastroprotettore, integratori salini/vitaminici/folati, con indicazione ad una possibile ripresa dell’attività lavorativa dopo circa due mesi. Quattro mesi dopo l’intervento la paziente era intenzionata a riprendere l’attività lavorativa. Si è pertanto ritenuto opportuno richiedere anche una consulenza specialistica immunologica di supporto. GIUDIZIO DI IDONEITÀ FORMULATO: Si prescrive esonero dalle attività in area clinica. La Lavoratrice dovrà essere adibita esclusivamente ad attività caratterizzate da minimo dispendio energetico, che non comportino sforzi fisici, movimentazione manuale di carichi, deambulazione protratta, prolungata stazione eretta senza la possibilità di assumere in caso di necessità posizione seduta, turni notturni. La Lavoratrice può essere adibita a compiti che non prevedano il contatto diretto con l’utenza, da svolgersi in ambito non sanitario. A questo proposito le mansioni svolte prima del congedo per malattia […] appaiono compatibili con le limitazioni di cui sopra. La lavoratrice verrà naturalmente avviata ad una sorveglianza sanitaria con periodicità ravvicinata, finalizzata in particolare alla valutazione delle condizioni cliniche in funzione di un possibile, anche se attualmente improbabile, reinserimento in ambito clinico. L’aspetto più critico è consistito nella valutazione del livello di immunocompetenza del soggetto, con l’obbiettivo di giudicare la compatibilità della stessa con la ripresa della vita in comunità nell’ambito di un’attività lavorativa presso una realtà ospedaliera. Il caso descritto, oltre che ribadire l’utilità del ricorso alla collaborazione di specialisti di altre discipline quando indicato, conferma l’importanza della sorveglianza sanitaria in occasione del rientro al lavoro dopo un periodo prolungato di malattia, anche quando non espressamente prevista dalla normativa. Caso 2 F.M. femmina, 39 anni, medico primo operatore in area chirurgica: esegue in media 2 interventi settimanali. All’età di 23 anni riferito ri- G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it scontro occasionale di infezione da virus dell’epatite C (HCV) di origine ignota. In visita preventiva, a 30 anni, riferiva benessere soggettivo in presenza di un quadro sierologico suggestivo per epatite cronica in fase attiva HCV RNA positivo, HCV ab positivo, genotipo 2a/2c, con replica virale HCV RNA b.DNA: 6,181 MEq/ml. Gli indici ematici di funzionalità epatica (AST, ALT, GammaGT) risultavano nella norma. Segnalati periodici controlli infettivologici senza indicazione al trattamento farmacologico in presenza di transaminasi nei limiti della norma. Vaccinata responder per HBV. L’interessata segnalava inoltre dall’inizio dell’attività lavorativa il verificarsi di almeno tre infortuni a rischio biologico consistiti in punture con aghi cavi e da sutura. GIUDIZIO DI IDONEITÀ FORMULATO: idonea con prescrizione all’utilizzo obbligatorio dei doppi guanti durante l’esecuzione in prima persona di procedure invasive a rischio di esposizione ad agenti biologici. Durante gli interventi chirurgici, sia elettivi sia in urgenza, devono essere utilizzati tutti i dispositivi di protezione individuale disponibili il cui uso sia tecnicamente possibile. In particolare, in caso di situazioni caratterizzate da maggior rischio (es. trattamento di politraumatizzati, sternotomie, interventi su fratture esposte), si prescrive l’utilizzo di guanti antitaglio. Nel corso delle successive visite periodiche riferiva ancora benessere soggettivo, pur mantenendosi in fase attiva la nota epatite cronica (a 37 anni: RNA b.DNA UI/ml: 844 252; 4 390 109 Cp/ml. A 38 anni: HCV RNA b.DNA UI/ml: 1 559 602; 8 109 930 Cp/ml), sempre in presenza di normali indici di funzionalità epatica. È stato pertanto confermato il GID precedentemente espresso. La segnalazione di infortuni a rischio biologico, anche presso il nostro Ente, è quasi certamente inferiore al numero di infortuni reali, accertata la tendenza degli operatori sanitari e di quelli dell’area chirurgica in particolare a sottonotificare gli infortuni (1). I dati presenti in letteratura mostrano che il tasso di trasmissione HCV per singolo evento infortunistico risulta mediamente pari a 0,5-1,8% (2); Ross e coll. (2000); il rischio di contagio da operatore sanitario a paziente è stato stimato in 140 trasmissioni di HCV (se il chirurgo è HCV-RNA positivo) per milione di procedure. Nel nostro caso, considerato il numero medio e la tipologia di interventi chirurgici eseguiti, abbiamo ritenuto possibile mantenere l’idoneità senza limitazioni dei compiti chirurgici svolti, purché venissero messi in atto provvedimenti finalizzati a ridurre significativamente il rischio di contagio, prescrivendo l’uso costante di doppi guanti durante l’esecuzione di manovre invasive ad alto rischio di contaminazione biologica. Alcuni studi hanno infatti evidenziato che tale accorgimento riduce sostanzialmente (almeno del 70%) il numero di perforazioni del guanto interno, impedendo così la trasmissione di infezioni dall’equipe chirurgica al paziente e viceversa (3). Infine è opportuno segnalare che anche la Società Italiana di Medicina del Lavoro ed Igiene Industriale (SIMLII) ritiene che il ricorso a giudizi di inidoneità per la tutela di terzi debba essere attentamente valutato, ancorché limitativo da un punto di vista tecnico, oltre che possibile fonte di contenzioso in sede civile e penale, data l’assenza di attuali univoche indicazioni di legge in merito (4). Caso 3 R.R., maschio, 60 anni, chirurgo, effettua prevalentemente interventi di microchirurgia. Anamnesi patologica sostanzialmente muta fino all’età di 59 anni quando viene ricoverato d’urgenza in seguito ad un improvviso episodio comiziale con temporanea perdita di conoscenza. L’effettuazione di TC e RMN dell’encefalo mostrava la presenza di una lesione fronto-temporo-insulare sinistra con estensione frontale destra rivelatasi all’istologia un oligodendroglioma (grado II sec. WHO, indice di proliferazione Ki67 positivo nel 4% delle cellule). Il paziente veniva sottoposto a lobectomia frontale sinistra con asportazione della lesione e regolare decorso postoperatorio; successivo controllo TC negativo per recidive. Si sottoponeva a visita neurochirurgica di controllo, a distanza di un mese dall’intervento, in occasione della quale veniva impostata terapia con antiblastico (cicli di temozolomide 250 mg 1 cp/die a scalare per 10 giorni, poi 20 giorni di sospensione, successivamente riprende schema), topiramato e fenitoina per sei settimane. Quattro mesi dopo l’intervento il soggetto riprendeva l’attività lavorativa e, concordemente con indicazioni del Dirigente responsabile, messo a conoscenza del quadro clinico dal lavoratore stesso, si presen- G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it tava al MC in visita a richiesta per la rivalutazione dell’idoneità alla mansione specifica. Il lavoratore riferiva completo benessere soggettivo in assenza di evidenti deficit funzionali e/o sequele dell’intervento neurochirurgico. In particolare, in considerazione della sede lesionale, negava cefalea, affaticabilità, difficoltà di concentrazione, mutamenti di umore o comportamentali, ulteriori crisi epilettiche, difficoltà nei movimenti fini, deficit mnesici e/o altre soggettive alterazioni delle funzioni cerebrali superiori. Riferiva tuttavia di non assumere sempre con regolarità e secondo lo schema previsto la terapia suggerita alla dimissione ospedaliera, peraltro in assenza di riferiti effetti collaterali. In considerazione della sede della lesione e delle complesse attività svolte dall’interessato, ai fini di poter esprimere il GID alla mansione specifica, si decideva di sottoporre il lavoratore a valutazione neuropsicologica mediante una batteria di test atta ad indagare le funzioni esecutive e l’efficienza cognitiva globale (v. Tabella I). Tabella I. Valutazione neuropsicologica: test somministrati al dipendente per indagare le funzioni esecutive e l’efficienza cognitiva global Conclusioni del neurologo: “Deficit di alcune funzioni esecutive (astrazione, set-maintaining, organizzazione), compatibile con la nota sede lesionale. L’efficienza cognitiva non ne risulta significativamente compromessa”. GIUDIZIO DI IDONEITÀ FORMULATO: si raccomanda una ripresa graduale dell’attività chirurgica, sia in relazione al carico di lavoro in sala operatoria che alla tipologia e complessità degli interventi. Si prescrive controllo presso il Servizio Medico Competente tra 3 mesi. In questo caso l’attenzione del MC è sicuramente orientata alla salvaguardia della professionalità dell’operatore pur non potendo prescindere da una rivalutazione dell’efficienza cognitiva e delle capacità tecniche. L’esperienza ha mostrato la fondamentale importanza dell’interazione tra MC e Dirigente responsabile dell’U.O. di appartenenza, aspetto che ha consentito di realizzare un reinserimento graduale nelle attività di sala operatoria e, inoltre, di programmare un temporaneo affiancamento da parte di un collega esperto durante lo svolgimento delle stesse. CONCLUSIONI La gestione dei cosiddetti casi di idoneità “difficile” non può avvalersi di soluzioni standardizzate ma necessita di personalizzare il giudizio di idoneità del lavoratore ai compiti della mansione specifica. La gestione di casi clinici complessi con ripercussione sull’idoneità lavorativa è ulteriormente difficoltosa in ambito sanitario, in quanto i preposti del datore di lavoro/dirigenti rivestono sovente ruolo sanitario. Tale condizione rende particolarmente delicato il confronto tra MC e dirigenti stessi, soprattutto nei casi, seppur infrequenti, in cui l’operatore non ritiene di informare il dirigente delle proprie condizioni cliniche. Nella gestione dei casi presentati il MC si è ispirato, oltre che alla tutela della salute dell’operatore, anche a criteri di intervento che non determinassero un profondo cambiamento delle attività professionali svolte. Le limitazioni sono state formulate sulla base di una attenta analisi delle peculiarità della mansione specifica in relazione anche alle possibili alternative ai compiti assegnati in funzione del livello di conoscenze acquisite. Gli aspetti e le conseguenze da prendere in considerazione quando si formulano giudizi di idoneità con limitazioni/prescrizioni sono diversi: la tutela della salute, il riconoscimento della dignità della persona e quindi l’assoluta difesa dei principi di garanzia personale, quali la riservatezza, la tutela del 245 posto di lavoro, la non discriminazione. Si deve in particolare tener conto del livello di professionalità acquisita, la cui modifica può comportare importanti implicazioni anche di carattere sanitario quali burn out, marginalizzazione, insorgenza di turbe della sfera psichica. D’altra parte si deve considerare anche il rischio verso terzi ovvero circostanze nelle quali utenti e colleghi potrebbero venire danneggiati dall’attività di un soggetto che presenta alterazioni delle condizioni psicofisiche. A questo proposito nella pratica della Medicina del Lavoro viene dibattuto se il MC debba occuparsi della tutela della salute di terzi o della collettività, oltre a tutelare la salute e la sicurezza del lavoratore in funzione dei rischi specifici lavorativi (5). Tale problema nasce da come si voglia considerare, interpretare ed applicare il D. Lgs. 626/94 all’art. 4 comma 5 lettera n: “il datore di lavoro prende appropriati provvedimenti per evitare che le misure tecniche adottate possano causare rischi per la salute della popolazione o deteriorare l’ambiente esterno.” ed all’art. 5 “Ciascun lavoratore deve prendersi cura della propria sicurezza e della propria salute e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui possono ricadere gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione ed alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro.” Nel 2006 è stato approvato dalla conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato e le Regioni un provvedimento che ha determinato un’intesa in materia di individuazione delle attività lavorative che comportano un elevato rischio di infortuni sul lavoro ovvero per la sicurezza, l’incolumità o la salute dei terzi, relativo alla legge 30 marzo 2001, n. 125, ai fini del divieto di assunzione e di somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche in ambito di lavoro. Anche la Conferenza Unificata nella Seduta del 30 ottobre 2007, Intesa tra il Governo, le Regioni e gli Enti Locali, ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, in materia di accertamenti di assenza di tossicodipendenza, ha individuato alcune attività lavorative per le quali, ai fini della prevenzione dell rischio verso terzi, il MC provvede a verificare l’assenza di assunzione di sostanze psicotrope e stupefacenti. Tali provvedimenti prevedono quindi la possibilità da parte del MC di sottoporre ad accertamenti specifici alcune categorie lavorative esposte ad elevato rischio di infortunio ed elevato rischio per la sicurezza e l’incolumità di terzi; l’orientamento generale per la formulazione del GID è tuttavia di ritenere ingiustificato procedere con accertamenti o test specifici di routine, valutando piuttosto la presenza di alterazioni cliniche meritevoli di approfondimento che, anche in assenza di controindicazioni assolute allo svolgimento delle mansione, possano tuttavia comportare rischi per la collettività e in primis per l’utenza (6). In generale riteniamo opportuno sottolineare come sia fondamentale la disponibilità di adeguate figure specialistiche di riferimento e di buone comunicazioni con i servizi sanitari territoriali e gli specialisti curanti. Successivamente la gestione finale del giudizio deve attenersi alla multidisciplinarietà, con il coinvolgimento del Servizio di Prevenzione e Protezione, del Dirigente responsabile e della Direzione Medica di Presidio; gli ultimi due rivestono particolare importanza ai fini della valutazione del rischio verso terzi e dei riverberi che una limitazione dell’idoneità, con la conseguente privazione di risorse umane altamente qualificate, potrebbe avere sull’organizzazione del lavoro. BIBLIOGRAFIA 1) SIROH (Studio Italiano Rischio Occupazionale da HIV) - Andamento delle notifiche di esposizione e delle infezioni occupazionali. Dicembre 2002. Rapporto interno. INMI Roma, Marzo 2003. 2) Società Italiana di Medicina del Lavoro e Igiene Industriale: L. Alessio (coord.), et al. Linee Guida per la Sorveglianza Sanitaria dei Lavoratori della Sanità Esposti a Rischio Biologico - 2005 3) Tokars JI, Culver DH, et al. Skin and mucous membrane contacts with blood during surgical procedures: risk and prevention. Infect Control Hosp Epidemiol. December 1995; 16(112):703-711. 4) Società Italiana di Medicina Del Lavoro e Igiene Industriale: Linee Guida per la Sorveglianza Sanitaria. Romano C, Abbritti G, Bartolucci GB et al. Pavia 2004, vol. 11: 67-69. 5) Boroni V, Buzzi F, Cattorini P, Morelli D, Piga A, Risi L, Salerno G.C. Operatori sanitari esercitanti procedure invasive infetti da HIV: pareri e proposte in merito. Medicina & Società 1992; 4: 49-53. 6) Magnavita N, De Lorenzo G. Identificazione e controllo dei lavoratori rischiosi per gli altri nelle Attività Sanitarie. Aprile-Giugno 2006 GIMLE vol. 28(2): 174-175. 246 COM-05 OPERATORI DELLA SANITÀ LIBERI DAL FUMO. ATTIVAZIONE DI UN PROGETTO IN PROVINCIA DI TRIESTE C. Negro1, P. De Michieli1, M. Peresson2, R. Tominz4, C. Poropat3, A. Vegliach3, G. Generoso3, S. Cosmini4, M. Bovenzi4 1 U.C.O. di Medicina del Lavoro Università degli Studi di Trieste Azienda per i Servizi Sanitari n. 1 “Triestina”, Struttura Semplice dipartimentale Medicina del Lavoro 3 Azienda per i Servizi Sanitari n. 1 “Triestina”, Dipartimento delle Dipendenze 4 Azienda per i Servizi Sanitari n. 1 “Triestina”, Dipartimento di Prevenzione 2 RIASSUNTO. Al fine di intervenire sull’abitudine al fumo nei dipendenti delle Aziende Sanitarie in provincia di Trieste e di individuare idonee modalità di intervento è stato messo a punto un progetto triennale per facilitare i percorsi di disassuefazione con la collaborazione dei medici competenti. Questo contributo illustra il progetto iniziato nel 2007 nell’Azienda per i Servizi Sanitari n. 1 “Triestina” (ASS1) e nell’Azienda Ospedaliera Universitaria Ospedali Riuniti di Trieste (AOUTS) e fornisce alcuni dati preliminari raccolti nel corso dei primi sei mesi del progetto. Il progetto prevede i seguenti gruppi di azioni: i) Informazione diffusa; ii)Applicazione art. 51 L 3/2003; iii) Collaborazione dei medici competenti con il Centro prevenzione e cura del tabagismo (CIPCT); iv) follow-up per i dipendenti che parteciperanno al programma di disassuefazione. Durante le visite mediche preventive e periodiche, sono stati raccolti i dati di 492 lavoratori di cui il 36% fumatori (180). I risultati del questionario per la dipendenza dal fumo (test di Fagestrom) individuano una dipendenza alta nel 19% dei casi e quello per la motivazione a smettere di fumare (test di Richmond) una motivazione alta nel 39% dei casi. Si sono detti disposti ad aderire al programma di disassuefazione la metà dei fumatori. Parole chiave: fumo nei luoghi di lavoro, promozione della salute, medico competente, medicina del lavoro. FREEDOM FROM SMOKING FOR HEALTH CARE WORKERS. A PROJECT FROM TRIESTE ABSTRACT. A tree years interventional study to modify smoking habits in health workers in Trieste province was planed in the collaboration of occupational health unit and Tobacco’s Dependence Study Center. The aim of this paper is refer about preliminary data of the project started in 2007 regarding smoking habits in health workers of the Azienda per i Servizi Sanitari n.1 “Triestina” (ASS1) and the Azienda Ospedaliera Universitaria Ospedali Riuniti di Trieste (AOUTS). The project consist of several actions: i) information about risks and opportunities of project; ii) pursuance of the law 51 L 3/2003; iii) Occupational Health Unit and Tobacco’s Dependence Study Center collaboration; iv) follow-up of the subjects that choose the disaccustom program. During occupational medical surveillance we collected the data related to 492 workers, 37% of the cases were smokers (180). The results of test of dependence to smoke (test di Fagestrom) showed an high dependence in 19% and an high motivation to stop smoke (test di Richmond) in 39% of the smokers. More than fifty percent of this subjects gave their adhesion to the disaccustom program. Key words: smoke in workplace, health promotion, occupational physician, occupational medicine. INTRODUZIONE L’abitudine al fumo di tabacco è uno dei maggiori fattori di rischio nello sviluppo di patologie neoplastiche, cardiovascolari e respiratorie, ed è la seconda causa di morte nel mondo (2, 7, 8). Ogni anno nel nostro Paese circa 85.000 persone muoiono per cause attribuibili al fumo di tabacco. Si stima inoltre che ci sia un morto da fumo ambientale ogni 1.224 fumatori. Il fumo costituisce uno dei più importanti problemi di sanità pubblica (6, 11, 22, 23). Appare quindi evidente come l’eliminazione del fumo di tabacco dai posti di lavoro sia un’azione preminente di sanità pubblica e come il suo significato divenga più rilevante nell’applicazione all’interno degli ospedali (19,21,22). G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it Il primo strumento preventivo è l’applicazione della normativa che già prevedeva (Legge n. 584/1975) il divieto di fumo nelle corsie degli ospedali, ribadito con l’entrata in vigore della Legge 3/2003 art. 51, che vieta il fumo nei locali aperti al pubblico. Allo scopo di intervenire sull’abitudine al fumo nei 4.000 dipendenti delle Aziende Sanitarie in provincia di Trieste e di individuare idonee modalità di intervento, nel 2005 è stato condotto uno studio epidemiologico per valutare la percentuale di fumatori fra i dipendenti e la loro disponibilità a smettere. È risultato che 1/3 dei dipendenti delle aziende è costituito da fumatori. Di questi 1/3 vorrebbe smettere di fumare ed un altro 1/3 desidererebbe almeno ridurre il numero di sigarette. È stato quindi messo a punto un progetto triennale per acquisire informazioni sull’abitudine al fumo di tabacco e favorire il percorso di disassuefazione per ridurre la percentuale di fumatori (3, 4, 13, 20). Obiettivo di questo contributo è quello di illustrare il progetto iniziato nel 2007 nell’Azienda per i Servizi Sanitari n. 1 “Triestina” (ASS1) e nell’Azienda Ospedaliera Universitaria Ospedali Riuniti di Trieste (AOUTS) e di fornire i dati preliminari raccolti nel corso dei primi sei mesi. MATERIALI E METODI La metodologia è stata definita in modo coordinato tra i medici competenti delle Aziende Sanitarie (ASS1, AOUTS), il Dipartimento di Prevenzione ed il Centro prevenzione e cura del tabagismo (CIPCT) dell’ASS1 Triestina. Lo studio è stato inserito fra i progetti obiettivo aziendali e prevede un gruppo di azioni: Informazione diffusa: una campagna informativa all’anno per i tre anni del progetto mediante poster, banner sui siti intranet, depliant in busta paga, articoli sui quotidiani, messaggi attraverso l’e-mail aziendale, numero verde presso l’ufficio Promozione alla Salute del Dipartimento di Prevenzione. Applicazione art. 51 Legge 3/2003 con raccolta delle segnalazioni di mancato rispetto del divieto di fumo nei locali delle aziende (attraverso l’URP o al numero verde), interventi di supervisione e supporto ai referenti antifumo ed incontri presso “i punti critici” con i responsabili delle strutture interessate. Collaborazione dei medici competenti con il Centro prevenzione e cura del tabagismo (CIPCT) che è impegnato nella costruzione di un sistema di cura integrato a rete con i MMG e gli specialisti delle Aziende Sanitarie, opera con un’équipe propria (medico, psicologo, infermiere) e coordina ed esegue progetti specifici di counseling individuale e di gruppo e terapia farmacologia. Somministrazione di un questionario e counseling a tutti i dipendenti durante le visite mediche preventive e periodiche, da parte dei medici competenti che hanno partecipato ad un training specifico. Il medico competente registra i dati anagrafici, lo stato rispetto al fumo e per i dipendenti fumatori i fattori anamnestici fumo correlati, il grado di dipendenza (test di Fagestrom) e di motivazione (test di Richmond). (5,9,10,12,15,16) I fumatori motivati, con il loro consenso, vengono indirizzati al CIPCT per la disassuefazione, tramite l’invio di una scheda informatizzata al Dipartimento di Prevenzione. Misura del CO nell’aria espirata allo scopo di rinforzare il messaggio. Si è individuato un protocollo per stimare i livelli medi di monossido di carbonio nell’aria espirata (Smokerlyzer) e vi vengono sottoposti tutti i dipendenti che effettuano le visite presso il medico competente. Programma di disassuefazione Il CIPCT riceve le segnalazioni, contatta i fumatori, attua una terapia individuale o di gruppo con sostegno farmacologico e con incontri settimanali per otto settimane. È previsto un follow-up a breve e a lungo termine per coloro che parteciperanno al programma. RISULTATI Nei primi sei mesi del 2007, sono stati raccolti i dati relativi all’abitudine al fumo di 492 lavoratori dell’Azienda per i Servizi Sanitari n.1 “Triestina” (ASS1) e dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Ospedali Riuniti di Trieste (AOUTS) giunti consecutivamente al medico competente in occasione delle visite mediche preventive e periodiche. I dati raccolti riguardano 263 (53,5%) dipendenti dell’AOUTS e 229 (46,5%) dell’ASS1 e quindi il contributo delle due Aziende risulta equilibrato, senza differenze statisticamente significative per sesso ed età. Come atteso il sesso femminile risulta maggiormente rappresentato (AOUTS 64%, ASS1 62% totale 63%) e lo stesso risultato si evidenzia per i dipendenti con età superiore ai 40 anni (AOUTS 64%, ASS1 62% totale 63%). I fumatori rappresentano il 36% del totale (180 casi) senza differenze statisticamente significative (38% nell’AOUTS e 35% nell’ASS1 Triestina). G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it Nella tabella I sono riportati i dati relativi ai fumatori e non fumatori in rapporto all’Azienda di appartenenza, sesso ed età. Non si rilevano differenze statisticamente significative nei due gruppi. L’analisi dei questionari compilati dai fumatori (Tab. II) indica che la maggior parte ha iniziato a fumare fra i 15 ed i 20 anni, solo il 15% dopo tale età, mentre un quarto dei casi mostra un inizio precoce prima dei 15 anni. Più di metà (60% dei casi) non ha mai smesso di fumare e solo 75 dipendenti hanno provato a smettere almeno una volta, ma il 60% di questi ha dovuto ripetere il tentativo senza successo; e gli ultimi tentativi sono, nella maggior parte dei casi, recenti. Solo la metà dei fumatori coabita con persone fumatrici, mentre più di due terzi dei casi lavora con colleghi che fumano. La distribuzione dei fumatori per mansione e reparto non può in questa fase essere indicativa dell’abitudine al fumo nelle diverse categorie in quanto riflette la composizione della popolazione sottoposta a sorveglianza sanitaria e la frequenza dei controlli in base al rischio. Infatti, risulta che più della metà sono sanitari non medici che operano in unità operative di degenza o territoriali. Sono sicuramente sottorappresentate alcune figure professionali tecniche e mediche ed il lavoro amministrativo d’ufficio. Nel questionario sono previsti il test di Fagestrom per quantificare la dipendenza dal fumo ed il test di Richmond per stimare la motivazione a smettere di fumare. Tali dati risultano importanti nel guidare il medico competente nel counseling che ha l’obiettivo di ottenere l’adesione al programma di disassuefazione. Come illustrato nella tabella III i risultati sul totale dei casi indicano un’alta dipendenza dal fumo nel 19% dei casi ed una alta motivazione a smettere di fumare nel 39% dei casi. Importante sottolineare che a valle del counseling si sono detti disposti ad aderire al programma di disassuefazione più della metà dei fumatori (54%). Non vi è differenza tra i dipendenti delle due Aziende per quanto riguarda la motivazione a smettere di fumare, mentre sono statisticamente Tabella I. Descrizione della popolazione esaminata in rapporto al fumo 247 Tabella III. Analisi della dipendenza, la motivazione a smettere di fumare e adesione al progetto nelle due Aziende Sanitarie Figura 1. Concentrazione del CO nell’aria espirata nei fumatori e non fumatori significative (p ≤0,001) sia la dipendenza, più alta nell’AOUTS, sia l’adesione ai programmi di disassuefazione, più elevata nell’ASS1. L’adesione al programma di disassuefazione risulta significativamente (p ≤0,001) correlato alla motivazione a smettere di fumare mentre la dipendenza non mostra alcuna associazione. Nel corso dell’indagine la valutazione della concentrazione del CO nell’aria espirata si è dimostrato un momento importante nella valutazione ed elemento di rinforzo del counseling. La figura illustra la concentrazione del CO nell’aria espirata nei fumatori e non fumatori e come atteso la differenza risulta statisticamente significativa (p ≤0,00001). Tabella II. Analisi descrittiva dei dipendenti fumatori CONCLUSIONI Seppure i dati siano preliminari, in quanto costituiti dalle informazioni solo dei primi sei mesi di attivazione del progetto, si prestano a nostro avviso ad alcune considerazioni. L’abitudine al fumo di sigaretta continua ad interessare più di un terzo dei lavoratori della sanità e rappresenta quindi un importante obiettivo sia di prevenzione individuale che collettiva, in considerazione del possibile esempio rappresentato degli operatori sanitari nei confronti dei pazienti (19,21,22). Il rispetto del divieto di fumo imposto dalla normativa se da una parte stimola la cessazione dall’altra, in considerazione della rilevanza del fenomeno, pone delle difficoltà specie nel controllo delle violazioni. Si deve intervenire con programmi che prevedano la collaborazione fra diverse figure professionali ed azioni d’informazione sui rischi, counselling per ottenere l’adesione alla proposta e sostegno psicologico, combinate in modo da essere efficaci per modificare atteggiamenti e comportamenti a rischio per la salute. Benché l’abitudine al fumo non sia un rischio lavorativo in senso stretto, conoscendo la rilevante importanza delle abitudini di vita (fumo, alimentazione, alcol, sedentarietà ecc) come concausa di molte patologie professionali, sempre più frequentemente il medico del lavoro si trova ad interagire con i lavoratori con azioni di formazione ed informazione, dirette a porre in rilievo la necessità di stili di vita corretti (1, 14,17,18). 248 La partecipazione dei medici competenti al progetto è quindi un punto di forza sia per la relazione costante e periodica con tutti i dipendenti delle aziende, legata all’attività di sorveglianza sanitaria degli operatori, sia per la capacità professionale a promuovere azioni di prevenzione. BIBLIOGRAFIA 1) Abbritti G, Muzi G, Latini L, Abbritti EP, dell’Omo M, Vinci F, Castellino N. La promozione della salute in ambiente di lavoro: quali prospettive nella situazione italiana? 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Obiettivo del lavoro è la valutazione delle mucose delle cavità nasali nei lavoratori con prolungata (>20 aa) esposizione professionale a PL per individuarne alterazioni. G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it L’aumentata frequenza di alterazioni, potrebbe definire una modalità di danno cronico che potrebbe essere alla base della eventuale evoluzione neoplastica. Sono stati arruolati 50 soggetti (EE) con anzianità lavorativa media nella seconda lavorazione del legno di 33 aa e 48 soggetti di controllo (CC). È stato somministrato il questionario dei disturbi nasali, sono state valutate mediante rinofibroscopia le mucose nasali e la presenza di secrezioni ed è stato studiato il citogramma dello striscio nasale da tampone. Il 44% degli EE e il 33,4% dei CC presentano una alterazione macroscopica della mucosa (PR 1,32 IC95% 0,79-2,19). L’esame citometrico risulta alterato nel 24% degli EE e nel 12,5% dei CC (PR 1,92 IC95% 0,78-4,71). C’è una differenza significativa nella presenza di secrezioni, riscontrate nel 28% degli EE e nell’11,4% dei CC (PR 2.69 IC95% 1,05-6,89). I risultati non confermano l’ipotesi, ma rivelano una inaspettata prevalenza di alterazioni a carico dei CC. In attesa di conferme, si ritiene di avanzare dubbi sull’utilità delle valutazioni specialistiche ORL di routine per tutti gli esposti a PL. Non sembra di poter individuare indicatori utili per una possibile diagnosi precoce delle neoplasie naso-sinusali. HEALTH SURVEILLANCE ON WORKERS EXPOSED TO WOOD DUST: USEFULNESS OF THE ASSESSMENT OF THE NASAL MUCOSA ABSTRACT. The purpose of this paper is to evaluate alterations in the nasal mucosa in workers that for professional purpose, are exposed, for a long period of time, to wood dust (WD). The increased frequency in alterations could underline a mechanism for chronic damage that could lead to cancer. This study took into account 50 cabinet workers (EW) who had been exposed to WD for an average of 33 years and were compared to 48 controls (CC). A questionnaire regarding nasal symptoms was submitted, the nasal mucosa was examined by fibroscopy, secretions were valuated, cytogram from a nasal swap was also done. 44% of the EW and 33.4% of CC showed macroscopic alterations of the mucosa (PR 1,32 IC95% 0,79-2,19). The cytogram was altered in 24% of EW and in 12.5% of CC (PR 1,92 IC95% 0,78-4,71). In EW there was an abnormal significant increase in nasal secretions compared to CS, 28% vs 11,4% (PR 2,69 IC95% 1,05-6,89). The results do not confirm our hypothesis, but they show an unexpected prevalence of alteration in the CC. While waiting for further results, we express doubts in proposing routinary specialistic evaluation to all the EW to WD. At present it is hard to pin point indicators that could help reach an early diagnosis in the development of sinus-nasal cancer. Key words: wood dust, nasal mucosa, fibroscopy examination INTRODUZIONE Nel 1995 la IARC ha incluso la polvere di legno (PL) fra gli agenti sicuramente cancerogeni per l’uomo (Gruppo 1) specificando che la valutazione si basava su un evidente eccesso di tumori naso-sinusali fra gli esposti a PL duro (1). In Italia il DLgs 66/2000, che recepisce la direttiva europea 1999/38/CE, modifica il Titolo VII del DLgs 626/94 includendo fra i cancerogeni anche l’attività lavorativa comportante esposizione a PL duro. Stabilisce inoltre il limite di 5 mg/m3 come valore di riferimento per l’esposizione a tali polveri. Le Linee Guida sull’applicazione del titolo VII del DLgs. 626/94 relative alle lavorazioni che espongono a PL duro propongono protocolli di sorveglianza sanitaria graduando il livello di approfondimento diagnostico in rapporto ai livelli di esposizione. Dal 2001 l’ACGIH pone il TLV-TWA ad 1 mg/m3 per i legni duri ed a 5 mg/m3 per i legni dolci con TLV-STEL di 10 mg/m3. MATERIALI E METODI Il presente lavoro ha come scopo la valutazione della mucosa delle cavità nasali nei lavoratori con prolungata (superiore a 20 aa) esposizione professionale a PL per individuarne eventuali alterazioni. L’individuazione di una aumentata frequenza di tali alterazioni, seppur di modesta entità, in soggetti con prolungata esposizione, potrebbe definire una possibile modalità di danno ad andamento cronico causa di eventuale successiva evoluzione neoplastica. Sono stati arruolati 50 soggetti (EE) provenienti da aziende del settore della seconda lavorazione del legno della provincia di Como aventi G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it le seguenti caratteristiche: sesso maschile, almeno 20 aa di esposizione lavorativa a PL, nessuna esposizione pregressa a polveri di cuoio e/o cromo, nessuna esposizione attuale a fumi di saldatura o altri fumi e/o vapori potenzialmente irritanti, assenza di rinite acuta in atto. Il gruppo di controllo è formato da 48 soggetti (CC), senza esposizione a PL né ad altri agenti irritanti, con età paragonabile agli EE. I dati anamnestici raccolti dai soggetti EE a PL e dai CC sono i seguenti: età, abitudine al fumo, pregressi interventi chirurgici al naso, pregressi traumi nasali condizionanti intervento medico, utilizzo di farmaci per via nasale, atopia nota. Negli EE sono state inoltre valutate i seguenti aspetti: anzianità lavorativa, descrizione dell’attività lavorativa, utilizzo di dispositivi di protezione individuale per le vie respiratorie attuale e/o pregresso, adozione di misure di prevenzione, quali: presenza di impianto di aspirazione (attuale e pregresso) localizzato al piano di lavoro, uso di aspiratore per il depolveramento, cambio d’abito al termine del lavoro. A tutti i soggetti è stato somministrato il questionario per lo studio dei disturbi nasali proposto dalle ”Linee Guida sull’applicazione del titolo VII del DLgs 626/94 relative alle lavorazioni che espongono a PL duro”. Il questionario, secondo le linee guida, è mirato alla individuazione di disturbi nasali necessitanti approfondimenti specialistici (2). Gli EE e i CC sono stati sottoposti a visita otorinolaringoiatrica comprendente rinofibroscopia. In particolare sono state valutate le alterazioni della mucosa quali l’iperemia, l’ipertrofia, la distrofia, l’atrofia, l’ulcerazione. È stata segnalata la presenza di secrezioni (sierose, mucose, purulente, ematiche) e di polipi. È stato effettuato lo studio citometrico sullo striscio nasale (a livello del turbinato inferiore sx) da tamponcino cotonato. Lo striscio nasale è stato esaminato al microscopio ottico (a 1000 X) per la conta della cellularità (neutrofili, eosinofili, basofili), con metodo di classificazione semiquantitativa (3) Per valutare le effettive differenze tra i risultati ottenuti negli EE e nei CC è stato utilizzato il rapporto di prevalenza (RP) con IC95%. RISULTATI I 50 EE hanno un’età media di 51,1 anni e un’anzianità lavorativa media nel settore della lavorazione del legno di 33,5 anni (tabella I). Gli EE sono falegnami addetti alla seconda lavorazione del legno per il 58% addetti alla lavorazione meccanica, 14% alla carteggiatura/levigatura, il 28% ad entrambe. Nel 98% dei casi gli EE utilizzano anche legni duri. Gli impianti di aspirazione collocati al piano di lavoro sono presenti da svariati anni nell’ambito del settore. La maschera protettiva delle vie aeree è utilizzata con regolarità solo nel 7% degli EE. L’aspiratore per il depolveramento non è mai utilizzato; il cambio d’abito al termine del lavoro è effettuato saltuariamente. La rinofibroscopia ha mostrato alterazioni macroscopiche della mucosa nel 44% degli EE e nel 33,4% dei CC (RP 1,32 IC95% 0,79 e 2,19). Le alterazioni più frequenti, in entrambe le popolazioni, sono l’iperemia e l’ipertrofia. Sono presenti in numero superiore negli EE alterazioni quali la distrofia e l’atrofia, ma il RP tra la presenza di alterazioni maggiori (quali distrofia, atrofia, ulcera) della mucosa degli EE e la presenza di alterazioni maggiori della mucosa dei CC è 2,40 con IC compreso tra 0,49 e 11,78. Alla rinofibroscopia è stata valutata la presenza di secrezioni a livello delle cavità nasali; il ristagno di secrezioni è possibile espressione di paralisi o rallentamento della clearance muco-ciliare. La prevalenza di secrezioni risulta più elevata negli EE (28% EE vs 11,4% CC PR 2,69 IC95% 1,05-6,89). L’applicazione del questionario mostra che poco meno della metà degli EE e dei CC segnalano un disturbo rinologico (PR 1,14 IC95% Tabella I. Statistica descrittiva 249 0,72-1,80); tuttavia il dato non concorda con le alterazioni della mucosa nasale macroscopicamente rilevate alla rinofibroscopia. L’analisi microscopica degli strisci nasali mostra 11 aumenti significativi dei granulociti neutrofili tra gli EE (2 in fumatori) e 5 tra i CC (nessuno fumatore); un caso tra gli EE di aumento significativo degli eosinofili (atopia non nota) ed uno tra i CC (atopia nota). Il RP tra il riscontro di citogramma alterato negli EE e la presenza di citogramma alterato nei CC è 1,92 con IC tra 0,78 e 4,71. Anche tra alterazioni citometriche e alterazioni mucose macroscopiche non c’è concordanza. DISCUSSIONE Alla base dell’indagine condotta vi era l’ipotesi che un accurato controllo della mucosa delle cavità nasali potesse evidenziare, in soggetti con elevata esposizione a PL, una significativa frequenza di alterazioni da attribuire all’effetto della prolungata esposizione a PL. I risultati ottenuti non sembrano confermare l’ipotesi. In effetti le alterazioni macroscopiche delle mucose sono moderatamente più frequenti negli EE rispetto al gruppo di controllo, ma tale differenza non raggiunge la significatività statistica. Le alterazioni dell’esame citometrico dello striscio nasale mettono in luce una maggior frequenza di soggetti con aumento dei granulociti, senza che tale differenza rispetto ai CC raggiunga la conferma statistica. La sintomatologia soggettiva nelle due popolazioni è praticamente sovrapponibile e non è in accordo con i rilievi macroscopici e microscopici. Soltanto la presenza di secrezioni nasali alla rinofibroscopia ha una frequenza più elevata negli EE rispetto ai CC, con conferma statistica (RP 2.69, IC95%: 1.05-6.89). I nostri risultati mettono in luce nei CC una inaspettata prevalenza di disturbi soggettivi (42%), di alterazioni della mucosa (33%), di aumento patologico dei granulociti (11%), dati sorprendenti se si considera che i CC svolgono attività lavorative “pulite”. Questi risultati possono essere interpretati come conseguenza di “insulti” di origine non professionale, ad esempio eventi di natura infettiva, allergopatie, abitudine al fumo, inquinamento atmosferico generale. Le infezioni nasali acute di natura virale e/o batterica non possono aver giocato alcun ruolo causale in quanto la loro presenza al momento dell’indagine è stata considerata criterio di esclusione dallo studio. Non può essere invece escluso un potenziale danno cronico causato dalla reiterazione di ripetuti eventi infettivi in soggetti predisposti. Il fumo di sigaretta, sembra avere scarsa rilevanza, in parziale contrasto con la letteratura (4) anche se il dato deve tener conto della limitata numerosità dei soggetti. Per quanto concerne l’inquinamento atmosferico possiamo osservare che le rilevazioni dell’ARPA evidenziano nell’area della bassa Brianza livelli di inquinamento elevati, non molto differenti da quelli dell’area urbana milanese. Assumendo come possibile l’azione dell’inquinamento atmosferico già segnalata in letteratura (4), i nostri risultati possono suggerire che l’effetto delle PL, di per sé di modesta entità, si sovrapponga agli effetti degli inquinanti atmosferici. Tuttavia, mentre per i quadri morfologici frequenti (iperemia, ipertrofia) gli eventuali effetti delle PL si confondono con quelli verosimilmente prodotti dall’inquinamento atmosferico, per le alterazioni più significative (quali distrofia, atrofia, ristagno delle secrezioni) dai nostri dati sembra di poter evidenziare un effetto più specifico delle PL, anche se la scarsa numerosità di tali quadri consente di raggiungere la significatività statistica solo per la presenza di secrezioni. Pur nei limiti di incertezza di queste considerazioni e in attesa di ulteriori conferme su popolazioni più ampie, si ritiene di poter già avanzare dubbi sull’utilità di adottare protocolli standard di sorveglianza sanitaria e sulla necessità di effettuare routinariamnete valutazioni specialistiche ORL per gli esposti a PL (come indicato dalle Linee Guida già citate in precedenza) (2). Non sembra di poter individuare indicatori utili per una possibile diagnosi precoce delle neoplasie naso-sinusali. La relativa modestia degli effetti a carico delle mucose nasali da noi riscontrata in soggetti con esposizione particolarmente elevata sembra suggerire che il dibattito attualmente in corso sulla riduzione dei TLV delle PL dovrebbe focalizzarsi sulla prevenzione della patologia allergica e delle neoplasie, e non sugli effetti irritativi. BIBLIOGRAFIA 1) IARC Monographs on the evaluation of carcinogenic risk to humans vol 62: Wood dust and formaldehyde, IARC Press, Lyon, 1995: 3-215. 2) Linee guida sull’applicazione del titolo VII 626/94 relative alle lavorazioni che espongono a polveri di legno duro. Coordinamento Tec- 250 G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it nico per la sicurezza nei luoghi di lavoro delle regioni e delle province autonome. Settembre 2002. 3) Naclerio RM: Rhinitis. Mechanism and Management. Lung biology and health disease Vol. 123 Executive editor: Claude Lenfant. 4) Benninger MS: The impact of cigarette smoking and environmental tobacco smoke n nasal and sinus disease: a review of the literature. Am J Rhinol 1999 Nv-Dec; 13(6): 435-8. 5) Leopold DA Pollution: The nose and the sinuses Otolaryngol Head Neck Surg. 1992 Jun; 106(6): 713-9. Review. COM-07 ADEGUATEZZA E AFFIDABILITÀ DELL’ORTOANALIZZATORE ERGOVISION NEL GIUDIZIO DI IDONEITÀ SPECIFICA B. Totaro1, R. Assini2, D. Consonni1, C. Guzzi1, P. Troiano3, R. Dal Pozzo2, M. D’Orso4, A. Bergamaschi5, B. Piccoli1 1 Dipartimento di Medicina Preventiva, IRCCS Fondazione Ospedale Maggiore, Mangiagalli e Regina Elena, Milano 2 Consorzio per lo Sviluppo della Salute Occupazionale ed Ambientale, Monza 3 Unità di Oftalmologia, IRCCS Fondazione Ospedale Maggiore, Mangiagalli e Regina Elena, Milano 4 Dipartimento di Medicina Clinica e Prevenzione, Università di Milano Bicocca, Milano 5 Istituto di Medicina del Lavoro, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma Corrispondenza: Bruno Totaro, Dipartimento di Medicina Preventiva, IRCCS Fondazione Ospedale Maggiore, Mangiagalli e Regina Elena, Milano, via S.Barnaba, 8, 20122 Milano, Tel. 02 50320152; 348.00.50.398, e-mail: [email protected] RIASSUNTO. Scopo dello studio è la valutazione della adeguatezza e validità dell’ortoanalizzatore Ergovision (OE), mediante confronto, in doppio cieco, con la visita ergoftalmica tradizionale, ai fini della formulazione del giudizio di idoneità specifica in Medicina del Lavoro. Abbiamo analizzato una popolazione di 100 operatori addetti a videoterminale. Ciascun soggetto è stato sottoposto sia alla visita ergoftalmica tradizionale (visita oftalmica più visita ortottica) che all’esame con l’ortoanalizzatore Ergovision. Alcuni test (visus per lontano, test bicromatico, test dell’astigmatismo, test delle forie, test della fusione), effettuati con l’ortoanalizzatore Ergovision, non risultano concordanti con la visita ergoftalmica tradizionale. In particolare è stata riscontrata una percentuale di falsi positivi in questi test, che può indurre alla richiesta di ulteriori esami, non altrimenti necessari. Per queste ragioni si ritiene che Ergovision non sia uno strumento appropriato per la valutazione dell’idoneità specifica in Medicina del Lavoro. Parole chiave: videoterminale, ortoanalizzatore Ergovision, giudizio di idoneità. ADEQUACY AND RELIABILITY OF ORTHOANALYZER ERGOVISION FOR JOB- FITNESS EVALUATION ABSTRACT. The aim of this research was to evaluate the Ergovision Screener (ES) accuracy e validity by a confrontation with the conventional ophthalmic check (OC), for the medical evaluation of job fitness. A population of 100 VDU operators was considered. Each subject underwent randomly both the ES and the ophthalmic check visit. Several test carried out by the Ergovision Screener were not consistent with the conventional ophthalmic check. In a number of cases, high false positive ratio have been found, which could lead to unnecessary further examinations. For all these reasons we believe that the ES is not an appropriate instrument for the medical evaluation of job fitness. Key words: VDU, Ergovision screener, job fitness. INTRODUZIONE L’apparato visivo è fortemente sollecitato dal lavoro svolto al videoterminale a causa delle caratteristiche di tale attività: la protratta osservazione per vicino (distanza inferiore a un metro), in condizioni statiche, fa sì che venga a mancare il fisiologico meccanismo di alternanza “vicino-lontano”). Questo tipo di lavoro, infatti, richiede spesso un’intensa attivazione dei meccanismi di accomodazione e convergenza e costituisce una causa frequente di astenopia occupazionale (1, 2). Nel 1990 l’Unione Europea ha emanato una direttiva sul “minimum safety and health requirements for work with display screen equipment” (3). La direttiva include un articolo (articolo 9) di notevole rilevanza per i lavoratori addetti a VDU in quanto presuppone che ognuno di questi lavoratori (fatte salve alcune eccezioni) venga sottoposto a specifici controlli della funzione visiva. Inoltre, la direttiva richiede che i lavoratori vengano sottoposti a questi test “prima di essere avviati al lavoro a VDU, successivamente a intervalli regolari, e ogni qualvolta l’operatore manifesti difficoltà visive, che possano essere correlate al lavoro allo schermo”. Ulteriori accertamenti oftalmici, qualora i precedenti esami ne rivelino la necessità, vengono eseguiti in seguito. In accordo con questa normativa, nell’Unione Europea, molti medici del lavoro, così come molti altri professionisti del campo, stanno implementando i programmi di sorveglianza sanitaria per gli addetti al videoterminale. In tale contesto, la funzionalità visiva può essere valutata con due differenti modalità: tramite la visita ergoftalmica tradizionale oppure tramite l’uso degli ortoanalizzatori, apparecchiature appositamente progettate per permettere a un operatore medico o paramedico, che non abbia necessariamente competenze oftalmiche, di eseguire alcuni test visivi. Per esempio, uno degli ortoanalizzzatori più diffusi, l’ortoanalizzatore Ergovision, viene proposto dalla ditta produttrice come direttamente utilizzabile dal medico del lavoro (4). La scelta del secondo metodo (visita con ortoanalizzatore) è probabilmente ascrivibile al minor impatto economico (i test con ortoanalizzatore costano meno della visita oftalmica tradizionale) e al risparmio in termini di tempo da parte sia dei lavoratori che del personale medico. Scopo del nostro studio è la valutazione della validità dell’ortoanalizzatore Ergovision ai fini della formulazione del giudizio di idoneità specifica, mediante confronto, in doppio cieco, con la visita ergoftalmica tradizionale, considerata a tutt’oggi il “gold standard”. MATERIALE E METODI Abbiamo analizzato una popolazione di 100 operatori addetti a VDT/PC inviata al nostro Dipartimento da aziende ed imprese del territorio, in ottemperanza agli obblighi relativi alla sorveglianza sanitaria. Non è stata effettuata alcuna selezione riguardo i difetti visivi, l’età, il sesso e le mansioni specifiche degli addetti a VDU da esaminare. Ciascun soggetto è stato sottoposto sia alla visita ergoftalmica tradizionale (visita oftalmica più visita ortottica, realizzate da due distinte figure professionali) che all’esame con l’ortoanalizzatore Ergovision. Sono stati eseguiti con Ergovision i seguenti test: acuità visiva monoculare per lontano, valutazione dell’ipermetropia e dell’astigmatismo, test bicromatico per valutare l’adeguata correzione di eventuali difetti della refrazione, acuità visiva binoculare per vicino, fusione, forie nella visione per lontano, valutazione del senso cromatico e stereopsi. I test sono stati somministrati da un medico del lavoro con un anno di esperienza nell’utilizzo di questo apparecchio. Lo strumento è dotato delle seguenti caratteristiche: è facilmente trasportabile, leggero (13 kg) e compatto (37 x 40 x 45 cm). Può eseguire sei test di base automatici e tredici test manuali. Una voce registrata guida il paziente sulla procedura da seguire. L’operatore è presente per registrare le risposte e intervenire in caso di necessità. La visita oftalmica tradizionale, condotta da un oculista e da un ortottista, consisteva in: esame degli annessi oculari, valutazione della refrazione, esame delle camere oculari anteriore e posteriore (in miosi), valutazione completa della motilità oculare (forie, punto prossimo di accomodazione e convergenza, stereopsi), valutazione del senso cromatico. Gli esami ergoftalmici tradizionali e quelli con ortoanalizzatore Ergovision sono stati effettuati in un’unica giornata, in doppio cieco, in due diverse strutture del dipartimento. L’intero gruppo è stato sottoposto a controllo in un periodo complessivo di dodici settimane. Quattordici soggetti sono stati esclusi dallo studio per i seguenti motivi: 1 soggetto per una severa riduzione dell’udito, 6 soggetti perché stranieri con difficoltà di comprensione della lingua italiana, 7 perché non collaboranti ad una o entrambe le visite. Per i test che presentavano risposte interpretabili quali variabili qualitative abbiamo calcolato: sensibilità (Se) e specificità (Sp), valore predittivo positivo (VPP), valore predittivo negativo (VPN) ed i loro intervalli di confidenza al 95% (IC). Per valutare invece i test inquadrabili con variabili quantitative abbiamo usato il coefficiente di concordanza di Lin (5, 6) e il metodo di Altman e Bland (7, 8, 9). RISULTATI Alcuni test, quali il controllo del visus per lontano, il test bicromatico, il test dell’astigmatismo, il test delle forie, il test della fusione, effettuati con G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it l’ortoanalizzatore Ergovision non risultano concordanti con la visita oftalmica tradizionale. In particolare è stata riscontrata un’alta percentuale di falsi positivi, che può indurre alla richiesta di ulteriori esami non necessari. L’analisi statistica ha incluso 86 soggetti (43 maschi e 43 femmine), con un’età compresa fra i 19 e i 65 anni (età media 34.7 anni), dipendenti di varie aziende, situate nell’area metropolitana milanese. I risultati dei test effettuati con l’ortoanalizzatore Ergovision, confrontati con la visita ergoftalmica tradizionale, sono riportati nella tabella I, in allegato. DISCUSSIONE La “visione per lontano” valutata dall’ortoanalizzatore Ergovision sottostima di circa un decimo l’acuità visiva. Questo risultato è probabilmente dovuto a due caratteristiche dello strumento: la prima è inerente alla possibile ansia indotta nel soggetto esaminato dal dover rispondere in un tempo pari a tre secondi (secondo quanto determinato dalla voce registrata) e non oltre. La seconda consiste nel fatto che il soggetto deve scegliere almeno 4 lettere e/o numeri da una lista di dieci segni che compaiono sullo schermo dell’ortoanalizzatore, mentre nella visita tradizionale le lettere e i simboli sono direttamente indicati sull’ottotipo dall’esaminatore. Nella nostra esperienza, durante questi test effettuati con Ergovision, una buona percentuale dei soggetti non comprende esattamente cosa gli viene richiesto e presenta difficoltà nel mantenere la concentrazione necessaria. Il compito risulta molto più agevole con il metodo tradizionale dell’ottotipo. Il test della lente addizionale per la valutazione dell’ipermetropia, presentato solo a quei soggetti con un’acuità visiva per lontano superiore agli 8/10, grazie all’aggiunta di una lente +1.00 D, evidenzia quanti possiedono una tendenza all’ipermetropia superiore a 1 D. In caso di assenza di correzione o nel caso di ipocorrezione, il soggetto ipermetrope non registra una sostanziale differenza nella capacità visiva tra le due condizioni (con o senza lente aggiunta). Il test non discrimina tra media e severa ipermetropia. Il test bicromatico, somministrato in automatico, sovrastima la tendenza all’ipermetropia e i soggetti con miopia ipercorretta (falsi positivi 29%). Inoltre, nel caso il soggetto dia una risposta negativa (sulla scorta del messaggio vocale registrato), tre opzioni possono essere possibili e risultare indistinguibili: una ametropia ben corretta, una tendenza alla miopia o una miopia non adeguatamente corretta. Il test dell’astigmatismo consiste nell’indicare le rette più scure o più nitide tra le sette linee visibili nel display dello strumento. Si sono registrati il 38% di falsi positivi, probabilmente attribuibile al fatto che l’astigmatismo fisiologico (+0,50) è incluso nel gruppo dei casi patologici. Nel test delle forie, sia esso automatico o manuale, l’OE non discrimina le tropie dalle forie. Quando il test è somministrato in automatico, se si vuole distinguere le exoforie dalle esoforie o le ipoforie dalle iperforie, l’operatore deve rivolgere delle domande specifiche, le cui risposte sono da annotare sull’apposito questionario. Tuttavia il test non può indagare le forie per vicino, essenziali per la sorveglianza sanitaria di un lavoratore addetto a VDU. Per quanto riguarda il test che valuta la visione binoculare per vicino, l’OE misura adeguatamente l’acuità binoculare ma non riporta l’acuità visiva monoculare, come avviene di norma con la visita oftalmica tradizionale, durante la quale questa viene misurata (solitamente in classi di Jaeger o di De Wecker) con, se necessaria, la prescrizione dell’appropriata correzione. Il test della stereopsi è chiaro, semplice e affidabile. Il test della fusione (che indaga VBS, disparità di fissazione, soppressione e visione alternata) è realizzabile solo nella visione da lontano, mentre nella visita ergoftalmica tradizionale è valutata altresì nella visione per vicino. Il test della fusione fornisce 16 casi falsi positivi (19%), ma 15 di questi riguardano la disparità di fissazione. Secondo le indicazioni del Manuale d’Uso Ergovision già citato, questi casi sono stati sottoposti a controllo oftalmico e, a seguito di questo, dichiarati completamente idonei. Infine, il test per la valutazione del senso cromatico è molto ben strutturato, superiore all’analogo somministrato dall’oftalmologo, ed è costituito da due tavole di Lanthony e da sei tavole di Ishihara. CONCLUSIONI Alcuni test condotti con l’ortoanalizzatore Ergovision non risultano concordanti con la visita oftalmica tradizionale. Test indispensabili, come le forie da vicino e l’acuità visiva monoculare per vicino non sono inclusi nella dotazione Ergovision. Inoltre, se il soggetto è un ametrope non corretto o inadeguatamente corretto, alcuni test con Ergovision hanno valore limitato e devono essere ripetuti dopo adeguata correzione. In un certo numero di casi è stata riscontrata un’alta percentuale di falsi positivi, che può indurre alla richiesta di ulteriori esami non necessari. Numerosi, 251 tra i test eseguiti con l’OE sono apparsi discordanti rispetto al gold standard. Accanto a ciò va rilevata l’importanza per il MLC di disporre anche di informazioni circa l’eventuale esistenza di patologie oculari degenerative e/o infettive, come alterazioni della superficie oculare, cataratta, malattie retiniche, congiuntiviti ricorrenti, ecc., non ottenibili mediante i test con OE, ma che tuttavia possono avere rilevanti ripercussioni e nella formulazione del giudizio di idoneità e sulla prestazione del lavoratore addetto a videoterminale, sia in relazione all’insorgenza di disturbi visivi o/e oculari, che in termini di peggioramento della funzione visiva. Per i motivi esposti, questi aspetti costituiscono un problema importante per ogni medico del lavoro, in particolare quando viene richiesta una conferma del giudizio di idoneità specifica. Infine, va tenuto presente un aspetto sostanziale: quando l’esame con Ergovision viene condotto da un operatore non qualificato (per es. staff paramedico, tecnici od altro), l’esame deve essere sottoscritto dal MLC, che diviene quindi responsabile di tutte le possibili implicazioni di carattere clinico e medico legale. Per tutte queste ragioni si ritiene che Ergovision non sia uno strumento appropriato per la valutazione dell’idoneità specifica nei lavoratori addetti a videoterminale. Tabella I. Test Ergovision confrontati con i risultati della visita ergoftalmica tradizionale BIBLIOGRAFIA 1) ILO, Working with display units. Occupational safety and health Series, 61, 1989. 2) ICOH Scientific Committee on Work and Vision, Critical appraisal of current knowledge and future directions of ergophthalmology. Consensus Document of the ICOH Scientific Committee on “Work and Vision”. Ergonomics; 46, 384-406, 2003. 3) COUNCIL DIRECTIVE of 29 May 1990 on the minimum safety and health requirements for work with display screen equipment (fifth individual Directive within the meaning of Article 16 (1) of Directive 87/391/EEC) (90/270/EEC). 4) Ergovision, Manuale d’utilizzo, Milano, Essilor Editore, 2003. 5) Lin L. A concordance correlation coefficient to evaluate reproducibility. Biometrics 45, 255- 268, 1989. 6) Lin L. Assay validation using the concordance correlation coefficient. Biometrics, 48, 599-604, 1992. 7) Bland J.M, Altman D.G. Statistical methods for assessing agreement between two methods of clinical measurement. Lancet 8, 307-310, 1986. 8) Bland J.M, Altman D.G. Measuring agreement in method comparison studies. Statistical methods in medical research 8, 135-60, 1989. 9) Bland J.M. An introduction to medical statistics, terza edizione. Oxford University Press, 2000. 252 G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it COM-08 LA VALUTAZIONE ERGOFTALMICA PREVENTIVA DEI POSTI DI LAVORO NEI CALL CENTER: UN VALIDO STRUMENTO DI PREVENZIONE DEI DISTURBI ASTENOPICI OCCUPAZIONALI M.I. D’Orso1, R. Assini3, E. Gallo3, A. Magrini4, A. Bergamaschi5, B. Piccoli2 1 Dipartimento di Medicina Clinica e Prevenzione - Università di Milano Bicocca 2 Dipartimento di Medicina del Lavoro - IRCCS Fondazione Ospedale Maggiore, Mangiagalli e Regina Elena 3 Consorzio per lo Sviluppo della Medicina Occupazionale ed Ambientale - Monza 4 Cattedra di Medicina del Lavoro - Università di Roma Tor Vergata 5 Istituto di Medicina del Lavoro - Università Cattolica del Sacro Cuore Roma Corrispondenza: Marco D’Orso, Dipartimento di Medicina Clinica e Prevenzione, Università di Milano Bicocca - Via Donizzetti 12, Monza (MI), Tel. 335 6452190, Fax 039 2397403, e-mail: [email protected] RIASSUNTO. La valutazione della adeguatezza dei lay-out delle postazioni VDT/PC nei call center, se effettuata preventivamente rispetto all’inizio della attività lavorativa, richiede un approccio interdisciplinare tra le figure professionali che si occupano di promozione della salute dei lavoratori. Tale valutazione, però, può consentire una riduzione rilevante di quella sintomatologia astenopica frequentemente riferita dagli operatori dei call center e conseguentemente rendere non necessari quei complicati e costosi interventi di modifica strutturale dei lay-out che spesso diventano necessari per ridurre i disturbi oculo-visivi riferiti dai lavoratori. Parole chiave: call center, VDT/PC, astenopia occupazionale, prevenzione primaria. THE PREVENTIVE ERGOPHTHALMIC EVALUATION OF WORK PLACES IN CALL CENTERS: A USEFUL INSTRUMENT FOR THE PREVENTION OF WORK RELATED ASTHENOPIC SYMPTOMS ABSTRACT. The study of a correct lay-out of work places equipped with VDT/PC in call centres, if carried out before the beginning of work activities needs an interdisciplinary cooperation among OH&S operators. However, such a preventive evaluation can relevantly reduce onset and severity of asthenopic symptoms frequently reported by this kind of operators. Consequently, such preventive evaluation can avoid the necessity of carrying out those complex and expensive structural lay-out modifications, which are frequently needed to reduce VDT/PC workers’ asthenopic symptoms. Key words: call center, VDT/PC, occupational asthenopia, primary prevention. INTRODUZIONE I lavoratori che utilizzano videoterminali o personal computer (VDT/PC) giornalmente e per un numero considerevole di ore, sono esposti ad un rilevante impegno visivo ravvicinato, protratto e statico. Un impegno visivo con queste caratteristiche è possibile causa o concausa dello sviluppo di disturbi da affaticamento visivo che infatti vengono frequentemente riferiti da tali lavoratori. I disturbi astenopici hanno un’eziopatogenesi multifattoriale e possono essere validamente inquadrati solo tramite una valutazione completa dei possibili fattori causali che sono usualmente suddivisi in lavorativi, individuali (oftalmici o psicosociali), ambientali (fisici, chimici, biologici) (1, 2). Si comprende, pertanto, come i casi di astenopia occupazionale riferiti dai lavoratori possano venir ridotti solo mediante complesse indagini ambientali a cui spesso devono essere associati costosi interventi di modifica del lay-out delle postazioni lavorative. I call center sono ambienti lavorativi di particolare concezione, caratterizzati da attività lavorative che comportano un utilizzo di VDT/PC particolarmente rilevante, costituendo infatti l’utilizzo di queste apparecchiature, pur effettuato nei singoli call center con modalità molto eterogenee, l’aspetto operativo sempre predominante nei compiti svolti. Ambienti lavorativi ove le attività con VDT/PC siano così particolarmente rilevanti, paiono rappresentare, anche secondo i dati riportati in letteratura, condizioni lavorative meritevoli di mirate indagini e ricerche circa le possibili conseguenze dell’impegno visivo per vicino sulla funzione visiva dei lavoratori. MATERIALI E METODI La ricerca muove dall’ipotesi che le spese necessarie per i frequenti interventi strutturali sui lay-out delle postazioni di lavoro dotate di VDT/PC resisi necessari per ridurre la prevalenza di astenopia sarebbero evitabili, o quantomeno sostanzialmente riducibili, ove la progettazione delle postazioni fosse effettuata applicando al meglio le conoscenze già disponibili sulla fisiopatologia oculo-visiva. Ciò dovrebbe prevedere, già nella fase di progettazione degli ambienti di lavoro, una interdisciplinare collaborazione tra i vari operatori tecnico/sanitari delle imprese che si occupano di promozione della salute e della sicurezza sul lavoro ed hanno competenze diverse ma complementari. Si riporta l’esperienza condotta in un call center di una impresa del settore telecomunicazioni che occupa 358 lavoratori, tutti rientranti nella definizione di videoterminalista ad oggi stabilita nel Titolo VI del D.Lgs. 626/94. In occasione della attivazione del call center su nuove basi organizzative, l’impresa ha ritenuto opportuno studiare, prima dell’inizio delle attività lavorative, le caratteristiche strutturali ed ambientali delle postazioni lavorative che si sarebbero adottate, attivando un gruppo di studio, composto dai tecnici della progettazione, della sicurezza e dal Medico del Lavoro. Scopo della attività del gruppo di studio era la ottimizzazione delle caratteristiche dell’ambiente, della tipologia delle postazioni e del relativo lay-out. Durante più riunioni appositamente dedicate, sono state analizzate le caratteristiche dimensionali ed illuminotecniche delle singole postazioni lavorative, unitamente alle caratteristiche microclimatiche dei locali ed alle possibili fonti di inquinamento indoor, definendo le specifiche del sistema di ventilazione e di condizionamento dei locali. Si sono inoltre considerate le necessità igieniche dei locali, valutando l’adeguatezza dei capitolati di appalto dei servizi di pulizia. Nei mesi immediatamente successivi all’inizio delle attività lavorative, i lavoratori del call center sono stati sottoposti a visita ergoftalmica da uno specialista, al fine di verificarne le condizioni visive cliniche e funzionali, con particolare riguardo alla eventuale presenza di astenopia occupazionale, secondo gli orientamenti delle Linee Guida della SIMLII (3). Si sono valutati, infine, i risultati ottenuti nella valutazione dei disturbi astenopici emersi dalle visite ergoftalmiche comparandoli con quanto emerso dalle ricerche riportate nella letteratura nazionale ed internazionale e da studi effettuati in altri call center dell’impresa. RISULTATI Il gruppo di studio attivato ha proceduto nella effettuazione del compito assegnato, che è stato conseguito mediante numerosi incontri articolatisi in un periodo di 6 mesi. L’inizio dei lavori è stato sicuramente difficoltoso, dovendo necessariamente ciascun singolo componente del gruppo procedere ad una personale riorganizzazione delle proprie conoscenze disciplinari al fine di riorientare il proprio apporto tecnico e scientifico con modalità tali da consentire un complessivo approccio interdisciplinare al lavoro del gruppo. Il gruppo di studio, dopo nove incontri tematici, ha messo a punto un progetto di lay-out per il call center rispondente alla normativa specifica di riferimento, nonché alle linee guida disponibili sull’argomento (tabella I). Si evidenzia peraltro come le specifiche tecniche del lay-out consigliate, che l’impresa ha poi ritenuto di adottare, per molti dei parametri strutturali oggetto di studio siano state anche più stringenti e complete rispetto ai vincoli minimali previsti dalle specifiche norme di riferimento. L’età media dei lavoratori inclusi nel gruppo valutato era pari a 29,5 anni, i lavoratori erano per la maggioranza (72,7%) femmine. La maggioranza dei lavoratori (69,1%) era assunto con un contratto a tempo indeterminato, mentre la rimanente parte era o assunta con contratto a tempo determinato o era composta da lavoratori interinali. La sorveglianza sanitaria, effettuata dopo almeno due mesi dall’ini- G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it Tabella I. Alcune specifiche tecniche e strutturali definite per il lay-out del call center Spazio minimo per posto di lavoro (4,0m - 6,5m) Indice di riflessione della luce per tutti gli elementi architettonici dell’ufficio <70% Certificazione dai fornitori di assenza di emissione formaldeide ed inquinanti chimici dagli arredi Schermatura luce naturale con veneziane o altro mezzo atto a mantenere uniformità flusso luminoso Umidità relativa non inferiore al 45% Velocità dell’aria non superiore a 1,5 m/sec a livello della postazione di lavoro Ricambio di aria nei locali: almeno 40 metri cubi/ora per persona Temperatura: estiva non superiore a 27 °C, invernale non inferiore a 20 °C Illuminazione artificiale solo con fonti di luce indirette, colore bianco a tonalità calda Rumorosità ambientale non superiore a max 55 dBA come rumore di fondo di picco Valutazione per ogni postazione degli illuminamenti ai piani di lavoro (lux) e delle luminanze nel campo visivo professionale (cd/m2). Presenza costante di possibilità di modulazione dell’intensità dell’impianto di illuminazione. zio della attività lavorativa nel call center, ha consentito di verificare che solo 11 (3,0%) dei lavoratori esposti a uso di VDT/PC lamentava la presenza di una sintomatologia astenopica rilevante. I risultati della sorveglianza sanitaria effettuata sui lavoratori del call center oggetto della ricerca, comparati, sia con i principali lavori sui call center presenti nella letteratura nazionale ed internazionale, sia con i dati della sorveglianza sanitaria di altri call center della stessa impresa, presentano prevalenze di astenopia occupazionale più favorevoli (P<0.01). Le visite mediche ed oftalmiche hanno permesso di definire 256 casi (71,5%) di idoneità completa e 102 casi (28,5%) di idoneità con prescrizione. Tra queste prescrizioni 75 sono state relative alla necessità di fornire una correzione oculare della rifrazione per lavoratori che ne erano privi o una diversa correzione rifrattiva a lavoratori che ne portavano una non adeguata. Le rimanenti prescrizioni erano da riferire a problematiche non visive, prevalentemente di tipo osteo-muscolare. Si sottolinea che tutti gli 11 operatori che riferivano astenopia occupazionale erano ricompresi tra i lavoratori che presentavano una rifrazione oculare non adeguatamente corretta. La valutazione delle specifiche previste nel capitolato della gestione delle pulizie dei locali si è rivelata sicuramente insufficiente in relazione ad una serie di parametri presi in considerazione. I parametri valutati sono stati: numero complessivo di lavoratori che accedono ai locali, monte ore complessivo di ore di lavoro passate dai lavoratori nei locali, numero di servizi igienici in rapporto ai lavoratori, orario complessivo di apertura dei locali sulle 24 ore. Sulla base delle valutazioni effettuate si è raccomandato alla impresa di procedere ad una integrazione sostanziale del capitolato di pulizie previste. DISCUSSIONE I risultati ottenuti hanno evidenziato come un preventivo studio sulle modalità di strutturazione dei posti di lavoro di locali adibiti a call center possa ridurre significativamente la presenza di astenopia occupazionale nei lavoratori addetti ad utilizzo di VDT/PC, rispetto a quanto rilevato in letteratura (4,5,6). Ciò è tuttavia realizzabile solo mediante incontri e confronti tra le figure professionali che si occupano di tutela della salute dei lavoratori nelle imprese che, al di là delle personali singole competenze, devono agire in modo interdisciplinare nelle analisi e decisioni relative alla messa a punto del progetto. La scelta della impresa di procedere alla adozione di specifiche tecniche rigorose nella strutturazione dei locali che non solo rispecchiassero i vincoli imposti dalla normativa ma fossero anche più cautelative su molti dei parametri valutati, sicuramente ha ottimizzato i risultati ottenuti dal gruppo di studio, giustificando anche in parte i favorevoli risultati ottenuti dalla attività di sorveglianza sanitaria. 253 La sorveglianza sanitaria, effettuata nei primi mesi della attivazione del nuovo call center, ha anche evidenziato una serie di situazioni cliniche oftalmiche che hanno indotto specifiche personalizzate prescrizioni che hanno con ogni probabilità consentito di evitare anche per il prossimo futuro che un rilevante numero di lavoratori potesse sviluppare per fattori fisiopatologici oculovisivi personali casi di astenopia occupazionale rilevante. L’età media molto bassa dei lavoratori giustifica, in parte, la contenuta sintomatologia astenopica rilevata, limitando il numero di lavoratori presbiti presenti nella popolazione studiata rispetto al dato usuale nella popolazione generale. La sorveglianza sanitaria è sicuramente un elemento valido in senso prospettico per mantenere bassa nel tempo la attuale contenuta numerosità di casi di disturbi astenopici ma una conferma in tal senso dovrà derivare dalla programmata ripetizione dello studio sulla sintomatologia astenopica che sarà condotto periodicamente a tutti i lavoratori del call center. La procedura attivata nella predisposizione del nuovo call center sembra aver riscontrato il gradimento dei lavoratori che infatti non hanno evidenziato, a tutt’oggi, particolari richieste di modifiche di tipo strutturale degli ambienti e delle postazioni di lavoro al contrario di quanto avvenuto in passato in altri call center dell’impresa, evitando quindi costi rilevanti e difficoltà organizzative e gestionali. CONCLUSIONI Una valutazione preventiva dei possibili fattori ambientali causali o concausali di astenopia occupazionale, effettuata al fine di attivare le postazioni di lavoro in modo adeguato sotto il profilo ergonomico (strutturale e del lay-out), sembra aver favorito un contenuta insorgenza di disturbi oculo-visivi nella popolazione considerata di addetti al call center. Conseguentemente è stato deciso dall’impresa di estendere la procedura utilizzata in questa situazione a tutti i call center di prossima nuova attivazione nell’impresa. Pur nella difficoltà dovuta alla necessità di attivare gruppi di lavoro interdisciplinari di non facile gestione, si ritiene che la scelta di effettuare una valutazione preventiva degli ambienti e delle caratteristiche strutturali delle postazioni di lavoro dotate di VDT/PC sia stata sicuramente positiva e possa diventare in futuro una prassi usuale presso questa impresa e suggerita per altre realtà lavorative similari. BIBLIOGRAFIA 1) D’Orso M, Cavallo D, et al. Relations between occupational asthenopia and work organization: results of an investigation, Proceedings Healthy Buildings Congress, 1431-5, 1995. 2) ICOH Scientific Committee on work and vision, Critical appraisal of current knowledge and future direction of ergophthalmology - Consensus document, Ergonomics 46: 384-406. 3) SIMLII, Linee guida per la sorveglianza sanitaria negli addetti ad attività lavorativa con videoterminali, Maugeri Foundation books, Pavia 2003. 4) Linee Guida per il lavoro nei call center, Azienda Sanitaria Locale Città di Milano, 2007. 5) Piccoli B, D’Orso M, Troiano P, et al, Significance and role of working condition analysis in ergophthalmological surveillance of vdu operators, Selected paper of Work With Display Unit 92, Elsevier Amsterdam 263-267, 1993. 6) Scullica L, Rechichi C, The influence of refractive defects on the appearance of asthenopia in subjects employed at VDT, Bollettino di Oculistica supp. 7, 68: 25-48, 1989. COM-09 ANALISI E VALUTAZIONE DELL’IMPEGNO VISIVO IN OPERATORI ADDETTI AL TELECONTROLLO DEL TRAFFICO PUBBLICO MEDIANTE SISTEMI INFORMATIZZATI F. Gullà(1), P. Zambelli(2), A. Bergamaschi(1), B. Piccoli(2) (1) Istituto di Medicina del Lavoro - Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma (2) Dipartimento di Medicina del Lavoro - IRCCS Fondazione Ospedale Maggiore, Mangiagalli e Regina Elena, Milano 254 G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it Corrispondenza: Francesca Gullà - Istituto di Medicina del Lavoro Università Cattolica del Sacro Cuore - Roma, Largo Gemelli, 1 00168 Roma - Tel. 3381812074 - e-mail: [email protected] RIASSUNTO. Scopo della ricerca è stata la quantificazione obiettiva, mediante strumentazione elettronica, dell’impegno visivo in 6 operatori (4 uomini e 2 donne, età media 29,6 anni, range 43-26 anni) addetti al controllo di situazioni di traffico pubblico. La strumentazione elettronica utilizzata è in grado di rilevare tempo e distanza di osservazione misurando la latenza temporale tra l’emissione di ultrasuoni a 40 KHz da un sensore “emittente” (posto in posizione mediana nella postazione di lavoro) e la conseguente loro ricezione da parte di uno “ricevente” (posizionato sulla fronte dell’operatore in esame), noto che la velocità di propagazione del suono nell’aria è costante (circa 340 m/sec). La registrazione ha permesso di valutare analiticamente il tempo e la distanza media di osservazione all’interno del “campo visivo professionale” (c.v.p.) di ciascun operatore. I risultati evidenziano che negli operatori studiati l’acutezza visiva teorica richiesta (funzione dell’angolo sotteso dalle mire professionali) è di livello medio (circa 4,4 - 4,9 decimi), mentre i carichi accomodativo e di convergenza variano da medio a intenso (a seconda delle caratteristiche visive dell’operatore considerato), essendo compresi tra il 26,41% ed il 43,92% dell’accomodazione e della convergenza teoricamente disponibili nel soggetto. Il tempo effettivamente trascorso “in osservazione per vicino all’interno del c.v.p.” (Tscr), si è mantenuto tra le 2h 54’ e le 4h 05’. Parole chiave: impegno visivo, astenopia occupazionale, D. Lgs. 626/94. ANALYSIS AND EVALUATION OF THE VISUAL EFFORT IN REMOTE-CONTROL PUBLIC TRAFFIC OPERATORS WORKING WITH COMPUTER-BASED EQUIPMENTS ABSTRACT. The aim of this study is the objective evaluation of the visual effort in 6 pubblic traffic controllers (4 male, 2 female, mean age 29,6), by means of electronic equipment. The electronic equipment quantify the observation distance and the observation time for each controller’s occupational visual field. The quantification of these parameters is obtained by the emission of ultrasound at 40 KHz from an emission sensor (placed by the VDT screen) and the ultrasound reception by means of a receiving sensor (placed on the operator’s head). The travelling time of the ultrasound (US), as the air speed is known and costant (about 340 m/s), it is used to calculate the distance between the emitting and the receiving sensor. The results show that the visual acuity required is of average level, while accomodation’s and convergence’s effort vary from average to intense (depending on the visual characteristics of the operator considered), ranging from 26,41 and 43,92 % of accommodation and convergence available in each operator. The time actually spent in “near observation within the c.v.p.” (Tscr) was maintained in a range from 2h 54’ and 4h 05’. Key words: visual effort, occupational asthenopia, Decree No. 626/94. INTRODUZIONE Le moderne attività lavorative sono sempre più caratterizzate da compiti che richiedono un impegno visivo definibile come “ravvicinato, protratto e statico” (1). L’apparato visivo, anatomicamente strutturato per una fisiologica alternanza tra visione per vicino e visione per lontano (2-3), durante lo svolgimento di questi compiti è invece impiegato come un effettivo strumento di lavoro sottoposto a continue e spesso antifisiologiche sollecitazioni. L’osservazione protratta di minimi dettagli comporta un impegno costante ed intenso di meccanismi visivi che per la loro intrinseca conformazione non possono essere mantenuti attivi per molte ore consecutivamente, se non al prezzo di un affaticamento, con possibile insorgenza di astenopia occupazionale (4). Scopo della ricerca è stata la quantificazione obiettiva, presso diverse postazioni di un centro di controllo di mezzi per il trasporto pubblico, dell’impegno visivo p. v. in sei operatori, al fine di valutare la durata dell’esposizione occupazionale a VDT/PC, anche in rapporto con quanto richiesto dal D. Lgs. 626/94 (titolo VI). MATERIALI E METODI La quantificazione dell’impegno visivo, in accordo con quanto proposto dalla SIMLII (5), può essere effettuata nei seguenti quattro modi, ad attendibilità progressivamente crescente: valutazione soggettiva/anamne- Figura 1 stica; valutazione mediante “group discussion”; valutazione mediante osservazione diretta con quantificazioni estemporanee; valutazione strumentale obiettiva. Nella presente ricerca è stata effettuata, su 6 operatori (4 maschi e 2 femmine) in tre diverse giornate lavorative, una valutazione strumentale obiettiva mediante una apposita strumentazione elettronica (6). Tale strumentazione si avvale di due sensori ad ultrasuoni (uno emittente ed uno ricevente), collegati ad una centralina che gestisce tali unità periferiche ed un computer che memorizza i dati acquisiti. Il posizionamento del sensore emittente è avvenuto dopo osservazione degli operatori considerati, impegnati nello svolgimento delle diverse fasi di lavoro. Ciò al fine di analizzare in dettaglio i compiti lavorativi e meglio comprendere quale dovesse esserne, nell’ambito delle postazioni, la localizzazione più appropriata anche in funzione del relativo campo visivo professionale (6). Il sensore emittente è stato posizionato su uno degli schermi presenti nella postazione di lavoro studiata, quello ricevente sulla fronte dell’operatore in esame (la figura 1 ne mostra un esempio, non relativo alle postazioni studiate). L’apparecchiatura è in grado di rilevare tempo e distanza di osservazione misurando la latenza temporale tra l’emissione da un sensore “emittente” di ultrasuoni a 40 KHz e la conseguente loro ricezione da parte di uno “ricevente”, noto che la velocità di propagazione del suono nell’aria è costante (circa 340 m/sec). Quando l’operatore, pur rimanendo seduto alla postazione di lavoro, pone lo sguardo al di fuori del c.v.p., e cioè al di fuori del campo di ricezione prestabilito, o quando fissa oggetti oltre 115 cm di distanza dal sensore emittente, l’apparecchio regista un segnale di out (esclusione del dato). Uno specifico software permette una elaborazione immediata preliminare dei dati registrati dal computer (tempo di registrazione, tempo mantenuto alla postazione di lavoro, distanza media di osservazione, deviazione standard, tempo al vdt, tempo out). Sulla base dei dati rilevati è stata poi calcolata l’entità degli angoli minimi sottesi dai più piccoli dettagli che devono essere discriminati dall’operatore (lettere e dei simboli che compaiono all’interno del suo c.v.p.), in accordo con il metodo proposto da A. Grieco e coll. (7). Partendo dall’angolo sotteso è possibile calcolare le relative acuità visive richieste. Infine, si sono quantificate accomodazione e convergenza medie utilizzate dall’operatore per i suoi compiti lavorativi alla postazione. RISULTATI Gli impegni visivi connessi ai compiti lavorativi dei sei operatori studiati sono schematicamente sintetizzabili nel controllo e monitoraggio della situazione in atto, mentre vengono effettuati coordinamenti con un collega per la gestione delle attività. I dati ottenuti dalle rilevazioni consentono l’elaborazione di alcuni parametri essenziali per la valutazione dell’impegno visivo richiesto dai compiti lavorativi svolti. Essi sono: • tempo totale di registrazione (Trec): è il tempo che intercorre tra l’inizio e la fine delle rilevazioni; • tempo lavorato (Tlav): è il tempo dedicato, all’interno del Trec, allo svolgimento dei propri compiti lavorativi (permanenza all’interno del luogo di lavoro); G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it • • • interruzioni (Tint): rappresentano i tempi relativi alle fasi di lavoro in cui l’operatore si assenta dalla sua postazione (il sensore ricevente viene disconnesso dall’operatore); tempo postazione (Tpost): è il tempo lavorato (Tlav) meno Tint; osservazioni fuori campo di ricezione (Tout): rappresentano i tempi in cui il sensore ricevente non intercetta il segnale emesso dal senso- 255 • • re emittente (il soggetto non pone il suo sguardo all’interno del c.v.p. predeterminato, oppure osserva le “mire professionali”, ma da una distanza superiore ai 115 cm); tempo VDT (Tscr): è il “tempo lavorato” (Tlav) meno i tempi “int” ed i tempi “out”; distanza media di osservazione (dist) e relativa deviazione standard. Tabella I. Parametri di quantificazione dell’impegno visivo Tabella II. Distanze medie di osservazione, acutezze visive, accomodazioni e convergenze richieste Grafico 1 Grafico 2 I parametri che quantificano l’impegno visivo dei sei operatori indagati sono analiticamente descritti nella tabella I. L’entità dei conseguenti impegni accomodativi e di convergenza è riportata nella tabella II. DISCUSSIONE Gli operatori analizzati mantengono una elevata e costante fissazione visiva all’interno del c.v.p., coerentemente con i compiti lavorativi svolti che richiedono grande attenzione e concentrazione. Negli operatori studiati l’acutezza visiva teorica richiesta (funzione dell’angolo sotteso) è di livello medio (circa 4,4 - 4,9 decimi), mentre i carichi accomodativo e di convergenza variano da medio a intenso (a seconda delle caratteristiche visive dell’operatore considerato), essendo compresi tra il 26,41% ed il 43,92% dell’accomodazione e della convergenza teoricamente disponibili nel soggetto. Il tempo effettivamente trascorso “in osservazione per vicino all’interno del c.v.p.” (Tscr), si è mantenuto tra le 2h 54’ e le 4h 05’. CONCLUSIONI Lo studio evidenzia che, nelle condizioni esistenti durante le rilevazioni, rappresentative, per la professionalità in esame, della situazione di lavoro per l’intero anno, i tempi trascorsi con impegno visivo al punto prossimo (“tempi di esposizione” da utilizzare ai fini dell’applicazione del D. Lsg. 626/94 -Titolo VI) sono tutti al di sotto delle venti ore settimanali (art. 54 lett. c, così modificato dall’art. 21, comma 1, lett. a, della Legge del 29 dicembre 2000, n. 422) nonché tutti al di sotto delle quattro ore, eccetto quelli relativi ad un soggetto, in base ad una situazione contingente, che sono compensati dalla tipologia dell’orario di lavoro. Data la complessità dei compiti svolti, tutti gli operatori sono comunque sottoposti ad approfonditi e periodici esami clinici tra i quali controlli ergoftalmici. BIBLIOGRAFIA 1) B. Piccoli, P. Zambelli, D. Grosso, R. Assini 2003: Oftalmologia occupazionale ed ergoftalmologia: un percorso in evoluzione, Medicina del Lavoro 94:1, 101-107 2) W.H. Hart Adler’s: physiology of the eye. Clinical application, 9th edn. London 1992 256 3) D.L. Easty, J.M. Sparrow: Oxford textbook of Ophthalmology. Oxford: Oxford University Press 1999 4) B. Piccoli et al.: A critical appraisal of current knowledge and future directions of ergophthalmology: consensus document of the ICOH Committe on “Work and Vision”. Ergonomics, Vol. 46, No. 4, 384406, 2003 5) Linee Guida SIMLII per la Sorveglianza Sanitaria degli addetti ad attività lavorative con videoterminali. 2003 6) B. Piccoli, M. D’Orso, P. Zambelli, P. Troiano, R. Assini: Observation distance and blinking rate measurement during on-site investigation: a new electronic equipment. Ergonomics, Vol. 44, No. 6, 668676, 2001 7) A. Grieco, B. Piccoli. 1982, Visione e lavoro. Nota I: Metodo per la valutazione del carico di lavoro visivo e delle condizioni illuminotecniche nei luoghi di lavoro, Medicina del Lavoro, 73, 496-514 COM-10 EFFICIENZA LAVORATIVA E CONDIZIONI ILLUMINOTECNICHE: STUDIO SPERIMENTALE D. Grosso1, A. Bellini2, P. Zambelli1, P. Troiano3, M. Di Bisceglie1, A. Bergamaschi4, B. Piccoli1 1 Dipartimento di Medicina del Lavoro - IRCCS Fondazione Ospedale Maggiore, Mangiagalli e Regina Elena 2 ASL Città di Milano 3 Dipartimento di Oculistica, IRCCS Fondazione Ospedale Maggiore, Mangiagalli e Regina Elena 4 Istituto di Medicina del Lavoro - Università Cattolica del Sacro Cuore Roma Corrispondenza: Daniele Grosso, Dipartimento di Medicina del lavoro, Via San Barnaba 8, 20122 Milano, Tel. 02/50320154, cell: 3476609009, e.mail: [email protected] RIASSUNTO. Sono stati selezionati 32 soggetti volontari, non affetti da gravi patologie oftalmiche degenerative, né da alterazioni della refrazione e della motilità oculare. Ogni soggetto è stato sottoposto a sessioni sperimentali con impegno visivo per vicino (uso di PC), in condizioni sperimentali monitorate. Scopo dello studio è la valutazione degli effetti prodotti sull’efficienza lavorativa da condizioni illuminotecniche caratterizzate da illuminamenti “a norma”, ma in presenza di elevati o bassi rapporti di luminanze nel “campo visivo professionale”. Dall’analisi dei dati è emerso che le condizioni illuminotecniche con elevati rapporti di luminanza hanno causato una diminuzione dell’efficacia delle prestazioni (diminuzione complessiva dell’efficienza, aumento del numero degli errori e dei tempi dei esecuzione) che invece non si è verificata nelle condizioni con bassi rapporti di luminanza. La sintomatologia astenopica non ha mostrato significative differenze, verosimilmente per gli effetti prodotti, in entrambe le condizioni sperimentali studiate, dall’intenso impegno visivo per vicino. Parole chiave: lavoro per vicino, illuminazione, efficienza lavorativa. WORK EFFICIENCY AND LIGHTING CONDITIONS: AN EXPERIMENTAL STUDY ABSTRACT. Thirty-two voluntary subjects were selected, not suffering either from any degenerative ophthalmic diseases or refraction and ocular motility alterations. Each subject underwent close visual task experimental sessions (e.g. PC usage), under monitored experimental conditions. Aim of the study is the assessment of working efficiency effects caused by lighting conditions characterized by “according to law” illuminations, yet in presence of high or low luminance ratios in the “occupational visual field”. An analysis of the data showed that high luminance ratios conditions show a decrease of the performance (decrease overall efficiency, increase in the number of errors and time of execution), which where not detected with low luminance ratios conditions. Asthenopia did not show clear differences, possibly due to the effects of the intense near work which was present in both the experimental sessions. Key words: near vision, lighting, work efficiency. G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it INTRODUZIONE L’operatore d’ufficio normalmente lavora mantenendo una posizione fissa per molte ore al giorno ed impegnando il suo apparato visivo nell’osservazione di oggetti posti frontalmente entro la distanza di circa un metro. Il “campo visivo professionale” che lo caratterizza è perciò abbastanza ben definibile e non molto ampio ed è principalmente all’interno di esso che vanno ricercate ed eliminate tutte quelle situazioni illuminotecniche da cui possono provenire elementi di disagio. Numerosi, infatti, sono in letteratura gli studi, condotti prevalentemente su operatori addetti a VDT/PC, ove l’illuminazione artificiale e naturale degli uffici è indicata come uno dei principali fattori di disagio oculare e visivo (1). Va ricordato, a questo proposito, che il parametro principale a cui si fa tradizionalmente riferimento, sia in Medicina del Lavoro che in Igiene Occupazionale quando si analizzano le condizioni illuminotecniche dei luoghi di lavoro, è l’illuminamento (2). Nostre precedenti esperienze (3), nell’ambito di indagini effettuate presso uffici, hanno consentito di evidenziare come elevati rapporti di luminanze all’interno del “campo visivo professionale” (c.v.p.) dell’operatore possano, pur in presenza di illuminamenti adeguati, essere causa di numerosi disagi e disturbi oculari e visivi. SCOPO Scopo della ricerca è stata la valutazione, in condizioni standardizzate e monitorate, degli effetti sull’efficienza lavorativa prodotti dall’esposizione a condizioni illuminotecniche caratterizzate da adeguati illuminamenti ai piani di lavoro, ma con elevati rapporti di luminanza nel c.v.p., in soggetti esposti ad impegno visivo per vicino (uso di PC). MATERIALI E METODI Le indagini sperimentali sono state condotte presso il laboratorio di Ergoftalmologia del Dipartimento di Medicina del Lavoro dell’Università di Milano (figura 1). Al fine di poter valutare gli effetti delle condizioni illuminotecniche in assenza di altri fattori che potessero causare alterazioni della funzione visiva, la predisposizione del laboratorio è avvenuta, in accordo con quanto proposto dallo S. C. on Work and Vision (1), dopo specifici controlli che hanno consentito di escludere: • la presenza di agenti chimici irritanti per la superficie oculare; Figura 1. Immagine del laboratorio (condizione di elevati rapporti di luminanza) G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it 257 una caratterizzata dalla presenza di elevati rapporti di luminanza (condizione “B”) ed una caratterizzata da bassi rapporti di luminanza (condizione “C”). In entrambe le sessioni, l’ordine di presentazione degli “stimoli” (testi da elaborare con un PC secondo procedure pre-codificate) era uguale, mentre variava l’ordine dei diversi cicli, secondo criteri random. Una visita oculistica di controllo è stata effettuata prima e dopo ciascuna sessione sperimentale, per escludere, sia la presenza di eventuali alterazioni di recente insorgenza, sia l’esistenza di variazioni “funzionali” a carico dell’accomodazione e della binocularità. Figura 2. Esempio di registrazione della distanza di osservazione • la presenza di agenti biologici, in particolare su tastiere e mice; inoltre prima di ogni sessione il soggetto è stato sottoposto a indagine oftalmica per escludere che al momento della prova sperimentale fossero in atto processi infettivi; • la presenza di condizioni microclimatiche disagevoli (in particolare U% e V). Inoltre, è stato effettuato, in tutte le diverse fasi sperimentali, un monitoraggio dell’impegno visivo, mediante rilevazione obiettiva della distanza di osservazione (4) ed l’elaborazione, mediante un software specifico, dei dati registrati dal computer (+/- DS) con i relativi grafici (figura 2). Sono stati studiati 32 soggetti, metà maschi e per metà femmine, con titolo di studio medio-alto ed età compresa fra i 18 e i 35 anni (+/- 6.6 anni). Tali soggetti sono stati selezionati mediante specifico protocollo in due fasi. Fase 1: selezione e addestramento dei soggetti. Consisteva in una prova semplificata su PC dei compiti sperimentali previsti, avente come obiettivo la verifica delle capacità del soggetto all’uso del computer. Successivamente, ogni soggetto è stato sottoposto a visita oftalmica. Il soggetto veniva ritenuto idoneo se privo di patologie oftalmiche importanti e se dimostrava un’adeguata conoscenza nell’uso del PC. Fase 2: prove sperimentali. Ogni soggetto è stato sottoposto a due sessioni sperimentali consistenti nello svolgimento di compiti diversi mediante un programma informatizzato predisposto ad hoc, realizzato in collaborazione con psicologi. Ogni sessione aveva una durata di 4 ore, suddivise a loro volta in quattro cicli di uguale durata. Ogni ciclo era a sua volta composto da 5 compiti lavorativi della durata di 10 minuti ciascuno (correzione errori, conteggio parole, conteggio numeri, cruciverba e imput dati) predisposti in due diverse forme, equivalenti sotto il profilo cognitivo, al fine di evitare fenomeni di “apprendimento”. La differenza tra le due sessioni consisteva nella diversa situazione illuminotecnica: Grafico 1. Medie dell’indice “efficienza” per tipo di illuminazione (P= 0.005). Il soggetto che lavora in condizioni “B” ha un indice di efficienza maggiore rispetto a chi lavora in condizioni “C” RISULTATI Tutte le elaborazioni dei dati sono state fatte utilizzando l’analisi della varianza per misure ripetute, implementata su uno specifico software. La variabile considerata è stata di volta in volta un indicatore di performance, in particolare l’efficienza ma anche l’accuratezza, la velocità e la distanza media di osservazione. Nell’analisi della varianza, in riferimento alla variabile efficienza (grafico 1), le differenze sono significative per le due condizioni “B” e “C”. Grafico 2. Medie dell’indice “accuratezza” per tipo di illuminazione (P= 0.01). Il soggetto che lavora in condizioni di illuminazione “B” ha un indice di accuratezza maggiore rispetto a chi lavora in condizioni di illuminazione “C” Grafico 3. Medie dell’indice velocità per tipo di illuminazione (P= 0.011). Il soggetto che lavora in condizioni di illuminazione “B” ha un indice di velocità maggiore rispetto a chi lavora in condizioni di illuminazione “C” 258 G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it COM-11 USO DELLE ALTE FREQUENZE NELLA PREVENZIONE PRECOCE DELLA IPOACUSIA DA RUMORE G. Somma, L. Coppeta, A. Magrini, M. Parrella*, M. C. Cappelletti*, S. Gardi^, M. Messina^, A. Bergamaschi* Università Tor Vergata, Roma- Cattedra di Medicina del Lavoro * Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma- Istituto di Medicina del Lavoro ^ Italcementi Group, Bergamo. Corrispondenza: Antonio Pietroiusti, Università Tor Vergata, Via Montpellier 1, 00161, Roma, Tel. +390620902204, Fax +390620902212, e-mail: [email protected] Grafico 4. Medie dell’indice distanza per tipo di illuminazione (P= 0.197) Pure nell’analisi della varianza riferita alla variabile “accuratezza” le differenze sono significative per le due condizioni considerate (grafico 2). L’analisi della varianza per la variabile “velocità” evidenzia, a sua volta, differenze significative per le due condizioni considerate (grafico 3). Da ultimo, l’analisi della varianza per la variabile “distanza” mostra differenze non significative per le due condizioni considerate (grafico 4). DISCUSSIONE L’analisi statistica degli indicatori di performance, volti a valutare la qualità della prestazione lavorativa, ha evidenziato differenze statisticamente significative per “efficienza” (p=0,00509), per “accuratezza” (p=0,01020) e per “velocità” (p=0,01117). Per quanto attiene alla distanza, le differenze non sono significative nelle due condizioni considerate (p=0,19725), come atteso e come voluto nel predisporre le condizioni sperimentali. Infatti, l’impegno visivo” si è mantenuto costante, se non uguale in entrambe le sessioni di lavoro, garantendo in tal modo che la performance non venisse condizionata da carichi visivi per vicino sostanzialmente diversi. CONCLUSIONI Dall’analisi dei dati emerge che i soggetti sottoposti alle condizioni “C” (elevati rapporti di luminanza), mostrano una diminuzione dell’efficacia delle prestazioni (diminuzione complessiva dell’efficienza, aumento del numero degli errori e dei tempi dei esecuzione), rispetto a quanto verificatosi nelle condizioni “B” (bassi rapporti di luminanza). Sembra pertanto che l’efficienza visiva sia stata nettamente influenzata da condizioni di lavoro caratterizzate da elevati/contenuti rapporti di luminanza nel c.v.p. Per quanto attiene alla sintomatologia astenopica, non si sono invece evidenziate significative differenze tra le due condizioni “B” e “C”, verosimilmente per la predominanza degli effetti prodotti, in entrambe le condizioni sperimentali, dall’intenso impegno visivo per vicino. BIBLIOGRAFIA 1) ICOH: A critical appraisal of current knowledge and future directions of ergophthalmology - Consensus Document of the Scientific Committee on “Work and Vision”. Ergonomics,, 2003; 46, 4, 384-406. 2) IESNA. (2000) In Rea MJ, editor. IES Lighting Handbook - Reference and application, 9th edn. New York: Illuminating Engineering Society of North America. 3) Piccoli B, D’Orso M, Zambelli PL. Environmental photometry analysis and interpretation of luminance ratio in relation with national and international standards. In Cottica D, Prodi V, Imbriani M. Ed. Atti del 14° Congresso Internazionale AIDII Arbatax, Fondazione Clinica del Lavoro 1995; 200-202. 4) Piccoli B, D’Orso M, Zambelli PL, Troiano P, and Assini R. Observation distance and blinking rate measurement during on-site investigation: new electronic equipment. Ergonomics, 2001; 4, 6, 668-676. RIASSUNTO. La diagnosi precoce di danno uditivo da rumore (NIHL) potrebbe permettere la messa in atto di misure di prevenzione più efficaci. Lo scopo del nostro studio è stato quello di valutare il possibile utilizzo dell’esame audiometrico alle alte frequenze come indicatore precoce dell’ipoacusia da rumore. Uno studio trasversale è stato condotto coinvolgendo 204 lavoratori esposti a rumore e 100 lavoratori non esposti. Tutti i lavoratori sono stati valutati con esame audiometrico alle frequenze convenzionali (0.25-8 kHz) ed alle alte frequenze (9-18 kHz) durante l’annuale campagna sanitaria condotta in due cementifici italiani. Come aspettato, i lavoratori esposti a rumore avevano delle soglie uditive significativamente più alte (P <0.05) ad entrambe le frequenze convenzionali ed alte. Differenze più marcate sono state rilevate per le EHFA. Inoltre, differenze significative alle EHFA sono state trovate anche nel sottogruppo di lavoratori esposti con soglie uditive normali alle frequenze convenzionali. I nostri dati indicano che il test audiometrico con la valutazione per esteso delle alte frequenze può rappresentare un utile strumento per l’individuazione di precoci innalzamenti della soglia uditiva e che potrebbe essere usato in aggiunta al test convenzionale per meglio prevenire la progressione della ipoacusia da rumore. Parole chiave: audiometria ad alta frequenza, ipoacusia da rumore, identificazione precoce del danno uditivo da rumore EXTENDEN HIGH FREQUENCY AUDIOMETRY IN THE PREVENTION OF NOISE- INDUCED HEARING LOSS ABSTRACT. An early detection of noise induced hearing loss (NIHL) may allow more effective protection measures. Our aim was to investigate the usefulness of high-frequency audiometry to evaluate the possibility of a future use of the high frequencies audiometry as an early indicator for noise induced hearing loss. A cross-sectional study was performed involving 204 industrial noise exposed and 100 non-industrial noise-exposed workers. Each subject was tested with both conventionalfrequency (0.25-8 kHz) and high-frequency (9-18 kHz) audiometry during the annually health surveillance campaign conducted in two Italian cement factories. As expected, noise exposed workers were found to have significantly higher hearing thresholds (P <0.05) at both conventional and extended high frequencies. Marked differences were found for EHFA. Moreover, significant differences at EHFA were detected also in the subgroup of noise-exposed workers with normal findings at conventional audiometry. Our finding indicate that the use of the extended high frequency test may represent a useful tool for detecting early changes of hearing impairment and that it could be used in addition to the conventional test to better prevent the progression of noise hearing loss. Key words: high-frequency audiometry; noise-induced hearing loss (NIHL); early detection of noise impairment. INTRODUZIONE L’audiometria alle frequenze convenzionali (0,25-8kHz) è ad oggi la metodica utilizzata dal medico del lavoro per l’individuazione precoce del danno uditivo indotto da rumore. Nonostante negli ultimi decenni, si sia osservato un costante decremento della prevalenza della ipoacusia da rumore, l’esposizione a rumore negli ambienti da rumore rimane una delle cause più comuni di sordità neurosensoriale (1). Ciò induce alla ricerca di misure di prevenzione più efficaci. L’esame audiometrico con la valutazione per esteso delle alte frequenze (Extended High Frequency Audiometry - EHFA), di quelle cioè al di sopra degli 8 kHz, potrebbe esse- G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it 259 re un valido aiuto nella diagnosi precoce di danno uditivo indotto da rumore. Scopo di questo studio è stato quello di valutare se l’uso della audiometria con la valutazione per esteso delle alte frequenze (EHFA) fosse più sensibile dell’audiometria convenzionale nella diagnosi precoce dell’ipoacusia da rumore. MATERIALI E METODI Uno studio trasversale è stato condotto su due gruppi di lavoratori, arruolati su base volontaria, in due cementifici italiani. Un gruppo composto da lavoratori esposti giornalmente, come indicato da indagine dosimetrica, ad un Livello Equivalente (Leq) di rumore superiore agli 85 dBA; e l’altro (gruppo controllo), costituito da lavoratori esposti giornalmente ad un Leq < 80 dBA. Sono stati esclusi dallo studio quei lavoratori con anamnesi positiva per patologie dell’orecchio medio, familiarità per deficit uditivi, uso di farmaci ototossici, esposizione ad armi da fuoco o anomalie riscontrate all’esame otoscopico eseguito prima dell’audiometria. I lavoratori dei due cementifici hanno tutti aderito allo studio. Dei 204 lavoratori esposti, 15 sono stati esclusi perché avevano una storia positiva per esposizione ad armi da fuoco e 3 per anomalie trovate all’esame otoscopico; tra i 100 lavoratori del gruppo controllo, due sono stati esclusi per pregressa esposizione ad armi da fuoco. I dati di seguito discussi si riferiscono quindi, a 186 lavoratori esposti e 98 non esposti. L’esame audiometrico per le frequenze convenzionali e per le alte frequenze è stato condotto in cabina silente, dopo riposo acustico di almeno 16 ore. Per lo studioè stato utilizzato un audiometro clinico (Amplaid A319, Amplifon, Italy) con cuffie standard TDH-49 per la valutazione delle frequenze 250-8 kHz e cuffie circumaurali Sennheiser HDA200 (Wedemark, Germany) per testare il range delle frequenze 9-18 kHz. Un questionario è stato somministrato da un medico, allo scopo di valutare: eventuale familiarità positiva per sordità, uso di armi da fuoco, traumi acustici, pregressa esposizione a rumore lavorativa e non, uso di otoprotettori, fumo di sigaretta, ipertensione arteriosa. Tutti i lavoratori sono stati inoltre sottoposti ad esame otoscopico prima di essere sottoposti all’esame audiometrico. Per studiare il possibile ruolo delle EHFA come indicatore precoce di danno uditivo, le soglie uditive alle alte frequenze dei lavoratori esposti, ma con normali livelli di soglia uditiva alle frequenze convenzionali, sono state paragonate a quelle dei lavoratori non esposti. Dopo aver applicato una trasformazione logaritmica per normalizzare la distribuzione dei dati, test di tipo parametrico (test-t di Students e test del χ2) sono stati utilizzati per l’analisi statistica. Per controllare l’effetto dell’età sulla variazione delle soglie uditive e meglio valutare gli effetti del rumore sulle alte frequenze, lavoratori esposti e non esposti sono stati raggruppati in quattro fasce di età (21-30; 31-40; 41-50, >50 anni). Un valore di P <0.05 è stato considerato come livello di significatività statistica. RISULTATI L’età media dei lavoratori non esposti inclusi nello studio era di 36.5 anni, e quella dei lavoratori esposti di 39.8 anni (p=ns). I risultati di entrambe le orecchie (dx e sn) sono presentati insieme essendo le medie delle soglie uditive delle due orecchie quasi identiche sia nei lavoratori esposti che nei non esposti (dati non mostrati). Le variabili fumo di sigaretta e ipertensione sono state valutate nei due gruppi di studio per ogni classe d’età. Mentre per la variabile fumo di sigaretta non sono state riscontrate differenze statisticamente significative tra lavoratori esposti e non esposti; una maggiore percentuale di soggetti ipertesi è stata riscontrata tra i lavoratori esposti a rumore rispetto al gruppo controllo nelle classi di età 21-30; 31-40; 41-50 (Figura 1). Per ogni classe di età, nei lavoratori esposti si sono riscontrati valori di soglia uditiva più elevati rispetto ai lavoratori non esposti ad eccezione della frequenza 18 kHz per la classe di età dei 41-50 anni, (p < 0.05). In particolare la più elevata differenza tra le soglie uditive è stata trovata sui 16 kHz per la classe di età 21-30 anni, sui 14 kHz per i lavoratori di 31-40 anni, sui 12.5 kHz nei lavoratori di età compresa tra 41-50 anni ed infine sui 10 kHz per i lavoratori di età superiore ai 50 anni. Differenze molto meno marcate sono state osservate per le frequenze convenzionali (dati non mostrati). Infine per studiare il possibile ruolo delle EHFA come indicatore precoce dell’ipoacusia da rumore, le medie delle alte frequenze dei lavoratori esposti a rumore che mostravano frequenze convenzionali normali (< 25 dB), sono state paragonate a quelle dei lavoratori non esposti. I lavoratori esposti a rumore mostravano soglie uditive più elevate rispetto a quelle dei lavoratori non esposti (p< 0.05) ad eccezione dei lavoratori di età superiore ai 50 anni per i quali non è stata trovata alcuna differenza significativa (Figura 2). Figura 1. Confronto delle medie delle soglie uditive dei lavoratori esposti a rumore rispetto ai non esposti, per classi di età. Pannello A: EHFA; Pannello B: Audiometria convenzionale 260 G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it Figura 2. Confronto delle medie delle soglie uditive dei lavoratori esposti a rumore ma con normali soglie uditive alle frequenze convenzionali (≤ 20 dB) rispetto ai lavoratori non esposti. Le barre di errore si riferiscono all’errore standard della media DISCUSSIONE L’uso della audiometria convenzionale consente di valutare i primi segni di innalzamento della soglia uditiva, in lavoratori esposti a rumore, nel range 4-6 kHz. Dati in letteratura riportano però che danni ancora più precoci non possono essere individuati con questo metodo (2). La EHFA potrebbe rivelarsi, a tal proposito, un valido aiuto considerando anche che richiede per l’esecuzione lo stesso strumento utilizzato per l’audiometria standard e viene facilmente applicata in pochi minuti. Il potenziale uso delle alte frequenze nella diagnosi precoce di danno da rumore è inoltre indirettamente supportato da studi sul precoce interessamento delle alte frequenze nei pazienti sottoposti a terapie con farmaci ototossici (3). I nostri dati mostrano che la valutazione per esteso delle alte frequenze è più sensibile dell’audiometria convenzionale nel rilevare deficit uditivi indotti da rumore. In particolare, le soglie alle alte frequenze dei lavoratori esposti a rumore con frequenze convenzionali inalterate (<20dB) erano significativamente più elevate dei lavoratori non esposti. Ad oggi, i dati esistenti in letteratura circa l’utilizzo delle alte frequenze come strumento di diagnosi precoce del danno da rumore sono pochi, ma sembrano comunque suggerire l’utilità di questo metodo (4, 5, 6, 7, 8). In conclusione, nonostante ulteriori studi siano necessari per rafforzare i nostri risultati (studi di tipo prospettico sono necessari per dimostrare la relazione causale tra il progressivo deterioramento delle più alte frequenze e l’esposizione a rumore), i nostri dati suggeriscono che le EHFA, se utilizzate insieme alla audiometria convenzionale durante i programmi di sorveglianza sanitaria condotti per la prevenzione del danno da rumore negli ambienti di lavoro potrebbero rappresentare un utile strumento per la rilevazione precoce di cambiamenti subclinici indotti dal rumore negli ambienti di lavoro. BIBLIOGRAFIA 1) Palmer KT, Griffin MJ, Syddal HE, Davis A, Pannett B, Coggon D. Occupational exposure to noise and the attributable burden of hearing difficulties in Great Britain. Occup Environ Med 2002; 59: 634-639. 2) Hone SW, Norman G, Keogh I, Kelly V. The use of cortical evoked response audiometry in the assessment of noise induced hearing loss. Otolaryngol Head Neck Surg 2003; 128: 257-262. 3) Dreschler WA, vd Hulst RJ, Tange RA, Urbanus NA. The role of high-frequency audiometry in early detection of ototoxicity. Audiology 1985; 24: 387-95. 4) Wang Y, Yang B, Li Y, Hou L, Hu Y, Han Y. 2000. Application of extended high frequency audiometry in the early diagnosis of noise-induced hearing loss. Zhonghua ER Bi Yan Hou Ke Za Zhi 35: 26-8. 5) Ahmed HO, Dennis JH, Badran O, Ismail M, Ballal SG, Ashoor A, Jerwood D. High-frequency (10-18 kHz) hearing thresholds: reliability, and effects of age and occupational exposure. Occup Med (Lond) 2001; 51: 245-258. 6) Turkkahraman S, Gok U, Karlidag T, Keles E, Ozturk A. 2003. Findings of standard and high-frequency audiometry in workers exposed to occupational noise for long durations Kulak Burun Bogaz Ihtis Derg 10: 137-42. 7) Porto MA, Gahyva DL, Lauris JR, Lopes AC. 2004. Audiometric evaluation in extended high frequencies of individuals exposed to occupational noise. Pro Fono 16: 237-50. 8) Kazkayasi M, Yetiser S, Ozcelik S. 2006. Effect of musical training on musical perception and hearing sensitivity: conventional and high-frequency audiometric comparison. J Otolaryngol 35: 343-8. G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it 261 troduzione nei protocolli sanitari, anche la transferrina decarboidrata (CDT) con il riscontro di risultati al di fuori dei parametri di normalità. SESSIONE TOSSICOLOGIA OCCUPAZIONALE COM-01 LA DETERMINAZIONE DELLA TRANSFERRINA DECARBOIDRATA (CDT) COME INDICATORE DI CONSUMO ALCOLICO: PROBLEMATICHE ANALITICHE ED INTERPRETATIVE. CASE REPORT A. Verga*, R. Donghi* L. Germagnoli** T. Mladen** L. Bordini°, L. Patrini° A. Todaro° M. Ricci° * H San Raffaele Resnati Milano ** Laboraf, Diagnostica e Ricerca San Raffaele Milano ° OM Policlinico, Mangiagalli, Regina E. Fondazione IRCCS Milano Corrispondenza: A. Verga c/o H San Raffaele Resnati Via S. Croce, 10 /a 20122 Milano, e-mail: [email protected] RIASSUNTO. In medicina di laboratorio numerosi marcatori sierici di abuso alcolico cronico. Rientra fra questi la transferrina decarboidrata (CDT). Scopo del presente contributo è descrivere tre casi di soggetti sottoposti a sorveglianza medica periodica, nei confronti dei quali, insieme ai comuni esami di biochimica clinica, previsti dal programma degli accertamenti sanitari, anche la transferrina decarboidrata (CDT) con il riscontro di risultati al di fuori dei parametri di normalità. I dati relativi alla CDT, di per sé alterati, non erano adeguatamente coerenti né interpretabili in relazione all’esito degli altri esami ematochimici (in particolare gli indici di funzionalità epatica) né correlabili con le abitudini voluttuarie riferite dagli interessati. Uno studio approfondito ha permesso di rilevare in un caso la presenza di una banda monoclinale, in un secondo l’esistenza di una variante genetica cui è stata attribuita l’alterazione del risultato del test. Una stretta collaborazione fra il medico che richiede l’accertamento ed il collega di laboratorio, consente di valutare eventuali fattori di confondimento. Ne deriva l’importanza di una interpretazione non automatica e sempre critica dei valori alterati della transferrina decarboidrata (CDT), per evitare errori diagnostici e ricadute medico legali laddove sia stato espresso un giudizio su parametri non correttamente interpretati. Parole chiave: transferrina decarboidrata (CDT). CARBO-DEHYDRATED TRANSFERRIN (CDT) AS A MARKER OF ALCOHOL INTAKE: PROBLEMS WITH ANALYSIS AND INTERPRETATION. CASE REPORT INTRODUZIONE La relativamente recente identificazione di un elenco di attività lavorative ad elevato rischio di infortuni sul lavoro, ovvero per la sicurezza, l’incolumità o la salute di terzi, avvenuta con l’approvazione del Provvedimento del 16 marzo 2006 da parte della Conferenza Permanente per i Rapporti tra lo Stato le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano, in applicazione di quanto previsto dall’art. 15 della Legge 30 marzo 2001, n° 125 (Legge quadro in materia di alcol e problemi alcol correlati), solleva nuovi interrogativi e attribuisce importanti responsabilità al medico competente, perché lo identifica come uno dei possibili soggetti attivamente e direttamente coinvolti nella prevenzione delle condotte da abuso alcol correlate. Come noto, sono infatti disponibili in medicina di laboratorio numerosi marcatori sierici di abuso alcolico recente o cronico. Rientrano ad esempio fra gli indicatori di abuso acuto i seguenti marcatori: la determinazione del metanolo in sangue, urina o aria espirata, il rapporto 5-idrossitriptofololo/acido 5-idrossi-indolacetico urinari, l’etilglicuronide urinario, l’etilsolfato urinario, ecc. Sono indicatori di abuso cronico: il volume corpuscolare medio, gli esami di funzionalità epatica (ALT, AST, GGT), la transferrina decarboidrata (CDT), gli addotti ematici dell’acetaldeide, l’acido sialico sierico ed altri ancora (1). Scopo del presente contributo è descrivere tre casi di soggetti sottoposti a sorveglianza medica periodica, nei confronti dei quali, insieme ai comuni esami di biochimica clinica, previsti dal programma degli accertamenti sanitari, è stata dosata per la prima volta, a seguito della sua in- RISULTATI I tre soggetti, occupati presso un’azienda di trasporti, sono tutti di razza caucasica e di sesso maschile, nella seguente fascia di età: 40 - 60 anni. Per ogni soggetto sono state valutate le abitudini voluttuarie, con particolare attenzione al consumo riferito di alcol giornaliero, consumo di farmaci e la presenza di patologie per quanto riguarda la funzionalità epatica e del ricambio. Si descrivono di seguito in dettaglio le caratteristiche cliniche più rilevanti dei casi osservati. Caso n° 1 Soggetto di 47 anni di età, con anamnesi remota positiva per i comuni esantemi infantili, tonsillectomia e appendicectomia, non riferisce altre patologie di rilievo e non lamenta nell’attualità alcun disturbo di salute degno di nota. Non fumatore, non assume farmaci abitualmente. La dieta è libera. Per quanto riguarda il consumo di bevande alcoliche dichiara di bere vino in quantità moderata (1 bicchiere) solo durante i pasti. La visita medica non ha evidenziato alcun dato clinico degno di nota all’esame obbiettivo, il soggetto è normopeso, presenta valori normali di pressione arteriosa. Gli esami ematochimici eseguiti comprendono: emocromo con formula, piastrine, glicemia, creatininemia, colesterolo totale, trigliceridi, AST, ALT, GGT, esame urine completo, CDT. L’unico esame risultato alterato è la transferrina decarboidrata (CDT), con un valore percentuale di 1,9 (valore di normalità 0.0 - 1.3%). In accordo con il medico laboratorista che ha eseguito il dosaggio della CDT, il lavoratore è stato sottoposto ad una nuova determinazione della CDT cui è stata aggiunta la valutazione del quadro sieroproteico, di transferrina, ferritina e sideremia. Il tracciato elettroforetico e l’immunofissazione hanno evidenziato la presenza di una componente monoclonale IgG kappa, le altre frazioni rientravano nei limiti di normalità. Il lavoratore è stato immediatamente indirizzato allo specialista ematologo per gli approfondimenti ed i provvedimenti del caso. Caso n° 2 Il secondo caso riguarda un soggetto di 45 anni di età, addetto a compiti di coordinamento presso una sala operativa, con anamnesi remota positiva per i comuni esantemi infantili ed una rinocongiuntivite allergica a pollini primaverili. L’episodio sanitario più rilevante, occorso circa quattro anni fa, è un infarto miocardio curato con angioplastica con successo e senza complicanze. Non fumatore, assume farmaci antiaggreganti, statine e antianginosi. Dichiara di non consumare bevande alcoliche. La dieta è libera. La visita medica non ha evidenziato alcun dato degno di nota all’esame obbiettivo, il soggetto è normopeso, presenta valori normali di pressione arteriosa. Gli esami ematochimici eseguiti comprendono: emocromo con formula, piastrine, glicemia, creatininemia, colesterolo totale, trigliceridi, AST, ALT, GGT, esame urine completo, CDT. Gli esami risultati alterati in occasione della prima valutazione sanitaria, sono gli eritrociti 4.50 (v.n. 4.70 - 6.10), VCM 96.8 (v.n. 80.0 - 94.0) e la transferrina decarboidrata, che è risultata non dosabile. La spiegazione tecnica è stata attribuita ad una verosimile interferenza causata da una variante genetica del soggetto in esame. Si conoscono infatti numerose forme di varianti genetiche per la transferrina: almeno 36 isoforme differenti per omozigosi e 72 per eterozigosi. Di queste solo tre per omozigosi e sei per eterozigoti sono attribuibili alla CDT (2). A questa attribuzione si è giunti consensualmente dopo una rilettura critica delle curve dei tracciati elettroforetici delle isoforme della CDT da parte del medico di laboratorio. Supporto della decisione è stata la ricostruzione rigorosa dell’effettivo abituale consumo di bevande alcoliche e delle altre abitudini nutrizionali, operata dal medico del lavoro insieme al soggetto interessato. Caso n° 3 Il terzo caso si riferisce invece ad una situazione in cui l’andamento del monitoraggio della CDT ha risentito in modo netto e coerente del cambiamento delle abitudini voluttuarie dell’interessato. Si tratta di un soggetto di 50 anni di età, con anamnesi remota positiva per i comuni esantemi infantili e tonsillectomia. Non riferisce altre patologie di rilievo e non lamenta nell’attualità alcun disturbo di salute degno di nota. Non fumatore, non assume farmaci abitualmente. La dieta è libera. Per quanto riguarda il consumo di bevande alcoliche dichiara di assumere alcolici in modo 262 non ben precisato, sia durante, che fuori dai pasti. La visita medica non ha evidenziato alcun dato degno di nota all’esame obbiettivo. Il soggetto è in sovrappeso e presenta valori di pressione arteriosa sistolica lievemente aumentati 150/90. Gli esami ematochimici eseguiti comprendono: emocromo con formula, piastrine, glicemia, creatininemia, colesterolo totale, trigliceridi, AST, ALT, GGT, esame urine completo, CDT. Gli esami risultati alterati sono i seguenti: AST 48 U/L (v.n. 5-41) ALT 82 U/L (v.n. 6-55) e CDT 1.6% (v.n. 0.0 - 1.3%). Il lavoratore è stato successivamente riconvocato, ad un mese di distanza, per la rivalutazione degli esami alterati e della GGT. I risultati del secondo controllo hanno evidenziato AST 39 U/L (v.n. 5-41), ALT 99 U/L (v.n. 6-55) GGT 22 U/L (v.n. 11-50) e CDT 1.7% (v.n. 0.0 - 1.3%). Questi dati hanno reso necessario indagare meglio il consumo di bevande alcoliche nelle settimane precedenti gli accertamenti. Ne è emerso un consumo quotidiano di almeno un superalcolico al di fuori dai pasti, in aggiunta a quello di vino durante i pasti. L’esito degli esami ha portato l’interessato alla riduzione del consumo di bevande alcoliche entro i limiti del bere sociale. I valori della CDT, ad un ulteriore mese di distanza, sono risultati nettamente ridotti ed entro i limiti di riferimento: 1.0% con range compreso fra. 0.0 ed 1.3%. Sono rimasti sostanzialmente invariati gli indici di funzionalità epatica: AST 39 U/L (v.n. 5-41), ALT 89 U/L (v.n. 6 -55) e GGT 22 U/L (v.n. 11-50). DISCUSSIONE I casi descritti si riferiscono a tre soggetti, nei quali l’utilizzo e l’interpretazione dell’esito della CDT, come marcatore di abuso di sostanze alcoliche, contestualmente ed in modo coordinato con gli altri esami di funzionalità epatica di biochimica clinica, è risultato controverso nei primi due e coerente nel terzo. La CDT è un marcatore biologico indiretto di consumo alcolico non moderato, perché permette di valutare un’assunzione di alcol superiore a 50 - 80 g al giorno della durata di almeno due settimane consecutive prima del momento del prelievo (3). Quando viene usata, come casi descritti, non da sola ma insieme ad altri indicatori biochimici, acquista un’elevata sensibilità e specificità: La CDT può infatti risultare alterata in differenti condizioni cliniche come riassunto in tabella I (4). Nel siero sono presenti diverse isoforme di transferrina, in particolare molecole di transferrina desialiata in percentuale diversa in proporzione all’inibizione enzimatica del processo di glicosilazione indotta dall’etanolo. Per definizione rientrano nella CDT le forme asialo-, monosialo e disialo-transferrina (6). Nel nostro laboratorio la CDT viene eseguita con elettroforesi capillare ed espressa come percentuale della disialotransferrina rispetto alla penta, tetra e trisialo transferrina. È stata più volte confermata la stretta correlazione fra incremento delle isoforme desialiate e consumo alcolico. Tuttavia, come nei casi che abbiamo descritto, l’attribuzione causale e la diagnosi di abuso non può essere immediata. Nel caso n° 1, infatti, un’interpretazione per così dire “automatica” dell’incremento della CDT, avrebbe condotto non solo ad una diagnosi errata, ma avrebbe anche impedito la corretta valutazione del caso ed il rilievo di una componente monoclonale IgG kappa. In questo caso il dato fondamentale è stato il rapporto fiduciario fra medico competente e lavoratore che ha fatto considerare affidabile l’anamnesi di assenza di abuso alcolico. Gli ulteriori accertamenti sono stati pertanto il frutto di un lavoro comune fra il medico di laboratorio ed il medico del lavoro per la ricerca della possibile causa vera del dato alterato. Non è possibile tuttavia dare una indicazione ad eseguire di routine l’elettroforesi sieroproteica. Attualmente non vi sono dati di letteratura che correlino la componente monoclonale con l’alterazione della CDT. Il caso n° 2 mostra, d’altro canto, come la CDT non sia un indicatore utilizzabile nei confronti di tutti i lavoratori in modo automatico. Vi sono alcuni fattori individuali, ad esempio nel nostro caso una variabilità Tabella I. Cause di alterazione del valore di normalità della CDT (5) Casi di insufficienza epatica dovuta a cirrosi biliare primaria, epatite cronica attiva e ed epatopatia da farmaci G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it genetica, che non consentono l’utilizzo dell’accertamento. Ciò conferma la notevole importanza della conoscenza del soggetto in esame, della ricostruzione precisa e condivisa dell’anamnesi fisiologica e della stretta collaborazione con il medico del laboratorio. Il terzo caso è invece lineare e coerente con la finalità di accertare e monitorare nel tempo il possibile consumo non moderato di sostanze alcoliche. La netta riduzione della CDT, con il variare delle abitudini voluttuarie riferite dal soggetto ha consentito una corretta valutazione del soggetto in relazione a condizioni di lavoro sicure ed un percorso formativo condiviso. CONCLUSIONI I dati relativi alla CDT, di per sé alterati, in due casi non erano adeguatamente coerenti né interpretabili in relazione all’esito degli altri esami ematochimici (in particolare gli indici di funzionalità epatica) né correlabili con le abitudini voluttuarie riferite dagli interessati. Lo studio più approfondito delle caratteristiche chimico-cliniche dei due soggetti, che in un caso è consistito nell’esecuzione dell’elettroforesi sieropoteica, e per l’altro nella rilettura critica della curva dei tracciati elettroforetici delle isoforme della CDT, ha permesso di rilevare, in modo casuale nel primo soggetto, la presenza di una banda monoclonale e per il secondo la probabile condizione di una variante genetica, a cui è stata attribuita la causa del risultato alterato del test. Il terzo caso ha presentato un andamento coerente nella correlazione fra CDT e abitudini voluttuarie. Ne deriva l’importanza di una interpretazione non automatica e molto critica dei valori “alterati” della transferrina decarboidrata (CDT), per evitare non solo errori con rilevanza clinica, ma anche eventuali ricadute medico legali, in caso di espressione del giudizio di idoneità alla mansione specifica su parametri di laboratorio non correttamente interpretati. In conclusione, si sottolinea la necessità di una stretta collaborazione fra il medico che richiede l’accertamento ed il collega di laboratorio, al fine di permettere al sanitario committente di conoscere al meglio l’affidabilità del dato fornito ed al laboratorista di essere informato circa le caratteristiche del soggetto nei confronti del quale viene effettuato l’accertamento e della esistenza di eventuali fattori di confondimento. Questi aspetti risultano fondamentali ai fini di un utilizzo ragionato del risultato dell’accertamento. BIBLIOGRAFIA 1) Ferrara SD Snenghi R. Boscolo M. Idoneità alla guida e sostanze psicoattive Linee guida metodologico-accertative criteriologico-valutative della Società di Medicina Legale e delle Assicurazioni Ed. Piccin pag. 39-50 (2006). 2) Martello S. Determinazione delle isoforme della transferrina mediante elettroforesi capillare. Biochimica Clinica vol. 30 n. 2 pag. 132 (2006). 3) Stibler M. Carbohydrate-deficient transferrin in serum: a new marker of potentially harmful alcohol consumption reviewed. Clin. Chem. 37/12, 2029-2037 (1991). 4) Hock B, Schwarz M, Domke I, Grunert V.P, Wuertemberger M, Schieman U, Horster S, Limmer C, Stecker G, & Soyka M. Validity of carbohydrate-deficient transferrin (%CDT), γ-glutamyltransferase (γ-GT) and mean corpuscolar erythrocyte volume (MCV) as biomarkers for chronic alcohol abuse: a study in patients with alcohol dependence and liver disorders of non-alcoholic and alcoholic origin. Addiction, 100, 1477-1486 (2005). 5) Torsten A. Carbohydrate-deficient transferrin as a marker of chronic alcohol abuse: a critical review of preanalysis, analysis, and interpretation. Clinical Chemistry 47:1 13-27 (2001). COM-02 VALUTAZIONE DELL’ESPOSIZIONE PROFESSIONALE A CLORURO DI VINILE MONOMERO E CLORURO DI VINILIDENE DI UN LAVORATORE ADDETTO AL CONFEZIONAMENTO FARMACI Varianti genetiche D della transferrina Pazienti con Carbohydrate-Deficient Glycoprotein Sindrome (CDG sindrome) e 25% dei portatori sani) Cause analitiche F. D’Orsi, D. De Grandis, R. Laurelli, R. Narda, E. Pietrantonio, F. Scarlini, P.S. Soldati Servizio Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro (S.Pre.S.A.L.), Dipartimento di Prevenzione, ASL RMC G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it Corrispondenza: Roberto Narda, Via Marotta, 5 - 00143 Roma Tel. 06-5002730 RIASSUNTO. Lo studio in esame nasce nell’ambito di un’indagine di Polizia giudiziaria delegata dalla Procura della Repubblica per un caso di sospetta malattia di origine professionale, rilevata incidentalmente nel corso di accertamenti diagnostici in un lavoratore addetto al confezionamento di farmaci in un’azienda farmaceutica. Le informazioni preliminari fornite dalla Autorità Giudiziaria indicavano che la patologia potesse essere attribuita all’esposizione a cloruro di vinile monomero (CVM). Al fine di stimare la possibile esposizione lavorativa, è stato applicato un metodo di valutazione del rischio chimico basato sui dati del ciclo produttivo e sulle caratteristiche delle sostanze utilizzate, che ha consentito di integrare i pochi dati ambientali disponibili, da soli insufficienti per formulare ipotesi eziologiche. L’attività lavorativa comportava esposizione a CVM e a cloruro di vinilidene (rispettivamente presenti nei blister e nella colla). Sono state analizzati il ciclo produttivo, le materie prime utilizzate, i prodotti di processo generati durante le lavorazioni e le loro proprietà chimico-fisiche e tossicologiche. In particolare si riportano tutte le valutazioni tecnico scientifiche che hanno condotto al giudizio conclusivo sulla diversa distribuzione degli inquinanti in atmosfera di lavoro. Parole chiave: cloruro di vinile, cloruro di vinilidene, valutazione del rischio chimico. EVALUATION OF PROFESSIONAL EXPOSURE TO CHLORIDE VINYL MONOMER AND VINYL IDENE CHLORIDE FOR A PHARMACEUTICAL PACKAGING WORKER ABSTRACT. The study was conducted by Judicial Policy investigations of Prosecution’s Office. The event was connected by a professional founded suspicion disease of a pharmaceutical worker. First information coming from the Authority indicated a chloride vinyl monomer (CVM) exposure. We applied a chemical risk assessment method to estimate real professional exposure. The method was based on the productive cycle, physical and chemical and toxicological properties. The method combined to environmental data permitted to formulate etiological hypothesis. The worker during drugs packaging was exposed to CVM and vinylidene chloride (CVDM) caused by blister warming and by glue deposition. We explain the evaluations by which we could consider the pollutant different distribution in workplaces. INTRODUZIONE Nel corso del 2006, il Servizio Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro (S.Pre.S.A.L.) della ASL RMC, ha effettuato un’indagine di sospetta malattia professionale per un caso di steatosi epatica correlata ad esposizione a cloruro di vinile monomero (CVM). Il lavoratore era addetto al confezionamento di compresse, confetti, fiale e fialoidi in un’industria farmaceutica. L’operatore ha lavorato dapprima nel reparto di confezionamento di fiale e fialoidi e successivamente è stato adibito al confezionamento di compresse e confetti, anche se in modo non continuativo. La malattia è stata rilevata occasionalmente nel corso di accertamenti diagnostici effettuati per altri motivi. L’esposizione a solventi organici nocivi, tra cui il CVM, potrebbe concorrere all’eziologia della steatosi. Per poter valutare questo, è stato necessario effettuare il processo di valutazione del rischio chimico ai sensi del Titolo VII-bis del D. Lgs. 626/94, facendo riferimento in particolare al ciclo produttivo, alle materie prime utilizzate, ai prodotti di processo, alle proprietà chimico-fisiche e tossicologiche delle sostanze alla luce dei dati sanitari acquisiti. MATERIALI E METODI Analisi del ciclo produttivo: i farmaci venivano confezionati inserendoli in supporti di materiale plastico, prodotti a partire da un foglio continuo di polivinile cloruro (PVC) e polivinilidene cloruro (PVCD). Il foglio veniva srotolato, scaldato e termosagomato per formare le sedi di alloggio dei medicinali. La produzione dei supporti delle compresse e dei confetti prevedeva una fase aggiuntiva. I supporti, una volta riempiti per caduta con i confetti e le compresse, venivano sigillati, per termosaldatura tramite una macchina blisteratrice, con una pellicola di alluminio su cui era steso un collante costituito da cloruro di vinile, acetato di vinile, cloruro di vinilidene (CVMD), esteri e stirolo. Sia dai fogli dei polimeri plastici (PVC e PVCD) che dai collanti utilizzati, possono essere disper- 263 si in aria vapori organici nocivi (vedere tabella II) di CVM e di CVMD, come confermato anche dai campionamenti di CVM effettuati dall’azienda. Campionamenti: l’azienda ha effettuato tra il 1997 e il 2000 dei campionamenti di CVM in aria, ambientali e personali, alla macchina blisteratrice presso la quale avveniva il confezionamento. L’attività lavorativa è cessata nel 2002, pertanto non è stato possibile ripetere le indagini ambientali. Le analisi sono state effettuate in gasmassa e spettrofotometria di assorbimento atomico utilizzando la strumentazione HP5971 e Perkin Elmer. Dati sanitari: Il caso riguarda una sospetta malattia professionale per “steatosi epatica da inalazione di cloruro di vinile monomero”. La diagnosi risulta da un’ecografia epatica eseguita nel 2000. Nel 1999 si è riscontrato un valore della transaminasi SGPT di 78 UI/L (valori normali fino a 36). Il lavoratore riferiva un’epatopatia D.N.D.D. dal 1996 ed era stato esposto in modo saltuario a vapori di CVM tra il 1996 e il 2000. Nel 1984 si è avuto n riscontro occasionale di SGPT pari a 28 mU/mL (valori normali fino a 22). RISULTATI Campionamenti del CVM: i risultati sono riportati nella tabella I. L’analisi del ciclo produttivo e delle materie prime utilizzate (fogli e sigillanti) ha evidenziato la presenza di solventi organici volatili quali CVM e CVMD. Il primo, come rilevato anche dai campionamenti, viene prodotto durante la fase di formatura per degradazione termica del polimero PVC, il CVMD è presente come tale nel collante. Si tratta quindi sia di sostanze generate dal processo produttivo che di materie prime. DISCUSSIONE Nella tabella II si possono analizzare le caratteristiche chimico fisiche dei solventi dove risulta evidente che si tratta di sostanze a basso peso molecolare e molto volatili. I dati chimico-fisici possono infatti costituire un elemento fortemente predittivo per valutare la dispersione degli inquinanti. In particolare tra quelli selezionati, si osserva che valori molto ridotti delle temperature di ebollizione e fusione e del calore di vaporizzazione sono caratteristici di molecole volatili; inoltre un valore di densità del vapore di circa 2-3 espressa in funzione di quella dell’aria (pari ad 1) è riferibile a sostanze che tendono a stratificarsi verso il basso. Sia dall’analisi del rischio che dalla natura delle lavorazioni, è dimostrata la dispersione in aria di questi solventi per cui si è resa necessaria una valutazione del rischio cancerogeno e chimico, ai sensi del titolo VII e VII bis del D. Lgs. 626/94. Il metodo di lavoro da noi adottato ripercorre tutte le fasi della valutazione del rischio chimico, integrate dai dati sanitari, partendo dall’analisi del ciclo produttivo, delle fasi a rischio, delTabella I. Campionamenti del CVM Tabella II. Proprietà chimico-fisiche 264 le tipologie di inquinanti, delle quantità e modalità di esposizione, delle proprietà chimico-fisiche e tossicologiche delle sostanze in modo da consentire una valutazione corretta del rischio. Tale processo analitico è uno strumento utile nei casi di malattia professionale la cui origine potrebbe essere correlabile all’esposizione a sostanze chimiche. In questo caso l’indagine non ha permesso la determinazione di un nesso di casualità tra l’esposizione e la steatosi epatica considerata anche l’esiguità del tempo di esposizione, le basse concentrazioni ambientali, il riscontro di alterazioni delle transaminasi preesistenti l’inizio dell’esposizione. Per quanto riguarda la sintomatologia acuta lamentata, questa non appare correlabile all’esposizione a CVM perché essa compare solo per livelli di esposizioni molto elevati (compresi tra gli 8000 e 10000 ppm), mentre i livelli misurati nei campionamenti svolti dall’azienda risultano molto più contenuti. Tali campionamenti assumono tuttavia un valore meramente indicativo della presenza dell’inquinante e non possono essere utilizzati per il confronto con il TLV in quanto non soddisfano a tutti i requisiti previsti dalla UNI EN 689. A conferma delle valutazioni precedenti si osserva che sono state rilevate alterazioni delle transaminasi del lavoratore, comparse in periodi precedenti rispetto al suo impiego nell’attività di confezionamento di farmaci. Dal lavoro svolto, si può concludere che indagini complesse di questo tipo si possono svolgere in maniera esaustiva solo con l’integrazione dei risultati delle valutazioni dei rischi lavorativi con i dati sanitari disponibili. BIBLIOGRAFIA 1) USEPA; Health Assessment Document: Vinylidene Chloride p.3-3 (1983) EPA-600/8-83-031A. 2) Weast, R.C. (ed.) Handbook of Chemistry and Physics. 69th ed. Boca Raton, FL: CRC Press Inc., 1988-1989, p. D-174. 3) Verschueren, K. Handbook of Environmental Data on Organic Chemicals. Volumes 1-2. 4th ed. John Wiley & Sons. New York, NY. 2001, p. V1 753. 4) Kirk-Othmer Encyclopedia of Chemical Technology. 3rd ed., Volumes 1-26. New York, NY: John Wiley and Sons, 1978-1984., p. 23 (1983) 765. 5) F. D’Orsi, G. Guerriero, E. Pietrantonio. La Valutazione del rischio chimico, EPC libri, 2006. COM-03 SISTEMA DI SORVEGLIANZA DELLE INTOSSICAZIONI ACUTE DA FITOSANITARI: LA CASISTICA RILEVATA NEL 2005 L. Settimi1, F. Davanzo2, A. Travaglia2, C. Locatelli3, I. Cilento4, C. Volpe4, A. Russo5, G. Miceli6, A. Fracassi7, P. Maiozzi1, I. Marcello1, F. Sesan2, E. Urbani1 1 Istituto Superiore di Sanità, Roma Antiveleni di Milano, A. O. Ospedale Niguarda Cà Grand 3 Servizio di Tossicologia, Centro Antiveleni e Centro Nazionale di Informazione Tossicologica, IRCCS Fondazione Maugeri, Università degli Studi di Pavia 4 Centro Antiveleni, Ospedale “A. Cardarelli”, Napoli 5 Centro Antiveleni, Università “Umberto I”, Roma 6 ASL di Ragusa; (7) ASL di Latina-Aprilia 2 Centro Corrispondenza: L. Settimi, Centro Nazionale di Epidemiologia e Promozione della Salute, Istituto Superiore di Sanità, Via Giano della Bella, 00161, Roma, Italia, Tel. 06 4990 4298, e-mail; [email protected] RIASSUNTO. Nel 2005, il Sistema Nazionale di Sorveglianza delle Intossicazioni Acute da Fitosanitari (SIAF) ha rilevato 625 casi, di cui 520 con esposizione di tipo accidentale. La maggior parte di questi soggetti sono risultati di genere maschile (75%), di età compresa tra 26 e 65 anni (64%) ed esposti in ambito occupazionale (63%), principalmente di tipo agricolo. La gravità di queste intossicazioni è risultata lieve per il 94% dei casi, moderata per il 5%. Per quattro casi la gravità è risultata elevata. Circa il 70% degli incidenti si è verificato tra maggio e settembre. Gli agenti cui è stato associato il numero più elevato di intossicazioni sono stati: glifosate (n. 56), solfato di rame (n. 55), metomil (n. 52) e G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it metam-sodio (n. 24). Sono stati rilevati tre episodi di esposizione collettiva a geodisinfestanti che hanno dato luogo a 23 casi di intossicazione. Parole chiave: antiparassitari, fitosanitari, intossicazioni, sorveglianza. ITALIAN PROGRAM FOR SURVEILLANCE OF ACUTE PESTICIDE-RELATED ILLNESSES: CASES IDENTIFIED IN 2005 ABSTRACT. - In 2005, the Italian System for Surveillance of Acute Pesticide-Related Illnesses (SIAF) identified 625 cases, among which 520 unintentionally exposed. The majority of these subjects were men (75%) and aged 26-65 years (65%). About 63% of all exposures occurred at work. Severity for these illnesses was low for 94% and moderate for 5%. Four cases were classified as illnesses of high severity. Some 70% of all the reported exposures occurred between May and September. The active ingredients responsible for the largest number of cases were: glyphosate (n. 56), copper sulphate (n. 55), methomyl (n.=52), metam-sodium (n. 24). Three episodes of collective environmental exposure to soil fumigants involving 23 subjects were also detected. Key words: agricultural pesticides, illnesses, surveillance. INTRODUZIONE L’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha recentemente avviato un programma nazionale per la sorveglianza delle intossicazioni acute da fitosanitari (SIAF), svolto in riferimento al DL.vo 194/1995 (1) e al primo Accordo stipulato tra Stato e Regioni per l’attuazione di Piani nazionali triennali di sorveglianza su eventuali effetti sulla salute umana dei fitosanitari (2). Nel corso del primo anno di attività, il 2004, il SIAFA ha identificato 480 casi di intossicazione di cui 391 di tipo accidentale (3). Le analisi effettuate hanno evidenziato che la maggior parte di questa casistica è costituita da soggetti di genere maschile (76%), di età superiore ai 15 anni (94%) e con esposizione prevalentemente di tipo occupazionale (57%). La gravità delle intossicazioni è risultata lieve per l’80% dei casi, moderata per circa il 20% e per due casi è risultata elevata. Le manifestazioni cliniche sono risultate prevalentemente a carico del sistema gastrointestinale. Le categorie di agenti più frequentemente riportate sono state insetticidi (53% delle esposizioni), in particolare esteri organofosforici (22% delle esposizioni), e fungicidi (25% delle esposizioni). Le sostanze attive cui è stato riferito il numero più elevato di casi sono state: metomil (n. 54), glifosate (n. 34), dimetoato (n. 29), solfato di rame (n. 25) e ossicloruro di rame (n. 21). Sono stati rilevati due episodi di esposizione collettiva di origine ambientale, ciascuno dei quali ha coinvolto otto soggetti. Gli agenti riportati per questi due incidenti sono stati 1,3 dicloropropene e acrinatrina, rispettivamente. Per quanto riguarda il composto acrinatrina, di cui non è risultata disponibile la classificazione europea di pericolosità, gli effetti clinici rilevati hanno evidenziato l’opportunità di un’attenta valutazione delle caratteristiche di tossicità per l’uomo. Inoltre, le dinamiche dei due incidenti hanno posto l’attenzione sulla problematica delle esposizioni causate dalla dispersione degli antiparassitari in aree adiacenti a quelle trattate. In questo rapporto viene descritta la casistica presa in esame dal programma SIAF nel corso del secondo anno di attività, il 2005. MATERIALI E METODI Nel 2005 hanno collaborato al programma SIAF i Centri Antiveleni (CAV) di Milano, Pavia, Napoli e di Roma, Policlinico Umberto I. Altre segnalazioni sono pervenute dalla ASL di Ragusa, che ha sistematicamente inviato i dati della casistica identificata tramite il sistema di sorveglianza attivo nell’area di sua competenza, e dalle ASL di Aprilia-Latina, Catania, Siracusa, Trapani, Lecce ed Avellino. Per la rilevazione, classificazione ed analisi dei dati di interesse sono state adottate le stesse procedure utilizzate nel 2004 e precedentemente descritte (3). I dati sono stati analizzati utilizzando il software statistico STATA. RISULTATI Nel corso del 2005 il SIAF ha ricevuto 1.273 segnalazioni. Di queste, il 92% (n. 1185) è provenuto dai CAV, il 5% (n. 68) dalle ASL ed il 2% (n. 27) da più di una fonte informativa. Seicentoventicinque segnalazioni (49%) sono state classificate come intossicazioni e 520 sono risultate di tipo accidentale. Circa il 70% delle intossicazione accidentali si sono verificate nel periodo compreso tra maggio e settembre, con un picco di casi nel mese di maggio (n. 99). La maggior parte dei pazienti è risultata esposta per via G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it inalatoria (50%, n. 264), mentre la via di esposizione cutanea e l’ingestione sono state riportate, rispettivamente, per il 24% (n.=123) ed il 20% (n.=106) dei casi. La gravità delle manifestazioni cliniche è stata considerata lieve per il 94% (n. 489), moderata per il 5% (n. 27) ed elevata per circa l’1% (n. 4). I sintomi ed i segni più frequentemente rilevati sono stati a carico del sistema gastrointestinale ed hanno incluso vomito (n. 135), nausea (n. 125), dolori addominali (n. 59) e diarrea (n. 50). Altre manifestazioni frequentemente riportate sono state vertigini (n. 46) e cefalea (n. 28), astenia (n. 32), irritazione soggettiva delle vie respiratorie (n. 34), dispnea (n. 32) e tosse (n. 25), irritazione soggettiva del cavo orale (n. 28), scialorrea (n. 23) e faringodinia (n. 15), irritazione soggettiva a livello oculare (n. 39) con iperemia (n. 32), iperemia cutanea (n. 30) e sudorazione (n. 24). La maggior parte dei casi esaminati è risultata di genere maschile (75%, n. 390) e con età superiore ai 15 anni (93%, n. 483). I casi di età compresa tra <1 e 4 anni sono stati 25 (5%). Come mostrato in Tabella I, tra i soggetti di genere maschile, l’ambito di esposizione è risultato prevalentemente di tipo occupazionale (69% dei casi, n. 268), mentre tra i soggetti di genere femminile è stata rilevata una eguale frequenza di esposizioni occupazionali e domestiche. Tra gli esposti nel corso di attività lavorative, circa il 63% (n. 250) sono risultati agricoltori. Per 10 persone è stata specificata un’attività di tipo non agricolo al momento dell’esposizione. In particolare, sono stati rilevati cinque casi esposti durante attività di primo soccorso, comprendenti tre dipendenti delle forze dell’ordine, un vigile del fuoco ed un medico. Per quanto riguarda le esposizioni verificatesi in ambito domestico (n. 136), il dettaglio sulle modalità dell’incidente è risultato disponibile per circa il 40% dei casi (n. 46). Tra questi, 34 soggetti hanno ingerito per errore fitosanitari travasati da contenitore originale, mentre 20 soggetti, di cui 14 con età inferiore ai 5 anni, sono risultati esposti per incapacità di intendere. Per 43 casi è stata riportata una esposizione non occupazionale di origine ambientale. Di questi, 20 soggetti sono risultati esposti a geodisinfestanti, applicati su terreni destinati a serra e ubicati in prossimità di abitazioni. Gli episodi che hanno provocato queste esposizioni sono stati tre ed hanno coinvolto, rispettivamente, 13, quattro e tre casi. Per gli altri 23 casi di origine ambientale non occupazionale sono state riportate esposizioni a vari tipi di agenti applicati su campi o giardini contigui alla loro abitazione o ad aree in cui si trovavano a transitare. Circa il 32% dei casi di intossicazione accidentale è stato esposto a due o più principi attivi per un totale di 686 espo- 265 Tabella I. Ambito di esposizione e genere dei casi di intossicazione accidentale da fitosanitari identificati dal programma SIAF nel 2005 Tabella II. Principi attivi più frequentemente associati alle intossicazioni accidentali da fitosanitari identificate dal programma SIAF nel 2005 266 sizioni rilevate. La categoria di agenti più frequentemente riportata è stata quella degli insetticidi e acaricidi (circa il 45% delle esposizioni), cui fa seguito la categoria dei fungicidi (24% delle esposizioni) e degli erbicidi (19% delle esposizioni). I composti cui è stato associato il numero più elevato di casi sono stati: glifosate (n. 56), solfato di rame (n. 55), metomil (n. 52) e metam-sodio (n. 24) (Tabella II). Per quanto riguarda le intossicazioni da glifosate, tutti i casi sono risultati di gravità lieve ed i segni e sintomi più frequentemente riportati hanno compreso diarrea (n. 8), nausea (n. 7), dolori addominali (n. 6), pirosi gastrica (n. 5), iperemia cutanea (n. 7), faringodinia (n. 5) e irritazione soggettiva delle vie respiratorie (n. 5). Le intossicazioni da solfato di rame hanno compreso un caso di gravità elevata, caratterizzato da insufficienza renale acuta, con oliguria associata a vomito e diarrea, verificatosi a seguito di esposizione per via inalatoria in ambito domestico. Tutti gli altri casi esposti a questo agente hanno riportato manifestazioni di lieve gravità, comprendenti vomito (n. 23), iperemia oculare (n. 6), faringodinia (n. 4) e dispnea (n. 4). Tra gli esposti a metomil, sono stati rilevati un caso di intossicazione di gravità elevata, caratterizzato da coma e verificatosi a seguito di inalazione in ambito agricolo, e due casi di intossicazione di gravità moderata, anch’essi verificatisi a seguito di inalazione nel corso di attività agricole e caratterizzati, da ipertensione, astenia e sudorazione, in un caso; nausea, vertigini, miosi e bradicardia nell’altro. Gli effetti di gravità lieve più frequentemente rilevati tra gli esposti a metomil hanno incluso: vomito (n.=24) e diarrea (n. 6), vertigini (n. 13), sudorazione (n. 12), astenia (n. 8) e scialorrea (n. 6). In riferimento al metam-sodio, sono stati rilevati due episodi di intossicazione collettiva di origine ambientale verificatisi a seguito della disinfestazione di terreni destinati a coltivazioni in serra ubicati in prossimità di abitazioni. Ambedue gli episodi sono stati segnalati dalla ASL di Aprilia-Latina. Nel primo caso sono state coinvolte 13 persone, inclusi tre bambini di età pari o inferiore a un anno. I segni e sintomi riportati da questi pazienti sono stati nausea (n. 11), irritazione oculare (n. 9), lacrimazione (n. 4), secchezza delle fauci (n. 2), irritazione delle vie respiratorie (n. 2), diarrea (n. 1), cefalea (n. 1), vertigini (n. 1). Le indagini effettuate dalla ASL competente non hanno evidenziato modalità di applicazione difformi da quanto indicato in etichetta. Il secondo episodio ha coinvolto sei persone, tre delle quali residenti in un agriturismo e tre appartenenti alle forze dell’ordine impegnate nei primi soccorsi. In questo episodio il metam-sodio è risultato applicato a dosi superiori a quanto indicato in etichetta e in associazione a 1,3 dicloropropene. I soggetti esposti hanno lamentato bruciore del cavo orale (n. 6), iperemia congiuntivale (n. 4), vomito (n. 3), irritazione oculare (n. 2), tachicardia (n. 1), cefalea (n. 1), dolori addominali (n. 1). Un altro episodio di intossicazione collettiva da contaminazione ambientale, rilevato sempre dalla ASL di Aprilia-Latina, ha coinvolto un prodotto geodisinfestante a base di metam-potassio. I sintomi riportati dalle quattro persone coinvolte hanno compreso nausea, mal di testa, irritazione oculare, secchezza delle fauci, irritazione del cavo orale. Per quanto riguarda la modalità di uso, è stata ipotizzata una non adeguata irrigazione del terreno che, in combinazione con una elevata temperatura ambientale (superiore ai 25°C), può avere favorito la dispersione ambientale dell’agente. DISCUSSIONE Le caratteristiche di tossicità degli agenti fitosanitari e la loro ampia diffusione richiedono attente verifiche sulla sicurezza dei prodotti in commercio e su eventuali effetti sulla salute umana che da questi possono derivare. Un contributo di particolare rilevanza per queste attività può derivare dalla sorveglianza delle intossicazioni acute. Infatti, la disamina di questo evento permette di segnalare tempestivamente condizioni di pericolosità originate sia da errate modalità di impiego che da caratteristiche tossicologiche non adeguatamente evidenziate dai dati sperimentali disponibili (4). Le osservazioni effettuate nel 2005 dal programma SIAF confermano sostanzialmente quanto precedentemente descritto (3). In particolare, viene nuovamente evidenziata la pericolosità dei prodotti a base di metomil, composto classificato come molto tossico (T+) e recentemente sottoposto a revoca da parte della Commissione delle Comunità Europee (5). Altro agente che ha evidenziato una elevata pericolosità per gli operatori è stato l’idrogeno cianammide, per cui sono stati riportati sette casi di gravità moderata su un totale di 17 intossicazioni rilevate. Tale osservazione, indica che nel 2005 le misure di prevenzione adottate a seguito di precedenti se- G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it gnalazioni (6), comprendenti la riclassificazione del prodotto da nocivo (Xn) a tossico (T) e alcune modifiche alle indicazioni presenti in etichetta, non hanno ancora ottenuto il risultato auspicato. Le osservazioni effettuate in riferimento agli incidenti domestici ribadiscono l’importanza di iniziative didattiche che, nell’ambito dei corsi per la formazione degli utilizzatori di antiparassitari, dedichino una particolare attenzione ad illustrare il rischio da contaminazione cui possono essere esposti non solamente gli stessi agricoltori ma anche i loro familiari, qualora non vengano rispettate le misure di sicurezza per una corretta conservazione dei prodotti. Gli episodi di esposizione collettiva a geodisinfestanti con 23 soggetti coinvolti evidenziano l’opportunità di un’attenta disamina delle modalità di applicazione attualmente previste per questi prodotti. BIBLIOGRAFIA 1) Italia. Decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 194. Gazzetta UfficialeSupplemento ordinario n. 122, 27 maggio 1995. 2) Italia. Accordo tra Stato Regioni e Province Autonome del 8 marzo 2003. Gazzetta Ufficiale del 27 maggio 2003. 3) Settimi L, Davanzo F, Marcello I, Locatelli C, Russo A, Cilento I, Farina ML, Maiozzi P, Sesana F, Crobe A, Miceli G, Faraoni L. Intossicazioni acute da fitosanitari rilevate in Italia nel 2004. Rapporti ISTISAN 2006; 52: 3-15. 4) CDC-NIOSH Pesticide illness & Surveillance http://www.cdc.gov/ niosh/topics/pesticides; ultima consultazione 30/10/2007. 5) Comunità Europea. Decisione della Commisione del 19 settembre 2007. Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea L. 255/40, 29 settembre 2007. 6) Settimi L., Marcello I, Davanzo F, Faraoni L, Miceli G, Richmond D, Calvert GM. Update: hydrogen cyanamide-related illnessessItaly, 2002-2004. CDC MMWR (Morbidity and Mortality Weekly Report) April 29, 2005; 54: 405-408. COM-04 ESPOSIZIONE PROFESSIONALE A FORMALDEIDE IN SALA SETTORIA DI MEDICINA LEGALE E IN LABORATORI DI ANATOMIA PATOLOGICA L. Vimercati1, A. Carrus1, A. Dell’Erba2, G. Assennato3 1 Sezione di Medicina del Lavoro “B. Ramazzini”, Dipartimento di Medicina Interna e Medicina Pubblica, Università degli Studi di Bari 2 Sezione di Medicina Legale, Dipartimento di Medicina Interna e Medicina Pubblica, Università degli Studi di Bari 3 Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale - ARPA Puglia Direzione Generale Corrispondenza: Antonio Carrus, Dipartimento di Medicina Interna e Pubblica, Sezione di Medicina del Lavoro “B. Ramazzini”, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Bari, Policlinico, Piazza G. Cesare 11, 70124 Bari, Tel. 080 5478216, Fax 080 5478370, e-mail: [email protected] RIASSUNTO. Lo scopo del presente studio è stata la caratterizzazione e la valutazione dell’esposizione personale a formaldeide aerodispersa in lavoratori che operano in una sala settoria di Medicina Legale e in un gruppo di laboratori di Anatomia Patologica. A tale scopo sono stati effettuate misure di formaldeide mediante campionatori passivi Radiello® e successiva analisi in Cromatografia Liquida al Alte Prestazioni (HPLC). I livelli di esposizione misurati in questo studio, benché inferiori a quelli riportati da altri Autori, in relazione a realtà lavorative analoghe, sono risultati superiori al valore limite di soglia NIOSH-TWA e in alcuni casi è stato osservato il superamento anche del valore Ceiling proposto dall’ACGIH e pari a 0,37 mg/m3. Parole chiave: formaldeide, esposizione professionale, sala settoria, anatomia patologica. OCCUPATIONAL EXPOSURE TO FORMALDEHYDE IN AUTOPSY ROOM AND IN PATHOLOGIC ANATOMY LABORATORIES G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it ABSTRACT. The aim of the present study is to evaluate the personal exposure to formaldehyde in an autopsy room and in three pathological anatomy laboratories. Passive sampling for the whole workshift and HPLC analysis were performed. The final result showed a remarkable exposure of the workers enrolled. All the data obtained exceeded the NIOSH-TWA and several cases personal of exposure levels above the ACGIH-Ceiling value (0,37 mg/m3) were observed in the anatomy laboratory. Key words: formaldehyde, professional exposure, autopsy room, pathologic anatomy. INTRODUZIONE La formaldeide (FA) è un inquinante chimico classificato dalla International Agency for Research on Cancer (IARC) come agente di Gruppo 1, cancerogeno per l’uomo (1). Nei laboratori di Anatomia Patologica la FA viene manipolata come “formalina” che è una soluzione acquosa di aldeide formica (25-50%) cui viene aggiunto metanolo (2,5 - 10%) come stabilizzante per prevenirne la polimerizzazione. In tale forma, la FA viene correntemente utilizzata, come conservante dei reperti anatomici ed antiputrefattivo, durante le sessioni autoptiche in sala settoria. Oltre che effetti di tipo cancerogeno, l’utilizzo di tale sostanza può comportare sintomi irritativi a carico delle congiuntive oculari e delle prime vie aeree. Scopo del presente studio è stato la misura dei livelli di esposizione professionale a formaldeide in docenti di Medicina Legale e specialisti in formazione che svolgono l’attività autoptica in una sala settoria dell’Unità Operativa di Medicina Legale dell’Ospedale Consorziale Policlinico di Bari. È stata monitorata anche l’esposizione professionale di tecnici e specialisti in formazione della Unità Operativa II di Anatomia Patologica del medesimo nosocomio. MATERIALI E METODI Sono stati reclutati 4 medici legali e 6 specialisti in formazione di Medicina Legale e delle Assicurazioni e 2 tecnici di laboratorio e 4 medici specialisti in formazione di Anatomia Patologica. Sono stati eseguiti campionamenti simultanei di tipo personale ed ambientale per la determinazione dei livelli di esposizione professionale a formaldeide aerodispersa durante le sedute autoptiche e i turni di attività nel blocco dei laboratori di Anatomia Patologica, costituito da tre stanze identificate come Laboratorio 1, 2 e 3. I prelievi d’aria sono stati effettuati mediante campionatori passivi “Radiello”. Le determinazioni analitiche sono state eseguite mediante Cromatografia Liquida ad Alte Prestazioni (HPLC Perkin-Elmer Serie Tabella I. Statistica descrittiva dei livelli di formaldeide aerodispersa (mg/m3) rilevati nella Sala Settoria di Medicina Legale 267 200) utilizzando una colonna cromatografica Supelcosil LC-18, 25 cm x 4.6 mm, 5 mm della Supelco e rivelazione UV (λ= 360 nm). RISULTATI Nelle seguenti tabelle sono riportati i livelli di FA misurati nel corso dello studio. In particolare, la Tabella I si riferisce ai dati relativi all’attività in Sala Settoria, mentre nelle tabelle II e III si riportano i dati misurati in Anatomia Patologica. DISCUSSIONE I livelli di esposizione personale dei periti settori riscontrati nel presente studio risultano inferiori a quelli evidenziati da altri Autori (2, 3). Tale differenza potrebbe essere messa in relazione alle diverse tecniche di preparazione del cadavere e/o a differenti caratteristiche di ventilazione delle sale settorie, come suggerito da Kurose et al. (2). Anche per quanto riguarda i laboratori di anatomia patologica sono stati riscontrati valori di esposizione inferiori a quelli riportati in letteratura (4, 5). Nei tre laboratori oggetto della presente indagine vengono effettuate le diverse fasi delle analisi istopatologiche. In particolare nel Laboratorio 1, caratterizzato dai livelli di formaldeide aerodispersa più elevati, vengono correntemente effettuate le operazioni di prelievo dei pezzi anatomici immersi in formalina, lavaggio e preparazione degli stessi per l’introduzione nel processatore. A livello comunitario e nazionale non sono stati definiti valori limite di esposizione per la formaldeide. Sono stati, viceversa, raccomandati valori limite di soglia da parte di autorevoli istituzioni scientifiche internazionali quali l’American Conference of Governmental Industrial Hygienists (ACGIH) ed il National Institute for Occupational Safety and Health (NIOSH). Per quanto riguarda gli operatori di Anatomia Patologica, i livelli di esposizione misurati in questa indagine sono risultati superiori al valore limite di esposizione media ponderata nel tempo (Time Weighted Average, TWA) proposto dal NIOSH, pari a 0,02 mg/m3 (6). In circa il 90% delle determinazioni effettuate sui medici specialisti in formazione si è registrato il superamento del valore massimo (Ceiling) raccomandato dal NIOSH di 0,12 mg/m3, mentre quasi nel 20% dei casi si è registrato il superamento del valore Ceiling proposto dall’ACGIH (0,37 mg/m3) (7). I livelli di esposizione misurati in questo studio, riferiti alla Medicina Legale, risultano superiori al valore limite TWA proposto dal NIOSH. I valori massimi riscontrati superano il livello Ceiling raccomandato dal NIOSH e sono prossimi al valore Ceiling proposto dall’ACGIH. Nella Figura 1 si riporta il confronto grafico tra i dati misurati ed i livelli di soglia sopra riportati. CONCLUSIONI I risultati da noi ottenuti evidenziano, per i lavoratori esaminati, una significativa esposizione professionale a FA aerodipersa, superiore ai valori limite raccomandati dai più autorevoli istituti scientifici internazionali. Trattandosi di un riconosciuto agente cancerogeno per l’uomo, è necessario mettere in atto ogni possibile misura di tutela della salute dei la- Tabella II. Statistica descrittiva dei livelli di formaldeide aerodispersa (mg/m3) rilevati nei laboratori di Anatomia Patologica Tabella III. Statistica descrittiva dei livelli di esposizione personale a formaldeide aerodispersa (mg/m3) rilevati nei Laboratori di Anatomia Patologica Figura 1. Confronto tra i valori misurati e i livelli di soglia considerati 268 voratori prevista dalla vigente normativa in materia di igiene del lavoro, attribuendo priorità agli interventi di informazione, formazione ed addestramento del personale sui rischi e le corrette procedure di manipolazione della FA. Particolare cura, inoltre deve essere rivolta alle condizioni di aerazione dei locali utilizzando sistemi efficienti di ventilazione forzata e di captazione localizzata. BIBLIOGRAFIA 1) IARC Monographs on the Evaluation of Carcinogenic Risks to Humans. 2006. Vol. 88, Formaldehyde, 2-Butoxyethanol and 1-tert-Butoxypropan-2-ol, Lyon, France, International Agency for Research on Cancer. 2) Kurose T, Kodera H, Aoyama H, Kawamata S, Formaldehyde concentrations in the air and in the cadavers at the gross anatomy laboratory in Hiroshima University. Hiroshima J Med Sci. 2004; 53(3-4): 33-7. 3) Ohmichi K, Komiyama M, Matsuno Y, Takanashi Y, Miyamoto H, Kadota T, Maekawa M, Toyama Y, Tatsugi Y, Kohno T, Ohmichi M, Mori C, Formaldehyde exposure in a gross anatomy laboratory - personal exposure level in higher than indoor concentration. Environ Sci Pollut Res Int. 2006; 13(2): 120-4. 4) Ghasemkhani M, Jahanpeyma F, Azam K, Formaldehyde exposure in some educational hospitals in Tehran. Ind. 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Ramazzini” - Dipartimento di Medicina Interna e Medicina Pubblica - Università degli Studi di Bari 2 Servizio del Medico Competente - Manfredonia 3 Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezione Ambientale - ARPA Puglia - Direzione Generale Corrispondenza: Dott. Luigi Vimercati, Dipartimento di Medicina Interna e Medicina Pubblica, Sezione di Medicina del Lavoro B. Ramazzini, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Bari, Policlinico, Piazza G. Cesare 11, 70124 Bari, Tel. 080 5478 256, fax 080 5478 370, e-mail: [email protected] RIASSUNTO. Nell’ambito del programma di sorveglianza sanitaria di lavoratori potenzialmente esposti ad arsenico aerodisperso, nel luglio 2006 è stato richiesto alla Sezione di Medicina del Lavoro “B. Ramazzini” dell’Università di Bari di determinare, in 108 campioni urinari estemporanei, i livelli di Arsenico inorganico e suoi metaboliti metilati. Poiché il 15% dei campioni ha presentato livelli superiori all’Indice Biologico di Esposizione (IBE) dell’ACGIH, è stata richiesta una consulenza scientifica sul rischio arsenico. Dopo aver raccomandato una maggiore attenzione al corretto utilizzo dei DPI e una più attenta strategia di prevenzione della dispersione di polveri, nel periodo agosto-ottobre 2006, sono stati raccolti 108 campioni urinari e acquisite informazioni sulle variabili che possono influenzare i livelli del biomarcatore, tramite somministrazione di questionari. Il valore medio di arsenico urinario è risultato a G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it quello precedentemente osservato; nel 5% dei 108 campioni si è riscontrato il superamento dell’IBE. Una differenza statisticamente significativa è emersa, stratificando il campione per classi d’età ed in relazione all’assunzione di pesce, crostacei e molluschi. In conclusione, si è osservata una riduzione statisticamente significativa dei valori medi di escrezione urinaria di arsenico nelle due fasi di monitoraggio biologico, verosimilmente attribuibile ad una più corretta pratica di igiene del lavoro. Parole chiave: arsenico, monitoraggio biologico, biomarcatore, valutazione del rischio. BIOLOGICAL MONITORING IN WORKERS EXPOSED TO INORGANIC ARSENIC IN MANFREDONIA ABSTRACT. Inorganic arsenic and its methylated metabolities were measured in 108 spot urine samples obtained from the medical surveillance programme of workers exposed to inorganic Arsenic in July 2006. 15% of the samples showed levels higher than limit value of 35 µg/L (mean value 23,9 µg/L). After the improvement of the working conditions, in August-October 2006, we collected a urinary sample from each of the 108 workers enrolled. A questionnaire was also administrated, in order to investigate the influence of occupational and non occupational factors on the urinary arsenic excretion. The median value of urinary arsenic was 15,12 µg/L; among the 108 samples, 5% showed levels higher than limit value. A significant difference was observed in relation with sea-food consumption and aging stratification. In conclusion, we have described a significant reduction of urinary arsenic excretion between the two phases of biological monitoring, likely due to a proper hygienic work-related intervention. Key words: arsenic, biomarker, biomonitoring, risk assessment. A DISUSED INDUSTRIAL PLANT IN THE AREA OF INTRODUZIONE L’Arsenico è un metallo ubiquitario, cancerogeno per l’uomo, classificato dalla IARC nel gruppo 1. Le concentrazioni di Arsenico aerodisperso sono variabili, presentando valori più bassi nelle zone rurali (0,007-28 ng/m3) e più alti nelle aree urbane (3-200 ng/m3) (1). La dieta rappresenta la principale fonte di esposizione non professionale ad Arsenico: si stima che l’assunzione giornaliera media di Arsenico negli Stati Uniti varia tra 2 e 92 µg/die (2, 3, 4). In particolar modo, l’Arsenico organico, sotto forma di arsenobetaina, è presente nei prodotti ittici (5). Altre importanti fonti di esposizione non occupazionale sono rappresentate dal consumo di acqua potabile e dall’abitudine al fumo di sigaretta. L’esposizione occupazionale ed ambientale all’arsenico inorganico può derivare dall’inalazione di polveri nei pressi di fonderie di metalli non ferrosi, dai prodotti di combustione residenziale e industriale di carbone, dall’utilizzo di pesticidi, o dal contatto cutaneo con terreno contaminato da arsenico (2, 6). L’esposizione cronica al metallo può provocare effetti tossici a carico della cute, delle mucose congiuntivali e nasali, dell’apparato cardiocircolatorio, nonché interferenze a livello del metabolismo glucidico e dell’apparato emolinfopoietico (7, 8, 9). Lo studio da noi condotto rientra nell’ambito del programma di sorveglianza sanitaria di lavoratori potenzialmente esposti ad arsenico aerodisperso, impiegati nelle attività di smontaggio, demolizione e bonifica di un impianto industriale dismesso situato nell’ex sito Enichem di Macchia Monte Sant’Angelo (FG). Questo sito è noto per l’incidente occorso nel settembre 1976 quando, in seguito alla rottura della colonna di lavaggio dei gas di sintesi dell’ammoniaca, si verificò la fuoriuscita di una miscela a base di carbonato di potassio, arsenito e arseniato di potassio. MATERIALI E METODI Nel luglio 2006 è stato richiesto, alla sezione di Medicina del Lavoro” B. Ramazzini “del Dipartimento di Medicina Interna e Medicina Pubblica dell’Università degli Studi di Bari di determinare i valori di As inorganico e i suoi metaboliti metilati su 108 campioni urinari estemporanei. Il valore medio di escrezione urinaria registrato nel gruppo in esame è stato di 23,9 µg/L (range 4,2-140 µg/L). Poiché circa il 15% dei campioni ha presentato livelli superiori al valore limite dell’IBE raccomandato dall’ACGIH (10), pari a 35 µg/L, è stata richiesta una consulenza scientifica sul rischio arsenico. Si è preliminarmente raccomandata una maggiore attenzione al corretto utilizzo dei DPI, nonché una più attenta strategia di prevenzione della dispersione di polveri, attraverso frequenti bagnature del terreno. Nel periodo agosto-ottobre 2006 si è avviata quindi una nuova campagna di monitoraggio biologico sui 108 lavoratori, precedentemente esaminati, al fine di valutare l’influenza dei fattori occupa- G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it zionali e non occupazionali sull’escrezione urinaria di arsenico inorganico e dei suoi metaboliti metilati. A tutti i soggetti in studio, previo consenso informato, un medico specialista in Medicina del Lavoro ha somministrato un questionario per ottenere informazioni su abitudine al tabagismo, storia residenziale, dieta ed eventuali patologie ed assunzione di farmaci. Le analisi dei campioni urinari sono state effettuate mediante spettrofotometria ad assorbimento atomico. Per l’analisi statistica è stato utilizzato il software Stata vs. 9.2 (StataCorporation). RISULTATI E DISCUSSIONE Nel periodo considerato sono stati sottoposti a sorveglianza sanitaria 108 lavoratori di cui 19 manovali, 5 caposquadra, 1 carpentiere, 17 gruisti, 9 impiegati, 3 manutentori meccanici, 4 marcatori e 50 tubisti. Il valore medio di arsenico urinario, relativo al periodo agosto-ottobre è risultato pari a 15,12 µg/L nei campioni relativi al periodo agosto-settembre 2006; stratificando per mansione, i valori mediani più alti si sono riscontrati tra i caposquadra (15,2 µg/L). Le differenze dei valori di arsenico urinario nelle diverse mansioni non sono risultate statisticamente significative (Fig. 1). In 5 lavoratori si è registrato il superamento dell’IBE, in particolare 3 tubisti, 1 gruista ed 1 marcatore, con i valori più elevati nel caso dei tubisti. La differenza nell’escrezione urinaria di arsenico non è risultata statisticamente significativa tra fumatori e non fumatori, tra esposti o meno a fumo passivo, e tra le diverse mansioni. Distribuendo il campione in esame in tre diverse classi di età si è evidenziata una maggiore escrezione di arsenico urinario nei soggetti con età superiore a 49 anni con differenza statisticamente significativa (p=0,02). In relazione alle abitudini alimentari dei soggetti in studio si è evidenziata un’associazione positiva statisticamente significativa tra assunzione di pesce, crostacei e molluschi nelle 48-72 ore precedenti al campionamento ed escrezione di arsenico urinario. Nessuna relazione è stata osservata tra i livelli di arsenico urinario e la zona di residenza, il livello di istruzione, l’assunzione di verdura o alcolici. In conclusione, tra le due fasi del monitoraggio biologico si è riscontrata una significativa riduzione dei livelli di escrezione urinaria di As. Tale riscontro è verosimilmente attribuibile ad una più corretta pratica di igiene del lavoro. In accordo con i dati di letteratura, l’assunzione di pesce, crostacei e molluschi nelle 48-72 ore precedenti il campionamento è in grado di influenzare i livelli del biomarcatore indagato. 269 4) Aposhian HV, Gurzau ES, Le X, Gurzau A, Healy SM, Lu X, et al. Occurrence of monomethylarsonous acid in urine of humans exposed to inorganic arsenic. Chem Res Toxicol 13: 693-697; 2000 5) Hughes M. F. Biomarkers of Exposure: A Case Study with Inorganic Arsenic. Environmental Health Perspectives. 114: 1790-1796;2006. 6) Kile M, Houseman E, Breton C, Smith T, Rahman Q, Mahiuddin G, Christiani D. Dietary Arsenic Exposure in Bangladesh. Environmental Health Perspectives. 115: 889-893; 2007. 7) Frumkin H. and Thun M.J. Arsenic. CA Cancer J Clin 51;254-262; 2001. 8) Luo J-C, Hsieh L-L, Chang M-J, Hsu K-H. Decreased white blood cell counts in semiconductor manufacturing workers in Taiwan. Occup. Environ. Med. 59;44-48; 2002. 9) Rossman TG. Mechanism of arsenic carcinogenesis: an integrated approach. Mutat Res 533:37-65; 2003 10) American Conference of Governmental Industrial Hygienists. TLVs and BEIs. Cincinnati, OH:Signature Publications. 2004. COM-06 ESPOSIZIONE INALATORIA A PERSOLFATO D’AMMONIO: EFFETTO SULLE COMPONENTI DEL SISTEMA NANC INIBITORIO DELLA TRACHEA DI CAVIA A. Dellabianca1, S. Tonini1 M. Faniglione2, E. De Amici1, S. De Angelis2, B. Balestra2, S.M. Candura1 1 Università degli Studi di Pavia, Dipartimento di Medicina Preventiva, Occupazionale e di Comunità 2 Università degli Studi di Pavia, Dipartimento di Scienze FisiologicheFarmacologiche Corrispondenza: Dr. Antonio Dellabianca, c/o Dipartimento di Scienze Fisiologiche-Farmacologiche, Cellulari, Molecolari, Università degli Studi di Pavia, Piazza Botta 11, 27100 Pavia, Italy, Tel. 0382 986364, Fax 0382 986385, e-mail: [email protected] Figura 1. Distribuzione dei livelli di As urinario (µg/L) rispetto alle mansioni RIASSUNTO. Allo scopo di valutare l’effetto dell’inalazione di persolfato d’ammonio (AP) sui neurotrasmettitori del sistema NANC inibitorio (NANC-i) della trachea di cavia, otto cavie sono state esposte a AP (1 mg/m3) per 30 minuti al giorno per tre settimane. Un gruppo di controllo veniva trattato con soluzione fisiologica. Dopo l’ultima esposizione, la trachea, isolata in toto, e montata in un bagno per organi isolati, veniva stimolata elettricamente in presenza di ioscina, piperossano e propranololo. Le risposte NANC-i erano misurate come diminuzioni della pressione intraluminale ed espresse come area sotto la curva (AUC), in Pa • s. Le trachee isolate sono state quindi trattate con: alfa-chimotripsina, L-NAME, zinco-protoporfirina IX (ZnPP IX), e ODQ, sostanze atte a inibire la produzione o l’azione dei singoli neurotrasmettitori, come mediatori peptidici, monossido d’azoto (NO), monossido di carbonio (CO). Nella trachea di cavie esposte a AP, la AUC era inferiore al 50% di quella dei controlli (P<0,01). NO e CO erano responsabili della quasi totalità della risposta NANC-i, in proporzioni simili nei controlli e negli animali esposti a AP. In conclusione, e l’esposizione a persolfato d’ammonio riduce l’efficienza del controllo nervoso NANC-i delle vie aeree di cavia, senza modificare le quote della risposta dovute ai singoli neurotrasmettitori. Parole chiave: persolfato d’ammonio, sistema NANC inibitorio, vie aeree. BIBLIOGRAFIA 1) WHO 2001. Arsenic and Arsenic Compounds. 2nd ed. Environmental Health Criteria. World Health Organization. 2) Hughes M. F. Biomarkers of Exposure: A Case Study with Inorganic Arsenic. Environmental Health Perspectives. 114: 1790-1796; 2006. 3) Lindberg A, Kumar R, Goessler W, Thirumaran R, Gurzau E, Koppova K, Rudnai P, Leonardi G, Fletcher T, Vahter M. Metabolism of Low-Dose Inorganic Arsenic in a Central European Population: Influence of Sex and Genetic Polymorphisms. Environmental Health Perspectives. 115: 1081-1086; 2007. EXPOSURE TO AMMONIOM PERSULPHATE BY INHALATION: EFFECT ON THE NANC INHIBITORY NEUROTRANSMITTERS IN THE GUINEA PIG TRACHEA ABSTRACT. To evaluate the effect of ammonium persulphate (AP) inhalation on NANC inhibitory (i-NANC) neurotransmitters of guinea pig airways, we exposed eight guinea pigs to AP (1 mg/m3), by aerosol inhalation for 30 minutes daily for three weeks. Control animals inhaled saline aerosol. After the last exposure, the isolated trachea was mounted in an organ bath and electrically stimulated in the presence of hyoscine, piperoxane and propranolol. The i-NANC responses were evaluated as decreases in intraluminal pressure and expressed as area under the curve 270 (AUC, Pa · seconds). The isolated tracheae were treated with achymotrypsin, L-NAME, zinc protoporphyrin IX and ODQ, that inhibit the production or action of the single neurotransmitters, like peptides, NO and CO. In the exposed individuals, the NANC relaxations were below 50%, as compared to controls (P < 0.01). NO and CO were the neurotransmitters responsible for all the i-NANC responses, in similar proportions either in exposed individuals or in controls. In conclusion, ammonium persulphate exposure impairs the i-NANC control of airway tone without specifically affecting any neurotransmitter. Key words: ammonium persulphate, NANC inhibitory system, airways. INTRODUZIONE Nell’ultimo decennio diversi agenti eziologici di asma professionale, in precedenza poco frequenti, hanno assunto una notevole rilevanza epidemiologica. Tra questi agenti sono spiccano i per solfati, composti dotati di azione irritante ad elevate concentrazioni e di azione sensibilizzante anche a concentrazioni più basse, nel caso di esposizione cronica. La popolazione esposta professionalmente a persolfati è costituita essenzialmente da parrucchieri, che impiegano prodotti contenenti soprattutto persolfato d’ammonio per la decolorazione dei capelli (1). I persolfati sono considerati la maggior causa di sintomi respiratori per questa categoria di lavoratori, ma non è chiarito il meccanismo di induzione dell’asma (2). Oltre ai meccanismi immunomediati (umorali o cellulari) è stato prospettato che l’effetto conseguente all’esposizione a persolfato d’ammonio passi anche attraverso modificazioni del tono muscolare e sulla produzione di mediatori che rilasciano la muscolatura liscia delle vie aeree, in particolare monossido d’azoto (NO). In uno studio funzionale in vitro volto a saggiare tale ipotesi, è stata rilevata un’azione rilasciante del persolfato d’ammonio sulla muscolatura tracheale di cavia, che sembrerebbe mediata dal NO. Tuttavia il medesimo studio suggerisce che l’esposizione continuativa a persolfati, danneggiando l’epitelio, possa ridurre la produzione di NO e quindi rendere meno efficiente il controllo inibitorio sulla muscolatura liscia (3). Da quanto detto appare evidente che i meccanismi patogenetici dell’asma da persolfati restano sostanzialmente sconosciuti e richiedono ulteriori studi. Alcuni studi sperimentali hanno fornito una certa evidenza a supporto dell’ipotesi che la disfunzione dell’innervazione autonoma, nelle sue componenti eccitatoria (4-9) e inibitoria (10-12) possa contribuire alla patogenesi dell’asma bronchiale. Uno studio realizzato dal nostro gruppo ha dimostrato che l’esposizione a persolfato d’ammonio riduce le risposte non adrenergiche, non colinergiche (NANC) inibitorie nella trachea di cavia (13), mentre un altro studio ha caratterizzato farmacologicamente i neurotrasmettitori implicati in tali risposte (14). Il presente studio ha avuto come scopo quello di valutare l’effetto dell’esposizione per via inalatoria a persolfato d’ammonio sulle singole componenti neurotrasmettitoriali del rilasciamento nervo-mediato NANC inibitorio (NANC-i) nella trachea di cavia MATERIALI E METODI Un gruppo di otto cavie maschio è stato esposto quotidianamente all’inalazione di un aerosol ad elevata concentrazione (1 mg/m3) di persolfato d’ammonio per 30 minuti al giorno per tre settimane, con l’esclusione dei giorni di sabato e domenica. Un flusso continuo di aria veicolava l’aerosol, prodotto da un nebulizzatore ultrasonico DeVilbiss Ultraneb 2000, in una camera in plexiglas, dove veniva posto l’animale Un gruppo di animali di controllo veniva trattato con soluzione fisiologica. Dodici ore dopo l’ultima esposizione, gli animali venivano sacrificati. La trachea, isolata in toto, veniva privata dell’epitelio (15), al fine di escludere influenze di mediatori di origine epiteliale (NO, ATP, prostaglandine), montata in un bagno per organi isolati, contenente soluzione Tyrode, termostatato e ossigenato, e stimolata con treni di impulsi (frequenza 3 e 10 Hz, durata 0,5 ms, 60 V, per 5 s) ad intervalli di 10 minuti. in presenza di ioscina, piperossano e propranololo (tutti alla concentrazione di 10-6 M), in modo da bloccare le contrazioni neurogene colinergiche e l’eventuale influenza della noradrenalina rilasciata dalle terminazioni simpatiche sui recettori α- e β-adrenergici. Le risposte NANC-i erano misurate come diminuzioni della pressione intraluminale, per mezzo di un trasduttore di pressione collegato a un’estremità della trachea. Esse si sono presentate come una risposta iniziale veloce (risposta di picco), seguita da un lento recupero fino al ripristino del tono basale. La risposta di picco è stata va- G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it lutata come decremento della pressione endotracheale (Pascal: Pa) rispetto al valore basale. Per quantizzare la risposta inibitoria nella sua globalità (sia il picco che la fase tardiva lenta), è stata calcolata l’area sotto la curva (area under the curve, AUC) come integrale rispetto alla linea di base (Pa • s). In entrambi i gruppi di esperimenti le trachee isolate sono state quindi trattate con le seguenti sostanze: alfa-chimotripsina (2 U/ml), che inattiva i mediatori peptidici, L-NAME (10-4 M), un inibitore della sintesi di NO, zinco-protoporfirina IX (ZnPP IX) (10-5 M), un inibitore della eme-ossigenasi 2, responsabile della produzione di CO, e 1H[1,2,4]oxadiazolo-[4,3-a]quinoxalin-1-one (ODQ) (10-5 M), un inibitore della guanilato ciclasi solubile, che rappresenta la via finale comune di azione di NO e CO. Le risposte NANC-i alla stimolazione elettrica sono state espresse come media ± ES dei dati grezzi e valutate come percentuale media ± ES della risposta di rilasciamento delle trachee provenienti da animali esposti rispetto a quelle di controllo. La significatività statistica è stata valutata usando il test del t di Student per dati non appaiati e, quando opportuno, mediante analisi della varianza integrata dal post-hoc test di Bonferroni. Si è considerato significativo il valore di P < 0.05. RISULTATI Nella trachea isolata di cavie precedentemente esposte a persolfato d’ammonio è stata osservata una significativa riduzione (P<0,01) delle risposte NANC-i indotte a 3 e 10 Hz. In particolare, a 3 Hz la AUC era pari al 45.9% di quella dei controlli e a 10 Hz era pari al 47.5%. Nel gruppo di controllo, l’alfa-chimotripsina non modificava i rilasciamenti NANC, mentre ODQ riduceva tali rilasciamenti del 60%, valore simile a quello ottenuto combinando L-NAME e ZnPP IX. La combinazione di ODQ, L-NAME e ZnPP IX riduceva i rilasciamenti del 90%. Questi dati indicavano che NO e CO erano responsabili della quasi totalità dei rilasciamenti NANC. Negli animali esposti a persolfato d’ammonio le proporzioni di inibizione delle risposte NANC-i da parte di ciascuna delle sostanze suddette restavano inalterate. DISCUSSIONE Queste osservazioni confermano che l’esposizione ad alte concentrazioni di persolfato d’ammonio riduce l’efficienza del controllo nervoso NANC-i nelle vie aeree di cavia. Un ridotto rilasciamento NANC può dunque rappresentare uno dei meccanismi alla base dell’iperreattività delle vie aeree indotta da agenti occupazionali a basso peso molecolare, dotati (anche) di azione irritante. Le quote della risposta NANC-i dovute ai singoli neurotrasmettitori (NO e CO) non sono state modificate dall’esposizione a persolfato d’ammonio. Ciò suggerisce che l’effetto di tale sostanza è probabilmente correlato a una ridotta funzionalità dell’innervazione inibitoria intrinseca nel suo insieme, con conseguente ridotta liberazione dei neurotrasmettitori inibitori in essa contenuti (14), e/o una più veloce degradazione degli stessi, senza interferenze specifiche con la produzione o con l’azione di singoli neurotrasmettitori. L’ipotesi di una potenziale disregolazione delle vie NANC-i come causa parziale di iperreattività bronchiale era stata precedentemente formulata da altri autori (3), ma mai provata sperimentalmente. Attualmente si ritiene che i meccanismi responsabili dell’iperreattività bronchiale indotta da persolfati includano meccanismi immunomediati umorali (con la partecipazione delle IgE non ancora ben definita) (1, 16) e/o cellulari (che coinvolgono la partecipazione di mastociti) (17) e meccanismi diretti di irritazione/danno della mucosa bronchiale e (probabilmente) dell’innervazione intrinseca delle vie aeree. La funzionalità dell’innervazione intrinseca inibitoria, che i nostri dati dimostrano ridotta dall’esposizione a per solfati, meriterebbe di essere studiata anche nelle forme di asma professionale sostenute da altri agenti dotati di duplice azione irritante e sensibilizzante, quali, ad esempio, isocianati e glutaraldeide, nonché in tutte le forme, senza periodo di latenza, causate da agenti irritanti. BIBLIOGRAFIA 1) Moscato G, Pignatti P, Yacoub MR, Romano C, Spezia S, Perfetti L. Occupational asthma and occupational rhinitis in hairdressers. Chest 2005; 128: 3590-3598. 2) Ameille J, Pauli G, Calastreng-Crinquand A, Vervloet D, Iwatsubo Y, Popin E, Bayeux-Dunglas MC, Kopferschmitt-Kubler MC; Observatoire National des Asthmes Professionnels. Reported incidence of occupational asthma in France, 1996-99: the ONAP programme. Occup Environ Med 2003; 60: 136-141. G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it 3) Mensing T, Marek W, Baur X. 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Role of carbon monoxide in electrically induced non-adrenergic, non-cholinergic relaxations in the guinea-pig isolated whole trachea. Br J Pharmacol 2007; 150: 220-6. 15) D’Agostino G, Chiari MC, Grana E, Subissi A, Kilbinger H. Muscarinic inhibition of acetylcholine release from a novel in vitro preparation of the guinea-pig trachea. Naunyn Schmiedebergs Arch Pharmacol 1990; 342: 141-145. 16) Munoz X, Cruz MJ, Orriols R, Bravo C, Espuga M, Morell F. Occupational asthma due to persulfate salts: diagnosis and follow-up. Chest 2003; 123: 2124-2129. 17) Blainey AD, Ollier S, Cundell D, Smith RE, Davies RJ. Occupational asthma in a hairdressing salon. Thorax 1986; 41: 42-50. COM-07 MODIFICAZIONI DELLE TRANSAMINASI EPATICHE IN LAVORATORI ESPOSTI A BASSE DOSI DI ISOPROPANOLO I. Iavicoli1, L. Fontana1,2, S. Iavicoli2 1 Istituto di Medicina del Lavoro, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma 2 Dipartimento di Medicina del Lavoro, Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro, Monte Porzio Catone (Roma) Corrispondenza: Iavicoli Ivo, Istituto di Medicina del Lavoro, Università Cattolica del Sacro Cuore, Largo Francesco Vito 1, 00168 Roma, e-mail: [email protected] RIASSUNTO. L’isopropanolo (IPA) è un solvente volatile impiegato in numerosi processi industriali. La tossicità acuta del solvente si manifesta principalmente con vertigini, mancanza di coordinazione motoria, emicrania, ipotermia, atassia oculare, irritazione delle alte vie respirato- 271 rie e dispnea. L’ingestione accidentale di IPA provoca vomito, ematemesi, diarrea ed ipotensione. In letteratura non sono presenti dati relativi alla tossicità cronica e subcronica dell’IPA sull’uomo. In questo studio, eseguito su 40 lavoratori di un’industria del settore rotocalcografico, sono stati indagati i valori delle transaminasi epatiche (alanina aminotransferasi ALT, aspartato aminotransferasi AST) e la gamma glutamil transpeptidasi (γ-GT) degli ultimi cinque anni in relazione alla rimozione dal ciclo produttivo dell’IPA. I valori dell’ALT, dell’AST e della γ-GT osservati nei lavoratori esposti all’IPA sono risultati significativamente più elevati. Quindi, sulla base dei dati osservati in questo studio si può affermare che l’eliminazione dell’IPA dai processi industriali dell’azienda ha avuto un effetto positivo sulla salute dei lavoratori migliorando decisamente la funzionalità epatica. Parole chiave: isopropanolo, transaminasi epatiche, addetti alla stampa. MODIFICATIONS OF HEPATIC TRANSAMINASES IN WORKERS EXPOSED TO LOW DOSES OF ISOPROPANOL ABSTRACT. Isopropanol (IPA) is a volatile solvent that is used in many industrial process. The major symptoms of acute isopropanol toxicity include dizziness, incoordination, headache, hypothermia, eye ataxia, irritation of upper respiratory tract and shortness of breath. Vomiting, hematemesis, diarrhoea and hypotension may occur following accidental ingestion of IPA. No data regarding subchronic or chronic toxicity of IPA were identified. The aim of this study was to measure the serum levels of alanine aminotransferase (ALT), aspartate aminotransferase (AST) and of gamma-glutamyltransferase (γ-GT) of the last five years in 40 printer workers after the removal of IPA from the industry. The serum levels of ALT, AST and γ-GT were higher in the exposed workers than in non exposed. In conclusion, the results of this study show that the removal of IPA from the industry had a positive health effect improving the hepatic function of the workers. Key words: isopropanol, hepatic transaminases, printer workers. INTRODUZIONE L’isopropanolo (IPA) è un solvente volatile impiegato in numerosi processi industriali. È utilizzato nella produzione dell’acetone, degli inchiostri, nell’industria farmaceutica e dei cosmetici. Inoltre, è presente come solvente negli insetticidi, nelle soluzioni antigelo, nella gommalacca, negli oli essenziali ed è impiegato come detergente per i metalli (1,2). La tossicità acuta del solvente si manifesta principalmente con vertigini, mancanza di coordinazione motoria, emicrania, ipotermia, atassia oculare, irritazione delle alte vie respiratorie (3). In letteratura non sono presenti dati relativi alla tossicità cronica e subcronica dell’IPA sull’uomo. Numerosi, tuttavia, sono gli studi su animali di laboratorio che hanno evidenziato irritazione delle alte vie respiratorie, epatomegalia, nefrite interstiziale, idronefrosi, ectasia delle vescichette seminali ed iperplasia follicolare della milza (4,5). La IARC, sulla base di un’inadeguata evidenza di cancerogenicità per l’uomo e nella sperimentazione animale, ha inserito l’IPA nel gruppo 3 tra le sostanze non cancerogene per l’uomo (6). Nella popolazione generale il contatto cutaneo rappresenta la principale via di assorbimento dello xenobiotico mentre, i lavoratori professionalmente esposti assorbono l’IPA soprattutto per via inalatoria. In questo studio, eseguito su 40 lavoratori di un’industria del settore rotocalcografico, sono stati indagati e confrontati i valori delle transaminasi epatiche (alanina aminotransferasi ALT, aspartato aminotransferasi AST) e la gamma glutamil transpeptidasi (γ-GT) degli ultimi cinque anni in relazione ad un’importante modificazione del ciclo produttivo dell’azienda che ha recentemente eliminato l’utilizzo dell’IPA. MATERIALI E METODI La raccolta dei dati relativi ai valori delle AST, ALT e γ-GT è stata realizzata mediante la consultazione delle informazioni provenienti dall’attività di sorveglianza sanitaria. Dei 40 soggetti reclutati nello studio 30 sono addetti alla stampa, e pertanto erano professionalmente esposti all’IPA quando questo xenobiotico veniva utilizzato nel ciclo produttivo. I restanti 10 lavoratori svolgono mansioni specifiche che non comportavano l’esposizione all’IPA (carrellista, addetto alla manutenzione, addetto alla preparazione) e sono quindi stati utilizzati come gruppo di controllo. A tutti i lavoratori è stato somministrato un questionario sulle abi- 272 G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it Tabella I. Valori (Media ± Deviazione Standard) delle transaminasi epatiche, della γ-GT e del rapporto ALT/AST tudini alimentari, consumo di alcolici e pregresse infezioni epatiche al fine di escludere dallo studio i soggetti che presentavano aumentati valori degli enzimi epatici riconducibili a fattori extra professionali. RISULTATI I valori dell’ALT, dell’AST e della γ-GT (tabella I) osservati nei lavoratori esposti all’IPA sono risultati significativamente più elevati rispetto ai valori riscontrati negli stessi operai dopo la rimozione del solvente dal ciclo produttivo. Analogamente la media del rapporto ALT/AST (tabella I) osservato nei lavoratori non più esposti all’IPA è risultata inferiore rispetto ai valori registrati negli anni in cui lo xenobiotico veniva utilizzato. Non sono stati presi in considerazione i valori degli enzimi epatici di due addetti alla stampa in quanto i due lavoratori erano affetti da epatite di tipo B. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI Le informazioni raccolte non evidenziano criticità in relazioni alle abitudini alimentari e di vita dei soggetti intervistati. Il consumo di alcool è risultato contenuto (25 soggetti consumano vino ai pasti, 10 sono modici bevitori e 5 sono astemi) mentre, tutti i lavoratori seguono una dieta varia ed equilibrata. Inoltre, sono stati esclusi dall’analisi dei risultati due addetti alla stampa in quanto i valori delle transaminasi epatiche e della γ-GT erano molto elevati ed erano riconducibili all’epatite di tipo B evidenziata nel corso dell’intervista. I risultati mostrano come i valori medi dell’ALT, dell’AST e della γGT siano significativamente più elevati nel biennio 2003-2004 in cui l’IPA veniva impiegato come solvente nell’acqua di bagnatura della stampa. Successivamente alla rimozione dello xenobiotico dal processo produttivo (2005-2007) è invece possibile osservare un’importante riduzione dei valori medi delle transaminasi e della γ-GT. Un dato interessante è relativo al confronto dei risultati tra i lavoratori esposti ed i controlli. Infatti, in questo ultimo gruppo i livelli degli enzimi epatici sono ampiamente inferiori rispetto a quelli osservati, negli anni 2003-2004, negli addetti alla stampa. Al contrario, negli anni successivi (2005-2007) i valori medi dell’ALT, dell’AST e della γ-GT, osservati negli addetti alla stampa e nel gruppo di controllo, forniscono risultati simili. Quindi, non essendo intervenuti altri fattori occupazionali o extra professionali, è possibile ipotizzare che la riduzione delle transaminasi epatiche e della γ-GT nei lavoratori esposti all’IPA e l’avvicinamento di tali valori a quelli osservati nel gruppo di controllo sia dovuta alla rimozione del solvente dal ciclo produttivo dell’azienda. Questa ipotesi confermerebbe i risultati di altri studi presenti in letteratura in cui l’innalzamento o l’alterazione degli enzimi epatici, non riconducibile a fattori alimentari, infettivi o al consumo di alcolici, è stato correlato all’esposizione a solventi in ambito professionale (7). Sulla base dei dati osservati in questo studio si può quindi affermare che l’eliminazione dell’IPA potrebbe avere avuto un effetto positivo sulla salute dei lavoratori. Infatti, la diminuzione dei valori degli enzimi epatici indica un importante miglioramento della funzionalità epatica. Qualora i nostri risultati fossero confermati da ulteriori studi su questo argomento si potrebbe valutare l’ipotesi di utilizzare le transaminasi epatiche come utile e valido indicatore di effetto per le esposizioni a basse dosi di IPA. BIBLIOGRAFIA 1) Sethre T, Läubli T, Berode M, Krueger H, Neurobehavioural effects of experimental isopropanol exposure. Int Arch Occup Environ Health 73:105-112 (2000). 2) Smeets MAM, Mauté C, Dalton PA, Acute sensory irritation from exposure to isopropanol (2-Propanol) at TLV in workers and controls: Objective versus subjective effects. Ann Occup Hyg 46:359-373 (2002). 3) Hazardous Substances Data Bank (HSDB). Isopropanol. Toxicology Data Network System. National Library of Medicine. HSDB, Bethesda, MD (2003). 4) Burleigh-Flayer H, Gill MW, Strother DE, Masten LW, McKee RH, Tyler TR, Gardiner T, Isopraponol 13-week vapour inhalation study in rats and mice with neurotoxicity evaluation in rats. Fundam Appl Toxicol 23:421-428 (1994). 5) Burleigh-Flayer H, Garman R, Neptun D, Bevan C, Gardiner T, Kapp R, Tyler T, Wright G, Isopropanol vapour inhalation oncogenicity study in Fischer 344 rats and CD-1 mice. Fundam Appl Toxicol 36:95-111 (1997). 6) International Agency for Research on Cancer (IARC), Monographs on the evaluation of carcinogenic risks to humans. Isopropanol (Group 3). Re-Evaluation of some organic chemicals, Hydrazine and Hydrogen peroxide. IARC, Lyon, 1999. Vol. 71. 7) Guzelian P, Mills S, Fallon HJ, Liver structure and function in print workers exposed to toluene. J Occup Med 30:791-796 (1988). COM-08 ESPOSIZIONE PROFESSIONALE A MANGANESE NELL’INDUSTRIA DELLE FERROLEGHE: EFFETTI NEUROCOMPORTAMENTALI IN UNA COORTE DI LAVORATORI E. Albini, L. Benedetti, A. Caruso, S. Marchetti, E. Nan, S. Zoni, R. Lucchini Cattedra di Medicina del Lavoro, Università degli Sudi di Brescia RIASSUNTO. Introduzione. Il nostro Istituto segue da più di 20 anni alcuni lavoratori di un’azienda delle ferroleghe per la valutazione degli effetti neurocomportamentali da esposizione a manganese. Cinque anni dopo l’ultimo studio ne è stato programmato un altro per valutare le differenze di performance neuromotoria e cognitiva tra esposti e controlli ed effettuare una valutazione longitudinale. Materiali e Metodi. Sono stati eseguiti monitoraggio ambientale e biologico, valutati parametri di funzionalità epato-renale, esame emocromocitometrico, metabolismo del ferro e prolattina sierica. Sono stati somministrati: posturografia, tremore, quatto test della batteria SPES, Pursuing Aiming, cinque test della Luria Nebraska Motor Battery, Matrici Progressive di Raven, Trail Making Test, Mood Scale, Brief Symptoms Inventory, questionario dei sintomi neurolopsicologici. Sono stati indagate abitudini di vita, anamnesi lavorativa, residenziale e patologica. Risultati. Sono stati valutati 40 lavoratori e 40 controlli. Gli indicatori di esposizione sono risultati tutti significativamente più elevati nei soggetti esposti. La valutazione neuropsicologica ha evidenziato differenze significative nelle Matrici Progressive di Raven e nel Pursuit Aiming; l’analisi del tremore ha evidenziato valori più elevati negli esposti, l’esame posturografico ha evidenziato alcune differenze significative far i due gruppi. Parole chiave: manganese, effetti neurocomportamentali, test neuropsicologici. OCCUPATIONAL EXPOSURE TO MANGANESE IN FERROALLOY INDUSTRY: NEUROBEHAVIORAL EFFECTS IN A WORKERS’ COHORT ABSTRACT. Our Institute has been following for 20 years a group of workers of a ferroalloy industry in order to evaluate neurobehavioral effects due to manganese exposure. Five years after the last study we have planned another one, to evaluate differences in neuromotor e cognitive functions between exposed and controls and to perform a longitudinal evaluation of the results. G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it Environmental and biological sampling were collected, liver and kidney functionality, haemochrome, iron metabolism and sieric prolactine were evaluated. Several tests were administered: postural evaluation, tremor, four tests of the SPES battery, Pursuing Aiming, five tests of the Luria Nebraska Motor Battery, Raven Progressive Matrices, Trail Making Test, Mood Scale, Brief Symptoms Inventory, neuropsychological symptoms questionnaire. Personal habits and working, living and clinical histories were collected. We evaluated 43 exposed workers and 40 controls. Exposure indicators resulted all significantly higher in exposed workers. Neuropsychological examination showed differences in Raven Progressive Matrices and Pursuit Aiming, higher tremor values and differences in postural evaluation between exposed and controls. Key words: manganese, neurobehavioral effects, neuropsychological tests. INTRODUZIONE Gli effetti neurotossici conseguenti ad esposizione a manganese costituiscono un continuum che spazia da alterazioni neurofunzionali precoci, a segni neurologici preclinici sino alla patologia clinica vera e propria. Numerosi studi (WHO, 1981; Mergler e Balwin, 1997; Iregren, 1994; 1999; Hudnell, 1999; Levy e Nassetta, 2003) hanno dimostrato l’esistenza di un effetto significativo del manganese a carico del sistema nervoso centrale anche a seguito di esposizioni protratte a basse dosi del metallo. I segni precoci di alterazioni neuropsicologiche comprendono ridotte prestazioni ai test neuropsicologici, ridotta coordinazione visuomotoria, ridotta stabilità manuale, incremento dei tempi di reazione, alterazioni a carico della flessibilità cognitiva e ridotta stabilità posturale (Levy and Nassetta, 2003). L’Istituto di Medicina del Lavoro dell’Università degli Studi di Brescia segue da più di 20 anni un gruppo di lavoratori di un’azienda della provincia afferente al comparto delle ferroleghe per la valutazione degli effetti neurocomportamentali conseguenti all’esposizione a manganese. A distanza di 5 anni dall’ultimo studio (2001) ne è stato programmato un altro con l’obiettivo di rivalutare le differenze di performance neuromotoria e cognitiva tra esposti a manganese e controlli e valutare longitudinalmente le prestazioni ai test di alcuni soggetti tuttora impiegati nella medesima fonderia. MATERIALI E METODI Descrizione dell’azienda L’industria siderurgica presa in esame si trova in provincia di Brescia, essa produce leghe di silico-manganese e ferro-manganese. I controlli ambientali nei vari settori dell’area lavorativa sono stati condotti a partire dal 1981 con cadenza annuale fino al 1996 e successivamente nel 2001. Dal 1981 al ’96 le concentrazioni di Mn (media geometrica) nelle polveri totali è scesa da 1597,03 a 165,47 µg/m3 nella zona forni, da 151,54 a 67,02 µg/m3 nella zona colata, da 570,0 a 320,0 µg/m3 negli altri spazi aperti dell’azienda, mentre nell’officina per le saldature è rimasta stabile, attorno a 167 µg/m3. Nel 2001 le misurazioni condotte nelle medesime aree hanno evidenziato un lieve incremento delle polveri totali nella zona forni, salita a circa 400µg/m3, e nella zona di colata, con valori pari a 148,0 µg/m3. Popolazione esaminata Sono stati indagati due gruppi di soggetti: 1. lavoratori impiegati presso la fonderia di ferroleghe; 2. gruppo di controllo: cuochi, addetti alla manutenzione e a servizi vari impiegati presso l’ospedale cittadino. I criteri di esclusione sono stati i medesimi adottati nel corso dei precedenti studi, ovvero assunzione media giornaliera di alcol superiore ad 80 g/die, assunzione di farmaci attivi sul SNC, presenza di malattie del SNC o psichiatriche già diagnosticate, gravi epatopatie. Disegno dello studio Lo studio ha previsto la raccolta di campioni ambientali e biologici per la valutazione dell’esposizione. Ad entrambi i gruppi (esposti e controlli) sono stati somministrati gli stessi questionari utilizzati nel 1996 e 2001 insieme a test neurocomportamentali e neurofisiologici. Sono state inoltre introdotte ulteriori valutazioni di tipo neuropsicologico. 273 I questionari • questionario anamnestico generale, per la raccolta di dati relativi a età, scolarità, abitudine al fumo, consumo di alcol e caffè, numero di figli, stato di salute generale, familiarità per patologie neurodegenerative, esistenza di malattie neurologiche e psichiatriche, assunzione di farmaci attivi sul SNC, esposizioni extraprofessionali a neurotossici; • questionario per i sintomi neuropsicologici, composto da 29 domande, riguarda l’indagine di sintomi neurologici precoci riferibili ad esposizione a manganese, (Mergler e coll., 1994); • screeening per la sintomatologia parkinsoniana, anche questo già usato anche in altre indagini per lo screening dello studio del morbo di Parkinson su base anamnestica (Pannisset e coll., 1996). Test neurocomportamentali e neurofisiologici – Sono stati selezionati quattro test tratti dalla Swedish Performance Evaluation System (SPES): Digit Span, Finger Tapping, Symbol Digit e Simple Reaction Time, già utilizzati nei precedenti studi del ’91 e ’96. I test selezionati valutano la capacità di concentrazione e la velocità di risposta psicomotoria (Symbol Digit e Simple Reaction Time), la memoria a breve termine (Digit Span) e la capacità di compiere movimenti rapidi, ripetuti e precisi (Finger Tapping): – cinque test tratti dalla scala motoria del Luria Nebraska Neuropsychological Battery (Golden e coll., 1980): apertura e chiusura mano dominante (LURIA 1), apertura e chiusura mano non dominante (LURIA 2), apertura-chiusura alternata delle due mani (LURIA 3), contatto pollice-dita mano dominante (LURIA 4), contatto pollice dita mano non dominante (LURIA 5). Per ogni soggetto è stato valutato anche il valore medio (LURIA mean) e complessivo delle prestazioni (LURIA sum); – valutazione del tono dell’umore e di sintomi soggettivi attraverso la somministrazione della mood scale e del Brief Symptoms Inventory; – dal sistema CATSYS della Danish Product Development (DPD) sono stati selezionati due test: il primo per misurare il tremore posturale, il secondo per la valutazione della stabilità posturale. Test neuropsicologici – sono state utilizzate le Matrici Progressive di Raven, per l’analisi delle abilità cognitive; Pursuit Aiming, per la rilevazione della stabilità manuale e coordinazione visuo-motoria; Trail Making A e B, per la valutazione della abilità cognitive e della coordinazione visuo-motoria. Parametri biologici a) dosaggio del manganese ematico e plasmatico, di altri metalli ad azione neurotossica (piombo, mercurio) e di altri elementi essenziali (rame, zinco, selenio, magnesio) nel sangue e nell’urina; b) dosaggio dei parametri di funzionalità epato-renale; esame emocromocitometrico e parametri di metabolismo del ferro; c) prolattina sierica, per la valutazione della possibile interazione del manganese sul sistema dopaminergico; parametri di stress ossidativo; d) polimorfismi genetici. Indagini ambientali Contemporaneamente alla somministrazione dei test e alla effettuazione dei prelievi per le valutazioni ematochimiche sono stati effettuati campionamenti ambientali all’interno delle diverse aree dell’azienda e campionamenti personali sui lavoratori che hanno aderito al progetto. RISULTATI Hanno aderito allo studio 40 lavoratori esposti (età media 44 anni), e 40 controlli (età media 46 anni). Il monitoraggio ambientale ha evidenziato valori di Mn (media geometrica) nelle polveri respirabili pari a 280 µg/m3 nell’officina, 560 µg/m3 nella zona forni e 170 µg/m3 nella zona colata. Gli indicatori di esposizione a manganese sono risultati tutti significativamente più elevati nei soggetti esposti MnB (exp=12,875 µg/L vs ctr=7,043 µg/L; p<0,0001), MnP (exp=1,628 µg/L vs ctr=0,8 µg/L; p<0,0001), MnU (exp=0,608 µg/L vs ctr=0,227 µg/L; p=0,0022). La valutazione neuropsicologica ha evidenziato differenze significative nelle Matrici Progressive di Raven: nei controlli maggior numero di risposte corrette (40 vs. 36,5; p=0,0191) ed un numero inferiore di risposte errate (10,5 vs. 17,9; p=0,0010) e nel Pursuit Aiming 2 e totale, dove 274 i controlli hanno ottenuto punteggi migliori (Aiming 2 corrette 50,4 vs. 41,3; p=0,0212; Aiming totale 99,75 vs. 85,475; p=0,0364). L’analisi del tremore ha evidenziato valori più elevati negli esposti per quanto riguarda intensità (mano dx. 0,141 m/s2 vs. 0,082; p<0,0001; mano sin 0,142 m/s2 vs. 0,079; p<0,0001), frequenza centrale (mano dx 7,285Hz vs. 6,287Hz; p=0,0006; mano sin 7,626Hz vs. 6,573Hz; p=0,0015), deviazione standard (mano dx esposti 3,049Hz vs. 2,5; p=0,0015; mano sn 3,395Hz vs. 2,855; p=0,0021). L’esame posturografico ha evidenziato differenze significative per Sway Velocity (occhi aperti: esposti 9,40 mm/s vs. 8,263 mm/s; p=0,0070; occhi chiusi esposti 13,744 mm/s vs. 12,165 mm/s; p=0,0291) ed Intensità (occhi aperti esposti 4,357 vs. 3,677; p=0,0142). DISCUSSIONE E CONCLUSIONI I dati del monitoraggio ambientale hanno evidenziato valori di manganese al di sopra dell’attuale TLV-TWA per alcune delle zone valutate. I risultati ottenuti ai test hanno evidenziato alterazioni a carico della stabilità manuale (tremor ed aiming), in accordo con buona parte della letteratura sull’argomento (Zoni e coll., 2007), della stabilità posturale e delle abilità cognitive, valutate in un numero esiguo di studi ma risultate alterate nei soggetti professionalmente esposti a manganese (Bowler e coll., 2006). Ulteriori elaborazioni considereranno i risultati relativi a sintomi e umore e valuteranno longitudinalmente i soggetti partecipanti a partire dal primo studio. BIBLIOGRAFIA Bowler RM, Gysens S, Diamond E, Nakagawa S, Drezgic M, Roels HA. Manganese exposure: Neuropsychological and neurological symptoms and effects in welders. Neurotoxicology 27: 315-26; 2006. Hudnell HK. Effects from environmental Mn exposure: a review of the evidence from non occupational exposure studies. Neurotoxixology 20: 379-398; 1999. Iregren A. Manganese neurotoxicity in industrial exposures: proof of effects, critical exposure level, and sensitive tests. Neurotoxicology 20: 315-23; 1999. Iregren A. Using psychological tests for the early detection of neurotoxic effects of low level manganese exposure. Neurotoxicology 15: 671678; 1994. Levy BS, Nassetta WJ.Neurologic effects of manganese in humans: a review. Int J Occup Environ Health 9: 153-63; 2003. Mergler D, Balwin M. Early manifestations of manganese neurotoxicity in humans: an update. Environ Res 73: 92-100; 1997. Mergler D, Huel G, Bowler R, Iregren A, Belanger S, Baldwin M, Tardif R, Smargiassi A, Martin L. Nervous system dysfunction among workers with long term exposure to manganese. Environ Res 64: 151-180; 1994. Organization; 1981. Pannisset M, Lucchini R, Belanger S, Mergler D. Permanent Parkinsonism in workers formerly exposed to manganese. Movement Disorders 1996; 11: 599-600. WHO. Manganese. Environmental Health criteria. vol. 17. Geneva: World Health. Zoni S, Albini E, Lucchini R. Neuropsychological testing for the assessment of manganese neurotoxicity: A review and a proposal Am J Ind Med.50(11): 812-30; 2007. COM-09 CITOTOSSICITÀ E GENOTOSSICITÀ INDOTTE DA FIBRE DI VETRO L. Proietti, A. Giallongo,**A. M. Zakrzewska, **I. Ammoscato, *L. Lombardo, *G. Frasca, *V. Cardile Dipartimento Medicina Interna e Patologie Sistemiche, Università di Catania * Dipartimento di Scienze Fisiologiche, Università di Catania ** Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro (ISPESL), Centro di Ricerche di Lamezia Terme Corrispondenza: Lidia Proietti [email protected] G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it RIASSUNTO. Scopo della presente ricerca è stato quello di evidenziare eventuali effetti citototossici e genotossici in cellule alveolari polmonari umane A549 esposte a fibre di vetro. Per la valutazione dell’effetto citotossico è stato eseguito il test di metabolizzazione dei sali di tetrazolio (MTT). Per lo studio dell’effetto genotossico è stato utilizzato il test Comet. La vitalità delle cellule A549, sottoposte al test di metabolizzazione dei sali di tetrazolio dopo 72 ore di esposizione alle diverse concentrazioni di fibre di vetro, è stata espressa come percentuale di vitalità rispetto al valore (100%) del controllo non trattato e rappresenta la media ± S.E.M. di tre esperimenti condotti in duplicato. La fibra di vetro sintetica già alla più bassa concentrazione usata interferisce significativamente con la vitalità delle cellule A549 e alle concentrazioni più elevate induce una riduzione drastica della capacità delle cellule di metabolizzare i sali di tetrazolio. I risultati del test della Comet hanno mostrato lo stesso andamento concentrazione-dipendente di quello dell’inibizione della vitalità cellulare. Nelle colture trattate con la più bassa concentrazione di fibra di vetro (5 µg/ml per 72 ore) si osserva un danno al DNA che diventa cruciale alle concentrazioni più elevate di 100 µg/ml quando la frammentazione del DNA è più evidente. Parole chiave: Fibre vetrose; danno citotossico; danno genotossico;MTT test; Comet test; Cellule A549. FIBERS GLASS INDUCED CITOTOXICITY AND GENOTOXICITY ABSTRACT. Man-made vitrous fibers, have been widely used as a substitute for asbestos, as an insulation material. However the fibrous morphology of MMVFs raises concern about potential health hazard. The aim of our study was to assess cytotoxic and genotoxic effects induced on a human alveolar cell line A549 by exposure to glass wool fibers (GW). Cells were exposed for 72 h to 5, 50, 100 µg/ml of glass wool, after incubation the cell viability was determined by a MTT reduction assay. The genotoxic effect was studies by Comet test. An undamaged cell appeared as a nucleoid and a cell with damaged DNA as a comet. Measurement of Comet parameters: % DNA in the tail, tail length and tail momente (the product of relative tail intensity and lenght, that provides a parameter of DNA damage) were obtained from the analysis. A MTT assay indicated that glass wool caused a decrease in cell viability and this decrease was concentration-dependent. The results of the Comet test for DNA damage detection indicated in cell exposed to glass wool fibers a significant increase of mean TM value. All these results provide that the glass wool fibers can induce cytotoxicity and genotoxicity Key words: Glass wool; Cytotoxic effects; Genotoxic damage; MTT assay; Comet assay; A549 cells. INTRODUZIONE Le fibre artificiali vetrose, conosciute anche come fibre vetrose sintetiche o fibre minerali artificiali, sono un grande sottogruppo di fibre inorganiche e costituiscono attualmente il gruppo di fibre commercialmente più importante. Recentemente, con la messa al bando dell’amianto dalle normative vigenti, le fibre di vetro sono sempre più largamente utilizzate nella produzione di compositi strutturali in campo aerospaziale, nautico, automobilistico, associati a matrici diverse, ad esempio poliammidiche o epossidiche. Nel 1998 la IARC (International Agency for Research on Cancer), ha classificato la lana di roccia, di vetro, di scoria e le fibre ceramiche come possibili cancerogeni per l’uomo (gruppo 2B). Una più recente monografia della IARC (IARC 2002) ha riclassificato la lana di roccia, di vetro, e le fibre di vetro a filamento continuo “non classificabili come cancerogeni per l’uomo” (gruppo 3); mentre le fibre ceramiche sono state riconfermate nel gruppo 2B. Alcuni studi epidemiologici condotti su soggetti esposti (1-4) e studi su animali da esperimento hanno dimostrato la capacità di tali materiali di indurre il cancro (5-6). Tenuto conto dei risultati degli studi finora effettuati e della notevole diffusione delle fibre di vetro, abbiamo ritenuto importante valutare l’eventuale effetto citotossico e genotossico di tali fibre. MATERIALI E METODI Nel presente studio sono state utilizzate le fibre di vetro ottenute da filamenti di vetro in seguito alla diminuzione della lunghezza mediante G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it 275 bisturi. Nella tabella I è descritta la composizione delle fibre vetrose espressa come percentuale in peso dei diversi ossidi. La frazione dimensionale interessata è stata separata, previa sospensione delle fibre in una soluzione acquosa, con l’ausilio delle membrane filtranti di porosità note. Le fibre in oggetto rispondono ai requisiti di respirabilità definiti dalla World Health Organization presentando la lunghezza maggiore di 5 micron, il diametro minore di 3 micron ed il rapporto lunghezza/diametro superiore a 3. Il campione delle fibre vetrose depositato sul filtro in policarbonato è stato caratterizzato misurando il diametro e la lunghezza di 300 fibre. La caratterizzazione dimensionale è stata effettuata utilizzando il Microscopio Elettronico a Scansione (SEM) mod LEO1430, corredato, per l’analisi qualitativa delle fibre, dalla Microanalisi IXRF Systems mod. 500. Nella Tabella II sono stati riportati i parametri statistici principali della distribuzione dei diametri e della lunghezza. Tale distribuzione, valutata tramite il test di normalità di Kolmogorov-Smirnov, risulta essere di tipo log-normale. Per la valutazione dell’effetto citotossico è stato eseguito il test di metabolizzazione dei sali di tetrazolio (MTT). Questo test è un saggio colorimetro che serve a misurare la vitalità delle cellule e la proliferazione cellulare in test di mitogenesi. La reazione che presuppone la totale integrità delle cellule, ha luogo quando, per mezzo della succinato deidrogenasi mitocondriale, il bromuro di 3- (4,5-dimetiltiazol-2-yl) -2,5difenil tetrazolio (MTT) è ridotto a formazano, un prodotto colorato ed insolubile (7). La reazione è direttamente proporzionale al grado di attività metabolica delle cellule. I granuli di formazano blu, che si formano dalla reazione di riduzione vengono solubilizzati con l’aggiunta di DMSO. Il livello di formazano presente è usato come indice indiretto della densità cellulare. Per l’esecuzione del test sono state utilizzate cellule 549 preventivamente contate, trapiantate in micropozzetti (6 x 103/200 µl per micropozzetto) di una piastra a 96 pozzetti con fondo piatto e poi incubate. Dopo 24 ore, il terreno di coltura è stato sostituito con quello nuovo contente fibre di vetro alle concentrazioni di 5, 50, 100 µg/ml, ciascuna in quadruplicato, tranne che per alcuni micropozzetti lasciati col solo terreno di coltura usati come controllo. Le cellule sono state tenute a contatto con le fibre per 72 ore. Ad ogni singolo micropozzetto sono stati aggiunti, tre ore prima della fine dell’esperimento, 20 µl di MTT (5mg/ml di terreno). Le cellule sono state incubate a 37°C con il 5% di CO2 per tre ore, alla fine delle quali è stato eliminato il sopranatante e sono stati aggiunti 100 µl di DMSO per fermare la reazione e solubilizzare il formazano prodottosi. La densità ottica (O.D.) è stata misurata con uno spettrofotometro per micropiastre (Titertek Multiskan, DBS srl, Italy) ad una lunghezza d’onda di 550 nm. La vitalità cellulare è stata espressa come percentuale di vitalità rispetto al controllo e si è ottenuta dal rapporto tra l’assorbanza delle cellule trattate e l’assorbanza delle cellule del controllo x 100: % di vitalità = assorbanza cellule trattate/ assorbanza cellule controllo x 100 Per lo studio dell’effetto genotossico è stato utilizzato il test Comet o gel elettroforesi su singola cellula (SCGE). Tale tecnica permette di va- lutare il danno indotto da agenti genotossici al DNA cellulare attraverso l’esame, per fluorescenza, di profili “a cometa” ottenuti tramite elettroforesi di singole cellule su microgel preparati su vetrini per microscopia. I frammenti di DNA prodotti dall’insulto appaiono come la coda di “una cometa” la cui testa è rappresentata dal nucleo della cellula. La lunghezza della coda è in funzione del danno indotto. Con tale tecnica il DNA non viene sottoposto ad estrazione con agenti chimici. Le cellule tal quali sono state inglobate in agarosio low-melting. Successivamente lisate, inglobate in minigel di agarosio in condizioni fortemente alcaline e poi sottoposte ad elettroforesi a pH 12,5. Tali condizioni eliminano ogni traccia di proteine e di RNA lasciando solo il DNA presente sul gel. Terminata la corsa elettroforetica i minigel sono stati colorati con etidio bromuro ed il DNA visualizzato al microscopio a fluorescenza. Mediante specifico software (Scion Image) sono state acquisite e analizzate le immagini fluorescenti che hanno permesso di esaminare e quantificare il danno al DNA attraverso la misurazione di alcuni parametri: la lunghezza, l’intensità e l’area della coda; la lunghezza, l’intensità e l’area della testa. RISULTATI La vitalità delle cellule A549, sottoposte al test di metabolizzazione dei sali di tetrazolio dopo 72 ore di esposizione alle diverse concentrazioni di fibre di vetro, è stata espressa come percentuale di vitalità rispetto al valore (100%) del controllo non trattato e rappresenta la media ± S.E.M. di tre esperimenti condotti in duplicato. Come si può osservare la fibra di vetro sintetica già alla più bassa concentrazione usata interferisce significativamente con la vitalità delle cellule A549 (-53%) e alle concentrazioni più elevate induce una riduzione drastica della capacità delle cellule di metabolizzare i sali di tetrazolio. Nella Figura 1 sono riportate le percentuali di vitalità dopo 72 ore di trattamento. I risultati del test della Comet hanno mostrato lo stesso andamento concentrazione-dipendente di quello dell’inibizione della vitalità cellulare. Nelle colture trattate con la più bassa concentrazione di fibra di vetro per 72 ore si osserva un danno al DNA che diventa cruciale alle concentrazioni più elevate quando la frammentazione del DNA è più evidente. I risultati del test della Comet hanno mostrato lo stesso andamento concentrazione-dipendente di quello dell’inibizione della vitalità cellulare. Nelle colture trattate con la più bassa concentrazione di fibra di vetro (5 µg/ml per 72 ore) si osserva un danno al DNA che diventa cruciale alle concentrazioni più elevate di 100 µg/ml quando la frammentazione del DNA è più evidente. Tabella I. Composizione (% in peso degli ossidi) delle fibre di vetro Componente % Percentuale in peso SiO2 80,6 B2O3 13,0 Na2O 4,0 Al2O3 2,3 K2O 0,1 Figura 1. Vitalità cellulare Tabella II. Parametri statistici dimensionali di fibre vetrose testate Lunghezza [µm] Diametro [µm] Media aritmetica 19,30 1,00 Deviazione standard 18,40 0,60 Valore minimo 1,60 0,30 Valore massimo 101,60 5,00 97% di fibre con il diametro < 3_m Tabella II. Risultati della Comet dopo 72 ore di trattamento su cellule epiteliali A549 TDNA TMOM Controllo 10 ± 2,3 23 ± 1,5 Fibra di vetro 5 µg/ml 23 ± 4,6 71 ± 6,4 Fibra di vetro 50 µg/ml 65 ± 12,5 1560 ± 75 Fibra di vetro 100 µg/ml 78 ± 9,8 2496± 62 276 CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE I risultati del nostro studio, effettuato utilizzando test di citotossicità e di genotossicità, dimostrano come, già alle più basse concentrazioni la fibra di vetro interferisca negativamente con la vitalità delle cellule, e induca un danno al DNA che diventa più cruciale alle concentrazioni più elevate. Il danno al DNA indotto da basse dosi di fibre di vetro sembra confermare l’ipotizzato effetto cancerogeno come dimostrato da altri studi. Alla luce dei risultati degli studi finora effettuati, anche se si rendono necessarie ulteriori ed approfondite ricerche, tenuto conto dell’importanza e della diffusione di queste fibre, occorre mantenere una grande precauzione nel loro uso soprattutto perle lavorazioni che comportano la dispersione di fibre “respirabili”. Si rende quindi necessario controllare e ridurre al minimo l’esposizione a MMMF, anche attraverso una corretta valutazione del rischio che può essere effettuata integrando le misure della concentrazione delle fibre aerodisperse con le informazioni sulla caratterizzazione dimensionale del materiale fibroso. La problematica legata all’utilizzo di tali fibre è avvertita anche dalle stesse ditte produttrici che hanno avviato ricerche per lo sviluppo di nuovi materiali fibrosi caratterizzati da una ridotta biopersistenza polmonare. Di recente sono state immesse sul mercato fibre caratterizzate da un elevato contenuto di alluminio ed un basso contenuto di silice, denominate HT dotate di una solubilità superiore alle lane tradizionali. BIBLIOGRAFIA 1) Lee IM, Hennekens CH, Trichopoulos D, Buring JE.Man-made vitreous fibers and risk of respiratory system cancer: a review of the epidemiologic evidence. J Occup Environ Med. 1995 Jun; 37(6): 725-38. 2) Marsh GM, Buchanich JM, Youk AO). Historical cohort study of US man-made vitreous fiber production workers: VI.Respiratory system cancer standardized mortality ratios adjusted for theconfounding effect of cigarette smoking. J Occup Environ Med. 2001 Sep; 43(9): 803-8. 3) LeMasters GK, Lockey JE, Yiin JH, Hilbert TJ, Levin LS, Rice CH. Mortality of workers occupationally exposed to refractory ceramic fibers. J Occup Environ Med. 2003 Apr; 45(4): 440-50. 4) Boffetta P, Andersen A, Hansen J, Olsen JH, Plato N, Teppo L, Westerholm P, Saracci R. Cancer incidence among European man-made vitreous fiber production workers.Scand J Work Environ Health. 1999 Jun; 25(3): 222-6. 5) Hesterberg TW, Miiller WC, Mast R, McConnell EE, Bernstein DM, Anderson R.Relationship between lung biopersistence and biological effects of man-madevitreous fibers after chronic inhalation in rats. Environ Health Perspect. 1994 Oct; 102 Suppl 5: 133-7. 6) Kamstrup O, Davis JM, Ellehauge A, Guldberg M. The biopersistence and pathogenicity of man-made vitreous fibres after short- andlong-term inhalation. Ann Occup Hyg. 1998 Apr; 42(3): 191-9. 7) Mosmann, T. (1983). Rapid colorimetric assay for cellular growth and survival: application to proliferation and cytotoxicity assays. Journal Immunological Methods, 65, 55-63. COM-10 ESPOSIZIONE AMBIENTALE E PROFESSIONALE A PESTICIDI PROPIONANILIDICI E DICARBOSSIMIDICI N. Vitelli 1, A. Chiodini1, C. Colosio 2, G. De Paschale3, C. Somaruga2, R. Turci4, C. Minoia4, G. Brambilla 2, A. Colombi2 1 Scuola di Specializzazione di Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Milano, Via S. Barnaba, 8 - Milano. 2 Dipartimento di Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Milano, Sez-AO San Paolo, via Antonio di Rudinì, 8 - Milano 3 UOPL of Pavia, distretto di Voghera, Viale Repubblica 88, - Voghera 4 Laboratorio di Tossicologia Occupazionale e Ambientale, Fondazione Salvatore Maugeri, Via Salvatore Maugeri, 4 - Pavia Corrispondenza: Nora Vitelli ([email protected]) G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it RIASSUNTO. I fungicidi dicarbossimidici (FD), come vinclozolin, irodione e procymidone, sono utilizzati in tutto il mondo in colture vinicole, di frutta e ortaggi; gli erbicidi propionanilidici (EP), come linuron, diuron e propanil, sono utilizzati per il controllo della crescita di erbe infestanti su superfici dure (strade, sentieri, binari) oltre che in colture agricole, di piante ornamentali e in selvicoltura. Dai risultati dei controlli ufficiali italiani sui residui di prodotti fitosanitari negli alimenti di origine vegetale degli anni 2001 e 2002 emerge che tra le sostanze attive maggiormente contaminanti i campioni ve ne sono diverse appartenenti a queste categorie. 3,4 e 3,5-dicloroanilina (DCA) sono metaboliti di questi fitofarmaci, comunemente utilizzati come markers di esposizione; sono stati raccolti campioni di urina da 153 soggetti abitanti a Novafeltria (Marche) per il dosaggio di 3,4 e 3,5-DCA 151 campioni su un totale di 153 sono risultati positivi per 3,5-DCA, e 125 sono risultati positivi per 3,4-DCA. 3,4DCA è stata dosata come marker di esposizione a propanil anche in 33 lavoratori impegnati nella applicazione del fitofarmaco su colture di riso nel nord Italia. 3,4 e 3,5-DCA sono promettenti indicatori biologici di esposizione per il monitoraggio dei lavoratori e della popolazione generale. Sono, però, necessari ulteriori studi per chiarire i possibili effetti sulla salute a questi livelli di esposizione. Parole chiave: monitoraggio biologico; pesticidi; esposizione ambientale. OCCUPATIONAL AND ENVIRONMENTAL EXPOSURE TO ANILIDE AND DICARBOXIMIDE PESTICIDES ABSTRACT. Dicarboximide fungicides (DF) such as vinclozolin, iprodione, procymidone are widely used on vines, fruit and vegetables, and anilide herbicides (AH) such as diuron, linuron, propanil are used to control weeds on hard surfaces, such as, roads, railway tracks, paths, and in crops, forestry. Italian reports on food safety found many samples contaminated by pesticides belonging to these categories, even though only few exceeding L.M.R. Since adverse effects on human health, such as endocrine disruption, have been reported, biological monitoring is essential for exposure assessment both of occupationally exposed subjects and of the general population. Common metabolites of DF and AH are dichloroanilinines such as 3,4-DCA and 3,5-DCA, urine samples from 153 subjects living in Novafeltria, central Italy, were collected for analysis of 3,4- and 3,5DCAs, each participant was invited to complete a very detailed questionnaire. A total of 151 out of 153 samples were found to be positive for 3,5-DCA, and 81.7% were positive for 3,4-DCA. Also 33 workers, engaged in application of propanil on rice in northern Italy, were involved in the study and 3,4-DCA was determined as marker of exposure. 3,4 and 3,5 dichloroaniline are useful and promising biological indicators for monitoring occupational and environmental exposure to these classes of pesticides. Key words: biological monitoring; environmental exposure; pesticides. INTRODUZIONE I fungicidi dicarbossimidici (FD), come vinclozolin, iprodione e procymidone, sono utilizzati in tutto il mondo in colture vinicole, di frutta e ortaggi; gli erbicidi propionanilidici (EP), come linuron diuron e propanil, sono utilizzati per il controllo della crescita di erbe infestanti su diverse superfici (strade, sentieri, binari) oltre che in colture agricole, di piante ornamentali e in selvicoltura in fase di pre e postemergenza. In Italia sono tra i pesticidi più utilizzati con un aumento progressivo delle vendite dal 2002 al 2004. Dai risultati dei controlli ufficiali italiani sui residui di prodotti fitosanitari negli alimenti di origine vegetale degli anni 2001 e 2002 emerge che tra le sostanze attive più frequente individuate quali contaminanti i campioni di frutta, ortaggi e di vino ve ne sono diverse appartenenti a queste categorie. La sezione britannica di Pesticide Action Network ha pubblicato una lista dei 36 pesticidi che sono più frequentemente rintracciabili nei cibi tra i quali compaiono due fungicidi dicarbossimidici. Tracce di queste sostanze sono state rinvenute nelle vicinanze di case situate in prossimità di colture trattate suggerendo che le persone che abitano in queste zone possano essere esposte (1) 3,4 e 3,5-dicloroanilina (DCA) sono metaboliti di questi fitofarmaci, e possono essere utilizzati come markers di esposizione (3,4-DCA per linuron, diurno e propanil; e 3,5-DCA per vinclozolin, iprodione e procimidone); come per altre cloroaniline l’effetto tossico primario di 3,4-DCA, G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it in caso di esposizione a dosi elevate, è la formazione di metaemoglobina (2,3). Studi in vitro suggeriscono che FD e EP e i loro metaboliti, tra questi 3,4 e 3,5-DCA, siano in grado di modulare l’attività del sistema endocrino con effetti sul sistema riproduttivo e sullo sviluppo dei diversi apparati, in particolare linuron e quattro dei suoi metaboliti (tra questi 3,4DCA) sono risultati in grado di legarsi al recettore per gli androgeni (4) e 3,4-DCA è nota per esercitare effetti endocrini nei pesci (5). Inoltre in accordo con quanto dichiarato dalla Agenzia americana per la protezione dell’ambiente (US EPA) 3,4-DCA è da considerarsi pericolosa per l’ambiente (6). Considerazioni analoghe si applicano a 3,5-DCA che in diversi studi su animali ha mostrato effetti antiandrogenici (7,8); vinclozolin è una sostanza con capacità di modulazione endocrina con effetti sulle capacità riproduttive, che possono trasmettersi anche alle generazioni successive (9), e sullo sviluppo in diverse specie animali, nelle quali è inoltre in grado di produrre tumori testicolari (7,8). Sebbene non vi siano attualmente le condizioni per temere il manifestarsi di effetti acuti nella popolazione generale, è stato però ipotizzato che anche bassi livelli di esposizione ai pesticidi sopra menzionati possano modulare alcune funzioni endocrine. Alla luce degli effetti sopra descritti il monitoraggio biologico è necessario per valutare l’esposizione della popolazione e dei lavoratori del settore agricolo in contatto con queste sostanze. Questo studio è stato condotto per misurare i livelli di esposizione di gruppi di lavoratori addetti all’applicazione agricola di questi composto e di soggetti della popolazione generale, non esposta ad antiparassitari a fonti di esposizione note. MATERIALI E METODI Sono stati raccolti campioni di urina da 153 soggetti abitanti a Novafeltria (Marche) per il dosaggio di 3,4 e 3,5-DCA. Le analisi per la rilevazione di 3,4 e 3,5 DCA sono state condotte con un metodo di gascromatografia+spettrometria di massa, con limite di rilevabilità pari a 0,005 µg/L. Da questi soggetti sono stati prelevati anche campioni di sangue e sono stati effettuate misurazioni di comuni parametri ematochimici (emocromo, transaminasi, creatinina…). Campioni di urina sono stati raccolti anche da 31 lavoratori, impegnati nella applicazione di propanil su colture di riso nel nord Italia. I campionamenti sono stati effettuati prima e dopo l’applicazione (fine turno) e il mattino successivo; 3,4-DCA è stata dosata come marcatore di esposizione a propanil con un metodo di gascromatografia+spettrometria di massa con limite di rilevabilità pari a 1 µg/L. Informazioni anagrafiche e su abitudini dietetiche e di vita (per il primo gruppo) e condizioni di lavoro (per il secondo) sono state raccolte con due diversi questionari. RISULTATI Livelli misurabili di 3,4 e 3,5-DCA sono stati riscontrati nel 82% e 98% della popolazione generale, non è stato possibile effettuare confronti con i valori basali di 3,4-DCA dei lavoratori per la differente sensibilità delle metodiche di analisi (solo 3 soggetti con valori maggiori del LOD). Dopo l’applicazione di propanil i valori di 3,4DCA sono aumentati in media di circa tre ordini di grandezza superiori per poi ridursi notevolmente il mattino successivo. I risultati sono riassunti nelle tabelle I e II. Per il gruppo di Novafeltria non sono state riscontrate correlazioni tra i livelli di metaboliti urinari e alcune variabili come sesso, età (dato atteso considerata la rapida cinetica di eliminazione delle sostanze in esame) e abitudine al fumo; non sono state riscontrate neppure correlazioni con i parametri ematochimici valutati (emocromo, creatinina, transaminasi). Tabella I. Analisi di 3,5- e 3,4DCA in 153 campioni di urine raccolti da popolazione non esposta: numero di campioni positivi (N), percentuale di campioni con concentrazioni rilevabili (N%), range, media, deviazione standard (SD), mediana, e 25° e 75° percentile. Valori espressi in µg/L. a Media riferita ai campioni positivi 277 Tabella II. Analisi di 3,4-DCA in campioni urinari di 31 soggetti impegnati nell’applicazione di propanil: numero di campioni positive (N), percentuale di campioni con concentrazioni rilevabili (N%), range, media, deviazione standard (SD), mediana, 25° e 75° percentile. Valori espressi in µg/L Non si possono tuttavia escludere effetti a carico di altri organi e apparati meglio valutabili con indicatori funzionali più specifici. Nel caso dei lavoratori non è stata trovata relazione tra i livelli di 3,4DCA e la quantità di formulato applicata, la superficie trattata e i tempi di applicazione delle sostanze sulle colture; una indagine (analoga a quella condotta sulla popolazione di Novafeltria) sulle alterazioni di comuni parametri biochimici non è stata possibile data l’assenza di campioni ematici per questi soggetti; tale valutazione sarebbe auspicabile data la maggior esposizione dei lavoratori e quindi il maggior rischio di alterazioni funzionali. Discussione: 3,4 e 3,5-DCA sono promettenti indicatori biologici di esposizione per il monitoraggio dei lavoratori (data anche la scarsa interferenza del livello background) e della popolazione generale. I nostri dati, in accordo a quanto sostenuto dalle agenzie per la protezione dell’ambiente e per la sicurezza dei cibi, suggeriscono che gran parte della popolazione è esposta a questi pesticidi. Sono, però, necessari ulteriori studi per chiarire i possibili effetti sulla salute a questi livelli di esposizione nonché le principali fonti di esposizione non professionale. BIBLIOGRAFIA 1) Richards, SM, McClure, GYH, Lavy, TL, Mattice, JD, Keller, RJ, Gandy, J, 2001. Arch. Envirn. Contam. Toxicol. 41,112, 116. 2) Scientific Committee on Toxicity, Ecotoxicity, the Environment (CSTEE). Opinion on the results of the risk assessmentof 3,4-dichloroaniline. 12 November, 2003. 3) Pastorelli R, Catenacci G, Guanci M, Fanelli R, Valoti E, Minoia C, Airoldi L. Biomarkers 1998; 3: 227. 4) Cook JC, Mullin L, Frame SR, Biegel LB. Toxicol. Appl. Pharmacol. 1993; 119: 195. 5) Allner B. Dissertation, Fachbereich Biologie der Johann GutenbergUniversität in Mainz, 1997. 6) United States Environmental Protection Agency (US EPA). Prevention, pesticides and toxic substances (7508C). EPA-738-F-00-021, October 2000. 7) Gray LE, Ostby JS, Kelce WR. Toxicol. Appl. Pharmacol. 1994; 129: 46. 8) Gray LE Jr, Wolf C, Lambright C, Mann P, Price M, Cooper RL, Ostby J. Toxicol. Ind. Health 1999; 15: 94. 9) Anway MD, Cupp AS, Uzumcu M, Skinner MK, Science. 2005 Jun 3; 308(5727): 1466-9. COM-11 UDITO ED ESPOSIZIONI A SOLVENTI: STUDIO DI UNA POPOLAZIONE DI LAVORATORI ESPOSTI A STIRENE P. Mascagni, C. Formenti, M. Pettazzoni, G. Feltrin, F. Toffoletto Unità Operativa Complessa di Medicina del Lavoro Presidio Ospedaliero di Desio (MI) RIASSUNTO. Lo scopo di questo studio era di indagare gli effetti ototossici dell’esposizione professionale a stirene, in assenza di altri fattori di rischio. 278 G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it È stata misurata la soglia tonale audiometrica di 32 lavoratori esposti a stirene, ma non a rumore, nell’industria delle imbarcazioni in vetroresina ed è stata confrontata con quella di una popolazione non esposta composta da 60 soggetti. L’esposizione a stirene è stata determinata attraverso il monitoraggio biologico di acido mandelico + fenilgliossilico urinari (valore medio 149 mg/g crea, DS 80 mg/g crea) Per tutte le frequenze indagate (0.5-1-2-3-4-6-8 KHz) il campione degli esposti ha evidenziato un valore mediano lievemente peggiore rispetto ai controllo appaiati per età e sesso. La differenza ha assunto significatività statistica (p < 0.05) per tutte le frequenze eccetto gli 8 KHz dell’orecchio destro. La presente esperienza sembra confermare l’ipotesi che l’esposizione a stirene può determinare di per sé un lieve deficit neurosensoriale sulle alte frequenze. Tale deficit, pur manifestandosi con un lieve impairment uditivo statisticamente significativo rispetto al gruppo di controllo, non compromette in modo importante l’udito sociale e non implica aspetti medico-legali. Sono auspicabili una numerosità più elevata e test audiologici oggettivi (potenziali evocati uditivi, otoemissioni acustiche). Parole chiave:, udito, stirene, esposizione a solventi. HEARING FUNCTION AND SOLVENT EXPOSURE: STUDY OF A WORKER POPULATION EXPOSED TO STYRENE ABSTRACT. The aim of the study was to investigate the ototoxic effects of occupational styrene exposure, in absence of other risk factors. Pure-tone audiometric thresholds of 32 workers exposed to styrene, but not to noise, in fibreglass reinforced plastic boat manufacturing process were detected and compared to audiometric thresholds of a control unexposed group composed by 60 subjects. Exposure to styrene was measured by urinary mandelic + phenylglyoxylic acid (mean value 149 mg/g crea, SD 80 mg/g crea). For all the frequencies investigated (0,5-1-2-3-4-6-8 KHz) the exposed group showed slight higher mean (median) audiometric thresholds (p<0.05) compared to controls matched by age and sex, except for 8 KHz in the right ear. The present experience seems to confirm the hypothesis that styrene exposure alone can determine a weak sensorineural high-frequency hearing loss. Such slight impairment, even if statistically significant, does not remarkably limit social hearing and do not involve legal medical aspects. Sample expansion and objective diagnostic tests (auditory brainstem evoked potentials, acoustic otoemissions) are needed. Key words: hearing function, styrene, solvent exposure. INTRODUZIONE Le prime segnalazioni di ototossicità dei solventi industriali risalgono agli anni ‘60 (1), ma per studi più convincenti bisogna attendere la metà degli anni ‘80. Datano a quegli anni infatti i primi riscontri in Svezia di sinergismo lesivo dell’esposizione professionale combinata a rumore e solventi sull’organo dell’udito (2, 3). Dagli anni novanta questa interazione è stata più attentamente indagata e oggi l’evidenza epidemiologica è più solida, soprattutto per alte concentrazioni di solventi (4). Meno chiaro è invece l’effetto della sola esposizione a solventi sulla funzione uditiva. Lo stirene è fra i tossici industriali con provata otolesività nel ratto, animale con affinità metabolica all’uomo per questo solvente. Il meccanismo patogenetico però non è ancora ben noto (5-8). L’effetto è dose-dipendente: esposizioni brevi non sembrano essere in grado di danneggiare le cellule cigliate dell’organo di Corti, a differenza di esposizioni prolungate. Nel caso di esposizioni croniche, ad alte concentrazioni di solvente corrisponde un maggior danno alle cellule cigliate (9). Gli studi sull’uomo sono meno di una decina, controversi e non conclusivi (9). Tre di questi non hanno messo in luce effetti dello stirene sull’udito (10-12), due hanno preso in considerazione solo altissime frequenze (13, 14). Due lavori hanno invece rivelato alterazioni dell’udito in lavoratori esposti a stirene (15, 16). Traendo spunto da queste incertezze, è sembrato interessante indagare la funzione uditiva di un gruppo di lavoratori esposti a stirene ma non a rumore. MATERIALI E METODI Lo stirene è un solvente aromatico (C6H5CH=CH2) di ampio uso industriale. La maggiore esposizione si verifica nella produzione della ve- troresina, in particolare nell’industria nautica, dove lo stirene è usato come solvente e come agente di polimerizzazione (cross-linking). Per tale motivo si è scelto di operare tra il 2005 e il 2006 presso un’importante azienda del Nord Italia che realizza imbarcazioni da diporto (“yacht”) in vetroresina con tradizionale ciclo di lavorazione. È stata misurata in azienda la soglia tonale audiometria di un gruppo di lavoratori esposti a stirene ma non a rumore ed è stata confrontata con quella di una popolazione non esposta a fattori di rischio per l’udito. I gruppi sono stati selezionati attraverso criteri di normalità otologica per escludere esposizione professionale o extraprofessionale al rumore, familiarità di interesse otologico, patologie otologiche pregresse con assenza si sintomi attuali, uso di farmaci ototossici. Lo studio della funzione uditiva è stato eseguito attraverso una otoscopia preventiva, un esame audiometrico per via aerea e per via ossea relativamente alle frequenze di 0.5, 1, 2, 3, 4, 5, 6,8 KHz in ambiente silente e riposo acustico. I livelli di esposizione a rumore professionale sono stati verificati mediante fonometria con misura “centro ambiente” per meglio caratterizzare il clima acustico del reparto studiato. L’esposizione a stirene è stata determinata attraverso il monitoraggio biologico dei suoi metaboliti urinari, acido mandelico + fenilgliossilico. Per rappresentare la soglia uditiva è stato utilizzato il confronto tra le curve audiometriche facendo riferimento al 50° percentile (mediana) di ogni frequenza misurata. I due gruppi sono stati poi opportunamente ridotti per renderli omogenei rispetto a due fattori critici quali il sesso e l’età. Per ogni individuo del gruppo degli esposti è stato scelto un confronto nel gruppo di riferimento avente lo stesso sesso e la stessa età (la scelta è stata casualizzata nel caso di coesistenza di più individui coetanei). Nel caso in cui nei controlli non fossero reperibili coetanei degli esposti, si è scelto l’individuo di controllo avente stesso sesso ed età più vicina, ma sempre entro un intervallo di + 5 anni. Qualora questo non fosse possibile il soggetto esposto è stato escluso dal campione. RISULTATI Il gruppo degli esposti a stirene era complessivamente costituito da 20 maschi di età compresa tra 21 e 51 anni e da 12 femmine di età compresa tra 24 e 50 anni. L’anzianità lavorativa media era di 7.1 anni (DS 6.2).Il gruppo di controllo si componeva nel totale di 52 maschi di età compresa tra 22 e 65 anni e di 8 femmine di età compresa tra 35 e 54 anni. L’esposizione a stirene, determinata attraverso il monitoraggio biologico dei suoi metaboliti urinari, acido mandelico + fenilgliossilico, è di seguito riassunta: valore medio 149 mg/g crea (DS 80 mg/g crea), valore mediano 120 mg/g crea, range 20-410 mg/g crea (ACGIH BEI 2006, Acido mandelico + acido fenilgliossilico urine di fine turno = 400 mg/g crea). Il L(A)eq è risultato pari a 73 dB(A), valore per il quale non sono attesi danni all’udito. Dalla time history si è dedotto che si trattava di rumore di tipo stazionario con un unico impulso durante il Te di osservazione pari a 101.9 dB Lpk(lin). I risultati delle audiometrie sono riportati in Tabella I che riassume i valori mediani della soglia uditiva di gruppo rappresentati per frequenza. La figura 1 riassume visivamente quanto riportato nella tabella precedente. Analizzando la morfologia del tracciato del gruppo degli esposti (Esp) si evidenzia rispetto ai controlli (Cont): – normoacusia per le basse e medie frequenze; – lieve deficit di tipo neurosensoriale sulle alte ed altissime frequenze; – maggiore indebolimento uditivo per le frequenze di 4, 6 KHz con livelli rispettivamente pari a 20 e 25 dB. Ai fini dello studio statistico, come in precedenza descritto, per rendere i campioni omogenei, sono stati estratti 20 individui di sesso maschile maschi e 4 di sesso femminile. Analoga operazione è stata fatta per il gruppo dei controlli. L’età media nei due campioni è risultata esattamente pari a 36 anni. Confrontando la morfologia e la perdita uditiva del tracciato dei campioni risultanti con il tracciato degli interi gruppi in esame (Figura 1) le stesse differenze rimangono inalterate ed è ben visibile la sovrapponibilità degli audiogrammi (Fig. 2 e Fig. 3). Per tutte le frequenze indagate (0.5-1-2-3-4-6-8 KHz) il campione esposto a solventi ha evidenziato un valore mediano peggiore rispetto al campione di controllo. G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it Tabella I. Valori mediani della soglia uditiva Figura 1. Soglie uditive di gruppo (valore mediano) Figura 2. Soglia uditiva del campione degli esposti (valore mediano AuDx) Figura 3. Soglia uditiva del campione dei controlli (valore mediano AuDx) Questi risultati sono stati tutti sottoposti al test statistico della mediana. La differenza ha assunto significatività statistica (p < 0.05) per tutte le frequenze eccetto gli 8KHz dell’orecchio destro. 279 CONCLUSIONI I limiti principali del presente studio risiedono nella scarsa numerosità dei soggetti indagati. Tuttavia i dati sin qui raccolti sembrerebbero avvalorare l’ipotesi che l’esposizione a stirene possa determinare un lieve (inferiore o uguale a 25 dB) deficit neurosensoriale sulle alte frequenze simile a quello conseguente al rumore cronico. I risultati sono concordi con quanto già descritto in letteratura (17). Il deficit osservato, pur manifestandosi con un lieve impairment uditivo statisticamente significativo rispetto ai controlli non è d’intereresse ai fini medicolegali e non compromette in modo importante l’udito sociale. È comunque auspicabile la prosecuzione della presente esperienza attraverso valutazioni che possano contare su una numerosità più elevata e su test audiologici oggettivi (potenziali evocati uditivi, otoemissioni acustiche). BIBLIOGRAFIA 1) Lehnhardt E. Die Berufsschaden des Ohres. Arch. Ohren Nasen Kehlkopfkeilk 1965; 185: 11-242. 2) Barregard L, Axelsson A. Is There an ototraumatic interaction between nosise and solvents) Scand Audiol 1984; 13(3): 151: 5. 3) Bergstrom B, Nystrom B. Development of hearing loss during longterm exposure to occupational noise. A 20-year follow-up study. Acan Audiol 1986; 15(4): 227-34. 4) Volpin A, Saia B. Interazione tra solventi e rumore: stato dell’arte. G Ital Med Lav Erg 2006; 28: 1, 20-24. 5) Yano B, Dittember D, Albee R, Mattsson J. Abnormal uditory brainstem responses and cochlear pathology in rats induced by an exaggerated styrene exposure regimen. Toxicol Pathol 1992; 20: 1-6. 6) Crofton KM, Lassiter TL, Rebert CS. Solvent-induced ototoxicity in rats: an atypical selective mid-frequency hearing deficit. Hear Res 1994; 80: 25-30. 7) Loquet G, campo P, Lataye R, Cossec B. Combined effects of an exposure to styrene and ethanol on the auditory function in the rat. Hear Res 2000; 148: 173-180. 8) Campo P, Lataye R, Loquet G, Bonnet P. Styrene-induced hearing loss: a membrane insult. 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Alessio1 1 Department of Applied and Experimental Medicine, Section of Occupational Health, University of Brescia, Italy 2 Fatebenefratelli Association for Research (AFaR), Rome, Italy 3 Laboratory of Neurobiology, IRCCS Centro San Giovanni di Dio Fatebenefratelli, Brescia, Italy 4 Section of Statistics and Biometry, University of Brescia, Italy 5 Section of Neuroradiology, University of Brescia, Italy 6 Clinic of Neurology, University of Brescia, Italy 7 National Institute for Work Prevention and Safety, ISPESL, Rome Corrispondenza: Roberto Lucchini, Department of Applied and Experimental Medicine, Section of Occupational Health, University of Brescia, Italy, Pl.e Spedali Civili 1, 25123 Brescia, Italy, Tel: 030 3996604, Fax: 030 3996080, e-mail: [email protected] ABSTRACT. Background: Environmental exposure to heavy metals and especially manganese (Mn) took place in Valcamonica, Italy, where a high prevalence of Parkinsonism was observed (age and sex standardized 407/100,000; 95% CI: 393.87-420.12), and the Standardized Morbidity Ratios was associated with environmental Mn levels. Methods: A cross sectional study compared Parkinsonian patients residents in Valcamonica with patients from Brescia, Italy. Age- and sexmatched healthy individuals were recruited as controls. The protocol included information on clinical, occupational, residential history and life habits, neuro-psychological testing, and assessment of genetic polymorphism. Results: The target group included 65 patients and 52 controls from Valcamonica, 28 patients and 14 controls from Brescia. Age at onset of the disease was lower in women from both areas. After adjusting for age and age at onset, patients from Valcamonica showed more severe motor impairment at the UPDRS scale, higher damage of cognitive and motor functions at MMSE, Token and Trial Making tests. Genetic variables showed a different allelic distribution of DRD4 gene between cases and controls, outside Valcamonica, where a less frequent familiarity for parkinsonism was reported. Conclusions: Parkinsonian patients with previous exposure to metals showed a more severe neuropsychological phenotype, without detectable contribution from genetic factors. Key words: Parkinsonism, heavy metals, environmental exposure, neuropsychological impairment. VARIABILI NEUROLOGICHE E NEURO-COMPORTAMENTALI IN SOGGETTI PARKINSONIANI ESPOSTI A METALLI NEUROTOSSICI RIASSUNTO. Una prolungata esposizione ambientale e metalli pesanti e a manganese (Mn) si è verificata in Valcamonica, per la presenza di industrie di ferroleghe. In questa zona è stata osservata una elevata prevalenza di parkinsonismo (407/100,000; 95% IC: 393.87-420.12, standardizzata per età e sesso), e gli SMR sono risultati associati alle concentrazioni ambientali di Mn. METODI: Uno studio trasversale ha esaminato pazienti parkinsoniani residenti in Valcamonica e nell’area metropolitana di Brescia, con corrispondenti controlli sani. Il protocollo di valutazione ha compreso l’anamnesi clinica e fisiologica, residenziale e lavorativa, test neuropsicologici e la valutazione di polimorfismi genetici. RISULTATI: Sono stati esaminati 65 pazienti e 52 controlli sani residenti in Valcamonica, 28 pazienti e 14 controlli sani non residenti in Valcamonica. L’età di insorgenza della patologia è risultata inferiore per le donne di entrambe le aree. Dopo aggiustamento per età ed età di insorgenza, i pazienti della Valcamonica hanno evidenziato una maggiore compromissione motoria all’UPDRS, e cognitiva ai test MMS, Token e Trial Making. Le variabili geniche hanno evidenziato una minore familiarità per disturbi parkinsoniani nei pazienti della Valcamonica, ed una differente distribuzione allelica del gene DRD4 fra casi e controlli nei pazienti di Brescia. CONCLUSIONI: La prolungata esposizione a metalli neurotossici potrebbe causare una più grave espressione fenotipica della patologia, in assenza di un ruolo significativo delle variabili geniche. Parole chiave: Parkinsonismo, metalli, manganese, esposizione ambientale, funzioni neuropsichiche. INTRODUCTION The evidence for environmental contribution in the aetiology of Parkinsonian Syndromes (PS) including Idiopathic Parkinson’s Disease (IPD) and Parkinsonism is constantly growing (Brown et al., 2005). Several environmental factors have been studied and include agricultural activities, rural residence, exposure to pesticides and herbicides, and farming (Semchuk et al., 1992). Recent studies with more detailed assessment of pesticide exposure have defined a 1.5- to 7-fold increased risk of Parkinsonian disorders (Kamel and Hoppin, 2004), and low vs no exposure odds ratio (OR) = 1.13, 95% CI 0.82 to 1.57, high vs no exposure, OR = 1.41, 95% CI 1.06 to 1.88 (Dick et al., 2007). Industrial activities have also been considered, including exposure to hydrocarbons (Pezzoli et al., 2000), steel/alloy production, exposure to metals such as manganese (Mn) during welding operations (Racette et al., 2005). The neurotoxic effects of this essential element are well known in exposed workers and consist of dosedependent alterations of motor and cognitive functions that may lead to a simil-parkinsonian feature with marked aggressivity, due to exposure higher than 1 mg/m3 of Mn in total dust (Šarić and Lucchini, 2007). Recently, exposure due to industrial and vehicular emission of Mn through methylcyclopentadienyl manganese tricarbonyl (MMT) has been associated to an increased prevalence of parkinsonism in the population with an OR of 1.034 (1.00-1.07) per 10 ng/m3 increase in Mn in total suspended particles (Finkelstein and Jerrett, 2007). Environmental exposure to Mn took place for almost a century in Valcamonica, Italy, a valley in the Italian pre-Alp, due to the operations of ferroalloy plants. A high prevalence of Parkinsonism was observed in this area (age and sex standardized 492/100,000; 95% CI: 442.80-541.20) and resulted significantly higher (Kruskal-Wallis χ2 1 df =17.55, P<0.001) compared to other areas of the same province of Brescia, Italy (Lucchini et al., 2007). The Standardized Morbidity Ratios was also associated with the concentrations of Mn in settled dust. METHODS A cross sectional study was planned in the province of Brescia, to compare Parkinsonian patients residents in Valcamonica with patients from other areas, mainly resident in the metropolitan area of Brescia, Italy. The case definition was not limited to the diagnostic criteria for IPD (the four cardinal signs of rest tremor, bradykinesia, rigidity, and impaired postural reflexes), but extended to a broader classification of Parkinsonism, as defined by the presence of at least two of the four cardinal signs (Elbaz et al., 2002). Vascular and drug-induced Parkinsonism were excluded, as unrelated to environmental exposure. Age- and sex-matched healthy individuals were recruited as controls from both target areas of Valcamonica and Brescia. The protocol included information on clinical, occupational, residential history and life habits. Neuro-psychological testing included neurological examination with the Unified Parkinson Disease Rating Scale (UPDRS), the Mini Mental State Examination (MMSE), Token Test, Raven Coloured Matrices, Verbal Fluency (phonemic and semantic), Rey Copy and Recall, Digit Span, Trail Making Test A and B, and the Beck Depression Inventory. Genetic polymorphism was examined for the genes involved in dopamine metabolism (DRD1, DRD2, DRD3, DRD4, COMT), and for APOE and CST3 genes that have been related to PS (Li et al., 2004). A preliminary statistical analysis was conducted by comparing socio-demographic variables, neuro-psychological and genetic features in cases and controls from both residential areas of Valcamonica and Brescia. A two-ways analysis of variance was conducted considering a first nominal factor related to cases/controls classification and a second one related to the residential area. Potential confounders like age and sex were used as covariates in the model. Parameters of serum copper, iron, zinc, ceruloplasmin and transferrin, peroxides and antioxidants biomarkers were also assessed and the results are presented elsewhere (Squitti et al, 2007). The protocol included additional examinations that will be reported in future publications, including the brain MRI scan, focused on the globus pallidus that is the elected site of Mn deposition (Lucchini et al., 2000), tremorimetric measurements, and the determination of exposure biomarkers to various neurotoxic metals including lead and Mn. G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it RESULTS A total number of 65 patients and 52 healthy controls residents in Valcamonica, and 28 patients and 14 controls from the Brescia area were examined. Age and sex variables did not result as balanced between cases and controls with cases from Valcamonica older than the other groups and controls and women more represented among the controls from Valcamonica and the cases from Brescia. Therefore, age and sex were used as covariates to control their influence on the health outcomes. The total duration of residency in the same area after controlling for age, did not differ among the four subgroups. The age at onset was significantly lower among women (60.93±1.26) compared to men (65.96±1.77), independently from the residential area. After adjusting for age and sex, Parkinsonian patients from Valcamonica showed a more severe impairment of several Neuropsychological tests exploring cognitive and motor functions (table I). The UPDRS showed a significant contribution of the residential area in the model, with cases from Vacamonica showing higher impairment of motor functions. Parkinsonian patients from Valcamonica showed also lower cognitive performance at MMSE Token test. Regarding genetical factors, the prevalence of familiarity for PS resulted more frequent among cases from Brescia compared to the corresponding controls (36% vs. 22%). The allelic distribution of gene DRD4 resulted significantly different between cases and controls residents in the area of Brescia (MonteCarlo test p=0,041-T1; p=0,012T2) (fig. 1) and not between cases and controls residents in Valcamonica. 281 hypothesize that in this population the environmental factors were important determinant for the expression of the disease. There was no evidence, on the other hand, that genetic factors have contributed substantially to the aetiology and this confirms other recent observations (Dick at al., 2007b). REFERENCES 1) Brown RC, Lockwood AH, Sonawane BR. Neurodegenerative diseases: an overview of environmental risk factors. Environ Health Perspect, 113(9): 1250-6, 2005. 2) Dick FD, De Palma G, Ahmadi A, Scott NW, Prescott GJ, Bennett J, Semple S, Dick S, Counsell C, Mozzoni P, Haites N, Wettinger SB, Mutti A, Otelea M, Seaton A, Soderkvist P, Felice A; Geoparkinson study group. Environmental risk factors for Parkinson’s disease and parkinsonism: the Geoparkinson study. Occup Environ Med, 64(10): 666-72, 2007a. 3) Dick FD, De Palma G, Ahmadi A, Osborne A, Scott NW, Prescott GJ, Bennett J, Semple S, Dick S, Mozzoni P, Haites N, Wettinger SB, Mutti A, Otelea M, Seaton A, Soderkvist P, Felice A; Geoparkinson Study Group. Gene-environment interactions in parkinsonism and Parkinson’s disease: the Geoparkinson study. Occup Environ Med, 64(10): 673-80, 2007b. 4) Elbaz A, Bower JH, Maraganore DM, McDonnell SK, Peterson BJ, Ahlskog JE, Schaid DJ, Rocca WA. Risk tables for Parkinsonism and Parkinson’s disease. J Clin Epidemiol, 55: 25-31, 2002. 5) Finkelstein MM, Jerrett M. A study of the relationships between Parkinson’s disease and markers of traffic-derived and DISCUSSION AND CONCLUSIONS environmental manganese air pollution in two Canadian cities. The population examined was composed of Parkinsonian cases and Environ Res, 104(3): 420-32, 2007. healthy sex- and age-matched controls from two different geographical 6) Li YJ, Hauser MA, Scott WK, Martin ER, Booze MW, Qin XJ, Walter areas of the same province of Brescia, one of the most industrialized areas JW, Nance MA, Hubble JP, Koller WC, Pahwa R, Stern MB, Hiner of Northern Italy. The areas included Valcamonica, where a high prevalence BC, Jankovic J, Goetz CG, Small GW, Mastaglia F, Haines JL, of parkinsonism was observed as related to the presence of ferroalloy Pericak-Vance MA, Vance JM. Apolipoprotein E controls the risk and foundries that caused prolonged environmental exposure to heavy metals age at onset of Parkinson disease. Neurology, 62(11): 2005-9, 2004 and especially Mn. The reference area was the metropolitan area of Brescia 7) Lucchini R, Albini E, Placidi D, Gasparotti R, Pigozzi MG, Montani that cannot be truly considered as unexposed, but most likely with lower G, Alessio L Brain Magnetic Resonance Imaging And Manganese exposure levels to metals, as resulted from previous local air and soil Exposure. Neurotoxicol, 21 (5): 769-776,2000. monitoring (Lucchini et al., 2007). This study aimed to assess the clinical 8) Lucchini RG, Albini E, Benedetti L, Borghesi S, Coccaglio R, features of neurological and neuropsychological phenotype in Parkinsonian Malara EC, Parrinello G, Garattini S, Resola S, Alessio L. High patients resident in the two target areas. The results of neuropsychological prevalence of parkinsonian disorders associated to manganese testing showed a more severe expression of the disease phenotype, exposure in the vicinities of ferroalloy industries. Am J Ind Med, regarding both motor and cognitive functions, in patients from the exposed 50(11): 788-800, 2007. area. Although the role of exposure to heavy metals and particularly to Mn, 9) Pezzoli G, Canesi M, Antonini A, Righini A, Perbellini L, Barichella remains to be further assessed with dose-response analysis, we can M, Mariani CB, Tenconi F, Tesei S, Zecchinelli A, Leenders KL. Hydrocarbon exposure and Table I. Performance at motor and cognitive tests in parkinsonian patients Parkinson’s disease. Neurol, 55(1 of from Valcamonica and Brescia 2): 667-673, 2000. 10) Racette BA, Tabbal SD, Jennings D, Good L, Perlmutter JS, Evanoff B. Prevalence of Parkinsonism and relationship to exposure in a large sample of Alabama welders. Neurol, 25;64(2): 230-5, 2005a. 11) Šarić M and Lucchini R. Manganese. In: Nordberg GF, Fowler BA, Nordberg M and Friberg L Handbook on the Toxicology of Metals. 3rd Edition. Elsevier, 2007. 12) Semchuk KM, Love EJ, Lee RG. Parkinson’s disease and exposure to agricultural work and pesticide chemicals. Neurol, 42: 1328-1335, 1992. 13) Squitti R, Gorgone G, Binetti G, Ghidoni R, Pasqualetti P, Draicchio F, Albini E, Benedetti L, Lucchini R, Rossini PM. Metals And Oxidative Stress In Parkinson’s Disease From Industrial Arease With Exposition To Environmental Toxins Or Metal Pollution [in Italian]. G Ital Med Lav Egon, this Figure 1. Allelic distribution in Parkinsonian cases and controls resident in the area of Brescia issue, 2007. 282 G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it COM-13 ESPOSIZIONE AD IDROCARBURI POLICICLICI AROMATICI NELLO STAMPAGGIO DELLA GOMMA P.E. Cirlaa, I. Martinottia, E. Mossinib, S. Tieghib, E. Antoniazzic, L. Gallic, D. Pavesic, S. Fustinonia, L. Campoa, V. Foàa, A.M. Cirlac a Università degli Studi di Milano e Fondazione “Ospedale Maggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena” (IRCCS), Dipartimento di Medicina del Lavoro, Milano b A.S.L. della Provincia di Mantova, Dipartimento di prevenzione medico, Servizio Prevenzione Sicurezza Ambienti di Lavoro (SPSAL), Mantova c A.O. “Istituti Ospitalieri di Cremona”, Unità Operativa Ospedaliera di Medicina del Lavoro (UOOML), Cremona Corrispondenza: Piero Emanuele Cirla, Tel. 02.50320.110, Fax 02.50320.111, e-mail: [email protected] RIASSUNTO. Nell’ambito dei diversi agenti chimici con cui possono venire in contatto i lavoratori nell’industria della gomma, una particolare attenzione è posta alla possibile esposizione aerea e cutanea, agli Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) presenti negli oli e nel nerofumo utilizzati nelle mescole. La problematica appare oggi controversa alla luce degli ultimi sviluppi tecnologici. Dal punto di vista tossicologico, al di là di effetti irritanti su mucose e congiuntive evidenti per alte esposizioni, di sicuro rilievo appare il potenziale cancerogeno riconosciuto ad alcuni IPA dalla IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) e dall’Unione Europea. Negli ultimi due, con il gruppo di lavoro dello Studio PPTP-Gomma (Progetto Prevenzione Tumori Professionali - Lavorazione della gomma) della Regione Lombardia, è stato condotto uno studio finalizzato a verificare gli attuali livelli espositivi nel settore. I risultati del monitoraggio ambientale (16 IPA ritenuti di maggiore importanza dall’agenzia americana per la protezione dell’ambiente, EPA) e biologico (escrezione di 1-idrossipirene urinario), sono paragonabili ai livelli espositivi rilevati in altri studi su lavoratori esposti a basse ed accettabili dosi. Parole chiave: idrocarburi policiclici aromatici, industria della gomma, 1-idrossipirene. EXPOSURE TO POLYCYCLIC AROMATIC HYDROCARBONS (PAH) FORMING INDUSTRY IN RUBBER INTRODUZIONE L’industria della gomma è un settore produttivo molto complesso che, pur impiegando cospicue risorse tecnologiche, si avvale ancora di caratteristici impegni dell’uomo e della sua manualità (1). Nell’ambito dei diversi agenti chimici con cui possono venire in contatto gli addetti alle lavorazioni, una particolare attenzione viene posta alla possibile esposizione, per via aerea e per via cutanea (2), agli Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) presenti negli oli e nel nerofumo utilizzati nelle mescole. Dal punto di vista tossicologico, al di là di effetti irritanti su mucose e congiuntive evidenti per alte esposizioni, di sicuro rilievo è in questo senso il potenziale cancerogeno per cute e apparato respiratorio riconosciuto ad alcuni IPA dalla IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) (3-4) e dall’Unione Europea (frase di rischio “R45 - può provocare il cancro”). La problematica, di primario interesse per la medicina del lavoro, appare oggi controversa alla luce degli ultimi sviluppi tecnologici e dell’esiguità dei numeri relativi alle malattie professionali segnalate negli ultimi anni. Attualmente non è tecnicamente possibile l’eliminazione di queste sostanze dal ciclo produttivo e l’utilizzo di un ciclo chiuso può riguardare solo la produzione delle mescole. In particolare tra gli olii derivati per raffinazione dei petroli, si osserva un contenuto crescente di IPA passando da quelli raffinati “al solvente”, a quelli raffinati “al vapore” ed ai cosiddetti “olii aromatici”; per il nerofumo, a partire dagli anni ‘70, il tenore in IPA è stato progressivamente ridotto (oggi nella maggior parte dei casi è inferiore ad 1 ppm). Nel corso degli ultimi due anni, con il gruppo di lavoro dello Studio PPTP-Gomma (Progetto Prevenzione Tumori Professionali - Lavorazione della gomma) della Regione Lombardia (5), sono state progettate e condotte una serie di indagini di monitoraggio ambientale e biologico finalizzate a verificare gli attuali livelli espositivi ad IPA nelle lavorazioni di stampaggio della gomma. MATERIALI E METODI Basandosi sul database integrato INAIL/ISPESL/Regione e sulla memoria storica del servizio di prevenzione locale, sono state individuate e catalogate con sopralluogo standardizzato tutte le realtà produttive con attività di stampaggio gomma presenti nella provincia di Mantova; sono state quindi coinvolte nella campagna, anche con indagini ripetute, 6 aziende per un totale di 60 soggetti maschi addetti allo stampaggio della gomma (età media 36 anni, DS 8). L’indagine si è svolta nei mesi tra settembre e ottobre dell’anno 2006, durante un’intera giornata lavorativa in ambiente chiuso sito in zona periferica con scarso traffico veicolare. Tutti i lavoratori, informati su metodi e finalità dell’indagine, hanno espresso libero consenso a partecipare allo studio. Ogni soggetto è stato sottoposto ad intervista con ausilio di questionario per il controllo di fattori di confondimento (cibo, fumo di sigaretta), monitoraggio ambientale personale dell’esposizione per via aerea e monitoraggio biologico. Il 33% ABSTRACT. Among various chemical agents present at the workplaces in the rubber industry, a particular attention was adressed to the Polycyclic Aromatic Hydrocarbons (PAH) contained in oil and carbon black, but some questions Tabella I. Risultati monitoraggio ambientale dello Studio PPTP-Gomma regarding level of exposure are also controversially discussed. The literature reports that PAH may have irritant effects; moreover, some of these have been recognized as probably or possibly carcinogenic to human by the International Agency for Research on Cancer, the European Union, and other institutions. In Lombardy, a study aimed to evaluate the occupational exposure in the rubber forming industry was planned during last two years. The results of environmental air monitoring (the 16 most relevant, according to the American Environmental Protection Agency, EPA) and biological monitoring (urinary 1hydroxypyrene excretion) show that PAH exposure in these workers is not higher than that observed in other study regarding low level and acceptable exposure. Key words: Polycyclic aromatic hydrocarbons, rubber industry, 1-hydroxypyrene. * inferiore al limite di detezione (LOD) G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it 283 Tabella II. Livelli ambientali (ng/m3) degli IPA più importanti per gli effetti cancerogeni (sono indicati i Toxicity Equivalence Factors - TEF dell’EPA; composto di riferimento Benzo[a]pirene), dello Studio PPTP-Gomma ed in Aree urbane italiane (medie annuali di dieci anni) Tabella III. Risultati monitoraggio biologico con 1-idrossipirene urinario (ng/g creatinina) dello Studio PPTP-gomma: mediana (5°-95° percentile) RISULTATI I risultati del monitoraggio ambientale indicano una modesta dispersione in aria degli IPA oggetto di indagine (Tabella I). Rispetto ai pochi valori limite esistenti (TRK tedeschi, MPC polacchi e norvegesi), le concentrazioni di benzo(a)pirene, dibenzo(a,h)antracene e naftalene risultano mediamente inferiori di vari ordini di grandezza. Le concentrazioni di IPA altobollenti misurate, ed in particolare il benzo(a)pirene, sono comprese nel range riscontrabile in un’area metropolitana (Tabella II) e paragonabili ai livelli espositivi rilevati in altri studi su lavoratori esposti a basse dosi (6-10). I risultati del monitoraggio biologico (Tabella III e Figura 1), indicativi dell’assorbimento per via aerea e cutanea, mostrano nei soggetti fumatori e non fumatori, un andamento crescente di 1-idrossipirene passando dal baseline a inizio turno ed a fine turbo al limite della significatività statistica (t-test per dati appaiati) e comunque di modesta entità. Nel complesso i valori del metabolita non mostrano un significativo incremento legato allo svolgimento dell’attività di stampaggio della gomma e tengono conto del contributo derivante dal fumo di sigaretta. CONCLUSIONI L’esposizione ad IPA altobollenti, incluso il benzo(a)pirene, nelle lavorazioni di stampaggio della plastica monitorate non si differenzia significativamente da quella che possono sperimentare alcune categorie di lavoratori delle aree urbane, rientrando negli ambiti dell’accettabilità. Nel complesso il rischio per la salute legato all’esposizione ad IPA ed al loro assorbimento risulta essere in genere non significativo (11-12). Ai fini della valutazione del rischio, occorre tuttavia sottolineare che in situazioni dove l’impianto di aspirazione non mostri caratteri di efficienza ed efficacia (13), possono riscontrarsi valori ambientali e biologici meritevoli di maggiore attenzione e di più approfondita valutazione. RINGRAZIAMENTI Studio realizzato con il finanziamento della Regione Lombardia (DGR VII/18344 23/7/2004) ed il supporto del Laboratorio di Igiene e Tossicologia degli “Spedali Civili” di Brescia. Figura 1. Valori di 1-idrossipirene (ng/g creatinina) presenta abitudine al fumo di tabacco (media di 13 sigarette al dì). Tutti i soggetti utilizzavano, come dispositivi di protezione individuale, tuta da lavoro in cotone, scarpe antinfortunistiche e guanti (al bisogno). Il monitoraggio ambientale è stato effettuato mediante campionatori personali attivi posizionati in zona respiratoria (durata di almeno 4 ore, flusso 2 l/min), con sistema a doppio corpo (membrana in PTFE per la frazione inalabile del particolato aerodisperso e fiala con XAD2 per la fase vapore). Per il monitoraggio biologico ogni soggetto a fornito tre campioni di urina: il primo raccolto al mattino dopo due giornate di astensione dal lavoro (baseline), gli altri due raccolti all’inizio ed alla fine del turno di lavoro durante il quale si è svolto il monitoraggio ambientale (dopo almeno due giornate di attività). La determinazione della concentrazione dei 16 IPA ritenuti di maggiore rilevanza tossicologica dall’Environmental Protection Agency (EPA) e dell’1-idrossipirene urinario (1HOP) è avvenuta mediante cromatografia liquida ad elevate prestazioni (HPLC) con rilevatore spettrofluorimetrico. BIBLIOGRAFIA 1) Tieghi S. Stampaggio della gomma: dalla realtà produttiva all’individuazione dei rischi. Atti “Salute e sicurezza nello stampaggio di plastica e gomma”, a cura di Cirla PE e Martinotti I. Ed. CIMAL (ISBN 978-88-902124-2-0) Milano (Italia) 2007; pag. 20-33. 2) Brandt H, Watson W. Monitoring human occupational and environmental exposures to polycyclic aromatic compounds. Ann Occup Hyg 2003; 47:349-378. 3) International Agency for Research on Cancer. Overall evaluations of carcinogenicty: An updating of IARC monographs volumes 1 to 42. IARC Supplement 7 Lyon (France) 1987. 4) International Agency for Research on Cancer. Air pollution, part 1: Some non-heterocyclic polycyclic aromatic hydrocarbons and some related exposures. IARC Volume 92 Lyon (France) 2005. 5) Foà V, Martinotti I, Cirla PE. Progetto Prevenzione Tumori Professionali (PPTP): sinergie ed integrazioni per un obbiettivo comune. Atti “Salute e sicurezza nello stampaggio di plastica e gomma”, a cura di Cirla PE e Martinotti I. Ed. CIMAL (ISBN 978-88-902124-2-0) Milano (Italia) 2007; pag. 13-19. 6) Buratti M, Pellegrino O, Brambilla G, Colombi A. Urinary excretion of 1-hydroxypyrene as a biomarker of exposure to polycyclic aromatic hydrocarbons from different sources. Biomarkers 2000; 5:368-381. 7) Campo L, Buratti M, Fustinoni S, et al. Evaluation of Exposure to PAHs in Asphalt Workers by Environmental and Biological Monitoring. Ann NY Acad Sc - 2006; 1076:405-420. 8) Cirla PE, Martinotti I, Zito E, et al. Assessment of exposure to organic aromatic compounds and PAH in asphalt industry: the PPTP-POPA Study results. G Ital Med Lav Ergon 2005; 27:303-307. 284 9) Cirla PE, Martinotti I, Buratti M, et al. Assessment of Exposure to Polycyclic Aromatic Hydrocarbons (PAH) in Italian Asphalt Workers. J Occup Env Hyg 2007; 4(S1):87-99. 10) Pavanello S, Genova A, Foà V, Clonfero E. Valutazione dell’esposizione professionale ad idrocarburi policiclici aromatici mediante l’analisi dei livelli urinari di 1-pirenolo. Med Lav 2000; 91:192-205. 11) Roggi C, Minoia C, Sciarpa GF, et al. Urinary 1-hydroxypyrene as a marker of exposure to pyrene: an epidemiological survey on a general population group. Sci Total Environ 1997; 199:247-254. 12) Minoia C, Magnaghi S, Micoli G, et al. Determination of environmental reference concentration of six PAHs in urban areas (Pavia, Italy). Sci Total Environ 1997; 198:33-41. 13) American Conference of Governmental Industrial Hygienists. Industrial ventilation, a manual of recommended practices. Ed. ACGIH Cincinnati (USA) 1998. COM-14 MONITORAGGIO BIOLOGICO NELLO STAMPAGGIO DI PLASTICHE E GOMME S. Fustinoni1, L. Campo1, A.M. Cirla2, P.E. Cirla1, V. Cutugno3, C. Lionetti3, I. Martinotti1, E. Mossini4, V. Foà1 1 Clinica del Lavoro, Università degli Studi di Milano e Fondazione IRCCS Ospedale Maggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena, Milano 2 U.O. Ospedaliera Medicina del Lavoro (UOOML), A.O.”Istituti Ospedalieri”, Cremona 3 U.O. Laboratorio Chimico, ASL Provincia Varese, Varese 4 SPSAL Dipartimento Prevenzione Medico, ASL Provincia di Mantova, Mantova Corrispondenza: Silvia Fustinoni, Clinica del Lavoro “L. Devoto”, Fondazione IRCCS Ospedale Maggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena, Via S. Barnaba, 8, 20122 Milano, e-mail: [email protected] RIASSUNTO. Questa indagine è stata svolta nel comparto dello stampaggio di plastiche e gomme, nell’ambito del “Progetto Prevenzione Tumori Professionali” promosso dalla regione Lombardia con lo scopo di predisporre e attuare protocolli per la valutazione dell’esposizione a sostanze cancerogene attraverso il monitoraggio biologico. Sono state esaminate le realtà di stampaggio del polimero termoplastico ABS, della gomma e di resine termoindurenti contenenti formaldeide. Le sostanze cancerogene identificate in questi processi sono state: 1,3-butadiene, acrilonitrile e stirene nello stampaggio di ABS; idrocarburi policiclici aromatici (IPA) nello stampaggio della gomma; formaldeide nello stampaggio di resine termoindurenti. Solo per alcune di queste sostanze sono disponibili indicatori biologici. La limitata contaminazione ambientale nello stampaggio di ABS e le caratteristiche intrinseche degli indicatori proposti per 1-3 butadiene hanno determinato la non applicabilità del monitoraggio biologico a questa situazione lavorativa. La assenza di un indicatore biologico di esposizione a formaldeide ha reso anche questa situazione non indagabile. L’esposizione nello stampaggio gomma è stata invece studiata in 19 lavoratori applicando la misura degli IPA urinari non metabolizzati. I livelli degli indicatori sono risultati confrontabili con quelli misurati in altri gruppi di soggetti privi di esposizione professionale a IPA, confermando una esposizione lavorativa limitata. Parole chiave: monitoraggio biologico, stampaggio gomma, idrocarburi policiclici aromatici. BIOLOGICAL MONITORING IN THE MOLDING OF PLASTICS AND RUBBERS ABSTRACT. This survey was carried out in the molding of plastics and rubbers, in the “Professional Cancer Prevention Project” sponsored by the Lombardy region with the objective of developing and implementing protocols for evaluating exposure to carcinogens through the biological monitoring. The realities of molding the thermoplastic polymer ABS, rubber, and thermosetting plastics containing formaldehyde were examined. The carcinogenic substances identified in G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it these processes were: 1,3-butadiene, acrylonitrile and styrene in molding ABS, polycyclic aromatic hydrocarbons (PAH) in molding rubber, and formaldehyde in molding the thermosetting plastics. Only for some of these substances biological indicators are available. The limited exposure to airborne chemicals in molding ABS and the intrinsic characteristics of biological indicators available for 1-3 butadiene have determined the non applicability of biological monitoring to this situation. The absence of a biological indicator of exposure to formaldehyde has made this situation not investigable. Exposure in the rubber molding was studied in 19 subjects applying the determination not metabolized PAH in urine. The levels of these indicators were similar to those measured in other groups of subjects without occupational exposure to PAH, confirming a low airborne contamination in this workplace. Key words: biological monitoring, molding rubber, polycyclic aromatic hydrocarbons. INTRODUZIONE Questa indagine è stata svolta nel comparto dello stampaggio di plastiche e gomme, nell’ambito del “Progetto Prevenzione Tumori Professionali” promosso dalla regione Lombardia con lo scopo di predisporre e attuare protocolli per la valutazione dell’esposizione a sostanze cancerogene attraverso il monitoraggio biologico. Sono state esaminate tre realtà produttive particolarmente rappresentate nelle province di Varese, Cremona e Mantova: lo stampaggio del polimero ABS, lo stampaggio della gomma e la lavorazione di resine termoindurenti contenenti formaldeide (es: bakelite e resina ureica). Nello stampaggio di ABS come agenti di rischio sono stati identificati i monomeri costituenti il polimero 1,3-butadiene, acrilonitrile e stirene, che possono trovarsi residui nel polimero e/o formarsi per decomposizione durante lo stampaggio a caldo. Nello stampaggio gomma come agenti di rischio sono stati identificati gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) che sono contenuti negli oli e nel nerofumo addizionati alla mescola nella fase di preparazione della gomma e che possono liberarsi/formarsi per decomposizione durante lo stampaggio a caldo. Nella lavorazione delle resine termoindurenti l’agente di rischio è la formaldeide libera, che può liberarsi durante lo stampaggio per compressione. In Tabella I per ciascuna delle sostanze identificate come agenti di rischio sono riportate: la classificazione di cancerogenicità secondo la Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), i valori limite per gli agenti aerodispersi negli ambienti di lavoro secondo le raccomandazioni della associazione governativa degli igienisti industriali americani (ACGIH, 2007) e i relativi indicatori biologici di esposizione. Nella presente indagine i risultati del monitoraggio ambientale per la valutazione dell’esposizione a questi agenti di rischio sono stati incrociati con le informazioni sugli indicatori biologici disponibili per valutare la fattibilità ed eventualmente applicare un protocollo di monitoraggio biologico dell’esposizione in queste realtà produttive. MATERIALI E METODI Monitoraggio ambientale Stampaggio ABS Sono state indagate 12 realtà produttive della provincia di Varese che stampano ABS per estrusione, per un totale di circa 60 campionamenti ambientali. Per 1,3-butadiene sono state utilizzate cartucce con Carbosive III collegate a campionatori operanti al flusso di 50 ml/min per circa 2 ore (Fustinoni e coll., 2004). Per misurare acrilonitrile e stirene sono state utilizzate cartucce contenenti Tenax TA collegate a campionatori attivi operanti al flusso di 200 ml/min per circa 2 ore. Gli analiti sono stati desorbiti termicamente ed analizzati in gascromatografia capillare accoppiata a rivelatore di fiamma. I limiti di quantificazione sono pari a 1 µg/m3 per 1,3-butadiene, 10 µg/m3 per acrilonitrile e 1 µg/m3 per stirene. Stampaggio gomme Sono stati indagati 19 soggetti addetti allo stampaggio gomma per compressione in realtà produttive della provincia di Cremona e Mantova. La misura degli IPA aerodispersi è avvenuta accoppiando in serie una membrana in Teflon e una fiala XAD-2 collegate con un campionatore operate al flusso di 2 L/min per circa 4 ore. 15 IPA sono stati quantificati dopo desorbimento con acetonitrile e analisi in HPLC con rivelatore a fluorescenza (Campo e coll., 2006). I limiti di quantificazione sono stati: 2 ng/m3 per naftalene, 2 ng/m3 acenaftene, 0.2 ng/m3 fluorene, 1.4 ng/m3 fenantrene, 0.4 ng/m3 antracene, 0.4 ng/m3 fluoran- G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it tene, 0.6 ng/m3 pirene, 0.08 ng/m3 crisene, 0.08 ng/m3 benzo[a]antrancene, 0.03 ng/m3 benzo[k]fluorantene, 0.2 ng/m3 benzo[b]fluorantene, 0.03 ng/m3 benzo[a]pirene, 0.07 ng/m3 dibenzo[a,h]antracene, 0.3 ng/m3 benzo[g,h,i]perilene, e 0.3 ng/m3 indeno[1,2,3 cd]pirene. Lavorazione resine termoindurenti Sono stati effettuati campionamenti ambientali in 5 realtà produttive della provincia di Varese che stampano resine termoindurenti per un totale di circa 40 campionamenti. Per il campionamento sono state usate cartucce di gel di silice impregnate con 2,4-dinitrofenilidrazina collegate con un campionatore operate al flusso di 200-400 ml/min per 2 ore o per brevi intervalli. Le cartucce sono state desorbite con acetonitrile e la formaldeide analizzata in HPLC con rivelatore UV (EPA TO-11A). Il limite di quantificazione del metodo è 15 µg/m3. Monitoraggio biologico IPA urinari nello stampaggio gomme Il monitoraggio dell’esposizione a IPA attraverso la misura degli IPA urinari non metabolizzati è stato effettuato nei 19 soggetti (8 fumatori e 11 non fumatori) sottoposti a monitoraggio ambientale. A questi è stato chiesto di astenersi dal consumo di cibi ad elevato contenuto di IPA il giorno precedente e durante la raccolta del campione biologico. Per ciascun soggetto sono stati raccolti tre campioni di urina: uno all’inizio del turno di lavoro del primo giorno della settimana (BL), gli altri due uno a inizio (IT) e l’altro a fine turno (FT) di un giorno nella seconda metà della settimana lavorativa. Informazioni riguardanti lo stato di salute, le mansioni lavorative e l’abitudine al fumo sono state ottenute con un questionario. I soggetti hanno aderito allo studio attraverso il consenso informato. La raccolta dell’urina e la determinazione di IPA urinari è stata effettuata, dopo campionamento degli analiti nello spazio di testa tramite microestrazione in fase solida, via analisi gascromatografica con rivelatore di massa (Campo e coll., 2007). Sono stati quantificati: naftalene (limite di quantificazione 25 ng/L), acenaftene (6 ng/L), acenaftilene (5 ng/L), fluorene (5 ng/L), fenantrene (2 ng/L), antracene (2 ng/L), fluorantene (2 ng/L), pirene (4 ng/L), benzo[a]antracene (3 ng/L), e crisene (3 ng/L) urinari. Analisi statistica Per l’analisi statistica è stato utilizzato il programma SPSS 12.0 per Windows. Agli analiti non misurabili è stato assegnato un valore pari alla metà del limite di quantificazione dei metodi. Per l’analisi statistica sono state usate tecniche parametriche dopo trasformazione dei dati nei corrispondenti logaritmi decimali per assicurare normalità alle distribuzioni. Un valore di p<0.05 è stato considerato significativo. 285 2002). Considerato questi risultati e la presenza, nel caso degli indicatori biologici di esposizione a 1,3-butadiene della notazione sui livelli di background nella popolazione generale non esposta (ACGIH, 2007), non si è ritenuto utile effettuare una campagna di monitoraggio biologico. Stampaggio gomme Nei 19 soggetti indagati sono state trovate concentrazioni di IPA aerodispersi piuttosto modeste. Il composto più abbondante è il naftalene, con valore mediano di 1033 ng/m3, seguito da fluorene con 84 ng/m3 e fenantrene con 55 ng/m3. Tutti IPA altobollenti (più pesanti del pirene) hanno mostrato concentrazioni inferiori a 0.5 ng/m3, ed in particolare il livello di esposizione a benzo[a]pirene è risultato pari a 0.2 ng/m3. La determinazione degli IPA urinari è stata comunque effettuata in quanto questi analiti sono allo studio come possibili indicatori biologici che consentano una valutazione dell’esposizione a una miscela di sostanze con la possibilità di includere anche composti ritenuti diretti responsabili dell’azione cancerogena (Campo e coll., 2007). Il naftalene e il fenantrene urinari sono risultati gli IPA presenti in maggiori quantità con concentrazioni pari a 67, 115 e 131 ng/L e 22, 28 e 32 ng/L rispettivamente nei campioni BL, IT e FT. Gli altri IPA urinari bassobollenti, pur presenti nella maggior parte dei campioni, sono risultati inferiori a 10 ng/L, mentre gli IPA altobollenti sono risultati sempre inferiori al limite di quantificazione. Una correlazione significativa è stata trovata tra naftalene urinario e naftalene aerodisperso (r di Pearson 0.46). Per alcuni analiti i valori BL sono risultati statisticamente inferiori ai valori FT. Nessuna differenza è stata osservata tra soggetti fumatori e non fumatori. I livelli degli indicatori sono risultati confrontabili con quelli misurati in altri gruppi di soggetti privi di esposizione professionale a IPA e quindi indicano una esposizione lavorativa limitata. Lavorazione resine termoindurenti Mentre il tre aziende sono stati riscontrati livelli ambientali di formaldeide inferiori al limite di quantificazione del metodo (15 µg/m3), in altre due si sono trovati valori vicini o superiori al valore limite TLV-Celing di 370 µg/m3, con punte di concentrazioni fino anche a 962 µg/m3. Per il monitoraggio biologico della formaldeide purtroppo non sono disponibili indicatori raccomandati da ACGIH. In letteratura è stato recentemente proposto l’utilizzo di addotti formaldeide-emoglobina in campioni di sangue periferico (Bono e coll., 2006). Tuttavia i risultati di questo studio, che è da considerarsi preliminare, sono interlocutori in quanto questi addotti risultano presenti a livelli significativi anche nella popolazione non esposta e fortemente influenzati dall’abitudine al fumo di sigaretta, e questo suggerisce che possano esserci difficoltà nel discriminare situazioni lavorative nelle quali le esposizioni ambientali siano a livelli confrontabili a quelli degli attuali limiti di esposizione professionale. Nuove prospettive per la scoperta di indicatori biologici per l’esposizione a formaldeide si stanno apprendo con l’utilizzo di nuove tecnologie quali la proteomica (Im e coll., 2006). RISULTATI E DISCUSSIONE Stampaggio ABS Sono state trovate concentrazioni di 1,3-butadiene, acrilonitrile e stirene molto modeste. Per 1,3-butadiene nella quasi totalità dei casi sono stati Tabella I. Classificazione di cancerogenicità e valori limite ambientali e biologici per le sostanze di interesse trovati valori inferiori tossicologico identificate nelle realtà produttive indagate al limite di quantificazione (1 µg/m3), con un massimo di 6 µg/m3. Per acrilonitrile il 100% dei risultati è inferiore al limite di quantificazione (10 µg/m3). Per lo stirene aerodisperso sono stati trovati valori nell’intervallo 1-20 µg/m3, ad eccezione di un’azienda nella quale si sono trovati livelli fino a 4000 µg/m3, a posteriori attribuiti allo stampaggio di manufatti in polistirolo effettuato nelle immediate vicinanze. Questi risultati sono congruenti con precedenti esperienze pubblicate in letteratura (Forrest e coll., 1995; Yoshida e coll., 286 G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it BIBLIOGRAFIA 1) Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro, Classificazione di Cancerogenicità: http://monographs.iarc.fr/ENG/Classification/index.php, consultato il 2 Novembre 2007. 2) American Conference of Governmental Industrial Hygienists (ACGIH); TLVs and BEIs based on the documentation of the threshold limit values for chemical substances and physical agents & biological indices. Cincinnati, U.S.A.: ACGIH, 2007. 3) Bono R., Vincenti M., Schilirò T., Scursatone E., Pignata C., Gilli G. N-Methylenvaline in a group of subjects occupationally exposed to formaldehyde. Toxicol. Lett. 161: 10-17, 2006. 4) Campo L., Buratti M., Fustinoni S., Cirla P.E., Martinotti I., Longhi O., Cavallo D., Foà V. Evaluation of exposure to PAHs in asphalt workers by environmental and biological monitoring Ann. N.Y. Acad. Sci. 1076: 405-420, 2006. 5) Campo L., Fustinoni S., Buratti M., Cirla P.E., Martinotti I., Foà V. Unmetabolized polycyclic aromatic hydrocarbons in urine as biomarkers of low exposure in asphalt workers. J. Occup. Environ. Hyg. 4(S1): 100-110, 2007. 6) Forrest M.J., Jolly M., Holding S.R., Richards S.J. Emissions from processing thermoplastics. Ann. Occup. Hyg. 39: 35-53, 1995. 7) Fustinoni S., Perbellini L., Soleo L., Manno M., Foà V. Biological monitoring in occupational exposure to low levels of 1,3-butadiene. Toxicol. Lett. 149: 353-360, 2004. 8) Im H., Oh E., Mun J., Khim J.Y., Lee E., Kang H.S., Kim E., Kim H., Won N.H., Kim Y.H., Jung W.W., Sul D. Evaluation of toxicological monitoring markers using proteomic analysis in rats exposed to formaldehyde. J. Proteome Res. 5: 1354-1366, 2006. 9) Yoshida T., Tainaka H., Matsunaga I., Goto S., 2002 [The airborne 1,3-butadiene concentrations in rubber and plastic processing plants] [Article in Japanese] Sangyo Eiseigaku Zasshi. 44: 56-63. percentuale di comete è stato rilevato alla dose più elevata. I risultati evidenziano l’elevata sensibilità del comet assay nel rivelare precocemente l’induzione di danno al DNA a basse dosi suggerendo l’utilizzo di tale test sulle A549 per valutare a livello dell’organo bersaglio gli effetti di miscele complesse di sostanze genotossiche. Parole chiave: Idrocarburi policiclici aromatici, cokeria, Comet assay. IN VITRO STUDY OF GENOTOXIC AND OXIDATIVE EFFECTS INDUCED ON HUMAN PULMONARY CELLS BY EXPOSURE TO PAHS EXTRACTED FROM AIRBORNE PARTICULATE MATTER COLLECTED IN A COKE PLANT ABSTRACT. Genotoxic and oxidative effect of airborne particulate matter collected in a coke plant were evaluated on lung epithelial cells (A549). We aimed to clarify the mechanism of action of complex mixtures of PAHs and to identify biomarkers of effect of lung cancer. Particulate matter was analysed by GC/MS. Genotoxic and oxidative effects induced by the exposure to the extract were evaluated by Fpg comet assay. The cells were exposed for 30 min, 2h and 4h to 0.01%, 0.02% and 0.05% of the extract. We evaluated comet percentage and analysed tail moment values of exposed and unexposed cells treated with Fpg enzyme (TMenz) and untreated (TM) that indicate respectively oxidative and direct DNA damage. We found 0.328 ng/m3 of pyrene, 0.33 ng/m 3 of benzo(a)anthracene, 1.073 ng/m 3 of benzo(b)fluoranthene, 0.22 ng/m3 of benzo(k)fluoranthene, 0.35 ng/m3 of benzo(a)pyrene, 0.079 ng/m3 of dibenzo(a,h)anthracene and 0.40 ng/m3 of benzo(g,h,i)perylene. A dose-dependent increase, although not significant, of TM and TMenz in the exposed cells in respect to controls was found that indicates a slight increase of both direct and oxidative damage in exposed cells. A slight increase of comet percentage was found at the highest dose. We show the high sensibility of comet assay to measure early DNA damage also at low doses suggesting the use of such test on A549 to evaluate on target organ the effects of complex mixtures of genotoxic substances. Key words: Polycyclic Aromatic Hydrocarbons, coke plant, Comet assay. COM-15 STUDIO IN VITRO DEGLI EFFETTI GENOTOSSICI ED OSSIDATIVI INDOTTI SU CELLULE POLMONARI UMANE DALL’ESPOSIZIONE AD IPA ESTRATTI DA MATRICI AMBIENTALI DI UNA COKERIA 1D. 1R. Cavallo, 1C. L. Ursini, 2E. Pira, 2C. Romano, 1A. Ciervo, Maiello, 3A. Caglieri, 1S. Iavicoli 1 Dipartimento di Medicina del Lavoro - ISPESL Monteporzio Catone (RM) 2 Dipartimento di Traumatologia, Ortopedia e Medicina del lavoroUniversità degli Studi di Torino 3 Centro Studi e Ricerche ISPESL di Parma Corrispondenza: Delia Cavallo, ISPESL - Dipartimento di Medicina del Lavoro, via Fontana Candida 1, 00040 Monteporzio Catone (RM), email: [email protected] RIASSUNTO. L’effetto genotossico ed ossidativo dell’estratto di matrici ambientali raccolte in una cokeria è stato valutato su cellule A549 con lo scopo di chiarire i meccanismi d’azione di miscele complesse di IPA ed identificare bioindicatori di effetto per la diagnosi precoce di tumore al polmone. Il particolato è stato analizzato mediante GM/MS. Gli effetti genotossici ed ossidativi indotti dall’esposizione per 30 min, 2h e 4h a 0.01%, 0.02% and 0.05% dell’estratto sono stati valutati mediante Fpg comet assay. Il danno al DNA è stato valutato analizzando nelle cellule esposte ed in quelle non esposte i valori di Tail moment da cellule trattate con l’enzima Fpg (TMenz) e da cellule non trattate con l’enzima (TM) indicativi rispettivamente di danno ossidativo e diretto al DNA. È stata valutata inoltre la percentuale di comete. L’analisi del particolato ha evidenziato nell’estratto 0.328 ng/m3 di pirene, 0.33 ng/m3 di benzo(a)antracene, 1.073 ng/m3 di benzo(b)fluorantene, 0.22 ng/m3 di benzo(k)fluorantene, 0.35 ng/m3 di benzo(a)pirene, 0.079 ng/m3 di dibenzo(a,h)antracene e 0.40 ng/m3 di benzo(g,h,i)perilene. Un non significativo incremento dose-tempo dipendente di TM e TMenz è stato individuato nelle cellule esposte rispetto al controllo indicando una lieve induzione di danno diretto e ossidativo al DNA. Un lieve aumento della INTRODUZIONE L’esposizione professionale dei lavoratori di cokeria è caratterizzata principalmente dalla presenza nell’ambiente lavorativo di Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) emessi durante il processo di pirolisi del carbone in coke (1) ed avviene essenzialmente per inalazione e contatto cutaneo. Alcuni di questi composti sono classificati come probabili o possibili cancerogeni per l’uomo. L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) ha infatti classificato l’attività di “produzione di coke” quale sicuro cancerogeno per gli esseri umani, sulla base di evidenze sperimentali ed epidemiologiche di eccessi di rischio soprattutto per carcinoma polmonare (2). Sempre la IARC classifica nel gruppo 2A il benzo(a)pirene, il benzo(a)antracene e il dibenzo(a,h)antracene; nel gruppo 2B il benzo(b)fluorantene, il benzo(k)fluorantene e l’indeno (1,2,3cd) perilene; nel gruppo C il benzo(ghi)perilene, il crisene, il coronene, il fluorene, l’antracene, il pirene e il dibenzo(a,c)antracene (3). L’esposizione lavorativa agli IPA emessi durante la produzione di coke nelle attività di cokeria è stata correlata ad una aumentata incidenza di tumori, in particolare a carico del polmone (4,5). Un recente studio di Bosetti et al, 2007 (6), ha evidenziato un rischio relativo di 1,58 (CI 1,471,69) di insorgenza di tumori al polmone per i lavoratori addetti alla produzione di coke. L’identificazione di biomarcatori precoci di effetto genotossico indotto dall’esposizione occupazionale a miscele complesse di IPA potrebbe fornire un utile contributo per la diagnosi precoce di tumore al polmone. Nel presente studio l’effetto genotossico ed ossidativo dell’estratto di matrici ambientali contenenti IPA raccolte nel reparto forni di una cokeria è stato valutato sulla linea cellulare A549, rappresentativa del tessuto polmonare umano. Scopo dello studio è stato chiarire i meccanismi d’azione di miscele complesse di IPA anche a basse dosi presenti in alcune realtà lavorative e l’identificazione di bioindicatori di effetto per la diagnosi precoce di tumore al polmone. MATERIALI E METODI Il particolato aerodisperso è stato raccolto su filtro in fibra di vetro mediante un campionatore d’aria con flusso di aspirazione costante di 3 L/min, estratto con toluene mediante ultrasuoni ed analizzato per il con- G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it tenuto in Pirene, Benzo(a)antracene, Benzo(b)fluorantene, Benzo(k)fluorantene, Benzo(a)pirene, Dibenzo(a,h)antracene, Benzo(g,h,i) perilene, mediante gascromatografia/spettrometria di massa. L’analisi è stata effettuata con la tecnica del singolo ione, utilizzando come riferimento lo Standard EPA contenente i 16 principali Idrocarburi Policiclici Aromatici presenti negli ambienti di vita e di lavoro. Una linea continua rappresentativa di epitelio polmonare umano (A549) (ATTC, Rockville, MD) è stata messa in coltura con terreno RPMI-164 (GIBCO BRL, Gaithersburg, MD) contenente siero fetale di vitello al 10%, 100 U/ml di penicillina e 100 µg/ml di streptomicina. Le cellule sono state esposte per 30 min, 2h e 4h a 0.01%, 0.02% and 0.05% dell’estratto di matrice ambientale disciolto in DMSO. Inoltre per ciascun punto sperimentale sono state utilizzate cellule non esposte come controllo. Le cellule esposte e quelle di controllo sono state analizzate mediante Fpg comet assay (7) che prevede, per ciascun caso, la preparazione di 2 vetrini con lo strato di agarosio contenente le cellule. Dopo il trattamento con soluzione di lisi (2.5 M NaCl, 100 mM Na2EDTA, 10 mM Tris con 1% Triton X-100 e 10% DMSO) per 1 ora al buio, un vetrino viene incubato con l’enzima Fpg (1µg/ml) in soluzione tampone (50 mM Na3PO4, 10 mM EDTA, 100 mM NaCl, pH 7.5), l’altro con il solo tampone per 30 min a 37°C. I vetrini vengono quindi lasciati in tampone (1 mM Na2EDTA and 300 mM NaOH, pH 13) per 40 min e sottoposti a corsa elettroforetica a 25V e 300mA per 30 min, colorati con bromuro di etidio ed analizzati tramite microscopio a fluorescenza. I nuclei delle cellule con danno al DNA appaiono come comete la cui percentuale è stata calcolata analizzando un totale di 1000 cellule. Per ciascun vetrino sono state acquisite 50 comete ed è stato determinato mediante una specifico software (Delta Sistemi, Roma) il valore di Tail moment (dato dal prodotto dell’intensità di fluorescenza per la lunghezza della coda della cometa) sia sulle comete da cellule trattate con l’enzima (Tmenz), sia su quelle da cellule non trattate con Fpg (Tm). Tali parametri indicano rispettivamente un danno ossidativo (Tmenz) o diretto (Tm) al DNA. RISULTATI L’analisi chimica dell’estratto ha evidenziato una concentrazione ambientale di 0.328 ng/m3 di pirene, 0.33 ng/m3 di benzo(a)antracene, 1.073 ng/m3 di benzo(b)fluorantene, 0.22 ng/m3 di benzo(k)fluorantene, 0.35 ng/m3 di benzo(a)pirene, 0.079 ng/m3 di dibenzo(a,h)antracene e 0.40 ng/m3 di benzo(g,h,i)perilene. I risultati del comet assay mostrati in figura 1, sono espressi come valori medi di tail moment relativi alle diverse concentrazioni di estratto utilizzate ed ai tre tempi di esposizione ed evidenziano un non significativo incremento dose-tempo dipendente di TM e TMenz nelle cellule esposte rispetto al controllo indicando una lieve induzione di danno diretto ed ossidativo al DNA. Un leggero aumento della percentuale di comete è stato inoltre rilevato alla dose più elevata senza marcate differenze relativamente ai tempi di esposizione (figura 2). Figura 1. Valori medi di tail moment in cellule A549 esposte per 30 min (▲), 2 ore (●) e 4 ore (■) a diverse diluizioni dell’estratto di matrice ambientale contenente IPA. Le linee tratteggiate si riferiscono alle cellule non trattate con l’enzima Fpg, le linee continue alle cellule trattate con l’enzima 287 Figura 2. Percentuali di comete valutate su cellule A549 esposte alle diverse diluizioni di estratto dopo 30 min (▲), 2 ore (●) e 4 ore (■). Le linee tratteggiate si riferiscono alle cellule non trattate con l’enzima Fpg, le linee continue alle cellule trattate con l’enzima. DISCUSSIONE L’analisi del particolato raccolto nel reparto forni della cokeria in studio ha evidenziato basse concentrazioni ambientali di IPA compresi quelli appartenenti al gruppo 2A (benzo(a)pirene, benzo(a)antracene, dibenzo(a,h)antracene) e 2B (benzo(b)fluorantene, benzo(k)fluorantene), della IARC, ossia sostanze con probabile e possibile effetto cancerogeno per l’uomo. I bassi livelli ambientali di IPA trovati concordano con i risultati del comet assay che non hanno mostrato una significativa induzione di effetti genotossici ed ossidativi alle diluizioni di estratto utilizzate, anche se un leggero incremento dose-tempo dipendente di TM e TMenz nelle cellule esposte rispetto al controllo è stato comunque evidenziato. Tale risultato indica una lieve induzione di danno sia diretto che ossidativo al DNA in cellule di epitelio polmonare (A549) esposte a miscele di IPA. Il nostro studio conferma l’elevata sensibilità della metodica del comet assay nel rivelare precocemente l’induzione di danno al DNA anche a basse dosi di esposizione e suggerisce l’utilizzo di tale test sulle cellule di epitelio polmonare per valutare a livello dell’organo bersaglio gli effetti di miscele complesse di sostanze genotossiche. BIBLIOGRAFIA 1) National Toxicology Program. Coke oven emissions. In: 10th Report on Carcinogens. Research Triangle Park, NC: National Toxicology Program, 70-71, 2002. 2) IARC, Monographs on the evaluation of carcinogenic risks to humans. 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Carcinogenesis, 14(9):1733-1735, 1999. 288 G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it COM-16 SIGNIFICATO E LIMITI DELLA CORREZIONE PER CREATININA DEL CROMO E DELL’ARSENICO URINARI NEL MONITORAGGIO BIOLOGICO DELL’ESPOSIZIONE PROFESSIONALE AI DUE ELEMENTI METALLICI A. Antelmi1, P. Lovreglio1, I. Drago1, L. Greco2, G. Meliddo1, M.S. Manghisi1, F. Ferrara1, A. Basso1, L. Soleo1 1 Dipartimento di Medicina Interna e Medicina Pubblica, Sezione di Medicina del Lavoro “E.C. Vigliani”, Università di Bari 2 Direzione Sanitaria ILVA, Taranto Corrispondenza: Prof. Leonardo Soleo, Dipartimento di Medicina Interna e Medicina Pubblica, Sezione di Medicina del Lavoro “E.C. Vigliani”, Policlinico - Piazza Giulio Cesare, 11, 70124 Bari, Tel. / Fax.: ++390805478201, e-mail: [email protected] RIASSUNTO. La correzione per creatinina viene utilizzata per eliminare l’influenza dell’effetto della diluizione delle urine sugli indicatori biologici di esposizione misurati in campioni estemporanei. La presente ricerca ha avuto lo scopo di studiare la validità della correzione per creatinina del cromo e dell’arsenico urinari in soggetti della popolazione generale in rapporto alle interferenze di cui risente l’escrezione della creatinina. Sono stati esaminati 444 soggetti di sesso maschile, ai quali è stato somministrato un questionario anamnestico. Sulle seconde urine del mattino, il cromo e l’arsenico sono stati determinati mediante spettrofotometria ad assorbimento atomico e la creatinina mediante la metodica di Jaffè. La creatinina urinaria ha mostrato una significativa riduzione al crescere dell’età (p<0.001). I livelli di cromo sono risultati più elevati nei soggetti affetti da patologie renali, in particolare dopo correzione per creatinina (p=0.014). L’età si correla negativamente con la creatinina urinaria (rho=-0.23; p<0.001), e positivamente con cromo (rho=0.13; p=0.007) ed arsenico (rho=0.17; p=0.004), solo dopo correzione per creatinina. Una correlazione positiva è stata anche osservata tra livelli urinari di creatinina e sia cromo (rho=0.32; p<0.001) che arsenico (rho=0.18; p<0.001) non corretti, e tra questi ultimi due (rho=0.10; p=0.039). Un alto coefficiente di correlazione è stato osservato tra cromo (rho=0.88; p<0.001) ed arsenico (rho=0.90; p<0.001) non corretto e le rispettive forme corrette. La regressione multipla ha evidenziato una dipendenza dall’età della creatinina urinaria e dei livelli di cromo ed arsenico dopo correzione per creatinina. In conclusione, sebbene cromo e arsenico sembrano avere una cinetica di escrezione renale simile a quella della creatinina, l’influenza su quest’ultima dell’età, suggerisce come più appropriata l’espressione dei valori urinari di questi due elementi metallici in µg/L. Parole chiave: creatinina urinaria, cromo urinario, arsenico urinario, monitoraggio biologico. SIGNIFICANCE AND LIMITATION OF CREATININE ADJUSTMENT FOR URINARY CHROMIUM AND ARSENIC IN BIOLOGICAL MONITORING OF OCCUPATIONAL EXPOSURE TO THESE METALLIC ELEMENTS ABSTRACT. Creatinine adjustment has been used to remove the influence of the effect of urine dilution on exposure biomarkers measured in spot samples. This research aimed to determine the reliability of creatinine adjustment for urinary chromium and arsenic in subjects from general population considering interferences able to influence creatinine excretion. 444 male subjects were examined and each participant was administered an anamnestic questionnaire. Chromium and arsenic were determined on second morning void urine samples by atomic absorption spectrophotometry and creatinine by Jaffè method. Urinary creatinine showed a significant negative decrease with age increasing (p<0.001). Chromium concentrations resulted higher in subjects with renal disease, particularly after creatinine adjustment (p=0.014). Age was negatively correlated with urinary creatinine (rho=-0.23; p<0.001), and positively with chromium (rho=0.13; p=0.007) and arsenic (rho=0.17; p=0.004), only after creatinine adjustment. A positive correlation was also found between unadjusted chromium and arsenic (rho=0.10; p=0.039) and between urinary creatinine and both unadjusted chromium (rho=0.32; p<0.001) and arsenic (rho=0.18; p<0.001). An high coefficient of correlation was observed between unadjusted chromium (rho=0.88; p<0.001) and arsenic (rho=0.90; p<0.001) and the respective adjusted values. Multiple regression showed a dependence of urinary creatinine and adjusted chromium and arsenic concentrations on age. In conclusion, although chromium and arsenic seem to have a renal kinetics of excretion comparable to the creatinine one, the influence of age on creatinine elimination suggests that the expression of urinary values of these metallic elements as µg/L is more reliable. Key words: urinary creatinine, urinary chromium, urinary arsenic, biological monitoring. INTRODUZIONE Il monitoraggio biologico dell’esposizione professionale ad elementi metallici utilizza quali indicatori di dose interna la loro determinazione nel sangue e/o nelle urine. La determinazione di questi elementi nelle urine si esegue su campioni definiti estemporanei, generalmente raccolti in rapporto al turno di lavoro. Questi campioni, tuttavia, rispetto alle urine raccolte nelle 24 ore, possono risentire di un incostante effetto di diluizione delle urine dovuto all’ingestione di liquidi, all’attività fisica, alle modificazioni della temperatura corporea e agli altri fattori che influenzano il bilancio idrico dell’organismo, con possibilità di generare una sovrastima o sottostima delle concentrazioni dei biomarcatori nelle urine (1,2). Per ridurre l’influenza di una diluizione più o meno marcata del campione urinario ed ottenere dati comparabili con quelli che si otterrebbero se l’indicatore fosse determinato su campioni di urine delle 24 ore, si preferisce correggere la concentrazione urinaria dell’indicatore biologico soprattutto per la creatinina urinaria. Questa è una sostanza endogena prodotta dal metabolismo della creatina, costituente del muscolo scheletrico. L’utilizzo della creatinina urinaria è motivato dal fatto che essa viene escreta nelle urine per filtrazione glomerulare ad una velocità relativamente costante, e solo una quota pari a circa il 14% secreta a livello del tubulo renale. La sua escrezione, pertanto, è considerata indipendente dalla diluizione delle urine e dalla diuresi (3,4). La creatinina urinaria, tuttavia, risente di numerosi fattori che dipendono sia da caratteristiche intrinseche del soggetto quali età, sesso, massa muscolare, diabete e patologie renali, variazioni circadiane, sia da abitudini personali quali principalmente il consumo di carne con la dieta e il consumo di alcol. Questi fattori, insieme alla possibilità di errore nella determinazione analitica della creatinina, sono responsabili di un’elevata variabilità inter ed intra-individuale dei valori di creatinina urinaria e possono contribuire ad alterare ulteriormente i valori corretti dell’indicatore biologico analizzato (1,5). Perché la creatinina sia appropriata per correggere la concentrazione di indicatori biologici di dose nelle urine, l’escrezione di questi non deve essere a sua volta eccessivamente influenzata dal flusso urinario. La correzione per creatinina, infatti, dovrebbe essere utilizzata pressoché solo nel caso in cui l’analita misurato si comporti similmente alla creatinina per quanto riguarda la filtrazione glomerulare/secrezione tubulare, mentre se viene escreto soprattutto attraverso la diffusione passiva, la sua eliminazione urinaria tenderà a variare con il flusso urinario e la correzione per creatinina non sarà adatta a correggerne le variazioni (1,4). Il cromo urinario è un elemento metallico che dopo la filtrazione glomerulare viene quasi completamente riassorbito a livello del tubulo renale, anche se è stata osservata una riduzione del riassorbimento tubulare associata con il progressivo accumulo del cromo nell’epitelio tubulare (6), mentre il meccanismo di escrezione renale dell’arsenico è ancora poco noto nell’uomo. In letteratura, la correzione per creatinina del cromo e dell’arsenico urinari è stata frequentemente utilizzata, sebbene la discussione sulla sua attendibilità ed utilità non sia giunta a conclusioni largamente condivise. L’espressione dei valori urinari di questi elementi metallici sia corretti per grammo di creatinina che espressi per litro di urina nei diversi contributi scientifici, indica che il metabolismo di tali elementi non sia stato ancora completamente chiarito e che soprattutto resti da evidenziare la possibilità di compararlo con sicurezza al metabolismo renale della creatinina. G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it Lo scopo della ricerca, pertanto, è stato quello di verificare se la correzione per creatinina dell’escrezione urinaria di cromo e di arsenico, determinata su campioni estemporanei di urina, sia una metodica adeguata ad eliminare l’influenza della diluizione delle urine o non comporti piuttosto una fonte di alterazione dei risultati, alla luce dell’influenza che alcuni parametri individuali quali età, BMI, abitudini dietetiche e voluttuarie, possono avere sulla creatinina urinaria ed in considerazione del meccanismo di escrezione renale cui vanno incontro tali elementi. 289 di carne ha mostrato la completa astensione dal consumo di carne bovina nel 3% dei casi e di pollame nel 10.9% dei casi. In Tabella I sono mostrati, i livelli urinari di creatinina, cromo ed arsenico, questi ultimi due espressi sia tal quali sia corretti per creatinina, nell’intero gruppo di soggetti e in 4 diverse classi di età in cui la popolazione è stata divisa utilizzando come valori soglia il 25°, 50° e 75° percentile. La creatinina urinaria ha mostrato una progressiva e significativa riduzione dei valori medi al crescere dell’età (p<0.001). Il cromo urinario, corretto e non corretto, ha mostrato una differenza significativa tra le medie dei gruppi, mentre l’arsenico urinario, corretto e non corretto, non ha mostrato alcuna relazione con l’età. La presenza anamnestica di diabete (23 casi) e di patologie renali (23 casi) non ha mostrato alcuna influenza sulle concentrazioni urinarie di creatinina e di arsenico, mentre i livelli di cromo sono risultati più alti nei soggetti che nell’anamnesi avevano riferito patologie renali, differenza che ha raggiunto la significatività statistica (t=2.45; p=0.014) dopo correzione per creatinina. L’analisi della correlazione (Tabella II) ha mostrato una relazione negativa e significativa tra età e livelli urinari di creatinina, mentre una correlazione significativa e positiva è stata osservata tra età e sia cromo che arsenico, solo dopo correzione per creatinina. Nel caso del cromo è stata evidenziata anche una correlazione positiva con il BMI solo dopo correzione per creatinina. Una correlazione positiva e significativa è stata osservata tra livelli urinari di creatinina e sia cromo che arsenico non corretti; la correlazione positiva, evidenziata tra livelli urinari di cromo ed arsenico, invece, perdeva la significatività dopo correzione per creatinina. Un alto coefficiente di correlazione è stato anche osservato tra cromo (rho=0.88) ed arsenico (rho=0.90) non corretto e le rispettive forme corrette. Per studiare l’influenza delle variabili indipendenti età, BMI e consumo di alcol sulla variabile dipendente rappresentata dall’escrezione urinaria di creatinina è stata effettuata un’analisi di regressione che ha evidenziato una dipendenza della creatinina urinaria dall’età (Tabella III). Successivamente è stata effettuata un’analisi della regressione applicando un modello che utilizzava come variabile dipendente rispettivamente i livelli urinari di cromo e arsenico senza e dopo correzione per creatinina, e come variabili indipendenti l’età, il BMI e il consumo di alcol. Prendendo in considerazione le concentrazioni urinarie di cromo ed arsenico non corretti come variabili dipendenti, non è stata osservata alcuna associazione significativa con le variabili indipendenti, mentre dopo correzione per creatinina risultava un’influenza significativa dell’età sebbene con valori di R2 molto bassi (R2 = 0.04) (Tabella IV). L’introduzione di altre variabili indipendenti nel modello come il fumo di sigaretta e il BSA, non ha evidenziato altre dipendenze significative. MATERIALI E METODI Sono stati esaminati 444 soggetti di sesso maschile, residenti nella provincia di Taranto (Italia). A tutti i soggetti è stato somministrato un questionario con domande su caratteristiche personali (età, altezza, peso), pregresse esposizioni professionali o extraprofessionali a cromo e arsenico, abitudine al fumo di sigaretta (fumatore, non fumatore ed ex fumatore da almeno 6 mesi), consumo quotidiano di alcol (suddividendo i partecipanti nelle seguenti classi di consumo: astemio, 1-10 gr/die, 11-40 gr/die, oltre 40 gr/die), abitudini alimentari (consumo di carne bovina e pollame), anamnesi patologica (con particolare attenzione alle patologie interferenti con il metabolismo dei tossici in studio, quali diabete e nefropatie). Tutti i partecipanti alla ricerca hanno fornito il consenso informato prima dell’inizio dello studio. Utilizzando i parametri antropometrici peso e altezza, sono stati calcolati per ciascun soggetto l’indice di massa corporea (“body mass index” - BMI), ottenuto suddividendo il peso in chilogrammi per il quadrato dell’altezza in metri, e la superficie corporea (BSA), calcolata mediante la formula standardizzata di Gehan (7). Per tutti i soggetti è stato raccolto un campione estemporaneo delle seconde urine del mattino, che è stato conservato a -20° C fino al momento delle analisi. Le determinazioni per l’analisi del cromo e dell’arsenico nelle urine sono state effettuate con uno spettrofotometro ad assorbimento atomico (AAS 5100 Perkin-Elmer), dotato di fornetto di grafite e correttore del fondo con effetto Zeeman; per l’arsenico inorganico è stata utilizzata la tecnica degli idruri. Il limite di rilevabilità della metodica è stato di 0,1 µg/L per il cromo urinario e di 0,5 µg/L per l’arsenico urinario. Sullo stesso campione di urine è stata determinata la concentrazione di creatinina, mediante la metodica di Jaffè utilizzando un kit commerciale Randox. Sono state considerate condizioni di esclusione dallo studio la presenza di creatinina urinaria al di fuori del range raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e compreso tra 0.3 e 3.0 g/L (8). L’analisi statistica è stata eseguita mediante l’utilizzo del programma SPSS (Versione 12.0, Chicago, IL, USA). I campioni che presentavano DISCUSSIONE concentrazioni al di sotto del limite di rilevabilità delle metodiche analiLo studio ha valutato la validità della correzione per creatinina delle tiche sono stati inseriti nel database con un valore corrispondente a metà concentrazioni urinarie di cromo e di arsenico in soggetti non esposti prodel limite di rilevabilità. La normalità della distribuzione delle diverse vafessionalmente a questi elementi metallici, considerando le interferenze riabili è stata verificata con il test di Kolmogorov-Smirnov; i dati che non che i differenti fattori in grado di modificare l’escrezione di creatinina si distribuivano normalmente sono stati analizzati previa trasformazione possono esercitare sulla correzione. logaritmica. Il confronto tra le medie è stato eseguito con test parametrici (test t di Student o analisi della varianTabella I. Livelli urinari di creatinina, di cromo e di arsenico per fascia di età. Il cromo za). Le correlazioni sono state eseguite e l’arsenico sono espressi con e senza correzione per creatinina con test di Spearman. Un modello di regressione lineare è stato utilizzato per valutare la relazione tra variabili dipendenti, quali rispettivamente la concentrazione di creatinina e le concentrazioni di cromo e di arsenico corrette e non corrette per creatinina, e le variabili indipendenti età, BMI e consumo di alcol. Per la significatività statistica è stato accettato un valore di p inferiore a 0.05. RISULTATI I soggetti esaminati hanno presentato le seguenti caratteristiche generali: Età: 35.8+12.4 anni (Media+ds), 18-61 anni (Range); BMI: 26.10+3.9, 16.339.1; BSA: 1.97+0.18, 1.49-2.75. Il BMI ha mostrato valori al di sotto di 25 nel 42.8% dei casi, compresi tra 25.1 e 29.9 nel 42.3% dei casi e da 30 in poi nel 14.9% dei casi. L’abitudine al consumo 290 G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it naria (4,13). Nella nostra ricerca il BMI ed il BSA, utilizzati come indicatori indiretti della massa muscolare, pur essendo risultati fortemente correlati tra loro, non hanno mostrato alcuna relazione con la creatinina urinaria. L’assenza di relazione si può spiegare, considerando che il BMI ed il BSA risentono dell’ipertrofia del tessuto muscolare, delle caratteristiche della struttura scheletrica e sopratutto dell’accumulo di tessuto adiposo, mentre i valori di creatinina urinaria dipendono fortemente solo dalla massa muscolare. Diabete e nefropatie croniche sono patologie in grado di influenzare l’escrezione renale sia della creatinina che di diversi biomarcatori di esposizione occupazionale attraverso meccanismi di alterazione della cinetica renale delle sostanze chimiche. Nella nostra ricerca la presenza di tali patologie è stata valutata solo su base anamnestica e, pertanto, non abbiamo a disposizione dati sulla funzionalità renale; nonostante questo limite, nei soggetti che riferivano presenza di patologie renali sono risultati livelli di cromo urinari più elevati, in particolare dopo correzione per creatinina (p=0.014). Questo aumento, come osservato da altri autori, potrebbe esprimere un ridotto riassorbimento renale da danno tubulare (14,15). I fattori legati ad abitudini di vita, quali il consumo di carne e pollame con la dieta, l’abitudine al fumo e il consumo di alcol non hanno mostrato alcuna influenza sull’escrezione urinaria di creatinina, a differenza di quanto osservato da altri autori (4,5,16). Alcuni Autori suggeriscono che la correzione per creatinina possa/debba essere applicata solo per sostanze chimiche che presentino una cinetica di eliminazione urinaria simile a quella della creatinina, cioè con un processo concentrazione-indipendente legato principalmente alla filtrazione glomerulare. Al contrario, per le sostanze chimiche, che, come alcuni solventi, sono eliminate per diffusione tubulare attraverso un processo concentrazione-dipendente regolato dall’equilibrio tra la pressione parziale della sostanza nel sangue e nelle urine, la correzione per creatinina è ritenuta ingiustificata e non applicabile (4,17). L’osservazione che creatinina, cromo e arsenico urinari siano correlati tra loro sembra suggerire una possibile analogia tra le cinetiche di eliminazione renale di queste sostanze chimiche, caratterizzate da un meccanismo concentrazione-indipendente. La scomparsa della correlazione tra cromo ed arsenico urinari dopo aver corretto i valori per creatinina, cioè dopo aver eliminato il fattore diluizione, sembra rafforzare tale ipotesi. Sulla base dei nostri risultati e dei dati di letteratura, pertanto, l’utilizzo della creatinina per la correzione dei valori urinari di cromo e di arsenico sembrerebbe concettualmente possibile per questi due elementi metallici proprio perché si può ipotizzare un meccanismo di escrezione renale simile tra essi e la creatinina. D’altra parte, la forte correlazione osservata tra valori non corretti e corretti sia per il cromo (rho=0.88) che per l’arsenico urinari (rho=0.90), sembra mettere in discussione quanto detto in precedenza e potrebbe consentire di ipotizzare che non vi sia una sostanziale differenza nell’esprimere le concentrazioni urinarie di cromo e di arsenico corrette e non corrette per creatinina, in particolare dopo aver eliminato i campioni troppo o troppo poco diluiti in accordo con i criteri dell’OMS per l’accettabilità dei campioni biologici (creatinina inferiore a 0.3 g/L e superiore a 3.0 g/L) (8). In conclusione, sebbene cromo e arsenico sembrano avere una cinetica di escrezione urinaria simile a quella della creatinina e pertanto la correzione per creatinina potrebbe essere utilizzata per eliminare il fattore diluizione delle urine nei campioni estemporanei, se si considera il condizionamento svolto dall’età sulla escrezione urinaria di creatinina confermato da questa ricerca, si ritiene più appropriato suggerire di esprimere i valori urinari di questi elementi metallici tal quali, cioè senza correzione, dopo esclusione dei campioni urinari con un’eccessiva diluizione secondo i criteri OMS. Questa indicazione è anche in accordo con quanto proposto dall’ACGIH, che esprime l’escrezione urinaria di cromo e arsenico in µg/L (8). Tabella II. Correlazione mediante test di Spearman tra le variabili indicate Tabella III. Analisi della regressione multipla utilizzando come variabile dipendente la concentrazione urinaria della creatinina (g/L) e come variabili indipendenti età, indice di massa corporea e consumo di alcol Tabella IV. Analisi della dipendenza sulle variabili cromo ed arsenico urinari, espressi in mg/g creat, di variabili indipendenti quali età, BMI e alcol Nei soggetti esaminati le concentrazioni medie di cromo e di arsenico non corrette per creatinina sono risultate comprese nel range dei valori di riferimento (VR) proposti per la popolazione italiana dalla Società Italiana per i Valori di Riferimento per questi due elementi metallici, rispettivamente inferiore a 0.2 µg/L per il cromo e compreso tra 2 e 25 µg/L per l’arsenico inorganico (9). Il valore medio di creatinina urinaria, invece, è risultato di 1.5 g/L, sovrapponibile a quello rilevato in differenti studi condotti in Europa, Stati Uniti o Giappone su soggetti adulti di sesso maschile (5,10). L’età ha mostrato di influenzare l’escrezione urinaria di creatinina. Questo risultato conferma quanto rilevato da altri autori e trova giustificazione nella progressiva diminuzione della massa muscolare e della velocità di filtrazione glomerulare che avviene con l’aumentare dell’età (3,11). La correzione per creatinina dei valori dei biomarcatori urinari, pertanto, può determinare un errore di stima dell’effettivo livello degli indicatori, i quali, per effetto della correzione, finiscono per risentire del fattore età, che, invece, non incide direttamente sulla loro escrezione, come dimostrato dai risultati ottenuti dal presente studio per quanto riguarda il cromo e l’arsenico urinari. L’influenza del fattore confondente età nella correzione per creatinina è stata descritta in letteratura anche per altri indicatori biologici, come evidenziato da Ikeda et al. che hanno rilevato una sovrastima dei valori urinari di β2-microglobulina corretti per creatinina, al crescere dell’età nella popolazione esaminata (12). La massa muscolare è in grado di influenzare i livelli di creatinina uri- BIBLIOGRAFIA 1) Barbieri F, Maroni M, Colombi A, Buratti M, Foà V. La correzione per creatinina dell’escrezione urinaria di vanadio e nichel. G Ital Med Lav 1988; 10: 65-71. G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it 2) Trevisan A. Concentration adjustment of spot samples in analysis of urinary xenobiotic metabolites. Am J Ind Med 1990; 17: 637-642. 3) Alessio L, Berlin A, Dell’Orto A, Toffoletto F, Ghezzi I. Reliability of urinary creatinine as a parameter used to adjust values of urinary biological indicators. 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Linee guida per la formazione continua e l’accreditamento del medico del lavoro. Pavia, PIME; 2006. COM-17 INFLUENZA DEL FUMO DI SIGARETTA SULLA CONCENTRAZIONE DI BENZENE URINARIO NEGLI ADDETTI ALLA DISTRIBUZIONE DI CARBURANTE P. Lovreglio1, A. Basso1, A. Antelmi1, G. Meliddo1, I. Drago1, M. Carrieri2, G.B. Bartolucci2, A. Barbieri3, F. Violante3, L. Soleo1 1 Dipartimento di Medicina Interna e Medicina Pubblica, Sezione di Medicina del Lavoro “E.C. Vigliani”, Università di Bari 2 Dipartimento di Medicina Ambientale e Sanità Pubblica, Università di Padova 3 Unità Operativa Sicurezza, Igiene e Medicina del Lavoro, Università di Bologna 291 Corrispondenza: Prof. Leonardo Soleo, Dipartimento di Medicina Interna e Medicina Pubblica, Sezione di Medicina del Lavoro “E.C. Vigliani”, Policlinico - Piazza Giulio Cesare, 11, 70124 Bari, Tel. / Fax.: ++390805478201, e-mail: [email protected] RIASSUNTO. È stata studiata negli addetti al rifornimento di carburante l’influenza del fumo di sigaretta sulle concentrazioni di benzene urinario, indicatore estremamente sensibile e specifico, proposto per il monitoraggio biologico dell’esposizione a concentrazioni molto basse di benzene. Sono stati esaminati 24 lavoratori addetti al rifornimento di carburante e 31 lavoratori non professionalmente esposti a benzene. Il monitoraggio ambientale è stato effettuato con campionatori personali passivi “Radiello®”, ed è stato raccolto, alla fine del turno di lavoro, un campione estemporaneo di urine per la determinazione del benzene. L’esposizione a benzene è risultata significativamente più elevata nei lavoratori esposti (media 23.3±17.0 µg/m3; range 4.5-66.3 µg/m3) rispetto ai controlli (media 4.6±2.6 µg/m3; range <3-11.5 µg/m3), mentre le concentrazioni di benzene urinario non hanno mostrato differenze significative tra i due gruppi. Considerando tutti i soggetti come unico gruppo, è stato osservato che le concentrazioni di benzene urinario erano correlate positivamente con il numero di sigarette fumate durante il periodo di campionamento (rho=0.38; p=0.047) e con i livelli di benzene aereodisperso (rho=0.32; p=0.019), e negativamente con la variabile tempo trascorso tra ultima sigaretta fumata e campionamento urinario (rho=-0.40; p=0.045). L’analisi di regressione multipla ha confermato l’influenza del fumo di sigaretta nel condizionare le concentrazioni di benzene urinario. In conclusione, il nostro studio conferma la validità del benzene urinario quale indicatore per il monitoraggio biologico dell’esposizione a dosi molto basse di benzene, anche se, alle basse concentrazioni ambientali di benzene rilevate, il fumo di sigaretta esplica un ruolo etiologico preponderante. Parole chiave: benzene urinario, fumo di sigaretta, monitoraggio biologico, addetti distribuzione di carburante. INFLUENCE OF CIGARETTE SMOKING ON THE EXCRETION OF URINARY BENZENE IN FILLING-STATION ATTENDANTS ABSTRACT. The influence of cigarette smoking on concentrations of urinary benzene, a sensitive and specific biomarker proposed for biological monitoring of exposure to very low doses of benzene, was investigated in 24 filling-station attendants and 31 workers non occupationally exposed to benzene. Environmental monitoring was performed by personal passive samplers “Radiello®”, and a spot urine sample was collected at the end of the work shift, from all subjects, for the determination of urinary benzene. Exposure to benzene resulted significantly higher in filling-station attendants (mean 23.3±17.0 µg/m3; range 4.5-66.3 µg/m3) than in controls (mean 4.6±2.6 µg/m3; range <3-11.5 µg/m3), while concentrations of urinary benzene did not show any significant difference between the two groups. Considering all subjects as a single group, it was observed that urinary benzene concentrations were positively correlated with the number of cigarettes smoked during the sampling time (rho=0.38; p=0.047) and with airborne benzene levels (rho=0.32; p=0.019), and negatively correlated with the time elapsed between the last smoked cigarette and urine collecting (rho=-0.40; p=0.045). Multiple regression analysis confirmed the influence of cigarette smoking on urinary benzene concentrations. In conclusion, our study showed the validity of urinary benzene as a biomarker for biological monitoring of exposure to very low doses of benzene, although cigarette smoking determined a prevalent etiological role at the low environmental benzene concentrations observed. Key words: urinary benzene, cigarette smoking, biological monitoring, filling-station attendants. INTRODUZIONE Il benzene è un tossico presente negli ambienti di lavoro e di vita, classificato come cancerogeno per l’uomo (Gruppo 1) dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) (1). In ambito professionale, i livelli di esposizione nei paesi occidentali sono attualmente notevolmente inferiori ai limiti proposti per il 2006 dall’ACGIH come TLVTWA (1600 µg/m3) (2). Essi, inoltre, tendono sempre più ad avvicinarsi 292 alle concentrazioni osservate negli ambienti di vita, per i quali è previsto in Italia un limite per la qualità dell’aria di 10 µg/m3 che diventerà 5 µg/m3 nel 2010 (3). Le principali fonti di esposizione a benzene per la popolazione generale sono rappresentate dalle emissioni degli scarichi autoveicolari e soprattutto dal fumo di sigaretta. In particolare è stato calcolato che il fumo di circa 30 sigarette/die costituisce una fonte di circa 1800 µg di benzene, mentre l’abitudine al fumo di 20 sigarette/die corrisponde ad un’esposizione di 26 µg/m3 (4, 5). La progressiva riduzione dei livelli di benzene aereodisperso negli ambienti di lavoro e di vita sta rendendo sempre meno affidabile l’utilizzo dell’acido t,t-muconico e dell’acido S-fenilmercapturico, i due biomarcatori di esposizione indicati dall’ACGIH, in quanto si sono rivelati poco utili nel monitoraggio biologico dell’esposizione a concentrazioni molto basse di benzene (2,6). Per tale motivo, per queste condizioni espositive al tossico alcuni autori hanno proposto la determinazione del benzene urinario quale indicatore biologico in quanto molto più sensibile e specifico rispetto ai precedenti (7,8). Al riguardo Fustinoni et al (9) hanno recentemente utilizzato il benzene urinario per studiare l’esposizione ambientale a basse dosi di benzene in 78 benzinai (mediana 61 µg/m3; range 11-478 µg/m3), 77 vigili urbani (mediana 22 µg/m3; range 9-316 µg/m3) e 58 impiegati (mediana 6 µg/m3 e range <6-115 µg/m3) ed hanno dimostrato la validità di questo indicatore nell’esprimere l’esposizione al tossico per concentrazioni ambientali comprese tra 6 e 478 µg/m3. Essi hanno rilevato, tuttavia, che i livelli di benzene urinario si mostravano sempre significativamente più alti nei fumatori rispetto ai non fumatori, sia negli esposti che nei controlli, e il loro valore aumentava con il numero di sigarette fumate. Manini et al. (10), invece, non hanno osservato alcuna correlazione tra livelli ambientali di benzene e concentrazioni di benzene urinario, in 37 conducenti di taxi con esposizione a benzene molto bassa (ambientale taxi: media 7.7±2 µg/m3; personale: media 5.9±1.7 µg/m3), mentre si evidenziava una buona correlazione tra benzene urinario e livelli di cotinina urinaria. L’obiettivo del nostro studio, pertanto, è stato quello di valutare, in un gruppo di addetti al rifornimento di carburante, l’influenza del fumo di sigaretta nel condizionare le concentrazioni di benzene urinario G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it pre-sigillato cui erano stati precedentemente aggiunti 4 g di NaCl. I campioni sono stati conservati a +4°C fino al momento dell’analisi. La determinazione del benzene urinario è stata effettuata con la tecnica della micro-estrazione in fase solida (SPME) e successiva gascromatografia-spettrometria di massa. I limiti di rivelazione (LOD) e quantificazione (LOQ) del metodo per il benzene sono risultati rispettivamente 0.02 e 0.04 µg/L. L’analisi statistica è stata effettuata utilizzando il programma SPSS (versione 12.0, Chicago, IL, USA). Le concentrazioni di benzene ambientale e urinario al di sotto del limite di rilevabilità della metodica analitica sono state imputate nell’analisi dei dati con un valore corrispondente alla metà del rispettivo limite. Le variabili non distribuite normalmente sono state analizzate con test parametrici dopo trasformazione logaritmica o con test non parametrici. L’analisi della correlazione è stata effettuata utilizzando il test di Spearman. La relazione di dipendenza del benzene urinario dalle variabili indipendenti età, BMI, consumo di alcol, numero di sigarette/die, concentrazioni di benzene aereodisperso, è stata valutata mediante modelli di regressione lineare multipla. Il livello di significatività è stato individuato per una p inferiore a 0.05. RISULTATI Esposti e controlli non hanno mostrato differenze significative per quanto riguarda l’età, l’indice di massa corporea (BMI), il consumo di alcol, il numero di sigarette fumate quotidianamente e durante il campionamento ambientale, il tempo trascorso tra l’ultima sigaretta fumata e la raccolta del campione di urine per la determinazione del benzene urinario (Tabella I). L’esposizione a benzene aereodisperso è risultata significativamente più alta nei lavoratori esposti rispetto ai controlli (p<0.001); un’esposizione a benzene inferiore al limite di rilevabilità è stata osservata solo in 8 soggetti del gruppo controllo. Le concentrazioni urinarie di benzene, invece, sono risultate maggiori nei controlli rispetto agli esposti, sebbene tale differenza non ha raggiunto la significatività statistica (Tabella I). Il benzene urinario è risultato inferiore al limite di rilevabilità in 2 soggetti del gruppo controllo. Suddividendo esposti e controlli in base all’abitudine al fumo di sigaretta (Tabella II), è stato osservato che i fumatori hanno presentato concentrazioni di benzene urinario più alte rispetto ai non fumatori sia nel gruppo degli esposti che in quello dei controlli. L’analisi della varianza a due code ha mostrato un’associazione tra fumo di sigaretta e livelli di benzene urinario (p<0.001), mentre non è stata evidenziata alcuna associazione tra esposizione a benzene e livelli di benzene urinario. Su tutti i soggetti esaminati considerati come unico gruppo è stata osservata una correlazione positiva e significativa tra numero di sigarette fumate durante il periodo campionato e concentrazione di benzene urinario (rho=0.38; p=0.047) e tra benzene aereodisperso e benzene urinario (rho=0.32; p=0.019), mentre è stata osservata una correlazione negativa e significativa tra la variabile tempo trascorso tra ultima si- MATERIALI E METODI Lo studio è stato condotto su 24 lavoratori maschi esposti a benzene, addetti al rifornimento di carburante presso stazioni di servizio site nell’area urbana ed extra-urbana di un capoluogo regionale e 31 lavoratori maschi, non professionalmente esposti a benzene, residenti nella stessa area geografica ed opportunamente appaiati per possibili fattori di confondimento quali l’età e l’abitudine al fumo di sigaretta. A tutti i soggetti è stato somministrato un questionario con domande riguardanti i dati personali, la mansione attuale e pregressa, l’abitudine al fumo di sigaretta con particolare riferimento al numero di sigarette fumate durante il campionamento ambientale, il consumo di alcol, l’anamnesi patologica personale, le possibili esposizioni a fonti non professionali di benzene. Tutti i sogTabella I. Caratteristiche generali, concentrazioni di benzene aereodisperso e urinario getti partecipanti allo studio hanno forniin lavoratori esposti e controlli to il consenso a partecipare alla ricerca prima dell’inizio dello studio. Sia per i lavoratori professionalmente esposti che per i controlli è stato effettuato un campionamento ambientale personale passivo per la misurazione dell’esposizione ambientale a benzene, utilizzando campionatori diffusivi radiali (Radiello®) indossati in zona respiratoria per l’intero turno di lavoro (variabile tra le 6 e le 9 ore). Le fiale di campionamento sono state conservate a +4°C fino al momento dell’analisi effettuata in gascromatografia-FID, previo desorbimento con solfuro di carbonio (CS2); il limite di rilevabilità è stato di 3 µg/m3. Lo stesso giorno del campionamento ambientale, alla fine del turno di lavoro, è stato raccolto un campione estemporaneo di urine per la misurazione del benzene tal quale: in particolare un volume pari a 10 ml di urine è stato immediatamente trasferito in un flacone di 20 ml G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it 293 di esposizione professionale a dosi di benzene molto più alte rispetto a quelle osservate nel nostro studio, le concentrazioni di benzene urinario erano quasi sempre in grado di differenziare i fumatori dai non fumatori (7,9,10). Oltre al numero di sigarette/die, anche il tempo trascorso tra l’ultima sigaretta fumata e la raccolta delle urine per il monitoraggio biologico ha mostrato di essere correlato con le concentrazioni di benzene urinario (rho=-040). Il benzene urinario ha una breve emivita e, pertanto, è un indicatore che riflette principalmente l’esposizione a breve termine, cioè quella avvenuta nelle ore immediatamenTabella III. Analisi di regressione lineare multipla tra la variabile dipendente benzene urinario te precedenti la raccolta delle urine (15). (µg/L) e le variabili indipendenti età, BMI, consumo di alcol, numero di sigarette/die, L’influenza del tempo trascorso dall’econcentrazioni di benzene aereodisperso in esposti e controlli e nel campione totale sposizione a fumo di sigaretta, indipendentemente dal numero di sigarette fumate, sembra essere, pertanto, un ulteriore fattore da tenere in considerazione nell’interpretazione dei risultati del benzene urinario, utilizzato quale indicatore nel monitoraggio biologico, in quanto potrebbe contribuire a spiegare l’elevata variabilità inter-individuale di tale indicatore osservata anche da altri autori solo nei fumatori (10). I livelli medi di benzene urinario sono risultati più elevati nei soggetti della popolazione generale rispetto agli addetti al rifornimento di carburante, sebbene mediana e media geometrica siano state garetta fumata e campionamento urinario e benzene urinario (rho=più alte in questi ultimi. Precedenti studi hanno evidenziato come il ben0.40; p=0.045). zene urinario sia in grado di differenziare esposti e controlli non solo in L’analisi di regressione multipla (Tabella III) ha confermato l’incondizioni lavorative caratterizzate da alte concentrazioni di benzene, ma fluenza del fumo di sigaretta, rispetto al benzene aereodisperso, nel conanche per esposizioni a livelli di benzene molto inferiori al TLV-TWA dizionare la concentrazione del benzene urinario, sia considerando espoproposto dall’ACGIH, sebbene comunque più alti rispetto a quelli risti e controlli separatamente che analizzando insieme i due gruppi. scontrati nella nostra ricerca (16,17). La più elevata escrezione di benzene urinario nei soggetti non esposti è stata determinata dagli elevati livelli DISCUSSIONE di benzene urinario presenti in due soggetti di questo gruppo che hanno La presente ricerca ha indagato l’influenza che il fumo di sigaretta, riferito un elevato numero di sigarette fumate durante il periodo campioun’importante fonte di esposizione extraprofessionale a benzene, può denato e rappresentano, pertanto, un’ulteriore conferma dell’influenza che terminare sull’escrezione del benzene urinario nei lavoratori addetti al il fumo può avere sulle concentrazioni di benzene urinario. rifornimento di carburante. Indipendentemente dalla fonte di origine del benzene urinario, questo In Italia sono esposti a benzene in quanto addetti alla distribuzione di è risultato correlato con il benzene aereodisperso (rho=0.32) analizzando carburante circa 60 mila lavoratori (11). Poter disporre, pertanto, di un ininsieme esposti e controlli. Questi risultati sono in accordo con quanto modicatore biologico sensibile e specifico, quale risulta essere il benzene uristrato in precedenti studi, anche se per range di esposizione a benzene solo nario, da utilizzare nel monitoraggio biologico dell’esposizione a basse doin parte sovrapponibili a quelli osservati nella presente ricerca (9,17). si di benzene cui sono esposti questi lavoratori è estremamente importante. In conclusione, il nostro studio sembra confermare la validità del benLo studio ha evidenziato, nei lavoratori addetti alla distribuzione di zene urinario quale indicatore utile per il monitoraggio dell’esposizione a carburante, livelli di benzene ambientale sostanzialmente molto bassi ed dosi molto basse di benzene. Il fumo di sigaretta, tuttavia, rappresenta siinferiori rispetto a quanto osservato negli studi più recenti (12,13). Quecuramente un’importante fonte d’esposizione extraprofessionale al tossico sti risultati sono in linea con la progressiva riduzione dell’esposizione a in grado di influenzare le concentrazioni di benzene urinario e, pertanto, benzene osservata negli ultimi anni in questa categoria di lavoratori e dodeve essere tenuto in considerazione nell’interpretazione dei risultati del vuta non solo al ridotto contenuto di benzene nelle benzine (inferiore monitoraggio biologico a livello sia individuale che di gruppo. all’1% in volume) stabilito dalla legge italiana n. 413/97, ma anche a miglioramenti di tipo tecnico, quali la presenza di sistemi di aspirazione per BIBLIOGRAFIA il recupero dei vapori, e di tipo organizzativo con l’introduzione del si1) IARC. Monographs on the Evaluation of Carcinogenic Risks to Hustema “self-service”, che ha ridotto l’esposizione personale degli operamans. Vol. 45. Occupational exposures in petroleum refining; crude tori (11,14). L’esposizione professionale dei lavoratori esaminati, tuttaoil and major petroleum fuels. Lyon (France), International Agency via, è risultata significativamente maggiore rispetto a quanto osservato for Research on Cancer; 1989. nella popolazione generale, dove la concentrazione media rilevata è ri2) ACGIH. Threshold limit values and biological exposure indices. sultata inferiore al limite previsto per la qualità dell’aria di 5 µg/m3 (3). Cincinnati, Ohio, USA, American Conference of Governmental InIl fumo di sigaretta è risultato essere un importante determinante dei dustrial Hygienists; 2006. livelli di benzene urinario, sia negli esposti che nei controlli, come evi3) Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio. Decreto Minidenziato da tutte le analisi statistiche effettuate. In particolare i valori di steriale 2 aprile 2002, n. 60. Recepimento della direttiva 1999/30/CE R2 delle analisi di regressione hanno mostrato come più del 50% della vadel Consiglio del 22 aprile 1999 concernente i valori limite di qualità riabilità del benzene urinario sia dipesa dal numero di sigarette fumate dell’aria ambiente per il biossido di zolfo, il biossido di azoto, gli osgiornalmente. Questo risultato è in accordo con quanto osservato nella sidi di azoto, le particelle e il piombo e della direttiva 2000/69/CE requasi totalità degli studi presenti in letteratura dove, anche in condizioni lativa ai valori limite di qualità dell’aria ambiente per il benzene ed Tabella II. Concentrazioni di benzene urinario (µg/L) nei soggetti esaminati suddivisi per esposizione a benzene e abitudine al fumo di sigaretta 294 4) 5) 6) 7) 8) 9) 10) 11) 12) 13) 14) 15) 16) 17) G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it il monossido di carbonio. Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 87, 13 aprile 2002. Supplemento Ordinario n. 77. Istituto Poligrafico Zecca dello Stato. Roma. Wallace LA. Major sources of benzene exposure. Environ Health Perspect 1989; 82: 165-169. Kim S, Vermeulen R, Waidyanatha S, Johnson BA, Lan Q, Rothman N, Smith MT, Zhang L, Li G, Shen M, Yin S, Rappapor SM. Using urinary biomarkers to elucidate dose-related patterns of human benzene metabolism. Carcinogenesis 2006; 27: 773-781. Melikian AA, Qu Q, Shore R, Li G, Li H, Jin X, Cohen B, Chen L, Li Y, Yin S, Mu R, Zhang X, Wang Y. Personal exposure to different levels of benzene and its relationships to the urinary metabolites Sphenylmercapturic acid and trans,trans-muconic acid. J Chromatogr B Analyt Technol Biomed Life Sci 2002; 778: 211-221. Ghittori S, Fiorentino ML, Maestri L, Cordioli G, Imbriani M. Urinary excretion of unmetabolized benzene as an indicator of benzene exposure. J Toxicol Environ Health 1993; 38: 233-243. Ong CN, Kok PW, Lee BL, Shi CY, Ong HY, Chia KS, Lee CS, Luo XW. 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Metodi: a questo scopo abbiamo misurato le concentrazioni di Fe, Cu, Zn, Ceruloplasmina, Transferrina, perossidi totali circolanti, capacità antiossidante totale (TRAP) nel siero di 65 pazienti con MP residenti in una zona industriale italiana fortemente esposta ad inquinamento da metalli pesanti (Valcamonica) e le abbiamo confrontate con quelle misurate in 28 pazienti con MP residenti in zone limitrofe ma non esposte ad inquinamento (Provincia di Brescia), con quelle di 52 controlli sani residenti in Valcamonica e di 24 controlli sani della Provincia di Brescia. Risultati: I pazienti con MP, indipendente dalla zona di residenza, avevano più alti valori di Zn nel siero. Nei soli soggetti con MP residenti nella Valcamonica i livelli di Cu erano più alti rispetto a quella di soggetti residenti nella provincia di Brescia. Nei pazienti con MP, indipendenetemnte dalla zona di residenza, i livelli di rame sono risultati correlare in modo significativo con il punteggio della Unified Parkinson’s Disease Rating Scale (UDPRS). Conclusioni: lo Zn sembra essere più alto in pazienti con MP in maniera indipendente dall’esposizione ad inquinamento da metalli pesanti. La perturbazione del metabolismo del Cu sembra essere associata all’esposizione ad inquinamento industriale ed è probabilmente coinvolta nella progressione della stessa MP. Parole chiave: Parkinson’s disease, Cu, Fe, Zn, metal, enviromental, pollution. METALS AND OXIDATIVE STRESS IN PARKINSON’S DISEASE FROM INDUSTRIAL AREASE WITH EXPOSITION TO ENVIRONMENTAL TOXINS OR METAL POLLUTION ABSTRACT. Background: Parkinson’s disease (PD) is characterized by a progressive degeneration of the nigrostriatal dopaminergic pathway resulting in movement disorders. PD is a complex disease, in which and environmental factors, as exposure to toxins or metals coul be involved. Objective: To assess if serum metals (Cu, Fe, Zn), biological variables of their metabolism, total peroxides and antioxidants were abnormal in PD, in relation to environmental exposure. Methods: We compared levels of serum copper, iron, zinc, ceruloplasmin and transferrin, peroxides, antioxidants(TRAP) in 65 PD patients coming from an Industrial zone highly exposed to metal pollution (Valcamonica) with measures from 28 PD patients from no metal pollution areas of the province of Brescia and 52 healthy controls coming from Valcamonica and 24 from the province of Brescia. Results: PD patients had higher serum concentration of zinc than controls. Only in PD patients coming from Valcamonica levels of Cu were higher than in subjects coming from the province of Brescia. Moreover, In patients with PD levels of sieric Cu significantly correlated with score of the Unified Parkinson’s Disease Rating Scale (UDPRS). Conclusions: Zinc seems to be higher in PD independently from the exposition to metal pollution. Perturbation of copper metabolism in PD seems to be related to exposition to environmental toxins or metal pollution and coul be involved in the progression of the disease itself. Key words: Parkinson’s disease, Cu, Fe, Zn, metal, enviromental, pollution. COM-18 INTRODUZIONE DISMETABOLISMO DEI METALLI E STRESS OSSIDATIVO IN PAZIENTI CON IN PARKINSON’S DISEASE DI UN’AREA INDUSTRIALE ESPOSTA AD INQUINAMENTO DA METALLI R. Squitti1, G. Gorgone1, G. Binetti2, R. Ghidoni2, P. Pasqualetti,1 F. Draicchio3, E. Albini4, L. Benedetti2, R. Lucchini4, P.M. Rossini1,2 1 Dipartimento di Neuroscienze, AFaR - FBF Ospedale Fatebenefratelli, Italia 2 IRCCS “Centro S. Giovanni di Dio-FBF”, Brescia, Italia 3 ISPEL, Roma, Italia 4 Cattedra di Medicina del Lavoro, Università di Brescia, Italia La malattia di Parkinson (MP) è un disordine neurodegenerativo caratterizzato sul piano isto-pstologico da una proggressiva perdita dei neuroni dopaminergici della via nigro-striatale i cui sintomi cardinali sono rappresentati dal tremore, dalla bradicinesia e dalla rigidità. L’etiologia della MP, fatta eccezione per le forme geneticamente codificate, rimane non del tutto chiarita, sebbene diverse evidenze indicano la presenza di meccanismi di tipo multifattoriale (1). Una fase cruciale nel determinismo biologico della MP sembra essere l’accumulo e la precipitazione di una proteina normalmente presente nei neuroni, l’alfa-sinucleina (1). Questa rappresenta il principale componente dei corpi di Lewy, figure isto-patologiche tipiche, ma non esclusive della MP. Nelle forme fa- G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it 295 miliari della MP il misfolding delle alfaTabella I. Caratteristiche demografiche, cliniche e parametri biochimici dei pazienti sinucleine ed il loro deposito è secondae dei controll stratificati in base alla zona di provenienza rio alla presenza di mutazioni puntiformi geneticamente codificate che alterano la sequenza amino-acidica di tali proteine e ne determinano la loro aggregazioneprecipitazione (1). L’aggregazione dell’alafa-sinucleina sembra essere favorita anche dalla presenza di elevati livelli di ioni metallici come il Cu e lo Zn, in quanto capaci di interagire con i residui carbossilici dell’alfa-sinucleina, e di promuovere la sua polimerizzazione mediante l’aumento dei livelli endocellulari di radicali idrossile (2). Evidenze di un possibile coinvolgimento di tali metallo-ioni nella Tabella II. effetto della diagnosi e dell’area di provenienza MP sono anche fornite da studi clinici che hanno documentato la presensui livelli sierici di Cu nei pazienti con MP e nei controlli za di livelli alterati di Cu e di Zn nel liquor e nel siero di pazienti con MP (3,4,5). Un ruolo nella condizione di stress ossidativo presente nella MP è stato documentato anche per il Fe: questo interagendo con l’alfa-sinucleina determina la formazione di specie reattive dell’ossigeno (ROS) -in particolare di radicali idrossile - il cui accumulo è di per se causa di disfunzione mitocondriale (1). Prove indirette di un possibile coinvolgimento dei metalli in tal senso sono fornite da riscontri effettuati post-mortem in soggetti con diagnosi clinica di MP, nei quali sono stati documentati la presenza di eleTabella III. Effetto della diagnosi e dell’area di provenienza vati livelli di ferro nella microglia, negli astrociti e nei neuroni dopamisui livelli sierici di Cu nei pazienti con MP e nei controlli nergici del sistema nervoso centrale (1). In relazione a quanto precedentemente esposto, scopo del presente lavoro è stato quello di determinare lo stato antiossidante - ‘Total antioxidant trapping capacity ‘(TRAP) i livelli ematici di Fe, Zn, Cu, trasferrina e ceruroplasmina in una popolazione di soggetti con MP in relazione ad inquinamento ambientale come documentato in una zona industriale italiana fortemente esposta a metalli pesanti (Valcamonica, Brescia, Italia). PAZIENTI E METODI Selezione dei soggetti Sono stati reclutati un totale di 93 pazienti con MP e 76 controlli sani in base ai seguenti criteri di inclusione:1) diagnosi clinica di MP; 2) residenza in Valcamonica (,una zona ad elevato impatto ambientale della provincia di Brescia) od in aree limitrofe (non inquinate); 3) consenso alla partecipazione allo studio; 4) assenza di insufficienza epatica o renale; 5) buona compliance. Misurazione degli indici clinici di malattia La gravità della MP sul piano clinico è stata determinata mediante somministrazione della scala ‘Unified Parkinson’s Disease Rating Scale’ (UDPRS). Indagini biochimiche Ciascun soggetto reclutato nel presente studio, è stato sottoposto a prelievo di sangue venoso, subito conservato alla temperatura di -80°, previa centrifugazione a 3000’ per 10 minuti, al fine di separare il siero dalla parte corpuscolata. I campioni così ottenuti sono stati utilizzati per la determinazione delle concentrazioni ematiche di Fe, Cu, Zn, Ceruloplasmina, Transferrina, e capacità antiossidante totale (TRAP), secondo quanto riportato da altri autori (5,6). Analisi statistica Le variabili continue (età, concentrazioni sieriche di Cu, Zn e trasferrina, punteggio UDPRS sono state analizzate mediante il Mann-Whitney U-test o l’ANOVA ad una via dove appropriato, quelle categoriali mediante il chi-quadro. Lo studio di correlazione tra i parametri biochimici, l’età ed il punteggio UDPRS è stato effettuato mediante Nell’intera corte è stato il calcolo dei coefficienti di Spearman. L’influenza dei fattori demografici (età, sesso, area di residenza) e della diagnosi di MP sui parametri biochimici sono stati valutati mediante un modello di analisi multivariata. I valori sono stati considerati significativi per p < 0.05. RISULTATI Le caratteristiche demografiche e cliniche della popolazione esaminata sono riportate nella Tabella I; nessuna differenza statisticamente significativa è stata riscontrata tra pazienti e controlli stratificati per area di provenienza riguardo il sesso (χ2= 4.2, df =3, p=0.2) l’età (p=0,08); tali variabili non sono risultate associate in maniera significativa ai parametri biochimici indagati (dati non esposti in dettaglio). Al contrario stratificando la corte rispetto alla diagnosi di malattia ed alla zona di residenza si sono riscontrate differenze statisticamente significative riguardo le concentrazioni sieriche di Cu (p <0.0000001) e Zn (p<0.000001). L’analisi multivariata ha confermato l’assenza di effetti significativi su tali parametri di sesso ed età, mentre è stata dimostrato un effetto significativo dell’area di residenza e del suo termine di interazione con la diagnosi di malattia (Tabelle II e III). Infine, nel gruppo dei pazienti con MP è stata evidenziata la presenza di una differenza statisticamente significativa tra il punteggio UDPRS dei pazienti residenti in Valcamonica rispetto a quelli provenienti dalle zone limitrofe non inquinate (p= 0.001; Tabella I). Tale punteggio è risultato essere correlato in maniera significativa con leconcentrazioni sieriche di Cu, ma non con gli altri parametri biochimici indagati (Tabella IV). Tabella IV. Correlazioni tra età e parametri biochimici con il punteggio UDPRS nei pazienti con MP 296 DISCUSSIONE Elevati livelli di metallo-ioni come pure fenomeni di stress ossidativo sono stati descritti in vari disordini neurodegenerativi caratterizzati da perdita selettiva dei neuroni dopaminergici nigro-striatali come la MP, la paralisi sopranucleare progressiva e l’atrofia multisistemica (7). Vari studi hanno documentato come la morte di siffatta popolazione neuronale nella MP sia correlata ad un aumento della concentrazione cellulare di vari metallo-ioni che avrebbe, come conseguenza, da un lato uno sbilanciamento dello stato redox, dall’altro un eccessivo consumo di sostanze ad azione antiossidante (1). Sono, infatti, documentate evidenze circostanziali che lo sbilanciamento dello stato redox cellulare, provoca a livello dei neuroni dopaminergici un’iper-produzione di 6-idrossi dopamina che, trasformandosi nel quinone corrispondente, libera elevate quantità di ione superossido (7). Questa reazione a cascata, agendo di per sé, o a seguito della ciclica ossido-riduzione del succitato quinone determinerebbe l’istaurarsi di una condizione di stress-ossidativo, anche favorita dal contemporaneo consumo di equivalenti riducenti. Ulteriori conferme di un ruolo della tossicità da metalli nella patogenesi della MP proviene da studi post-mortem effettuati su soggetti parkinsoniani nei quali è stato possibile documentare la presenza di uno uno ‘shift’ dello stato redox dello ione Fe2+ in favore della forma Fe3+, associato ad un una deplezione del glutatione allo stato ridotto (8). Altre evidenze di tipo sperimentale hanno inoltre dimostrato un coinvolgimento del Cu e dello Zn nei fenomeni di oligomerizzazione dell’alfa sinucleina. In particolare è stato osservato che il Cu ha la capacità di annullare la repulsione dovuta alla carica negativa delle regioni C-terminali di tale proteina, promuovendone l’aggregazione (1). Sulla base di tali dati sono stati effettuati altri studi atti a valutare la presenza di alterati livelli di metalli nei fluidi biologici di pazienti con diagnosi clinica di MP (3,4,5). A tutt’oggi, i risultati provenienti da queste osservazioni sono controversi e talvolta in contrasto con quanto evidenziato nel presente studio. Nella nostra popolazione è stato documentato un incremento dei livelli sierici di Cu e di Zn associato tanto all’esposizione con inquinati ambientali che alla diagnosi di MP ed indipendente dal sesso e dall’età. In particolare, lo Zn sembra essere più alto in pazienti con MP in maniera indipendente dall’esposizione ad inquinamento da metalli pesanti. La perturbazione del metabolismo del Cu, invece, sembra essere associata all’esposizione ad inquinamento industriale ed è probabilmente coinvolta nella progressione della stessa MP. Questo dato, in linea con ampi studi epidemiologici che hanno documentato un incremento del rischio per MP in popolazioni esposte ad elevati livelli ambientali di Cu e Zn (8) è in antitesi con altre osservazioni che, viceversa, hanno documento un decremento delle concentrazioni di tali elementi nel siero e nel liquor di pazienti parkinsoniani (4). Tale discordanza di risultati potrebbe derivare dalla mancanza, in tali studi, di soggetti residenti in aree ad alto rischio ambientale, dal non avere indagato la presenza di eventuali ’bias’ demografici o, infine dal numero esiguo di casi considerati. Il dato nuovo desumibile dalle nostre osservazioni è l’avere dimostrato una correlazione diretta tra gravità di malattia e livelli sierici di Cu: le esigue evidenze riportate in letteratura a tal proposito, non ci consente, allo stato attuale, un’univoca interpretazione di questo fenomeno, sebbene, come precedentemente accennato, recenti acquisizioni indicano un possibile coinvolgimento del Cu nei fenomeni di oligomerizzazione dell’alfa-sinucleina (2). Un altro meccanismo che spiegherebbe un coinvolgimento del Cu nella patogenesi della MP è l’iperproduzione di ROS secondaria all’ossidazione irreversibile della superossido dismutasi Cu/Zn dipendente(Cu, Zn SOD), enzima implicato nelle risposte cellulari allo stress ossidativo (9). La Cu,Zn SOD - se alterata nella sua struttura - rappresenta di per sé una fonte di radicali liberi, nella fattispecie rappresentati dall’anione idrossile (9). Quest’ultimo interagendo con il Cu liberato a seguito dell’inattivazione della Cu,Zn SOD, amplifica e mantiene l’alterazione dello stato redox cellulare che, secondo alcuni autori, precederebbe l’istaurarsi di un danno mitocondriale, del tutto simile a quello indotto in modelli sperimentali da un inibitore selettivo del complesso I, il rotenone (1). È, pertanto, possibile che l’esposizione ad elevate concentrazioni ambientali di metallo-ioni possa essere implicata, assieme ad altri fattori acquisiti ed ad un non ancora identificato background genetico, nella pa- G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it togenesi della MP e di altri disordini neuro-degenerativi che riconoscono nello stress-ossidativo e nel misfolding proteico i principali meccanismi coinvolti nel determinismo biologico di tali entità nosografiche. Ulteriori studi sia clinici e sperimentali sono necessari per chiarire del tutto il ruolo dei metallo ioni in tali malattie, anche al fine di indicare possibili nuove strategie diagnostiche e terapeutiche. BIBLIOGRAFIA 1) Gaeta A, Hider RC.The crucial role of metal ions in neurodegeneration: the basis for a promising therapeutic strategy. Br J Pharmacol,146, 1041-1059,2005. 2) Li J, Fink AL.Metal-triggered structural transformations, aggregation, and fibrillation of human alpha-synuclein. A possible molecular NK between Parkinson’s disease and heavy metal exposure. J Biol Chem, 276, 44284-44296, 2001. 3) Jiménez-Jiménez FJ, Fernández-Calle P, Martínez-Vanaclocha M, Herrero E, Molina JA, Vázquez A, Codoceo R. Serum levels of zinc and copper in patients with Parkinson’s disease. J Neurol Sci, 112, 30-33, 1992. 4) Qureshi GA, Qureshi AA, Memon SA, Parvez SH Impact of selenium, iron, copper and zinc in on/off Parkinson’s patients on L-dopa therapy. J Neural Transm Suppl, 229-236, 2006. 5) Jiménez-Jiménez FJ, Molina JA, Aguilar MV, Meseguer I, MateosVega CJ, González-Muñoz MJ, de Bustos F, Martínez-Salio A, OrtíPareja M, Zurdo M, Martínez-Para MC. Cerebrospinal fluid levels of transition metals in patients with Parkinson’s disease. J Neural Transm, 105, 497-505,1998. 6) Squitti R, Pasqualetti P, Dal Forno G, Moffa F, Cassetta E, Lupoi D, Vernieri F, Rossi L, Baldassini M, Rossini PM. Excess of serum copper not related to ceruloplasmin in Alzheimer disease. Neurology, 64, 1040-1046, 2005. 7) Sayre LM, Moreira PI, Smith MA, Perry G. Metal ions and oxidative protein modification in neurological disease.Ann Ist Super Sanita, 41143-164. 2005. 8) Uversky VN, Li J, Fink AL. Metal-triggered structural transformations, aggregation, and fibrillation of human alpha-synuclein. A possible molecular NK between Parkinson’s disease and heavy metal exposure. J Biol Chem 276, 44284-44296, 2001. 9) Kang JH, Kim KS. Enhanced oligomerization of the alpha-synuclein mutant by the Cu,Zn-superoxide dismutase and hydrogen peroxide system. Mol Cells Feb,15, 87-93,2003. G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it SESSIONE ERGONOMIA COM-01 IL SOVRACCARICO BIOMECCANICO DEGLI ARTI SUPERIORI NEL COMPARTO ACCONCIATORI: DALL’ANALISI DEI COMPITI ALLA MATRICE MANSIONE-ESPOSIZIONE E. Mastrominico1, C. Breschi1, G. Corbizzi Fattori2, F. Pini1, F. Carnevale2 1Consulenza Tecnica Accertamento Rischi e Prevenzione, INAIL Direzione Regionale Toscana 2U.F. PISLL “G. Pieraccini” ASL 10 di Firenze RIASSUNTO. L’analisi dei dati relativi alle malattie professionali nel comparto acconciatori in Italia e in Toscana mette in evidenza una riduzione delle malattie “tradizionalmente” associate alle lavorazioni tipiche del mestiere (dermatiti, asma, ecc.) ed un parallelo aumento delle malattie da sovraccarico biomeccanico degli arti superiori. È intuitivo che la valutazione dell’esposizione al rischio per gli arti superiori nelle mansioni caratteristiche del comparto in esame comporta notevoli difficoltà, in quanto il ciclo lavorativo si compone di compiti fra loro diversificati (shampoo, taglio, tintura, ecc.) che si possono combinare nelle modalità più svariate nell’arco di una giornata lavorativa. Il lavoro illustra i primi risultati di un progetto avviato lo scorso anno dalla Consulenza Tecnica Accertamento Rischi e Prevenzione dell’INAIL Direzione Regionale Toscana e dall’U.F. PISLL “G. Pieraccini” ASL 10 di Firenze,’INAIL - Direzione Regionale Toscana e dall’ASL 10 di Firenze. Attraverso uno studio condotto utilizzando il metodo OCRA nella sua versione Check List su un campione costituito da 12 addetti di cinque saloni della provincia di Firenze, si è arrivati alla stesura di una matrice mansione-esposizione che consente di ricavare un indice di esposizione al rischio specifico per mansione, tenendo conto dei contributi dei singoli compiti ripetitivi eseguiti dall’operatore. Parole chiave: parrucchiere, arti superiori, valutazione del rischio, OCRA BOMECHANICAL OVERCHARGE OF THE UPPER LIMBS IN HAIRDRESSERS: FROM THE TASK ANALYSIS TO THE JOB/EXPOSITION MATRIX 297 lo più piccolissime. Infatti, il numero medio di addetti risulta in media pari a 1,68. Il 7,2% di tali imprese ha sede in Toscana, dove il comparto occupa 14.149 addetti (pari all’8,5% degli addetti in Italia). L’analisi dei dati relativi alle malattie professionali denunciate all’INAIL nel comparto acconciatori in Italia e in Toscana mette in evidenza una riduzione delle malattie “tradizionalmente” associate alle lavorazioni tipiche del mestiere (dermatiti, asma, ecc.) ed un parallelo aumento delle malattie da sovraccarico biomeccanico degli arti superiori, ovvero di malattie di tipo multifattoriale per le quali non è sempre facile stabilire l’origine professionale. Tuttavia, mentre in letteratura è presente un gran numero di studi riguardanti l’insorgenza di malattie a carico della cute e dell’apparato respiratorio nell’attività di acconciatore, molto meno numerosi sono gli studi relativi all’analisi dei rischi da sovraccarico biomeccanico degli arti superiori. È intuitivo che la valutazione dell’esposizione al rischio per gli arti superiori nelle mansioni caratteristiche del comparto in esame comporta notevoli difficoltà, in quanto il ciclo lavorativo si compone di compiti fra loro diversificati (shampoo, taglio, tintura,, ecc.) che, a seconda delle richieste della clientela, si possono combinare nelle modalità più svariate nell’arco di una giornata lavorativa. Il lavoro illustra i primi risultati di un progetto avviato lo scorso anno dalla Consulenza Tecnica Accertamento Rischi e Prevenzione della Direzione Regionale Toscana e dall’U.F. PISLL “G. Pieraccini” ASL 10 di Firenze, finalizzato alla individuazione di un criterio valutativo per la costruzione di una matrice mansione-esposizione al rischio da sovraccarico biomeccanico degli arti superiori nelle imprese di acconciatura. Ciò, accanto ad una analisi degli elementi caratterizzanti il binomio attrezzature-attività, ha consentito al gruppo di lavoro di mettere a punto una serie di indicazioni che datori di lavoro, medici competenti e lavoratori possono utilizzare quale supporto per affrontare alcune questioni riguardanti la salute e la sicurezza sul lavoro. Lo studio, quindi, ha consentito agli Enti coinvolti la creazione di uno strumento interno di lavoro per l’analisi di alcune patologie di probabile origine professionale, utilizzabile anche nell’ambito delle attività di tipo prevenzionale che la vigente normativa assegna loro. MATERIALI E METODI L’indagine tecnica è stata preceduta da un’analisi di primo livello, durante la quale sono state raccolte, attraverso un questionario appositamente costruito, informazioni generali sulle modalità organizzative ed operative e sono stati identificati i compiti caratteristici delle mansioni. Successivamente sono stati realizzati filmati delle lavorazioni svolte nel corso della giornata lavorativa e, per ciascun compito, è stato definito un indice OCRA Check List medio. Più in dettaglio, per ognuno dei compiti osservati, sono stati attribuiti i rispettivi punteggi ai singoli fattori definiti dalla Check List OCRA; per ognuno dei fattori di rischio caratteristici di uno specifico compito è stato definito un punteggio medio, ottenuto come media statistica dei punteggi attribuiti a quello specifico fattore attraverso l’osservazione di più compiti di uno stesso tipo. L’indice sintetico di ciascun compito è stato calcolato facendo riferimento a tali valori medi. ABSTRACT. The analysis of professional diseases denounced from hairdressers in Italy and in Tuscany shows among these workers a reduction of some “typical” work related diseases, like dermatitis, asthma, etc. and a raise of upper limbs disorders. The upper limbs risk assessment process is very tough for the hairdresser’s activity, because the working cycle includes different tasks (shampoo, cut, dyeing, etc.) and their combination in a working day is related to customers requests. RISULTATI The job illustrates the first results of a project started last year from In questa prima fase hanno aderito al progetto 5 saloni di acconciathe Tuscany Technical Advisory Department for Risk Assessment and. tura per un totale di 12 operatori (5 maschi e 7 femmine). Prevention (CONTARP) of the Italian Workers’ Compensation Authority La tabella I riassume i valori degli indici medi di esposizione OCRA (INAIL) and PISLL “G. Pieraccini” - ASL 10 of Florence. Check List per l’arto destro ottenuti nella valutazione dei compiti di Through a study conducted with the OCRA Check List method on a shampoo, taglio, messa in piega e tintura attraverso le osservazioni consample constituted by 12 employees of five shops of the Florentine dotte dal gruppo di lavoro secondo le modalità descritte in precedenza. territory, we have arrived to a job-exposure matrix that allows to draw an Tali valori sono stati ponderati rispetto alla durata del compito nel turno index of exposure to the specific risk for every task, keeping in mind the di lavoro. contributions of the single repetitive assignment performed by the operator during the working day. Tabella I. Indice OCRA Check List medio per tempo di adibizione Key words: hairdresser, upper limbs, al singolo compito ripetitivo - Arto destro risk assessment, OCRA INTRODUZIONE In Italia la distribuzione degli acconciatori è tra le più elevate tra i Paesi dell’Unione Europea: si contano più di 100.000 imprese (un’impresa ogni 580 abitanti) per un totale di 170.892 addetti. Si tratta tuttavia di imprese artigiane per 298 G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it La somma degli indici ponderati di tutti i compiti che compongono ciascuna mansione consentirà di associare alla stessa un valore medio di esposizione. Il valore dell’indice finale andrà confrontato con le fasce di rischio individuate dalla Check List OCRA1, tenendo conto anche della durata del lavoro ripetitivo nell’intero turno. Se si confrontano i dati ricavati dalle osservazioni con quelli ottenuti attraverso la somministrazione del questionario utilizzato per lo studio preliminare, si evince una scarsa consapevolezza dei lavoratori relativamente ai fattori che possono incidere sul rischio posturale. È vero che un posto preminente nella classifica dei rischi percepiti appare occupato dal rischio da stress, seguito dal rischio posturale. Tuttavia, gli operatori, pur percependo un malessere legato alla qualità del proprio lavoro che può ripercuotersi sulla salute personale, attribuiscono in linea generale punteggi complessivamente molto alti al proprio ambiente di lavoro e non riscontrano deficienze rilevanti nell’organizzazione interna dell’attività lavorativa. DISCUSSIONE Per la valutazione del rischio da sovraccarico biomeccanico degli arti superiori nel comparto acconciatori, attraverso uno studio condotto su un campione costituito da 12 addetti di cinque saloni della provincia di Firenze, si è arrivati ad una prima stesura di una matrice mansione-esposizione al rischio specifico, che consente di ricavare un indice di esposizione per mansione, tenendo conto dei contributi dei singoli compiti ripetitivi eseguiti dall’operatore durante la giornata lavorativa. Tale matrice può rappresentare un utile supporto per il datore di lavoro, al fine di individuare soluzioni di tipo organizzativo per ridurre l’esposizione dei lavoratori al rischio, che non devono comunque prescindere da una corretta impostazione del layout della postazione di lavoro. BIBLIOGRAFIA 1) C. Breschi, E. Mastrominico, F. Pini Acconciatore: un mestiere a rischio?, in: Quaderni di Ergonomia: L’ergonomia tra innovazione e progetto, Moretti&Vitali, 2006. 2) D. Colombini, E. Occhipinti, M. Fanti Il metodo OCRA per l’analisi e la prevenzione del rischio da movimenti ripetuti, Franco Angeli, Milano, 2005. 1 [1] Gli autori individuano le seguenti fasce di rischio Valore OCRA CHECK LIST AREA RISCHIO <7,5 VERDE ACCETTABILE 7,6 - 11 GIALLO BORDERLINE O MOLTO LIEVE 11,1 - 14.0 14,1 - 22,5 ROSSO LIEVE ROSSO MEDIO LIEVE MEDIO > 22,6 ROSSO INTENSO O VIOLA ALTO COM-02 LA ADOZIONE DEL LETTO ELETTRICO NEI REPARTI DI DEGENZA OSPEDALIERA: VALUTAZIONE DELL’IMPATTO PREVENTIVO SULLE PATOLOGIE DEL RACHIDE DEGLI OPERATORI SANITARI M.I. D’Orso1, L. Zoppini2, M. Dell’Acqua2, C. Toso3, G.C. Cesana1 1Dipartimento di Medicina Clinica e Prevenzione - Università di Milano Bicocca 2Azienda Ospedaliera di Legnano (Mi) 3Consorzio per lo Sviluppo della Medicina Occupazionale ed Ambientale - Monza Corrispondenza: Claudia Toso - Per riferimenti organizzativi la mail di servizio è [email protected] RIASSUNTO. Al fine di ridurre gli infortuni professionali e le idoneità limitate negli infermieri addetti a movimentazione di pazienti non autosufficienti si è attivato nella A.O. di Legnano un progetto di sostituzione dei letti di degenza tradizionali con letti elettrici. Si descrivono l’articolazione e l’evoluzione del progetto di inserimento dei letti elettrici nonché le ricadute positive sulla salute dei lavoratori addetti a movimentazione manuale di pazienti e sui possibili infortuni nei pazienti stessi Parole chiave: infortunio sul lavoro, letto elettrico, lombo-sciatalgia THE ADOPTION OF ELECTRICAL BEDS IN HOSPITAL CLINIC UNITS: EVALUATION OF THE IMPACT ON WORKERS’ LOW BACK PATHOLOGIES ABSTRACT. With the aim of reducing the number of occupational accidents and of judgements of limited work ability among the nurses having as work task the movement of not self-sufficient patients, the Legnano Hospital has defined a project of substitution of the traditional hospital beds with electrical beds. We describe the project of substitution of the beds and the positive results both on the health status of the workers using electrical beds and on the reduction of the falls occurred to the patients. Key words: work accident, electrical bed, low back pain INTRODUZIONE Le patologie cronico degenerative del rachide costituiscono ormai da anni nei paesi industrializzati la seconda causa di malattia nella popolazione generale. Nella popolazione lavorativa di tali paesi la elevata prevalenza di patologie cronico degenerative del rachide costituisce causa di frequenti limitazioni della idoneità lavorativa od addirittura di non idoneità completa a compiti lavorativi che prevedano necessariamente o la movimentazione manuale di carichi od attività che comportino fasi di trazione o spinta di carichi. Una rilevante percentuale di tali patologie viene correlata nella sua eziopatogenesi a livello causale o concausale proprio con i compiti lavorativi svolti dai lavoratori che manifestano i quadri clinici. Ove ciò sia, queste patologie si configurano quindi come malattie professionali o comunque come malattie correlate con il lavoro. I quadri clinici di patologia acuta o cronica del rachide a causa o concausa professionale sono numericamente correlati con la entità della movimentazione manuale di carichi insita nella attività lavorativa. Una tipologia di lavoratori la cui attività professionale prevede intrinsecamente la necessità di movimentare manualmente e frequentemente carichi rilevanti è quella degli infermieri, con particolare riguardo a quelli che prestano servizio nei reparti di degenza di pazienti non completamente autosufficienti. Per tali lavoratori si rendono necessari interventi preventivi volti a ridurre l’impegno del rachide, soprattutto della sua porzione lombosacrale, nelle varie fasi di lavoro. Tra questi interventi particolare rilevanza ha l’introduzione di ausili meccanici che consentano di non movimentare manualmente i pazienti non autosufficienti. La ricerca si propone di valutare gli effetti indotti sulla salute dei lavoratori operanti in alcuni reparti ospedalieri della A.O. di Legnano dalla introduzione di particolari ausili (letti elettrici) in quattro presidi ospedalieri che in precedenza ne erano sprovvisti. MATERIALI E METODI La ricerca è stata condotta presso la Azienda Ospedaliera di Legnano, Ente che risulta articolato in quattro presidi (Legnano, Magenta, Abbiategrasso e Cuggiono). In tali presidi, si sono valutati gli infortuni professionali segnalati a carico del personale dipendente ed interessanti il rachide nel periodo compreso tra il gennaio 2000 ed il giugno 2007. Si sono inoltre valutate le idoneità al lavoro specifico formulate dal servizio di Medicina del Lavoro dell’Ente nello stesso intervallo di tempo. Particolare attenzione è stata posta nella valutazione di quei giudizi di idoneità limitata, condizionata o non idoneità, formulati per patologie acute o croniche del rachide dei lavoratori soggetti a sorveglianza sanitaria ai sensi del titolo V del D.Lgs. 626/94. Al fine di ridurre gli infortuni professionali tra i lavoratori nonché le loro limitazioni della idoneità specifica al lavoro, la Direzione della G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it Azienda nell’anno 2004 ha deciso di attivare un programma di sostituzione dei letti di degenza “storici” con acquisizione, tramite la fornitura in “service”, di letti elettrici, ritenuti sicuramente in grado di ridurre in modo rilevante il carico di lavoro gravante sul rachide degli operatori sanitari. La acquisizione dei letti in “service” si caratterizza per il fatto che l’Ente non diviene immediatamente proprietario delle attrezzature (potendole a costi molto limitati riscattare comunque dopo un certo numero di anni) ma acquista un servizio di fornitura completo che prevede oltre alla effettiva consegna dei letti anche la garanzia di un contratto di manutenzione ordinaria e straordinaria a costo fissato e stabile per tutta la durata della fornitura. Ulteriori scopi del programma sono stati: la riduzione del rischio di incidenti per i degenti con particolare riguardo alle cadute ed alle loro possibili conseguenze medico legali; il miglioramento del confort degli assistiti. Per la definizione della procedura di acquisizione dei letti è stata attivata una commissione che nei suoi componenti raccogliesse le competenze mediche, tecniche ed amministrative necessarie. In particolare si sottolinea come importante sia stato il ruolo svolto dai dirigenti del Servizio Infermieristico dell’Ente nel rappresentare le necessità dei diretti utilizzatori degli ausili. Dopo una completa valutazione tecnica dei possibili modelli di letti elettrici disponibili commercialmente ed al termine delle procedure amministrative di gara (alla quale si sono presentati 5 raggruppamenti di imprese) sono stati introdotti nei reparti di degenza 150 letti elettrici. Nella procedura di gara è stata prevista nelle fasi preliminari alla assegnazione della commessa una transitoria fornitura sperimentale di letti prova, da valutare da parte del personale con prove pratiche da realizzarsi direttamente nei reparti nei quali era prevista l’introduzione degli ausili. Si evidenzia come per problematiche di bilancio non sia stato possibile attivare una fornitura con lo scopo di coprire la totalità dei posti letto dell’Ente ma solo di quelli più interessati da degenze di pazienti parzialmente sufficienti o non autosufficienti. Prima della attivazione avvenuta nel gennaio 2006 della sostituzione dei letti elettrici a carico della impresa fornitrice degli ausili è stata effettuata una formazione specifica della durata di una giornata a tutto il personale che continuativamente (nei reparti di degenza) o discontinuamente (nei servizi diagnostici od in sala operatoria) avrebbe operato con i nuovi letti. I letti tradizionali, richiestici da una associazione umanitaria, sono stati ad essa ceduti gratuitamente ed inviati in Uganda per attrezzare un ospedale del luogo che ne era privo. I letti elettrici introdotti rispondono tra l’altro ai seguenti requisiti tecnici: • superfici del letto piene con 4 sezioni e 3 snodi • elevazione dello schienale con funzione auto-contorno e testiera fissa facilmente estraibile • comando bilaterale per il rapido ritorno alla posizione distesa per la rianimazione cardio-polmonare • mantenimento temporaneo delle funzioni elettriche in caso di interruzione della alimentazione • presenza di allarme acustico e visivo • regolazione elettrica della altezza del letto • portata massima del letto di almeno 230 Kg. e presenza di sponde laterali protettive • possibilità di postura seduta completa senza necessità di mobilizzazione del paziente • sistema frenante centralizzato su tutte le 4 ruote con ruote direzionali • comandi elettrici sia manuali che a pedale • predisposizione per la trazione ortopedica Al termine dei primi 18 mesi trascorsi dalla introduzione dei letti elettrici si sono raccolti i dati concernenti l’andamento rispetto al periodo precedente della numerosità degli infortuni professionali al rachide occorsi agli operatori nei reparti ove i letti erano stati introdotti e delle limitazioni della idoneità lavorativa definite dal Servizio di Medicina del Lavoro aziendale. Si sono infine valutati, tramite la redazione da parte del personale interessato di un apposito questionario anonimo, il livello di gradimento dei nuovi letti e le eventuali segnalazioni di difficoltà nel loro utilizzo. 299 RISULTATI Gli infortuni dovuti a movimentazione manuale di pazienti nel personale sanitario dei quattro presidi ospedalieri sono stati nel periodo considerato 148. Tale dato negli ultimi tre anni precedenti la introduzione dei letti elettrici in alcuni reparti è rimasto sostanzialmente stabile, come stabile è rimasta la numerosità della popolazione lavorativa complessiva interessata dalla ricerca. In particolare la numerosità complessiva nella Azienda Ospedaliera degli infortuni da movimentazione manuale di pazienti è stata di 13 casi nel 2003, di 14 casi nel 2004 e di 15 casi nel 2005. La numerosità degli infortuni da movimentazione manuale di pazienti è crollata nel corso del 2006 a 5 casi con una riduzione del 66% sull’anno precedente. Si evidenzia come i casi residui si siano manifestati quasi tutti nei lavoratori operativi nei reparti ove i letti elettrici non erano stati inseriti. Nel corso del primo semestre del corrente anno, gli infortuni registrati sono stati 3, tutti nei reparti non dotati di letto elettrico. Le limitazioni della idoneità lavorativa alla movimentazione manuale di carichi nel periodo considerato sono state 276. Nel corso dell’anno 2006 si è notato un incremento complessivo di tali limitazioni rispetto all’anno precedente da 33 a 36. L’incremento riscontrato è però stato disomogeneo. In particolare sono aumentati in modo rilevante i giudizi di limitazione della idoneità lavorativa espressi in relazione alla movimentazione manuale di pazienti nei reparti non interessati dalla introduzione del letto elettrico, mentre si sono ridotti i giudizi in tal senso tra il personale dei reparti ove i letti elettrici sono stati inseriti. La valutazione del gradimento del personale dei nuovi ausili è stata molto positiva nel 75% dei lavoratori interpellati, abbastanza positiva nel 11% dei casi, negativa solo nel 5% dei questionari raccolti. Tale dato, se paragonato con analoghe esperienze descritte in letteratura, risulta sicuramente più positivo di quanto usualmente sia riportato. Si evidenzia infine, dato non di stretta rilevanza ai fini della Medicina del Lavoro ma sicuramente utile per quanto concerne l’attività quotidiana delle Aziende Ospedaliere, che nell’anno 2006, rispetto a quanto registrato nell’anno precedente, le cadute dal letto dei degenti registrate nei reparti ove i letti elettrici sono stati introdotti si sono ridotte da 82 ad 11 (86,2%). DISCUSSIONE I risultati della ricerca effettuata hanno evidenziato come i letti elettrici utilizzati abbiano effettivamente prodotto quegli effetti di prevenzione degli infortuni dei lavoratori che erano stati auspicati. In particolar modo, letti elettrici aventi le caratteristiche come quelle indicate nel capitolato sono stati in grado di eliminare praticamente gli infortuni da movimentazione manuale di pazienti nei reparti ove sono stati introdotti. Tale riduzione della patologia acuta professionale a carico del rachide è stata generalizzata nei diversi reparti ove i letti elettrici sono stati introdotti. L’andamento della numerosità della definizione di idoneità lavorative limitate per la movimentazione manuale decise dal Medico del Lavoro evidenzia come, a fronte di una riduzione delle limitazioni nei reparti ove i letti sono stati introdotti, ci sia stato un aumento dei casi complessivi. Ciò è giustificato da un lato con il progressivo aumento del carico di lavoro del personale, dall’altro con il progressivo invecchiamento sia della popolazione assistita (con più pazienti non autosufficienti) sia della stessa popolazione lavorativa. Si ritiene inoltre possibile che lo stesso progetto descritto nella ricerca abbia portato sia i lavoratori che il Medico del Lavoro a valutare con maggiore attenzione e preoccupazione le patologie acute o croniche del rachide, centrando su di esse particolare interesse e causando un conseguente indiretto aumento del numero di provvedimenti medico legali definiti. La elevata percentuale di risposte positive ottenute al questionario di gradimento dei letti elettrici, predisposto appositamente in forma anonima ed autosomministrata (modalità tecnica di raccolta di informazioni in sé molto poco coercitiva), è sicuramente la conseguenza anche di un condiviso e partecipato percorso di informazione e formazione del personale nel processo che ha portato all’acquisizione dei nuovi ausili. Il gradimento molto elevato che i lavoratori hanno evidenziato per la scelta organizzativa effettuata dall’Ente nel questionario anonimo è prova valida della adeguatezza della scelta tecnica effettuata nella selezione dei possibili letti elettrici. 300 CONCLUSIONI Lo studio effettuato ha evidenziato i vantaggi potenziali della sostituzione di quei letti di degenza tradizionali che ancora oggi costituiscono la maggior parte dei letti usualmente disponibili negli ospedali del nostro paese. La introduzione dei letti elettrici, al fine di conseguire tutti i possibili effetti positivi sulla prevenzione degli infortuni professionali dei lavoratori, necessita però di un percorso condiviso tra tutte le figure interessate presenti nelle Aziende Ospedaliere con particolare riguardo al personale addetto alla movimentazione manuale dei pazienti. La introduzione dei letti elettrici secondo le procedure di “service” sembra essere economicamente ed organizzativamente più vantaggiosa rispetto alle tradizionali forme di acquisto. I letti elettrici si sono inoltre dimostrati validi nella riduzione anche degli infortuni per caduta a carico dei degenti e ciò ha comportato evidenti benefici in termini di miglioramento prognostico dei pazienti e di riduzione dei possibili contenziosi medico legale di natura risarcitoria. L’insieme delle considerazioni sopraesposte ha indotto la Direzione Generale della Azienda a decidere un generalizzato programma di acquisto di letti elettrici, anche in quei reparti ancora non interessati alla introduzione dei nuovi letti in quanto caratterizzati da una più limitata numerosità di pazienti non completamente autosufficienti Si ritiene comunque opportuno proseguire con la sorveglianza della evoluzione nel tempo degli indici infortunistici considerati, al fine di verificare la opportunità di procedere ad aggiornamenti ed integrazioni delle attività di formazione del personale. BIBLIOGRAFIA 1) Colombini D, Occhipinti E: La movimentazione manuale di carichi. Dossier Ambiente n. 33, 1996 2) Fender G, Creyer C, Donovan S, Carter Y,: Guidelines for the prevention of fall in people over 65. BMJ, 321:1007-1011, 2000 3) Leighton D, Reilly T: Epidemiological aspects of back pain, the incidence and prevalence of back pain nurses compared with the general population. Occup Med, 45: 263-267, 1995 4) Menoni O, MG Ricci, Panciera D, Occhipinti E: Valutazione dell’esposizione ad attività di movimentazione manuale di pazienti nei reparti di degenza: metodi, procedure, indici di esposizione e criteri di classificazione. Med Lav, 2: 152-172, 1999 5) Ricci MG, Menoni O, Colombini D, Occhipinti E: Studi clinici negli operatori sanitari addetti alla movimentazione manuale di pazienti, metodi per la rilevazione delle affezioni del rachide. Med. Lav., 2:173-190, 1999 COM-03 L’AMBULATORIO DI POSTUROLOGIA COME SUPPORTO SPECIALISTICO PER LA MEDICINA DEL LAVORO - CASISTICA E RISULTATI DELLA PRATICA CLINICA DI UNA STRUTTURA OSPEDALIERA R. Centemeri1, M.I. D’Orso2, R. Latocca3, W. Pagani3, G.C. Cesana2 1Consorzio per lo Sviluppo della Medicina Occupazionale ed Ambientale - Monza (Mi) 2Dipartimento di Medicina Clinica e Prevenzione - Università di Milano Bicocca 3Unità di Medicina Occupazionale ed Ambientale - A.O. San Gerardo Monza (Mi) Corrispondenza: Centemeri Roberto - Per riferimenti organizzativi la mail di servizio è [email protected] RIASSUNTO. La visita specialistica posturologica è uno strumento medico poco conosciuto per la diagnosi e la attivazione di interventi terapeutici in casi clinici di patologia dolorosa del rachide. Si illustrano i protocolli in uso nel nostro ambulatorio universitario/ospedaliero di posturologia e la casistica valutata negli ultimi due anni. L’approccio personalizzato di diagnosi e terapia seguito ha consentito di ottenere nei pazienti non affetti da patologia di tipo organico una remissione pressoché G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it generalizzata della sintomatologia ed un contenuto numero di recidive a distanza di un anno dalla conclusione della terapia. Parole chiave: posturologia, lombo-sciatalgia, idoneità al lavoro THE POSTUROLOGICAL DEPARTMENT AS CLINICAL SUPPORT FOR OCCUPATIONAL MEDICINE: CLINICAL CASES AND RESULTS OF A HOSPITAL UNIT ABSTRACT. The posturologic visit is a not widely known medical method for the evaluation and the therapy of low back pain. We describe the clinical and instrumental method followed in our posturological clinical unit organized jointly by hospital and university and the clinical cases evaluated in two years. An individual diagnostic evaluation and a personal therapy allowed an almost generalized complete remission of the symptoms and a very low number of reactivation of low back pain after a follow up of one years. Key words: posturology, low back pain, work ability INTRODUZIONE: Le sintomatologie dolorose acute o croniche della colonna vertebrale costituiscono frequente causa di disabilità nella popolazione generale. Tali quadri interessano con particolare frequenza il segmento cervicale e quello lombosacrale dei pazienti. Nella popolazione lavorativa le sintomatologie dolorose del rachide frequentemente interessano lavoratori i cui compiti professionali presentano fasi di rilevante impegno a carico del rachide o per una rilevante movimentazione manuale di carichi o per la necessità di mantenere posture fisse del rachide protratte nel tempo. Queste sintomatologie, frequentemente peraltro caratterizzate da scarsa oggettività clinica, obbligano spesso il Medico del Lavoro a definire e sancire giudizi di idoneità limitata o non idoneità assoluta. Ciò accade soprattutto nei settori produttivi ove la movimentazione manuale di carichi è particolarmente rilevante e rende necessario ricercare ove possibile un percorso di reinserimento lavorativo dei lavoratori affetti. In questa eventualità, particolare rilevanza assumono anche problemi di diagnosi differenziale delle algie del rachide e conseguenti ipotesi di approcci terapeutici spesso tra loro molto eterogenei e caratterizzati da esiti frequentemente non soddisfacenti. In queste situazioni si viene ad inserire la visita specialistica posturologica, accertamento clinico non ancora particolarmente diffuso ed utilizzato dal Medico del Lavoro, che consente tramite specifiche manovre semeiotiche e strumentali una valutazione funzionale completa della fisiologia della postura del rachide e delle possibili sue alterazioni nei pazienti affetti da sintomatologia dolorosa acuta o cronica. MATERIALI E METODI Al fine di valutare la possibili ricadute di un supporto specialistico posturologico al Medico del Lavoro per la valutazione di lavoratori che risultavano essere affetti da algie acute o croniche del rachide, si sono rivalutati i controlli clinici effettuati in un biennio nell’ambulatorio integrato di posturologia ospedaliero/universitario della nostra Azienda Ospedaliera. I controlli hanno riguardato pazienti che sono pervenuti al nostro ambulatorio per prescrizione originata da colleghi di diverse discipline. I pazienti selezionati non erano portatori di patologia diagnosticata al rachide di natura organica. I pazienti inclusi nella ricerca sono stati solo quelli, di entrambi i sessi, con età compresa tra i 18 ed i 65 anni che dichiaravano di essere affetti da algia acuta o cronica a carico di un solo segmento della colonna vertebrale (o cervicale o dorsale o lombare). La scelta di limitare con questo parametro la popolazione inserita nella ricerca è stata motivata dalla necessità di valutare al meglio la efficacia dei trattamenti eventualmente effettuati. I pazienti sono stati sottoposti a visita specialistica posturologica di base comportante tra l’altro un esame obiettivo specifico per la valutazione posturale del rachide al fine di poter formulare una eventuale diagnosi di disfunzione somatica. La metodica utilizzata prevede la valutazione secondo i tre criteri TAR (texture, asimetry, range of motion). Ai pazienti successivamente sono stati eseguiti: • una valutazione completa della postura mediante lo studio della posizione del corpo nei tre piani dello spazio tramite l’utilizzo dello scoliosometro; G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it • lo studio dell’appoggio podalico mediante il podoscopio al fine di verificare se l’appoggio fosse armonico, disarmonico o asimmetrico, nonché il tipo di piede normale, valgo o varo; • la valutazione oftalmologica della convergenza oculare e delle forie. Lo studio della postura è stato completato tramite una valutazione strumentale con la pedana stabilometrica statica il cui utilizzo è stato effettuato seguendo i criteri indicati dalla Associazione francese di posturologia, al momento la più autorevole nella definizione dei criteri di normalità per la razza caucasica, che sono riassunti nelle linee guida “Normes 85”. Questo iter diagnostico ha permesso di individuare i pazienti che presentavano una o più alterazioni dei meccanismi fisiologici della postura, indirizzando invece quelli che presentavano il sospetto di alterazioni patologiche di altra natura ai colleghi specialisti di altre aree disciplinari. Per i lavoratori che presentavano alterazioni posturali l’iter diagnostico strumentale è stato completato con indagini diverse caso per caso (Rx grafia, TAC, RMN). I pazienti selezionati sono stati successivamente indirizzati verso un iter terapeutico specifico e personalizzato mirante a ripristinare una corretta funzionalità osteo-articolare mediante alcuni possibili interventi. Gli interventi più utilizzati singolarmente od in associazione sono stati: la terapia manuale, la fisiochinesiterapia, l’utilizzo di plantari propriocettivi, la adozione di diottri sferici o piani. Ai lavoratori che lo desideravano è stato effettuato un follow up della durata di un anno che ha poi esitato nella stesura di una relazione destinata al medico che aveva provveduto all’invio del paziente. RISULTATI I pazienti selezionati nello studio secondi i criteri sopraespressi sono stati 502, 320 femmine e 182 maschi, la maggioranza dei quali (67,0%) inviata dai rispettivi medici di Medicina Generale. Solo il 13,5% dei pazienti è risultata essere stata inviata dal Medico del Lavoro. La causa di invio predominante è stata la presenza di lombalgia acuta/cronica (52%) seguita dalla cervicalgia acuta/cronica (31%). Il programma diagnostico sopradescritto ha consentito di formulare tra i pazienti le seguenti diagnosi: • 114 alterazioni della propriocettività; • 112 disfunzioni somatiche; • 133 alterazioni posturali. Poiché in alcuni casi è stata riscontrata la combinazione di almeno due diagnosi associate, il successivo iter terapeutico è stato costruito sulla base di eterogenei obiettivi da raggiungere tra i seguenti: normalizzazione della funzione somatica, recupero della propriocettività, riequilibrio posturale. La durata dei cicli terapeutici è risultata essere compresa tra i 21 giorni ed i tre mesi. Le tecniche più utilizzate sono state: la fisiochinesiterapia (22,7%), la osteopatia (22,3%), l’applicazione di plantari propriocettivi (26,5%). I controlli a distanza eseguiti a distanza di 1 mese, 3 mesi, 6 mesi ed 1 anno dalla fine della terapia, hanno permesso di verificare tra i pazienti affetti da una o più alterazioni funzionali della fisiologia della postura una percentuale riferita di recidive della sintomatologia dolorosa solo del 15,0%. La nostra certificazione ci ha consentito, per i pazienti risultati asintomatici alla fine del periodo di controllo, di pronunciarci a favore di un completo ripristino della idoneità lavorativa come è stato certificato in apposite relazioni consegnate al paziente. DISCUSSIONE La ricerca effettuata ha evidenziato, pur nella ridotta area geografica di riferimento del nostro ambulatorio prevalentemente limitata alle Province di Milano, Lecco e Como, come siano numerosi i lavoratori che presentano algie al rachide non chiaramente diagnosticate e non regredite dopo i comuni interventi terapeutici. La scelta di inviare i pazienti all’ambulatorio di posturologia è, probabilmente per maggiore affinità disciplinare, attualmente prevalentemente adottata dai medici di Medicina Generale e non dai Medici del Lavoro che al contrario potrebbero essere più interessati all’approfondimento dei quadri clinici dei pazienti/lavoratori, soprattutto per finalità medico legali con particolare riferimento alla definizione della idoneità residua dei singoli lavoratori. La quasi totalità dei pazienti afferiti all’ambulatorio erano reduci da uno o più tentativi terapeutici effettuati secondo protocolli diagnostici e 301 terapeutici differenti ma comunque non esitati nella auspicata risoluzione della loro sintomatologia. Una appropriata valutazione posturologica clinica e strumentale dei quadri di sintomatologia dolorosa a carico del rachide consente un approfondimento diagnostico che permette di meglio definire quali casi clinici siano originati da patologie di tipo organico e quali quadri siano invece di tipo disfunzionale. Ciò rende possibili da un lato un appropriato inquadramento diagnostico, dall’altro la definizione di appropriati piani terapeutici per le sintomatologie dolorose del rachide di tipo disfunzionale. In particolare si evidenzia come nella popolazione valutata, composta da pazienti con quadri di algia al rachide ad eziopatogenesi non ben definita, diagnosi di una o più alterazioni della fisiologica funzione del rachide siano state effettuate in più del 70% dei casi. L’approccio terapeutico per essere efficace sembra dover necessariamente essere personalizzato prevedendo, caso per caso, una associazione tra i diversi interventi terapeutici utilizzati. In particolar modo una accurata programmazione della composizione del programma terapeutico e soprattutto della sua durata sembra poter ottenere i migliori risultati. Si evidenzia come, rispetto ai peraltro non numerosi studi riportati in letteratura e sulla base di considerazioni mutuabili dalla pratica clinica, l’approccio seguito abbia consentito di riscontrare al termine del periodo di ricontrollo una percentuale di recidive della sintomatologia dolorosa sicuramente contenuta. Un simile risultato evidentemente può semplificare in modo rilevante le difficoltà che il Medico del Lavoro incontra nella definizione della idoneità specifica di lavoratori affetti da queste sindromi dolorose, idoneità che spesso può essere ripristinata integralmente. Ciò rende più facilmente perseguibile l’obiettivo di salvaguardare la continuità del rapporto di lavoro dei singoli pazienti con una conseguente miglior tutela delle specifiche competenze professionali eventualmente acquisite dai lavoratori nella loro storia professionale. Questi lavoratori infatti spesso ancora oggi, dopo periodi più o meno protratti, finiscono con il cambiare attività lavorativa o perdono il posto di lavoro. CONCLUSIONI La valutazione clinica e funzionale posturologica sembra essere una valida risorsa per la definizione diagnostica e terapeutica di quei casi di sintomatologia algica del rachide che non riescono ad essere diagnosticati precisamente sulla base degli usuali protocolli clinici. La risoluzione di buona parte dei quadri clinici valutati e la contenuta percentuale di recidive nel tempo riferite dai pazienti ha consentito di verificare come un approccio terapeutico posturologico sia sicuramente in grado di essere di valido ausilio sia per la promozione della qualità della vita di relazione dei pazienti sia per le loro possibili prospettive lavorative. La attuale realtà della pratica clinica registra però ancora la attivazione solo di poche e limitate collaborazioni tra i Medici del Lavoro ed i Posturologi e ciò limita fortemente sia l’afflusso di questi pazienti negli ambulatori di posturologia, sia la possibilità del Posturologo di essere di ausilio al Medico del Lavoro nella definizione della diagnosi, della terapia e della prognosi soprattutto lavorativa di questi pazienti. Si ritiene utile ipotizzare l’opportunità di momenti di reciproco scambio informativo tra Medici del Lavoro e Posturologi al fine di meglio comprendere la rispettiva attività e meglio attivare le possibili forme di collaborazione. Ciò costituirebbe sicuramente occasione di soddisfazione professionale per i colleghi di entrambe le discipline e soprattutto potrebbe portare a migliorare sostanzialmente la qualità della vita di molti dei lavoratori affetti da patologia algica non organica acuta o cronica del rachide. BIBLIOGRAFIA 1) Association Francaise de Posturologie (AFT), NORMES 85, Paris, Association posture et equilibre, 1985 2) Bricot B., La reprogrammation posturale globale, Paris, Sauramps Medical, 1996 3) La vertigine cervicale ed otoneurologica: diagnosi differenziale, Roma, Guidetti, 1999 4) Gagey P.M. Weber B.G., Posturologia. Regolazioni e perturbazioni della stazione eretta, Roma, Marrapese, 2000 5) Vanti C, Generali A., et al, Rieducazione posturale globale nella patologia muscoloscheletrica, Reumatismo, 59: 192-201, 2007. 302 COM-04 PROGETTO BACK SCHOOL IN AZIENDA: COME PREVENIRE IL MAL DI SCHIENA R. Morreale1, E. Lissia2, T. Pastorelli2, B. Pasello2, F. Cestaro2, S. Graziani2, N. Basaglia2 1IFM Ferrara Scarl - Servizio Sanitario - Ferrara di Medicina Riabilitativa “S. Giorgio” Arcispedale S. Anna - Ferrara 2Dipartimento Corrispondenza: Rosalba Morreale, IFM Ferrara Scarl - Servizio Sanitario - piazzale Donegani 12, 44100 Ferrara, tel: 0532-598240, fax: 0532-597833, e-mail: [email protected] RIASSUNTO. L’esperienza formativa di Back School, oggetto della nostra analisi, si colloca all’interno del reparto di Vigili del Fuoco di uno Stabilimento Petrolchimico multisocietario, nell’ambito di quel pattern di attività che si propongono di favorire il benessere delle persone in relazione al loro contesto lavorativo, ai compiti da svolgere, alle regole e al funzionamento dell’organizzazione. Il progetto è stato realizzato in collaborazione con il Dipartimento di Medicina Riabilitativa “S. Giorgio” dell’Arcispedale S. Anna di Ferrara. Parole chiave: movimentazione dei carichi, mal di schiena, promozione della salute BACK SCHOOL PROJECT IN A COMPANY: HOW TO PREVENT LOW BACK PAIN ABSTRACT. This study refers to the experience of Back School training which was performed inside the Fire Brigade Department of the multicompany Petrochemical Plant of Ferrara. Our project includes integrated activities that promote employee’s well-being related to their workplace and their work duties with the intention of improving how the organization runs. This project has been carried out in cooperation with the Reahabilitation Medicine Department “S. Giorgio” of Arcispedale S. Anna in Ferrara. Key words: manual handling, back pain, health promotion INTRODUZIONE L’esperienza di formazione, oggetto del nostro studio, promossa dal Medico Competente aziendale e realizzata da un gruppo di esperti del Dipartimento di Medicina Riabilitativa “S. Giorgio”, si colloca all’interno del reparto di Vigili del Fuoco di uno Stabilimento Petrolchimico multisocietario, nell’ambito di quel pattern di attività che si propongono di favorire il benessere delle persone in relazione al loro contesto lavorativo, ai compiti da svolgere, alle regole e al funzionamento dell’organizzazione. Le società coinsediate nello Stabilimento Petrolchimico alle quali sono prestati i servizi di emergenza - antincendio e primo soccorso - sono 9, per un totale di circa 1800 dipendenti, ai quali si aggiungono i lavoratori delle imprese terze, stimati in circa 500 presenze al giorno. Il Ministero dell’Interno ha stabilito che presso questa tipologia di Stabilimento Petrolchimico deve essere funzionante un apposito servizio aziendale di prevenzione ed estinzione incendi, istituito ai sensi della Legge 13.05.1961 e del D.P.R. n. 577/1982. Secondo quanto individuato dal D.M. n. 388/03, recante disposizioni sul pronto soccorso aziendale, le società coinsediate, sulla base della tipologia di attività svolte, sono classificate in gruppo A. Tre di esse sono soggette a notifica di rischio di incidente rilevante, ai sensi della legge 334/99, ovvero “Seveso bis”. Il contesto lavorativo si caratterizza nello specifico per una estrema attenzione agli aspetti di sicurezza dei processi tecnici, per una organizzazione del lavoro a ciclo continuo e per una ricca vivacità di relazioni interpersonali e di sistema. La sorveglianza sanitaria preventiva e periodica degli addetti Vigili del Fuoco si misura inevitabilmente con l’ampia e ben rappresentata categoria di patologie muscolo-scheletriche e i conseguenti effetti sulla salute, il benessere e l’idoneità dei lavoratori: il problema senz’altro più comune correlato all’attività lavorativa e di più complessa gestione sia per il mantenimento sia per la riabilitazione e la reintegrazione dei lavoratori già affetti da tali patologie. G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it Gli obiettivi del progetto Back School in azienda si sono pertanto concentrati sul coinvolgimento diretto degli addetti Vigili del Fuoco, attraverso lo sviluppo dei seguenti punti strategici: • acquisizione delle conoscenze teoriche degli elementi che concorrono a determinare il rischio da movimentazione manuale dei carichi • apprendimento delle capacità pratiche per l’effettuazione di manovre corrette per la movimentazione manuale dei carichi • esercitazioni collettive relative ad elementi di autotrattamento • promozione della salute nella comunità attraverso la diffusione della cultura della prevenzione, in supporto al ruolo e alle attività del Medico Competente. MATERIALI E METODI Il presidio antincendio centralizzato è formato da un organico complessivo di 30 unità, organizzate in squadre, costituite da 1 Capo Turno e da 4 addetti Vigili del Fuoco, in turno 24 ore su 24, per 365 giorni l’anno. La squadra antincendio interviene in caso di emergenza e di soccorso, facendo uso dei mezzi in dotazione al reparto ed esegue attività routinarie di manutenzione degli estintori e di apertura/chiusura valvole della rete idrica antincendio. L’analisi preliminare dei bisogni si è fondata sulla creazione di un baseline con la valutazione di alcuni aspetti relativi alla storia anamnestica fisiologica, patologica e lavorativa degli addetti Vigili del Fuoco (vedi Tabella I) e sui sopralluoghi congiunti negli ambienti di lavoro da parte di Medico Competente, RSPP ed esperti fisiatri e fisioterapisti, nel corso dei quali sono stati utilizzati strumenti di analisi quali griglie di osservazione, interviste, questionari e riprese video. I 30 addetti Vigili del Fuoco sono stati suddivisi in tre gruppi di lavoro; a ciascuno di essi è stato consegnato un questionario di ingresso, riguardante gli argomenti trattati nel corso di formazione per stimare le conoscenze possedute prima delle lezioni teoriche e pratiche. L’organizzazione del progetto si è avvalsa di: una Parte Teorica (primo incontro di 2 ore con 1 medico e 2 fisioterapisti) dedicata alla presentazione del progetto e dei dati epidemiologici, ai cenni di anatomia del rachide e biomeccanica del movimento corretto, alla patogenesi delle principali patologie dell’apparato muscolo-scheletrico della colonna vertebrale e dell’arto superiore; una Parte Pratica (4 ore con 1 fisioterapista + 2 ore con 1 medico e 1 fisioterapista) incentrata sulle regole della movimentazione corretta, partendo dalle manovre compiute abitualmente e sulle tecniche di autotrattamento (allungamento dei distretti muscolari con inserzione nel tratto lombare del rachide e nel bacino; autotrattamento delle contratture muscolari del distretto lombare attraverso la tecnica della pallina da tennis). Alla fine del corso i partecipanti hanno compilato il questionario di uscita e un questionario di gradimento del corso. RISULTATI E DISCUSSIONE L’analisi dei risultati dei questionari, distribuiti ai partecipanti all’inizio e alla fine del corso, ha dimostrato il netto incremento delle conoscenze degli argomenti oggetto della nostra esperienza di formazione teorico-pratica. Tabella I. Dati rilevati negli addetti Vigili del Fuoco G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it Le riprese video effettuate nei luoghi di lavoro hanno consentito, dopo un riesame specifico e collettivo delle principali attività di movimentazione di carichi, di concretizzare proposte e soluzioni alternative, specie nell’ambito delle attività più propriamente routinarie di controllo e manutenzione delle attrezzature di lavoro e nell’ambito delle esercitazioni di emergenza. Allo stato attuale appaiono meno immediatamente modificabili le attività vere e proprie di emergenza e soccorso, durante le quali l’automatizzazione dei gesti e delle posture corrette, ancora in fase di training, potranno costituire nel tempo le soluzioni più strategiche. CONCLUSIONI A distanza di sei mesi dalla fine dei corsi teorico-pratici è previsto un follow-up con tutti i partecipanti per la valutazione dei risultati, la raccolta di eventi negativi (episodi lombalgici, assenza dal lavoro, assunzione di farmaci antidolorifici, antinfiammatori, …) e le risposte ad eventuali quesiti emersi. I risultati attesi sono l’acquisizione delle conoscenze teoriche richieste (incremento delle conoscenze) e l’acquisizione delle capacità pratiche, necessarie e sufficienti per l’effettuazione di manovre corrette nell’attività lavorativa (miglioramento dei comportamenti), volte, in un’ottica di prevenzione integrata, al miglioramento della qualità della vita, alla promozione della salute e della sicurezza dei lavoratori, alla riduzione delle patologie correlate al lavoro. Il progetto Back School ha costituito un esempio di valorizzazione delle persone e un’opportunità di crescita complessiva per l’azienda. BIBLIOGRAFIA Linee Guida per la prevenzione dei disturbi e delle patologie muscoloscheletriche del rachide da movimentazione manuale dei carichi. SIMLII Volume 10, 2004. Basaglia N., Salvatori T. e coll., Manuale interno “Ben di schiena”. McKenzie R., Prenditi cura della tua schiena. 2001. Burton K., Waddel G. e coll., The Back Book. 2003. COM-05 LA VISITA SPECIALISTICA POSTUROLOGICA NEGLI OPERATORI VDT/PC: STRUMENTO DIAGNOSTICO DI SECONDO LIVELLO PER LE LOMBALGIE R. Latocca1, M.I. D’Orso2, R. Centemeri3, G. Cesana2 1Unità Medicina Occupazionale ed Ambientale - A.O. San Gerardo Monza (Mi) 2Dipartimento di Medicina Clinica e Prevenzione - Università di Milano Bicocca 3Consorzio per lo Sviluppo della Medicina Occupazionale ed Ambientale - Monza (Mi) Corrispondenza: Latocca Raffaele - Per riferimenti organizzativi la mail di servizio è [email protected] RIASSUNTO. La diagnosi e la terapia dei casi di lombosciatalgia cronica non correlati con la presenza di patologie del rachide di natura organica, frequentemente riferiti dai lavoratori addetti all’utilizzo di vdt/pc in relazione al loro lavoro, sono spesso complesse ed insoddisfacenti sia per il Medico del Lavoro che per il paziente. La valutazione specialistica posturologica, articolata in esame clinico ed accertamenti strumentali mirati, sembra poter essere un valido approccio per una più efficace gestione dei pazienti affetti da tale disturbo. I trattamenti proposti nella ricerca hanno eliminato o ridotto la sintomatologia dolorosa presentata dai pazienti, mantenendo una loro efficacia, espressa dal ridotto numero di recidive, anche ad un anno dal loro termine. Si ritiene opportuna una più frequente collaborazione tra i Medici del Lavoro ed i Posturologi al fine sia di migliorare la prognosi dei pazienti affetti da tale sintomatologia, sia di mantenere nel tempo la loro completa idoneità lavorativa. Parole chiave: posturologia, lombo-sciatalgia, vdt/pc THE POSTUROLOGICAL CLINIC EVALUATION IN VDT/PC OPERATORS: A SECOND LEVEL DIAGNOSTIC INSTRUMENT IN LOW BACK PAIN EVALUATION 303 ABSTRACT. The diagnosis and the therapy of the cases of low back pain in absence of organic spinal column diseases, frequently referred by vdt/pc users in connection with their work activities are frequently unsatisfactory both for the Occupational Doctors and for the patients. The specialized posturological evaluation, composed by a specific clinical examination and by specific instrumental exams, seems to be a valid instrument for a more effective management of patients affected by such clinical cases. The treatments described in this research have eliminated or greatly reduced the pain in these patients, with an efficacy prolonged until at least a year, as it is demonstrated by the few relapses referred by the workers. We think that a more frequent cooperation between Occupational Doctors and Posturologists can improve both the clinical conditions of the patients and the possibilities they have in the years to maintain their complete work ability. Key words: posturology, low back pain, vdt/pc INTRODUZIONE Le patologie muscolo-scheletriche costituiscono uno dei motivi che più frequentemente spinge i lavoratori addetti ad attività comportanti l’utilizzo di vdt/pc a rivolgersi ai Medici del Lavoro. Ciò è dovuto soprattutto al fatto che tali attività prevedono necessariamente che il rachide dei lavoratori ad esse adibiti sia costretto a restare in posizione costantemente seduta per molte ore al giorno. Una tale situazione altera nel medio e lungo periodo i fisiologici meccanismi statici e dinamici della colonna vertebrale, predisponendo alla insorgenza di sindromi dolorose osteomuscolari, particolarmente frequenti soprattutto a carico del rachide cervicale e lombare, e, a più a lungo termine, anche ad alterazioni strutturali croniche e degenerative del rachide stesso. Ove trascurate o non ben inquadrate e trattate, le sindromi dolorose acute e croniche del rachide dei videoterminalisti possono anche sfociare in quadri clinici che rendono addirittura necessario procedere alla definizione di limitazioni della loro idoneità lavorativa espresse ai sensi del Titolo VI del D.Lgs. 626/94. Esse determinano inoltre la necessità da parte del Medico del Lavoro di individuare spesso non semplici percorsi per la diagnosi differenziale di queste sindromi che possono nascondere anche quadri patologici organici e non disfunzionali di rilevante gravità a carico del rachide od addirittura quadri patologici di natura sistemica o comunque non originati primariamente a carico del rachide. Ulteriore necessità per il Medico del Lavoro è il predisporre un opportuno programma di interventi preventivi secondari con lo scopo di conservare, ove possibile, la mansione del lavoratore al fine di non comprometterne le competenze professionali acquisite nel corso della esperienza lavorativa pregressa. La visita specialistica posturologica consente, tramite manovre semeiotiche ed accertamenti strumentali, una valutazione funzionale completa della fisiologia della postura e delle possibili sue alterazioni nei pazienti affetti da sintomatologia dolorosa acuta o cronica del rachide sia tra la popolazione generale sia, ovviamente, anche tra i lavoratori aventi rilevante impegno del rachide come ad esempio i videoterminalisti. Si ritiene dunque che la valutazione posturologica potrebbe essere un valido supporto al Medico del Lavoro nella valutazione di videoterminalisti affetti da tale sintomatologia. MATERIALI E METODI Al fine di valutare la possibilità di supporto diagnostico e terapeutico al Medico del Lavoro che l’ambulatorio di posturologia può consentire nel caso di algie del rachide lombare in operatori addetti all’utilizzo di vdt/pc, si è rivalutata l’attività del nostro ambulatorio di posturologia ospedaliero/universitario nell’ultimo triennio, selezionando i casi di lavoratori a noi afferiti e definibili videoterminalisti secondo la definizione fornita dal Titolo VI del D.Lgs. 626/94. Ciò ci ha portato ad individuare 242 pazienti/lavoratori videoterminalisti. Tra questi pazienti sono stati selezionati quelli che presentavano una sintomatologia dolorosa a carico del solo segmento lombare della colonna vertebrale e che non presentavano in anamnesi diagnosi di patologia del rachide di natura organica. I pazienti così selezionati sono stati 158 di cui 112 femmine e 52 maschi di età compresa tra i 19 ed i 60 anni. 304 I pazienti inclusi nello studio erano tutti sintomatici per algie del rachide lombosacrale da almeno sei mesi. Si è ritenuta opportuna una simile selezione al fine di meglio poter valutare i risultati nel tempo dei programmi terapeutici prescritti. I pazienti erano giunti alla nostra osservazione prevalentemente su richiesta del medico di base e solo in minor percentuale dei casi per l’invio da parte di specialisti in medicina del lavoro, ortopedia, neurochirurgia o fisiatria. I pazienti sono stati sottoposti ad inquadramento clinico mediante una mirata anamnesi ed un esame obiettivo specifico per il sistema neuromuscoloscheletrico, nonché una serie di indagini diagnostiche strumentali quali la valutazione con lo scoliosometro, la valutazione con il podoscopio e lo studio con la pedana stabilometrica. L’esame obiettivo è stato condotto seguendo i tre criteri che consentono di formulare la diagnosi di disfunzione somatica così come definita dal codice internazionale delle patologie. I tre criteri sono individuati tramite l’acronimo TAR (texture, asymmetry, range of motion). Lo scoliosometro ha permesso di definire la posizione del corpo nei tre piani dello spazio tramite: • lo studio sul piano antero-posteriore della distanza tra la verticale di Barrè e l’apice delle lordosi cervicale e lombare; • lo studio sul piano frontale della distanza tra la verticale di Barrè e le deviazioni laterali del capo e della pelvi; • lo studio sul piano orizzontale delle possibili rotazioni dei cingoli scapolari e pelvico. Il podoscopio ha invece permesso di valutare la modalità di appoggio dei piedi (classificato come armonico, disarmonico od asimmetrico) ed il tipo di piede (definito come normale, valgo o cavo). Il test stabilometrico è stato utilizzato per valutare l’attività fasica della muscolatura scheletrica, confrontando i dati riscontrati con quelli delle “Normes 85” emanate dalla Associazione francese di posturologia e punto di riferimento in letteratura nella definizione dei dati di normalità della popolazione di razza caucasica. L’approccio così descritto ha portato alla definizione di una diagnosi differenziale ed alla formulazione di un iter terapeutico finalizzato al recupero funzionale e costituito da una associazione personalizzata sul singolo caso clinico di fisioterapia, manipolazioni e utilizzo di plantari. Ogni lavoratore al termine dei trattamenti terapeutici è stato inserito in un follow up con visite di controllo a 1 mese, 3 mesi, 6 mesi ed 1 anno. RISULTATI La sintomatologia dolorosa più frequentemente lamentata dai 242 videoterminalisti afferiti all’ambulatorio è stata la lombalgia, riferita dal 63,0% dei pazienti. Tra i 158 pazienti inseriti nello studio per tale disturbo, che riferivano la presenza di lombalgia come unico sintomo e non presentavano quadri clinici organici a carico del rachide, si è verificata la eventuale presenza di alterazioni della fisiologica funzione del rachide, definendo ove opportuno la prescrizione di un personalizzato e mirato percorso terapeutico. Le alterazioni della fisiologia della funzione del rachide lombare riscontrate sono state: disfunzioni somatiche, alterazioni posturali, alterazioni della propriocettività. Gli interventi terapeutici usualmente utilizzati per trattare tali disturbi sono stati la fisiochinesiterapia, il trattamento manipolativo osteopatico, la applicazione di specifici plantari. Nel nostro studio la fisiochinesiterapia si è resa necessaria come unico trattamento nel 18,9% dei casi, la manipolazione osteopatica è stata utilizzata come unico intervento nel 20,8% dei pazienti, mentre si è prescritto il solo plantare nel 24,3% dei casi. Negli altri pazienti si è deciso di procedere ad una terapia combinata comprendente più trattamenti effettuati contemporaneamente od in successione. La combinazione terapeutica più utilizzata è stata l’utilizzo congiunto in successione nel tempo di fisioterapia, trattamento manipolativo ed applicazione di plantare. Il trattamento complessivamente più utilizzato è stato la fisiochinesiterapia. Il percorso terapeutico individuato è stato proseguito nei diversi pazienti per periodi di tempo variabile tra i 21 giorni ed i 3 mesi. Durante questo periodo i lavoratori hanno continuato ad effettuare regolarmente la loro attività lavorativa nel 95,0% dei casi. G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it Tutti i pazienti inseriti nello studio sulla base dei criteri di inclusione precedentemente descritti hanno riferito una riduzione/scomparsa della sintomatologia. Al follow up effettuato a distanza di 1 anno dal termine del trattamento, solo 15 pazienti (10,0%) hanno riferito la presenza di algie al rachide lombare. Tale minoranza di pazienti comunque nella maggioranza dei casi riferiva la presenza di dolore ma con intensità, durata e frequenza inferiori rispetto alla situazione precedente l’applicazione degli interventi terapeutici. DISCUSSIONE Lo studio effettuato ha evidenziato come la valutazione clinica e strumentale posturologica nei videoterminalisti affetti da sintomatologia cronica dolorosa non organica del rachide lombosacrale, tesa a valutare la fisiologia dell’apparato posturale inteso come sistema integrato neuromuscolo-scheletrico, permetta di individuarne le eventuali alterazioni, consentendone una più precisa definizione clinica. Ciò ha permesso di elaborare un conseguente programma terapeutico individualizzato che ha consentito quasi sempre nel periodo della sua realizzazione il mantenimento del lavoratore nella sua usuale occupazione con conseguenti evidenti vantaggi per i lavoratori come per le imprese. La applicazione dei protocolli terapeutici previsti nella ricerca ha permesso una generalizzata riduzione della sintomatologia, completamente risoltasi nella gran maggioranza dei pazienti. Sulla base della sintomatologia riferita dai lavoratori nel follow up a distanza di un anno i risultati ottenuti sembrano poter essere mantenuti nel tempo almeno nel medio periodo. Una simile eventualità evidentemente, quando presente, consente al Medico del Lavoro di poter valutare con maggior serenità i lavoratori che riferiscono od in passato hanno riferito una sintomatologia dolorosa a carico del rachide lombosacrale in assenza di patologia organica, permettendogli di non dover limitare, se non eventualmente solo in modo transitorio o parziale, la idoneità lavorativa dei pazienti affetti da questi disturbi e consentendo loro pertanto di poter continuare ad effettuare la propria attività lavorativa. CONCLUSIONI La ricerca presentata sembra dimostrare l’utilità della valutazione specialistica posturologica come possibile strumento per il Medico del Lavoro nella definizione diagnostica e terapeutica di quei casi clinici di lombosciatalgia cronica frequentemente riferita dai videoterminalisti anche in assenza di patologie organiche del rachide. L’approccio terapeutico posturologico sembra poter ottenere la sua massima efficacia ove sia formulato e strutturato in modo individualizzato ma solo dopo una approfondita valutazione specialistica clinica e strumentale. L’esito dei trattamenti posturologici effettuati ai pazienti inseriti nella ricerca evidenzia una ottima risposta sia in termini qualitativi che quantitativi nel breve e medio termine sulla riduzione del dolore riferito. Ciò ha comportato, oltre ad una ovvia positiva ricaduta sulle condizioni di vita dei lavoratori, anche un valido aiuto al Medico del Lavoro nella gestione delle problematiche connesse alla definizione della idoneità al lavoro di tali pazienti. Si ritiene peraltro necessario procedere ad ulteriori studi su popolazione lavorative di più ampia numerosità al fine di poter confermare i risultati ottenuti. La ricerca presentata può costituire uno stimolo alla collaborazione sinergica tra i Medici del Lavoro ed i Posturologi, al fine di migliorare sia lo stato di salute dei pazienti affetti da questi disturbi, sia la loro possibilità di proseguire senza problemi nella loro attività lavorativa. BIBLIOGRAFIA 1) Association Francaise de Posturologie (AFT), NORMES 85, Paris, Association posture et equilibre, 1985 2) Bizzo G., Guillet N., Patat A. al.: Specification for building a vertical force platform designed for clinical stabilometry, Med Biol Eng ed Comput, 474-476, 1985. 3) Bricot B., La riprogrammazione posturale globale, Paris, Sauramps Medical, 1996 4) Gagey P.M. Weber B.G., Posturologia. Regolazioni e perturbazioni della stazione eretta, Roma, Marrapese, 2000 5) Vanti C, Generali A., et al, Rieducazione posturale globale nella patologia muscoloscheletrica, Reumatismo, 59: 192-201, 2007. G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it COM-06 LA SINDROME DEL TUNNEL CARPALE NELLA PANIFICAZIONE ARTIGIANALE C. Bancone1, P. Leghissa1, M. Santini1, G. Cologni 2, M. Bacis 2, G. Mosconi1 1U.S.C. Medicina del Lavoro Sanitario Aziendale Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti - Bergamo 2Servizio Corrispondenza: Dott.ssa Claudia Bancone, U.O. di Medicina del Lavoro - Ospedali Riuniti di Bergamo, Tel 035/269190, [email protected] RIASSUNTO. Scopo del presente lavoro è la stima della prevalenza della sindrome del tunnel carpale (STC) in un gruppo di addetti alla panificazione artigianale e la verifica della presenza, nel ciclo tecnologico, del rischio biomeccanico per l’arto superiore. L’indagine sanitaria (anamnesi, esame obiettivo, elettromiografia arti superiori) e la valutazione del rischio biomeccanico per gli arti superiori mediante Check List OCRA (Occupational Repetitive Actions - Colombini/Occhipinti) hanno confermato l’ipotesi iniziale, ponendo questa categoria professionale tra quelle a rischio per la sindrome del tunnel carpale. Parole chiave: panificatori, sindrome del tunnel carpale. CARPAL TUNNEL SYNDROME IN HANDICRAFT PLANNING ABSTRACT: The purpose of this study is to assess the prevalence of carpal tunnel syndrome (CTS) in a group of bakers and to evaluate the presence of a biomechanical risk for upper limbs in the technological cycle. Health assessment (history, clinical examination, upper limbs electromyography) and risk evaluation through Check List OCRA (Occupational Repetitive Actions - Colombini / Occhipinti) have confirmed the initial hypothesis, placing this profession between those at risk for carpal tunnel syndrome. Key words: bakers, carpal tunnel syndrome. INTRODUZIONE In tutto il mondo occidentale si è assistito ad una sensibile diminuzione delle “tecnopatie classiche” quali ad esempio la silicosi, il saturnismo, le intossicazioni croniche da solventi, e ad un progressivo aumento delle patologie correlate al lavoro, soprattutto a carico dell’apparato muscolo-scheleletrico: una “nuova epidemia” secondo Violante e coll. (1). Nello specifico, la sindrome del tunnel carpale, la più comune neuropatia da intrappolamento nella popolazione generale, costituisce una delle più frequenti patologie muscoloscheletriche di origine occupazionale correlate al lavoro manuale. Il National Institute for Occupational Safety (NIOSH) nel 1997 (2) ha proposto i criteri per la definizione della STC occupazionale: sintomi e segni clinici suggestivi, associati a un evidente fattore di rischio professionale. Gli studi condotti nei decenni a venire hanno finito per inserire questa patologia nel gruppo dei “work-related musculoskeletal disorders” (disturbi muscoloscheletrici lavoro-correlati), un problema di salute pubblica inserito dall’Agenzia Europea per la Salute e la Sicurezza sul Lavoro nei progetti di ricerca dell’Unione Europea. Nel nostro paese il riconoscimento assicurativo dei WMSDs è stato introdotto da una sentenza della Corte Costituzionale negli anni’80 (n.179/1988 e 208/1988). Il decreto ministeriale del 27 aprile 2004, infine, ha inserito la STC nella lista I della tabella delle malattie professionali: “malattie la cui origine lavorativa è di elevata probabilità”. Secondo dati raccolti in USA la sindrome del tunnel carpale risulta la patologia che, insieme all’ipoacusia professionale, determina la maggior morbilità nella popolazione attiva (in età da lavoro) (numero di casi e numero medio di giorni di lavoro-persi) e il maggior numero di richieste di indennizzo (3). La quasi totalità degli studi che hanno descritto l’associazione tra STC e attività lavorativa, sono di tipo trasversale e mostrano una prevalenza della patologia che varia da 0,6% a 61% in rapporto alle diverse attività lavorative considerate. Franklin e coll. hanno ricercato i casi di STC occupazionale denunciati all’Ente assicurativo per gli infortuni e le malattie professionali dello stato di Washington nel periodo 19841988. Sulla base di questa valutazione hanno stimato un tasso di incidenza pari a 2,7 per 1000 lavoratori/anno (4) con una maggior preva- 305 lenza della patologia in alcuni settori professionali: manifatturiero, elettronico, tessile, alimentare, calzaturiero, pellettiero, edile, come pure gli addetti all’imballaggio, cuochi di albergo, gli addetti ai pubblici servizi (5) (6) (7). La carenza di studi longitudinali, tuttavia, potrebbe aver contribuito a sottostimare il problema, rendendo difficile l’individuazione di strategie di prevenzione adeguate e la verifica dell’efficacia delle stesse. A tal proposito si sottolinea l’assenza, in letteratura, di dati relativi alla sindrome del tunnel carpale nella panificazione artigianale, realtà ancora prevalente nel nostro Paese. Appare dunque evidente la necessità di conoscere la reale incidenza di STC in popolazioni lavorative esposte a differenti livelli di sovraccarico biomeccanico e la necessità di validare in modo prospettico i metodi di valutazione del rischio (12). MATERIALI E METODI La nostra indagine, nata all’interno di un progetto frutto della collaborazione tra diversi Organi Istituzionali (Camera di Commercio, Associazione Panificatori, Organizzazioni sindacali dei Lavoratori, Servizio Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro dell’Asl di Bergamo e Unità Operativa Ospedaliera di Medicina del Lavoro Ospedali Riuniti di Bergamo) ha interessato 281 addetti alla panificazione artigianale, operanti in 114 aziende della nostra provincia. La popolazione indagata, costituita da 272 soggetti di sesso maschile (96,8%) e 9 soggetti di sesso femminile (3,2%) (263 operai e 18 apprendisti) aveva un’età media pari a di 37,6 anni (range 17-72) e un un’anzianità lavorativa media pari a 18 anni (range 0-60). Ogni lavoratore è stato sottoposto ad una raccolta anamnestica dettagliata (informazioni demografiche, abitudini voluttuarie, storia ginecologica, storia lavorativa, attività ricreative/hobby, sintomi) e ad un esame obiettivo esaustivo (esame obiettivo generale e del distretto rachide/arto superiore). Tutti i soggetti con sintomi e segni clinici suggestivi per sofferenza del nervo mediano al polso, sono stati sottoposti ad elettromiografia bilaterale degli arti superiori (EMG: studio della conduzione nervosa sensitivo/motoria). La diagnosi di STC era stilata in accordo con i criteri elaborati dalla AAN (American Academy of Neurology 1993) (8). I nuovi casi di STC venivano inviati al neurochirurgo per la scelta dell’approccio terapeutico. In alternativa, qualora la clinica (anamnesi, esame obiettivo) ponesse il sospetto di una patologia sistemica o a carico di un distretto articolare diverso da quello mano-polso, il lavoratore veniva sottoposto agli accertamenti sanitari del caso e rivalutato a conclusione dell’iter diagnostico. A seguito del censimento delle Aziende e di un incontro preliminare informativo con i datori di lavoro, abbiamo selezionato alcune realtà artigiane ove eseguire l’indagine igienistico-ambientale. Nel corso di ciascun sopralluogo, sono state registrate con l’ausilio di videocamera, tutte quelle attività sospette per sovraccarico biomeccanico degli arti superiori analizzate, successivamente, nel dettaglio. In contemporanea, sono state raccolte dagli operatori le informazioni necessarie per la compilazione della Check List OCRA Colombini/Occhipinti, strumento validato a livello nazionale e internazionale per la stima preliminare del rischio da sovraccarico biomeccanico dell’arto superiore (9). RISULTATI All’interno della popolazione di soggetti sottoposti a sorveglianza sanitaria abbiamo selezionato un gruppo di 23 lavoratori (8,18%): 6 soggetti con pregressa diagnosi di STC (soggetti che all’epoca della diagnosi avevano già una anzianità pluriennale nel settore) e 17 con anamnesi suggestiva per STC. Il campione in esame aveva un’età media di 42,3 anni (range 28-60) e un’anzianità lavorativa media di 24 anni (range 7-45). Tra i soggetti sintomatici per STC, undici presentavano anche un esame obiettivo suggestivo per sofferenza periferica del nervo mediano e, sulla base del documento di consenso pubblicato da Rempel e coll. (1998) (10), sono stati sottoposti a valutazione neurofisiologica. Un solo lavoratore, con quadro clinico francamente suggestivo per STC, non ha dato il proprio consenso all’esame. Al termine dell’iter diagnostico abbiamo rilevato otto nuovi casi di STC. Alla luce di tale dato, abbiamo indagato l’eventuale presenza di fattori di rischio (professionali e extraprofessionali) per la patologia in oggetto. In assenza di dati significativi in merito agli elementi extraprofessionali (obesità. diabete, hobby, ecc.), abbiamo eseguito la valutazione del rischio con la metodica della Check List OCRA (9): i risultati vengono riportati in tabella I. 306 G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it Tabella I. Valutazione del rischio con Check List OCRA Attività Fattori di rischio Indice di Rischio Preparazione “tartine” Fr; P, Fc. 12 Preparazione “sfilatini” Fr, Fo, P. 14 Preparazione”tartarughe” Fr, P. 14 Preparazione “Balores” Fr, P. 19 Preparazione”pasta dura” Fr, Fo, P. 20 Preparazione “bocconcini” Fr, P, Fc. 21 “Spezzatura pani” Fr, P. 21 Preparazione “focacce” Fr, P. 21 Preparazione “arabi” Fr, P (gomito e mano), Fc. 22 Taglio pasta Fr, P. 22 Arrotolamento pasta Fr, P. 25 Preparazione “baguette” Fr, P, Fc. 29 Preparazione “zoccoletti” Fr, P. 29 Preparazione “barchette” Fr, Fo, P. 29 Preparazione “francesini” Fr, Fo, P. 29 Preparazione “lavorato” Fr, Fo, P. 29 Preparazione “pane al latte” Fr, P (spalla), Fc. 33 Incisione pani Fr, P, Fc. 35 Preparazione “parigini” Fr, Fo, P, Fc. 45 Preparazione “panoni” Fr, Fo, P, Fc. 45 Taglio e “pezzatura pastone” Fr, Fo, P, Fc. 45 Caricamento e rimozione telai Fr, Fo, P (spalla). 49 Legenda - Fr: frequenza; Fo: forza; P: postura; Fc: fattori complementari. # Stereotipia sempre present L’indice di rischio riportato è quello risultante dallo svolgimento della singola attività per l’intero turno lavorativo. Non sono stati indicati gli indici di rischio per intervalli temporali, poiché il tempo impiegato nello svolgimento di ciascun compito varia da laboratorio a laboratorio. La complessità del ciclo tecnologico della panificazione non permette, inoltre, il calcolo dell’indice sintetico di rischio (IR) secondo la Check List OCRA per mansione (panificatore) ma richiede una scomposizione in singoli compiti/attività (“preparazione panoni”, ecc.). L’indagine, così strutturata, ha permesso di identificare attività caratterizzate da indice di rischio anche molto elevato accanto ad attività con IR lieve/medio. La tabella I non contempla le pause di recupero in quanto queste non si inseriscono all’interno della singola attività, bensì tra un’attività e l’altra. Tutti i compiti esaminati sono sostanzialmente sovrapponibili dal punto di vista qualitativo nei diversi laboratori (diverso l’aspetto quantitativo: kg/die) e sono caratterizzati da una gestualità ripetuta a frequenza molto elevata. L’impiego di forza, ove richiesto, è altamente variabile nelle diverse attività (Scala di Borg). Sempre presente la stereotipia, mentre la postura è tendenzialmente sfavorevole per il distretto mano/polso, eccetto che in alcune attività caratterizzate dal sovraccarico biomeccanico di altri distretti articolari (es. gomiti, spalle: carico/scarico forno, ecc.). La presenza di fattori complementari si esplica solo in alcune attività nelle quali l’arto viene utilizzato a mo’ di utensile o con movimenti bruschi, “a strappo”. La valutazione del rischio così condotta, inoltre, ha messo in luce la possibilità, in alcuni compiti (es. carico/scarico forno), di un possibile sovraccarico biomeccanico per l’articolazione scapolo-omerale. È verosimile, pertanto, che l’esposizione pluriennale a tali attività esponga gli operatori allo sviluppo di una patologia degenerativa di spalla lavoro-correlata. Lo scarso numero di casi osservati nella popolazione oggetto di studio è presumibilmente attribuibile all’esiguità del campione ed alla maggior latenza nell’estrinsecazione clinica del danno. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI La nostra indagine, pur con i limiti dovuti alla numerosità del campione, conferma la maggior suscettibilità degli addetti alla panificazione artigianale allo sviluppo della STC. Nella popolazione in esame, infatti, la prevalenza della patologia è risultata pari a 4,98% (14/281) a fronte di una prevalenza, nella popolazione generale maschile, compresa tra lo 0,6% e il 2,1% (11). Tale dato acquista particolare rilevanza se posto in relazione all’età media relativamente giovane dei soggetti in studio. I nostri dati, pertanto, avvalorano l’ipotesi che la pluriennale esposizione professionale possa giocare un ruolo importante nella genesi della patologia. L’indagine condotta con la metodica della Check List OCRA ha confermato la presenza di un possibile sovraccarico biomeccanico per il distretto mano-polso nella professione del panificatore. Sebbene numerose attività espongano a rischio molto elevato (fascia viola della Check List OCRA) esse non vengono svolte per l’intero turno lavorativo alternandosi a compiti caratterizzati da minor impegno per il distretto mano-polso (es. “preparazione ceste”). D’altra parte, il susseguirsi nell’arco della giornata di lavoro di più compiti ad alto sovraccarico biomeccanico (polso-mano), espone il lavoratore al rischio di sviluppare una tecnopatia (STC). Le competenze acquisite negli anni da ciascun operatore e la realtà artigianale delle aziende, fan si che un compito venga svolto, in modo quasi esclusivo, dalla persona che ha acquisito particolare perizia. I tempi stretti del ciclo produttivo, spesso influenzati dalle condizioni climatiche (temperatura, umidità ambientale, ecc.), impongono inoltre ritmi serrati ove le pause di recupero sono impiegate per lo svolgimento di attività complementari. Il ruolo svolto dall’attività lavorativa è anche supportato dalla maggior prevalenza della patologia nei soggetti titolari dell’attività (65%): soggetti che svolgono turni di lavoro “dilatati” (12-13 ore/die) e che, generalmente, hanno intrapreso la professione in giovane età, in epoche nelle quali era scarso il supporto tecnologico dovuto alla meccanizzazione All’insorgenza dei primi sintomi, inoltre, essi mantengono le abitudini lavorative, giungendo alla diagnosi con quadri avanzati (ipotrofia eminenza tenar). Negli anni le innovazioni tecnologiche hanno condotto ad una riduzione delle attività svolte manualmente, tuttavia, la tradizione italiana della panificazione, storicamente artigianale, riserva all’operatore un carico di lavoro manuale ancora importante. A tal proposito è auspicabile un completamento della valutazione del rischio con l’ausilio del metodo OCRA, anche al fine di una riprogettazione “ergonomica” del lavoro e, ove possibile, di una meccanizzazione di alcune attività. Un’ipotesi per il contenimento del sovraccarico biomeccanico potrebbe essere rappresentata anche dalla rotazione degli operatori nello svolgimento dei diversi compiti; ipotesi meritevole, comunque, di conferma (monitoraggio nel tempo) ed attuabile solo in quelle realtà ove il numero degli addetti non sia particolarmente ridotto (>2). A tal proposito, diventa rilevante anche l’aspetto formativo: a partire dalla scuola professionale. Poiché l’approccio terapeutico della STC non conduce, ad oggi, ad una completa guarigione con restitutio ad integrum, appare ovvio, come sempre accade in Medicina del Lavoro, rivolgere gli sforzi verso il perfezionamento della prevenzione. L’approccio medico nei confronti di tale patologia dovrebbe infatti enfatizzare la prevenzione della disabilità attraverso la diagnosi precoce, con intervento medico/chirurgico adeguato, così come prevedere un intervento ergonomico occupazionale (progettazione, controlli, rallentamento dei ritmi di lavoro, introduzione di adeguate pause di riposo). BIBLIOGRAFIA 1) Violante FS et al. Biomechanical pathology of upper limb: a new epidemic? Med Lav 1997; 88(6): 454-461 2) Cohen AL et al. Elements of ergonomics programs. DHHS (NIOSH) 1997; N° 97-117. 3) Daniell WE et al. Work-related carpal tunnel syndrome in Washington State worker’s compensation: temporal trends, clinical practicesy. Am J Ind Med 2005; 48(4): 259-269 4) Franklin GM et al. Occupational carpal tunnel syndrome in Washington State, 1984-88. American Journal of Public Health June 1991; 81(6): 741-746 5) CDODS (Centers for Desease Control Occupational Disease Surveillance) 1989. Carpal tunnel syndrome. MMWR 38:485-489 6) Herbert R et al. Clinical Evaluation and management of work-related carpal tunnel syndrome. Am J Ind Med 2000; 37: 62-74 G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it 7) Mattioli S et al. OCTOPUS: uno studio longitudinale su sindrome del tunnel carpale ed attività lavorative. G Ital Med Lav Erg 2005; 27(1): 96-100 8) American Association of Electrodiagnostic Medicine. Practice parameters for electrodiagnostic studies in carpal tunnel syndrome. Muscle Nerve 1993; 16: 1390-1414 9) Colombini D et al. Il metodo OCRA per l’analisi e la prevenzione del rischio da movimenti ripetuti. Manuale per la prevenzione e la valutazione e la gestione del rischio. Franco Angeli Editore Milano 2005 10) Rempel DM et al. Consensus criteria for the classification of carpal tunnel syndrome in epidemiologic studies. Am J Public Healt 1998; 88(10): 1447-1451 11) Atroshi I et al. Prevalence of carpal tunnel syndrome in a general population. JAMA 1999: 282(2):153-158 307 SESSIONE EPIDEMIOLOGIA OCCUPAZIONALE COM-01 LA RICERCA ATTIVA DEI TUMORI DI ORIGINE PROFESSIONALE: PRIMI RISULTATI P. Amendola5, R. Audisio1, S. Cavuto1, A. Scaburri1, A. Marinaccio2, G. Saretto6, G. Chiappino4, M. Imbriani3, P. Crosignani1 1U.O. Registro Tumori ed Epidemiologia Ambientale, Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori, Milano 2Laboratorio di Epidemiologia Occupazionale - Dipartimento di Medicina del Lavoro, ISPESL, Roma 3U.O. Medicina Occupazionale e Medicina Ambientale, Fondazione S. Maugeri - Dipartimento di Medicina Preventiva Occupazionale e di Comunità, Università degli Studi di Pavia 4A.S.L. di Lecco - Servizio Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro 5Sezione di Medicina preventiva dei Lavoratori e Medicina del Lavoro II - Dipartimento di Medicina Preventiva, Occupazionale e di Comunità Università degli Studi di Pavia 6Unità Organizzativa Prevenzione, DG Sanità Regione Lombardia Corrispondenza: Paolo Crosignani, Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori, U.O. Registro Tumori ed Epidemiologia Ambientale, Via Venezian 1, 20133 - Milano, Tel: + 39 - 02 - 23902460 Fax: + 39 - 02 - 23902762, e.mail: [email protected] RIASSUNTO. Il progetto OCCAM (OCcupational CAncer Monitoring), in accordo con quanto previsto dal D.Lgs 626/94 all’articolo 71, ha promosso la “sorveglianza attiva” dei tumori professionali in Regione Lombardia attraverso un sistema di record-linkage che utilizza per la ricostruzione delle storie lavorative i dati disponibili in forma elettronica presso l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (I.N.P.S.) riguardanti i lavoratori dipendenti del settore privato a partire dal 1974. Materiali e metodi - attraverso le schede di dimissione ospedaliera (SDO), sono stati identificati i casi incidenti nel periodo compreso tra il 2001 e il 2004. Le neoplasie sono state scelte sulla base di quanto contenuto nel D.M. del 27 aprile 2004. Risultati: Sono stati sottoposti 271 casi di tumore a un’indagine per l’accertamento dell’origine lavorativa della malattia dai servizi PSAL della Lombardia per il biennio 2001-02. Il numero di neoplasie di sospetta origine professionale sono stati 102, il 38% del totale di quelli sottoposti a indagine. Conclusioni: il sistema OCCAM fornendo informazioni relative all’anagrafica delle aziende e dei lavoratori, oltre alle informazioni sulla patologia neoplastica, integrando le informazioni sui rischi con dati della letteratura scientifica (www.occam.it) e con conoscenze sui cicli produttivi, ha permesso ai servizi PSAL di individuare molti casi di tumore di possibile origine professionale che altrimenti sarebbero rimasti sconosciuti. Parole chiave: ricerca attiva, tumori, occupazionale, record linkage ACTIVE SEARCH OF WORK RELATED TUMOURS: PRELIMINARI FINDINGS ABSTRACT. The OCCAM (Occupational Cancer Monitoring) project enabled the active detection of occupational cancer cases in Lombardy Region. Methods - OCCAM is based on a record linkage with social security files to obtain occupational histories for all subjects having worked in private firms, since 1974. It provides risks by area, site and job. Results - 271 incident cancer cases obtained by hospital discharge record in the period 2001-2002 where investigate to assess eventually their occupational origin. Approximately 38% where considered to be occupational cancers. Conclusions - OCCAM provides name of the firms and their economic activity completed by information coming from OCCAM risks ascertainment and deeper knowledge on productive cycle retained by local occupational health services. Thus this system can lead to detection of many cancer cases of occupational origin suitable for compensation and determine strategies for the improvement of the work environment. Key words: active detection, cancer, occupational, record linkage 308 PREMESSA In alcuni paesi del nord Europa e nord America sono attivati sistemi di registrazione di patologia costituiti allo scopo di individuare tempestivamente l’esistenza del rischio di tumori professionali e per avviarne la sorveglianza. I metodi di rilevazione adottati da questi sistemi per coprire il massimo della popolazione al minor costo possibile, utilizzano come fonte di dati sull’occupazione sistemi di rilevazione routinari come i censimenti, le schede di morte (che registrano la professione al momento del decesso) o registri costituiti a fini pensionistici o amministrativi. Le informazioni sul lavoro possono essere “incrociate” con dati di mortalità o con dati di incidenza provenienti dai registri tumori di popolazione per ottenere statistiche atte a fornire indicazioni per interventi di prevenzione o di sorveglianza sanitaria ed eventualmente generare nuove ipotesi riguardo l’eziologia di molti tipi di tumori. Il monitoraggio dei rischi oncologici in campo occupazionale è una priorità di salute sia per i lavoratori sia per la popolazione nel suo complesso (1,2). Il progetto OCCAM (Occupational Cancer Monitoring), nasce dalla rilettura dell’art. 71 del D.lgs 626/94 che attribuisce all’ISPESL (Istituto per la Prevenzione e la Sicurezza sui Luoghi di Lavoro) il compito di istituire un sistema di “monitoraggio dei rischi oncogeni di origine professionale” implementando un archivio “nominativo” dei tumori di sospetta origine professionale, segnalati allo stesso Ente da “medici, strutture pubbliche e private nonché dagli istituti previdenziali”. Poiché un sistema basato su segnalazioni volontarie si è rivelato di difficile realizzazione (3-6), una collaborazione tra ISPESL, l’Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori di Milano, Fondazione S. Maugeri e alcuni Servizi ASL ha permesso di realizzare un sistema informativo per la rilevazione dei tumori di sospetta origine professionale basato su fonti informative correnti. G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it tional Agency for Research on Cancer (10). I risultati complessivi dell’indagine sono stati pubblicati nel vol. 96, n. 1 del 2005 de La Medicina del Lavoro (Tabella I). In una fase successiva si è passati ad analisi basate su sistemi routinari alternativi per la rilevazione delle patologie neoplastiche, le Schede di Dimissione Ospedaliera (SDO). Queste ultime servono aree più vaste del paese e sono disponibili con maggiore tempestività rispetto ai dati Registri Tumori anche se possono fornire dati di qualità inferiore, poiché derivano da attività che non sono nate per la ricerca epidemiologica. In Lombardia è stato condotto uno studio caso-controllo basato sulla popolazione con 1.886 casi di tumore della vescica occorsi nell’anno 2000 estratti dagli archivi delle SDO e 22.632 controlli campionati in maniera casuale tra la popolazione residente in Lombardia. Con questa analisi siamo stati in grado di identificare alcune associazioni tra rischio per tumori vescicali e impiego nei settori industriali come Cuoio e Calzature (OR=1.83; IC90%: 1.01-3.33; 10 casi osservati) e Stampa (OR=1.5; IC90%: 1.10-2.05; 38 casi osservati) con una forte ipotesi eziologica a priori. Più recentemente i servizi territoriali PSAL delle ASL della Lombardia sono stati in grado di procedere all’individuazione di casi incidenti in un periodo compreso tra il 2001 e il 2004 di tumore del polmone, della laringe, della vescica e le leucemie1 di possibile origine professionale a partire dalle informazioni fornite con il metodo OCCAM integrandole con proprie conoscenze sull’origine professionale delle neoplasie, con i dati di letteratura ottenuti anche attraverso l’uso di una matrice bibliografica appositamente costruita riguardante i tumori occupazionali (www.occam.it), con la conoscenza dei cicli produttivi passati delle aziende del territorio dove aveva lavorato ciascun soggetto e con l’acquisizione di informazioni utili a definire il caso mediante interviste dirette o ai familiari e ai colleghi di lavoro. Le sedi di insorgenza delle neoplasie sono state ricavate da quelle indicate come di origine professionale di elevata o limitata probabilità nel DM del 27 aprile 2004. Un programma è stato appositamente sviluppato per permettere agli operatori dei servizi di attingere alla base di dati di OCCAM per consultare i dati relativi a sto- MATERIALI E METODI Il sistema basato sul metodo OCCAM può realizzare in modo sistematico e continuo il collegamento di numerose basi di dati sanitari con le storie professionali ottenute in primo luogo dall’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (I.N.P.S.), eventualTabella I. Associazioni rilevate nello studio caso controllo basato su sei registri mente integrate dalle informazioni contenute nelle basi di Tumori Italiani: alcuni risultati per settori considerati nella lista del DM del 27 aprile dati di INAIL e di ISTAT. Sino ad oggi OCCAM ha utiliz2004 in grado di provocare tumori di origine lavorativa con elevata probabilità zato i dati sulla storia lavorativa disponibili in forma elettronica presso l’INPS, dove per ogni iscritto e per ogni anno, sono disponibili a partire dal 1974, per tutti i lavori svolti dai dipendenti di imprese del settore privato, la ragione sociale dell’impresa e il relativo settore economico/industriale. Le tipologie industriali di appartenenza dei lavoratori sono state classificate a partire dai codici delle professioni secondo la classificazione ATECO 81 (ISTAT 1981) raggruppando tipologie simili in un settore unico (es. Gomma, Cuoio e calzature, Trasporti ecc.). Al fine di stimare i rischi di tumore per sede e comparto produttivo il progetto OCCAM ha implementato studi di tipo caso-controllo che confrontano le storie professionali ottenute da INPS di chi è ammalato di tumore con quelle di chi è senTabella II. Ricerca attiva effettuata in Lombardia nel 2005 per i tumori za malattia. I casi di neoplasia sono stati individuati attradiagnosticati nel biennio 2001-2002 verso i sistemi informativi di rilevazione e archiviazione delle malattie su base territoriale: i Registri Tumori di popolazione (7), gli archivi di mortalità regionali, il sistema delle Schede di Dimissione Ospedaliera (SDO). RISULTATI In una prima fase le informazioni sui lavori precedentemente svolti a partire dal 1974, per i soggetti assunti in imprese private sono state collegate con i casi di tumore rilevati da sei Registri Tumori di popolazione (Friuli, Genova capoluogo, Genova provincia, Macerata, Umbria, Varese, Veneto) ed è stato così condotto uno studio caso-controllo (8,9) per mappare in ogni area il rischio per sito di insorgenza della neoplasia e tipologia economica nel settore privato. L’analisi si basava su 36.379 casi e 29.572 controlli di popolazione per cui erano disponibili informazioni sulla storia professionale. Da essa sono emerse alcune associazioni statisticamente significative per settori produttivi in cui un rischio per neoplasie in diverse sedi era a priori ipotizzabile sulla base della classificazione della Interna- G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it rie lavorative di singoli casi o di casi raggruppati per sede del tumore e per comparto produttivo a livello territoriale o di settore produttivo. Con questo tipo di approccio non è naturalmente stato possibile identificare tutti i tumori di origine professionale, ma è stato possibile concentrarsi su molti casi per i quali era lecito presumere che fosse più probabile il riconoscimento della malattia perché i lavoratori erano impiegati in aziende ove era conosciuta o probabile l’esposizione a cancerogeni. I dati della ricerca attiva effettuata nel 2005 per i tumori diagnosticati nel biennio 2001-2002 sono riportati in tabella II. I risultati appaiono sostanzialmente sovrapponibili in termini percentuali all’attività che ha riguardato nel 2006 l’indagine su casi di neoplasie diagnosticate del biennio 2003-2004. CONCLUSIONI Il sistema OCCAM fornendo informazioni relative all’anagrafica delle aziende e dei lavoratori, oltre alle informazioni sulla patologia neoplastica, integrando le informazioni sui rischi con dati della letteratura scientifica (www.occam.it) e con conoscenze sui cicli produttivi, ha permesso ai servizi PSAL di individuare molti casi di tumori di possibile origine professionale che altrimenti sarebbero rimasti sconosciuti. Nell’ambito del progetto OCCAM è stato dedicato ampio spazio al reperimento e alla diffusione delle informazioni presenti in letteratura riguardanti il rischio di tumore in ambito professionale. Oltre 650 lavori scientifici pubblicati e indicizzati dal 1976 ad oggi, escluse pubblicazioni del tipo “case report”, sono stati classificati per comparto produttivo e per sede di neoplasie (gli stessi criteri del progetto epidemiologico) riportando per le pubblicazioni con associazioni positive tra lavoro e rischio oncogeno professionale, gli autori e l’anno di pubblicazione, il valore della misura dei rischi. La costruzione di questa che abbiamo denominato “matrice” della letteratura ha svolto la duplice funzione di corroborare i risultati ottenuti con OCCAM e fornire uno strumento informativo, rapido ed essenziale a chiunque voglia documentarsi sul rischio oncologico in ambito professionale. La matrice della letteratura è consultabile attualmente al sito: www.occam.it. Partendo inoltre dal database della letteratura è stato realizzato un software informativo per supportare i medici di medicina generale nel riconoscimento di una eventuale eziologia professionale per i casi di neoplasie tra i propri assistiti. BIBLIOGRAFIA 1) Tomatis L. The identification of human carcinogens and primary prevention of cancer. Mutation Research 2000; 462: 407-421 2) Bosch X. EC urges reporting of occupational diseases. Lancet 2003, 362: 1129 3) Leigh JP, Robbins JA. Occupational disease and workers’ compensation: coverage, costs, and consequences. Milbank Q 2004; 82(4): 689-721 4) Merler E, Vineis P, Alhaique D et al. Occupational Cancer in Italy. Environ Health Perspect 1999; 107(Suppl. 2): 259-271 5) Azaroff LS, Levenstein C, Wegman DH. Occupational injury and illness surveillance: conceptual filters explain uderreporting. Am J Publich Health 2002; 92: 1421-1429 6) Kauppinen T, Toikkanen J, Pedersen D, et al. Occupational exposure to carcinogens in the European Union. Occup Environ Med 2000; 57: 10-18 7) Parkin DM, Whelan SL, Ferlay J et al. Cancer Incidence in Five Continents, Vol. VIII, Lyon, France, IARC Scientific Publication No. 155, 2003 8) Miettinen OS. Theoretical Epidemiology, New York, John Wiley & Sons, 1985: 47 9) Breslow NE, Day NE. Statistical Methods in Cancer Research, Volume I: The Analysis of Case-Control Studies. IARC Scientific Publications no 32, IARC Lyon, France, 1980 10) International Agency for Research on Cancer. IARC Monographs on the Evaluation of Carcinogenic Risk to Humans. Supplement 7, IARC Lyon, France, 1987 1 A scopo esplorativo vengono anche considerati i linfomi non Hodgkin, i tumori del pancreas, i tumori del fegato e i mielomi. Non vengono considerati i carcinomi cutanei perché non rilevabili dalle SDO. Vengono inoltre individuati i nuovi casi di tumore primitivo della pleura e del naso e seni paranasali. Sebbene per questi due tumori siano attivati sia i COR regionali dei mesoteliomi sia ricerche “ad hoc”, la ricerca tramite le SDO ed il successivo “linkage” con i dati INPS possono rappresentare utili informazioni aggiuntive per i Servizi. 309 COM-02 LA RICERCA ATTIVA DELLE MALATTIE PROFESSIONALI: L’ESEMPIO DELLA SINDROME DEL TUNNEL CARPALE IN PROVINCIA DI PORDENONE B. Miglietta1, C. Venturini2, P. Barbina3, R. Mele4 1Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro - Università di Bologna 2SC Area Ambienti di Lavoro - ASS 6, Pordenone 3Servizio Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro - ASS 6, Pordenone 4U.O. Chirurgia della mano, Microchirurgia e Traumatologia - AO “S. Maria degli Angeli”, Pordenone RIASSUNTO. Negli ultimi anni le patologie lavoro-correlate degli arti superiori si sono affermate ai primi posti della graduatoria tra le malattie denunciate all’INAIL nel nord-est d’Italia. Nel 2004 si sono contati 658 casi di tendiniti e 361 casi di sindrome del tunnel carpale (STC) su un totale rispettivamente di 1317 e di 864 casi nel territorio italiano. Nella Provincia di Pordenone il fenomeno, pari al 6,8% di tutti i casi denunciati, interessa prevalentemente il sesso femminile e svariati ambiti produttivi. Abbiamo collaborato con un’importante struttura ospedaliera di diagnosi e cura per ricercare i casi di tali malattie professionali, concentrando inizialmente la nostra attenzione sulla STC. Abbiamo individuato 26 nuovi casi di STC di sospetta natura professionale e compilato 11 referti all’Autorità Giudiziaria. In un incontro formativo con i medici ortopedici abbiamo comunicato i risultati della ricerca, ma si è anche provveduto a divulgare le attuali conoscenze sull’importanza del fattore occupazionale nell’insorgenza della sindrome del tunnel carpale e a fornire gli strumenti per una corretta segnalazione dei casi sospetti. Parole chiave: sindrome tunnel carpale, sovraccarico biomeccanico degli arti superiori, malattie professionali ACTIVE SEARCH OF WORK RELATED DISEASES: THE EXAMPLE OF CARPAL PORDENONE’S AREA ABSTRACT. In the recent years working related pathologies of the upper limbs have raised at the top of ranking of diseases reported to INAIL in the Northern East Area of Italy. In 2004 658 cases of tendinitis have been filed and 361 cases of the Carpal Tunnel Syndrome (CTS) reported on a total of 1317 and 864 cases respectively in the whole Italian territory. The phenomenon (6,8% of total occupational disease in Pordenone province) interests essentially women and various working environments widely represented. We have worked together with an important Diagnose and Treatment Medical Centre to find new cases of professional illnesses, initially focusing our efforts on the CTS. We have identified 26 new cases of CTS as possibly originated from working conditions and we have filled 11 reports to the Judicial Authorities. In a training meeting with Orthopedic Doctors we have disclosed the results of our research while at the same time we have also divulged our knowledge on the importance of the working environment in the onset of the CTS providing the tools for a correct reporting of suspect cases. Key words: carpal tunnel syndrome, biomechanical overload of the upper limbs, occupational diseases TUNNEL SYNDROME IN INTRODUZIONE Il riscontro in ambito lavorativo dei disturbi muscolo-scheletrici degli arti superiori risulta aumentato negli ultimi anni in tutto il territorio nazionale, rappresentando una delle principali cause di inabilità al lavoro. Dati dell’INAIL, relativi ai soli casi denunciati, evidenziano infatti un generale aumento di malattie lavoro-correlate del distretto mano-braccio. Tra queste ultime assume particolare rilievo la sindrome del tunnel carpale (STC), le cui denunce si sono più che triplicate dal 1997 al 2002 riguardando soprattutto il sesso femminile e i settori dell’industria meccanica, alimentare, tessile, dei servizi e dell’edilizia (1). Nel 2004 il nordest d’Italia detiene in tale ambito il primato in termini assoluti con 658 casi di tendiniti e 361 casi di STC denunciati sul totale rispettivamente di 1317 e di 864 nel territorio italiano (2). Questo dato complessivo trova ampia espressione nella provincia di Pordenone vista l’elevata industrializzazione nei settori produttivi a possibile rischio. Nel quinquennio 310 2000-2004, sono stati definiti 51 casi riconducibili a questa categoria di patologie, pari al 6,8% del totale (3). Riteniamo comunque che il fenomeno sia ancora ampiamente sotto segnalato sia per scarsa informazione e/o sensibilizzazione dei datori di lavoro e dei lavoratori stessi sul ruolo che il lavoro manuale ripetitivo e monotono svolge nella patogenesi di tali malattie sia per la possibile contemporanea sottovalutazione di tale relazione da parte delle strutture preposte alla diagnosi. La carenza di progettazione ergonomica delle postazioni e aspetti legati all’organizzazione del lavoro in azienda possono ancora aggravare tale situazione (4). Il ruolo dei Servizi PSAL delle Aziende Sanitarie è quello, come è noto, di contribuire al miglioramento dello stato di salute e sicurezza della popolazione lavorativa attraverso l’attività di vigilanza e controllo, l’informazione e la formazione, l’assistenza ai lavoratori. Nel loro operare i Servizi da tempo agiscono con piani di prevenzione mirati per comparto e/o tipologia di rischio. Tale attività, da sempre indirizzata verso le patologie fortemente correlate ad un agente causale specifico, è attualmente rivolta anche verso le “work related diseases”, dove i fattori legati all’attività lavorativa possono giocare un ruolo concausale con altri eventi di rischio individuali o presenti nell’ambiente di vita. L’esigenza di sensibilizzare le strutture sanitarie preposte alla diagnosi e alla cura della STC sulle concause professionali e di rispondere ai bisogni della popolazione lavorativa locale ha portato all’attivazione di un intervento di ricerca attiva dei casi in collaborazione con le unità di altra specializzazione. MATERIALI E METODI I partecipanti allo studio sono soggetti colpiti da STC operati presso l’U.O. di Chirurgia della mano dell’Azienda Ospedaliera di Pordenone. Questi sono risultati di facile reperibilità dal momento che la citata struttura è un centro di eccellenza di microchirurgia e chirurgia della mano. Si è privilegiata la casistica dei pazienti operati come garanzia sulla certezza diagnostica, essendo la sintomatologia della STC variabile da soggetto a soggetto e non sufficiente per la diagnosi senza le prove neurofisiologiche (5). Lo strumento adottato è un questionario a carattere anamnestico-clinico, tratto da quello utilizzato nello studio caso-controllo MIST (Multicentrico Italiano sulla Sindrome del Tunnel carpale, attualmente in corso) e adattato alle finalità della presente indagine, distribuito dal personale sanitario del Servizio PSAL nel periodo dicembre 2005-aprile 2006 in occasione del ricovero in day-hospital per l’intervento chirurgico di STC. Dopo una breve spiegazione sulle finalità dell’indagine, il questionario è stato autosomministrato con l’eccezione dei soli casi di evidente necessità (es. pazienti destrimani operati a destra e privi di un accompagnatore), per i quali la sola compilazione è stata adiuvata dallo stesso personale sanitario. Clinicamente tutti i soggetti coinvolti nell’indagine presentavano una sintomatologia evocativa per STC con associato un esame elettroneurografico positivo. Le risposte di ciascun paziente sono state esaminate al fine di identificare i casi di patologia a possibile insorgenza occupazionale, secondo specifici criteri preliminarmente concordati e contenuti in un Documento di consenso di un gruppo di lavoro nazionale (6). È stato così identificato un gruppo di pazienti con patologia di sospetta origine professionale. Dovevano essere presenti almeno due agenti di rischio tra quelli indicati in letteratura come principali determinanti di questa sindrome, per ritenere la mansione come sospetta causa o concausa di patologia (7). I soggetti per i quali i criteri indicati non risultavano soddisfatti sono stati classificati come non esposti. In questo stesso gruppo sono stati inclusi anche i pazienti con patologie predisponenti, con familiarità positiva per STC o con un’anamnesi positiva per attività hobbistiche manuali o sportive ad elevato rischio. I risultati di questo studio sono stati poi oggetto di un incontro informativo sull’argomento con i medici ortopedici, in occasione del quale si è provveduto a divulgare le attuali conoscenze sull’importanza del fattore occupazionale nell’insorgenza della sindrome del tunnel carpale e a fornire gli strumenti per una corretta segnalazione dei casi sospetti. Tutti i dati raccolti sono stati elaborati con il programma Epiinfo 2004 versione per Windows. RISULTATI Il campione si compone di 208 soggetti (160 femmine e 48 maschi), di cui 26 (12.5%) sono stati inclusi nel gruppo della sospetta origine professionale della patologia. La distribuzione per sesso ha poi distinto 20 femmine (12.5% del campione femminile) e 6 maschi (12.5% del campione maschile). Il rapporto M:F è risultato pari a 1:3.3 sia nel campione totale sia nel gruppo degli esposti a rischio lavorativo. L’età media è risultata di circa 57 anni per tutti i pazienti e di 42.5 anni (42.0 per le fem- G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it Tabella I. Casi di STC di sospetta origine professionale e non distribuiti per classi di età Tabella II. Anzianità lavorativa rispetto all’inizio dei sintomi Tabella III Settore produttivo Mansioni e/o compiti lavorativi Alimentare confezionamento alimenti, lavorazione pasta fresca, lavorazione carni Edilizia muratore, elettricista Tessile montaggio cursori per cerniere, lavoro al rimaglio, produzione etichette Legno levigatura, smussatura e altre operazioni di finitura manuale mine e 43.8 per i maschi) per i casi di sospetta natura occupazionale. Tale differenza è statisticamente significativa (P=0.0000). Se suddividiamo per classi di età, si può osservare come tra i soggetti di più bassa età lavorativa, pari al 5,8% del totale, sia più facile trovare casi di probabile natura occupazionale (50%). Il sospetto di contrarre la patologia per verosimili cause professionali caratterizza anche le due decadi successive secondo un ordine decrescente. Nelle età intermedie il numero degli affetti da STC è più alto e si ridurrebbe la responsabilità dell’attività lavorativa nell’aver determinato la malattia (Tab. I). Vi è una più precoce insorgenza della patologia rispetto alla durata dell’impiego tra gli appartenenti al gruppo della sospetta natura professionale (P=0,0034). Per questa elaborazione si è ritenuto necessario escludere il gruppo delle casalinghe, vista la difficoltà di definire l’epoca di inizio e di fine esposizione al rischio (Tab. II). Aggregazioni di casi con sospetta esposizione professionale (almeno 3 casi di patologia) sono state osservate nell’edilizia, nell’industria tessile, del legno e nel settore alimentare. Nell’ambito di questi settori lavorativi, poi, sono state identificate diverse mansioni e compiti (Tab. III). La Classificazione Istat per professioni (8) ha portato a suddividere i casi nei seguenti gruppi: N casi Codice Gruppi Istat 3 6.1 Artigiani e operai specializzati dell’edilizia 3 5.5 Personale qualificato servizi personali, di pulizia e assimilati 13 6.5 Operai/artigiani spec lavorazioni alimentari, legno, tessile e assimilati* 5 7.2 Operai addetti al montaggio e a macchinari fissi per le lavorazioni in serie 2 8.4 Personale non qualificato dei servizi alle persone e assimilati * 7 nel legno, 4 nel settore alimentare, 1 nel tessile e 1 nella plastica Le attività di cui al cod. Istat 6.5 sono rappresentate da ben 13 casi; tra queste la lavorazione manuale del legno è la mansione a rischio maggiormente presente con 7 casi. Anche le attività di cui al codice 7.2 sono presenti con 5 casi di STC. G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it 311 Tabella IV. I fattori di rischio nell’esperienza professionale dei casi di sospetta natura occupazionale La distribuzione degli agenti di rischio biomeccanico nelle esperienze professionali vede al primo posto la ripetitività dei movimenti del polso, presente in quasi tutti i casi sospettati come professionali (92.3%), seguita dallo sviluppo di forza per lo svolgimento del lavoro (76.9%). Il fattore di rischio postura è risultato il meno rappresentato (61.5%). Gli altri elementi di rischio indagati (caratteristiche ergonomiche degli attrezzi, tipping delle dita, esposizione a vibrazioni, microclima freddo) sono apparsi meno importanti anche in relazione alle tipologie produttive presenti in questo territorio (Tab. IV). DISCUSSIONE I risultati sopra descritti sono solo un primo esempio di ricerca attiva, in attesa di proseguire l’indagine verso le patologie tendinee di possibile natura occupazionale. L’esiguità e la fonte del campione (208 soggetti e l’U.O. di Chirurgia della mano come sola sorgente dei casi) non ci permettono di ottenere informazioni sull’incidenza dei casi di natura professionale nella popolazione locale. Tuttavia i dati finora raccolti possono essere ritenuti significativi nel confermare i settori produttivi e le lavorazioni a rischio di STC nel territorio di osservazione. Questo studio ha consentito a) di identificare alcuni casi di patologia per i quali sospettare la correlazione con l’attività lavorativa, visti i criteri di classificazione piuttosto restrittivi adottati; b) di intraprendere provvedimenti di tipo previdenziale e prevenzionistico tarati sia sul singolo caso sia sulle aggregazioni di casi per specifica realtà aziendale o per attività lavorativa. In questa indagine sono stati trovati aggregazioni in singole professioni dell’edilizia, dell’industria tessile, del legno e nel settore alimentare della classificazione Istat. Tra i 208 soggetti indagati la malattia è risultata maggiormente presente nel sesso femminile (76,9%), con un rapporto M:F di 1:3,3, confermando quanto presente in letteratura (9). Mentre in una popolazione lavorativa a rischio il rapporto maschi/femmine si modifica con un debole eccesso di rischio per il sesso femminile, il risultato da noi ottenuto nei 26 casi esaminati (12,5% del campione) presenta comunque una maggioranza di casi nelle donne (anche nei casi professionali il rapporto M:F è risultato pari a 1:3,3). Ciò può essere spiegato per l’esiguità del campione e per la prevalenza di personale femminile nei settori lavorativi individuati a rischio (agricolo-alimentare, industriale, edile e nei servizi, con il primato del comparto legno). Quest’ultimo è un settore produttivo assai radicato nel territorio di osservazione, occupando quasi il 10% di tutti i lavoratori (3), dove si eseguono diverse operazioni di levigatura, smussatura e di finitura manuale o con attrezzi vibranti. Il ruolo del fattore occupazionale come concausa di patologia, risulta sottolineato dall’età più giovane di insorgenza della STC per chi svolge un lavoro a rischio rispetto al totale dei 208 soggetti (età media 42,5 versus 57 anni). La classificazione per età conferma tale ruolo in particolare per i più giovani (età fino ai 35 anni). Il trend crescente di casi con l’età potrebbe invece riflettere l’aumento dell’influenza dei fattori extralavorativi, quali condizioni e patologie sistemiche predisponenti (10). Questo studio sembra confermare che un’attività lavorativa sovraccaricante l’arto superiore comporta anche una più precoce insorgenza della sintomatologia; in media i soggetti esposti al rischio lavorano circa 9 anni in meno rispetto ai non esposti prima di ammalarsi (P=0,0034). Il numero di anni di malattia prima di sottoporsi all’intervento chirurgico non appare invece differente tra i due gruppi (4,5 versus 6 anni). Durante lo svolgimento dell’indagine si è provveduto alla compilazione del referto per 11 dei 26 casi sospettati come di origine lavorativa, avendo escluso quelli per i quali tale adempimento poteva essere omesso (artigiano in proprio, datore di lavoro, etc). Tale obbligo coinvolge com’è noto ogni medico di fronte ad un caso solo sospetto e prescinde dalla gravità della malattia (11). L’attività di refertazione in questo caso assume particolare rilevanza se si considera la relativa breve latenza della STC, la sua elevata diffusione in numerosi contesti lavorativi e il frequente esito con postumi invalidanti. CONCLUSIONI L’individuazione diretta di casi di STC di sospetta natura professionale in un reparto di diagnosi e cura testimonia la necessità di mettere a punto momenti di informazione e sensibilizzazione di tali strutture sul ruolo concausale del fattore lavorativo. Questo esempio di ricerca attiva ha confermato la presenza di casi di STC nei comparti a maggior rischio. Per le aziende del comparto legno sarebbe opportuno un approfondimento di carattere epidemiologico sulla prevalenza della sindrome del tunnel carpale tra gli operai addetti alle operazioni di finitura manuale, in collaborazione con i medici competenti delle stesse. Il presente lavoro ha permesso anche di svolgere un’importante opera di sensibilizzazione e formazione del personale sanitario operante presso un’importante struttura di diagnosi e cura del territorio di competenza. Si sono in tal modo strutturate possibili collaborazioni per la ricerca di ulteriori patologie correlabili al lavoro non del tutto ancora ben evidenziate nella normale attività clinica. Ciò permetterà non solo di conoscere in modo più adeguato le patologie professionali emergenti, ma anche di dare un’adeguata copertura previdenziale ai lavoratori da esse colpiti. In tal senso sia l’attività di refertazione all’Autorità Giudiziaria che la denuncia ai sensi dell’art. 139 del T.U. così come modificato dal D.M. 27 aprile 2004 possono assumere particolare significato e valore. BIBLIOGRAFIA 1) Bollettino INAIL sull’andamento degli infortuni sul lavoro- n. 3marzo 2003 2) Bollettino INAIL sull’andamento degli infortuni sul lavoro- n. 6-giugno 2004 3) Nuovi flussi informativi INAIL - ISPESL - Regioni, accordo 27 - luglio 2002. Dati relativi al territorio dell’ASS 6 Friuli Occidentale 4) Fracassi G., I disturbi muscolo-scheletrici e la modifica dell’organizzazione del lavoro, G Ital Med Lav Erg 2001; 23:2, 156-159 5) Lucchini R. et al., A protocol for the health surveillance of workers exposed to repetitive movements of the upper limbs, Med Lav 2003; 94,4: 395-404 6) Colombini D. et al., Criteri per la trattazione e la classificazione di casi di malattia da sovraccarico biomeccanico degli arti superiori nell’ambito della medicina del lavoro. Documento di consenso di un gruppo di lavoro nazionale, Med Lav 2005; 96 (suppl 2): 5-24 7) Silverstein B.A., Occupational factors and the carpal tunnel syndrome. 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Mosconi Unità Operativa Ospedaliera Medicina del Lavoro - Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti di Bergamo Corrispondenza: Matteo Marco Riva, Unità Operativa Medicina del Lavoro - Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti di Bergamo, Largo Barozzi 1, 24100 Bergamo, e-mail: [email protected] RIASSUNTO. Obiettivo del presente lavoro è analizzare la prevalenza delle malattie professionali nel settore edile, confrontando quanto riscontrato durante i primi anni di applicazione della sorveglianza sanita- 312 G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it ria (1996-2000) e la situazione odierna. Abbiamo posto a confronto la prevalenza di malattie professionali riscontrate in 1348 lavoratori edili (età media 36,4 anni, DS 11,8; anzianità lavorativa media nel settore 16,9 anni, DS 12,3), sottoposti a sorveglianza sanitaria nel 1996-2000, con quella di altri 795 lavoratori (età media 38,8 anni, DS 11,1; anzianità lavorativa media nel settore 18 anni, DS 16,6), sottoposti ad accertamenti nel 2006. La prevalenza di malattie professionali è risultata rispettivamente 12,09% e 12,83%. Analizzando però i dati relativi alle singole tecnopatie emergono importanti differenze tra le due popolazioni. Nel 2006 è stata osservata per l’ipoacusia da trauma acustico cronico e per la patologia vascolare da strumenti vibranti una significativa riduzione della prevalenza: rispettivamente da 94,9 a 79,2 casi ogni 1000 lavoratori e da 6,7 a 2,6 casi ogni 1000 lavoratori. Le patologie dell’apparato muscoloscheletrico sono invece aumentate da 11,1 casi ogni 1000 lavoratori a 37,7. Questo testimonia una maggiore attenzione al problema, con incremento della capacità diagnostica e maggiore riconoscimento da parte dell’ente assicurativo. Parole chiave: edilizia, patologia professionale, prevenzione DIFFERENCES IN THE PREVALENCE OF WORK RELATED DISORDERS AMONG 90S AND 2006 ABSTRACT. The aim of this work is to analyse the prevalence of occupational diseases in construction industry, comparing the results of the first years of health surveillance (1996-2000) and today’s situation. We compare the prevalence of occupational diseases observed in 1348 workers during the period 1996-2000 (mean age 36,4 years, DS 11,8; mean experience in construction industry 16,9 years, DS 12,3) and the one observed in 795 different workers during 2006 (mean age 38,8 years, DS 11,1; mean experience in construction industry 18 years, DS 16,6). The prevalence of occupational diseases is respectively 12,09% and 12,83%. But analysing the single pathology it’s possible to observe important differences between the two groups. In the workers observed in 2006 there is a significant reduction in prevalence of hearing loss caused by chronic exposure to noise and in prevalence of vascular disease caused by hand-arm vibrations: respectively from 94,9 to 79,2 cases/1000 workers and from 6,7 to 2,6 cases/1000 workers. Musculoskeletal diseases instead are increased from 11,1 to 37,7 cases/1000 workers, showing more attention to the problem, better diagnostics ability and more recognition by public insurance agency for occupational diseases. Key words: construction industry, occupational disease, prevention sentati dei Lavoratori per la Sicurezza, Responsabili ed Addetti del Servizio di Prevenzione e Protezione, nel ridurre l’incidenza di nuovi casi di malattia professionale (5,10,11), occorre adesso verificare se l’insieme di iniziative sino ad oggi attuate nel settore abbia in effetti prodotto dei cambiamenti nel panorama delle malattie professionali. MATERIALI E METODI Sono state selezionate per completezza di informazioni raccolte 1348 cartelle cliniche di lavoratori edili sottoposti a visita preventiva presso gli ambulatori della UOOML, secondo il protocollo stabilito dalle Linee Guida della Regione Lombardia (1), nel quinquennio 1996-2000 (età media 36,4 anni, DS 11,8; anzianità lavorativa media nel settore 16,9 anni, DS 12,3). Ad analogo protocollo sanitario sono stati sottoposti 795 lavoratori del settore edile nel corso del 2006 (età media 38,8 anni, DS 11,1; anzianità lavorativa media nel settore 18 anni, DS 16,6), con una ripartizione di mansioni del tutto sovrapponibile a quella della prima coorte. Sono state quindi poste a confronto la prevalenza di malattie professionali e la tipologia di quadri clinici riscontrati, con l’obiettivo di mettere in risalto le eventuali differenze sia in termini quantitativi, sia in termini qualitativi. CONSTRUCTION WORKERS BETWEEN THE END OF RISULTATI La prevalenza di malattie professionali nel campione sottoposto ad accertamenti nel periodo 1996-2000 è risultata del 12,09%, 163 casi (su 1348 lavoratori) così ripartiti: 128 ipoacusie da rumore, 15 patologie osteoarticolari, 6 DAC (dermatite allergica da contatto), 9 patologie da strumenti vibranti (angioneurosi), 2 basaliomi cutanei, 2 casi di placche pleuriche da amianto, 1 caso di pneumoconiosi da polveri miste. La prevalenza di malattie professionali nel campione sottoposto ad accertamenti nel corso del 2006 è risultata del 12,83%, 102 casi (su 795 lavoratori) così ripartiti: 63 ipoacusie da rumore, 30 patologie osteoarticolari, 6 DAC, 2 patologie da strumenti vibranti (angioneurosi), 1 basalioma cutaneo. I risultati dell’indagine sono sintetizzati nella Tabella I, dove viene considerato il numero di tecnopatie per 1000 lavoratori nei due periodi di osservazione. Nel Grafico I viene invece considerata la ripartizione percentuale delle differenti tecnopatie diagnosticate rispetto al totale dei casi, ponendo ancora una volta a confronto le due popolazioni. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI L’analisi dei risultati del presente studio pone in evidenza come elemento critico del settore edile la prevenzione delle malattie professionali, spesso posta in secondo piano dalla risonanza del fenomeno infortunistico, puntualmente sottolineato anche dai principali organi di informazione non scientifica. Molto elevata è infatti risultata la prevalenza di tecnopatie in entrambe le popolazioni studiate, soprattutto se si considera che alla nostra osservazione sfuggono le patologie a lunga latenza, quali ad esempio le neoplasie dell’apparato respiratorio. Nel complesso non significativa la variazione di prevalenza osservata nel tempo. Da considerare in proposito che la seconda coorte oggetto di studio (2006) ha anzianità lavorativa media nel settore superiore di circa 1,1 anni rispetto alla prima, potendo questo contribuire a rendere ragione della già minima differenza di prevalenza riscontrata, in considerazione dell’incidenza annua di tecnopatie (compresa tra 1 e 2%) emersa da nostri precedenti studi (11). INTRODUZIONE E SCOPO La letteratura internazionale, negli ultimi anni, si è molto arricchita di articoli sulle malattie da lavoro e sulla loro prevenzione nel settore delle costruzioni, anche se sono ancora insufficienti le informazioni sulle condizioni di rischio e di tutela della salute dei lavoratori edili. A partire dalla seconda metà degli anni ’90, sulla spinta della nuova normativa in tema di tutela della salute nei luoghi di lavoro (D.lgs 277/91 e 626/94), è stato avviato in provincia di Bergamo il progetto “Tutela della salute nei cantieri edili”, promosso dal Comitato Paritetico Territoriale di Bergamo (CPT) e realizzato dalla Unità Operativa Ospedaliera di Medicina del Lavoro (UOOML), dell’Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti di Bergamo. Il progetto prevede la realizzazione delle visite di assunzione (visite preventive) e di quelle per i dipendenti delle nuove imprese aderenti all’iniziativa (prime visite) presso gli ambulatori della UOOML, applicando gli accertamenti previsti dalle Linee Guida della Regione Tabella I. Prevalenza di tecnopatie su 1000 lavoratori, riscontrata in due Lombardia (1). Le visite periodiche vengono invece realizcampioni di lavoratori edili (confronto tra il periodo 1996-2000 e il 2006) zate presso gli ambulatori del CPT. Obiettivo del presente lavoro è analizzare i dati relativi alla prevalenza delle malattie professionali nel settore edile, ponendo a confronto quanto riscontrato durante i primi anni di applicazione della sorveglianza sanitaria (19962000) e la situazione odierna. Se da un lato infatti esistono alcuni lavori scientifici che riportano dati di prevalenza delle malattie professionali nel settore (2,3,4,6,7,8,9), poco o nulla si conosce in merito agli eventuali cambiamenti che più di 10 anni di applicazione di norme relative alla prevenzione e sicurezza hanno portato in edilizia. Analizzata in precedenti lavori l’efficacia di un buon “sistema di prevenzione” di un gruppo di aziende, inteso come insieme di Medico del Lavoro Competente, Capi Cantiere, Rappre- G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it Grafico I. Ripartizione percentuale delle singole tecnopatie sul totale delle diagnosticate Analizzando però i dati relativi alle singole tecnopatie (Tabella I e Grafico I) emergono importanti differenze tra le due popolazioni. Anzitutto, sebbene rimanga ancora oggi la patologia a maggiore prevalenza (61,7% del totale delle tecnopatie riscontrate), si registra per l’ipoacusia da trauma acustico cronico una significativa riduzione di casi nella coorte di lavoratori del 2006: -15,6 casi ogni 1000 lavoratori. Sebbene si tratti di numeri più piccoli, analogo discorso può essere fatto per la riduzione della prevalenza di patologia vascolare da strumenti vibranti: -4,1 casi ogni 1000 lavoratori. Questi cambiamenti a documentare, tra le altre cose, i progressi tecnologici, che hanno ridotto in alcuni casi l’esposizione a fattori di rischio (es. rumore e vibrazioni), le migliorie nelle procedure di lavoro e la maggiore diffusione della cultura della prevenzione (anche semplicemente nell’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale da parte dei lavoratori). Il fatto che le patologie dell’apparato muscoloscheletrico siano passate dal 9,2% del totale delle tecnopatie nel periodo 1996-2000 al 29,4% del 2006, facendo registrare la più elevata variazione di prevalenza (+26,6 casi ogni 1000 lavoratori) e risultando di fatto “responsabili” della mancata variazione della prevalenza complessiva di malattie da lavoro nel settore edile, non è a nostro avviso imputabile all’emergere di un problema prima inesistente. Piuttosto questo incremento testimonia una maggiore attenzione al problema, con incremento della capacità diagnostica dei medici del lavoro, in particolare per quanto concerne il poter porre in relazione i quadri clinici con l’attività lavorativa, che si accompagna d’altro canto a un maggiore riconoscimento degli stessi anche da parte dell’INAIL. Concludendo, è possibile affermare che, sebbene la prevalenza di tecnopatie nel settore edile sia ancora oggi elevata, la significativa riduzione di alcune di esse (ad esempio l’ipoacusia da trauma acustico cronico) e l’incremento di altre (in primis le patologie muscoloscheletriche) testimoniano da un lato che interventi preventivi significativi, sebbene ancora insufficienti, sono stati realizzati, dall’altro che è cresciuta anche la capacità diagnostica dei medici e di riconoscimento da parte dell’INAIL di tecnopatie che, nel recente passato, non venivano adeguatamente prese in considerazione. 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Bergamo 16 Dicembre 2005. A cura di G Mosconi, MM Riva, A Mangili, P Apostoli. G Ital Med Lav Erg 2006; 28 (Suppl): 129-215. 6) Burkhart G, Schulte PA, Robinson C, Sieber WK, Vossenas P, Ringen K. Job tasks, potential exposures, and Health risks of laborers employed in the construction industry. Am J of Ind Med 1993; 24: 413-425. 7) Mosconi G, Borleri D, Mandelli G, Prandi E, Belotti L. “Le malattie da lavoro in edilizia”. Med Lav 2003; 94: 296-311. 8) Mosconi G, Borleri D, Belotti L, Leghissa P, Riva M, Pavesi G, Papageorgiou C. “Risultati preliminari di una indagine sanitaria su 1485 lavoratori del comparto edile della provincia”. Atti del 1° international Symposium - The Design the Safety the Structure - Politecnico di Milano - Mantova 7/8/9 May 2003. 9) Mosconi G, Riva MM. “I risultati della sorveglianza sanitaria in una popolazione edile” Atti del convegno Le malattie professionali tra i lavoratori edili - Milano 27 ottobre 2005. Quaderni di medicina Legale del Lavoro; n° 4/2005; 91-97. 10) Mosconi G, Riva MM, Pavesi G, Bancone C, Ramenghi D, Simat D, Bettineschi O, Magno D. “Considerazioni sull’efficacia della sorveglianza sanitaria periodica di lavoratori edili visitati presso il CPT di Bergamo”. Atti del convegno nazionale “Ricerca e dimostrazione formale delle basi scientifiche delle prove di efficacia in medicina del lavoro” - G Ital Med Lav Erg 2006; 28 (suppl.); 196-202. 11) Riva MM, Pavesi G, Bancone C, Silva G, Mosconi G: Incidenza delle malattie professionali in edilizia. Il ruolo della prevenzione. G Ital Med Lav Erg 2006; 28: 351-352. COM-04 INTERVENTO DI RICERCA ATTIVA DELLE NEOPLASIE VESCICALI DI ORIGINE PROFESSIONALE: UNA ESPERIENZA TOSCANA F. Cosentino1, L. Arena2, L.Banchini1, L. Benvenuti3, V.M. Calabretta4, C. Carnevali4, A. Cristaudo1, G.Farina2, R. Foddis1, T.E. Iaia2, M. Lemmi5, F. Ottenga1, L. Parrini6, G. Piccini3, N. Serretti5, D. Talini5 1Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana, Pisa PSLL, Dipartimento della Prevenzione, ASL11 Regione Toscana 3Sede INAIL Pisa 4Sovrintendenza medica Regionale INAIL Toscana, Firenze 5UUOO PSLL, Dipartimento della Prevenzione, ASL5 Regione Toscana 6Sede INAIL Firenze 2UUOO Corrispondenza: Cosentino Francesca, e-mail: [email protected], Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana- Sezione di Medicina Preventiva del Lavoro, Via Santa Maria 110, 56126, Pisa RIASSUNTO. La proporzione di tumori vescicali attribuibile a fattori occupazionali in Europa occidentale è del 5-10%; tuttavia la percentuale dei tumori vescicali riconosciuti come professionali dall’INAIL è molto inferiore all’atteso. Per ridurre il divario tra casi attesi e casi denunciati all’INAIL, è stato intrapreso un progetto di ricerca attiva che ha coinvolto l’ASL di Pisa, l’ASL di Empoli, l’Azienda Ospedaliera Pisana (AOUP) e l’INAIL. Sono stati intervistati telefonicamente 677 pazienti con carcinoma della vescica ed in 64 soggetti la storia lavorativa era associata allo specifico rischio neoplastico; le attività lavorative svolte da questi soggetti erano soprattutto operazioni conciarie e attività metalmeccaniche con esposizione ad olii lubrorefrigeranti. Questi casi sono stati quindi discussi nell’ambito di un Collegio Medico previsto del progetto; 40 casi sono stati giudicati di probabile origine professionale, 18 di possibile origine professionale, 3 sono rimasti in sospeso in attesa di ulteriori integrazioni, 3 sono stati giudicati non Malattia Professionale. La ricerca attiva ha permesso di rilevare un numero consistente di tumori vescicali, aumentando la quota emersa di malattie professionali; ha reso inoltre evidente che un approccio integrato fra diverse Istituzioni può consentire e garantire la più adeguata e corretta tutela delle malattie da lavoro. Parole chiave: tumore vescicale, esposizione occupazionale, ricerca attiva 314 EPIDEMIOLOGIC G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it SURVEILLANCE IN OCCUPATIONAL BLADDER CANCER: A TUSCAN EXPERIENCE ABSTRACT. The percentage of bladder cancer as occupational disease in West-Europe is of 5/10%, but only a few amount of them are recognized as occupational disease from INAIL. The above mentioned research project is realized in order to decrease the gap between expected and claimed cases of occupational disease and it is conducted with the collaboration of ASL of Pisa, ASL of Empoli, Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana and INAIL. 677 patients with bladder cancer were interviewed by phone, among them 64 subjects had a working experience compatible with neoplastic risks because had a previous occupational exposure to aromatic amines and metal working fluids. These cases were discussed into a Medical Staff and 40 cases were considered “probable” for occupational disease, 18 “possible”, 3 cases are suspended for more research, 3 cases are considered “no professional disease”. The research allows finding out a great number of bladder cancer, increasing the total amount of workers with occupational disease. The integrated approach with the collaboration among different institutions is surely the best way to allow and guarantee a suitable and right protection of workers with occupational disease. Key words: bladder cancer, occupational exposure, epidemiologic surveillance INTRODUZIONE Il carcinoma della vescica è fortemente correlato a fattori ambientali, abitudini di vita e attività lavorativa. In Italia, così come in Europa, il carcinoma della vescica è la quarta neoplasia più frequente tra la popolazione maschile e la sua incidenza è in aumento, con una percentuale del 7% tra tutti i tumori maschili. Il tasso di incidenza annua è di 32/100.000 per gli uomini e 9/100.000 per le donne, mentre il dato complessivo sulla mortalità annua è di 9/100.000. Si tratta quindi di un tumore molto diffuso, caratterizzato da un alto tasso di recidive e da una sopravvivenza a 5 anni di oltre il 90%. Il principale fattore di rischio extraprofessionale è il fumo di sigaretta. Occorre però ricordare che, secondo diversi studi, tale rischio si riduce dopo 10-15 anni dalla cessazione del fumo, fino a diventare molto simile a quello dei non fumatori. Anche la correlazione tra esposizione a cancerogeni occupazionali e tumore della vescica è ormai nota da molti anni. La proporzione di tumori della vescica attribuibile a fattori occupazionali in Europa Occidentale è di circa 5-10% Diverse esposizioni occupazionali sono state associate al tumore della vescica. In particolare, un’elevata incidenza è stata riportata oltre un secolo fa nei lavoratori esposti ad amine aromatiche nella manifattura di vernici. Eccessi di rischio sono stati riportati anche per altre occupazioni, inclusi i lavoratori della gomma, alluminio, pellami, autotrasportatori, settore tessile, industria chimica, industria metallurgica ed edilizia. Alcuni studi hanno evidenziato anche l’associazione del carcinoma della vescica con l’attività di parrucchiere, con la manipolazione di antiblastici e con l’esercizio di lavanderie a secco. La IARC identifica tra i principali agenti chimici cancerogeni per la vescica le amine aromatiche e gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA). Il presente lavoro riporta una prima valutazione dell’associazione tra tumore della vescica ed attività lavorative a rischio, nell’ambito di un progetto che l’ASL di Pisa, l’ASL di Empoli, l’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana e l’INAIL hanno deciso di condurre tramite una esperienza di ricerca attiva. MATERIALI E METODI Sono stati analizzati 1792 casi di carcinoma vescicale, di cui 1637 provenivano dalle schede di dimissione ospedaliera (SDO) degli ospedali posti nel territorio oggetto delle indagini, 151 provenivano dalle interviste eseguite su pazienti di un reparto di urologia e 4 erano casi pervenuti direttamente agli ambulatori specialistici dei dipartimenti della prevenzione. A 667 soggetti è stato somministrato telefonicamente uno specifico questionario per il tumore della vescica, mentre a 1125 non è stato somministrato o a causa delle gravi condizioni di salute o perché non rintracciabili telefonicamente o per rifiuto dell’intervista. I soggetti che riferivano un’esposizione professionale a fattori di rischio noti sono stati poi convocati presso i Dipartimenti della Prevenzione, così da acquisire ogni utile informazione (anamnesi lavorativa accurata, storia clinica, presenza di eventuali fattori concausali extraprofessionali) ed ogni documentazione necessaria per la definizione del caso. L’anamnesi è stata raccolta quasi sempre direttamente dal paziente. L’anamnesi lavorativa è stata condotta in maniera da individuare informazioni utili sulla durata dell’attività, il nome, la sede e le principali caratteristiche di produzione dell’Azienda, la mansione svolta, l’eventuale utilizzo od esposizione indiretta ad agenti chimici, l’adozione di dispositivi di protezione individuale, la presenza di sistemi di captazione degli inquinanti aerodispersi. È stata indagata tutta la vita lavorativa del soggetto. È stato sempre richiesto il libretto di lavoro e quando non era disponibile è stato richiesto al paziente un estratto della storia lavorativa risultante all’INPS. In alcuni casi è stato necessario acquisire informazioni tecniche sull’ambiente di lavoro o sul ciclo tecnologico, avvalendosi della collaborazione del personale tecnico dei Dipartimenti della Prevenzione e della CONTARP. RISULTATI Delle 667 interviste condotte per mezzo di specifico questionario, 603 schede sono state archiviate in quanto prive di elementi che potessero far pensare a una possibile esposizione occupazionale a cancerogeni vescicali. Per 64 casi la storia lavorativa era compatibile con la patologia di cui erano affetti. Tra i 64 casi segnalati in collegio, 5 pazienti presentavano età inferiore a 45 anni, 33 pazienti avevano una età compresa tra i 45 e i 64 anni e 26 pazienti superavano i 64 anni di età (Figura 1). L’età media dei 64 pazienti è risultata essere pari a 60,93+ 18.3 anni; solo 4 erano donne, 36 pazienti avevano subito una esposizione ad amine aromatiche, 28 pazienti erano stati esposti ad olii lubrorefrigeranti in aziende metalmeccaniche. Tale elevata frequenza di esposizioni ad amine aromatiche e ad olii lubrorefrigeranti nel gruppo indagato è giustificabile dato il contesto del territorio oggetto del nostro studio, in cui le attività lavorative maggiormente rappresentate erano le operazioni di concia (particolarmente sviluppate nell’empolese e nella valdera), e metalmeccanica (valdera). Tra i 64 casi, 5 pazienti non fumavano, 15 erano fumatori modici (110 sig/die), 7 erano fumatori moderati (11-19 sig/die), mentre 37 pazienti erano forti fumatori (>19 sig/die). Dei 64 casi segnalati in Collegio, all’atto della stesura del presente documento 58 sono stati definiti di probabile e possibile origine professionale, quindi potenzialmente “professionali”, 3 sono ancora sospesi in attesa di integrazioni, 3 sono stati definiti come Malattia non Professionale. Per i 58 casi definiti come “probabili” e “possibili” è stato avviato l’iter amministrativo da parte dell’INAIL, e nei 40 casi di probabile origine professionale si è provveduto all’indennizzo. DISCUSSIONI E CONCLUSIONI Considerando che in letteratura la quota riportata dei tumori della vescica attribuibile al lavoro si colloca in un range compreso tra il 5 ed il 10%, la percentuale dei tumori vescicali da noi individuati come “potenzialmente professionali” (pari a 58 casi su 667 interviste raccolte, vale a dire il 8,69%) risulta in linea con il range sopra indicato. Se si considera che il numero complessivo degli eventi indennizzati dall’INAIL nel territorio di riferimento per il periodo 2003-2005 è stato di 37 casi e che tra questi i casi denunciati tramite la ricerca attiva da noi condotta sono stati 29 (pari al 78,37% degli eventi indennizzati), appare evidente l’efficacia del nostro programma. Figura 1 G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it Inoltre se si valutano le denunce di malattia professionale per tumore vescicale pervenute alle sedi INAIL della regione Toscana negli anni che vanno tra il 2001 e il 2005, che comprendono il periodo in cui è stato attivato il nostro intervento, si nota un trend in crescita ed in particolare si passa dai 6 casi di denuncia di tumore vescicale del 2001 ai 21 del 2005. Sulla base di quanto riportato, partendo dai codici di dimissione ospedaliera, e poi procedendo con l’intervista telefonica agli stessi pazienti o ai loro familiari e ricavando informazioni dettagliate sull’esposizione e sulla diagnosi, è stato possibile fare emergere un buon numero di tumori della vescica che altrimenti sarebbero stati perduti,. Il nostro intervento, che ha visto la collaborazione fra istituzioni e professionisti di diversa estrazione, ha portato ad una buona formulazione della diagnosi eziologica, a un incremento del numero dei casi segnalati e a un aumentato numero di casi indennizzati, contribuendo quindi a ridurre il divario tra tumori attesi e quelli denunciati e tra quelli denunciati e quelli effettivamente indennizzati. I risultati ottenuti inducono quindi a ritenere il progetto di un innegabile significato culturale e sociale, in grado di garantire, nel mantenimento delle specifiche competenze delle istituzioni coinvolte, un ampliamento di conoscenze e soprattutto un’uniformità di valutazione, tali da poter fornire risposte eque ai lavoratori assicurati. Riteniamo pertanto auspicabile che percorsi simili di metodologia operativa, se scientificamente validati, possano essere resi applicativi su scale più vaste, quanto meno in ambito regionale toscano. BIBLIOGRAFIA 1) Ferlay J, Bray F, Pisani P, Parkin DM, Cancer incidence, mortality and prevalence worlwide, version 1.0. Lyon: press IARC Cancer base No 5.2001. 2) Samet J M et all, The health benefits of smoking cessation, Med Clin North Am 76(2): 399-414, 1992. 3) Porru S et all, Bladder cancer and occupational activity, G Ital Med Lav Ergon 25 (3): 298-300, 2003 4) Kogevinas M et all, Occupational and bladder cancer among men in western europe. 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Ferrario1, 2 1 Medicina del Lavoro e Preventiva - AO Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi, Varese 2 Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche, Università degli studi dell’Insubria, Varese 3 Urologia - AO Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi, Varese Corrispondenza: Rossana Borchini, e-mail: [email protected] RIASSUNTO. Il carcinoma transizionale della vescica è il tumore di più frequente riscontro tra le neoplasie maligne dell’apparato urinario. I principali fattori di rischio sono rappresentati da fumo di sigaretta, patologie infiammatorie ricorrenti delle vie urinarie, assunzione di alcuni farmaci, familiarità ed esposizione professionale ad amine aromatiche e idrocarburi policiclici aromatici. 315 Obiettivo del presente studio è valutare la capacità discriminante di una breve intervista strutturata per l’identificazione di casi di uroteliomi di sospetta origine professionale, da sottoporre alla valutazione specialistica di Medicina del Lavoro. Il campione dello studio è costituito da 100 soggetti, ricoverati per neoplasia transizionale della vescica negli anni 2004 e 2005 presso il Reparto di Urologia dell’Ospedale di Circolo - Fondazione Macchi di Varese. Sulla base di tale intervista strutturata è stato possibile stimare due indici di esposizione professionale: l’Indice Durata-Settore (DS) e l’Indice Durata-Settore-Mansione (DSM). La valutazione specialistica ha consentito di assegnare o meno l’origine professionale agli uroteliomi. L’analisi dell’accuratezza dei due indici ha evidenziato buone caratteristiche operative con una miglior specificità, a parità di sensibilità, dell’indice DSM rispetto all’indice DS. La breve anamnesi strutturata rappresenta dunque un valido strumento per identificare casi di neoplasie uroteliali meritevoli di un ulteriore valutazione specialistica di Medicina del Lavoro. Parole chiave: Urotelioma professionale, carcinoma della vescica, amine aromatiche, Idrocarburi Policiclici Aromatici, IPA. TRANSITIONAL BLADDER CANCER AND OCCUPATIONAL EXPOSURE. ACCURACY ASSESSMENT OF A SCREENING METHOD BASED ON STRUCTURED INTERVIEW ABSTRACT. The transitional bladder cancer is the most frequent urinary malignant neoplasm. The main risk factors are cigarette smoking, recurrent inflammatory diseases of the urinary tract, assumption of some drugs, familiarity and occupational exposure to aromatic amines and polycyclic aromatic hydrocarbons. The aim of this study is to assess the screening efficacy of a short structured interview to detect the possible occupational bladder cancer, to submit to the specialist’s evaluation. The sample of the study is represented by 100 subjects, hospitalized for transitional bladder cancer in the years 2004 and 2005 at the Department of Urology of the Ospedale di Circolo - Fondazione Macchi in Varese. Through the structured interview was possible to estimate two occupational exposure indexes: Length-Field Index (DS) and Length-Field-Job Index (DSM). The specialist’s evaluation allowed to establish the occupational cancer origin. The analysis of the indexes’ accuracy showed good operating characteristics with higher specificity and equal sensitivity for DSM in comparison to DS. Therefore the short structured interview should be considered as a valuable tool to identify urothelial carcinomas worthy of further evaluation of occupational specialist. Key words: Occupational urothelial cancer, bladder cancer, aromatic amines, polycyclic aromatic hydrocarbons. INTRODUZIONE I carcinomi transizionali della vescica, definiti anche uroteliomi, rappresentano il 70% delle neoplasie maligne dell’apparato urinario (1, 2). L’eziologia di queste neoplasie è multifattoriale. I principali fattori di rischio, attualmente riconosciuti, sono rappresentati da fumo di sigaretta, patologie infiammatorie ricorrenti delle vie urinarie, assunzione prolungata di alcuni farmaci e familiarità per neoplasie uroteliali (3, 4, 5). A questi si aggiunge l’esposizione professionale a sostanze cancerogene per l’urotelio, quali amine aromatiche ed idrocarburi policiclici aromatici (4). La frazione eziologica delle esposizioni occupazionali per questo tumore, secondo diversi studi epidemiologici, è stata stimata dal 4% al 24% (6, 7). Al fine di poter selezionare casi di uroteliomi di sospetta origine professionale, da sottoporre a valutazione specialistica di Medicina del Lavoro, è stata predisposta una breve intervista strutturata, di screening, la cui efficacia discriminante è stata valutata in questo studio. MATERIALI E METODI È stata predisposta una breve anamnesi strutturata, in grado di ricostruire le attività lavorative svolte, opportunamente pesate in termini di settore lavorativo, mansione e durata dell’impiego, e di rilevare, in termini quantitativi, l’abitudine al fumo di sigaretta, considerato il principale fattore di rischio voluttuario per il tumore della vescica. Il campione oggetto dello studio è costituito da 100 soggetti di età inferiore ai 77 anni, 88 maschi e 12 femmine, con età media di 64 anni, per i quali fu posta diagnosi istologica di neoplasia uroteliale vescicale, ricoverati negli anni 2004 e 2005 presso il Reparto di Urologia dell’Ospedale di Circolo - Fondazione Macchi di Varese. 316 G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it I due gruppi (patologia non professionale e patologia professionale) Sulla base della valutazione condotta con l’intervista strutturata è sono risultati omogenei per tutte le covariate di interesse (età alla diastato possibile stimare, per ogni singolo caso, due indici di esposizione gnosi, sesso, anno di diagnosi, durata dell’attività lavorativa, Indice DS, professionale: l’Indice Durata-Settore (Indice DS), che tiene conto delanni di abitudine al fumo di sigaretta, quantità di sigarette fumate), con la la durata dell’esposizione e del settore lavorativo e l’Indice Durata-Setsola eccezione dell’indice DSM, che risulta differentemente distribuito tore-Mansione (Indice DSM), ottenuto aggiungendo al precedente il nei due gruppi (p-value = 0,03). coefficiente relativo alla mansione. Per 33 soggetti, con Indice DSM La valutazione dell’accuratezza diagnostica per gli indici DS e DSM maggiore del terzile superiore (DSM = 9), è stata effettuata una valutaè rappresentata mediante Curve ROC nella Figura 1. Per l’indice DS, l’azione specialistica di Medicina del Lavoro, basata su un’accurata indarea sotto la curva ROC è risultata pari a 0,62 e il valore soglia corrispongine anamnestica familiare, fisiologica, patologica e lavorativa. Sono dente alla miglior combinazione delle caratteristiche operative presenta stati indagati con particolare attenzione latenza della malattia, durata, valori di SE e SP rispettivamente di 0,80 e 0,44. Per l’Indice DSM l’area modalità ed intensità dell’esposizione per ogni settore in cui il paziente sotto la curva ROC è risultata maggiore (0,72), con SE pari a 0,80 e SP ha svolto la propria attività lavorativa. Al termine di tale valutazione è pari a 0,67 per il valore soglia migliore. L’aggiunta della mansione ha stato espresso un giudizio sul nesso di causa tra insorgenza della neodunque l’effetto di rendere l’Indice maggiormente specifico. plasia ed esposizione professionale, espresso secondo quattro categorie diagnostiche: neoplasia ad eziologia non professionale, ad eziologia profesTabella I. Caratteristiche dei casi definiti professionali dopo valutazione specialistica sionale possibile, probabile e certa. Ai di Medicina del Lavoro (Possibili-Probabili) fini dell’analisi statistica le categorie diagnostiche di possibile, probabile e certa origine professionale sono state accorpate. Allo stesso modo queste tre categorie sono state considerate equivalenti per gli adempimenti medico-legali (1° certificato di malattia professionale, denuncia e referto). La capacità discriminante dei due Indici DS e DSM è stata valutata mediante modelli di regressione logistica, dove ciascun indice è stato considerato come variabile indipendente e la diagnosi eziologica professionale dicotomizzata come variabile dipendente. È stato così possibile calcolare sensibilità (SE) e specificità (SP) a differenti soTabella II. Caratteristiche del campione ammesso alla valutazione specialistica (n=33) glie di ciascun indice. Sono state corilevate nel corso della anamnesi strutturata struite curve ROC (Receiver Operating Characteristics) con relativa area sotto la curva (AUC = Area Under the Curve) per valutare la capacità predittiva complessiva di ciascun indicatore. RISULTATI Il campione studiato si caratterizza per una netta prevalenza di soggetti di sesso maschile (88 casi su 100), una lunga durata dell’attività lavorativa (mediana pari a 41 anni) ed un’età media di 64 anni. Sull’intero campione sottoposto all’intervista di screening è stata rilevata una correlazione positiva, statisticamente significativa, tra Indice DS e Indice DSM (r = 0.81, p<0.0001). Le diagnosi di eziologia professionale dei 33 soggetti valutati dal medico del lavoro (3 sole donne), sono risultate: 18 non professionali e 15 professionali (11 possibili; 4 probabili e nessuna certa). In Tabella I sono sintetizzate le caratteristiche salienti dei casi definiti di sospetta natura professionale, in relazione alle caratteristiche indagate con l’anamnesi lavorativa da parte di specialisti della disciplina. La Tabella II riporta le distribuzioni delle informazioni rilevanti raccolte tramite intervista strutturata relative ai 33 soggetti valutati dal medico del lavoro, suddivisi per diagnosi di patologia non professionale e professionale (possibile-probabile). Figura 1. Curve ROC per gli indici DS e DSM, relative ai 33 soggetti sottoposti alla valutazione specialistica di medicina del lavoro G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it CONCLUSIONI La capacità discriminante della breve intervista strutturata, da noi proposta, è stata valutata attraverso la misura di sensibilità e specificità dei due indici da essa ricavati: DS e DSM. L’inclusione della mansione si è rivelata fondamentale per aumentare la sensibilità della selezione, dal momento che l’Indice DS ha mostrato una minor sensibilità fin da valori molto bassi. L’indice DSM ha mostrato inoltre maggior specificità, consentendo di escludere dalla selezione soggetti che, pur avendo lavorato in settori potenzialmente a rischio e per un tempo adeguato, in funzione della loro mansione non hanno avuto alcuna esposizione. La scelta di utilizzare l’indice DSM per la selezione dei casi è risultata quindi adeguata. Per tale indice è stato scelto come valore soglia, per sottoporre i soggetti alla valutazione specialistica di secondo livello, il valore “nove” in quanto rappresentava il cut-off del terzile superiore. Nel presente studio non è stata valutata la sensibilità per valori inferiori alla soglia considerata, aspetto che è attualmente in corso di approfondimento. L’anamnesi di Medicina del Lavoro, condotta in ambito specialistico, ha consentito di porre in rilievo ulteriori aspetti riguardanti latenza della malattia, durata, modalità ed intensità dell’esposizione per ogni settore in cui il paziente ha svolto la propria attività lavorativa, consentendo di definire il nesso di causalità. I dati espositivi, per ciascun soggetto, sono stati stimati sulla base dei rilievi anamnestici, integrati dalle conoscenze dello specialista in ambito tossicologico e di tecnologia industriale, non essendo disponibili dati quali-quantitativi derivanti da monitoraggio ambientale e/o biologico. L’esposizione, considerata in termini di durata e di intensità, è risultata per tutti i casi diagnosticati come professionali decisamente superiore ai livelli minimi accettabili, indicati in letteratura per la ricostruzione del nesso causale (4, 8, 9). Il periodo di latenza, definito come l’intervallo temporale tra inizio dell’esposizione e diagnosi di patologia, è risultato per circa la metà dei casi particolarmente prolungato, ma sempre compatibile con la ricostruzione del nesso di causa. Il fumo di sigaretta, anamnesticamente positivo nella maggior parte dei casi indagati, non è stato considerato come fattore eziologico escludente un’eventuale causa professionale, bensì come eventuale fattore sinergico (10, 11). I settori produttivi ai quali afferivano i casi professionali (possibili/probabili) sono risultati soprattutto quelli nei quali le amine aromatiche erano presenti nel ciclo di produzione o di utilizzo di coloranti e vernici. La minor potenzialità cancerogenica specifica sull’urotelio degli IPA rispetto alle amine aromatiche, verosimilmente associata ad una minor rappresentazione territoriale di impianti industriali ad elevata esposizione specifica, può fornire una interpretazione al modesto contributo degli stessi alla nostra casistica (un solo caso classificato come ad eziologia professionale possibile IPA-correlato). In conclusione l’intervista strutturata proposta nel presente studio mostra buone opportunità di utilizzo nella selezione di casi di uroteliomi meritevoli di un’ulteriore valutazione specialistica di Medicina del Lavoro, finalizzata alla ricostruzione dell’eventuale nesso di causalità. BIBLIOGRAFIA 1) Tumori in Italia - Rapporto 2006. Incidenza, mortalità e stime. Epidem Prev; 30 (Suppl. 2); 2006. 2) Bonadonna G., Robustelli della Cuna G., Valagussa P. Medicina Oncologica. Milano. VII Ed. Masson; 2004. 3) Brennan P., Bogillot O., Cordier S., Greiser E., Schill W., Vineis P., Lopez-Abente G., Tzonou A., Chang-Claude J., Bolm-Audorff U., Jöckel K., Donato F., Serra C., Wahrendorf J., Hours M., T’Mannetje A., Kogevinas M., Boffetta P. Cigarette smoking and bladder cancer in men: a pooled analysis of 11 case-control studies. Int. J. Cancer; 86(2): 289-294; 2000. 4) Olfert S.M., Felknor S.A., Delcos G.L. An updated review of the literature: risk factors for bladder cancer with focus on occupational exposures. South. Med. Ass.; 99(11): 1256-1263; 2006. 5) Barone-Adesi F., Richiardi L., Merletti F. Population attributable risk of occupational cancer in Italy. Int. J. Occup. Environ. Health;11:23-31; 2005. 6) Zanetti R., Giacomin A. Urinary tract cancers: kidney and urinary bladder. Epidemio. Prev.; 28 (2 suppl.): 82-7; 2004. 7) Amendola P., Audisio R., Scaburri A., Adriano E., Cavuto S., Imbriani M., Massari S., Scarselli A., Crosignani P. The active search 317 8) 9) 10) 11) for occupational cancer cases: bladder cancer in Lombardy Region. Epidem Prev;29(5-6):253-57; 2005. Ward E.M., Burnett C.A., Ruder A., Davis-King K. Industries and cancer. Cancer Causes Control.; 8(3): 356-70; 1997. Golka K., Wiese A, Assennato G., Bolt H. M. Occupational exposure and urological cancer. World J Urol; 21: 382-391; 2004. D’Avanzo B., Negri E., La Vecchia C., Gramenzi A., Bianchi C., Franceschi S., Boyle P. Cigarette smoking and bladder cancer. Eur. J. Cancer; 26(6): 714-8; 1990. Paneu C., Schaffer P., Bollack C. Epidemiology of bladder cancer. Ann. Urol; 26(5): 281-93; 1992. COM-06 STAMPAGGIO DELLA GOMMA ED AGENTI CHIMICI CANCEROGENI: L’ESPERIENZA DELLO STUDIO PPTP-GOMMA P.E. Cirlaa, S. Tieghib, R. Trincob, L. Gallic, A. Filipponic, D. Pavesic, I. Martinottia, V. Foàa, A.M. Cirlac, E. Mossinib a Università degli Studi di Milano e Fondazione “Ospedale Maggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena” (IRCCS), Dipartimento di Medicina del Lavoro, Milano b A.S.L. della Provincia di Mantova, Dipartimento di prevenzione medico, Servizio Prevenzione Sicurezza Ambienti di Lavoro (SPSAL), Mantova c A.O. “Istituti Ospitalieri di Cremona”, Unità Operativa Ospedaliera di Medicina del Lavoro (UOOML), Cremona Corrispondenza: Piero Emanuele Cirla, tel. 02.50320.110, fax 02.50320.111, e-mail [email protected] RIASSUNTO. Nel processo di valutazione del rischio per esposizione a sostanze chimiche un ruolo di primaria importanza è rivestito dalla possibile comparsa di effetti cancerogeni. In particolare nelle attività di stampaggio della gomma, l’attenzione è indirizzata soprattutto verso la possibile liberazione di agenti chimici nelle lavorazioni a caldo, alcuni dei quali sono classificati come cancerogeni dalla IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) e/o dall’Unione Europea. Con l’obbiettivo di individuare l’effettiva presenza e la possibile esposizione ad agenti chimici cancerogeni, nonché di promuovere soluzioni preventive basate sull’efficacia in ambito tecnico e sanitario, si è sviluppato nel corso degli ultimi due anni sotto l’impulso della Regione Lombardia lo Studio PPTP-Gomma (Progetto Prevenzione dei Tumori Professionali - Lavorazione della Gomma), che si è dedicato intensamente allo studio delle attività di stampaggio della gomma, fornendo un quadro attuale di un settore di storico interesse. Complessivamente sono stati registrati più di 100 composti chimici utilizzati nel comparto produttivo, di cui 15 con potenzialità di provocare effetti cancerogeni. La valutazione dell’esposizione mediante indagini di monitoraggio delle sostanze di maggiore interesse (acrilonitrile, 1,3-butadiene, stirene, idrocarburi policiclici aromatici), ha mostrato valori generalmente contenuti ove siano state messe in atto le comuni norme igieniche. Parole chiave: agente chimico cancerogeno, esposizione, industria della gomma RUBBER INDUSTRY AND EXPOSURE TO CARCINOGENIC CHEMICAL AGENTS: AN ITALIAN MULTICENTRIC STUDY IN LOMBARDY ABSTRACT. Evaluating the chemical risks at the workplaces, the potential carcinogenic risk is a primary interest. Particularly, in the rubber forming industry the main attention was directed to the hot processing as a possible source of exposure to chemical agents, several of which were classified as carcinogens by the International Agency for Research on Cancer (IARC) and/or the European Union (EU). A study on occupational exposure to chemical carcinogens in the rubber forming industry was planned during last two years, involving a representative sample of firms. In the first step the occupational exposure and the use of preventive measures were evaluated by an investigation at workplace supported with standardized questionnaires. The presence of above 100 chemical agents was registered; 15 agents 318 were classified to carcinogenic or probably carcinogenic to human. The evaluation of exposure by air sampling and monitoring of most substances of interest (acrylonitrile, 1,3-butadiene, styrene, Polycyclic Aromatic Hydrocarbons), demonstrated a low level of occupational exposure, the common hygienic prevention measure being applied. Key words: chemical carcinogens, exposure, rubber industry INTRODUZIONE Nel processo di valutazione del rischio per esposizione a sostanze chimiche un ruolo di primaria importanza è rivestito dalla possibile comparsa di effetti cancerogeni a carico dell’operatore. L’interesse si rivolge soprattutto a quelle attività come l’industria della gomma, per la quale numerose indagini epidemiologiche disponibili hanno evidenziato, negli addetti esposti fino agli anni ’50, un eccesso di mortalità per neoplasie soprattutto a carico della vescica e del sistema emopoietico. La progressiva regolamentazione del settore in merito all’uso di sostanze cancerogene (ammine aromatiche), sommata ad un costante miglioramento delle condizioni igienico - ambientali dei luoghi di lavoro, sembra abbia portato recentemente ad una riduzione dell’incidenza di queste neoplasie. L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) classifica, tuttavia, l’industria della gomma come attività a rischio di provocare il cancro (1), sulla base del sospetto dell’esistenza di prodotti di reazione biologicamente attivi che si sviluppano durante la lavorazione. In particolare nelle attività di stampaggio della gomma, l’attenzione viene indirizzata soprattutto verso la possibile esposizione ad agenti chimici che si possono liberare nelle lavorazioni a caldo (2), alcuni dei quali sono classificati come cancerogeni dalla IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) e dall’Unione Europea. Con l’obbiettivo di individuare l’effettiva presenza e la possibile esposizione ad agenti chimici cancerogeni, nonché di promuovere soluzioni preventive basate sull’efficacia in ambito tecnico e sanitario, si è sviluppato nel corso degli ultimi due anni sotto l’impulso della Regione Lombardia lo Studio PPTP-Gomma (Progetto Prevenzione dei Tumori Professionali - Lavorazione della Gomma), che si è dedicato intensamente allo studio delle attività di stampaggio della gomma, fornendo un quadro attuale di un settore di storico interesse (3). MATERIALI E METODI Differenti sono le interpretazioni in merito a quali sostanze devono essere considerate come cancerogene umane e le posizioni nazionali ed internazionali, basate su principi e priorità di classificazione differenti e non sempre esclusivamente health based, possono essere discordi. Lo Studio PPTP ha valutato le possibili esposizioni professionali ad agenti cancerogeni di tipo chimico classificati dall’Unione Europea in Categoria 1 (“Sostanze note per gli effetti cancerogeni sull’uomo”) o 2 (“Sostanze che dovrebbero considerarsi cancerogene per l’uomo”), e/o classificati dall’International Agency for Research on Cancer in Gruppo 1 (“Sicuramente cancerogeno per l’uomo”) o 2A (“Probabilmente cancerogeno per l’uomo”). Partendo da un sistema basato sul database integrato INAIL/ISPESL/Regione e la codifica ISTAT ATECO, opportunamente integrato dalla memoria storica del servizio di prevenzione locale, da 40 aziende sono state individuate e catalogate tutte le 8 realtà produttive con attività di stampaggio gomma presenti nella provincia di Mantova (complessivamente circa 230 lavoratori). La metodologia d’indagine, applicata in ogni azienda indagata, si articola in due momenti successivi. La “Fase 1” consta di un sopralluogo per la raccolta d’informazioni (ciclo produttivo, materie prime, intermedi, prodotti finiti, interventi di manutenzione), oltre che delle schede di sicurezza di tutti i prodotti utilizzati nella lavorazione, con i dati compositivi delle mescole, poi attentamente valutati. Per ogni singola sostanza è stata controllata anche la classificazione definita dalle principali Agenzie Internazionali e le informazioni tossicologiche presenti sulle principali banche dati specifiche. In tutte le aziende in cui dalla Fase 1 risulta la presenza di una o più sostanze cancerogene viene eseguito un nuovo sopralluogo (“Fase 2”), mirato alla valutazione qualitativa e quantitativa dell’esposizione professionale, alla verifica dell’applicazione degli adempimenti previsti dal D.Lgs 626/94 ed all’esame delle misure preventive adottate. I sopralluoghi hanno visto il costante affiancamento di personale medico e tecnico, così da potere garantire il più ampio e completo spettro di valutazione delle diverse realtà. La raccolta e l’analisi dei dati so- G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it no avvenute in forma standardizzata con l’istituzione di appositi flussi informativi elettronici. L’attenzione si è poi rivolta ad un campione rappresentativo di aziende, con la realizzazione di indagini mirate di monitoraggio ambientale e biologico, al fine di poter individuare soluzioni preventive per una corretta gestione del rischio. In particolare, oltre ad un approfondimento sugli Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) (4), è stato effettuato uno studio di monitoraggio ambientale dell’esposizione durante stampaggio gomma in 9 aziende (1,3-butadiene), 5 aziende (stirene) e 4 aziende (acrilonitrile), per un totale di 112 determinazioni (casistica implementata con il supporto dell’ASL della Provincia di Varese). Con impostazione conforme alle indicazioni riportate nelle norme EN 482 e 689 sono stati eseguiti campionamenti sia di tipo personale (addetto alla macchina) sia in postazione fissa (carico, scarico, centro ambiente a 2 m dalla macchina, riferimento esterno). La rappresentatività delle misure è ampiamente soddisfatta sia in termini di significatività che di stabilità dei risultati. I campioni raccolti per l’analisi di 1,3-butadiene (fiala di CARBOSIEVE SIII e flusso di 0,05 l/min), di acrilonitrile e stirene (fiala di TENAX TA e flusso di 0,1 l/min), sono stati desorbiti termicamente ed analizzati con GC/FID (limiti di detezione rispettivamente 1 µg/m3 per 1,3-butadiene e stirene, 9 µg/m3 per acrilonitrile). RISULTATI Le mescole utilizzate per lo stampaggio sono risultate a base di gomma naturale, gomma di riciclo, gomma sintetica, in particolare SBR (stirene, butadiene), NBR (acrilonitrile, butadiene), PBR (polibutadiene) e distillati aromatici di petrolio. La presenza di sostanze cancerogene è stata riscontrata nel 100% delle aziende esaminate con la Fase 1. Il numero di sostanze cancerogene riscontrate in ogni singola attività è risultato nella maggioranza di uno (38%) o due (12%), e solamente in due casi si è arrivati a otto. Complessivamente sono stati registrati 107 composti chimici utilizzati nel comparto produttivo, tra cui ne sono stati individuati quindici con potenzialità di provocare effetti cancerogeni. In particolare l’esperienza mette in evidenza la non sovrapponibilità delle classificazioni di riferimento (Tabella I). Tabella I. Agenti chimici individuati e classificazione di cancerogenicità G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it In effetti, seguendo i criteri della IARC sono state individuate 11 sostanze cancerogene (2 inserite nel Gruppo 1, 4 nel Gruppo 2A e 5 nel 2B), mentre secondo la classificazione Europea 11 composti risultano cancerogeni della Categoria 1 e 2 (frase di rischio R45), ed altri 4 sono però classificati nella Categoria 3 (frase R40 come possibili cancerogeni). La reale esistenza di situazioni potenzialmente espositive è stata effettivamente riscontrata (Fase 2), nel 50% delle situazioni individuate con la Fase 1. In queste aziende, riferendosi a quanto disposto dal D.Lgs 626/94, l’agente cancerogeno era stato preso in considerazione nel documento di valutazione dei rischi nel 51% dei casi, in nessun caso esisteva un registro degli esposti, era stato individuato un programma di misure tecniche preventive od era stato predisposto un piano per le emergenze, esisteva un protocollo di sorveglianza sanitaria mirato nel 90% dei casi, nel 7% era attuato un monitoraggio ambientale e mai un monitoraggio biologico, un programma di formazione specifico era attuato nel 33% dei casi. Analogamente a quanto riscontrato per gli IPA (4), i risultati del monitoraggio ambientale hanno mostrato generalmente una modesta dispersione in aria delle sostanze indagate, con concentrazioni mediamente inferiori di alcuni ordini di grandezza rispetto ai valori limite proposti da enti ed associazioni. I dati di concentrazione relativi all’1,3 butadiene e all’acrilonitrile sono sempre risultati inferiori al limite di detezione. Lo stirene ha mostrato livelli variabili tra 4 e 80 µg/m3. CONCLUSIONI Dall’esperienza dello Studio PPTP-Gomma si ricava che notevoli riduzioni nelle fonti espositive sono state attuate nelle aziende del settore. Dal punto di vista ambientale, lo studio ha rivelato livelli espositivi di scarso significato per la salute quando sono state messe in atto le norme generali di igiene del lavoro (5). In particolare l’indagine sul campo nelle lavorazioni di presso stampaggio a caldo e lavorazioni accessorie con utilizzo di mescole contenenti gomme sintetiche ha consentito di documentare l’assenza reale di rischio cancerogeno professionale in tale comparto produttivo: l’adozione di metodologie analitiche anche originali ha consentito di inquadrare l’esposizione dei lavoratori come sovrapponibile e forse inferiore a quella della popolazione generale per quanto riguarda il rischio cancerogeno da acrilonitrile, da butadiene e da stirene. Analoghe considerazioni possono essere espresse per il rischio tossico (6-7), poiché i valori sono comunque (anche per lo stirene) molto inferiori ai limiti cautelativi di esposizione consigliati. Per acrilonitrile e per stirene vanno tenuti comunque presenti i rischi chimici allergici sia da contatto che da inalazione (8-9), che sono connessi più alle eccezioni di esposizione che alla normalità delle procedure. RINGRAZIAMENTI Studio realizzato con il finanziamento della Regione Lombardia (DGR VII/18344 23/7/2004) ed il supporto del Laboratorio di Igiene e Tossicologia degli “Spedali Civili” di Brescia e del Servizio SPSAL della ASL della Provincia di Varese. BIBLIOGRAFIA 1) International Agency for Research on Cancer. The rubber industry. IARC Volume 28 Lyon (France) 1982. 2) Tieghi S. Stampaggio della gomma: dalla realtà produttiva all’individuazione dei rischi. Atti “Salute e sicurezza nello stampaggio di plastica e gomma”, a cura di Cirla PE e Martinotti I. Ed. CIMAL (ISBN 978-88-902124-2-0) Milano (Italia) 2007; pag. 20-33. 3) Foà V, Martinotti I, Cirla PE. Progetto Prevenzione Tumori Professionali (PPTP): sinergie ed integrazioni per un obbiettivo comune. Atti “Salute e sicurezza nello stampaggio di plastica e gomma”, a cura di Cirla PE e Martinotti I. Ed. CIMAL (ISBN 978-88-902124-2-0) Milano (Italia) 2007; pag. 13-19. 4) Cirla PE, Mossini E, Cirla AM. Esposizione ad IPA: i risultati dello Studio PPTP-Gomma. Atti “Salute e sicurezza nello stampaggio di plastica e gomma”. Ed. CIMAL (ISBN 978-88-902124-2-0) 2007, Milano; pag. 70-77. 5) American Conference of Governmental Industrial Hygienists. Industrial ventilation, a manual of recommended practices. Ed. ACGIH Cincinnati (USA) 1998. 6) Agency for Toxic Substances and Disease Registry (ATSDR). Toxicological profile for 1,3 butadiene. TP-91/07 U.S. Department of Health and Human Services 1993, Atlanta. 319 7) Agency for Toxic Substances and Disease Registry (ATSDR). Toxicological profile for styrene. TP-91/25 U.S. Department of Health and Human Services, 1992, Atlanta. 8) Collins JJ, Acquarella JF. Review and meta-analysis of studies of acrylonitrile workers. Scand J Work Environ Health 1998; 24(suppl2):71-80. 9) Fernandez-Nieto M, Quirce S, Sastre B. Occupational asthma caused by styrene in a autobody shop worker. J Allergy Clin Immun 2006; 117:25-26. COM-07 STAMPAGGIO DELLA PLASTICA ED AGENTI CHIMICI CANCEROGENI: L’ESPERIENZA DELLO STUDIO PPTP-PLASTICA P.E. Cirlaa, M.R. Castoldib, E. Marcheseb, D.M. Cavalloc, S. Fustinonia, A. Cattaneoc, I. Martinottia, V. Foàa, C. Tisob a Università degli Studi di Milano e Fondazione “Ospedale Maggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena”(IRCCS), Dipartimento di Medicina del Lavoro, Milano b A.S.L. della Provincia di Varese, Dipartimento di prevenzione medico, Servizio Prevenzione Sicurezza Ambienti di Lavoro (SPSAL), Varese c Università degli Studi dell’Insubria, Dipartimento di Scienze Chimiche ed Ambientali, Como Corrispondenza: Piero Emanuele Cirla, tel. 02.50320.110, fax 02.50320.111, e-mail [email protected] RIASSUNTO. Il rischio legato all’esposizione ad agenti chimici cancerogeni è di primario interesse per la medicina del lavoro, ma la problematica appare controversa anche alla luce degli ultimi sviluppi tecnologici. Nelle attività di stampaggio della plastica, in particolare, l’attenzione è rivolta verso la possibile esposizione durante le lavorazioni a caldo a monomeri, alcuni dei quali sono classificati come cancerogeni dalla IARC (International Agency for Research on Cancer) e dall’Unione Europea. Nel corso degli ultimi anni lo Studio PPTP-Plastica (Progetto Prevenzione dei Tumori Professionali - Lavorazione della Plastica) della Regione Lombardia si è dedicato allo studio delle attività di stampaggio della plastica, con l’obiettivo di individuare e promuovere soluzioni preventive tecniche e sanitarie basate sull’efficacia. Mediante sopralluogo ed esame standardizzato della documentazione è stata riscontrata la presenza di sostanze cancerogene e la reale possibilità di situazioni espositive rispettivamente nel 59% e 34% delle aziende esaminate. I monitoraggi ambientale per esposizione a monomeri (acrilonitrile, 1,3-butadiene, stirene e formaldeide), effettuati in un campione rappresentativo di aziende con lavorazione di ABS e resine formaldeidiche, hanno rivelato livelli medi di scarso significato per la salute quando sono state messe in atto le norme generali di igiene del lavoro; qualche situazione degna di maggiore interesse è emersa dal monitoraggio ambientale della formaldeide in particolari lavorazioni. Parole chiave: agente chimico cancerogeno, esposizione, industria della plastica PLASTIC INDUSTRY AND EXPOSURE TO CARCINOGENIC CHEMICAL AGENTS: AN ITALIAN MULTICENTRIC STUDY IN LOMBARDY ABSTRACT. The potential carcinogenic risk at the workplaces is a primary interest of occupational health, but some questions are also controversially discussed. Particularly, in the plastic forming industry a great attention was directed to the hot processing and their possible exposure to monomers, some of which were classified as carcinogen by the International Agency for Research on Cancer (IARC) and/or the European Union (EU). In Lombardy, a study on occupational exposure to chemical carcinogens in the plastic forming industry was planned during last years. The aim was to recognize and promote preventive technical and medical solutions, basing on efficacy. By an investigation at workplace supported with standardized questionnaires, the presence of chemical carcinogens was registered in 59% of a representative sample of firms; but an effective possibility of exposure was found only for 34% of cases. The evaluation of exposure to monomers by air monitoring (acrylonitrile, 1,3-butadiene, styrene, formaldehyde), involving a 320 representative sample of factory with ABS and formaldehydic resins processing, showed low level exposure, because the common hygienic prevention measures were applied; some particular occupation shoved greater exposure to formaldehyde. Key words: chemical carcinogens, exposure, plastic industry INTRODUZIONE Il rischio legato all’esposizione ad agenti chimici cancerogeni durate il lavoro è di primario interesse per la medicina del lavoro, ma la problematica appare controversa anche alla luce degli ultimi sviluppi tecnologici. Nelle attività di stampaggio della plastica, in particolare, l’attenzione viene posta verso la possibile esposizione che gli addetti alle lavorazioni possono sperimentare durante le lavorazioni a caldo, in relaziona alla liberazione di monomeri, alcuni dei quali sono classificati come cancerogeni dall’International Agency for Research on Cancer (IARC) e dall’Unione Europea (1-2). In questo ambito è nato e si è sviluppato nel corso degli ultimi anni lo Studio PPTP-Plastica (Progetto Prevenzione dei Tumori Professionali - Lavorazione della Plastica) della Regione Lombardia (3), che si è dedicato intensamente allo studio delle attività di stampaggio plastica, un settore produttivo di storico interesse ma anche proiettato verso nuove ed attuali prospettive (4-5). Lo studio è mirato alla valutazione delle possibili esposizioni professionali ad agenti cancerogeni di tipo chimico, in particolare quelli classificati dall’Unione Europea in Categoria 1 (“Sostanze note per gli effetti cancerogeni sull’uomo”) o 2 (“Sostanze che dovrebbero considerarsi cancerogene per l’uomo”), e/o classificati dall’International Agency for Research on Cancer in Gruppo 1 (“Sicuramente cancerogeno per l’uomo”) o 2A (“Probabilmente cancerogeno per l’uomo”). Identificare e classificare le aziende con presenza di sostanze cancerogene, esplorare le condizioni di lavoro approfondendo i rischi d’esposizione e quantificare i livelli espositivi sono le basi per l’obiettivo finale: individuare e promuovere soluzioni operative per una prevenzione basata sull’efficacia sia in ambito tecnico che sanitario. MATERIALI E METODI Basandosi sulla codifica ISTAT ATECO applicata al database integrato INAIL/ISPESL/Regione e con l’abbinamento della memoria storica del servizio di prevenzione locale, da un campione di 1070 aziende sono state individuate e catalogate tutte le 224 realtà produttive con attività di stampaggio materie plastiche presenti nella provincia di Varese. La metodologia d’indagine applicata in ognuna delle aziende indagate, tutte di dimensioni medio-piccole (3-100 lavoratori), si articola in due momenti successivi. La “Fase 1” consta di un sopralluogo per la raccolta d’informazioni (ciclo produttivo, materie prime, intermedi, prodotti finiti, interventi di manutenzione, schede di sicurezza), ed è mirata alla verifica della presenza di sostanze cancerogene nelle materie prime, come contaminanti, come sottoprodotti o come prodotti finali. In tutte le aziende in cui dalla Fase 1 risulta la presenza di una o più sostanze cancerogene viene eseguito un nuovo sopralluogo (“Fase 2”), finalizzato alla valutazione qualitativa e quantitativa dell’esposizione professionale, alla verifica dell’applicazione degli adempimenti previsti dal D.Lgs 626/94 ed all’esame delle misure preventive messe in atto. I sopralluoghi hanno visto il costante affiancamento di personale medico e tecnico, così da potere garantire il più ampio e completo spettro di valutazione delle diverse realtà. La raccolta e l’analisi dei dati sono avvenute in forma standardizzata con l’istituzione di appositi flussi informativi elettronici. L’attenzione si è poi rivolta ad un campione rappresentativo di 12 aziende che effettuano stampaggio di ABS e di 5 con lavorazione di resine formaldeidiche, nelle quali sono state effettuate indagini di monitoraggio ambientale al fine di caratterizzare gli attuali livelli di esposizione professionale ai monomeri di interesse (acrilonitrile, 1,3-butadiene, stirene e formaldeide) e di poter individuare soluzioni preventive per una corretta gestione del rischio. Con impostazione conforme alle indicazioni riportate nelle norme EN 482 e 689 sono stati eseguiti campionamenti sia di tipo personale (addetto alla macchina) sia in postazione fissa (carico, scarico, centro ambiente a 2 m dalla macchina, riferimento esterno). La rappresentatività delle misure è ampiamente soddisfatta sia in termini di significatività che di stabilità dei risultati. Una serie supplettiva di misure ambientali in scenari controllati è stata condotta per potere ricavare indicazioni dettagliate sull’influenza della modalità di messa a punto dell’aspirazione localizzata. I campioni raccolti per l’analisi di 1,3-butadiene (fiala di CARBOSIEVE SIII e flusso di 0,05 l/min), di acrilonitrile e stirene (fiala di TENAX G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it TA e flusso di 0,1 l/min), sono stati desorbiti termicamente ed analizzati con GC/FID (colonna HP-Plot Al2O3/KCl, 50 m, 0,53 mm; colonna OV1, 60 m, 0,32 mm diametro interno, 0,25 µm spessore del film). I campioni raccolti per l’analisi della formaldeide (fiala di gel di silice impregnata con 2,4 dinitrofenilidrazina e flusso 0,3 l/min), sono stati eluiti con acetonitrile ed analizzati con HPLC (Compendium Method TO-11A EPA/625/R96/010b). I limiti di detezione sono rispettivamente 1 µg/m3 per 1,3-butadiene e stirene, 10 µg/m3 per acrilonitrile e 15 µg/m3 per formaldeide. RISULTATI L’analisi comparativa ha mostrato modalità di lavoro, macchine e tecnologie di fatto abbastanza omogenee e con poche varianti, presenti però in ambienti con caratteristiche edilizie ed ambientali diverse. La presenza di sostanze cancerogene è stata riscontrata nel 59% delle aziende esaminate con la Fase 1. Il numero di sostanze cancerogene riscontrate in ogni singola attività è risultato nella grande maggioranza di uno (60%) o due (30%), e solamente in una decina di casi si è arrivati a tre. Dei 7 agenti cancerogeni individuati i più diffusi sono risultati: 1,3 butadiene, cloruro di vinile monomero, acrilonitrile e formaldeide (meno rappresentati cromati di piombo, epicloridrina, ossido di etilene, 2,2’-dicloro-4-4’metilendianilina). La reale esistenza di situazioni potenzialmente espositive è stata effettivamente riscontrata (Fase 2), nel 58% delle aziende individuate con la Fase 1 (pari al 34% del totale). In queste aziende, riferendosi a quanto disposto dal D.Lgs 626/94, l’agente cancerogeno era stato preso in considerazione nel documento di valutazione dei rischi nel 9% dei casi, esisteva un registro degli esposti nel 3% dei casi, era stato individuato un programma di misure tecniche preventive nel 96% dei casi, era stato predisposto un piano per le emergenze nel 2%, esisteva un protocollo di sorveglianza sanitaria mirato nel 3% dei casi, nel 9% era attuato un monitoraggio ambientale e nel 7% un monitoraggio biologico, un programma di formazione specifico era attuato nel 3% dei casi. In particolare nel 40% delle aziende non erano presenti impianti di aspirazione localizzata e solamente il 6% delle realtà aveva considerato la possibile esposizione a prodotti di degradazione termica compresi i cancerogeni. I risultati del monitoraggio ambientale hanno mostrato generalmente una modesta dispersione in aria delle sostanze indagate, con concentrazioni mediamente inferiori di alcuni ordini di grandezza rispetto ai valori limite proposti da enti ed associazioni. I dati di concentrazione relativi all’1,3 butadiene sono sempre risultati inferiori al limite ad eccezione di qualche dato indicativo di tracce di contaminazione fino ad un massimo di circa 6 µg/m3. Le concentrazioni di acrilonitrile sono sempre risultate inferiori al valore minimo di determinazione (10 µg/m3). Lo stirene mostra livelli variabili tra 1 e 20 µg/m3; valori fino all’ordine di grandezza delle migliaia di microgrammi rilevati in una azienda sono risultati ascrivibili allo stampaggio di manufatti in polistirolo e non in resina ABS (6). Una particolare attenzione merita la formaldeide che, oltre alle proprietà irritanti e sensibilizzanti che esplica sia a livello cutaneo sia a livello dell’apparato respiratorio, è recentemente stata oggetto di dibattito in relazioni ad aspetti di cancerogenicità: la IARC ha ritenuto sufficiente l’evidenza della cancerogenicità per l’uomo rispetto al carcinoma nasofaringeo, a differenza di altre agenzie internazionali (7-8). Lo SCOEL (Scientific Committee on Occupational Exposure Limits, Comitato Scientifico per i Valori Limite di Esposizione Professionale) ha riaffrontato la discussione e nel suo parere si orienta a mantenere invariata l’attuale classificazione dell’Unione Europea (Categoria 3 e frase di rischio “R40 Possibili effetti cancerogeni - prove insufficienti”). Le concentrazioni di formaldeide rilevate nello Studio PPTP-Plastica sono risultate generalmente inferiori al valore minimo di determinazione (15 µg/m3) ad eccezione di due aziende di piccole dimensioni in cui si sono raggiunte concentrazioni di maggiore rilievo (700-900 µg/m3), successivamente approfondite con una serie di campionamenti mirati ad isolare le fasi critiche del ciclo (asciugatura manufatti) (9). Al proposito occorre ricordare che la maggior parte dei valori limite di esposizione occupazionale stabiliti da stati europei si attesta tra 370 e 600 µg/m3, mentre solamente in pochissimi casi si è ancora a livelli tra 1.230 e 2.460 µg/m3. Lo SCOEL conclude che per l’indicazione di un limite di esposizione occupazionale (OEL), che tenga in considerazione il rischio cancerogeno, appare critico lo stimolo alla proliferazione cellulare dovuto all’irritazione delle alte vie respiratorie e, salvo modifiche in corso, giunge quindi a proporre come livelli al di sotto dei quali non è atteso alcun effetto sistemico per la formaldeide un OEL-TWA di 0,2 ppm (260 µg/m3) ed un OEL-STEL di 0,4 ppm (500 µg/m3). G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it CONCLUSIONI Dall’esperienza dello Studio PPTP-Plastica si ricava che notevoli riduzioni nelle fonti espositive sono state attuate nelle aziende di grandi e medie dimensioni, ma criticità appaiono ancora evidenti nelle piccole realtà. Dal punto di vista ambientale, lo studio ha rivelato livelli espositivi medi di scarso significato per la salute quando sono state messe in atto le norme generali di igiene del lavoro (10). Le misure effettuate in situazioni sperimentali controllate in particolare hanno messo in evidenza le sostanziali differenze nelle situazioni estreme di presenza/assenza di aspirazioni localizzate e dato indicazioni sull’influenza della modalità di messa a punto dell’aspirazione localizzata (velocità d’aspirazione ottimale intorno ad 8 m/s, punto di captazione collocato in prossimità dell’ugello dell’iniettore ed in prossimità dello scarico del pezzo dallo stampo, ecc.). Qualche situazione degna di maggiore interesse ed approfondimento è emersa dal monitoraggio ambientale della formaldeide in particolari lavorazioni. RINGRAZIAMENTI Studio realizzato con il finanziamento della Regione Lombardia (DGR 1439 4/10/2000 e DGR VII/18344 23/7/2004) ed il supporto del Laboratorio Chimico dell’ASL della Provincia di Varese. BIBLIOGRAFIA 1) Forrest MJ, Jolly AM, Holding SR, Richards SJ. Emissions from processing thermoplastics. Ann Occup Hyg 1995; 39: 35-53. 2) Hoff A, Jacobsson S, Pfaffli P, et al. Degradation products of plastics: polyethylene and styrene-containing thermoplastics - Analytical, occupational and toxicologic aspects. Scand J Work Environ Health 1982; 8: 2-60. 3) Foà V, Martinotti I, Cirla PE. Progetto Prevenzione Tumori Professionali (PPTP): sinergie ed integrazioni per un obbiettivo comune. Atti “Salute e sicurezza nello stampaggio di plastica e gomma”. Ed. CIMAL (ISBN 978-88-902124-2-0) 2007, Milano; pag. 13-19. 4) Castoldi MR, Cirla PE, Ferrario F, et al. Materiali plastici: salute e sicurezza nello stampaggio della plastica, a cura di Cirla PE. Ed. CIMAL (ISBN 978-88-902124-1-3) 2007, Milano. 5) Castoldi MR, Marchese E, Tiso C. Stampaggio della plastica: dalla realtà produttiva all’individuazione dei rischi. Atti “Salute e sicurezza nello stampaggio di plastica e gomma”. Ed. CIMAL (ISBN 97888-902124-2-0) 2007, Milano; pag. 34-46. 6) Cavallo DM, Longhi O, Scarpa M, et al. Esposizione ad ABS: i risultati dello studio PPTP-Plastica. Atti “Salute e sicurezza nello stampaggio di plastica e gomma”. Ed. CIMAL (ISBN 978-88902124-2-0) 2007, Milano; pag. 57-69. 7) International Agency for Research on Cancer. Monographs on the Evaluation of Carcinogenic Risks to Humans, Formaldehyde, 2-Butoxyethanol and 1-ter-Vutoxy-2-propanol. Ed. IARC Vol. 88 2005, Lyon. 8) World Health Organisation International Programme on Chemical Safety. Environmental Health Criteria 89: Formaldehyde. Ed. WHO 1989, Geneva. 9) Lionetti C, Boni M, Cutugno V, Castoldi MR. Esposizione a formaldeide nella lavorazione di resine termoindurenti: un’esperienza nella provincia di Varese. Atti “Salute e sicurezza nello stampaggio di plastica e gomma”. Ed. CIMAL (ISBN 978-88-902124-2-0) 2007, Milano; pag. 121-128. 10) American Conference of Governmental Industrial Hygienists. Industrial ventilation, a manual of recommended practices. Ed. ACGIH 1998, Cincinnati. 321 SESSIONE SICUREZZA COM-01 PREVENZIONE DEGLI INFORTUNI DA INCIDENTE STRADALE NEL SETTORE DELL’AUTOTRASPORTO G.L. Rosso1, R. Zanelli2, P. Corino1, S. Bruno1 1Servizio Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro Asl 18, Alba-Bra (CN) 2Servizio Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro Asl 19, Asti Corrispondenza: Gian Luca Rosso, Specialista in Medicina del Lavoro. Servizio Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro Asl 18, Alba-Bra. Via Vida 10, 12051 Alba ITALY. E-mail: [email protected] RIASSUNTO. Introduzione: Nell’intento di implementare la sicurezza nel settore del trasporto su strada, è stata commissionata alla nostra Asl, l’attuazione del progetto regionale: Prevenzione degli infortuni da incidente stradale nel settore dell’autotrasporto. Materiali e metodi: Il progetto prevede i seguenti punti: revisione bibliografica ed analisi delle criticità del settore, incontro con le parti interessate, elaborazione di un progetto unanimemente condiviso e valutazione dei risultati ottenuti. Risultati: Ad oggi abbiamo analizzato 479 ditte di autotrasporti con sede legale all’interno dell’Asl 18, di cui 448 (93.5%) con dipendenti compresi tra 0 e 10 unità, 27 (5.7%) tra 11 e 30 addetti e 4 (0.8%) con più di 30 unità. Nel periodo tra il 2000 e il 2005 si sono verificati 1121 infortuni, di cui 153 con più di 40 giorni di prognosi e 2 mortali. Discussione: Il nostro progetto rappresenta un’occasione per valorizzare il ruolo della medicina del lavoro nell’ambito della sicurezza sia stradale sia lavorativa. Rimangono difficoltà nella ricerca di un consenso unanime di fronte all’espressione del giudizio di idoneità (per quelle situazioni dove non esistano chiari riferimenti legislativi o linee guida) e nel ricollocamento del soggetto giudicato non idoneo alla guida professionale (il settore del trasporto su strada è costituito infatti in buona parte da piccole realtà). PREVENTION OF ROAD ACCIDENTS IN THE ROAD HAULAGE FIELD ABSTRACT. Every year many traffic accidents with fatal outcomes occur in our Country. According to the recent indications of the European Agency for Safety and Health at Work, the Piedmont region has financed the plan: Prevention of road accidents in the road haulage field. Objectives: The aims of the plan are to stimulate transport companies to the target of road safety and to improve and enforce sanitary surveillance, in order to improve the safety on road haulage and to prevent traffic injuries. Methods: the plan foresees, over a period of two years, a few encounters with all the interested parties (companies, police forces, labour unions etc). During those encounters we have to give a questionnaire for evaluating the companies’ knowledge about the problem and we have to choose a common plan with the aim of improving road safety. Results and Conclusions: The Piedmont regional plan recalls the need to increase the attention to numerous and diversified hazards for safety on road haulage. It also imposes the choice of measures that include: risk assessment, health education, technical and environmental prevention, sanitary surveillance and clinical interventions (diagnosis and rehabilitation of occupational accidents). Key words: road safety, professional drive, traffic accident. INTRODUZIONE Negli ultimi anni in Italia si sono verificati, all’interno della categoria degli autotrasporti, poco meno di 200 incidenti mortali e circa 30.000 incidenti con conseguente danno permanente per anno (1, 2). Tale pesante contributo -al numero di infortuni occorsi sul lavoro- non può passare inosservato e, richiama l’attenzione su una categoria di lavoratori per la quale esiste ancora un’insufficiente attenzione da parte della nostra disciplina medica. Nell’intento di implementare la sicurezza, non solo stradale ma anche lavorativa in tale settore, è stata commissionata allo S.Pre.S.A.L. dell’Asl 18 di Alba-Bra, l’attuazione del progetto regionale: Prevenzione de- 322 gli infortuni da incidente stradale nel settore dell’autotrasporto. In tale ottica riteniamo opportuno presentare il percorso da noi adottato per sviluppare il progetto nell’ambito del Piano di prevenzione incidenti stradali 2005/2007, della Regione Piemonte. Materiali e metodi Il progetto Prevenzione degli infortuni da incidente stradale nel settore dell’autotrasporto prevede i seguenti punti: 1. Revisione bibliografica ed analisi della letteratura, alla ricerca dei principali fattori di rischio per gli incidenti stradali nella categoria dei conducenti professionali e, delle possibili strategie di sorveglianza sanitaria 2. Contatto delle parti sociali interessate (INAIL, Associazioni di categoria e dei lavoratori, Forze dell’Ordine, Autoscuole etc.) per la presentazione del progetto, la raccolta delle osservazioni e la stesura di un protocollo d’intesa. 3. Censimento delle aziende di trasporto dell’ambito territoriale di competenza (Asl 18) con analisi delle criticità del settore. 4. Programmazione incontri di gruppo con le aziende e proposta di percorsi formativi per tutte le figure coinvolte nella sicurezza aziendale. 5. Programmazione ed effettuazione dei corsi di formazione. 6. Verifica delle azioni intraprese su un campione di aziende RISULTATI I risultati preliminari -ottenuti dall’analisi dei flussi informativi di Inail, Ispesl, regioni e provincie autonome- hanno portato all’individuazione di 479 ditte di autotrasporti con sede legale all’interno dell’Asl 18, di cui 289 (60.3%) con un unico addetto, 159 (33.2%) con numero di dipendenti compresi tra 1 e 10 unità, 27 (5.7%) con numero di addetti tra 11 e 30 ed infine 4 (0.8%) con numero di dipendenti superiore alle 30 unità. Il numero di infortuni occorsi nel periodo tra il 2000 e il 2005 è stato di 1121 eventi, la cui gravità è illustrata nella figura 1. Si sta procedendo alla raccolta e analisi dei documenti di valutazione dei rischi delle aziende oggetto di studio. Dall’analisi della letteratura sono emerse, tra le principali problematiche inerenti la sicurezza nel settore della guida professionale, le seguenti criticità: assunzione di alcool e/o sostanze d’abuso e/o farmaci, situazioni di privazione del sonno e comportamenti non idonei (alta velocità, mancato impiego dei dispositivi di sicurezza, scorretto utilizzo del telefono cellulare etc.) condizioni morbose in grado di pregiudicare l’idoneità alla guida (disturbi respiratori del sonno, cardiopatie aritmogeniche, epilessia etc.), (2,3,4). I risultati della nostra ricerca evidenziano tuttavia problemi ancora irrisolti: pareri discordi circa la necessità di effettuare la sorveglianza sanitaria per gli autisti, situazioni di non univoca formulazione del giudizio di idoneità, mancato obbligo di segnalazione da parte del clinico di situazioni pregiudicanti l’idoneità alla guida, mancanza di linee guida applicabili alla guida professionale. DISCUSSIONE Il Piano di prevenzione incidenti stradali 2005/2007 della Regione Piemonte, all’interno del quale si colloca il progetto: Prevenzione degli infortuni da incidente stradale nel settore dell’autotrasporto, rappresenta un’importante occasione per valorizzare il ruolo della medicina del lavoro nell’ambito della sicurezza non solo lavorativa ma anche stradale. Tale progetto raccoglie infatti l’appello dell’Agenzia Europea della sicurezza e salute sul lavoro di Bilbao, ad «Assumere conducenti qualificati. Verificare le modalità di ottenimento della patente e il mantenimento, nel corso del tempo, dei requisiti di idoneità alla guida dei conducenti». Purtroppo i pareri che si raccolgono sul portale del Medico Competente -circa l’opportunità di sottoporre a sorveglianza sanitaria i conducenti professionali- sono discordi, e vi è una generale tendenza a valutare solo quei conducenti soggetti a rischi lavorativi specifici quali: movimentazione manuale dei carichi, rumore, vibrazioni etc. (5). Al contrario, il progetto di Prevenzione degli infortuni da incidente stradale nel settore dell’autotrasporto, condivide le indicazioni fornite dalla SIMLII, la quale richiama l’attenzione sulla «assoluta necessità di effettuare un controllo sanitario periodico dei lavoratori adibiti all’attività di guida in considerazione dell’elevata frequenza di patologie organiche dell’apparato osteoarticolare, cardiovascolare, uditivo e psichico che possono incidere sul piano funzionale in misura tale da controindicare lo svolgimento di tale attività lavorativa» (6). I dati preliminari dello studio hanno individuato tra i principali rischi per la sicurezza stradale l’uso-abuso di alcol e di sostanze psicotrope, nonché le situazioni di stanchezza e privazione di sonno (2,3,4,7). È inoltre emersa un’oggettiva difficoltà nell’individuare un percorso comune, G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it Figura 1. Infortuni denunciati nel periodo tra il 2000 e il 2005, divisi in base ai giorni di malattia non solo nell’ambito della medicina occupazionale, ma anche tra questa e la criteriologia medico-legale utilizzata per la certificazione di idoneità alla guida per le varie categorie di patente che, ad oggi è l’unica supportata da un’importante apparato normativo (vedi appendice II dell’art. 320 DPR 495/92 e successive modifiche ed integrazioni). Il progetto della Regione Piemonte apre tuttavia due problemi ai quali la nostra comunità scientifica e civile, attraverso futuri contributi, è chiamata a rispondere: la ricerca di un consenso unanime di fronte all’espressione del giudizio di idoneità (per quelle situazioni dove non esistano chiari riferimenti legislativi o linee guida) e il ricollocamento del soggetto giudicato non idoneo alla guida professionale(il settore del trasporto su strada è costituito infatti in buona parte da piccole realtà). BIBLIOGRAFIA 1) Brusco A. Trasporti: rallentano gli infortuni, ma ancora troppi morti. Dati INAIL 2005; 8 Available at: http://www.inail.it/statistiche/datiinail/osservatorio2005/DATI%20INAIL%20N%208.pdf 2) Rosso GL, Zanelli R, Santina B, Feola M. Syncope and road transport: the role of occupational physician. Med Lav 2007; 98: 204-215. 3) Rosso GL, Feola M, Morena L, Menardi E, Racca E, Vado A, et al. Neurally-mediated syncope and occupational accidents: prevention strategies and case report. G Ital Med Lav 2007; 29: 166-169. 4) Rosso GL, Zanelli R, Bruno S, Feola M, Bobbio M. Professional drive and safety, a target for occupational medicine. Med Lav 2007; 98: 355-373. 5) Caragliu B. Idoneità alla mansione specifica di autista. G Ital Med Lav 2006; 28: 82-84. 6) Gilioli R, Camerino D, Costa G. I compiti lavorativi complessi e di sicurezza nei trasporti. Contributi ai fini dell’idoneità psico-fisica. Milano: Franco Angeli Editore, 1995 7) Epstein AE, Miles WM, Benditt DG. Personal and public safety issues related to arrhythmias that may affect consciousness: implications for regulation and physician recommendations. A medical/scientific statement from the American Heart Association and the North American Society of Pacing and Electrophysiology. Circulation 1996; 94: 1147-1166 COM-02 STATO DI APPLICAZIONE DELLA NORMATIVA SUL CONSUMO DI ALCOLICI NELLE ATTIVITÀ AD ELEVATO RISCHIO DI INFORTUNIO IN LOMBARDIA M.I. D’Orso 1, M. Bonacina2, M. Molinari3, D. Turrini2, A. Zaniboni3, D. Grosso3 1Dipartimento di Medicina Clinica e Prevenzione - Università di Milano Bicocca 2Consorzio per lo Sviluppo della Medicina Occupazionale ed Ambientale - Monza 3Centro Analisi Monza - Monza G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it Corrispondenza: D’Orso Marco Italo - Per riferimenti organizzativi la mail di servizio è [email protected] RIASSUNTO. La L. 125/01, normativa nazionale che vieta la assunzione di alcolici per i lavoratori di categorie ad alto rischio infortunistico, è diventata completamente operativa circa un anno fa. Si è realizzata in Lombardia una ricerca con lo scopo di valutare il grado di effettiva applicazione della norma nelle imprese dei diversi settori produttivi. I risultati della ricerca hanno evidenziato come la norma sia oggi quasi sempre disattesa in tutti i settori produttivi indagati e come solo una piccola minoranza delle imprese si sia effettivamente adeguata ai dettati normativi. Si ritiene necessario che i Medici del Lavoro impegnati sia nelle attività di consulenza che in quelle di vigilanza forniscano con maggior frequenza ed attenzione il supporto medico scientifico che le conoscenze della disciplina possono garantire alle imprese ed ai lavoratori. Parole chiave: infortunio sul lavoro, alcool, normativa THE ENFORCEMENT OF THE NEW ITALIAN LAW ON ALCOHOL ASSUMPTION IN WORK ACTIVITIES WITH HIGH ACCIDENT RISK IN LOMBARDY ABSTRACT. The 125/2001, the national law that forbids the alcohol consumption by workers with work tasks having high accident risks, has been activated a year ago. We carried out in Lombardy a research to evaluate the state of enforcement of the law in firms having different work activities. We found a complete application of the law only in very few firms. We think that the Occupational Health doctors should give more attention to the problem of alcohol consumption at the work places, giving the firms their specific scientific and medical support, using the peculiar knowledge of our discipline. Key words: work accident, alcohol, law INTRODUZIONE La numerosità degli infortuni sul lavoro, pur essendo negli anni in progressiva riduzione, permane nel nostro paese molto elevata. Al fine di ridurre tali infortuni, la normativa nazionale ha previsto una serie di interventi di tipo preventivo volti a contenerne i possibili fattori di rischio. Tra questi fattori di rischio deve essere sicuramente inserito il consumo di alcolici da parte dei lavoratori prima o durante l’effettuazione delle attività lavorative. Tale consumo, rilevante soprattutto in alcune aree geografiche del paese, risulta diffuso nella popolazione lavorativa ed è frequentemente correlato con casi di infortunio frequentemente a prognosi sfavorevole. Al fine tra l’altro di evitare il consumo di alcolici da parte di categorie di lavoratori a particolare rischio di incidenti sul lavoro, è stata emanata in passato la L.125/01. Purtroppo per diversi anni tale norma è rimasta priva di effetti pratici per la mancata emanazione dell’elenco delle attività a rischio per le quali il divieto veniva sancito. Finalmente, con la pubblicazione sulla G.Uff. n. 75 del 30/03/06 dell’elenco delle attività ad elevato rischio per l’incolumità o la salute di lavoratori o terzi, è entrato definitivamente in vigore anche l’articolato della L. 125/01 nella sua parte che prevede il divieto di consumo di alcolici per tali mansioni prima e durante l’attività lavorativa. Ciò ha obbligato molte categorie professionali di quasi tutti i settori produttivi a modificare abitudini e tradizioni consolidate soprattutto in alcune aree geografiche. MATERIALI E METODI Al fine di verificare il livello di applicazione nelle imprese della Legge 125/01, si è predisposto a dodici mesi dalla sua completa entrata in vigore un questionario per verificare in che modo esse in Lombardia si siano adeguate alla nuova normativa. Si evidenzia in merito come la Lombardia sia regione ove l’assunzione di alcolici tra la popolazione generale, pur con alcune rilevanti differenze tra province, sia rappresentativa della media nazionale Oggetto del questionario era anche l’acquisizione di informazioni sulle conoscenze nelle imprese delle problematiche correlate all’assunzione di alcolici, anche al di là delle categorie professionali direttamente interessate dalla normativa. Le imprese sono state suddivise per settore produttivo, numerosità degli addetti, presenza o meno nell’organico di figure professionali a ri- 323 schio elevato di infortunio secondo l’elenco previsto dalla normativa. Si sono raccolte informazioni sulla pregressa od attuale possibile presenza nelle imprese di eventuali problematiche correlate a situazioni di alcolismo tra i dipendenti e sugli interventi eventualmente attivati in tali occasioni. Si è verificata la modalità organizzativa con la quale i lavoratori assumono i loro pasti in mense, bar o spazi appositi attrezzati internamente all’impresa, con particolare riferimento alla possibile assunzione di bevande alcoliche. Si è inoltre verificata la eventuale effettuazione di momenti di formazione/informazione dei lavoratori sui possibili danni diretti od indiretti da consumo eccessivo acuto o cronico di alcolici. Si è verificato, ove nell’organico fossero presenti lavoratori per compito lavorativo operanti abitualmente fuori sede, se in qualche modo l’impresa avesse attivato forme di controllo o comunque di sensibilizzazione del personale sulle problematiche correlate con l’assunzione di alcolici. Si è verificato infine se l’emanazione della L.125/01 in qualche modo abbia modificato le modalità operative di gestione della assunzione di bevande ed alimenti nelle imprese. RISULTATI La ricerca ha interessato 483 imprese di varie dimensioni e di diversi settori produttivi localizzate in Lombardia. Le imprese appartenevano ai seguenti settori produttivi: settore metalmeccanico 121 imprese, settore edile 135 imprese, settore legno 85 imprese, settore servizi 96 imprese, settore tessile 46 imprese. Tra le imprese valutate, 284 (58,8%) avevano un organico complessivo sotto i 50 lavoratori, 107 (22,1%) avevano un organico complessivo compreso tra 51 e 100 lavoratori, 92 (19,1%) imprese avevano un organico complessivo di lavoratori almeno di 101 lavoratori. Tale suddivisione è da ritenersi ben rappresentativa delle dimensioni usuali delle imprese nella area geografica lombarda. La popolazione di lavoratori complessivamente occupati nelle imprese valutate è risultata essere di 29.946 unità, con una media di 62 lavoratori per impresa. Di questi lavoratori 6.887 (23,0%) sono risultati essere compresi nelle categorie a particolare rischio infortunistico secondo il dispositivo normativo. In 421 di queste imprese (87,2% del totale) erano presenti lavoratori rientranti nelle categorie a rischio di infortunio secondo l’elenco definito dalla normativa. La effettiva completa aderenza alle diverse prescrizioni della norma è stata riscontrata solo in 36 imprese (7,5%). Tale percentuale variava considerevolmente per settore produttivo con un minimo nel settore edile di 2 imprese completamente a norma su 135 (1,5%) ed un massimo nel settore tessile con 12 imprese a norma su 46 (26,1%). Solo il 23,5% delle imprese ha iniziato ad adeguarsi almeno parzialmente alla norma, sia pur a diversi livelli. Gli interventi più frequentemente attivati sono stati: parziale limitazione del consumo degli alcolici (spesso nella mensa ma non al bar aziendale), lettera informativa ai lavoratori a particolare rischio infortunistico presenti in organico, riunione preliminare con i rappresentanti dei lavoratori (RSU o RLS). Ben 199 imprese (41,2%) non aveva neppure sentito parlare della norma. Questa percentuale raggiungeva il 67,4% nel settore edile. Le modalità con le quali le imprese gestiscono il consumo del pasto dei lavoratori sono risultate essere molto eterogenee nei diversi settori produttivi. Le imprese metalmeccaniche, tessili e del settore legno hanno optato per un consumo interno dei pasti nella loro maggioranza (89,3% del numero complessivo delle imprese dei tre settori) ed in percentuale molto omogenea. Tale consumo, solo in poche imprese di rilevante dimensione è risultato essere gestito tramite mensa (9,1% delle imprese). In tutti gli altri casi le imprese hanno deciso di mettere a disposizione spazi interni per il consumo di pasti, autogestiti direttamente od indirettamente dai lavoratori. Nel settore edile (per la peculiare organizzazione in cantieri delle attività) ed anche nel settore dei servizi, la scelta organizzativa è prevalentemente orientata (83,2% delle imprese), verso un consumo esterno del pasto, prevalentemente tramite la fornitura ai lavoratori di buoni pasto. Si evidenzia come tale modalità gestionale del pasto stia acquisendo soprattutto nel terziario una sempre maggior diffusione. Tra le imprese ove il personale consuma regolarmente il pasto in esterno, solo in una molto ridotta percentuale di casi (4,5%) erano state 324 fornite ai lavoratori a rischio indicazioni esplicitanti i divieti previsti dalla normativa. Il numero di imprese che hanno riferito di aver avuto problemi organizzativi o comportamentali correlati con l’assunzione acuta o cronica di alcolici tra il personale è risultato essere nei diversi settori produttivi complessivamente di 119 (24,6%). In tali situazioni la risposta delle imprese solo raramente (18,0%) è consistita in un interessamento del Medico del Lavoro. Più frequentemente sono stati interpellati i rappresentanti dei lavoratori (25,6%) o la ASL competente per territorio (23,8%). Nel 30,1% dei casi non è stata attivata alcuna iniziativa, con motivazioni variabili che prevalentemente sono ascrivibili ad un erroneo concetto di rispetto della privacy del lavoratore. Solo in 13 imprese su 483 (2,7%) sono stati ad oggi attivati momenti specifici di formazione/informazione sulle problematiche correlate con il consumo di alcolici nelle imprese da parte dei lavoratori delle categorie ad alto rischio. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI La situazione che emerge dalla ricerca è di grave insufficienza nella applicazione della norma sul divieto di assunzione di alcolici per i lavoratori a rischio. Tale insufficienza è purtroppo generalizzata e diffusa, con contenuta variabilità, tra i diversi settori produttivi e nelle imprese di tutte le dimensioni. Particolarmente preoccupante è in particolare la percentuale di imprese che ignora persino l’esistenza stessa della norma ad un anno dalla sua entrata in vigore. Il recepimento della norma nelle imprese del settore edile appare in particolar modo critico se incrociato con i dati sugli infortuni anche mortali del settore per caduta dall’alto (e non solo), annualmente puntualmente in cima alle graduatorie specifiche stilate dall’INAIL. Si sottolinea inoltre come la realtà lavorativa lombarda valutata nella ricerca, contrariamente a quanto emerso per il problema della assunzione di alcolici nelle categorie di lavoratori a particolare rischio infortunistico, sia usualmente caratterizzata da una elevata percentuale di rispetto ed adeguamento delle imprese alle normative nazionali inerenti la salute e la sicurezza dei lavoratori, come tradizionalmente hanno rilevato le ricerche svolte in passato con finalità scientifiche o per motivi di vigilanza ed ispezione. Ciò è di ulteriore preoccupazione, ove si voglia estrapolare i risultati della ricerca sull’adeguamento alla L. 125/01 ad altre realtà geografiche nazionali ove tradizionalmente le imprese sono meno pronte ad un adeguamento rapido alle nuove normative sulla sicurezza sui posti di lavoro. La negativa situazione complessiva evidenziata deve essere inoltre considerata anche nella valutazione delle cause del progressivo aumento nel computo complessivo degli infortuni sul lavoro in Italia degli infortuni in itinere, soprattutto per lavoratori con compiti operativi prevalentemente od esclusivamente fuori sede ed itineranti. Tale gruppo di lavoratori sembra infatti praticamente completamente escluso dalle pur contenute ricadute organizzative che le imprese si sono date per la nuova norma e che nella quasi totalità dei casi hanno riguardato solo i lavoratori operanti stabilmente presso la sede fisica delle imprese. Si evidenzia come per esempio in alcune imprese aventi sia lavoratori a rischio operanti internamente che lavoratori a rischio operanti esternamente, le indicazioni specifiche sul divieto di assunzione di alcolici erano state date esclusivamente ai lavoratori interni Si evidenzia a puro titolo indicativo che, in tutte le imprese inserite nella ricerca, non è stata riferita ad oggi alcuna attività ispettiva sulla applicazione della norma da parte degli organi di vigilanza competenti per territorio. L’insieme dei dati sopraesposti trova probabilmente la ragione da un lato in una effettiva scarsa eco che la norma ha avuto sui mezzi di comunicazione di massa. Essi infatti, usualmente molto pronti a segnalare quotidianamente gli aspetti negativi e problematici della gestione della sicurezza nel mondo del lavoro, raramente ne evidenziano le migliorie introdotte. In particolar modo la completa entrata in vigore della L. 125/05 non ha avuto sicuramente la pubblicizzazione meritata. Particolarmente rilevante è inoltre la sottovalutazione del problema posto delle conseguenze della assunzione di alcolici, non solo in ambito G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it lavorativo, da parte di ampie e diffuse fasce della popolazione generale che, per motivazioni culturali o sociali, ancora non considera tale assunzione come un potenziale rischio per la salute. Tale sottovalutazione ha spesso portato a considerare come marginale od inutile la nuova norma ed ha pertanto contribuito alla sua sostanziale non applicazione nel mondo del lavoro. Un simile approccio è frequentemente riscontrabile anche tra gli operatori della prevenzione delle imprese e tra i rappresentanti dei lavoratori. Usualmente infatti essi si attivano solo ove si manifestino macroscopici casi di patologia da abuso di alcool, purtroppo spesso con iniziative non adeguate e comunque quasi sempre dopo il verificarsi di un primo episodio di infortunio. In una simile situazione, solo marginalmente ad oggi sembrano essersi inseriti attivamente i Medici del Lavoro, contribuendo indirettamente a limitare la applicazione della nuova norma e quindi a non consentirle di esplicare gli auspicati effetti di riduzione degli infortuni sul lavoro. CONCLUSIONI Il livello di applicazione della L. 125/01 nelle imprese sembra ad oggi assolutamente non soddisfacente. Si ritiene opportuno in merito la acquisizione di un ruolo più propositivo da parte dei Medici del Lavoro sia ove operanti con il ruolo di Medico Competente, sia ove impegnati nelle Aziende Sanitarie con compiti ispettivi, al fine di fornire quel supporto tecnico-scientifico che la loro competenza professionale sull’argomento garantisce, per ottenere quella riduzione dei rischi di infortunio in impresa direttamente od indirettamente causati o concausati dal consumo di alcolici che la nuova norma si presume possa validamente ottenere ove completamente e generalizzatamene applicata. BIBLIOGRAFIA • Legge n. 125/2001 • Provvedimento 16 Marzo 2006 della Conferenza Permanente per i rapporti tra Stato e Regioni, G.Uff. n. 75 del 30/03/2006 COM-03 INFORTUNI IN ITINERE: RUOLO DELLA SONNOLENZA IN UNA POPOLAZIONE DI OPERATORI DELLA POLIZIA DI STATO S. Garbarino1,2,4, A. M. Repice1, F. Traversa2, F. Spigno2, B. Mascialino3, G. Mantineo1, F. Ferrillo4, A. D. Bonsignore2 1 Servizio Sanitario Polizia di Stato, Ministero degli Interni Dipartimento di Medicina Legale e del Lavoro, Università degli Studi di Genova 3 Department of Medical Epidemiology and Biostatistics, Karolinska Institutet, Stockholm 4 Centro di Fisiopatologia del Sonno, Università degli Studi di Genova 2 Corrispondenza: Dr. Franco Traversa, Dipartimento di Medicina Legale e del Lavoro - Sezione di Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Genova, Largo Rosanna Benzi 10, 161632 Genova, [email protected] RIASSUNTO. Gli infortuni in itinere (IIT) costituiscono un problema rilevante per diversi sistemi assicurativi sociali in molti Paesi industrializzati; ciò non solo in relazione alla loro frequenza ma anche alla loro gravità, in quanto generalmente danno luogo ad esiti più gravi in termini di invalidità permanente e di decessi rispetto ai comuni infortuni sul lavoro, con costi sociali pertanto elevati. Ciononostante non vi sono in letteratura studi clinico - epidemiologici tesi ad indagare le possibili cause di questa tipologia di infortunio. Obiettivo di questo lavoro è la valutazione dell’effetto della eccessiva sonnolenza diurna (EDS) nell’occorrenza di IIT su un ampio campione di lavoratori della Polizia di Stato operanti nel Nord-Ovest d’Italia nel periodo 1999-2002, esplorata mediante questionario validato e Epworth Sleepiness Scale (ESS). Abbiamo studiato 463 IIT occorsi a 411 lavoratori (48.1% non turnisti NT e 51.9% turnisti T con sistema di turnazione antiorario a rotazione rapida). L’elaborazione statistica dei dati ha evidenziato una elevata prevalenza di EDS G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it nella popolazione esaminata (36%) ed una relazione altamente significativa tra lavoro a turni e presenza di EDS, che avrebbe pertanto un ruolo significativo nell’occorrenza degli IIT; questo potrebbe essere imputato al grado di alterazione dell’equilibrio fra processo omeostatico e circadiano dovuto al sistema di turnazione adottato. Parole chiave: Infortuni in Itinere, Infortuni sul Lavoro, Eccessiva Sonnolenza Diurna, Sonno, Sicurezza, Lavoro a Turni COMMUTING ACCIDENTS: THE INFLUENCE OF EXCESSIVE DAYTIME SLEEPINESS. A REVIEW OF AN ITALIAN POLICE OFFICERS POPULATION ABSTRACT. Commuting accidents (CA) play an important role in many systems of workers’ compensation insurance and with good reason, as they generally bring about more serious consequences in terms of permanent disablement and death than ordinary occupational accidents; this usually leads to high social costs. Nevertheless, research investigations aimed at studying the possible causes underlying the phenomenon are not available in medical literature. Objective of the present study is to evaluate whether excessive daytime sleepiness (EDS) might influence the occurrence of CA. 463 CA occurred to 411 police officers in northern Italy during the period 1999 - 2002 were collected; 51.9% of the subjects were working on shifts, 48.1% were non-shift workers. The study was carried out by submitting a self-administered questionnaire to gather information on age and physical characteristics, working conditions, sleep-related problems and accidents occurrence; EDS was measured by the Epworth Sleepiness Scale (ESS). A large number of workers (36%) complained of EDS; a strict significant relationship between shift - work condition and the presence of EDS was found, thus suggesting that CA are significantly influenced by EDS. The shift work schedule adopted by Italian Police might be accountable for the disruption of the balance between circadian and homeostatic factors. Key words: Commuting Accidents, Accident at Workplace, Excessive Daytime Sleepiness, Sleep, Safety, Shift-work 325 (3). Restringendo il campo agli infortuni mortali, i dati statistico attuariali INAIL presentati alla II Conferenza Nazionale Salute e Sicurezza nel gennaio 2007 relativi all’andamento degli infortuni mortali nel periodo 2001 - 2006 (Tabella I) dimostrano che il fenomeno è rilevante non solo dal punto di vista numerico, ma anche per la gravità degli eventi. Nonostante la vastità e gravità del fenomeno, gli studi clinico - epidemiologici tesi ad indagare le possibili cause di IIT sono a tutt’oggi scarsi, in particolare per quanto attiene i lavoratori turnisti e notturni per i quali il rischio di andare incontro a tale di tipo di evento risulta elevato. Il lavoro a turni, infatti, perturba il fisiologico ciclo sonno-veglia e può causare eccessiva sonnolenza diurna (EDS) e disturbi del sonno. L’EDS è considerata un importante fattore di rischio per incidenti stradali ed infortuni nei lavoratori turnisti, soprattutto qualora la mansione lavorativa richieda elevata efficienza psicofisica (4, 5, 6, 7). Se numerosi sono gli studi che hanno indagato gli infortuni sul lavoro nei lavoratori turnisti, scarsi dati risultano in letteratura relativi agli IIT con casistiche numericamente ampie. Obiettivo di questo lavoro è la valutazione dell’effetto dell’EDS sull’occorrenza di IIT nella totalità dei lavoratori della Polizia di Stato operanti nel nord-ovest d’Italia nel periodo 1999-2002. MATERIALI E METODI La popolazione studiata è costituita da 463 IIT occorsi a 411 lavoratori (79% M, 21% F), con età media 34 anni (SD ±7) ed anzianità di servizio 15 anni (±7). Il 48.1% soggetti erano lavoratori diurni (NT), il 51.9% turnisti (T) con sistema di turnazione antiorario a rotazione rapida (turni distanziati di 12 ore e riposo di 60 ore, Tabella II). Lo studio è stato condotto mediante l’uso di questionari validati autosomministrati riguardanti: abitudini di vita, condizioni familiari e lavorative, ora dell’incidente, dinamica e mezzi di trasporto coinvolti e inoltre abitudini di sonno e veglia ed eventuale presenza di disturbi del sonno. La presenza di EDS è stata esplorata mediante dati soggettivi e EES (Epworth Sleepiness Scale) (8), gli eventuali indicatori di patologie del sonno mediante SDS (Sleep Disorders Score) (6). Per la individuazione di indicatori di disturbi del sonno sono stati calcolati alcuni punteggi caratterizzanti le singole patologie, ottenuti identificando le domande relative alle patologie specifiche (insonnia, mioclono notturno, ipersonnia diurna e sindrome delle apnee ostruttive), attribuendo un punteggio ai diversi livelli ordinali delle possibili risposte al questionario (mai 0 punti, raramente 1 punto, qualche volta 3 punti, spesso 5 punti) e quindi sommando i singoli punteggi. Occorre sottolineare che le risposte al questionario non sono sufficienti a formulare una diagnosi, tuttavia consentono di individuare disturbi associabili a patologie del sonno e quindi di classificare i soggetti in base alla presenza di sintomi di queste patologie. Al fine di valutare lo stato di “malessere generale” derivante dalla concomitante presenza di fatica da lavoro e disturbo del sonno, è stato infine definito un punteggio globale (Sleep Disorder Score), derivante dalla somma dei punteggi di singola patologia del sonno. Le differenze esistenti fra T e NT in relazione all’età, alla distribuzione ESS, alle distribuzioni delle singole patologie del sonno ed al SDS sono state valutate mediante il test di Kolmogorov-Smirnov (KS). La presenza di EDS in relazione alla tipologia lavorativa (T e NT), il legame specifico tra occorrenza di IIT e presenza di EDS al momento dell’infortunio, ed il ruolo della EDS come causa/concausa dell’infortunio sono stati saggiati mediante il test del χ2. INTRODUZIONE Infortunio in itinere (IIT) è quello che si verifica a carico del lavoratore mentre percorre il tragitto che porta da casa al lavoro e viceversa. L’IIT, disciplinato in molte legislazioni straniere (1), per molti anni non è stato regolamentato dalla legislazione italiana. La lacuna legislativa è stata dapprima colmata dalla giurisprudenza ed infine dalla entrata in vigore del D.L. n. 38 23 del febbraio 2000 che, all’art. 12, definisce le caratteristiche dell’IIT in dettaglio e specifica il significato di “interruzioni e deviazioni necessitate” ivi compreso l’utilizzo di mezzo di trasporto privato. Una categoria particolare di lavoratori è costituita dagli operatori della Polizia di Stato e Penitenziaria, per i quali recentemente (marzo 2007) la Direzione Centrale Prestazioni dell’INAIL ha ribadito la propria competenza ai fini della tutela assicurativa nella speciale forma della “Gestione per conto dello Stato”, ai sensi dell’art. 127 del D.P.R. 1124/65 e del regolamento attuativo di cui al D.M. 10 ottobre 1985; ne consegue che, anche per tali lavoratori, è prevista la denuncia obbligatoria di infortunio all’INAIL inclusi gli IIT, da parte del datore di lavoro ai sensi dell’art. 53 del Testo Unico. Nei diversi Paesi europei l’IIT è regolamentato in modo non uniforme (1) ma, generalmente, ricade sotto l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro. Vi è peraltro ampio dibattito sull’opportunità che il datore di lavoro ne sostenga l’onere economico. Diversi Autori ritengono che l’attuale rischio non sia più legato, come ai primordi del processo di industrializzazione, al lungo tragitto che il lavoratore deve percorrere per recarsi al lavoro bensì all’increTabella I. Andamento infortuni mortali 2001 - 2006 (dati INAIL) mento del traffico e alla sua intrinseca pericolosità, che va oltre le possibilità di controllo del datore di lavoro. Nei Paesi industrializzati gli IIT rappresentano un problema socio-sanitario di estrema rilevanza: negli Stati Uniti nel corso del 2005 si sono verificati 5702 infortuni sul lavoro mortali, con un ritmo di circa 16 morti al giorno e di tali infortuni quelli in itinere, in particolare gli incidenti stradali, rappresentano il gruppo più numeroso. Complessivamente negli Stati Uniti i mezzi di trasporto hanno causato nel 2005 il 43% degli infortuni sul lavoro mortali e più della metà di questi eventi (58%) risulta essersi verificato in autostrada (2). In Italia nel medesimo anno gli IIT indennizzati dall’INAIL nei settori Industriale e dei Servizi sono stati 69.032 326 G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it Tabella II. Distribuzione degli IIT nelle categorie T e NT “andando” e “tornando” dal lavoro RISULTATI La distribuzione degli IIT, suddivisa nelle categorie “andando” e “tornando” dal lavoro, è riassunta in Tabella II. I T sono significativamente più giovani e con un’anzianità di servizio inferiore rispetto ai NT (test di KS, p<0.0001); nessuna differenza è emersa per gli indicatori delle varie patologie del sonno, né per il punteggio SDS. I soggetti patologici alla scala ESS (ESS>10) sono il 5.0% dei T vs il 6.1% dei NT, ma le due distribuzioni non differiscono significativamente (test di KS). Dalle risposte ricavate dal questionario, globalmente il 36% dei soggetti riporta EDS; i T lamentano più frequentemente EDS dei NT (43.4% vs 23.5%) e più attacchi di sonno (11.4% vs 7.5%). L’esistenza di una relazione altamente significativa fra le variabili “tipologia lavorativa” (T/NT) e “presenza di EDS” è confermata dal test χ2 (p<0.0001), mentre la relazione tra le variabili “tipologia lavorativa” (T/NT) e “attacchi di sonno” è risultata essere al limite della significatività (p=0.06). Durante il turno notturno il 26.2% dei T lamenta “spesso” EDS mentre nei turni serale, pomeridiano e mattutino le percentuali sono rispettivamente del 8.3%, 3.0% ed 8.5%. In relazione all’occorrenza dell’IIT, il 7.9% dei T e l’1.6% dei NT ammetteva EDS al momento dell’infortunio; il test χ2 ha saggiato la significatività della relazione (p=0.01). Il 6.4% dei T e lo 0.7% dei NT attribuisce l’occorrenza dell’IIT in qualche modo alla EDS, come unica causa, oppure insieme ad altre cause lavorative o extra-lavorative (test χ2 con correzione di continuità, p=0.03). DISCUSSIONE Dall’analisi dei nostri dati emerge che circa il 36% della popolazione esaminata lamenta EDS, in generale i T lamentano più EDS dei NT (43.4% vs 23.5%) e soprattutto durante il turno notturno (26% lamentano spesso EDS). Tali percentuali sono in accordo con i dati riportati da altri studi in letteratura (4, 9). Inoltre si conferma la maggiore sensibilità del questionario validato nel rilevare l’EDS rispetto alla ESS. La presenza di EDS al momento dell’IIT (7.9% dei T e l’1.6% dei NT), è risultata significativamente differente nei due gruppi. Tale differenza non è attribuibile a patologie del sonno (in base al questionario SDS nessuna differenza è emersa per gli indicatori delle varie patologie del sonno fra T e NT), ma sembra essere dovuta alle alterazioni del ciclo sonno-veglia connesse al lavoro a turni. Dai dati della letteratura emerge infatti come i T e i lavoratori notturni dormano in media un numero inferiore di ore nell’arco delle 24 ore rispetto ai NT, circa 6 ore al giorno, e presentino un maggior numero di incidenti sulla strada ed infortuni sul lavoro (11, 12). La deprivazione di sonno provoca EDS: questa condizione è riconosciuta essere una delle principali cause di errori ed incidenti in quanto in grado di compromettere il livello di vigilanza e quindi di performance (10). Anche secondo le risposte al questionario fornite dal nostro campione di T, la EDS avrebbe un ruolo significativo nell’occorrenza degli IIT. Tuttavia la deprivazione di sonno spiega solo in parte il maggior grado di EDS riferito dai T rispetto ai NT; più che le effettive ore di sonno per giorno il sistema di turnazione adottato potrebbe verosimilmente essere il vero responsabile dell’EDS alterando l’equilibrio fra processo omeostatico e circadiano con conseguente sfasamento del ritmo sonnoveglia (13,14). Questi risultati, nell’ambito degli infortuni sul lavoro, colmano una lacuna nella letteratura internazionale e, se confermati da successivi studi, potrebbero fornire elementi importanti per attuare idonee strategie preventive e normative volte alla tutela dei lavoratori e alla sicurezza pubblica. 5) 6) 7) 8) 9) 10) 11) 12) 13) 14) BIBLIOGRAFIA 1) Munich Re Group Publication, Commuting accidents. A challenge for workers’ compensation systems. h t t p : / / w w w. m u n i c h r e . c o m / p u b l i c a t i o n s / 3 0 2 04092_en.pdf. 2) CDC, Morbidity and Mortality Weekly Report. 2007; 56, 297-301. 3) Rapporto Annuale INAIL 2006. Statistiche, Parte Seconda, tab. 12. 4) Costa G., Shift Work and Occupational Medicine: an Overview. Occup Med 2003; 53:83-88. Rajaratnam S.M.W. and Arendt J., Health in 24-h society. The Lancet 2001; 358: 999-1005. Garbarino S. et al., Sleepiness and sleep disorders in shift workers: a study on a group of Italian police officers. Sleep 2002; 25 (6): 648653. Garbarino S, Nobili L, Beelke M, De Carli F, Ferrillo. The contributing role of sleepiness in highway vehicle accidents. Sleep 2001; 24, 2: 1-4. Johns M.W., Sleepiness in different situations measured by the Epworth Sleepiness Scale. Sleep 1994; 17 (8):703-710. Garbarino S, Lavoro a turno, notturno e salute. G Ital Med Lav Erg 2006; 28:1. K Murphy and N Delanty, Sleep deprivation: A clinical perspective. Sleep and Biological Rhythms 2007; 5: 2-14. Roehrs T, Carskadon M, Dement WC, Roth T. Daytime sleepiness and alertness. In: Kryger MH, Roth T, Dement WC, eds. Principles and Practice of Sleep Medicine, 3rd edn. W.B. Saunders: Philadelphia, 2000; 43-52. Richardson GS, Miner JD, Czeisler CA. Impaired driving performance in shiftworkers: the role of the circadian system in a multifactorial model. Alcohol Drugs Driving 1989-90; 5-6:265-73. Garbarino S. et al., Professional shift-work drivers who adopt prophylactic naps can reduce the risk of car accidents during night work. 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Dall’analisi dei dati del Registro Infortuni, è emersa una riduzione del numero totale di infortuni del 30% circa nel periodo esaminato, con una distribuzione non uniforme sulle diverse tipologie di infortunio. Gli infortuni più frequenti sono stati la puntura d’ago (25,8%), i traumi (22,9%) e gli infortuni in itinere (7,8%). Una tipologia di infortunio finora poco considerata sono le aggressioni. Gli infermieri professionali sono gli operatori più frequentemente coinvolti; mentre i reparti maggiormente interessati appartengono al Dipartimento Internistico. La prognosi media più prolungata è relativa agli infortuni in itinere (11,6 gior- G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it ni). Un aspetto finora poco analizzato sono la ripetitività degli infortuni nello stesso operatore: un’infermiera professionale ha subito ben 9 infortuni (di varia tipologia) nei 7 anni considerati. La riduzione degli infortuni è verosimilmente da attribuirsi all’efficacia delle attività di prevenzione intraprese nel periodo in esame. Gli infortuni a rischio biologico, per i quali è stato possibile attuare programmi di prevenzione, si sono marcatamente ridotti, mentre non altrettanto è avvenuto per quelli in itinere, dipendenti in modo rilevante da fattori esterni non facilmente eliminabili. Parole chiave: infortunio; rischio biologico; prevenzione ANALYSIS OF WORK ACCIDENTS DURING THE YEARS 1999-2006 IN A HOSPITAL COMPANY IN LOMBARDIA ABSTRACT. This study describe accidents occurred in the period between 1999 and 2006 in the Hospital of Cremona, in which about 2400 subjects operate. The analysis of Accident Register showed a reduction of about 30% of the total number of accidents during the examined period and a non homogeneous distribution of the various types of accidents. The most frequent accidents were prick (25.8%), trauma (22.9%) and “in itinere” accidents (7.8%). One type of accident has been little considered up to now: the aggressions. Professional nurses were the most frequently involved and the most affected units were those that belong to the Internal Medicine Department. “In itinere” accidents had the longest average prognosis (11.6 days). The repetition of accidents occurred to the same operator hasn’t been analysed before now: a professional nurse had nine accidents (of various type) in the seven years considered. Probably the reduction of accident must be attributed to the effectiveness of the prevention activities undertaken during the reviewed period. Biological accidents, for which it was possible to implement prevention programs, have been markedly reduced; it was not the same for “In Itinere” accidents, that depend significantly on external factors that are not easily dismissed. Key words: accident; biological risk; prevention 327 1.067 infortuni non biologici pari al 56,88% del totale e 809 infortuni biologici pari al 43,12% di tutti gli infortuni. Il maggior numero di infortuni è rappresentato dalle punture (484 su 1.876, 25,80% del totale). Le ferite sono per lo più di natura non biologica mentre i tagli sono quasi tutti di natura biologica, causati da strumenti chirurgici taglienti (bisturi, forbici contaminati da liquidi biologici). Su un totale di 7.685 giorni di prognosi, i giorni di prognosi per infortuni non biologici sono stati 7522 mentre quelli per infortuni biologici 163. L’Indice di Durata (numero giorni prognosi totale / numero infortuni totale * 1000) è 4,09. Gli eventi che in assoluto hanno determinato il maggior numero di giorni di prognosi sono i traumi (3.287 su 7.685 totali) cioè il 42,77% del totale. Al secondo posto la movimentazione manuale dei carichi, intesa sia come movimentazione di pazienti sia come movimentazione di oggetti (1.864 infortuni su 7.685, cioè il 24,26% del totale). Gli eventi che provocano una media maggiore di giorni di prognosi sono gli incidenti stradali (11,56 giorni), seguiti dai traumi (7,64) e dalla movimentazione manuale dei carichi (6,98). Dalla Tabella III emerge che gli infortuni sia biologici che non biologici si sono verificati più frequentemente nel personale con una anzianità di servizio superiore a 10 anni. La fascia di età più interessata agli infortuni è quella che va da 31 a 35 anni (381 infortuni su 1876). I giorni della settimana in cui accadono più frequentemente gli infortuni sono il lunedì e il mercoledì (rispettivamente il 18,4% e il 17,6% del totale). Tabella I. Numero Infortuni per anno e Indice di Infortunio INTRODUZIONE In Italia gli infortuni sul lavoro rappresentano un problema economico e di salute pubblica di notevoli dimensioni. Nell’ambiente di lavoro ospedaliero, la European Foundation individua, come principali rischi per gli operatori sanitari, la movimentazione manuale dei carichi, gli agenti biologici, le sostanze chimiche e le radiazioni, attribuendo proprio ad essi la maggiore responsabilità nella comparsa degli infortuni (L. Isolani 1999). Scopo di questo lavoro è di presentare l’andamento infortunistico dell’Azienda Istituti Ospitalieri di Cremona nel periodo 1999 - primo semestre 2006 descrivendone gli elementi salienti: infortuni più frequenti, operatori e reparti maggiormente interessati, giorni della settimana in cui accadono più frequentemente, giorni di prognosi. Materiali e Metodi L’Azienda Ospedaliera studiata comprende il Presidio Ospedaliero di Cremona con circa 1.600 dipendenti, il Presidio Ospedaliero Oglio Po di Casalmaggiore con circa 500 dipendenti e il Poliambulatorio Specialistico Ambulatoriale Territoriale con circa 230 dipendenti, per un totale di circa 2400 dipendenti. Tabella II. Numero infortuni Biologici e Non Biologici per anno di accadimento Per la raccolta dei dati sono stati utilizzati i registri infortuni dell’Azienda, analizzando tutti gli eventi infortunistici, indipendentemente dalla successiva loro valutazione da parte dell’INAIL. Nel registro infortuni sono molto numerose e diverse fra loro le voci raccolte nella colonna “natura dell’evento”; per questo nel conteggio sono stati “accorpati” gli eventi che potevano essere considerati tra loro analoghi. RISULTATI Nella tabella I è rappresentato il numero di infortuni per anno per numero di dipendenti oltre che l’Indice di Infortunio (numero infortuni / numero dipendenti * 1000). Gli infortuni passano da 303 nel 1999 a 199 nel 2005 e l’Indice di Infortunio passa da 123,32 nel 1999 a 83,93 nel 2005. Nella Tabella II si evidenzia che dal 1999 a giugno 2006 si sono verificati, su un totale di 1.876 infortuni, 328 G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it Tabella III. Numero di infortuni biologici e non biologici per anzianità lavorativa Gli infermieri professionali, che sono la popolazione lavorativa più numerosa in ospedale, rappresentano la categoria che ha più infortuni, 747 in totale, di cui 400 di natura biologica (49,44%) e 347 di natura non biologica (32,52%). In particolare si è verificata la maggior incidenza di infortuni da movimentazione manuale dei carichi (107 su 267). Le U.O. del Dipartimento Internistico sono quelle in cui si verifica il maggior numero di infortuni (648 cioè 34,54% del totale). Un numero inferiore di infortuni (426, ossia 22,70% del totale) si verifica nei reparti chirurgici nel loro insieme. Sono stati valutati anche i casi di ripetuti infortuni nei dipendenti. Citiamo il caso di una infermiera di un reparto psichiatrico con 9 infortuni: 3 traumi, 3 aggressioni, 2 punture e 1 ustione. DISCUSSIONE La valutazione del fenomeno infortunistico nell’ambito delle Aziende Sanitarie e Ospedaliere è uno strumento indispensabile per verificare lo stato di benessere del lavoratore e per programmare interventi preventivi nell’ottica della riduzione del fenomeno infortunistico, sia in termini di frequenza che di gravità e di promozione della salute. Mentre i dati della letteratura(P.Boccalon et al. 2000), affermano che in ambiente ospedaliero sono più numerosi gli infortuni di natura biologica, nell’Azienda Ospedaliera studiata il numero di infortuni non biologici è prevalente, anche se il numero delle punture d’ago è superiore a quello di tutti gli altri infortuni. È possibile che, per difetto di comunicazione del dipendente, il numero degli infortuni biologici sia qui sottostimato, poiché non comportano alcun giorno di assenza dal lavoro. Un’analoga sottostima può riguardare il numero di giorni di prognosi degli infortuni, poiché non sempre sul registro infortuni veniva segnalato un eventuale prolungamento della malattia. Nell’Azienda Ospedaliera il maggior numero di infortuni si è verificato in personale con un’anzianità lavorativa superiore a 10 anni, mentre in letteratura (P.Boccalon et al. 2005) si evidenzia che un maggior rischio nei primi anni di lavoro e progressivamente una attenuazione. Osservando l’andamento del fenomeno infortunistico nei diversi giorni della settimana è interessante notare che i primi giorni della settimana sono quelli caratterizzati dalle frequenze più elevate e ciò potrebbe essere interpretato come l’effetto protratto della “sindrome del lunedì”. In accordo con altri autori (P.A.Preite 2000) la qualifica professionale più interessata agli infortuni è rappresentata dal settore sanitario ed in particolare da infermieri e medici In relazione all’alta incidenza, negli infermieri, di infortuni muscoloscheletrici si è resa necessaria una revisione delle manovre di sollevamento e movimentazione dei pazienti. Nel periodo considerato sono stati organizzati all’interno della struttura ospedaliera vari corsi di formazione per i dipendenti con buoni riscontri pratici. Tutto il personale è stato formato da parte dei medici competenti del Servizio Sanitario Aziendale in collaborazione con terapisti della riabilitazione.(A.M.Cirla et al 2005). CONCLUSIONI 1) Nota positiva: gli infortuni in ambito ospedaliero hanno una loro incidenza, ma il fenomeno in generale è in riduzione; 2) Criticità: esistono infortuni più problematici da controllare (es. in itinere), e la loro incidenza non accenna a ridursi in modo significativo; 3) Spunto di riflessione: gli infortuni “emergenti”(infortuni ripetuti, aggressioni) meritano attenzione e una valutazione delle possibili azioni preventive; 4) Riflessioni conclusive: la tipologia infortunistica “tipica”(es. rischio biologico, ma anche altri rischi lavorativi) è in netta riduzione, e questo suggerisce che: a) gli interventi effettuati sono stati efficaci; b) vale la pena estendere gli interventi a tutti gli infortuni, anche se alcune tipologie, e gli interventi preventivi da attuare, sono ancora tutti da studiare. Sicuramente l’attuazione, da parte del Servizio Sanitario Aziendale, di uno specifico programma di formazione ed informazione dei singoli lavoratori e dei gruppi omogenei ha portato alla riduzione del fenomeno infortunistico nell’azienda Ospedaliera studiata ed ha sicuramente rappresentato uno stimolo per gli operatori a porre maggiore attenzione nelle loro pratiche quotidiane. BIBLIOGRAFIA Boccalon P., Niccolini F., Laguardia F., Rizzardini L., Focardi L. “Andamento del Fenomeno Infortunistico in un’Azienda Ospedaliera” Atti 63° Congresso Nazionale Società Italiana di Medicina del Lavoro e Igiene Industriale. Sorrento, 8-11 Novembre 2000. Folia Med. 71(S3): 95,100. Boccalon P., Arcangeli G., Cupelli V. “Analisi del Fenomeno Infortunistico in un’Azienda Ospedaliera” Atti 68° Congresso Nazionale della Società Italiana di Medicina del Lavoro e Igiene Industriale Parma 2005 Cirla A.M., Fazioli R., Antoniazzi E., Galli L. “Ergomotricità: una tecnica di prevenzione personale nel rischio posturale professionale” Atti 68° Congresso Nazionale della Società Italiana di Medicina del Lavoro e Igiene Industriale Parma 2005, 276-277 Gobba F. “Rischi professionali in ambito ospedaliero” Milano: McGrawHill Libri Italia, 1999. Isolani L., Saggese S., Roveran G., Piccoli M., Raffi G.B., Violante F. “Salute e Sicurezza nel Settore Ospedaliero - Analisi del Fenomeno Infortunistico” Lavoro e Medicina 613-616 Atti 62° Congresso Nazionale della Società Italiana di Medicina del Lavoro e Igiene Industriale Genova 1999 Melloni P., Gobba F. “Andamento del fenomeno infortunistico nel periodo 1998-2001 in un’Azienda Sanitaria della Regione Lombardia” G Ital Med Lav Erg 2001; 23:3, 386 Preite P.A., Corrao R.N.C., Durante C., Federici F., Carassiti S.,Paolucci M.,Tomei F. “Infortuni in Ambiente Ospedaliero” Atti 63° Congresso Nazionale Società Italiana di Medicina del Lavoro e Igiene Industriale. Sorrento, 8-11 Novembre 2000. Folia Med. 2000; 71(S3):109-114. COM-05 GLI INFORTUNI IN SANITÀ: L’ESPERIENZA DELL’AZIENDA OSPEDALIERO UNIVERSITARIA CAREGGI P. Boccalon, A. Piccioli, M. Montalti, G. Arcangeli, V. Cupelli SOD Medicina del Lavoro, Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi, Firenze RIASSUNTO. Nel periodo 1/1/1995-31/12/2006 nell’Azienda Ospedaliero-Universitaria sono stati denunciati 4941 infortuni che hanno coinvolto 2951 lavoratori (28,9% del totale dei lavoratori presenti nel periodo). I lavoratori infortunati presentano un’età ed un’anzianità lavorativa significativamente maggiori dei non infortunati, nei primi anni di lavoro non si evidenza una frequenza di eventi superiore a quella dei periodi successivi. I lavoratori che presentano una frequenza di infortuni maggiore sono i lavoratori che operano in cucina, la metà dei quali presenta almeno un infortunio nel periodo, ed il 7,2% denuncia più di 0,6 G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it 329 infortuni per anno-persona; le coseguenze maggiori sono però a carico degli autisti che registrano 8,6 giorni di infortunio per anno-persona. Gli infortuni che presentano le conseguenze maggiori sono gli infortuni in itinere, che provocano la perdita di 36,28 giornate lavorative per 100 annipersona, seguiti dagli infortuni durante lo spostamento del personale (23,48 giorni/100 anni-persona) e dagli infortuni da sollevamento (18,42 giorni/100 anni-persona). Solo 154 lavoratori presentano più di 0,6 infortuni per anno-persona. Per un campione di infortuni è stato possibile ricostruire l’orario di accadimento; il 94% avviene tra le 7 e le 20; il 58% degli infortuni avviene andando al lavoro Parole chiave: infortuni sul lavoro, operatori sanitari ACCIDENTS IN HEALTH CARE WORKERS: THE EXPERIENCE FROM THE CAREGGI TEACHING HOSPITAL ABSTRACT. In the last eleven years in the Careggi Hospital 4941 occupational accident has been registered, and 2951 workers were involved (28.9% of the total of the workers present in the period). The highest frequency of accident has been registered within the cooking staff, about one half of whom had an accident, and 7.2% more than 0.6 accident for person-year; the more serious consequences were registered for traffic accident, more than half happened coming to the workplace before the beginning of the work. Only 154 workers registered more than 0.6 accidents for person-year. Key words: occupational accidents, health care workers Nel periodo esaminato la tipologia degli infortuni appare sostanzialmente stabile con l’eccezione degli infortuni in itinere, che mostrano un progressivo incremento a partire dal 2000, spiegabile con l’emanazione del D.Lgs 38/2000 che modificava i criteri per l’indennizzo, e degli infortuni da manipolazione di oggetti appuntiti o taglienti (lame-vetri) che, dopo la progressiva crescita dall’inizio al 2001, evidenziano una costante riduzione. I dati sono riassunti nella Tabella II. Il rapporto tra infortuni denunciati e 1000 anni-persona, suddiviso nei vari anni, è riportato nella tabella III; poiché la composizione della popolazione non mostra significative modificazioni per quanto riguarda il mix di mansioni, le modificazioni nella frequenza degli infortuni sono riferibili ad altri fattori. La presenza di soggetti che denunciano più di un infortunio nel periodo di osservazione è particolarmente limitata, oltre l’80% denuncia meno di 3 infortuni e solo il 3% denuncia più di cinque infortuni nel periodo di osservazione. Oltre il 45% della popolazione degli infortunati presenta più di 10 anni persona di ossevazione, mentre circa il 43% dei lavoratori che non hanno subito infortuni presentano meno di 4 anni persona di osservazione (tabella IV). La verifica dell’anzianità e dell’età alla fine del periodo di osservazione tra la popolazione degli infortunati e quella dei non infortunati, sono confrontabili, si possono escludere quindi fenomeni di distorsione legati alla durata del periodo di osservazione. Il 29% dei lavoratori presenti nel periodo ha subito infortuni; tra questi, 1802 (61,1%) denunciano tra 0,1 e 0,2 infortuni/anno-persona; 706 (23,9%) tra 0,3 e 0,4; 289 (9,8%) tra 0,5 e 0,6; 69 (2,3%) tra 0,7 e 0,8; 74 (2,5%) tra 0,9 e 1; 10 (0,4%) più di 1 infortunio per anno/persona. Raggruppando i lavoratori in funzione della frequenza degli infortuni per anno-persona e per mansione appare evidente come il rischio infortunistico In italia vengono denunciati ogni anno poco meno di 1.000.000 di infortuni, dei quali circa 1300 sono mortali. Il comparto sanitario non appare tra i più pericolosi per quanto riguarda il fenomeno infortunistico tuttavia contribiusce ad esso in maniera non trascurabile in funzione dell’elevato numero di addetti. Il settore sanitaTabella I. Caratteristiche dellla popolazione esaminata [*p<0,001] rio occupa infatti circa 800.000 addetti, 34.000 dei quali restano ogni anno coinvolti in infortuni. Si tratta di lavoratori che per la maggior parte presentano professionalità molto sviluppate, pertanto la loro assenza dal lavoro, oltre che critica per la qualità della risposta sanitaria verso i pazienti, presenta rilevanza economica non trascurabile. Il lavoro prende in considerazione il fenomeno infortunistico nell’Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi per verificare la possibilità di adottare strategie preventive che consentano di ridurre il fenomeno. MATERIALI E METODI Lo studio ha riguardato il periodo 1/1/199531/12/2006; dal registro infortuni dell’Azienda sono stati esaminati gli infortuni denunciati nel periodo; sono stati identificati anche i lavoratori presenti in Azienda nello stesso periodo, ottenendo gli anni-persona di osservazione per ciscun lavoratore. Per ciascun infortunio sono stati considerati i seguenti parametri: nominativo, età e anzianità lavorativa; qualifica professionale, agente materiale, cause circostanze accadimento, durata infortunio. Non sono stati considerati il luogo di accadimento, in quanto le profonde trasformazioni sul piano edilizio ed organizzativo che hanno coinvolto l’ospedale avrebbero reso poco confrontabili i dati; non è stato inoltre considetato il tipo di definizione, ovvero se l’infortunio è stato indennizzato o meno dall’INAIL, in quanto e finalità dello studio sono di tipo preventivo e non medico-legale. Per gli Infortuni denunciati dopo il 16/05/2006, per i quali la denuncia viene fatta on line, sono valutati anche: ora solare; ora ordinale; turno di notte; tipologia del contratto. RISULTATI La popolazione coinvolta nello studio è risultata di 10231 lavoratori, 2981 dei quali sono stati coinvolti in almeno un infortunio nel periodo esaminato; le caratteristiche della popolazione sono riassunte in talella I. I lavoratori infortunati presentano un età ed un’anzianità lavorativa significativamente maggiore dei lavoratori non infortunati (p<0,001). Tabella II. Tipologia degli infortuni negli anni (valori percentuali) Tabella III. Infortuni per 1000 anni persona, suddivisi nei vari anni 330 G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it Tabella IV. Distribuzione degli anni persona Tabella V. Frequenza infortuni per mansione Tabella VI. Giorni persi per infortunio/anni persona per qualifica Tabella VII. Giorni persi per infortunio/anni persona per qualifica si concentri in alcune mansioni molto più di altri, in particolare il 50% degli operatori di cucina denuncia almeno un infortunio ed il 7,2% addirittura più di 0,6 infortuni per anno-persona (tabella V). Le conseguenze degli infortuni, misurate in termini di giornate lavorative perse, appaiono non trascurabili; nel complesso sono state perse 78232 giornate lavorative, con una media di 3,2 giornate per anno-persona. Per alcune categorie di lavoratori il numero di giorni persi per infortunio per ciascun anno persona di osservazione risulta notevolmente maggiore rispetto alle altre (tabella VI). La mansione che preenta infortuni con conseguenze più gravi rispetto alle altre è quella degli autisti, che presentano 8,6 giornate lavorative per anno-persona, seguita dai commessi/portieri che presenta 5,2 giornate lavorative per anno-persona e gli operatori di cucina che ne presentano 5,1; la categoria altri, nella quale sono raggruppate molte mansioni molto disomogenee tra loro presenta, in proporzione, un elevato numero di giornate lavorative perse causa del limitato numero di anni-persona di osservazione (solo 293). Le conseguenze degli infortuni differiscono notevolmente in funzione della loro tipologia (tabella VII), le conseguenze peggiori sono provocate dagli infortuni in itinere, che portano ad una perdita di oltre 36 giornate lavorative per anno persona, seguite dagli infortuni legati allo spostamento del personale, che porta ad una perdita di circa 23 giornate lavorative per anno persona e dagli infortuni legati al sollevamento di oggetti o pazienti, che portano alla perdita di 18 giorni per anno persona. Per gli infortuni denunciati dopo il 15/6/2006 è stato possibile analizzare anche l’ora di accadimento dell’infortunio e la tipologia del contratto del lavoratore. Il campione è costituito da 137 infortuni, 124 dei quali (90,5%) in lavoratori di ruolo full-time, 8 (5,8%) in lavoratori con contrtto di lavoro a tempo definito e 4 (2,9%) in lavoratori di ruolo con orario part time. La tipologia degli infortuni del campione è sovrapponibile a quella degli infortuni denunciati nel 2006 e di poco differente dal totale degli infortuni. Per 126 infortuni è stato possibile rilevare l’ora di accadimento; il 94% è accaduto tra le 7 e le 20. Per quanto riguarda l’ora ordinale, ovvero le ore di lavoro trascorse dall’inizio del lavoro, per 105 infortuni (83,3%) è stato possibile risalire attendibilmente all’ora di accadimento; il 36,2% avviene nelle prime quattro ore di lavoro, e poco più del 31% nelle successive 4 ore, e poco meno del 29% prima dell’inizio del lavoro. Il 38% del campione di infortuni è costituito da infortuni in itinere, oltre l’80% dei quali avviene con l’utilizzo del mezzo privato, 28 (58,3%) dei quali sono avvenuti nel percorso tra casa e lavoro, prima di entrare al lavoro (tabella VIII); circa la metà degli infortuni in itinere nel percorso per raggiungere il lavoro avviene prima del turno del mattino, mentre circa la metà di quelli che avvengono nel tornare a casa avviene tra le 13 e le 14, alla fine del turno del mattino Gli infortuni da spostamento non mostrano particolari picchi di accadimento né per quanto riguarda l’ora solare che l’ora ordinale. Per quanto riguarda gli infortuni da sollevamento oltre il 50% avviene tra la 4° e la 6° ora di lavoro; solo 2 su 14 nel turno di pomeriggio, nessuno nel turno di notte. Per quanto riguarda gli infortuni avvenuti durante il trasporto di materiale, oltre il 60% avviene durante il turno del mattino ed oltre il 50% nelle prime 4 ore di lavoro. La sottopopolazione rappresentata dai soggetti che presentano più di 0,6 infortuni per anno persona è costituita da 153 lavoratori con 454 infortuni, dei quali 69 (45,1%) presentano un tasso tra 0,7 e 0,8 infortuni per anno persona, 74 (48,4%) tra 0,9 e 1 infortunio per anno persona e solo 10 (6,5%) più di 1 infortunio per anno-persona. La tipologia degli infortuni nei tre sottogruppi è riassunta in tabella IX. G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it Tabella VIII. Infortuni in itinere per mezzo utilizzato e per direzione del tragitto Tabella IX. Infortuni per anno persona per agente materiale La sottopopolazione di soggetti che presentano più di 0,6 infortuni/anno-persona può essere suddivisa ulteriormente in tre sottogruppi: – 36 soggetti che presentano un infortunio nell’unico anno-persona di osservazione; – 10 soggetti che presentano più di un infortunio per anno-persona; – 107 soggetti che presentano più di di un anno-persona di osservazione e fino ad 1 infortunio per anno persona. Tra i 36 soggetti che hanno un solo infortunio nell’unico anno-persona di osservazione, il 33,3% denuncia un infortunio da manipolazione di oggetti taglienti o acuminati, il 22,2% infortunio in itinere ed il 13,9% da sollevamento di materiali. Tra i 10 soggetti che presentano più di un infortunio per anno-persona, il 22,9% denuncia infortuni da sollevamento di materiali, mentre solo il 17,1% da manipolazione di oggetti taglienti o acuminati. CONCLUSIONI Il fenomeno infortunistico nell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi mostra un andamento sostanzialmente stabile nel tempo, sovrapponibibile a quello delle strutture sanitarie italiane paragonabili per tipologia e dimensioni, anche se i contributi scientifici sull’argomento sono estrememente limitati. Contrariamente a quanto emerso in altri studi sul fenomeno infortunistico in generale, nei primi anni di lavoro non si evidenza una frequenza di eventi superiore a quella dei periodi successivi. L’entità del rischio infortunistico, ovvero la probabilità di subire un infortunio durante l’attività lavorativa, non è omogeneamente distribuita tra tutte le figure professionali presenti, ma si concentra nelle figure che svolgono attività più pericolose dal punto di vista infortunistico (gli autisti) o più impegnative dal punto di vista fisico (gli operatori tecnici ed il personale di cucina) 331 Gli eventi infortunistici maggiormente rappresentati sono correlati alla manipolazione di oggetti acuminati o taglienti, ma la gravità delle conseguenze di questi infortuni, calcolata in termini di giornate lavorative perse, è estremamente limitata anche per il personale di cucina. Gli eventi che provocano conseguenze più gravi sono gli infortuni in itinere, per i quali tuttavia è difficile identificare all’interno dell’Azienda una strategia preventiva, essendo determinati da fattori esterni al controllo dell’Azienda. Non sembra inoltre che l’organizzazione del lavoro possa modificare il fenomeno (la maggior parte degli eventi avviene prima che il lavoratore giunga al posto di lavoro); inoltre va segnalato che il fenomeno risente dei provvedimenti legislativi intervenuti nel periodo di studio che hanno significativamente modificato i criteri per l’indennizzabilità dell’infortunio in itinere. È stata identificata una piccola sottopopolazione di lavoratori che sembra presentare una frequenza di infortuni superiore a quella degli altri lavoratori; la tipologia di infortunio più frequente in questa popolazione è rappresentata dall’infortunio da sollevamento e, rispetto alla popolazione generale, è presente una maggiore frequenza di infortuni durante lo spostamento del personale e ricadute. 332 SESSIONE AMIANTO COM-01 MESOTELIOMA DI ORIGINE PROFESSIONALE: STUDIO DEI CASI OSSERVATI PRESSO LA SEZIONE DI MEDICINA DEL LAVORO E TOSSICOLOGIA OCCUPAZIONALE DELL’UNIVERSITÀ DI SIENA NEGLI ANNI 2000-2007 L. Montomoli1, M. Spisso1, R. Romeo1, D.Spina2, C. Ghiribelli3, P. Sartorelli1 1Sezione Dipartimentale di Medicina del Lavoro e Tossicologia Occupazionale Università degli Studi di Siena 2U.O.C. Anatomia Patologica 1 Azienda Ospedaliera Universitaria Senese 3U.O.C. Chirurgia Toracica Azienda Ospedaliera Universitaria Senese Corrispondenza: Dott.ssa Montomoli Loretta, Sezione Dipartimentale di Medicina del Lavoro e Tossicologia Occupazionale Università degli Studi di Siena, Policlinico Santa Maria alle Scotte, Viale Bracci 1, Tel: 0577 586768, Fax: 0577 586159, e-mail: [email protected] RIASSUNTO. Negli ultimi anni in Italia vi è stata una marcata crescita di mesoteliomi pleurici attribuibile alla massiccia diffusione dell’asbesto degli anni 1950-1960. Scopo dello studio è stato valutare la diffusione di tale patologia nella zona senese. Sono stati esaminati 30 pazienti affetti da Mesotelioma Maligno. Per 28 la diagnosi di certezza è stata fatta utilizzando i referti dell’esame istologico/immunoistochimico. Marcatori utilizzati come indicatori di malattia sono stati la vimentina, l’antigene epiteliale di membrana (EMA), la calretinina, le citocheratine 5/6. Nel gruppo studiato i tipi istologici più rappresentati erano l’Epitelioide e il Bifasico. L’esposizione ad asbesto è risultata professionale per 23 soggetti. Il tempo intercorso tra la prima esposizione e la diagnosi era superiore ai 40 anni in 12 casi. Insieme ai settori di attività tipicamente propri della lavorazione dell’amianto, emergono settori di produzione in passato poco valutati, rappresentati per lo più dall’edilizia, dall’installazione di impianti idraulici ed elettrici, dal lavoro presso le centrali termoelettriche. La legge n. 257/92 ha proibito in Italia l’estrazione, l’importazione, la lavorazione, l’utilizzazione e la commercializzazione dell’amianto. L’applicazione di tale provvedimento legislativo ha di fatto eliminato la possibilità di un’esposizione ad amianto in numerose lavorazioni. Parole chiave: mesotelioma, esposizione ad asbesto, lavori di ristrutturazione WORK RELATED MESOTHELIOMA: ANALYSIS OF CASES DISCOVERED AT THE SECTION FOR OCCUPATIONAL MEDICINE AND TOXICOLOGY OF SIENA UNIVERSITY DURING THE YEARS 2000-2007 ABSTRACT. This study focuses on the spread of mesothelioma in Siena. The population consisted of 30 patients. The diagnosis was made through histopathological and immunoistochemical or cytological and immunoistochemical analisys. The association between malignant masothelioma and exposure to asbestos was deduced by the occupational history. The mesothelioma was noted both in traditional industries and other jobs such as the chain of manifacture, plumbers, electricians, carpenters, installers of asbestos insulation and construction workers. Thus it is possible to find other malignant and nonmalignant asbestosrelated diseases more frequently than mesothelioma. There is an evident risk in rebuilding, so the development of new cases due to these exposures is expected. Key words: Mesothelioma; asbestos exposure; rebuilding work INTRODUZIONE Negli ultimi anni è in atto in Italia una marcata crescita dei mesoteliomi pleurici ricollegabile in massima parte alla massiccia diffusione G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it dell’asbesto che si è avuta negli anni 1950-1960 e che ha raggiunto il suo picco nel corso degli anni 1970 (1). Tale minerale è stato infatti impiegato in numerosi settori lavorativi e in circostanze ancora oggi non sempre conosciute. Questo dipende, in parte, dalla difficoltà di evidenziare modalità di esposizioni professionali lontane nel tempo e non infrequentemente ignote anche al lavoratore stesso. La difficoltà di riconoscere la storia lavorativa dei soggetti, per valutare l’eventuale pregressa esposizione, deriva spesso dalla lunga latenza della malattia e dal decesso o dalle precarie condizioni di salute dei pazienti che limitano la raccolta diretta di adeguate informazioni. Del resto, quando risulta possibile disporre di anamnesi più approfondite o di informazioni più precise sui luoghi dove hanno lavorato, spesso è possibile evidenziare esposizioni ad amianto atipiche e talvolta occulte (2). Nel periodo 1988-2003 sono stati registrati presso l’Archivio Regionale Toscano dei Mesoteliomi Maligni (ARTMM) complessivamente 694 casi. I settori produttivi con maggior numero di casi risultano essere la cantieristica navale, la costruzione/riparazione e uso di materiale rotabile ferroviario, la cernita di stracci e l’edilizia (3). Scopo dello studio è stato valutare, attraverso una casistica ospedaliera di mesoteliomi, la diffusione di tale patologia nella zona senese, dove le attività che richiedevano l’uso dell’amianto come materia prima erano assai meno frequenti ed importanti rispetto ad altre zone della Toscana. SOGGETTI E METODI Soggetti Sono stati esaminati 30 pazienti affetti da Mesotelioma Maligno (27 maschi e 3 femmine, età media 68 ± 7,2 anni) segnalati alla Sezione di Medicina del Lavoro e Tossicologia Occupazionale da altri reparti dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Senese nel periodo compreso tra il Gennaio 2000 e il Settembre 2007. Metodi Per 28 pazienti affetti da Mesotelioma pleurico la diagnosi di certezza è stata formulata utilizzando i referti dell’esame istologico/immunoistochimico di prelievi bioptici in corso di videotoracoscopia (VATS) o post intervento chirurgico (pleurectomia/decorticazione). In due casi la diagnosi è stata possibile solo con esame citologico/immunoistochimico (liquido pleurico in un caso e liquido ascitico nell’altro). La vimentina, l’antigene epiteliale di membrana (EMA), la calretinina, le citocheratine 5/6 sono stati i marcatori principalmente adoperati come indicatori di malattia (4). La consulenza specialistica di Medicina del Lavoro è stata finalizzata alla raccolta di dati relativi all’attività lavorativa e nei casi dubbi per l’origine professionale, anche di quelli relativi alla storia familiare, militare e residenziale ed alle abitudini di vita. Al fine di rilevare eventuali esposizioni in più periodi lavorativi e/o comparti e/o mansioni diverse, l’esposizione è stata valutata e attribuita ad ogni periodo lavorativo svolto dal soggetto. Secondo quanto previsto dalle Linee guida per la rilevazione e la definizione dei casi di mesotelioma maligno, qualora fossero state presenti esposizioni in periodi lavorativi diversi, è stata assegnata come prevalente quella presumibilmente più elevata, mentre se erano attribuibili allo stesso comparto e/o alla stessa mansione è stata privilegiata la prima in ordine temporale (5). Data la lunga latenza della neoplasia, non sono state considerate prevalenti quelle avvenute a meno di dieci anni dalla data della diagnosi, anche se classificate come certe. Per i casi per i quali è stato possibile accertare l’origine professionale, si è provveduto ad ottemperare agli obblighi medico-legali e a valutare, a distanza variabile di tempo, presso le sedi INAIL competenti, l’esito del procedimento. RISULTATI Nel gruppo studiato il tipo istologico era rappresentato in 15 casi da Mesotelioma Pleurico Maligno Epitelioide, in 10 casi da Mesotelioma Pleurico Maligno Bifasico, in 4 casi da Mesotelioma Pleurico Maligno Sarcomatoide ed in 1 caso da Mesotelioma Peritoneale Maligno Epiteloide. L’esposizione ad asbesto è stata definita professionale per 23 soggetti, familiare in un caso, extralavorativa in un altro e per i rimanenti 5 casi improbabile in quanto non è stato possibile riconoscere sia in ambito lavorativo che extralavorativo una possibile fonte di esposizione. G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it 333 In 1 caso la positività dell’anamnesi era suffragata anche da concentrazioni di fibre d’asbesto nel liquido di lavaggio broncoalveolare (BALF) pari a 765 ff/ml ed in un altro anche dalla documentazione di corpuscoli d’asbesto nel tessuto polmonare (analisi solo istologica). In 9 casi si è trattato di esposizioni non solo collegate all’uso di amianto come materia prima, ma alla contemporanea presenza del materiale nei cicli produttivi e negli ambienti di lavoro. Nella maggior parte dei pazienti la prima esposizione era avvenuta negli anni 1950-1960. L’anzianità lavorativa media era di 39,56 ± 6 anni. Il tempo intercorso tra la prima esposizione e la diagnosi, il cosiddetto periodo di latenza, era superiore ai 40 anni in 12 casi, con valore medio 47,95 ± 8,29 anni. Il quadro complessivo delle esposizioni professionali che avevano prodotto la neoplasia risultava altamente differenziato e comprendeva numerosi settori lavorativi (Tabella I). Relativamente al riconoscimento da parte degli enti assicuratori in 15 casi ha avuto esito positivo, 3 casi non sono stati indennizzati, e 4 sono ancora da definire (Figura 1). Dei 3 casi non indennizzati, 2 erano edili ed 1 era un orefice. Nel caso degli edili l’origine professionale era stata negata perché non era stato possibile considerare la loro esposizione superiore ai livelli del cosiddetto “fondo naturale ambientale”, mentre per l’orefice decadeva in sede amministrativa perché appartenente ad una categoria (commerciante) non soggetta ad assicurazione obbligatoria. L’ultimo caso dei 23 considerati professionali non è stato gestito dall’INAIL in quanto il soggetto svolgeva la sua attività professionale presso l’Arsenale Militare, sia pure come civile, per cui il paziente ha inoltrato domanda di Causa di servizio. Nel caso dell’esposizione familiare, si trattava di una donna che era solita lavare le tute da lavoro del figlio esposto ad amianto nell’ambito Tabella I. Casi di neoplasia professionale per settore lavorativo Settori lavorativi Soggetti Edilizia/carpenteria 5 Installazione impianti idraulico-sanitari 2 Installazione impianti elettrici 3 Centrali geotermiche/termoelettriche 3 Produzione cemento-amianto 2 Cantieristica navale 1 Arsenale navale 1 Costruzione e riparazione rotabile ferroviario 1 Oreficeria 1 Tessile 1 Raffineria 1 Fornace 1 Pubblica sicurezza 1 Figura 1. Casi valutati dall’INAIL dell’attività di meccanico di auto da competizione. Il caso considerato extraprofessionale era rappresentato da un soggetto che nel tempo libero si occupava di riparazioni idrauliche. I 5 casi per i quali in base alle informazioni disponibili la patologia non era riferibile all’attività professionale avevano svolto l’attività di sarto, impiegato, falegname, addetta al maglificio e conciatore. DISCUSSIONE Insieme ai settori di attività tipicamente propri della lavorazione dell’amianto, quali la produzione di manufatti in cemento amianto, la cantieristica navale e la produzione e la manutenzione di rotabili ferroviari, emergono settori di produzione in passato poco valutati, definibili come “utilizzatori a valle” (6,7), nel senso che non impiegavano l’amianto come materia prima, ma come materiale ausiliario. Questi ultimi sono rappresentati per lo più dall’edilizia, dall’installazione di impianti idraulici ed elettrici, dal lavoro presso le centrali termoelettriche. La casistica esaminata interessa non solo la zona di Siena, ma anche altre province della Toscana, in particolare della Toscana Sud (Arezzo e Grosseto) ed altre Regioni. Alla luce dei risultati osservati non si comprende come interi settori, in particolare l’edilizia e l’installazione di impianti idraulici ed elettrici, nei quali peraltro la presenza del rischio è nota storicamente, non vengano solitamente presi in considerazione nei programmi di sorveglianza sanitaria degli ex esposti ad asbesto. È presumibile poi che in questo ambito, accanto a rari mesoteliomi, si possano riscontrare patologie neoplastiche e non neoplastiche meno rare. Con l’emanazione della legge n. 257/92 è stata proibita in Italia l’estrazione, l’importazione, la lavorazione, l’utilizzazione e la commercializzazione dell’amianto. L’applicazione a livello nazionale di tale provvedimento legislativo ha di fatto eliminato la possibilità di un’esposizione ad amianto in numerose lavorazioni. Allo stato attuale però il rischio da asbesto permane in alcuni settori quali l’edilizia, ma anche l’installazione di impianti idraulici ed elettrici, nei quali sono previsti interventi di vario tipo (manutenzione, sostituzione, demolizione) che coinvolgono strutture, impianti o costruzioni realizzati negli anni precedenti l’emanazione della legge. Nel territorio senese ed in generale Toscano, sono proprio i lavori di ristrutturazione che costituiscono una parte molto importante del settore edile. La tendenza della neoplasia ad interessare questa categoria di lavoratori è confermata anche nel secondo rapporto del Registro Nazionale Mesoteliomi pubblicato dall’ISPESL. Infine, considerando che anche esposizioni di lieve entità possono provocare la comparsa del mesotelioma, non si può escludere la futura comparsa di nuovi casi attribuibili alle attuali esposizioni. BIBLIOGRAFIA 1) Marinaccio A., Montanaro F., Mastrantonio M., e coll.: Predictions of mortalità from pleural mesothelioma in Italy: a model based on asbestos consumption figures supports results from age-cohort models. Int. J. Cancer 115: 142-147, 2005 2) Lombardi S., Girelli R., Barbieri P.G.: Mesoteliomi pleurici da insolita e ignorata esposizione professionale ad amianto. Ruolo dei servizi territoriali di prevenzione nell’individuazione della pregressa esposizione lavorativa. Medicina del lavoro 96: 426-31, 2005 3) Costantini A., Gorini G., S. Silvestri, Cacciarini G., Badiali A.M.: Breve resoconto sulla casistica 1988-2003. Archivio Regionale Toscano dei Mesoteliomi Maligni. Firenze, 2003 4) Travis W.D., Brambilla E., Müller-Hermelink H.K., Harris C.C.: Classification of Tumours. Pathology and Genetics of Tumours of the Lung, Pleura, Thymus and Heart. (Eds) WHO, Lyon, IARC Press, 2004 5) Marinaccio A., Nesti M., Gorini G., Musti M., e coll.: Linee guida per la rilevazione e la definizione dei casi di mesotelioma maligno e la trasformazione delle informazioni all’ISPESL da parte dei Centri Operativi Regionali. Seconda edizione. Roma, ISPESL, 2004 6) Marinaccio A., Nesti M., Massari S., Scarselli A.: Sistemi di Sorveglianza Nazionale in tema di cancerogenesi professionale: il ruolo dell’Ispesl. In: Ex esposti a cancerogeni occupazionali: quale prevenzione? Roma, ISPESL, 2006 7) Marinaccio A., Cauzillo G., Chellini E., Montanaro F., Silvestri S., Gorini G., e coll: Registro Nazionale dei Mesoteliomi. Secondo rapporto. Roma, ISPESL, 2006 334 COM-02 MESOTELIOMA MALIGNO (MM) NEL SESSO FEMMINILE: DATI DEL REGISTRO MESOTELIOMI DELLA REGIONE FRIULI VENEZIA GIULIA R. De Zotti, A. Damian, A. Muran* §§ SC Medicina del Lavoro. Azienda Ospedaliero-Universitaria “Ospedali Riuniti di Trieste”, Via Pietà 19 34129 Trieste * SC Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro - Azienda per i Servizi Sanitari Triestina, Piazzale Canestrini, 2 34129 Trieste §§ Hanno collaborato alla raccolta dei dati le S.C. di Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro di: Trieste (D. Calligaro), Gorizia (L. Santarpia.), Alto Friuli (S. Mentil), Medio Friuli (B. Alessandrini), Basso Friuli (G. Munafò) e Friuli Occidentale (C. D’Alessandro) Corrispondenza: dr.ssa Renata De Zotti, SC “Medicina del Lavoro”, Ospedale Maggiore Via Pietà, 19, 34129 Trieste, 040 3992312 [email protected] RIASSUNTO. Il Registro Mesoteliomi della Regione Friuli Venezia Giulia, per il periodo 2000-2003, ha registrato 248 casi di MM e 44 (18%) di questi erano donne. Il 36 casi la diagnosi di malattia era “certa” e nei restanti 8 “probabile” o “possibile”. L’età media è risultata di 72.8 anni (DS=12.7); la sede era pleurica nel 93% dei casi. Per la raccolta dei dati di pregressa esposizione ad asbesto si sono utilizzate le Linee Guida del Registro Nazionale Mesoteliomi. Informazioni sulla pregressa esposizione ad asbesto erano disponibili per 36 soggetti con malattia “certa”: l’esposizione è risultata professionale in 8 casi, familiare in altri 6, mentre per i restanti è rimasta “ignota” in quanto le informazioni raccolte erano insufficienti per una corretta valutazione, oppure non vi era alcuna informazione sull’esposizione. Viene sottolineata l’importanza delle esposizioni extraprofessionali ad asbesto tra le donne. Approfondimenti per ridurre al minimo i casi di donne affette da MM con esposizione “ignota” potrebbe contribuire ad una miglior conoscenza del ruolo di fattori eziopatogenetici diversi dall’esposizione professionale ad amianto nella genesi della malattia. Parole chiave: mesotelioma maligno, donne, esposizione ad asbesto MALIGNANT MESOTHELIOMA (MM) IN WOMEN: FINDINGS OF THE MESOTHELIOMA REGISTER OF THE FRIULI VENEZIA GIULIA REGION ABSTRACT. During the period 2000-2003, the Mesothelioma Register of the Friuli Venezia Giulia identified 248 cases of MM, 44 of which (18%) were female. In 36 cases the diagnosis was “certain” and in 8 “probable” or “possible”. Mean age at diagnosis was 72.8 years (SD=12.7), and the site of the disease was the pleura in 93% of cases. Information about previous exposure to asbestos was collected in accordance with the guidelines of the National Mesothelioma Register. Occupational exposure to asbestos was documented in only 8 cases and family exposure in 6 others. In the remaining cases the source of exposure was “unknown” because of insufficient data, or there were no data at all. The study highlights the role played by extra-occupational exposure to asbestos among women and the need for careful investigation into previous asbestos exposure in all females with MM. In order to improve our knowledge of the part played by factors other than occupational exposure to asbestos in triggering the disease, it is crucial to reduce he number of cases with no information or “unknown” exposure to this dangerous substance. Key words: malignant mesothelioma females asbestos exposure INTRODUZIONE Il mesotelioma maligno è un tumore che origina dalla trasformazione in senso neoplastico della cellula mesoteliale. Può manifestarsi qualsiasi cavità dell’organismo ricoperta da mesotelio e cioè pleura, peritoneo, pericardio e tonaca vaginale del testicolo (8). Circa l’80% dei mesoteliomi maligni nel mondo occidentale si sviluppa in individui con un’esposizione all’amianto superiore a quella della popolazione generale, tuttavia altri fattori eziopatogenetici sono in valutazione; tra questi altri minerali fibrosi, radiazioni ionizzanti, virus, fattori genetici (4,8,9). Il rischio di MM risulta diverso nei due sessi e l’andamento della mortalità, quasi costante nelle donne rispetto a quello dei maschi, suggerirebbe, secondo alcuni autori, l’esistenza di una esposizione soglia e un ruolo dell’esposizione ambientale (2,6). G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it Da tempo, in vari paesi, sono stati istituiti dei Registri dedicati a tale patologia per meglio conoscerne gli aspetti epidemiologici ed eziopatogenetici e il Registro Nazionale Mesoteliomi (ReNaM) ha recentemente pubblicato il II Rapporto sui dati di mesotelioma in Italia (4). Dato che la Regione Friuli Venezia Giulia si pone ai primi posti in Italia per mortalità da mesotelioma, il presente lavoro si propone di valutare le caratteristiche dei MM e le esposizioni professionali ed extraprofessionali tra i casi di mesotelioma maligno incidenti, tra le donne residenti in questa Regione, nel periodo 2000-2003. MATERIALI E METODI Nella Regione Friuli Venezia Giulia, dal 2003 è presente il Centro Operativo Regionale (COR) del ReNaM il cui compito è raccogliere tutti i casi di MM incidenti nella regione dal 1gennaio 2000, seguendo le Linee Guida Nazionali (5). La valutazione dell’esposizione professionale ed extraprofessionale ad asbesto si è basata sull’intervista al soggetto e/o a parenti/colleghi di lavoro, ma anche su dati INAIL, INPS, libretti di lavoro, cartelle cliniche. RISULTATI Nell’intervallo di tempo considerato sono stati diagnosticati 248 casi di MM, 44 (18%) dei quali di sesso femminile, con un rapporto M/F pari a 4.6. Tra le donne, la malattia è risultata certa (dato istologico) in 36 casi (88%) e probabile/possibile negli altri. In 41(93%) casi la localizzazione era pleurica e solo in 3 casi peritoneale (Tabella I). L’età media alla diagnosi è risultata 69 anni (DS=12). Tra i 44 casi di MM nel sesso femminile è stata individuata una esposizione professionale in 8 (18%)e una esposizione familiare in altri 6 (14%); per 17 casi (39%) le informazioni disponibili non hanno consentito una valutazione sulla pregressa esposizione ad asbesto (esposizione ignota); per 13 casi mancava qualsiasi dato di esposizione. I dati di pregressa esposizione ad asbesto sono risultati molto diversi nei due sessi (Tabella II). L’esposizione professionale, per le donne, ha riguardato i settori lavorativi indicati nella Tabella III. L’esposizione extraprofessionale è risultata di tipo domestico in tutti i casi e il settore lavorativo, del familiare/i coinvolti nell’esposizione, è risultato quasi esclusivamente quello della navalmeccanica (Tabella IV). DISCUSSIONE E CONCLUSIONI Nella nostra casistica i MM nel sesso femminile, soprattutto a localizzazione peritoneale, costituiscono una quota inferiore rispetto ai dati del Registro Nazionale (4). È probabile che la differenza sia in relazione alle migliorate tecniche diagnostiche per i casi più recenti, come quelli descritti in questo studio. Vi è una notevole differenza tra maschi e femmine in relazione alla quota di casi cui è stato possibile attribuire una esposizione professionale ed extraprofessionale. Nelle donne l’esposizione professionale riguarda solo il 18% dei casi, mentre è molto elevata la quota di soggetti con esposizione “ignota” o “non determinata”. Il ReNaM prevede particolare attenzione per le espoTabella I. Mesoteliomi: livelli di certezza diagnostica e localizzazione in Femmine e Maschi Tabella II. Pregressa Esposizione ad asbesto in Femmine e Maschi G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it 335 Tabella III. Esposizioni professionali (certe/probabili/possibili) COM-03 UTILIZZO DI BIOMARKERS NELLA PREVENZIONE E DIAGNOSI PRECOCE DEL MESOTELIOMA MALIGNO DELLA PLEURA M. Amati1, M. Tomasetti1, M. Scartozzi2, L. Mariotti1, M. Ciuccarelli1, M. Valentino1, M. Governa1, L. Santarelli1 Tabella IV. Esposizione Familiare 1Dipartimento di Patologia Molecolare e Terapie Innovative, Medicina del Lavoro, Università Politecnica delle Marche, Ancona. 2Dipartimento di Oncologia Medica, Azienda Ospedaliero-Universitaria Ospedali Riuniti Umberto I - G.M. Lancisi - G. Salesi, Ancona. Corrispondenza: Dott. Monica Amati, Università Politecnica delle Marche, Dipartimento di Patologia Molecolare e Terapie Innovative, Clinica di Medicina del Lavoro, Tronto 10/a , 0020 Torrette (AN) tel. 071-2206064/60, fax 071-2206062, e-mail: [email protected] sizioni “ignote” in quanto continui approfondimenti a livello Nazionale possono far emergere esposizioni ad amianto prima sconosciute (4). Tra le esposizioni extra-professionali, solo l’esposizione familiare è rappresentata nella nostra casistica. La modalità di esposizione, già ampiamente descritta in letteratura, è legata a convivenza con familiari professionalmente esposti ad amianto (1,2,3,4). Esposizioni ambientali, che in letteratura sono state documentate in prossimità di miniere di amianto, di fabbriche che producevano cemento-amianto o di settori industriali con ampio utilizzo di amianto (3,4,7), non sono finora state identificate nella nostra Regione. L’ampio dibattito su fattori eziopatogenetici del mesotelioma diversi dall’amianto, può trovare utili supporti da registri specifici come quello Italiano e, in particolare dallo studio dell’andamento epidemiologico della malattia nelle donne rispetto ai maschi (2,6,7). Per le donne risulta particolarmente importante l’approfondimento di tutte le fonti di pregressa esposizione ad asbesto non solo per evidenziare esposizioni professionali o extraprofessionali finora misconosciute ma anche per meglio chiarire il ruolo di altri fattori nella genesi della malattia. BIBLIOGRAFIA 1) Dodoli D, Del Nevo M, Fiumalbi C, et al Environmental household exposures to asbestos and occurrence of pleural mesothelioma. Am J Ind Med 21:681-71992. 2) Dorsett D Smith Evertt WA Women and mesotelioma. Chest 122; 1885-86; 2002. 3) Magnani C, Dalmasso P, Buggeri A et al. Increased risk of malignant mesothelioma of the pleura after residentialor domestic exposure to asbestos: a case-control study in Casale Monferrato, Environ Health Perspect 109:915-919; 2001. 4) Marinaccio A, Cauzillo G, Chellini E et al. Secondo Rapporto del Registro Nazionale dei Mesoteliomi. Roma, ISPESL 2006. 5) Nesti M., Adamoli S, Ammirabile F et al. Linee guida per la rilevazione e la definizione dei casi di mesotelioma maligno e la trasmissione delle informazioni all’ISPESL da parte dei centri Operativi Regionali Rome: ISPESL 2003. 6) Price B and Ware A Mesothelioma trends in the United States: an update based on surveillance epidemiology and end results program data for 1973 through 2003.Am J Epidemiol 159:107-112; 2004. 7) Reid A, Berry G, de Klerk N et al Age and sex differences in malignant mesothelioma after residential exposure to asbestos (crocidolite) Chest 131;376-382; 2007. 8) Robinson BWS, Lake RA. Advances in malignant mesothelioma. N Engl J Med 353(15):1591-603; 2005. 9) Sporn Ta and Roggli Vl: Mesothelioma, chapter 5, in “Pathology of asbestos-associated disease”. Roggli V, Oury T, Sporn A. Eds: Springer, 2004. RIASSUNTO. Il mesotelioma maligno della pleura (MPM) è una patologia correlata all’esposizione all’asbesto. È stato valutato il significato di biomarkers coinvolti nella genesi, sviluppo e trasformazione del MPM. La 8-idrossi-2’-desossiguanosina (8OHdG) leucocitaria, i fattori angiogenici (PDGβ, HGF, FGF-b, VEGFβ), le metalloproteinasi (MMP2, MMP9) ed i loro inibitori (TIMP1, TIMP2), e la mesotelina (small mesothelin related peptides, SMRPSs), sono stati valutati in 22 pazienti con MPM, in 94 lavoratori ex esposti all’asbesto ed in 54 soggetti di controllo. Gli ex esposti all’asbesto e quelli con MPM mostravano elevati livelli di 8OHdG rispetto ai controlli. L’8OHdG discriminava gli esposti dai controlli ma non dai MPM. Elevati livelli di SMRPs sono stati trovati nei MPM discriminando questi dagli ex esposti e dai controlli, ma non gli ex esposti dai controlli. VEGFβ distingueva i MPM sia dagli ex esposti che dai controlli, ma anche gli ex esposti dai controlli. Non avevano un valore diagnostico MMP2, MMP9, TIMP1, TIMP2. La combinazione dell’8OHdG, VEGFβ e SMRPs aiuta a stratificare i gruppi divenendo un potenziale indicatore diagnostico nel MPM. L’utilizzo di biomarkers, insieme a indagini radiologiche, potrebbe essere usato per valutare il rischio di MPM in una popolazione esposta all’asbesto. Parole chiave: mesotelioma pleurico maligno, mesotelina, 8OHdG BIOMARKERS FOR PREVENTION AND EARLY DIAGNOSIS OF MALIGNANT PLEURAL MESOTHELIOMA ABSTRACT. Improved detection methods for diagnosis of asymptomatic malignant pleural mesothelioma (MPM) are essential for an early and reliable detection and treatment of this disease. Thus, focus has been on finding tumour markers in the blood. 94 asbestos-exposed subjects, 22 patients with MM, and 54 healthy subjects were recruited for evaluation of the significance of 8-hydroxy-2’-deoxy-guanosine (8OHdG) in white blood cells and plasma concentrations of soluble mesothelinrelated peptides (SMRPs), angiogenic factors (PDGFβ, HGF, bFGF, VEGFβ), and matrix proteases (MMP2, MMP9, TIMP1, TIMP2) for potential early detection of MM. The area under ROC curves (AUC) indicates that 8OHdG levels can discriminate asbestos-exposed subjects from controls but not from MPM patients. Significant AUC values were found for SMRP discriminating asbestos-exposed subjects from MPM patients but not from controls. VEGFβ can significantly differentiate asbestos-exposed subjects from control and cancer groups. No diagnostic value was observed for MMP2, MMP9, TIMP1, TIMP2. The sensitivity and specificity results of markers were calculated at defined cut-offs. The combination of 8OHdG, VEGFβ and SMRPs best distinguished the individual groups, suggesting a potential indicator of early and advanced MPM cancers. The combination of blood biomarkers and radiographic findings could be used to stratify the risk of mesothelioma in asbestosexposed populations. Key words: malignant pleural mesothelioma, mesothelin, 8OHdG 336 INTRODUZIONE Il mesotelioma maligno della pleura (MPM) è un tumore molto aggressivo che colpisce le sierose, resistente alla terapia convenzionale sia chirurgica che radiante o farmacologica la cui incidenza nel mondo è in aumento (1). La sopravvivenza dei pazienti dalla diagnosi è di circa 12 mesi e il principale fattore coinvolto nella patogenesi del MPM è il rischio occupazionale dovuto all’esposizione all’asbesto. L’effetto carcinogenico dell’asbesto coinvolge la formazione delle specie radicaliche dell’ossigeno (2) con rotture del DNA (4) ed ossidazione delle basi azotate e il loro accumulo è il primo evento della carcinogenesi. Tra queste basi la 8OHdG rappresenta la lesione pre-cancerosa maggiormente implicata nella trasformazione neoplastica. La crescita tumorale e le metastasi sono eventi che dipendono dall’angiogenesi e come altri tumori anche il MPM induce la crescita dello stroma vascolare (7). Le metalloproteinasi (MMPs) appartengono al gruppo degli enzimi di degradazione della matrice extracellulare (ECM) e il bilancio della secrezione delle MMPs e dei loro inibitori specifici (TIMPs) gioca un ruolo importante nel mantenere l’omeostasi del tessuto connettivo a tessuto normale (8). Si sa che MMP2 e MMP9 attivate hanno un impatto nella carcinogenensi del MPM quindi la determinazione di questi mediatori nel plasma potrebbe essere usata per una diagnosi precoce e non invasiva del MPM. Studi recenti sono stati condotti su peptidi solubili relativi alla mesotelina (SMRPs) ed hanno evidenziato il loro ruolo promettente come biomarker del MPM (9,10). I SMRPs sono espressi normalmente a bassi livelli nelle cellule mesoteliali e la loro sovra-espressione è stata osservata in alcuni tumori incluso il MPM. I SMRPs possono essere misurati nel siero e sono molto aumentati nel sangue dei pazienti con MPM (9) e con carcinoma ovarico (10). Nel nostro studio sono stati valutati i livelli di 8OHdG nei linfociti circolanti, la concentrazione plasmatica di SMRPs, fattori angiogenici (PDGF-β, HGF, bFGF, VEGF-β), metalloproteinasi (MMP2, MMP9) e loro inibitori (TIMP1, TIMP2) in una coorte di lavoratori ex esposti all’asbesto, in pazienti con MPM e in controlli sani. MATERIALI E METODI Sono stati presi in esame tre gruppi di soggetti: 94 ex esposti all’asbesto (età media 61.3±7.4, tutti maschi, 34 non fumatori, 49 ex-fumatori, 11 fumatori) che avevano lavorato o stavano ancora lavorando nell’industria dei cantieri navali; 54 controlli non esposti (età media 63.0±7.8, 33 maschi, 21 femmine, 41 non fumatori, 5 ex-fumatori, 8 fumatori); 22 pazienti con MPM (età media 68.7±7.9, 18 maschi, 4 femmine, 6 non fumatori, 11 ex-fumatori, 5 fumatori): tutti hanno compilato un questionario e dato il loro consenso informato insieme ad un campione di sangue. Ad ogni soggetto ex esposto è stata effettuata una prova di funzionalità respiratoria, un Rx torace e/o HRTC; sono stati trovati segni evidenti di patologia asbesto correlata come asbestosi e/o placche pleuriche in 28 soggetti (24%). Per il controllo sono stati reclutati soggetti che erano stati sottoposti ad uno screening radiografico di prevenzione presso la SOD di Pneumologia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ancona. All’anamnesi professionale nessuno risultava essere stato esposto all’asbesto e tutti avevano una radiografia normale. I soggetti con MPM avevano una diagnosi istopatologica condotta su biopsie pleuriche di: 11 istotipi epiteliali, 5 misti e 6 sarcomatoidi. I livelli di 8OHdG sono stati misurati nei linfociti usando un kit OxyDNA ed espressi in unità arbitrarie (AU); i livelli plasmatici di SMRPs, espressi in nmol/l, sono stati determinati usando un saggio ELISA tipo sandwich; i saggi per la ricerca dei fattori di angiogenesi (PDGFβ, HGF, bFGF, VEGFβ) e delle metalloproteinasi (MMP2, MMP9, TIMP1, TIMP2) sono stati effettuati con un sandwich ELISA ed espressi in ng/ml. Il confronto tra i gruppi è stato fatto con il test Mann-Whitney-U per campioni spaiati, l’analisi per le comparazioni multiple con il Kruskall-Wallis. Sono state effettuate le curve ROC (Receiver operating characteristic) per quantificare la performance dei marker ed è stato calcolato il miglior cut-off statistico. I valori AUC sono riportati al loro intervallo di confidenza del 95%. I calcoli statistici sono stati condotti utilizzando la versione 12.0F dell’SPSS considerando statisticamente significative le differenze con la p<0.05. G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it RISULTATI Le concentrazioni di biomarkers nei 3 gruppi sono mostrate in Tab. I. I valori sono rappresentati come media ±SD. Le differenze significative tra i gruppi sono state calcolate con il test Kruskal-Wallis. *esposti vs. controlli, §MPM vs. Controlli, °MPM vs. esposti, p=0.00005 Alti livelli di 8OHdG sono stati riscontrati nei linfociti degli ex esposti e dei pazienti con MPM in confronto con quelli dei controlli. Le concentrazioni plasmatiche di SMRPs degli ex esposti non erano diverse da quelle dei controlli ma i pazienti con MPM mostravano alti livelli di SMRPs a confronto sia degli ex-esposti che dei controlli. I livelli medi plasmatici di PDGFβ, HGF, bFGF e VEGFβ erano significativamente aumentati nel gruppo degli ex esposti e ancor più in quello dei mesoteliomi a confronto con i controlli. I livelli di MMP2, MMP9, TIMP1, TIMP2 non sono risultati diversi nei tre gruppi. Nessuno dei biomarkers è risultato influenzato dal sesso, età, fumo e presenza o assenza di placche pleuriche o asbestosi. Le curve ROC sono state calcolate per analizzare i valori diagnostici dei singoli markers (Fig.1). La SMRPs è il marker con la più alta area sotto la ROC (AUC) e permette di discriminare i pazienti con MPM sia dai controlli che dagli ex esposti. Una curva AUC che non raggiunge un significato statistico è stata osservata comparando gli esposti con i controlli. Il livello di 8OHdG è risultato appropriato per valutare l’esposizione all’asbesto; il confronto dei soggetti ex esposti con i controlli mostra una AUC di 0.775±0.037; p=0.001 e la AUC per discriminare i pazienti con MPM dai controlli è di 0.788±0.090; p=0.004. Una AUC non statisticamente significativa è stata trovata tra gli ex esposti ed i pazienti con MPM. Nessun valore diagnostico è stato osservato per MMP2, MMP9, TIMP1, TIMP2 con valori di AUC che non distinguono i 3 gruppi (dati non mostrati). Il VEGFβ, distingue gli ex esposti sia dai controlli che dai pazienti con MPM, ed i pazienti con MPM dai controlli. Sono stati calcolati i risultati di sensibilità e specificità dei marker; la Tab. II mostra la sensibilità e la specificità diagnostica al 90% dei SMRPs, 8OHdG, PDGFβ, HGF, bFGF, e VEGFβ che distingue i controlli dagli ex esposti, gli ex esposti dai mesoteliomi, i controlli dai mesoteliomi. Risultati dell’analisi ROC condotta su 54 controlli (Ctrl), 94 ex esposti (Exp), e 22 pazienti con MPM. Il cut-off corrisponde al valore di 90% sensibilità e specificità come indicato. Allo scopo di migliorare la sensibilità e la specificità nell’evidenziare la probabilità di sviluppare la malattia due o più biomarkers possono essere combinati insieme. Mediante regressione logistica si è evidenziato che combinando la 8OHdG con il VEGFβ il valore diagnostico aumenta (Fig.2 A,B). Tabella I. Livelli dei biomarkers nel plasma G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it Figura 1. Curve ROC per 8OHdG, SMRPs e VEGFβ. L’area sottesa alle curve (AUC) è stata determinata per 8OHdG, SMRPs, e VEGFβ e discrimina i controlli (Ctrl) dagli ex esposti (Exp), gli ex esposti dai pazienti con MPM (MPM), ed i controlli dai pazienti con MPM. Sono state considerate significative le AUC con p<0.05. Tabella II. Sensibilità e specificità diagnostica di SMRPs, 8OhdG, PDGFβ, HGF, bFGF, e VEGFβ nel distinguere i Ctrl dagli Exp, gli Exp dai soggetti con MPM, i Ctrl dai MPM Figura 2. Curve ROC di 8OHdG, VEGFβ, e combinazione di of 8OHdG e VEGFβ come marker predittivo di MPM. A) Le AUCs sono state determinate per 8OHdG e VEGFβ da sole e in combinazione per discriminare i controlli (Ctrl) dagli ex esposti (Exp). B) il grafico di SMRPs e la combinazione di 8OHdG e VEGFβ discrimina gli ex esposti (cerchi), dai controlli (punti). 337 DISCUSSIONE E CONCLUSIONI È molto importante riuscire a trovare un biomarker o una combinazione di diversi biomarkers che siano in grado di predire lo sviluppo del MPM o di rivelare la patologia nei suoi stadi più precoci nella popolazione ad alto rischio. L’8OHdG è un indicatore di danno ossidativo al DNA indotto dai ROS (6) che è stato largamente usato come biomarker per rilevare lo stress ossidativo. Nel nostro studio gli ex esposti e i pazienti con MPM hanno mostrato alti livelli di 8OHdG che li differenziano dai controlli. L’aumentata produzione di 8OHdG indica che alti livelli di ROS vengono prodotti dai linfociti dei soggetti esposti all’asbesto; i ROS sono elementi critici per lo sviluppo delle patologie asbesto correlate (3,4,5) ed il danno ossidativo al DNA dei linfociti può essere indotto come risposta all’aumentato stress ossidativo sulla pleura dei soggetti cronicamente esposti all’asbesto. Abbiamo trovato che il biomarker 8OHdG discrimina i soggetti esposti dai controlli ma non dai pazienti con MPM ed è espressione di danno ossidativo causato dall’esposizione alle fibre di asbesto, ma non può essere usato per discriminare tra gli esposti chi abbia o meno un MPM. I SMRPs plasmatici sono stati proposti come marker per la diagnosi di MPM (10). Nel nostro studio i pazienti con MPM hanno mostrato alti livelli plasmatici di SMRPs rispetto agli ex esposti e ai controlli. I livelli di SMRP possono discriminare i pazienti con MPM sia dagli esposti all’asbesto che dai controlli, ma non differenziano gli esposti dai controlli e quindi il livello di SMRPs nel plasma può essere proposto come biomarker adatto per la diagnosi di MPM ma non per predirne la comparsa. I fattori di crescita ed in particolare il VEGFβ possono distinguere gli ex esposti dai controlli e dai soggetti con MPM. Abbiamo calcolato la differente sensibilità e specificità dei markers e il miglior indicatore di MPM si sono rivelati i SMRPs con un’alta sensibilità e specificità. Abbiamo trovato che la combinazione del marker di esposizione 8OHdG con il fattore di crescita VEGFβ aumenta di molto la sensibilità e specificità nel discriminare la popolazione esposta dai controlli. Il valore dei nostri biomarkers come indicatori sia predittivi che di presentazione clinica del MPM, necessita di essere validato in studi prospettici in cui i soggetti ex esposti saranno periodicamente controllati per un adeguato periodo di tempo. In conclusione, la combinazione dei biomarkers ematici e dei segni radiografici potrebbe essere usata per stratificare il rischio di mesotelioma in una popolazione con una storia di esposizione all’asbesto, placche pleuriche, asbestosi ed elevati livelli plasmatici dei biomarkers. BIBLIOGRAFIA 1) Robinson BW, Musk AW, Lake RA. Malignant mesothelioma. Lancet 2005; 366:397-408. 2) Kamp DW, Graceffa P, Pryor WA, Weitzman SA. The role of free radicals in asbestos-induced disease. Free Radical Biol Med 1992;12:293-315. 3) Kamp DW, Israbian VA, Preusen SE, Zang CX, Weitzman SA. Asbestos causes DNA strand breaks in cultured pulmonary epithelial cells: role of iron-catalyzed free radicals. Am J Physiol 1995;268:471-80. 4) Takeuchi T, Morimoto K. Crocidolite asbestos increased 8-hydroxydeoxyguanosine levels in cellular DNA of a human promyelocytic leukaemia cell line, HL-60. Carcinogenesis 1994;15:635-39. 5) Unfried K, Schurkes C, Abel J. Distinct spectrum of mutations induced by crocidolite asbestos: clue for 8hydroxydeoxyguanosine-dependent mutagenesis in vivo. Cancer Res 2002;62:99-104 6) Loft S, Paulsen HE. Cancer risk and oxidative DNA damage in man. J Mol Med 1996;74:297-312. 338 G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it 7) Antony VB, Hott JW, Godbey SW, Holm K. Angiogenesis in malignant mesotheliomas: role of mesothelial cell-derived IL-8. Chest 1996;109:21S-22S. 8) Chen WT. Membrane proteases: roles in tissue remodelling and tumour invasion. Curr Opin Cell Biol 1992;4:802-9. 9) Robinson BWS, Creaney J, Lake R, et al. Mesothelin-family proteins and diagnosis of mesothelioma. Lancet 2003;362:1612-6. 10) Chang K, Pastan I. Molecular cloning of mesothelin, a differentiation antigen present on mesothelium, mesotheliomas, and ovarian cancers. Proc Natl Acad Sci USA 1996;93:136-40. 11) Marczynski B, Kraus T, Rozynek P, Raithel HJ, Baur X. Association between 8-hydroxy-2’-deoxyguanosine levels in DNA of workers highly exposed to asbestos and their clinical data, occupational and non-occupational confounding factors, and cancer. Mut Res 2000;468:203-12. COM-04 PATOLOGIE ASBESTO CORRELATE IN CONGIUNTI DI LAVORATORI DEL SETTORE CEMENTO-AMIANTO V. Luisi, R. Dario, G. Serio1, B.Licchelli, E.S. Mera, R. Molinini U.O. Medicina del Lavoro Ospedaliera 1Anatomia Patologica - Università di Bari Azienda Ospedaliero Universitaria Consorziale Policlinico di Bari Corrispondenza: Dott. Vito Luisi, U.O. Medicina del Lavoro Ospedaliera, Azienda Ospedaliero Universitaria Consorziale Policlinico di Bari, P.zza Giulio Cesare, 11 - 70124- Bari, [email protected] RIASSUNTO. Abbiamo sottoposto agli accertamenti diagnostici abituali per i lavoratori esposti ad asbesto i congiunti conviventi di 11 dipendenti di una fabbrica di manufatti di cemento amianto di Bari. Hanno spontaneamente richiesto o accettato la nostra proposta di sottoporsi agli esami diagnostici 9 mogli e 17 figli. Nel gruppo si sono manifestate non solo patologie asbesto-correlate non dipendenti dalla dose, 2 casi di mesotelioma maligno delle pleure, ma anche patologie dose-dipendenti come 15 ispessimenti pleurici a placca e 2 asbestosi a dimostrazione dell’elevato livello di contaminazione domestica presente nelle abitazioni dei lavoratori. Per tutti la fonte di contaminazione era rappresentata dal trasporto degli abiti da lavoro a domicilio. ASBESTOS-RELATED DISEASES IN RELATIVES OF ASBESTOS EXPOSED WORKERS ri di un’azienda del settore cemento-amianto di Bari al fine di definire la tipologia di alterazioni riscontrabili, i tempi di comparsa delle stesse lesioni ed i fattori ambientali domestici che possono aver favorito l’insorgenza delle patologie asbesto-correlate. MATERIALI E METODI Il gruppo iniziale dei soggetti era composto da 11 mogli e 31 figli di 11 gruppi familiari i cui capi famiglia (“soggetto fonte”) hanno lavorato in uno stesso stabilimento di cemento-amianto di Bari. Nell’arco temporale 1996-2007 hanno richiesto spontaneamente o accettato la nostra proposta di sottoporsi ad accertamenti diagnostici 9 mogli e 17 figli. Essendo terminata la produzione dello stabilimento a metà degli anni ottanta, tutte le nostre diagnosi sono state effettuate da 10 a 20 anni dopo la cessazione dell’esposizione per i familiari conviventi dei lavoratori. Tutte le mogli sono state sposate solo con i lavoratori “fonte” e tutti i figli appartengono ad uno degli 11 gruppi familiari presi in esame. Le informazioni sull’esposizione ambientale domestica sono state ottenute utilizzando apposito questionario, peraltro già proposto in letteratura (5), rielaborato per la raccolta di dati relativi a: igiene dell’ambiente domestico, superficie, numero di stanze, punti di aerazione delle abitazioni, periodo di coabitazione col lavoratore considerato fonte di contaminazione domestica (anni di esposizione), frequenza dei lavaggi della tuta a domicilio ed altre modalità di possibile diffusione delle fibre (es. metodi di pulizia domestica e di lavaggio). Tutti i soggetti sono stati sottoposti, inoltre, ad esame obiettivo, test di funzionalità respiratoria compresa la DLCO, TC HR torace. Solo due soggetti hanno accettato di sottoporsi a esame broncoscopico con BAL utilizzato per la ricerca e il conteggio dei corpuscoli di asbesto. Sono state escluse per i familiari in esame altre esposizioni professionali o ambientali ad amianto ad eccezione di: 2 famiglie che avevano abitato nel raggio di 1 Km dallo stabilimento in questione e di 1 soggetto di sesso maschile che, dopo aver subito una esposizione domestica per 25 anni, aveva successivamente lavorato come operaio nella stessa fabbrica del padre per altri 17 anni. RISULTATI L’età media delle mogli, all’ultima osservazione del 2007, era di 70.1 anni e quella dei figli 47.2 anni. Tutte le 9 mogli esaminate non hanno mai fumato; dei 17 figli 11 sono non fumatori, 3 ex- fumatori e 2 fumano sigarette. Per la bassa numerosità non si correla alcuna variabile di esposizione ad asbesto con il fumo. La durata dell’esposizione domestica ad amianto del campione e le patologie riscontrate nel gruppo delle mogli e in quello dei figli sono riportate nella Tab. I. Tutti i gruppi familiari sono risultati affetti, mogli o anche figli, da almeno una patologia asbesto-correlata. Gli accertamenti effettuati hanno messo in evidenza che tutte le 9 mogli esaminate soffrono di una patologia conseguente all’esposizione ad asbesto ed in particolare abbiamo riscontrato 2 casi di mesotelioma pleurico e 7 casi di placche pleuriche (PP); la prevalenza di patologie asbestocorrelate in questo gruppo è quindi del 100% (6). I mesoteliomi pleurici, ambedue di tipo epiteliomorfo, sono comparsi con un periodo di latenza di 38 e 45 anni dall’inizio della convivenza delle mogli con in marito “fonte” della contaminazione domestica. ABSTRACT. Standard asbestos diagnostic protocol was applied to eleven relatives of asbestos exposure ex-workers of a cement factory in Bari. Nine wives and seventeen sons were involved as volunteers in this evaluation. In this group two pleura malignant mesotheliomas (not dosedependent) two asbestosis and fifteen pleura plaques (dose-dependent) were detected. This situation shows high level of asbestos contamination at home. For all the test patients the contamination most probably occurred because workers carried asbestos substances home from work on their clothes. Key words: Asbestos, household exposure, relatives, Tabella I. Numerosità del campione, durata dell’esposizione ambientale asbestos diseases domestica e patologie asbesto-correlate diagnosticate nei familiari conviventi INTRODUZIONI È consolidata in letteratura la conoscenza dei rischi per i familiari conviventi dei lavoratori esposti ad amianto di contrarre patologie asbesto-correlate conseguenti alla contaminazione degli ambienti domestici a causa del trasferimento di tute da lavoro ed altri oggetti personali. Dopo la prima segnalazione del 1965 (1) molte descrizioni episodiche di casi singoli o poco numerosi e alcuni studi hanno riguardato la comparsa di un evento sentinella sicuramente riconducibile all’asbesto come il mesotelioma maligno (2). Pochi studi sono stati condotti sulla comparsa di altre patologie asbesto correlate (3,4). In questa relazione riferiamo della nostra esperienza derivante dagli accertamenti diagnostici eseguiti nei familiari conviventi di 11 lavorato- di 11 lavoratori del settore cemento-amianto G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it Nel gruppo dei 17 figli esaminati ben 10 soggetti (59%) hanno presentato patologie asbesto-correlate: 2 con asbestosi e 8 con PP. Uno dei due soggetti affetti da asbestosi aveva subito, come innanzi riportato, una doppia esposizione ad asbesto sia domestica, in età infantile e adolescenziale, che professionale in età adulta. Il tempo medio di esposizione domestica nelle mogli e nei figli portatori di IPP è stato rispettivamente di 18 e 16.4 anni e quindi abbastanza simile. Delle 9 mogli sottoposte a prove di funzionalità respiratoria solo 1 ha presentato un quadro respiratorio di tipo ristretto e 2 avevano valori di diffusione alveolo capillare lievemente ridotti, entrambe affette da PP. Due figli hanno acconsentito alla raccolta del liquido di broncolavaggio, uno affetto da asbestosi e l’altro con PP, hanno rispettivamente presentato 0.4 e 0.05 corpuscoli di asbesto per ml di campione. Tale valore è considerato non significativo di pregressa esposizione ad asbesto (7). Escludendo i due soggetti affetti da mesotelioma, abbiamo suddiviso tutti i congiunti del gruppo esaminato in base agli anni di esposizione domestica: da 0 a 10 anni, da 11 a 20 anni e più di 20 anni (Fig. 1). Nella prima fascia sono prevalenti i casi negativi; solo una moglie ha sviluppato PP avendo appena 5 anni di coabitazione con il lavoratore “fonte”. Nella seconda fascia d’esposizione ben 10 casi su 11 sono risultati positivi e tutti portatori di PP. Nella fascia con più di 20 anni di esposizione domestica si sono riscontrati 2 casi di asbestosi (ambedue figli), 3 soggetti con PP e, sorprendentemente, anche 2 soggetti indenni da ogni alterazione pleurica e parenchimale. Per questi ultimi 2 casi, dall’analisi dei questionari, si ricava una possibile spiegazione: l’esposizione domestica per i figli può essere stata mitigata dalla circostanza che la tuta da lavoro era tenuta e lavata dalla madre in un ambiente esterno all’abitazione. La madre di questi due ragazzi, invece, è risultata portatrice di PP. CONSIDERAZIONI E CONCLUSIONI Nel 1986 Kilburn e coll. (8), utilizzando la radiologia convenzionale, hanno documentato in un numerosissimo campione di familiari di lavoratori dei cantieri navali di Los Angeles che l’11.3% delle mogli, il 7.6% dei figli e il 2.1% delle figlie erano affetti da “asbestosi”; gli autori comprendevano in questa definizione sia il danno parenchimale sia la cosiddetta “asbestosi pleurica” costituita da PP. Anche Anderson (3) riporta una più alta frequenza di alterazioni radiografiche benigne nelle mogli (48%) rispetto ai figli (21%) dei lavoratori esposti ad amianto. Nella nostra casistica, numericamente più ridotta, utilizzando per la diagnostica radiologica la TCHR, abbiamo osservato che la totalità delle mogli di lavoratori del settore cemento-amianto presenta patologie asbesto-correlate neoplastiche e non, mentre tra i figli le patologie, tutte non maligne, attingevano il 59% degli esaminati. Le differenze con il campione di Kilburn sono verosimilmente da ascrivere alla diversa sensibilità delle tecniche diagnostiche radiologiche, ai differenti livelli espositivi quali- quantitativi e alla diversa durata di condivisione domestica del rischio del periodo espositivo e di osservazione. Il nostro studio, seppure limitato ad un ridotto numero di gruppi familiari, consente tuttavia alcune osservazioni di interesse clinico, epidemiologico e di sanità pubblica: a) ogni lavoratore professionalmente esposto ad amianto ha agito da fonte diffusiva e moltiplicativa del rischio anche a danno dei propri familiari conviventi come ripetutamente segnalato in letteratura (2); 339 b) anche nel nostro gruppo le mogli hanno PP più frequentemente dei figli (3,8); questo può essere dovuto al contatto più stretto con il marito e i suoi indumenti, peraltro più prolungato nel tempo; c) le patologie asbesto correlate possono raggiungere, nei congiunti conviventi dei lavoratori, caratteristiche cliniche e radiologiche sovrapponibili, anche per latenza, a quelle che compaiono negli esposti professionali. Infatti il contenuto di fibre nel tessuto polmonare per l’esposizione domestica è stato riscontrato essere in molti casi simile a quello degli esposti professionali (9); d) sono suggestivi gli incrementi del tempo medio di esposizione domestica misurati nel gruppo dei figli: 12.7 anni nei sette casi senza alcuna patologia, 16.4 anni negli otto casi portatori di PP, 21.5 anni nei due casi affetti da asbestosi polmonare. Questa osservazione non è confortata, però, da una significatività statistica, nel confronto tra gruppi, con metodi parametrici e non parametrici a motivo della ridotta numerosità campionaria; e) le patologie asbesto-correlate manifestatesi nei congiunti di lavoratori dell’amianto, se non correttamente correlate al rischio remoto o misconosciuto, possono talora condurre a diagnosi cliniche fuorvianti e a procedure diagnostiche o chirurgiche eccessive e a rischio. Riteniamo doverosa un’attività di corretta informazione ai familiari conviventi dei lavoratori esposti ad amianto per gli effetti a lunga distanza dalle esposizioni involontarie subite in ambiente domestico (10) anche se siamo consapevoli che ciò può suscitare in taluni reazioni di allarmismo e ansia sproporzionate. BIBLIOGRAFIA 1) Newhouse ML, Thompson H. Mesothelioma of pleura and peritoneum following exposure to asbestos in the London area. Br J Ind Med 22: 261-269; 1965 2) Miller A. Mesothelioma in household members of asbestos-exposed workers; 32 United States cases since 1990. Am. J. Ind. Med. 47; 458-462; 2005 3) Anderson HA, Lilis R, Daum SM, Selikoff IJ. Asbestosis among household contacts of asbestos factory workers. Ann NY Acad Sci 330: 387-399; 1979 4) Kilburn KH, Lilis R, Anderson HA et al. Asbestos disease in family contacts of shipyard workers. Am J Pub Health 75: 615-617; 1985 5) Sider L, Holland E, Davis T, Cugell F. Changes on radiographs of wives of workers exposed to asbestos. Radiology 164: 723-726; 1987 6) Bianchi C, Bianchi T, Ramani L. Mesotelioma maligno della pleura nella donna. Med Lav 95: 376-380; 2004 7) Sebastien P. et al. Asbestos bodies in bronchoalveolar lavage fluid and in lung parenchima. Am Rev Resp Dis. 137: 75-78; 1988 8) Kilburn KH, Warshaw R, Thornton JC. Asbestos diseases and pulmonary symptoms and signs in shipyard workers and their families in Los Angeles. Arch Intern Med 146: 2213-2220; 1986 9) Roggli VL, Longo WE. Mineral fiber content of lung tissue in patients with environmental exposure: Household contact vs. building occupants. Ann NY Acad Sci 643: 511-518; 1991 10) Magnani C, Terracini B, et al. A cohort study on mortalità among wives of workers in the asbestos cement industry in Casale Monferrato, Italy. Br J Ind Med 50: 779-784; 1993 COM-05 VALUTAZIONE DI DOSAGGI SERIATI DI MESOTELINA SIERICA IN PAZIENTI AFFETTI DA MESOTELIOMA MALIGNO DELLA PLEURA S. Simonini1, R. Foddis2, R. Filiberti3, R. Puntoni3, L. Mutti4, N. Ambrosino5, A. Chella5, G. Guglielmi1, R. Buselli1, M. Iuzzolini2, A.Mignani1, F. Ottenga2, A. Cristaudo1 Figura 1. Numero di patologie asbesto-correlate (con esclusione dei MM) per classi di anni di esposizione domestica dei figli e delle mogli 1U.O. Medicina Preventiva del Lavoro, Azienda OspedelieroUniversitaria Pisana 2 Dipartimento di Endocrinologia e Metabolismo, Ortopedia e Traumatologia, Medicina del Lavoro, Università di Pisa 3 Epidemiologia e Biostatistica, IST Genova 4 Ospedale S. Pietro e Paolo, ASL 11 Vercelli 5 U.O. Pneumologia, Azienda Ospedeliero-Universitaria Pisana 340 G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it Corrispondenza: Silvia Simonini, U.O. Medicina Preventiva del Lavoro, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana,Via Santa Maria 110, Pisa. RIASSUNTO. Il mesotelioma pleurico (MM) è un tumore maligno con una prognosi infausta, altamente aggressivo, difficile da diagnosticare e da trattare. Nei paesi dell’Europa occidentale è previsto un aumento dell’incidenza di MM nei prossimi 10-15 anni. Nonostante queste stime epidemiologiche, gli unici strumenti di screening e di diagnosi precoce per il MM sono costituiti dalle indagini radiologiche, con evidenti risvolti di natura etica ed economica. Per questo motivo numerosi autori stanno studiando la possibilità di utilizzare dei marcatori biomolecolari; tra questi uno dei più promettenti sembra essere la mesotelina sierica, che è stato visto essere associata a MM in maniera statisticamente significativa e che è stata ipotizzata avere una utilità di tipo clinico (diagnostico/prognostico). Lo scopo dello studio è quello di mostrare l’andamento dei valori di mesotelina in relazione al decorso della malattia e ad eventuali interventi terapeutici in alcuni pazienti affetti da MM epiteliomorfo. L’analisi dei valori di SMRP registrati ha dimostrato come tale marcatore si riveli un buon indicatore di risposta alla terapia, rimanendo stabile laddove questa abbia ottenuto il risultato di una cronicizzazione del caso e tendendo invece a ridursi quando il paziente presenta un miglioramento clinico post-terapeutico o ad aumentare se il tumore risulta insensibile al trattamento. Parole chiave: mesotelioma maligno; mesotelina; marcatore biomolecolare. EVALUATION OF A SERIES OF SERUM MESOTHELIN IN PATIENTS WITH PLEURAL MALIGNANT MESOTHELIOMA ABSTRACT. Pleural Malignant Mesothelioma (MM) is a highly aggresive neoplasm with a poor survival rate, hard diagnosis and treatment. The incidence of MM in Western Europe countries is expected to increase drammatically in the next 10-15 years. In spite of this drammatic scenario, at this time the only instruments for screening and early diagnosis are based on radiological tests with evident ethical and economical problems. For this reason, some authors are evaluating biological indicators with the significance of screening and early diagnosis markers. One of the most promising marker is serum mesothelin (SMRP). SMRP levels appeares to be significantly related to MM and its clinical (diagnostic/prognostic) usefulnes has been suggested. The purpouse of this research is to show SMRP trend in relation both to the course of the disease and the response to therapies in some Epithelioid MM patients. The analysis of SMRP levels in these patients suggests that it may be a useful marker for monitoring the response to treatment. In fact, it was observed that SMRP increases in patients who did not respond to therapy, it tends to remain stable when therapies results into a clinical stabilization, while it decreases after surgical procedure and in case of clinical improvement. Key words: Malignant Mesothelioma; mesothelin; biological marker. INTRODUZIONE Il mesotelioma pleurico (MM) è un tumore maligno con una prognosi generalmente infausta e a breve termine. L’incidenza di tale neoplasia, che negli anni passati era considerata estremamente rara, è in continuo aumento e nei paesi dell’Europa occidentale è previsto un picco di mortalità per il 2019-2020. È inoltre un tumore altamente aggressivo, difficile da diagnosticare e, una volta diagnosticato, da trattare. Non esiste uno standard terapeutico e, a causa del sostanziale fallimento dei diversi trattamenti nel controllo della malattia, sono attualmente in corso numerosi protocolli di studio clinico con trattamenti multimodali (chirurgia, chemioterapia, immunoterapia, radioterapia) (1). Il ruolo della chemioterapia in questa neoplasia è tuttavia in evoluzione con la scoperta di nuovi farmaci che ne hanno migliorato la sopravvivenza e la qualità della vita, sia in mono-chemioterapia che in regimi di combinazione, con risposte migliori per le associazioni di farmaci (2, 3). Per quanto riguarda la difficoltà diagnostica, risulta particolarmente complicata la diagnosi differenziale con la pleurite acuta infiammatoria, con il carcinoma broncopolmonare e con le metastasi pleuriche. Inoltre spesso la diagnosi corretta viene ritardata dalla presenza di versamenti pleurici recidivanti che possono celare l’esordio clinico della neoplasia. Ad oggi, per effettuare una corretta diagnosi e stadiazione della patologia, ci si avvale di diverse tecniche di imaging e di indagini immunoisto/citochimiche. La possibilità di impiego di indagini non invasive ed a basso costo come strumenti di screening o di diagnosi precoce per il MM ha indotto numerosi ricercatori allo studio di markers biomolecolari. Ad oggi, tra i marcatori che in diversi studi epidemiologici sono risultati associati al MM, uno dei più promettenti sembra essere la mesotelina sierica, che è stato visto essere associata a MM in maniera statisticamente significativa e che è stata ipotizzata avere una utilità clinica di tipo diagnostico, prognostico e come indicatore di risposta al trattamento (4, 5, 6). Lo scopo del presente studio è quello di mostrare l’andamento dei valori sierici di mesotelina in relazione al decorso della malattia e ad eventuali interventi terapeutici, in alcuni pazienti affetti da MM epiteliomorfo. MATERIALI E METODI Da una casistica di 46 pazienti affetti da MM epiteliomorfo, ricoverati per diagnosi e cura presso l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, ne sono stati selezionati alcuni sottoposti a 2 o più dosaggi di mesotelina sierica e di cui disponevamo di sufficienti informazioni in merito allo stadio di malattia, alle condizioni cliniche generali ed alla terapia effettuata. Ogni paziente è stato sottoposto (dopo aver firmato un modulo di consenso informato approvato dal Comitato Etico) ad un’intervista diretta, strutturata sulla base dei questionari dei centri operativi regionali del Re.Na.M. (COR). Nel tempo sono stati registrati i trattamenti di tipo chirurgico e medico a cui sono stati sottoposti, il decorso clinico della malattia con gli eventuali relativi passaggi di stadio. La maggior parte (68%) dei pazienti con diagnosi di MM appartenenti alla intera nostra casistica presentava valori di mesotelina superiori a 1nM. Di questi ne sono stati selezionati sei di cui disponevamo delle informazioni più dettagliate per lo studio. I campioni di sangue di tutti gli individui sono stati ottenuti tramite prelievo venoso, lasciato coagulare per circa 30 minuti e quindi centrifugato per 15 minuti a 1000 giri/min. Le aliquote di siero sono quindi state conservate, fino al momento del dosaggio, a -80° C. Le concentrazioni di mesotelina sierica sono state determinate con il MESOMARK (® by Fujirebio Diagnostics, Inc. Malverne, PA, USA), saggio immunoenzimatico a due step di tipo quantitativo, basato su una metodica colorimetrica standardizzata di tipo ELISA. I dosaggi sono stati eseguiti da personale all’oscuro della diagnosi dei soggetti corrispondenti ai codici posti sulle provette di siero. Tutti i campioni di siero sono stati analizzati due volte. RISULTATI Dall’analisi dei casi di MM selezionati abbiamo ottenuto i seguenti risultati: si tratta di sei pazienti, cinque di sesso maschile ed una di sesso femminile, affetti da MM epiteliomorfo; l’età media è risultata essere 69 anni; tutti negavano familiarità per patologie neoplastiche, mentre tre riferivano precedenti patologie respiratorie (bronchiti ricorrenti, TBC polmonare, silicosi); alla diagnosi di MM epiteliomorfo due si presentavo in stadio II, tre in stadio III e uno in stadio IV (stadiazione IMIG); la risposta alla terapia è risultata buona in tre pazienti con remissione del quadro clinico, due pazienti hanno invece presentato una mancata risposta terapeutica con peggioramento clinico, mentre in un caso c’è stata una cronicizzazione della patologia. I valori di mesotelina sierica al primo dosaggio risultano essere tutti superiori a 1 nM, con un valore medio di 6,057 nM, mentre per il dosaggio post-terapeutico si ottiene una media di 4,55 nM. Nei due pazienti B.A. e M.D. (Fig. 1 e 2) che hanno presentato un aggravamento del quadro clinico, nonostante i trattamenti terapeutici effettuati, i valori sierici di mesotelina sono marcatamente aumentati nel tempo. Nei tre casi M.V., B.I. e B.M. (Fig. 3, 4, 5) che hanno avuto una buona risposta terapeutica si nota invece un’importante diminuzione dei livelli di mesotelina sierica, in concomitanza con una riduzione del 50% delle lesioni in M.V. ed in B.I. e con un progressivo miglioramento clinico in B.M. G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it 341 Figura 1. B.A. maschio, 73aa, MM epiteliomorfo Figura 4. B.I. maschio, 74 aa, MM epiteliomorfo Figura 2. M.D. maschio, 78 aa, MM epiteliomorfo Figura 5. B.M. maschio, 57 aa, MM epiteliomorfo Figura 3. M.V. maschio, 60 aa, MM epiteliomorfo Figura 6. N.G. femmina, 58 aa, MM epiteliomorfo Infine nel caso N.G. (Fig. 6) i valori sierici del marcatore rimangono costanti nel tempo, in accordo con la stabilizzazione del quadro clinico. Tali risultati sono dettagliatamente riportati nella tabella I per ciascuno dei pazienti analizzati. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI A fronte della drammaticità delle stime epidemiologiche sull’incidenza e la mortalità del MM per gli anni a venire, recentemente alcuni markers sono stati studiati con la finalità di valutarne il significato clini- 342 G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it Tabella I. schema riassuntivo dei 6 casi clinici analizzati CT: chemioterapia; CH: chirurgia; IL-2: immunoterapia con IL-2; PF: pleurodesi fisica; R: remissione; A: aggravamento; C: cronicizzazione. co e preventivo. Tra i più interessanti in questo senso si è dimostrato essere la mesotelina sierica. Valori elevati di questa glicoproteina sono risultati associati in maniera statisticamente significativa al mesotelioma (4, 5, 6) e al tumore polmonare (5). Questo dato, ribadito da più autori, suggerisce che il marcatore potrebbe avere una applicazione clinica di tipo diagnostico, soprattutto in diagnosi differenziale, laddove andrebbe ad aggiungersi agli strumenti già esistenti. Dal punto di vista clinico invece sono ancora pochi gli studi mirati alla validazione del marcatore sierico nella prognosi e nel monitoraggio dei pazienti con MM dopo trattamento terapeutico. Pochi riferimenti nelle pubblicazioni esistenti, basati su un numero limitato di casi, suggerirebbero che i livelli di mesotelina sono direttamente proporzionali alla massa tumorale in soggetti con MM (7). Lo scopo di questo “studio pilota” su qualche caso di MM è stato quello di sondare l’andamento dei valori sierici di mesotelina, in relazione al decorso della malattia e ad eventuali interventi terapeutici. L’analisi dei valori di mesotelina registrati ha dimostrato che tale marcatore, quando positivo, si rivela un buon indicatore di risposta al trattamento terapeutico, rimanendo stabile in concentrazione ematica laddove le terapie hanno ottenuto il risultato di una cronicizzazione del caso e tendendo invece a ridursi quando il paziente presenta un benché piccolo miglioramento clinico post-terapeutico o ad aumentare progressivamente se il tumore risulta insensibile al trattamento adottato. I risultati di questo studio appaiono molto promettenti e costituiscono uno stimolo per una ricerca più approfondita sul significato clinico del marcatore in una popolazione di pazienti più numerosa. BIBLIOGRAFIA 1) Sugarbaker DJ: Macroscopic complete resection: the goal of primary surgery in multimodality therapy for pleural mesothelioma. J Thorac Oncol.; 24 (10): 1561-7; 2006. 2) Ricci S, Chioni A et al: Terapia medica del mesotelioma pleurico. Atti del Convegno “Le patologie correlate all’amianto e la sorveglianza sanitaria degli ex-esposti”, Pisa 2005. 3) Mutti L et al: Targeted therapy per il mesotelioma pleurico: la realizzazione di un approccio transazionale. Atti del Convegno “Le patologie correlate all’amianto e la sorveglianza sanitaria degli ex-esposti”, Pisa 2005. 4) Robinson BW, Creaney J, Lake R, et al: Mesothelin-family proteins and diagnosis of mesothelioma. Lancet; 362:1612-6; 2003. 5) Cristaudo A, Foddis R, Vivaldi A, Guglielmi G, Dipalma N, Filiberti R, Neri M, Ceppi M, Paganuzzi M, Ivaldi GP, Mencoboni M, Canessa PA, Ambrosino N, Chella A, Mutti L, Puntoni R: Clinical significance of serum mesothelin in patients with mesothelioma and lung cancer. Clin Cancer Res;13: 5076-81; 2007. 6) Scherpereel A et al: Soluble mesothelin-related peptides in the diagnosis of malignant pleural mesothelioma. American Journal of Respiratory and Critical Care Medicine; 173: 1155-1160; 2006. 7) Hassan R, Remaley AT, Sampson ML, et al: Detection and quantitation of serum mesothelin, a tumor marker for patient with mesothelioma and ovarian cancer. Clin Cancer Res; 12 (2): 447-453; 2006. COM-06 IL DOSAGGIO DELLA MESOTELINA SIERICA NEL FOLLOW-UP DEI LAVORATORI EX ESPOSTI AD AMIANTO R. Foddis1, A. Vivaldi1, R. Filiberti2, R. Puntoni2, L. Mutti3, N. Ambrosino4, A. Chella4, G. Guglielmi5, V. Gattini5, R. Buselli5, S. Perretta1, A. Cristaudo5 1 Dipartimento di Endocrinologia e Metabolismo, Ortopedia e Traumatologia, Medicina del Lavoro, Università di Pisa 2 Epidemiologia e Biostatistica, IST Genova 3 U.O. Pneumologia, Azienda Ospedeliero-Universitaria Pisana 4 Ospedale S. Pietro a Paolo, ASL 11 Vercelli 5 U.O. Medicina Preventiva e del Lavoro, Azienda OspedelieroUniversitaria Pisana Corrispondenza: Rudy Foddis, Ambulatorio di Medicina del Lavoro, Università di Pisa, Via S. Maria 110, 56100 Pisa, [email protected], Tel 050 993895 Fax 050 993707 RIASSUNTO. Una nostra ricerca appena conclusa ha confermato l’associazione tra Mesotelina Sierica e Mesotelioma Maligno della pleura (MM), recentemente osservata anche da altri autori, oltre ad evidenziare un’associazione significativa anche con il Tumore del Polmone (LC) nonché l’utilità prognostica del marcatore nel MM. Una potenziale applicazione come marker di diagnosi precoce o indicatore di rischio in lavoratori ex-esposti ad amianto è stata suggerita, ma non ancora dimostrata. A questo scopo abbiamo introdotto il dosaggio di Mesotelina Sierica nel protocollo di accertamenti condotti su una popola- G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it zione di lavoratori ex esposti in follow-up, assieme a prove di funzionalità respiratoria (PFR) ed esami radiologici. Il presente lavoro si pone l’obiettivo di effettuare un’analisi della variabilità dei valori del marcatore e l’eventuale correlazione di incrementi dello stesso con parametri quali l’età, l’anzianità lavorativa, il fumo, alterazioni riscontrate alle PFR e alle indagini radiologiche. Il valore medio di Mesotelina Sierica alla prima misurazione è stato di 0.66 nM (range 0.082.17), con una variabilità media in follow-up del 15%. La Mesotelina Sierica si correlava con l’età (p=0,04) e con le alterazioni alla TAC (p=0,04) ma non con l’anzianità lavorativa (p=0,5) né con l’abitudine al fumo (p=0,2) e neppure con alterazioni rilevabili alle PFR o all’RX del torace. Parole chiave: Mesotelioma Maligno, Asbesto, Mesotelina SERUM MESOTHELIN DOSAGES IN FOLLOW-UP OF PREVIOUSLY EXPOSED WORKERS ABSTRACT. High dosages of Serum Mesothelin have been demonstrated to be significantly associated to Pleural Malignant Mesothelioma. We recently demonstrated that Serum Mesothelin may be clinically helpful both for diagnostic and prognostic purposes, with the best cut-off corresponding to 1nM. We also discovered that high levels of Serum Mesothelin are significantly associated to Lung Cancer. The usefulness of this marker in secondary prevention has been suggested, though never demonstrated. We therefore started a long-term prospective cohort study including previously asbestos-exposed workers. These subjects periodically underwent both radiological tests and serum mesothelin dosages. As a mid term goal of this longitudinal study we decided to check the variability of mesothelin dosages, comparing baseline and follow-up values, as well as the possible correlation with age, duration of exposure, smoking, any abnormality of respiratory functional tests (RFT) and/or radiological tests. At baseline, Mesothelin mean value was 0.66±0.4 (range 0.08-2.2 nM). Both age (p=0.04) and abnormal thoracic TC (p=0.04) were significantly correlated with increased serum mesothelin levels and increasing age. No association was found between baseline mesothelin levels and duration of asbestos exposure (p=0.5), smoking habits (p=0.2), abnormal RFT, DLCO (carbon monoxide diffusing capacity) or thoracic X-ray. No significant variation was observed between mesothelin values at baseline and at follow-up (p=0.2). Key words: Malignant Mesothelioma, Asbestos, Mesothelin INTRODUZIONE Alcuni autori (1-4) hanno recentemente dimostrato come alti dosaggi di Mesotelina Sierica siano associati in maniera statisticamente significativa ai Mesoteliomi Maligni della pleura (MM). In particolare una nostra ricerca appena conclusa (5) mirata a verificare i potenziali impieghi clinici del marcatore, non solo ha confermato l’associazione tra alti valori di Mesotelina Sierica e MM, ma è risultata essere anche associata in maniera significativa (seppur con minor forza rispetto al MM) al Tumore del Polmone (LC). Inoltre le nostre ricerche hanno evidenziato come lo stesso marcatore possa avere un’utile applicazione clinica. Infatti, la Mesotelina Sierica nei nostri casi si è rivelata un buon indicatore prognostico nel MM (circa 11 mesi di sopravvivenza in più nel gruppo di soggetti con mesotelina inferiore a 1 nM rispetto al gruppo con valori superiori a 1nM. Proprio il valore di 1.00 nmol/l è risultato essere il miglior cut-off (migliore combinazione di sensibilità e specificità, 68,2% e 80,5% rispettivamente) Una potenziale applicazione a scopi preventivi come marker di diagnosi precoce o come indicatore di rischio in lavoratori che siano stati esposti ad amianto è stato suggerita (1,5,6) ma non ancora dimostrata. In particolare Robinson et al. (1) osservarono valori elevati di Mesotelina Sierica in 7 lavoratori ex esposti ad amianto su un totale di 40. Ma ciò che risultò più interessante fu che ben 4 di questi sette lavoratori avevano sviluppato un tumore (3 MM ed 1 LC) nel corso dei cinque anni successivi al dosaggio. A questo scopo abbiamo introdotto il dosaggio di Mesotelina Sierica nel protocollo di accertamenti condotti su una popolazione di lavoratori ex esposti ad amianto sottoposta periodicamente a controlli medici presso il nostro ambulatorio di Medicina del Lavoro. Il presente lavoro si pone l’obiettivo di effettuare un’analisi dell’andamento dei valori di Mesotelina Sierica nella popolazione sottoposta a follow-up, ai fini di valutarne la stabilità nel tempo e l’eventuale influenza di alcuni parametri fisiologici, clinici e voluttuari. 343 MATERIALI E METODI Un totale di 286 lavoratori ex esposti ad amianto occupati in attività industriali diverse (Figure 1 e 2) dell’area vasta Nord Ovest della Toscana sono stati reclutati nello studio. I lavoratori sono stati sottoposti ad accertamenti medici tra cui visita medica ed accertamenti strumentali (Spirometria basale, DLCO, VR, Rx torace ed eventualmente TAC Torace low dose). Tutti i casi reclutati nello studio sono stati visitati nel quinquennio 2002-2007. A tutti è stato effettuato un prelievo venoso, con susseguente centrifugazione e preparazione di aliquote di siero, stoccate a -80°C. Il dosaggio di Mesotelina Sierica è stato effettuato attraverso un sistema ELISA (Mesomark, CisBio International) in doppio ed in cieco rispetto all’operatore di laboratorio che ha effettuato le analisi. I lavoratori ex esposti inseriti in un follow-up che prevede la ripetizione degli accertamenti in un periodo di tempo variabile da uno a tre anni. I valori di Mesotelina Sierica sono stati trasformati in valori di logaritmo naturale. Le differenze nelle medie fra più gruppi sono state valutate con l’analisi della varianza (ANOVA). Il test T per dati indipendenti è stato usato per il confronto di due gruppi. Il test T per dati appaiati è stato impiegato per il confronto dei valori di mesotelina dei soggetti in follow-up. Il metodo della correlazione di Pearson è stato usato per correlare i valori di mesotelina con l’età dei soggetti inclusi nello studio e con gli anni di esposizione ad amianto. Le relazioni fra variabili categoriche sono state esaminate con il test del χ2. Figura 1. Distribuzione per comparti Figura 2. Distribuzione per mansione 344 G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it RISULTATI La popolazione oggetto di studio era costituita da 286 ex esposti tutti residenti nell’area della Zona Vasta Nord Ovest della Toscana con età media di 54.5 anni (DS 6.7; mediana 54.0; range 39-76 anni) di cui 279 (97.5%) erano di sesso maschile (vedi Tabella I per altre caratteristiche dei casi in esame). Il valore medio di Mesotelina Sierica alla prima misurazione, considerando l’intera popolazione in studio, è stato di 0.66 nM (DS 0.4; mediana 0.57; range 0.08-2.17). La valutazione dei dati risultanti dalla trasformazione logaritmica dei valori di Mesotelina Sierica ci ha permesso di osservare che in questa popolazione la mesotelina si correlava in maniera statisticamente significativa con l’età dei soggetti (coeff. r di Pearson 0,12, p=0,04), ma non con l’anzianità lavorativa (p=0,5) né con l’abitudine al fumo (p=0,2). I soggetti con indagini TAC alterate (vedi Figura 3) mostravano in media valori più alti di Mesotelina Sierica rispetto ai soggetti con TAC torace normale (mediana 0,67 nM e 0,48, rispettivamente, p=0,04). Nessuna associazione è stata riscontrata tra valori di mesotelina ed alterazioni delle prove di funzionalità respiratoria eseguite (spirometria basale, VR, DLCO) o alterazioni radiologiche visibili all’RX del torace. In 33 lavoratori sani ex esposti (il 15% della popolazione in esame) era presente un valore di Mesotelina Sierica superiore a 1.0 nM. Tra questi si è registrato un caso di LC in un soggetto che presentava una storia clinica di ingravescente dispnea e dati radiologici incerti. Ad un totale di 35 pazienti ritornati a visita presso il nostro ambulatorio dopo 3-4 anni dai primi accertamenti la Mesotelina Sierica è stata dosata di nuovo riscontrando una variazione media del 15% (-66%, +100%). In questo gruppo il valore medio alla prima misurazione era di Tabella I. Es. strumentali in protocollo % Spirometria basale • Normale • Patologica 79,6 20,4 DLCO • Normale • Patologica 84,3 15,7 RX Torace • Normale • Patologica 72,4 27,6 TAC Torace • Normale • Patologica 42,0 58,0 Figura 2. Distribuzione per mansione 0,64 nM (DS 0,3, mediana 0,53 nM, range 0,28-1,65 nM) e alla seconda misurazione era 0,67 (DS 0,3 nM, median 0,60 nM, range 0,25-1,48 nM). Tale variazione non è risultata statisticamente significativa (p=0,2). In 22 (63%) di questi 35 soggetti è stato osservato un incremento medio del valore di Mesotelina Sierica dalla prima alla seconda misurazione pari al 31% (range 2-100%). La riduzione media è stata del 27% (range 0-66%) nei restanti 13 soggetti (27%). DISCUSSIONE E CONCLUSIONI La sorveglianza sanitaria dei lavoratori esposti ad amianto rappresenta un problema sempre più cogente ed impegnativo per motivi diversi e complessi. Innanzitutto le previsioni epidemiologiche prevedono che il picco di incidenza di MM per i soli paesi europei occidentali occorra tra il 2019-2020. Come per la maggior parte dei cancerogeni, anche per l’amianto, non è stato possibile riconoscere una dose soglia che ponga al riparo da rischi di sviluppare tumori asbesto-correlati ed anche esposizioni “minime” sono state dimostrate valide sotto il profilo ezio-patogenetico. D’altro canto la diffusione dell’amianto sia per motivi occupazionali che extraprofessionali è stata enorme in passato e ciò estende a dismisura la popolazione dei soggetti ex esposti che possano considerarsi a rischio. Nonostante la dimensione del problema, non esiste ad oggi un protocollo di sorveglianza sanitaria che sia dimostrato essere un efficace strumento di prevenzione secondaria o che almeno sia riconosciuto come eticamente adeguato dalla comunità scientifica. I risultati tuttora dibattuti degli studi che hanno proposto l’impiego di strumenti radiologici (RX, TAC, ect.) nello screening di popolazione, per i tumori del polmone, sollevano problemi di ordine economico ed etico anche nell’ipotesi di applicazione di tali strumenti nella sorveglianza sanitaria di lavoratori ex esposti. In aggiunta, nel caso del MM si debbono considerare la prognosi estremamente infausta e l’assenza, fino a pochi anni fa, di proposte terapeutiche efficaci. Del tutto recentemente, invece, si sono avuti piccoli progressi in questo senso, suggerendo che gli sforzi per una diagnosi precoce efficace non dovrebbero risultare solo in un anticipo diagnostico, ma anche in un miglioramento della prognosi, della qualità della vita e forse in ultimo anche della mortalità per MM. Da quanto sopra, emerge l’importanza dell’uso di marcatori sierologici che possano vantare un buon compromesso tra specificità e sensibilità, che siano economici e di facile accettabilità da parte del soggetto esposto. Recentemente alcuni marcatori sierici sono stati sottoposti a studio a questo scopo. Tra questi uno dei più promettenti risulta essere la Mesotelina Sierica. Sebbene esistano evidenze di una potenziale utilità clinica in fase diagnostica (anche diagnosi differenziale) e prognostica di tale marcatore, la sua possibile applicazione in prevenzione secondaria non è stata ancora dimostrata. Infatti non sono stati ad oggi condotti studi longitudinali di coorte sufficientemente dimensionati per tale scopo. Nella nostra casistica ad oggi si è registrato solo un caso di tumore del polmone in soggetto, peraltro con Mesotelina Sierica superiore a 1 nM. Per il momento l’obiettivo del presente lavoro era quello di verificare la stabilità del dosaggio di Mesotelina Sierica in soggetti attualmente liberi da patologia neoplastica e soprattutto di verificare quanto altri fattori come l’età, l’abitudine al fumo, l’anzianità lavorativa (e nel caso specifico la durata dell’esposizione ad amianto), potessero avere un’influenza sul significato di fattore di rischio per tumore respiratorio asbesto-correlato. I dati ottenuti indicano che nessuno dei parametri succitati abbia un ruolo nel determinismo del valore misurato di Mesotelina Sierica. I nostri risultati inoltre indicano che il test è sostanzialmente stabile nel tempo non registrando una eccessiva variabilità media in costanza di condizioni cliniche di salute. Seppur con i limiti dimensionali della popolazione in studio i nostri risultati suggeriscono infine che probabilmente i cut-off utilizzati per definire i livelli di rischio di sviluppo di tumoreasbesto correlato, dovranno essere parametrati sull’età del lavoratore esaminato. Interessante risulta essere anche l’osservazione di una associazione positiva tra alterazioni radiologiche evidenziabili alla TAC e valori di Mesotelina Sierica. Per esiguità del campione in studio non è stato possibile meglio precisare se e quali eventuali alterazioni fossero realmente associate ad un aumento del valore del marcatore sierico. Ulteriori studi con ampliamento della coorte sono in progresso. Per quanto la dimostrazione statistica di una reale utilità a scopo preventivo necessiti di un follow-up più lungo e di una popolazione più ampia di ex esposti, le osservazioni che scaturiscono dalla nostra esperienza e i dati presenti in letteratura supportano un ruolo della mesotelina in un ottica preventiva nella sorveglianza sanitaria degli ex-esposti ad amianto. G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it BIBLIOGRAFIA 1) Robinson BW, Creaney J, Lake R, et al. Mesothelin-family proteins and diagnosis of mesothelioma. Lancet 2003; 362:1612-6. 2) Hassan R, Remaley AT, Sampson ML, et al. Detection and quantitation of serum mesothelin, a tumor marker for patients with mesothelioma and ovarian cancer. Clin Cancer Res 2006;12:447-53. 3) Scherpereel A, Grigoriu B, Conti M, et al. Soluble mesothelin-related peptides in the diagnosis of malignant pleural mesothelioma. Am J Respir Crit Care Med 2006;173:1155-60. 4) Beyer HL, Geschwindt RD, Glover CL, et al. MESOMARKTM: A Potential Test for Malignant Pleural Mesothelioma. Clin Chem 2007 (In press).Clin Chem. 2007;53:666-72. 5) Cristaudo A, Foddis R, Vivaldi A, Guglielmi G, Dipalma N, Filiberti R, Neri M, Ceppi M, Paganuzzi M, Ivaldi GP, Mencoboni M, Canessa PA, Ambrosino N, Chella A, Mutti L, Puntoni R. Clinical significance of serum mesothelin in patients with mesothelioma and lung cancer. Clin Cancer Res. 2007;13:5076-81. 6) Cristaudo A, Foddis R, Buselli R, et al. Medical surveillance of workers previously exposed to asbestos. Med. Lav 2006;97:475-81. COM-07 SORVEGLIANZA SANITARIA DEGLI EX- ESPOSTI AD AMIANTO: RISCONTRO DI UN CASO DI TUMORE POLMONARE IN UN SOGGETTO CON ELEVATI VALORI DI MESOTELINA G. Guglielmi1, A. Ciberti2, R. Foddis2, N. Ambrosino3, A. Chella3, V. Gattini1, R. Buselli1, F. Ottenga2, A. Cristaudo1 1 U.O. Medicina Preventiva e del Lavoro, Azienda OspedalieroUniversitaria Pisana - Pisa 2 Dipartimento di Endocrinologia e Metabolismo, Ortopedia e Traumatologia, Medicina del Lavoro, Università di Pisa - Pisa 3 U.O. Pneumologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana - Pisa Corrispondenza: Dott. Giovanni Guglielmi, U.O. Medicina Preventiva e del Lavoro, Via S. Maria 110, 56100 Pisa, [email protected] RIASSUNTO. Negli ultimi anni sono stati sempre più numerosi gli ex esposti ad amianto che sono stati sottoposti, presso il nostro ambulatorio, ad un programma di sorveglianza sanitaria secondo un protocollo da noi predisposto comprendente indagini radiologiche e dosaggio di markers come la mesotelina e l’osteopontina serici. In questo contributo illustriamo la storia clinica di un soggetto ex esposto ad amianto che dapprima riconosciuto affetto da asbestosi ha poi sviluppato una neoplasia polmonare, indagata grazie anche al riscontro di elevati valori di mesotelina. Nonostante il follow-up mirato, la diagnosi precoce di neoplasia con apparente prognosi favorevole, la precocità del trattamento, l’elevata aggressività della neoformazione ha reso vano ogni tentativo terapeutico. L’insuccesso di questo caso non deve comunque, a nostro parere, dissuadere da una attenta sorveglianza sanitaria nei confronti degli ex-esposti ad agenti cancerogeni, in particolare ad amianto. La mesotelina e l’osteopontina, secondo gli ultimi studi - specialmente la prima -, rappresentano utilissimi strumenti di monitoraggio sanitario degli ex-esposti presentando singolarmente elevata sensibilità e specificità nei confronti del mesotelioma maligno e orientando congiuntamente (per le diverse sensibilità e specificità di ciascun indicatore) anche per il rilievo di altro tipo di patologia come il tumore polmonare e altre patologie dell’apparato respiratorio non di tipo neoplastico. Parole chiave: sorveglianza sanitaria; amianto; mesotelina MEDICAL SURVEILLANCE OF PREVIOUSLY ASBESTOS-EXPOSED WORKERS: LUNG CANCER WITH HIGH LEVEL OF SERUM MESOTHELIN ABSTRACT. Recently, the number of previously asbestos-exposed workers performing, at our department, medical exams aimed at an early diagnosis of asbestos-related tumors, has been progressively increasing. The diagnostical protocol we propose to these subjects include both raREPORT OF A CASE OF 345 diological exams and some serum markers such as mesothelin and osteopontin. In this case-report we illustrate the history of a worker who, after having diagnosed a pulmonary asbestosis, developed a Lung Cancer. The significance of this case is based on the importance of the high mesothelin dosage which prompted further radiological exams resulting into the final diagnosis. In spite of the early diagnosis and treatment the patient finally died. Nevertheless, serum markers like mesothelin and osteopontin (especially the first) may result very helpful in monitoring and screening the population of workers previously exposed to asbestos. Key words: health surveillance; asbestos; mesothelin INTRODUZIONE La vigente normativa italiana prevede che la sorveglianza sanitaria dei lavoratori ex-esposti all’amianto debba proseguire anche dopo la cessazione dell’esposizione ad amianto (D. Lgs. 277/91). La legge non si pronuncia però riguardo alla periodicità e al limite di estensione nel tempo dei controlli clinici, né a chi spetti tale incombenza; anche i qualificati contributi del Coordinamento Tecnico delle Regioni e della SIMLII, con filosofie divergenti per quanto riguarda la sorveglianza degli esposti a cancerogeni, non presentano proposte articolate ed operative per la sorveglianza degli ex-esposti ed in particolare per gli ex-esposti ad amianto. Tra gli obiettivi primari che un protocollo sanitario deve prefigurarsi vi è senz’altro il poter rilevare eventuali alterazioni pleuroparenchimali correlabili alla attività lavorativa e indagarne l’eventuale evoluzione nel tempo, minimizzando le conseguenze per il soggetto sia in termini di invasività che di esposizione indebita alle radiazioni. Negli ultimi anni sono stati sempre più numerosi gli ex esposti ad amianto che sono stati sottoposti, presso il nostro ambulatorio, ad un programma di sorveglianza sanitaria secondo un protocollo da noi predisposto, già presentato in altra sede. In questo contributo illustriamo la storia clinica di un soggetto che dapprima riconosciuto affetto da asbestosi ha poi sviluppato una neoplasia polmonare, indagata grazie anche al riscontro di elevati valori di mesotelina. MATERIALI E METODI Il protocollo sanitario predisposto è costituito essenzialmente da una parte anamnestico clinica ed un’altra strumentale con esecuzione di prove di funzionalità respiratoria ed indagini radiologiche. Viene anche proposto un prelievo ematico per il dosaggio di mesotelina e osteopontina sieriche. Nella parte anamnestica sono stati raccolti i dati generali dei pazienti, l’anamnesi patologica remota e prossima con particolare riguardo alle malattie pregresse o in corso a carico dell’apparato respiratorio ed abitudini voluttuarie quali le abitudini al fumo di tabacco e gli anni di esposizione a questo. Particolare attenzione è stata dedicata alla raccolta dell’anamnesi lavorativa con la descrizione dei comparti di appartenenza, le mansioni svolte, le modalità di esposizione all’amianto e l’analisi delle anzianità lavorativa totale e specifica per esposizione ad amianto. Sono state eseguite presso il nostro ambulatorio di Medicina del Lavoro la Spirometria basale (spirometro modello Biomedin a campana) ed il Test di diffusione alveolo capillare con l’impiego del metodo del singolo respiro (modello Biomedin modulo DLCO). Presso la Radiodiagnostica dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana è stata eseguita la Radiografia del torace in due proiezioni per i lavoratori che non avevano a disposizione radiogrammi leggibili con criteri ILO, eseguiti in un periodo inferiore a 2 anni. Sei lavoratori erano in possesso di TC al momento della visita. Per i lavoratori per i quali erano stati posti dubbi diagnostici, è stata consigliato un approfondimento con Tac e se del caso, successivamente controllo specialistico pneumologico. RISULTATI Il paziente era giunto alla nostra attenzione nel maggio 2005, all’età di 61 anni ed in seguito agli accertamenti effettuati (Rx torace, prove di funzionalità polmonare, Tc torace) era stata posta diagnosi di “asbestosi con limitato impegno funzionale in soggetto con pregressa esposizione all’amianto superiore ai 10 anni” per la quale il paziente ha ottenuto il riconoscimento da parte dell’istituto assicuratore di malattia professionale per: “asbestosi radiologicamente evidenziata e senza impegno funzionale”. I valori di mesotelina erano risultati elevati e per tale motivo il paziente è stato inserito in un particolare follow-up clinico a seguito del quale il paziente, per comparsa di dispnea a riposo con senso di oppressione toracica, è stato sottoposto a specifici indagini mediche. 346 La valutazione cardiologica, effettuata con ECG basale ed Ecocolordoppler cardiaco, escludeva la genesi cardiaca della sintomatologia riferita. Da un punto di vista polmonare vi era una riduzione della diffusione del CO, e una lieve ipossiemia. Ulteriori TAC successive hanno permesso di individuare un’area pseudonodulare a livello della lingula. Al fine di indagare questo consolidamento che si associava a peggioramento della sintomatologia soggettiva respiratoria, nonostante la terapia, in accordo con il radiologo e lo pneumologo, abbiamo programmato un PET/TC globale corporea. La PET/TC evidenziava un’area ipermetabolica compatibile con neoplasia corrispondente all’area lingulare indicata dalla TC, e escludeva la presenza di altre aree patologiche negli altri distretti corporei indagati. Si inviava quindi il paziente a consulenza presso Chirurgia Toracica per l’inquadramento terapeutico, e quindi veniva eseguita broncoscopia con biopsia, che evidenziava una neoplasia maligna NON a piccole cellule, con classificazione TNM: T1 N0 M0. Quindi un tumore <3 cm, circondato da tessuto polmonare integro, senza interessamento del bronco lobare alla broncoscopia, senza evidenza di metastasi linfonodali ed a distanza. Rientrando il caso nello STADIO I di malattia e trattandosi di un tumore non a piccole cellule, veniva così programmato un intervento di lobectomia mirata. Secondo la letteratura il tasso di sopravvivenza a cinque anni in questo stadio oscilla tra il 60-80%. Tuttavia nel corso dell’intervento venivano evidenziate aree metastatiche. Il successivo controllo TAC effettuato poco tempo dopo evidenziava una patologia neoplastica diffusa con interessamento multiorgano che si associava ad importante scadimento delle condizioni generali del paziente. L’exitus è sopraggiunto nel Dicembre 2006. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI Nonostante il follow-up mirato associato ad una elevata compliance del paziente, la diagnosi precoce di neoplasia con apparente prognosi favorevole, la precocità del trattamento, l’elevata aggressività della neoformazione ha reso vano ogni tentativo terapeutico. L’insuccesso di questo caso non deve comunque, a nostro parere, (anche in considerazione del fatto che molte neoplasie polmonari oggi possono essere curate se diagnosticate precocemente) dissuadere da una attenta sorveglianza sanitaria nei confronti degli ex-esposti ad agenti cancerogeni, in particolare ad amianto. Come già in altra occasione enunciato, in base alla nostra esperienza, l’applicazione di un protocollo standardizzato concorde alle linee guida dell’American Thoracic Society 2003 con esecuzione di un esame radiologico del torace effettuato a tutti i soggetti dello studio rappresenta il primo step di valutazione degli ex-esposti. La lettura e la ri-lettura del radiogramma da parte di specialisti B reader e del medico del lavoro, associata eventualmente al dosaggio di marcatori quali l’osteopontina e la mesotelina, permette di stratificare gli ex esposti in base a diversi livelli di rischio e quindi di pianificare le periodicità per la sorveglianza sanitaria che vede la Tc low-dose come ulteriore momento di approfondimento diagnostico. I successivi livelli di approfondimento di imaging, se necessari, dovranno essere concordati con lo specialista pneumologo ed il radiologo. In particolare per quanto concerne la mesotelina e l’osteopontina, si può rilevare che questi indicatori, secondo gli ultimi studi - specialmente la prima -, rappresentano utilissimi strumenti di monitoraggio sanitario degli ex-esposti presentando singolarmente elevata sensibilità e specificità nei confronti del mesotelioma maligno e orientando congiuntamente (per le diverse sensibilità e specificità di ciascun indicatore) anche per il rilievo di altro tipo di patologia come il tumore polmonare e altre patologie dell’apparato respiratorio non di tipo neoplastico. BIBLIOGRAFIA 1) Aberle DR, Gamsu G, et al.: A consensus statement of the Society of Thoracic Radiology. Screening for lung cancer with helical computed tomography. Journal of Thoracic Imaging. 16: 65-68; 2001. 2) American Thoracic Society. 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Res. 2007;13 (17) September 1,2007. 6) Fasola G., Grossi et al.: Final results of lung cancer and mesothelioma baseline screning with low-dose spiral computed tomography(LDCT) in 1,000 asbetsos-exposed workers: an alpeadria thoracic oncology multidisciplinary group study (ATOM 002): In Atti Convegno: “Le Patologie correlate all’amianto e la sorveglianza sanitaria degli ex esposti”. Pisa 21-22 Aprile 2005. Pisa: Grafiche Caroti, 106-107;2005. 7) Guglielmi G., DiPalma N., Buselli R., Gattini V., Foddis R., et al: L’esperienza della Medicina del Lavoro della Azienda OspedalieroUniversitaria Pisana nella sorveglianza sanitaria degli ex -esposti ad amianto. Atti Convegno: “Le Patologie correlate all’amianto e la sorveglianza sanitaria degli ex esposti”. Pisa 21-22 Aprile 2005. Pisa: Grafiche Caroti, 79-85, 2005. 8) Pira E., Detragiache E., Discalzi G., Mutti A., Ghigo D., Iavicoli S., Apostoli P.: Linee guida per la sorveglianza sanitaria degli esposti ad agenti cancerogeni e mutageni in ambiente di lavoro. PI-ME Editors, Pavia 2003. 9) Robinson B.W., Creaney J., Lake R. et al: Mesothelin-family proteins and diagnosis of mesothelioma. Lancet 362:11612-6; 2003. 10) Robinson B.W., Creaney J., Lake R. et al: Soluble mesothelin-related protein-a blood test for mesothelioma. Lung Cancer 49, Suppl. 1:S109-11; 2005. COM-08 MORTALITÀ PER TUMORE PLEURICO E PERITONEALE IN UNA COORTE DI LAVORATORI DEL CEMENTO AMIANTO, DOPO LUNGHI PERIODI DI LATENZA: VALUTAZIONE DI UN POSSIBILE RUOLO DELLA CLEARANCE DELLE FIBRE F. Barone Adesi1,2, D. Ferrante2, M. Bertolotti1, A. Todesco1, D. Mirabelli1, B. Terracini1, C. Magnani2 1 SCDU Epidemiologia dei Tumori, Università di Torino e CPO Piemonte 2 Unità di Statistica Medica, Università del Piemonte Orientale e CPO Piemonte Corrispondenza: Francesco Barone-Adesi, SCDU Epidemiologia dei Tumori, Università di Torino, Via Santena 7, 10126, Torino, Italia, Telefono: 0116334628 Fax: +390116334664 E-mail:[email protected] RIASSUNTO. La teoria multistadiale della cancerogenesi assume che l’incidenza di mesotelioma aumenti in funzione del tempo trascorso dalla prima esposizione ad amianto. Alcuni autori hanno però suggerito un’attenuazione dei tassi di mesotelioma per periodi di latenza molto lunghi, dovuta ad una graduale eliminazione dell’asbesto dai polmoni. Abbiamo studiato l’andamento dei tassi di mortalità per tumore pleurico e peritoneale in una coorte di 3443 lavoratori del cementoamianto. Il ruolo dell’eliminazione delle fibre di amianto dai polmoni è stato analizzato utilizzando il modello multistadiale di Armitage-Doll, generalizzato per includere un termine che rappresentasse la clearance. Abbiamo osservato 139 morti per tumore pleurico e 56 per tumore peritoneale durante il periodo di osservazione (1950-2003). I tassi di tumore pleurico aumentavano durante i primi 40 anni di latenza e poi raggiungevano un plateau. Vi era invece un incremento continuo dei tassi di tumore peritoneale all’aumentare della latenza. Il modello che teneva conto della clearance descriveva i dati meglio di quello tradizionale per quanto riguarda il tumore pleurico (p=0,02), ma non quello peritoneale (p=0,23). Il rischio di tumore pleurico, invece di aumentare indefinitamente, raggiunge un plateau dopo lunghi periodi di latenza. Tale andamento potrebbe essere dovuto all’esistenza di una clearance delle fibre dal polmone. Parole chiave: asbesto, mesotelioma, modello multi-stadiale, latenza, clearance G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it MORTALITY FROM PLEURAL AND PERITONEAL CANCER IN A COHORT OF ASBESTOS WORKERS, MANY YEARS AFTER START OF THE EXPOSURE: POSSIBLE ROLE OF FIBERS CLEARANCE ABSTRACT. The multistage theory of carcinogenesis assumes rates of mesothelioma increasing monotonically as a function of time since first exposure (TSFE) to asbestos. However, some authors have suggested that the increase in mesothelioma rate with TSFE might be attenuated by clearance of asbestos from the lungs. We estimated mortality time trends from pleural and peritoneal cancer in a cohort of 3443 asbestos-cement workers. The role of asbestos clearance was explored using the traditional mesothelioma multistage model, generalized to include a term representing elimination over time. We observed 139 deaths from pleural and 56 from peritoneal cancer during the period 1950-2003. The rate of pleural cancer increased during the first 40 years of TSFE and reached a plateau thereafter. In contrast, the rate of peritoneal cancer increased monotonically with TSFE. The model allowing for asbestos elimination fitted the data better than the traditional model for pleural (p = 0.02) but not for peritoneal cancer (p = 0.22). The risk for pleural cancer, rather than showing an indefinite increase, might reach a plateau when a sufficiently long time has elapsed since exposure. The different trends for pleural and peritoneal cancer might be related to clearance of the asbestos from the workers’ lungs. Key words: asbestos, mesothelioma, multi-stage model, latency, clearance 347 di produzione. In seguito, per ragioni economiche, l’utilizzo di crocidolite è andato gradualmente diminuendo (senza peraltro essere mai abolito) ed è stato limitato alla produzione di tubi ad alta pressione e manicotti speciali [4]. La coorte include 3443 operai (2663 uomini e 780 donne) che erano in forze allo stabilimento nel gennaio del 1950 o che sono stati assunti tra il 1950 ed il 1986. Nove soggetti sono stati esclusi dalle analisi per dati non completi. La coorte è stata ricostruita in base ai libri matricola dell’azienda, dove sono registrati con numerazione progressiva i dati anagrafici e le date di assunzione e licenziamento di tutti i dipendenti. Gli uffici anagrafe dei comuni di residenza hanno permesso di seguire i trasferimenti dei soggetti della coorte fornendo secondo il caso: un’attestazione di residenza, il comune presso cui la persona si era trasferita o il comune e la data di decesso. Il follow up è stato completato per il 99.7% dei soggetti. La causa della morte è stata ottenuta dai Servizi di Igiene e Sanità Pubblica competenti per il luogo di decesso ed è stata codificata secondo la classificazione ICD (9° rev). Ogni membro della coorte ha contribuito al computo degli anni-persona dall’assunzione in Eternit (o da gennaio 1950 se assunti precedentemente) fino al primo dei seguenti eventi: morte, emigrazione all’estero, perdita al follow up, fine del follow up (aprile 2003). Analisi statistiche La relazione funzionale tra tempo di latenza e tassi di mortalità per tumore pleurico (ICD-IX 163) e peritoneale (ICD-IX 158) è stata studiata utilizzando modelli di regressione di Poisson. Abbiamo usato due approcci per studiare l’effetto della latenza; 1) Abbiamo condotto un’analisi esplorativa introducendo la latenza nei modelli come variabile categorica. Le variabili sesso, età, durata dell’impiego in Eternit e anno di calendario sono state incluse nei modelli come variabili di aggiustamento. 2) Il modello con eliminazione proposto da Berry è stato confrontato con quello tradizionale, che non tiene conto dell’eliminazione delle fibre dai polmoni. Abbiamo assunto W uguale a 5 anni in entrambi i modelli [3]. I valori dei parametri K e λ sono stati stimati dai dati. Il likelihood Ratio test è stato usato per confrontare i due modelli, assumendo come ipotesi nulla la loro equivalenza (ovvero λ = 0). In tutte le analisi il tempo trascorso dall’assunzione in Eternit e la durata dell’impiego nello stabilimento sono stati rispettivamente usati come surrogati del tempo di latenza e dell’esposizione cumulativa. I tumori pleurici e peritoneali sono stati analizzati separatamente. INTRODUZIONE Il classico modello multistadiale di Armitage-Doll per lo sviluppo del cancro prevede che l’incidenza di mesotelioma aumenti in funzione dell’esposizione cumulativa ad amianto e del tempo trascorso dalla prima esposizione (tempo di latenza) [1]. La relazione tra incidenza di mesotelioma e tempo di latenza può dunque essere modellata come: I(T)= C(T-W)K, Dove I è il tasso di incidenza di mesotelioma al tempo di latenza T, C è l’esposizione cumulativa ad amianto, W è l’intervallo di tempo dopo l’esposizione durante il quale si assume che il tasso di mesotelioma non aumenti (in genere tale “tempo di lag” viene assunto pari a 5 o 10 anni) e K è una costante. L’adeguatezza di tale modello “tradizionale” per periodi di latenza molto lunghi (> 40 anni) è ancora oggetto di ricerca, a causa del limitato tempo di follow up degli studi epidemiologici disponibili. A partire dagli anni ’80, i risultati di alcuni studi hanno spinto alcuni autori ad RISULTATI ipotizzare che un decremento del rischio potesse avvenire per periodi di Abbiamo osservato 139 morti per tumore pleurico e 56 per tumore latenza molto lunghi [2]. Se si assume che l’amianto venga gradualperitoneale durante il periodo di osservazione 1950-2003. È stato evidenmente eliminato dall’apparato respiratorio o reso inattivo all’interno ziato un aumento dei tassi di tumore pleurico durante i primi 40 anni di dell’organismo, allora l’incidenza di mesotelioma sarà diminuita ad latenza, seguito da un plateau negli anni successivi (tabella I). La tabella opera di un fattore che rappresenta la riduzione del numero di fibre “atII presenta il confronto tra il modello con eliminazione e quello tradiziotive” nel polmone. In un modello proposto da Berry nel 1991 [3], l’aunale. Per quanto riguarda i tumori pleurici, il risultato del likelihood ratio mento dei tassi di mesotelioma con il trascorrere del tempo di latenza è test suggerisce che il modello con eliminazione descrive meglio i dati del attenuato da un fattore che rappresenta la clearance delle fibre di amianmodello tradizionale (p=0,02). La stima di massima verosimiglianza di K to dai polmoni secondo una cinetica di primo ordine. La relazione tra nel modello con eliminazione è 2,95 per il tumore pleurico, in buon acincidenza di mesotelioma e tempo di latenza in tale modello “con eliminazione” diviene dunque: Tabella I. Modelli di regressione di Poisson. Rate Ratios e intervalli di confidenza al 95% per I(T)= C(T-W)K exp(-λT), tumori pleurici e peritoneali, stratificati per tempo di latenza. Risultati aggiustati per età, sesso, dove λσ rappresenta il tasso di eliminadurata di impiego in Eternit, anno di calendario zione delle fibre. Con l’obbiettivo di testare l’ipotesi proposta da Berry, abbiamo studiato l’andamento dei tassi di mortalità per tumore pleurico e peritoneale nella coorte dei dipendenti dello stabilimento Eternit di Casale Monferrato, per la quale sono disponibili più di 50 anni follow-up. METODI Descrizione della coorte Lo stabilimento Eternit di Casale Monferrato ha prodotto manufatti in cemento amianto dal 1907 al 1986. Fino all’inizio degli anni ’70 sono stati usati sia il crisotilo che la crocidolite in tutti i tipi 348 G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it Tabella II. Confronto tra il modello con eliminazione e quello tradizionale. Valori stimati dei parametri e loro intervalli di confidenza al 95% DISCUSSIONE E CONCLUSIONI È la prima volta che gli andamenti di tumore pleurico e peritoneale dopo lunghi periodi di latenza vengono studiati in una coorte con un periodo di osservazione sufficiente per poter valutare l’adeguatezza del modello multistadiale classico. I risultati suggeriscono che il rischio di sviluppare un tumore della pleura, invece di aumentare indefinitamente con il trascorrere del tempo dalla prima esposizione ad amianto, potrebbe raggiungere un plateau dopo tempi di latenza sufficientemente lunghi. Tale andamento è coerente con quello descritto da altri autori [8,9,10]. Per tale motivo il modello multistadiale classico sembra adeguato a descrivere gli andamenti di tumore peritoneale ma sovrastima i tassi di tumore pleurico per periodi di latenza superiori a 40 anni. Un modello multistadiale modificato che tenga in considerazione l’eliminazione delle fibre dall’apparato respiratorio sembra più indicato a descrivere gli andamenti di tumore pleurico. Una conseguenza di questi risultati è che le previsioni condotte finora sul numero di mesoteliomi da attendersi in un prossimo futuro, che si basano sul modello tradizionale, potrebbero essere sovrastimate e che l’anno per cui è atteso il massimo numero di casi sarebbe stato erroneamente posticipato [11-12]. Infine, i diversi trend osservati per il tumore pleurico e peritoneale suggeriscono che gli andamenti di tali patologie dovrebbero essere analizzati separatamente. Figura 1. Tumore pleurico. Numero di casi, Tassi di mortalità osservati e attesi dai diversi modelli di regressione, per tempo di latenza cordo con quanto riportato in letteratura [5,6]. D’altra parte la stima di K per il tumore pleurico nel modello tradizionale (K=1,27), che è più bassa di quanto riportato in letteratura, suggerisce che il modello con eliminazione sia anche più realistico dal punto di vista biologico. Il tasso di eliminazione delle fibre (λ) stimato dal modello per il tumore pleurico è del 6% annuo, pari ad un’emivita di 11 anni, in accordo con i risultati di alcuni studi sperimentali [7,8] e con le stime prodotte da Berry [8]. Per quanto riguarda i tumori peritoneali, il modello con eliminazione non descrive i dati meglio del modello tradizionale (likelihood ratio test p=0,23). Inoltre i valori stimati dei parametri nel modello con eliminazione (K=0,74; λ= -0,05) per i tumori peritoneali non sono biologicamente plausibili (un valore di clearance negativo non è interpretabile e la stima di K è molto bassa), suggerendo che in questo caso il modello tradizionale sia preferibile. La figura 1 mostra i tassi osservati di tumore pleurico e quelli attesi dai vari modelli. Quando il modello tradizionale viene utilizzato per descrivere i dati fino a 40 anni di latenza (come è stato fatto in diversi studi epidemiologici del passato), predice un aumento continuo dei tassi con il trascorrere del tempo di latenza e l’adattamento ai dati è eccellente. D’altra parte, i tassi osservati dopo 40 anni di latenza sono più bassi di quelli predetti. Quando anche le osservazioni successive a 40 anni di latenza vengono utilizzate dal modello tradizionale per la stima dei parametri, l’adattamento del modello ai dati peggiora e vengono stimati valori di K poco plausibili. Il modello con eliminazione dà risultati molto simili al modello tradizionale fino a 40 anni di latenza, ma in seguito diverge sensibilmente, descrivendo bene il plateau dei tassi osservato nelle ultime categorie di latenza. BIBLIOGRAFIA 1) Newhouse ML, Berry G. Predictions of mortality from mesothelial tumours in asbestos factory workers. Br J Ind Med. 1976; 33(3): 147-51. 2) Crump KS, Allen BC, Howe RB, Crockett PW. Time-related factors in quantitative risk assessment. J Chronic Dis. 1987;40 Suppl 2: 101S-111S. 3) Berry G. Prediction of mesothelioma, lung cancer, and asbestosis in former Wittenoom asbestos workers. Br J Ind Med. 1991; 48(12): 793-802. 4) Magnani C, Ferrante D, Barone Adesi F, Bertolotti M, Todesco A, Mirabelli D, Terracini B. Cancer risk after cessation of asbestos exposure. A cohort study of Italian asbestos cement workers. Occup Environ Med. 2007 Aug 17; [Epub ahead of print] 5) Peto J, Seidman H, Selikoff IJ. 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Occup Environ Med. 2006; 63(12):852-5. 11) Marinaccio A, Montanaro F, Mastrantonio M, Uccelli R, Altavista P. Predictions of mortality from pleural mesothelioma in Italy: a model based on asbestos consumption figures supports results from age-period-cohort models. Int J Cancer 2005;115:142-7. 12) Peto J, Decarli A, La Vecchia C, Levi F, Negri E. The European mesothelioma epidemic. Br J Cancer 1999;79:666-72. G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it COM-09 ESPOSIZIONE A POLVERE D’ASBESTI IN AMBIENTI AGRICOLI. ALCUNE SIGNIFICATIVE MODALITÀ ESPOSITIVE DOCUMENTATE DALLA UOOML (UNITÀ OPERATIVA OSPEDALIERA DI MEDICINA DEL LAVORO) DEGLI ISTITUTI OSPITALIERI DI CREMONA V. Somenzi, M. Lattarini Unità Ospedaliera di Medicina del Lavoro, Istituti Ospitalieri di Cremona. Corrispondenza: Dott. V. Somenzi - Unità Ospedaliera di Medicina del Lavoro - Istituti Ospitalieri di Cremona - Viale Concordia, 1 - 26100 Cremona - [email protected] RIASSUNTO. Nei lavoratori dell’agricoltura che sviluppano mesoteliomi maligni, difficilmente si riesce a documentare esattamente l’eventuale esposizione ad asbesti, tuttavia mesoteliomi si riscontrano anche in ambienti rurali che, per la loro natura, parrebbero scarsamente a rischio. Il contributo descrive la diffusione sistematica di polveri d’asbesto in ambienti agricoli cremonesi, correlata ad attività di lavoratori “non agricoltori” ammalatisi di mesotelioma. I pazienti descrissero dettagliatamente le loro attività al Medico del Lavoro evidenziando le circostanze e modalità di diffusione delle polveri d’asbesto negli ambienti rurali interessati. Tali modalità, attentamente analizzate dal Medico del Lavoro, spiegano l’insorgenza dei mesoteliomi nei pazienti, e documentano una sistematica e prolungata contaminazione delle zone rurali coinvolte. La diffusione delle polveri descritta ha verosimilmente provocato una non trascurabile esposizione d’altri soggetti attivi in agricoltura, per ora senza malattie asbesto correlate conclamate, ma potenzialmente in grado di svilupparle. Esse quindi hanno valenza generale per l’ambiente agricolo nella zona cremonese coinvolta oltre che individuale. Parole chiave: agricoltura, asbesto, mesotelioma EXPOSITION TO ASBESTOS DUST IN AGRICULTURAL ENVIRONMENT. SOME SIGNIFICANT EXPOSURE FORMS DOCUMENTED BY THE HOSPITAL UNIT OF CREMONA ABSTRACT. Although it is difficult to document the exposition to asbestos in the agricultural workers, mesotelioma has however been noticed in the rural environment that may seem to have low risk because of its nature. This work describes the systematic diffusion of asbestos dust in the rural environment near Cremona due to the activity of “nonagricultural” workers who have fallen ill with mesothelioma. The patient described their work in details to the occupational medical doctor underlining the circumstances and the ways asbestos dust has been diffused in the rural environment. These ways were carefully analysed by the occupational medical doctor. They explain the onset of the mesothelioma in patients and they prove a systematic and long contamination of the involved rural areas. The described diffusion of dust has probably provoked a noteworthy exposure to the agricultural workers. At the moment there aren’t full-blown asbestos-linked pathology but these workers are potentially at risk of getting them. So it has an importance both on individual and global level for the rural area near Cremona. Key words: agriculture, asbestos, mesotelioma OCCUPATIONAL MEDICINE OF HOSPITAL INSTITUTE OF INTRODUZIONE Per i lavoratori degli ambienti rurali affetti da mesotelioma, non è facile documentare le circostanze di un’effettiva esposizione ad asbesti. Nel presente contributo si descrivono attività non agricole che hanno indotto una diffusione “certa” e sistematica di piccole quantità di asbesti in parte del territorio agricolo cremonese. MATERIALI E METODI Durante l’attività che l’Unità Operativa Ospedaliera di Medicina del Lavoro di Cremona (UOOML) ha svolto dal 2000 per il registro mesoteliomi lombardo, si sono approfonditi sotto il profilo etiopatogenetico ca- 349 si di mesotelioma maligno in lavoratori “non agricoltori” con attività comportanti la diffusione di piccole quantità d’asbesto negli ambienti rurali cremonesi di lavoro e di vita. Si fa riferimento e si descrivono esclusivamente attività dettagliatamente descritte al Medico del Lavoro dagli stessi pazienti le quali furono attentamente valutate sotto il profilo della credibilità e dell’adeguatezza lesiva prima d’essere ritenute plausibili e verosimili. Si riportano le circostanze espositive segnalate dai pazienti in quanto potenzialmente utili nella valutazione del nesso causale per patologie asbesto correlate in situazioni analoghe. CASISTICA Caso 1: D.S. uomo di 70 aa di Soncino, paese Cremasco confinante con la provincia Bergamasca, che nel 2006 sviluppò MM pleurico. Dal 1955 al 1974 fu addetto al trasporto di sementi e mangimi in sementificio che commercializzava mais, frumento, orzo, avena, soia, sia come sementi di qualità sia come mangimi o per produrre farine, oltre a crusca. Gli scambi commerciali avvenivano sia con gli agricoltori della zona che lontano, essendo acquistato l’orzo a Venezia o Ravenna, la soia consegnata all’oleificio Belloli di Inveruno (MI), prodotti vari venduti ai mangimifici di Piacenza e Ferraroni di Bonemerse (CR). D.S. ha dettagliatamente descritto che la sua ditta acquistava sementi di qualità presso fornitori specializzati che poi rivendeva insaccandole in sacchi di iuta nuovi riportanti la propria ragione sociale. Invece le granaglie vendute come mangimi e la crusca erano insaccate in sacchi di iuta riciclati, che erano consegnati agli agricoltori della zona. I sacchi riciclati provenivano anche dai sacchifici dei vicini comuni di Calcio e Torre Pallavicina, noti oggi in letteratura per il riciclo di sacchi di iuta già usati per l’amianto. D.S. precisò inoltre che i titolari di dette saccherie periodicamente recapitavano al sementificio una “camionata” di sacchi che un’operaia verificava, provvedendo alla loro riparazione quando agevole, o alla loro restituzione al sacchificio se troppo rovinati. Ciò avvenne per molti anni, perlomeno sino a quando i sacchi di iuta riciclati, furono sostituiti da sacchi di carta o plastica. In azienda erano movimentati giornalmente circa 400q di prodotti con i 4 camion della ditta, la cui portata era di 200, 100, 70 e 30 quintali. I sacchi erano riempiti con 100Kg di prodotto ciascuno. Il paziente ha stimato che in un anno si consegnassero agli agricoltori almeno 10-12.000 sacchi riciclati insieme ai mangimi. Durante il caricamento dei mezzi i sacchi venivano di norma depositati con un montacarichi sul pianale del camion e quindi accatastati dall’incaricato nella giusta posizione trascinandoli manualmente; durante lo scarico ogni addetto si caricava un sacco sulle spalle e lo portava nel deposito prestabilito dall’acquirente. In ogni caso la movimentazione dei sacchi durante il carico e lo scarico, comportava il contatto diretto della iuta con i vestiti dell’operatore e la polvere d’amianto eventualmente presente nella iuta contaminava certamente suoi vestiti. Ciò avveniva negli stessi ambienti rurali dove peraltro si svolgevano anche altre attività, con conseguente possibilità di diffusione della polvere d’amianto eventualmente presente. Caso 2: G.C. uomo di 68 aa, abitante in piccola frazione nella campagna ad est di Cremona, con MM pleurico dal 2006. Fabbro ed installatore di particolari bruciatori a cherosene, riferì due specifiche e sistematiche attività professionali comportanti suo malgrado l’inquinamento con asbesto dell’ambiente agricolo della zona. In particolare: dal 1960 per almeno 13 anni installò e/o sottopose a manutenzione ogni anno nelle stufe originariamente a legna presso le abitazioni rurali della zona, bruciatori con stoppino d’amianto. Il bruciatore era prodotto e commercializzato da una ditta di Carpi (Modena) la quale diffuse con tali congegni un tocco di modernità per le vecchie “cucine economiche”. Lo stoppino su cui ardeva la fiamma era posto sul fondo del bruciatore e consisteva in nastro d’amianto delle dimensioni di circa 0,5x1,5cm parzialmente inserito “di costa” in un’apposita scanalatura su due anelli concentrici, dove veniva a contatto col combustibile. Esso intriso di kerosene bruciava senza consumarsi troppo rapidamente per molti mesi. Piccole quantità di fibre verosimilmente si liberavano trasportate dai fumi caldi della combustione contaminando l’ambiente di vita, specialmente quando si toglievano i cerchi soprastanti la fiamma per inserire nella piastra della stufa pentole e tegami con cibi da cuocere. L’usura dello stoppino comportava la sua sostituzione circa ogni anno con una breve operazione di manutenzione che a sua volta diffondeva nell’ambiente rurale piccole quantità d’amianto, poché eseguita senza cautele specifiche. Il paziente riferì che ogni anno installava un centinaio di tali bruciatori, sui quali poi con la periodicità citata, eseguiva la sostituzione degli stoppini acquistando il nastro d’amianto in matasse da 20m e consumandone 20-30/anno. Non cono- 350 scendo la pericolosità dell’amianto non osservava cautele per proteggersi dalla contaminazione né per evitare la dispersione delle fibre; il figlio ricordò che da piccolo giocava con gli avanzi di detto nastro. Quale fabbro installò o sostituì presso molte cascine della zona, complessivamente alcune decine di grandi tettoie atte a riparare bovini e/o macchine agricole, in traliccio metallico ricoperto con eternit. La dimensione variava dal centinaio a diverse centinaia m2. Tali tettoie affiancavano le stalle per riparo agli animali all’esterno delle stesse. DISCUSSIONE Negli anni 50 e 60 l’uso di sacchi di iuta per frumento, mais o altri prodotti della terra, era insostituibile ed indusse anche presso il Consorzio Agrario Provinciale di Cremona ampio commercio di tali contenitori. Era quindi in uso in agricoltura conservare e riutilizzare più volte i sacchi di iuta disponibili, curando la loro conservazione e se necessario trattandoli e/o riparandoli prima d’ogni nuovo utilizzo. Ciò comportava necessariamente una minimale manutenzione degli stessi (verifica delle condizioni dopo ogni utilizzo, cernita di quelli riutilizzabili ed eliminazione di quelli inservibili, sbattitura per liberarli dalla polvere, applicazione di pezze sugli strappi, stoccaggio, etc.). Tali attività coinvolgevano peraltro tutti i soggetti attivi nel mondo agricolo, negli stessi ambienti rurali di lavoro e di vita e verosimilmente senza particolari attenzioni per il rischio polveri o per il rischio amianto, con conseguente possibilità di diffusione della polvere d’amianto eventualmente presente in essi. In tale contesto è avvenuta ogni anno la distribuzione agli agricoltori del cremonese di 1012.000 sacchi riciclati, parte dei quali certamente contaminati con asbesto, rappresentando quindi una circostanza rilevante per l’inquinamento ambientale. Nello stesso periodo in sintonia con la ripresa economica e con lo stimolo alla modernizzazione degli ambienti e degli stili di vita, la possibilità di modificare le vecchie “cucine economiche”, sostituendo la legna con il cherosene rappresentò un’evoluzione semplificativa al lavoro delle massaie. Si spiega pertanto la diffusa richiesta di installazione del bruciatore descritto dal paziente G.C. e con essa anche la conseguente diffusione di minime ma non trascurabili quantità di polveri d’asbesto nelle abitazioni rurali cremonesi. Attualmente non disponiamo di ulteriori informazioni in merito alla produzione e diffusione del bruciatore in questione in aree diverse da quella cremonese, tuttavia sarebbe opportuno poter acquisire informazioni sulla complessiva produzione della ditta modenese per meglio dimensionare la questione anche in altre realtà rurali. L’allestimento di tettoie di grandi dimensioni ricoperte con lastre di cemento amianto ha rappresentato negli ambienti agricoli cremonesi negli anni 50-60-70, una soluzione a basso costo per il riparo di animali, prodotti e mezzi. Come documenta l’attività di G.C., la loro costruzione non fu riservata alle imprese edili; l’installazione, la manutenzione e l’alienazione delle lastre di eternit ha certamente comportato inquinamento da asbesti dell’ambiente di lavoro agricolo. BIBLIOGRAFIA V. Somenzi, M.Margonari, N.Ceretti, et Al. - Due casi di patologia Asbestosica in giovani lavoratrici di Saccheria che riciclava Sacchi di Iuta Atti 51 Congresso SIMILI - Monduzzi Editore -1988;1161-1164. M. Tomasini M. Rivolta G., A. Forni, G. Chiappino - Insolita esposizione a rischio di asbestosi in un sacchificio - Med Lav 1990; 81, 4, 290-295. R. Dario, R. De Russis, V. Luisi, E. Mera, R. Molinini. - Esposizione inusuale ad asbesto nelle attività di riciclo di sacchi in juta - G Ital Med Lav Erg 2006; 28:3, 418-419. G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it SESSIONE DISAGIO PSICOLOGICO STRESS OCCUPAZIONALE COM-01 LA VALUTAZIONE RAPIDA DELLO STRESS NEGLI INFERMIERI A. Copertaro 1, M. Barbaresi 1, L. Tarsitani 2, F. Battisti 2, M. Baldassari 3, A. Picardi 4, M. Biondi 2 1 Unità di Medicina del Lavoro ASUR Marche-Zona 7, Ancona Dipartimento di Psichiatria e Medicina Psicologica, Università “La Sapienza”, Roma 3 Unità Medicina del Lavoro Ospedali Riuniti-Università Politecnica delle Marche, Ancona 4 Centro di Epidemiologia, Promozione e Sorveglianza della Salute, Istituto Superiore di Sanità, Roma 2 Corrispondenza: Alfredo Copertaro, ASUR-ZT7 Ancona, Ospedale di Loreto, via S.Francesco1. e-mail: [email protected] RIASSUNTO. Lo studio presenta i risultati ottenuti dalla somministrazione del test di Valutazione Rapida dello Stress a 92 infermieri di cui 64 turnisti e 28 non turnisti. Il test autosomministrato, di facile comprensione, di rapida compilazione e che consente un veloce scooring appare adeguato a selezionare soggetti meritevoli di ulteriore approfondimento specialistico risultando quindi un utile strumento di lavoro per il medico competente che deve valutare l’idoneità psico-fisica dei lavoratori. FAST STRESS EVALUATION IN NURSES ABSTRACT. The aim of the study was to assess subjective stress to 92 nurses by administering the Rapid Stress Assessment (RSA) Scale, a self-rated tool.The self-administered test, easily understandable, which is quickly drawn up and which allows a quick scooring, appears to be suitable to select subjects deserving a thorough specialistic investigation. The test itself becomes therefore a useful professional means for the occupational health physician, who has to evaluate the workers’ psychic and physical attitude. Key words: stress; shift work; nursing INTRODUZIONE Il NIOSH ha definito le stress dovuto al lavoro come un insieme di reazioni fisiche ed emotive che si manifesta nel lavoratore quando le richieste poste dal lavoro non sono commisurate alle sue capacità, risorse od esigenze. Gli infermieri rappresentano una popolazione lavorativa a rischio di stress dovuto al disagio specifico presente nelle professioni d’aiuto (1,2) che può determinare il manifestarsi del burnout (3). Anche il lavoro a turni e notturno può rappresentare un’ulteriore sorgente di stress per la desincronizzazione delle funzioni psico-biologiche (ritmo sonno/veglia, alterazioni dei flussi circadiani ecc.) (4) e delle attività sociali con riflessi negativi sulla performance lavorativa (incremento degli infortuni), sulle condizioni di salute e sulla vita di relazione (5). Poiché il medico competente nel formulare il giudizio di idoneità alla mansione specifica deve valutare le condizioni non solo fisiche ma anche psicologiche del lavoratore, abbiamo utilizzato un nuovo test psicometrico per valutare la percezione dello stress soggettivo in una popolazione di infermieri professionali. SOGGETTI E METODI Sono stati studiati 92 infermieri che lavorano presso il reparto di Rianimazione degli Ospedali Riuniti di Ancona (34 infermieri) e presso le strutture sanitarie territoriali della ASUR-Zona 7 di Ancona (58 infermieri). L’unico criterio di inclusione utilizzato era l’assenza riferita di diagnosi psichiatriche; a tutti i soggetti è stato somministrato un test psicometrico per la Valutazione Rapida dello Stress (VRS) sviluppato e validato da Tarsitani e Biondi nel 1999 (6). Questa scala a 13 items, auto- G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it 351 somministrata, è in grado di determinare le risposte individuali (capacità di coping) agli eventi stressanti in modo semplice e rapido, anche su campioni numerosi e in diversi contesti, clinici o di ricerca e su popolazioni differenti (7,8,9) La scala VRS ha infatti dimostrato sufficiente attendibilità e validità; sottoposta a test-retest per la verifica dell’attendibilità delle reazioni (r tra 0.7 e 0.92, p<0.0001) a validità per contenuto correlando le scale del VRS con le scale del “MinTabella nesota Multiphasic Personality Inventory” (coefficiente di Pearson’s: depressione r=0.61, ansia r=0.6, somatizzazione 0,54, aggressività r=0,38 tutti con p<0.0001, diminuito supporto sociale r=0.38 con p<0,005). In Tabella I sono riportati gli items utilizzati per costruire la scala valutando tre diverse dimensioni (tensione, demoralizzazione e supporto sociale). Ogni sottoscala comprende un differente numero di items ciascuno con un punteggio variabile da 0 a 3. I punteggi ottenuti con le singole sottoscale (tensione: 0-15, demoralizzazione 0-15, supporto sociale 0-9) sommati tra loro forniscono il punteggio totale di stress variabile da 0 e 39. Il test è stato autosomministrato ai soggetti alle ore 8,30 del mattino di giorni feriali, non coincidenti con il turno lavorativo, in condizioni di confort ambientale e soggettivo. L’intervistato dopo personale valutazione, ha risposto ad ogni item scegliendo tra quattro risposte possibili che variavano da “per nulla” a “molto” con relativo punteggio compreso da 0 a 3. I punteggi totali ottenuti sono stati raccolti in una scala di valutazione semiquantitativa dello stress: un punteggio compreso tra 0-19 indica una buona capacità di coping e colloca il soggetto in una classe a basso rischio di stress; i punteggi compresi tra 2024 indicano una difficoltà da parte del soggetto ad avvalersi delle proprie risorse strategiche per far fronte alle diverse situazioni stressanti collocando il soggetto di fatto in una classe di rischio intermedia, mentre punteggi >24 indicano una scarsa capacità di coping a cui corrisponde una classe di rischio elevata. Per rischio di stress si intende la scarsa capacità di coping dimostrata nel dominare e controllare gli eventi di vita sia professionali che sociali. Infine si è valutato se gli infermieri turnisti fossero sottoposti ad un maggior carico di stress lavorativo e psicosociale: a tale scopo sono stati messi a confronto due sottogruppi costituiti da 64 soggetti che effettuavano lavoro a turni e notturno (1°giorno ore 6,00 - 14,00; 2° giorno ore 14,00 - 22,00; 3° giorno ore 22,00 - 06,00; terminato il turno di notte, osservavano 48 ore di riposo per poi riprendere con il turno di mattino e così di seguito) mentre altri 28 soggetti lavoravano o al mattino con orario 0814 o al pomeriggio con orario 14-20. RISULTATI Tabella II: Il lavoro a turni è preferito da soggetti celibi, più giovani per età e con minore anzianità lavorativa i quali consumano alcool, fumano sigarette e ricorrono a farmaci sonno-inducenti in misura maggiore rispetto ai non turnisti. Il lavoro giornaliero appare invece più ambito da chi ha un nucleo familiare stabilizzato (coniugati e conviventi) con prole da accudire. Tabella III: non sono emerse differenze significative nel campione analizzato per sesso e turno di lavoro. Si rileva un più marcato senso di demoralizzazione tra gli infermieri giornalieri rispetto ai turnisti con le infermiere giornaliere che presentano un punteggio totale di stress maggiore rispetto alle turniste probabilmente dovuto ad un maggior carico di lavoro imposto dalla famiglia. Tabella IV: gli infermieri turnisti rispetto ai colleghi non turnisti dimostrano una maggiore capacità di controllo nei confronti di eventi stressanti. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI L’ex D.Lgs 626/94 (art.17 comma 1, lettera a) impone al medico competente la valutazione non solo fisica ma anche psicologica dei lavoratori. A maggior ragione si impone una valutazione delle condizioni psicologiche nel personale sanitario per prevenire situazioni di disagio psicologico che possono evolvere in malattie in grado di condizionare la salute dell’operatore (secondo la definizione più ampia del concetto di salute formulata dall’OMS) con risvolti negativi anche sui rapporti di mutualità etica e pro- I. Scala utilizzata per la Valutazione Rapida dello Stress (VRS) Tabella II. Caratteristiche del campione analizzato Tabella III. Risultati della valutazione con scala VRS operata sugli infermieri distinti per turno lavorativo e sesso 352 G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it Tabella IV. punteggi totali ottenuti con la scala VRS negli infermieri distinti per turno lavorativo Infermieri Classi di rischio per lo stress percepito 0 - 19 20 - 24 > 24 64 turnisti 56 (87%) 5 (8%) 3 (4%) 28 non turnisti 20 (71%) 6 (21%) 2 (8%) 92 complessivi 76 (83%) 11 (11%) 5 (6%) fessionale che legano gli operatori sanitari ai loro assistiti. In Italia è stato reso disponibile un test psicometrico per la Valutazione Rapida dello Stress (VRS) messo a punto e validato da Tarsitani e Biondi nel 1999. Tale test offre al medico del lavoro un utile strumento di lavoro adatto in particolare allo screening di vaste popolazioni lavorative focalizzando l’attenzione su quei casi che necessitano di consulenza specialistica psichiatrica e/o psicologica. Tale test per le sue caratteristiche si presta in particolare a valutare le condizioni psicologiche del personale sanitario: la sottoscala “tensione” indaga infatti le reazioni di chi effettua un lavoro che necessita di particolare attenzione e concentrazione, svolto all’interno di una equipe non sempre scelta dal soggetto ed in cui più facilmente possono manifestarsi rapporti conflittuali tra colleghi infermieri o con la dirigenza medica in aggiunta alla complessità ed alle difficoltà nel rapporto quotidiano con la malattia, i vissuti del paziente e dei suoi familiari; la sottoscala “demoralizzazione” indaga invece sulla possibile presenza di difficoltà nello sviluppare strategie di coping e che potrebbe rappresentare l’aura di una serie di manifestazioni patologiche quali la depressione ed il burnout; il “supporto sociale” rivela infine il grado di supporto che la famiglia, i colleghi, gli amici ecc. sono in grado di offrire agli operatori sanitari. In virtù dell’elevata specificità, il test si è rivelato facile da comprendere e veloce da compilare (tempo necessario circa 3 minuti) come pure contenuto è il tempo richiesto (circa 50 secondi) per l’inserimento dei risultati in un programma di statistica computerizzato quale l’SPSS per Windows (SPSS Inc., Chigago, USA). Il punteggio totale è ottenuto dalla somma dei punteggi parziali appartenenti alle singole sottoscale (tensione, demoralizzazione e supporto sociale) rappresentando quindi degli indicatori utili per indirizzare il medico e lo psicologo a successivi e più approfonditi interventi in campo diagnostico e terapeutico. Lo studio presenta i risultati forniti dalle risposte ottenute in un campione di 92 infermieri a cui è stato somministrato il test VRS; 5 infermieri che al test erano risultati ad elevato rischio di stress sono stati avviati a consulenza psicologica: in tre casi è stata posta diagnosi di sindrome ansiosa reattiva riconducibile a situazioni di conflittualità in ambito famigliare, in un caso è stata posta diagnosi di sindrome depressiva (sottoposto al Maslach Burnout Inventory l’esito è risultato negativo) mentre un caso è stato attribuito ad una forma di disagio lavorativo ed avviato a consulenza ortopedica per sospetta ernia dei dischi intervertebrali lombari. In merito alla possibilità di una maggiore sofferenza psicologica nei lavoratori turnisti rispetto ai giornalieri, per un’ipotetica desincronizzazione cronobiologica dovuta all’alterazione del ritmo sonno/veglia, non sono state rilevate differenze significative tra le due sottopopolazioni rappresentate da 64 infermieri turnisti e 28 non turnisti. Si è invece osservata una maggiore frequenza nei turnisti di abitudini voluttuarie legate a fumo ed alcool come pure è stata osservato un maggior consumo di farmaci sonno-inducenti come pure una prevalenza in tale categoria di soggetti celibi, giovani e con breve anzianità lavorativa. In 90 infermieri è stata formulata da parte del medico del lavoro una idoneità lavorativa incondizionata, un infermiere è stato esentato per un periodo di sei mesi dall’effettuazione di lavoro notturno mentre un altro infermiere è stato spostato dal reparto di degenza (Hospice) per pazienti terminali, all’assistenza domiciliare infermieristica. Il test psicometrico VRS viene da 10 mesi regolarmente somministrato in occasione delle visite mediche preventive e periodiche al personale sanitario, essendo entrato a far parte del protocollo sanitario adottato dai Servizi di Medicina del Lavoro dell’Azienda Ospedaliera e Territoriale di Ancona. BIBLIOGRAFIA 1) Aiken LH, Clarke SP, Sloane Dm, Sochalski J, Silber JH. Hospital nurse staffing and patient mortality, nurse burnout, and job dissatisfaction. JAMA. 2002 Oct 23-30;288(16):1987-93. 2) Estryn-Behar M, Kaninski M, Peigne E, Bonnet N, Vaichere E, Gozlan C, Azoulay S, Giorgi M. Stress at work and mental health status among female hospital workers. British Journal of Industrial Medicine. 1990; 47:20-28. 3) Borritz M, Rugulies R, Bjorner JB, Villadsen E, Mikkelsen OA, Kristensen TS. Burnout among employees in human service work: design and baseline findings of the PUMA study. Scand J Public Health. 2006;34(1):49-58. 4) Costa G: Lavoro a turni e notturno. SEE Firenze 2003. 5) Picardi A, Battisti F, Tarsitani L, Baldassari M, Copertaro A, Mocchegiani E, Biondi M. Attachment security and immunity in healthy women. Psychosom Med. 2007 Jan;69:40-6. 6) Tarsitani L, Biondi M. Sviluppo e validazione della scala VRS (Valutazione Rapida dello Stress). Medicina Psicosomatica 1999; 3:163-177. 7) Pancheri P, Martini A, Tarsitani L, Rosati Mv, Biondi M, Tomei F Assessment of subjective stress in the municipal police force of the city of Rome. Stress and Health 2002; 18: 127-132. 8) Tomei G, Cherubini E, Ciarrocca M, Biondi M, Rosati MV, Tarsitani L, Capozzella A, Monti C, Tomei F. Short Communication: Assessment of subjective stress in the municipal police force at the start and the end of the shift. Stress and Health 2002; 22: 239-247. 9) Tomei G, Rosati MV, Martini A, Tarsitani L, Biondi M, Pancheri P, Monti C, Ciarrocca M, Capozzella A, Tomei F. Assessment of Subjective Stress in Video Display Terminal Workers. Ind Healt 2006; 44: 291-295. COM-02 LA VALUTAZIONE DELLO STRESS OCCUPAZIONALE NELLA PRATICA CLINICA DI MEDICINA DEL LAVORO ESPERIENZA DIAGNOSTICA E PROSPETTIVE DI INTERVENTI TERAPEUTICI M.E. Magrin1, M. I. D’Orso. 2, R. Latocca3, V. Viganò3, G. Cesana2 1Dipartimento 2Dipartimento di Psicologia - Università di Milano Bicocca di Medicina Clinica e Prevenzione - Università di Milano Bicocca 3Unità Medicina Occupazionale ed Ambientale - A.O. San Gerardo Monza (Mi) Corrispondenza: Magrin Elena - Per riferimenti organizzativi la mail di servizio è [email protected] RIASSUNTO. I casi clinici di disturbi psicocomportamentali che i Medici del Lavoro incontrano frequentemente nella loro attività quotidiana sono spesso di difficile diagnosi differenziale e comportano necessariamente limitazioni della idoneità lavorativa di non facile definizione e prognosi. Il supporto di un ambulatorio specifico per la valutazione dello stress occupazionale può risultare quindi utile nella definizione precisa di questi casi, grazie alla complementarità tra Medici del Lavoro e Psicologi che tali strutture possono garantire. Si riportano i protocolli di valutazione del nostro ambulatorio ed i principali dati inerenti la casistica più recentemente afferita all’ambulatorio. Parole chiave: stress lavorativo, mobbing, idoneità al lavoro THE EVALUATION OF WORK RELATED STRESS IN OCCUPATIONAL HEALTH: DIAGNOSTIC EXPERIENCE AND THERAPEUTIC PROSPECTS ABSTRACT. The clinical cases of psychosocial disturbances that the Occupational Doctors find in their daily activity frequently are characterized by difficult differential diagnosis. These cases frequently must be faced with limitations of the work ability not easy to define and with unclear prognosis too. A useful help in the evaluation of these cases can be offered by the Clinical Units for the evaluation of work related stress, for the specialized joined support of Psychologist and of Occupational Doctors these Units can assure. We report the protocols of diagnosis of our clinical unit and the main characteristics of the patients more recently evaluated. Key words: work related stress, mobbing, work ability G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it INTRODUZIONE Nell’attività pratica accade sempre più frequentemente che i Medici del Lavoro si trovino a visitare lavoratori che presentano sintomatologie riferibili non tanto a cause strettamente organiche, quanto a possibili esiti psichici di situazioni di stress occupazionale; alcune situazioni e forme organizzative del lavoro frequentemente riscontrabili possono infatti notoriamente essere fonte di eccessivo affaticamento psicofisico o stress (Cassidy, 1999; Quick, Tetrick, 2002; Lundberg, 2005). Per indagare adeguatamente tali pazienti il Medico del Lavoro ha oggi la possibilità di avvalersi di un supporto specialistico specifico in grado di valutare la presenza o meno di una effettiva sintomatologia stresscorrelata. Si ritiene utile riportare l’esperienza nata e sviluppatasi proprio per affrontare tali situazioni nell’ambito dell’Unità Operativa di Medicina Occupazionale ed Ambientale dell’Azienda Ospedaliera San Gerardo di Monza, in collaborazione con la Università di Milano Bicocca. Nel 1999 in questa struttura è stato istituito l’Ambulatorio misto ospedaliero/universitario per la valutazione dello stress lavorativo, con l’obiettivo di rispondere all’esigenza di poter realizzare una valutazione completa del malessere lamentato da molti lavoratori, mediante l’integrazione delle competenze di medici del lavoro e di psicologi inseriti operativamente nell’ambulatorio. Presso l’Ambulatorio Stress viene effettuato un inquadramento clinico delle possibili patologie stress-lavoro-correlate, in relazione anche alle crescenti richieste di valutazione a scopo medico-legale delle malattie neuropsichiche e psicofisiche riferite usualmente a fattori stressanti di origine lavorativa ed in particolar modo, in alcuni casi, a condizioni di lamentata “avversatività lavorativa”. MATERIALI E METODI Al fine di valutare i risultati ottenuti ad oggi dalla attività dell’ambulatorio, si sono considerati retrospetticamente le attività cliniche svolte. Il campione considerato nella presente ricerca è costituito dagli ultimi 100 pazienti visitati e sottoposti al protocollo completo dell’ambulatorio. Si è verificato innanzi tutto quale siano le vie più usuali di accesso/invio all’ambulatorio, che può avvenire con diverse possibili modalità come per esempio: richiesta autonoma da parte del lavoratore, invio da parte del Medico Competente, invio da parte del Medico di Medicina Generale, invio da parte del medico Specialista dell’area psichiatrica, invio da parte delle Autorità di vigilanza competenti per territorio (ASL, Ispettorati del Lavoro). Si è poi valutato per quali sospetti quadri patologici si chiede usualmente l’attivazione delle attività diagnostiche dell’ambulatorio. Essi sono usualmente: – il disadattamento lavorativo stress-correlato, – il sospetto quadro psicologico compatibile con situazione lavorativa avversativa, – uno dei quadri sopra descritti con compresenza di quadro psicopatologico maggiore. Presso l’Ambulatorio il percorso di valutazione segue un preciso protocollo (Magrin, 2003) Tale protocollo prevede, innanzitutto, la visita specialistica del Medico del Lavoro il quale, in seguito alla effettuazione di una completa valutazione anamnestica mirata, dell’esame obiettivo ed alla somministrazione dello Screener SDS (Screener per i Disturbi Somatoformi, Tacchini et al. 1996), invia all’Ambulatorio i pazienti per i quali non è possibile individuare una causa esclusivamente organica del malessere rilevato. Lo Screener SDS è uno strumento messo a punto dall’Organizzazione Mondiale per la Sanità, ed è somministrato dal Medico del Lavoro nell’ambito della normale visita specialistica. Esso consente una classificazione della sintomatologia clinica rilevata e fornisce indicazioni circa la presenza o l’assenza di una connessione diretta tra il disagio lamentato ed i riscontri obiettivi di natura organica. Successivamente presso l’Ambulatorio gli Psicologi procedono ad un primo colloquio che consente la rilevazione di dati anamnestici personali e lavorativi, di notizie sulla condizione lavorativa oggettiva, sulla percezione soggettiva relativa allo stato di benessere/malessere psicofisico, sulla percezione della presenza di risorse psicologiche. Qualora il paziente si sia recato all’Ambulatorio per l’accertamento di una situazione di presunto mobbing, durante il colloquio vengono raccolte con maggiore precisione informazioni relative alla presenza di elementi di avversatività e costrittività lavorativa. 353 I pazienti vengono di seguito invitati all’autocompilazione dell’inventario di personalità MMPI-2 Minnesota Multiphasic Personality Inventory (Buthcer, 1996M; Butcher, Williams, 1996). Tale strumento psicodiagnostico fornisce un quadro completo della struttura della personalità, sia nei suoi aspetti più stabili nel tempo, sia in quegli aspetti che risentono maggiormente delle condizioni particolari e transitorie in cui la persona si trova al momento della compilazione. Esso è in grado di valutare tanto la presenza/assenza di risorse individuali che consentono la gestione di situazioni problematiche quali le condizioni di stress, quanto l’eventuale presenza di una compromissione di tali risorse che comporti difficoltà soggettivamente intollerabili nel rapporto con la realtà. Il MMPI-2 è, inoltre, dotato di scale di validità in grado di fornire indicazioni molto precise sull’atteggiamento assunto dalla persona al momento della compilazione del test facilitando il riconoscimento di tentativi di manipolazione. Per tale motivo è uno strumento spesso usato in sede di valutazione medico-legale (Pajardi et al., 2006). La valutazione psicologica si conclude con un secondo colloquio di restituzione e predisposizione di intervento, finalizzato anzitutto alla restituzione al paziente dei risultati del test MMPI-2 e ad una valutazione complessiva che tenga conto di tutti gli elementi emersi nelle fasi precedenti. Oltre a ciò inoltre, laddove sia emersa la presenza di un reale malessere psichico, si offre al paziente un aiuto nell’individuazione dei percorsi più idonei per il recupero di una condizione di benessere. Infine, sulla base delle due valutazioni (medica e psicologica) viene redatta una relazione finale, congiuntamente dal Medico del Lavoro e dallo Psicologo, con i seguenti elementi di rilievo: valutazione psicologica di compatibilità con stress e/o con condizioni lavorative avversative; valutazione clinica (soprattutto in riferimento ai sintomi/segni di quadri patologici organici e/o psicosomatici stress-correlati); eventuali indicazioni cliniche (approfondimenti diagnostici, suggerimenti terapeutici); indicazioni al medico competente in ordine al quadro psicofisico stress-correlato, alla compatibilità o meno con la mansione effettuata, indicazioni su altre mansioni compatibili, suggerimenti su interventi da effettuarsi sull’organizzazione e/o sugli operatori (valutazione del rischio stress con idonee batterie di strumenti, formazione, informazione). RISULTATI I pazienti considerati hanno presentato all’accesso in ambulatorio un’età media di 42,9 anni (ds. 7,7), ed una anzianità lavorativa media di 11,3 anni (ds. 9,5). I pazienti erano prevalentemente di sesso femminile (62%). Il profilo lavorativo dei pazienti riscontrato è stato prevalentemente medio (53%) (infermieri professionali, impiegati, insegnanti) o mediobasso (26%) (infermieri generici, ausiliari socio-assistenziali, operai); i restanti pazienti (21%) svolgevano professioni di alto profilo (dirigenti, medici). L’afferenza all’ambulatorio dei pazienti valutati è stata prevalentemente attivata dai Medici del Lavoro (48%) o dalle strutture del S.S.N. (25%). Tra le modalità di afferenza all’ambulatorio non attivate da personale sanitario si è riscontrato che il 4% dei pazienti è stato inviato da rappresentanze sindacali mentre il 6% si è rivolto all’Ambulatorio in maniera autonoma. Relativamente al quadro clinico presentato, la valutazione psicologica iniziale ha consentito di rilevare nel 20% dei casi l’assenza di segnali oggettivi di malessere psicocomportamentale, mentre nel restante 80% tali segnali sono stati riscontrati ed approfonditi. Nei casi in cui si è rilevata la presenza di una condizione di malessere psicologico, esso consisteva nel 76.3% dei casi in una forma di malessere di natura nevrotica - stress-compatibile - e nel restante 23.7% dei casi in una forma di malessere psichico di natura psicotica, non stress-compatibile. I pazienti riscontrati affetti da quadri psicotici sono stati indirizzati ad un supporto specialistico psichiatrico. Laddove si sia rilevata la presenza di una condizione di malessere psicologico di natura nevrotica, esso nel 39.5% dei casi era di intensità lieve e quindi più precisamente considerabile stress-compatibile, mentre nel restante 60.5% i quadri evidenziati presentavano livelli di inten- 354 sità francamente patologici, eccedenti i livelli di malessere stress-compatibili. I criteri utilizzati per definire la compatibilità o meno con la condizione di stress sono riferiti alla rilevazione dei punteggi ottenuti al test MMPI-2 nelle scale della cosiddetta triade nevrotica del profilo di base: punti T compresi nell’intervallo 65-69 indicano la presenza di una condizione di malessere lieve, considerabile come stress compatibile; punti T > 70 indicano la presenza di forme di malessere psicologico moderato, marcato, o grave, non considerabile come stress compatibile. Per i lavoratori con sintomi di stress occupazionale si è provveduto a contattare i Medici del Lavoro al fine di verificare la possibilità di attivare interventi sulla organizzazione del lavoro e sulla capacità di reazione del lavoratore. In merito si evidenzia come a fronte di una quasi generale disponibilità dei Medici del Lavoro e delle Imprese contattate, si sia riscontrata una forte ritrosia in tal senso proprio dei pazienti, spesso non più motivati ad un miglioramento delle loro situazioni lavorative ma ormai indirizzati a cambiare radicalmente attività lavorativa. DISCUSSIONE I dati raccolti mostrano come molto eterogenea sia la tipologia di pazienti afferenti all’Ambulatorio, sia per quel che riguarda il loro status lavorativo, sia per quanto concerne i canali di accesso. Si ritiene che tal situazione sia da correlare con le caratteristiche del protocollo dell’ambulatorio sopra descritto che fanno sì che l’Ambulatorio sia un servizio sul territorio oltre che in grado di interloquire con la maggior parte dei soggetti coinvolti nella tutela della salute dei lavoratori, anche capace di rispondere all’esigenza di un primo livello di accertamento di compatibilità con condizioni lavorative avversative e situazioni di potenziale mobbing. La valutazione ha consentito, inoltre, di verificare che solo in una minoranza di casi il tipo di malessere psichico rilevato è stress-compatibile, mentre per la maggior parte dei pazienti il malessere psichico rilevato è di altra tipologia. In alcuni casi ciò potrebbe significare che l’accesso all’ambulatorio avviene in tempi tardivi: il protrarsi per tempi eccessivamente lunghi di una condizione di possibile disagio potrebbe aver logorato le risorse psicologiche dei lavoratori al punto tale da attivare franche condizioni di patologia psichica, in precedenza latenti, non più inquadrabili in termini di stress psicologico. Conseguentemente il servizio offerto dall’Ambulatorio si traduce spesso in una diagnosi tardiva che non sempre consente l’attivazione degli interventi che avrebbero potuto portare ad un adeguamento della situazione lavorativa e/o personale. L’unica azione possibile ed intrapresa in questi casi è l’importante lavoro di invio alle strutture e/o servizi territoriali idonei alla gestione ed al trattamento della patologia rilevata. A fronte di ciò, si è ritenuto opportuno estendere le attività dell’Ambulatorio, da un lato ad iniziative informative e formative rivolte ai singoli lavoratori ed alle aziende in tema di stress occupazionale, e dall’altro realizzando progetti ad hoc nelle singole realtà di lavoro organizzato di valutazione e promozione del benessere organizzativo. In questo modo è possibile sensibilizzare i diversi attori rispetto alle tematiche concernenti il rischio psico-sociale, e nello stesso tempo, promuovere lo sviluppo di quei fattori e risorse personali e organizzative che possono risultare protettivi nei confronti dello sviluppo di disagio stresscorrelato o delle diverse forme di avversatività lavorativa. CONCLUSIONI L’ambulatorio per la valutazione dello stress occupazionale sembra essere uno strumento utile per l’approfondimento diagnostico e terapeutico di quei numerosi casi clinici di patologia psicocomportamentale di non semplice definizione che quotidianamente si presentano al Medico del Lavoro. La peculiarità di questo Ambulatorio deve necessariamente essere l’integrazione interdisciplinare delle competenze mediche e di quelle psicologiche al fine di effettuare una valutazione più adeguata dello stato di benessere/malessere dei lavoratori. Ad oggi purtroppo l’invio dei pazienti, peraltro eterogeneo nella sua provenienza, è ancora spesso troppo ritardato rispetto all’inizio della insorgenza dei quadri clinici. Ciò spesso non consente al paziente di poter cogliere tutte le potenzialità, soprattutto sotto il profilo preventivo, che un tempestivo intervento potrebbe consentire. G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it BIBLIOGRAFIA 1) Butcher J.N., MMPI-2 e trattamento psicologico, Giunti Organizzazioni Speciali, Firenze, 1996; 2) Butcher J.N., Williams C.L., Fondamenti per l’interpretazione del MMPI-2 e del MMPI-A, Giunti Organizzazioni Speciali, Firenze, 1996; 3) Cassidy T., Stress, cognition and health, Routledge, Londra, 1999; 4) Lundberg U., Stress hormones in health and illness: the roles of work and gender, Psychoneuroendocrino., 30(10):1017-1021, 2005; 5) Magrin M.E., Viganò V., Migliorare il benessere dei lavoratori per migliorare la performance: la valutazione dello stress psicologico nel contesto organizzativo, in C. Bisio (a cura di), Fattore umano e sicurezza sul lavoro. Aspetti psicosociali e interventi nelle organizzazioni, UNICOPLI, Milano, 2003; 6) Pajardi D., Macrì L., Merzagora Betsos I., Guida alla valutazione del danno psichico, Giuffrè Editore, Milano, 2006; 7) Quick J., Tetrick L., Handbook of Occupational Health Psychology, American Psychological Association, Washington DC, 2002; 8) Tacchini G., Isaac M., Janca, A., Sistema diagnostico dei disturbi somatoformi, WHO, Follini Editore, Casalnoceto, 1996. COM-03 ANALISI DI UNA CASISTICA DI LAVORATORI CON PATOLOGIA DA MOBBING B. Marinoni1, C.M. Minelli1, B. Franzina1, V. Martellosio1, F. Scafa1,2, I. Giorgi3, F. Mazzacane4, M. Stancanelli2, N.V. Mennoia1, S.M. Candura1,2 1Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Pavia 2Unità Operativa di Medicina del Lavoro, 3Servizio di Psicologia, 4Consulente Psichiatra; Fondazione Salvatore Maugeri, Clinica del Lavoro e della Riabilitazione, IRCCS, Istituto Scientifico di Pavia Corrispondenza: Dr. Cristiano Maria Minelli - UO di Medicina del Lavoro - Fondazione Salvatore Maugeri, Via Maugeri 10 - 27100 Pavia E-mail: [email protected] RIASSUNTO. Attualmente il mobbing rappresenta una delle maggiori sfide per la Medicina del Lavoro. Abbiamo esaminato durante gli ultimi sette anni 253 pazienti giunti all’osservazione con problematiche psicopatologiche da essi correlate ad una situazione di mobbing sul posto di lavoro. Tutti i pazienti sono stati sottoposti a visita di Medicina del Lavoro, valutazione psicologica (con somministrazione di test di personalità) e visita psichiatrica. Un quadro compatibile con sindrome da mobbing è stato diagnosticato in 37 lavoratori: 2 casi di Disturbo Post-Traumatico da Stress (DPTS), 33 casi di Disturbo dell’Adattamento (DA) e due disturbi d’ansia. A seconda della tipologia di mobbing, abbiamo rilevato 19 casi di mobbing verticale dall’alto, 14 casi di mobbing strategico, 3 casi di mobbing orizzontale (tra colleghi) e un caso di mobbing non intenzionale. Concludendo, una pura sindrome da mobbing è stata diagnosticata in una proporzione inferiore rispetto a quanto riportato in altre casistiche. L’approccio multidisciplinare descritto appare utile per la corretta diagnosi, a sua volta essenziale per la prognosi e la terapia, oltre che per le ricadute medico legali. Parole chiave: disturbo dell’adattamento, disturbo post-traumatico da stress, vessazioni. ANALYSIS OF A CASE SERIES OF WORKERS WITH MOBBING SYNDROME. ABSTRACT. Mobbing represents nowadays a major challenge for Occupational Medicine. We examined, during the last seven years, 253 patients who asked medical assistance for psychopathological problems by them ascribed to mobbing in the working environment. All patients underwent occupational health visit, psychological counselling (including personality tests administration), and psychiatric evaluation. A clinical picture probably due to mobbing was diagnosed in 37 workers: 2 cases of Post-Traumatic Stress Disorder (PTSD), 33 of Adjustment Disorder (AD), and 2 of anxiety disorder. Regarding mobbing typology, G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it we found 19 cases of vertical mobbing (by an employer/manager to employees), 14 cases of strategic mobbing, 3 cases of horizontal mobbing (among colleagues), and one non intentional mobbing. In conclusion, a pure mobbing syndrome was diagnosed in a lower proportion than that reported by other investigators. The described interdisciplinary approach appears useful for the diagnostic assessment of suspect mobbing cases, that in turn is crucial for prognosis and treatment, as well as in relation to medico-legal issues and work-related compensation claims. Key words: adjustment disorder, post-traumatic stress disorder, harassment. INTRODUZIONE La violenza psicologica sul lavoro rappresenta un fenomeno antico quanto le organizzazioni, anche se ha assunto valenza di fattore di rischio in ambito professionale solo in tempi recenti. Attualmente il fenomeno “mobbing” non è considerato né una malattia, né un reato, bensì viene incluso tra i fattori di rischio di tipo organizzativo e psicosociale, i cosiddetti fattori “emergenti” (1), in quanto vera e propria persecuzione psicologica sul luogo di lavoro, esercitata attraverso comportamenti aggressivi e vessatori ripetuti, con ripercussioni sulla salute del lavoratore. Le diverse tipologie di mobbing (orizzontale, verticale, strategico) si definiscono in base al rapporto gerarchico esistente tra persecutore e vittima (2). Una condizione di mobbing che si protrae nel tempo determina nel lavoratore l’insorgenza di disturbi psicosomatici, di manifestazioni emozionali e di alterazioni del comportamento che rientrano nella cosiddetta “sindrome da mobbing”. Oltre agli effetti negativi sulla salute si verificano conseguenze di tipo sociale: il lavoratore perde il proprio ruolo, manifesta il disagio in famiglia, perde progressivamente interesse per la vita di relazione. In questi casi la diagnosi è il risultato di un iter multidisciplinare che ha come punto di partenza fondamentale l’anamnesi lavorativa (2). Il riscontro di una patologia riconducibile a una condizione di mobbing deve essere seguito dalla segnalazione all’INAIL, all’ASL territorialmente competente, all’Ispettorato del Lavoro e all’Autorità Giudiziaria in quanto è ipotizzabile il reato di lesioni personali dolose. Anche se la Costituzione, i Codici Penale e Civile e il Decreto Legislativo 626/94 tutelano l’integrità psicofisica del lavoratore, in Italia non esiste una legge che riguardi specificamente il mobbing; finora sono stati presentati disegni e proposte di legge che mirano ad un più preciso inquadramento legislativo del fenomeno e prevedono forme di tutela e prevenzione. In tempi relativamente recenti l’INAIL ha emanato una circolare con indicazioni sulla gestione dell’evento mobbing. Inoltre, l’ultimo elenco delle malattie per le quali è obbligatoria la denuncia, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 134 del 10 giugno 2004 riporta i “disordini dell’organizzazione del lavoro” tra le patologie da segnalare. È recente una sentenza della Cassazione penale (29 agosto 2007, n. 33624) che ha escluso la possibilità di configurare il mobbing come reato. SOGGETTI E METODI Il nostro gruppo ha esaminato, negli ultimi 7 anni, 253 pazienti ambulatoriali con problematiche psicopatologiche dagli stessi messe in relazione ad una situazione di mobbing. Di questi 148 erano di sesso femminile e 105 maschile, con un’età media 41 anni. Il grado di scolarità era rappresentato per 40 soggetti dalla laurea, per 115 dalla licenza media superiore, per 94 dalla licenza media inferiore e per 4 da quella elementare; 62 lavoravano presso enti pubblici (17 dipendenti comunali, 8 scolastici, 15 in varie ASL, i restanti presso agenzie tributarie e consorzi), 191 presso aziende private. I soggetti hanno seguito un percorso diagnostico multidisciplinare (3, 4), costituito da visita specialistica di medicina del lavoro; una seduta di counselling psicologico mirato all’area lavorativa, seguita da colloquio clinico-psicologico e da somministrazione di test di personalità mirati ai disturbi lamentati (Minnesota Multiphasic Personality Inventory MMPI 2 in forma intera, intervista strutturata per DSM: SCID asse primo e secondo); essi sono stati infine sottoposti a visita psichiatrica. RISULTATI Un quadro verosimilmente riconducibile a mobbing è stato individuato in 37 pazienti, ossia nel 15% dei soggetti esaminati: 2 casi di Disturbo Post-Traumatico da Stress (DPTS), 33 di Disturbo dell’Adattamento (DA), 2 disordini d’ansia (fig. 1). Altri 4 casi di DA sono risultati legati all’attività lavorativa ma non riconducibili a mobbing; in 15 casi 355 Figura 1. Diagnosi formulate nei soggetti con patologia da mobbing Figura 2. Distribuzione delle tipologie di mobbing una correlazione del quadro clinico con l’attività era possibile ma difficile da dimostrare a causa di fattori stressogeni concomitanti; in 93 soggetti erano identificabili patologie psichiatriche preesistenti, mentre in 95 casi era presente un’alterata dinamica delle relazioni interpersonali con i colleghi; 9 pazienti non hanno completato l’iter previsto. Nei 37 casi ritenuti compatibili in senso causale con una situazione di mobbing, è stata effettuata segnalazione ai sensi dell’art. 365 del codice penale (obbligo di referto) alla Procura della Repubblica, all’ASL di competenza, all’Ispettorato del Lavoro e all’INAIL. Nella gruppo di 37 pazienti nei quali è stata individuata una patologia da mobbing, la diagnosi più frequente è stata dunque quella di DA (89.2%), mentre al 5.4% dei soggetti è stato diagnosticato un DPTS e al 5.4% un serio disturbo d’ansia (fig. 1). A seconda delle tipologie di mobbing, si sono individuati 19 casi di mobbing verticale (dall’alto), 14 casi di mobbing strategico, 3 casi di mobbing orizzontale, un caso di mobbing senza intenzionalità dichiarata (fig. 2). Il gruppo aveva un’età media complessiva di 42 anni, con una differenza tra uomini e donne (età media maschi: 46 anni, età media femmine: 37 anni); queste ultime sono presenti in proporzione superiore (73%) rispetto agli uomini (27%). Si tratta di soggetti con scolarità prevalentemente medio-elevata; infatti il titolo di studio era rappresentato per 6 pazienti dalla laurea (16.2%), per 19 dalla licenza media superiore (51.3%), per i restanti 12 dalla licenza media inferiore (32.4%), per nessuno dalla licenza elementare. Per quanto concerne il settore d’impiego, 32 soggetti (86.4%) lavoravano nel settore privato, i rimanenti 5 (13.6%) nel settore pubblico; le mansioni interessate erano assai varie, prevalentemente a carattere impiegatizio. Molto variabile è risultata essere la durata delle vessazioni (da un minimo di 6 mesi ad un massimo di 15 anni). È interessante notare che 27 soggetti (73%) assumevano psicofarmaci già prima di giungere alla nostra osservazione, su prescrizione del medico di base o dello specialista; un soggetto abusava di alcool. Infine 3 pazienti erano invalidi civili per patologie d’organo. DISCUSSIONE Al termine dell’iter diagnostico, una situazione di mobbing è stata effettivamente identificata, con ragionevole grado di probabilità, solo nel 15% dei pazienti. Pertanto, la nostra casistica è in primo luogo un richiamo alla prudenza nell’etichettare come “sindrome da mobbing” situazioni cliniche che tali non sono. In proposito, è sicuramente rilevante l’elevato riscontro (in circa un terzo dei casi) di patologie psichiatriche indipendenti dall’attività lavorativa e -in un altro terzo dei casi- di una situazione di alterata dinamica delle relazioni interpersonali coi colleghi. Per quanto riguarda il campione di pazienti in cui è stato riscontrato un quadro clinico riconducibile a mobbing -e come tali segnalati alle competenti Autorità-, la diagnosi è stata probabilistica in quanto il giudizio era limitato alla compatibilità tra la condizione riportata e la sintomatologia lamentata. D’altro canto, il fatto che i dati siano stati raccolti in un contesto ospedaliero ne aumenta l’affidabilità; la valutazione clinica è 356 stata formulata non solo in base ad un protocollo diagnostico, ma anche al giudizio sull’attendibilità della persona, a cui hanno contribuito più figure professionali. Pur con i limiti dell’esiguità numerica, appare evidente come il fenomeno possa riguardare tutti, uomini e donne, di diverse età, professioni e settori lavorativi, pur se emergono alcune differenze. Il fatto che le donne siano più rappresentate nel campione può avere molteplici ipotesi esplicative: secondo alcuni stereotipi culturali le donne sarebbero più passive e quindi più facilmente attaccabili; un’altra ipotesi è che siano più propense degli uomini a chiedere aiuto in caso di difficoltà, per esempio rivolgendosi ad un servizio pubblico. Infine, dal momento che le donne meno frequentemente ricoprono incarichi dirigenziali, sarebbero più a rischio di vessazioni in quanto il mobbing è un fenomeno esercitato prevalentemente dai superiori nei confronti dei subalterni (5). La letteratura a tale proposito appare discorde: alcuni autori non rilevano differenze di genere significative (6, 7), altri rilevano una netta prevalenza del sesso femminile (5, 8). A proposito dell’età dei soggetti i nostri risultati risultano sovrapponibili ad altri studi (5, 6, 9) in cui emerge un basso numero di giovani e una prevalenza di persone in fascia di età più alta. Interessante la differenza di età media tra uomini e donne, da attribuire forse al fatto che, come già detto, gli uomini quarantenni occupano posizioni manageriali e le donne trentenni vanno incontro a gravidanza. Infatti, quando una donna è appena rientrata dal periodo di maternità o ha bisogno di allontanarsi con una certa frequenza dal lavoro, può correre il rischio di essere isolata o colpevolizzata per la situazione creatasi a causa delle sue assenze. Pur essendo interessati diversi ambiti lavorativi, le figure professionali più coinvolte sono quelle a carattere impiegatizio, mentre gli operai sembrano meno colpiti, probabilmente per il tipo di attività svolta. Per gli impiegati infatti i rapporti interpersonali e la comunicazione fanno parte integrante del lavoro, con risultati non sempre facilmente tangibili e misurabili, a differenza degli operai (5). Il dato sul titolo di studio, prevalentemente medio-elevato, è verosimilmente legato al fatto che prevale la professione impiegatizia oppure che le persone con maggior grado di istruzione abbiano una maggior consapevolezza -o una soglia di allarme più bassa- rispetto alla situazione negativa, ovvero abbiano più informazioni sull’esistenza di centri specializzati per i loro disturbi (5). La variabilità della durata delle vessazioni e l’utilizzo di psicofarmaci già al momento della visita ambulatoriale conferma i risultati di studi precedenti (5). Un’opera di prevenzione rappresenta lo strumento che può arginare il mobbing: affinché l’azione abbia successo, è importante la collaborazione di professionisti della salute, manager e rappresentanti dei lavoratori. Ciò che principalmente occorre è la promozione di comportamenti etici atti a creare un clima di fiducia, tolleranza e rispetto nei luoghi di lavoro. La prevenzione del mobbing si basa infatti sulla possibilità di attuare un cambiamento culturale nelle relazioni interpersonali, nei valori, negli atteggiamenti (9). Una cultura della prevenzione del rischio mobbing diffusa sul territorio rappresenta il mezzo più efficace per contrastare il dilagare del fenomeno. In tale ambito, il medico del lavoro ha il compito di diffondere la conoscenza del fenomeno in riferimento ai rischi organizzativi e agli effetti negativi sulla salute, sensibilizzando le parti sociali al progetto di prevenzione, promuovendo iniziative aventi lo scopo di rilevare situazioni di mobbing e segnalando i casi di patologia riconducibili a mobbing alle Autorità competenti. Come è previsto dal D.L.vo 626/1994, il medico competente deve collaborare con il datore di lavoro e con il Servizio di Prevenzione e Protezione al fine di adottare tutte le misure necessarie a tutelare la salute e l’integrità psicofisica e la dignità dei lavoratori. Deve individuare tutti gli elementi relativi alla tipologia di organizzazione del lavoro e alla qualità dei rapporti interpersonali, essendo essi necessari ad una valutazione esaustiva delle condizioni del lavoro stesso. In proposito, si sottolinea il ruolo fondamentale dei Servizi di Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro (SPSAL) -istituiti presso le ASL- che, dopo l’emanazione delle direttive comunitarie e l’applicazione del D.L.vo 626/94, è senza dubbio quello di esploratore e regolatore di sistemi aziendali. Oltre che con il medico competente, è auspicabile la costruzione di un rapporto integrato tra le Aziende Sanitarie, la Regione e l’Università per promuovere, rafforzare e sviluppare la qualità delle figure professio- G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it nali, sia tra i dirigenti sia tra i tecnici dei Servizi di Prevenzione. Come ogni indagine attivata dal Servizio PSAL, in caso di sospetta malattia professionale, si potrà procedere ad effettuare: un sopralluogo in azienda per oggettivare quanto dichiarato dal lavoratore, la presa visione del documento di valutazione dei rischi, i rilievi fotografici atti ad evidenziare anomalie visibili della postazione di lavoro (“sindrome della scrivania vuota”) e dell’ambiente (talvolta inadeguato o addirittura insalubre), la raccolta delle informazioni testimoniali dei colleghi di lavoro (indicati come persone informate sul fatti specifici) e di altri lavoratori presi, con metodo casuale, dall’organigramma aziendale. BIBLIOGRAFIA 1) Cassitto MG, Gilioli R. Aspetti emergenti dello stress occupazionale. Med Lav 2002; 94: 108-113. 2) Mennoia NV, Petrone L, Candura SM. Il problema del mobbing in ambito sanitario. Advances in Occupational Medicine 2002; 3: 93106. 3) Minelli CM, Marinoni B, Strambi S, Agosti A, Baldassarre M, Martellosio V, Binarelli A, Scafa F, Giorgi I, Mazzacane F, Zanaletti W, Mennoia NV, Candura SM. Applicazione di un protocollo multidisciplinare per la patologia da mobbing. G Ital Med Lav Erg 2006; 28: 409-410. 4) Giorgi I, Argentero P, Zanaletti W, Candura SM. Un modello di valutazione psicologica del mobbing. G Ital Med Lav Erg 2004; 26: 127-132. 5) Punzi S., Cassitto MG, Castellini G, Costa G, Gilioli R. Le caratteristiche del mobbing ed i suoi effetti sulla salute. L’esperienza della “Clinica del Lavoro Luigi Devoto” di Milano. Med Lav 2007; 98: 267-283. 6) Einarsen S, Skogstad A. Prevalence and risk of bullying and harassment at work. Eur J Work Organiz Psychol 1996; 5: 185-202. 7) Vartia M. Workplace Bullying - A study on the work environment, well-being and health. People and Work Research Reports 56, Finnish Institute of Occupational Health, 2003. 8) Buselli R, Gonnelli C, Moscatelli M. Esperienza di un centro per lo studio dei disturbi da disadattamento lavorativo in tema di patologie mobbing correlate. Med Lav 2006; 97: 5-12. 9) Cassitto MG, Fattorini E, Gilioli R, Rengo C, Gonik V. Raising awareness of Psychological Harassment at Work. Protecting Workers’ Health Series No 4, 2003. COM-04 STUDIO DI UNA POPOLAZIONE ESPOSTA A STRESS OCCUPAZIONALE: CORRELAZIONE TRA TESTS PSICOMETRICI E PARAMETRI BIOCHIMICO-IMMUNOLOGICI M. Amatia, M. Tomasettia, L. Mariottia, L. M. Tarquinia, M. Ciuccarellia, M. Poiania, M. Baldassarib, A. Copertaroc, L. Santarellia aDipartimento di Patologia Molecolare e Terapie Innovative, Medicina del Lavoro, Università Politecnica delle Marche, Ancona. b Ufficio Medico Competente, Azienda Ospedaliero-Universitaria Ospedali Riuniti Umberto I - G.M. Lancisi - G. Salesi, Ancona. c ASUR Territoriale 7, Ufficio Medico Competente, Ancona. Corrispondenza: Dott. Monica Amati, Università Politecnica delle Marche, Dipartimento di Patologia Molecolare e Terapie Innovative, Clinica di Medicina del Lavoro, Via Tronto 10/a, 60020 Torrette (AN), tel. 071-2206064/60, fax 071-2206062, e-mail: [email protected] RIASSUNTO. Abbiamo condotto uno studio prospettico longitudinale sullo stress lavorativo per capire quanto possa modificare alcuni parametri biochimico-immunologici e per validare un metodo nuovo e semplice per individuare soggetti ad alto rischio. Il campione comprendeva 101 infermieri provenienti da varie strutture sanitarie. I soggetti si sono sottoposti ad un prelievo ematico e hanno compilato alcuni questionari al tempo T0 e ai successivi tempi (T1) a 4 mesi, (T2) a 8 mesi, (T3) a 12 mesi. I questionari erano: Scala per la Valutazione Rapida dello Stress (VRS), General Health Questionnaire a 12 items (GHQ-12), Scala Mul- G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it tidimensionale del Supporto Sociale Percepito (MSPSS) e un questionario sulla soddisfazione lavorativa (SOD). Per ogni soggetto sono stati determinati: emocromo, glicemia, omocisteina, cortisolo, tipizzazione linfocitaria (CD4, CD8, CD19, NK CD56, NK CD57), dosaggio di alcune citochine infiammatorie, valutazione dell’attività NK. Alti livelli plasmatici di omocisteina e cortisolo sono stati riscontrati in soggetti con stress rilevato dalle risposte ai questionari. È stata riscontrata una risposta immunitaria alterata in soggetti con stress psicofisico valutato con il VRS ed il GHQ-12. I risultati suggeriscono che i tests psicometrici rappresentano dei buoni strumenti per una valutazione rapida dello stress psicofisico e da lavoro. Parole chiave: test psicometrici, stress occupazionale, soddisfazione lavorativa STUDY OF A POPULATION EXPOSED TO OCCUPATIONAL STRESS: CORRELATION PSYCHOMETRICS TESTS AND BIOCHEMICAL-IMMUNOLOGICAL AMONG PARAMETERS ABSTRACT. A longitudinal study was carried out to evaluate the effect of psycho-physical and occupational stress on some biochemical and immunological parameters. The study was aimed to the identification of new and reliable method for the identification of subjects at high risk of occupational stress. 101 nurses which were working at several departments were enrolled. A blood sample was collected from all subjects after have filled the questionnaires at the time T0 and at the followed time points of 4 months (T1), 8 months (T2) and 12 months (T3). The self-reported questionnaires were: Rating Scale for Rapid Stress Assessment (VRS), General Health Questionnaire to 12 items (GHQ-12), Multidimensional Scale of Perceived Social Support (MSPSS) and a questionnaire on the occupational satisfaction (SOD). Haemachrome, glycaemia, homocysteine, cortisol, lymphocyte numbers and their subtypes (CD4, CD8, CD19, NK CD56, NK CD57), NK activity and inflammatory cytokines were evaluated. A high reliability has been found between the psychometric tests. Correlations between biochemical and immunological variables were performed by Pearson coefficients and multiple regression analysis. Subjects with elevated value of stress evaluated as VRS and GHQ-12 score showed an altered immune response. A reduction of NK CD57 and IL-6 content better characterize the occupational satisfaction. Key words: psycometrics test, occupational stress, occupational satisfaction 357 MATERIALI E METODI Su un campione di 101 infermieri è stata effettuata una valutazione iniziale (T0) e tre valutazioni di follow-up a 4, 8 e 12 mesi (T1, T2, T3) dello stress soggettivo e di parametri biochimico-immunologici stresscorrelati: 58 infermieri lavoravano negli Ospedali di Loreto e Osimo: 17 in sala operatoria, 19 in Chirurgia generale, 3 in Pneumologia, 3 in Hospice per malati terminali, 7 in Medicina interna, 8 in una Residenza sanitaria per anziani e 1 presso il Medico competente. 43 infermieri erano collocati nella SOD di Rianimazione dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Ospedali Riuniti Umberto I - G.M. Lancisi - G. Salesi, Ancona. Gli infermieri, in apparente stato di buona salute, rispettavano i seguenti parametri di inclusione: età minore di 65 anni, anzianità lavorativa maggiore di 2 anni, non erano affetti da disturbi psichiatrici, né da HIV/AIDS e/o altre patologie croniche infettive, non assumevano terapia farmacologica in grado di alterare le funzioni immunitarie. In tutti i tempi, i soggetti sono stati sottoposti a prelievo ematico a digiuno e in astensione tabagica ed alcolica prima dell’inizio dell’attività lavorativa, per l’effettuazione delle seguenti indagini: esame emocromocitometrico di routine, glicemia, cortisolemia, omocisteinemia e tipizzazione linfocitaria (CD4+, CD8+, CD19+, CD56+, CD57+, NK), valutazione dell’attività delle cellule NK, dosaggio di alcune citochine (IL-1?, IL-6, IFN-?, TNF?). Oltre ai prelievi ematici, sono state consegnate una scheda per la raccolta dei dati generali e i seguenti tests psicometrici di autovalutazione: • VRS (Scala per la Valutazione Rapida dello Stress): test che aiuta a comprendere se nel soggetto sono presenti gli effetti dello stress cronico; elevati valori di VRS corrispondono a maggiore stress. • GHQ-12 (General Health Questionnaire a 12 items): test sulle condizioni generali di salute dell’individuo che può mettere in evidenza disordini mentali non psicotici; elevati valori di GHQ-12 corrispondono ad alta probabilità di insorgenza di disturbi psichiatrici non psicotici. • MSPSS (Scala Multidimensionale del Supporto Sociale Percepito) riguarda l’aiuto e il sostegno che è possibile ricevere dai rapporti interpersonali (familiari, amici, coniuge); elevati valori di MSPSS corrispondono ad un maggiore stato di benessere. • SOD (Questionario sulla Soddisfazione Lavorativa); elevati valori di SOD corrispondono a un maggior benessere lavorativo. RISULTATI In Tabella I sono riassunte le caratteristiche demografiche dei soggetti presi in esame. I tests psicometrici ed i parametri biochimico-immunologici valutati ai quattro tempi (T0, T1, T2, T3) non risultavano statisticamente diversi gli uni dagli altri; pertanto le analisi di correlazione sono state eseguite considerando un’unica popolazione ottenuta da 4 prelievi per ciascun soggetto, per un totale di 404 campioni (n = 4x101). In Tabella II sono mostrate le correlazioni tra i 4 tests psicometrici valutate mediante coefficiente di Pearson; la loro attendibilità è stata de- INTRODUZIONE Lo stress venne per la prima volta definito dal fisiologo cecoslovacco Hans Seyle, nel 1926, come “Risposta fisiologica aspecifica dell’organismo sottoposto a prestazioni particolarmente impegnative”(1). Quando lo stimolo negativo è prolungato c’è una diminuzione delle capacità di risposta e di adattamento, che può predisporre l’organismo a malattie psicosomatiche e problemi psicologici anche gravi. Una delle cause principali di stress protratto nel tempo è il lavoro, definito dal NIOSH nel 1999 come: “danno fiTabella I. Caratteristiche dei soggetti sico e risposta emotiva che interviene quando le caratteristiche del lavoro non corrispondono alle capacità, risorse o bisogni dei lavoratori”. Età (anni) 36.7±7.5 Sebbene la suscettibilità individuale non possa essere ignorata, l’eviSesso (M/F) 26/75 denza scientifica suggerisce che determinate condizioni lavorative sono Anzianità lavorativa (anni) 11.6±8.8 stressogene per la maggior parte delle persone: lavoro in strutture malgestite, inadeguata retribuzione, mal organizzazione del lavoro, mansioni Turnista (SI/NO) 74/27 frustranti o inadeguate alle proprie aspettative, insufficiente autonomia Tabagismo (SI/NO) 60/41 decisionale, limitate prospettive di carriera, sovra o sotto carichi di lavoro, orari insostenibili, condizioni ambientali sfavorevoli etc. I soggetti più Alcool (SI/NO) 35/66 colpiti sono coloro che hanno un intenso coinvolgimento emotivo sul lan° = 101 voro: medici, psicologi, infermieri, insegnanti, assistenti sociali (2). Diversi studi hanno dimostrato il coinvolgimento dell’asse Tabella II. Correlazioni della attendibilità dei tests psicometrici ipotalamo-ipofisi-surrene nello stress psico-fisico a lungo termine con alterato livello di cortisolo e modifiche immunitarie, come l’aumento del numero dei linfociti NK, aumento dei linfociti citotossici (CD8), riduzione dei linfociti helper (CD4) ed aumento delle citochine pro-infiammatorie (3,4). L’obiettivo dello studio è stato di valutare l’effetto delle variabili psicometriche sul sistema immunitario allo scopo di sviluppare una metodologia rapida, attendibile e valida per l’individuazione di soggetti a maggior rischio di effetti dannosi correlati allo stress occupazionale. 358 G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it terminata sulla base della costante α-Cronbach. Da tale Tabella III. Correlazione tra test psicometrici e parametri immunologici analisi è stato osservato che alti valori di GHQ-12, che corrispondono ad un minor benessere psicofisico, erano associati ad alti valori di VRS, che definisce lo stress somatico del soggetto. I due tests risultavano concordanti tra loro con una costante di α-Cronbach di 0.702, p<0.01. Tra i tests psicometrici analizzati solo il VRS correla positivamente con l’omocisteina ed il cortisolo, rispettivamente R=0.144 e R=0.126, p<0.05. I tests GHQ-12 e VRS correlano positivamente con il numero dei linfociti T citotossico-suppressor CD8 e con il numero dei linfociti NK CD57; il GHQ-12 correla negativamente con il rapporto CD4/CD8. I valori di SOD correlano negativamente sia con la percentuale dei linfociti T helper CD4, che con il rapporto CD4/CD8 e la percentuale dei linfociti NK CD57. I valori del test MSPSS correlano negativamente con il numero dei linfociti NK CD56, CD57 e con la loro attività litica (Tabella III). Una correlazione negativa è stata riscontrata tra il SOD e l’IL-6 (R= -0149, p<0.05) ed una positiva tra il GHQ-12 ed il TNFα (R=0.120, p<0.05). Allo scopo di determinare le variabili biochimicoimmunologiche che meglio definiscono i test psicometrici utilizzati è stata eseguita l’analisi della regressione multipla, che considera solo quei parametri che influenzano fortemente i Tabella IV. Regressione multipla valori dei test. La Tabella IV evidenzia che l’incremento dei linfociti T citotossico-suppressor CD8 ed dei livelli ematici del TNF? meglio definiscono il valore di stress psicologico in base al risultato ottenuto dal test GHQ-12 (p=0.001). Lo stress definito dal test VRS è significativamente correlato con l’aumento dei linfociti NK CD57 (p=0.0001). La soddisfazione lavorativa definita dal SOD è caratterizzata da alti livelli di linfociti NK CD56, bassi livelli di linfociti NK CD57 e di IL-6 (p=0.0001). Infine il supporto sociale in base al test MSPSS è definito da bassi livelli di linfociti citotossico-suppressor CD8, linfociti NK CD56, e linfociti NK CD57 (p=0.0001). Sulla base del GHQ-12, considerando un valore di cut-off di 4 (5,6), Tabella V. Caratteristiche dei due gruppi GHQ-12 sono state identificate due popolazioni di individui: i “non-casi GHQ-12” con uno score <4 considerati in buona salute psicofisica e liberi da stress psicologico, e i “casi GHQ-12” con un valore ≥4 con una probabilità superiore all’80% di avere disturbi psichiatrici quali ansia e depressione (5) (Tabella V). Nel gruppo dei casi con valore di GHQ-12 ≥4 è stato osservato un ridotto rapporto CD4/CD8 e un aumento dei linfociti NK CD57. DISCUSSIONE Nell’ambito della ricerca sulla salute dei lavoratori, lo stress occupazionale ha assunto nel corso degli anni un ruolo di priorità rispetto ad altri tipi di rischi presenti nelle varie realtà lavorative (6,7). Mettendo in relazione lo stato di stress psicofisico e la soddisfazione lavorativa con i parametri biochimico-immunologici si è evidenziato che lo stato di stress è associato ad un pattern immunologico definito come “pattern a rischio-immunologico” caratterizzato da un aumento dei linfociti NK (CD56 e CD57), riduzione dei linfociti T helper (CD4), aumento dei linfociti T suppressor/citotossici (CD8) con conseguente riduzione del rapporto CD4/CD8. Inoltre abbiamo visto che soggetti con livelli di VRS più elevati, quindi più stressati, avevano anche alti livelli di cortisolo e omocisteina. Questi risultati suggeriscono che i tests psicometrici utilizzati nel nostro studio, rappresentano dei buoni strumenti attendibili, sensibili e di facile applicabilità per una valutazione rapida dello stress psicofisico e di quello legato al lavoro. BIBLIOGRAFIA Selye, H. (1975). Stress, without Distress. New York: Signet (trad. it., Stress senza paura, Milano: Rizzoli, 1976) Freudenberger, HJ. “Staff burn-out” Journal of Social Issue. 30, 159-165, 1974. Kiecolt-Glaser JK, Glaser R, Strain EC, Stout JC, Tarr KL, Holliday JE, Speicher CE. Modulation of cellular immunity in medical students. J Behav Med. 9:5-21, 1986. Cacioppo JT, Malarkey WB, Kiecolt-Glaser JK, Uchino BN, SgoutasEmch SA, Sheridan JF, Berntson GG, Glaser R. Heterogeneity in neuroendocrine and immune responses to brief psychological stres- sors as a function of autonomic cardiac activation. Psychosom Med. 57:154-64, 1995. Guthrie, E., Black, D., Bagalkote, H., Shaw, C., Campbell, M., Creed, F.“ Psychological stress and burnout in medical students: a five-year prospective longitudinal study.” Journal of the Royal Society of Medicine 91, 237-243, 1998. Goldberg DP, Gater R, Sartorius N, Ustun TB, Piccinelli M, Gureje O, Rutter C.”The validity of two versions of the GHQ in the WHO study of mental illness in general health care”. Psychol Med 30, 191-197, 1997. Tabolli, S., Ianni, A., Renzi, C., Di Pietro, C., Puddu, P. “Soddisfazione lavorativa, burnout e stress del personale infermieristico: indagine in due ospedali di Roma”. G. Ital. Med. Lav. Erg. Suppl Psicologia 1, 49-52, 2006. Harrington JM., Calvert IA. “Research priorities in occupational medicine: a survey of United Kingdom personnel managers”. Occup Environ Med 53, 642-644, 1996. Bargellini A., Barbieri A., Rovesti S., Vivoli R., Roncaglia R., Borella P.” Relation between immune variables and burn out in a sample of physicians”. Occup. Environ. Med. 57, 453-457, 2000. G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it 359 COM-05 DIFFERENZE SESSO-SPECIFICHE DELLA RISPOSTA FISIOLOGICA ALLO STRESS MISURATO CON IL CORTISOLO SALIVARE G. Maina1,A. Palmas1,M. Bovenzi2,F. Larese Filon2 1Dipartimento di Traumatologia Ortopedia e Medicina del LavoroUniversità degli Studi- Torino 2 UCO Medicina del Lavoro -Università degli Studi- Trieste Corrispondenza: Giovanni Maina, Dipartimento di Traumatologia Ortopedia e Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Torino, Via Zuretti, 29, 10126 Torino, e-mail: [email protected] RIASSUNTO. La cronica disregolazione dell’asse ipotalamo-ipofisisurrene è considerata il meccanismo psicofisiologico alla base della relazione tra stress ed effetti avversi alla salute. In questo studio sono state analizzate le relazioni tra percezione di stress e risposta neuroendocrina in 46 operatori di call-centre utilizzando il cortisolo salivare quale indicatore biologico di attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene. La percezione di stress, valutata con il Job Strain Model, era positivamente correlata con secrezione di cortisolo salivare al risveglio. Il cortisolo al risveglio presentava sistematiche differenze sesso-specifiche: le femmine presentavano valori significativamente più elevati dei maschi [AUCt: coeff. (IC 95%)=16.2(5.3-27.1); AUCi: coeff. (IC 95%)=8.3 (2.4-14.2); MnInc: coeff. (IC 95%)=5.2 (1.68.9)]. Queste differenze nell’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, qualora stabilizzate nel tempo, potrebbero essere associate alle differenze di prevalenza osservate per alcune malattie autoimmuni. Parole chiave: asse ipotalamo-ipofisi-surrene, cortisolo salivare,differenze sesso-specifiche. SEX SPECIFIC DIFFERENCES IN PHYSIOLOGIC RESPONSE TO STRESS gica allo stress, di interesse anche nella ricerca in medicina occupazionale per le sue potenziali applicazioni nella valutazione della risposta fisiologica in popolazioni che eseguono attività lavorative considerate ad elevato carico di stress6. I risultati ottenuti negli ultimi anni dalla ricerca psicoeuroendocrinologica indicano che numerosi fattori di confondimento (sesso, età, aderenza al protocollo di raccolta dei campioni, ora di risveglio, durata e qualità del sonno, giorno della settimana) sono alla base dei contraddittori risultati degli studi sulla relazione stress lavorativo- attivazione dell’asse IIS. Scopo di questo studio è la valutazione delle differenze sesso-specifiche nella risposta fisiologica allo stress misurata mediante il cortisolo salivare in un’attività lavorative ritenuta altamente stressante quale quella di lavoratori di call-centre. MATERIALI E METODI 46 volontari (20 femmine e 16 maschi) hanno raccolto tre campioni di saliva a tempi sincronizzati con il risveglio (al risveglio, + 30 minuti, + 60 minuti) e successivi quattro campioni nell’arco della giornata di due giorni lavorativi ed di un giorno di riposo (756 campioni totali). Il cortisolo salivare libero è stato dosato con metodo RIA (LOD = 1.59 nmol/l; intra ed inter CV = 12%, e 15%, rispettivamente). La risposta del cortisolo salivare al risveglio (CRR) e l’escrezione del cortisolo nella restante parte della giornata sono state quantificate separatamente utilizzando diversi parametri: quantità totale di cortisolo salivare (AUCt) e quantità di incremento rispetto al 1° campione (AUCi e MnInc) per CRR7; altri parametri (AUCGday e Diurnal cycle) quantificano l’escrezione durante l’intera giornata. Il questionario JCQ di Karasek (nella versione ridotta ad 11 items8) è stato utilizzato come misura psicometrica dello stress percepito. La relazione tra stress percepito e misure ripetute di escrezione di cortisolo è stata analizzata mediante regressione multipla utilizzando le equazioni generalizzate di stima inserendo come covariate fattori sociodemografici (età, sesso, stato civile, scolarità) e fattori situazionali (ora di risveglio, durata e qualità del sonno, giorno della settimana, aderenza al protocollo di raccolta dei campioni di saliva). EVALUATED BY MEANS OF SALIVARY CORTISOL RISULTATI Abstract. The psychophysiological mechanism behind the Solo la quantità di cortisolo totale secreta durante il risveglio (AUCt) development of stress-related diseases includes a long-term both increase è risultata significativamente associata alla percezione di stress (Tab. I). and decrease in circulating cortisol levels, leading to an allostatic disregulation of the hypothalamic -pituitary-adrenal (HPA) axis. This research explores the relationship between Tabella I. Coefficienti di regressione (IC 95%) per i fattori sesso, giorno della perceived stress (assessed by means of the Job Strain settimana, percezione di stress ed aderenza al protocollo di raccolta dei campioni Model) and neuroendocrine response quantified by means of repeated measures of salivary cortisol in 46 call-centre operators. Job strain influenced the total amount of cortisol response to waking, but not the cortisol excretion in the remainder of the day. The cortisol response to waking showed gender-specific differences, women excreting greater cortisol than men [AUCt: coeff. (IC 95%)=16.2(5.3-27.1); AUCi: coeff. (IC 95%)=8.3 (2.414.2); MnInc: coeff. (IC 95%)=5.2 (1.6-8.9)]. In long run the gender-specific differences of the dis-regulation of the hypothalamic -pituitary-adrenal (HPA) axis can be related to differences on prevalence of autoimmune diseases. Key words: hypothalamic-pituitary-adrenal axis, gender differences, salivary cortisol. INTRODUZIONE Benché ci sia un generale accordo in letteratura che lo stress lavorativo sia associato ad effetti sulla salute (in particolare a malattie cardiovascolari1, alterazioni del profilo immunitario2, disturbi metabolici3, disturbi del comportamento4), molte incertezze rimangono in merito ai meccanismi etiopatogenetici che sono alla base di tali associazioni. Evidenze sperimentali e cliniche identificano nella cronica disregolazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (IIS) uno dei meccanismi psicofisiologici implicati nella relazione stress-effetti avversi sulla salute5. Il cortisolo, prodotto finale della stimolazione dell’asse IIS, può essere misurato in modo non invasivo ed affidabile nella saliva rendendo il dosaggio del cortisolo salivare uno strumento adatto per eseguire misure ripetute in condizioni naturalistiche. Il cortisolo salivare è pertanto considerato un promettente marcatore biologico della risposta fisiolo- AUCt = area sotto la curva rispetto allo “zero” durante il CRR; AUCi = area sotto la curva rispetto al primo campione durante il CRR; MnInc = incremento medio durante il CRR; AUCGday = area sotto la curva rispetto allo “zero” (campioni 4-7); DC = area sotto la curva rispetto allo “zero” (campione 1 e campioni 4-7); Sesso: il sesso di confronto è quello femminile; Giorno della settimana: il giorno di confronto è quello non lavorativo; High strain, Active work, Passive work: il gruppo di confronto è “low strain”; Aderenza al protocollo: il gruppo di confronto è quello degli aderenti. 360 Nessuna relazione tra livelli di cortisolo salivare ed età, stato civile, scolarità, ora di risveglio, durata del sonno, qualità del sonno è stata osservata. I fattori sesso, giorno della settimana ed aderenza al protocollo di raccolta dei campioni influenzano la risposta del cortisolo salivare al risveglio. Le femmine presentano valori di tutti gli indici di CRR più elevati dei maschi [AUCt: coeff. (IC 95%)=16.2(5.3-27.1); AUCi: coeff. (IC 95%)=8.3 (2.4-14.2); MnInc: coeff. (IC 95%)=5.2 (1.6-8.9), per femmine vs maschi]. CONCLUSIONI In accordo con i dati di letteratura9,10,11, i nostri risultati rivelano la presenza di sistematiche differenze sesso-specifiche della secrezione del cortisolo salivare al risveglio: tutti i parametri che quantificano l’attivazione dell’asse IIS sono significativamente più elevati nel sesso femminile. L’osservazione che il sesso femminile presenta una iperreattività dell’asse IIS e, conseguentemente, una condizione di relativo (rispetto al sesso maschile) ipercortisolismo al risveglio, viene interpretata come effetto della particolare sensibilità alla percezione di stress ed alla sua anticipazione che le femmine presentano rispetto al sesso maschile10. Secondo il modello teorico di McEween 12, l’esaurimento funzionale della risposta fisiologica è la conseguenza della cronica iperstimolazione dell’asse IIS: è quindi attesa una condizione di ipocortisolismo quale effetto a lungo termine dello stress cronico. È di interesse notare che l’iporeattivita dell’asse IIS è associata a numerose patologie autoimmuni che presentano chiare prevalenze nel sesso femminile: LES (9:1); Artrite reumatoide (3:1); Fibromialgia (10:1); Sclerosi multipla (2:1). Studi longitudinali multidisciplinari dovranno esplorare la possibile relazione tra stress cronico e risposta immunitaria mediata dall’attivazione/esaurimento dell’asse IIS, dove il cortisolo salivare si propone come marker biologico di grande interesse. BIBLIOGRAFIA 1) Kivimaki M, Virtanen M, Elovainio M. Work stress in the etiology of coronary heart disease-a meta-analysis. Scand J Work Environ Health 2006;32:443-462. 2) Harbuz M. Neuroendocrinology of autoimmunity. Int Rev Neurobiol 2002;52:133-161. 3) Reiche EM, Nunes SO, Morimoto HK. Stress, depression, the immune system, and cancer. Lancet Oncol 2004;5:617-625. 4) Stansfeld S, Candy B. Psychosocial work environment and mental health-a meta-analytical review. Scand J Work Environ Health 2006;32:443-462. 5) Harma M, Kompier MAJ, Vahtera J. Work stress and health-risks, mechanism and countermeasures. Scand J Work Environ Health 2006: 32: 413-415. 6) Soo-Quee Koh D, Choon-Huat Kot G. The use of salivary biomarkers in occupational and environmental medicine. Occup Environ Med 2007;64:202-210. 7) Pruessner JC, Kischbaum C, Meinlschmid G, Hellhammer DH. Two formulas for computation of the area under the curve represent measures of total hormone concentration versus time-dependent change. Psychoneuroendocrinology 2003;28:916-931. 8) Cesana GC, Sega R, Ferrario M, et al. Job strain and blood pressure. A pooled analysis of several general population samples. Psychosom Med 2003;65:1-6. 9) Maina G, Palmas A, Larese Filon F. Relationship between self-reported mental stressors at the workplace and salivary cortisol. DOI 10.1007/s00420-007-0224-x. 10) Kunz-Ebrecht SR, Kirschbaum C, Marmot M. Differences in cortisol awakening response on work days and weekend in women and men from Whitehall II cohort. Psychoneuroendocrinology 2004;29:516-558. 11) Lundberg U. Stress hormones in health and illness: the role of work an gender. Psichoneuroendocrinolgy 2005:30;1017-1021. 12) McEwen BS. Protective and damaging effects of stress mediators. N Eng J Med 1998;338:171-179. G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it COM-06 METODOLOGIA DI VALUTAZIONE DEI RISCHI PSICOSOCIALI IN AMBIENTE DI LAVORO: UN PROGETTO TOSCANO DI AREA VASTA R. Buselli1, G. Galli1, A. Cristaudo1, F.Franco1, A. Possemato1, R. Ansuini1, D. Taddeo1, S.Battaglia1, M.G. Roselli1, M.G. Leoni1, A. Reali1, D. Parducci1, R.Degaetano1, F. Fani1, M.T. Boccuzzi1, M.G.Cassitto2 1AUSL Area Vasta Nord-Ovest Toscana del Lavoro “L.Devoto” -Milano 2Clinica Corrispondenza: Dott.Rodolfo Buselli, Email: [email protected], U.O.Medicina Preventiva del Lavoro, Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana, Via S. Maria 110- 56100 Pisa RIASSUNTO. Pur essendo i rischi psicosociali una delle principali cause di alterazione della salute psicofisica nei luoghi di lavoro, risultano ancora evidenti le carenze di conoscenza sull’argomento da parte degli operatori della prevenzione. Il progetto dell’Area Vasta Nord Ovest della Regione Toscana, ha posto come prioritari gli obiettivi di accrescere le conoscenze degli operatori della prevenzione nei luoghi di lavoro sulle caratteristiche dei rischi psicosociali e di definire un percorso per la valutazione routinaria di tali rischi, ispirato ad un approccio analitico oggettivo facilmente praticabile. La proposta prevede una valutazione a tre fasi, che attraverso la combinazione di criteri ottenuti con il rilievo di alcune caratteristiche dell’azienda e di alcuni aspetti gestionali e organizzativi, possa fornire l’indicazione a procedere ad un ulteriore approfondimento sulla base della maggiore probabilità di un significativo rischio lavorativo. Nella fase della valutazione vera e propria si prevede di combinare i risultati di un approccio soggettivo del rischio, attraverso il JCQ di Karasek, con un approccio oggettivo, che prevede una valutazione con un metodo derivato da quello delle congruenze organizzative di Maggi, le cui criticità sono pesate mediante un grado di rilevanza che emerge dagli elementi raccolti attraverso alcune figure aziendali di riferimento. Parole chiave: valutazione del rischio, rischi psicosociali, stress occupazionale RISK ASSESSMENT METHOD FOR PSYCHOSOCIAL FACTORS AT WORKPLACE: A TUSCANY AREA PROJECT ABSTRACT. The rising awareness of psychosocial risks at workplace means that it is ever more important to prepare methods to assess psychosocial factors in occupational environment. This project of north west tuscany area has the aim to realize an instrument for a gradual risk assessment for this kind of factors without the support of specialists. A decisional flow chart helps to approach the risk assessment step by step on the basis of company features, management and organization problems and company symptoms of stress. The final assessment combines the evaluation of perceived risks with job analisys realizing a matrix containing 5 risk levels, which suggests the priority of preventive measures. The intermediate level (level three) represents the activation level for the medical surveillance. This experience means a proposal for a quantitative assessment of psychosocial risks at workplace. Key words: risk assessment, psychosocial risks, occupational stress NORD WEST INTRODUZIONE I rischi psicosociali, al di là delle incertezze giuridiche circa la loro definizione, sono oggi individuati come una delle principali cause di alterazione della salute fisica e psichica nei luoghi di lavoro. Tuttavia l’attenzione a questo fattore di rischio è stata fino ad oggi molto limitata soprattutto in ambito preventivo. Risultano evidenti le carenze di conoscenze sull’argomento da parte degli operatori privati e pubblici chiamati a promuovere e gestire la prevenzione nei luoghi di lavoro ed evidenti le difficoltà che essi incontrano nell’approcciarsi correttamente ad essi. Le caratteristiche dei rischi psicosociali sul lavoro ne rendono molto difficoltosa l’individuazione e, soprattutto, la valutazione e gli strumenti di indagine necessari al loro studio non sono ancora sufficientemente definiti. Anche i criteri per la diagnosi dei possibili danni per la salute ad essi correlati non sono diffusamente conosciuti e sufficientemente omogenei. G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it Il Progetto dell’Area Vasta Nord Ovest promosso dalla Regione Toscana ha colto la necessità di colmare queste carenze ponendo come prioritari i seguenti obiettivi: a) Accrescere, attraverso un adeguato percorso formativo, le conoscenze degli operatori pubblici e privati addetti alla prevenzione nei luoghi di lavoro sulle caratteristiche dei rischi psicosociali, sui danni per la salute che possono produrre, sui riferimenti normativi e assicurativi che ne richiamano gli obblighi di prevenzione per i datori di lavoro, sugli elementi utili alla loro valutazione e sui criteri utili alla diagnosi dei danni da essi prodotti. b) Definire un percorso per la valutazione routinaria dei rischi psicosociali in ambito lavorativo ispirato ad un approccio analitico oggettivo facilmente praticabile dagli operatori pubblici e privati della prevenzione senza la necessità di far ricorso in maniera sistematica a consulenze specialistiche. 361 La prima fase del progetto ha previsto l’applicazione, sullo stesso campione su cui sarà sperimentata la metologia descritta, anche di un metodo (questionario ICCL Marano-Possemato) per la valutazione e il miglioramento della vita lavorativa su un gruppo di lavoratori della sanità addetti a servizi domiciliari e di un laboratorio di analisi cliniche. DESCRIZIONE DEL PROGETTO La proposta prevede un approccio valutativo a tre fasi (Fig.n°1) che, attraverso la combinazione di criteri ottenuti con il rilievo di alcune caratteristiche dell’azienda e di alcuni aspetti gestionali e organizzativi, possa fornire l’indicazione a procedere ad un ulteriore approfondimento sulla base della maggiore probabilità della presenza di un significativo rischio lavorativo. I criteri sono classificati in maggiori o minori a seconda del peso che possono avere sulla salute dell’organizzazione aziendale. La presenza di due criteri maggiori, di un maggiore e due minori o di tre criteri minori indica la necessità di procedere ad un ulteriore step valutativo. La seconda fase prevede l’individuazione di elementi indicativi di rischio, combinando il rilievo di carenze gestionali e organizzative aziendali con la presenza di sintomi aziendali compatibili con stress. Questo livello di approfondimento può riguardare tutta l’azienda, solo alcune delle sue aree omogenee oppure una professionalità trasversale a più aree omogenee secondo quanto emerso al primo livello di approfondimento. Nella fase della valutazione vera e propria si prevede di combinare i risultati Figura 1. Diagramma per la valutazione dei rischi psicosociali di un approccio soggettivo del rischio, effettuato attraverso il JCQ di Karasek, con un approccio oggettivo che prevede una valutazione effettuata attraverso un metodo derivato da quello delle congruenze organizzative di Maggi (Fig.n°2), le cui criticità sono pesate attraverso un grado di rilevanza che emerge dagli elementi raccolti attraverso alcune figure aziendali di riferimento (datore di lavoro, dirigenti, lavoratore esperto, RLS). L’integrazione dei rilievi sulla presenza di criticità organizzate e percezione del rischio stress dei lavoratori consente di stratificare il rischio in cinque fasce attraverso la creazione di una matrice: rischio non significativo, rischio basso, rischio medio, rischio elevato, rischio molto elevato (Fig.n°3). La soglia decisionale che consente di procedere agli adempimenti preventivi, compresa la sorveglianza sanitaria, è quella del rischio medio, mentre il rischio elevato e molto elevato richiederanno priorità di intervento sull’organizzazione aziendale Il secondo e il terzo livello di valutazione non prevedono un abbandono definitivo della stessa ma suggeriscono di ripetere la valutazione Figura 2. Matrice di Rischio con una periodicità di 5 anni per il secondo step e di 2 anni per il terzo. 362 G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it Figura 8. Livelli di rischio DISCUSSIONE L’esperienza di applicazione di un metodo orientato alla valutazione soggettiva della qualità della vita lavorativa ci consentirà di confrontarne i risultati con quelli della proposta valutativa con approccio mirato alla individuzione e alla misura di rischi per la salute dei lavoratori. Uno dei vantaggi del metodo proposto è l’approccio graduale che può consentire, anche ad aziende di dimensioni contenute, di procedere alla valutazione, almeno preliminare, di questo tipo di rischi. Inoltre, sia per gli strumenti utilizzati che per le informazioni raccolte, è possibile per gli operatori del settore, dopo un adeguato percorso di formazione, procedere alla gestione di questo protocollo, anche senza il supporto di consulenza specialistica specifica. Integrando le metodologie di approccio soggettivo e oggettivo è possibile inoltre compensare gli svantaggi del loro uso separato, come ad esempio quantificare il rischio e non semplicemente individuare condizioni di rischio. La proposta possiede alcuni aspetti suscettibili di miglioramento: nel suo insieme presenta qualche aspetto ripetitivo; l’elenco dei criteri scelti nella fase preliminare non è certamente esaustivo, ma, per avere uno strumento di pratica gestione, ci è sembrato importante cercare di limitare il numero di informazioni da raccogliere, soprattutto in una fase di screening. La sperimentazione pratica e il confronto con altre esperienze condotte sull’argomento potrà consentire di migliorare questi aspetti. BIBLIOGRAFIA 1) Agenzia Europea per la sicurezza e salute sul lavoro “Ricerca sullo stress correlato al lavoro”, 2000. 2) De Falco G., Messineo A., Messineo F. “Stress e Mobbing: diagnosi, prevenzione e tutela legale”.Pomezia (Roma) Edizioni EPC libri 2006. 3) Dipartimento della Funzione Pubblica “Benessere Organizzativo per migliorare la qualità del lavoro nelle pubbliche amministrazioni” 2003. 4) D.Lgs 626/94. 5) Frascheri C. “Stress sul lavoro: i rischi emergenti nelle organizzazioni del lavoro pubbliche e private” Istituto Per il Lavoro. Dogana (San Marino), Maggioli Editore 2006. 6) ISPESL Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro “Lo stress in ambiente di lavoro Linee guida per datori di lavoro e responsabili dei servizi di prevenzione” 2002. 7) ISPESL “Stress e Lavoro nell’europa in espansione” 2005. 8) Karasek RA. “Job Content Questionnaire and users guide”. Los Angeles: University of Southern California,1985. 9) “Linee guida SIMLII sullo Stress” Congresso SIMLII Parma 2005. 10) Maggi B. “Lavoro organizzato e salute”. Torino,Tirrenia stampatore 1991. COM-07 MISURAZIONE DEGLI EPISODI DI VIOLENZA NEI LAVORATORI DELLA SANITÀ: UN METODO DI INDAGINE E. Nan1, E. Albini1, S. Zoni1, R. Lucchini1 1Cattedra di Medicina del Lavoro- Università degli Studi di Brescia. Brescia Corrispondenza: Eleonora Nan, Via della Congrega, 12 Brescia, e-mail: [email protected] RIASSUNTO. Al fine di registrare la prevalenza degli episodi di violenza subiti da un gruppo di operatori sanitari, sono stati utilizzati due metodi di valutazione (diretto e indiretto). Il metodo diretto è costituito dalla Violent Incident Form (VIF), una checklist di 16 items, che riassume gli aspetti chiave degli episodi di violenza, identificando circostanze spaziali e temporali, aggressore, tipo di violenza e conseguenze. Il metodo indiretto è rappresentato dall’osservazione delle denunce effettuate, attraverso la consultazione di tre fonti: il Servizio di Prevenzione Protezione (SPP), l’Ufficio Relazioni con il Pubblico ed il posto di blocco della Polizia all’interno del Pronto Soccorso. Gli strumenti utilizzati, sebbene non confrontabili tra loro, hanno entrambi evidenziato un numero piuttosto elevato di episodi di violenza subiti dagli operatori sanitari (metodo diretto: 25 soggetti, 8,5% del totale; metodo indiretto: 34 denunce, nel periodo 2002-2006); nella maggioranza dei casi tali episodi sono perpetrati da un paziente, e dirette contro soggetti di sesso femminile, in prevalenza con la mansione di infermiere. Le forme più riportate di violenza sono: calci, percosse; colpi (metodo indiretto) e aggressioni verbali/minacce (metodo diretto). L’indagine evidenzia come i fenomeni di violenza costituiscano un importante fattore di rischio e dunque la necessità di attuare misure di prevenzione. Parole chiave: violenza, operatori sanitari A METHOD FOR THE MEASUREMENT OF WORKPLACE VIOLENCE IN HEALTH CARE WORKERS ABSTRACT. Aiming to register workplace violence in health care workers, we adopted two evaluation methods: direct and indirect. The direct method is represented by the Violent Incident Form (VIF), a 16 items checklist, which resumes the key aspects of violence events, identifying spatial and temporal circumstances, aggressor, type of violence and consequences. Indirect method is constituted by the observation of injury reports, through three sources: the Prevention and Protection Service (SPP), the Public Relation Office and the Police Position of the First Aid Unit. Although the instruments adopted, thus not comparable each other, pointed out a rather high number of violence events suffered by health care workers (direct method: 34 reports in the period 2002-2006; indirect method: 25 subjects, 8.5% of total); in most cases, the events were perpetrated by a patient, and directed against female of nurses. The most reported types of violence were: kicking, beating, hitting (indirect method) and verbal assault/threats (direct method). The study pointed out that workplace violence is an important risk factor, and therefore it is necessary to consider it for preventive intervention. Key words: workplace violence, health care workers INTRODUZIONE L’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) ha definito il termine di Workplace violence come “episodi in cui i lavoratori sono oggetto di abusi, minaccia o aggressione in circostanze correlate al loro lavoro, incluso il tragitto da e per il luogo di lavoro, comportanti un rischio diretto o indiretto per la loro sicurezza, benessere o salute” (1). Il settore sanitario sembra essere quello maggiormente a rischio: Elliot (2) ha calcolato che il rischio che gli operatori sanitari subiscano un episodio di violenza è 16 volte maggiore di quello calcolato per gli altri lavoratori. La misurazione degli episodi di violenza può avvenire attraverso vari strumenti: l’analisi della percentuale di attacchi fisici (reports, indagini retrospettive, osservazione diretta), l’osservazione delle richieste di indennizzo, la somministrazione di questionari autocompilati: VIF (Violent Incident Form), SAVE (Scale of Aggressive and Violent Experiences), POPAS (Perception of Prevalence of Aggression Scale), OAS (Overt Aggression Scale), SOAS (Staff Observation Aggression Scale), DOS (Direct Observation Schedule). Al fine di registrare la prevalenza degli episodi di violenza subiti da un gruppo di lavoratori afferenti a diverse Unità degli Spedali Civili di Brescia, sono stati utilizzati due metodi di valutazione (diretto e indiretto). MATERIALI E METODI L’indagine, condotta presso gli Spedali Civili di Brescia, ha valutato un gruppo di operatori sanitari (medici, infermieri, ausiliari) afferenti a diverse subunità relative ai reparti di Medicina Generale. Per la registrazione degli episodi di violenza è stato somministrata la Violent Incident Form (VIF) (3), uno strumento pratico sviluppato allo scopo di registrare le varie forme di aggressione e di comportamento minaccioso rivolte con- G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it 363 tro i lavoratori del settore sanitario. Lo strumento utilizza un’ampia definizione di violenza che comprende aggressioni verbali e minacce. Una checklist, composta da 16 items, riassume gli aspetti chiave degli episodi di violenza, identificando le circostanze spaziali e temporali in cui è avvenuta la violenza, l’aggressore, il tipo di violenza, e le conseguenze. In parallelo è stata effettuata una valutazione indiretta degli episodi di violenza, attraverso l’osservazione del numero di denunce di infortunio lavorativo, attraverso tre fonti: il Servizio di Prevenzione Protezione (SPP), l’Ufficio Relazioni con il Pubblico ed il posto di blocco della Polizia all’interno del Pronto Soccorso. I dati ricavati fanno riferimento al periodo ’02-’06. RISULTATI Metodo diretto La Violent Incident Form è stata consegnata a 294 soggetti ed è stata compilata da 25 soggetti (8,5% del totale). Il campione di chi ha subito una forma di violenza è composto da infermieri (60%), medici (20%) e ausiliari (20%); il 68% è di sesso femminile e l’età media è di 37 anni. L’aggressore é un maschio nel 60% dei casi e costituito da un paziente (38%), un familiare del paziente (35%), un collega (4%) o altro (23%) (Fig. 1). L’età dell’aggressore è compresa nella fascia d’età 31-50 nel 36% dei casi e maggiore di 65 anni nel 32% dei casi. L’evento è avvenuto prevalentemente durante una visita/trattamento (40%), nella fascia d’orario compresa tra le 15-18, nella stanza del paziente (44%) o nel corridoio (40%). Nel 60% dei casi la vittima riferisce di aver percepito l’imminente verificarsi dell’evento. La tab. I riporta le forme di violenza subite, mentre la tab.II le conseguenze provocate dall’episodio (in entrambi i quesiti alcuni soggetti hanno fornito risposte multiple). La vittima per lo più stava operando in solitudine (84%) durante l’episodio. Nella maggior parte dei casi sono intervenuti altri in aiuto alla vittima, o perché da lei stessa chiamati o attivati da un allarme (24%) o per volontà personale (28%); nel resto dei casi la vittima ha gestito la situazione da solo (36%) oppure non è stata necessaria alcuna azione (16%). Nessuno tra i soggetti vittima dell’aggressione ha effettuato una formale denuncia. Tabella II. Conseguenze dell’episodio Conseguenze % Rabbia 28 Paura 24 Danno fisico 20 Irritazione 20 Senso di impotenza 20 Umiliazione 16 Disappunto 16 Nessuna reazione 8 METODO INDIRETTO Dall’analisi del numero di denunce di infortuni lavorativi è emersa la segnalazione di 34 episodi di violenza fisica subita nel periodo esaminato (2002-2006) (Fig. 2); la maggior parte (59%) dei soggetti interessati sono di esso femminile. Lo studio della distribuzione temporale dimostra che l’andamento delle aggressioni è stato piuttosto costante negli anni, mentre nel ’06 si è riscontrato un aumento sensibile dei casi. La qualifica dei soggetti maggiormente interessata è quella degli infermieri professionali seguita da ausiliari, OTA e ASA (Fig. 3). L’analisi per classe d’età evidenzia come i soggetti più colpiti siano compresi nelle classi di età 25-30 anni e 37-42 anni. Il reparto più a rischio e che si discosta dalla percentuale degli altri reparti è il Pronto Soccorso. La fonte di aggressione principale è risultata essere il paziente (32 casi), un parente (1 caso) ed un collega (1 caso). Analizzando le modalità di aggressione si osserva come nella maggior parte dei casi il personale viene aggredito con colpi, calci e percosse al volto o all’arto superiore. La prognosi media è stata di 3,7 giorni (range 0-15 giorni). Figura 2. Numero aggressioni/anno suddivisi tra femmine e maschi Figura 1. Tipologia dell’aggressore Tabella I. Tipologia di violenza (%) Forma di violenza % Minacce/aggressioni verbali 76 pugni 32 Calci 28 Graffi/pizzicotti 24 Morsi 12 spintoni 12 Colpi/schiaffi 12 Sputi 8 strattoni 4 altro 4 Figura 3. Mansione dei soggetti che hanno subito violenza 364 CONCLUSIONI I due metodi utilizzati, sebbene non confrontabili tra loro, si sono rivelati entrambi utili per la registrazione degli episodi di violenza in ambito sanitario. Il metodo indiretto ha il vantaggio di essere oggettivo e quindi non influenzato da distorsioni; ha però lo svantaggio di rilevare solamente i casi denunciati, con la possibile conseguenza di un underreporting del fenomeno osservato. Il metodo diretto ha il vantaggio di essere più completo, definendo ed inquadrando dettagliatamente gli episodi di violenza, anche di lieve entità; il limite in questo caso è costituito dal fatto di essere uno strumento soggettivo. Gli strumenti utilizzati hanno evidenziato un numero piuttosto elevato di episodi di violenza subiti in ambito lavorativo; nella maggioranza dei casi tali episodi sono perpetrati da un paziente, ai danni di soggetti di sesso femminile, in prevalenza con la mansione di infermiere. Tali dati sono in accordo con la letteratura (4). L’indagine effettuata evidenzia come i fenomeni di violenza costituiscano un importante fattore di rischio, soprattutto nelle professioni sanitarie, e dunque la necessità di porre in atto misure di prevenzione, che prevedano interventi a livello organizzativo, individuale, sull’ambiente di lavoro nonché attività di tipo formativo. BIBLIOGRAFIA 1) International Labor Organization. Terms of employment and working conditions in health sector reforms: Report for discussion at the Joint Meeting on Terms of Employment and Working Conditions in the Health Sector Reforms. Geneva International Labor Office, Sectoral activities Programme (1998). 2) Elliot P. Violence in health care: what nurse managers need to know. Nursing Management, 28, 12, 38-41, 1997. 3) Arnetz J. The Violen Incident Form (VIF): a practical instrument for the registration of violent incidents in the health care workplace. Work & Stress, 12, 1, 17-28, 1998. 4) Papalia F., Magnavita N. Un rischio professionale misconosciuto: la violenza fisica sul luogo di lavoro. G Ital Med Lav Erg, 25:3; 176177, 2003. G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it Conclusioni: Il turno notturno sembrerebbe più stressogeno. In nessuno dei 4 gruppi sembrerebbe esserci insulino resistenza. Parole chiave: lavoro notturno, stress, ipertensione CARDIOVASCULAR AND HORMONAL STRAIN IN WASTE COLLECTION WORKERS EMPLOYED IN AMSA SPA, MUNICIPALITY OF MILAN, IN PERMANENT DAY AND NIGHT WORK ABSTRACT. Aim of the study is to explore in shiftworkers: a) blood pressure and hormonal variations; b) dyslipidemia and blood glucose levels; c) insulin resistence syndrome. We have assessed 48 male workers employes in Amsa SpA, a large municipal enterprise in charge of street cleaning and domestic waste collection, in permanent day and night work as hand sweepers, motor sweepers and delivery tricar drivers. 24 of those workers (daily and nightly) were normotensive and 24 were hypertensive. Our medical checks were: physical examination: BMI; laboratory findings (blood): glucose, total cholesterol, triglycerides, endothelin, insulin, FFA, HOMA S, HOMA B, HOMA R; assay of salivary cortisol and urinary cortisol in 24 h; 24 h pressure monitoring. Results: Nightly hypertensive: increased consumption in wine and coffee, weight and BMI, total cholesterol and FFA and endothelin. Nightly normotensive: increased consumption in cigarettes and salivary cortisol. Daily hypertensive: increased total cholesterol; 24 h pressure monitoring showed more pronounced variations of pressure in night workers both normotensive and hypertensive in working time. Conclusions: Night shiftwork looks like more stressfull than day shiftwork. Insuline resistance isn’t noticed in all four groups Key words: nightwork, stress, hypertension SCOPO DEL PRESENTE STUDIO, condotto su di un gruppo di lavoratori operanti presso un’’azienda comunale di nettezza urbana, con orario di lavoro fisso diurno o notturno, è quello di valutare: a) se esistono delle variazioni circadiane della pressione delle 24 ore correlabili con le variazioni ormonali cui il turnista è sottoposto: b) l’assetto lipidico e glucidico; c) l’eventuale presenza di sindrome da insulino resistenza tra i lavoratori considerati. COM-08 VALUTAZIONE DELLO STRAIN CARDIOVASCOLARE ED ORMONALE IN OPERATORI ECOLOGICI DEL COMUNE DI MILANO IN TURNO FISSO DIURNO E NOTTURNO N. Biggi, (a), D. Consonni, (b), G. Fragasso, (c), G. Lattuada, (c), GL. Perseghin, (c, d), R. Verga, (e), G. Costa, (b,d) a) Servizio Sanitario Amsa SpA, Milano b) IRCCS Ospedale Maggiore di Milano, Fondazione Mangiagalli e Regina Elena, Milano c) Istituto Scientifico San Raffaele, Milano d) Università degli Studi di Milano e) Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Milano RIASSUNTO. Scopo dello studio: a) esistenza di variazioni pressorie delle 24 ore ed ormonali nel turnista b) valutazione dell’assetto lipidico e glucidico, c) presenza di sindrome da insulino resistenza. Sono stati considerati 48 lavoratori maschi operanti presso un’azienda comunale di nettezza urbana, con orario di lavoro fisso diurno o notturno, che svolgevano mansioni di spazzino, conducente e motocarrista, 24 normotesi (diurno/notturno) e 24 ipertesi (diurno/notturno). In tutti i lavoratori sono stati effettuati: calcolo del Body Mass Index, dosaggio venoso a digiuno di glicemia, colesterolo totale, trigliceridi, endotelina, insulinemia, FFA, indici di sensibilità insulinica (HOMA S, HOMA B, HOMA IR); dosaggio del cortisolo salivare e del cortisolo urinario delle 24 ore: monitoraggio pressorio delle 24 ore. Risultati: Ipertesi notturni: aumento del consumo di vino e caffè, del peso e BMI, del colesterolo totale e FFA, di endotelina. Normotesi notturni: maggiore consumo di sigarette, e del cortisolo salivare. Ipertesi diurni: aumento del colesterolo totale. Monitoraggio pressorio delle 24 ore: variazioni più marcate di pressione nei lavoratori notturni sia normo che ipertesi durante le ore di lavoro. MATERIALI E METODI Lo studio ha interessato 48 lavoratori maschi di età media 51.06 anni, con anzianità lavorativa media di 20,6 anni e di turno di 13,79 anni che svolgevano mansioni di spazzino, conducente e motocarrista. I soggetti sono stati divisi in due gruppi (24 diurni e 24 notturni) opportunamente bilanciati in base allo stato pressorio: 24 normotesi (12 per gruppo) e 24 ipertesi (12 per gruppo), e all’attività lavorativa: 6 spazzini, 2 motocarristi e 4 conducenti in ciascuno dei 4 gruppi (normotesi/diurni, normotesi/notturni, ipertesi/diurni, ipertesi/notturni). Ogni lavoratore ha compilato un questionario derivato dallo Standard Shiftwork Index (Barton et al. 1995.). In tutti i lavoratori sono stati effettuati: calcolo del Body Mass Index, dosaggio venoso a digiuno di glicemia, colesterolo totale, trigliceridi, endotelina, insulinemia, FFA, indici di sensibilità insulinica (HOMA S, HOMA B, HOMA IR); dosaggio del cortisolo salivare e del cortisolo urinario delle 24 ore: monitoraggio pressorio delle 24 ore. ANALISI STATISTICA Per valutare l’effetto del Turno (T) e dell’Ipertensione (I) sulle diverse variabili di effetto ematochimiche (y) è stata utilizzata la tecnica della regressione multipla (assimilabile ad una analisi della varianza a 2 vie). Nei modelli di regressione è stato sistematicamente inserito un termine di interazione fra le due variabili (TI) perché l’interesse primario era di valutare loro eventuale effetto congiunto Per alcune variabili di effetto con distribuzione asimmetrica sono state effettuate trasformazioni (logaritmiche, reciproco, radice quadrata, reciproco della radice quadrata o cubica). Le analisi statistiche sono state effettuate con il pacchetto statistico Stata (versione 10) RISULTATI Variabili descrittive: la popolazione selezionata è composta da 48 uomini divisi in 4 gruppi di 12 soggetti ciascuno (ipertesi diurni e notturni e normotesi diurni e notturni) operanti presso 2 sedi AMSA (Olgettina e Primaticcio) ipertesi e normotesi di età media di 51,06 anni. L’anzianità lavorativa media presso AMSA è di 20,6 anni con una specifica di turno G Ital Med Lav Erg 2007; 29:3 www.gimle.fsm.it di 13,79 anni. I soggetti che lavorano nello stesso turno da più anni sono gli ipertesi diurni con 19,5 anni - DS 9,7. Esame obiettivo: si evidenzia un’altezza media di 172,18 cm ed un peso medio di 79,60 kg con un peso medio marcatamente più elevato riscontrato nei soggetti ipertesi notturni (84 kg; DS 7,8). Il BMI rispecchia questo andamento con un valore medio di 28,78 (DS 2,4) riscontrato negli ipertesi notturni ed una media tra i 4 gruppi di 26,88. La pressione basale rilevata nei lavoratori evidenzia un aumento più marcato di pressione sistolica tra gli ipertesi notturni rispetto ai diurni (156,67 - DS 12,5); anche con la pressione diastolica si ha lo stesso andamento con un valore medio tra i soggetti ipertesi notturni di 92,92 (DS 7,8). I valori di FC sono più elevati nei soggetti ipertesi diurni con un valore medio di 78,7 (DS 9,8) ESAMI ORMONALI Il cortisolo salivare, si è rivelato marcatamente più elevato (valori normali delle ore 23/24 = 0,6-1,62 ng/ml) nei normotesi notturni con un valore medio di 2,43 (DS 1,8); negli ipertesi notturni invece il valore è ai limiti superiore della norma (1,63 DS 1,4); i valori dei lavoratori operanti nel turno diurno sia normo che ipertesi registrano un valore normale rispetto al periodo considerato (valori normali delle ore 7/8= 2,53 - 7,17) con valori rispettivamente di 1,5 (DS 1,1) e di 2 (DS 1,1). Esiste una correlazione statistico legata al turno e alla pressione arteriosa (p = 0,07). Considerando invece il cortisolo urinario delle 24 ore si nota che i valori sono nella norma in tutti e 4 i gruppi considerati senza dimostrare una associazione né con il turno che con la pressione. I valori di endotelina, pur rientrando nel range di normalità, sono lievemente più alti negli ipertesi notturni (1,88 - DS 1,9) e in quelli diurni (1,22 DS 0,4) con una significatività statistica legata alla pressione (p = 0,02). Il valore di insulinemia rientrano tutti nella norma. Tra i 4 gruppi considerati i valori tendenzialmente più alti si riscontrano nei soggetti diurni con 7,12 (DS 4,7) e 7,95 (DS 7,1). Gli indici HOMA hanno mostrato una maggiore funzionalità cellulare delle cellule beta pancreatiche (HOMA β) nei soggetti ipertesi notturni con un valore di 134,96 (DS 45,6); una maggiore sensibilità di queste cellule nei lavoratori normotesi notturni (149,08 DS 91,7) ed un indice di insulinoresistenza (HOMA IR) negli ipertesi diurni (1,15 DS 1). π ESAMI EMATOCHIMICI La creatinina è nella norma in tutti e 4 i gruppi (0,81 DS 0,1), (0,90 DS 0,1), (0,71 DS 0,2), (0,74 DS 0,2). Esiste una correlazione statisticamente valida (p =0,01) con la pressione arteriosa. I valori glicemici sono risultati più elevati nei soggetti ipertesi diurni (87,78 - DS 17,6), pur rientrando nel range di normalità in tutti e 4 i gruppi. All’analisi statistica questi valori sono risultati correlati significativamente con il turno lavorativo (p =0,10). Le transaminasi erano nella norma in tutti e 4 i gruppi. L’assetto lipidico ha evidenziato un aumento degli acidi grassi liberi (FFA) (0,79 DS 0,4), (0,70 DS 0,2), del colesterolo totale (210 DS 25,3), (208,75 DS 39,5) e dei trigliceridi (153,5 DS 57,5), (143,67 DS78,7) nei lavoratori ipertesi notturni e diurni. La significatività statistica si è avuta con la pressione arteriosa per gli FFA (p= 0,01) ed il colesterolo totale (p= 0,04). Non si è avuta invece nessuna correlazione significativa per turno ed ipertensione arteriosa con i trigliceridi. I valori della pressione arteriosa sistolica in tutti i 4 periodi considerati nell’arco della giornata (24 ore, lavoro, sonno, tempo libero) in tutti e 4 gruppi studiati. I valori più elevati si riscontrano solo negli ipertesi notturni (135,13 DS 15,22) durante l’attività lavorativa, correlati statisticamente con il turno lavorativo (p =0,01). Nella norma i valori pressori sistolici negli altri 3 gruppi considerati durante i vari periodi della giornata I valori di pressione diastolica. (elevato un valore di diastolica di 90 mmHg): valori patologici nei lavoratori notturni ipertesi con 95,04 DS 12,35 correlati statisticamente con il turno lavorativo (p= 0,01) e nei lavoratori normotesi notturni con 92,62 DS8,79. La frequenza cardiaca (patologica se > 80 bpm):è elevata durante il turno lavorativo nei lavoratori normotesi diurni e notturni (81,58 DS 7,59), (85,25 DS 8,82) e negli ipertesi diurni (87,72 DS 10,88) correlati con il turno lavorativo (p= 0,01). In quest’ultimo gruppo si ha un’aumento della frequenza cardiaca anche durante il tempo libero (82,16 DS8,59) correlato statisticamente con la pressione arteriosa (p=0,07). La pressione arteriosa media in tutti i 4 gruppi considerati è risultata nella norma. DISCUSSIONE L’età media dei lavoratori considerati è stata di 51,06 anni. Si è scelto questa particolare fascia di età perché vari studi hanno ipotizzato una 365 relazione tra lavoro a turni e malattie cardiovascolari, (Boggils H. et al 1999). Il consumo di caffè e di bevande alcoliche risultato più elevato tra i lavoratori notturni, può essere spiegato dal fatto che le bevande a base di caffeina e teina (ricche di metilxantine) allungano il tempo di addormentamento (l’effetto della caffeina può arrivare a 6 ore) perché riducono la sensazione di sonnolenza ed aumentano lo stato di vigilanza e di attività (Costa G, 2003; Reinberg et al 1979) bevande ad azione eccitante È stata inoltre rilevata una correlazione diretta tra ipertensione arteriosa, malattie ischemiche cardiache ed introito di etanolo (Fujino Y et al, 2006). Anche il consumo di sigarette, più marcato nei pazienti normotesi notturni (41%), può essere motivata dal fatto che vengono utilizzati come stimolanti per contrastare la sonnolenza. Relativamente all’obiettività i lavoratori, in base al valore di BMI sono considerati in sovrappeso. L’aumento di peso è considerata un fattore di rischio di ipertensione (Karlsson B, 2004). Tale valore potrebbe essere ascrivibile però anche “all’effetto notte”. Infatti i lavoratori turnisti modificano gli orari dei pasti oltre che quelli del sonno. (Costa G, 2003) In particolare i lavoratori considerati nel nostro studio, non disponendo del servizio mensa serale in azienda, consumano il pasto serale a casa in netto anticipo rispetto all’ora consueta in relazione ai tempi del pendolarismo. Successivamente, finito il turno notturno, verso le 5 del mattino, consumano un piccolo spuntino sottoforma di snack, cibi preconfezionati disponibili ai distributori automatici. I dosaggi ormonali eseguitifanno rivale che: i valori del dosaggio del cortisolo salivare, che vari studi considerano avere uguale attendibilità diagnostica del cortisolo plasmatico (Lovas K. Et al, 2007; Aardal E. et al 1995), mostrano valori elevati nei lavoratori notturni normotesi (2,4 - DS 1,8); negli ipertesi notturni i valori sono ai limiti superiori della norma (1,63 DS 1,4): questi dati avvalorano l’ipotesi che il ritmo circadiano del cortisolo subisce in questi soggetti un adattamento al turno. (Henning J. et al, 1998). La produzione di endotelina, come confermato da vari studi condotti in questi anni (Perez del Villar Cet al, 2005), è sensibilmente più elevata nel gruppo degli ipertesi sia notturni che diurni pur rientrando ancora nella norma correlata statisticamente con l’effetto pressione (p=0,02). Insulina: I valori di insulinemia sono nella norma per tutti e 4 i gruppi. HOMA β: attività beta cellulare (più sensibile il lavoratore notturno iperteso), HOMA S: sensibilità insulinica (più alto nel notturno normoteso), HOMA IR: insulino resistenza (valori più alti nei diurni). Questi indici hanno, al momento una scarsa affidabilità nel singolo individuo; non vengono infatti utilizzati nella comune pratica clinica. Sono invece utilizzati nell’ambito di studi epidemiologici (Caro J, 1991) per fornire indicazioni sullo stato pancreatico ed insulinico. I valori di glicemia sono nella norma con una correlazione positiva con il turno lavorativo (p= 0,10). Gli FFA (aumentati negli ipertesi) possono contribuire all’aumento della pressione arteriosa attraverso diversi effetti che possono essere così riassunti: a) aumento del tono del sistema simpatico (Grekin RJ et al.,1996); b) aumento della reattività vascolare α- adrenergica (Stepniakowski KT et al, 1995); c) riduzione della vasodilatazione dell’endotelio, legata alla ridotta formazione di ossido nitrico (Davda RK et al, 1995) o all’aumentato flusso di calcio con attivazione della proteina- chinasi C o all’alterata risposta mitogena delle cellule muscolari lisce dei vasi (Lu G. et al., 1996 - Toborek M. et al, 1996); d) effetto inibente sull’enzima Na +, K+- ATPasi che è implicato nella regolazione della pressione arteriosa (Swarts HGP et al, 1988- Kelly RA et al, 1986). L’ipertensione arteriosa sembrerebbe inoltre associata ad una ridotta sensibilità degli FFA plasmatici ad essere “soppressi” (cioè ad essere abbassati) dall’azione insulinica (Egan BM et al, 1996). Gli FFA sono immagazzinati nel tessuto adiposo come i trigliceridi. In risposta allo stress la lipolisi rilascia FFA e glicerolo nel plasma. I parametri ematochimici di routine hanno fatto rilevare che per quanto riguarda le transaminasi i valori dell’ALT e dell’AST pur rientrando nei limiti di normalità per i 4 gruppi considerati, mostrano un valore più elevato nei lavoratori notturni sia normotesi che ipertesi associato al maggiore consumo di sostanze alcoliche durante il periodo notturno: si ha infatti una correlazione positiva sia con il turno notturno legato al consumo maggiore di vino ed ad una dieta scorretta, che con la pressione arteriosa (Guarnieri G, 1998). Colesterolo e trigliceridi: in vari studi si sono evidenziati nei lavoratori notturni un’aumento di colesterolo totale (Theorell T. et al, 1976- Ha M et al, 2005), e dei trigliceridi (Karlsson BH et al, 2003- Lund J. et al, 2001). Considerando questi lavoratori si evidenza un aumento del colesterolo totale negli ipertesi diurni e notturni; in particolare il colesterolo totale è correlato alla pressione arteriosa ma non con il turno lavorativo. Valori pressori: relativamente 366 alla pressione arteriosa sistolica in tutti i 4 gruppi suddivisi nel lavoro, sonno, tempo libero e 24 ore, i valori più elevati (135,13 DS 15,22) sono presenti nei lavoratori notturni ipertesi solo durante il turno lavorativo (p = 0,01). Lo stress lavorativo si è dimostrato associato ad un aumento dei livelli di pressione arteriosa (Pickering TG et al, 1996). Il lavoro svolto durante la notte sembrerebbe incidere sull’aumento della pressione: infatti i lavoratori ipertesi diurni non mostrano alcun aumento pressorio. La pressione diastolica esaminata sui 4 gruppi ha evidenziato valori patologici nei lavoratori notturni ipertesi correlati statisticamente con il turno lavorativo (p= 0,01) ed i lavoratori normotesi notturni con 92,62 DS8,79. Anche in questo caso i lavoratori notturni sembrano essere maggiormente penalizzati rispetto ai diurni che mostrano valori ancora nella norma. Questo innalzamento può essere spiegato con il fatto che l’ipertensione essenziale è ritenuta essere il prodotto di una combinazione tra predisposizione genetica ed esposizione a fattori ambientali quali stress cronico, assunzione di alcool, e sale, eccessi dietetici ed inattività fisica. Tutti questi fattori sembrano favorire l’inclinazione ad una iperattività simpatica che contribuirebbe al “resettamento” dei barocettori aortici e carotidei su valori più elevati (Pickering TG, 1997). Sembrerebbe che la pressione arteriosa diastolica sia quella maggiormente sensibile alle variazioni legate allo stress lavorativo. In uno studio si è visto inoltre che i lavoratori notturni hanno una qualità del sonno alterata e che questo può essere un ulteriore fattore di rischio di aumento di pressione arteriosa. (Tanigawa T. et al; 2006). I valori più alti di frequenza cardiaca sono presenti, in tutti i lavoratori considerati, durante il periodo lavorativo correlati sia al turno lavorativo che all’ipertensione (p = 0,01). Da uno studio eseguito da Barbic F et al nel 2006 su turnisti a rotazione e a turno fisso si è evidenziato che le variazioni più marcate di frequenza cardiaca si sono trovate durante l’attività lavorativa e le più basse durante il sonno. Anche nel nostro gruppo di studio si è giunti agli stessi risultati. CONCLUSIONI I risultati ottenuti dello studio condotto sui lavoratori presenti in AMSA hanno in parte confermato che il turno notturno risulta essere maggiormente fonte di stress rispetto agli altri turni. Infatti il ritmo circadiano del cortisolo subisce nei lavoratori un adattamento al turno notturno. Si è evidenziato un maggiore consumo di vino, un aumento del BMI, un aumento di colesterolo totale nei lavoratori ipertesi notturni. Non si è riscontrata nessuna interferenza sull’assetto glucidico (glicemia ed insulinemia nella norma). Nessuno dei lavoratori sembra avere segni di franca insulino resistenza anche se sono presenti, nei lavoratori notturni ipertesi più fattori di rischio cardiovascolare rispetto ai lavoratori diurni. I risultati più innovativi e poco studiati al momento hanno riguardato il monitoraggio pressorio delle 24 ore in cui si è evidenziato un aumento dei valori sisto/diastolici nei lavoratori impegnati a svolgere la propria attività durante la notte, periodo nel quale, come si legge in vari studi, il “fattore” stress sembra essere maggiore. A conferma di ciò i lavoratori ipertesi diurni non mostrano alcun aumento pressorio. In tutti i gruppi si è notato che, mentre i valori pressori rientrano nella normalità durante quella parte della giornata in cui non viene svolta l’attività lavorativa, per alcuni diventano poi patologici (>130/80) durante il turno lavorativo. Si è evidenziato una fisiologica caduta dei valori pressori (sistole, diastole, FC, MAP) durante il sonno in tutti e 4 i gruppi. BIBLIOGRAFIA Boggild H, Knutsson A: Shift work, risk factors and cardiovascular disease. Scand J Work Environ. Health, 25. 85 -89, 1999 Cesana G, Ferrario M: Invecchiamento lavorativo e patologie cardiovascolari. Med Lav 2000; 91, 4: 334 - 341 Egan BM, Hennes MM, Stepniakowski KT, O’Shaughnessy IM, Kissebah AH, Goodfriend TL: Obesity Hypertension is related more to insulin’s fatty acid than glucose action. Hypertension 27, 723 728,1996 Fujino Y, Iso H,Tamakoshi A, Inaba Y, Koizumi A, Kubo T, Fushimura T; Japanese Collaborative Cohort Study Group: A prospective cohort study of shift work and risk of ischemic heart disease in Japanese male workers. Am J Epidemiol 2006 Jul 15; 164 (2): 128 - 35. Epub 2006 May 17 Guarnieri G: Dietetica e nutrizione clinica, Ed. Masson, 1998). Ha M, Park J: Shiftwork and metabolic risk factors of cardiovascular disease. 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