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Cenacolo Sacerdotale
Sommario
periodico di spiritualità
Registrazione Tribunale Catanzaro, 17.12.1982, n. 11
Iscrizione nel ROC con il numero 5013
Direzione e Redazione, presso Convento S. Antonio
Via E. Borelli, 35 - 88100 CATANZARO
Direttore Responsabile: Francesco Tudda
Editore: Francesco Tudda, Convento S. Antonio
87050 Pietrafitta - CS - Tel. 0984 42.40.20
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Padre Francesco Tudda
87050 PIETRAFITTA - CS
“Cenacolo Sacerdotale” non esige canone di abbonamento
ma lascia all’iniziativa personale contribuire alle spese di stampa.
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Sant’Umile da Bisignano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 5
F. Tudda, Riflessioni Bibliche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
“ 9
Comunità Cristiana Virtuale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
“ 25
Rosanna Tedesco, Il pensiero francescano . . . . . . . . .
“ 32
Asterischi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
“ 35
CONVENTO S. ANTONIO 87050 PIETRAFITTA - CS
TEL. 0984 42.40.20
IL NOSTRO PERIODICO DESIDERA FORMARE UN IDEALE DI “CENACOLO” OVE GESÙ
RADUNÒ I SUOI APOSTOLI NELL’INTIMITÀ DELL’EUCARISTIA PER MANDARLI POI
NEL MONDO COME MISSIONARI DEL SUO AMORE: UN MONASTERO INVISIBILE.
E’ UN CENACOLO “SACERDOTALE” PERCHÉ TUTTI I BATTEZZATI SONO SACERDOTI
E APOSTOLI DI CRISTO.
PREGHIAMO
O Amabile S. Antonio,
guarda con particolare benevolenza quanti cercano soccorso nelle afflizioni.
Rimunera, con la tua straordinaria generosità, i nostri cari benefattori, amici
e devoti di questo convento a te dedicato. Concedi loro abbondanza di beni
spirituali, la prosperità, la pace nelle loro famiglie, la grazia e la salvezza eterna.
Benedici questa comunità fraterna, accendi in noi la fiamma dell’ardore
serafico e aiutaci a servire Dio e il prossimo nell’umiltà e nella carità.
Amen
PACE E BENE
SITO INTERNET
www.padretudda.it
e-mail:
[email protected]
Ogni settimana vengono mandate in Internet
riflessioni sui brani del Vangelo.
E CHI NON HA INTERNET?
Avrà un figlio o un amico, un vicino
o altri che glielo possono copiare e consegnare.
Chi riceve Cenacolo è invitato a visitare il sito
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e mandare un e-mail al seguente indirizzo:
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SANT’ UMILE DA BISIGNANO
UN APPELLO AI FEDELI CALABRESI
La figura meravigliosa di S. Umile da Bisignano vorremmo che fosse
maggiormente conosciuta e stimata. La sua vita è stata una straordinaria
rivelazione di doni divini. Egli è una perla di grazie del territorio cosentino: dovrebbe essere l’ammirazione e la gioia di tutti i fedeli della Calabria.
I doni di Dio sono stati profusi a piene mani in questo umile figlio della nostra terra.
Per questo scopo abbiamo voluto fare un breve e semplice elenco di
fatti, come uno spot pubblicitario, per invogliare molti a ricorrere alle fonti della sua vita a cui abbiamo attinto per queste poche note. Sono fatti di
indiscussa certezza storica perché desunti: 1) dal processo di beatificazione con testimonianze giurate dei contemporanei; 2) dalla “Vita, morte e miracoli… di fra Umile”, di Padre Giacomo da Bisignano, testo critico a cura
di Luigi Falcone, 2002; la biografia fu scritta appena nove anni dopo la
morte del Santo (si può chiedere al santuario di S. Umile a 87043 Bisignano, tel. 0984. 95.11.54); 3) la vita del Beato Umile scritta dal postulatore del
processo di beatificazione, Padre Gabrielangelo da Vicenza.
DAL MESSAGGIO DEI VESCOVI CALABRESI
per la canonizzazione di S. Umile
Fra Umile da Bisignano viene elevato agli onori degli altari dopo l’ultima canonizzazione di un grande conterraneo che è San Francesco di Paola
(1 maggio 1519). A noi uomini di questo tempo S. Umile richiama l’interiorità, il bisogno di un raccoglimento del cuore fra tante dispersioni e agitazioni. Ci indica che la vera realizzazione non è nell’avere o nella frenesia dell’apparire, ma nell’uomo interiore, abitato da Dio.
S. Umile ci apre alla speranza…, ci mostra la via dell’essenzialità, della straordinarietà nell’ ordinario, della povertà evangelica e dell’umiltà, figlia della verità e madre della pace.
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LETTERE DECRETALI DI GIOVANNI PAOLO II
con le quali viene dichiarato santo fra Umile da Bisignano
“Poiché tu vuoi, o Signore, che io ti serva, ecco che offro in servizio della tua maestà la mia esistenza, la mia vita e il mio cuore”.
Queste parole pronunziate dal beato Umile da Bisignano (al secolo Lucantonio Pirozzo), mentre era ancora giovane laico, manifestano la volontà di donarsi a Cristo con tutte le sue forze: con tutto l’ardore del suo animo si impegnò a rispondere allo stesso amore, consacrando al Signore tutta la vita nell’osservanza della Regola di San Francesco d’Assisi.
Egli nacque a Bisignano, presso Cosenza, il 26 del mese di Agosto del
1582, da umile e religiosa famiglia e fu battezzato nello stesso giorno. Da
giovane si occupava di lavori campestri e si distingueva per la sua sentita
pietà. Partecipava quotidianamente alla celebrazione eucaristica, era assiduo alla preghiera, mortificando il proprio corpo e ricevendo con frutto i
santi sacramenti. Ebbe inoltre cura dei poveri e spesso visitava gli infermi,
consolandoli ed esortandoli ad offrire a Cristo le proprie infermità.
Fedele al consiglio del suo moderatore spirituale, il Rev. Don Marco
Antonio Solima, si iscrisse alla Confraternita di Maria Santissima Immacolata. Poi, maturata la vocazione alla vita religiosa, entrò nell’Ordine dei
Frati Minori a Mesoraca. Terminato il noviziato, il 4 Settembre 1610 emise
la professione religiosa.
Destinato poi dai Superiori a vari conventi della Provincia dei Sette
Martiri della Calabria, si distinse ovunque per il fervore di un’accurata e
diligente osservanza della Regola. Esercitò con ardore i numerosi uffici assegnatigli, cioè la questua, la custodia della portineria, la preparazione della mensa per la comunità, la coltivazione dell’orto.
Il Signore gli concesse doni singolari, come l’estasi, la facoltà di scrutare i cuori, lo spirito profetico. I Superiori, per capire se tali doni provenissero veramente da fonte divina, lo sottoposero a molte prove che egli sopportò volentieri per amore di Cristo, e perciò si persuasero che i mirabili fenomeni che egli operava erano davvero opera della grazia divina.
Uomo di viva e profonda fede, egli la alimentava continuamente
con la preghiera rivolta all’Eucaristia, alla Vergine Santissima e all’Angelo Custode. Ebbe sempre fiducia nella Divina Provvidenza, mai cadde nello scoraggiamento, ma piuttosto seppe trasmettere la fiducia nel
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Signore a coloro che cercavano presso di lui sollievo e conforto.
Per il costante esercizio delle cristiane virtù, che continuamente confermava con i fatti, per la sua evidente prudenza e per i doni carismatici ricevuti, fu molto stimato dai Sommi Pontefici Gregorio XV e Urbano VIII,
che lo chiamarono a Roma perché stesse a loro vicino con le sue preghiere
e il suo consiglio. Infine manifestò il desiderio ardente di partire come missionario in terre non cristiane, ma dissuaso dai Superiori, obbedì.
Si esercitava continuamente nella penitenza corporale, dormiva sulla
nuda terra, fu assai sobrio nel cibo, nella bevanda e nelle vesti. Dominò le
passioni e i sensi fin dalla giovane età e conservò integra la castità; fu forte nelle tribolazioni, paziente nelle difficoltà, perseverante nel servizio di
Dio, giusto e docile verso tutti.
Alieno da ogni terrena preoccupazione e desiderando solo i beni eterni, meravigliosamente visse il voto di povertà, secondo il genuino spirito
francescano.
Con grande umiltà attribuiva ogni merito a Dio, non desiderando per
sé gratitudine alcuna, disprezzando tutti gli onori umani e sforzandosi di
compiere sempre e solo la volontà del Signore.
Colpito dall’ultima infermità, trovò sollievo nell’invocare il nome di
Gesù, e si addormentò piamente nel Signore il 26 Novembre 1637.
Dopo la sua morte si diffuse una vasta fama di santità, e nell’anno 1684
ebbe inizio il Processo Informativo, e finalmente il papa Leone XIII il 29
Gennaio del 1882, lo decorò solennemente del titolo di Beato.
Infine il 7 Luglio del 2001 fu promulgato il decreto sul miracolo richiesto per la canonizzazione.
Accogliendo poi volentieri il voto dei Padri Cardinali e Vescovi radunati in Concistoro il 26 Febbraio 2002, abbiamo decretato che il rito
della canonizzazione avvenisse a Roma il giorno 19 del seguente mese di
Maggio.
Oggi, dunque, assieme ad una folta presenza di sacri Pastori e di fedeli convenuti da molti popoli e nazioni, celebrando piamente la solennità di
Pentecoste, dopo aver implorato l’aiuto dello Spirito Santo, durante la santa Messa celebrata sulla piazza antistante la Basilica Vaticana, abbiamo
pronunziato questa formula:
“Ad onore della Santa e Individua Trinità, per l’esaltazione della fede
cattolica, con l’autorità di Nostro Signore Gesù Cristo, dei Santi Apostoli
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Pietro e Paolo e Nostra, dopo matura deliberazione, invocato più volte
l’aiuto divino e ascoltato il consiglio di molti Nostri Fratelli nell’Episcopato, dichiariamo e definiamo santi i beati Alfonso de Orozco, Ignazio da
Santhià, UMILE DA BISIGNANO, Paolina del Cuore di Gesù Agonizzante e Benedetta Cambiario Frassinello, e li inscriviamo nel Catalogo dei Santi, stabilendo che siano onorati con pia devozione tra i Santi. Nel Nome del
Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”.
Poi Noi stessi volentieri abbiamo venerato il nuovo Santo, esaltandone le virtù e i meriti, e proponendolo in modo particolare a tutti gli uomini della nostra età come esempio di autentica vita evangelica, di genuina
umiltà, di pronta obbedienza e di volontaria povertà vissuta per amore di
Cristo.
Quanto poi abbiamo decretato, vogliamo che ora e nel futuro abbia valore, nonostante qualsiasi cosa in contrario.
Dato a Roma, presso San Pietro, il 19 Maggio del 2002, venticinquattresimo del Nostro Pontificato.
Ego Joannes Paulus
Catholicae Ecclesiase Episcopus
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RIFLESSIONI BIBLICHE
Fr. F. Tudda
CHI E’ GESU’ CRISTO NELLA MIA VITA?
Vangelo di Marco, 8, 31ss
Domenica XXIV B
“Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarea di Filippo; e
per via interrogava i suoi discepoli dicendo: Chi dice la gente che io sia? – Ed essi
risposero: Giovanni il Battista, altri poi Elia e altri uno dei profeti. – Ma egli replicò: E voi chi dite che io sia? – Pietro gli rispose: Tu sei il Cristo. – E impose loro severamente di non parlare di lui a nessuno. E cominciò a insegnar loro che il Figlio
dell’uomo doveva molto soffrire ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare. Gesù faceva questo discorso apertamente. Allora Pietro lo prese in disparte, e si mise a rimproverarlo. Ma egli voltatosi e guardando i discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: Lungi da me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini.
Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: Se qualcuno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia
e del vangelo, la salverà”.
Il Vangelo ci sollecita a rispondere ad alcuni interrogativi: Chi è Gesù
Cristo? Che cosa dice la gente di lui? Gesù suscita interesse, indifferenza,
amore, odio? – e voi che cosa pensate di Gesù?
Molti cristiani non conoscono Gesù. Basta una colossale bugia (come il
Documento da Vinci) per scuotere quella leggera patina di apparente fede.
Mettiamo alcuni punti fondamentali certi:
1) Gesù è un personaggio storico certo;
2) il personaggio più importante della storia;
3) è la persona più cara di questo mondo: più che padre e madre, figli
e coniugi;
4) è il Figlio di Dio, fatto uomo per introdurci nella vita e nella gioia
stessa intima di Dio Trinità.
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Gesù prima di tutto è un personaggio storico. Senza la certezza della
sua esistenza in questo mondo, tutta la fede cristiana crollerebbe. La storicità è provata scientificamente e con certezza, molto meglio che di qualsiasi altro personaggio del suo tempo. Esistono documenti trovati integri dalla più rigorosa scienza di critica testuale. Tali documenti sono stati scritti
dai suoi discepoli, che erano i più informati di ciò che egli disse e fece.
Gesù è Dio venuto nel mondo; e ci ha parlato di Dio e di ciò che egli
vuole da noi. Non c’è nessuno più competente di Gesù sulle cose di Dio.
Gesù diede il comando ai suoi discepoli di testimoniarlo, dicendo: Andate e riferite a tutte le genti quello che vi ho insegnato. Chi crederà sarà
salvo, chi non crederà sarà condannato.
Gesù è una persona viva che incontriamo nella Messa-comunione.
Chi non partecipa assiduamente alla Messa (festiva) e comunione non
si dica cristiano. Come è concepibile che la persona più cara convoca i suoi
cari nel giorno solenne della sua venuta e c’è chi si disinteressa di lui?
Gesù lo incontriamo vero e misteriosamente vivo anche nella lettura
del Vangelo e nella preghiera comunitaria. Dice il Vangelo: Mentre parlavano di lui, egli in persona si rese presente. E inoltre dice Gesù: Dove ci sono due o più persone unite nel mio nome a pregare, là ci sono anche io.
Gesù è persona viva e la persona più cara: nessuno mi ama come lui,
che ha dato la sua vita in croce per me e che mi assicura una vita eterna in
paradiso.
Gesù è colui che è risuscitato perché è Dio e uomo. Come Dio ha risuscitato molti. Mai nessuno ha fatto una cosa del genere. Gesù ha risuscitato altri e se stesso. La sua realtà non è soltanto umana, ma divina. Egli è Dio
e in più ha un corpo e un’anima umana. La morte non tocca né Dio né
l’anima immortale, ma solo il corpo. Gesù ha risuscitato anche il suo corpo umano e l’ha unito all’anima per sempre.
CHI ERA GESU’ PER GLI EBREI CHE LO SENTIVANO E LO SEGUIVANO (I DISCEPOLI)?
Dice il Vangelo: Alcuni pensavano che fosse un profeta, altri Elia: come un santo simile a Padre Pio o a sant’Antonio. Gesù è molto più che un
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semplice Santo! E’ l’infinito Dio. Pietro e i discepoli di Gesù credevano che
egli era il Messia atteso, ossia il salvatore del mondo. Fino alla risurrezione di Gesù, gli Ebrei (compresi i discepoli di Gesù) erano con la mentalità
dell’Antico Testamento.
Verso la fine dell’Antico Testamento cominciarono a rivelarsi aspetti
nuovi che saranno chiari nel cristianesimo e cioè quando Gesù risorse,
mandò lo Spirito Santo e diede inizio alla Chiesa.
I discepoli di Gesù non avevano idee chiare sull’interiorità, eternità e
la croce. L’Antico Testamento era una religiosità terrena, temporale, materiale. Gesù ci ha svelato le ricchezze dell’anima, del dopo morte e il valore
della croce salvifica che purifica ed eleva.
Pietro non riusciva a capire come mai il Maestro parlasse di morte in
croce, se egli era il grande Messia o Re che avrebbe soggiogato il mondo al
suo dominio. Gesù è re, ma re crocifisso in questo mondo per essere colui
che porta l’umanità alle ricchezze eterne e divine.
Dopo che Pietro disse a Gesù: Tu sei Cristo ossia Messia, Gesù aggiunse per precisare bene le sue prerogative: Come Messia devo morire in croce e come Dio devo risorgere e così distruggerò il male e darò entità divine all’umanità.
Con la venuta di Gesù si è aperto il cielo nel cuore dell’umanità, si è riversato tutto Dio nel nostro intimo. Quale angoscia o tristezza può albergare più nel cuore dell’uomo? Dio è con noi, in noi; e noi in lui come bambini nel grembo materno. Questo è il mistero di Gesù di Nazaret, il nostro
Salvatore, il Messia atteso e venuto nel mondo!
CHI E’ GESU’?
Ce lo dice in modo magistrale il Papa Paolo VI nel suo discorso a Manila, nelle Filippine,
il 29 Novembre del 1970.
Io, Paolo, successore di Pietro, non sarei mai venuto da Roma fino a
questo Paese estremamente lontano, se non fossi fermissimamente persuaso di Cristo. Di Cristo! Sí, io sento la necessità di annunciarlo, non posso tacerlo. Io sono mandato da Lui, da Cristo stesso. Gesù è l’unico Salvatore di tutto il mondo; è il Figlio di Dio vivo (Matth. 16, 16); Egli è il rive-
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latore di Dio invisibile. Nessuno come lui può parlarci di religione. Egli è
il Maestro dell’umanità. Egli è nato, è morto, è risorto per noi; Egli è il centro della storia e del mondo; Egli è Colui che ci conosce e che ci ama; Egli
è il compagno e l’amico della nostra vita; Egli è l’uomo del dolore e della
speranza; è Colui che deve venire e che deve un giorno essere il nostro
giudice e la pienezza eterna della nostra esistenza, la nostra felicità. Io non
finirei più di parlare di Lui: Egli è la luce, è la verità, la vita. Egli è il Pane,
la fonte d’acqua viva per la nostra fame e per la nostra sete; Egli è la nostra guida, il nostro esempio, il nostro conforto, il nostro fratello. Come
noi, e più di noi, Egli è stato piccolo, povero, umile, lavoratore, paziente.
Per noi, Egli ha parlato, ha compiuto miracoli. Ha fondato un regno dove
i poveri sono beati, dove la pace è principio di convivenza, dove i puri di
cuore ed i piangenti sono esaltati e consolati, dove quelli che aspirano alla giustizia sono rivendicati, dove i peccatori possono essere perdonati,
dove tutti sono fratelli.
Ricordate: questo è il nostro perenne annuncio, è la voce che noi facciamo risuonare per tutta la terra (Cfr. Rom. 10, 18). Ricordate e meditate: il
Papa è venuto qua fra voi, e ha gridato: Gesù Cristo!
Cristo è da esaltare e da amare per ciò che Egli è per noi, per ciascuno
di noi, per ciascun Popolo e per ciascuna civiltà: Cristo è il nostro Salvatore. Cristo è il nostro supremo benefattore. Cristo è il nostro liberatore. Cristo ci è necessario, per essere uomini degni e veri nell’ordine temporale, e
uomini salvati ed elevati all’ordine soprannaturale.
Qui si presentano molte domande, che travagliano il nostro tempo, e
che io immagino siano presenti anche nel vostro spirito. Le domande sono: può Cristo essere davvero utile anche per risolvere i problemi pratici e
concreti della vita presente? … economici, politici e sociali? Il cristianesimo
può essere salvezza anche a questo livello terreno ed umano. Cristo ha
moltiplicato i pani anche per la fame fisica delle folle che lo seguivano. E
Cristo continua a compiere questo miracolo per quelli che davvero credono in Lui. I veri seguaci di Cristo, i santi, sono stati i più grandi benefattori dell’umanità.
Cristo promulga perennemente il suo grande e sommo precetto della
carità. Non esiste alcun fermento sociale più forte e più buono di questo,
sia positivo, per mettere in moto energie morali incomparabili e inestinguibili; per denunciare ogni egoismo, ogni ritardo, ogni dimenticanza a dan-
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no dei bisogni altrui. Cristo proclama l’eguaglianza e la fratellanza di tutti
gli uomini: chi mai, se non Lui, ha insegnato e può tuttora efficacemente
insegnare tali principi; Lui che ha svelato la Paternità divina, vera e inoppugnabile ragione della fraternità umana. E la libertà autentica e sacra dell’uomo donde deriva se non dalla dignità umana, di cui Cristo si è fatto
maestro e vindice? E chi, se non Lui, ha reso disponibili i beni temporali,
quando ha tolto ad essi la ragione di fine e li ha dichiarati mezzi, mezzi che
devono, in qualche misura, a tutti bastare, e mezzi inferiori ai beni superiori dello spirito? Chi, se non Cristo, ha messo nel cuore dei suoi il genio
dell’amore e del servizio per ogni sofferenza e per ogni bisogno dell’uomo? Chi ha dato al lavoro la sua legge di diritto e di dovere e di provvidenza, la sua dignità che lo fa risalire a cooperazione e compimento del disegno divino, la sua liberazione da ogni forma inumana di servitù, la sua
mercede di giustizia e di merito?
Dico a voi, Studenti, avvertite l’insufficienza e l’inganno del materialismo. Occorre riaffermare la necessità dei valori spirituali ed eterni.
Dico a voi, Lavoratori, che oggi avete preso coscienza dei vostri diritti e
della vostra forza: badate di non scegliere, per la vostra integrale riabilitazione, delle formule incomplete o inesatte, che offrendovi conquiste parziali, d’ordine economico e edonistico, aumentino poi la delusione d’essere stati privati dei beni superiori dello spirito, della vostra personalità religiosa, della vostra speranza nella vita che non muore.
Dico a voi, Poveri: ricordatevi che avete un Amico supremo, quel Cristo che vi ha proclamati beati, che si è rivestito di voi dicendo: Quello che
fate ai più poveri lo fate a me in persona! Sì, cercate di sollevarvi, ne avete
diritto e dovere; esigete l’aiuto da una società che vuol chiamarsi civile; ma
non maledite né la vostra sorte, né gli uomini insensibili, sapendovi ricchi
dei valori della pazienza cristiana e del dolore redentore.
Dico finalmente a voi ricchi: ricordate quanto Cristo fu severo a vostro
riguardo, quando vi vide soddisfatti, inerti, egoisti, e quanto invece Egli fu
sensibile e grato, quando vi incontrò provvidi e generosi, e disse che nemmeno un bicchiere d’acqua fresca, dato con animo cristiano, rimarrà senza
ricompensa. Forse è venuta l’ora vostra, per aprire gli occhi ed i cuori a
nuove e grandi visioni, non per lotte d’interesse, dell’odio e della violenza,
ma all’insegna della carità sollecita e generosa, e del progresso.
Tutto questo fa parte del messaggio della fede cattolica che io sono ob-
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bligato e lieto d’annunciare qui, nel nome di Gesù Cristo, nostro Signore e
nostro Salvatore.
Infine, ai nostri giorni, lo stesso Gesù ci dice chi è lui, il Cristo.
Gesù disse a santa Faustina Kowalska: “Io vi colmo di beni perché vi
amo in modo che non potete mai immaginare. Se conosceste il mio amore, impazzireste di gioia. Abbiate fede. La fede vi salva. Chi mai morirebbe in croce per i suoi nemici? Questo ha fatto il vostro Dio che vi ama.
Annunziate al mondo che tutti possono salvarsi perché il mio amore è
infinito e non viene mai meno. Voi mi potete non amare. Io vi amo sempre, anche quando diventate miei nemici con il peccato mortale. E anche
allora, ricorrete a me. Io sono il vostro Salvatore. Annunziate al mondo
l’infinita bontà di Dio, la salvezza certa per tutti, se confidate in me.
Stringetevi al mio cuore amorosissimo che realmente batte per voi nella
santa Ostia. Quando vi accostate a me, vi colmerò di beni che non potete
contenerli. Ora spalanco le porte del mio cuore, poi ci sarà il giudizio per
chi non ha voluto farsi amare dal suo infinito e amoroso Dio che è amore e solo amore, tutto amore.”
Gesù! E’ lui la nostra gioia, la nostra speranza!
Oggi qualcuno è ancora sensibile per certi omicidi, non per tutti (i
bambini nel seno materno si uccidono con facilità!). Mi diceva una persona: Come può essere sereno chi ha ucciso una persona?
Ma io dico: Sei sensibile che delitto è un solo peccato mortale? E’ uccidere Gesù Cristo. Egli morì per i nostri peccati. Se nessuno avesse peccato
non sarebbe morto. Ogni peccato è uccidere Gesù Cristo!!!
Ed egli ancora ci attende perché è solo amore e tutto amore!
Ma che cosa avverrà per chi non ha voluto farsi amare dal suo infinito e amoroso Dio che è amore e solo amore, tutto amore?
L’inferno eterno è terribile al solo pensiero…
Ma Dio è bontà infinita anche per il ladrone crocifisso con lui… Orsù:
buttiamoci al suo cuore con immensa fiducia e abbandono!!!
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LA DONNA VESTITA DI SOLE
Maria assunta in cielo
Commento al c. 12 dell’Apocalisse
Gesù e Maria sono già in paradiso in anima e corpo.
Gesù è risorto con il corpo glorioso perché è Dio. La Madonna è stata assunta dal suo Figlio divino perché Madre di Dio.
Gesù è risorto perché Dio.
Il suo corpo umano e crocifisso non poteva restare cadavere, dato che
era strettamente congiunto con la divinità: Dio è vita, non è morte; Dio
crea, non distrugge. Gesù non poteva restare morto per lungo tempo ; perciò è risorto.
La Madonna è stata assunta in paradiso in anima e corpo perché Madre di Dio. Come tale aveva la stessa carne, identica, unica come il Figlio.
Infatti verginalmente generò il Figlio di Dio alla vita umana, senza collaborazione di un uomo: dunque la carne di Maria era ed è la stessa, identica,
unica del Dio fatto uomo.
Per questo Maria è stata assunta in cielo ossia nella dimora propria
della divinità perché strettamente congiunta a Dio: nessuna altra creatura
lo è come lei.
Noi dobbiamo anelare con il cuore là dove sono le vere gioie.
Beati noi se facciamo di Gesù nostro redentore “l’anelito supremo della vita”: anche per noi c’è la promessa della vita eterna e della risurrezione
del corpo.
Perché ancora non possiamo godere la gloria del paradiso come Gesù e la Madonna? Perché il peccato ce ne ha privati. Dunque il peccato è il
più grande male che possa esistere; il più grande pericolo dell’esistenza
umana! La cosa che soprattutto dobbiamo temere.
Dice la Bibbia: Per mezzo di un uomo (Adamo) venne (il peccato) e la
morte; per mezzo di un uomo (Gesù, Dio fatto uomo) verrà anche la risurrezione dei (corpi) morti. Come in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita (anche nella carne).
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Ora io mi domando stupito: quale persona non cerca ardentemente
di vivere senza fine? E allora, al di sopra di ogni cosa dobbiamo cercare
l’amicizia con Gesù, nostro Redentore e Salvatore.
La Madonna ci guida a lui, che è frutto benedetto del suo seno.
La morte venne in seguito al peccato.
La Madonna è l’unica persona umana senza peccato (Gesù è persona
divina); la Madonna fu creata immacolata dal primo palpito di vita nel seno di sua madre. Perciò l’Immacolata non doveva morire perché la morte
è conseguenza del peccato. Morì come Gesù: per amore nostro, un amore
fino a dare la vita per salvarci. Come le carni di Gesù risorsero dopo tre
giorni, anche quelle di Maria seguirono la stessa sorte.
Morte e peccato sono strettamente congiunti.
Chi è senza peccato vive divinamente anche l’esperienza corporea. Il
peccato è morte, bruttezza, tristezza, infelicità. L’innocenza è vita, vita divina, bellezza sovrumana, gioia eterna.
LA DONNA VESTITA DI SOLE
del capitolo 12 dell’Apocalisse
Dice l’Apocalisse: La donna era vestita di sole con la luna sotto i suoi
piedi e sul capo una corona di dodici stelle.
Donna per eccellenza è la Madonna; donna significa signora, la nobile signora!
La persona più vicina a Dio, al di sopra degli stessi angeli, non è un
uomo, ma una donna (Gesù è persona divina): la Donna vestita di sole.
Il sole (che riveste e illumina divinamente la Madonna) è Gesù, chiamato nella Bibbia sole di giustizia ossia sole di santità, di bontà, di bellezza
e di gioia.
Gesù creò e rese splendida l’ Immacolata.
Egli è l’unico figlio che poté prepararsi una madre a suo piacimento.
Dante chiama la Madonna: figlia del tuo Figlio: ella è il frutto spirituale
di colui che volle essere frutto benedetto del suo seno.
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La donna vestita di sole, come persona fisica, è la Madonna; come comunità è la Chiesa o la cristianità; e anche ogni singolo cristiano.
Ognuno di noi può ereditare la grandezza e la bellezza di Maria. Questo avviene quanto più ci lasciamo assumere e illuminare da Cristo Redentore.
Non è forse vero che nella religione di Cristo esiste un sacramento che
comunica la bellezza dell’Immacolata e si chiama confessione?
Non è ugualmente vero che esiste un sacramento che si chiama comunione e rinnova il mistero della Madre di Dio? Chi fa la comunione è come
Maria con Dio nel suo seno.
Ma chi non si lascia illuminare dal Sole Gesù, non fa parte del segno
Donna ossia Donna di Dio o umanità di Cristo, assunta, “sposata” dal Figlio
di Dio fatto uomo. Non fa parte per quanto non si lascia illuminare dalla
sua santità.
La Madonna è un membro della Chiesa, il più nobile, perché totalmente illuminata da Cristo; è la più vicina a lui o a lui strettamente congiunta come madre e vergine. Congiunto significa parente, consanguineo.
E’ bene sottolineare ancora: al vertice della creazione (degli angeli, degli uomini e di ogni creatura) al vertice è una persona umana femminile,
la Madonna. Gesù è persona divina.
Presso Dio non ha valore la potenza, la forza o la superbia maschile,
ma la potenza dell’amore, di cui la donna è tipo speciale.
Ogni donna, e specialmente la Madonna, è tipo speciale dell’amore.
Nella SS. Trinità, c’è un Padre, un Figlio e una Madre: lo Spirito, Persona divina amore, nella lingua biblica è di genere femminile. La Madonna è sposa dello Spirito, Madre del Figlio e Figlia del Padre. Ella è la creatura strettamente congiunta con la SS. Trinità da essere chiamata “Quarta
persona in Trinitate”.
L’Apocalisse, con linguaggio simbolico, dice: La donna era incinta e gridava per le doglie e i travagli del parto.
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La Madonna partorì Gesù verginalmente, senza dolore, gloriosamente; ma partorisce i figli peccatori alla vita divina della redenzione con i travagli e le sofferenze del Calvario; ai piedi della croce, la Madonna è Addolorata, perfettamente associata al Crocifisso, il Salvatore dell’umanità.
Anche la Chiesa, attraverso il martirio e i sacrifici, partorisce o incarna
Cristo nella società, negli individui, nella storia, nella politica, nella famiglia… ovunque. La Chiesa porta nel mondo la civiltà cristiana dell’amore,
della pace, della fraternità. Ditelo ai politici che lottano la Chiesa: essa è
amore, pace, fraternità.
Ma quanto è difficile vincere l’egoismo, la superbia, la vendetta,
l’odio, la lussuria… E’ un parto dolorosissimo.
Nel partorire il cristianesimo nel mondo, la Chiesa viene ostacolata da
una forza sovrumana diabolica: Satana, che si incarna e si esprime attraverso personaggi diversi nei vari momenti storici. Nel secolo scorso la forza
diabolica si servì o si incarnò nel comunismo ateo che fece 120 milioni di vittime (drago rosso o sanguinario). Un’altra incarnazione del male fu il nazismo ateo e micidiale con i suoi 60 milioni di vittime.
Al tempo in cui si scriveva l’Apocalisse, chi ostacolava la Chiesa era
il colosso dell’ impero romano pagano con le persecuzioni cruente.
Dice l’autore dell’ Apocalisse: Un drago con sette teste (sono i sette colli
di Roma antica) e dieci corna. Il corno è segno di una forza potente come
quella del caprone. Dieci è un numero simbolico per indicare totalità e pienezza. Vuol dire che quel potere è superiore alle forze umane, il potere satanico che si scaglia contro la Chiesa.
Ma Cristo è onnipotente e la Donna vince con l’amore.
Soltanto l’onnipotenza divina può vincere il potere diabolico. Questo vuol dire che la salvezza non è possibile senza intervento divino. In altre parole, tutti abbiamo bisogno del Redentore Gesù; e dobbiamo ricorrere a mezzi divini per lottare il male che è di origine sovrumana e supera
l’uomo. L’umanità facilmente si lascia sedurre dall’apparenza, dal materialismo, ateismo, superbia.
La Chiesa ha mezzi soprannaturali per vincere il male: la confessione, la comunione, la preghiera, la penitenza. Disse la Madonna a Fatima:
Pregate e offrite sacrifici insieme con il sacrificio di Gesù perché molte anime
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vanno all’inferno, se non c’è chi prega e si sacrifica per la loro salvezza.
Il drago si pose davanti alla donna che stava per partorire, per divorare il bambino appena nato. L’autore dell’Apocalisse si riferisce (storicamente) alla
Chiesa nascente nell’impero romano pagano e inoltre (teologicamente) a
tutti gli altri nemici del cristianesimo. La Chiesa nascente era come un pulcino implume davanti al colosso dell’Impero Romano.
MA la Chiesa è forte dell’onnipotenza di Cristo.
Dice l’Apocalisse: Essa partorì un figlio maschio. Destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro; e il figlio fu subito rapito verso Dio e verso il suo
trono (al sicuro).
Il figlio maschio è Gesù uomo Dio che nasce in tutte le epoche storiche;
e nasce nonostante le opposizioni del male. Le potenze del male (loro malgrado) favoriscono la crescita del bene. Infatti proprio il martirio rende vittoriosa la Chiesa. Un albero potato viene privato dei rami inutili e diventa
più rigoglioso.
Il sangue di Cristo salva il mondo.
Senza croce non si entra in cielo. Gesù e la sua Chiesa hanno sempre
la meglio nelle persecuzioni e nella crocifissione.
La donna fuggì nel deserto, il luogo della preghiera e della penitenza.
La Madonna assunta in cielo è vincitrice della morte, del peccato e
di ogni male.
Grande fu la sofferenza di Maria ai piedi della croce e in tutta la sua
vita. Ma anche la vittoria contro il male fu straordinaria e solenne. Da qui
proviene tutta la bellezza dell’Assunta e la sua gioia senza fine.
Riguardo alla bellezza della Madonna faccio un’osservazione: quando Gesù risorse, lasciò il lenzuolo (la sacra Sindone) che aveva avvolto il
suo cadavere. Anche la Madonna lasciò le vesti nel sepolcro presso il Getsemani.
Perché? Perché i corpi risorti sono nudi, come nudi erano il primo uomo e la prima donna, appena creati innocenti. La veste viene dal peccato.
I corpi risorti sono nudi perché sono di tale bellezza che nessuna ma-
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teria può ornarli. Sono corpi divinamente gloriosi. Tutte le creature materiali per i corpi gloriosi sarebbero come fango, fossero pure le perle più preziose.
Il valore della carne umana è divina e la sua bellezza è divina.
L’assunzione di Maria al cielo è la solenne proclamazione della bellezza di Maria.
E noi suoi figli aneliamo alla sua bellezza.
Per questo dobbiamo gridare con gioia le parole della Bibbia: Quale
gioia quando mi dissero andremo alla casa del Signore! E ora i nostri occhi sono rivolti … al paradiso, al paradiso! Amen!
ESSERE SORDI E MUTI DAVANTI A DIO
DOMENICA XXIII, ANNO B
Gesù, di ritorno dalla regione di Tiro, passò per Sidone, dirigendosi verso il
mare di Galilea in pieno territorio della Decapoli.
E gli condussero un sordomuto, pregandolo di imporgli la mano. E portandolo in disparte lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e disse: “Effatà”, cioè
“Apriti!” Subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della lingua e parlava
correttamente. E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo raccomandava, più essi ne parlavano e, pieni di stupore, dicevano: Ha fatto bene ogni cosa; fa
udire i sordi e fa parlare i muti (Mc 7, 31-37).
Dice il Vangelo: Gesù andò “in pieno territorio della Decapoli”. Era una
regione non abitata da Ebrei, ma da Greci e Romani. Là si erano stabiliti i soldati
che avevano partecipato alla guerra di conquista della Palestina, fatta dall’impero
romano. Gli abitanti della Decapoli erano tutti pagani.
Dice il Vangelo: Condussero a Gesù un sordomuto, pregandolo di imporgli la mano. Questo fatto si trova solo nel Vangelo di Marco, segno che era
molto caro all’evangelista.
I primi tre Vangeli riferiscono quasi gli stessi fatti e detti di Gesù per lettori
diversi (Matteo per i cristiani provenienti dal Giudaismo; Marco per quelli che venivano dai pagani di Roma; Luca per i pagani del mondo greco-romano). Gli evan-
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gelisti adattavano il messaggio del Vangelo secondo le particolari esigenze degli
ascoltatori.
Perché a Marco interessava il fatto del sordomuto? Perché Marco era segretario di Pietro e aveva davanti a sé i pagani di Roma. Egli vedeva come si
accostavano alla fede cristiana, come accoglievano il messaggio e come rispondevano: prima balbettavano le preghiere e poi le ripetevano con maggiore fervore. Così aveva fatto il sordomuto che imparò lentamente a parlare.
I pagani non avevano l’esperienza religiosa degli Ebrei che da due millenni
conoscevano l’unico vero Dio. Dio si era loro rivelato più che padre e madre affettuosa, più che parente e perfino con la tenerezza degli sposi. Erano cose inaudite
per i pagani. I pagani avevano una conoscenza molto confusa di Dio. Consideravano i loro dèi come altrettanti nemici, esseri potenti da placare con sacrifici umani crudeli e con altre prestazioni religiose che dovevano frenare le loro ire spaventose.
I Greci e i Romani vivevano sotto il terrore degli dèi. Il pagano era un
sordomuto riguardo alla grande rivelazione divina ebraica e cristiana. Il
sordomuto psicologicamente è un isolato, chiuso nel suo mondo individuale, sospettoso degli altri. La mancanza della parola non fa scoprire le
ricchezze dell’animo altrui. Il linguaggio è il mezzo proprio degli uomini
che riversa il mondo interiore negli altri. Le bestie vivono di sensi e comunicano tra loro con gesti come i sordomuti. I gesti non hanno la ricchezza
della parola. E’ molto diversa la situazione del cieco nei riguardi del muto.
Il cieco non vede le meraviglie del creato; però ha la percezione chiara del
mondo interiore degli altri esseri umani attraverso la parola.
SORDITA’ davanti a Dio significa non sapere, non conoscere, restare
insensibili di Dio come se egli non esistesse. MUTISMO è non saper rivolgere la parola a Dio, non incontrarlo mai mediante la preghiera. La preghiera ci mette in dialogo familiare, amoroso e dolce con Dio; allarga il cuore – direi – quanto è grande Dio, e riempie la vita di beni soprannaturali.
Dobbiamo dire con triste realismo che oggi esiste un vasto mondo di sordità e di mutismo nei riguardi di Dio. Molta gente vive come
se Dio non esistesse, come se mai avesse parlato. Molti non credono più
alla sua rivelazione testimoniata dalla Bibbia e neanche alla venuta storica di Gesù in terra, alla sua nascita a Betlem, alla sua morte per amore
nostro. Molti non credono a tutto quel patrimonio di insegnamenti cri-
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stiani che elevano il tenore della vita e lo rendono simile a quello divino.
Purtroppo c’è molta gente che vive come i pagani: corrono dai maghi,
credono al destino inflessibile e crudele… Senza Dio c’è tristezza e disperazione. La tristezza del mondo odierno dipende dalla vita praticamente
pagana. L’uomo vive nell’incubo, nella tristezza congenita e nella disperazione.
Un segno di disperazione si può vedere nella mania di distruggere
pazzescamente l’ambiente e se stessi, incendiando i boschi e dandosi alla
droga e ai vizi… perché? Per il sadico gusto di vedere morte, deserto, e non
verde, speranza, gioia, vita… Si giunge perfino ad adorare Satana, a fare
l’apologia del suicidio e della morte…
Dice il Vangelo: Condussero a Gesù un sordomuto pregandolo di imporgli le
mani. Tutti conoscevano Gesù, il sordomuto non lo conosceva, era estraneo
a quello che avveniva nel mondo. Condussero a Gesù il sordomuto. – Bisogna
condurre a Gesù tanti nostri fratelli infelici, privi di facoltà di parlare ossia
di pregare, incapaci di sentire e di vedere Dio.
Come condurli a Gesù? Parlando di lui. Gesù guarì il sordomuto
emettendo un sospiro di preghiera.
Osserviamo attentamente i gesti e le parole di Gesù.
1) Gesù lo conduce in disparte: è il richiamo alla preghiera. Gesù spesso si ritirava in disparte solo a pregare il Padre. Con la preghiera possiamo
ottenere anche miracoli.
2) … lontano dalla folla: soli con Dio solo, senza l’influsso altrui si è capaci di ricevere tutta la potenza di salvezza divina di Gesù.
3) Gesù gli pone le dita negli orecchi. Gesù chiamava lo Spirito Santo dito della mano del Padre. Diceva Gesù: Se io compio le opere di Dio con il dito divino… Gesù ci salva comunicandoci lo Spirito Santo, potenza divina e
Amore. Lo Spirito entra in noi e ci trasforma nell’interiorità facendoci figli
di Dio come Gesù; e come figli ci colloca nel cuore del Padre.
4) Gesù con la saliva gli tocca la lingua. La saliva è vicino alla lingua, è
legata alla parola. Gesù è la Parola del Padre venuta in terra per rivelarci la
gioia di avere un Padre divino.
Inoltre la saliva era considerata capace di curare i mali. Il demonio agli
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ossessi comunicava una falsa saliva, la bava. Gli indemoniati guariti da Gesù emettevano bava dalla bocca cioè eliminavano tutto il diabolico dall’interno.
5) Gesù guarda verso il cielo: è l’atteggiamento di Gesù che prega il Padre, dal quale ha origine ogni bene.
6) Emise un sospiro: la preghiera di Gesù è sofferta; diventa il gemito del
Figlio verso il Padre a favore di tutti coloro che vuole fare suoi fratelli e figli del medesimo Padre. La preghiera deve essere unita al sacrificio; la redenzione avvenne con il grande sacrificio di Gesù.
7) E disse: Effatà/apriti. Il miracolo è fatto. Gesù aprì il sordomuto verso
il mondo umano (l’umanità di Cristo) e quello divino: Subito gli si riaprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della lingua e parlava correttamente.
Con chi parlava? L’unico presente era Gesù. Colui che era guarito parlava con l’ uomo-Dio. Che cosa avrà detto? “Gesù, grazie! Mi hai guarito,
mi hai aperto un mondo nuovo!”
La prima parola di questo uomo non fu dunque quella di papà e
mamma, ma quella di Gesù, uomo e Dio, Figlio del Padre, pieno di Spirito Santo amore. Lo Spirito (in ebraico femminile) ha il ruolo della mamma
nella SS. Trinità e nella Chiesa.
L’evangelista Marco vedeva con gioia che i pagani, convertiti al cristianesimo, ricevevano il Battesimo ed erano felici. Quella gioia spirituale era
molto più grande della guarigione fisica del mutismo. Marco comprendeva che Gesù, nel guarire il sordomuto, alludeva al Battesimo. Infatti nella
liturgia battesimale, dai primi tempi del cristianesimo fino ad oggi, si ripetono i gesti della guarigione del sordomuto: si toccano le orecchie e la lingua e si ripetono le parole di Gesù: “Effatà!”, “Apriti!”.
Quando si entra nella fede, Dio si sente; e subito viene la voglia di parlare con lui, di pregare a lungo. La preghiera è rivelazione della fede ed
esercizio di fede. Molta fede porta a molta preghiera. Poca fede, poca preghiera. Preghiera quasi nulla, fede inesistente.
Quando c’è la fede, il mondo non è più un deserto vuoto.
Chi crede non è mai solo! La nostra vita è popolata da Dio; è bella, attraente, specchio di Dio, pregustazione del paradiso. Allora si canta la gioia. La preghiera è soprattutto rendimento di grazie per la gioia di essere figli di un Padre che è Dio.
Ha fatto bene ogni cosa, fa udire i sordi e parlare i muti! Questo grido di giu-
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bilo cita Isaia 35, 4-6: Coraggio! Non temete; ecco il vostro Dio, giunge la vendetta (contro ogni male), la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi! Allora si apriranno gli occhi dei ciechi, e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo
salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto, perché scaturiranno acque nel deserto, scorreranno torrenti nella steppa!
Questo testo della Bibbia si riferisce alla gioia che reca la venuta del
Messia, la rivoluzione di benessere economico, sociale, fisico e cosmico. Il
Vangelo mette la guarigione del sordomuto in relazione con la redenzione
totale del mondo, quando avremo vinto la morte, saremo in un corpo nuovo e glorioso e in un cosmo rinnovato. Chi si lascia guarire dalla sordità e
dal mutismo verso Dio, entra in un ambiente meraviglioso e divino, quello della vita cristiana.
Ha fatto bene ogni cosa, è la citazione del Genesi quando si dice che Dio
vide che tutto quello che aveva fatto era bello e buono. Con la redenzione
di Gesù si ritorna alle meraviglie delle origini, quando non c’era peccato,
ma tutto grazia, gioia, bontà…
CONCLUSIONE
L’uomo senza Dio è orfano di padre e di madre, isolato e solo, senza
fratelli e sorelle… Ma chi vive il cristianesimo è figlio di Dio come Gesù e
insieme con lui; è pieno di Spirito Santo, Persona divina Amore; riposa felicemente nel cuore di Dio Padre: nella pienezza della gioia di Dio, gioia infinita, eterna, oceano senza fondo e senza sponde.
COMUNITA’ CRISTIANA VIRTUALE
Carissimo/a,
anzitutto: la sigla che appare in oggetto significa, come forse hai
immaginato: Comunità Cristiana Virtuale; ed è la comunità che stiamo formando da qualche mese.
E-MAIL: [email protected]
Questa volta vi mando il racconto di una Ossessa in Cerisano (Cosenza). Nessuna paura! Un grande esorcista, Gabriele Amorth, in un
suo libretto fa questa graduatoria per stare alla lontana dal “grande
nemico”:
1. la confessione, che è il sacramento direttamente rivolto a strappare le anime a Satana; esso implica il perdono di cuore: «Rimetti a noi
i nostri debiti come noi ... ».
2. La santa Messa.
3. La comunione eucaristica.
4. L’adorazione eucaristica.
5. Le preghiere bibliche e liturgiche: i salmi e i cantici della Bibbia;
il credo, il gloria, il santo...
6. Il rosario e tutte le preghiere più raccomandate dalla tradizione
comune.
Come ho già scritto in precedenza, quello che invio è anzitutto per
voi, ma può essere utilizzato da catechisti, insegnanti di religione, genitori e da quanti hanno un ruolo formativo ed educativo o vi si preparano. Suggerisco sempre comunque prudenza e discrezione: “Non
gettate le cose sante ai cani” ci suggerisce Gesù stesso in merito!
Con affetto fraterno e sincera amicizia.
Giovanni F. omi
Da parte vostra:
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Caro Padre Giovanni,
sono ben felice di far parte di questa comunità on line! Quando si
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fa parte di una comunità non si corre il pericolo di soffrire la solitudine e ciascuno può dare il poco che ha, e, unito al poco o molto degli altri, si moltiplica per il bene di tutti. Un saluto affettuoso e a presto.
Francesca V.
Vorrei condividere con i fratelli della comunità virtuale una meditazione.
FACCIAMO SPAZIO A DIO
“L’amore di Dio non può fluire liberamente in noi se siamo ingombrati di ambizioni, preoccupazioni e preconcetti.
Abbiamo bisogno di una gran pulizia nella nostra casa per fare
spazio a Dio. Lui non ci richiede che tutto sia in perfetto ordine; dobbiamo adoprarci perchè ci sia almeno un po’ di posto per farlo accomodare.
Se hai cominciato a riassettare la tua dimora interiore, ti sei accorto che ogni volta che butti via qualcosa per fare posto a Dio, ti invade
il Suo amore.
Continua quindi a ripulire la tua casa e a sbarazzarti del superfluo!”
E’ di Wilfrid Stinissen, carmelitano olandese, autore di numerose
opere di spiritualità tradotte in vari paesi)
Francesca V.
UN’OSSESSA A CERISANO?
Doveva essere quasi la fine del mese di luglio del 1960. Mons. Calcara
aveva la residenza estiva in contrada san Bartolomeo di Mendicino: lì viveva
i mesi caldi con una sorella e la nipote. Io suo Segretario abitavo nel Palazzo
del Seminario di Cerisano (CS), insieme con mons. Vairo Vicario Generale,
che soleva tornare a sera, perché trascorreva la mattinata in Curia a Cosenza
ed il pomeriggio dall’Arcivescovo. Io invece solevo recarmi dal Vescovo un pa-
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io di volte alla settimana, per il disbrigo della corrispondenza.
Verso le 18 arriva trafelato in Seminario il parroco del paese, don Ciccio
Fusaro, sacerdote colto e serio che dava una sensazione di forza singolare. All’inizio del suo ministero aveva dovuto affrontare i boss, che pretendevano di
comandare la vita religiosa del paese, in uno scontro pugilistico che mise in
chiaro che con il nuovo prete non c’era nulla da fare: bisognava obbedire e basta!
Asciugandosi gli abbondanti sudori, egli riferì di essere stato chiamato
d’urgenza a valle, mentre era nel giardino della canonica a vergare qualche
pagina d’uno dei suoi romanzi, poi pubblicati: dicevano che una certa “Carminella” (donnina mingherlina, rimasta vedova per la morte del marito alcuni mesi prima) aveva “contratto” lo spirito del marito perché parlava con la
voce di lui. All’insistenza delle persone, don Ciccio era andato in chiesa ed
aveva preso il libro degli esorcismi col secchiello dell’acqua santa e li aveva seguiti per il ripido pendio, sino a valle. Lì una frotta di gente allarmata indicò
subito Carminella che era tenuta stretta da quattro contadini robusti, ma con
qualche difficoltà. Effettivamente la donna non parlava col suo timbro naturale, ma con una voce simile a quella del marito defunto.
Dopo i primi preamboli, dai quali don Ciccio apprese come la donna avesse avvertito “una spina” conficcarsi nel petto, origine del malore, egli aprì il
libro degli esorcismi e cominciò l’interrogatorio di rito. La sorpresa grande fu
allorché il parroco presentò il Crocifisso e chiese: “Chi è questo?”. Carminella configurò il volto in modo mostruoso, stravolse gli occhi in direzione opposta e disse: “Il grande Nemico!” Acquisì dunque subito il convincimento che
trattavasi di vera possessione. Perciò cominciò l’esorcismo, pur senza autorizzazione vescovile per l’urgenza, seguendo le indicazioni delle rubriche che
sembravano maledettamente complicate. Di tanto in tanto il libro consigliava
di usare l’acqua santa; e don Ciccio s’accorse subito che essa faceva soffrire alla donna le pene delI’inferno!
Come fu, l’ossessa s’accorse che don Ciccio aveva perciò divisato (pensato) di rovesciarle addosso tutta l’acqua santa. Si svincolò dai quattro energumeni e saltò addosso al prete, afferrandolo alla gola! Cosa inaudita! Don
Ciccio si trovò per l’unica volta a terra con la sensazione d’una tonnellata sul
petto, e soffocava! I contadini più robusti afferrarono la donna e don Ciccio si
alzò. Disse. ”Tenetela stretta!” E davvero le rovesciò addosso tutta l’acqua
santa del secchiello. La donna sbianchì, come se avesse perduto le forze. Ave-
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va ritrovato la sua voce e diceva: Che ci fa tanta gente in casa mia? E perché
c’è il prete?”. Le amiche le risposero: “Perché ti sentivi male; ed abbiamo mandato a chiamare anche don Ciccio”. Ella assentì, ma rassicurava tutti che ormai “la spina” non la avvertiva più, e quindi il malore era passato.
Don Ciccio era venuto per chiedere che dovesse fare e quando avrebbe dovuto informare il Vescovo. Lo tranquillizzai che poteva aspettare il giorno appresso, dal momento che la faccenda urgente pareva conclusa nel migliore dei
modi. Così il parroco tornò in canonica e passò il resto della sera a leggere con
attenzione il libro degli esorcismi. Ad un certo punto egli lesse che non bisognava cascare nei tranelli del menzognero, che spesso soleva fingere di abbandonare la preda, ma in realtà non era vero. Appena don Ciccio lesse e rilesse
quel passo della rubrica, si tirò uno scappellotto in fronte, e disse: “Me l’ha
fatta!”. E passò l’intera notte dicendo rosari e chiedendo aiuto alle anime del
Purgatorio.
La mattina seguente egli andò in chiesa per la Messa, che si celebrava con
le spalle rivolte al popolo. All”orate, fratres” vide in fondo alla chiesa gente
della valle, e capì che il sospetto avuto era giusto. Inviò il sacrista a chiedere
informazioni; ed egli gli riferì la “replica” peggiore del pomeriggio precedente. Durante la celebrazione egli pregò; “Signore, porterò Te, e cosi la faremo
finita!”. In effetti depose in petto la teca con una particola consacrata e si avviò verso la valle. Allora Carminella descrisse l’intero viaggio del parroco da
Cerisano alla valle: “Ecco, ora viene uno che mi scaccerà davvero! Sta salutando il farmacista... Parla col Sindaco... Risponde a domande su di me ...
Ora è a 150 metri da casa… Eccolo là!... Ci fu una contorsione assurda e uno
strepito terribile: e Carminella cadde come morta a terra.
Don Ciccio dopo qualche minuto le si avvicina, e le chiede se voleva fare
la comunione. Al suo assenso, le dà il Signore e tutto si risolse per sempre,
senza altre manifestazioni demoniache. Deo gratias!
Conclusione. Don Ciccio arredò la canonica con “attrezzi nuovi” posizionando in ogni ambiente di essa una ben visibile acquasantiera.
+Serafino Sproviero
Arcivescovo Emerito
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Parola di vita (Ottobre 2009)
CHIAMATI ALLA PERSEVERANZA
Chiara Lubich
“Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime” (Lc 21,19).
“Perseveranza”. È questa la traduzione della parola originale greca, la
quale però è ricca di contenuto: include anche pazienza, costanza, resistenza, fiducia. La perseveranza è necessaria e indispensabile quando si soffre,
quando si è tentati, quando si è portati allo scoraggiamento, quando si è allettati dalle seduzioni del mondo, quando si è perseguitati.
Penso che anche tu ti sia trovato in almeno una di queste circostanze
ed abbia sperimentato che, senza perseveranza, avresti potuto soccombere. A volte forse hai ceduto. Ora magari, proprio in questo momento, ti trovi immerso in qualcuna di queste dolorose situazioni.
Ebbene, che fare?
Riprenditi, e... persevera.
Altrimenti il nome di “cristiano” non ti si addice.
Lo sai: chi vuol seguire Cristo deve prendere ogni giorno la sua croce,
deve amare, almeno con la volontà, il dolore. La vocazione cristiana è una
vocazione alla perseveranza.
Paolo, l’Apostolo, mostra alla comunità la sua perseveranza come segno di autenticità cristiana.
E non teme di metterla sul piano dei miracoli.
Se si ama la croce poi e si persevera si potrà seguire Cristo che è in Cielo e quindi salvarsi.
“Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime”.
Si possono distinguere due categorie di persone: quelle che sentono
l’invito ad essere veri cristiani, ma quest’invito cade nelle loro anime come
il seme su una pietraia. Tanto entusiasmo, simile a fuoco di paglia, e poi
non rimane nulla. Le seconde invece accolgono l’invito, come un buon terreno accoglie il seme. E la vita cristiana germoglia, cresce, supera difficoltà, resiste alle bufere.
Queste hanno la perseveranza e...
“con la vostra perseveranza salverete le vostre anime”.
Naturalmente, se vuoi perseverare non ti basterà appoggiarti solo sulle tue forze.
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Ti occorrerà l’aiuto di Dio.
Paolo chiama Dio: “Il Dio della perseveranza” (Rom. 15,5).
È a Lui dunque che devi chiederla ed Egli te la darà.
Perché se sei cristiano non ti può bastare l’essere stato battezzato o
qualche sporadica pratica di culto e di carità. Ti occorrerà crescere come cristiano. E ogni crescita, in campo spirituale, non può avvenire se non in
mezzo alle prove, ai dolori, agli ostacoli, alle battaglie.
C’è chi sa perseverare per davvero: è colui che ama.
L’amore non vede ostacoli, non vede difficoltà, non vede sacrifici. E la
perseveranza è l’amore provato.
La Madonna è il tipo della persona perseverante. Sceglie Dio da piccola, come suo unico tutto, e vi rimane fedele tutta la vita. Si consacra a Lui
nella verginità quand’è bambina – come vuole la tradizione – ma non teme di diventare madre quando Dio lo vuole. Diventa madre di Gesù rimanendo vergine. Persevera nella sua vocazione quando Giuseppe ha delle
perplessità, quando è costretta a dare alla luce il Figlio in una stalla, quando scappa con lui in Egitto, quando lo perde per tre giorni mentre era nel
tempio. Persevera nell’amare Dio e la sua volontà tenendo nascosto il suo
mistero per trent’anni, lasciando che Gesù compia la sua missione per tre
anni. E tanta è la sua costanza a non deflettere dalla linea che Dio ha su di
lei, che sa stare in piedi, in un mare di dolore, dinanzi al Figlio crocefisso.
Poi, dopo l’Ascensione, è nel cuore della Chiesa nascente e persevera nel
suo amore per Dio fino al punto d’esser assunta, alla sua ora, in Cielo.
Maria è la donna della perseveranza.
Chiedi a Dio che ti accenda nel cuore l’amore per Lui; e la perseveranza, in tutte le difficoltà della vita, ti verrà di conseguenza, e con essa avrai salvato l’anima tua.
“Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime”.
Ma c’è di più. La perseveranza è contagiosa. Chi è perseverante incoraggia anche gli altri ad andare fino in fondo. T’ho parlato dei santi, di Maria. Osserva: sono persone che hanno trascinato dietro a sé folle per portarle a Dio e continuano ad avere un’attrattiva attraverso i secoli con l’esempio della loro perseveranza, con la luce scaturita dall’amore che li ha resi
perseveranti. Puntiamo in alto. Abbiamo una sola vita e breve anche questa. Stringiamo i denti giorno dopo giorno, affrontiamo una difficoltà dietro l’altra per seguire Cristo... e salveremo le nostre anime.
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Allora tu sei maestro
“Se tu entri in classe come si va in vacanza;
se il tuo cuore batte più forte vedendo i tuoi allievi;
se ogni viso è per te un’anima da amare;
se tu riprendi con gioia il dialogo sospeso;
se ogni tua ora passata è troppo presto fuggita;
se ami meglio il tuo lavoro ogni anno che passa;
se la tua opera ti sembra incompleta;
se ti senti debole, ma la tua fiducia è immensa;
se Dio è ogni giorno il tuo grande confidente;
se le dita irrequiete e i piedi rumorosi ti sono sinfonia;
se le tue punizioni sono rare come la pioggia in luglio;
se le inevitabili difficoltà ti trovano sorridente;
se la tua giustizia sa fasciarsi d’amore;
se tu combatti il male, ma non il colpevole;
se ogni giorno che passa ti trova migliore;
se in ogni classe in cui insegni è un’opera nuova;
se incatenato ogni giorno sei un’anima nuova;
se tu sai istruire, ma meglio ancora educare;
se sapendo tante cose tu non ti senti sapiente;
se tu sai ristudiare ciò che tu credevi di sapere;
se al posto di sempre insegnare tu sai ascoltare;
se al posto di interrogare tu sai rispondere;
se tu sai esser fanciullo pur restando maestro;
se tu sai essere maestro senza sentirti maestro;
se davanti alla bellezza tu sai meravigliarti;
se per la verità tu resti intransigente;
se la tua vita è lezione e le tue parole silenzio;
se la tua vita è preghiera e la tua fede splendente;
se i tuoi allievi vogliono somigliarti, allora …
allora … tu sei maestro.”
Prof. A. Gille
(docente dell’Istituto di Psicologia di Lovanio)
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IL PENSIERO FRANCESCANO
DI ROSANNA
TEDESCO
Dal pensiero francescano riflessioni su fede e ragione.
La pubblicazione di un saggio di Dario Antiseri dal titolo Attualità del pensiero francescano (ed. Rubettino) induce interessanti riflessioni
su quelle che l’autore definisce “risposte dal passato a domande del
presente”; sono risposte e domande per le quali le categorie temporali appaiono sempre riduttive; esse sono fuori dal tempo, dalla contingenza umana, perché ispirate da un’esigenza di senso che è ricerca di
verità e, come dice Antiseri, “della verità non si chiede la data di nascita”.
Falliti i sistemi filosofici che avevano eretto l’uomo a religione di
se stesso e una ragione autosufficiente a negazione di ogni trascendenza, torna a farsi strada negli scritti di molti pensatori contemporanei la grande domanda metafisica: perché l’essere piuttosto che il nulla? Non esistono risposte non religiose a questa domanda; per dirla
con Wittgenstein “pensare al senso della vita significa pregare”. Perciò
una domanda di natura religiosa non può che esigere una risposta religiosa: se scienza e filosofia inducono ad assolutizzare la ragione, ad
abusarne, è la dea-Ragione ad imporsi escludendo però la comprensione degli umani limiti o eludendo il problema, in ogni caso condannando l’uomo ad una condizione di solitudine disperante. E invece noi
uomini “siamo mendicanti di senso ultimo”. E’ ciò che ci ha ricordato Giovanni Paolo II nell’enciclica Fides et ratio: volontà di potenza distruttiva o solitudine, questo il destino dell’uomo se dal suo volto si
cancellano i tratti che ne rivelano la somiglianza con Dio, se l’uomo
disconosce la propria condizione di creatura. La filosofia è lo strumento alto che sollecita le domande di fondo, alle quali però la sola ragione non può dare risposte soddisfacenti.
Proprio partendo dal rapporto fede-ragione Antiseri ripercorre il
pensiero di alcuni grandi francescani, lontani secoli da noi eppure capaci di indicarci la strada con chiarezza, con analisi illuminanti, che ri-
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tornano nelle conclusioni di molti teologi contemporanei. Un esempio
su tutti: il richiamo alle ragioni della fede che ridimensionano la presunzione della ragione, così come sostiene Papa Woitjla, è uno dei fondamenti della riflessione del francescano Bonaventura di Bagnoregio,
il quale scrive che “la scienza filosofica è via ad altre scienze, ma chi
vuol fermarsi ad essa, cade nelle tenebre”. Non siamo pertanto di fronte all’esclusione della ragione, anzi “la ragione è mezzo della fede alla visione beatifica” (T. Gregory). Per Bonaventura tale strumento deve guidare l’uomo a scoprire la scintilla del divino che alberga nel
mondo, a decodificare i signa, le tracce di quella presenza che si manifesta e si nasconde, deve indicargli la strada, ma poi deve cedere il passo alla teologia e alla mistica; Bonaventura afferma il primato della fede, che consente alla ragione di leggere ciò che essa illumina, “la ragione è una grammatica scritta con l’alfabeto della fede”. Siamo di fronte
ad una filosofia profondamente, radicalmente cristiana, inscindibile
dalla Rivelazione, che colloca Cristo al centro della storia; perciò il
pensatore francescano “non dimenticherà mai che un cristiano non
può pensare niente come lo penserebbe se egli non fosse cristiano”
(Gilson). I cristiani sono uomini informati dei fatti: tutto comincia e finisce in Cristo, tutto in Cristo si compie.
Il percorso di Bonaventura, analizzato da Antiseri in rapporto alla
tradizione platonica e aristotelica e nel raffronto con Sant’Agostino e a
San Tommaso (noi non stiamo qui ad illustrarlo nel dettaglio) è uno
dei percorsi possibili nel cammino di ricerca che porta l’uomo a vivere la verità rivelata nella Parola di Dio. Come dice Giovanni Paolo II,
sempre nella Fides et Ratio, “Le vie per raggiungere la verità rimangono molteplici; tuttavia, poiché la verità cristiana ha un valore salvifico,
ciascuna di queste vie può essere percorsa, purché conduca alla meta
finale, ossia alla Rivelazione di Gesù Cristo”.
Antiseri rintraccia molti elementi di grande interesse e attualità
nell’ambito di altri pensatori della grande tradizione francescana: il tema della onnipotenza di Dio e della libertà e responsabilità umana in
Scoto, in Ockham e in Pietro di Giovanni Olivi. Tali argomenti vengono analizzati in riferimento all’idea di società e politica, e anche sul
piano dell’ organizzazione economica e dello sviluppo capitalistico.
Insomma la lettura attenta del libro riserva numerose sorprese, per
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esempio l’affermazione che il pensiero francescano ha contribuito anche alla genesi della filosofia empirica della natura; Ruggero Bacone e
i suoi maestri, Roberto Grossatesta e Pietro Peregrino ampliano il loro
orizzonte filosofico rivolgendo lo sguardo alle scienze, la matematica,
la fisica; tramite l’esperienza gli uomini si perfezionano nella verità eliminando via via gli errori che ne ostacolano la conoscenza; ma il campo dell’esperienza non può limitarsi al sensibile: se l’esperienza esterna, basata sui sensi, consente di giungere alle verità naturali, l’esperienza interna, progressiva illuminazione della coscienza, consente di
pervenire alle verità soprannaturali.
L’atteggiamento di questi filosofi cristiani, il cui pensiero precorre
le teorie empirico-scientifiche, appare un modello proponibile per tutti quei cristiani ancora oggi sollecitati dalle scoperte scientifiche a difficili scelte etiche. La ragione e la scienza rendono tecnicamente possibili cose non sempre accettabili sul piano dell’etica e della fede. Ma la
fede insegna a mettere il Vangelo davanti a tutto e a confrontarsi sempre con esso, a maggior ragione quando le applicazioni della scienza
non appaiono più al servizio dell’uomo.
Forse questi francescani del passato hanno davvero tanto da dire
anche a noi moderni.
^D^
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A S T E R I S C H I
QUANTO E’ GRANDE DIO!!!
Dice la Bibbia: “Chi ha misurato con il cavo della mano le acque del
mare e ha calcolato l’estensione del cielo con il palmo? Chi ha valutato con
il moggio la polvere della terra e ha pesato con la stadera le montagne e i
colli con la bilancia? Ecco (tutte) le nazioni (pagane e superbe: Assiria, Babilonia, Egitto…) sono come una goccia che cade da un secchio, contano
come polvere sulla bilancia!” (Isaia 40,12sss).
Ma che cosa potrà dire l’uomo moderno che conosce molto meglio degli antichi l’estensione del cielo?
Dirà: il cosmo intero con i suoi miliardi e miliardi di anni luce, davanti a Dio, conta o pesa meno che il pulviscolo sulla bilancia!
L’uomo ripeta con fede e amore: “Ovunque il guardo giro, immenso
Dio, ti vedo; nell’opre tue ti ammiro, ti riconosco in me”.
L’uomo piccolo fisicamente è grandissimo per le sue capacità intellettive e morali. E' stato creato perché “soggiogasse e dominasse” il cosmo intero, come dice il primo libro della Bibbia nel primo capitolo al versetto 28.
L’uomo moderno appena ha raggiunto luna e marte. Sono due piccolissime conquiste, perché i due pianeti stanno a due passi da casa nostra,
la terra.
Siamo molto lontani dal dominio sul cosmo che Dio vuole darci. La
ribellione a Dio con il peccato, non solo ci allontana da Lui, ma ci rende poveri e miseri anche di beni materiali, sociali…
Il cosmo è più piccolo dell’uomo; e Dio trascende infinitamente ogni
creatura. Davanti a lui il cosmo pesa meno che un “pulviscolo sulla bilancia”.
Dio tiene fra le sue mani il pulviscolo cosmo, lo avvolge con la sua onnipotenza, e lo oltrepassa infinitamente. Il che vuol dire: il cosmo con i
suoi anni luce è niente davanti all’infinito Dio e all’uomo di Dio!
Dunque non è tutto l’universo, ma Dio. “Dio è tutto”, dice la Bibbia
(si leggano i capitoli 42,15 e 43 di Siracide, che conclude il discorso con la
frase: “Dio è tutto” in Sir 43,27).
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DIO E’ TUTTO!
Non è l’uomo, non è la creazione,ma Dio e solo lui. Al di là del cosmo
c’è ancora un’esistenza infinita che è Dio. E quanto è grande?
E di che tipo è Dio? Bontà, benevolenza, voler bene ossia amare. “DIO
è AMORE”, dice la Bibbia nella prima lettera di Giovanni 4,8.
Non è cattiveria, ma amore e solo amore, tutto amore perché l’amore
fa esistere, esiste; l’odio distrugge.
Ora diciamo la grandezza di Dio con alcune cifre dell’astronomia.
Un anno luce corrisponde a 9.461 miliardi di km. Le stelle costituiscono le galassie, enormi gruppi di stelle. Le galassie più piccole, dette galassie nane, sono di 2.500 anni luce; le galassie grandi raggiungono i 200.000
anni luce,
E tutto questo è pulviscolo sulla bilancia, dice il profeta Isaia nei riguardi di Dio. Egli le avvolge, le stringe nelle sue mani (per così dire) e le
trascende infinitamente. Dio è infinitamente più e oltre ogni creazione.
Dio è colui che esiste per sé, per la sua bontà, per il suo voler bene. Egli
da sempre si realizza nella generazione del Figlio: e il Figlio si rivolge al Padre come amore di ritorno e scoppia d’amore (questo è il vero big bang!)
nello Spirito Santo. Dio è Trinità perché è amore. Non esiste la materia per
sé, ma per Iddio che chiama ad esistere. Dio è uno solo, una sola divinità,
ma tripersonale perché la sua essenza è l’amore.
DOPO DIO C’E’ LA MADONNA, un essere femminile, non maschile
come è Gesù (che non è persona umana, ma divina). La Madonna riconosce di essere nulla e di avere tutto da Dio; è la prima persona creatura, tutta dono e umiltà. Non è superba come il demonio che perse la sua bontà
per la mania di esistere fuori di Dio e senza Dio.
Il pericolo della creazione delle persone è voler vivere autonomamente al di fuori di Dio.
La grande opera del Padre dentro la Trinità è la generazione del Figlio;
la grande opera fuori la Trinità è la creazione della Madonna, tutta umiltà
e amore.
Lo Spirito Santo è la persona divina Amore che si effonde nelle creature; e la prima creatura è la Madonna, sposa dello Spirito, Madre del Figlio e figlia del Padre.
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Dio Trinità tiene il cosmo nelle mani (in modo simbolico), lo plasma e
lo accarezza, ma lo trascende infinitamente. L’esistenza di Dio perciò è al
di là della pura creazione (che è un giocattolo, anche se di miliardi di anni
luce). La esistenza di Dio è infinita e va al di là di ogni intendimento di
creature.
Quanto è grande Dio! Altrettanto è il suo amore… La creatura è piccola, piccola, piccola, ma amata specialmente se è persona: è immensamente più grande di tutto il cosmo, che deve reggere e dominare…
Senza Dio è la contraddizione per essenza: si esiste per lui e di lui, ma
lo si ripudia… E’ peggio che ripudiare se stesso… questo è l’inferno.
Il cosmo si distruggerà perché guidato dall’uomo ribelle a Dio e tentato da Satana, ma risorgerà e allora domineremo, perché allora il nostro corpo risuscitato glorioso avrà la velocità del pensiero: andrà in un attimo in
tutte le parti per lodare e ringraziare Dio e dire il canto di Maria: “L’anima
mi magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore perché
ha guardato la povertà o il niente della sua serva e santo è il suo nome. Ha
rovesciato i potenti dai troni e ha innalzato gli umili”.
“Tu sei l’unico Dio vivo e vero: l’universo è pieno della tua presenza,
ma soprattutto nell’uomo, creato a tua immagine, hai impresso il segno
della tua gloria. Tu lo chiami a cooperare con il lavoro quotidiano al progetto della creazione e gli doni il tuo Spirito perché in Cristo, uomo nuovo,
diventi artefice di giustizia e di pace” (prefazio comune IX).
I MISTERI DI DIO
Riflessioni a cura di Franco Rizzuti
Dice il nostro sommo poeta Dante:
Matto è chi spera che nostra ragione
possa trascorrere la infinita via
che tiene una sostanza in tre persone.
State contenti umana gente al quia
ché se aveste potuto veder tutto
mestier non era partorir Maria.
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Stolto è colui che spera, con il suo finito intelletto, conoscere le vie di
Dio, comprendere i modi che tiene nell’operare un Dio, uno nella sostanza
e trino nelle persone, cioè un Dio incomprensibile nella sua essenza. Contentatevi di sapere (dice Dante) che le cose sono gli effetti e non vogliate investigare perché sono. Gli uomini non possono arrivare a conoscere i segreti di Dio e la ragione di tutte le sue opere. Se l’uomo avesse potuto comprendere, non ci sarebbe stata ragione alcuna che Maria partorisse il figlio,
Gesù Cristo, Dio fatto uomo e nostro rivelatore e maestro.
Manzoni:
Cessan gli Inni e i misteri Beati
tra cui scende, per mistica via,
sotto l’ombra dei Pani mutati,
l’Ostia viva di Pace e d’Amore.
Sant’Agostino racconta nel “De Trinitate”: era andato presso la riva
del mare per meditare sulla Santissima Trinità. Vide un fanciullo che con
un guscio di noce versava l’acqua del mare in una piccola buca scavata
nella sabbia. Voleva versare tutto il mare in quella buca. Gli disse il Santo: E’ impossibile, caro figliolo! – Rispose il fanciullo che era molto più difficile che nella piccola mente umana potesse entrare il mistero della SS. Trinità. Era un angelo!
Se ci sono misteri nel mondo finito, molto più devono esserci in quello infinito.
Perciò Manzoni dice:
Nui chiniam la fronte al Massimo
Fattor che volle in lui
Del creator suo spirto
più vasta orma stampar.
Perciò è necessario che chiniamo il capo davanti allo Spirito del Creatore che in Napoleone volle imprimere un segno più vasto della sua onnipotenza.
Il grande scienziato Antonio Zichichi dice: Credere è un atto di fede.
La fede è lo studio della logica nel Trascendente. Anche in una pietra c’è
la mano del Creatore perché in una minuscola scheggia di quella pietra ci
sono miliardi e miliardi di protoni, neutroni ed elettroni. Non sono stati
messi lì dalla mano dell’uomo mortale, dotato di una limitata esistenza e
intelligenza.
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MORENDO SI ENTRA NELLA VERA VITA
Un manoscritto del 1800 riferisce un sogno o una visione di un certo
Angelo Mazzia. E’ molto utile per riflettere sulla morte attesa con fede
cristiana, con fede gioiosa. Riferisco la parte centrale del testo, ritoccando
un po’ il linguaggio antiquato.
Mi sembrava di essere moribondo, molto sofferente, abbattuto e senza forze. Ad un tratto mi sentii sorreggere da una forza invisibile che mi
sollevava in alto. Ero dunque guarito? Non solo completamente guarito,
ma avevo acquistato un modo di vivere nuovo, felice… che non avevo mai
sperimentato.
Mi ero liberato dal peso della materia; ero senza corpo. Ma non mi
sentivo menomato o privo di qualche cosa che rende integro il modo di vivere sperimentato fino a quel momento. Anzi per la prima volta avevo
raggiunto una pienezza di vita che non è di questo mondo neanche nei
momenti più felici. Ero tutto me stesso e molto meglio di prima, più felice, ma tanto, tanto… che non so descrivere…
Capii una sola cosa con perfetta chiarezza. Fu un attimo; e subito mi
svegliai. Compresi che stavo per passare nell’al di là; stavo per toccare la
soglia di un mondo nuovo, inesplorato, meraviglioso, indescrivibile…
Tutto questo me lo diceva la gioia che proveniva da quel mondo, anche se
ancora non avessi toccato la soglia della porta che era socchiusa.
In un mezzo attimo, vidi una scena che aveva del ridicolo, ma anche
del sacrilego: quello che era stato il mio corpo (e che io vedevo da lontano) era attorniato da gente in stato di angoscia, di terrore e di sgomento, in
netto contrasto con la mia nuova condizione felice e invidiabile.
Mi veniva da ridere nel vedere il mio corpo così brutto, privato dell’anima, e come un fantoccio vestito per bene, ma vuoto. Ringraziavo Dio
che me ne aveva liberato: era giunto in uno stato inservibile dall’ultima
malattia gravissima… Era buono soltanto per essere seppellito e nascosto
sotto terra. Ormai attendevo il corpo nuovo e glorioso quando verrà la risurrezione della carne e ci fa simili a Gesù risorto.
Nel guardare quelli che stavano attorno al mio corpo (rovinato e distrutto) e nel vederli in stato di angoscia, di terrore e di sgomento, mi veniva un senso di pena e di scandalo.
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Che comportamento insensato! Piangevano me come morto, mentre
ero pieno di vita, immensamente più di loro che si dicevano vivi, ma erano dei poveri sventurati senza fede. Chiamavano me povero e infelice,
mentre invece ero in condizione di felicità tale che è impossibile nel mondo terreno. Tutti erano attorno a quel cadavere senza vita o fantoccio ridicolmente coperto di vesti sontuose; nessuno mi salutava né si congratulava con me che ero raggiante di gioia come mai nessun uomo nel mondo…
Chi è da compiangere? I morti o i vivi senza fede e senza quell’ardente speranza che fa gridare i santi: E’ tanto il bene che mi aspetto che ogni
pena mi è diletto!
Laudato sii, o mio Signore, per sorella nostra morte corporale; dalla
quale nessun vivente può scappare. Guai a quelli che morranno nei peccati mortali; beati quelli che morranno nella tua santissima volontà perché
da te, Altissimo, saranno incoronati!
LA GIOIA DELLA MORTE CRISTIANA
Si legge nel diario di santa Faustina, morta il 1938 a 33 anni: Gesù, ho
un solo grande desiderio, quello di venire quanto prima da te. Sento nel mio cuore che sono figlia del gran re, il mio Dio; e che mi trovo in esilio, in terra straniera.
Il mio cuore è stato creato per te e sarà sempre inquieto finché non riposerà in te.
Una volta Gesù chiese un grande sacrificio a un’altra santa anima, Josefa Menendez. Nell’ultima malattia, ella vide Gesù e subito gli disse: Gesù, oggi è il giorno in cui mi hai promesso di prendermi con te per sempre. Le rispose Gesù: Sì, è vero! Ma tu non saresti tanto generosa da ritardare ancora per
cinque giorni il tuo ingresso in paradiso? Ci sono delle anime che vivono in peccato e prossime alla morte in pericolo di eterna dannazione. Non vorresti fare questo sacrificio e dedicarti alla preghiera per la loro salvezza?
Quale fu la risposta di suor Josefa? Piena di generosità verso Dio e
verso il prossimo, disse: Signore, se tu lo vuoi, resterò a soffrire in questo mondo per amor tuo fino alla fine della storia.
Come ragioniamo noi? Con fede cristiana o pagana?
Se siamo cristiani dobbiamo ragionare secondo la Bibbia. Ecco qualche brano: La nostra patria è il cielo (patria viene da padre e richiama all’af-
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fetto caldo della famiglia), di là aspettiamo nostro Signore Gesù Cristo, il quale
trasfigurerà il nostro misero corpo e lo configurerà con il suo corpo glorioso (Fil
3,20s). Siamo stati creati per il paradiso: là vivremo davvero e godremo
nell’anima e nel corpo, quando verrà risuscitato. Dice Paolo: Per me vivere è Cristo e il morire è un guadagno. E se il vivere nel corpo significa (servi9re
Cristo), non so che cosa scegliere: da una parte desidero di essere sciolto dal corpo
per (la gioia di) essere con Cristo (Non è dunque vero che con la morte del corpo tutto finisce), il che sarebbe assai meglio; d’altra parte è più necessario per voi
che io rimanga nella carne (Fil 1,21ss per aiutarvi nella fede).
Se anche il nostro uomo esteriore (cioè il corpo) si va disfacendo, quello interiore (cioè l’anima) si rinnova di giorno in giorno (2 Cor 4,16). Non è vero che
la malattia e la vecchiaia conducano la persona verso l’oblio. Segue il testo
biblico: Il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione ci procura una
quantità smisurata ed eterna di gloria. Noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili. Le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili sono eterne. Sappiamo infatti che quando verrà disfatto questo corpo, nostra abitazione sulla terra, riceveremo un’abitazione da Dio, una dimora eterna, non costruita da mani di uomo, nei cieli. Perciò sospiriamo desiderosi di rivestirci del corpo celeste. Finché abitiamo nel corpo siamo in esilio, lontano dal Signore. Preferiamo andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore. Tutti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, ciascuno per ricevere la ricompensa delle opere
compiute finché era nel corpo, sia in bene che in male (2 Cor 4,1ss; 5, 1ss).
Gesù ci ammonisce: Non temete quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e
l’anima e il corpo nella Geenna (Mt 10,28).
Preghiamo con il Salmo: Quale gioia quando mi dissero: Andremo alla casa del Signore… L’anima mia desidera gli atri del Signore. Là dove il libro di
Daniele dice: Mille migliaia lo servono e diecimila miriadi lo assistono e cantano
notte e giorno: Santo, Santo, Santo è il Signore! Cieli e terra sono pieni della sua
gloria!
San Francesco d’Assisi: Laudato sii, o mio Signore, per sorella morte corporale, dalla quale nessun vivente può scappare; guai a chi si trova in peccato mortale, beato che si trova nelle tue santissime volontà perché da te, Altissimo, sarà incoronato!
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GHIRLANDE DI LUCI
di Maria Caterina Scandale
Ghirlande di luce
d’ amorevoli pensieri
lanciate nell’etere.
Moto d’amore, soffio di gioia.
Angeli in torrente di luce
Le colgono.
FRA LE MANI TUE SIGNORE
di Maria Caterina Scandale
Guardi
con tenerezza
la Tua creatura
forte come roccia
fuscello fra le mai del vento.
Con potenza la plasmi
paziente la ceselli
con splendore
di bellezza
sorriso le infondi,
con amore
trasfigurante
la illumini.
GLI ANNI “TRENTA”
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Erano i miei verdi anni quando intrapresi un cammino
di stimoli culturali denso e fecondo,
che alimentarono lo spirito e la mente
ad opera di maestri esperti ed eccellenti,
che furono la luce nell’ascesa verso una radiosa meta.
Ritornando oggi a rivedere la culla
Con sgomento e tristezza vedo il nulla:
nel dormitorio, nel refettorio, nello studio.
Non più il nugolo di fratini con il cordone alla vita,
non più nel cortile il loro festoso vocio.
Anche i bei prati alberati sono invasi selvaggiamente
Dal cemento e da ville che turbano la mistica quiete;
squallida sintonia tra la penuria delle fronde
e l’assenza dei serafici teneri virgulti.
Per tali sentieri alberati rivedo mio padre zelante
Salire sovente a infondere coraggio e conforto
ai disagi del mio vivere lontano da casa,
ed era dolente quando per il freddo vedeva i miei arti
tuberosi per i geloni, che Padre Ezechiele serviente
faceva sgelare con acqua bollente.
Ogni sera regnava il terrore più cupo
per il così detto “giudizio”, temuto più di quello “universale”;
tanta era l’angoscia quando in apposite sale
con masochistica ferocia il giudice battitore
puniva con altrettante palmate, quante erano le pecche
commesse nel dì, annottate dall’attento “decano” accusatore.
Nel passeggio al grido del capo: “Abitato!”
si doveva tenere il viso inclinato
incuranti dei pali della luce, contro cui si cozzava sovente.
Era vietato mirare nel creato l’impronta del Dio vivente.
Era cosa diabolica guardare il creato per noi, inibiti sul nascere!
Certo son nei che poco offuscano o tolgono un dito
alla bellezza e santità del serafico sito.
Bisignano, 4 ottobre 2009
Sac. Antonio Montalto
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segue da pag. 8
IL RITRATTO DI S. UMILE SECONDO I CONTEMPORANEI
Fra Umile era piccolo, non più alto di sei palmi né meno di cinque,
come si dice del nostro serafico padre san Francesco. Aveva la testa rotonda, il volto pieno alquanto e rotondo, la fronte piana, gli occhi più neri che bianchi, ma soprattutto onesti e umili, la barba e i capelli neri. Era
di faccia allegra e benigna, quantunque macilenta per la penitenza continuata, il naso uguale e proporzionato, le orecchie piccole, la carne di color bianco, la lingua acuta e viva, la voce chiara, dolce e sonora, piacevole e affabile nel dire, molto grazioso e facondo nelle parole, sebbene fosse ignorante nelle lettere umane. Aveva i denti bianchi, piccoli e uguali.
Era di natura proporzionato né magro né grasso, di complessione delicata da quando cominciò ad essere infermo, di bellissimo ingegno e di felicissima memoria, sebbene fosse per natura di grosso ingegno e di memoria fiacca nel sapere umano. Era di pochissimo sonno, esperto nel restante, diligente e liberale. Nella conversazione era mansueto e umile, affabile e piacevole. Discretissimo nelle cose altrui. Prima e dopo la sua perfetta conversione a Dio era tra gli spirituali spiritualissimo, tra i devoti devotissimo, tra i perfetti perfettissimo… Era tra i peccatori umilissimo e
abbiettissimo, ma sempre unito a Gesù Cristo nostro Redentore. Chi lo
vedeva lo giudicava un uomo del paradiso, tutto immerso e sprofondato nell’abisso del divino amore.
I PRIMI PASSI SULLA VIA DELLA SANTITA’
Il convento di S. Francesco di Bisignano è stato edificato al tempo del
padre san Francesco di Assisi e vi furono padri guardiani l’anno 1219 S.
Leone de Summa e l’anno 1220 S. Nicolò Abenante, tutti e due missionari
e martiri tra i Saraceni. In questo convento fu sepolto fra Umile. Era nato a
Bisignano, nel vico di S. Pietro, il 26 agosto 1582. Ebbe il nome di Lucantonio. Fu chiamato fra Umile quando entrò nell’Ordine dei Frati Minori.
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Fin dall’infanzia diede segni di straordinari doni divini. Riferisce suo
fratello Francesco Mazzeo (nato da seconde nozze della madre) che il servo di Dio succhiava latte una sola volta al giorno.
A tre anni Dio gli fece capire che veniva lodato e benedetto continuamente dagli angeli. Così è riferito da fra Dionigi da Canosa, che fu direttore spirituale di fra Umile e suo primo biografo. Il piccolo Lucantonio chiese agli angeli (con i quali conversava abitualmente) in che maniera lodassero Dio. Gli risposero che dicevano: Santo, Santo, Santo! Da allora spesso
si appartava per ripetere insieme con loro le lodi divine. Si inginocchiava
e restava così anche per un’ora intera. Spesso invitava i compagni, accanto a un altarino improvvisato, dicendo: Lodiamo il Signore, dicendo: Santo,
Santo, Santo. Benediciamo anche la Madonna cantando l’Ave Maria. Anche la
sorella da parte della madre, Dianora Mazzea, riferì il ricordo di simili singolari giochi.
Lucantonio disse che spesso la Madonna si era preso l’incarico di chiamare misteriosamente il suo padre spirituale quando si recava alla porta
del convento per confessarsi.
Lucantonio perse il padre a tre anni. La madre si sposò nuovamente
con Ascanio Mazzeo, uomo pio e affettuoso verso i figli della sposa. Divenuto più grandicello, Lucantonio si dedicava ai lavori di campagna, senza
trascurare di servire Dio. Partecipava alla messa ogni mattina, pregava e
digiunava tre volte la settimana cioè mercoledì, venerdì e sabato. In questi
tre giorni si flagellava con catene di ferro.
A sedici anni si iscrisse alla Confraternita dell’Immacolata; così evitava le compagnie pericolose e si esercitava in pie pratiche. Ebbe la grazia di
mettersi sotto la direzione spirituale del santo sacerdote Don Marcantonio
Solima. Il nuovo padre spirituale ordinò a Lucantonio di farsi vedere ogni
mattina per ricevere istruzioni sulla meditazione del giorno; e la sera per
rendergli conto della preghiera giornaliera e dei frutti che aveva ricavato.
Poi il santo sacerdote gli assegnava il punto di meditazione per la notte.
Così Lucantonio teneva la mente sempre rivolta al Signore. Durante il lavoro dei campi di tanto in tanto si dava più a lungo alla sola orazione; si
flagellava per non cadere nei vizi. La preghiera quotidiana era della durata di due o tre ore. Così riferisce suo cugino Matteo Cosenza che spesso lavorava con lui. La sera, sebbene fosse molto stanco, scendeva in una stanza nella parte inferiore della casa e si dava a lunghe ore di orazione. Molte
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volte si alzava di notte per andare a pregare e talvolta lasciava intatto il letto come era stato preparato la mattina dalla mamma o dalle sorelle. Il demonio tentò in vari modi di distoglierlo dalla preghiera. Lo atterriva apparendogli come ferocissimo leone. Il pio giovane correva a nascondersi a letto. Il padre spirituale lo seppe per divina ispirazione e il mattino dopo gli
disse sorridendo: Lucantonio, sei stato codardo stanotte. Non bisogna voltar le
spalle al nemico.
Una volta, mentre passava la notte in orazione in campagna, il demonio gli apparve come un lupo. Ma egli continuò a pregare senza
scomporsi… Il padre spirituale gli suggeriva penitenze per fortificarlo
nello spirito. Una mattina Lucantonio prima che andasse a vendemmiare, fece la solita visita al padre del suo spirito. Questi gli disse di
non assaggiare uva per tutto il giorno. Lucantonio obbedì. La sera,
mentre andava con il carro a portare il lino nell’acqua per abbonarlo,
passò sotto una pergola, prese un grappolo d’uva e lo mangiò. Quando
si presentò al padre spirituale, questi gli disse: Goloso! Non ti sei trattenuto e hai mangiato un grappolo di “mantonico” (così si chiamava quell’uva). Lucantonio chiese perdono. Una volta in campagna Lucantonio
ebbe in mente il desiderio di recarsi in varie parti del mondo. Il padre
spirituale lo mandò a chiamare e gli disse: Dove vuoi andare? Sappi che il
Signore ti ha destinato per altro. E gli predisse che doveva farsi Frate Minore del convento della Riforma di Bisignano. Allora non si aveva notizia di questo ramo dell’Ordine francescano, perché a Bisignano il convento era dei Minori Osservanti; e soltanto poi (l’anno 1600) passò a
quello dei Riformati.
Riferisce Marcello Carpanzano, un confratello della Congrega dell’
Immacolata, che Lucantonio più volte andava in estasi quando si riunivano in preghiera. Fra Bartolo da Bisignano diceva che fra Umile gli aveva
confidato di aver ricevuto il dono delle estasi fin dai sette anni. Ma tale fenomeno venne scoperto soltanto il 24 giugno 1613…
Le visioni e le gioie celesti si moltiplicavano tanto che il pio giovane
disse a Gesù: Signore, tu nella tua vita hai attraversato spine e croci. Com’è possibile che io sia consolato con le gioie che sono proprio dei santi in cielo? – Gesù
gli rispose: E’ necessario che talvolta le consolazioni celesti vi aiutino a servirmi,
perché poi trovandovi nella tribolazioni vi ricordiate dei celesti favori e potrete sopportare meglio la croce.
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Si mortificava nel cibo e nel sonno, nonostante fosse intento a duri lavori nei campi. Arrivò fino a cibarsi di solo pane e acqua. Per spirito di carità, andò ad aiutare un parente a lavorare. Al ritorno il patrigno gli disse:
Lucantonio, dimmi che cosa hai fatto oggi? – Rispose: Ho fatto la carità a un nostro parente. Soggiunse: Non l’hai fatto per carità, ma per golosità, per ricevere in
compenso delle ricotte. Lui infatti possiede le vacche.
Lucantonio pensò: Se mio padre dice così, è segno che sono davvero goloso.
Devo dunque castigarmi. Non voglio mangiare né carne né ricotte. Per un anno
mangiò solo pane e acqua. Questo è stato raccontato da fra Vincenzo da Bisignano che l’aveva udito dalle stesse labbra del Santo.
Affermano Francesco, Dianora e Maria (fratello e sorelle di Lucantonio) che egli non portava camicia, ma un cilizio che teneva addosso giorno e notte, e che tre volte la settimana si batteva con una catena fino al sangue. Gli esercizi di penitenza e di orazione lo tenevano in profonda umiltà, in uno stato di interna sottomissione e di continua e grande pace.
Se un bove gli sfuggiva, correva a rincorrerlo, lo legava e andava a trovare il padrone del terreno per risarcirlo dei danni. Una volta era andato al
giardino di un uomo nobile e orgoglioso per riprendere le bestie, che gli
erano scappate. Il gentiluomo, salito in collera, lo schiaffeggiò. L’umile giovinetto porse l’altra guancia e in ginocchio chiese perdono. Quel gentiluomo restò ammirato e confuso. Il demonio fece sì che i bovi tornassero a pascolare nello stesso giardino. Corse Lucantonio per allontanarli. Il padrone
pensò che ve li avesse condotti a posta. Sfoderò la spada e la lanciò contro
Lucantonio. Questi si inginocchiò per chieder perdono. La spada a quattro
dita dal suo ventre cascò per terra.
Fra Vincenzo da Bisignano, prima di entrare in convento, era stato fabbro ferraio. Da lui Lucantonio si recò per nove anni per riparare gli attrezzi
di lavoro. Era sempre il primo a presentarsi in officina, ma l’ultimo a farsi
servire. Cosa che il futuro fra Vincenzo osservava con grande ammirazione.
Lucantonio meditava la passione di Gesù, spargendo calde lacrime di
compassione. Una volta gli fu dato di sentire le parole che dissero i persecutori del Signore, di vedere i suoi tormenti e quelli della sua SS. Madre come se fossero presenti. Si commosse tanto da piangere lacrime di sangue e
lasciando i segni sul fazzoletto.
Qualche cosa di simile gli avvenne il 1 aprile del 1627, quando era già
in convento. Era giovedì santo sera. Interrogato dal suo padre spirituale
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sulla passione del Signore, la raccontò per filo e per segno come gli era stata rivelata. Dieci anni dopo, il santo religioso e artista, fra Umile da Petralia, finiva di scolpire il Crocifisso che si trova nella chiesa del convento di
Bisignano. I due frati Umile si saranno comunicate le esperienze spirituali
e le hanno lasciate a noi impresse in quell’immagine che rivela molto eloquentemente il dolore e l’amore di Gesù. Dalla meditazione della passione
di Gesù, il servo di Dio ricevette tanto ardore di spirito da essere spesso assorto in dolcissima estasi.
Una volta, mentre era nella chiesa della Congrega dell’ Immacolata,
prima di comunicarsi, si scalzò, depose il mantello e si recò all’altare. Lì fu
rapito in estasi e rimase in quello stato finché si comunicarono tutti ed erano in gran numero.
Praticava rigorosi digiuni, cibandosi di pane e acqua. Partecipava ogni
giorno a messa e si comunicava spesso. Don Orazio La Groppa, già padre
spirituale della Congrega, raccontava che Lucantonio, dopo la comunione,
andava in giro tra i confratelli della Congrega e con grande umiltà baciava
loro i piedi. Portava pace nelle discordie, faceva riconciliare i nemici, sollevava i poveri e dava loro quello che sottraeva alle proprie necessità. Era
ardente di zelo per la salvezza delle anime. Menava una vita povera, andava vestito molto modestamente, non conosceva il denaro, mai volle
averne con sé. Era sottomesso ai genitori e ai sacerdoti. Custodiva diligentemente la castità.
Gradito a Dio, ricevette numerosi doni celesti: scrutazione dei cuori,
estasi, miracoli. Guarì immediatamente il cugino Giovanni Battista Cosenza gravemente offeso alle mani e ai piedi. Attraversò il fiume Crati (allora
navigabile) a piedi asciutti. Un’altra volta, passando il fiume a cavallo, fu
assorbito dalle acque fino al collo del cavallo. Con fede gridò: Gesù e Maria, salvatemi! Fu sollevato dalle acque e uscì dal fiume senza alcun danno.
LA CARITA’ DI LUCANTONIO
Sebbene mangiasse pane e acqua e soltanto a sera, tuttavia portava
sempre del pane per darlo ai poveri per amore del Signore che si fece povero per noi. La madre gli diceva che non occorreva portare con sé il pane,
se non lo mangiava. Il servo di Dio rispondeva: Il pane che porto con me la
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mattina serve per nutrire l’anima, quello che mangio la sera serve per sostentare il
corpo. Visitava gli infermi con grande carità e con sollecitudine per la loro anima. Li aiutava e li esortava a sopportare con pazienza le sofferenze
per amore del Signore. Portava loro cibi e quanto poteva essere di giovamento.
Una sua zia, gravemente malata, ebbe il desiderio delle ciliegie. Era il
mese di gennaio. Lucantonio pregò il Signore con insistente amore. La bontà di Dio gli venne incontro per la sua ardente carità: gli si riempì di ciliegie un fazzoletto. Le portò alla zia che ne mangiò con gusto e guarì dalla
malattia. Questo miracolo lo confermò la figlia dell’inferma.
Una volta andò al mulino per macinare una soma di grano, come afferma suo fratello Francesco; e ivi trovò un povero infermo forestiero. Lo
caricò sull’asino insieme con il grano macinato. Lungo la strada vide che il
malato perdeva le forze. Lucantonio si preoccupò di suggerirgli preghiere
di perdono per prepararlo alla morte. Morì l’infermo. Lucantonio lo portò
a seppellire all’ ospedale dei santi Pietro e Paolo di Bisignano.
Molti chiamavano il Santo presso il letto dei moribondi; ed egli compiva questo ufficio come un serafino. Il Signore volle che il suo servo vedesse
le anime dopo morte in paradiso o nell’inferno. Testimonia sua sorella Dianora di aver inteso dalla sua bocca che vedeva le anime salvate in forma di
una bianchissima e bellissima nube, mentre quelle dannate le vedeva come
una nube nerissima e bruttissima.
Riprese i parenti di Battista di Rose dicendo: Non piangete, ma fate festa
perché il Signore si è degnato di salvarlo. - Quando invece si dannavano, non
rimproverava il pianto, ma aggiungeva anche le sue lacrime.
Una zia materna era grandemente afflitta per la morte del figlio Giovanni Tommaso della Ritunda. Il servo di Dio chiese consiglio dal padre
spirituale per sapere che cosa fare per consolare la zia. Ebbe questa risposta:
Vieni qua, figlio nel Signore benedetto. Alza gli occhi e vedi tuo cugino tra i cittadini del cielo; e gode l’infinito, eterno Signore. Vai a riferire alla madre che resti consolata. E se anche lei vuole vederlo, fallo vedere tu stesso.
Lucantonio andò e disse alla zia se volesse vedere suo figlio in cielo.
Gli rispose di no. Egli chiamò una sorella del defunto, di nome Aurelia, e
le disse: Vedi almeno tu tuo fratello in paradiso, glorioso e che gode il Signore, dato che tua madre non vuole vederlo. Ella alzò gli occhi e lo vide. Lo testimoniò
lei e sua sorella.
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VOCAZIONE RELIGIOSA
Mentre Lucantonio mieteva la biada, presso il ponte vecchio del Moccone, sentì una voce dolcissima che lo chiamava: Lucantonio, Lucantonio! Rispose: Chi è che mi chiama? - Replicò l’amabilissimo Gesù: Io sono il tuo Signore Gesù Cristo che hai servito nel mondo. Ma ora voglio che tu mi serva nella
Riforma dei Minori Osservanti del mio fedelissimo Francesco d’ Assisi. Perciò mettiti in ordine, perché ben presto si dovrà fare la Congregazione di detta Riforma, e
in quella sarai ricevuto perché mi sia vaso di elezione e con la tua buona e santa vita porti il mio nome ad essere riverito dalla gente.
INGRESSO NELLA VITA RELIGIOSA
Il 5 febbraio del 1600 i frati riformati ottennero il convento di Bisignano. Là si recava frequentemente il pio giovane Lucantonio Pirozzo. Questi
chiese più volte di entrare nell’Ordine, ma non fu accolto finché non ebbe
la licenza di sua madre, giustamente preoccupata dei figli piccoli e orfani
di padre. La madre infatti era diventata nuovamente vedova, e pregò Lucantonio di attendere che crescessero il fratello e le sorelle. Don Marcantonio gli aveva detto che avrebbe indossato l’abito a 27 anni. E così avvenne.
Esattamente nove anni dopo di aver sentito la voce dall’alto che lo chiamava alla vita religiosa francescana.
Giunto il tempo in cui la madre diede la licenza a Lucantonio, questi si rivolse ai frati del convento che lo accolsero volentieri, data la fama di
santità che aveva acquistato da tempo.
Prima di partire, Lucantonio chiese alla madre la benedizione e il perdono dei dispiaceri che le avesse causati. La madre con la benedizione gli
diede anche dieci scudi per l’abito e la biancheria personale, dato che i frati della Riforma non erano in grado di provvederglieli. Le norme della vita religiosa esigevano che i postulanti trascorressero prima un certo tempo
in un convento adatto per il postulandato; poi potevano entrare nell’anno
di noviziato, alla fine del quale divenivano religiosi a tutti gli effetti. Al
tempo del nostro servo di Dio, i postulanti si riunivano nel convento di Dipingano. Là fu mandato Lucantonio. S’incamminò verso il fiume Crati, lo
oltrepassò a piedi asciutti, ma soltanto dopo aver superato non pochi assalti del demonio… poté raggiungere il convento di Dipingano.
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NELLA VITA RELIGIOSA
Lucantonio, giunto a Dipingano, fu ricevuto dal padre fra Francesco
da Rossano, allora custode (superiore) della Riforma di questa provincia e
fu rivestito dell’abito religioso. Era il 2 settembre 1609, martedì mattina.
Lucantonio aveva 27 anni e 7 giorni. Gli fu imposto il nome di fra Umile
da Bisignano. Fu mandato per l’anno di noviziato nel convento di S. Maria delle Grazie di Mesoraca, distante da Bisignano circa 42 miglia. Là fu di
esempio a tutti i religiosi e al padre guardiano e suo maestro, fra Benedetto da Cutro.
Fra Umile era sempre occupato nel lavoro dell’orto o della cucina, ma
non trascurò mai l’esercizio dell’orazione, anzi di continuo era in meditazione anche durante le occupazioni quotidiane. Così riferisce il padre fra
Bernardino da Bisignano che l’aveva sentito dal santo confratello con grandissima semplicità.
Alla fine del noviziato, fra Umile non aveva imparato la regola a
memoria, come era richiesto per emettere la professione dei voti di obbedienza, povertà e castità e così entrare nell’Ordine. Gli fu riferito che
doveva abbandonare il convento e ritornare alla casa paterna. Il pio novizio andò davanti all’ immagine della Madonna (tuttora esistente sull’altare maggiore) e pregò: Signora mia, sono venuto a chiederti licenza perché devo ritornare al mio paese. I frati mi hanno giudicato indegno della loro
compagnia perché non ho potuto imparare a memoria la regola in tutto questo
anno. Poiché il Signore non mi vuole nell’Ordine, ti chiedo licenza, Signora, per
tornare al mio paese.
Detto questo con umiltà, semplicità e affetto, udì una voce che gli disse: Va’, fra Umile, che sarà pensiero mio quando ti toccherà recitare la regola a memoria.
Nel giorno stabilito, in refettorio davanti ai frati a recitare la regola a
memoria, in ultimo fu chiamato anche fra Umile. Il padre guardiano pur
sapendo che fra Umile era impreparato, gli ordinò: Fra Umile, dite la regola.
Ed egli cominciò e continuò sino alla fine, sebbene in tutto l’anno non era
stato capace di imparare neanche un capitolo. Con molto stupore e contentezza di tutti i frati, perché lo amavano molto, lo ammisero alla professione dei voti religiosi.
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I PRIMI ANNI DI VITA RELIGIOSA
I fenomeni straordinari di fra Umile insospettirono i superiori nel timore che si trattasse di opera diabolica. Rimproverarono e castigarono
spesso il pio religioso. Ed egli accettò con umiltà i rimproveri. Fu perfino
rinchiuso in carcere in un sottoscala perché sospettato di essere vittima di
illusioni diaboliche. Dio permette le sofferenze dei suoi servi per renderli
forti nella virtù, ma non li priva di attenzioni e di consolazioni celesti.
Il nome di fra Umile cominciò a divulgarsi come quello di un santo.
La gente accorreva a lui per chiedere consigli e preghiere. La vita del servo di Dio si alternava tra le dure prove dei superiori, l’ammirazione della
folla, le vessazioni diaboliche, le estasi e le consolazioni celesti.
Nel convento di Mesoraca erano andate molte persone a cercare fra
Umile. Il Padre Guardiano, per sperimentare la virtù del servo di Dio, lo
rimproverò aspramente perché per causa sua veniva disturbata la quiete
della casa religiosa. Gli comandò di uscire dal convento perché indegno di
abitarvi e di non rientrare se non dietro suo ordine. Il superiore, occupato
in molte faccende, si ricordò di fra Umile soltanto alle due di notte. Dolentissimo, mandò due religiosi a ricercarlo. Uno di loro riferisce: Lo trovammo
vicino alla porta che si apre verso l’orto. Era in estasi, aveva le mani nelle maniche.
Lo conducemmo dal padre guardiano. Questi ancora una volta lo rimproverò come poltrone, fannullone e dormiglione. Fra Umile, ancora in estasi, non si scompose,. Lo conducemmo in cella. Appena giunto, saltò come uno scoiattolo al di sopra del letto e rimase immobile in estasi. Così lo trovammo il mattino seguente.
Un teste del processo afferma: Lo vidi andare per la questua scalzo, carico
di pignatte, dopo un forte rimprovero del superiore. Fra Umile obbedì prontamente.
Era stato mandato dal convento di Petilia Policastro a quello di Figline.
Il viaggio si faceva a piedi, attraverso la Sila. Fu sorpreso dalla neve abbondante. Il servo di Dio non si preoccupò né del freddo né dei piedi nudi in
mezzo alla neve. Proseguì il viaggio e raggiunse Figline a notte inoltrata. A
mezzanotte la campanella chiamava i religiosi alla preghiera notturna. Anche fra Umile vi andò, sebbene fosse stanco, affamato e intirizzito dal freddo. Dio lo premiò in modo straordinario per la sua eroica obbedienza. Fu
rapito in estasi e per quattro ore predicò le meraviglie divine con un’eloquenza che proveniva dall’alto, edificando grandemente i confratelli.
Fra Umile rifuggiva ogni attestato di lode e attribuiva ogni bene alla
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benevolenza divina. Quando procurava qualche grazia al prossimo, si serviva dell’olio della lampada della Madonna perché si attribuisse a lei la
grazia ricevuta.Aveva un basso concetto di sé, si reputava un grande peccatore e desiderava che tutti lo riconoscessero per tale.
I frati di Sicilia chiesero al Padre Generale dell’ Ordine che mandasse
loro fra Umile. Al comando del superiore fra Umile si recò in Sicilia accompagnato da fra Domenico di Cutro. Questi andò mal volentieri e si comportò molto male con il povero fra Umile.
L’umiltà del servo di Dio era congiunta a mansuetudine e dolcezza.
Riferisce un testimone del processo: “Per otto giorni stetti in convento con
fra Umile. Non lo vidi mai adirarsi. Aveva aspetto sempre affabile. Mai lo
vidi alterato in volto. Era talmente affabile e piacevole che tutti si intrattenevano volentieri a parlare con lui”. Altri testimoni riferiscono: “Era molto paziente e sopportava allegramente le avversità. Sopportava persecuzioni con pazienza”. Una testimonianza in prima persona: “Confesso un
mio errore. Ero giovane, quando mio fratello prese l’abito dello stesso Ordine di fra Umile. Mi alterai molto di questa decisione e tentai di distogliere mio fratello dal proposito di farsi religioso. Mi recai personalmente a discutere con lui, ma invano. Lasciai la cella di mio fratello adirato e agitato.
Lungo le scale incontrai fra Umile, gli diedi un urtone e scappai via. Egli
non si disturbò minimamente”.
La fama di fra Umile si divulgò in Calabria, in Sicilia, in Campania e
anche a Roma, dove i Pontefici Gregorio XV e Urbano VIII vollero vederlo e consigliarsi con lui. La gente accorreva e lo venerava, ma il servo di Dio
si addolorava delle manifestazioni di devozione. Egli ripeteva spesso di
sentirsi come un condannato a morte che aveva visto nella città di Cosenza: una folla di gente lo accompagnava al patibolo. Quando però videro fra
Umile, abbandonarono il condannato a morte e corsero tutti dietro a lui.
Concludeva: Dunque io sono il peggiore dei condannati a morte!
LA SUA UMILTA’
Quando fu chiamato a Roma dal papa Gregorio XV, alloggiava nel
convento di S. Francesco a Ripa. Era trattato con molta familiarità dal sommo pontefice e anche invitato a mensa con lui. Una volta fra Umile era in-
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fermo e non poteva andare a piedi dal papa, che si premurò di mandargli
una carrozza. Senza che il servo di Dio ne fosse avvertito, disse al suo compagno: Andiamo subito a piedi, altrimenti il papa manda la sua carrozza. Quando mai fra Umile è andato in carrozza? Un peccatore è mai degno di essere così onorato dal papa? Lungo la strada si incontrò con la carrozza papale. Il cocchiere lo invitò a salire, ma fra Umile continuò la strada a piedi.
Riteneva che il nome di fra Umile gli fosse stato imposto come monito continuo per ricordargli: Fatti Umile! – Un monsignore del palazzo pontificio lo chiamò: Fra Umile cioè fatti umile, fatti umile! – Ne fu contentissimo.
Il padre fra Benedetto da Cutro, superiore provinciale, aveva incaricato un novizio, fra Francesco da Bisignano, di rimproverare fra Umile ogni
volta che lo incontrava per i corridoi del convento di Mesoraca dicendogli
che non era degno di indossare l’abito religioso perché era religioso soltanto di nome; e aggiungeva altre umiliazioni. Fra Umile accoglieva tutto con
grande umiltà, anzi quando incontrava il novizio (pur essendo lui un frate professo) si inginocchiava e ascoltava i rimproveri. Alcuni frati rimproverarono il novizio, ma fra Umile diceva: Per carità, padri e fratelli miei, lasciatelo dire perché dice il vero. Se i superiori comandano questo, è segno che sanno bene che sono molto difettoso.
Padre Canosa per metterlo alla prova gli disse: Ti voglio insegnare il
modo di conoscere le cose future. Fra Umile fuggì terrorizzato dicendo le
parole di Giuseppe nella Bibbia: Non è forse riservato a Dio solo l’interpretazione (Gn 40)?
A Roma, un signore gli chiese da quanti anni era religioso. Rispose: Da
questa mattina sono religioso. – Replicò: Com’è possibile? – Fra Umile disse: Da
questa mattina ho fatto il fermo proposito di essere religioso e per questo ritengo che
da stamattina ho ricevuto l’abito della religione.
Il padre fra Francesco da Corigliano riferisce di aver sentito fra Umile
disprezzare se stesso nella sua cella quando era in estasi dicendo: O sfacciata anima mia tanto ingrata e indegna di essere creatura di Dio…
Alcune donne romane molto devote gli chiesero da dove venisse. Rispose: Sono della terra. – Dissero: Che nome ha quella terra? – Disse: Sono della terra e non posso chiamarmi di altro luogo che della misera terra. – Voleva dire che non era degno di essere chiamato diversamente che polvere e cenere e che voleva imitare il Redentore che disse di non avere un luogo come
sua dimora.
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Sfuggiva onori e visite di secolari, di principi e di cardinali, come avveniva spesso nel convento di S. Francesco a Ripa in Roma. Andava a nascondersi per dedicarsi alla contemplazione continua e difficilmente lo trovavano. Se però conosceva interiormente che era desiderio del superiore
che si facesse vedere, subito obbediva.
Nel convento S. Croce, in Napoli, quando era convalescente, il frate incaricato dell’infermeria aveva chiamato un pittore perché ritraesse il suo
volto. Fra Umile, dopo aver partecipato a messa, si chiuse in cella. Quando insistentemente gli bussarono alla porta, rispose che i papi, i re e i grandi del mondo si fanno dipingere, non lui che era un povero peccatore e una
vilissima creatura.
Il padre fra Bonaventura da Bisignano e fra Giacomo da Bisignano,
quando erano ancora secolari, si recarono una domenica a messa nella
chiesa del convento. Dopo cercarono fra Umile. Si trovava nel piccolo coro
superiore da cui si vedeva l’altare maggiore: ascoltava la messa conventuale. Si avvicinarono delicatamente di dietro e tagliarono con le forbici un
pezzo della tonaca. Poi ritornarono di nuovo; ma questa volta egli si accorse e si voltò dicendo: Che cosa avete fatto? – Risposero che avevano tagliato
un po’ dell’abito per devozione. Disse: Per mia devozione? Per devozione di
un peccatore avete rovinato una tonaca? Che Dio vi perdoni. Sappiate che non bisogna avere devozione a me, che sono un peccatore, ma al santissimo Sacramento,
alla passione di Cristo, a Maria vergine, e agli altri santi del paradiso. Si allontanarono con grande rossore e ammirazione per la sua umiltà.
Quando la gente ricorreva a lui per chiedere preghiere, rispondeva di
essere il più grande peccatore. Un teste riferisce: Appena vedemmo passare il
servo di Dio, ci lanciammo al suo seguito, dicendo: Questi p fra Umile, il gran servo di Dio. Tagliamo un pezzetto del suo abito per avere con noi una sua reliquia. Ognuno si fornì di forbici, e fummo addosso al frate. Il suo abito si accorciò subito
fino al ginocchio. Fra Umile, nel vedere tanta calca di gente, tentava di schermirsi
piangendo”.
Fenomeni del genere sono stati molti…
Giovanni Andrea Corinzia accompagnò in nave fra Umile da Napoli
in Calabria. Quando si trovarono presso la spiaggia di Scalea, fra Umile conobbe per ispirazione divina gli onori che gli erano stati preparati in quella città. Pregò i marinai di non fare scalo in Scalea perché lì avrebbe avuto
molti disturbi. I marinai non potevano andare più avanti e dovettero ap-
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prodare in quella spiaggia. Il principe di Scalea e la principessa mandarono una scialuppa a prelevare il servo di Dio e lo attesero in riva al mare. Lo
accolsero con grande consolazione al suono festoso delle campane e di
strumenti musicali. Tutto questo causava una grande pena al servo di Dio.
Poi passò a Paola dove fu accolto con applausi dai signori e dal popolo.
Giunta la notizia al popolo di Bocchigliero, corsero con grande devozione presso la casa ove alloggiava fra Umile. Ma poiché avevano serrato
diligentemente le porte per evitare tumulto, la gente scavalcò le finestre.
Fra Umile rimase mortificato come un responsabile di fatti delittuosi. Riuscì a calmare il popolo e ripartì di nascosto la stessa notte. Così pure molte altre volte dovette allontanarsi dai conventi di notte.
Fra Umile per nascondere i doni di Dio chiamava l’estasi sonno, debolezza e infermità. Quando gli si chiedeva che cosa avesse fatto durante
l’estasi, rispondeva che aveva dormito.
Un superiore gli comandò di non andare in estasi. Per dieci giorni non
ebbe più quel fenomeno. Interrogato dal superiore come mai non fosse andato in estasi in quel tempo, rispose: Credo che il Signore mi ha liberato da questa infermità che ho avuto da quando ero fanciullo.
Aveva basso sentimento di sé da dire che non meritava niente da Dio
in questa vita. Aveva pregato perché gli fossero tolte le estasi, ma non fu
esaudito perché così mortificasse se stesso.
L’ultimo anno della sua vita, durante la quaresima, andava in cattedrale (distante circa un miglio) per ascoltare la predica e con la scusa del
freddo, ma in realtà per amore di umiltà, portava sopra il mantello una coperta che usava a letto.
PERFETTA UBBIDIENZA
Fra Umile era pronto all’obbedienza ed eseguiva gli ordini dei superiori da farli meravigliare perché a volte gli comandavano cose strane e impertinenti.
Fra Benedetto da Cutro, guardiano del convento di Mesoraca durante
il tempo del noviziato di fra Umile, riferisce che il servo di Dio si mostrò in
tutto obbedientissimo: andava per la questua, serviva la mensa, coltivava
l’orto e non trascurava la partecipazione al coro di giorno e di notte. Quan-
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do era chiamato dal superiore, anche se si trovasse intento all’orazione, lasciava subito e andava con prontezza dove l’obbedienza lo chiamava. Eseguiva quanto gli era comandato senza replicare. Per obbedienza mangiò
carne dalla quale si era sempre astenuto. Non beveva mai vino se non per
comando del superiore o per prescrizione del medico.
Praticava molte mortificazioni, ma quando gli venivano proibite, obbediva subito.
Aveva l’incarico di ortolano. Per sfogare gli impeti del cuore nella solitudine, aveva preparato alcune grotte con dentro delle croci. Davanti ad
esse si raccoglieva in preghiera nelle soste dal lavoro. Era in fondo all’orto,
dove anche oggi si chiama orticello di fra Umile. Là andò a trovarlo il padre
guardiano fra Antonio da Fuscaldo per provare la sua obbedienza. Il servo di Dio stava piantando cavoli. Il padre guardiano lo riprese aspramente dicendo che non si dovevano piantare in quella maniera, ma con le foglie sotto terra e le radici in alto. Senza replicar parola, fra Umile obbedì
immediatamente. Per tutto il giorno piantò cavoli alla rovescia. Quei cavoli germogliarono presto, ed erano molto buoni.
Fra Umile era in viaggio verso S. Severina insieme col padre provinciale, fra Antonino da Fuscaldo e fra Marino da Rossano terziario. Lungo
la strada fra Umile andò in estasi. Gli altri persero la strada, ma lo videro
dietro spostandosi in estasi. Il provinciale gli comandò mentalmente di
mettersi avanti e fare da guida. Immediatamente egli obbedì, raggiunse gli
altri e disse: Questa è la strada del nostro cammino.
Aveva l’abitudine di partecipare a tutte le messe che poteva per imitare gli angeli che continuamente stanno davanti al trono di Dio. Il superiore una volta gli comandò mentalmente di partecipare a una sola al giorno
e poi ritirarsi in cella. Ed egli eseguì subito il comando. Il superiore gli domandò perché non partecipasse più alle messe come era suo solito. Rispose: Ho fatto la sua ubbidienza. – Replicò: Quale obbedienza? – Rispose: Che non
servissi e non ascoltassi più di una messa e che mi ritirassi in cella. Questo comando l’ ha fatto mentalmente. Ebbe la proibizione di parlare con i secolari, di non
chiedere grazie ai tribunali, di non dare risposte di cose future, di non uscire dal convento se non con il compagno assegnatogli. Il servo di Dio accettò con serenità e gioia tali proibizioni.
Nel nostro convento di S. Maria di Costantinopoli in Cosenza, il padre
visitatore, per provarlo nella virtù, gli comandò di flagellarsi ogni mattina
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in presenza dei frati, di mangiare a terra, di ascoltare una sola messa e poi
recarsi a zappare fino a mezzogiorno. Era il mese di agosto, il terreno era
secco, il sole era molto forte. Fra Umile zappando si esercitava in altissime
contemplazioni. Una mattina, al suono della campana al momento dell’elevazione, andò in estasi e rimase immobile con la zappa in mano. Rimase così fino a compieta. Gran parte dei frati non si accorse della sua assenza. Lo
trovarono poi tutto abbronzato dal sole. Tentarono di togliergli la zappa dalle mani, ma fu impossibile. Ritornò in sé al comando del superiore.
Il custode provinciale fra Benedetto da Cutro, nel convento di S. Maria
di Costantinopoli in Cosenza, lo rimproverò severamente e gli ingiunse di
recarsi nella sua città natale, senz’abito, in mutande, con un crocifisso in mano e una corda al collo e di flagellarsi gridando: Non credete più a me perché
sono un peccatore. – Subito dopo si recasse nel convento di S. Lorenzo, distante dodici miglia da Bisignano. Eseguì immediatamente l’ordine. Era il 5 giugno 1618. Ci fu chi lo prese per pazzo, ma la maggior parte rimase ammirata e commossa. Il vescovo lo coprì con il suo mantello e mandò a prendere l’abito in convento. Il servo di Dio, il giorno dopo, subito compì la seconda ubbidienza di recarsi a S. Lorenzo del Vallo. Lungo la strada un contadino, che non lo riconobbe, gli disse: Che peccato ha fatto quel frate che ieri andò
flagellandosi per le vie del paese? – Per non scandalizzarlo, rispose: Non aveva
fatto alcun male, ma solo per obbedienza ebbe questo comando.
Mentre si trovava a Napoli, Sant’Umile ricevette l’ordine di recarsi a
Roma. Era molto debole in forze per gravi infermità sopraggiuntegli. Fu
esortato dai confratelli del luogo a non mettersi in cammino in quelle condizioni di salute. Egli invece sapeva, come già altre volte aveva sperimentato, che, appena si metteva in viaggio, riceveva subito le forze necessarie
per compiere l’obbedienza. E partì. Il viaggio a piedi non gli causò alcun
danno; e giunse felicemente a Roma.
Fra Tommaso da Bisignano aveva accompagnato fra Umile al convento di S. Fili. Doveva subito ritornare al suo convento perché lo attendeva il superiore. Si rovesciò una pioggia dirotta da impedire il
viaggio. Fra Umile esortò il confratello a non mancare all’obbedienza,
ma a riprendere subito la via del ritorno, confidando fiduciosamente in
Dio. Quel religioso prestò fede alle parole di fra Umile e si mise in viaggio. Percorse tutto il cammino sotto la pioggia continua, ma non fu toc-
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cato neanche da una goccia di acqua.
Un’altra volta il Santo si trovava nel convento di Palazzuola presso Albano. Era necessario trasportare una grossa vasca di pietra e collocarla sopra alcuni gradini. I religiosi si erano affaticati inutilmente intorno ad essa.
Il padre Guardiano comandò a fra Umile di tracciare il segno di croce. Egli
obbedì prontamente. Con meraviglia di tutti, il masso che poco prima non
poteva essere rimosso, divenne talmente leggero che con facilità fu collocato al luogo destinato.
Fra Francesco di Magli era stato assegnato come compagno di viaggio
di fra Umile e come rappresentante del superiore. Andando avanti fra
Francesco, fece con il bastone un segno sulla polvere della strada dicendo
dentro di sé: Qui fra Umile deve fermarsi. –Giunto là, il servo di Dio si fermò.
Gli disse fra Francesco: Perché non cammini? – Rispose: Tu me lo impedisci con
il tuo precetto.
POVERTA’
Da frate, in convento, rinunziò a molti beni: denaro, seta, beni mobili
e immobili, bestiame e casa, familiari. Vestiva abiti rappezzati, indossava
una sola tonaca, andava scalzo. Ma per le sue infermità, dopo undici anni
di vita religiosa, i superiori gli prescrissero minore rigidità e gli comandarono di portare gli zoccoli. Mangiava solo pane e acqua, anzi per otto anni
mangiò una sola volta al giorno. Anche qui intervennero i superiori a mitigare il suo rigore. Ma invece di migliorare nella salute, andò peggiorando. E diceva che se avesse osservato il rigore di prima avrebbe avuto migliore salute. Tuttavia obbedì sempre e in tutto.
Uno dei testimoni del processo di beatificazione riferisce: Intesi dire dai
frati che fra Umile, in viaggio lungo la Sila, fu richiesto dal compagno di viaggio
di qualche cosa da mangiare. Ma fra Umile non prendeva mai niente per il viaggio, confidando nella divina Provvidenza. Rispose al suo compagno che ancora non
era ora di mangiare e che a suo tempo certamente avrebbero avuto il cibo necessario. Infatti più tardi videro dentro un pagliaio un vecchio che accolse i frati e diede
loro da mangiare. Dopo… si accomiatarono con il generoso benefattore e partirono. Fatti pochi passi, si voltarono ancora verso di lui, ma non videro più né il pagliaio, né il vecchio.
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Il padre fra Ludovico da Lattarico riferisce di aver accompagnato fra
Umile dal convento di S. Severina a quello di Bisignano, passando per la
Sila. All’ora di pranzo, non avendo nulla da mangiare, disse a fra Umile:
Se tu fossi un santo, mi faresti trovare qualche cosa da mangiare in questa montagna. - Rispose fra Umile: Io sono un povero peccatore, ma confidiamo nella divina Provvidenza che non mancherà di soccorrerci. - E infatti subito un giovane
di bell’aspetto portò loro pane e vino e ripartì senza far vedere per quale
strada si fosse dileguato.
Un giorno Gesù apparve al suo servo e gli disse: Io mi prendo cura dell’Ordine di S. Francesco, però è necessario che i frati si preoccupino di essere fedeli alla povertà che hanno promesso di osservare. Quindi gli comandò di riferire
queste parole al superiore. Replicò fra Umile: Signore mio, a me non presterà
fede. Gesù soggiunse: Diglielo alla presenza di due frati e avvertilo che se non
porrà attenzione a ciò avverranno dei disordini. Obbedì fra Umile, ma non essendo stato creduto, dovette constatare ciò che Gesù aveva predetto.
Il padre visitatore chiese a fra Umile di andare a questuare del denaro
in Bisignano per il suo viaggio in Sicilia. Il servo di Dio andò, ma chiese solo alle persone più povere e così non ebbe alcun denaro fra le mani, cosa
che aborriva di cuore. Di ritorno disse al superiore: Ho chiesto a molte persone il denaro, ma nessuno me ne ha dato. Fra Vincenzo da Bisignano gli domandò perché non avesse trovato denaro. Fra Umile rispose che nella regola è
scritto che non si può ricevere né maneggiare denaro. L’obbedienza l’aveva fatta e aveva anche osservato la regola.
Si lamentava il Santo perché si eccedeva nelle costruzioni dolendosi
che in tal maniera non si potesse osservare lo stile semplice e povero. Una
volta esclamò: Ahi, povertà, povertà! Dove andrai ad abitare? Ahi poverella, come ti cacciano dai conventi! Questo è segno che poco o nulla ti stimano! Me lo riferì fra Diego da Crucoli, che era tra i presenti.
Mentre S. Umile si trovava a Roma presso il papa Gregorio XV, andò
a trovarlo il fratello Francesco Mazzeo con il cognato Lelio di Rotella. Chiese il Santo come mai si trovassero a Roma. Risposero che erano andati per
vedere le chiese, e poi avevano ancora il desiderio di vedere il papa. Erano
passati molti giorni e non avevano ancora ottenuto questa grazia. Il fratello si adirò contro fra Umile rispose: State tranquilli, sarete consolati e ritornerete allegri a casa.
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Si recò dal papa e disse: Santo Padre, sono venuti mio fratello e mio cognato in Roma e desiderano vedervi. Dato che lei si trova indisposto, ho detto loro di
pazientare. Rispose il papa: Chiedete tutto quello che volete per questi vostri parenti, fra Umile, e sono disposto a concedervelo. Il Santo sapeva che il papa voleva dare non solo favori spirituali, ma anche temporali e disse: Santo Padre, non desidero altro che indulgenze e benedizioni spirituali. Il papa, ammirato e pieno di stupore, restò edificato del suo spirito povero di cose caduche. Fra Umile comunicò i favori spirituali concessi loro e li esortò a non
desiderare ricchezze perché – dice Gesù - è più facile che un cammello entri
per la cruna di un ago che un ricco in cielo.
CASTITA’
Da piccolo fra Umile evitava ogni cosa o parola che potesse offendere
la castità. Da tre anni conversava con gli angeli e con lo stesso Dio. Si mantenne puro fino alla fine della sua vita. Castigava con rigore il corpo con digiuni e flagellazioni. Si cingeva con una catena di ferro che gli causò piaghe, mai curate, e vermi. Si batteva il petto con una pietra e teneva mortificati i sensi.
Fra Giacomo d’Aiello, suo confessore, diceva che fra Umile conservò
intatta la purezza del suo corpo, del cuore e della mente fino alla morte. Fra
Francesco da Bisignano, un altro confessore del servo di Dio, diceva che fra
Umile era caro alla Madonna per la sua castità.
Molti frati hanno testimoniato che fra Umile portava il cilizio per domare il suo corpo e tenerlo santo e consacrato a Dio. Egli faceva di tutto per
evitare occasioni che potessero oscurare la bellezza della castità. I suoi discorsi erano modesti; non si lasciò sfuggire mai parola alcuna contro l’onestà o che avesse ombra di male.
Diceva fra Marino, compagno di fra Umile, che il servo di Dio aveva
spesso forti tentazioni diaboliche, ma se ne difendeva con fermezza. Si flagellava per domare gli istinti del male. Trovandosi di comunità nel convento di Cutro, una notte, prima di andare alla preghiera notturna, lasciò aperta la finestra della cella. Di ritorno, al chiarore della luce, aperta la porta, vide dentro una donna nuda. Certamente doveva essere il demonio. Fuggì
subito e si rifugiò in chiesa fino al mattino.
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AMORE VERSO DIO
Era tanto forte il suo amore verso Dio che spesso andava in estasi e talvolta all’altezza di un cipresso. Allora parlava con Dio in maniera sublime.
Questo lo constatarono i religiosi che vissero con lui. Il fenomeno si ripeteva frequentemente fino ad avere l’impressione che trascorresse la maggior
parte del tempo in quello stato. Il fenomeno gli accadeva in ogni luogo e in
ogni occupazione: in chiesa, nell’orto, con la zappa in mano… Una volta
stette in estasi per ventidue ore di seguito.
Ordinariamente in estasi stava con le mani giunte o in forma di croce,
con il capo ora chino e mesto e ora sollevato e giulivo, con gli occhi chiusi
o aperti, con il corpo ora in ginocchio e ora in piedi.
Quando parlava di Dio o di cose spirituali, mostrava una sapienza soprannaturale, piangeva di gioia e se ne andava in estasi, stava immobile
come una statua.
Unico suo desiderio era quello di servire Dio, fare tutto per la sua gloria e con grande amore. Non aveva altra consolazione se non nel parlare o
sentire parlare di Dio. Aveva grande devozione a Gesù sacramentato. Stava per lungo tempo in orazione. Afferma uno dei testimoni del processo:
Una volta lo vidi bocconi per terra davanti a Gesù sacramentato. Chiamato da superiore, si alzò come fuori di sé, tutto assorto in Dio.
Non aveva altro affetto nel cuore che quello di Dio. Era sempre raccolto in Dio. Trascorreva il tempo libero in orazione. Parlava sempre del paradiso e di Dio. Dalla sua bocca uscivano parole di spirito.
Fra Marino di Rossano e fra Piero di Bisignano raccontano che trovandosi con lui nell’orto del convento di Bisignano, al suono della campana
che annunziava l’elevazione, fra Umile, percotendosi il petto, fu sollevato
in aria genuflesso. Questo avvenne molte volte e perfino di estate, nei momenti più caldi, il servo di Dio veniva elevato in alto e restava a lungo sotto i raggi cocenti del sole.
Aveva il desiderio di andare missionario per spargere il sangue per
amore di Cristo. Dormiva solo due ore la notte e trascorreva il resto del
tempo in orazione. Dormiva a terra senza tavole e senza saccone.
Fra Guglielmo di Pietrafitta attesta che per otto mesi stette con fra
Umile nel convento di Mesoraca. Il servo di Dio mangiava una sola volta
ogni 24 ore; suo cibo era pane e acqua. Nel medesimo convento un altro te-
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ste afferma: Per due anni interi sono stato con fra Umile. Dormiva un’ ora tra
giorno e notte. Il resto del tempo lo trascorreva in orazione o in estasi.
Alcuni indiscreti e increduli, durante le estasi gli bruciarono le mani
con candele e lo punsero con spilli. Quando tornava in sé sentiva il dolore
e lo sopportava con pazienza.
Uno dei testi del processo racconta: Mia madre e mio nonno, Fabio Luzzi, mi raccontarono che in città incontrarono fra Umile. C’era un mucchio di pietre lungo la via. Fra Umile disse a mio nonno: Per favore, scavate dentro queste
pietre. – Mio nonno lo fece. Fra Umile mostrò una di quelle e disse: Prendete in
mano questa. – Quella pietra portava l’immagine di S. Francesco d’Assisi. L’abbiamo conservata in casa fino a pochi anni fa. Poi la prese mio fratello Diego.
CARITA’ VERSO IL PROSSIMO
Fra Umile si rattristava quando vedeva cristiani che non davano a Dio
il dovuto rispetto. Correggeva chi mancava ed esortava tutti all’amore di
Dio. Desiderava che tutti vivessero santamente e li aiutava con la preghiera e con le penitenze; esortava tutti all’amore di Dio e alla speranza eterna.
Discorreva della passione di Gesù con le lacrime agli occhi. Si adoperava
per mettere pace e portare alla riconciliazione.
Tre gentiluomini andarono da fra Umile con l’intento di provare la sua
santità. Dopo molte richieste gli dissero: Ora diteci qualche cosa. Il servo di
Dio disse che era un cattivo cristiano, uno scellerato, più iniquo di chi aveva offeso Dio per vent’anni e che da venti anni non si era confessato. – La
mattina seguente tornò a lui uno dei tre gentiluomini, si inginocchiò ai suoi
piedi e disse: Io sono quel peccatore che non mi confesso da vent’anni e ho commesso tutti i peccati che hai detto. Ti chiedo di pregare per l’anima mia.
Alcune volte fra Umile diceva: Potessi vedere la coscienza mia come vedo
quella degli altri!
Fra Domenico da Cutro aveva tentato perfino di uccidere fra Umile e
fu impedito da forza superiore e da due cani che affiancarono il Servo di
Dio. Eppure fra Umile lo trattò sempre con affabilità. Quando fu accusato
ingiustamente, non disse una parola di scusa.
Un teste afferma: Orazio Rossano, mio padre, mi raccontava che più di settanta persone di Tarsia accompagnarono fra Umile per tre o quattro miglia di stra-
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da lungo la campagna. Fra Umile disse al compagno di viaggio, fra Vincenzo di Bisignano: Che cosa hai da mangiare? Metti ogni cosa a terra. – Prese dalla bisaccia
quel po’ insufficiente per due persone e lo pose sul mantello. Tutti si sedettero per
terra. Fra Umile fece un segno di croce sul cibo. Tutti mangiarono allegramente e
si saziarono come se avessero fatto un pranzo di nozze.
Don Giuseppe Taranto e il signor Ottavio Rende di Tarsia raccontano
che alcuni portarono con venerazione nelle proprie case pezzi di quel pane avanzato che si conservò incorrotto per molto tempo.
Vittoria da Bisignano da sei mesi non poteva muoversi da letto. Appena mangiò un po’ di pane benedetto da fra Umile, sentì dentro di sé tanta
forza da balzare dal letto come se mai fosse stata malata.
Padre Francesco Mendoza, allora novizio, si slogò un piede e camminava zoppicando. Fra Umile ebbe compassione del dolore del confratello.
Pregò il Signore che guarisse fra Francesco e che il male lo prendeva su di
sé. La sua preghiera fu ascoltata e Fra umile per tutta la vita andò zoppicando.
La nipote di fra Umile racconta: Ritornando il servo di Dio dalla questua,
passava per il quartiere di S. Pietro, vicino alla casa natale. Mia madre Livia, mia
zia Maria e io (che ero piccolina) ci facemmo avanti verso di lui. Vedendo che la bisaccia era vuota, dissi: Zio fra Umile, che cosa mangeranno i monaci? La bisaccia
è vuota. Ed egli rispose che era pensiero della divina Provvidenza non abbandonare nessuno. Subito vedemmo tutte noi la bisaccia riempirsi. Fra Umile si inginocchiò con la faccia a terra per ringraziare la divina Provvidenza. Alzatosi poi diede
a noi un pane per ciascuna. Mangiammo di quel pane con tutta la famiglia a pranzo e a cena.
Quando questuava di porta in porta, nel vedere gente povera, metteva a loro disposizione quanto aveva nella bisaccia. Confidava nella Provvidenza e non tornava mai in convento senza niente.
Fra Domenico da Cutro racconta che nel viaggio in Sicilia alcuni viaggiatori e marinai erano afflitti da gran sete e non avevano acqua dolce. Fra
Umile prese acqua marina con un vaso, vi fece un segno di croce e la diede da bere: era dolce e freschissima. Tutti restarono stupiti.
Sebbene fosse molto parco nel cibo, si impegnava perché ai confratelli non mancasse nulla, sia nel suo ufficio nell’orto, nella questua e in cucina. Tutti erano ammirati della sua singolare carità. Compiva i suoi doveri
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con serenità e con il sorriso sulle labbra. Serviva gli infermi in ogni loro necessità con singolare carità.
Era portinaio e aveva avuto ordine dal superiore di non dare alloggio
a nessuno di notte perché potevano approfittare per rubare in convento. A
tarda sera bussa alla porta del convento un povero pellegrino con una mula, tutto inzuppato di acqua, e chiedeva alloggio. Aveva attraversato a stento il fiume Moccone con il pericolo di annegare. Fra Umile disse a se stesso: Se lo faccio alloggiare vado contro l’obbedienza. Se lo lascio fuori rischia di morire lui e la mula. Che faccio? La volontà del superiore è quella di evitare che si rubi. Per questo io starò in piedi per tutta la notte.
Accese un gran fuoco, fece ristorare lui e la mula. Chiuse bene tutte le
porte e si fermò in piedi per tutta la notte alla porta della cucina dove stava il pellegrino. Al mattino lo svegliò per tempo e gli disse che riprendesse il viaggio prima che si svegliassero gli altri frati.
Tutto questo è stato raccontato da padre Raimondo da Bisignano.
Era nell’orto insieme con fra Vincenzo da Bisignano e si accorse per intuito soprannaturale che il confratello desiderava un po’ di uva detta moscarella. Smise di zappare, prese un grappolo e con grande carità disse a fra
Vincenzo: Mangia allegramente quest’uva perché il Signore l’ha creata per noi.
Fra Vincenzo restò pieno di meraviglia.
Fra Umile soccorreva i confratelli malati. Quando li vedeva febbricitanti e arsi di sete, portava loro acqua. Fra Vincenzo diceva: Fra Umile, l’acqua può nuocere loro. Fra Umile rispose: Io porto l’acqua per guarirli. Muoiono
di sete e vedendo me che uso loro questa carità, si rallegrano e sentono alleggerire
l’infermità. Così succedeva, ma in realtà era il Signore che li guariva per intercessione del suo servo.
Quando esercitava l’ufficio di infermiere era ammirevole per le premure e per le preghiere che elevava al Signore perché li sollevasse dalle loro infermità.
Padre fra Dionigi da Canosa, allora custode della provincia di Napoli, si imbarcò da Roma sul Tevere per raggiungere la sua sede. Si ammalò
con febbre alta. L’imbarcazione dovette sospendersi per cattivo tempo ed
egli soffriva molto. Fra Umile venne a saperlo per divina rivelazione e chiese preghiere ai frati. E ottenne la guarigione. Un’altra volta lo stesso frate
si ammalò in Sicilia e fu guarito da fra Umile che lo seppe mentre era in
orazione.
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Questi fatti sono narrati dallo stesso fra Dionigi nei manoscritti su fra
Umile.
Era in fin di vita un gentiluomo di Bisignano. Vi andò fra Umile per
pregare accanto al malato. Questi aveva perduto la parola. Alle preghiere
del Santo ebbe nuovamente la possibilità di parlare e fu esortato a confessarsi. Ma non volle perché avrebbe dovuto restituire dei beni sottratti ingiustamente e temeva di lasciare i figli in povertà.
Un teste del processo di beatificazione riferisce: Vidi fra Umile una sola
volta durante la processione del santissimo Sacramento. Aveva una canna da
una mano per appoggiarsi e dall’altra una candela. Camminava con tanta devozione da spingere tutti a sensi di pietà religiosa. Tutti infatti guardavano lui.
Il padre fra Antonio della Motta disse a fra Umile: C’è il tal frate che non
osserva la regola come si deve. Bisogna correggerlo. – Rispose fra Umile: La correzione non giova a nulla, andiamo in chiesa a pregare per lui. - Giunti in chiesa
disse: Fratello, di’ come dico io: Signor mio Gesù Cristo, ti prego umilmente che
perdoni quel frate … Fagli conoscere la via precisa del paradiso perché vi si inoltri
vivendo da perfetto religioso. Possa venire in paradiso a goderti eternamente.
Amen. - Poi aggiunse: Quando ci sono persone che non si correggono, si deve ricorrere a Dio e pregare per la salvezza della sua anima.
Lo stesso frate mi disse che spesso andava a trovare fra Umile in chiesa di notte e lo sentiva pregare con fervore per la salvezza di tutto il genere umano, specialmente per coloro che si trovavano in pericolo di dannazione eterna.
Mentre ritornava in Calabria con un mercante, Giovanni Tommaso
Manna, carico di beni, navigando in mare e avevano una gran sete. Fra
Umile disse che bevessero di quell’acqua. Il mercante, conoscendo la sua
santità, gli disse: Fai la carità di prenderne tu con questo vaso un po’ d’acqua. Fra Umile prese il vaso, lo riempì, vi fece un segno di croce, la assaggiò per
primo e disse: Non è salata, gustatela. – La gustarono tutti e restarono pieni
di ammirazione.
Risuscitò due morti sommersi dalle acque in terra di Terracina, ove fra
Umile attendeva per imbarcarsi e tornare in Calabria. Pregò e i giovani ritornarono su con la barca, risuscitati e salvi e presero con sé fra Umile.
In un viaggio per via mare, il cielo si oscurò per le nubi che si addensavano sui viaggiatori. Immediatamente si rovesciò una pioggia dirotta.
Ma sulla barca che trasportava fra Umile non cadde una goccia di acqua,
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anzi la stessa barca fu illuminata dai raggi del sole. Le altre barche invece
erano nel buio e sotto l’incalzare del temporale.
MORTIFICAZIONI E PENITENZA
Era malato. Il medico gli chiese che cosa desiderava mangiare. Rispose che avrebbe desiderato un pezzo di pane arrostito.
Dormiva pochissimo. Quando i superiori gli ordinarono di non flagellarsi, cominciò a star peggio. L’infermità gli durò per tutta la vita. Quando
cessava la febbre o diminuivano i dolori, andava in chiesa a pregare. Si recava anche nell’orto per fare piccoli servizi per quanto le forze glielo permettevano.
Mentre questuava con fra Vincenzo da Bisignano, nel vico detto Piano,
presso la chiesa di S. Stefano, gli si conficcò un chiodo dello zoccolo. Senza sdegnarsi, disse al compagno: Fratello, questa è una buona cosa perché posso capire un po’ il dolore di Gesù inchiodato ai piedi. Il suo ricordo voglio conservare questo chiodo. Se lo mise nella manica e proseguì il cammino a piedi,
nonostante il dolore e il freddo che era intenso. Ritornò in convento pieno
di gioia, come se non avesse avuto né ferita, né dolore, né freddo.
Nella casa del principe di Tarsia, fra Umile era solo in una camera accanto al fuoco. Fu rapito in estasi. Il fuoco gli abbrustolì i piedi senza che
egli se ne avvedesse. Si resero conto i paggi e i servi che corsero in lacrime
compassionando il Servo di Dio. Egli era immobile. Poi, tornato in sé, fece
per alzarsi in piedi, ma cascò per terra fra dolori spasimanti.
Fra Umile era affetto da molte malattie e le sopportava con grande pazienza. Aveva un corpo molto malato, ma non si lamentava mai. Subiva le
avversità, le tentazioni e le persecuzioni con animo forte e inalterabile.
Al convento di Cosenza, il suo compagno di viaggio in Sicilia, fra Domenico da Cutro calunniò in vari modi fra Umile e che a Messina aveva
dato molti scandali. Il superiore rinchiuse fra Umile in cella senza badare
alle sue infermità. Dopo lo mandò a Bisignano ove lo rimproverò in pubblico per aver disonorato la vita religiosa. Fra Umile non si risentì del trattamento. Nello stesso tempo, la città di Messina scrisse richiedendo ancora la presenza di fra Umile perché era stato di edificazione per tutti. Il su-
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periore decise di rimandarlo con lo stesso fra Domenico. Questi andava sempre malvolentieri e per questo era adirato con fra Umile. Sdegnato di quel
viaggio, fra Domenico, trovandosi in una cella con la finestra che dava al mare, ebbe la terribile tentazione di buttare in mare fra Umile. Questi pregava la
Madonna e fu difeso da due misteriosi giovani.
Don Diego Branca e fra Simone affermano che fra Umile subiva molte sofferenze da parte del demonio. Resisteva agli assalti infernali e si difendeva battendosi con catene fino al sangue. Spesso i demoni gli incutevano paura in molti modi. Fra Umile si abbandonava serenamente alla divina volontà.
ORAZIONE ED ESTASI
Mentre gli altri frati dormivano, fra Umile si intratteneva per lunghe ore
in orazioni infocate. Si ritirava presto in cella e dormiva due ore circa e poi si
alzava per pregare, flagellarsi e pregare. Diceva: O Padre, Figlio e Spirito Santo! O Padre eterno, Figlio sapienza del Padre e Spirito amore e fuoco divino, affogatemi in questo mare di amore e sommergetemi in questo pelago, bissatemi in questo
abisso di amore e di perfezione.
O santissima Trinità, bruciatemi e consumatemi in questa ardentissima fornace
del vostro amore. O santissima umanità del mio Gesù, pregate per me come uomo, e
datemi come Dio, mio creatore e redentore, questo santo amore.
O Maria, madre di Dio e avvocata di tutti i peccatori, in particolare di me povero e più di tutti vilissimo, a voi ricorro, Maria Vergine, concepita senza alcuna macchia di peccato. A voi mi raccomando, o santa Maria, impetratemi questo amore, ottenetemi questa perfezione.
O angeli e arcangeli, dominazioni, principati e potestà, o virtù, cherubini e serafini, aiutatemi a pregare e impetratemi con le vostre sante preghiere questo amore.
O Michele, o Gabriele, o Raffaele, o mio angelo benedetto e custode, non mi abbandonate, ottenetemi questa santa perfezione e questo santo amore.
O celesti e benedetti spiriti, con tutti i santi e sante e tutta la corte del paradiso,
io vi prego e scongiuro per i meriti di Maria sempre vergine, regina vostra, per le viscere di Gesù re vostro e vostro Dio, per le sue santissime piaghe, per il suo preziosissimo sangue. Di grazia, aiutatemi, spiriti celesti e beati, ascoltate le mie voci, guarda-
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te i miei bisogni, guardate la mia miseria e la bassezza, o ministri, o paggi, o segretari del mio Dio, chiedetegli per me il santo e benedetto amore, questa santa perfezione. Si rivolgeva anche al nostro maestro di teologia, il sottilissimo Giovanni Scoto e diceva: O beato Scoto, voi ancora aiutatemi.
Così mi ha riferito padre fra Antonio da Motta che per curiosità alcune volte lo andava a sentire.
Poi supplicava la divina Maestà per la Chiesa universale, per il papa,
i cardinali, i vescovi, i religiosi, il clero, i secolari… Ma soprattutto poi pregava per tutte le anime del purgatorio distintamente e in grandissimo spirito. Di giorno quando poteva si ritirava in chiesa o in cella e ivi affettuosissimamente pregava. Ma se era nell’orto, anche là si dava facilmente all’orazione. Andando per la questua non cessava di pregare. Lungo i viaggi pregava e si dava alla contemplazione. Spesso andava in estasi, dono
che ebbe già sette anni prima di entrare nell’Ordine.
Verso il 1613 si trovava di famiglia nel convento di S. Francesco in Pietrafitta di Calabria Citra. Era in estasi quando giunsero due frati con l’obbedienza che doveva recarsi in Calabria Ultra, chiamata la provincia dei
Santi Sette Martiri. Il superiore disse ai due frati: Chiamate fra Umile e dite
semplicemente: Fra Umile, vieni con noi. - Subito ritornò in sé e disse: Andiamo, fratelli, perché voglio mettere in effetto l’obbedienza che mi avete portato. Subito partì.
A Sezze fu visitato da un amico. I due si abbracciarono perché erano
tutti e due pieni di grazia divina. Così abbracciati furono rapiti in estasi. Il
superiore disse a un frate di andare a dire a fra Umile che lasciasse libero
il suo amico. Per due volte il frate andò e non fu obbedito, la terza volte invece subito fece l’obbedienza. La ragione fu che le prime due volte non era
intenzione del superiore di comandarglielo.
Diceva fra Umile che aveva pregato il Signore di togliergli le estasi, ma
non fu esaudito perché ciò fosse a gloria di Dio e a umiliazione propria. Infatti le estasi lo rendevano sempre più umile perché gli facevano capire che
era puro dono divino e che non lo poteva mai meritare.
La condizione del Santo diveniva sempre più divina: entrava nel soprannaturale con frequenza, guariva i malati e i moribondi…
I frati, impressionati dalle eccessive estasi di S. Umile, gli dissero che
stesse attento che avessero per caso origine diabolica. L’umile servo di Dio
pregò il beato Giovanni Duns Scoto, assertore dell’immacolato concepi-
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mento di Maria e teologo e dottore sottilissimo; di lui era molto devoto per
amore dell’ Immacolata. Una sera lo prega con maggiore fervore e il mattino dopo sente picchiare alla porta della cella. Apertale, vide Scoto in persona in forma di frate e gli disse: Fra Umile, fratello, stai allegro e non dubitare più perché le tue estasi vengono dalle mani di Dio. Fu pieno di gioia e divenne ancor più devoto di Scoto.
A fra Umile ricorre un nobile romano per una lite che riesce a risolvere giuridicamente. Il servo del Signore gli disse: Se vuol vincere la lite si raccomandi al nostro padre fra Giovanni Scoto. Il pio uomo non voleva pregare
uno che non era stato dichiarato beato dalla Chiesa (cosa che avvenne in
questi ultimi anni). Ma poi pregò. Subito andò a trovarlo il suo avvocato
comunicandogli che la lite era finita in suo favore.
Lo stesso avvenne al duca don Giovanni Antonio Urini di Roma e al
signor Angelo Gigli di Bisignano. Questi per riconoscenza fece dipingere
in Napoli l’immagine di Scoto con l’Immacolata. Allora era conservata nel
convento di Bisignano.
LOTTA CON IL DEMONIO
Era in chiesa e sentì bussare alla porta. Pensava che avessero scambiato la porta della chiesa con quella del convento, disse: Fratello, bussa all’altra porta e verrà il portinaio. - Dopo poco sentì nuovamente bussare alla stessa porta. Rispose come prima. Alla terza volta capì che era il demonio.
Continuò a pregare e non se ne curò. Il demonio saltò dentro dalla finestra,
vicino al quadro di S. Diego. Era in forma di un caprone nero. Ma restò
confuso perché non riuscì a interrompere la preghiera.
Un’altra volta, mentre pregava davanti al SS. Sacramento, entrò dalla
stessa finestra il demonio in forma di un grande gatto nero. Ma il servo di
Dio si avvicinò al tabernacolo perché sapeva per esperienza che lì non veniva disturbato dal nemico infernale.
Nel convento delle Grazie di Mesoraca, un novizio si levava in alto per
intervento diabolico e affermava di vedere angeli e santi. Fu chiamato fra
Umile, che allora dimorava in un convento distante. Egli scoprì l’inganno
con interrogazioni argute e sottili. I demoni si vendicarono con il servo di
Dio bastonandolo ogni notte e tormentarono anche gli altri frati quando si
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mettevano in orazione. Mentre una notte dormiva, fra Umile si svegliò vedendosi circondato da sette lupi molto spaventosi, con occhi di fuoco; non
poteva né parlare né muoversi. Nello stesso tempo suonò la campanella
che chiamava i frati alla preghiera notturna. Fra Umile udì una voce dal
cielo: Fra Umile, vai a mattutino! - Scomparvero i lupi e fra Umile andò a
pregare contento, allegro e lodando Dio per la liberazione.
Fu assalito da una febbre altissima. E vedendo che questa si aggravava sempre più, chiese il confessore per disporsi alla morte. Dio permise che
per molte ore nessun religioso si ricordasse di lui. Il Santo, sentendosi venir meno le forze, recitava l’atto di dolore per chiedere perdono a Dio.
Mentre così si umiliava, gli comparve in cella il demonio. Per togliergli la
pace dell’anima, gli disse che era inutile chiedere perdono a Dio perché tutte le confessioni passate erano state fatte male. Il Santo ripeteva atti di confidenza nella bontà divina. Il demonio insisteva nel suggerire disperazione e terrore. La disputa continuò a lungo finché fra Umile con le braccia in
forma di croce mise in fuga il Maligno.
Una volta fra Umile era malato e giaceva a letto. Il diavolo prese le apparenze di un medico ed entrò nella sua cella. Il servo di Dio, non avendolo conosciuto, gli rivolse il solito saluto: Sia lodato Gesù e Maria. – Il diavolo soggiunse subito: Se vogliamo essere amici, non nominare quei nomi.
– Fra Umile comprese chi era quel falso medico e lo mise in fuga gridando
ripetutamente: Sia lodato Gesù e Maria.
Era malato e giaceva a letto. Entrò il demonio in forma di prete e si sedette accanto a fra Umile. Questi lo riconobbe e gli prese la mano stringendola forte e dicendo: Ti scongiuro da parte di Dio di dirmi che cosa ti dispiace di
più degli esercizi che noi facciamo. - Si rifiutò il maligno, ma poi costretto disse che gli davano fastidio le esortazioni ai fedeli di confessarsi e far penitenza, le loro semplici ammonizioni e il buon esempio di religiosi devoti e
mortificati. Poi disse: Non vi basta che mi scappiate dalle mani, ma togliete anche quello che è mio e cioè molte anime di miseri e infelici mondani.
Era infermo e il demonio gli apparve, lo prese insieme con il pagliericcio e gli fece vedere una voragine profonda da cui usciva fuoco e zolfo puzzolente. Gli disse: Voglio fare una grandissima vendetta contro di te. Ti voglio
gettare subito nel fuoco infernale. – Fra Umile, senza scomporsi, diceva con
grande umiltà: Brutta bestia e maledetto diavolo, se è volontà di Dio che io vada
a finire in quella voragine infernale, fallo presto perché voglio dare soddisfazione a
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Dio in quello che vorrà. Io sono una vivissima creatura e se mi mandasse vivo, vivo a penare nelle fiamme eterne con i demoni e i dannati, non mi farebbe alcuna ingiuria. - Il demonio sparì.
Racconta fra Marino che, stando in chiesa al convento di Bisignano,
udì dei colpi di piedi di cavallo alla porta. Fra Umile gli disse: Sappi che sono i demoni, ma non dubitare. Sono venuti per disturbarci. Facciamo la disciplina,
diciamo le litanie e diciamo un Padre nostro. I demoni andarono sul tetto della chiesa facendo grande fracasso. Fra Umile li scongiurò in nome della SS.
Trinità, e se ne andarono via.
Fra Antonio della Motta riferisce che una volta voleva stare in chiesa
per osservare che cosa facesse fra Umile, dato che passava quasi l’intera
notte in orazione. Fra Umile gli disse di andare con gli altri religiosi, ma fra
Antonio non volle dargli retta. Fra Umile ribadì che si sarebbe pentito, se
non lo avesse ascoltato. Fra Antonio rimase lì. Fra Umile uscì di chiesa. Subito a fra Antonio apparve un lupo. Molte altre cose del genere si raccontano, ma vengono omesse per brevità.
DEVOZIONE AL SS. SACRAMENTO, ALLA PASSIONE E ALLA
MADRE DI DIO
Era innamorato del SS. Sacramento, andava quanto più poteva a visitarlo, si rivolgeva verso di lui e sembrava che lanciasse saette d’amore e
frecce infocate di devoti affetti e diceva: Là, anima mia, sta il divino e celeste
Dio, quello che scende dal cielo per visitarti; là è il tuo tesoro infinito; là sta tutto il
buono e il bello del paradiso; là sta la tua buona e santa fortuna, il tuo onore, il tuo
contento, la tua vita e la tua gloria eterna. Miralo, bene mio, gioia mia, guardalo;
amalo, cuore mio e ricedilo, anima mia. Qui ti inebrierai del vino celeste che è Gesù amabilissimo; qui arderai e brucerai di amore verso Dio e il tuo prossimo; qui
moriranno le tue passioni…
Fra Umile aveva speciale reverenza verso i sacerdoti e trattava con loro con grande umiltà. In loro vedeva quelli dai quali riceveva la grazia divina nel sacramento della penitenza e lo stesso Dio nel SS. Sacramento. Gli
domandò padre Dionigi da Canosa se Gesù avesse comunicato anche se
stesso nell’ultima cena, rispose fra Umile: Sì, perché era sommo sacerdote e
doveva anche lui consumare il divino sacrificio, anzi prima lui e poi gli apostoli.
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Forse perché Gesù ancora non aveva offerto se stesso in croce e così viveva la sua futura oblazione?
Si preparava alla comunione dalla notte; si confessava ogni giorno con
grandissimo dolore. Il peccato più grave della sua vita era stato quello di
aver dilazionato l'ingresso in convento, non per sua colpa, ma per aiutare
il fratello e le sorelle, dato che la madre era rimasta vedova.
Appena finita la messa in cui si comunicava, si ritirava in cella, si rinserrava dentro e veniva rapito in estasi godendo le soavità e le dolcezze del
santissimo Sacramento. Per far conoscere agli altri quale devozione aveva
in cuore, ripeteva preghiere davanti al santo altare.
Grande devozione aveva anche per la passione del Signore, alla Vergine Santa e a tutti i santi. Quando pregava in chiesa era ordinariamente vicino al santissimo Sacramento o davanti o in coro. Andava anche davanti
all’immagine della Madonna. Con l’olio della sua lampada dava la salute
agli infermi. In cella teneva qualche immagine della Vergine.
Di ritorno da un viaggio fuori provincia, come entrò in chiesa, andò all’altare della Madonna delle Grazie e disse con grandissimo affetto: Maria
Vergine Madre di Dio, io povero peccatore ti ringrazio infinitamente perché vi siete degnata di raccogliere queste mie ossa nella vostra chiesa. Mi persuado grandemente quanto è la vostra cura per me non solo per l’anima, ma anche per il corpo.
Mi avete concesso la vostra compagnia e me la darete fino alla morte. In particolare, mi date la gioia di questa bellissima statua di cui sono sempre devoto.
FEDE E DESIDERIO DI MARTIRIO
Doveva attraversare il fiume Crati insieme con fra Marino da Rossano, disse al confratello: Stai allegro e guarda il cielo. Mentre camminavano, le acque si divisero e raggiunsero l’altra sponda del fiume a piedi
asciutti. Lo stesso fecero nell’attraversare il fiume Neto per recarsi al
convento di Cutro. Erano in Sila fra Umile, fra Ludovico da Lattarico e un
uomo devoto chiamato Dattilo. Dovevano attraversare il fiume Ampollino, molto largo e profondo. Pregò il Signore di condurlo dall’altra parte del
fiume. E così avvenne all’istante davanti agli occhi stupiti dei due compagni di viaggio: trovarono un luogo dove le due sponde del fiume erano più
vicine; vi misero un tronco di albero e andarono da fra Umile.
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Un’altra volta fra Umile attraversò un fiume con due confratelli della
provincia di Calabria Ultra: erano fra Domenico da Catanzaro e fra Giovanni da Cinque Fundi. Si servirono di un carro per il passaggio, ma, mentre fra Umile passò tutto asciutto, gli altri due erano bagnati sino ai fianchi.
Simili passaggi miracolosi avvennero anche altre volte.
A Reggio Calabria i medici constatarono che fra Umile era gravemente malato. Il servo di Dio pregò chiedendo la guarigione e la ottenne immediatamente. Però raccontando il fatto a padre Canosa gli disse che non
avrebbe più chiesto questa grazia, contento di quello che Dio dispone.
Fra Umile aveva un gran desiderio del martirio e chiedeva il permesso di andare missionario. Pensava che avrebbe sofferto grandi persecuzioni per amore di Cristo e che questo sarebbe stato un argomento convincente per gli infedeli a credere alla fede cristiana. Ma Dio non permise che fra
Umile subisse il martirio da parte degli infedeli, ma da parte dei demoni.
Questi lo martirizzarono per molte ore nell’orto verso la fine della vita e lo
lasciarono moribondo per sei giorni.
IL DONO SOPRANNATURALE DELLA SCIENZA
Si trovava a Reggio Calabria. Molta gente era corsa in convento per vederlo. L’Arcivescovo, mosso dalla fama della sua straordinaria scienza infusa, fece convocare molti dotti sacerdoti per discutere con fra Umile. Questi rispondeva alle domande: Io do la mia risposta, ma essendo ignorante, mi
posso ingannare. Padre Adriano da Napoli, mentre predicava la quaresima
a Bisignano, volle constatare di persona la scienza teologica di fra Umile.
Discusse con lui a lungo e concluse: Ho studiato per vent’anni la teologia, ma
al confronto di fra Umile sono un ignorante.
S. Umile era spesso illuminato dal suo Angelo Custode. Mentre era in
estasi fu interrogato se la Madonna era stata concepita nel peccato originale. Al suo tempo ancora non era stata definita questa verità dalla Chiesa.
Rispose in latino: Non est concepta in peccato originali. – Interrogato come sapesse questo, rispose: Me lo dice il compagno mio, l’Angelo Custode. – Gli fu
ribadito che se invece dell’Angelo si trattasse di un demonio? Rispose in
estasi: E’ vero che io merito in mia compagnia non solo un diavolo, ma tutti i diavoli dell’inferno, ma Dio per mostrare la sua onnipotenza non lo permette.
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Ragionando con fra Dionisio da Canosa sugli apostoli, il Santo disse:
Come i più grandi signori hanno con sé maggior corte e più numero di servi, così,
essendo gli apostoli grandi santi, sebbene inferiori alla Beata Vergine e a S. Giuseppe, nella loro vita furono scortati non solo dall’Angelo Custode, ma anche da altri
angeli e arcangeli.
Gli obiettarono che non occorrevano tanti angeli. Rispose: Il compito
dell’Angelo Custode è quello di condurre in paradiso l’anima affidata alle sue cure. Ma gli apostoli dovevano condurre in paradiso molte altre anime, per questo furono custoditi da molti spiriti celesti. – Gli fu chiesto: Quando l’Angelo Custode
conduce l’anima in paradiso, che cosa farà: sarà mandato a custodire altre anime
oppure rimane in paradiso? – Rispose: Non lo so. – Replicò l’obiettore: Io penso che ritornerà in paradiso, e Dio gli affiderà il compito di custodire altre anime.
– Il Santo ascoltò con attenzione e poi disse: E’ così.
Gli chiesero ancora: Se l’anima va in purgatorio, l’Angelo la segue anche lì?
– Rispose: Sì, per offrire a Dio le preghiere e le buone opere che le persone compiono in suffragio dell’anima. Non perché Dio non le conosca, ma per interporre la sua intercessione in favore dell’anima. – Gli domandarono: Come
sai questo?
– Rispose: Mi è venuto un certo lume soprannaturale.
Chiesero a S. Umile: Perché Dio non ci esaudisce subito nelle preghiere?
– Rispose: Quando l’anima è totalmente abbandonata alla volontà di Dio e ciò
che si chiede è un bene, Dio esaudisce subito le preghiere. Se però l’anima non
è totalmente abbandonata alla volontà divina, Dio attende perché essa così
moltiplica le preghiere e giunge a quel grado di abbandono che non può non
ottenere tutto dal Padre celeste.
Sembrava un angelo e un serafino quando parlava di Dio. Il padre fra
Benigno da Genova era venuto in Calabria per la visita e volle fra Umile
come suo compagno. Nella città di Cosenza, al convento di S. Maria di Costantinopoli, il servo di Dio durante gli esercizi di orazione notturna fu elevato in estasi e predicò con fervore di Spirito Santo ai presenti, tra cui anche nobili della città. Gli fu ingiunto dal superiore di parlare sul brano del
Vangelo del giorno. Egli interruppe il discorso e spiegò il senso letterale e
mistico del brano richiesto e poi riprese il discorso di prima.
Questo avveniva di notte e anche di giorno dopo la comunione. Parlava del mistero della SS. Trinità con acume soprannaturale che stupiva.
Era stato mandato dal padre provinciale a Bocchigliero, dopo la mes-
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sa celebrata dal vescovo di Rossano, il servo di Dio uscito di chiesa fu preso dallo Spirito Santo e predicò con grande ammirazione di tutti. Esortava
i peccatori a liberarsi dagli artigli di Satana e ai giusti diceva di perseverare nel bene. Talvolta i superiori gli proibivano di predicare ed egli obbediva, ma una delle cause della malattia di viscere fu proprio il dover contenere dentro di sé quello che sentiva nel suo interno.
Diceva inoltre che conosceva i pensieri degli altri come i suoi. Bastava
che uno gli si raccomandasse mentalmente ed egli se ne rendeva conto.
Mentre serviva la messa a padre Canosa, questi pregò per lui. Alla fine della messa fra Umile lo ringraziò della preghiera per sé.
Era andato un tale a raccomandarsi alle sue preghiere. Prima che parlasse, gli disse: Siete venuto per raccomandarvi alle mie preghiere. Dite quale tentazione avete. - Non volle dirla. Replicò il Santo: Ditela e Dio vi libererà per questo rossore che provate. – Ma egli non volle. Tre nobili andarono a tentarlo con
molte domande. Dissero: Padre, diteci qualche cosa. – Egli disse che era un
povero peccatore che aveva offeso Dio da venti anni e che non si era mai
confessato. E continuò ad attribuire a se stesso quello che essi avevano fatto. Il mattino dopo uno dei tre andò a confessare la sua colpa dicendo: Fra
Umile, io sono quel peccatore di cui parlavi ieri sera. Non mi confesso da molti anni. Prega perché mi salvi. – Rispose: State allegro perché Dio è misericordioso per
chi si pente e lascia il peccato e le occasioni cattive.
Era in viaggio per Roma in compagnia di fra Basilio da Sezze. Il suo
compagno aveva un grande desiderio di andare a Gaeta. Fra Umile camminava avanti, ma si fermò e disse: Padre, questa è la strada per Gaeta, se volete andare, io vi aspetto qui perché a me è stato ordinato di andare a Roma e non
altrove. – Il frate Basilio rimase confuso, ma non volle deviare neanche lui.
Un frate della nostra provincia di Calabria desiderava di confessare fra
Umile dato che tutti lo ritenevano per santo. Il servo di Dio andò a trovarlo e si inginocchiò e disse: Padre, vengo da lei perché mi faccia la carità di confessarmi. Nella preghiera notturna ringraziò Dio che aveva liberato l’anima
di sua madre dal purgatorio. Egli l’aveva vista tutta gloriosa e bella con gli
altri spiriti beati. In cucina preparava il pranzo ai frati. Mandò fra Macario
da Cerisano ad aprire la porta ai due frati che erano allora tornati dalla
questua. E questi non avevano né bussato alla porta né suonato la campanella. Aveva perduto la regola con tre anelli di oro di un signore che glieli
aveva consegnati per un po’ di tempo. Andò davanti alla statua di S. An-
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tonio dicendogli: Tu fai trovare le cose perdute agli altri e a me perché non mi fai
trovare la regola con i tre anelli? – Gli disse S. Antonio che li aveva prese per
scherzo fra Macario. Andò a chiederglieli con sua meraviglia. Ma fra Umile si scusava dicendo che era stato S. Antonio a dirglielo.
Nell’estate del 1637 predisse il terremoto che distrusse quasi metà delle case di Calabria e avvenne il 27 marzo 1638.
Trovandosi fra Umile in Roma, intese che c’era stato un terremoto in
Puglia. Disse: Questi terremoti sono stati ambasciatori di Dio. Fu riferito in seguito che molte case erano distrutte e molti erano stati i morti. I superstiti
andarono in campagna a vivere sotto le tende, dicendosi sicuri. Ma anche
lì li colse l’ira divina e perirono per tempeste e fulmini. Così fu punita
l’umana superbia.
Nel convento di Pietrafitta fu raggiunto da un suo devoto che aveva
perduto dieci paia di buoi. Gli indicò il luogo dove erano. Ma l’amico disse di essere stato tre volte e non li aveva visti. Fra Umile rispose che li
avrebbe trovati se fosse andato anche questa volta. Molti altri fatti li tralasciamo. Ma quante guarigioni vengono narrate! Certamente è da collocare
tra i santi più meritevoli.
L’ULTIMO ANNO DELLA SUA VITA
fu una serie ininterrotta di patimenti e, per i confratelli, una scuola
continua di virtù. Fra Umile si era ridotto in così deplorevole stato da destare compassione al solo vederlo. Atrocissimi dolori gli straziavano le viscere. I rimedi dei medici gli recavano maggiore danno. Per cinque o sei
giorni di continuo non prendeva cibo. Riteneva nello stomaco soltanto la
santa ostia della comunione. Spesso era l’unico nutrimento. Si aggiunsero
guerre mossegli dagli spiriti infernali con violenza maggiore. Con urla spaventose procuravano di atterrirlo. Nella solitudine di una grotta nell’orto
trovava un po’ di pace. Ma anche là il demonio andò a tormentarlo apparendogli come bestia selvaggia che con le unghie lo graffiava.
Lo spirito era pronto, ma il corpo era disfatto, l’anima era inondata di
gioia. Era felice del dissolvimento del corpo perché vedeva avvicinarsi il
momento di lasciare questa valle di lacrime. Visioni celesti lo confortavano. Più volte gli apparve la Regina del paradiso e lo stesso Gesù con ange-
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li e santi. Le visioni, in genere, seguivano le dure lotte del maligno. Fra
Umile ripeteva senza stancarsi: Paradiso, paradiso!
Un giorno era sceso nell’orto e tardava a ritornare. I frati andarono a
cercarlo e lo trovarono tramortito a terra, ansante e contorcendosi come
se stesse per esalare l’ultimo respiro. Condotto in cella, rimase in quelle
condizioni per sette giorni. Gli fu comandato di riferire quale fosse stata
la causa di quelle sofferenze. Rispose che aveva chiesto la grazia di poter
soffrire un saggio delle pene dell’inferno e per imitare Gesù che subì atroci dolori per la nostra salvezza. Dio aveva permesso ai demoni di sfogare la loro rabbia contro il Servo di Dio. Ma quando fra Umile invocò la
Madonna, la schiera dei demoni fuggì. Questa fu l’ultima battaglia sostenuta da fra Umile in terra. Ormai si nutriva solo di acqua. Era debolissimo.
Ripeteva sommessamente: Paradiso, paradiso!
Il giorno di tutti i santi fece uno sforzo e scese in chiesa, si comunicò
come viatico. Fu l’ ultimo sforzo del suo fervore. Per ventisei giorni non
provò cibo. Costretto a prendere una medicina, dopo tre giorni di fieri dolori, la rigettò come l’aveva presa. Fece la confessione generale e rinnovò la
professione religiosa.
La mattina del ventisei novembre, conobbe per ispirazione divina che
il superiore era occupato a scrivere lettere per comunicare la sua morte, e
disse: Sta per scrivere che fra Umile è morto. Che cos’ è adesso fra Umile? Ora tutti si potranno acquietare e non cercare più fra Umile che è niente!
Fu interrogato dal superiore se desiderava l’olio degli infermi, disse
che fin dall’inizio della vita religiosa aveva posto la volontà nelle mani dei
superiori e che intendeva fare ancora così.
Poco dopo, stringendo in mano il crocifisso, entrò in agonia. Alle 9,30,
mentre suonava la campana in segno dell’elevazione, spirò con il sorriso
sulle labbra. Era il 1637, aveva 55 anni e tre mesi.
Nello stesso momento, un santo frate del convento di San Fili, Padre
Ludovico da Crosia, vide una grandissima luce e in mezzo ad essa, tutto
festante e contento, fra Umile, corteggiato da una moltitudine di angeli. Gli
domandò dove andasse. Rispose: Al paradiso, al paradiso!
Alla sua morte avvennero miracoli testimoniati dai contemporanei. La
gente correva in chiesa per vedere fra Umile morto: lo toccavano, lo piangevano, lo baciavano. Cercavano di tagliuzzare l’abito per devozione. Dovettero rivestirlo più volte. Rimase esposto in chiesa per tre giorni.
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Anno XXVII – Ottobre 2009 – Sant`Umile da Bisignano