sistenza superata emorta. Cerchiamo di dare adesso questa risposta. Sarà un po' anche un esame di
coscienza. Emi sembra doveroso farlo proprio in
questo nostro incontro.
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fondamentale, che possiamo portare all'attivo del
nostro bilancio. Ma vene èun'altra non meno importante, anche se non sempre avvertita, non sempre riconosciuta. La Resistenza non èstata un fenomeno puramente italiano. La Resistenza èsorta
esièaffermata in tutti i Paesi occupati dai nazifascisti - dalla Francia all'Unione Sovietica, dalla
Polonia alla Jugoslavia, dalla Grecia alla Norvegia, al Belgio, all'Olanda. Ein quelle nazioni, nelle loro formazioni anche parti~ani italiani sono stati presenti. Euna Divisione Garibaldi si èbattuta
eroicamente in terra jugoslava. Enella stessa Germania hitleriana, se non fu possibile una Resistenza armata, centinaia di migliaia di tedeschi antinazisti furono eliminati nei campi di concentramento ofurono fucilati come le migliaia di congiurati,
veri o presunti, dell'attentato del 20 luglio 1944,
ohanno lasciato leloro teste sotto la mannaia, come Hans eSophie Scholl, igiovanissimi animatori
della Rosa Bianca. Enelle nostre formazioni accanto a italiani di tutte le classi sociali e di tutte
le regioni - anche di quelle che non hanno conosciuto l'occupazione nazista- hanno combattuto
ehanno dato il loro contributo di sangue alla guerra
comune francesi e jugoslavi, polacchi e sovietici,
greci ed inglesi.
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Ecome prima risposta possiamo affermare senza tema di essere smentiti, che abbiamo conquistato
la libertà el'abbiamo mantenuta. Da quarant'anni ormai viviamo in uno stato democratico, in una
democrazia senza dubbio non perfetta, talvolta magari piuttosto maltrattata, ma ad ogni modo in un·
regime di libertà politiche ecivili, che costituisce
la base indispensabile per ogni sviluppo ulteriore
anche nel campo sociale ein quello economico. E
l'esigenza di libertà, l'amore per la libertà èben radicato non solo in chi come noi, ha conosciuto un
re~me non libero, èvissuto sotto la dittatura, eper
conquistare la libertà èstato partigiano ed èpronto atornare ad esserlo se fosse necessario. Ma questo amore per la libertà èsaldo eforte anche negli
appartenenti alle generazioni che ci hanno seguito, che sono venute dopo di noi, anche le più giovani, come hanno dimostrato estraniandosi econtrastando, nella assoluta maggioranza, quel fenomeno della eversione che ha colpito negli anni scorsi
il nostro Paese. Enon si può negare che questo regime di libertà, questo ordinamento democratico
abbia consentito grandi progressi nel campo economico ein quello sociale. Il tenore di vita del nostro popolo si èsensibilmeme elevato el'Italia ele'
mento di primo piano della Comunità Europea, è
ormai compresa tra i Paesi più industrializzati del
mondo.
Èquesta senza dubbio la voce più importante,
Vi fu allora quasi una spontanea, inconsapevole unione dei popoli contro la barbarie, per la difesa dei supremi valori della civiltà. Eforse proprio in questa unione spontanea e inconsapevole
ha potuto nascere egermogliare un'idea che qua77
rant'anni or sono poteva parere utopia, ma che,
malgrado la cattiva volontà degli uomini egli uomini di cattiva volontà, ha trovato ormai alcune
forme di sia pure parziale realizzazione edovrà divenire ogni giorno di più operante eluminosa realtà. Èl'idea di un'Europa unita, di un'Europa eh~
non rinnega Je Patrie ma anzi consente ad esse dt
affermarsi in una realtà più ampia, di un'Europa
che potràessere elemento di stabilità, ~i pa~e ~ ~~
progresso tra i popoli, nella quale a~le l~b~rta ct.vth
epolitiche dovrà affiancarsi una gmstlzta sociale
più elevata e più alta.
Eforse gli storici di domani individueranno proprio nella Resistenza il fondamento ideale della futura Federazione Europea.
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Non ègenerosa la vita di questa nostra società,
che non solo negli anni attuali, in cui perdura enon
soltanto da noi, una crisi economica, generalizzata, ma anche nei momenti delle vacche grasse, negli anni sessanta, gli anni del boom, di quello che
fu detto il miracolo italiano, quando tanta ricchezza
si èpotuta produrre ecosì male distribuire, non è
riuscita a dare lavoro a tutti i suoi figli, ne ha costretti tanti all'emigrazione, alla sottoccupazione,
alla occupazione saltuaria e marginale, al lavoro
nero, a sottostare soprattutto in alcune provincie
del sud a forme di sfruttamento del lavoro, indegne di una società civile. Ei più colpiti da questa
situazione sono appunto igiovani - ei più deboli
di essi, delusi, scoraggiati, abbandonati ase stessi,
cercano una risposta ai loro problemi rivolgendosi
ad altri pretesi ideali: ai paradisi artificiali della droga, alla contestazione anche violenta di una società che non Hcomprende e li respinge, alla stessa
eversione armata che abbiamo conosciuto in questi ultimi anni.
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Queste dunque sono le voci più impo:tant~ che
possiamo portare all'attivo del nostro btlanci.O. E
fondamentale èla conquista ela difesa della libertà efondamentali sono anche le realizzazioni che
grazie ad esse abbiamo potuto conseguire nella nostra attuale società.
Ma se la libertà èessenziale, se senza la libertà
nulla èpossibile, ècerto che essa da sola non espr~­
me tutte le aspirazioni, tutti gli ideali della Resistenza. Alla libertà deve affiancarsi la giustizia, la
giustizia tra isingoli, la giustizia tr~ le cl~ssi: Non
acaso numerose formazioni partigiane SI chiamarono appunto <<Giustizia eLibertà». Equesta esigenza di giustizia, di una più alta so~ta~ziale. giustizia è oggi avvertita soprattutto dat g1ovaru, da
questi giovani che devono affrontare i problemi
sempre più ardui dell'occupazione edel lavoro, che
vogliono vivere una società più umana, conscia delle loro aspirazioni e dei loro bisogni.
Ed èproprio in questo campo, di quella che si
qualifica come giustizia sociale, che la Resistenza,
malgrado gli sforzi ele indubbie conquiste di questi quarant'anni, èrimasta ancora incompiuta, e
non èstata resa all'Italia quella vita generosa esevera che Teresio Olivelli invocava nella <<Preghiera del Ribelle».
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Non ègenerosa enemmeno severa la vita di questa nostra società, che di fronte asituazioni di povertà edi indigenza, lascia sussistere sfacciate manifestazioni di ricchezza e di lusso sfrenato, consente che categorie privile~ate si facciano forti della
loro posizione per conseguire altri privilegi, in una
gara di egoismi corporativi che offendono la giu.
. )~
stizia
ecalpestano l'interesse generale, e non nesce ancora, malgrado i reiterati buoni propositi, a ·
l'evasione fiscale, che ha rovesciato sulla classe lavoratrice la massima parte del peso della pubblica
spesa.
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Efino ad oggi non èstata severa, tutt'altro, la
vita di questa nostra società che, invece di combatterli, ha lasciato dilagare il fenomeno mafioso e
quello camorristico in tutto il territorio dello Stato, nelle provincie più operose, determinando an80
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Non èsevera - diciamolo pure chiaramente la vita di questa società in cui tanti scandali, collegati anche con uomini dei pubblici poteri, sono
scoppiati esi sono presto esauriti nel silenzio enell'oblio; questa società che molte volte si è decisa
achiudere le stalle solo quando i buoi erano ormai
lontani; questa società in cui la questione morale
viene sollevata e poi molto spesso dimenticata
quando non èpiù utile ai fini di parte. Ci sono sta.te, èvero, anche delle eccezioni. Ma c'è voluta l'energia e la volontà di una Partigiana, l'On. Tina
Anselmi, per affondare decisamente il bisturi in
quel maleolente affare della P2.
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che quell'orrido fenomeno dei sequestri di persona edei riscatti, per i quali siamo all'avanguardia
non solo in Europa, efacciamo impallidire la stessa Chicago degli anni trenta. Èun veleno che ha
infettato la vita italiana, persino in alcune sue sfere delicate ed elevate, ed èassolutamente necessario che le iniziative ela volontà manifestatasi in questi ultimi anni di perseguirlo decisamente e di distruggerlo, assumano veramente forma concreta e
determinante.
Infine non èné generosa né severa la vita di questa nostra società, che malgrado gli sforzi di tanti
magistrati, molti dei quali hanno pagato con la vita la loro fedeltà ad una società onesta elibera, non
è stata ancora capace di assicurare alla giustizia
mandanti ed esecutori delle stra~ perpretate dai tar·
di epigoni del nazifascismo, da piazza Fontana a
piazza della Loggia, dall'!taficus alla stazione di Bologna.
Ecco, cari compagni ed amici, alcune considerazioni, alcuni dati di fatto, alcuni elementi che possono essere utili per stabilire un bilancio della nostra società dalla Liberazione ad oggi, per verificare quanto èstato fatto in armonia con i nostri
ideali, con le finalità della nostra Resistenza equanto invece non è stato fatto, non ha potuto essere
realizzato o addirittura è in contrasto con que~i
ideali.
E questo bilancio conferma che, oggi, la Resistenza è ancora incompiuta. Ma dobbiamo anche
chiederci quale ne sia stata la ragione, il perché ciò
sia potuto avvenire. Forse che quegli ideali per i
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ricordato, malgrado ledelusionisubite egli errori
commessi, la Resistenza egli ideali che l'hanno ispirata possono ancoraincidere ed essere vivi eoperanti nella nostra società. Ma possono esserlo solo
se, nel regime di libertà da noi realizzato, saremo
capaci di alimentare ancora la nostra rivolta morale, se saremo decisi anonaccettare le ingiustizie
ele prepotenze eanon essere di fronte ad esse sordi ed inerti, se rimarremo ribelli - democraticamente ribelli - ad ogni forma di ingiustizia, di sopraffazione, di iniquità comunque essa si manifesti.
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Questo è l'impegno che abbiamo assunto tanti
anni or sono, quando iniziammo ad essere ribelli
e partigiani. Equesto impegno oggi, se vogliamo
onorare degnamente i nostri Caduti, dobbiamo riconfermare in questo incontro perché la Resistenza non resti incompiuta e i suoi ideali siano fatti
propri anche da chi verrà dopo di noi.
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quali centomila combattenti per la libertà sono
morti non meritavano di essere perseguiti? Forse
che ad essi se ne sono contrapposti altri più validi?
Non mi sembra. Non mi sembra che sinora siano
stati proposti al nostropopolo altri fini; altri idea·
li più elevati. La verità èche èmancata la volontà
- qualcuno dirà la volontà politica, io dirò semplicemente la buona volontà :- èmancata la con·
cordia per realizzare ciò che allora volevamo rea·
lizzare, è mancato ogni spinta ideale, è prevalsa
molto spesso anche una volontà decisamente con·
traria.
Ela responsabilità èdi tutti. Anche nostra. Per·
ché in uno Stato democratico elibero le responsa·
bilità della vita sociale non sono solo di coloro che
sono investiti del potere, ma anche di tutti coloro
che in un modo onell'altro, per incapacità, per negligenza oper ignavia non hanno saputo democra·
ticamente far prevalere soluzioni conformi ai loro
ideali. Enoi, sino ad ora, evidentemente non ab·
biamo avuto questa capacità.
Ma se ciò èvero, se gli ideali che ci hanno unito
nella Resistenza non sono venuti meno, se in essi
crediamo ese inessi credono soprattutto le gene·
razioni più giovani - alle quali forse abbiamo avuto il torto - ecco una nostra mancanza - di non
parlare, come avremmo dovuto, della Resistenza
edi farla conoscere - la Resistenza sarà sì incompiuta ma non superata etanto meno morta. Ese
nonèsuperata né morta isuoi fini potranno anco·
ra essere realizzati solo se noi lo vogliamo. Eio sono
convinto che, malgrado tutti ifatti negativi che ho
Certo, noi oggi non abbiamo più gli anni di allora. Ne sono passati quaranta. Eanche quelli che
allora erano molto giovani - avevano magari se·
dici e diciassette anni - erano i nostri «Bocia»,
hanno superato da tempo il mezzo del cammin di
nostra vita. Per non parlare di coloro che, come
chi vi parla, avevano già superato estavano per superare allora quel mezzo del cammino. Ormai sia·
mo anziani, e magari vecchi, dirà qualcuno. Ma
questo non ci impedisce- per quanto ancora ci
èdato di agire edi operare - di confermare quel·
l'impegno.
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Lo dobbiamo fare anzitutto per rispetto verso noi
stessi, per quello che siamo stati eche non intendiamo rinnegare. Èpoi un dovere che abbiamo nei
confronti dei nostri fi~i -e ormai anche dei nostri nipoti - che non devono rimproverarci domani
di avere lasciato sciupare, per negligenza, per stanchezza oper incapacità, i risultati più belli della Resistenza eperché al contrario, sul nostro esempiò,
essi sappiano mantenere nella loro società la libertà ela giustizia. Einfine èun dovere nei confronti
di coloro che non sono più tra noi; nei confronti
dei centomila combattenti per la libertà, scompar·
si nella lotta; caduti in combattimento, fucilati o
impiccati come banditi, deportati ed eliminati nei
campi di concentramento tedeschi, spentisi nel fondo delle prigioni. Oggi, in questo nostro incontro,
che ci vede fraternamente riuniti dopo tanti anni,
il loro ricordo si fa più vivo estruggente, le loro
immagini si stagliano nette nella nostra memoria,
giovani come allora li abbiamo conosciuti, sottratti
all'oltraggio del tempo. Euniamo nel loro ricordo
anche coloroche sono caduti oltre i confini della
Patria enelle fila del Corpo Italiano di Liberazione, ecoloro che in questi quaranta anni, per l'inesorabile trascorrere del tempo ci hanno lasciato.
Riconfermiamo oggi il nostro impegno soprattutto nei loro confronti. Riconfermiamolo solennemente, alla presenza del Comandante partigiano, Presidente de!Ja nostra Repubblica. Enel riconfermarlo, uniamoci tutti in un istante di raccoglimento alla loro memoria.
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Sandro Pertini
tra la folla all'uscita del teatro Astra
di Bassano del Grappa,
dopo la conclusione dell'Incontro nazionale
dei Comandanti Partigiani,
organizzato dalla Fondazione
Corpo Volontari della Libertà.
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Comandanti partigiani, partigiane e partigiani
nella sala del cinema Astra di Bassano del Grappa
nel corso della manifestazione
ascoltano i discorsi dei Presidenti
delle Associazioni partigiane.
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F1n1to dl stampare
dalla T1pograhca Ed1tnce Romana
V1a M. Boldetti, 22 · Roma
nel marzo t985
LIONELLO R.LEVI SANDRI
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CON UNA NOTA DI LEONARDO SCIASCIA
ARMANDO EDITORE
POLITICA ESTORIA
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re.s~tema
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L'attività della nostra Casa editrice non è stata indebolita dall'al·
tuale crisi economica e culturale de! Paese, anche se la sua azione è
resa difficile da multiformi interferenze editoriali senza rischio e con
fiiWiiti di pari~ Proprio pet qutSIO ragimlt si rende petò sempre p~
necessario offrire docwnenti in prospettive diverse, ma culturalmente
validi per capire, per pensare. Riteniamo quindi opportuno affiancare
ounire alla letteratura scientifica rigorosa offerta ieri diversificata ne·
gli inq!llldrmllenli troria "" unitaria '"'lo /inM di
alle modi
e di oppasizimte oi ge.sl i intdlelltwii rottlttis( "" '"""" serie di libri
di politica e storia odi storia, economia e politica, dove saranno rac·
colte, con i nuovi contributi, le opere già edite in diverse collan~ tra
cui l. GJIRATY, La disoo:tJpazione nella storia; /t smwm, VABC
dell'economia; S. HESSE.~, Democrazia moderna ealtri scritti COli intcr
11azione piì1 rigidamente filosofica come K. R. PoPPER, La società aperta
e i suoi nemici; B. MAGEE, Il nuovo radicalismo in politica e nelle
scieme; A. l'tFJE, Il materialismo oggi; B. OLLMAN, Aliwazion• La
concezionemarxiana dell'uomo nella società capitalista; F. ADLER, Emst
Mach e il materialismo acura di A. Negri.
Molte altre opere potremmo però elencare, apparse nella collar1a
«Controcampo», tra cui: FRosiNr/CoiTA/MATHIEU/BOBBIO, Egua~ianza
ed egualitarismo; D. Rm!AlL, Autorità politica e autorità civile; G. 5NY•
Q!RS, Scuola, classe e lot~ di classe; R. AHIBf.RG, La burocrazia socia·
lista. La critica marxista al socialismo.
Questa raccolta di saggi di politica e storill è quindi da collo-
care ittllll quadro editoriale dove la finalità per così dire ' pedagogica,
persiste e amsente di svolgere un lowro ,,...rio mtChe se doi filoni
originari sono emerse le mwve articolazioni delle 30 collane già apparse,
con 1400 titoli, acui si è giunti ili vellfanlli di lavoro.
Del resto, pedago~a e politica o, per dir meglio, pedagogia eideolo~a richiamotto adocumottatim>i storie/te oasUtmiotti di fotto stret·
tatno•le collegate e ttecessariamttlle interdipendent\ femtO restondo
elle la scuola, tradizionale o c parallela •, ha tra i suoi obiettivi essen·
Vali un incontro con le idrolog~ per prospdtarle in un quadro critico
elle faciliti la maturaziotte personale.
Lionello R. Levi Sandri
IL GIALW DELLA REGÌA
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Con una 110ta di Leonardo Sciasci4
Armando Armando
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NOTADILEONARDO SCIASCIA
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Il più recente e vasto dizionario della lingua italiana
dice che lobbia, sostantivo femminile, è «cappello da uomo
di feltro morbido, di colore nero ogri~o scuro, con infossatura sulla calotta e falda più omeno larga con orlo rialzato»; e dopo aver mostrato l'uso che della parola hanno
fatto alcuni scrittori di questo secolo (e tra loro il solo
Pancrazi la dà, certo giustamente, al maschile), aggiunge:
«Dal lombardo fobia, loggia (usato in senso metaforico),
da accostarsi al nome del deputato Cristiano Lobbia •. Aggiunta che - sostanzialmente incerta - può però apparire
sibillina. Ecosì sarebbe apparsa a noi, se avessimo cercato
nel dizionario la voce «!abbia » prima di leggere questo
saggio di Lionello Levi Sandri. Né col lombardo «lobia »,
né con la frazione di Lobia che appartiene al comune di
Lonigo (in provincia di Vicenza), il nome del cappello ha
a che fare: ma soltanto col nome del deputato Cristiano
Lobbia, a cui un cappellaio fiorentino, per lui parteg~ando,
fece omaggio denominando «lobbia » quel cappello di nuova foggia così esattamente descritto dal dizionario. Che
l'abbia fatto per estremo parteggiare operché gradita quella forma di cappello al deputato, non sappiamo: fatto è
che, perdutosi il nome del deputato, soltanto quello del
cappello èrimasto. Invano, infatti, lo si cercherebbe in una
delle più divulgate storie dell'Italia unita, quella di Denis
Mack Smith: eppure il nome di Cristiano Lobbia è legato
©1983 Editore Armando Armando
Via della Gensola 6().61 · 00153 Roma . te!. 5818441· 5817245
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ammesse anche da loro, dell'azioni opposte ai lumi che
non solo c'erano nel loro tempo, ma che essi medesimi, in
circostanze simili, mostraron d'avere •. La conclusione di
questo luminoso passo, in cui le responsabilità individuali
vengono affermate come mag~ori, più gravi, più imperdonabili di quelle collettive, è che «di tali fatti si può bensì
esser fonatamente vittime, ma non autori ». Che non se ne
può essere autori, cioè, se non colpevolmente.
In questa affaire, nata dalla convenzione del governo
italiano con una società di banchieri per la gestione del
monopolio dei tabacchi, ci sono state le vittime, ma ci sono
stati anche - colpevolmente, perversamente, usando la menzogna e l'inganno - gli autori. Euno, precisamente il Lob.
bia, che èinsieme autore e vittima, che da autore diventa
vittima. Ma autore primo e vero si può considerare Fran·
cesco Crispi, per una di quelle passioni pervertitrici della
volontà che il Manzoni non gli riconoscerebbe come scusa
ma gli attribuirebbe come colpa. Eanche noi.
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a un fatto tra i più emblematici e significanti del Regno
d'Italia, della Repubblica Italiana; uno di quei fatti che
spiegano tutto, e nel senso di quella negatività, di quella
menzogna, di quella assenza del diritto e della ~ustizia
con cui ancora facciamo i conti. E non par dubbio che
Lionello Levi Sandri si sia dato a ricostruirlo e a raccontarlo inragione degli elementi attuali che contiene ealume
di esperienze recenti.
Non si poteva, crediamo, trovare migliore esempio,
«essemplo ))' come diceva Bernardino da Siena, più produ.
cente nel senso delle cose italiane di cui soffriamo, a dar·
cene ritratto e sintesi, a coglierne gli elementi ripetitivi.
Mentre seguiamo il limpido e ordinato racconto che della
vicenda ha saputo fare Levi Sandri, tutte le cose vissute
in questi anni, in questi nostri anni che vanno dal fascismo
alla restaurata erepubblicana democrazia, le sentiamo dentro di noi accumularsi, crescere come una valanga, generare un senso di stanchezza, di soffocazione, di abbattimento. Possibile che le cose siano andate sempre così, che
debbano andare sempre così? Siamo di fronte al primo
grande scandalo dell'Italia unita: e somiglia spaventosamente all'ultimo. Siamo di fronte ad una inchiesta parla.
mentare: e somiglia, nei modi e nell'esito, a tutte quelle
che fino ad oggi si sono avute. Tutto vi è torbido, inquinato, maldestro, senza luce d'intelligenza, senza ansietà di
giustizia. Conansietà d'ingiustizia, anzi. Enulla puòdefinir
meglio quel che è raccontato in queste pa~e di questo
passo del Manzoni, nella Stona della Colotma Infame: c Ma
la menzogna, l'abuso del potere, la violazion delle leggi e
delle regole più note e ricevute, l'adoprar doppio peso e
doppia misura, son cose che si posson riconoscere anche
dagli uomini negli atti umani; e riconosciute, non si posson riferire ad altro che a passioni pervertitrici della vo·
lontà... Si scopre un'ingiustizia che poteva esser veduta da
quelli stessi che la commettevano, un trasgredir le regole
Forse pensando particolarmente aquesto caso, Gramsci
dice di Crispi: «Uomo fortemente passionale, egli odia i
moderati come persone... ». Da questo odio, rivolto perso·
nalmente contro il deputato Civinini, dalla sinistra passato
tra i moderati, nasce il caso. Crispi vi ha uno squallido
ruolo, fatto di menzogne, di reticenze, di gratuite illazioni.
Ed ha esposto al ludibrio un innocente.
Non abbiamo avuto simpatia, fin dagli anni in cui il
fascismo lo esaltava come precursore, e nonostante il ri·
tratto che Pirandello ne fa ne I vecchi ei giovani, per questo «grande siciliano •. Da queste pagine di Levi Sandri
traiamo un motivo di più per non ricrederei.
L.
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Ate, Bice,
alla tua dolce memoria,
nel cinquantenario
del nostro primo incontro,
in Queriniana, aBrescia
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IL CARROZZINO
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ILMATIINO DELL'8 AGOSTO 1868 annunziava ai fiorentini
una nuova giornata torrida. Non spirava un alito di vento
nemmeno alle Cascine. Da alcune settimane su tutta la pe.
nisola infieriva la calura, interrotta ogni tanto da improvvisi temporali ed acquazzoni, che un poco la temperavano,
qualche volta l'accrescevano e causavano molto spesso
danni non lievi a persone e acose. Proprio quella mattina
i giornali riportavano che aGhisciano di Gubbio un fulmine
era caduto sulla casa parrocchiale e aveva ucciso il padre
del parroco, a Civitanova il temporale aveva asportato una
parte del ponte Spina, danni gravi si erano avuti aMantova
e in provincia di Modena.
Per il generale conte Menabrea, presidente del Consiglio dei ministri, e per il conte de Cambray-Digny, ministro
delle finanze, la ~ornata si annunziava calda anche politicamente e politicamente impegnativa. Alle dodici, infatti,
tornava a riunirsi nel salone dei Cinquecento la Camera
e con ogni probabilità si sarebbe conclusa la discussione
e si sarebbe votato su un progetto di legge molto importante: quello presentato dal Governo per l'approvazione
di unaconvenzionestipulata con la Società generale di ere-
11
5 l'intervento, ugualmente critico, di Urbano Rattazzi lo
aveva superato in durata: aveva occupato ben cinque ore),
eil ministro Cambray·Digny aveva ritenuto di dover subito
intervenire, eaveva parlato il6 eanche il 7, per controbat.
tere, con toni spesso altamente polemici, i rilievi, che pro.
venendo da una personalità quale il Lanza avevano parti·
colarmente impressionato l'assemblea. Ne erano derivati
battibecchi, interruzioni, fatti personali, dominati con au·
torità e souplesse dal vice·presidente, l'avvocato Pisanelli.
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Molte erano le critiche che si indirizzavano alla con·
venzione. Sia sulla stampa che in Parlamento era stata
messa in dubbio, anzitutto, la sua stessa costituzionalità,
perché con essa sostanzialmente si trasferiva il monopolio
dallo Stato a privati: c I monopoli o bisogna sopprimerli
o che li tenga il Governo», aveva tuonato il Lanza. Si era
stigmatizzato lo spogliarsi, da parte dello Stato, di uno dei
proventi più importanti, più sicuri e di più sicuro aumento
che avesse la pubblica finanza. Si era poi criticato l'affida·
mento dell'esercizio della regìa ad una società anonima,
che proprio perché tale non dava sufficienti garanzie, non.
ché l'incertezza del canone che doveva essere corrisposto
all'erario. Sull'ammontare di questocanonesi erano accese
aspre discussioni. Sulle colonne della Nazione e su quelle
dell'Opinione, tutti e due giornali di destra ma non inac·
cordo sulla regìa, Antonio Monghini e Francesco Ferrara
avevano polemizzato tra loro: il primo, cifre alla mano,
aveva cercato di dimostrare che lo Stato avrebbe tratto
guadagni più che doppi di quelli della Società; il secondo
aveva affermato invece che la Società avrebbe realizzato
guadagni enormi, senza alcun rischio, mentre lo Stato
avrebbe buttato via centinaia di milioni.
Le critiche riguardavano anche altri aspetti dell'opera·
zione. Ad esempio la durata del contratto, apparsa ecces·
siva, sebbene ridotta a 15 anni dai 20 inizialmente pre·
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dito mobiliare ed altri banchieri, per costituire - come
si leggeva nello stampato parlamentare - c una re~a coin.
teressat~ ~er .l'eserc~o della privativa dei tabacchi, e per
una anticipaziOne d1 180 milioni di lire effettive, vale a
dire in oro.
'
Si trattava di un provvedimento che aveva sollevato
~p~ena era stato annunziato forti contrasti tra le forze po·
htiche e nella stessa opinione pubblica. La stampa se ne
era occupata con molto impegno ein vari ambienti, soprat·
tutto della Capitale si erano accese discussioni vivaci, an·
che perché alcuni dei banchieri che eranoparte della con·
venzione erano appunto fiorentini o si erano da poco tra·
sferiti a Firenze, come il comm. Domenico Balduino il
potente amministratore delegato del Credito mobiliare e
de~ ~ machina di tutto l'affare. Il Governo d'altra parte
attnbwva al provvedimento decisiva importanza per l'at.
tuazione del suo programma di risanamento delle esauste
finanze statali, sì che nella seduta del giorno precedente
prima il Digny e poi lo stesso Menabrea non avevano na:
scosto che la mancata approvazione del progetto di legge
avrebbe comportato una crisi di gabinetto.
La discussione in assemblea aveva avuto inizioil 4 di
agosto. Edurante quattro giorni si erano udite contro la
convenzione le critiche piùcrude. Ecritici erano stati non
solo gli uomini dell'opposizione, quelli della Sinistra, duri
avversari della compagine governativa, ma anche uomini
eminenti della stessa Destra, che in questa circostanza _
malgrado gli avvertimenti minacciosi del fo~io governativo
lA Perseveranza - non avevano esitato a rompere vecchie
intese e a schierarsi apertamente contro il progetto di
legge.
Viva sensazione aveva prodotto soprattutto il duro in·
tervento di Giovanni Lanza, che era sceso dal suo seggio
di presidente della Camera per parlare dal banco di depu·
tato. Aveva parlato per più di tre ore il giorno 6 (il 4e il
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vidi - egli disse, ricordando la costituzione del governo Menabrea - l'onorevole conte Digny con
tanta audacia e tanta temerità pigliare il portafo~io delle
finanze e accingersi a battaglia contro il mostro del disavanzo, provai quel sentimento di trepidazione che pro.
varono probabilmente gl'Israeliti allorché videro il ~O·
vinetto David accingersi alla lotta contro il ~gante Golia.
Ebbene, signori, il 21 mag~o voi avete collocato nella fion·
da dell'animoso giovanetto il ponderoso masso del maci·
nato, ed oggi gli rifiutereste poche foglie di tabacco e recidereste in tal guisa il nervo possente del braccio robusto
che sta per vibrare un grande colpo allo scellerato e immane mostro? ».
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«Allorché
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Questa chiusa parve talmente fuori posto con la serietà dell'argomento, e in particolare con la serietà degli ar·
gomenti portati dagli oppositori, che la stessa Nazione,
filogovemativa per eccellenza, la omise nel resoconto, sem·
pre completo, che ogni giorno riportava delle discussioni
parlamentari.
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visti; non sembrava ammissibile l'autorizzazione data ad
una società privata ad assumere agenti speciali, per com.
battere il contrabbando, dotati degli stessi poteri degli
agenti governativi; quanto al prestito, ne veniva contestata
la stessa necessità - necessità invece particolarmente sot·
tolineata dal Governo - e il suo collegamento con la re~a.
Non erano infine mancati accenni anche a sospetti di
irregolarità, che avevano turbato l'opinione pubblica e
molti parlamentari: troppe erano le disposizioni che appa·
rivano a favore più dei banchieri che dello Stato; si era
di fronte a un vero contratto leonino - si disse - a uno di
quei contratti che i figli di fami~ia stipulano con gli usurai.
Del resto cosa ci si poteva attendere da contraenti come
il Credito mobiliare, che già in altra occasione - nella co.
struzione della linea ferroviaria in Liguria - non aveva
manifestato abilità amministrativa e capacità industriale,
ma era stato però capace, a furia di liti e di arbitraggi, di
strappare all'erario cospicue somme a titolo di indennità?
Come si poteva pensare di trovare in simile contraente e
negli altri banchieri dei soci sinceri ed onesti dello Stato?
«Les financiers soutiennent l'Etat cornme la corde soutient
le pendu >>, ammonì l'on. Chiaves citando Montesquieu.
Queste e altre considerazioni del genere erano state
ampiamente svolte, nel corso della discussione, dagli oppositori. Afronte di essi, duesole voci, oltre naturalmente
quella del ministro, si erano levate in favore del progetto
governativo. Ma una soltanto, quella dell'on. Ciccarelli,
aveva cercato di controbattere, adducendo elementi con·
creti, le varie critiche; l'altra, quella dell'on. Giuseppe Mas·
sari, aveva invocato considerazioni più che altro di ordine
politico, prospettato il pericolo di una crisi se il progetto
veniva bocciato e aveva concluso con una patetica invoca·
zione, interrotta ripetutamente - si legge nel resoconto par·
lamentare - da «ilarità generale e prolungata» dell'assem·
blea.
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*t *
Il conte Luigi Guglielmo de Cambray-Dignyera allora
nella piena maturità e politicamente sulla cresta dell'onda.
Non ancora cinquantenne - era nato a Firenze nel 1820
- discendeva da una famiglia francese che, verso la metà
del XVIII secolo, si era trasferita dalla Normandia in Toscana. Ingegnere, studioso di problemi economici ed agra·
ri, deciso assertore dei principi di libertà economica e
di commercio, in nome anche di esigenze che potremmo
oggi dire di carattere sociale o quanto meno umanitario,
il Cambray-Digny era stato in gioventù molto vicino alla
casa granducale e nel 1849 aveva efficacemente cooperato
alla restaurazione di Leopoldo II. Ma deluso dall'interven·
to austriaco, sollecitato dallo stesso granduca, e dalla rea·
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con i soli provvedimenti adottati e in programma, non
avrebbe reperito quei 230 milioni che, nel discorso di gen.
naia, aveva stimato necessari per far fronte alle esigenze
di tesoreria nel'68 e nel'69.
Sondag~ effettuati presso banchieri italiani e stranie·
ri per lanciare un prestito avevano dato esito negativo. Il
nuovo Stato italiano, con il suo pauroso disavanzo che a
fine '68 - si prevedeva - avrebbe superato i 600 milioni, con
la rendita crollata da 100 a55 lire (e anche a meno: in gen·
naio aveva toccato quota 48) eil saggio di sconto salito al.
15 per cento, non dava garanzie sufficienti per un'operazione
di tale ammontare.
Ma una garanzia sarebbe stata favorevolmente accolta
dai banchieri: quella del monopolio dei tabacchi; appaltan·
dolo ocomunque interessando ad esso gli ambienti finanzia·
ri, si sarebbe potuto ottenere anche il prestito. Re~e appai·
tate ocointeressate erano ~à esistite in alcuni Stati italiani, e anche nel granducato, dove - si diceva - il sistema
aveva funzionato egregiamente B. Senza contare che l'anno
prima un economista come il Ferrara, all'inizio della sua
breve esperienza ministeriale, non aveva mancato di spez.
zare una lancia proprio a favore di un'ampia applicazione
del sistema della cointeressenza e dell'appalto nella riscos.
sione dei tributi. Perché non fare ricorso, quindi, anche
nel nuovo Stato italiano ad una regìa del genere? Biso·
gnava però trovare un gestore capace, e avente la disponibilità di adeguati mezzi finanziari. E tale gestore non
poteva essere - come si leggerà poi nella relazione alla
Camera - che «una associazione di capitalisti, la quale,
svincolata dai molti legami e tradizioni degli uffici governativi, potesse sradicare gli abusi, procedere a decisive ri·
forme, ed avere l'interesse privato a sprone nell'introdurvi
quellenorme e quei sistemi più semplici e capaci di cavar·
ne un prodotto maggiore».
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eper le critiche che da varie parti erano state mosse al suo
discorso del giorno prima, ~udicato fiacco, tedioso, privo
di chiarezza; solo l'amica Nazione lo aveva invece definito
pratico, ricco di fatti, di cifre, di prove e di idee... Ma il
suo innato ottimismo ~i deve aver fatto superare ben
presto preoccupazioni e amarezze. Poco prima di mezzogiorno si avviò verso Palazzo Vecchio, deciso a riportare
vittoria anche nella nuova, difficile battaglia parlamentare.
Sarebbe stata la sua terza vittoria nel giro di pochi
mesi. In maggio infatti era riuscito a far approvare, sia
pure da una esigua maggioranza, la legge sul macinato, che
due uomini di governo eminenti come il Lanza e il Ferra·
ra, che avevano presentato i primitivi progetti, non avevano
potuto menare a buon porto. Aveva ottenuto poi l'approvazione della legge che unificava le tasse sulle concessioni governative e le estendeva a tutte le province. La con·
venzione sulla re~a cointeressata si inquadrava nel sistema che egli aveva divisato e lo completava, al fine di arri·
vare alla eliminazione del disavanzo. Una volta rag~unto
questo obiettivo avrebbe potuto dedicarsi alla mèta più
ambiziosa che si era prefissa: l'abolizione del corso forzoso.
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La creazione della re~a cointeressata, veramente non
era compresa nel primitivo programma che e~i aveva presentato alla Camera nel mese di gennaio. Aveva parlato
allora, più che altro, di imposizione di nuovi tributi e di
riforma di quelli esistenti e aveva accennato alla necessità
di riordinare alcune branche dell'amministrazione, per
conseguire «alcune non dispregevoli economie ». Aquesto
proposito aveva anche ricordato l'amministrazione dei ta·
bacchi, e sottolineato l'esigenza di licenziare il personale
esuberante e poco produttivo, garantendogli per un certo
periodo un trattamento di pensione, ma non aveva accennato al sistema che si sarebbe poi concretato nella conven·
zione. L'idea sorse successivamente, quando accertò che
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agli utili, e averne ridotto la durata a quindici.anni. Si era
giunti così alla fine di luglio. La consuetudine avrebbe
voluto che i parlamentari andassero in vacanza. La sessione era stata molto laboriosa e i rappresentanti della nazione erano stanchi e aspiravano a lasciare Firenze e Ja
sua calda estate. Ma il governo aveva fretta e premeva per·
ché la convenzione fosse approvata e il nuovo sistema
potesse decollare con il 1° gennaio successivo. Fu necessa.
rio adattarsi e così il4 di agosto in Palazzo Vecchio si era
iniziata la discussione di cui abbiamo parlato.
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Il vicepresidente, J'on. Francesco Restelli (o, meglio,
il c commendatore Restelli », come si legge nel resoconto
parlamentare: l'Ordine della Corona d'Italia era stato crea·
to da pochi mesi e la commenda era un'alta onorificenza)
aprl la seduta a mezzogiorno preciso. Milanese, amava la
puntualità einvitò i colleghi a prendere posto sollecitamen·
te. Il ministro Cambray-Digny dette di sicuro uno sguardo ai
banchi di destra e le sue preoccupazioni circa le assenze
dovettero essere almeno in parte mitigate: erano affollati.
E' vero che anche gli avversari, che non sedevano solo a
sinistra, apparivano quasi al completo; ma i sostenitori
del ministero - sempreché qualcuno non si allontanasse
prima del voto! - apparivano, sia pure di poco superiori
di numero. Affollate erano anche le tribune, compresa quel·
la diplomatica (all'affare erano interessati banchieri stranieri).
Come di consueto, fu letto e approvato, tra l'indiffe·
renza generale, il verbale della seduta precedente. Il se·
gretario dette poi notizia di alcune petizioni. Tra le altre,
Lanza padre Francesco, ex-minore conventuale, da Calta·
girone, e altri quattro suoi correligiosi, reclamavano contro il prefetto di Catania che aveva loro imposto di smet·
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Deciso a marciare in questa direzione, il Cambray·
Digny si rivolgeva al comm. Balduino, amministratore dele·
gato - come già sappiamo - del Credito mobiliare. Equesti,
a nome anche c de~i altri stabilimenti italiani di credito,
banchieri e capitalisti suoi cointeressati» (sembra che, at·
traverso terze persone, facesse capolino anche illivornese
Pietro Bastagi, finanziere e politico molto discusso), uni·
tamente ai signori Giacomo Stern ed Eduardo Joubert,
che partecipavano anche quali delegati di altri banchieri
di Parigi, di Londra e di Francoforte, stipulavano col Digny
in data 23 ~ugno una convenzione. Con essa Balduino
e soci si obbligavano a costituire una società anonima ita·
liana, per assumere in regìa, mediante un canone assicurato
e una partecipazione dello Stato ai profitti, l'esercizio del
monopolio dei tabacchi per una durata di venti anni, adecor·
rere dallogennaio 1869. Si obbligavano inoltre a fare al
governo un'anticipazione di 180 milioni di lire italiane in
oro, mediante obbligazioni emesse dalla stessa società e
garantite dal governo, da ammortizzare nel periodo di venti
anni. Poiché a questa somma si dovevano ag~ungere altri
cinquanta milioni circa, che costituivano il valore dei tabac·
chi greggi e lavorati esistenti nei magazzini del monopolio
eche la società si impegnava a rilevare, il Digny si trovava
finalmente a disporre di quella somma di 230 milioni di
cui aveva bisogno.
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Il 26 giugno la convenzione veniva presentata alla Ca·
mera, in allegato a un progetto di legge per la sua approvazione. Fu sottoposta al preventivo esame di una com·
missione. E questa, sebbene costituita tutta da elementi
favorevoli al Governo, non si sentì di raccomandarne l'approvazione se non dopo un lungo e minuzioso esame Oa
stampa filogovernativa non aveva mancato di protestare
contro tali lungaggini), edopo averla ampiamente rimaneg·
giata, tra l'altro aumentando la partecipazione dello Stato
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arrivò alla presentazione e alla discussione degli ordini
del giorno. Erano una diecina; due (quello dell'an. Mordi.
ni e quello dell'an. Guerrieri-Gonzaga) erano favorevoli al
Governo; gli altri avversavano tutti la convenzione e in·
vitavano il Governo a cercare per altre strade quei milioni
di cui affermava di avere bisogno.
La discussione fu lunga ed accesa, anche perché fa·
ciii e tentatrici erano le digressioni su questioni di politica generale. Più volte il presidente dovette richiamare gli
oratori ad attenersi, anzi ad «avvicinarsi » all'argomento.
Apomeriggio inoltrato si decise di limitare il tempo di
parola di ciascun oratore a dieci minuti. Ma subito dopo
fu consentito a qualcuno di superare tale limite. Onde ri.
petute proteste, rumori e interruzioni, fatti personali e
mozioni d'ordine. I deputati accaldati, irrequieti e impa·
zienti abbandonavano i loro scanni, contestavano nei cor·
ridoi, uscivano e rientravano nell'aula, facendo probabilmente alternare nell'animo del ministro Digny timori e
speranze. Il presidente fu costretto a continui richiami,
non sempre ascoltati.
Alla fine i presentatori dei vari ordini del ~orno contrari al ministero confluirono tutti su quello dell'an. Castagnola, che attraverso il suggerimento di alcuni pallia·
tivi e una proposta sospensiva, non pregiudicava - sosteneva il suo presentatore - le tesi in contrasto. Ma il mi·
nistro Cambray-Digny non ne volle sapere. Aveva fretta di
concludere, di disporre di quei 180 milioni «in moneta
sonante» (come aveva scritto nella rel-azione) che la con.
venzione gli avrebbe assicurato. Ein un breve intervento
dichiarò la sua preferenza per l'ordine del giorno Mordini,
al quale aveva aderito anche il Guerrieri-Gonzaga.
Come Dio volle, si arrivò alla votazione per appello
nominale. Si cominciò dall'ordine del giorno Castagnola,
che ricevette 182 voti favorevoli e 201 contrari: la sospensiva fu così respinta. Allora, mentre esplodevano ani·
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tere gli abiti monastici a pena dell'arresto e della prigionia. Qualcuno, che aveva seguito la lettura, sogghignò. La
maggior parte dei deputati però pensava ad altro o chiacchierava. Alcuni leggevano i ~ornali, e non solo le noti·
zie politiche. Molto seguito era allora un romanzo del gio.
vane collega Giuseppe Guerzoni, pubblicato a puntate, in
appendice, su La Riforma, il giornale di Crispi. Era inti·
tolato «La tratta dei fanciulli - Pagine del problema SO·
dale in Italia »; e in esso si narrava dei fanciulli suonatori
e cantanti girovaghi, venduti dai loro parenti a mercanti
stranieri e del traffico che questi ne facevano. Passarono
così senza discussione la concessione di un congedo all'on. Arrivabene, per motivi di salute, la presentazione di
alcune relazioni e una dichiarazione dell'an. Seismit·Doda,
a nome della commissione di inchiesta sul corso forzoso,
che si proponeva di inviare la propria relazione a domicilio ai signori deputati nel corso delle vacanze parlamen·
tari. Alcuni approvarono alla voce (« Sì! Sì! ,, si legge nel
resoconto) lieti, si vede, di avere un sostanzioso argomento per occupare il tempo libero...
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Venne quindi ripresa la discussione sul progetto di
legge sulla regìa. Ma tutto quello che poteva essere detto,
pro e contro, era stato detto. E molti deputati, che pro·
babilmente avevano già programmato la partenza in serata,
chiesero a gran voce la chiusura che, messa ai voti, fu
senz'altro approvata. Naturalmente non si poté impedire
al relatore, on. Martinelli, di prendere la parola. Ed egli,
dopo aver dichiarato di sentirsi sicuro interprete del desiderio della Camera contenendo il proprio intervento nei
limiti della più rigorosa brevità, si dilungò per un paio
di ore tra una indifferenza e una sonnolenza generali.
Gli onorevoli deputati si riscossero dal torpore - la
digestione aveva ormai fatto il suo corso - quando si
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Il Governo e, in particolare, il ministro Carnbray-Digny
avevano vinto; l'approvazione da parte del Senato era scon·
tata. Ma avevano vinto con una maggioranza esigua nella
quale erano compresi i voti di quattro ministri deputati
e di alcuni segretari generali (i sottosegretari del tempo)
anch'essi deputati. Senza contare che molti voti favorevoli
erano stati espressi solo per la preoccupazione di una crisi
di gabinetto di difficile soluzione, per il timore di un pos·
sibile ritorno al potere di Urbano Rattazzi, il cui nome era
legato a due esperienze governative non certo felici. Quel
timore - scriveva alcuni ~orni dopo il Lanza ad un amico «ha fatto subire DignyeBalduino eBastogi eavrebbe fatto
ingoiare anche il diavolo se pur facesse parte della stessa
società, il che è però probabile»(~. Inoltre la vittoria era
costata cara: la vecchia maggioranza si era frantumata e
uomini prestigiosi, comeil Berti eil Chiaves, il Castagnola
e il Depretis, il La Marmora, il Sella e il Lanza, già soste·
nitori del Governo, si erano apertamente schierati contro
di esso. Il Lanza aveva messo addirittura in crisi la presi·
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denza della Camera. Il conte Cambray-Digny dovette tor·
nare al suo ufficio più amareggiato che soddisfatto.
Non erano invece amareggiati il comm. Balduino e i
banchieri suoi soci. Ad essi poco importava della risicata
mag~oranza e della sua spaccatura. La convenzione - il
carrozzino, come l'avevano ironicamente batteuata gli av·
versari; oggi diremmo il carrozzoue(~ - era stata appro·
vata. Questo era importante. Edecisero di festeggiare l'av·
venimento la sera stessa, riunendosi a banchetto con i col·
leghi francesi, nel ristorante di Doney et neveux, aperto
pochi ~orni prima in via Tornabuoni, presso Palmo Stroz·
zi. Fu una cena con quaranta posate (oggi si dice franciosamente coperti). Sembra che ad essa partecipassero anche
alcuni deputati. Ma i loro nomi non furono mai conosciuti.
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matissimi commenti, il presidente dette lettura di una lettera che l'on. Lanza gli aveva inviato subito dopo aver ri·
sposto all'appello nominale: <<Dopo il voto da me emesso
contro la proposta rninisteriale della regìa cointeressata,
credo mio stretto dovere di rassegnare le mie dimissioni
dall'ufficio di presidente della Carnera ». Le successive votazioni non riserbarono sorprese. Furono approvati l'ordì·
nedel giorno Mordini, l'articolo unico della legge e, infine,
a scrutinio segreto, la legge nel suo complesso. «La Ca·
rnera approva», proclamò il presidente. E aggiunse: «I
signori deputati saranno convocati a domicilio ,, La sedu.
ta ebbe terminealle 6(oggi si direbbe alle 18); era durata
sei ore precise.
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l COINTERESSATI EILPROCESSO
DI MILANO
la polemica continua accesa sulla stampa. Qualcuno, con ingenuo
ottimismo, spera in un intervento riparatore del Senato:
l'alta assemblea, conservatrice per eccellenza - si dice dovrebbe preoccuparsi di mantenere integri i principi che
ispirarono lo Statuto del regno, principi chiaramente violati
dal trasferimento del monopolio ad una società privata. Ma
la speranza - se veramente di speranza si trattava - vien
meno quando i venerandi padri coscritti, il22 agosto, dopo
due mezze sedute, approvano la legge con votazione quasi
unanime. Il re la sanziona e promulga due giorni dopo: è
la legge 24 agosto 1868, n. 4544.
La polemica sembra lentamente smorzarsi. Sulla stam·
pa compaiono ogni tanto notizie che richiamano alla mente
la questione. Così il 15 settembre si apprende che i ban·
chieri hanno versato i 18 milioni prescritti come garanzia
del contratto; il18 è firmato il decreto reale che approva
la costituzione della società anonima per l'esercizio della
re~a; nei giorni seguenti qualche giornale ne pubblica lo
statuto; il loottobre si apre in Italia la sottoscrizione delle
obbligazioni; il6 si apre anche a Parigi, con molto concorso
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NEI GIORNI SUCCESSIVI AL VOTO DELLA CAMERA
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fratelli di San Giovanni Decollato e hanno fatto una morte
esemplare e cristiana. L'indignazione sale in tutto il paese
contro la curia romana e il suo «chierico insanguinato e
imbelle re», che ha rifiutato la grazia, fatta balenare du·
rante due settimane ai due giustiziati. Sempre in novembre
altro grave lutto: muore a Parigi Gioacchino Rossini; se ne
celebrano solenni funerali in Santa Croce.
Non manca però anche qualche notizia lieta, o comun·
que meno triste, che forse avrà rallegrato ~i appart.enenti
alle classi meno abbienti, soprattutto aquelle popolan, sem·
pre che, analiabetismo permettendo, abbiano potuto apprenderla. Il 3ottobre si è sposata in Firenze .c~n il prin·
cipe Corsini la fi~ia del conte Pietro Bastog1, li famoso
banchiere. I giornali raccontano chetra i regali della sposa
spicca un libretto a fermagli d'oro, rilegat~; .sembra .un
libro di preghiere, ma le sue pagine sono costltmte da mille
biglietti da 500 lire.
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di sottoscrittori econ un premio di l franco e58centesimi
per obbligazione.
Ma queste notizie si perdono in mezzo a tutte le altre
che riempiono le colonne dei giornali in questa seconda
metà dell'anno '68. Sono frequenti e numerose quelle sul
maltempo, che, dopo la calura di luglio, imperversa qua e
là in agosto e in settembre, con uragani e inondazioni, che
a Parma provocano 19 morti, sull'Appennino danneggiano
gravemente la ferrovia Pistoia-Porretta, a Como causano
la piena del lago e obbligano l'imperatrice di Russia a fug·
~re da Villa d'Este dove villeggiava; il Ticino straripa a
Pavia, il Porompe ~i argini a Cremona, a Verona le acque
dell'Adige invadono la tipografia dell'omonimo giornale,
che deve sospendere le pubblicazioni; le zone più basse
delle province di Padova e di Vicenza e il Polesine sono
allagati.
Nella cronaca si alternano briganti uccisi e detenuti
che evadono, eruzione del Vesuvio ed eruzione dell'Etna,
visite dell'imperatrice di Russia in varie città e arrivi e
partenze di granduchi e granduchesse, viaggi su e giù per
l'Italia della giovane coppia principesca, Umberto e Mar·
gherita. In settembre una notizia interessante è costituita
dai risultati degli esami di licenza liceale: sono stati pro·
mossi 456 candidati su 2855, il16 per cento (o gli esami·
natori di allora erano molto più severi di quelli odierni o
i nostri nonni erano molto più asini dei nostri nipoti).
Ma in settembre si saprà anche che a Roma sono stati
condannati a morte Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti,
rei di aver compiuto l'anno prima un attentato alla caser·
ma Serristori, degli Zuavi; la condanna è c ad esemplari·
tà », prescrive cioè l'esposizione delle loro teste per un'ora,
sul palco dell'esecuzione. Questa avviene il 24 novembre
ed è raccontata in tutti i suoi macabri particolari dali'Os·
servatore romano, che assicura ·però i propri lettori che i
due condannati sono stati cristianamente assistiti dai con·
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Si era così giunti all'inizio del nuovo anno. E il governo Menabrea, che in dicembre aveva superato un paio
di grosse battaglie parlamentari, si apprestava con rinnovata fiducia a continuare nell'attuazione del proprio programma. Particolarmente attivo era il C.a~bra~·Digny: im·
pegnato nel riordinamento della ammm1str~l~ne. fman·
ziaria e nella riforma della legge sulla contab1hta d1 Stato.
Proprio allora invece cominciarono grossi guai.
L'applicazione, a partire dal 1° gennaio, dell'imposta
sul macinato suscitò la ribellione delle masse contadine in
alcune provincie specie dell'Emilia e della Romagna; ribel·
lione armata, alla qualeseguì una dura repressioneda parte
dell'Esercito. Si ebbero decine di morti e centinaia di arre·
stati; seguirono processi esevere condanne. Durante i primi
mesi dell'anno, un terzo almeno dei molini esistenti resta·
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Già durante la discussione parlamentare vi erano stati
accenni più o meno espliciti a manovre poco pulite com·
piute per giungere all'approvazione della legge. Ne aveva
a~~ato il Lanza, al quale erano ~unte alcune segnala·
Ziom che lo avevano preoccupato (un banchiere il De Ker·
végnen gli aveva comunicato di aver offerto ~ ministro
dellefinanze, anome di un gruppo di finanzieri inolesi con·
dizioni particolarmente favorevoli per ottenere ~ c~nces­
sione e per il prestito, e di non aver ottenuto nemmeno
risposta); ne aveva accennato il Chiaves. Ele repliche in·
dignate del Digny non li avevano certo soffocati. Se ne
tornò a parlare. Correva voce che i banchieri avessero erog~to svariati milioni per ottenere il risultato favorevole.
Lammontare dell'affare li avrebbe ben giustificati; il fatto
che, a quanto si diceva, vi fosse interessato, attraverso
~restanomi, anche il Basto~, aumentava i sospetti. Anche
il re sarebbe stato tra i bèneficati - 0 c cointeressati , come1romcamente venivano definiti - e per una somma vera·
m~~te .ragguardevole: sei milioni. Si diceva che un paio di
mli10m fossero stati distribuiti tra vari deputati, per ricom·
pensarli del loro voto favorevole; era stato notato a questo
proposito l'improvviso arricchimento di un deputato Iom·
bardo. Si diceva anche che il Balduino avesse offerto ad
alcuni deputati obbligazioni della re~a al valore nominale,
quando in borsa erano già quotate con un 8%di aumento;
esi affermava che in borsa erano state negoziate in offerta
obbligazioni della re~a al nome di parlamentari. E nomi
se ne facevano, e non sempre sottovoce. Erano soprattutto
quelli dell'an. Raimondo Brenna, avvocato, eletto nel col·
Jegio di San Vito al Tagliamento e direttore de La Nazione;
quello dell'on. Paulo Fambri, ingegnere, cognato del Bren·
na, eletto a Venezia; quello dell'on. Giuseppe Civinini. An·
che il nome del ministro Cambray-Digny ricorreva con una
certa frequenza, quale patrocinatore e massimo responsa·
bile dell'affare e beneficiario - si assicurava - di ben tre
milioni. Due giornali, l'Italia elo Zenzero primo, che si era·
no spinti un po' troppo nel riportare maldicenze e insinua·
zioni, ne fecero le spese: su querela del Digny i due gerenti
responsabili furono condannati nel gennaio del'69 ad alcuni
mesi di carcere e al pagamento di una multa. Altra con·
danna al carcere e alla multa ebbe, qualche mese dopo,
sempre su querela del Digny, il gerente del Dovere, di Ge·
nova.
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rono chiusi e inattivi; alla fine del '69 l'imposta, per la
quale era stato previsto un gettito iniziale di 75 milioni
non frutterà nemmeno 28 milioni.
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. Altre ~ifficoltà sorsero di Ua poco. Si tornò a parlare
di tabacchi. Enon tanto per gli scioperi delle sigaraie di
alcune fabbriche, quanto perché fece la sua riapparizione
l'affare della regìa. Un affare veramente che non era mai
stato dimenticato; si può dire che il fuoco aveva continuato
a covar~ ~otto. la. cenere, manifestandosi attraverso i pet·
tegolezzi, 1 «SI d1ce », che si intrecciavano e si confonde·
vano, specie negli ambienti bancari edella borsa ein quelli
giornalistici.
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L'uomo che era oggetto dei maggiori epiù velenosi «si
dice » era però il Civinini.
Giuseppe Civinini a quel tempo non aveva ancora 34
anni. Di famiglia pistoiese, era deputato della sua città.
Aveva conosciuto giovanissimo il carcere granducale, perché
sospettato di cospirazione politica e aveva poi trovato ri·
fugio in Inghilterra e in Piemonte. Era stato anche alcuni
anni aCostantinopoli, dove aveva fatto da precettore ai figli
di un grosso commerciante livornese, che aveva colà molti
interessi, Adriano Lemmi, patriota mazziniano e che sarà
anni dopo gran maestro della Massoneria e, tra l'altro, fon·
datore di quella Loggia P2 per la quale (( tanto reo tempo si
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molti dei suoi antichi compagni di fede, a cominciare dal
Crispi, che non gli potevano perdonare quello che considera·
vano un tradimento. Anche perché Civinini era un attivo
parlamentare e i suoi interventi erano meditati e temuti.
Sul suo conto cominciarono così a correre le dicerie più
varie e maligne, circa nomine o incarichi che gli dovevano
essere conferiti come premio per il suo passaggio tra i
governativi. Un giorno si disse che egli sarebbe stato nomi·
nato sottoprefetto (carica allora molto importante); un altro
giorno che avrebbe ottenuto una cattedra di professore; un
altro ancora che avrebbe avuto un incarico diplomatico:
sarebbe andato in Egitto per svolgervi una speciale missione; no, doveva essere nominato segretario d'ambasciata;
neanche per sogno, molto più in alto: sarebbe divenuto se·
gretario di sua maestà.
L'affare della re~a cointeressata fornì l'occasione per
rinnovare più aspra la lotta contro di lui nell'intento di costringerlo adabbandonareil campo. Eforse offrì egli stesso
l'idea ai suoi avversari quando, il primo giorno della discus·
sione generale, si schierò a favore del Governo parlando
contro una pre~udiziale di rinvio sollevata dall'on. Semenza.
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volse» - esi volge ancora. Ne\1860 però Civinini era rien·
trato in Italia per unirsi a Garibaldi, del quale sembra sia
stato anche segretario; nel '62lo aveva seguìto ad Aspromon·
te econ lui era stato impri~onato al Varignano. Poi, aTorino, si eradedicato al giornalismo, mettendosi in luce come
valido polemista; aveva diretto il ~ornale del partito d'azione, il Diritto, eaveva condotto su quelle colonne appassiona·
te battaglie, facendosi numerosi nemici. Legato politicamen·
te a Francesco Crispi, era da questi molto stimato. c Gran
parte dell'opera nazionale che resta a compiere dipende
da te e dai giovani che ti somigliano, perché venuti alla
politica senza rancori epieni di fede. Noi cominciamo ad in·
vecchiare... », gli scriveva Crispi nell'ottobre del '65, inco·
raggiandolo a presentarsi candidato alle elezioni.
Entrato alla Camera nel gennaio del 1866, Civinini si
era naturalmente schierato asinistra. Insofferente, però, di
una disciplina di gruppo, si era di fi a poco scontrato con
lo stesso Crispi, in occasione delrapprovazione di una legge
che accresceva i poteri della polizia e che egli giudicava li·
berticida e che apertamente avversò, mentre il Crispi, in
vista forse di una certa combinazione ministeriale, finì per
approvarla unitamente ai moderati. Poi, dopo la guerra del
'66, alla quale aveva partecipato combattendo con Garibaldi
a Monte Suello eaBezzecca, era passato bruscamente (c da
un tramonto ad un'aurora», fu detto) al campo opposto,
deluso per la sterilità dell'opposizione condotta dalla Sini·
stra, intesa solo anegare, eirritato per certi comportamenti
del Crispi che nella Sinistra faceva il bello eil cattivo tempo
e non tollerava contraddittori e critici. Evidentemente Ci·
vinini non era fatto per appartenere aquella schiera di par·
lamentari, che anche allora esistevano (Paolo Mantegazza
li chiamava «deputati comparse») e che og~ vengono ge·
neralmente definiti «peones ».
Il suo passaggio sui banchi dei moderati gli aveva atti·
rato le durerampogne, l'astio epossiamo ben dire l'odio di
32
***
Fu un giornalemilanese, il Gazzettino rosa, a riportare
a galla tutto l'affare. Era un foglio decisamente repubbli·
cano, radicale, frequentemente colpito con sequestri e de·
nunzie per attentato all'ordine monarchlco costituzionale;
nella sua foga moraliu.atrice talvolta andava oltre il segno,
sì che da molti, anche della Sinistra, era considerato facile
allo scandalismo. Lo dirigeva allora l'avv. Achille Bizzoni,
ma ne era stato direttore, e ne era sempre assiduo collaboratore anche Felice Cavallotti (6).
115 dicembre 1868, in un articolo non firmato, ma dovu·
to alla penna del Bizzoni, elencò una serie di c si dice • re33
Sporse querela anche il Brenna. Fambri invece andò nel proprio collegio e si dilese dinanzi ai propri elettori.
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Il processo iniziò il 19 mag~o 1869 dinanzi al Tribu·
nale correzionale di Milano. Il presidente - si chiamava Rotondi - non doveva essere uomo di gran polso. Il dibattimento non si svolse sempre in modo ordinato; più di una
volta regnò una gran confusione. Dirà poi il Crispi alla Ca·
mera, riferendo sulla sua deposizione: «anziché un tribunale, trovai un circolo dei più disordinati del 1848; testimoni,
accusati, avvocati, tutti dirigevano il dibattimento meno il
presidente ».
Forse quel presidente non merita un giudizio così severo
e gli si può accordare qualche attenuante se si tien conto
che, in una causa ne!Ja quale si scontravano roventi passioni
di parte, ebbe anche a che fare con un avvocato come An·
tonio Billia, difensore del Bizzoni. Era il Billia, che sarà
poi eletto deputato e siederà all'estrema sinistra, uomo di
brillante ingegno ma giovanilmente irruento, incapace di
moderare i termini dei suoi interventi e pronto alla polemica con lo stesso presidente, che più volte dovette richia·
mario all'ordine, e, in una udienza, gli tolse la parola perché <<aveva mancato di rispetto al tribunale, alla parte ci·
vile e al suo stesso difeso ». Billia inoltre, pur di raggiun·
gere i suoi scopi difensivi, era anche pronto a ricorrere a
cavilli, a espedienti da «avvocaticchio », che non potevano
non indisporre giudici ed avversari; come quando, nella
prima udienza, per ottenere il rinvio - che non ottenne del dibattimento, pretendeva che \'enissero citati 525 elet·
tori pistoiesi che avevano firmato un indirizzo di solidarietà
con Civinini per accertare chi li avesse indotti a firmare, o
tacciava di falso quelle firme ma si guardava bene dal produrre laquerela, oanche si faceva forte dell'assenza di testi
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lativi all'affare della regìa e che correvano sulla bocca di
numerose persone, parlamentari enon parlamentari. Questi
c si dice »riportavano che, in occasione della votazione della legge sulla regìa, molti deputati di destra, e tra essi il
Civinini, avevano ricevuto ' de' zuccherini » per dare il loro
voto favorevole. Quanto al Civinini, il suo «zuccherino »
sarebbe stato di molte migliaia di lire (l'articolo asseriva che
se ne conosceva l'ammontare) e il beneficato, essendo al
verde, lo avrebbe scontato anticipatamente presso un ban·
chiere (ancheil nome di costui sarebbe stato noto), dal quale
poi lo avrebbe riscattato il Balduino per evitare scandali.
Un «si dice» riguardava anche il Cambray-Digny: per lui
non si sarebbe trattato di uno «zuccherino» ma di un
'
«pane di zucchero ».
L'articolo non si fermava lì. Dopo aver denunziato una
c dispensa delle azioni dei tabacchi , fatta in modo scandaloso ai membri della maggioranza e dopo aver detto che
sarebbe stata troppo lunga l'enumerazione delle tante voci
che correvano, l'articolo proseguiva: «Ora, lo diciamo net·
tamente, noi non crediamo, non vogliamo credere neppure
uno di questi "si dice". Per quanto il nome dell'onorevole
Civinini sia dispregiato e dispregevole, anzi appunto per
questo, noi non crediamo che nessuno abbia mai pensato a
spender danari per assicurarsi l'autorità di un tale voto ».
Si accese una polemica con la Nazio11e, che, nello stigmatiz·
zare la« sozza accusa», non nominò nemmeno il Gazzettino
e parlò di «un libello quotidiano che si stampa a Milano ».
Sicché in un secondo articolo, questa volta firmato, il Biz·
zoni ribadì duramente le accuse, anche nei confronti del
Brenna (l). Questi, alcuni giorni dopo, fu attaccato, insieme
con il Fambri e altri deputati veneti, anche dalla Cronaca
turchina, di Venezia.
Giuseppe Civinini, che sino allora non aveva reagito alle
insinuazioni e alle malignità, stimò che la misura fosse ormai colma e sporse querela accordando facoltà di prova.
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prove, o meglio non poteva addurle, perché n9n poteva
rivelare segreti di cui aveva avuto notizia nell'esercizio di
una consulenza legale. Efu irremovibile nel non voler ag·
~ungere verbo; e restò silenzioso anche quando il Civinini
lo implorò, implorò il «vecchio amico , di parlare, di dire
tutto quello che sapeva: «la sua parola apertamente mi con·
danni oapertamente mi renda giustizia». Solo ammise che
la sua convinzione - ma la convinzione, precisò, non èpro·
va - si basava sulla stretta amicizia esistente tra il Civinini
euna persona - certo Salvatore Tringali - che aveva ottenu·
to, non si sa come, una forte partecipazione, di ben un mi·
lione, alla regìa; in questa operazione il Tringali doveva aver
funzionato come prestanome di qualcuno; e questo qual·
cuno, secondo lui, poteva essere solo il Civinini.
Naturalmente la c convinzione »crispina non poteva al·
leggerire la posizione processuale del Bizzoni. Enon la poterono alleggerire nemmeno le deposizioni degli altri testi,
che non seppero addurre alcuna prova sul fondamento dei
vari «si dice ». Alla fine dopo nove giorni di dibattimento,
il Bizzoni fu condannato aotto mesi di carcere eamille lire
di multa per diffamazione e a quindici giorni di carcere e
a cento lire di multa per ingiurie. Più pesante la condanna
del povero gerente responsabile, tal Vismara: due anni e
due mesi di carcere e duemiladuecento lire di multa. Sen·
tenza dura, che lasciò deluso gran parte del pubblico mila·
nese, che aveva seguito con interesse il processo, simpatiz·
zando per il Bizzoni che aveva avuto il coraggio e il merito
di sfidare la camarilla dei ' cointeressati ». Raffaele Sonzogno, sulla Gaz~etta di Milano, non risparmiò ai giudici e al
presidente Rotondi (quello «che avrebbe mangiato un li·
berale a ogni pasto •) l'accusa di servile obbedienza al Governo; il 29 maggio apri una sottoscrizione a favore del
Gaz~ettino, per consentirgli qi pagare le multe, e in pochi
giorni raccolse settemila firme e diecimila lire.
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da lui stesso citati con procedura irregolare. Si aggiunga
che un pubblico numeroso e indisciplinato affollava l'aula
e il portico antistante; in parte era favorevole al Civinini,
in parte tilava per il querelato, esi abbandonava spesso ad
opposizioni rumorose ea fischi. Durante la deposizione del
Crispi, il presidente dovette far sgombrare l'aula.
Comunque, iniziatosi il dibattimento il Bizzoni ammise
che quando aveva scritto gli articoli incriminati non aveva
in mano prova alcuna, anche perché egli non formulava
accuse ma poneva solo delle questioni. Perciò, dopo il se·
condo articolo, andò aFirenze alla ricerca appunto di quelle
prove e le chiese ad un deputato che, attraverso comuni
amici, gliele aveva assicurate. Ma «forse per mancanza di
coraggio civile oper altre ragioni - disse il Bizzoni - quel
deputato non mantenne la promessa »; gli ripeté solo vari
c si dice » che correvano negli ambienti fiorentini.
Il deputato in questione era il Crispi. Egli aveva rice·
vuto la visita del Cavallotti e di Raffaele Sonzogno, direttore della Gazzetta di Mila110, che lo avevano invitato ad as·
sumere la difesa del Bizzoni; in Hnea di principio aveva
accettato; non aveva promesso - dirà al Tribunale epoi alla
Camera - prove, ma solo l'assistenza legale (il Bizzoni so·
sterrà invece che egli aveva anche promesso di «montare
la macchina»). Come è, come non è, alla fine invece che
come difensore del querelato, fu costretto ad andare a Mi·
!ano come testimone, e citato per giunta dalla parte civile.
E li l'avvocato del Bizzoni insistette per ottenere da lui
quelle prove. E insistette il presidente, che doveva avere
una strana idea del compito edei doveri dei testi, per conoscere, se prove non aveva, quanto meno la sua opinione. E
allora il Crispi, cedendo alle pressanti sollecitazioni del pre·
sidente, del Bizzoni e del Billia (ma non sapeva egli, illustre
avvocato, che in quanto teste non era tenuto a manifestare
opinioni/), finì col dire di essere convinto che il Civinini
aveva preso parte alla «operazione»; ma non ne aveva le
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L'AFFAIRE INPARLAMENTO
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U «CONVL'JZIONE » ESPRESSA DAL CRISPI, se non aveva
potuto influire sulla sentenza del tribunale, ebbe invece
grandissima influenza sulla pubblica opinione, che rimase
penosamente colpita e allarmata. Anche perché Crispi non
aveva solo detto di essere convinto delle responsabilità di
un collega, ma aveva pure ammesso di possedere delle pnr
ve, cheperò non poteva produrre. Dunque la corruzione c'era
stata, qualcuno aveva venduto il suo voto, la regìa coin·
teressata era stata il frutto di losche manovre; occorreva
che tutto fosse chiarito, che i responsabili - se c'erano e
dopo la deposizione di Crispi si sapeva che c'erano - fos·
sero individuati epuniti. Sulla stampa, nei giorni che segui·
rono la pronunzia della sentenza, si accesero roventi pole·
miche. El'affare, divenuto ormai una affaire, ritornò dove
era nato, alla Capitale e alla Camera.
In quel periodo non mancavano serie preoccupazioni per
il Governo, che il Menabrea a\·eva largamente rimaneg~ato
sperando di ottenere - ma non ottenne - una più ampia
base parlamentare. Il Cambray-Digny era rimasto alle fi.
nanze, anche perché, data la situazione del bilancio, che
i provvedimenti sino allora adottati non avevano migliorato, nessuno forse ambiva a un simile incarico.
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capacità del nuovo Stato di resistere a certe forze centri·
fughe eparlavano, anche in Francia, dell'opportunità odella
possibilità di un suo smembramen~o e della cost~~i~ne ~l
suo posto di una confederazione. D1questa capacita di resi·
stenza non doveva invece dubitare il governo russo, se proprio in quei ~orni invitava anche il ~ovane regno d'Italia
apartecipare ad'una conferenza internazionale, che intendeva riunire a Pietroburgo nel mese di ottobre, per decidere
l'abolizione dei proiettili esplosivi - le bombe Ndel tempo. .
Il processo di Milano fu così fonte di un nuovo egrosso
grattacapo per il Governo Menabrea. Fu un deputato dell'estrema sinistra, il milanese Giuseppe Ferrari (l'anno pri·
ma era stato uno dei più decisi avversari della convenzione)
che, a nome anche di alcuni colleghi, sollevò la questione.
Lunedì 31 maggio 1869 egli presentò alla presidenza della
Camera una proposta di inchiesta parlamentare. Era estremamente breve esintetica: c La Camera, convinta che dopo
un recente processo sia sorta per essa la necessità di una
inchiesta sui fatti concernenti la re~a cointeressata, delibe·
ra che una commissione d'inchiesta parlamentare metta in
luce se, e fino a qual punto, sia stata rispettata la dignità
del Parlamentoda tutti i suoi membri».
La discussione fu fissata per il 2giugno. Eil 2giugno
fu giornata campale: ~ornata di passioni sempre più accese, giornata di passione per l'onorevole Civinini. La seduta
ebbe inizio «al tocco», la si levò «alle ore 7e un quarto»,
e fu presieduta dallo stesso presidente della Camera, il
commendatore Mari. Dopo che il Ferrari ebbe illustrato
la propria proposta e sottolineato l'assoluta necessità di
vedere chiaro in una faccenda che appariva sempre più
torbida, ebbe la parola il Ch~nini. Era rientrato da Milano,
forse sperando che la sentenza di quel tribunale avesse mes·
so un punto finale alla sua questione, e invece tutto rincominciava, grazie aquella equivoca esubdola deposizione del
Crispi. Subito dopo l'annunzio del Ferrari aveva domandato
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Il malcontento e le agitazioni causate dall'applicazione dell'imposta sul macinato non erano cessati, e i processi e le condanne che li avevano conclusi avevano avvelenato gli animi della gente delle campagne. Giuseppe Mazzini
ne aveva approfittato e aveva incitato i numerosi comitati
clandestini, che facevano capo all'Alleanza repubblicana, a
passare all'azione eall'insurrezione, che avrebbedovuto, nei
suoi disegni e nelle sue speranze, portare alla caduta della
monarchia. Aveva fissato anche la data per l'inizio del moto
rivoluzionario: ill8 aprile; ma qualche giorno prima il com·
plotto era stato scoperto e numerosi arresti, effettuati a
Milano, a Genova, a Bologna ed a Napoli, avevano fatto
abortire il progetto. Mazzini, che aveva diretto l'azione da
Lugano, era stato espulso dalla Confederazione. Anche sul
piano internazionale le cose non procedevano bene. Difficili
erano i rapporti con la Francia, che dopo Mentana aveva
nuovamente stanziato una forte guarni~one in Roma e aveva opposto, per bocca del suo ministro Rouher, il famoso
jamais alle aspirazioni degli italiani di avere Roma come
capitale. Malgrado questa situazione, Vittorio Emanuele si
era lasciato irretire da Napoleone III in trattative segrete,
condotte attraverso un suo uomo di fiducia, nell'intento di
arrivare ad una segreta alleanza, che avrebbe dovuto coin·
volgere anche l'Austria, contro la Prussia. Il re aveva messo
al corrente della cosa il Menabrea, ma gli aveva intimato di
non parlarne agli altri ministri e tantomeno alla Camera:
eil Menabrea, da buon generale esa\'oiardo per giunta, aveva ubbidito e viveva sulle spine, in continua apprensione.
Come ciò non bastasse, erano sorti di recente nuovi motivi
di frizione con Vienna, a causa di Trieste e di alcuni provvedimenti del governo austriaco che avevano colpito la popolazione italiana. Si aggiunga che le vecchie case principe·
sche decadute, in particolare i Borboni di Napoli, non man·
cavano di ordire e di tenere le fila di complotti, nella speranza di recuperare i troni perduti. Molti dubitavano della
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Dichiarò che non avrebbe più preso la parola sulla
questione.
ricordi la Camera - concluse con forza - ricordi
la commissione che sarà nominata che esse hanno un gran
dovere. E' vero, esse giudicheranno me; ma vi è un altro
uomo qua dentro da giudicare. Se la sentenza cadrà su di
me, io sono certo che i miei amici faranno il loro dovere;
se cadrà sopra ad altri, io mi riservo di stimare il partito
dei miei avversari dalla condotta che esso terrà... Oio
sono un corrotto, od un pazzo che ho dimenticato l'opera
mia, oc'è un uomo qui dentro che mi ha calunniato».
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c Ma
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Intervenne il Crispi, ma non si degnò di replicare alle
accuse.
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la parola per fatto personale, e ora finalmente poteva vuo·
tare un sacco che da troppo tempo si andava riempiendo.
Civinini era emozionato e turbato; se ne scusò con la Ca·
mera. ' Chi vi parla - disse - è un uomo che \~ene a difen·
dere qualcosa di più che la sua \~ta ». Parlò a lungo.
Era esasperato per l'indegna guerra - così la qualificò che gli si faceva da quando da sinistra era passato nell'al·
tra parte dello scllleramento parlamentare. Volle ricordare
i motivi di questo cambiamento di campo: si era accorto di
essere divenuto uno strumento nelle mani dell'onorevoleCri·
spi, era stanco di dover rispondere sempre no a tutte le
proposte governative, anche aquelle che la sua coscienza ri·
teneva giustificate, stanco di non poter svolgere un'azione
costruttiva per il bene del Paese, di non poter concreta·
mente operare. Parlò dei problemi sui quali si era soprat·
tutto scontrato con i suoi anticlll amici: la libertà della
Chiesa, la questione romana. Parlò del Crispi, del suo am·
biguo comportamento al processo di Milano e, ricordando
un certo episodio, si scagliò contro di lui con tale violenza
(«egli era fino d'allora sleale al suo paese »), che il presi·
dente lo dovette invitare a moderare leespressioni. L'uomo
aveva i nervi a pezzi.
sento stanco - dichiarò. Questo modo di battaglia
non è fatto per me. Vi sarà facile, per opprimermi, agitare
contro di me le passioni di parte, che io ho fieramente of·
feso. Voi non potrete togliermi la stima degli uomini dabbe·
ne; ma potrete, io lo so, potrete farmi soffrire crudeli dolori.
Voi mi avete, mi vergogno di dirlo, mi avete costretto a pa·
ragonare il presente col passato; voi mi avete costretto a
ricordare chenei tempi di servitù noi potevamo soffrire nella
libertà e nella vita, ma che nessuno ci disonorava, ci calun·
niava ... Voi mi accusate senza indizi, senza prove, sapendo
che io sono oggi povero come ero quando mi partii da voi;
perché voi lo sapete che potreste percorrere tutta la terra
e non trovereste né una casa, né un podere che mi appar·
tenga».
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«Mi
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c L'onorevole Civinini - disse - può mutare come crede
le sue opinioni; avrò potuto esserne dolente, ma non ne
sento alcun rancore. Uomini cui non batte il cuore, meglio
è che se ne vadano dal nostro partito ».
Civinini aveva immiserito la questione, riducendola ad
un fatto personale. L'inchiesta invece doveva andare bene
al di là della sua persona, al di là delle personedel processo
di Milano, sul quale però si intrattenne a lungo per dimo·
strare la propria correttezza. C'erano questioni che doveva·
no essere approfondite: bisognava sapere come e perché il
Credito mobiliare avesse già tratto enormi vantaggi dalla fa·
mosa convenzione: prima della trattativa, a Genova, nella
sola Borsa in cui si negoziavano, le sue azioni «andavano a
lire 152; firmato il contratto, salirono a 265; oggi sono a
470. Le azioni della regia cointeressata oggi sono a lire 650,
il versamento non èche di 250 lire. Ne restano 400, sulle
quali ISO sono un'eccedenza sul valore reale... Questi van·
taggi, questi benefici debbono avere una base... Vere ofalse
le voci sparse intorno a quel contratto, non mancano i mo·
tivi che ~possono in qualche modo legittimarle agli occhi del
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volgo. Anche il volgo fa parte del paese; anzi è quello che
paga più di tutti e sopporta i maggiori sacrifizi ». Ci vuole
l'inchiesta. Eil ~orno «in cui si proverà che nulla avvi di
vero in tutto ciò che si dice, sarà uno dei più bei giorni della
mia vita ».
dice alla Camera: a voi manca l'imparzialità del
giudice. Ecome non vedere in ciò un'offesa collettiva atutta
questa Assemblea, tostoché si osa ritenere non essere in
essa possibile che alle passioni di parte prevalga il senti·
mento di giustizia? ... Come mai potrà essere lecito ed onesto dire in viso a tutta una Assemblea di rappresentanti del·
la Nazione una così atroce ingiuria, proclamando che l'im·
parzialità è una virtù posta così in alto che ad essi assolu·
tamente non sarà dato raggiungerla? ».
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«Si
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Grande giurista e oratore facondo, ma anche politico
per lo meno ingenuo. Più realista il Bonghi, che nella stessa
seduta dirà:
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Un intervento interessante seguì di fi apoco. Fu dovuto
all'onorevole Boncompagni di Mombello, vecchio parlamen·
tare piemontese, già presidente della Camera subalpina, il
quale parlò contro la presa in considerazione della propo·
sta Ferrari. L'inchiesta - osservò - èuno dei più preziosi di·
ritti e dei più sacri doveri di una Camera, ma egli era av·
verso aquelle inchieste che vertono su fatti imputati ad uno
oad alcuni dei suoi membri. Questeinchieste possono spet·
tare solo ad unorgano giudiziario, nel quale tutto, nella ap·
parenza e nella sostanza, èordinato a garantire la più assoluta imparzialità, imparzialità che invece non può aversi nei
corpi politici, naturalmente divisi in parti opposte, seguaci
di diverse tendenze.
Bonghi, Pasquale Stanislao Mancini, grande giurista e ora·
tore facondo, la contesterà:
volete - egli disse - non potrete trovare nel fondo della coscienza umana un sentimento che
attribuisca al giudizio di un consesso politico la stessa opi·
nione di imparzialità, la stessa autorità morale che si attri·
buisce a un consesso ~udiziario ».
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c Cercate quanto
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Boncompagni doveva essere presbite: egli intravedeva
già allora con esattezza ciò che i tardi nepoti, della seconda
metà del secolo successivo, avrebbero potuto ripetutamente
echiaramente constatare nell'operato enelle conclusioni del·
le commissioni parlamentari inquirenti, amministratrici della
così detta «giustizia politica ».
Ma la sua tesi non ebbe successo, nessuno la prese al·
!ora inconsiderazione per condividerla oper controbatteria;
solo alcuni giorni dopo, il lO giugno nel corso di altra se·
duta, e in risposta ad analoghe osservazioni di Ruggero
44
c Noi, uomini politici, dobbiamo essere soggetti aquesta
comune censura: nessuno crede che sotto le nostre parole,
per altamente ispirate che paiano, non si nasconda l'ira di
parte; nessuno locrede né qui né altrove».
Eppure anche oggi, dopo tante scandalose prove, molti
sembrano condividere- ma non èpiù ingenuità -l'opinione
di PasqualeStanislao Mancini.
Quel giorno ad ogni modo sulla tesi di Boncompagni
non si accese alcuna discussione perché, subito dopo, in
un breve intervento, Ruggero Bonghi aveva avanzato una
proposta che doveva polarizzare l'attenzione di tutti.
«Propongo
- egli aveva detto - che la deliberazione
sulla presa in considerazione della proposta di inchiesta fat·
ta dal deputato Ferrari, sia sospesa sino a che il deputato
Crispi abbia dichiarato in seduta pubblica i fatti che dice
di conoscere e indicate le prove delle quali crede di poterli
corredare ».
Questa proposta spostava la discussione e apparve su·
45
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L'approvazione della proposta Bonghi aveva insabbiato
l'inchiesta - almeno così sembrava la sera del 2 ~ugno
1869 - dato che il Crispi non appariva disposto a sbotto·
narsi. Ma due giorni dopo, il4, tutta la questione tornònuo·
vamente ad infiammare gli animi. Se nefece promotore un
altro parlamentare della Sinistra, Giuseppe Guerzoni. L'ar·
gomento non era all'ordine del giorno, ma egli, con il truc·
co - ci si passi il termine - della mozione d'ordine ottenne
la parola e ne approfittò per entrare nel merito della que·
stione. Esostenne la necessità di deliberare l'inchiesta, ma
si diresse anzitutto al Crispi, scongiurandolo di parlare, di
dire quanto era a sua conoscenza. Ne fece quasi una questione di onestà per rintero partito; anche le lotte politi·
che - disse - hanno le loro colonne d'Ercole; i partiti non
si possono spingere sino alla calunnia ebisognava dimostra·
re che calunnia non c'era.
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Il suo interventò sollevò un putiferio. La Sinistra insorse rabbiosamente contro il proprio deputato; il Crispi
lo chiamò c compare della Destra •; polemico come sempre,
il Nicotera, ma non meno decisi altri, che non ammettevano che si dovesse modificare la linea sino allora seguìta e
che poneva come esigenza prioritaria la costituzione della
commissione di inchiesta. Riaccesasi così la discussione, in
una assemblea estremamente irrequieta, tra interruzioni e
invettive, il presidente, non potendo più dominare la situazione, richiamandosi al regolamento riuscì a togliere anzi·
tempo la seduta.
La tornata del ~orno successivo aveva un programma
piuttosto carico. Ma alla fine, su un soloargomento, e che
non era iscritto all'ordine del giorno, si svolsero quel5 ~u·
gno 1869 i lavori dell'assemblea. El'argomento era ancora
una volta la proposta di inchiesta sulla re~a cointeressata.
Fu un altro deputato della Sinistra, sino ad allora par·
lamentare quasi oscuro, a riaccendere la miccia. Esi può
parlare in termini di esplosivi, perché l'affare riesplose con
estrema violenza ad opera di un militare, il maggiore di
stato maggiore Cristiano Lobbia, gi.à combattente garibal·
dino, deputato del collegio di Thiene. In inizio di seduta
chiese ed ottenne la parola sul processo verbale. Premise
che il giorno precedente avrebbe voluto fare una dichiara·
zione importante; non gli era stato possibile, essendo stata
tolta anticipatamente la seduta. Perciò - disse - mi sento
in dovere di parlare og~, nell'interesse della stessa Camera.
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bito pericolosa al Ferrari e ai suoi amici, utile eopportuna
ai loro awersari. Sicché intorno ad essa si svolsero gli in·
terventi sempre più accesi ed appassionati, con puntate polemiche anche nei confronti del presidente che sudò sette
camicie a mantenere rordine. Aturno e ripetutamente Ferrari e Bonghi, Nicotera eMichelini, Giuseppe Massari eCrispi, Donati e Botta, ei due ministri presenti - il Mordini e
il Bargoni - intervennero spontaneamente operché chiamati
in causa, per fatto personale oper sostenere mozioni d'ordine, sino aquando, dopo oltre un'ora di accuse econtroaccuse di volere odi nonvolere l'inchiesta, si decise di passare
alla votazione sulla mozione Bonghi. Ela mozione fu final·
mente approvata con 127 voti favorevoli, 94 contrari e5aste·
nuti, tra i quali il Civinini e il Crispi. Allora i direttamente
interessati avevano, infatti, la delicateua e il buon gusto
di astenersi; un'abitudine che og~ sembra caduta in disuso.
quindi solennemente - ag~unse - che pos·
seggo dichiarazioni di testimoni, superiori a qualsiasi ecce·
zione, le quali dichiarazioni sono a carico di un deputato
nostro collega e si riferiscono a lucri che avrebbe percepito
nelle contrattazioni della re~a dei tabacchi Uno dei testi·
moni che comprovano l'esistenza di tali dichiarazioni sono
io, e le dichiarazioni con le firme, legalizzate da pubblico
c Annunzio
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La seduta fu tolta. Era durata poco più di tre ore, ma
era stata molto faticosa; aveva impegnato tutti duramente
e tutti erano stanchi. Gli argomenti che erano iscritti al·
l'ordine del giorno furono quindi rinviati. Ma il presidente
pensò di approfittare di un momento di calma, prima di
procedere alla votazione, per fare approvare il verbale della
seduta precedente e per dare notizia di una interrogazione
urgente al ministro di grazia e giustizia. L'onorevole Galati
lo pregava di «fargli conoscere se sia vero che due mesi
circa orsono, treservi di pena cessarono di vivere per essere
stati sottoposti ad eccessivi lavori di ore quattordici al gior·
no nelle opere di ampliamento del porto di Palermo », e
chiedeva di sapere «se questo fatto siasi rinnovato un mese
dopo in persona di altri due condannati e quale sia stato
il contegno tenuto dalleautorità giudiziarie eamministrative
in presenza di tali deplorabili avvenimenti». Gli avveni·
menti erano effettivamente quanto meno deplorabili, ma
i rappresentanti della Nazione avevano ormai i nervi a fior
di pelle ela diligenza del presidente non venne apprezzata. Il
resoconto parlamentare reca infatti che «molti deputati di
sinistra reclamano vivamente », eche l'onorevole Sineo, con
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Queste dichiarazioni, accolte da calorose approvazioni
della Sinistra, fecero, come ènaturale, una profonda impres·
sionesull'assemblea. Il vice presidente Broglio, che presie·
deva, tentò con argomenti di procedura di evitare che si
aprisse una discussione. Ma tutto fu vano. Gorreva voce che
di lì a pochi giorni sarebbe stata chiusa la sessione, sicché
se non veniva costituita la commissione l'inchiesta sarebbe
stata rinviata alle calende greche. Invece era ormai urgente
provvedere, per tutelare il decoro della Camera e l'onore
dei suoi membri, gravemente intaccati a causa di questo
sciagurato affare. Sembrò d'altra parte che fosse superata
la situazione per la quale era stata votata la sospensiva
Bonghi: se il Crispi non parlava, vi era ormai un altro par·
lamentare che assicurava di possedere, nero su bianco, te·
stimonianze precise. Inutile perciò fu anche l'intervento con·
trario del Menabrea, presidente del Consiglio, intervento de·
finito provocatorio dall'onorevole Oliva eduramente ripreso
dall'onorevole Miceli («Io mi domando come egli abbia osa·
to introdursi in modo così audace in affari che riguardano
la Camera,negli affari più delicati epiù gravi c'he essa possa
avere! •). Inutile anche l'intervento del Bonghi, che invitò il
Lobbia afare il nome oi nomi degli accusati oquantomeno
adepositare sul tavolo della presidenza le due famose buste;
«no - rispose il Lobbia - perché già altri importantissimi
documenti, quelli sull'inchiesta sulle ferrovie meridionali,
sono scomparsi dagli archivi della Camera ».
Ormai anche molti parlamentari della Destra riconosce·
vanoche l'inchiesta non era più rinviabile. Ecosì tra inter·
ruzioni violente, molteplici eripetuterichieste di parola che
si accavallavano, mettendo adura prova la pazienza del presidente la cui autorità fu più volte contestata, precisazioni e
presentazionedi mozioni, segni di impazienza ora asinistra
ora adestra, si arrivò alla chiusura ed al voto. Ma prima di
arrivarvi, la discussione fu lunga, accalorata e sottile sul
testo stesso da sottoporre a votazione. Alla fine si raggiunse
la quasi unanimità su untesto molto semplice: «La Carne·
ra, udite le dichiarazioni dell'onorevole Lobbia, prende in
considerazione la proposta di inchiesta e la manda al Comitato privato per lunedì». Qualcuno avrebbe voluto man·
darla «a domani », domenica, ma fu zittito.
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notaio, sono chiuse in questi due pieghi che ho in mano »,
e mostrò all'assemblea due grandi buste vistosamente si~l­
late.
«Nel ~orno in cui nominerete una commissione d'in·
chiesta - continuò - mi farò dovere di presentarli e di con·
segnarli alla medesima, ed anzi mi presenterò io stesso coi
testimoni, per essere contemporaneamente esaminato ».
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Dal comitato privato e da una speciale commissione fu
preparata così la delibera regolante costituzione, scopi e
funzionamento della commissione di inchiesta. 1110 giugno
fu sottoposta alla Camera e molti pensavano che ormai sa·
rebbe stata approvata senza difficoltà. Ma avevano fatto i
conti senza il Bonghi il quale, tenace nelleproprieopinioni,
non seppe trattenersi dal riaffermare e motivare la sua op·
posizione di rprincipio alle inchieste parlamentari e, in par·
ticolare, a quella sulla regìa (la riaffermerà e la motiverà
anche in un ampio studio, pubblicato nel fascicolo di agosto 1869 di Nuova Antologia). Col suo intelì'ento occupò qua·
si tutta la seduta dellO, eriprese la parola anche 1'11, per
ribattere a Pasquale Stanislao Mancini che insieme al rela·
tore, Samminiatelli, lo aveva duramente criticato. Divampò
nuovamente la discussione ecorsero parole di fuoco; il Bon·
ghi fu accusato di voler screditare anticipatamente i prevedibili risultati dell'inchiesta; il Nicotera lo accusò di men·
tire, lo qualificò «infelice» (appellativo, penso, equivalente
al moderno «disgraziato»). Ma grazie al Bonghi eal Mancini
gli onorevoli deputati poterono assistere - molti veramente
un po' annoiati e impazienti di concludere - ad un grande
sfoggio di dottrina in materia di diritto parlamentare; si
sprecarono le citazioni di bills inglesi, affermate da una
parte e contestate con ampiezza di dotte argomentazioni
dall'altra. Finalmente si arrivò alla yotazione dei vari arti·
coli della delibera: su alcuni si disputò accanitamente, altri - ed erano forse i più importanti, ma i deputati ormai
erano stanchi - passarono senza colpo ferire. Infine la proposta fu approvata all'unanimità, ealla unanimità si decise
anche di demandare al presidente Mari, che non ne voleva
assolutamente sapere, la scelta dei nove componenti della
commissione di inchiesta.
ILGIALLO
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mozione d'ordine, protesta perché c invece di venire ai voti
si parla di cose affatto estranee •.
parlamentari
che sono seguiti, il nome del deputato Lobbia diventa famoso in tutto il paese. Con la gloria però ~ungono anche le
grane. Già il6 e~i riceve un invito apresentarsi al ministro
della guerra. Si mette in alta uniforme e si presenta. Pensa di dover trattare questioni di servizio e invece riceve
dal gen. Bertolè Viale un più o meno paterno cicchetto. Il
ministro lo rimprovera per essersi allontanato qualche gior·
no prima da Firenze senza aver chiesto l'autorizzazione al
proprio comandante di Corpo, e per essere andato a Legnago a far propaganda a favore di un candidato dell'op·
posizione e a contrastare quella del Minghetti, candidato
governativo e ministro.
Alla Camera, il giorno dopo la Sinistra insorge indi·
gnata. Si tratta di un tentativo di intimidazione, di un inam·
missibile intervento del Governo nell'attÌ\~tà del parlamen·
tare. Se ne discute aspramente. Il ministro, duramente at·
taccato, si difende: anzitutto il militare, anche se deputato,
una volta fuori della Camera è sempre soggetto agli oh·
blighi del suo status e può andare a fare propaganda politica solo nel proprio collegio. In ogni caso,la lettera di con·
vocazione era stata inviata il giorno 4, prima cioè che il
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DoPO lA SEDUTA DEL 5GIUGNO e i dibattiti
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deviato e attutito dal braccio sinistro che l'aggredito ha
istintivamente alzato a difesa, sicché il pugnale, trapassato
il soprabito e un grosso piego di carte, si ferma contro il
portafoglio di cuoio gonfio di altre scartoffie. L'urto è sta·
to violento: Lobbia perde l'equilibrio e cade. Mentre tenta
di rialzarsi, un secondo colpo di stilo trapassa il cappello e
lo ferisce al capo; un terzo colpo, sempre al capo - ma egli
non saprà se col pugnale osolo col.pugno - gli impedisce
ancora di levarsi da terra. Ma intanto èriuscito ad estrar·
re lapistola espara. L'aggressore fugge escompare nell'oro·
bra. Egli spara un secondo colpo nella sua direzione e in·
voca aiuto chiamando il Martinati: «Toni! Toni! ».
Accorre gente. Per primo arriva Cristiano Caregnato,
altro firmatario di una denunzia contenuta nei plichi, che
attendeva il Lobbia in casa del Martinati, e verso questa
accompagna sorreggendolo l'amico ferito. Agli spari e alle
grida si sono aperte molte finestre, anche quelle che avreb·
bero dovuto restare chiuse, di una casa di tolleranza sita
in via dell'Amorino. La gente si affaccia, chiede notizie,
scende in istrada. Si formano crocchi, si commenta l'acca·
duto, senza sapere con precisione di che si tratti. Arriva il
reggente della questura, raccoglie le prime dichiarazioni del
Lobbia, steso su un divano in casa del Martinati, sangui·
nante ed emozionato per la brutta avventura; dà le prime
disposizioni per le indagini.
L'indomani mattina la notizia dell'attentato si diffonde
in tutta Italia e solleva dovunque stupore e indignazione.
Molti si interrogano: dove siamo? in che tempi viviamo?
Alla Camera, in una atmosfera pesante e tesa, il Ferraris,
ministro dell'interno, riferisce minutamente su quanto acca·
duto, esprime a nome del Governo la più viva deplorazione
per l'atroce misfatto, dichiara che inda~ni severe sono sta·
te subito iniziate eproseguono decise per assicur.are l'atten·
tore alla giustizia. Interviene anche il Pironti, ministro
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Lobbia facesse la famosa dichiarazione, con la quale quindi
non ha relazione alcuna. Aparte la questione di principio
circa lo stattlS del militare deputato, sulla quale natura!·
mente la Sinistra non èd'accordo, la questione sembra chia·
rita, ma rimane in molti l'impressione che il Governo abbia
quanto meno colto l'occasione per far sentire al Lobbia i
limiti della sua pretesa indipendenza politica.
Qualcosa di più grave si verifica nei giorni successivi.
Il Lobbia si accorge di essere seguito dovunque si diriga
da certi individui chehanno tutto l'aspetto di agenti di que·
stura. Il pedinamento diventa quotidiano, tanto che il pe·
dinato, seccato per non poter più camminare liberamente
per Firenze senza questa scorta di angeli custodi, decide di
invertire l'ordine delle proprie giornate: resta acasa edor·
me di giorno, e lavora - e si muove - di notte; evidente·
mente i segu~ di notte dormivano.
Il fattaccio avviene ben presto e proprio durante la
notte tra illS eil16 ~ugno. Era da poco passata la mezza·
notte eil Lobbia, uscito verso le 23e mezza dalla Camera
in piazza della Signoria, stava andando, come aveva fatto
già nei giorni precedenti, a casa di un amico veneto Anto·
nio Martinati, direttore della Zenzero primo, uno dei fir·
matari delle denunzie contenute nei famosi plichi; dichia·
rerà poi che doveva appunto incontrarsi con lui e con gli
altri firmatari delle denunzie, in relazione alla deposizione
che doveva fare il giorno successivo dinanzi alla commissione di inchiesta.
All'angolo tra via dell'Amorino e via Sant'Antonino,
dove il Martinati abita al n. 20 - il buio della notte è rotto
solo da una lampada agas - un uomo esce dall'ombra egli
si para dinanzi. Lobbia ha appena il tempo di intravedere
che ha una barba nera, è di statura media, sembra di cor·
poratura robusta, e già lo sconosciuto, con mossa fulmi·
nea, con una mano cerca di calcargli il cappellosugli occhi
econ l'altra gli vibra al petto un colpo di stilo. Il colpo è
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La Camera però non potrà seguire ciò che farà o non
farà il Governo. Il ~orno dopo, 17 giugno, in apertura di
seduta il ministro Ferraris si onora comunicare il decreto
reale, firmato a Valdieri illS giugno, che proroga la ses·
sione del Parlamento. Certo, Valdieri è lontana da Firenze,
ma esiste e funziona regolarmente (forse più regolarmente
di oggi) il telegrafo; strano che il Ferraris, che tra l'altro
era il ministro proponente del decreto, non si sia ricordato
il giorno prima di avvertire l'assemblea che la sessione era
ormai prorogata. La proroga appare utile: impedisce che la
polemica continui e si inasprisca alla Camera, turbando
anche lo svolgimento dell'inchiesta, econcede un periodo di
respiro al Governo, che ne aveva proprio bisogno dopo aJ.
cuni infortuni parlamentari del Cambray-Digny, che aveva
visto respinti tre suoi disegni di legge. Il periodo di respi·
ro sarà lungo: il14 agosto, con altro reale decreto, la ses·
sione sarà chiusa. E la chiusura sarà utile anche ad al·
tri fini.
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guardasigilli, per informare sui provvedimenti già adottati
dal procuratore generale e dal procuratore del re di
Firenze.
Alcuni deputati prendono la parola per manifestare la
comune indignazione; l'accaduto, che viene subito ricolle·
gato all'azione svolta dal Lobbia per far approvare l'inchie·
sta sulla regìa, pone per tutti problemi di estrema gravi·
tà: «si tratta di vedere - dice l'onorevole Miceli - se or·
mai siamo giunti a tal punto che, dopo di avere in questa
Camera uno di noi, di destra odi sinistra, adempiuto al proprio dovere come lacoscienza ci impone, uscendo dallapor·
ta del Parlamento, in un angolo di strada troverà un pu·
gnale che lo punisca del coraggio con cui la sua coscienza
ha cercato di pronunciarsi». Altri ricordano gli strani segu·
gi cheavevano seguìto il Lobbia nei giorni precedenti; era·
no questurini? Un deputato fa presente che qualche ~orno
avanti, a Napoli, era corsa voce che Crispi e Lobbia erano
stati assassinati, tanto che si era avuto persino un inizio
di reazione in borsa. E infine qualcuno non esita ad ester·
nare il sospetto che il tentato assassinio sia opera di agenti
di polizia, sfuggiti al controllo del ministero e pagati dalla
gente della regìa, per tappare la bocca al Lobbia e intimi·
dire coloro che dovevano essere chiamati a deporre davanti
allacommissione. Sarà in grado ,il ministero, che non voleva
l'inchiesta, di far luce sull'orrendo misfatto? Farà tutto il
possibile per scoprire i colpevoli? Nasce una viva polemica
con il Governo: Ferraris, Pironti e lo stesso Menabrea ri·
spandono sdegnati. L'atmosfera si fa tesa. Ma alla fine tut·
ti, dell'una e dell'altra parte dello schieramento, sono con·
cordi nell'approvare unanimi un ordine del giorno proposto dall'onorevole Bonfadini. Con esso la Camera esprime il
suo orrore per l'attentato di cui èstato vittima il deputato
Lobbia e dichiara di non dubitare che il Governo userà
di tutti i mezzi in sua mano per riuscire nella scoperta del·
l'assassino.
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Alla notizia dell'attentato l'emozione è grande in tutto
il paese. AFirenze «gli spiriti bollivano e la città per quei
nuovissimi casi era tutta a soqquadro. D'ora in ora poteva
scoppiare il tumulto; di crocchio in crocchio si diffondeva
giganteggiando il sospetto che gente prezzolata ed infame
fosse pronta ad uccidere per pecunia coloro che osavano
far guerra ai potenti banchieri»(~. In molte altre città la
popolazione qnsorge e manifesta sdegnata. Il grido di viva
Lobbia! si alterna a quello di viva la repubblica!, a quelli
contro il Go\'erno, la regìa e i cointeressati. Gravi incidenti
si verificano a Milano, a Torino, a Napoli, a Parma, a Bologna. La folla manifesta contro i giornali filogovernativi:
aBologna sono invase le redazioni della Gazzetta dell'Emilia
e del Monitore, a Torino è aggredito il direttore del Conte
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festazioni e dichiarazioni di solidarietà edi augurio inutil·
mente si cercherebbe quella della municipalità fiorentina:
la cittadinanza della Capitale dimostra a favore del Lobbia,
ma il suo Primo cittadino - l'onorevole Ubaldino Peruzzi si astiene scrupolosamente da qualsiasi intervento eda qual·
siasi gesto.
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Cavour, a Milano vanno in frantumi i vetri delle redazioni
dellaPerseveranza edel Pungolo; i dimostranti occupano la
Galleria ela piazza del Duomo, che vengono sgombrate dalla
truppa; si procede a vari arresti; tra gli altri finiscono dentro (e vengono rinchiusi nel Forte di Alessandria) anche il
Bizzoni, il Billia e l'intera redazione del Gazzettino; solo
Cavallotti riesce a rendersi latitante e fa spargere la voce
di esser riparato in Svizzera.
Da tutta Italia giungono al U>bbia manifestazioni di solidarietà. La Riforma riporta ogni giorno lunghi elenchi di
persone, di comuni, di circoli, di associazioni di reduci, che
formulano auguri per il ferito, stigmatizzano l'atto delittuoso, chiedono che sia fatta luce sui responsabili. La Gazzetta di Milano scrive che Lobbia riceve un quintale (sic!) di
lettere al giorno. Ne giunge anche una da Caprera:
Lobbia! - scrive il Generale il 22 ~ugno - Ri·
spettato dal fuoco nemico sui campi di battaglia, ove ammirabile ful'intrepido vostro contegno, voi quasi cadeste sotto
il pugnaledell'assassino, perché sdegnoso dellevergogne ita·
liane, delle immoralità e delle turpezze di chi dovrebbe moralizzare il popolo. Tempi - questi - borgiani! Ecome sarà
altrimenti, cogli amici ei protettori de' discendenti dei Borgia? Io mi congratulo con voi, miofratello d'armi, per esservi col solito coraggio conservato ai vostri commilitoni
e all'Italia. Sempre vostro Giuseppe Garibaldi ».
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c Caro
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Numerose sono le visite, sin dal primo giorno. Vanno al
capezzale del Lobbia, che èstato trasportatonellasua casa,
a manifestargli solidarietà e ad esprimere auguri, il presi·
dente della Camera, il ministro Ferraris e altri ministri,
il presidente ei componenti della Commissione di inchiesta,
amici ecolleghi in gran numero. Le ferite, per fortuna, non
sono gravi: due alla testa superficiali, una al braccio sini·
stro, più profonda causata dal colpo che era diretto al cuore. I bollettini medici rassicurano. Ma tra le innumeri mani·
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L'INCHIESTA PARLAMENTARE
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LA COMMISSIONE D'INCHIESTA fu composta di nove mern·
bri. Il presidente Mari, delegato alla unanimità dalla Carnera, li nominò scegliendoli sapienternente tra Destra, Sini·
stra e Centro e rispettando anche certe esigenze regionali.
Furono Ferdinando Andreucci, Giuseppe Biancheri, Bene·
detto Cairoli, Salvatore Calvino, Michele Casaretto, Nicolò
Ferracciù, Mariano Fogazzaro, Giuseppe Pisanelli eGiuseppe Zanardelli, eletti rispettivamente a Firenze, San Remo,
Pavia, Trapani, Recco, Sassari, Marostica, Taranto e Iseo.
Andreucci, Biancheri, Fogazzaro e Pisanelli appartenevano
alla Destra; Casaretto sedeva al Centro ma con simpatie
verso la Sinistra; Cairoli, Calvino, Ferracciù e Zanardelli
sedevano a Sinistra.
La Commissione elesse a proprio presidente il Pisanel·
li, a segretario lo Zanardelli. Pisanelli era senza dubbio la
personalità più spiccata, non solo in quanto vice presidente
della Camera, ma perché, giurista illustre, già ministro del·
la giustizia, aveva legato il suo nome al codice civile e a
quello di procedura civile del'65, i primi codici del nuovo
regno d'Italia. Zanardelli, più giovane di età, era particolar·
mente apprezzato come avvocato e per vari uffici arnrnini·
strativi già degnamente ricoperti.
Secondo il provvedimento istitutivo, la Commissione
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La Commissione iniziò i suoi lavori il16 giugno, sotto
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l'impressione del fattaccio avvenuto poche ore prima, e in
mezzo ad accese polemiche. Alcuni ~ornali riportano - e la
voce non sarà né confermata né smentita - che il
comm. Balduinoavrebbe presentato una querela preventiva
per diffamazione eingiurie contro quei testi che dovessero,
nel corso dell'inchiesta, addurre elementi a suo carico. E'
una querela inammissibile, si osserva da più parti, perché
contro ignoti e per testimonianze ignote, anzi inesistenti.
Sua Maestà Balduino, scrive la Riforma, non può avere che
uno scopo: turbare la serena azione della Commissione, far
pressione sui testi, infirmare la validità delle loro deposizioni.
La Commissione doveva ascoltare nella sua prima seduta il Lobbia ed il Crispi, ma naturalmente solo quest'ultimo si presentò. Parlò a lungo, e indicò come beneficiari
di partecipazioni di favore allaregìa il Civinini, il Servadio,
il Fambri eil Brenna, nonchéil Nervo, che aveva negoziato
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La Commissione decise di ascoltare subito Cimone
Weili-Schott egli altri testi così indicati. Ma il Weiii-Schott
smentì categoricamente il Crispi e, confermando quanto
aveva deposto al processo di Milano, dichlarò di aver solo
sentito, etalvolta riferito ad amici intimi, e anche al Crispi,
dei «si dice», delle voci, dei pettegolezzi che correvano in
città, e in particolare negli ambienti bancari e della Borsa.
Anche con gli altri testi non fu possibile cavare un ragno
dal buco.
Il Crispi chiese allora di essere sentito una seconda
volta per poter presentare alla Commissione un documento
importante, che gli era stato inviato da persona rimasta
sconosciuta. Fu ascoltato il 23 giugno e depositò il docu·
mento: era l'originale di una lettera che l'on. Brenna aveva
scritto il 21 settembre 1868 al cognato on. Fambri. Questo
documento era scomparso qualche tempo prima, assieme
ad altre carte personali, da un cassetto della scrivania del
deputato, che si era dato molto da fare per recuperarle, ma
inutilmente. La lettera era senza dubbio eloquente e val la
pena di riportarla nella sua integrità.
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la partecipazione a Parigi. Il Civinini - disse - compariva
però attraverso un prestanome, Salvatore Tringali, suo ami·
co di vecchla data perché suo compagno d'armi nelle schie·
re garibaldine. Anche Servadio compariva attraverso unprestanome, il Mayer. Il Crispi disse di aver avuto queste notizie dal banchiere Cimone Weill-Schott, e aggiunse anche
altri nomi di persone che, in varie occasioni, gli avevano
riferito notizie ed episodi che confermavano soprattutto la
partecipazione del Civinini.
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doveva anzitutto prendere cognizione dei documenti e delle
testimonianze annunziate dall'on. Lobbia e delle testimonianze annunziate dall'an. Crispi, ritirare i documenti esen·
tire in formale esame i testimoni indicati, nonché altri te·
sti da essa ritenuti necessari. Tutto ciò in seduta non pub·
blica «senza eccedere i limiti di una informazione pre!imi·
nare ». «Ove trovi fondamento sufficiente ad istruzione
ulteriore - proseguiva l'art. 1 del provvedimento istituti·
vo - per qualsiasi fatto di illecita partecipazione nella
regìa dei tabacchi da parte di alcun membro della Camera,
la Commissione proseguirà nell'inchiesta». Eciò «in una
sala aperta al pubblico». «In caso contrario, si arresterà e
riferirà alla Camera ,,
«Caro Paulo - scriveva il Brenna - sospendi qualunque
trattativa per la vendita della nostra partecipazione. Ho
parlato oggi lungamente con il signor Balduino e ho posto
in chiaro la nostra situazione. Il signor Balduino si impe·
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Il documento fece una grande, dolorosa impressione
sulla Commissione, e anche nell'opinione pubblica, perché,
malgrado il segreto delle sedute, come - si vede - anche al·
!ora era costume nel nostro allegro paese, vi fu l'imman·
cabile «fuga » e il 24 giugno lo Zenzero primo pubblicò
integralmente la lettera. Sicché la Riforma poteva commen·
tarla nei suoi punti essenziali e sottolineare il pactum sce·
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leris concluso tra i due deputati e il banchiere. Ma, a parte
l'impressione che ebbe e il giudizio negativo che ritrasse
dalla lettura di questo documento, come sarà sottolineato
nella relazione finale, la Commissione accertò che la parte·
cipazione del Brenna e del Fambri era avvenuta dopo la
votazione della legge.
La deposizione più attesa era, come è facile immagi·
nare, quella del Lobbia, che doveva presentare finalmente
i famosi plichi. Egli venne interrogato dalla Commissione,
una pdma volta, a casa sua, non essendo ancora in grado
di uscire. Ein tale occasione lesse anzitutto una lunga di·
chiarazione, che aveva preparato per spiegare la sua inizia·
tiva. Dopo la conclusione del processo di Milano - disse dopo quello che durante quel processo era stato detto ed
era stato taciuto non si poteva lasciare il paese nelle sue
c dubitanze »: non si poteva lasciare il Civinini sotto l'indi·
zio della colpabilità eil Crispi sotto il sospetto del calunnia·
tore; bisognava invocare la luce, bisognava fare l'inchie·
sta. «Eio, risoluto - affermò con enfasi - mi assunsi l'im·
pegno della batta~ia e ho vinto».
Presentò allora ,i famosi plichi. Furono aperti e fu per
tutti una delusione enorme. Le «dichiarazioni di testimoni,
superiori a qualsiasi eccezione», che egli aveva annunziato
alla Camera il 5di giugno, attestavano solo l'esistenza delle
voci, dei famosi «si dice» che si erano a suo tempo asco!·
tati, che nessuno negava che fossero effettivamente corsi,
ma che non erano sorretti da elementi concreti di prova.
Una di queste dichiarazioni era sottoscritta da Giuseppe
Novelli, da Carlo Benelli e da Cristiano,Caregnato e rife·
riva di una dichiarazione fatta da tale Emilio Torelli, a
proposito di una confidenza ricevuta dal direttore di un
giornale governativo di Firenze, circa un'operazione com·
piuta con la regìa dal Civinini a mezzo di certo Tringali.
L,altra, firmata da Antonio Martinati, individuava quel di·
rettore di giornale nell'avv. Odoardo De Monte!, direttore
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gnò con me di eseguire egli coi suoi quattrini tanto il se·
condo versamento per conto nostro, quanto, se occorreran·
no, i versamenti ulteriori fino all'ammontare del totale, e
ciò verso un modico interesse da stabilirsi e liquidarsi ad
operazione compiuta. Mi dichiarò poi senza entrare nella
questione di diritto che gli dispiacerebbe assai che noi ven·
dessimo e mi fece intendere che, se ciò avvenisse, rompe·
rebbe con noi ogni relazione di affari, mentre in caso diverso mi promise di farci partecipare ad altre immancabili
e proficue speculazioni. Infine è un vero patto di alleanza
in un caso, ma una dichiarazione di guerra nell'altro caso.
Vemissione si farà probabilmente entro il mese corrente.
Ma se i ribassi continueranno si procrastinerà. In questo
caso però noi possiamo riposare su due guanciali, perché
non siamo più preoccupati di trovare i denari per i versa·
menti. In questa condizione di cose, e attesi i pingui lucri
sperabili, perché noi riceveremo le azioni tabacchi al pari,
non èpiù conveniente di vendere».
«Jung m'aveva riportato inesattamente la risposta re·
lativa alla partita di tabacco offerta in vendita. Balduino
mi disse che il consi~io di amministrazione non essendosi
ancora riunito, quella proposta non poté ancora essere pre·
sa in considerazione. Mi aggiunse che la presentassi a lui
formulata in una lettera firmata da te oda un sensale oda
un tizio qualunque, emi promise che la porterà inseduta in
una delle prime riunioni. Mandami dunque questa lettera,
e vediamo di guadagnare quattrini. Ho stabilito comunica·
zioni dirette e quasi giornaliere tra me e Balduino. Saluta
la Rosina. Scrivi. Ciao, il tuo affezionatissimo Raimondo ».
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perché le accuse alui rivolte erano dovute ad un equivoco,
nel quale l'accusatore, il Crispi, con un po' di diligenza
non avrebbe dovuto incorrere: il Nervo aveva trattato èvero - un affare di partecipazione azionaria a Pari~, ma
ben quattro anni prima, nel1865; naturalmente non poteva
riguardare la regia. Non ritenne inoltre di dover muovere
rilievi a proposito delle operazioni con la re~a compiute
dai deputati Angelo Frascara e Giacomo Servadio, perché
né l'uno né l'altro avevano preso parte alla discussione e
alla votazione della legge. Il 28 giugno la Commissione de·
cise quindi di passare alla seconda fase dell'indagine nei
confronti dei deputati Brenna, Fambri e Civinini.
I giornali della Sinistra alzarono grida di trionfo. La
Riforma scrisse che ormai la luce si sarebbe fatta: il pas·
saggio alla seconda fase significava che vi erano elementi
acarico dei tre. I giornali della Destra dissero invece che si
era ancora in fase istruttoria e la Nazione sottilizzò tra
c interessati • ec accusati »; si era in presenza - si sarebbe
potuto dire con terminolo~a moderna - solo di una comu·
nicazione giudiziaria. La Destra ad ogni modo poté consolarsi quel ~orno per un altro evento lieto e ormai prossi·
mo: il prefetto di palazzo, gran maestro delle cerimonie,
aveva annunziato che la principessa di Piemonte aveva feli·
cemente compiuto il quarto mese di gravidanza.
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della Gazzetta di Firenze, ne confermava la dichiarazione e
testimoniava di analoga dichiarazione fatta in presenza di
altre persone dal signor Cimone Weill-Schott.
Senonché tutte queste persone, chiamate e interrogate
dalla Commissione, dichiaravano di aver solo riportato voci
che a quel tempo correvano in vari ambienti fiorentini. In
particolare il Weill-Schott, che più degli altri era chiamato
in causa dal Crispi, negò nella maniera più decisa di aver
scontato una partecipazione di un milione interessante il
Civinini. Il suo Banco era intervenuto, evero, mun opera·
zione di trasferimento di una partecipazione - tra il Tringali
e il banchiere Basevi - ma in essa il Civinini non era com·
parso in alcuna maniera.
Il Lobbia completò le sue deposizioni in un secondo in·
contro con la Commissione. Non portò nessun nuovo ele·
mento, e confermò solo, con dichiarazioni pittoresche, il
procedimento al quale si era ispirato.
alle fonti alle quali ho attinto informazioni ebbe a precisare - la Commissione mi permetterà di dirle
che ho trattato questa quistione con criteri militari. Quan·
do io sono in campagna alla testa di truppe e trovo un
paesano il quale mi dice il nemico èlà la pri~a cosa che
faccio è di impadronirmi del paesano stesso edandare con
lui sul luogo indicato. Se scopro che mi ha inga~ato, io l~
fucilo. Ma, arrivato alla posizione e visto effethvamente Il
nemico immediatamente mi dò cura di far esplorare il suo
campo., Dai risultati delle esplorazioni venne .in ~e l',~tui!o
che si poteva dare battaglia... una volta arnvatJ ali mchie·
sta la luce si sarebbe fatta ,,
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AH
UE
«Circa
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HA
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,
Aconclusione della prima fase dei suoi lavori, nel cor·
so dei quali aveva anche sentito il ministro Cambray-Digny
ed effettuato un sopralluogo negli uffici del Credito mobi·
liare ispezionandone i libri, la Commissione ritenne di non
doversi occupare di quanto addebitato all'an. Luigi Nervo,
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* **
La nuova fase dell'inchiesta cominciò il 1° lu~io. Le
sedute furono naturalmente affollate di pubblico, ma le deposizioni degli accusatori, gli interrogatori dei testimoni e
le dichiarazioni dei sospettati non portarono alcun elemen·
to nuovo, dopo quelli venuti in rilievo nel corso della pri·
ma fase.
Particolarmente deludenti, per il pubblico che ne atten·
deva la lettura con viva impazienza, le dichiarazioni con·
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