DRAFT DEL CONTRIBUTO
Lo spazio delle differenze nei conflitti ambientali
Simon Maurano
I conflitti ambientali nascono da un uso contestato dello spazio. Lo scontro si basa spesso
dalle differenti percezioni della qualità della vita degli abitanti dei luoghi e dei pianificatori. Il
rischio percepito dagli abitanti dipende dal rapporto di prossimità tra gli abitanti e le fonti di
possibili rischi per la salute umana che fanno parte del territorio antropizzato 1. Naturalmente,
minore è la distanza con la fonte di rischio, maggiore potrà essere il rischio percepito dalla
popolazione. I luoghi abitati, con lo sviluppo del sistema economico e con l'espansione urbana, sono
sempre più “assediati” da fabbriche, traffico automobilistico, impianti di smaltimento di rifiuti,
centrali elettriche, aeroporti... tutte infrastrutture considerate pericolose per la salute e per
l'ambiente, ma necessarie alla crescita economica, fondamento del modello di società occidentale.
Modello che raramente ammette contestazioni, mentre le contraddizioni tra sviluppo economico e
stress degli ecosistemi aumentano, così come cresce la conflittualità sull'uso del territorio: forme di
territorializzazione non concordata hanno provocato migliaia di casi di conflitti ambientali locali nel
mondo. Per di più essi hanno conseguenze sociali e/o ambientali che solitamente colpiscono i
gruppi sociali più marginali, collocati nelle aree più povere nelle rispettive nazioni o anche alla
scala globale. Essi nascono nella grande maggioranza dei casi in situazioni già sedimentate di
disparità socio-economica, accentuando così la segregazione spaziale delle comunità locali più
deboli.2
Lo sviluppo, dunque, con la sua fame di spazio, può accentuare quelle differenze territoriali
già esistenti o creare nuovi ambiti di segregazione spaziale. Nonostante i correttivi alla crescita
economica apportati dall'approccio dello “sviluppo sostenibile”, oggi divenuto imperativo
dell'immaginario politico delle correnti progressiste dei Paesi ad alto reddito, il bisogno di territorio
della società dei consumi è continuo: in primis per produrre, e poi per smaltire quanto prodotto e far
spazio a nuovi bisogni3. E, come dimostrato da vari studi4, lo sviluppo tecnologico e l'auspicata
“dematerializzazione” della produzione non possono contrastare efficacemente il costante aumento
dei consumi – mentre le nuove produzioni “verdi” arrancano nella sfida di ridurre la tossicità del
sistema produttivo. Di conseguenza, l'aumento dei conflitti per l'accaparramento delle risorse e per
1 Cfr. Faggi P., Turco A. (a cura di), Conflitti ambientali. Genesi, sviluppo, gestione, Milano, Unicopli, 1999, p. 9.
2 La letteratura scientifica al riguardo è vasta. Per brevità qui ricordiamo, a scopo esemplificativo, l'approccio di
ricerca statunitense nato dalle lotte per l'environmental justice dagli anni '80 a seguito di casi come quello di Love
Canal; gli studi "terzomondisti" di antropologi, geografi e altri scienziati sociali; tra gli studi italiani citiamo Faggi
P., Turco A. (a cura di), Conflitti ambientali. Genesi, sviluppo, gestione, Milano, Unicopli, 1999, Bobbio L.,
Zeppetella A. (a cura di), Perché proprio qui? Grandi opere e opposizioni locali, Angeli, 1999 Della Porta D.,
Piazza G., Le ragioni del no. Le campagne contro la TAV in Val di Susa e il Ponte sullo Stretto, Milano, Feltrinelli,
2008; un libro importante per fare il punto della situazione con un approccio nuovo è quello di Martinez-Alier J.,
L’ecologia dei poveri. La lotta per la giustizia ambientale, Milano, Jaca Book, 2009 (ed. or. 2004).
3 Come nota ad es. Z. Bauman nel libro Consumo, dunque sono, Bari, Laterza, 2007. Si noti che la produzione in sé è
oggi secondaria nel mondo occidentale, se pensiamo che in buona parte l'industria manifatturiera è delocalizzata nei
Paesi a economia emergente.
4 Si vedano in particolare quelli sull'impronta ecologica globale del Global footprint network e quelli sul metabolismo
sociale, sviluppati dagli economisti ecologici dell' Institut de Ciència i Tecnologia Ambientals (ICTA) di Barcellona
e dell'ISEE, International Society for Ecological Economics.
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l'uso del territorio (che diviene esso stesso risorsa, secondo gli economisti del mainstream in base al
concetto di scarsità) è inevitabile.
Nei conflitti ambientali, però, in molti casi sorgono idee alternative di territorializzazione: le
popolazioni coinvolte sviluppano spesso un senso di attaccamento al proprio ambiente (sentimento
che è stato definito ad es. topophilia da Tuan5), in cui trovano la propria identità e da cui nascono
forme di reazione istintiva, che possono riorganizzarsi in movimenti strutturati: come notano Faggi
e Turco, gli abitanti coinvolti possono trasformarsi da attori paradigmatici, ovvero stakeholder
senza un programma per difendere i propri interessi, ad attori sintagmatici, protagonisti cioè del
conflitto, che elaborano strategie difensive6. Questo passaggio avviene per mezzo di un lavoro di
approfondimento delle conoscenze riguardanti i luoghi cari da un lato, e le generali problematiche
ambientali dall'altro: si giunge quindi a una (ri)presa di coscienza del proprio territorio che a volte
assomiglia alla ripresa delle tradizionali conoscenze dei luoghi della cultura contadina: in
quell'epoca la cura del territorio era affidata alle comunità locali, tecnologicamente meno avanzate
di oggi ma maggiormente intrise di sapienza materiale necessaria alla sopravvivenza. Ricordate ad
esempio la storia della frana del Vajont? Marco Paolini, nella sua opera teatrale “Vajont. Orazione
civile”7, sottolineava che la catastrofe era stata ampiamente prevista dalla popolazione locale, che
conosceva bene il suo territorio e si opponeva alla costruzione della diga sul torrente Vajont
temendo il rischio di inondazione dei paesi a valle. Il toponimo del monte che sarebbe
effettivamente franato, il Toc, in dialetto del luogo significava “monte che va a pezzi, a tocchi”8.
I conflitti ambientali tra la popolazione locale contro le istituzioni pubbliche e le aziende
appaltatrici si combattono spesso, dunque, su discordanti valutazioni del rischio. Le ragioni degli
attori istituzionali e del settore privato si basano a volte su una presunta razionalità scientifica, come
afferma Shrader-Frechette9: è ad esempio il caso di Yucca Mountains, in Nevada, area ad alto
rischio sismico che fu usata prima per testare armi nucleari, poi come sito di smaltimento di scorie
nucleari. E' stato il primo deposito mondiale di queste scorie, e lo stesso presidente degli Usa
dell'epoca, Eisenhower, si riferì ad essa come ad una “zona di sacrificio” a beneficio del Paese. I
nativi americani che la abitavano, gli indiani Shoshone, non acconsentirono mai la vendita dei
terreni agli statunitensi, a causa della diversa concezione che avevano della proprietà della terra e
del pericolo percepito. In base però a opinioni scientifiche passate per scienza confermata, ma
rivelatesi errate in seguito, il deposito fu costruito10.
Le ragioni della popolazione si fondano spesso sul senso comune, o su preoccupazioni non
fondate su dimostrazioni scientifiche e potenzialmente irrazionali. Vi sono però studiosi come
Funktowiz e Raves che sostengono che la scienza tradizionale o “normale”, in situazioni di alta
complessità e incertezza, risulta incapace di giungere a scelte che permettano di tener fede al
principio di precauzione. Infatti essa si basa su conoscenze specialistiche e sul riduzionismo, che
non funzionano bene nel caso in cui, nel valutare ad esempio i rischi di un’opera da compiere in un
determinato territorio, entrino in gioco valori etici e interessi economici, nell'ambito di decisioni
5 Cfr. Tuan Y.F., Topophilia, A study of environmental perception, attitudes and values. Prentice Halls, Englewood
Cliffs, 1974.
6 Cfr. Faggi P., Turco A. (a cura di), Conflitti ambientali. Genesi, sviluppo, gestione, Milano, Unicopli, 1999, pp. 58.
7 Opera teatrale tenuta nel 1997 sul luogo del disastro. Tratta della storia della frana del monte Toc nel lago artificiale
creato dalla diga sul torrente Vajont, in provincia di Belluno, avvenuta la sera del 9 ottobre 1963. L'evento
catastrofico causò un ondata che uccise quasi 2.000 persone.
8 Cfr. http://www.vajont.net/.
9 Cfr. Shrader-Frechette K., Valutare il rischio. Strategie e metodi di un approccio razionale, Milano, Guerini, 1993
(ed.or. 1991).
10 Shrader-Frechette K., Giustizia ambientale, etica e risoluzione dei conflitti, in Faggi P., Turco A., op. cit., p. 87.
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importanti da prendere in fretta. Gli autori, nella loro nuova proposta epistemologica, quella della
scienza “post-normale”, suggeriscono di ampliare le consultazioni sull’uso del territorio alla
comunità che lo vive, poiché essa potrà apportare, in scelte difficili, ulteriori elementi utili alla
valutazione, grazie alle sue conoscenze basate sull’esperienza. Nell’impossibilità di giungere a
certezze scientifiche sugli impatti di una qualsivoglia opera, in tal modo si farebbe tesoro di più
informazioni possibili, cercando di arrivare a conclusioni sagge e condivise, in base al principio
guida di precauzione.11
L'approccio della scienza “post-normale” e quello del processo decisionale partecipativo12
tentano in realtà di valorizzare idee e pratiche territoriali alternative che nascono proprio nelle
situazioni di conflitto: sono molti gli “spazi delle differenze” che si aprono dentro i conflitti
territoriali, ma il più delle volte essi sono relegati ala marginalità, in nome del bene della nazione o
di interessi di parte.
Analizzando da vicino un caso concreto di conflitto territoriale potremo fornire esempi di
come da ambiti marginali provengano proposte interessanti e pratiche alternative di gestione del
proprio territorio, quasi sempre contrastate da poteri più forti. Ci concentreremo su alcuni aspetti
della crisi della gestione dei rifiuti in Campania, caso che racchiude in sé molte caratteristiche di
altre occasioni di scontro. E' infatti la punta dell'iceberg di un sistema di consumo di energia e
materia che sfocia nella spasmodica ricerca di spazi vuoti per lo smaltimento degli scarti. La crisi
amministrativa di lungo termine degli enti pubblici coinvolti ha amplificato notevolmente il
problema della gestione dei rifiuti, comportando notevoli processi di riterritorializzazione, in
negativo, del territorio della regione.
Sintetizzando all'estremo la questione, ricordiamo che la Regione Campania è commissariata
dal 1994 per le gravi inadempienze in termini di gestione ordinaria e di pianificazione (nuovo
comissariamento del 1996) del trattamento dei rifiuti urbani. A tutt'oggi la situazione di emergenza 13
non è terminata. Le soluzioni temporanee, in questi lunghi anni di commissariamento, hanno
privilegiato la riapertura di vecchie discariche, la costruzione di nuove, e il varo dell'inceneritore di
Acerra, ribaltando, in nome dell'emergenza, la scala di priorità di trattamento dei rifiuti stabilita
dalle norme europee in materia ambientale (riduzione, riuso, riciclo e solo in seguito smaltimento
del residuo) e incontrando una viva opposizione di molte comunità locali alla localizzazione di tale
impiantistica inquinante. Il secondo, grave problema, è quello dei traffici illeciti di rifiuti speciali,
guidato dalla camorra in quanto affare estremamente redditizio14 sia per i clan che per le industrie,
specie del nord Italia, che hanno beneficiato di questa consistente riduzione dei costi di smaltimento
di materiali e sostanze pericolose per la salute, che necessiterebbero, in base alla legge, di
trattamenti speciali.
In questo quadro critico e complesso, in cui una pluralità di attori è coinvolta, e spesso non in
maniera lecita, sono nate significative reazioni “alternative”. Vari movimenti dal basso, sviluppatisi
intorno a lotte territoriali locali hanno fatto in vari casi un salto di qualità, formando movimenti più
ampi, che in rete combattono quelle politiche territoriali ritenute marginalizzanti. In effetti, come
appreso dalla lezione dell'approccio statunitense dello studio delle ingiustizie ambientali, le
11 Cfr. Martinez Alier, op. Cit., p. 57 e segg.
12 Questo tipo di processi, legati ad esempio all'attuazione dell'Agenda 21 locale, sono rari in Italia, oppure non vanno
al di là di esperimenti ed esperienze pilota.
13 Che non è semplicemente una questione di immondizie abbandonate per strada (come i media spesso hanno lasciato
intendere), ma riguarda gravi carenze nella gestione di tutto il ciclo dei rifiuti
14 Per la camorra "la munnezza è oro", come affermato già nel 1992 dal pentito Nunzio Perrella, ex-boss del Rione
Traiano (cfr. "Quando quel boss mi disse: per noi la monnezza è oro", La Repubblica/Napoli, 6/1/2008)
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localizzazioni dell'impiantistica inquinante sono spesso decise in base alla debolezza delle comunità
locali: minore è il peso politico e socio-economico di una comunità, maggiore sarà la possibilità che
essa non riesca a contrastare un LULU15. Ragion per cui i gruppi locali già marginali per questioni
di razza o classe sociale, sono solitamente esclusi dal diritto a vivere in un ambiente salubre, e
devono sacrificarsi “per il bene della collettività”.
Ad una tale visuale del territorio, i movimenti nati in regione hanno contrapposto, in primo
luogo, reazioni di protesta quali manifestazioni locali contro riaperture di discariche, nuove
discariche e impiantistica, tra cui ricordiamo quella del 29 agosto 2004 in cui scesero in strada circa
30.000 persone ad Acerra contro la costruzione dell'inceneritore e furono duramente represse con la
forza. Con queste proteste, e con l'istituzione di presìdi di cittadini nei luoghi caldi (ad esempio a
Serre, Chiaiano, Pianura) i comitati di cittadini hanno fatto esperienza politica sul campo, mentre,
nel frattempo, le proteste lasciavano le caratteristiche nimby per attivare canali di comunicazione
sovra-locali e creare reti di comitati locali, in alcuni casi connesse anche con associazioni
ambientaliste di rilevanza nazionale e globale16.
Queste reti sono formate da soggetti che possiamo considerare: “a-normali”, poiché spesso
vicini a idee alternative di società come quelle dei movimenti pacifisti internazionali o quelli di lotta
politica dei centri sociali, e in special modo perché non avvezzi ad accettare compromessi con un
sistema economico guidato dal consumismo; marginali, poiché non rappresentati da forze politiche
parlamentari. Esse hanno agito da catalizzatrici di una serie di esperti indipendenti, accademici,
tecnici spesso non allineati al pensiero comune delle proprie istituzioni di riferimento. L'incontro tra
cittadini e gruppi di esperti ha creato un forte potere di organizzazione dei flussi di informazione,
tali da portare a proposte strutturate di piani alternativi di gestione dei rifiuti sul territorio campano,
che le istituzioni non hanno tenuto in considerazione, ma che sono state utili a canalizzare la
protesta in obiettivi non solo in negativo e ad acquisire più simpatizzanti tra la gente. Guido Viale,
economista dei rifiuti, ha più volte affermato che i movimenti campani sono divenuti i più esperti
sul tema17. Le loro conoscenze tecniche però si scontrano con l'inerzia delle istituzioni e con gli
interessi economici in gioco: basti pensare, ad esempio, che la raccolta differenziata della frazione
organica dei rifiuti, richiesta a più riprese dai movimenti di base, in alleanza a volte con attori
economici quali Coldiretti, è stata sempre limitata in Campania dal fatto che la decina di impianti di
compostaggio realizzati o in realizzazione in regione sono tutti fermi, mentre i comuni in cui è
attiva la raccolta dei rifiuti organici devono pagare a caro prezzo il trasporto del rifiuto umido fuori
regione, annullando i vantaggi economici che la raccolta differenziata può apportare alle casse delle
istituzioni locali, se organizzata razionalmente.
Sempre in tema di raccolta differenziata18, un significativo caso di riappropriazione degli
spazi dal basso è quello avvenuto ad Acerra, guidato dal gruppo delle Donne del 29 agosto 19: la loro
protesta contro l'inceneritore ha assunto anche dimensioni concrete quando, a scopo dimostrativo,
hanno organizzato una raccolta differenziata settimanale in una piazza di Acerra, che sostituiva
l'inerzia dell'ente locale, la cui percentuale di differenziazione dei rifiuti era prossima allo zero. 20 Le
istanze di questo movimento erano chiaramente descritte dalle organizzatrici: volevano dimostrare
15 Acronimo anglosassone per Locally Unwanted Land Use.
16 Come nel caso di Zero Waste International Alliance.
17 Durante il Forum regionale creato dall' ex-assessore all'ambiente della Regione Campania Ganapini, di cui Viale era
il moderatore, e in alcune interviste dello stesso periodo (2008)
18 Che ricordiamo essere solo uno degli strumenti per una gestione più sostenibile dei rifiuti: nella scala delle priorità
viene al primo posto la riduzione dei rifiuti, che richiederebbe una diversa organizzazione del sistema produttivo e
una maggiore sobrietà nei consumi.
19 Nome che si rifà alla manifestazione acerrana del 2004.
20 Intervista al gruppo Donne del 29 agosto fatta da Marco Armiero e dal sottoscritto nell'estate 2010.
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che con una seria raccolta differenziata l'inceneritore di Acerra sarebbe stato superfluo, oltre che
sovradimensionato. Una iniziativa simile è stata fatta, per un periodo limitato, anche da gruppi dei
“disoccupati organizzati” e da alcuni centri sociali a Napoli, con la doppia richiesta di iniziare la
raccolta porta a porta e di occupare personale. A tutt'oggi, con l'emergenza dichiarata finita,
l'inceneritore brucia ancora rifiuti indifferenziati.
Per quanto riguarda le pratiche territoriali dal basso legate alla questione dei rifiuti tossici
illegalmente abbandonati nelle campagne della Campania, si è detto che pochi cittadini si sono
mossi contro il potere della criminalità organizzata. Ciò è in parte vero, e probabilmente causato
dall'ignoranza in materia, da alcune connivenze sui territori, e soprattutto dalla paura della
popolazione. Ma, dopo lo scandalo del latte alla diossina e dei latticini contaminati, e con il potere
mediatico di Gomorra, fortunato libro di Roberto Saviano, probabilmente l'attenzione dell'opinione
pubblica si è accesa. E' del 2006 la pubblicazione del libretto Allarme rifiuti tossici dell'Assise della
città di Napoli e del Mezzogiorno d’Italia21. Dello stesso periodo sono la nascita del comitato
Allarme rifiuti tossici, non legato a una singola realtà territoriale, ma operante sul tema con il
contributo di singoli cittadini, esperti, associazioni, gruppi e comitati locali, e lo sviluppo di studi
epidemiologici internazionali sulle conseguenze degli abbandoni illegali dei rifiuti nelle terre
agricole campane (nel 2004 la rivista scientifica “The lancet oncology” definiva la zona compresa
tra Nola, Acerra e Marigliano come “the triangle of death”).
Il lavoro degli attivisti, non potendo agire direttamente contro i clan camorristi, si è
concentrato sulla sensibilizzazione dell'opinione pubblica e sulla denuncia, con l'obiettivo di fare in
modo che le istituzioni riprendano il controllo del territorio, in alcune zone saldamente nelle mani
del crimine organizzato. Nel 2007 è stata organizzata una visita ai siti regionali di smaltimento con
le situazioni più critiche, cui sono invitati a partecipare la stampa, con un occhio di riguardo per
quella estera, dato che quella nazionale non si dimostrava particolarmente sensibile. L'evento,
denominato scherzosamente “spazzatour”, è stato ripreso dalle telecamere di Ambiente Italia,
trasmissione televisiva di Rai 3 andata in onda il 31 marzo 2007. Un altro gruppo di attivisti, quello
della Terra dei fuochi di Giugliano (Napoli), si è specializzato nella sensibilizzazione sul problema
dei roghi tossici di rifiuti dei clan, filmando i roghi quotidiani e fornendo una notevole
documentazione sul proprio sito internet di “video-denunce”. A Marcianise invece, piccolo comune
del Casertano ad alta densità camorristica, agisce un comitato spontaneo di cittadini denominato
“Mamme e famiglie di Marcianise”, che, alle attività di sensibilizzazione hanno affiancato anche
vere e proprie “ronde” di cittadini, attuando pratiche di controllo del territorio coraggiose per
evitare sversamenti abusivi nelle campagne che circondano il paese, già ampiamente contaminate.22
Le forze a disposizione delle autorità per contrastare il fenomeno degli abbandoni abusivi di rifiuti
tossici e nocivi sono infatti inadeguate in Campania. Ma, come denunciano i comitati locali, il
governo italiano, tramite il Commissariato per l'emergenza rifiuti e poi col Sottosegretariato
dedicato allo stesso tema, ha trovato forze necessarie per attuare il controllo dello spazio in difesa
dai cittadini, e non in difesa dai gruppi camorristici: infatti, con la legge 123/2008 le aree destinate
alle infrastrutture di smaltimento dei rifiuti sgradite alla popolazione, sono state “militarizzate”. Si è
adottata questa forma di controllo dello spazio per difendere un'idea di gestione dei rifiuti, e dunque
del territorio, che è stata giustificata negli anni con un'emergenza mai terminata, e probabilmente
21 Gruppo fondato da Gerardo Marotta, presidente dell'Istituto Italiano per gli studi filosofici e altri intellettuali
napoletani. Importante punto di studio e discussione delle questioni aperte a Napoli e dintorni e fucina di proposte
politiche.
22 Intervista col comitato Mamme e famiglie all'interno di uno "spazzatour" organizzato a maggio 2009 dai gruppi
dell'associazione Manitese di Mestre e di Napoli, in collaborazione con l’Assise della città di Napoli e con il
Comitato Allarme rifiuti tossici.
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aggravata dalle stesse pratiche non inclusive della parte propositiva della popolazione. Gli “spazi
delle differenze” avrebbero potuto giocare un ruolo utile alla crisi campana, ma, come accade
spesso nei conflitti, i “diversi” sono stati relegati ai margini.
Bibliografia
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Feltrinelli, 2000
N.b.: sono state usate fonti dirette appartenenti all'esperienza personale di partecipante ai
movimenti ambientalisti campani.
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