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Corte dei conti Sezione giurisdizionale per la Regione Abruzzo - 29.11.2000 n. 1114/2000 - Presidente
Minerva - Relatore Benvenuto - Procuratore Regionale Borrelli c. C. D.R., P.D., P.S. (avv.ti V. Sabatini, P.
Pezzopane, L. Del Paggio, L. Umile).
Con Nota di G. Tinello dal titolo: Le garanzie del giusto processo nei giudizi innanzi alla Corte dei
Conti.
Giudizio di responsabilità - responsabilità contabile e amministrativa - responsabilità patrimoniale per
danno causato all’Ente Poste Italiane – osservanza delle regole del giusto processo - uso del potere
sindacatorio del giudice – litisconsorzio necessario - prescrizione - accettazione in pagamento senza
alcun controllo di assegni rubati - addebito di una parte del danno erariale.
Nel giudizio innanzi alla Corte dei Conti trovano applicazione solo i principi indicati ai commi primo e
secondo dell’art. 111 della Costituzione novellato, che hanno una portata generale e che quindi si
riferiscono anche al processo civile, oltre che a quello amministrativo e tributario; non trovano, invece,
applicazione quelli di cui ai commi successivi, riferendosi esclusivamente al processo penale.
I principi a cui deve conformarsi il giudizio contabile sono quelli legati al «giusto processo», con
riferimento alla ragionevole durata, alla necessità di assicurare il contraddittorio tra le parti in
condizioni di parità, alla garanzia di un giudice terzo ed imparziale.
Ai fini dell’interruzione della prescrizione non si può far ricorso al litisconsorzio necessario in relazione
alla norma per cui, se il fatto dannoso sia imputabile a più persone, la Corte dei conti, valutate le
singole posizioni, condanna ciascuno per la parte che vi ha preso; con la conseguenza che l'interruzione
della prescrizione nei confronti di uno dei responsabili del fatto dannoso opererebbe anche nei confronti
degli altri corresponsabili, perché in tal modo si vanificherebbe la norma sulla prescrizione e si finirebbe
per ripristinare la solidarietà nel caso di fatto dannoso imputabile a più persone, che l'art.1, quinquies,
del DL 23.10.1996, n. 543, convertito con modificazioni nella legge 20.12.1996, n. 639, consente
unicamente nei confronti dei concorrenti di illecito arricchimento o di coloro che abbiano agito con dolo.
Sussiste la responsabilità del danno subito dall’erario (nella specie Ente Poste Italiane), dovendosi
ritenere il comportamento di una dipendente dell’Ente pubblico viziato da grossolana superficialità e
caratterizzato da colpa grave, per avere accettato in pagamento assegni circolari da persona sconosciuta
e non identificata nemmeno attraverso la semplice esibizione di un documento, in palese violazione
dell’art. 17 delle Istruzioni Generali sui Servizi a Denaro, parte I, Capo IV, il quale prevede l’accettazione
da parte degli impiegati dell’Ente di quel tipo di assegni solo se «presentati da utenti noti e reperibili in
loco».
NOTA: Le garanzie del giusto processo nei giudizi innanzi alla Corte dei Conti.
La sentenza in parola, richiama l’attenzione sull’applicazione dei nuovi principi del giusto processo inseriti
nell’ordinamento con la recente novella dell’art. 111 della Costituzione.
29 novembre 2000
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Molto si è dibattuto in dottrina sul fatto che, prima di questa norma, il nostro processo non poteva, di
certo, apparire ingiusto, considerata la presenza nella Carta fondamentale di norme come l’art. 24,
commi 1, 2 e 3, l’art. 25, comma 1, l’art. 101, comma 2 ed anche l’art. 3, comma 1 e 2, i quali molto
dicevano e dicono in materia di garanzie per il processo. D’altra parte è, altresì, noto che l’introduzione
esplicita in Costituzione del giusto processo è nata nel contesto di un clima politico che vedeva una certa
supremazia del potere pubblico nel confronto processuale con le parti private. Supremazia che poteva,
tranquillamente, essere regolamentata attraverso lo strumento ordinario della legge, così come è già
avvenuto per il procedimento amministrativo con la legge n. 241 del 1990. Ormai questa modifica
costituzionale esiste e, dunque, non si può fare a meno tenerla presente in tutte le esperienze
processuali, compreso il processo speciale di responsabilità amministrativa dinanzi Corte dei Conti, nel
quale non si intravedono, secondo molti autori particolari problemi in materia di garanzia del
contraddittorio.
A tal punto, richiamandosi alla dottrina più attenta (Proto Pisani), si deve considerare che il processo è
«disciplina di forme, di termini, di atti», quest’ultimi, in particolare, costituiscono esercizio di poteri
delle parti e del giudice. Su questa impostazione si sostiene che la garanzia del processo deve mirare a
proteggere il cittadino innanzi al potere, scopo che si raggiunge disciplinando le modalità di esercizio
dello stesso, al fine di consentirne la piena controllabilità.
In tale ottica, i primi due commi dell’art. 111 sono certamente applicabili, come stabilito, nella sentenza
in parola, dalla sezione Abruzzo della Corte dei Conti, anche nel processo contabile oltre che in quello
civile, amministrativo e tributario. In particolare, la sezione abruzzese ha sostenuto che il ricorso al c.d.
potere sindacatorio, di cui agli artt. 73 e segg. del T.U. 1214/1934, si presenta come indispensabile per
riequilibrare la posizione dell’incolpato di danno erariale, non tanto con la pubblica accusa rappresentata
dal Procuratore Regionale, bensì con la p.a. la quale potrebbe, con atteggiamenti non collaborativi,
condizionare il processo in senso sfavorevole al convenuto (ad esempio con relazioni e/o inchieste
amministrative che non evidenziano, in modo completo, tutte le responsabilità causative di danno). Su
questo aspetto occorre, però, dire che si registrano posizioni diverse in dottrina (cfr. A. Ciaramella, Il
"giusto" processo contabile come effetto di una "giusta" citazione in giudizio, in Riv. della Corte dei Conti,
n. 1/2000 pag. 227 e segg.), poiché il potere sindacatorio viene visto come contrastante con il principio,
oggi affermato costituzionalmente, della terzietà e dell’imparzialità del giudice. Rimane il fatto che il
c.d. potere sindacatorio, se correttamente utilizzato, non sembra discostarsi molto da quei poteri che il
codice di procedura civile intesta al giudice con gli artt. 118 e 213, i quali consentono di poter disporre
accertamenti ispettivi di persone e di cose (utili al fine di persuadere il giudice sull’esistenza o meno del
fatto) e di richiedere informazioni alla p.a. (utili queste, al fine di acquisire elementi necessari per il
processo che siano rinvenibili in atti e documenti conservati dall’amministrazione stessa).
Resta, comunque, il fatto che la preoccupazione del collegio giudicante, pur pregevole, sotto il profilo
della sensibilità dei giudici al giusto equilibrio delle parti nel processo, non appare del tutto necessaria,
giacché la parte pubblica, e cioè il P.M. proprio perché è un giudice (terzo, imparziale e neutrale), nelle
sue istruttorie non può farsi condizionare da quanto denunciato dalle amministrazioni. Questo perché egli
dispone di propri poteri d’indagine (art 2 della legge n. 19 del 1994) che gli consentono di acquisire atti e
documenti in possesso della p.a., nonché di disporre accertamenti diretti presso le amministrazioni stesse.
Per l’esercizio di questi poteri istruttori il P.M. può avvalersi, oltre che della Guardia di Finanza (organo
d’indagine con una maggiore propensione a ruoli di polizia economica) anche di funzionari delle
amministrazioni e di consulenti tecnici. Il P.M. contabile, così come sostenuto dalla Corte Costituzionale
nella sentenza n. 104 del 1989, deve esercitare i propri poteri istruttori non solo con criteri ispirati ad
obiettività, imparzialità e neutralità, ma anche sulla base di specifici elementi concreti e non con mere
supposizioni.
Avv. Gloria TINELLO
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SENTENZA
Sul giudizio di responsabilità iscritto al numero 195/R del Registro di Segreteria, promosso con atto di
citazione del 10.2.1999 dal Procuratore regionale della Corte dei conti presso la Sezione giurisdizionale
per la Regione Abruzzo, dottor Marcello Borrelli, nei confronti di C. DI R., nata omissis, rappresentata e
difesa dall’avvocato Vinicio Sabatini, presso il cui studio in Giulianova Lido, via Dalmazia 15, è
elettivamente domiciliata; giudizio successivamente integrato, a seguito di Ordinanza di questa Sezione,
con la citazione in data10.2.2000 del signor D. P., nato omissis, elettivamente domiciliato nell'Aquila, via
Strinella 35, presso lo studio dell'avvocato Pierluigi Pezzopane che, unitamente all'avvocato Lucio Del
Paggio, lo rappresenta e difende; nonché con la citazione, in pari data, della signora P. S., nata omissis,
rappresentata e difesa dall'avv. Lucia Umile presso il cui studio, in Giulianova, via Marsala 13, è
elettivamente domiciliata.
Uditi nella pubblica Udienza del 17 ottobre 2000, il Relatore Cons. Silvio Benvenuto, il Sostituto
Procuratore Regionale dottor Massimo Di Stefano, l’avvocato Vinicio Sabatini in difesa della signora Di R.,
l'avvocato Lucio Del Paggio per il signor P., l'avv. Anna Maria Nardis, come da delega dell'avv. Lucia Umile,
per la signora Pia S..
Esaminati gli atti e i documenti della causa.
FATTO
Con l’iniziale atto di citazione la signora Di R. C. è stata citata a comparire presso questa Sezione per
sentirsi condannare al pagamento della somma di lire 15.000.000 (quindicimilioni), oltre a rivalutazione
monetaria e interessi, per avere accettato in pagamento, nella sua qualità di impiegata O.S.E.
dell’Agenzia di Giulianova spiaggia dell’Ente Poste Italiane due assegni circolari in apparenza emessi dalla
Banca commerciale di Alba Adriatica rispettivamente di n. 35006365900 di £. 8.000.000 e n. 350063665812 di £ 7.000.000.
Tali assegni erano stati ceduti in pagamento dell’emissione di 6 vaglia telegrafici per l’importo
complessivo di £ 14.400.000, più £. 75.330 per diritti postali e telegrafici in favore di tale P. A. c/o Hotel
Maitani di Orvieto .
I vaglia in parola venivano il giorno successivi riscossi dall’intestatario realmente esistente e regolarmente
identificato, come risulta dal Rapporto dell’Ente Poste Italiane n. 265 del 27.2.1996.
Tali assegni che, sempre secondo il citato rapporto, venivano girati la mattina successiva al signor P. T.,
cliente dell’Agenzia, in realtà erano risultati falsi ed accertati come facenti parte di un quantitativo di
moduli in bianco sottratti nel 1992 alla Filiale di Ravenna della Banca commerciale italiana.
Essendo stata restituita la somma di £.15.000.000 al cliente cui erano stati girati gli assegni, la relativa
cifra è stata contabilmente imputata dall’Ufficio come sospeso di cassa in attesa di regolarizzazione.
Tale sospeso di cassa si configura, secondo quanto illustrato nell’atto di citazione, come danno erariale di
cui deve ritenersi responsabile la convenuta signora C. Di R. per avere accettato in pagamento assegni
circolari da persona sconosciuta e non identificata nemmeno attraverso la semplice esibizione di un
documento, in violazione dell’art.17 delle Istruzioni Generali sui Servizi a Denaro, parte I^, Capo IV, il
quale prevede l’accettazione da parte degli impiegati dell’Ente di quel tipo di assegni "presentati da
utenti noti e reperibili in loco ".
Nella fase di contestazione dei fatti promossa dal Procuratore Regionale, la signora Di R., a giustificazione
del suo operato, adombrava, in memoria del 2.10.1998, una possibile responsabilità del reggente del turno
dell’Ufficio che non avrebbe provveduto a rilevare tempestivamente l’irregolarità dell’operazione, nonché
una responsabilità anche dell’Ufficio P.T. di Orvieto che, avendo provveduto al pagamento dei vagli
telegrafici, avrebbe di fatto consentito che l’operazione truffaldina giungesse a compimento.
I medesimi argomenti venivano poi richiamati in sede di audizione personale della convenuta da parte
della Procura Regionale il 5.11.1998.
Nell’atto di citazione si sostiene che il pagamento dei Vaglia da parte dell’Ufficio postale di Orvieto a
persona realmente esistente e regolarmente identificata era stato del tutto conforme alla normativa che
regola il pagamento dei titoli di bancoposta. Pertanto nessun addebito poteva essere attribuito al
predetto Ufficio.
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Per quanto invece concerne la condotta del Responsabile dell’Ufficio che, secondo la tesi difensiva,
avrebbe a causa della mancata verifica fatto sì che l’attività della signora Di R. non era stata da sola
sufficiente ed idonea a determinare il fatto lesivo, nell’atto di citazione si sostiene che la verifica delle
operazioni di sportello della giornata da compiersi dal Responsabile dell’Ufficio a chiusura dell’orario di
servizio avrebbe semmai potuto evidenziare una incompletezza formale della procedura consistente
nell’assenza di una distinta del versamento degli assegni, ma non il sospetto che fossero stati accettati da
persona sconosciuta e non identificata presentatasi con nominativo inesistente.
Ad avviso pertanto del Procuratore regionale, la condotta della signora R. è stata causa unica e sufficiente
dell’evento dannoso.
In memoria depositata in Segreteria il 9.11.1999 il difensore della convenuta, non riprende l’argomento
della responsabilità dell’Ufficio postale di Orvieto, ma ribadisce la tesi che, essendo la riscossione dei
vaglia, rilasciati dietro versamento degli assegni circolari risultati poi falsificati, avvenuta il giorno
successivo, l’evento dannoso non si sarebbe verificato se il controllo del Responsabile dell’Ufficio " fosse
stato conforme ai principi che regolano la materia ".
In sostanza si sostiene che la condotta posta in essere dalla convenuta non è stata di per sé solo
sufficiente ed idonea a determinare l’evento lesivo, che pertanto si sarebbe compiuto solo a seguito della
mancata verifica del Responsabile a fine giornata, e quindi della mancata comunicazione all’Ufficio
Postale di Orvieto di non pagare i vaglia.
D’altra parte – si sostiene ancora nella memoria – nello stesso atto di citazione si denuncia una
complessiva scadente conduzione dell’Ufficio P.T. di Giulianova Spiaggia, in tal modo ammettendosi
esplicitamente che la convenuta non appare responsabile (o almeno del tutto) di quanto le si addebita,
dato che le disposizioni di servizio risulterebbero macroscopicamente violate proprio dal Responsabile
dell’Ufficio.
Nella discussione orale in Udienza del 30 novembre 1999, il Procuratore Regionale dottor Borrelli ha
ulteriormente illustrato l’atto di citazione ribadendo la richiesta di condanna della convenuta unica
responsabile del danno provocato all’Amministrazione.
Di contro l’avvocato Vinicio Sabatini ha insistito sulla tesi della responsabilità del direttore di turno che
non avrebbe effettuato i controlli che avrebbero consentito di vanificare la truffa in corso.
A seguito della predetta Udienza del 30 novembre 1999, questa Sezione - considerato che nella Nota 0075
del 20.1.1999 a firma dell’Ispettore coordinatore Dell’Area Ispettorato di Pescara Sicurezza Servizi Postali
e Controllo Entrate, dell’Ente Poste Italiane si poneva in evidenza che, da un ulteriore esame delle
modalità di accettazione, si era rilevato che l’operato dell’OSE signora Di R., che effettuò l’accettazione
della richiesta di emissione dei vaglia telegrafici, non fu sottoposto al controllo previsto dal direttore di
turno Signor D. P., nato omissis, che alla ricezione del conto particolare dell’OSE signora Di R. avrebbe
dovuto rilevare, in base all’art. 283, parte VII, delle Istruzioni Generali sui Servizi a Danaro, la mancanza
della distinta di presentazione contenente elementi essenziali di identificazione dei titoli presentati e
dell’utente presentatore; e che omissione di controllo era stata commessa anche alla Reggente signora Pia
S., nata omissis, che nel turno antimeridiano del giorno successivo (11.12.1993) appose timbro e firma di
girata, consegnando gli assegni in pagamento, a seguito di rimborso su libretto postale presentato dal
signor P. T. - adottava Ordinanza perché a cura del Procuratore regionale fosse integrato il contraddittorio
anche con la citazione delle predette persone.
Peraltro, per un errore materiale il nome del signor P. era stato trascritto erroneamente in signor "Pxxx.".
L'Ente Poste, Filiale di Teramo, con Nota dell'1.3.2000 segnalava a questa Sezione l'errore in parola,
indicando altresì l'indirizzo aggiornato al quale il signor P. risultava allo stesso Ente residente.
A seguito di questa segnalazione e alla conseguente notizia fornita dal Presidente della Sezione al
Procuratore Regionale, lo stesso provvedeva alla notifica sulla base del nome e indirizzo esatti.
In data 20 settembre 2000 si costituiva, in difesa e rappresentanza della signora Pia S., l'avvocato Lucia
Umile con studio in Giulianova, via Lombardi 11, eccependo l'infondatezza in fatto e in diritto della
domanda, in particolare contestando preliminarmente qualsiasi responsabilità della convenuta ed
eccependo che il termine per l'esercizio dell'azione di responsabilità nei confronti della convenuta era
prescritto, dal momento che i fatti contestati si riferivano al 1993.
In data 3 ottobre 2000 si costituivano con memoria difensiva in difesa e rappresentanza del signor D. P.,
gli avvocati Lucio del Paggio e Pierluigi Pezzopane, con elezione di domicilio presso quest'ultimo in
L'Aquila, via Strinella 35.
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Nella memoria si contesta qualsiasi responsabilità del convenuto in ordine ai fatti di causa e, in via del
tutto subordinata, si eccepisce formalmente la intervenuta prescrizione di cui all'art.1, comma 2, della
legge 14 gennaio 1994, n.20.
Nel corso della discussione nella pubblica Udienza del 17 ottobre 2000, l'avvocato Sabatini si riportava alla
memoria a suo tempo presentata, insistendo sulla responsabilità dei preposti all'Ufficio per non aver
effettuato i necessari controlli che avrebbero consentito di interrompere l'iter fraudolento. Quanto poi
all'eccezione di prescrizione avanzata dagli avvocati della signora S. e del signor P., sostiene che
trattandosi nel caso di responsabilità solidale, la stessa o si applica nei confronti di tutte e tre i convenuti
o non si applica nei confronti di nessuno.
Anche l'avvocato Del Paggio si riportava alla memoria difensiva, sottolineando la mancanza di qualsiasi
responsabilità nei fatti contestati del signor P., responsabilità, invece, esclusiva della signora Di R..
Ribadiva comunque l'eccezione di prescrizione, essendo i fatti contestati avvenuti in epoca anteriore al
termine di cinque anni previsto dall'art.2 della legge 14.1.1994,n.20.
Il Sostituto Procuratore Regionale, dottor Di Stefano, sosteneva che nel caso di specie non si verteva
nell'ipotesi di responsabilità solidale, esclusa dalla nuove norme sul giudizio di responsabilità
amministrativa, bensì nella fattispecie del consorzio necessario che dà luogo all'indivisibilità del processo
al fine di accertare la parte di responsabilità di ciascuno nel danno prodotto all'Amministrazione, con la
conseguenza dell'effetto estensivo nella costituzione in mora anche soltanto di uno dei soggetti del
litisconsorzio, talchè l'eccezione di intervenuta prescrizione sollevata dai difensori della signora S. e del
signor P. non sarebbe fondata.
Circa il merito della causa si richiamava all'atto di citazione per quanto concerne la responsabilità della
signora Di R., mentre per quanto concerne le eventuali responsabilità della signora S. e del signor P. si
rimetteva al giudizio della Corte.
Riprendendo la parola, l'avvocato Del Paggio contestava la tesi del Sostituto Procuratore Generale circa
l'eccezione di prescrizione, ribadendo che alla luce delle nuove norme sul giudizio di responsabilità della
Corte dei conti essa era pienamente operante nel caso in discussione.
Dal canto suo l'avvocato Sabatini appoggiava la tesi del concorso di responsabilità della sua assistita,
signora Di R., con i responsabili dell'Ufficio che non avevano effettuato i necessari controlli.
DIRITTO
Preliminarmente il collegio rileva che, a seguito delle tesi difensive avanzate dal patrono della convenuta
nella udienza del 30 novembre 1999 , secondo cui la condotta posta in essere dalla stessa non sarebbe
stata di per sé solo sufficiente ed idonea a determinare l’evento lesivo, che pertanto si sarebbe compiuto
solo a seguito della mancata verifica del Responsabile a fine giornata, e quindi della mancata
comunicazione all’Ufficio Postale di Orvieto di non pagare i vaglia, nonché dei rilievi fatti dalla stessa
difesa in ordine ad una prospettata complessiva scadente conduzione dell’Ufficio P.T. di Giulianova
Spiaggia da parte del Responsabile dell’Ufficio, questo Collegio disponeva, con ordinanza emessa nella
stessa udienza, la integrazione del contraddittorio, a cura del Procuratore Regionale, con la chiamata in
giudizio del sig.ri D. P., direttore di turno dell’Ufficio postale, che non effettuò il controllo previsto
dall’art. 283 parte VII delle Istruzioni Generali sui Servizi a danaro sulla emissione dei vaglia telegrafici
(come peraltro anche rilevato nella nota 0075 del 20.1.1999 a firma dell’Ispettore coordinatore dell’Area
Ispettorato di Pescara Sicurezza Servizi Postali e Controllo Entrate dell’Ente Poste) nonché della
Reggente, che nel turno antimeridiano del giorno successivo ( 11.12.1993) appose timbro e firma di girata,
consegnando gli assegni in pagamento, a seguito di rimborso su libretto postale presentato dal signor P.
T..
Ciò ricordato, il Collegio deve porsi preliminarmente la questione se, a seguito della entrata in vigore
della legge costituzionale 23 novembre 1999, n.2, che ha novellato l’art.111 della Costituzione, sia
consentito ai giudici della Corte dei conti , in sede di giudizio su responsabilità amministrativa, disporre
l'integrazione del giudizio con altri soggetti non convenuti dal Procuratore Regionale nell'atto di citazione
introduttivo del giudizio stesso e se possa considerarsi tuttora compatibile con i surrichiamati principi
costituzionali l’esercizio dell’ampio potere istruttorio attribuito dall’ordinamento al giudice contabile,
segnatamente dagli artt. 73 del T.U. delle leggi sulla Corte dei conti approvato con R.D. 12 luglio 1934,
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n. 1214, e 14 e 15 del regolamento di procedura approvato con R.D. 13 agosto 1933, n. 1038 (che
prevedono rispettivamente che "la Corte può disporre l’assunzione di testimoni ed ammettere gli altri
mezzi istruttori che ritiene necessari"; "richiedere all’amministrazione e ordinare alle parti di produrre gli
atti e documenti che crede necessari alla decisione della controversia e può ordinare al procuratore
generale (ora regionale) di disporre accertamenti diretti anche in contraddittorio con le parti"),
applicando, per quanto possibile, le leggi di procedura civile.
Preliminarmente, ritiene il collegio che trovano applicazione nel giudizio contabile solo i principi indicati
ai comma primo e secondo dell’art. 111 novellato, che hanno una portata generale e che quindi si
riferiscono anche al processo civile, oltre che a quello amministrativo e tributario.
Non possono trovare invece applicazione quelli di cui ai comma successivi, riferendosi esclusivamente al
processo penale, come peraltro ritenuto dalla prevalente dottrina.
Anche se in dottrina vi è chi ha affacciato la tesi di una presunta assimilabilità del giudizio contabile a
quello penale (per l’esistenza del Pubblico Ministero come necessaria parte pubblica) o addirittura a
quello disciplinare (per l’adombrata difficoltà e qualche volta impossibilità di pervenire nei casi di danno
molto rilevanti al pieno recupero della lesione subita dall’erario), ad avviso di questo giudice, non può,
allo stato della normativa, porsi fondatamente in dubbio la natura sostanzialmente risarcitoria dell’azione
intrapresa dal Procuratore della Corte dei conti, atteso che la finalità precipua perseguita in sede di
giudizio contabile è quella della reintegrazione del pregiudizio economico subito dalle Pubbliche
Amministrazioni.
Tanto ciò è vero che la normativa in vigore (cfr. art. 52, co.1 , del citato R.D. n.1214 nonché la legge di
contabilità di Stato vedi art 83, co.1, e 3, del R.D.18 novembre 1923, n. 2440) prevede che la Corte può
porre a carico dei responsabili "tutto o parte del danno accertato o del valore perduto" .
Peraltro, anche le più recenti disposizioni di legge (cfr. art. 1, co. 3 della legge n. 20 del 1994) fanno
espresso riferimento al concetto di "danno erariale".
Del resto, ulteriore conferma della sostanziale natura civilistica del giudizio (pur se dotato di indubbie
peculiarità, quali la natura pubblica dell’attore, la irrinunciabilità dell’azione, a possibilità di porre a
carico solo una parte del danno, in applicazione della norma di cui all’art.52, co. 2) la si rinviene
nell’applicabilità al processo contabile del codice di rito comune, in quanto compatibile con le norme
proprie del giudizio contabile, come previsto, con richiamo dinamico, dall’art. 26 del citato reg. di
procedura nonché, come sopra sottolineato, dallo stesso art. 15, co. 1, del r.d. n. 1038 , che stabilisce
che, nella assunzione dei richiamati incombenti istruttori, devono applicarsi, in quanto possibile,le leggi
di procedura civile.
Ne viene in conseguenza che anche gli stessi principi costituzionali devono regolare i due giudizi.
Chiarito dunque che nel giudizio contabile vengono in applicazione i principi di cui ai comma 1 e 2
dell’art.111 novellato, che hanno valenza generale e non anche quelli indicati ai comma successivi rivolti
specificatamente al processo penale ( per cui cade qualsiasi deduzione in ordine alla applicabilità, ad es.,
del principio affermato al comma 3 dell’art. 111 secondo cui il processo deve essere regolato in ogni caso
dal principio del contraddittorio nella formazione della prova), i principi cui deve conformarsi il giudizio
contabile sono quelli inerenti al " giusto processo", con riferimento alla ragionevole durata, alla necessità
di assicurare il contraddittorio tra le parti in condizioni di parità, alla garanzia di un giudice terzo ed
imparziale .
Come è noto, la legge costituzionale in parola ha inteso introdurre, o per meglio dire, perfezionare nel
nostro ordinamento quei principi di civiltà giuridica che affondano le proprie radici fin nella Magna Charta
e in quel complesso di istituti che, secondo l'espressione anglosassone, va sotto il nome di due process of
law.
Fra i capisaldi di tale legge, che si indica con l'espressione "giusto processo", vi è quello dell'imparzialità e
terzietà del giudice.
Da esso discende che, in un giudizio tra parti come è quello di responsabilità amministrativa, se è vero che
spetta (peculiarità di questo giudizio!) al Procuratore regionale svolgere sempre il ruolo di attore in
rappresentanza degli interessi dell'Amministrazione, compete al giudice decidere, in tutta imparzialità e
senza essere limitato dagli elementi probatori addotti dall’attore, sulle tesi che vengono a trovarsi in
contrapposizione fra il rappresentante degli interessi dello Stato e il cittadino convenuto che si difende.
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Ciò premesso, sembra di potere affermare che il principio della terzietà del giudice, nei giudizi di
responsabilità amministrativa presso la Corte dei conti, è rispettato dal fatto che il giudice non può
andare al di là dei fatti contestati dal Procuratore Regionale, ampliando o sostituendo il petitum o la
causa petendi.
Nell’ambito dei fatti contestati il giudizio stesso deve restare sempre circoscritto.
Sennonché , non può dilatarsi l principio di terzietà fino a precludere al giudice contabile, ove subentrino
circostanze o elementi, che possano corroborare una diversa versione dei fatti contestati, che
alleggeriscano la posizione dei convenuti, il potere, giustamente riconosciuto dall’ordinamento in vigore,
di compiere quella istruttoria necessaria a costruire nel processo - nel più rigoroso rispetto del
contraddittorio - una diversa realtà processuale, accertando approfonditamente il quadro delle singole
responsabilità ed eventualmente chiamando in concorso altri soggetti non convenuti dall’attore.
Se tale potere non sussistesse, il giudizio finirebbe per essere condizionato dai soli elementi introitati da
quest’ultimo, fatto che può essere foriero di gravi conseguenze per lo stesso convenuto, il quale
costituisce l’anello debole di un rapporto che lo vede spesso posto in condizioni di inferiorità al cospetto
di una Amministrazione dotata di poteri autoritativi e che a volte potrebbe usare gli stessi per evitare di
fornire altri elementi di giudizio od il rilascio di atti che possano per avventura scagionarlo, magari a
copertura di altre responsabilità.
Perché ciò non avvenga, proprio la garanzia del diritto di difesa, tutelato dall’art.111 novellato , e proprio
perché vi è un soggetto, ossia la P.A., che, pur collocandosi fuori dal processo, non essendo parte in senso
formale, può però condizionarne l’esito, con atteggiamenti non collaborativi, richiede che il giudice abbia
quei poteri (impropriamente indicati " sindacatori" da certa dottrina) che in realtà devono essere visti, in
una rilettura delle norme adeguata ai nuovi principi costituzionali, come idonei a perseguire le esigenze di
quel " giusto processo", richiesto dall’art. 111 , che si esprimono nella opportunità della difesa di
ricercare gli elementi esimenti o riduttivi della responsabilità in una situazione di effettiva parità
processuale e in diretta collaborazione con il giudice.
Sicuramente, tra i diritti da riconoscersi senza dubbio al convenuto in giudizio rientra quello che sia
assicurato il contraddittorio tra le parti e quindi la pienezza della parità processuale tra accusa e difesa,
nell’ambito della quale trova collocazione certamente il diritto all'acquisizione di ogni mezzo di prova a
discarico o che quanto meno consenta al convenuto di ridurre la chiamata in responsabilità attraverso
l’evocazione in giudizio del o dei presunti corresponsabili.
Risolto così in senso positivo ogni dubbio sulla compatibilità con i nuovi principi costituzionali di cui al
novellato art. 111 delle disposizioni su richiamate e della rispondenza del potere istruttorio del potere
istruttorio azionabile dal giudice contabile agli stessi principi del giusto processo, in quanto funzionale ad
assicurare la difesa del convenuto , va rilevato che, nel caso in esame, uno degli argomenti portati a
difesa dalla signora Di R., nei confronti della quale era stata promossa la contestazione da parte del
Procuratore Regionale, cui aveva fatto seguito la chiamata in giudizio, era che la sua responsabilità nei
fatti che avevano procurato il danno erariale non era esclusiva e tale tesi aveva trovato sostegno nella
relazione suppletiva n. 075 del 20.1.1999 dell'Ispettorato dell'Ente poste ricordata in narrativa.
L'integrazione del contraddittorio ha trovato pertanto giustificazione nell'assicurare alla difesa della
signora Di R., che ne aveva fatto espressa richiesta, l'approfondimento delle circostanze e delle prove ai
fini della definizione della sua responsabilità o del grado di essa.
Ciò premesso, questo Collegio ritiene, tuttavia, che debba essere accolta l'eccezione di intervenuta
prescrizione sollevata dai difensori dei signori Pia S. e D. P., convenuti dal Procuratore Regionale a seguito
della ordinanza emessa da questa Sezione, poiché i fatti che avevano dato luogo al danno erariale e che
sono in contestazione, si sono realizzati nel 1993, ossia in data anteriore ai cinque anni stabiliti per la
prescrizione dall'art.1, comma 2, della legge 14.1.1994,n. 20.
Né al riguardo appare fondata, in contrario, la tesi del litisconsorzio necessario sostenuta dal Sostituto
Procuratore regionale nell’odierna discussione orale della causa in relazione alla norma per cui, se il fatto
dannoso sia imputabile a più persone, la Corte dei conti, valutate le singole posizioni, condanna ciascuno
per la parte che vi ha preso; talché l'interruzione della prescrizione nei confronti di uno dei responsabili
del fatto dannoso opererebbe anche nei confronti degli altri corresponsabili.
Tale tesi in pratica vanificherebbe la citata norma sulla prescrizione e finirebbe per ripristinare la
solidarietà nel caso di fatto dannoso imputabile a più persone, che l'art.1, quinquies, del DL 23.10.1996,
n. 543, convertito con modificazioni nella legge 20.12.1996, n. 639, consente unicamente nei confronti dei
concorrenti di illecito arricchimento o di coloro che abbiano agito con dolo.
29 novembre 2000
Ufficio Legale
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Uil Post Verona
Sentenze
Settore Informazione
Per quanto attiene la posizione della convenuta sig.ra di R., la stessa va ritenuta responsabile del danno
subito dall’erario , dovendosi ritenere il suo comportamento viziato da grossolana superficialità e
caratterizzato da colpa grave, per avere accettato (fatto non contestato dalla difesa) in pagamento
assegni circolari da persona sconosciuta e non identificata nemmeno attraverso la semplice esibizione di
un documento, in violazione dell’art. 17 delle Istruzioni Generali sui Servizi a Denaro, parte I, Capo IV, il
quale prevede l’accettazione da parte degli impiegati dell’Ente di quel tipo di assegni "presentati da
utenti noti e reperibili in loco ".
Peraltro, questo Collegio ritiene che , tutto quanto sopra affermato, non preclude di porre a carico della
convenuta, sig.ra di R., solo una parte del danno, proprio atteso il possibile concorso della condotta di
altri soggetti nella determinazione dell’evento lesivo, in applicazione dell’art. 52, co.2, del T.U. n.1214 su
richiamato, per cui vagliate le circostanze e gli atti di causa, e tenuto in particolare conto della Relazione
suppletiva dell'Ispettorato dell'Ente posta del 20.1.1999, stabilisce che la responsabilità della signora Di
R., incontestabilmente accertata dai fatti di causa, possa essere valutata, quanto ad apporto causale, al
50 % e pertanto la condanna al risarcimento può essere limitata alla somma di lire 7.500.000 (sette milioni
e cinquecentomila lire), oltre alla rivalutazione monetaria dalla notifica dell'atto di citazione alla data
odierna calcolata sulla base degli indici ISTAT dei prezzi al consumo.
La somma così rivalutata va gravata degli interessi dalla data della presente sentenza fino al soddisfo.
P.Q.M.
LA CORTE DEI CONTI
Sezione giurisdizionale per la Regione Abruzzo
ASSOLVE i signori Pia S. e D. P., per intervenuta prescrizione.
CONDANNA la signora C. DI R. al pagamento della somma di £. 7.500.000 (lire
settemilionicinquecentomila) a favore dell'Ente poste italiane, oltre alla rivalutazione monetaria dalla
data di notifica dell'atto di citazione alla data odierna.
Sulla somma così rivalutata sono dovuti gli interessi legali dalla presente pronuncia all'effettivo soddisfo.
Le spese seguono la soccombenza e pertanto la signora C. Di R. è altresì condannata al pagamento delle
spese di giustizia che, sino alla pubblicazione della sentenza, si liquidano in lire 940.000
Così deciso nella Camera di consiglio del 17 ottobre 2000.
Il Direttore della Segreteria omissis
Depositata in Segreteria il 29.11.2000
29 novembre 2000
Ufficio Legale
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29/11/00 pagamento assegni rubati