Pontificia Università della Santa Croce
XVI Convegno della Facoltà di Teologia
TRA RIVELAZIONE E NASCONDIMENTO,
IL MISTERO NEL NUOVO TESTAMENTO
Quello dei misteri nel mondo antico è un ambito di primaria importanza che coinvolge le
religioni e la politica. Emblematica è l’accusa contro Alcibiade e Andocide per aver violato nel IV
sec. a.C. i misteri eleusini ad Atene. La calunnia costò ad Alcibiade l’ostracismo dalla città e l’esilio
finché riuscì a tornare in patria e a ristabilire i culti misterici per Demetra e Kore. Andocide fu
costretto a difendersi con l’apologia Sui misteri che gli risparmiò la condanna a morte.
Nell’ambiente babilonese, il profeta Daniele svela al re Nabucodonosor il sogno sull’avvicendarsi
dei regni nella storia; così riesce a evitare la pena capitale per sé e pe i maghi imperiali e a
promuovere il culto giudaico nella diaspora babilonese (cf. Dn 2,1-45).
I primi scritti cristiani sorgono in un ambiente che vede la diffusione delle religioni
misteriche e gli sviluppi della corrente apocalittica o enochica nel Giudaismo del secondo Tempio.
Diffuse sono le religioni misteriche nelle principali città dell’Impero: Demetra e Kore (o
Persefone), Dioniso, Iside e Osiride, Cibele e Attis, i Cabiri e Mitra1. Il Libro dei misteri (o 1Q27) e la
Composizione sapienziale (o 1Q26; 4Q415-419; 4Q423) attestano la sensibilità per i misteri a Qumran2.
Nelle loro diverse cognizioni del o dei misteri, i primi scritti cristiani apportano il loro originale
contributo che ci accingiamo a evidenziare. Ci soffermeremo sui sistemi argomentativi e
simbolici, sui diversi contenuti e sul principale codice ermeneutico del mistero nel NT e nel suo
ambiente.
1.
Il mistero tra rivelazione e nascondimento
La ricerca sul mistero nel NT ha attraversato il XX secolo ed è in evoluzione costante 3, ma
sembra che dopo le monografie di Raymond E. Brown4, Mark Bockmuhel5 e Benjamin L. Gladd6
1
Per una raccolta delle disparate fonti sulle religioni misteriche antiche cf. P. Scarpi (cur.), Le religioni misteriche. Vol I
Eleusi, Dionisismo, Orfismo; Vol. II Samotracia, Andania, Iside, Cibele e Attis, Mitraismo, Valla-Mondadori, Milano, 20136.
2
Per la traduzione cf. F.G. Martínez - C. Martone (cur.), Testi di Qumran, Paideia, Brescia 1996.
3
In contesto religionistico è prodotto il contributo di Reitzenstein, Die hellenistischen Mysterienreligionen nach ihren
Grundgedanken und Wirkungen, Teubner, Berlin 19273 (19101), che attribuisce il “mistero” nel NT all’ambiente dei culti
misterici. Il versante greco-romano è poi ripreso da A. Loisy, Les Mystères païens et le mystère Chrétien, Nourry, Paris
1914 e H. Maccoby, Paul and Hellenism, SCM Press, London 1991, 54-89. Il versante giudaico apocalittico è invece
inaugurato da H. von Soden, “MYSTHRION und Sacramentum in den ersten zwei Jahrhunderten der Kirche”, in ZNW
12 (1911) 188-227 e si consolida con i contributi di H.C. Scheldon, The Mystery Religions and the New Testament,
Abingdon Press, New York – Cincinnati 1918; D. Deden, “Le ‘Mystère’ paulinien”, in ETL 13 (1936) 405-442; K. Prümm,
“‘Mysterion’ von Paulus bis Origenes”, in ZKT 61 (1937) 391-425; Id., “Zur Phänomenologie des paulinischen
Mysterion und dessen seelischer Aufnahme. Eine Übersicht”, in Bib 37 (1956) 135-161; Id., “Mystères”, in DBSup 6
(1960) 10-225; B. Rigaux, “Révélation des mysères et perfection à Qumrân et dans le Nouveau Testament”, in NTS 4
(1958) 237-62; G. Bornkamm, mystērion, in GLNT VII, 646-716; J. Coppens, “«Mystery» in the Theology of Saint Paul
and Its Parallels at Qumran”, in J. Murphy-O’Connor (ed.), Paul and Qumran: Studies in New Testament Exegesis, Priority
Press, Chicago 1968, 132-58; C. Caragounis, The Ephesian Mysterion: Meaning and Content, ConBNT 8, Gleerup, Lund 1977;
R. Penna, Il «mysterion» paolino: traiettoria e costituzione, Supplementi di Rivista Biblica 10, Paideia, Brescia 1978; G.W.
Wiley, “A Study of “Mystery” in the New Testament”, in GTJ 6 (1985) 349-360; J.-N. Aletti, “Sagesse et mystère chez
Paul. Réflexion sur le rapprochement de deux champs lexicographiques”, in J. Trublet (ed.), La sagesse biblique de
l’Ancien au Nouveau Testament. Actes du XVe Congrès de l’ACFEB (Paris 1993) , LD 160, Cerf, Paris 1995, 357-384.
4
R. Brown, “The Pre-Christian Semitic Concept of «Mystery»”, in CBQ 20 (1958) 417-443; Id., “The Semitic Background
of the New Testament Mystērion (I)”, in Bib 39 (1958) 426-48; Id., “The Semitic Background of the New Testament
Mystērion (II)”, in Bib 40 (1959) 70-87; Id., The Semitic Background of the Term “Mystery” in the New Testament, BS 21,
Fortress Press, Philadelphia 1968.
5
M. Bockmuehl, Revelation and Mystery in Ancient Judaism and Pauline Christianity, WUNT 36, J.C.B. Mohr (Paul Siebeck),
Tübingen 1990.
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siano stati acquisiti i seguenti risultati. Nel computo delle frequenze di musth,rion nel NT
andrebbero inclusi, dal versante della critica testuale, i passi dibattuti di 1Cor 2,1 (katagge,llwn
u`mi/n to. musth,rion tou/ qeou/)7 e di Rm 16,25 (kata. avpoka,luyin musthri,ou cro,noij aivwni,oij
sesighme,nou)8.
L’ambiente che più illustra i contenuti del mistero è apocalittico-sapienziale9, che
s’impone con i Libri di Daniele e della Sapienza, per svilupparsi con la letteratura paratestamentaria: il Libro di Enoc, la letteratura qumranica, Vita di Adamo ed Eva, Testamenti dei XII
Patriarchi e gli scritti di Filone. Ritengo che resti da chiarire il significato dei “misteri” citati in
1Cor 14,2 dove il glossolalo si rivolge a Dio, mentre altrove è Dio che rivela il mistero. Importante
è il paradigma che rapporta il “mistero” al processo di rivelazione del disegno di Dio, sottolineato
da Bockmuhel. Tuttavia sarebbe bene approfondire anche l’altro versante del nascondimento.
Il paradigma numinoso e luminoso del musth,rion è accennato nei Sinottici, a proposito del
dialogo sulle parabole di Gesù, dove si riscontrano le uniche frequenze di nei vangeli canonici (Mc
4,11; Lc 8,10 e Mt 13,11). Gran parte degli studiosi sostiene che, posto tra la parabola del
seminatore e la sua spiegazione, il dialogo tra Gesù e i discepoli sia redazionale: di Marco, da cui
dipendono Matteo e Luca. Ritengo che la proposizione provenga dalla fonte Q e sia riconducibile
alla predicazione di Gesù10. Secondo Q 8,10 Gesù afferma: “A voi è stato dato di conoscere ta.
musth,ria del regno di Dio, agli altri però in parabole, affinché vedendo non vedano e ascoltando
non ascoltino”. Dove Mc 4,11 parla del mistero del regno di Dio, che è stato dato a quanti
circondano Gesù con i Dodici, in Q 8,10 si accenna alla conoscenza dei musth,ria del regno di Dio.
La matrice di Q in Lc 8,10 e Mt 13,11 è corroborata dalla confessione di Gesù in Lc 10,21 e Mt 11,25:
“Ti confesso, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e
agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli” (Q 10,21). Il Vangelo di Tommaso conferma il logion
gesuano: “Dice Gesù: «Io dico i miei segreti a coloro che sono degni dei miei segreti»” (62,1)11.
Pertanto è verosimile che Gesù abbia parlato più dei “segreti” che dei misteri del regno di Dio e
che l’allusione a Is 6,9 esprima l’urgenza della sequela e non la condanna per quanti non vedono e
non ascoltano.
Il significato di musth,rion cambia con le lettere paoline dove il termine ricorre per
ventuno volte su ventotto del NT e più al singolare12 che al plurale (soltanto tre volte)13. Con Paolo
il sostantivo assume una connotazione apocalittica e più specifica. Le sezioni epistolari dove, più
che altrove, ricorre al mistero tra rivelazione e nascondimento sono 1Cor 1,18–4,25; Rm 11,25 e
Col 1,26-27. Poiché il mistero di Dio annunciato ai Corinzi s’identifica con la parola della croce (cf.
1Cor 1,18), da una parte è rivelato da Dio per mezzo dello Spirito (1Cor 2,10), dall’altra è nascosto
per quanti hanno messo a morte il Signore della gloria (1Cor 2,7). Sincronica è la tensione in atto:
la rivelazione del mistero si completerà con la Parusia di Cristo e il nascondimento prosegue per
quanti non riconoscono la croce di Cristo come percorso salvifico, scelto da Dio.
6
B.L. Gladd, Revealing the Mysterion. The Use of Mystery in Daniel and Second Temple Judaism with Its Bearing on First
Corinthians, BZNTW 160, W. de Gruyter, Berlin 2008. 7
L’ultima edizione critica Nestle-Aland, Eb. Nestle - Er. Nestle, Novum Testamentum Graece, Deutsche Bibelgesellshaft,
Stuttgart 201228, 520, preferisce con maggiori apporti testuali la lezione variante con musth,rion rispetto a quella con
martu,rion. 8
Per i dettagli sulla dossologia finale di Rm 16,25-27, dov’è menzionato il mistero rinviamo ad A. Pitta, Lettera ai
Romani. Nuova versione, introduzione e commento, LB NT 6, Paoline, Milano 20144,530-536.
9
Così già P.T. O’Brien, “Mistero”, in G.F. Hawthorne - R.P. Martin - D.G. Reid (edd.), Dizionario di Paolo e delle sue lettere,
San Paolo 1999 (or. ingl. 1993) 1032.
10
Già V. Fusco, “L’accord mineur Mt. 13,11a/Lc. 8,10a contre Mc. 4,11a”, in Nascondimento e rivelazione. Studi su vangelo di
Marco, Paideia, Brescia 2007, 123-131, avanzava l’ipotesi che Matteo e Luca avessero conosciuto il logion in forma
autonoma e diversa da quella di Marco, ma senza relazioni con la fonte Q.
11
Cf. l’edizione curata da M. Grosso, Vangelo secondo Tommaso. Introduzione, traduzione e commento, Carocci, Roma 2011,
89.
12
1Cor 2,1.7; 15,51; Rm 11,25; 16,25; 2Ts 2,7; Col 1,26.27; 2,2; 4,3; Ef 1,9; 3,3.4.9; 5,32; 6,19; 1Tm 3,9.16.
13
1Cor 4,1; 13,2; 14,2.
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Tra rivelazione e nascondimento è proposto il mistero d’Israele in Rm 11,25-36. Nel suo
nucleo essenziale “questo mistero” (v. 25) riguarda la momentanea e funzionale incredulità
d’Israele all’evangelo, l’ingresso dei gentili e la salvezza finale di tutto Israele (vv. 25-26). Tuttavia
il paragrafo di Rm 11,25-36, che include il mistero, si chiude non con la rivelazione, ma con il
nascondimento del mistero14. Paolo si appropria degli interrogativi sapienziali di Giobbe e
profetici di Isaia per sottolineare che imperscrutabili sono le decisioni e le vie di Dio (Rm 11,33)15.
La terza occorrenza sul mistero numinoso e luminoso è di Col 1,25-27 che riprende diversi
tratti di Rm 16,25-27 e li sviluppa. Come in Rm 16,25-27 il mistero è taciuto o nascosto dai secoli,
ma è ora stato manifestato secondo la disposizione di Dio. Diversamente da Rm 16,25-27, in Col
1,25-27 il mistero s’identifica con Cristo “in (o fra) voi, speranza della gloria”. Contro la tendenza
a cercare altrove la sua rivelazione, il mistero è stato manifestato (si noti l’aoristo evfanerw,qh in
Col 1,26) in Cristo: ai credenti spetta tendere verso la piena conoscenza di lui (cf. Col 2,2). Sulla
falsariga di Col 1,25–2,5 prosegue la Lettera agli Efesini: il mistero che è Cristo, ignoto ai figli degli
uomini nelle altre generazioni, è stato rivelato ai santi apostoli e ai profeti (Ef 3,4-5).
Il mistero diventa assume peculiarità simboliche nell’Apocalisse16, dove si susseguono il
mistero delle sette stelle e dei sette lucernieri (Ap 1,20), della settima tromba (Ap 10,7), della
donna il cui nome è mistero, Babilonia la grande (Ap 17,5), e della bestia che la porta (Ap 17,7)17.
La moltiplicazione e l’accumulo dei simboli per la stessa realtà è il principale veicolo che
l’Apocalisse trasmette per rivelare e nascondere il mistero.
Pertanto tra rivelazione contro il nascondimento (1Cor 1,18–4,25), rivelazione che lascia il
posto al nascondimento (Rm 11,25-36), il nascondimento che è superato dalla rivelazione (Col/Ef)
e la rivelazione in quanto nascondimento (Apocalisse), i misteri s’inquadrano nelle diverse
tensioni tra numinoso e luminoso. Ma quali sono i contenuti del o dei misteri per gli scritti del
NT?
2. Dai misteri al mistero di Cristo
Nel contesto delle parabole, Gesù relaziona i segreti (più che i misteri) al regno di Dio o dei
cieli. Possiamo considerare il genitivo ta. musth,ria th/j basilei,aj tou/ qeou/ (Q 8,10) come generale: si
tratta del regno di Dio che sono i suoi segreti (genitivo epesegetico), dei segreti contenuti nel
regno (genitivo soggettivo) e dei segreti che veicolano il regno (genitivo oggettivo).
Diversi sono i contenuti dei misteri nelle lettere paoline e nell’Apocalisse giovannea. In
1Corinzi i divini misteri, di cui gli apostoli sono a servizio come amministratori (cf. 1Cor 4,1),
s’identificano con la croce di Cristo (cf. 1Cor 2,1.7) e la sua risurrezione (1Cor 15,51)18. Per
superare le divisioni partitiche di Corinto, Paolo presenta la parola della croce come contenuto
essenziale del mistero in 1Cor 1,18–4,2119. Sull’altro versante il mistero riguarda il modo con cui i
credenti, compresi i viventi, saranno trasformati in occasione della Parusia di Cristo (cf. 1Cor
15,51-53).
14
Sulle ragioni per cui riteniamo necessario estendere la pericope sul mistero a Rm 11,25-36 cf. Pitta, Romani, 392-405.
Non è fortuito che la citazione di Is 40,13 (LXX: “Chi ha conosciuto il pensiero del Signore e chi è diventato suo
consigliere (tanto) che lo istruirà?”) sia ripresa nei due contesti di 1Corinzi 2 e di Romani 11 in cui Paolo accenna al
mistero: come eco in 1Cor 2,16 e come citazione indiretta in Rm 11,34.
16
U. Vanni, Apocalisse. Ermeneutica, esegesi, teologia, EDB, Bologna 1988, 63-72. 17
Oltre ai commentari, cf. L. Mazzinghi, “I misteri di Dio: dal libro della Sapienza all’Apocalisse”, in E. Bosetti - A.
Colacrai (edd.), Apokalypsis. Percorsi nell’Apocalisse in onore di Ugo Vanni, Cittadella, Assisi 2005, 147-182.
18
B.A. Pearson, “Mystery and secrecy in Paul”, in C.H. Bell - L. Ingeborg Lied - J.D. Turner (edd.), Mystery and Secrecy in
the Naq Hammadi Collection and Other Ancient Literature: Ideas and Practices, Nag Hammadi and Manichean Studies 76,
Brill, Leiden - Boston 2012, 287-302.
19
G. Selling, “Das »Geheimnis« der Weisheit und das Rätsel der »Christuspartei« zu 1 Kor 1 – 4”, in ZNW 73 (1982) 6996.
15
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La prospettiva escatologica del mistero torna in Rm 11,25-36, ma l’attenzione si sposta
sulla salvezza finale di tutto Israele, preceduta dalla sua attuale incredulità all’evangelo e
dall’ingresso dei gentili. Se Paolo ricorre in Rm 11,25 al termine “mistero” è perché la convinzione
per la salvezza finale di tutto Israele, nonostante la sua incredulità all’evangelo, si declina con la
non conoscenza sulle modalità con cui Dio salverà tutto Israele.
Cristo, nella condizione di Risorto in o fra i gentili, è il contenuto del mistero sul quale si
concentra la Lettera ai Colossesi. Il mistero di Cristo o che è Cristo stesso (Col 2,2; 4,3) continua a
diffondersi nonostante la condizione di prigionia in cui si trova Paolo (cf. Col 4,2-6). Per la prima
volta nel NT il mistero s’identifica tout-court con il Risorto. La dipendenza della Lettera agli Efesini
da Colossesi è nota; e il mistero (sempre al singolare) resta quello di Cristo, ma ora assume una
dimensione che coinvolge la Chiesa. Sin dall’esordio della lettera è chiarito il contenuto del
mistero: “Intestare (e/o ricapitolare) tutte le cose nel Cristo” (Ef 1,10). Con la redenzione in Cristo,
si è riversata sul mondo la ricchezza della grazia di Dio ed è possibile conoscere il mistero che è la
sua volontà. Originale è l’orizzonte che Efesini dischiude sul mistero: di esso Paolo è modello per
la missione della Chiesa (cf. Ef 3,1-12). Contenuto centrale del mistero è la nuova condizione dei
gentili che partecipano delle promesse di Dio in Cristo per mezzo dell’evangelo (Ef 3,6). Poiché il
mistero s’identifica con Cristo (Ef 3,4), la Chiesa partecipa della pienezza di Cristo. Infine grande è
il mistero di Cristo e della Chiesa, menzionato nel codice domestico di Ef 5,21–6,920. La traduzione
di musth,rion con sacramentum in Ef 5,32 può e ha fatto pensare al sacramento del matrimonio, ma
il contesto di Ef 5,21-33 non è cultuale e riguarda il rapporto tra mariti e mogli. Comunque la
relazione tra Cristo e la Chiesa fonda quella tra marito e moglie. L’unica carne, che formano Cristo
e la Chiesa, è il “grande” mistero che si riflette nella sola carne tra marito e moglie.
Il mistero è ripreso nelle raccomandazioni finali di Ef 6,10-20, dove con una perorazione il
mittente chiede ai destinatari di pregare per lui affinché con franchezza possa annunciare il
“mistero dell’evangelo” (Ef 6,19). La ripresa del sostantivo parrhsi,a in Ef 3,12 ed Ef 6,19 dimostra
che il mistero dell’evangelo allude alla funzione che l’evangelo ha per il mistero. In questo
connubio risalta il paradosso tra il mistero e la parrhsi,a. Con l’evangelo affidato a Paolo, il
mistero assume una portata pubblica. Siamo lontani dal mistero affidato ad alcuni e conservato in
forma privata dei culti misterici; e siamo distanti anche dal linguaggio esoterico di alcuni filoni
apocalittici. Con Efesini l’unico mistero che è Cristo è affidato a tutti i credenti per essere
comunicato a chiunque.
Nelle Lettere Pastorali il mistero è citato soltanto in 1Timoteo, a proposito del mistero
della fede (1Tm 3,9) e del mistero della pietà (1Tm 3,16). La prima espressione è funzionale ed è
contenuta nella seconda, tant’è che tra l’altro “Cristo fu creduto nel mondo”, come si precisa in
1Tm 3,1621. Contenuto del mistero confessato in pubblico è quanto si è realizzato nella vicenda di
Gesù Cristo:
“Che fu manifestato nella carne,
fu giustificato nello Spirito,
fu fatto vedere agli angeli,
fu predicato alle genti,
fu creduto nel mondo,
fu assunto nella gloria”.
Importante è il paradigma del mistero che stiamo approfondendo: il frammento liturgico
parte dalla manifestazione nella carne (o]j evfanerw,qh evn sarki,) e giunge al nascondimento nella
20
A. Pitta, “Contingencies and Innovations in the Household Codes of the Pauline Traditions (Col 3:18–4:1; Eph 5:21–
6:9)”, in A. Passaro (ed.), Family and Kinship in the Deuterocanonical and Cognate Literature. Yearbook 2012/2013, De Gruyter,
Berlin 2013, 467-479.
21
Su 1Tm 3,16 cf. G.S. Magee, “Uncovering the «Mystery» in 1Timothy 3”, in TrinJ 29 (2008) 247-265; e l’analisi
dettagliata di J. Nayak, The Christ-Musth,rion Hymn of 1Tim 3,16, PUU, Roma 2013.
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gloria, compiuta con l’assunzione nella gloria (avnelh,mfqh evn do,xh|)22. In entrambe le azioni è Dio
che ha manifestato Gesù Cristo nella carne e lo ha assunto nella gloria. Tuttavia il frammento di
1Tm 3,16 non segue l’ordine storico della vicenda di Gesù, bensì quello dell’apoteosi cultuale
riservata alle divinità o agli imperatori divinizzati in epoca ellenistica. Quanto più il culto di
Cristo è creduto nel mondo, tanto più si riconosce la sua assunzione nella gloria. Per la prima
volta il mistero è relazionato al culto ed è incentrato sul passato di quanto Dio ha realizzato per
Gesù Cristo. In questo il frammento di 1Tm 3,16 coglie uno dei tratti più peculiari del mistero per
Paolo: non riguarda il futuro escatologico, bensì il passato della vicenda di Gesù.
Nella corrente apocalittica matura l’ultima traiettoria del mistero in 2Tessalonicesi e
nell’Apocalisse. Paolo o l’autore di 2Tessalonicesi cerca di colmare il vuoto sulla scansione dei
tempi e degli interlocutori in vista dell’eschaton: una questione su cui tace il restante epistolario
paolino: “Infatti il mistero dell’iniquità è già attivo, solo che chi finora lo trattiene sia tolto di
mezzo” (2Ts 2,7). Il mistero dell’iniquità relaziona il presente (v. 7), al futuro, quando l’iniquo sarà
rivelato e annientato (v. 8). Se nel restante epistolario paolino il mistero raccorda il passato, il
presente e il futuro, in 2Ts 2,7 tende dal presente verso l’eschaton. E nell’eschaton distingue due
fasi: quella dell’iniquo, sostenuta da satana (v. 9), e quella del Signore, quando lo annienterà con la
manifestazione della sua venuta (v. 8). Tuttavia il mistero dell’iniquità è descritto con categorie
storiche. In 2Ts 2,4 echeggia il Libro di Daniele, a proposito di Antioco IV: “Il re dunque farà ciò
che vuole, s’innalzerà, si magnificherà sopra ogni cosa dio e proferirà cose inaudite contro il Dio
degli dèi finché non sarà colma l’ira… egli si esalterà al di sopra di tutti” (Dn 11,36-37)23.
Pertanto il mistero dell’iniquità, allude all’iniquità che è il mistero24 operante nella
storia, sino a quando non verrà eliminato dal Signore. All’iniquità in quanto mistero
appartengono ciò e colui che lo trattiene (2Ts 2,6-7), l’uomo dell’iniquità o l’iniquo per
antonomasia (2Ts 2,3.8) e il figlio della perdizione (2Ts 2,3) che operano secondo la potenza di
satana (2Ts 2,9). In negativo il mistero dell’iniquità anticipa la sua sconfitta e induce i credenti a
perseverare nella fede con l’adesione al Signore.
La dimensione apocalittica del mistero approda nell’Apocalisse dove il musth,rion è
declinato per quattro volte (Ap 1,20; 10,7; 17,5.7) e sempre al singolare. La prima menzione si
verifica nella conclusione della prima visione (Ap 1,9-20) che introduce le lettere inviate agli
angeli con le sette chiese (Ap 2,1–3,22). Il contesto è liturgico: il veggente spiega che le sette stelle
sono gli angeli delle sette assemblee e i sette lucernieri sono le sette chiese elencate in Ap 1,11 e a
cui sono indirizzate le sette lettere. L’oro che rinvia alla sfera divina accomuna gli interlocutori
della visione: la fascia del figlio d’uomo (Ap 1,13) e i lucernieri (Ap 1,12.20). A prima vista le sette
stelle fanno pensare ai responsabili o agli episcopi delle singole comunità cristiane25. In realtà è
preferibile orientarsi verso la sfera celeste a cui rinviano le stelle e gli angeli. Il mistero accomuna
l’ambito celeste e quello ecclesiale, per cui le sette lettere sono consegnate agli angeli in cielo
affinché siano notificate alle singole chiese in terra. Pertanto il mistero o il progetto salvifico di
Dio26 è tale poiché relaziona la sfera del Risorto con la Chiesa, nella sua globalità, e riguarda ciò
che Giovanni ha visto, sta vedendo e vedrà.
22
Forse è opportuno ricordare che l’episodio dell’Ascensione di Gesù al cielo si compie quando “fu rapito e una nube
lo sottrasse dai loro occhi” (At 1,9). 23
Il retroterra danielitico e apocalittico confluisce in quello qumranico dove si allude ai “misteri d’iniquità”: “(Gli
uomini di Belial) sono entrati nelle mie [ossa] per far vacillare lo spirito e per estinguere la forza secondo i misteri
d’iniquità (kerazê pešai) che hanno mutato le opere di Dio con la loro colpa” (1QHa XII, 35-36). La proposizione è
analoga a quella di 2Ts 2,7 e in entrambi i passi si accenna al potere del satana o di Belial (cf. 2Cor 6,15 dove Belial è
chiamato con la variante Beliar). 24
Opportunamente Penna, Il mysterion, 17 e R. Fabris, 1-2 Tessalonicesi. Nuova versione, introduzione e commento, Paoline,
LB NT 13, Milano 2014, 204-205, pensano a un genitivo epesegetico. 25
Degli episcopi non si accenna in tutta l’Apocalisse.
26
C. Doglio, Apocalisse. Introduzione, traduzione e commento, NVB TA 56, San Paolo, Cinisello Balsamo 2012, 47.
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L’iniziale mistero rinvia a quello dell’ultimo angelo nella visione delle trombe (Ap 8,2–
11,19): “… Ma nei giorni della voce del settimo angelo, quando dovrà suonare, ed è compiuto il
mistero di Dio, come è stato evangelizzato ai suoi servi, i profeti” (Ap 10,7). Per stabilire i
contenuti del mistero di Dio, annunciato in Ap 10,7, bisogna giungere al momento in cui il settimo
angelo “suonò la tromba e nel cielo echeggiarono voci potenti” (Ap 11,15). La visione di Ap 11,1519 illustra il contenuto del mistero di Dio, ma la scena è preparata da due visioni minori: del
libretto (Ap 10,8-11) e del santuario (Ap 11,1-14). Finalmente il settimo angelo suona la tromba
(Ap 11,5) del mistero (Ap 10,7) che ne rivela il contenuto: il compimento del regno universale del
Signore e del suo Cristo che sarà senza fine. Ambito del mistero è il cielo dove risuona la voce che
annuncia la venuta del regno del Signore e sono assisi i ventiquattro anziani. Dunque in Ap 11,1519 il mistero, annunciato ai profeti che servono il Signore (Ap 10,7), riguarda il regno universale
di Dio e di Cristo, e coinvolge i profeti e i santi, piccoli e grandi (Ap 11,18). Quella che possiamo
definire la “visione del mistero” in Ap 11,15-19 si chiude con l’apertura del santuario di Dio nel
cielo e la contemplazione dell’arca dell’alleanza (v. 19). Ora il mistero è proclamato durante una
scena liturgica, celebrata dai ventiquattro anziani. Sul significato dei ventiquattro anziani sono
state formulate diverse ipotesi: esseri celesti, uomini glorificati, i dodici patriarchi e i dodici
apostoli, sino alle dodici tribù d’Israele duplicate per se stesse o con l’aggiunta dei dodici apostoli.
A ben vedere in Ap 11,15-19 i ventiquattro anziani evocano le classi sacerdotali impegnate nel
culto templare: un elenco dettagliato delle ventiquattro classi sacerdotali è riportato in 1Cro 24,71827. Pertanto, dato il contesto liturgico della scena sul mistero che culmina con il santuario e
l’arca dell’alleanza, è naturale pensare alla ripresa delle ventiquattro classi sacerdotali con i
ventiquattro anziani.
L’ultima sezione dell’Apocalisse è dedicata al giudizio e alla salvezza finale (Ap 17,1–22,5),
espressi con due visioni contrastanti: quella su Babilonia e la bestia (Ap 17,1-18) e quella su
Gerusalemme, la sposa dell’Agnello (Ap 21,9–22,5). Il principale mistero riguarda Babilonia, la
grande, mentre quello della bestia è secondario e funzionale. A ispirare la sezione infausta sul
mistero di Babilonia e la bestia è la visione di Geremia sulla distruzione di Babilonia (cf. Ger 51,164). Tuttavia come al solito l’autore dell’Apocalisse non si limita a riprodurre il cliché narrativo e
poetico che gli offre l’AT; è autore geniale, capace di sviluppare con originalità quanto mutua
dalla tradizione apocalittica. Se come sostiene, il nome “Babilonia la grande” è mistero (Ap 17,5),
vuol dire che l’angelo interprete intende rivelare un nuovo progetto o gnw,mh (cf. Ap 17,17) di Dio
sulla grande città e la bestia.
A proposito del musth,rion in Ap 17,5 doversi studiosi intendono il sostantivo come
semplice attributo, da rendere con “misterioso”: il nome scritto sulla fronte della donna sarebbe
“Babilonia la grande”. In realtà di questo nome l’autore ha già accennato in Ap 14,8 dove un
angelo annuncia la caduta di “Babilonia la grande”. Ora subentra il mistero o il progetto divino
per cui la grande città, corrotta dal culto imperiale, non è più il luogo dove un tempo si sentiva la
voce dello sposo e della sposa (Ap 18,23), ma è ridotto a un deserto. Significativo è il contrappeso
tra la donna, ubriaca del sangue dei testimoni di Gesù (Ap 17,6), e la denuncia finale contro
Babilonia: in essa fu trovato il sangue di profeti, santi e di quanti sono stati uccisi sulla terra (Ap
18,24).
Ispirata a Babilonia, che ha invaso Gerusalemme nel VI secolo a.C., la grande prostituta
assume orizzonti molteplici: coinvolge Gerusalemme, Roma e qualsiasi città dove il culto
imperiale perseguita i testimoni del Risorto. Per questo a nostro parere sarebbe riduttivo
interpretare in modo storicistico la visione di Babilonia con una delle città menzionate: se per
alcuni particolari il simbolismo corrisponde ai dati del I sec. d.C., per altri discorda del tutto. In
questione è non la corruzione di qualsiasi città per la sua natura, bensì quella che è portata dalla
bestia con le sette teste e le dieci corna.
27
Sembra che dopo la cattività babilonese tornarono soltanto quattro classi che furono ridivise in ventiquattro classi
(cf. Ne 12,1-7).
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Sulla descrizione della bestia, con le sette teste e le dieci corna in Ap 17,9-13, si è cercato di
farla corrispondere agli imperatori romani: da Giulio Cesare a Domiziano, passando per Nerone.
In realtà la descrizione non corrisponde alla cronologia imperiale, ma riprende la visione di Dn
7,7-24 per adattarla in modo originale. Sul mistero della bestia è importante l’indicazione
cronologica: “Era non è e deve andare…” (Ap 17,8; analoga è formula di Ap 17,11). L’enigmatica
sequenza è decisiva sul mistero della bestia poiché contrasta con Colui “che è, che era e che
viene” (Ap 1,8). In quanto cifra del potere e del culto imperiale, il mistero della bestia riguarda la
sua durata nel tempo: la bestia ha avuto potere, è per una periodo sconfitta, torna con maggiore
violenza per essere definitivamente sconfitta. Così l’autore evidenzia che il potere politico, con la
sua autorità (delle sette teste) e la sua potenza (le dieci corna), non deve scoraggiare i testimoni di
Gesù. In alcune fasi della storia tale potere che conquista la donna/prostituta sembra tornare più
potente di prima; ma è solo l’anticipazione della definitiva distruzione.
Pertanto il mistero della donna e della bestia descrive il progetto di Dio che sbalordisce (cf.
Ap 17,7) e incoraggia i destinatari. Da una parte, nonostante il suo splendore, la città grande
subisce il rovesciamento di una sposa trasformata nella grande prostituta; dall’altra qualsiasi
potere politico è destinato a sfaldarsi. La visione negativa del mistero, descritto in Ap 17,1–18,24, è
il risvolto della parte positiva con cui si chiude l’Apocalisse: la Gerusalemme celeste, sposa
dell’Agnello (Ap 21,9–22,5).
3. Il mistero e la Scrittura
Soltanto in Rm 16,25-26 si afferma che il mistero tenuto nel silenzio per i secoli eterni è
ora manifestato mediante le Sacre Scritture. Tuttavia il rapporto tra la o le Scritture d’Israele e il
mistero è il principale vettore che attraversa le prime fonti cristiane. Anche se in modo allusivo,
Gesù relaziona i segreti del regno di Dio alla citazione di Is 6,9: “Affinché vedendo non vedano e
ascoltando non comprendano” (Q 8,10). In seguito l’eco di Q 8,10 a Is 6,9-10 diventa citazione
indiretta in Mc 4,12 ed esplicita in Mt 13,13-15.
Il ricorso alla Scrittura d’Israele per codificare il mistero prosegue nelle lettere paoline e
nell’Apocalisse, anche se in modo diverso28. Fra le lettere paoline sono esemplari le occorrenze di
1Cor 2,1-9; 15,54; Rm 11,25-36 ed Ef 5,31-32. Nel primo caso il mistero della parola della croce è
illustrato dalla citazione assemblata di Is 64,3; 65,16b (LXX): “Ma com’è scritto: «Quelle cose che
occhio non vide e che orecchio non udì e che non sorsero in cuore d’uomo, queste ha preparato
Dio per coloro che lo amano»” (1Cor 2,9). Per spiegare come il mistero di Dio è nascosto ai
dominatori di questo mondo, ma è rivelato a quanti sono eletti da Dio, Paolo si appella a quanto è
stato anticipato dal profeta Isaia.
Isaia gli offre anche il motivo per spiegare che, in occasione della Parusia di Cristo, non
tutti i credenti moriranno, ma tutti saranno trasformati: “Quando ciò che è corruttibile sarà
vestito d’incorruttibilità e ciò che è mortale sarà rivestito d’immortalità, allora si realizzerà la
parola scritta: «La morte è stata ingoiata per la vittoria» (1Cor 15,54; cf. Is 25,8a LXX).
Sarà un caso, ma Isaia è di nuovo invocato a proposito del mistero d’Israele in Rm 11,25-36.
Per dimostrare che alla fine della storia “tutto Israele sarà salvato” (Rm 11,26), sono addotte le
citazioni di Is 59,20-21a e di Is 27,9a: “Com’è scritto: «Da Sino verrà il liberatore, rimuoverà le
empietà da Giacobbe. E questa (sarà) la mia alleanza con loro, (Is 59,20-21a LXX), quando
condonerò i loro peccati (Is 27,9a LXX)»29.
28
Sulle citazioni dirette, indirette, per allusioni ed echi nelle lettere paoline cf. A. Pitta, Paolo, la Scrittura e la Legge.
Antiche e nuove prospettive, SB 57, EDB, Bologna 2008; Id., Sinossi paolina bilingue, San Paolo, Cinisello Balsamo 2014, 46117.
29
E. González, “Interdependencia entre judíos y gentiles en Rm 11,25-27”, in Scripta Theologica 43 (2011) 125-142
approfondisce le relazioni strutturali tra il mistero in Rm 11,25-26a e la citazione conflata di Is 59,20-21; 27,9 in Rm
11,26b-27. Roma, 3-4 marzo 2015
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Infine la citazione di Gen 2,24 serve per spiegare il grande mistero che unisce Cristo alla
sua Chiesa: “Proprio per questo l’uomo lascerà il padre e la madre, si unirà alla sua donna e i due
saranno una carne sola” (Ef 5,31; Gen 2,24 LXX). L’appello all’autorità della Scrittura per illustrare
le diverse sfaccettature del mistero è non fortuito, ma è intenzionale, com’è voluto a Qumran30.
In modo diverso ma altrettanto sostanziale è il riferimento alla Scrittura nell’Apocalisse.
Abbiamo segnalato la ripresa intertestuale sulla distruzione di Babilonia di Ger 51,1-64 in Ap 17,118; attardiamoci ora sul mistero in Ap 11,15-19. La scena è preceduta da due visioni: il libretto da
mangiare (Ap 10,8-11) e il santuario (Ap 11,1-14). La prima visione segue il canovaccio della
vocazione profetica di Ez 2,1–3,3, anche se poi se ne discosta poiché in Ap 10,8-11 il libretto
procura la duplice reazione della dolcezza e dell’amarezza. Sullo sfondo della seconda visione di
Ap 11,1-14 s’intravede la narrazione di Ez 40,1-42, a proposito della misurazione del tempio con
una canna. Finalmente la visione del mistero in Ap 11,15-19 è proclamato durante una solenne
scena liturgica, celebrata dai ventiquattro anziani che, come abbiamo proposto, richiamano le
classi sacerdotali impegnate nel culto templare.
Pertanto anche per l’Apocalisse il mistero è illuminato dalla Scrittura, ma in modo criptico
e subliminale, com’è tipico dell’apocalittica giudaica. In situazioni di cattività le visioni sul
mistero sono comprensibili soltanto per chi frequenta la Scrittura in contesto liturgico. Tuttavia è
bene segnalare il processo ermeneutico sulle relazioni tra il mistero nel NT e la Scrittura. Il
mistero, nelle sue diverse sfaccettature proviene da altrove e non si trova nella Scrittura poiché
riguarda l’intervento di Dio nella vita presente delle prime comunità cristiane. Paolo e l’autore
dell’Apocalisse si servono della Scrittura per esprimere con parole umane il mistero di Cristo e
della Chiesa poiché la storia della salvezza veicola l’agire di Dio nel tempo. Il movimento è dal
mistero o da Cristo, in quanto mistero, alla Scrittura e non il contrario.
4. Conclusione
Per evitare la sorte di Alcibiade e di Andocide non intendiamo definire il mistero negli
scritti del NT; più che definirlo, si può descrivere poiché il mistero è rapportato all’agire di Dio
nella storia umana. Significativa è l’evoluzione del “mistero” negli scritti del NT: si passa dai
segreti del regno di Dio, in senso generico, comunicati ai discepoli che seguono Gesù, al segreto; e
dai misteri al mistero di Dio e di Cristo, sino al mistero senza ulteriori specificazioni.
Il retroterra più naturale per il mistero è apocalittico-sapienziale, poiché il mistero è
relazionato all’agire di Dio nella storia della salvezza e delle prime comunità cristiane. Il sistema
che declina, in modi diversi, la dimensione luminosa e numinosa conferma il contesto
apocalittico-sapienziale del mistero. Di esso partecipano non alcuni, ma tutti i credenti sino ad
assumere la dimensione pubblica della pietà (1Tm 3,16). In modi diversi la Scrittura è il codice con
cui è decifrato il mistero: dalle citazioni dirette a quelle indirette dell’epistolario paolino; e dal
processo intertestuale o subliminale tra gli episodi dell’AT e quelli dell’apocalittica giudaica e
neotestamentaria. L’alterità del mistero impone di non cercarlo nella Scrittura, ma nella storia di
Cristo e delle prime comunità cristiane; e nello stesso tempo di dipanarlo con la Scrittura
d’Israele poiché prioritaria è la dimensione salvifica che il mistero comunica.
Per non giungere a interpretazioni generiche del mistero nel NT è bene precisare che
soltanto con la confessione pubblica di 1Tm 3,16 e con le visioni dell’Apocalisse il mistero è
relazionato al culto di Cristo. Altrove il mistero rapporta quanto Dio ha realizzato nella morte e
risurrezione di Cristo, per i credenti in lui e in vista dell’eschaton. Non iniziale, ma progressiva è
l’identificazione di Cristo con il mistero di Dio; come progressivo è il coinvolgimento della Chiesa:
da Cristo in o fra voi di Col 1,27, al grande mistero di Cristo e della Chiesa in Ef 5,32.
30
Basta soffermarsi su un passo del Commento ad Abacuc che anticipa la proposizione di 2Ts 2,11-12: “1
[L’interpretazione della citazione si riferisce a]i traditori che sono con l’Uomo di 2 Menzogna, dal momento che non
[diedero ascolto alle parole del] Maestro di Giustizia dalla bocca di 3 Dio” (1QpHab II, 1-3). Roma, 3-4 marzo 2015
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Finalmente la visione del mistero in Ap 11,15-19 è una scena liturgica a cui partecipano i
ventiquattro anziani, che richiamano le ventiquattro classi sacerdotali giudaiche. Stridente è il
contrasto tra la contemplazione del mistero che culmina con il santuario di Dio e l’arca
dell’alleanza e il mistero di Babilonia e della bestia (cf. Ap 17,7-18). Se della bestia si dice che era,
non è e deve andare (Ap 17,8.11), di Dio e del suo Cristo si confessa che è Colui che è, era e viene
(cf. Ap 1,8; 11,17). Contro un’infausta scissione tra la fede in Cristo e il suo culto, nelle prime
comunità cristiane il mistero di Dio, che si dispiega nella storia della salvezza, è reso presente
nella liturgia celebrata.
Antonio Pitta
Pontificia Università Lateranense
Roma
Roma, 3-4 marzo 2015
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