A
Francesco Obinu
«La nobile gara»
L’istruzione popolare nel Regno di Sardegna
da Bogino a Boncompagni (-)
Prefazione di
Giovanni Vigo
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via Raffaele Garofalo, /A–B
 Roma
() 
 ----
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I edizione: ottobre 
Indice

Prefazione di Giovanni Vigo

Introduzione

Capitolo I
La scuola di latinità
.. Le scuole per pochi,  – .. La riforma scolastica del ministro Bogino (–),  – .. I progetti per le scuole di latinità
negli anni del ministero Bogino,  – .. L’istruzione inferiore e
gli studi universitari, .

Capitolo II
Le scuole parrocchiali
.. La scuola del parroco,  – .. Un oggetto poco studiato,  – .. L’impegno vescovile per la scuola parrocchiale, 
– .. La mappa delle scuole parrocchiali settecentesche,  –
.. Importanza delle scuole parrocchiali, .

Capitolo III
La scuola normale feliciana
.. Il progetto,  – .. L’editto istitutivo e il regolamento, 
– .. Diffusione territoriale e numero degli alunni,  – .. Il
problema del finanziamento,  – .. Maestri impreparati, 
– .. L’istruzione femminile,  – .. L’Istituto sassarese delle
Figlie di Maria, .

Capitolo IV
La scuola elementare
.. L’analfabetismo nel Regno alla metà dell’Ottocento,  –


Indice
.. La “fusione perfetta” e l’estensione alla Sardegna della legislazione scolastica piemontese,  – .. Lo sviluppo della scuola
popolare,  – .. Cambia la classe magistrale,  – .. Condizioni organizzative e materiali della scuola popolare,  – .. La
scuola per l’infanzia, .

Conclusioni

Indice dei nomi
Prefazione
di Giovanni V
Nel  Carlo Cipolla pubblicò un libretto destinato ad influenzare durevolmente gli studi di storia della scuola. Literacy and Development in the West si poneva un obiettivo ambizioso: tracciare
un profilo del declino dell’analfabetismo nel mondo occidentale
e mettere in luce il contributo dell’istruzione di base allo sviluppo economico facendo risaltare, nel contempo, le cause che
frenavano la sua diffusione a partire dai fattori socio–economici
che a suo avviso erano stati troppo trascurati. Non che in precedenza gli storici della scuola avessero del tutto dimenticato questi
aspetti. Basti pensare ai pionieristici lavori di Dina Bertoni Jovine.
Ma la maggior parte degli studiosi era più incline a valorizzare i
risvolti pedagogici lasciando sullo sfondo il resto.
Per fissare lo sguardo sugli aspetti meno consueti ci voleva
uno storico sensibile alla cultura umanistica ma altrettanto attento alle variabili economiche e sociali. Una spinta in tal senso
era venuta dal discorso di apertura tenuto nel  da Theodore
W. Schultz all’assemblea annuale della American Economic Association. Sebbene l’economista americano avesse avuto illustri
predecessori — Adam Smith, Friedrich List, Alfred Marshall,
tanto per fare qualche nome — mai, prima di allora, si erano
dedicate tante energie per celebrare le virtù della scuola nel processo di sviluppo economico. Era nata la economics of education,
una disciplina destinata ad una fortuna effimera ma sufficiente
per influenzare anche gli studi storici. Quel che accadeva sotto
gli occhi di tutti negli anni più rigogliosi del dopoguerra non
poteva essere accaduto, sia pure in forme diverse, anche nel
passato? Cipolla era uno degli studiosi meglio attrezzati per
rispondere a questa domanda.


Prefazione di Giovanni Vigo
Da allora in poi la storia della scuola è diventata una disciplina di maggior respiro, caratterizzata da uno sguardo sempre
più attento ai molteplici intrecci con le istituzioni politiche, la
religione, l’economia, le esigenze del mondo del lavoro, il desiderio di apprendere, le aspirazioni di ascesa sociale e così via.
Un orientamento che anche nel nostro paese ha messo solide
radici a partire dalla storia dell’istruzione negli Stati preunitari,
una premessa necessaria per capire quel che era accaduto, o
non accaduto, dopo il .
Con La “nobile gara” Francesco Obinu si è posto in questa
nuova prospettiva concentrando le sue ricerche sul Regno sabaudo e, in particolare, sulla Sardegna nel secolo cruciale che
va dalla metà del Settecento alla metà dell’Ottocento, quando la
legge Boncompagni inaugurò una nuova storia culminata, nel
, con la legge Casati che ha costituito la struttura portante
del sistema scolastico italiano fino alla riforma Gentile.
Dopo il  — l’anno della riforma promossa dal Ministro per
gli Affari di Sardegna Giovanni Battista Bogino — le vicende della
scuola isolana hanno seguito, sia pure con molti scarti, le sorti
di quelle del Regno. La disputa, allora corrente un po’ ovunque,
sulla scelta di privilegiare le scuole di latinità che aprivano le porte
all’istruzione superiore, oppure le scuole dell’alfabetizzazione destinate ai fanciulli che lasciavano le loro aule dopo aver imparato a
leggere e scrivere, si risolse a favore delle seconde. Ma prima di
ottenere questo risultato trascorsero molti decenni pieni di conflitti,
di inerzie, di successi parziali ora nell’una, ora nell’altra direzione.
« Negli anni delle riforme boginiane, spiega Francesco Obinu, a
fronte di tanto impegno in favore dell’istruzione inferiore e universitaria, nulla fu fatto per lo sviluppo dell’istruzione alfabetica, che
era affidata esclusivamente all’impegno caritatevole dei parroci ».
Una situazione che, proprio perché fondata sull’impegno personale, non garantiva né la continuità nel tempo né la ramificazione
territoriale necessarie per sradicare l’analfabetismo.
Come l’esperienza avrebbe poi dimostrato, la diffusione
dell’alfabeto poteva essere perseguita solo con un sistema scolastico che prevedesse l’insediamento delle scuole anche nei
Prefazione di Giovanni Vigo

villaggi più piccoli o nelle singole parrocchie, come recitavano
le norme approvate durante il regno di Carlo Felice, tra il 
e il . Ma come spesso accade, i principi fissati sulla carta si
scontravano con la dura realtà fatta di una sorda opposizione
alla scuola popolare, di risorse troppo misere, di un numero
esiguo di insegnanti, di locali malsani e fatiscenti, condizioni
alle quali si aggiungevano spesso l’ostilità delle famiglie restie
a distogliere anche i più piccoli dal lavoro dei campi o dalle
minute faccende domestiche. Il risultato fu che tra le riforme
di Carlo Felice e la legge Boncompagni, la scuola sarda ebbe
una vita precaria e la riduzione dell’analfabetismo fu quasi trascurabile come si evince dal censimento del  secondo il
quale solo il ,% della popolazione isolana sapeva leggere e
scrivere, contro un meno sconfortante ,% del Piemonte e
un più apprezzabile ,% della Savoia.
L’unificazione amministrativa con gli Stati sabaudi sancita nel
dicembre del , insieme alla legge Boncompagni, spianò la
via alla crescita e al consolidamento della rete scolastica. Fra il
 e il  il numero degli alunni aumentò del % e, cosa
ancora più importante, incominciarono a mettere radici le scuole
femminili in precedenza quasi inesistenti. Rispetto al resto del
regno si trattava di un piccolo, timido passo, ma l’impressione
che si ricava dal dibattito di quegli anni è che il ghiaccio fosse
finalmente rotto. Tuttavia, per lasciarsi alla spalle il retaggio di
secoli durante i quali la scuola popolare era considerata un lusso
superfluo, un’economia arcaica, una condizione sociale in cui la
domanda di istruzione era molto circoscritta, era necessario un
lungo processo di crescita in grado di coinvolgere l’intera società.
Con una meticolosa ricerca, con una limpida ricostruzione
delle vicende, con una intelligente interpretazione dei fatti,
Francesco Obinu ha dato un contributo importante alla storia
della scuola, e alla sua storia tout-court, della Sardegna in un
secolo cruciale per la modernizzazione dell’isola.
Giovanni Vigo
Introduzione
La nobile gara destasi in questi ultimi anni nelle varie Provincie
dello Stato, onde allargare e migliorare la istruzione del popolo, è
certamente uno dei più confortevoli indizi di crescente incivilimento,
ed una delle più sicure guarentigie di prosperità nazionale .
Queste parole aprivano il resoconto sulla situazione dell’istruzione elementare nel Regno di Sardegna, curato dall’Ispettorato generale delle scuole primarie intorno alla metà del 
secolo. Sono parole che esprimono un convincimento preciso,
che oggi non abbiamo difficoltà a riconoscere come valido e
condivisibile. Eppure, la consapevolezza che l’istruzione di tutti
i cittadini sia utile al progresso complessivo di una nazione, non
è stata sempre presente ai governi e alle società europee. È vero
anzi il contrario, perché a lungo, in età moderna, dominò l’idea
che il tesoro delle conoscenze e delle competenze racchiuso
nello scrigno dell’istruzione scolastica e universitaria, dovesse
essere riservato ai pochi “destinati” a guidare i molti.
In linea di massima (senza volere stabilire uno schema rigido, che non ammetta eccezioni), l’istruzione scolastica in età
moderna fu accessibile agli uomini e alle donne di condizione
sociale altolocata, sia pure secondo percorsi di studio differen. Statistica dell’Istruzione primaria negli Stati Sardi pel , Stamperia Reale,
Torino , p. .
. La presente nota comprende solo la letteratura sull’alfabetizzazione e la
scolarizzazione europea tra  e  secolo, che si è tenuta a riferimento per la
trattazione delle tematiche generali presentate in questa introduzione e richiamate
nei capitoli successivi: G.P. B (a cura di), Il catechismo e la grammatica, , Istruzione
e controllo sociale nell’area emiliana e romagnola nel ‘, il Mulino, Bologna ; G.
V, Istruzione e sviluppo economico nell’età industriale, in La Storia, , Torino ,
, pp. –; R. C, Le pratiche della scrittura, in P. A, R. C (a cura
di), La vita privata. Dal Rinascimento all’Illuminismo, Laterza, Roma–Bari , pp.
–; H.J. G, Storia dell’alfabetizzazione occidentale, , L’età moderna, il Mulino,

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La nobile gara - Aracne editrice