ComoCronaca Sabato, 12 febbraio 2011 19 “Tiene” la pesca di professione sul lago 69 risultano, attualmente, gli addetti impegnati in questo tipo di attività sul nostro territorio. A breve partirà un corso obbligatorio, gratuito, per gli operatori interessati a questo lavoro L a pesca, un mestiere antico che ancora resiste sul Lario. La Provincia di Como organizza (iscrizioni entro il 21 febbraio, ore 9) un corso obbligatorio per poter esercitare la pesca di professione nelle acque delle province di Como e Lecco. Lo slancio per dare continuità ad un’attività ancora viva sulle nostre acque, pur fortemente ridimensionata rispetto al passato. Agli inizi del secolo scorso i pescatori professionisti sul Lario erano circa 1200, oggi sono 69, quasi tutti ditte individuali. «All’epoca – ci spiega Carlo Romanò, responsabile dell’ufficio di Gestione ittica della Provincia di Como -, si viveva in un’altra dimensione economica e sociale. Allora una buona parte dei pescatori di professione traeva il proprio sostentamento diretto dall’attività della pesca, cioè mangiava quanto pescato». E oggi? È a rischio il futuro della pesca professionale sul nostro lago? «Nel Lario e nel lago di Mezzola la raccolta sistematica dei dati del pescato professionale è iniziata nel 1996, con l’introduzione di un libretto segnapesci individuale la cui compilazione è obbligatoria. Per mantenere la licenza ogni anno i pescatori professionisti (cioè quanti traggono dall’attività della pesca la totalità o la parte principale del proprio sostentamento) devono dimostrare, dichiarazione dei redditi alla mano, che la maggior parte del proprio reddito deriva da questa attività. Sulla base dei numeri di cui disponiamo emerge, nel corso di questo ventennio, una buona stabilità del pescato professionale. Non si può dire, in sostanza, che la pesca stia aumentando, ma nemmeno che stia impoverendo, nel suo insieme. Ci troviamo dunque in condizioni di stabilità». Un lavoro di grande fatica… «Certo dipende dai punti di vista - continua Romanò -, ma di sicuro si tratta di una vitaccia, affascinante, ma fisicamente molto impegnativa. Le Il corso ■ Abilitazione Le iscrizioni entro il 21 febbraio Sono aperte le iscrizioni al corso (che è obbligatorio) per poter esercitare la pesca di professione nelle acque delle province di Como e Lecco. Il corso, a cadenza annuale, viene tenuto alternativamente dalle due Province in collaborazione con la principale associazione dei pescatori di mestiere (APAT). La durata delle lezioni è di due settimane: la prima è dedicata alla teoria e si svolge negli uffici provinciali di via Sirtori 3 a Como, la seconda è dedicata alla pratica (posa reti, filettatura, etc.) e si terrà sul lago, in località da definire. Le iscrizioni si chiudono il 21 febbraio, ore 9.00. Informazioni “Sportello Pesca” Provincia di Como (tel. 031-230843), mail: [email protected]. Un mestiere duro che obbliga a fare i conti con l’acqua gelida e il vento sferzante d’inverno, ma anche con la calura estiva. Levatacce notturne e tanta fatica. Ma c’è chi ancora ci crede e vive questa professione con passione quotidiana. è il coregone il pesce più pescato sul Lario. Nel 2009 nelle reti ne sono finite più di 100 tonnellate a cura di Marco Gatti reti (perché la pesca è consentita solo con questo mezzo) normalmente si calano al pomeriggio o alla sera e si levano al mattino. Durante la bella stagione la levata è di primissimo mattino, se non in piena notte, perché, quando l’acqua è calda occorre lasciar trascorrere il minor tempo possibile, altrimenti si corre il rischio di rovinare il pesce. Quindi, nei periodi più caldi, la maggior parte dei pescatori posa le reti verso le 17-18 e le ritira tra l’1 e le 4 del mattino. D’inverno gli orari sono meno stringenti. Il rovescio della medaglia, però, è che non sempre è piacevole trovarsi sul lago quando la temperatura è magari sotto zero, sferzati da un vento gelido e costretti ad estrarre a mano reti collocate a profondità anche vicine agli 80 metri». Vi sono zone di maggiore concentrazione dei pesci, dunque più pescose? «No, la presenza del pescato è distribuita sul lago in maniera abbastanza omogenea. La scelta delle aree di pesca è più legata ai luoghi di residenza dei pescatori. Oggi, per ragioni di pura casualità, risulta una maggiore concentrazione di pescatori nel ramo di Como, rispetto a quello lecchese». Che cosa si pesca, in maggior quantità, nelle nostre acque? «A farla padrone sono, prevalentemente tre specie. Le altre rivestono, per lo più, un ruolo accessorio, essendo meno importanti da un punto di vista meramente economico e quantitativo. Il pane dei pescatori è caratterizzato dai coregoni, che costituiscono circa il 50-60% del pescato totale, a seconda degli anni. Mediamente siamo attorno alle 100 tonnellate di coregoni pescati all’anno nelle acque del lago (112 tonnellate nel 2009). Seguono, più o meno, a pari merito gli agoni e i pesci persici, diciamo nell’ordine delle 30 tonnellate l’anno per gli agoni (33 tonnellate nel 2009) e 20 per i persici (25 tonnellate nel 2009)» Ci sono tetti alla quantità di pescato? «No. Tutta la regolamentazione sul prelievo si basa sugli attrezzi. Sono “normate” le dimensioni della maglia delle reti (stabilita in modo tale da catturare gli esemplari che si sono già riprodotti almeno una volta), le metrature delle reti che il pescatore può impiegare e i periodi di posa (non durante il deposito delle uova). Stando entro questi canoni si può pescare quanto si vuole». Veniamo alla formazione. Perché un corso per pescatori professionisti? «Due sono le argomentazioni da sostenere in merito. La prima è che non è pensabile che una persona possa entrare nel lago, sfruttando economicamente una risorsa che è un bene comune, anche dal punto di vista faunistico, senza avere un minimo di consapevolezza di quello che fa. Si pensi, e a me sembra una follia, che la normativa in vigore questo passaggio non lo prevede. Il corso, obbligatorio, è un’iniziativa delle Province di Como e Lecco, che si sono infilate nelle pieghe non dette della legge. In altre località non è previsto. Per pescare, da professinisti, nel Comasco, occorre dunque, oltre alla licenza di pesca professionale, anche l’abilitazione, ottenibile con questo corso. Il secondo aspetto da considerare è che se vogliamo assicurare un minimo di prospettiva a questo lavoro occorre anche dargli un po’ di dignità. Il fatto che prima bastasse una domanda per accedervi faceva sì che, sovente, gente che non sapeva dove sbattere la testa finisse nel lago. Questo corso certo non cambiera la vita, ma, a nostro avviso, rappresenta il minimo indispensabile per compiere un passo consapevole dentro questo mondo». ❚❚ Spesso i ristoratori prediligono la grande distribuzione Pesce di lago, ma al ristorante... S correndo i dati relativi all’andamento del pescato sui nostri laghi (Lago di Como più Mezzola) si nota come nel 2009 le acque abbiano offerto qualcosa come 200 tonnellate di pesce. Finisce tutto sulle tavole dei ristoranti lariani, lecchesi o dell’alto lago? «Si tratta in realtà di una scelta dei singoli pescatori - continua Carlo Romanò -. La mia valutazione è che la maggior parte del pesce pescato non vada, in realtà, alla ristorazione. Il pescatore, appena può, infatti predilige la vendita al privato». Perché? «Sono pochi, purtroppo, anche da noi, i ristoratori in grado di valorizzare questo prodotto, nonostante la pesca di professione ci sia da sempre. Questo per un motivo preciso: la pesca non è d’allevamento, dunque il pescato, per sua natura, risulta incostante nel tempo, sia come quantità sia come qualità. Ciò impedisce, ad esempio, di poter avere tutti giorni la stessa quantità di coregoni. Può ac- cadere il giorno fortunato di averne 50 kg, e quello invece di non averne nessuno. La ristorazione di oggi, purtroppo, ha scarsissima voglia di correre dietro questa altale- nanza, come invece dovrebbe fare. Chi offre pesce di lago, dunque, siccome ha l’esigenza primaria di mettere a menù un piatto che sia sempre quello, tutti i giorni, va spesso a cercarlo nella grande distribuzione. Ed ecco che, sulle nostre tavole, si possono così trovare coregoni del lago di Bolsena piuttosto che persici dell’Estonia. Va detto, però, che ci sono anche ristoranti interessati a lavorare con prodotti del posto. Così come sarebbe giusto. Anche se, purtroppo, non sono poi così tanti». Una questione di comodità ma anche di costi… «Affidarsi alla grande distribuzione, oltre che dare la garanzia di poter assicurare sempre lo stesso prodotto sulla tavola del cliente, permette al ristoratore anche costi più contenuti. Pensiamo, ad esempio, ad un filetto di persico. Se lo acquistiamo da un pescatore del nostro lago non lo troviamo a meno di 30-35 euro al kg, il persico che arriva dall’Estonia costa invece 18… e i conti son presto fatti…».