anno XiX - numero 84 - 27 novembre 2013
L’Intervista
Parla il direttore Riccardo Muti
A Pag.
2
La Storia dell’Opera
La prima opera di Verdi
fuori da La Scala,
inizio dei drammi di passione
A Pag.
6
L’Analisi Musicale
Sentimenti contrapposti
per una varietà musicale
A Pag. 7
Da Carlo Magno
Le Incoronazioni imperiali
in San Pietro
A Pag.
8e9
La fonte del libretto
Quell’Hernani di Hugo
contestato al suo debutto
A Pag.
12 e 13
Ernani
di Giuseppe Verdi
2
Ernani
il
Giornale dei Grandi Eventi
Inaugurazione di stagione a rischio sciopero. Il maestro Muti parla di Ernani
«Un’opera che ruppe con il passato, difficile per l’orchestra»
S
scagni nel 1995/’96, La Fiamma di Respighi nel 1997/’98, la Marie Victoire
ancora di Respighi nel 2004 ed ora
l’Ernani. La scena è dominata da una
struttura unica, un muro centrale fisso
con due carrelli laterali che muovono
altrettante architetture continuazioni
di questo grande muro che le proiezioni riescono a trasformare in interni od
esterni, con l’aggiunta magari di elementi figurativi gotici. Una grande
grata di pietra scende poi nel finale
quarto atto a sovrapporsi allo sfondo.
A Roma Ernani mancava da 24 anni, dal
14 marzo 1989. «E’
un’opera che si esegue
poco perché dal punto
di vista orchestrale è
estremamente difficile», spiega Riccardo
Muti, il quale proprio con quest’opera
di fatto debuttò nel
suo lungo rapporto
con la Scala, inaugurando la stagione 1982/’83 con un cast
stellare: Placido Domingo, Renato
Bruson, Nicolai Ghiaurov e Mirella
Freni.
«E’ un’opera – continua il 72enne direttore napoletano – che rappresenta un
fatto nuovo nel panorama musicale, perché
con quest’opera Verdi si allontanò dal
mondo drammatico-oratoriale di Rossini
(vedi il Mosè) e preromantico di Donizetti e Bellini dove l’interesse è per due personaggi e protagonista è l’amore. Nell’Ernani, invece, il 1° atto è concepito come
una passerella di personaggi, i quali poi
tutti insieme costruiscono l’azione drammatica, molto più che nelle opere precedenti. E’ un primo passo verso la Trilogia
dove ci sarà un vero scavo dei personaggi.
Il “Preludio” che è una pagina di due minuti, molto interessò Dimitri Mitropulos
(Atene 1896- Milano 1960, ndr), uno dei
grandi direttori del ‘900 che spesso lo eseguì all’inizio dei suoi concerti. Verdi qui
usa elementi melodici che definiscono la
situazione. Inizia con suoni di
tromba e trombone a sottolineail G iornale dei G randi Eventi
re il “pegno” che ci sarà tra SilDirettore responsabile
va ed Ernani. I temi del destino
in Verdi sono temi circolari e la
Andrea Marini
grandezza di Verdi sta in quelDirezione Redazione ed Amministrazione
lo che riesce a definire in poche
Via Courmayeur, 79 - 00135 Roma
note: non è leggerezza, ma ese-mail: [email protected]
senzialità». «Poi – riprende
Editore A. M.
Muti – ci sono i pezzi corali
Stampa: Tipografica Renzo Palozzi
straordinari, come per tutti il
Via Vecchia di Grottaferrata, 4 - 00047 Marino (Roma) “Si ridesti il leon di CastiRegistrazione al Tribunale di Roma n. 277 del 31-5-1995 glia”, subito mutato dai vene© Tutto il contenuto del Giornale è coperto da diritto d’autore
ziani in “Si ridesti il leon di
San Marco”, un brano divenuVisitate il nostro sito internet
to anche pezzo immancabile del
www.ilgiornalegrandieventi.it
coro dell’Armata Rossa».
dove potrete leggere e scaricare i numeri del giornale
andrea Marini
olo nelle ultime ore di lunedì 25
novembre scorso, dopo l’incontro
fiume in Campidoglio con il Sindaco, è arrivata la notizia della revoca
dello sciopero, indetto dalle organizzazioni sindacali del Teatro, che
avrebbe messo in pericolo non solo
la“prima”, ma tutte le repliche di questo Ernani. Uno sciopero indetto per
protestare contro la pesante situazione
economica che metterebbe il Teatro a
rischio commissariamento. Commissariamento che porterebbe
a drastici ridimensionamenti, anche perché pure dal colle capitolino c’è la volontà
di rivedere il forte finanziamento
al
l’Opera che è di 20
milioni contro i 7 erogati, ad esempio, dal
Comune di Milano al
Teatro Alla Scala.
Non sono più tempi
di massiccio assistenzialismo pubblico se
non si risana l’amministrazione. Dunque, ora si va in scena, anche se al momento di andare in stampa è ancora
tramontata la possibilità che salti qualche replica.
Ma passando all’aspetto artistico, questo Ernani rappresenta la quinta opera
di Verdi, la prima che debuttò fuori da
La Scala, andando in scena al Teatro
La Fenice di Venezia il 9 marzo 1844, a
distanza di cinque anni dalla prima
opera l’Oberto, conte di San Bonifacio,
ma anche - è curioso notarlo- a due
anni esatti (era lo stesso 9 marzo) dal
Nabucco.
Questo nuovo allestimento, realizzato
in collaborazione con la Sydney Opera
House, porta la firma per regia, scene
e costumi dell’argentino Hugo De
Ana, 64 anni, che proprio a Roma fece
il suo debutto in Italia nel 1991 con
l’Ermione di Rossini. De Ana è alla sua
quarta regia di apertura della Stagione
dell’Opera di Roma, dopo l’Iris di Ma-
Stagione d’Opera 2013 -2014
del Teatro dell’Opera di roma
30 gennaio - 6 febbraio
L’EnfanT ET LES SOrTiLEgES
L’HEurE ESpagnOL
di Maurice Ravel
Charles Dudoit
Laurent Pelly
Direttore
Regia
27 febbraio - 8 marzo
ManOn LEScauT
di Giacomo Puccini
Riccardo Muti
Chiara Muti
Direttore
Regia
28 marzo - 8 aprile
MaOMETTO ii
Direttore
Regia, scene e costumi
di Gioachino Rossini
Roberto Abbado
Pier Luigi Pizzi
8 - 14 maggio
L’ELiSir D’aMOrE
di Gaetano Donizetti
Donato Renzetti
Ruggero Cappuccio
Direttore
Regia
18 - 28 giugno
carMEn
Direttore
Regia
di Georges Bizet
Emmanuel Villaume
Emilio Sagi
4 luglio
THE prODigaL SOn
Direttore
Regia
di Benjamin Britten
James Conlon
Mario Martone
21 - 31 ottobre
rigOLETTO
di Giuseppe Verdi
Renato Palumbo
Leo Muscato
Direttore
Regia
~~
La Locandina ~ ~
Teatro Costanzi 27 novembre - 1 dicembre 2013
Ernani
Dramma lirico in quattro parti
Libretto di Francesco Maria Piave dal dramma di Victor Hugo
Prima rappresentazione: Venezia, Teatro La Fenice, 9 marzo 1844
Musica di Giuseppe Verdi
Direttore Riccardo Muti
Regia, scene e costumi Hugo de Ana
Maestro del Coro Roberto Gabbiani
Personaggi / Interpreti
Ernani (T)
Don Carlo (Bar)
Don Ruy Gomez de Silva (B)
Elvira (S)
Giovanna (S)
Don Riccardo (T)
Jago (B)
Francesco Meli
Luca Salsi
Ildar Abdrazakov /
Ildebrando D’Arcangelo
Tatiana Serjan / Anna Pirozzi
Simge Büyükedes
Antonello Ceron
Gianfranco Montresor
ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO DELL’OPERA
Nuovo allestimento
in coproduzione con Sydney Opera House
~ ~ La Copertina ~ ~
Il Tintoretto (Domenico Robusti) (1560-1635):
Ritratto di uomo
il
Ernani
Giornale dei Grandi Eventi
D
opo il rischio di
scioperi, questa
stagione 2013/’14
dell’Opera di Roma si
apre con un titolo che
mancava dal Costanzi da
quasi un quarto di secolo.
L’Ernani , andato in scena
per la prima volta a Venezia il 9 marzo 1844, è
un’opera quasi spartiacque tra i lavori giovanili e
quelli della maturità di
Verdi, il quale la compo-
se a 30 anni, come quinta
sua opera. Un melodramma ambientato nella Spagna del 1519, con un Re
Carlo che storicamente
diverrà poi, due anni più
tardi, il grande imperatore Carlo V, melodramma
ricco di arie e di grandi
momenti corali, come “Si
ridesti il leon di Castiglia”
nel terzo atto, che diverrà
inno di ideali più diversi,
da quelli dei veneziani, a
quelli dei romani , i quali
anni più tardi ne fecero
un’esaltazione dell’illuminato pontefice Pio IX.
Questo nuovo allestimento è stato realizzato
con la regia, le scene ed i
costumi dell’argentino
Hugo De Ana, sempre
capace di far discutere, il
quale si è avvalso di scene “scolpite” arricchite e
mutate da proiezioni. Sul
podio il maestro Riccardo
Muti, che di fatto chiude
con questo titolo il Bicentenario verdiano dell’Opera di Roma, in un
anno che ha visto proprio lui dirigere, prima di
questo, tre lavori del cigno di Busseto, il Simon
Boccanegra (apertura della scorsa stagione il 27
novembre 2012), I due Foscari ed il Nabucco.
A cantare sarà un cast
molto legato a Muti, che
3
Le Repliche
Venerdì 29 novembre, h. 20,00
Domenica 1 dicembre, h. 16,30
Martedì 3 dicembre, h. 20,00
Martedì 10 dicembre, h. 20,00
Giovedì 12 dicembre, h. 20,00
Sabato 14 dicembre, h. 18,00
già sono stati in palcoscenico a Roma per l’Attila
(stagione 2011/’12) I Due
Foscari ed il Nabucco.
Una apertura con Ernani, opera che mancava a Roma da 24 anni
aTTO i – Il Bandito - La vicenda si svolge in
La Trama
Spagna nel 1519 – Sulle montagne d’Aragona,
Ernani , a capo di un gruppo di banditi, è ansioso di sollevare la rivolta contro il re Don Carlo, per vendicare l’uccisione del padre. Il bandito è innamorato di Elvira che lo ricambia,
ma è promessa al vecchio zio, don Ruy Gomez de Silva. Al castello
dei Silva già si trova in incognito Don Carlo, re di Spagna, anch’egli
innamorato di Elvira , ma lei lo respinge. Di fronte all’insistenza di
Don Carlo per condurla con sé, la fanciulla gli strappa dalla cintola il pugnale, pronta a difendere il proprio onore. Da un uscio compare Ernani per proteggere Elvira. Entra Silva, il quale, stupito vedendo la donna promessa insidiata da due uomini, li sfida. A questo punto irrompe Riccardo che, riconoscendo il sovrano, s’inchina.
Carlo dice di essere venuto per chiedere l’aiuto del nobile Silva per
l’elezione al trono imperiale, facendo allontanare Ernani affermando che fa parte del proprio seguito. Il giovane cova propositi di
vendetta, mentre Elvira gli promette fedeltà.
tizia del rapimento, Ernani svela che Don Carlo
è un rivale in amore. I due stringono un patto
per la lotta contro il Re, ma Silva non perdona.
Ernani consegna un corno da caccia a Silva: quando vorrà la sua
morte, non dovrà che suonarlo tre volte e lui si toglierà la vita.
aTTO iii - La Clemenza - Ad Aquisgrana, ne i sotterranei del
sepolcro che custodisce le spoglie di Carlo Magno, si nasconde Don
Carlo con l’intento di sorprendere i congiurati capeggiati da Ernani. Questi, appreso che il Re aspira al trono imperiale, ne decretano
la morte e traggono a sorte chi tra loro dovrà compiere materialmente l’assassinio. Viene estratto Ernani. Silva sarebbe disposto a
perdonarlo, a condizione di poter essere lui a compiere tale gesto,
ma Ernani rifiuta. Mentre tutti prestano di nuovo giuramento (“Si
ridesti il leon di Castiglia”) con un patto d‘odio contro il Re, tre colpi
di cannone annunciano l’elezione di Carlo ad Imperatore. Questo,
allora, esce allo scoperto gettando nel panico i congiurati e condannando subito i plebei alla prigione ed i nobili a morte. Ernani, iniaTTO ii – L’Ospite - La rivolta è fallita ed Ernani, travestito da zialmente identificato tra i plebei, svela i suoi nobili natali e s’idenpellegrino, si rifugia nel castello di Silva. Il padrone di casa, per do- tifica come il conte Don Giovanni D’Aragona, rivendicando così il
vere di ospitalità, accoglie il viandante. Ma Ernani, non appena sco- suo diritto alla morte. A tal vedere, Elvira supplica l’Imperatore per
pre il motivo della festa in corso per le imminenti nozze con Elvira, un gesto di pietà. Carlo la accontenta, concedendo la vita ai consvela la sua identità di bandito in fuga e offre come dono di nozze giurati e offre la bella Elvira in sposa ad Ernani, mentre Silva mela propria vita. Ernani ha un breve incontro con Elvira la quale gli dita vendetta.
confessa di aver acconsentito alle nozze dopo notizie che lo davano
morto, ma con il proposito di togliersi la vita il giorno stesso delle aTTO iV - La Maschera - A Saragoza, nel palazzo di don Gionozze. I due innamorati si abbracciano, Così li sorprende Silva che vanni D’Aragona, durante la festa nuziale, viene notato un uomo
vorrebbe vendicare il suo onore, ma al castello intanto giunge Don mascherato che si aggira tra gli invitati. Mentre gli sposi abbandoCarlo in cerca del bandito. Silva, ritenendo ogni ospite sacro, fa na- nandosi alla gioia si accingono ad entrare nella stanza nuziale, si
scondere Ernani e si rifiuta di consegnarlo. A tal diniego il Re fa per- odono in lontananza i tre suoni di corno. Silva si toglie la maschelustrare il castello, ma invano. Sopraggiunge Elvira ad invocare pie- ra e chiede la vita di Ernani. Invano il giovane cerca di commuotà; il Re, dunque, si allontana prendendo Elvira quale pegno della verlo per convincerlo a rinunciare alla vendetta: gli viene concesso
fedeltà di Silva. Questi, allora, apre il nascondiglio per battersi con solo di scegliere fra pugnale o veleno. Ernani, tenendo fede alla
Ernani, ma lui non vuole duellare con un uomo vecchio, preferendo promessa fatta, si infila la lama nel petto. Elvira sviene sul corpo
la morte, ma chiedendo di vedere per l’ultima volta Elvira. Alla no- esanime, mentre Silva, appagato, esulta.
il
Giornale dei Grandi Eventi
Ernani
5
Luca Salsi
Francesco Meli
Don Carlo, re di Spagna,
anche lui innamorato
di Elvira
Ernani, bandito innamorato,
in realtà Conte Giovanni
d’Aragona
A
E’
l baritono Luca Salsi è affidato il ruolo del Re di Spagna
Don Carlo. Nato a San Secondo Parmense (PR) nel 1975 si è
diplomato in canto presso il conservatorio Boito di Parma e
si è perfezionato con il baritono Carlo
Meliciani. Nel 1997 ha debuttato presso
il Comunale di Bologna nella Scala di
Seta di Rossini. Nel 2000 ha vinto il
premio assoluto al concorso Viotti di
Vercelli, iniziando così un’intensa
attività. Nella stagione 2008/09 ha
preso parte a diverse produzioni tra cui
Il Corsaro al Festival Verdi di Parma, La
Bohème, al Carlo Felice di Genova, I
Pagliacci, al teatro lirico di Cagliari ha
continuato poi con la stagione 2009/10
interpretando con grande successo la
Traviata, Falstaff, L’Elisir d’Amore, Ernani e Lucia di Lammermoor. Nel
2012 consensi ne L’Elisir d’amore (Bilbao), Rigoletto (Trieste) e Don
Carlo ne La Forza del destino (Buenos Aires). In questo ruolo ha
inaugurato a Barcellona la scorsa stagione. Nel marzo scorso
all’Opera di Roma ha cantato la parte del Doge Foscari ne I Due
Foscari e quindi a luglio nel Nabucco nel ruolo del protagonista.
Ildar Abdrazakov e Ildebrando D’Arcangelo
Silva, anziano e vendicativo
promesso sposo
S
ono i bassi ildar abdrazakov ed ildebrando D’arcangelo a
cantare nei panni di Don Ruy Gomez de Silva. ildar
abdrazakov, nato nel 1976 a Ufa (Russia), ha studiato presso
l’Istituto delle Arti. Vincitore di diversi concorsi. Nel 1998 è entrato a
far parte dei Solisti del teatro Marinskij di San Pietroburgo, dove ha
debuttato il ruolo di Figaro ne Le nozze di Figaro. Nell’ottobre 2000
vinse il primo premio al Concorso Internazionale Maria Callas della
RAI che lo ha avviato alla carriera internazionale, portandolo nel 2001
a debuttare al Teatro alla Scala con La Sonnambula, teatro dove è
tornato per La forza del destino, Sansone e Dalila, Macbeth, Fidelio,
Iphigenie en Aulide, Moïse, Carmen, Lucia di Lammermoor. Nel suo
repertorio La sonnambula, Don Giovanni, La forza del destino, Lucia di
Lammermoor, Carmen, Semiramide, Il Turco in Italia, Anna Bolena,
L’Italiana in Algeri, Il barbiere di Siviglia, L’assedio di Corinto, Faust, Luisa
Miller, Attila, Don Carlo, Oberto, Il trovatore, Norma, Les Contes
d'Hoffmann. Durante la stagione 2012/13 ha cantato Mefistofele a San
Francisco, Il barbiere di Siviglia a Monaco, Don Carlo a Torino, Don
Giovanni alla Wienerstaatsoper, alla Washington National Opera ed al
MET di New York, dove è poi tornato con Le nozze di Figaro. In
concerti ha interpretato Ivan il terribile di Prokof’ev con la Deutsche
Symphony Orchestra a Berlino ed il Requiem di Verdi in varie
occasioni.
ildebrando D’arcangelo, vincitore sia nel 1989 che nel 1991 del
concorso internazionale Toti dal Monte, ha debuttato nei primi anni
novanta in Così fan tutte e Don Giovanni.
La musicalità e la profondità psicologica delle sue performance hanno
subito attirato l'attenzione di direttori quali Claudio Abbado,
Riccardo Chailly, Myung – Whun Chung, Sir John Eliot Gardiner,
Daniele Gatti, Riccardo Muti, Antonio Pappano e Sir Georg Solti. Il
suo vasto repertorio comprende opere di Bellini, Berlioz, Boito,
Donizetti, Händel, Stravinskij, Verdi, Mozart e Rossini.
Recentemente ha cantato in Don Giovanni, Carmen e il Requiem di
Verdi e Don Pasquale alla Lyric Opera di Chicago, La Cenerentola e Le
nozze di Figaro a Vienna. I suoi prossimi impegni lo vedranno nel Faust
di Gounod alla Deutsche Oper di Berlino e in nuova produzione di
Don Giovanni per il Festival di Salisburgo nella prossima estate.
il tenore francesco Meli a cantare come Ernani. Nato a Genova
nel 1980, ha iniziato gli studi di canto a diciassette anni e nel
2002 ha debuttato con Macbeth di Verdi. Nello stesso anno ha
cantato come solista nella Petite Messe Solennelle di Rossini e nella Messa
di gloria di Puccini, trasmessa dalla RAI durante il Festival dei Due
Mondi di Spoleto. Meli ha calcato con successo i più importanti
palcoscenici italiani ed europei. Nel 2005 ha inaugurato le stagioni del
Teatro alla Scala con Idomeneo di Mozart, del Carlo Felice con Don
Giovanni di Mozart, del Rossini Opera Festival in una nuova
produzione di Bianca e Falliero. Inoltre è stato interprete di recital
solistici a Londra, Tokyo, Oslo, Poznan e del Requiem di Verdi sotto la
direzione di Gatti, Maazel, Noseda e Temirkanov. Torna ora a cantare
all’Opera di Roma sotto la bacchetta di Muti dopo essere stato nel
novembre 2012 Gabriele Adorno in Simon Boccanegra, quindi nel marzo
scorso il figlio del Doge Jacopo Foscari ne I Due Foscari, ed a luglio
Ismaele nel Nabucco.
Tatiana Serjan ed Anna Pirozzi
Elvira, fanciulla contesa
da tre pretendenti
A
cantare nel ruolo della protagonista femminile Elvira sono i
soprano Tatiana Serjan e anna pirozzi. Tatiana Serjan è nata a
San Pietroburgo, dove ha cominciato gli studi musicali in
pianoforte presso il Collegio Musicale e in seguito al Conservatorio. Si è
perfezionata in Italia all’Accademia delle Voci di Torino con Franca
Mattiucci. Nel 1994 ha debuttato all’Opera Studio di San Pietroburgo
nella Traviata, dove ha poi cantato ne La bohéme e Così fan tutte; nel 1997 è
stata diretta dal Maestro Rostropovič con la San Pietroburgo Philarmonic
Society. Nel 2001 è stata finalista in alcuni concorsi di canto internazionali
tra i quali Viotti di Vercelli, The Golden Sophit di San Pietroburgo con la
nomina “The best women’s role in musical theater”, e Una voce per Verdi di
Ispra nel 2002. Il suo debutto in Italia è stato al Regio di Torino nel
dicembre 2002 nel ruolo di Lady Macbeth.
Ha debuttato Aida al Festival di Bregenz, I
due Foscari a Parma e Modena. Ha
partecipato al concerto finale del Festival di
Ravenna, poi ripreso a Bosra (Siria)
trasmesso dalla RAI, cantando un’ampia
selezione di Norma sotto la guida di Muti,
sotto la cui direzione si è esibita nel Requiem
di Verdi a Londra ed a Tolosa con la
Philarmonia Orchestra. All’Opera di Roma è
stata ne La battaglia di Legnano e nel Macbeth
del novembre 2011 andato poi al Festival di
Salisburgo (2012). Sempre al Costanzi
l’abbiamo sentita lo scorso anno in maggio in Tatiana Serjan e Francesco Meli
Attila (Odabella) e quindi a marzo, nel ruolo
di Lucrezia Contarini ne I Due Foscari, fino a luglio nel Nabucco come
Abigaille, sempre diretta da Muti.
Nata a Napoli nel 1975, anna pirozzi ha iniziato gli studi di canto presso
l’Istituto Musicale Pareggiato della Valle d’Aosta. In seguito si è
perfezionata al Conservatorio G. Verdi di Torino con il soprano Silvana
Moyso e frequenta Masterclass con Daniela Dessì, Mirella Freni, Luciana
D’Intino, Rockwell Blake e Sylvie Valayre, partecipando poi ad un corso
di perfezionamento per cantanti lirici al Wien Konservatorium di
Vienna.Vincitrice assoluta della XXX edizione del Concorso Mattia
Battistini a Rieti, la sua attività ha inizio nel 2007 quando venne
selezionata per un concerto di arie verdiane. Particolarmente congeniale
le è il ruolo di Abigaille nel Nabucco che debuttato al Trentino Opera
Festival. È stata Desdemona in Otello di G. Verdi nei teatri di Aosta, Biella,
Asti e Sanremo.
Pagina a cura di Tina Alfieri
Ernani
6
il
Giornale dei Grandi Eventi
Storia dell’opera
Comincia con Ernani il «molto fuoco»
del dramma di passioni
S
iamo nel 1843. Con
Nabucco e I Lombardi
alla prima crociata,
Giuseppe Verdi si è imposto sulla scena operistica
nazionale e non solo. I
grandi talenti del teatro
italiano si stanno, pian
piano, defilando: Rossini
vive ormai a Parigi e non
compone per il palcoscenico dal 1829, Bellini è
morto nel 1835, Donizetti,
ormai malato. Verdi si fa
strada, con fatica, prova il
gusto
dell’ambizione
(Oberto, Conte di San Bonifacio, 1839) poi quello della
cocente delusione (Un
giorno di regno, 1840); ma
va avanti. Firma con l’impresario Bartolomeo Merelli, attivo alla Scala dal
1829 al 1850, il contratto
per quattro titoli a Milano
e proprio qui “sfonda”
con Nabucco (1842) - opera
che gli apre la strada del
successo e della celebrità che viene ripreso a Vienna, al teatro di Porta Carinzia, già l’anno successivo.
Proprio mentre si trova a
Vienna, Verdi riceve una
lettera dal conte Alvise
Francesco Mocenigo, presidente agli spettacoli del
Gran Teatro La Fenice,
con la quale gli viene chiesta un’opera nuova per
Venezia. In realtà, la proposta arriva contemporaneamente a Donizetti,
Mercadante, Nini e Pacini,
ma, è noto, la simpatia del
Mocenigo va al giovane
Bussetano. Verdi, accettando, coglie l’occasione
per staccarsi da Merelli,
un po’ perché dopo il successo di Nabucco non vuole rischiare un ulteriore
fiasco su un palcoscenico
importante come La Scala
dopo quello di tre anni
prima con Un giorno di regno, ma anche perché sta
gradualmente perdendo
la fiducia nell’impresario
milanese.
Verdi accetta l’ingaggio e
fissa da subito le condizioni economiche - 12.000 lire
austriache in tre rate
uguali, la prima all’arrivo
del compositore in città, la
seconda alla prima prova
Facciata del Teatro La fenice di Venezia in una stampa del 1792
d’orchestra, la terza alla fine della prova generale precisando che consegnerà lo strumentale dell’opera solo dopo le prove al
cembalo e lo spartito completo entro l’antiprova generale. Ma aggiunge la
condizione che I Lombardi
siano rappresentati nello
stesso teatro.
La scelta del soggetto
A questo punto rimane solo la scelta del soggetto. Le
idee, al principio, sono
tante: si parte da Re Lear che rimarrà un sogno nel
cassetto per tutta la vita
artistica del compositore e da Il Corsaro, (che debutterà 5 anni più tardi a Trieste) per il quale La Fenice
non possiede un palcoscenico abbastanza grande ed
un baritono all’altezza.
Verdi si mette, così, alla ricerca di un dramma che
abbia come protagonista
una donna e suggerisce La
fidanzata di Abido di Byron,
poi pensa di ispirarsi alla
storia di Caterina Howard, quinta moglie di
Enrico VIII e da lui decapitata; passa dunque ad un
altro personaggio, Cola di
Rienzi, dal romanzo di
Bulwer-Lytton Rienzi, the
last of the Roman tribunes,
quindi a La caduta dei Longobardi, forse ispirato all’Adelchi di Manzoni ed infine ai Due Foscari di Byron. Vuole a tutti i costi un
libretto «grandioso e nell’istesso tempo appassionato»
in cui «siavi molto fuoco,
azione moltissima e brevità»
e propone come collaboratore il librettista Cammarano, illustre esponente
della nuova scuola romantica, o Solera, od ancora il
genovese Bancalari.
La presidenza della Fenice
boccia però le proposte e
opta per Cromwell di Victor Hugo, la cui “selva”
(così si definiva un progetto di sceneggiatura, n.d.r.)
era stata offerta, a suo
tempo, da un tal Francesco Maria Piave, poeta
muranese, amico del segretario della Fenice Guglielmo Brenna.
Ma Verdi non si fida. Chi è
mai questo Piave? Un
esordiente, quindi non
certo al livello di Felice
Romani o dello stesso
Cammarano e, per di più,
rischioso da un punto di
vista economico, visto che,
da contratto, toccherà proprio al compositore retribuirlo. Ma, nonostante le
perplessità, accetta e da
questo momento inizia
con Piave un sodalizio destinato a durare quasi vent’anni, fino alla Forza del
destino (1862). Un’amicizia
tormentata, un rapporto
burrascoso in cui il giovane poeta subisce dal “furioso” compositore sferzate, critiche, rimbrotti, lagnanze, fin’anche insulti.
Eppure tra i due è da subito simpatia e la collaborazione si dimostra assai
proficua. Nel frattempo si
cambia di nuovo idea e
dal Cromwell si passa ad
un Allan Cameron, presumibilmente a causa di un
veto della censura, timorosa di possibili interpretazioni antilegittimiste del
dramma di Hugo. Ma anche del Cameron non se ne
fa nulla, nonostante Piave
abbia già terminato il lavoro; Mocenigo suggerisce finalmente Hernani,
sempre di Hugo, che tredici anni prima aveva fatto scalpore a Parigi con un
debutto turbolento. Sprona, così, lo scoraggiato
Piave e con lui decide la
scaletta del libretto: la
compressione dei primi
due atti del dramma originale nel primo dell’opera,
il taglio melodrammatico
della successione di arie di
sortita. Cambiamenti importanti rispetto alla fonte
(scontento fu proprio Hugo) che arriveranno ad investire anche il titolo, mutato più volte nelle rappresentazioni degli anni a venire. «Libertà nell’arte, libertà nella società», scriveva lo
stesso Hugo. Verdi si infiamma. Basta alla costruzione “a spettacolo” di
meyerbeeriana memoria,
in cui il grandioso apparato scenografico soffoca
ogni altro aspetto. Largo
invece al dramma di passioni. Il 30 novembre 1843
Verdi arriva nella “Regina
della Laguna”. Ma Venezia non gli piace: «è bella, è
poetica, è divina, ma...io non
ci starei volentieri». Tanto
più che la censura comin-
cia a tessere la sua trama:
titolo inadatto, troppe allusioni alle congiure carbonare, e via discorrendo.
Verdi si scoraggia e non
l’aiuta di certo la rovinosa
caduta, a dicembre, de I
Lombardi in quella stessa
Fenice. «Uno di quei fiaschi
veramente classici», sorte
che tocca però a tutte le altrui opere in cartellone.
Terrore, insicurezza, disperazione: «questi veneziani si aspettano non so che cosa», scrive preoccupato.
Ad una settimana dalla
Prima di Ernani del 9 marzo 1844 - rimandata di un
paio di mesi per impegni
del tenore Guasco - le scene non sono ancora pronte
e i costumi lasciano molto
a desiderare: a nulla portano le vibranti proteste di
compositore e librettista se
non ad un avviso al pubblico incluso sul manifesto, in cui si segnala la presenza di tre scene di ripiego. La recita ha tuttavia
un esito inaspettato. La
gazzetta letteraria Il Gondoliere riporta la cronaca di
uno straordinario successo, con il pubblico sovreccitato dai messaggi “rivoluzionari” e commosso
dalle imprese del banditoamante. Brillante risultato,
a dispetto anche del cast,
che quella sera non diede
certo il meglio di sé: il tenore Guasco (Ernani) ha
una «raucedine che spaventa», mentre il soprano, il
drammatico di agilità Sophie Johanna Loewe, eccessivamente nervosa, stona a più non posso. Eppure questo è l’inizio di una
ragguardevole diffusione
europea di Ernani, le cui
primissime tappe sono
Londra (1845) e Parigi
(1846). Vale la pena sottolineare che è proprio alla
rappresentazione parigina
che Hugo eleva rimostranze tali da imporre il cambiamento di titolo (diventa
Il Proscritto di Venezia) e
ambientazione: troppa
spettacolarizzazione e ricerca del bell’effetto, secondo lui, banalizzano il
testo.
Barbara catellani
il
Giornale dei Grandi Eventi
Ernani
7
Analisi Musicale
Sentimenti contrapposti
per una varietà musicale
E’
Da segnalare già nell’indetto genere delle opere
noto l’amore nucisivo Preludio, il tema
nere, di quei lavori, cioè,
trito tutta la vita
del corno che appare a
nei quali si sottolineavada Verdi per
connotare l’atmosfera
no gli aspetti più oscuri
Shakespeare, il «papà di
dell’intera opera con un
e tenebrosi del romantitutti noi», come affettuosenso di mistero e torna
cismo europeo.
samente lo chiamava. Ed
sinistro e minaccioso nel
Dopo l’esperienze risorè altrettanto nota l’amfinale a decretare la morgimentali, Verdi, insommirazione che Victor
te di Ernani.
ma, cominciava a guarHugo provava per il Bardare in direzione diverdo, il solo da lui consideil primo atto
sa e il testo hughiano gli
rato capace di fondere
dava possibilità espresgrottesco e sublime, terIn apertura dopo un cosive straordinarie: l’amribile e buffo, tragedia e
ro dei banditi spavaldo
bientazione in un’epoca
commedia.
Naturale
e rude, Ernani ha la sua
lontana (il Cinquecento),
quindi che, a un certo
prima aria rilevante,
l’amore per la stessa
momento della propria
una delle pagine più cedonna di tre uomini fiecarriera, Verdi si sia rilebri dell’opera: “Come
ramente contrapposti
volto al teatro di Hugo
rugiada al cespite”. Dall’uno agli altri per motinel quale trovava non
la eleganza e dallo spirivazioni politiche, il ribelsolo caratteri shakespeato quasi belliniano della
lismo e il banditismo coriani, ma quel gusto per
melodia non emerge
me fenomeno di protela duplicità e complessitanto il fuorilegge quansta che fonde insieme la
tà dei caratteri che lo afto l’uomo innamofascinava particolarrato che pensa alla
mente.
sua Elvira.
Ernani costituì, dunPresentato il proque, il primo incontagonista, nella
tro fra Verdi e Huscena successiva
go, cui sarebbe setocca alla donna,
guito l’altro, ancor
al centro dell’intripiù rilevante, per Ricato scontro fra
goletto. La scelta di
uomini. “Ernani,
Ernani fu particolarErnani involami”
mente felice: l’appacanta Elvira in
rizione del testo del
una pagina condrammaturgo frantrassegnata da ritcese, nel 1830, aveva
mi contrastanti ed
suscitato a Parigi un
agili virtuosismi.
acceso dibattito danLa scena successido il via ufficiale alva porta al primo
la corrente romanticoncertato dramca, a tre anni dalla
matico. Carlo fa
celebre prefazione al
visita improvvisa
Cromwell in cui lo
a Elvira, dichiara
stesso Hugo aveva
il suo amore, Elviposto l’accento sul
ra lo respinge e ir“grottesco”, una carompe
Ernani.
tegoria espressiva Locandina della prima assoluta dell’Ernani, il
Verdi è abile nel
assolutamente nuo- 9 marzo 1844 al Teatro La Fenice di Venezia
rendere i tumulva, ignota ai classici
tuosi sentimenti che anicoralità e l’individualità
e fondamentale nel romano i tre personaggi e
(tematica poi ripresa nei
manticismo. Grottesco
costruisce una pagina di
Masnadieri), il codice
che sarà elemento caratforte effetto drammaturd’onore cavalleresco. Interistico del teatro di
gico. L’arrivo di Silva
gredienti diversi, conHugo e di Verdi.
porta alla conclusione
trapposti che garantivadel primo atto, ma prino una varietà di atteg“Le opere nere”
ma Verdi, con una felice
giamenti musicali.
idea teatrale, inserisce
L’opera, in quattro atti,
L’Ernani verdiano, coun canto “a sé” di Silva
secondo una prassi già
struito sul libretto di
che ci dà la dimensione
seguita dallo stesso VerFrancesco Maria Piave,
intima del personaggio,
di, propone un titolo per
alla sua prima collaborail suo travaglio interiore:
ogni atto, lo scopo dei
zione con il musicista
un gioco interessante di
quali è di suggerire una
(ne sarebbe diventato
contrasti che offre l’imsorta di unità drammapoi un fedele compagno
magine di un personagturgica: Il bandito, L’ospite,
di viaggio per molti angio “cattivo”, ma animaLa clemenza, La maschera.
ni) appartiene al cosid-
to anche da una profonda umanità.
il Secondo atto
E’ ancora il coro
ad aprire il seatto,
condo
contrassegnato da successivi scontri che
richiamano
sul palcoscenico tutti i protagonisti. Si può
notare
la
struttura ar- R. Focosi, Giuseppe Verdi al tempo di Ernani
ticolata del (1844). Litografia di Gatti e Dura.
discorso mucerto agli spettatori del
sicale che si lega in matempo: «Si risvegli il Leon
niera magnifica con le
di Venezia» si cantava alesigenze della drammalora fra le calle e nei palturgia. Emerge qui, in
chi, ma lo stesso coro fu
maniera sempre più evimutuato a Roma per
dente, accanto al musiciesaltare Pio IX.
sta, il geniale uomo di
Il quarto e ultimo atto è
teatro. E’ in questo atto
probabilmente quello
che Ernani firma la propiù ricco di contrasti. Si
pria condanna conseapre infatti con la gioiognando a Silva il corno
sità delle nozze fra Ernada caccia: «Ecco il pegno:
ni ed Elvira: si respira
nel momento in che Ernaun’atmosfera idillica ma
ni vorrai spento, se uno
all’improvviso il suono
squillo intenderà, tosto
del corno rimanda al
Ernani morirà». Il codice
terribile impegno assund’onore che più volte
to da Ernani. Si torna al
viene evocato in questa
dramma e a nulla valgocomplessa vicenda, qui
no i tentativi di Elvira di
porterà alla morte del
far recedere il vecchio
protagonista, che non
Silva dal proposito di
vorrà
naturalmente
vendetta. Ernani muore
mancare alla promessa
e la sua voce si unisce a
fatta.
quella di Elvira in un ultimo disperato anelito:
il Terzo atto
«Per noi d’amore il talamo,
di morte fu l’altar».
Nel terzo atto, il centrale
Finale precipitato e ine più bello di tutta l’opecalzante, a coronamento
ra, si impone in avvio la
di un’opera nella quale
figura di Carlo. L’arioso
si comincia a intravve“Gran Dio!” è di forte
dere molto del Verdi fuimpatto emotivo e l’aria
turo con le sue geniali
seguente (“De’ verd’anni
intuizioni sceniche e la
miei”) è fra le più celebri
capacità di sfruttare al
del repertorio verdiano
meglio le situazioni più
per l’intensità del fracontrastanti e appassioseggio e l’eleganza con
nate. Di lì a poco sarebcui il musicista asseconbero arrivate opere come
da, con gli strumenti, la
Macbeth, Masnadieri e
voce baritonale del SoLuisa Miller, ardui e riuvrano. Segue la scena
sciti banchi di prova per
della congiura con il cospiccare poi il volo defiro nel celeberrimo “Si rinitivo verso la grande
desti il Leon di Castiglia”
maturità del Rigoletto.
vibrante ed energica pagina “eroica” il cui spiriroberto iovino
to patriottico non sfuggì
8
Ernani
il
Giornale dei Grandi Eventi
L’imperatore sulla cui tomba è ambientato
L’incoronazione di Carlo Magno nella Ba
I
l terzo atto dell’Ernani di Verdi ha inizio davanti alla Tomba di Carlo Magno ad Aquisgrana. Il riferimento all’imperatore del Sacro Romano Impero
evoca in ognuno di noi il ricordo
della Sua incoronazione, avvenuta, com’è noto, nella Basilica di
San Pietro nel giorno di Natale
dell’anno 800.
Erano anni tormentati da guerre
e particolarmente difficili per la
Chiesa. A Roma era morto, nel
Natale del 795, il papa Adriano I
e Carlo re dei Franchi, secondo il
racconto di Eginardo, pianse la
sua dipartita come quella di un
fratello o di un figlio. Il suo successore Leone III era scampato
ad un attentato, il 25 aprile 799,
durante la processione della Litania Maggiore, presso il Palazzo
Carlo Magno
Lateranense. Era stato costretto a
rifugiarsi a Spoleto e da qui in
Germania dal re Carlo, nella città
di Paderbon. Nel corso di questo
viaggio il papa ebbe modo di
constatare l’affermazione del cristianesimo tra i Sassoni, che il re
Carlo aveva aggregato nel 797. Il
re ascoltò Leone III, lo sostenne e
lo prese sotto la sua protezione. Il
papa poteva quindi con le dovute garanzie fare ritorno nell’Urbe,
dove giunse per la festa di Sant’Andrea, il 30 novembre del medesimo anno. Carlo da parte sua
aveva promesso al Papa di venire a Roma per celebrarvi le feste
di Natale dell’anno successivo.
Infatti, nell’agosto dell’anno 800
intraprendeva il grande viaggio
verso Roma.
Il 23 novembre, presso l’antica
città di Nomentum (oggi Mentana) a 12 miglia da Roma, il papa
Leone con rappresentanza del
clero, della milizia e del popolo,
riceveva con onore il re Carlo che
giungeva all’Urbe. Il giorno successivo il re dei Franchi e patrizio
dei Romani, veniva introdotto in
città. L’ingresso non fu com’era
logico da porta Nomentana, ma
dopo aver percorso la cerchia
delle mura, si passò il ponte Milvio per compiere prima di tutto
l’atto di onore e di venerazione
all’Apostolo Pietro nella sua Basilica.
Il papa Leone con il clero, secondo il cerimoniale già attuato nel
774 con Adriano, accolse il re con
il seguito sull’alta gradinata davanti all’ingresso dell’atrio ed insieme poi entrarono solennemente nell’antica Basilica costantiniana, sostituita definitivamente nel 1609 dall’attuale Basilica vaticana. Per il 1° dicembre successivo fu radunato in San Pietro un
sinodo, al fine di fare giustizia circa le accuse calunniose che erano state
rivolte alla persona del
Pontefice. Il re, vestito
della toga e della clamide
di patrizio romano sedeva a fianco del Papa, circondati da tutto il clero e
dai nobili in carica. Carlo
parlò della sua venuta a
Roma per ricomporre
l’ordine turbato nella
Chiesa e per punire coloro che avevano osato tanto contro il Papa.
L’autorità del re Carlo
nell’affermazione del cristianesimo e nella difesa
della Chiesa, già intraprese dal
padre Pipino, nonché il sostegno
dato alla Sede di Roma, sempre
più lontana e trascurata dall’imperatore di Bisanzio, erano realtà
a tutti note. Si giunse in seguito
ad un atto quasi spontaneo ed
immediato nella sua semplicità,
ma ormai preparato ed atteso nel
contesto della nuova situazione
di legami e alleanza in occidente
tra la Santa Sede e la dinastia dei
Franchi. Ci riferiamo alla elevazione al rango di imperatore di
Carlo con il gesto simbolico della
famosa “incoronazione”.
Monumento equestre di Carlo Magno nel portico della Basilica Vaticana
molti riportato, la notte di Natale.
Alla Messa del giorno (Missa “in
die”) celebrata nella Basilica Vaticana era presente il re Carlo con il
suo seguito. Si narra brevemente
che, mentre il re era inginocchiato in preghiera davanti la Confessione di San Pietro, il papa Leone
gli pose sul capo la corona imperiale e con le invocazioni ai Santi
tutti acclamarono tre volte: «A
Carlo piissimo Augusto, coronato da
Dio grande e pacifico imperatore, vita e vittoria”. Il papa lo unse poi
con il crisma – uno degli oli consacrati il Giovedì Santo - insieme
a suo figlio Pipino. Conclusa la
solenne Messa l’Imperatore fece
dono di una mensa argentea e di
altri donativi per il culto, posti
davanti alla Confessione dell’Apostolo. Commenta il Gregorovius: «Nulla ebbe forma più semplice, nulla avvenne mai con più di-
messa apparenza di questo storico atto mondiale».
L’inizio di una tradizione
La cerimonia dell’incoronazione
di Carlo Magno avvenuta con
semplice ritualità divenne la base, pur con ulteriori sviluppi, del
successivo “ordine” per l’incoronazione di un sovrano. Questa fu una delle cerimonie tradizionali del medioevo che avevano inizio sul limitare della Basilica di San Pietro e toccavano il
culmine davanti alla stessa Confessione dell’Apostolo. Di tali riti è testimone antico e specifico
l’Ordo romano XLV, attribuito
all’ultimo decennio circa del secolo IX, che prevedeva tre momenti principali: preces (le orazioni), unctio (l’unzione); coronatio (l’incoronazione).
L’incoronazione
nella mattina di natale
Il Liber Pontificalis e le cronache
del tempo ci riportano al Natale
dell’anno 800. La cerimonia si
svolse la mattina e non, come da
Sarcofago attuale di Ottone II sotto il mosaico con Cristo in trono tra i Santi Pietro e Paolo, mosaico originariamente nel portico dell’antica Basilica presso il sepolcro dell’imperatore Ottone
il
Ernani
Giornale dei Grandi Eventi
9
il terzo atto
asilica di San Pietro
L’Ordo si apre nel contesto di un
sipario che si era già affermato in
precedenza come luogo d’incontro tra il Pontefice e il sovrano,
ossia l’area sopra la gradinata
antistante l’atrio della Basilica.
Qui avveniva il giuramento di
protezione e di fedeltà, che l’Imperatore, rivolto a Dio e a San
Pietro, doveva prestare prima di
accedere alla Chiesa. Officianti,
in ordine crescente di dignità,
erano i vescovi suburbicari di
Albano, Porto e Ostia.
Attraverso l’atrio o portico della
Basilica aveva luogo una prima
stazione o fermata rituale alla
Porta Argentea, cioè quella mediana, appena varcato il limitare.
Qui all’ingresso della navata
centrale il vescovo di Albano
pronunciava la prima preghiera
di benedizione prevista nel rito,
sul capo dell’eletto. Il corteo proseguiva a metà navata, dove
l’eletto veniva a fermarsi proprio
“in medio rotae”, ossia su quel
grande disco rosso di porfido sul
pavimento all’altezza della sesta
colonna ed egli riceveva la seconda benedizione dal vescovo
di Porto.
Il corteo proseguiva poi verso la
Confessione di San Pietro, dove
l’eletto sovrano si prostrava a
terra ed era questo il momento di
grande commozione, in cui l’arcivescovo romano dava avvio alle Litanie di supplica. Al termine
il vescovo di Ostia, il più alto in
dignità, entrava nel suo
ruolo ed ungeva il braccio
destro e le spalle dell’eletto
pronunciando la terza preghiera rituale.
E’ probabile che il Papa,
dopo l’accoglienza all’esterno del sovrano sul
sagrato si recasse alla Confessione ad attenderlo in
Cattedra nell’abside. Qui
l’imperatore saliva e riceveva la corona sul capo dal
Pontefice. Successivamente, seguiva la celebrazione
Leone III incorona come Imperatore re Carlo. Dipinto murale di guido baldo Abbatini
della S. Messa con il solen- Papa
(1633) con successive ridipitture, posto nella volta del peribolo delle Grotte Vaticane
ne canto del Gloria in excelsis Deo. Dopo il Gloria s’indiversi frammenti dell’antico
Ottone I, fu incoronato secondo
tonavano le cosiddette Laudes
disco di porfido rosso.
l’antico rituale nella Basilica Vaossia delle acclamazioni di giuticana da papa Giovanni XIII.
bilo e di assenso per il pontefice
gli altri imperatori
Ancora Ottone III, con il medesie il sovrano, con una finalità
mo rituale, fu incoronato in San
onorifica.
Il rito fu ripreso con solennità in
Pietro il 21 maggio 996 da papa
San Pietro con Ottone I re di GerGregorio V, suo cugino.
La pietra dell’incoronazione
mania, incoronato e unto impeSulla stessa “rota porfiretica”,
ratore dal giovanissimo papa
oggi inserita sul pavimento della
L’uso di fare sosta sul disco di
Giovanni XII il 2 febbraio delnuova Basilica Vaticana, sostaroporfido rosso (rota porphiretica )
l’anno
962.
Ottone
introdusse
no per la benedizione altri impepresenta delle analogie con il riqualche variante e volle che l’unratori e re per essere poi incorotuale bizantino dell’incoronazione fosse compiuta dallo stesnati dal papa, fino a Federico III,
zione in cui il porfido compariso
Pontefice.
Successivamente,
il
incoronato
da Nicolò V il 19
va come la pietra propria degli
24 dicembre 967, vigilia di Natamarzo 1452.
imperatori. Una memoria di
le, Ottone II, dodicenne figlio di
Vittorio Lanzani
questa “rota porfiretica” sopravvive oggi sul pavimento
della navata centrale della nuova basilica di San Pietro. Subito
dopo la grande porta di bronzo
del Filarete, è infatti visibile una
purpurea ruota, ricomposta con
Piccola guida alla scoperta di particolari
legati al Re dei Franchi
Memorie di Carlo Magno
nella Basilica Vaticana
U
n primo ricordo di Carlo Magno si può ammirare alla
estremità meridionale del portico, dove è collocata la statua del fondatore del Sacro Romano Impero, scolpita su
un unico blocco di marmo di Carrara da Agostino Cornacchini
tra il 1720 e il 1725. Sul lato opposto del portico, ai piedi della imponente Scala Regia è il monumento equestre di Costantino, l’altro grande difensore della Chiesa, realizzato da Gian Lorenzo
Bernini tra il 1662 e il 1670.
Sempre nel portico è l’epitaffio di papa Adriano I (772-795), composto per ordine di Carlo Magno dal monaco Alcuino di York. Fu
inciso in lettere dorate in una bottega di Aquisgrana su un marmo nero del Belgio e fu inviato alla Basilica di San Pietro, dove
ancora oggi lo si può ammirare in alto, a destra della Porta della
Morte di Giacomo Manzù.
Sul pavimento della Basilica, all’inizio della navata maggiore, vi
è poi la grande “rota” di porfido rosso, legata, come detto, alla cerimonia dell’incoronazione degli Imperatori in San Pietro, che
ebbe inizio proprio con Carlo Magno nel Natale dell’Ottocento.
Un ultimo ricordo di quella storica incoronazione è in un dipinto
murale eseguito da Guidobaldo Abbatini nel 1633. Si trova nelle
Grotte Vaticane sulla volta del corridoio semianulare che gira attorno alla Confessione di San Pietro.
Sarcofago dell’imperatore Ottone II (in basso a sinistra) nel portico dell’antica basilica di San
Pietro, in un dipinto del 1618 di Giovan Battista Ricci da Novara (Grotte Vaticane, cappella della Madonna delle Partorienti).
Foto: per gentile concessione della Fabbrica di San Pietro in Vaticano
10
Ernani
il
Giornale dei Grandi Eventi
Da Ernani a Falstaff
Il concetto dell’onore nelle opere di Verdi
D
el variegato panorama
sentimentale che anima
la drammaturgia verdiana l’onore, inteso come simbolo
d’integrità morale e dignità
umana, costituisce un elemento
imprescindibile. Sin dall’acerbo
esordio di Oberto, conte di San
Bonifacio, tale concetto trova ampio risalto fornendo sostanza
tragica alla partitura. E’ con Ernani che l’idea dell’onore diviene centrale, quasi un protagonista senza costume, e non a caso
il dramma di Victor Hugo, dal
quale è tratto il libretto dell’opera, porta il titolo Hernani ou l’honneur castillan, a definire i territori di una alterigia tutta mediterranea. Preme qui notare come fautore di un tale altissimo
valore sia un quasi reietto, un
uomo costretto a celare la propria identità dietro la maschera
del bandito per perseguire i propri propositi di vendetta (gli
emarginati dalla società iniziano
qui ad assumere una posizione
che diverrà centrale nella produzione verdiana). Ernani nel finale sacrifica la vita per tener fede alla promessa fatta nel secondo atto con le parole «Ecco il pe-
gno: nel momento in che Ernani
vorrai spento, se uno squillo intenderà, tosto Ernani morirà», in un
atteggiamento di dedizione assoluta che oggi appare quasi
anacronistico.
il contrasto con falstaff
Non si potrebbe immaginare
contrasto più grande con il famoso monologo di Falstaff sull’onore nell’opera omonima. Di
fronte al rifiuto opposto da Bardolfo e Pistola a divenire complici degli intrighi amorosi orditi dal loro elefantiaco compare,
questi prorompe in una tirata
tanto leggera quanto graffiante
(“L’onore! Ladri!”), sostenuta da
un’orchestrazione di volatile levità, intrisa di sagacia shakespeariana filtrata attraverso l’arguzia verbale del librettista Boito. Falstaff, in quanto totalmente
estraneo ai precetti della morale
corrente, si permette il lusso di
distruggere un sentimento che
pareva inattaccabile, scardinando i pilastri del melodramma
romantico italiano. «Che c’è in
questa parola? C’è dell’aria che vola», afferma in maniera sarcasti-
ca e beffarda, delineando l’inconsistenza di un concetto che ai
suoi occhi appare del tutto inutile. Incapace di riempire la pancia e di mendare le tare fisiche,
corrotto da orgoglio e da lusinghe, l’onore fa una ben misera
figura. «L’onore (….) lo gonfian le
lusinghe, lo corrompe l’orgoglio,
l’ammorban le calunnie; e per me
non ne voglio!». In un arco di
tempo relativamente breve, un
mondo è tramontato, mentre la
modernità rivendica prepotente
le proprie esigenze. Verdi, giunto alla fine della sua lunghissima carriera, ripensa in maniera
totale un concetto cardine della
propria opera. Definitivamente
estinti gli ideali risorgimentali
(peraltro in Verdi più presunti
che reali), messo da parte qualsiasi eroismo, l’onore viene spogliato della sua patina mitica
per essere calpestato, strapazzato, deriso e gettato nel fango.
Dietro tutto ciò si coglie l’estremo gesto di un Verdi il quale
può permettersi di guardare indietro senza rinnegare nulla, colorando di suprema ironia il
proprio proverbiale pessimismo. Il motto «tutto nel mondo è
burla» posto a conclusione del
Falstaff rappresenta il congedo
ideale di un uomo che ha dedicato la propria esistenza ad indagare gli abissi dell’animo
umano, il sorriso amaro di un
artista che, dall’alto di un’acquisita saggezza, può permettersi
di filosofeggiare ben sapendo
che il mondo seguiterà ad andare avanti, anche senza di lui, anche spoglio di quegli ideali che
hanno contribuito a formarlo.
ri. cen.
L’ultima rappresentazione 24 anni fa
L’Ernani solo 11 volte al Costanzi
S
olo 11 volte in 131 anni
l’Ernani di verdi è stato
rappresentato al Teatro
dell’Opera di Roma, tre volte
quando era ancora solo il Teatro Costanzi e quindi, poi, otto
volte come Teatro dell’Opera.
La prima rappresentazione fu
ben 38 anni dopo il debutto
dell’opera a Venezia, ovvero il
12 ottobre 1882, con 9 recite
che videro Marino Mancinella
sul podio ed un cast formato
da Enrico Prévost, Enrico Rubirato Alessandro Silvestri ed
Emma Colonna, rispettivamente nei ruoli di Ernani, Don
Carlo, Don Ruy Gomez de Silva ed Elvira.
L’opera, comunque, era già
precedentemente approdata a
Roma in altri teatri, riscuotendo un buon successo, tanto che
l’aria corale “Si ridesti il leon di
Castiglia” era stata dal popolo
romano adattata ad inneggiare
al Papa Pio IX.
Per la cronaca le due edizioni
successive furono guidate da
due direttori che molto lavora-
vano al Costanzi, Edoardo Mascheroni per quella del 31 ottobre 1885 (4 recite) ed Edoardo
Vitale il 9 aprile 1912 per sole
tre rappresentazioni.
Passarono 27 anni e l’opera tornò al Costanzi - che nel frattempo, acquistato nel 1926 dal
governatorato di Roma era divenuto Reale Teatro dell’Opera l’11 febbraio 1939, giorno del
decennale dei Patti Lateranen-
si,con l’orchestra guidata da
Tullio Serafin per 4 serate. Due
anni e l’opera fu nuovamente
in scena il 17 ottobre 1941 per
quattro recite dirette da Giuseppe Baroni.
Guerra e ricostruzione e così
l’Ernani fece ritorno in teatro il
10 febbraio 1951 (4 recite) con
l’orchestra guidata da Gabriele
Santini e tra gli interpreti Boris
Christoff nel ruolo di Don Ruy,
mentre Ernani fu Gino Penno.
Ancora dieci anni prima di riascoltare l’opera, fino cioè al 16
dicembre 1961 con Gabriele
Santini direttore ed un cast con
Mario Del Monaco, Cornell
Mac Neil, Nicola Rossi Lemeni
e Floriana Cavalli.
Mario del Monaco è stato protagonista anche sei anni più
tardi, il 22 marzo 1967, diretto
da Fernando Previtali.
Si va, quindi, al 15 aprile 1970
con ancora Previtali sul podio
per 5 recite. Bruno Bartoletti
diresse, invece, l’edizione
dell’11 aprile 1978 con tra gli
interpreti Renato Bruson
splendido Don Carlo.
Siamo così all’ultima rappresentazione che risale a 24 anni
fa, cioè al 14 marzo 1989 quando la direzione per 8 recite fu
affidata a Giuseppe Patanè,
con interpreti Giuseppe Giacomini, Giorgio Zancanaro (poi
Antonio Salvadori), Dimitri
Kravrakos (poi Carlo Colombara) e Silvia Mosca.
Mic. Ma.
il
Giornale dei Grandi Eventi
Ernani
11
Quinta opera, a cinque anni dal debutto con l’ Oberto
Ernani: l’alba della maturità verdiana
E
rnani è certo il frutto più
fulgido della prima produzione verdiana, l’opera nella quale maggiormente
evidenti appaiono quegli elementi che, filtrati attraverso la
successiva maturità, troveranno in seguito il proprio definitivo compimento. Non a caso
siamo di fronte ad un titolo
che, per usare le parole di Julian Budden, ogni volta che
viene ripreso “non fallisce mai
il colpo”, mai uscito dal repertorio sin dalla prima esecuzione veneziana del 9 marzo 1844.
Con una economia di mezzi
sorprendente, piegando il lessico corrente alle proprie esigenze, Verdi confeziona una
partitura priva di orpelli, nella
quale tutto è semplice e diretto.
Perfettamente consapevole di
ciò, il compositore scrive al direttore di scena Leon Herz in
occasione della prima viennese
del maggio 1844: «La prego di
non permettere tagli. Nulla v’è da
levare e non si potrebbe levare la
frase più piccola senza danneggiare l’assieme». Una presa di posizione in verità frequente da
parte di Verdi, il quale dimostra una sensibilità moderna ed
ostile alla prassi ottocentesca,
insieme ad una fiducia assoluta nel valore del proprio lavoro. Ernani si giova infatti di una
drammaturgia perfettamente
calibrata, in grado di sublimare
le istanze del romanticismo
musicale proiettandole nel futuro. Da questo punto di vista
anche l’adozione di un lessico
ristretto dona compattezza ed
organicità ad una partitura che
corre diretta verso il proprio
scopo. «Avverto solo che io non
amo i tempi larghi», scrive ancora Verdi in relazione ad Ernani,
aggiungendo poi che «è meglio
peccare di vivacità che languire»,
svelando in tale maniera le esigenze di una concertazione rapida, per la quale qualsiasi indugio risulta nocivo.
il Trovatore e Don Carlos:
passioni ispaniche
e sotterranei sepolcrali
Prima opera di ambientazione
ispanica, alla quale seguiranno
poi Il Trovatore, La forza del destino e Don Carlos, quasi a identificare una predilezione geografica da parte del Maestro,
Ernani vive di passioni estreme
dal carattere tipicamente mediterraneo. L’articolazione in
quattro atti, ai quali viene anteposto un titolo per chiarificarne il contenuto, richiama l’analoga struttura del citato Trovatore. L’impiego di un tale schema drammaturgico è in realtà
un’eccezione nella produzione
di Francesco Maria Piave, librettista di Ernani, mentre è
frequente in Salvatore Cammarano che per Verdi elaborò i libretti de La Battaglia di Legnano,
Luisa Miller ed Il Trovatore. Un
modello che si rivela di grande
efficacia, tanto da essere adottato nuovamente in una delle
opere più popolari del Maestro. Il «ritmo prodigioso e veemente», per usare le parole di
Bruno Barilli, accomuna i due
lavori, salvo poi notare come la
trama bizzarra del Trovatore
ponesse maggiori difficoltà dal
punto di vista organizzativo,
generando un libretto non
esente da scompensi e contraddizioni. Come Manrico, Ernani
è il tipico eroe romantico, la cui
alterità viene definita sin dal
principio; il mondo dei gitani,
nomadi per definizione, offre
lo sfondo ideale alle vicende
del trovatore, chiuso nella propria malinconica solitudine,
mentre dietro la maschera banditesca indossata dal reietto Ernani, si cela un Don Giovanni
d’Aragona ansioso di condurre
la rivolta contro il sovrano. Entrambe le opere sono basate sul
tema della vendetta; quella
della zingara, continuamente
evocata dall’immagine del rogo, e quella del vecchio Silva,
perseguita con caparbia ostinazione sino alla tragedia finale.
Dal punto di vista della distri-
buzione dei personaggi, in entrambe le opere abbiamo quattro protagonisti (escludendo il
ruolo di Ferrando nel Trovatore). In linea di massima questi
non subiscono un rilevante
mutamento psicologico nel
corso della vicenda, non evolvono in maniera significativa,
ma mantengono un carattere
potremmo dire “iconico”. Forse il solo Don Carlo in Ernani,
rinunciando al proprio sogno
d’amore e compiendo un atto
di clemenza nei confronti dei
congiurati, mostra una maturazione degna di un sovrano. Abbiamo qui una delle prime
schematiche incursioni nella
tematica del potere, che tanta
importanza avrà nel prosieguo
della produzione verdiana.
Non a caso il terzo atto di Ernani, ambientato nei sotterranei
sepolcrali che rinserrano la
tomba di Carlo Magno in
Aquisgrana, appare come il
luogo più avanzato della partitura. Qui prevalgono i colori
scuri, le pennellate tenebrose
che il Verdi maturo saprà distillare con più alta sapienza.
Anche il monologo del sovrano
sui valori effimeri del potere
prefigura le meditazioni ben
più ampie e profonde del Don
Carlos.
La festa e la Morte
L’antinomia ottocentesca fra
ballo e tragedia trova il suo
precedente più illustre nel Don
Giovanni mozartiano. Dalla festa campestre, durante la quale
il seduttore fa la conoscenza di
Zerlina, alla scena del ballo nel
finale primo, dove avviene lo
smascheramento di Don
Giovanni, sino alla conclusione dell’opera nella
quale la sala festaiola ormai deserta, con l’orchestrina il cui suono rimbomba spettrale nel
vuoto, simbolo della solitudine del libertino, diviene il luogo ideale per
l’ingresso della statua
del
Commendatore,
emissario ineludibile del
mondo infero. Analogamente la maschera nera
che in Ernani si aggira
fra gli invitati alle nozze
è un chiaro presagio di
morte. Al suono del corno l’eroe è costretto ad
uccidersi, per tener fede
ad un giuramento avventato pronunciato in favore
del rivale. La gioia apparente si
muta in dolore, così come in
Un ballo in maschera la festa
rappresenta l’occasione migliore per attuare la congiura politica. Qui il gioco si fa più complesso rispetto ad Ernani. L’antro di Ulrica nel primo atto, il
velo che copre l’identità di
Amelia nel secondo, sono altrettante maniere di trattare il
rapporto fra verità e finzione.
Le musiche da ballo forniscono
il materiale sonoro più duttile
al procedere dell’azione. Nel
Rigoletto la scena si apre su una
festa in corso di svolgimento
nel palazzo. Il contrasto con la
drammaticità del preludio non
potrebbe essere più forte. Ernani e Rigoletto, entrambe tratte
dal mondo fosco di Victor Hugo, condividono ouverture
strumentali dalle connotazioni
simili, capaci di anticipare la
prospettiva tragica comune ai
due lavori, introducendo temi
legati ai momenti cruciali dell’azione: il giuramento fatale di
Ernani e la maledizione che
colpisce Rigoletto. I minuetti,
gli sberleffi, le seduzioni ardite
sono altrettanti espedienti per
cercare di trarre in inganno la
morte; in tale contesto l’ingresso di Monterone, quasi un
Commendatore terreno, introduce il tema della maledizione,
vero motore dell’azione. Come
in Ernani, lo spettatore comprende che è accaduto un qualcosa di irreparabile, le cui conseguenze non tarderanno a
manifestarsi,
conducendo
l’azione verso il suo inevitabile
epilogo.
riccardo cenci
Ernani
12
il
Giornale dei Grandi Eventi
Il difficile debutto del dramma di Hugo alla bas
La “Battaglia di Hernani ”, tra rivoluzione stil
L
a
prima
del
dramma Hernani
di Victor Hugo
alla Comédie-Française
(25 febbraio 1830) costituisce una data fondamentale nella storia
artistica dell’Ottocento
francese. Se è vero che i
grandi
avvenimenti
culturali hanno sempre
una valenza politica (e
viceversa), non è esagerato affermare che in
quell’occasione la conquista del Théâtrefrançais da parte dei
Romantici - vale a dire
del tempio della tradizione drammatica francese – riflette in campo
estetico, a 41 anni di distanza, la presa della
Bastiglia. Ma, in che
modo l’evento arrivò a
suscitare una controversia di tale portata
pratica e simbolica?
Tra fine Sette e inizi Ottocento la Rivoluzione
francese e l’epopea napoleonica avevano violentemente scosso l’Europa scavando tra la
società moderna e
quella dell’Antico Regime un solco profondo, e il ritorno dei Borboni sul trono di Fran-
cia nel 1814-15 aveva
inutilmente tentato di
rimettere indietro le
lancette dell’orologio
della storia (è il tema
de Il rosso e il nero di
Stendhal). A ciò corrispose un radicale rinnovamento di modelli
e contenuti in campo
artistico. Nel 1830 le
correnti che chiamiamo
romantiche sono già da
tempo dominanti anche in Francia, dove
pure la resistenza dei
moduli classici è stata
più forte che altrove.
Hernani, vessillo
estetico del romanticismo
In letteratura, nell’arte
e nel teatro il popolo,
gli umili, sono sempre
più di moda, così come
lo sono i reietti e i banditi, sulla scia del successo europeo dei Masnadieri di Schiller
(opera che Verdi metterà in musica nel 1847
su libretto di Andrea
Maffei). Ed è una figura di bandito (ancorché
di nobili origini, come
si scoprirà nel quarto
atto) quella del protagonista del dramma di
Hugo: un giovane outsider dotato del fascino
e dell’energia della gioventù, una «forza che
va» nella quale i giovani del 1830 si sono
identificati con entusiasmo. E’ così che Hernani è potuto diventare
un vessillo della rivoluzione morale e politica, oltre che estetica,
propugnata dai Romantici contro la generazione precedente ancora saldamente arroccata nella difesa di
equilibri e forme tradizionali.
La redazione dell’opera richiese a Hugo meno d’un mese, tra l’agosto e il settembre 1829.
Il lavoro venne accettato dal comitato di lettura della Comédie-Française e le prove presenziate dall’autore –
all’epoca la figura del
regista non esisteva ancora nei termini in cui
noi la conosciamo – cominciarono in dicembre. Ma, l’impresa della
messa in scena si rivelò tutt’altro che facile,
anche se Hugo si dimostrava disposto a seguire i consigli degli atto-
Victor Hugo
ri accettando di modificare qua e là il proprio
testo. Resta che quegli
attori erano abituati alla gestualità, alla dizione ed allo stile classici.
Così, un verso come:
Vous êtes mon lion, superbe et solitaire («voi
siete il mio leone, superbo
e solitario») poteva essere giudicato sconve-
La première d'Hernani al Théâtre Français di Parigi il 25 febbraio 1830 in un quadro di Albert Besnard (1849-1934).
niente e la grande attrice Mademoiselle Mars,
cui era stato affidato il
ruolo di Doña Sol (l’Elvira di Verdi e Piave),
non volle pronunciarlo.
Analogamente, presso
il pubblico delle prime
rappresentazioni avvezzo alla rigida sublimazione della tragédie
classique, l’evocazione
di dettagli fisici quali il
mantello bagnato di
pioggia di Hernani o il
freddo che ciò deve
procurare al personaggio (a. I, sc. 2) potevano
scatenare il riso e dar
luogo a infinite parodie. Un altro esempio
d’una simile incompatibilità fra gusti mutati
si ha alla fine della festa di nozze dell’ultimo
atto, quando Hernani e
Doña Sol si scambiano
commenti sull’ora tarda e sul sollievo che
causa loro la partenza
degli invitati: vedere
sulla scena due eroi di
alto lignaggio, in costume spagnolo del Cinquecento, che parlano
come una qualunque
coppia di borghesucci
innamorati, questo era
inaccettabile per i classicisti. Per altro a Mademoiselle Mars, già
oltre la cinquantina,
il
Ernani
Giornale dei Grandi Eventi
13
se del libretto di Piave
istica e rivoluzione politica
viene attribuito il ruolo
di una diciassettenne,
ed anche gli altri attori
che interpretano i ruoli
principali hanno parecchi lustri in più dei personaggi concepiti da
Hugo (l’unico che, coerentemente, interpreta
la figura d’un personaggio attempato - Don
Ruy Gomez de Silva - è
il celebre Joanny). Un
simile scarto tra le età
degli interpreti e dei
personaggi è molto più
d’un dato meramente
contingente e riflette la
realtà delle tensioni in
atto. Hugo, giovane
quasi come i suoi personaggi (non è ancora
trentenne), già reputato
come uno dei capifila
della nuova scuola poetica, non manca d’ambizione e si rende conto
che la recita può diventare l’occasione per assestare un colpo decisivo alla drammaturgia
tradizionale e ai suoi
sostenitori. Dal canto
loro, i partigiani dello
stile classico sono scan-
dalizzati dal fatto che
un’opera che trasgredisce bellamente i dettami
della tragedia classica,
che mescola toni tragici
e grotteschi, sia rappresentata nel luogo deputato alla grande tradizione teatrale francese
risalente a Corneille. A
ciò si aggiungono implicazioni direttamente
politiche. La distinzione
fra classiques e romantiques è diventata, dalla
metà degli anni ‘20, la
contrapposizione fra
conservatori e liberali. E
questo alla vigilia della
rivoluzione del luglio
1830 che spazzerà via la
monarchia reazionaria
di Carlo X per sostituirla con quella liberale di
Luigi Filippo d’Orléans.
il debutto parigino
Perciò la sera della prima alla Comédie-Française diventa un vero e
proprio scontro epocale. Se i tradizionalisti si
apprestano a fischiare
ed a far cadere la pièce,
Il tema dell’Hernani in una stampina ottocentesca.
anche Hugo ha preparato le sue truppe. Tra i
suoi difensori si trovano alcune delle figure
più significative tra i
grandi scrittori romantici: Théophile Gautier
(che per l’occasione
sfoggia un provocatorio
gilet rosso), Alexandre
Dumas, Gérard de Nerval. Tutti ricevono, come segno di appartenenza al gruppo degli
amici di Hugo, un biglietto d’entrata nominativo di colore rosso
con su scritto la parola
Hierro (ferro). Alla fine,
malgrado i tentativi di
chi aveva voluto trasformarla in un fiasco,
la rappresentazione si
risolverà in un trionfo e
le recite proseguiranno
suscitando enorme interesse e clamore.
rivolta ed esclusione
Ambientato in una Spagna
romanticamente
flamboyante all’inizio del
Cinquecento, Hernani
mette in scena il conflitto fra tre uomini innamorati della stessa donna (un sottotitolo, poi lasciato
cadere,
recitava
Tres para una): un
bandito, un re, un
grande di Spagna.
La scelta a favore
del bandito da parte
di Doña Sol esprime
il trionfo, quanto
mai romantico, dell’amore, della bellezza e della giovinezza sui valori del
potere, della ricchezza e dell’età veneranda che risultano così screditati.
Sennonché la vittoria dell’amore si rivela precaria e, in
fondo, illusoria. Il
suono del corno del
vecchio Don Ruy
Gomez, che, alla fine, viene a pretendere il rispetto della
promessa fatta da
Hernani, ristabilisce
il primato dell’onore (L’onore castigliano è il sottotitolo
definitivo dell’opera) e
strappa crudelmente i
due giovani al loro sogno d’amore. Così il
senso del dramma rischia di rovesciarsi su
se stesso e la morte finale degli amanti finisce
per esprimere simbolicamente
un’intima
quanto necessaria vocazione alla sconfitta della
loro rivolta contro le
convenzioni. Su un altro
piano, l’inestinguibile
antagonismo tra la coppia giovanile e l’ordine
costituito (colto a sua
volta nella trasformazione in atto da una monarchia a un impero) allude alla problematicità della relazione tra individuo e potere, tipica
dell’Ottocento: una relazione più “democratica” rispetto al secolo
precedente, ma ancora
tutta da inventare, continuamente oscillante
tra lo slancio dell’utopia
e la coscienza della disillusione. In effetti, se
la Rivoluzione francese
ha fatto rotolare sul patibolo delle teste coronate ed ha portato il popolo al potere, la Restaurazione che è seguita ha preteso d’imporre
un ritorno all’ordine. E
tutta la storia politica
francese, da Napoleone
alla III Repubblica, non
ha fatto che confrontarsi
con il problema della legittimità
dell’assetto
post-rivoluzionario.
Quanto a Verdi – sia
detto di sfuggita - si capisce come abbia potuto
essere attratto, più o
meno consapevolmente,
da un simile plot. Con i
suoi eroi che dai bassifondi riescono ad ascendere alle vette sociali
ma che sono poi di nuovo respinti giù, che devono espiare, come una
sorta di colpa, la loro
condizione - si pensi in
particolare alla Traviata
o, altro calco hugoliano,
a Rigoletto -, anch’egli,
come Hugo, propone
l’identificazione emotiva in personaggi i quali, alla fine, scontano
nella sconfitta o nella
morte l’autenticità del
loro sentimento e la perdurante estraneità a un
ordine sociale che li
esclude.
gianni iotti
Ordinario di
Letteratura francese
all’Università di Pisa
Ernani
14
il
Giornale dei Grandi Eventi
Spigolature d’opera narrate da un protagonista che porta lo stesso nome
Ernani racconta il suo rapporto con Ernani
A
bbiamo chiesto all’ex Sovrintendente al Teatro dell’Opera di Roma Francesco
Ernani, in carica per quasi 10 anni,
dal luglio 1999 al marzo 2009, ed
ora alla guida del Comunale di Bologna, di raccontare alcuni aneddoti legati alla singolare casualità di
trovarsi con questo nome a svolgere
l’attività di dirigente proprio nel
mondo dell’opera.
_____________________
“Ernani”, sia come nome che
come cognome mi ha accompagnato in tutto il percorso
della mia vita da ragazzo sino
ad oggi.
La prima volta che ho pensato al
significato del nome “Ernani” è
stato nella prima classe della
scuola media inferiore Betteloni
che frequentavo a Verona. L’insegnante di lettere, facendo l’appello mi disse «è lei Ernani, il famoso bandito?» Rimasi stupito e
non risposi. A casa, mia madre
mi parlò dell’opera lirica Ernani,
della sua trama e mi fece pure
ascoltare l’aria “Ernani involami”
da uno dei diversi dischi a 33 giri che avevamo in casa. Da quel
momento nacque il mio interesse per l’Opera, come forma d’arte del nostro Paese, che trovò
spazio nella mia vita, già venendo selezionato come comparsa,
all’Arena di Verona all’età di 15
anni e nei due anni successivi,
nelle opere Aida, Carmen e Tosca.
I lavori di Giuseppe Verdi li ho
sempre considerate come perfetto esempio di ciò che, in mancanza di termini più specifici,
viene definita l’italianità.
L’opera, infatti, nata a Firenze,
corrispondeva al desiderio di
un genere consentaneo alla natura, alle tendenze artistiche ed
al carattere morale della nostra
popolazione.
E questi aspetti mi sono stati
sempre confermati nel corso
della mia attività di dirigente
nei Teatri d’opera del nostro
Paese, che ho guidato dal 1971
ad oggi, con particolare riferimento all’attività in trasferta all’estero.
Ho sempre avvertito il miracolo dell’immedesimazione e della commozione che la musica
di Verdi, alimentata dall’editore Ricordi, seppe creare durante il Risorgimento. E proprio
artisti indimenticabili che infiammarono i cuori del pubblico. Ricordo che una sera che minacciava di piovere, prima della
recita dell’Ernani, andai nel camerino del maestro De Fabritis
per rappresentargli il pericolo
della sospensione della recita e
l’obbligo di restituire il costo del
biglietto al pubblico. Il Maestro,
mi sorrise, e mi disse: «Ernani,
Il regista e scenografo Pietro Zuffi, Federico Fellini e Francesco Ernani
l’opera giovanile Ernani, vide il
pubblico veneziano 9 marzo
1844 che al marziale “Si ridesti
il Leon d’Castiglia”, si sono sentiti prudere le mani, come pure
nei successivi Teatri dove
l’opera fu realizzata. Va ricordato che a Roma il marziale
predetto si trasformò in una lode al Papa Pio IX.
La prima volta che ho seguito la
realizzazione dell’opera Ernani,
nelle sue diverse fasi, dal progetto alla sua produzione, è stato nel 1972 all’Arena di Verona,
dove avevo l’incarico di Direttore Amministrativo. L’opera aveva la regia di Herbert Graf e le
scene ed i costumi di Luciano
Minguzzi, direttore d’orchestra
Oliviero De Fabritis. Ernani era
interpretato da Franco Corelli
ed Elvira da Ilva Ligabue, due
Il soprano greco Dimitra Theodossiu e Francesco Ernani
non si preoccupi, questa sera dirigerò con tempi tanto veloci che il primo atto finirà in anticipo, così il
Teatro non dovrà rimborsare nessuno». Non ho mai dimenticato
quelle parole. Ricordo che la recita si svolse regolarmente, grazie ad un cielo che aveva trasferito in altro luogo le tante nuvole della serata.
Non posso poi dimenticare la
produzione di Ernani de La Scala nel 1981, ove avevo l’incarico
di Segretario Generale. Non
mancarono problemi diversi
durante le prove e gli spettacoli
realizzati con la regia di Ronconi le scene di Frigerio e la direzione d’orchestra affidata a Riccardo Muti, per la prima volta a
La Scala. La prima recita ebbe
problemi per gli artisti ed anche
contestazioni del pubblico sul
piano registico. Nell’intervallo
accompagnai il presidente della
Repubblica Pertini a salutare gli
artisti. Quando Placido Domingo, eccezionale Ernani, uscì dal
camerino mi disse «Ernani, chì di
noi due è il vero Ernani», gli risposi: «caro Placido”, tu sei il falso,
io sono il vero» e, sorridendo, lo
presentai al Presidente.
Altro ricordo è a Bologna nel
maggio 2011, dopo pochi mesi
che ero stato nominato Sovrintendente, trovai nella programmazione del Teatro l’opera Er-
nani con il tenore Rudy Park, il
soprano Dimitra Theodossiou, il
basso Ferruccio Furlanetto, la
regia di Beppe De Tomasi e le
scene ed i costumi di Francesco
Zito. L’opera era stata programmata anche nella prevista trasferta in Giappone nel settembre 2011. Le recite a Tokyo, ebbero un grande successo, ma io
le ricorderò perche prima di
ogni recita, entravo in palcoscenico, e giustificavo la sostituzione del tenore Salvatore Licitra,
deceduto per l’incidente in Sicilia, con il tenore Roberto Aronica e poi auguravo al pubblico di
superare i difficili problemi del
terremoto che aveva colpito gravemente il Giappone nel mese
di marzo, terminando con le parole «Gambarè Nippon» che significano «Forza Giappone». Non
mancarono mai lunghi applausi
ed anche l’alta qualità dell’esecuzione musicale, affidata al M°
Renato Palumbo insieme all’eccezionale cast, furono apprezzati da pubblico e critica.
Un altro importante ricordo relativo a progetti dell’opera Ernani, riguarda l’incontro con Federico Fellini a Verona, in Arena,
nel 1988, ove si replicava l’opera
Aida con la regia, scene e costumi di Pietro Zuffi. Fellini amico
di Zuffi venne in Arena e, dopo
la recita, l’ospitai a cena in un
noto ristorante di Piazza delle
Erbe. Nell’occasione gli proposi
di assumere la regia dell’opera
Ernani che avrei voluto inserire
nel cartellone della stagione
2000. Mi rispose che ci avrebbe
pensato. Nel successivo mese di
settembre, gli scrissi al riguardo,
per proporgli il contratto. Lui
mi telefonò e mi disse: «grazie
Ernani, ma non mi sento, come regista, di affrontare il compito nell’opera». E così il mio sogno di
avere Fellini a Verona, non si
realizzò.
Sono ora felice che l’opera Ernani, ancora diretta da Muti,
apra la nuova stagione del Teatro dell’Opera della nostra Capitale. Durante la mia Sovrintendenza a Roma questo titolo
non è mai rientrato nei progetti discussi e poi approvati. Spero di riuscire ad essere presente al Costanzi come spettatore
e poter godere delle suggestioni della produzione e dei suoi
cori risorgimentali.
francesco Ernani
Sovrintendente Teatro
Comunale di Bologna
il
Giornale dei Grandi Eventi
Dal mondo della Musica
15
Al Teatro Massimo di Palermo
Sette opere per una stagione 2014
che apre con Feuersnot di Strauss
D
opo la Traviata che ha debuttato il 21 novembre
scorso, con un’ottima Desirée Rancatore nei panni di Violetta, anche se con scene un po’ semplici firmate Chantal Thomas in un
allestimento del Teatro Regio di
Torino per la regia di Laurent Pelly, il Teatro Massimo di Palermo,
ancora commissariato, si avvia
verso la nuova stagione che si aprirà il 18 gennaio con un nuovo allestimento del Massimo dell’opera
Feuersnot di Richard Strauss (debuttò a Dresda nel 1901), con la regia della siciliana Emma Dante e la
direzione del maestro Gabriele
Ferro. Una stagione che conta tre
nuove produzioni interne sui 9 titoli proposti, di cui 7 opere. A febbraio debutterà un nuovo allesti-
mento dell’Otello di Verdi, con le
scene firmate da Nicola Rubertelli
e la regia di Henning Rockhaus.
Sul podio Renato Palumbo e nel
cast il tenore Stuart Neill (Otello),
Julianna Di Giacomo (Desdemona) e Giovanni Meoni (Jago). Nuova produzione anche per il Don
Giovanni di Mozart, in scena dal
16 marzo con la versione della prima esecuzione a Vienna nel 1788,
che si differenzia da quella per il
debutto a Praga dell’anno precedente soprattutto per la chiusura
con la discesa agli inferi di Don
Giovanni e non con il concertato
con gli altri personaggi. Sul podio
Stefano Ranzani. Nel ruolo del
protagonista Carlos Alvarez, mentre Leporello sarà Marco Vinco. A
giugno (17) torna la Norma di Bel-
lini con un allestimento che
viene da Stoccarda, ambientato durante la Resistenza, in una chiesa abbandonata dove si ritrova un
gruppo di partigiani. Protagonista
il soprano ungherese Csilla Boross
già applaudita nel 2011 a Roma nel
Nabucco diretto da Muti. Dopo
l’estate, dal 17 settembre La fille
du régiment di Donizetti nello storico allestimento realizzato nel
1959 da Franco Zeffirelli proprio
per il Massimo, con la regia di Filippo Crivelli. Nei panni della protagonista Marie debutta nel ruolo
Desirée Rancatore, affiancata dal
tenore Celso Albelo (Tonio). Ad
ottobre, dal 19, la prima italiana di
Švanda, dudàk, volksoper del ceco-americano Jaromìr Weinberger
(1896-1967) in una colorata produzione del Semperoper di Dresda.
Weinberger scrisse questo lavoro
nel 1926 su solide basi tardo-romantiche aperte alle mode del
tempo. Un’opera divenuta molto
celebre nella prima metà del Novecento, entrando anche nel repertorio concertistico. A chiudere la
stagione d’opera, dal 18 novembre
la Tosca di Puccini con un elegante allestimento del Maggio Musicale Fiorentino. Protagonisti il soprano Hui He (Floria Tosca), con il
tenore Stefano secco (Cavaradossi)
ed il baritono Ionut Pascu (Scarpia.
Sul podio Daniel Oren.
Ti. alf.
In libreria
Nel Bicentenario, su Verdi tante proposte e ristampe importanti
I
l Bicentenario verdiano, è stato ovviamente un
momento di fiorire di volumi in libreria: Molti titoli nuovi – che abbiamo in parte già presentato - e qualche riedizione di classici intramontabili che hanno trovato, magari nelle edizioni economiche un rilancio di interesse.
E’ questo il caso di quello che può essere definito
la “summa” dello studio dei lavori del “cigno di
Busseto”, ovvero Le opere di Verdi di Julian Budden (1924 – 2007), opera pubblicata per la prima
volta in Inghilterra nel 1973 e quindi tradotta in
Italiano con grande metodo scientifico, da un team di ben 12 traduttorim ed uscita nel 1995 in
edizione rilegata, per la EDT di Torino. Ora finalmente questo testo fondamentale per la conoscenza verdiana, viene riproposto in brossura ed
in edizione economica (tre volumi acquistabili
singolarmente € 20 a tomo) nella collana Reprints, sempre della torinese EDT.
Il primo volume esamina dall’opera di debutto,
l’Oberto, Conte di San Bonifacio (1839) al Rigoletto
(1851); il secondo tomo affronta dal Trovatore
(1853) alla Forza del destino (1862); mentre il terzo
volume è dedicato al periodo tra il Don Carlos
(1867) ed il Falstaff (1893).
Colpisce la completezza del racconto, la profondità di analisi ed il peso storiografico in questi tre
volumi che contano un totale di circa 1800 pagine, opera del musicologo Julian Budden (suo anche un importante ed ottimo volume su Puccini
edito per i tipi della Carocci), il quale tra l’altro è
stato per anni presidente, fin dalla fondazione nel
1996, del attivo Centro Studi Giacomo Puccini di
Lucca. L’autore, come nel più puro stile anglosassone, ha basato molto del lavoro su dati certi
come le lettere. Il racconto risulta, comunque, agile, interessante, ricco di particolari e soprattutto
autorevole, scivolando nel molto tecnico quando
serve di affiancare al testo esempi musicali. Dunque, soprattutto con questa edizione economicamente meno impegnativa, ma estremamente
completa - anzi aggiornata rispetto alle precedenti - è un’opera da avere sicuramente in libreria.
Julian Budden – LE OpErE di VErDi – 3 volumi (pag. 600 - 601 - 629) – Edizioni EDT – giugno
2013 - € 20,00 a volume.
_______________
Forse non tutti i melomani sanno che dal
1867 al 1901 Verdi ebbe casa stabile a Genova, dove trascorse abitualmente gli inverni
in un clima più adatto
ai suoi gusti. A Genova fu talmente legato,
da destinare nel suo
testamento quattro generosi lasciti ad altrettanti istituti assistenziali della città.
Ed a Genova sono custodite 154 fra lettere e biglietti a firma di Verdi e Giuseppina Strepponi.
Questo interessante corpus di documenti è stato appena pubblicato in un libro “Verdi, le lettere genovesi” a cura di Roberto Iovino e Raffaella
Ponte ed inserito nei Quaderni dell’Istituto Nazionale di Studi Verdiani che firmano in apertura due saggi introduttivi (rispettivamente
“Verdi & Genova” e “Documenti verdiani genovesi:
divagazioni archivistiche”). Al volume, realizzato
grazie al Comitato Nazionale delle Celebrazioni verdiane, è allegato un DVD che raccoglie le
riproduzioni dei manoscritti originali di Verdi,
mentre nel cartaceo sono proposte le trascrizio-
ni con un importante commentario.
giuseppe Verdi – LE LETTERE GENOVESI, a
cura di roberto iovino e raffaella ponte - pagine 184 (in allegato DVD) - istituto nazionale di
Studi Verdiani, parma - Euro 19,90
Ti. alf.
Filatelia Musicale
Verdi e La Fenice
in dentelli
E
stato emesso il 10
ottobre proprio nel
giorno del bicentenario della nascita di
verdi, il francobollo dedicato all’autore di questo Ernani. Finalmente
una elaborazione grafica
accattivante del bozzettista Fabio Abbati di un
soggetto divenuto abusato nella sua iconografia piuttosto omogenea. Il “dentello” è stato
stampato in rotocalco, con quattro colori più
l’oro su carta patinata autoadesiva per tre milioni e 285 mila esemplari. Due milioni e ottocentomila esemplari è invece la tiratura del
francobollo emesso il 9 novembre per celebrare il decimo anniversario della riapertura
del Teatro La Fenice di Venezia del 14 dicembre 2003, dopo il devastante incendio doloso
che lo distrusse quando era temporaneamente chiuso per lavori di manutenzione, il
29 gennaio 1996. La Fenice, tra le tante opere,
vide il debutto proprio dell’Ernani di Verdi, il
9 marzo 1844. Il francobollo è realizzato in
quadricromia nel formato “quadrotto” di
mm 48 x 40 ormai classico per la serie tematica “Il Patrimonio artistico e culturale italiano” e
come vignetta riporta l’interno del Teatro.
fr. pic.
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