anno XiX - numero 84 - 27 novembre 2013 L’Intervista Parla il direttore Riccardo Muti A Pag. 2 La Storia dell’Opera La prima opera di Verdi fuori da La Scala, inizio dei drammi di passione A Pag. 6 L’Analisi Musicale Sentimenti contrapposti per una varietà musicale A Pag. 7 Da Carlo Magno Le Incoronazioni imperiali in San Pietro A Pag. 8e9 La fonte del libretto Quell’Hernani di Hugo contestato al suo debutto A Pag. 12 e 13 Ernani di Giuseppe Verdi 2 Ernani il Giornale dei Grandi Eventi Inaugurazione di stagione a rischio sciopero. Il maestro Muti parla di Ernani «Un’opera che ruppe con il passato, difficile per l’orchestra» S scagni nel 1995/’96, La Fiamma di Respighi nel 1997/’98, la Marie Victoire ancora di Respighi nel 2004 ed ora l’Ernani. La scena è dominata da una struttura unica, un muro centrale fisso con due carrelli laterali che muovono altrettante architetture continuazioni di questo grande muro che le proiezioni riescono a trasformare in interni od esterni, con l’aggiunta magari di elementi figurativi gotici. Una grande grata di pietra scende poi nel finale quarto atto a sovrapporsi allo sfondo. A Roma Ernani mancava da 24 anni, dal 14 marzo 1989. «E’ un’opera che si esegue poco perché dal punto di vista orchestrale è estremamente difficile», spiega Riccardo Muti, il quale proprio con quest’opera di fatto debuttò nel suo lungo rapporto con la Scala, inaugurando la stagione 1982/’83 con un cast stellare: Placido Domingo, Renato Bruson, Nicolai Ghiaurov e Mirella Freni. «E’ un’opera – continua il 72enne direttore napoletano – che rappresenta un fatto nuovo nel panorama musicale, perché con quest’opera Verdi si allontanò dal mondo drammatico-oratoriale di Rossini (vedi il Mosè) e preromantico di Donizetti e Bellini dove l’interesse è per due personaggi e protagonista è l’amore. Nell’Ernani, invece, il 1° atto è concepito come una passerella di personaggi, i quali poi tutti insieme costruiscono l’azione drammatica, molto più che nelle opere precedenti. E’ un primo passo verso la Trilogia dove ci sarà un vero scavo dei personaggi. Il “Preludio” che è una pagina di due minuti, molto interessò Dimitri Mitropulos (Atene 1896- Milano 1960, ndr), uno dei grandi direttori del ‘900 che spesso lo eseguì all’inizio dei suoi concerti. Verdi qui usa elementi melodici che definiscono la situazione. Inizia con suoni di tromba e trombone a sottolineail G iornale dei G randi Eventi re il “pegno” che ci sarà tra SilDirettore responsabile va ed Ernani. I temi del destino in Verdi sono temi circolari e la Andrea Marini grandezza di Verdi sta in quelDirezione Redazione ed Amministrazione lo che riesce a definire in poche Via Courmayeur, 79 - 00135 Roma note: non è leggerezza, ma ese-mail: [email protected] senzialità». «Poi – riprende Editore A. M. Muti – ci sono i pezzi corali Stampa: Tipografica Renzo Palozzi straordinari, come per tutti il Via Vecchia di Grottaferrata, 4 - 00047 Marino (Roma) “Si ridesti il leon di CastiRegistrazione al Tribunale di Roma n. 277 del 31-5-1995 glia”, subito mutato dai vene© Tutto il contenuto del Giornale è coperto da diritto d’autore ziani in “Si ridesti il leon di San Marco”, un brano divenuVisitate il nostro sito internet to anche pezzo immancabile del www.ilgiornalegrandieventi.it coro dell’Armata Rossa». dove potrete leggere e scaricare i numeri del giornale andrea Marini olo nelle ultime ore di lunedì 25 novembre scorso, dopo l’incontro fiume in Campidoglio con il Sindaco, è arrivata la notizia della revoca dello sciopero, indetto dalle organizzazioni sindacali del Teatro, che avrebbe messo in pericolo non solo la“prima”, ma tutte le repliche di questo Ernani. Uno sciopero indetto per protestare contro la pesante situazione economica che metterebbe il Teatro a rischio commissariamento. Commissariamento che porterebbe a drastici ridimensionamenti, anche perché pure dal colle capitolino c’è la volontà di rivedere il forte finanziamento al l’Opera che è di 20 milioni contro i 7 erogati, ad esempio, dal Comune di Milano al Teatro Alla Scala. Non sono più tempi di massiccio assistenzialismo pubblico se non si risana l’amministrazione. Dunque, ora si va in scena, anche se al momento di andare in stampa è ancora tramontata la possibilità che salti qualche replica. Ma passando all’aspetto artistico, questo Ernani rappresenta la quinta opera di Verdi, la prima che debuttò fuori da La Scala, andando in scena al Teatro La Fenice di Venezia il 9 marzo 1844, a distanza di cinque anni dalla prima opera l’Oberto, conte di San Bonifacio, ma anche - è curioso notarlo- a due anni esatti (era lo stesso 9 marzo) dal Nabucco. Questo nuovo allestimento, realizzato in collaborazione con la Sydney Opera House, porta la firma per regia, scene e costumi dell’argentino Hugo De Ana, 64 anni, che proprio a Roma fece il suo debutto in Italia nel 1991 con l’Ermione di Rossini. De Ana è alla sua quarta regia di apertura della Stagione dell’Opera di Roma, dopo l’Iris di Ma- Stagione d’Opera 2013 -2014 del Teatro dell’Opera di roma 30 gennaio - 6 febbraio L’EnfanT ET LES SOrTiLEgES L’HEurE ESpagnOL di Maurice Ravel Charles Dudoit Laurent Pelly Direttore Regia 27 febbraio - 8 marzo ManOn LEScauT di Giacomo Puccini Riccardo Muti Chiara Muti Direttore Regia 28 marzo - 8 aprile MaOMETTO ii Direttore Regia, scene e costumi di Gioachino Rossini Roberto Abbado Pier Luigi Pizzi 8 - 14 maggio L’ELiSir D’aMOrE di Gaetano Donizetti Donato Renzetti Ruggero Cappuccio Direttore Regia 18 - 28 giugno carMEn Direttore Regia di Georges Bizet Emmanuel Villaume Emilio Sagi 4 luglio THE prODigaL SOn Direttore Regia di Benjamin Britten James Conlon Mario Martone 21 - 31 ottobre rigOLETTO di Giuseppe Verdi Renato Palumbo Leo Muscato Direttore Regia ~~ La Locandina ~ ~ Teatro Costanzi 27 novembre - 1 dicembre 2013 Ernani Dramma lirico in quattro parti Libretto di Francesco Maria Piave dal dramma di Victor Hugo Prima rappresentazione: Venezia, Teatro La Fenice, 9 marzo 1844 Musica di Giuseppe Verdi Direttore Riccardo Muti Regia, scene e costumi Hugo de Ana Maestro del Coro Roberto Gabbiani Personaggi / Interpreti Ernani (T) Don Carlo (Bar) Don Ruy Gomez de Silva (B) Elvira (S) Giovanna (S) Don Riccardo (T) Jago (B) Francesco Meli Luca Salsi Ildar Abdrazakov / Ildebrando D’Arcangelo Tatiana Serjan / Anna Pirozzi Simge Büyükedes Antonello Ceron Gianfranco Montresor ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO DELL’OPERA Nuovo allestimento in coproduzione con Sydney Opera House ~ ~ La Copertina ~ ~ Il Tintoretto (Domenico Robusti) (1560-1635): Ritratto di uomo il Ernani Giornale dei Grandi Eventi D opo il rischio di scioperi, questa stagione 2013/’14 dell’Opera di Roma si apre con un titolo che mancava dal Costanzi da quasi un quarto di secolo. L’Ernani , andato in scena per la prima volta a Venezia il 9 marzo 1844, è un’opera quasi spartiacque tra i lavori giovanili e quelli della maturità di Verdi, il quale la compo- se a 30 anni, come quinta sua opera. Un melodramma ambientato nella Spagna del 1519, con un Re Carlo che storicamente diverrà poi, due anni più tardi, il grande imperatore Carlo V, melodramma ricco di arie e di grandi momenti corali, come “Si ridesti il leon di Castiglia” nel terzo atto, che diverrà inno di ideali più diversi, da quelli dei veneziani, a quelli dei romani , i quali anni più tardi ne fecero un’esaltazione dell’illuminato pontefice Pio IX. Questo nuovo allestimento è stato realizzato con la regia, le scene ed i costumi dell’argentino Hugo De Ana, sempre capace di far discutere, il quale si è avvalso di scene “scolpite” arricchite e mutate da proiezioni. Sul podio il maestro Riccardo Muti, che di fatto chiude con questo titolo il Bicentenario verdiano dell’Opera di Roma, in un anno che ha visto proprio lui dirigere, prima di questo, tre lavori del cigno di Busseto, il Simon Boccanegra (apertura della scorsa stagione il 27 novembre 2012), I due Foscari ed il Nabucco. A cantare sarà un cast molto legato a Muti, che 3 Le Repliche Venerdì 29 novembre, h. 20,00 Domenica 1 dicembre, h. 16,30 Martedì 3 dicembre, h. 20,00 Martedì 10 dicembre, h. 20,00 Giovedì 12 dicembre, h. 20,00 Sabato 14 dicembre, h. 18,00 già sono stati in palcoscenico a Roma per l’Attila (stagione 2011/’12) I Due Foscari ed il Nabucco. Una apertura con Ernani, opera che mancava a Roma da 24 anni aTTO i – Il Bandito - La vicenda si svolge in La Trama Spagna nel 1519 – Sulle montagne d’Aragona, Ernani , a capo di un gruppo di banditi, è ansioso di sollevare la rivolta contro il re Don Carlo, per vendicare l’uccisione del padre. Il bandito è innamorato di Elvira che lo ricambia, ma è promessa al vecchio zio, don Ruy Gomez de Silva. Al castello dei Silva già si trova in incognito Don Carlo, re di Spagna, anch’egli innamorato di Elvira , ma lei lo respinge. Di fronte all’insistenza di Don Carlo per condurla con sé, la fanciulla gli strappa dalla cintola il pugnale, pronta a difendere il proprio onore. Da un uscio compare Ernani per proteggere Elvira. Entra Silva, il quale, stupito vedendo la donna promessa insidiata da due uomini, li sfida. A questo punto irrompe Riccardo che, riconoscendo il sovrano, s’inchina. Carlo dice di essere venuto per chiedere l’aiuto del nobile Silva per l’elezione al trono imperiale, facendo allontanare Ernani affermando che fa parte del proprio seguito. Il giovane cova propositi di vendetta, mentre Elvira gli promette fedeltà. tizia del rapimento, Ernani svela che Don Carlo è un rivale in amore. I due stringono un patto per la lotta contro il Re, ma Silva non perdona. Ernani consegna un corno da caccia a Silva: quando vorrà la sua morte, non dovrà che suonarlo tre volte e lui si toglierà la vita. aTTO iii - La Clemenza - Ad Aquisgrana, ne i sotterranei del sepolcro che custodisce le spoglie di Carlo Magno, si nasconde Don Carlo con l’intento di sorprendere i congiurati capeggiati da Ernani. Questi, appreso che il Re aspira al trono imperiale, ne decretano la morte e traggono a sorte chi tra loro dovrà compiere materialmente l’assassinio. Viene estratto Ernani. Silva sarebbe disposto a perdonarlo, a condizione di poter essere lui a compiere tale gesto, ma Ernani rifiuta. Mentre tutti prestano di nuovo giuramento (“Si ridesti il leon di Castiglia”) con un patto d‘odio contro il Re, tre colpi di cannone annunciano l’elezione di Carlo ad Imperatore. Questo, allora, esce allo scoperto gettando nel panico i congiurati e condannando subito i plebei alla prigione ed i nobili a morte. Ernani, iniaTTO ii – L’Ospite - La rivolta è fallita ed Ernani, travestito da zialmente identificato tra i plebei, svela i suoi nobili natali e s’idenpellegrino, si rifugia nel castello di Silva. Il padrone di casa, per do- tifica come il conte Don Giovanni D’Aragona, rivendicando così il vere di ospitalità, accoglie il viandante. Ma Ernani, non appena sco- suo diritto alla morte. A tal vedere, Elvira supplica l’Imperatore per pre il motivo della festa in corso per le imminenti nozze con Elvira, un gesto di pietà. Carlo la accontenta, concedendo la vita ai consvela la sua identità di bandito in fuga e offre come dono di nozze giurati e offre la bella Elvira in sposa ad Ernani, mentre Silva mela propria vita. Ernani ha un breve incontro con Elvira la quale gli dita vendetta. confessa di aver acconsentito alle nozze dopo notizie che lo davano morto, ma con il proposito di togliersi la vita il giorno stesso delle aTTO iV - La Maschera - A Saragoza, nel palazzo di don Gionozze. I due innamorati si abbracciano, Così li sorprende Silva che vanni D’Aragona, durante la festa nuziale, viene notato un uomo vorrebbe vendicare il suo onore, ma al castello intanto giunge Don mascherato che si aggira tra gli invitati. Mentre gli sposi abbandoCarlo in cerca del bandito. Silva, ritenendo ogni ospite sacro, fa na- nandosi alla gioia si accingono ad entrare nella stanza nuziale, si scondere Ernani e si rifiuta di consegnarlo. A tal diniego il Re fa per- odono in lontananza i tre suoni di corno. Silva si toglie la maschelustrare il castello, ma invano. Sopraggiunge Elvira ad invocare pie- ra e chiede la vita di Ernani. Invano il giovane cerca di commuotà; il Re, dunque, si allontana prendendo Elvira quale pegno della verlo per convincerlo a rinunciare alla vendetta: gli viene concesso fedeltà di Silva. Questi, allora, apre il nascondiglio per battersi con solo di scegliere fra pugnale o veleno. Ernani, tenendo fede alla Ernani, ma lui non vuole duellare con un uomo vecchio, preferendo promessa fatta, si infila la lama nel petto. Elvira sviene sul corpo la morte, ma chiedendo di vedere per l’ultima volta Elvira. Alla no- esanime, mentre Silva, appagato, esulta. il Giornale dei Grandi Eventi Ernani 5 Luca Salsi Francesco Meli Don Carlo, re di Spagna, anche lui innamorato di Elvira Ernani, bandito innamorato, in realtà Conte Giovanni d’Aragona A E’ l baritono Luca Salsi è affidato il ruolo del Re di Spagna Don Carlo. Nato a San Secondo Parmense (PR) nel 1975 si è diplomato in canto presso il conservatorio Boito di Parma e si è perfezionato con il baritono Carlo Meliciani. Nel 1997 ha debuttato presso il Comunale di Bologna nella Scala di Seta di Rossini. Nel 2000 ha vinto il premio assoluto al concorso Viotti di Vercelli, iniziando così un’intensa attività. Nella stagione 2008/09 ha preso parte a diverse produzioni tra cui Il Corsaro al Festival Verdi di Parma, La Bohème, al Carlo Felice di Genova, I Pagliacci, al teatro lirico di Cagliari ha continuato poi con la stagione 2009/10 interpretando con grande successo la Traviata, Falstaff, L’Elisir d’Amore, Ernani e Lucia di Lammermoor. Nel 2012 consensi ne L’Elisir d’amore (Bilbao), Rigoletto (Trieste) e Don Carlo ne La Forza del destino (Buenos Aires). In questo ruolo ha inaugurato a Barcellona la scorsa stagione. Nel marzo scorso all’Opera di Roma ha cantato la parte del Doge Foscari ne I Due Foscari e quindi a luglio nel Nabucco nel ruolo del protagonista. Ildar Abdrazakov e Ildebrando D’Arcangelo Silva, anziano e vendicativo promesso sposo S ono i bassi ildar abdrazakov ed ildebrando D’arcangelo a cantare nei panni di Don Ruy Gomez de Silva. ildar abdrazakov, nato nel 1976 a Ufa (Russia), ha studiato presso l’Istituto delle Arti. Vincitore di diversi concorsi. Nel 1998 è entrato a far parte dei Solisti del teatro Marinskij di San Pietroburgo, dove ha debuttato il ruolo di Figaro ne Le nozze di Figaro. Nell’ottobre 2000 vinse il primo premio al Concorso Internazionale Maria Callas della RAI che lo ha avviato alla carriera internazionale, portandolo nel 2001 a debuttare al Teatro alla Scala con La Sonnambula, teatro dove è tornato per La forza del destino, Sansone e Dalila, Macbeth, Fidelio, Iphigenie en Aulide, Moïse, Carmen, Lucia di Lammermoor. Nel suo repertorio La sonnambula, Don Giovanni, La forza del destino, Lucia di Lammermoor, Carmen, Semiramide, Il Turco in Italia, Anna Bolena, L’Italiana in Algeri, Il barbiere di Siviglia, L’assedio di Corinto, Faust, Luisa Miller, Attila, Don Carlo, Oberto, Il trovatore, Norma, Les Contes d'Hoffmann. Durante la stagione 2012/13 ha cantato Mefistofele a San Francisco, Il barbiere di Siviglia a Monaco, Don Carlo a Torino, Don Giovanni alla Wienerstaatsoper, alla Washington National Opera ed al MET di New York, dove è poi tornato con Le nozze di Figaro. In concerti ha interpretato Ivan il terribile di Prokof’ev con la Deutsche Symphony Orchestra a Berlino ed il Requiem di Verdi in varie occasioni. ildebrando D’arcangelo, vincitore sia nel 1989 che nel 1991 del concorso internazionale Toti dal Monte, ha debuttato nei primi anni novanta in Così fan tutte e Don Giovanni. La musicalità e la profondità psicologica delle sue performance hanno subito attirato l'attenzione di direttori quali Claudio Abbado, Riccardo Chailly, Myung – Whun Chung, Sir John Eliot Gardiner, Daniele Gatti, Riccardo Muti, Antonio Pappano e Sir Georg Solti. Il suo vasto repertorio comprende opere di Bellini, Berlioz, Boito, Donizetti, Händel, Stravinskij, Verdi, Mozart e Rossini. Recentemente ha cantato in Don Giovanni, Carmen e il Requiem di Verdi e Don Pasquale alla Lyric Opera di Chicago, La Cenerentola e Le nozze di Figaro a Vienna. I suoi prossimi impegni lo vedranno nel Faust di Gounod alla Deutsche Oper di Berlino e in nuova produzione di Don Giovanni per il Festival di Salisburgo nella prossima estate. il tenore francesco Meli a cantare come Ernani. Nato a Genova nel 1980, ha iniziato gli studi di canto a diciassette anni e nel 2002 ha debuttato con Macbeth di Verdi. Nello stesso anno ha cantato come solista nella Petite Messe Solennelle di Rossini e nella Messa di gloria di Puccini, trasmessa dalla RAI durante il Festival dei Due Mondi di Spoleto. Meli ha calcato con successo i più importanti palcoscenici italiani ed europei. Nel 2005 ha inaugurato le stagioni del Teatro alla Scala con Idomeneo di Mozart, del Carlo Felice con Don Giovanni di Mozart, del Rossini Opera Festival in una nuova produzione di Bianca e Falliero. Inoltre è stato interprete di recital solistici a Londra, Tokyo, Oslo, Poznan e del Requiem di Verdi sotto la direzione di Gatti, Maazel, Noseda e Temirkanov. Torna ora a cantare all’Opera di Roma sotto la bacchetta di Muti dopo essere stato nel novembre 2012 Gabriele Adorno in Simon Boccanegra, quindi nel marzo scorso il figlio del Doge Jacopo Foscari ne I Due Foscari, ed a luglio Ismaele nel Nabucco. Tatiana Serjan ed Anna Pirozzi Elvira, fanciulla contesa da tre pretendenti A cantare nel ruolo della protagonista femminile Elvira sono i soprano Tatiana Serjan e anna pirozzi. Tatiana Serjan è nata a San Pietroburgo, dove ha cominciato gli studi musicali in pianoforte presso il Collegio Musicale e in seguito al Conservatorio. Si è perfezionata in Italia all’Accademia delle Voci di Torino con Franca Mattiucci. Nel 1994 ha debuttato all’Opera Studio di San Pietroburgo nella Traviata, dove ha poi cantato ne La bohéme e Così fan tutte; nel 1997 è stata diretta dal Maestro Rostropovič con la San Pietroburgo Philarmonic Society. Nel 2001 è stata finalista in alcuni concorsi di canto internazionali tra i quali Viotti di Vercelli, The Golden Sophit di San Pietroburgo con la nomina “The best women’s role in musical theater”, e Una voce per Verdi di Ispra nel 2002. Il suo debutto in Italia è stato al Regio di Torino nel dicembre 2002 nel ruolo di Lady Macbeth. Ha debuttato Aida al Festival di Bregenz, I due Foscari a Parma e Modena. Ha partecipato al concerto finale del Festival di Ravenna, poi ripreso a Bosra (Siria) trasmesso dalla RAI, cantando un’ampia selezione di Norma sotto la guida di Muti, sotto la cui direzione si è esibita nel Requiem di Verdi a Londra ed a Tolosa con la Philarmonia Orchestra. All’Opera di Roma è stata ne La battaglia di Legnano e nel Macbeth del novembre 2011 andato poi al Festival di Salisburgo (2012). Sempre al Costanzi l’abbiamo sentita lo scorso anno in maggio in Tatiana Serjan e Francesco Meli Attila (Odabella) e quindi a marzo, nel ruolo di Lucrezia Contarini ne I Due Foscari, fino a luglio nel Nabucco come Abigaille, sempre diretta da Muti. Nata a Napoli nel 1975, anna pirozzi ha iniziato gli studi di canto presso l’Istituto Musicale Pareggiato della Valle d’Aosta. In seguito si è perfezionata al Conservatorio G. Verdi di Torino con il soprano Silvana Moyso e frequenta Masterclass con Daniela Dessì, Mirella Freni, Luciana D’Intino, Rockwell Blake e Sylvie Valayre, partecipando poi ad un corso di perfezionamento per cantanti lirici al Wien Konservatorium di Vienna.Vincitrice assoluta della XXX edizione del Concorso Mattia Battistini a Rieti, la sua attività ha inizio nel 2007 quando venne selezionata per un concerto di arie verdiane. Particolarmente congeniale le è il ruolo di Abigaille nel Nabucco che debuttato al Trentino Opera Festival. È stata Desdemona in Otello di G. Verdi nei teatri di Aosta, Biella, Asti e Sanremo. Pagina a cura di Tina Alfieri Ernani 6 il Giornale dei Grandi Eventi Storia dell’opera Comincia con Ernani il «molto fuoco» del dramma di passioni S iamo nel 1843. Con Nabucco e I Lombardi alla prima crociata, Giuseppe Verdi si è imposto sulla scena operistica nazionale e non solo. I grandi talenti del teatro italiano si stanno, pian piano, defilando: Rossini vive ormai a Parigi e non compone per il palcoscenico dal 1829, Bellini è morto nel 1835, Donizetti, ormai malato. Verdi si fa strada, con fatica, prova il gusto dell’ambizione (Oberto, Conte di San Bonifacio, 1839) poi quello della cocente delusione (Un giorno di regno, 1840); ma va avanti. Firma con l’impresario Bartolomeo Merelli, attivo alla Scala dal 1829 al 1850, il contratto per quattro titoli a Milano e proprio qui “sfonda” con Nabucco (1842) - opera che gli apre la strada del successo e della celebrità che viene ripreso a Vienna, al teatro di Porta Carinzia, già l’anno successivo. Proprio mentre si trova a Vienna, Verdi riceve una lettera dal conte Alvise Francesco Mocenigo, presidente agli spettacoli del Gran Teatro La Fenice, con la quale gli viene chiesta un’opera nuova per Venezia. In realtà, la proposta arriva contemporaneamente a Donizetti, Mercadante, Nini e Pacini, ma, è noto, la simpatia del Mocenigo va al giovane Bussetano. Verdi, accettando, coglie l’occasione per staccarsi da Merelli, un po’ perché dopo il successo di Nabucco non vuole rischiare un ulteriore fiasco su un palcoscenico importante come La Scala dopo quello di tre anni prima con Un giorno di regno, ma anche perché sta gradualmente perdendo la fiducia nell’impresario milanese. Verdi accetta l’ingaggio e fissa da subito le condizioni economiche - 12.000 lire austriache in tre rate uguali, la prima all’arrivo del compositore in città, la seconda alla prima prova Facciata del Teatro La fenice di Venezia in una stampa del 1792 d’orchestra, la terza alla fine della prova generale precisando che consegnerà lo strumentale dell’opera solo dopo le prove al cembalo e lo spartito completo entro l’antiprova generale. Ma aggiunge la condizione che I Lombardi siano rappresentati nello stesso teatro. La scelta del soggetto A questo punto rimane solo la scelta del soggetto. Le idee, al principio, sono tante: si parte da Re Lear che rimarrà un sogno nel cassetto per tutta la vita artistica del compositore e da Il Corsaro, (che debutterà 5 anni più tardi a Trieste) per il quale La Fenice non possiede un palcoscenico abbastanza grande ed un baritono all’altezza. Verdi si mette, così, alla ricerca di un dramma che abbia come protagonista una donna e suggerisce La fidanzata di Abido di Byron, poi pensa di ispirarsi alla storia di Caterina Howard, quinta moglie di Enrico VIII e da lui decapitata; passa dunque ad un altro personaggio, Cola di Rienzi, dal romanzo di Bulwer-Lytton Rienzi, the last of the Roman tribunes, quindi a La caduta dei Longobardi, forse ispirato all’Adelchi di Manzoni ed infine ai Due Foscari di Byron. Vuole a tutti i costi un libretto «grandioso e nell’istesso tempo appassionato» in cui «siavi molto fuoco, azione moltissima e brevità» e propone come collaboratore il librettista Cammarano, illustre esponente della nuova scuola romantica, o Solera, od ancora il genovese Bancalari. La presidenza della Fenice boccia però le proposte e opta per Cromwell di Victor Hugo, la cui “selva” (così si definiva un progetto di sceneggiatura, n.d.r.) era stata offerta, a suo tempo, da un tal Francesco Maria Piave, poeta muranese, amico del segretario della Fenice Guglielmo Brenna. Ma Verdi non si fida. Chi è mai questo Piave? Un esordiente, quindi non certo al livello di Felice Romani o dello stesso Cammarano e, per di più, rischioso da un punto di vista economico, visto che, da contratto, toccherà proprio al compositore retribuirlo. Ma, nonostante le perplessità, accetta e da questo momento inizia con Piave un sodalizio destinato a durare quasi vent’anni, fino alla Forza del destino (1862). Un’amicizia tormentata, un rapporto burrascoso in cui il giovane poeta subisce dal “furioso” compositore sferzate, critiche, rimbrotti, lagnanze, fin’anche insulti. Eppure tra i due è da subito simpatia e la collaborazione si dimostra assai proficua. Nel frattempo si cambia di nuovo idea e dal Cromwell si passa ad un Allan Cameron, presumibilmente a causa di un veto della censura, timorosa di possibili interpretazioni antilegittimiste del dramma di Hugo. Ma anche del Cameron non se ne fa nulla, nonostante Piave abbia già terminato il lavoro; Mocenigo suggerisce finalmente Hernani, sempre di Hugo, che tredici anni prima aveva fatto scalpore a Parigi con un debutto turbolento. Sprona, così, lo scoraggiato Piave e con lui decide la scaletta del libretto: la compressione dei primi due atti del dramma originale nel primo dell’opera, il taglio melodrammatico della successione di arie di sortita. Cambiamenti importanti rispetto alla fonte (scontento fu proprio Hugo) che arriveranno ad investire anche il titolo, mutato più volte nelle rappresentazioni degli anni a venire. «Libertà nell’arte, libertà nella società», scriveva lo stesso Hugo. Verdi si infiamma. Basta alla costruzione “a spettacolo” di meyerbeeriana memoria, in cui il grandioso apparato scenografico soffoca ogni altro aspetto. Largo invece al dramma di passioni. Il 30 novembre 1843 Verdi arriva nella “Regina della Laguna”. Ma Venezia non gli piace: «è bella, è poetica, è divina, ma...io non ci starei volentieri». Tanto più che la censura comin- cia a tessere la sua trama: titolo inadatto, troppe allusioni alle congiure carbonare, e via discorrendo. Verdi si scoraggia e non l’aiuta di certo la rovinosa caduta, a dicembre, de I Lombardi in quella stessa Fenice. «Uno di quei fiaschi veramente classici», sorte che tocca però a tutte le altrui opere in cartellone. Terrore, insicurezza, disperazione: «questi veneziani si aspettano non so che cosa», scrive preoccupato. Ad una settimana dalla Prima di Ernani del 9 marzo 1844 - rimandata di un paio di mesi per impegni del tenore Guasco - le scene non sono ancora pronte e i costumi lasciano molto a desiderare: a nulla portano le vibranti proteste di compositore e librettista se non ad un avviso al pubblico incluso sul manifesto, in cui si segnala la presenza di tre scene di ripiego. La recita ha tuttavia un esito inaspettato. La gazzetta letteraria Il Gondoliere riporta la cronaca di uno straordinario successo, con il pubblico sovreccitato dai messaggi “rivoluzionari” e commosso dalle imprese del banditoamante. Brillante risultato, a dispetto anche del cast, che quella sera non diede certo il meglio di sé: il tenore Guasco (Ernani) ha una «raucedine che spaventa», mentre il soprano, il drammatico di agilità Sophie Johanna Loewe, eccessivamente nervosa, stona a più non posso. Eppure questo è l’inizio di una ragguardevole diffusione europea di Ernani, le cui primissime tappe sono Londra (1845) e Parigi (1846). Vale la pena sottolineare che è proprio alla rappresentazione parigina che Hugo eleva rimostranze tali da imporre il cambiamento di titolo (diventa Il Proscritto di Venezia) e ambientazione: troppa spettacolarizzazione e ricerca del bell’effetto, secondo lui, banalizzano il testo. Barbara catellani il Giornale dei Grandi Eventi Ernani 7 Analisi Musicale Sentimenti contrapposti per una varietà musicale E’ Da segnalare già nell’indetto genere delle opere noto l’amore nucisivo Preludio, il tema nere, di quei lavori, cioè, trito tutta la vita del corno che appare a nei quali si sottolineavada Verdi per connotare l’atmosfera no gli aspetti più oscuri Shakespeare, il «papà di dell’intera opera con un e tenebrosi del romantitutti noi», come affettuosenso di mistero e torna cismo europeo. samente lo chiamava. Ed sinistro e minaccioso nel Dopo l’esperienze risorè altrettanto nota l’amfinale a decretare la morgimentali, Verdi, insommirazione che Victor te di Ernani. ma, cominciava a guarHugo provava per il Bardare in direzione diverdo, il solo da lui consideil primo atto sa e il testo hughiano gli rato capace di fondere dava possibilità espresgrottesco e sublime, terIn apertura dopo un cosive straordinarie: l’amribile e buffo, tragedia e ro dei banditi spavaldo bientazione in un’epoca commedia. Naturale e rude, Ernani ha la sua lontana (il Cinquecento), quindi che, a un certo prima aria rilevante, l’amore per la stessa momento della propria una delle pagine più cedonna di tre uomini fiecarriera, Verdi si sia rilebri dell’opera: “Come ramente contrapposti volto al teatro di Hugo rugiada al cespite”. Dall’uno agli altri per motinel quale trovava non la eleganza e dallo spirivazioni politiche, il ribelsolo caratteri shakespeato quasi belliniano della lismo e il banditismo coriani, ma quel gusto per melodia non emerge me fenomeno di protela duplicità e complessitanto il fuorilegge quansta che fonde insieme la tà dei caratteri che lo afto l’uomo innamofascinava particolarrato che pensa alla mente. sua Elvira. Ernani costituì, dunPresentato il proque, il primo incontagonista, nella tro fra Verdi e Huscena successiva go, cui sarebbe setocca alla donna, guito l’altro, ancor al centro dell’intripiù rilevante, per Ricato scontro fra goletto. La scelta di uomini. “Ernani, Ernani fu particolarErnani involami” mente felice: l’appacanta Elvira in rizione del testo del una pagina condrammaturgo frantrassegnata da ritcese, nel 1830, aveva mi contrastanti ed suscitato a Parigi un agili virtuosismi. acceso dibattito danLa scena successido il via ufficiale alva porta al primo la corrente romanticoncertato dramca, a tre anni dalla matico. Carlo fa celebre prefazione al visita improvvisa Cromwell in cui lo a Elvira, dichiara stesso Hugo aveva il suo amore, Elviposto l’accento sul ra lo respinge e ir“grottesco”, una carompe Ernani. tegoria espressiva Locandina della prima assoluta dell’Ernani, il Verdi è abile nel assolutamente nuo- 9 marzo 1844 al Teatro La Fenice di Venezia rendere i tumulva, ignota ai classici tuosi sentimenti che anicoralità e l’individualità e fondamentale nel romano i tre personaggi e (tematica poi ripresa nei manticismo. Grottesco costruisce una pagina di Masnadieri), il codice che sarà elemento caratforte effetto drammaturd’onore cavalleresco. Interistico del teatro di gico. L’arrivo di Silva gredienti diversi, conHugo e di Verdi. porta alla conclusione trapposti che garantivadel primo atto, ma prino una varietà di atteg“Le opere nere” ma Verdi, con una felice giamenti musicali. idea teatrale, inserisce L’opera, in quattro atti, L’Ernani verdiano, coun canto “a sé” di Silva secondo una prassi già struito sul libretto di che ci dà la dimensione seguita dallo stesso VerFrancesco Maria Piave, intima del personaggio, di, propone un titolo per alla sua prima collaborail suo travaglio interiore: ogni atto, lo scopo dei zione con il musicista un gioco interessante di quali è di suggerire una (ne sarebbe diventato contrasti che offre l’imsorta di unità drammapoi un fedele compagno magine di un personagturgica: Il bandito, L’ospite, di viaggio per molti angio “cattivo”, ma animaLa clemenza, La maschera. ni) appartiene al cosid- to anche da una profonda umanità. il Secondo atto E’ ancora il coro ad aprire il seatto, condo contrassegnato da successivi scontri che richiamano sul palcoscenico tutti i protagonisti. Si può notare la struttura ar- R. Focosi, Giuseppe Verdi al tempo di Ernani ticolata del (1844). Litografia di Gatti e Dura. discorso mucerto agli spettatori del sicale che si lega in matempo: «Si risvegli il Leon niera magnifica con le di Venezia» si cantava alesigenze della drammalora fra le calle e nei palturgia. Emerge qui, in chi, ma lo stesso coro fu maniera sempre più evimutuato a Roma per dente, accanto al musiciesaltare Pio IX. sta, il geniale uomo di Il quarto e ultimo atto è teatro. E’ in questo atto probabilmente quello che Ernani firma la propiù ricco di contrasti. Si pria condanna conseapre infatti con la gioiognando a Silva il corno sità delle nozze fra Ernada caccia: «Ecco il pegno: ni ed Elvira: si respira nel momento in che Ernaun’atmosfera idillica ma ni vorrai spento, se uno all’improvviso il suono squillo intenderà, tosto del corno rimanda al Ernani morirà». Il codice terribile impegno assund’onore che più volte to da Ernani. Si torna al viene evocato in questa dramma e a nulla valgocomplessa vicenda, qui no i tentativi di Elvira di porterà alla morte del far recedere il vecchio protagonista, che non Silva dal proposito di vorrà naturalmente vendetta. Ernani muore mancare alla promessa e la sua voce si unisce a fatta. quella di Elvira in un ultimo disperato anelito: il Terzo atto «Per noi d’amore il talamo, di morte fu l’altar». Nel terzo atto, il centrale Finale precipitato e ine più bello di tutta l’opecalzante, a coronamento ra, si impone in avvio la di un’opera nella quale figura di Carlo. L’arioso si comincia a intravve“Gran Dio!” è di forte dere molto del Verdi fuimpatto emotivo e l’aria turo con le sue geniali seguente (“De’ verd’anni intuizioni sceniche e la miei”) è fra le più celebri capacità di sfruttare al del repertorio verdiano meglio le situazioni più per l’intensità del fracontrastanti e appassioseggio e l’eleganza con nate. Di lì a poco sarebcui il musicista asseconbero arrivate opere come da, con gli strumenti, la Macbeth, Masnadieri e voce baritonale del SoLuisa Miller, ardui e riuvrano. Segue la scena sciti banchi di prova per della congiura con il cospiccare poi il volo defiro nel celeberrimo “Si rinitivo verso la grande desti il Leon di Castiglia” maturità del Rigoletto. vibrante ed energica pagina “eroica” il cui spiriroberto iovino to patriottico non sfuggì 8 Ernani il Giornale dei Grandi Eventi L’imperatore sulla cui tomba è ambientato L’incoronazione di Carlo Magno nella Ba I l terzo atto dell’Ernani di Verdi ha inizio davanti alla Tomba di Carlo Magno ad Aquisgrana. Il riferimento all’imperatore del Sacro Romano Impero evoca in ognuno di noi il ricordo della Sua incoronazione, avvenuta, com’è noto, nella Basilica di San Pietro nel giorno di Natale dell’anno 800. Erano anni tormentati da guerre e particolarmente difficili per la Chiesa. A Roma era morto, nel Natale del 795, il papa Adriano I e Carlo re dei Franchi, secondo il racconto di Eginardo, pianse la sua dipartita come quella di un fratello o di un figlio. Il suo successore Leone III era scampato ad un attentato, il 25 aprile 799, durante la processione della Litania Maggiore, presso il Palazzo Carlo Magno Lateranense. Era stato costretto a rifugiarsi a Spoleto e da qui in Germania dal re Carlo, nella città di Paderbon. Nel corso di questo viaggio il papa ebbe modo di constatare l’affermazione del cristianesimo tra i Sassoni, che il re Carlo aveva aggregato nel 797. Il re ascoltò Leone III, lo sostenne e lo prese sotto la sua protezione. Il papa poteva quindi con le dovute garanzie fare ritorno nell’Urbe, dove giunse per la festa di Sant’Andrea, il 30 novembre del medesimo anno. Carlo da parte sua aveva promesso al Papa di venire a Roma per celebrarvi le feste di Natale dell’anno successivo. Infatti, nell’agosto dell’anno 800 intraprendeva il grande viaggio verso Roma. Il 23 novembre, presso l’antica città di Nomentum (oggi Mentana) a 12 miglia da Roma, il papa Leone con rappresentanza del clero, della milizia e del popolo, riceveva con onore il re Carlo che giungeva all’Urbe. Il giorno successivo il re dei Franchi e patrizio dei Romani, veniva introdotto in città. L’ingresso non fu com’era logico da porta Nomentana, ma dopo aver percorso la cerchia delle mura, si passò il ponte Milvio per compiere prima di tutto l’atto di onore e di venerazione all’Apostolo Pietro nella sua Basilica. Il papa Leone con il clero, secondo il cerimoniale già attuato nel 774 con Adriano, accolse il re con il seguito sull’alta gradinata davanti all’ingresso dell’atrio ed insieme poi entrarono solennemente nell’antica Basilica costantiniana, sostituita definitivamente nel 1609 dall’attuale Basilica vaticana. Per il 1° dicembre successivo fu radunato in San Pietro un sinodo, al fine di fare giustizia circa le accuse calunniose che erano state rivolte alla persona del Pontefice. Il re, vestito della toga e della clamide di patrizio romano sedeva a fianco del Papa, circondati da tutto il clero e dai nobili in carica. Carlo parlò della sua venuta a Roma per ricomporre l’ordine turbato nella Chiesa e per punire coloro che avevano osato tanto contro il Papa. L’autorità del re Carlo nell’affermazione del cristianesimo e nella difesa della Chiesa, già intraprese dal padre Pipino, nonché il sostegno dato alla Sede di Roma, sempre più lontana e trascurata dall’imperatore di Bisanzio, erano realtà a tutti note. Si giunse in seguito ad un atto quasi spontaneo ed immediato nella sua semplicità, ma ormai preparato ed atteso nel contesto della nuova situazione di legami e alleanza in occidente tra la Santa Sede e la dinastia dei Franchi. Ci riferiamo alla elevazione al rango di imperatore di Carlo con il gesto simbolico della famosa “incoronazione”. Monumento equestre di Carlo Magno nel portico della Basilica Vaticana molti riportato, la notte di Natale. Alla Messa del giorno (Missa “in die”) celebrata nella Basilica Vaticana era presente il re Carlo con il suo seguito. Si narra brevemente che, mentre il re era inginocchiato in preghiera davanti la Confessione di San Pietro, il papa Leone gli pose sul capo la corona imperiale e con le invocazioni ai Santi tutti acclamarono tre volte: «A Carlo piissimo Augusto, coronato da Dio grande e pacifico imperatore, vita e vittoria”. Il papa lo unse poi con il crisma – uno degli oli consacrati il Giovedì Santo - insieme a suo figlio Pipino. Conclusa la solenne Messa l’Imperatore fece dono di una mensa argentea e di altri donativi per il culto, posti davanti alla Confessione dell’Apostolo. Commenta il Gregorovius: «Nulla ebbe forma più semplice, nulla avvenne mai con più di- messa apparenza di questo storico atto mondiale». L’inizio di una tradizione La cerimonia dell’incoronazione di Carlo Magno avvenuta con semplice ritualità divenne la base, pur con ulteriori sviluppi, del successivo “ordine” per l’incoronazione di un sovrano. Questa fu una delle cerimonie tradizionali del medioevo che avevano inizio sul limitare della Basilica di San Pietro e toccavano il culmine davanti alla stessa Confessione dell’Apostolo. Di tali riti è testimone antico e specifico l’Ordo romano XLV, attribuito all’ultimo decennio circa del secolo IX, che prevedeva tre momenti principali: preces (le orazioni), unctio (l’unzione); coronatio (l’incoronazione). L’incoronazione nella mattina di natale Il Liber Pontificalis e le cronache del tempo ci riportano al Natale dell’anno 800. La cerimonia si svolse la mattina e non, come da Sarcofago attuale di Ottone II sotto il mosaico con Cristo in trono tra i Santi Pietro e Paolo, mosaico originariamente nel portico dell’antica Basilica presso il sepolcro dell’imperatore Ottone il Ernani Giornale dei Grandi Eventi 9 il terzo atto asilica di San Pietro L’Ordo si apre nel contesto di un sipario che si era già affermato in precedenza come luogo d’incontro tra il Pontefice e il sovrano, ossia l’area sopra la gradinata antistante l’atrio della Basilica. Qui avveniva il giuramento di protezione e di fedeltà, che l’Imperatore, rivolto a Dio e a San Pietro, doveva prestare prima di accedere alla Chiesa. Officianti, in ordine crescente di dignità, erano i vescovi suburbicari di Albano, Porto e Ostia. Attraverso l’atrio o portico della Basilica aveva luogo una prima stazione o fermata rituale alla Porta Argentea, cioè quella mediana, appena varcato il limitare. Qui all’ingresso della navata centrale il vescovo di Albano pronunciava la prima preghiera di benedizione prevista nel rito, sul capo dell’eletto. Il corteo proseguiva a metà navata, dove l’eletto veniva a fermarsi proprio “in medio rotae”, ossia su quel grande disco rosso di porfido sul pavimento all’altezza della sesta colonna ed egli riceveva la seconda benedizione dal vescovo di Porto. Il corteo proseguiva poi verso la Confessione di San Pietro, dove l’eletto sovrano si prostrava a terra ed era questo il momento di grande commozione, in cui l’arcivescovo romano dava avvio alle Litanie di supplica. Al termine il vescovo di Ostia, il più alto in dignità, entrava nel suo ruolo ed ungeva il braccio destro e le spalle dell’eletto pronunciando la terza preghiera rituale. E’ probabile che il Papa, dopo l’accoglienza all’esterno del sovrano sul sagrato si recasse alla Confessione ad attenderlo in Cattedra nell’abside. Qui l’imperatore saliva e riceveva la corona sul capo dal Pontefice. Successivamente, seguiva la celebrazione Leone III incorona come Imperatore re Carlo. Dipinto murale di guido baldo Abbatini della S. Messa con il solen- Papa (1633) con successive ridipitture, posto nella volta del peribolo delle Grotte Vaticane ne canto del Gloria in excelsis Deo. Dopo il Gloria s’indiversi frammenti dell’antico Ottone I, fu incoronato secondo tonavano le cosiddette Laudes disco di porfido rosso. l’antico rituale nella Basilica Vaossia delle acclamazioni di giuticana da papa Giovanni XIII. bilo e di assenso per il pontefice gli altri imperatori Ancora Ottone III, con il medesie il sovrano, con una finalità mo rituale, fu incoronato in San onorifica. Il rito fu ripreso con solennità in Pietro il 21 maggio 996 da papa San Pietro con Ottone I re di GerGregorio V, suo cugino. La pietra dell’incoronazione mania, incoronato e unto impeSulla stessa “rota porfiretica”, ratore dal giovanissimo papa oggi inserita sul pavimento della L’uso di fare sosta sul disco di Giovanni XII il 2 febbraio delnuova Basilica Vaticana, sostaroporfido rosso (rota porphiretica ) l’anno 962. Ottone introdusse no per la benedizione altri impepresenta delle analogie con il riqualche variante e volle che l’unratori e re per essere poi incorotuale bizantino dell’incoronazione fosse compiuta dallo stesnati dal papa, fino a Federico III, zione in cui il porfido compariso Pontefice. Successivamente, il incoronato da Nicolò V il 19 va come la pietra propria degli 24 dicembre 967, vigilia di Natamarzo 1452. imperatori. Una memoria di le, Ottone II, dodicenne figlio di Vittorio Lanzani questa “rota porfiretica” sopravvive oggi sul pavimento della navata centrale della nuova basilica di San Pietro. Subito dopo la grande porta di bronzo del Filarete, è infatti visibile una purpurea ruota, ricomposta con Piccola guida alla scoperta di particolari legati al Re dei Franchi Memorie di Carlo Magno nella Basilica Vaticana U n primo ricordo di Carlo Magno si può ammirare alla estremità meridionale del portico, dove è collocata la statua del fondatore del Sacro Romano Impero, scolpita su un unico blocco di marmo di Carrara da Agostino Cornacchini tra il 1720 e il 1725. Sul lato opposto del portico, ai piedi della imponente Scala Regia è il monumento equestre di Costantino, l’altro grande difensore della Chiesa, realizzato da Gian Lorenzo Bernini tra il 1662 e il 1670. Sempre nel portico è l’epitaffio di papa Adriano I (772-795), composto per ordine di Carlo Magno dal monaco Alcuino di York. Fu inciso in lettere dorate in una bottega di Aquisgrana su un marmo nero del Belgio e fu inviato alla Basilica di San Pietro, dove ancora oggi lo si può ammirare in alto, a destra della Porta della Morte di Giacomo Manzù. Sul pavimento della Basilica, all’inizio della navata maggiore, vi è poi la grande “rota” di porfido rosso, legata, come detto, alla cerimonia dell’incoronazione degli Imperatori in San Pietro, che ebbe inizio proprio con Carlo Magno nel Natale dell’Ottocento. Un ultimo ricordo di quella storica incoronazione è in un dipinto murale eseguito da Guidobaldo Abbatini nel 1633. Si trova nelle Grotte Vaticane sulla volta del corridoio semianulare che gira attorno alla Confessione di San Pietro. Sarcofago dell’imperatore Ottone II (in basso a sinistra) nel portico dell’antica basilica di San Pietro, in un dipinto del 1618 di Giovan Battista Ricci da Novara (Grotte Vaticane, cappella della Madonna delle Partorienti). Foto: per gentile concessione della Fabbrica di San Pietro in Vaticano 10 Ernani il Giornale dei Grandi Eventi Da Ernani a Falstaff Il concetto dell’onore nelle opere di Verdi D el variegato panorama sentimentale che anima la drammaturgia verdiana l’onore, inteso come simbolo d’integrità morale e dignità umana, costituisce un elemento imprescindibile. Sin dall’acerbo esordio di Oberto, conte di San Bonifacio, tale concetto trova ampio risalto fornendo sostanza tragica alla partitura. E’ con Ernani che l’idea dell’onore diviene centrale, quasi un protagonista senza costume, e non a caso il dramma di Victor Hugo, dal quale è tratto il libretto dell’opera, porta il titolo Hernani ou l’honneur castillan, a definire i territori di una alterigia tutta mediterranea. Preme qui notare come fautore di un tale altissimo valore sia un quasi reietto, un uomo costretto a celare la propria identità dietro la maschera del bandito per perseguire i propri propositi di vendetta (gli emarginati dalla società iniziano qui ad assumere una posizione che diverrà centrale nella produzione verdiana). Ernani nel finale sacrifica la vita per tener fede alla promessa fatta nel secondo atto con le parole «Ecco il pe- gno: nel momento in che Ernani vorrai spento, se uno squillo intenderà, tosto Ernani morirà», in un atteggiamento di dedizione assoluta che oggi appare quasi anacronistico. il contrasto con falstaff Non si potrebbe immaginare contrasto più grande con il famoso monologo di Falstaff sull’onore nell’opera omonima. Di fronte al rifiuto opposto da Bardolfo e Pistola a divenire complici degli intrighi amorosi orditi dal loro elefantiaco compare, questi prorompe in una tirata tanto leggera quanto graffiante (“L’onore! Ladri!”), sostenuta da un’orchestrazione di volatile levità, intrisa di sagacia shakespeariana filtrata attraverso l’arguzia verbale del librettista Boito. Falstaff, in quanto totalmente estraneo ai precetti della morale corrente, si permette il lusso di distruggere un sentimento che pareva inattaccabile, scardinando i pilastri del melodramma romantico italiano. «Che c’è in questa parola? C’è dell’aria che vola», afferma in maniera sarcasti- ca e beffarda, delineando l’inconsistenza di un concetto che ai suoi occhi appare del tutto inutile. Incapace di riempire la pancia e di mendare le tare fisiche, corrotto da orgoglio e da lusinghe, l’onore fa una ben misera figura. «L’onore (….) lo gonfian le lusinghe, lo corrompe l’orgoglio, l’ammorban le calunnie; e per me non ne voglio!». In un arco di tempo relativamente breve, un mondo è tramontato, mentre la modernità rivendica prepotente le proprie esigenze. Verdi, giunto alla fine della sua lunghissima carriera, ripensa in maniera totale un concetto cardine della propria opera. Definitivamente estinti gli ideali risorgimentali (peraltro in Verdi più presunti che reali), messo da parte qualsiasi eroismo, l’onore viene spogliato della sua patina mitica per essere calpestato, strapazzato, deriso e gettato nel fango. Dietro tutto ciò si coglie l’estremo gesto di un Verdi il quale può permettersi di guardare indietro senza rinnegare nulla, colorando di suprema ironia il proprio proverbiale pessimismo. Il motto «tutto nel mondo è burla» posto a conclusione del Falstaff rappresenta il congedo ideale di un uomo che ha dedicato la propria esistenza ad indagare gli abissi dell’animo umano, il sorriso amaro di un artista che, dall’alto di un’acquisita saggezza, può permettersi di filosofeggiare ben sapendo che il mondo seguiterà ad andare avanti, anche senza di lui, anche spoglio di quegli ideali che hanno contribuito a formarlo. ri. cen. L’ultima rappresentazione 24 anni fa L’Ernani solo 11 volte al Costanzi S olo 11 volte in 131 anni l’Ernani di verdi è stato rappresentato al Teatro dell’Opera di Roma, tre volte quando era ancora solo il Teatro Costanzi e quindi, poi, otto volte come Teatro dell’Opera. La prima rappresentazione fu ben 38 anni dopo il debutto dell’opera a Venezia, ovvero il 12 ottobre 1882, con 9 recite che videro Marino Mancinella sul podio ed un cast formato da Enrico Prévost, Enrico Rubirato Alessandro Silvestri ed Emma Colonna, rispettivamente nei ruoli di Ernani, Don Carlo, Don Ruy Gomez de Silva ed Elvira. L’opera, comunque, era già precedentemente approdata a Roma in altri teatri, riscuotendo un buon successo, tanto che l’aria corale “Si ridesti il leon di Castiglia” era stata dal popolo romano adattata ad inneggiare al Papa Pio IX. Per la cronaca le due edizioni successive furono guidate da due direttori che molto lavora- vano al Costanzi, Edoardo Mascheroni per quella del 31 ottobre 1885 (4 recite) ed Edoardo Vitale il 9 aprile 1912 per sole tre rappresentazioni. Passarono 27 anni e l’opera tornò al Costanzi - che nel frattempo, acquistato nel 1926 dal governatorato di Roma era divenuto Reale Teatro dell’Opera l’11 febbraio 1939, giorno del decennale dei Patti Lateranen- si,con l’orchestra guidata da Tullio Serafin per 4 serate. Due anni e l’opera fu nuovamente in scena il 17 ottobre 1941 per quattro recite dirette da Giuseppe Baroni. Guerra e ricostruzione e così l’Ernani fece ritorno in teatro il 10 febbraio 1951 (4 recite) con l’orchestra guidata da Gabriele Santini e tra gli interpreti Boris Christoff nel ruolo di Don Ruy, mentre Ernani fu Gino Penno. Ancora dieci anni prima di riascoltare l’opera, fino cioè al 16 dicembre 1961 con Gabriele Santini direttore ed un cast con Mario Del Monaco, Cornell Mac Neil, Nicola Rossi Lemeni e Floriana Cavalli. Mario del Monaco è stato protagonista anche sei anni più tardi, il 22 marzo 1967, diretto da Fernando Previtali. Si va, quindi, al 15 aprile 1970 con ancora Previtali sul podio per 5 recite. Bruno Bartoletti diresse, invece, l’edizione dell’11 aprile 1978 con tra gli interpreti Renato Bruson splendido Don Carlo. Siamo così all’ultima rappresentazione che risale a 24 anni fa, cioè al 14 marzo 1989 quando la direzione per 8 recite fu affidata a Giuseppe Patanè, con interpreti Giuseppe Giacomini, Giorgio Zancanaro (poi Antonio Salvadori), Dimitri Kravrakos (poi Carlo Colombara) e Silvia Mosca. Mic. Ma. il Giornale dei Grandi Eventi Ernani 11 Quinta opera, a cinque anni dal debutto con l’ Oberto Ernani: l’alba della maturità verdiana E rnani è certo il frutto più fulgido della prima produzione verdiana, l’opera nella quale maggiormente evidenti appaiono quegli elementi che, filtrati attraverso la successiva maturità, troveranno in seguito il proprio definitivo compimento. Non a caso siamo di fronte ad un titolo che, per usare le parole di Julian Budden, ogni volta che viene ripreso “non fallisce mai il colpo”, mai uscito dal repertorio sin dalla prima esecuzione veneziana del 9 marzo 1844. Con una economia di mezzi sorprendente, piegando il lessico corrente alle proprie esigenze, Verdi confeziona una partitura priva di orpelli, nella quale tutto è semplice e diretto. Perfettamente consapevole di ciò, il compositore scrive al direttore di scena Leon Herz in occasione della prima viennese del maggio 1844: «La prego di non permettere tagli. Nulla v’è da levare e non si potrebbe levare la frase più piccola senza danneggiare l’assieme». Una presa di posizione in verità frequente da parte di Verdi, il quale dimostra una sensibilità moderna ed ostile alla prassi ottocentesca, insieme ad una fiducia assoluta nel valore del proprio lavoro. Ernani si giova infatti di una drammaturgia perfettamente calibrata, in grado di sublimare le istanze del romanticismo musicale proiettandole nel futuro. Da questo punto di vista anche l’adozione di un lessico ristretto dona compattezza ed organicità ad una partitura che corre diretta verso il proprio scopo. «Avverto solo che io non amo i tempi larghi», scrive ancora Verdi in relazione ad Ernani, aggiungendo poi che «è meglio peccare di vivacità che languire», svelando in tale maniera le esigenze di una concertazione rapida, per la quale qualsiasi indugio risulta nocivo. il Trovatore e Don Carlos: passioni ispaniche e sotterranei sepolcrali Prima opera di ambientazione ispanica, alla quale seguiranno poi Il Trovatore, La forza del destino e Don Carlos, quasi a identificare una predilezione geografica da parte del Maestro, Ernani vive di passioni estreme dal carattere tipicamente mediterraneo. L’articolazione in quattro atti, ai quali viene anteposto un titolo per chiarificarne il contenuto, richiama l’analoga struttura del citato Trovatore. L’impiego di un tale schema drammaturgico è in realtà un’eccezione nella produzione di Francesco Maria Piave, librettista di Ernani, mentre è frequente in Salvatore Cammarano che per Verdi elaborò i libretti de La Battaglia di Legnano, Luisa Miller ed Il Trovatore. Un modello che si rivela di grande efficacia, tanto da essere adottato nuovamente in una delle opere più popolari del Maestro. Il «ritmo prodigioso e veemente», per usare le parole di Bruno Barilli, accomuna i due lavori, salvo poi notare come la trama bizzarra del Trovatore ponesse maggiori difficoltà dal punto di vista organizzativo, generando un libretto non esente da scompensi e contraddizioni. Come Manrico, Ernani è il tipico eroe romantico, la cui alterità viene definita sin dal principio; il mondo dei gitani, nomadi per definizione, offre lo sfondo ideale alle vicende del trovatore, chiuso nella propria malinconica solitudine, mentre dietro la maschera banditesca indossata dal reietto Ernani, si cela un Don Giovanni d’Aragona ansioso di condurre la rivolta contro il sovrano. Entrambe le opere sono basate sul tema della vendetta; quella della zingara, continuamente evocata dall’immagine del rogo, e quella del vecchio Silva, perseguita con caparbia ostinazione sino alla tragedia finale. Dal punto di vista della distri- buzione dei personaggi, in entrambe le opere abbiamo quattro protagonisti (escludendo il ruolo di Ferrando nel Trovatore). In linea di massima questi non subiscono un rilevante mutamento psicologico nel corso della vicenda, non evolvono in maniera significativa, ma mantengono un carattere potremmo dire “iconico”. Forse il solo Don Carlo in Ernani, rinunciando al proprio sogno d’amore e compiendo un atto di clemenza nei confronti dei congiurati, mostra una maturazione degna di un sovrano. Abbiamo qui una delle prime schematiche incursioni nella tematica del potere, che tanta importanza avrà nel prosieguo della produzione verdiana. Non a caso il terzo atto di Ernani, ambientato nei sotterranei sepolcrali che rinserrano la tomba di Carlo Magno in Aquisgrana, appare come il luogo più avanzato della partitura. Qui prevalgono i colori scuri, le pennellate tenebrose che il Verdi maturo saprà distillare con più alta sapienza. Anche il monologo del sovrano sui valori effimeri del potere prefigura le meditazioni ben più ampie e profonde del Don Carlos. La festa e la Morte L’antinomia ottocentesca fra ballo e tragedia trova il suo precedente più illustre nel Don Giovanni mozartiano. Dalla festa campestre, durante la quale il seduttore fa la conoscenza di Zerlina, alla scena del ballo nel finale primo, dove avviene lo smascheramento di Don Giovanni, sino alla conclusione dell’opera nella quale la sala festaiola ormai deserta, con l’orchestrina il cui suono rimbomba spettrale nel vuoto, simbolo della solitudine del libertino, diviene il luogo ideale per l’ingresso della statua del Commendatore, emissario ineludibile del mondo infero. Analogamente la maschera nera che in Ernani si aggira fra gli invitati alle nozze è un chiaro presagio di morte. Al suono del corno l’eroe è costretto ad uccidersi, per tener fede ad un giuramento avventato pronunciato in favore del rivale. La gioia apparente si muta in dolore, così come in Un ballo in maschera la festa rappresenta l’occasione migliore per attuare la congiura politica. Qui il gioco si fa più complesso rispetto ad Ernani. L’antro di Ulrica nel primo atto, il velo che copre l’identità di Amelia nel secondo, sono altrettante maniere di trattare il rapporto fra verità e finzione. Le musiche da ballo forniscono il materiale sonoro più duttile al procedere dell’azione. Nel Rigoletto la scena si apre su una festa in corso di svolgimento nel palazzo. Il contrasto con la drammaticità del preludio non potrebbe essere più forte. Ernani e Rigoletto, entrambe tratte dal mondo fosco di Victor Hugo, condividono ouverture strumentali dalle connotazioni simili, capaci di anticipare la prospettiva tragica comune ai due lavori, introducendo temi legati ai momenti cruciali dell’azione: il giuramento fatale di Ernani e la maledizione che colpisce Rigoletto. I minuetti, gli sberleffi, le seduzioni ardite sono altrettanti espedienti per cercare di trarre in inganno la morte; in tale contesto l’ingresso di Monterone, quasi un Commendatore terreno, introduce il tema della maledizione, vero motore dell’azione. Come in Ernani, lo spettatore comprende che è accaduto un qualcosa di irreparabile, le cui conseguenze non tarderanno a manifestarsi, conducendo l’azione verso il suo inevitabile epilogo. riccardo cenci Ernani 12 il Giornale dei Grandi Eventi Il difficile debutto del dramma di Hugo alla bas La “Battaglia di Hernani ”, tra rivoluzione stil L a prima del dramma Hernani di Victor Hugo alla Comédie-Française (25 febbraio 1830) costituisce una data fondamentale nella storia artistica dell’Ottocento francese. Se è vero che i grandi avvenimenti culturali hanno sempre una valenza politica (e viceversa), non è esagerato affermare che in quell’occasione la conquista del Théâtrefrançais da parte dei Romantici - vale a dire del tempio della tradizione drammatica francese – riflette in campo estetico, a 41 anni di distanza, la presa della Bastiglia. Ma, in che modo l’evento arrivò a suscitare una controversia di tale portata pratica e simbolica? Tra fine Sette e inizi Ottocento la Rivoluzione francese e l’epopea napoleonica avevano violentemente scosso l’Europa scavando tra la società moderna e quella dell’Antico Regime un solco profondo, e il ritorno dei Borboni sul trono di Fran- cia nel 1814-15 aveva inutilmente tentato di rimettere indietro le lancette dell’orologio della storia (è il tema de Il rosso e il nero di Stendhal). A ciò corrispose un radicale rinnovamento di modelli e contenuti in campo artistico. Nel 1830 le correnti che chiamiamo romantiche sono già da tempo dominanti anche in Francia, dove pure la resistenza dei moduli classici è stata più forte che altrove. Hernani, vessillo estetico del romanticismo In letteratura, nell’arte e nel teatro il popolo, gli umili, sono sempre più di moda, così come lo sono i reietti e i banditi, sulla scia del successo europeo dei Masnadieri di Schiller (opera che Verdi metterà in musica nel 1847 su libretto di Andrea Maffei). Ed è una figura di bandito (ancorché di nobili origini, come si scoprirà nel quarto atto) quella del protagonista del dramma di Hugo: un giovane outsider dotato del fascino e dell’energia della gioventù, una «forza che va» nella quale i giovani del 1830 si sono identificati con entusiasmo. E’ così che Hernani è potuto diventare un vessillo della rivoluzione morale e politica, oltre che estetica, propugnata dai Romantici contro la generazione precedente ancora saldamente arroccata nella difesa di equilibri e forme tradizionali. La redazione dell’opera richiese a Hugo meno d’un mese, tra l’agosto e il settembre 1829. Il lavoro venne accettato dal comitato di lettura della Comédie-Française e le prove presenziate dall’autore – all’epoca la figura del regista non esisteva ancora nei termini in cui noi la conosciamo – cominciarono in dicembre. Ma, l’impresa della messa in scena si rivelò tutt’altro che facile, anche se Hugo si dimostrava disposto a seguire i consigli degli atto- Victor Hugo ri accettando di modificare qua e là il proprio testo. Resta che quegli attori erano abituati alla gestualità, alla dizione ed allo stile classici. Così, un verso come: Vous êtes mon lion, superbe et solitaire («voi siete il mio leone, superbo e solitario») poteva essere giudicato sconve- La première d'Hernani al Théâtre Français di Parigi il 25 febbraio 1830 in un quadro di Albert Besnard (1849-1934). niente e la grande attrice Mademoiselle Mars, cui era stato affidato il ruolo di Doña Sol (l’Elvira di Verdi e Piave), non volle pronunciarlo. Analogamente, presso il pubblico delle prime rappresentazioni avvezzo alla rigida sublimazione della tragédie classique, l’evocazione di dettagli fisici quali il mantello bagnato di pioggia di Hernani o il freddo che ciò deve procurare al personaggio (a. I, sc. 2) potevano scatenare il riso e dar luogo a infinite parodie. Un altro esempio d’una simile incompatibilità fra gusti mutati si ha alla fine della festa di nozze dell’ultimo atto, quando Hernani e Doña Sol si scambiano commenti sull’ora tarda e sul sollievo che causa loro la partenza degli invitati: vedere sulla scena due eroi di alto lignaggio, in costume spagnolo del Cinquecento, che parlano come una qualunque coppia di borghesucci innamorati, questo era inaccettabile per i classicisti. Per altro a Mademoiselle Mars, già oltre la cinquantina, il Ernani Giornale dei Grandi Eventi 13 se del libretto di Piave istica e rivoluzione politica viene attribuito il ruolo di una diciassettenne, ed anche gli altri attori che interpretano i ruoli principali hanno parecchi lustri in più dei personaggi concepiti da Hugo (l’unico che, coerentemente, interpreta la figura d’un personaggio attempato - Don Ruy Gomez de Silva - è il celebre Joanny). Un simile scarto tra le età degli interpreti e dei personaggi è molto più d’un dato meramente contingente e riflette la realtà delle tensioni in atto. Hugo, giovane quasi come i suoi personaggi (non è ancora trentenne), già reputato come uno dei capifila della nuova scuola poetica, non manca d’ambizione e si rende conto che la recita può diventare l’occasione per assestare un colpo decisivo alla drammaturgia tradizionale e ai suoi sostenitori. Dal canto loro, i partigiani dello stile classico sono scan- dalizzati dal fatto che un’opera che trasgredisce bellamente i dettami della tragedia classica, che mescola toni tragici e grotteschi, sia rappresentata nel luogo deputato alla grande tradizione teatrale francese risalente a Corneille. A ciò si aggiungono implicazioni direttamente politiche. La distinzione fra classiques e romantiques è diventata, dalla metà degli anni ‘20, la contrapposizione fra conservatori e liberali. E questo alla vigilia della rivoluzione del luglio 1830 che spazzerà via la monarchia reazionaria di Carlo X per sostituirla con quella liberale di Luigi Filippo d’Orléans. il debutto parigino Perciò la sera della prima alla Comédie-Française diventa un vero e proprio scontro epocale. Se i tradizionalisti si apprestano a fischiare ed a far cadere la pièce, Il tema dell’Hernani in una stampina ottocentesca. anche Hugo ha preparato le sue truppe. Tra i suoi difensori si trovano alcune delle figure più significative tra i grandi scrittori romantici: Théophile Gautier (che per l’occasione sfoggia un provocatorio gilet rosso), Alexandre Dumas, Gérard de Nerval. Tutti ricevono, come segno di appartenenza al gruppo degli amici di Hugo, un biglietto d’entrata nominativo di colore rosso con su scritto la parola Hierro (ferro). Alla fine, malgrado i tentativi di chi aveva voluto trasformarla in un fiasco, la rappresentazione si risolverà in un trionfo e le recite proseguiranno suscitando enorme interesse e clamore. rivolta ed esclusione Ambientato in una Spagna romanticamente flamboyante all’inizio del Cinquecento, Hernani mette in scena il conflitto fra tre uomini innamorati della stessa donna (un sottotitolo, poi lasciato cadere, recitava Tres para una): un bandito, un re, un grande di Spagna. La scelta a favore del bandito da parte di Doña Sol esprime il trionfo, quanto mai romantico, dell’amore, della bellezza e della giovinezza sui valori del potere, della ricchezza e dell’età veneranda che risultano così screditati. Sennonché la vittoria dell’amore si rivela precaria e, in fondo, illusoria. Il suono del corno del vecchio Don Ruy Gomez, che, alla fine, viene a pretendere il rispetto della promessa fatta da Hernani, ristabilisce il primato dell’onore (L’onore castigliano è il sottotitolo definitivo dell’opera) e strappa crudelmente i due giovani al loro sogno d’amore. Così il senso del dramma rischia di rovesciarsi su se stesso e la morte finale degli amanti finisce per esprimere simbolicamente un’intima quanto necessaria vocazione alla sconfitta della loro rivolta contro le convenzioni. Su un altro piano, l’inestinguibile antagonismo tra la coppia giovanile e l’ordine costituito (colto a sua volta nella trasformazione in atto da una monarchia a un impero) allude alla problematicità della relazione tra individuo e potere, tipica dell’Ottocento: una relazione più “democratica” rispetto al secolo precedente, ma ancora tutta da inventare, continuamente oscillante tra lo slancio dell’utopia e la coscienza della disillusione. In effetti, se la Rivoluzione francese ha fatto rotolare sul patibolo delle teste coronate ed ha portato il popolo al potere, la Restaurazione che è seguita ha preteso d’imporre un ritorno all’ordine. E tutta la storia politica francese, da Napoleone alla III Repubblica, non ha fatto che confrontarsi con il problema della legittimità dell’assetto post-rivoluzionario. Quanto a Verdi – sia detto di sfuggita - si capisce come abbia potuto essere attratto, più o meno consapevolmente, da un simile plot. Con i suoi eroi che dai bassifondi riescono ad ascendere alle vette sociali ma che sono poi di nuovo respinti giù, che devono espiare, come una sorta di colpa, la loro condizione - si pensi in particolare alla Traviata o, altro calco hugoliano, a Rigoletto -, anch’egli, come Hugo, propone l’identificazione emotiva in personaggi i quali, alla fine, scontano nella sconfitta o nella morte l’autenticità del loro sentimento e la perdurante estraneità a un ordine sociale che li esclude. gianni iotti Ordinario di Letteratura francese all’Università di Pisa Ernani 14 il Giornale dei Grandi Eventi Spigolature d’opera narrate da un protagonista che porta lo stesso nome Ernani racconta il suo rapporto con Ernani A bbiamo chiesto all’ex Sovrintendente al Teatro dell’Opera di Roma Francesco Ernani, in carica per quasi 10 anni, dal luglio 1999 al marzo 2009, ed ora alla guida del Comunale di Bologna, di raccontare alcuni aneddoti legati alla singolare casualità di trovarsi con questo nome a svolgere l’attività di dirigente proprio nel mondo dell’opera. _____________________ “Ernani”, sia come nome che come cognome mi ha accompagnato in tutto il percorso della mia vita da ragazzo sino ad oggi. La prima volta che ho pensato al significato del nome “Ernani” è stato nella prima classe della scuola media inferiore Betteloni che frequentavo a Verona. L’insegnante di lettere, facendo l’appello mi disse «è lei Ernani, il famoso bandito?» Rimasi stupito e non risposi. A casa, mia madre mi parlò dell’opera lirica Ernani, della sua trama e mi fece pure ascoltare l’aria “Ernani involami” da uno dei diversi dischi a 33 giri che avevamo in casa. Da quel momento nacque il mio interesse per l’Opera, come forma d’arte del nostro Paese, che trovò spazio nella mia vita, già venendo selezionato come comparsa, all’Arena di Verona all’età di 15 anni e nei due anni successivi, nelle opere Aida, Carmen e Tosca. I lavori di Giuseppe Verdi li ho sempre considerate come perfetto esempio di ciò che, in mancanza di termini più specifici, viene definita l’italianità. L’opera, infatti, nata a Firenze, corrispondeva al desiderio di un genere consentaneo alla natura, alle tendenze artistiche ed al carattere morale della nostra popolazione. E questi aspetti mi sono stati sempre confermati nel corso della mia attività di dirigente nei Teatri d’opera del nostro Paese, che ho guidato dal 1971 ad oggi, con particolare riferimento all’attività in trasferta all’estero. Ho sempre avvertito il miracolo dell’immedesimazione e della commozione che la musica di Verdi, alimentata dall’editore Ricordi, seppe creare durante il Risorgimento. E proprio artisti indimenticabili che infiammarono i cuori del pubblico. Ricordo che una sera che minacciava di piovere, prima della recita dell’Ernani, andai nel camerino del maestro De Fabritis per rappresentargli il pericolo della sospensione della recita e l’obbligo di restituire il costo del biglietto al pubblico. Il Maestro, mi sorrise, e mi disse: «Ernani, Il regista e scenografo Pietro Zuffi, Federico Fellini e Francesco Ernani l’opera giovanile Ernani, vide il pubblico veneziano 9 marzo 1844 che al marziale “Si ridesti il Leon d’Castiglia”, si sono sentiti prudere le mani, come pure nei successivi Teatri dove l’opera fu realizzata. Va ricordato che a Roma il marziale predetto si trasformò in una lode al Papa Pio IX. La prima volta che ho seguito la realizzazione dell’opera Ernani, nelle sue diverse fasi, dal progetto alla sua produzione, è stato nel 1972 all’Arena di Verona, dove avevo l’incarico di Direttore Amministrativo. L’opera aveva la regia di Herbert Graf e le scene ed i costumi di Luciano Minguzzi, direttore d’orchestra Oliviero De Fabritis. Ernani era interpretato da Franco Corelli ed Elvira da Ilva Ligabue, due Il soprano greco Dimitra Theodossiu e Francesco Ernani non si preoccupi, questa sera dirigerò con tempi tanto veloci che il primo atto finirà in anticipo, così il Teatro non dovrà rimborsare nessuno». Non ho mai dimenticato quelle parole. Ricordo che la recita si svolse regolarmente, grazie ad un cielo che aveva trasferito in altro luogo le tante nuvole della serata. Non posso poi dimenticare la produzione di Ernani de La Scala nel 1981, ove avevo l’incarico di Segretario Generale. Non mancarono problemi diversi durante le prove e gli spettacoli realizzati con la regia di Ronconi le scene di Frigerio e la direzione d’orchestra affidata a Riccardo Muti, per la prima volta a La Scala. La prima recita ebbe problemi per gli artisti ed anche contestazioni del pubblico sul piano registico. Nell’intervallo accompagnai il presidente della Repubblica Pertini a salutare gli artisti. Quando Placido Domingo, eccezionale Ernani, uscì dal camerino mi disse «Ernani, chì di noi due è il vero Ernani», gli risposi: «caro Placido”, tu sei il falso, io sono il vero» e, sorridendo, lo presentai al Presidente. Altro ricordo è a Bologna nel maggio 2011, dopo pochi mesi che ero stato nominato Sovrintendente, trovai nella programmazione del Teatro l’opera Er- nani con il tenore Rudy Park, il soprano Dimitra Theodossiou, il basso Ferruccio Furlanetto, la regia di Beppe De Tomasi e le scene ed i costumi di Francesco Zito. L’opera era stata programmata anche nella prevista trasferta in Giappone nel settembre 2011. Le recite a Tokyo, ebbero un grande successo, ma io le ricorderò perche prima di ogni recita, entravo in palcoscenico, e giustificavo la sostituzione del tenore Salvatore Licitra, deceduto per l’incidente in Sicilia, con il tenore Roberto Aronica e poi auguravo al pubblico di superare i difficili problemi del terremoto che aveva colpito gravemente il Giappone nel mese di marzo, terminando con le parole «Gambarè Nippon» che significano «Forza Giappone». Non mancarono mai lunghi applausi ed anche l’alta qualità dell’esecuzione musicale, affidata al M° Renato Palumbo insieme all’eccezionale cast, furono apprezzati da pubblico e critica. Un altro importante ricordo relativo a progetti dell’opera Ernani, riguarda l’incontro con Federico Fellini a Verona, in Arena, nel 1988, ove si replicava l’opera Aida con la regia, scene e costumi di Pietro Zuffi. Fellini amico di Zuffi venne in Arena e, dopo la recita, l’ospitai a cena in un noto ristorante di Piazza delle Erbe. Nell’occasione gli proposi di assumere la regia dell’opera Ernani che avrei voluto inserire nel cartellone della stagione 2000. Mi rispose che ci avrebbe pensato. Nel successivo mese di settembre, gli scrissi al riguardo, per proporgli il contratto. Lui mi telefonò e mi disse: «grazie Ernani, ma non mi sento, come regista, di affrontare il compito nell’opera». E così il mio sogno di avere Fellini a Verona, non si realizzò. Sono ora felice che l’opera Ernani, ancora diretta da Muti, apra la nuova stagione del Teatro dell’Opera della nostra Capitale. Durante la mia Sovrintendenza a Roma questo titolo non è mai rientrato nei progetti discussi e poi approvati. Spero di riuscire ad essere presente al Costanzi come spettatore e poter godere delle suggestioni della produzione e dei suoi cori risorgimentali. francesco Ernani Sovrintendente Teatro Comunale di Bologna il Giornale dei Grandi Eventi Dal mondo della Musica 15 Al Teatro Massimo di Palermo Sette opere per una stagione 2014 che apre con Feuersnot di Strauss D opo la Traviata che ha debuttato il 21 novembre scorso, con un’ottima Desirée Rancatore nei panni di Violetta, anche se con scene un po’ semplici firmate Chantal Thomas in un allestimento del Teatro Regio di Torino per la regia di Laurent Pelly, il Teatro Massimo di Palermo, ancora commissariato, si avvia verso la nuova stagione che si aprirà il 18 gennaio con un nuovo allestimento del Massimo dell’opera Feuersnot di Richard Strauss (debuttò a Dresda nel 1901), con la regia della siciliana Emma Dante e la direzione del maestro Gabriele Ferro. Una stagione che conta tre nuove produzioni interne sui 9 titoli proposti, di cui 7 opere. A febbraio debutterà un nuovo allesti- mento dell’Otello di Verdi, con le scene firmate da Nicola Rubertelli e la regia di Henning Rockhaus. Sul podio Renato Palumbo e nel cast il tenore Stuart Neill (Otello), Julianna Di Giacomo (Desdemona) e Giovanni Meoni (Jago). Nuova produzione anche per il Don Giovanni di Mozart, in scena dal 16 marzo con la versione della prima esecuzione a Vienna nel 1788, che si differenzia da quella per il debutto a Praga dell’anno precedente soprattutto per la chiusura con la discesa agli inferi di Don Giovanni e non con il concertato con gli altri personaggi. Sul podio Stefano Ranzani. Nel ruolo del protagonista Carlos Alvarez, mentre Leporello sarà Marco Vinco. A giugno (17) torna la Norma di Bel- lini con un allestimento che viene da Stoccarda, ambientato durante la Resistenza, in una chiesa abbandonata dove si ritrova un gruppo di partigiani. Protagonista il soprano ungherese Csilla Boross già applaudita nel 2011 a Roma nel Nabucco diretto da Muti. Dopo l’estate, dal 17 settembre La fille du régiment di Donizetti nello storico allestimento realizzato nel 1959 da Franco Zeffirelli proprio per il Massimo, con la regia di Filippo Crivelli. Nei panni della protagonista Marie debutta nel ruolo Desirée Rancatore, affiancata dal tenore Celso Albelo (Tonio). Ad ottobre, dal 19, la prima italiana di Švanda, dudàk, volksoper del ceco-americano Jaromìr Weinberger (1896-1967) in una colorata produzione del Semperoper di Dresda. Weinberger scrisse questo lavoro nel 1926 su solide basi tardo-romantiche aperte alle mode del tempo. Un’opera divenuta molto celebre nella prima metà del Novecento, entrando anche nel repertorio concertistico. A chiudere la stagione d’opera, dal 18 novembre la Tosca di Puccini con un elegante allestimento del Maggio Musicale Fiorentino. Protagonisti il soprano Hui He (Floria Tosca), con il tenore Stefano secco (Cavaradossi) ed il baritono Ionut Pascu (Scarpia. Sul podio Daniel Oren. Ti. alf. In libreria Nel Bicentenario, su Verdi tante proposte e ristampe importanti I l Bicentenario verdiano, è stato ovviamente un momento di fiorire di volumi in libreria: Molti titoli nuovi – che abbiamo in parte già presentato - e qualche riedizione di classici intramontabili che hanno trovato, magari nelle edizioni economiche un rilancio di interesse. E’ questo il caso di quello che può essere definito la “summa” dello studio dei lavori del “cigno di Busseto”, ovvero Le opere di Verdi di Julian Budden (1924 – 2007), opera pubblicata per la prima volta in Inghilterra nel 1973 e quindi tradotta in Italiano con grande metodo scientifico, da un team di ben 12 traduttorim ed uscita nel 1995 in edizione rilegata, per la EDT di Torino. Ora finalmente questo testo fondamentale per la conoscenza verdiana, viene riproposto in brossura ed in edizione economica (tre volumi acquistabili singolarmente € 20 a tomo) nella collana Reprints, sempre della torinese EDT. Il primo volume esamina dall’opera di debutto, l’Oberto, Conte di San Bonifacio (1839) al Rigoletto (1851); il secondo tomo affronta dal Trovatore (1853) alla Forza del destino (1862); mentre il terzo volume è dedicato al periodo tra il Don Carlos (1867) ed il Falstaff (1893). Colpisce la completezza del racconto, la profondità di analisi ed il peso storiografico in questi tre volumi che contano un totale di circa 1800 pagine, opera del musicologo Julian Budden (suo anche un importante ed ottimo volume su Puccini edito per i tipi della Carocci), il quale tra l’altro è stato per anni presidente, fin dalla fondazione nel 1996, del attivo Centro Studi Giacomo Puccini di Lucca. L’autore, come nel più puro stile anglosassone, ha basato molto del lavoro su dati certi come le lettere. Il racconto risulta, comunque, agile, interessante, ricco di particolari e soprattutto autorevole, scivolando nel molto tecnico quando serve di affiancare al testo esempi musicali. Dunque, soprattutto con questa edizione economicamente meno impegnativa, ma estremamente completa - anzi aggiornata rispetto alle precedenti - è un’opera da avere sicuramente in libreria. Julian Budden – LE OpErE di VErDi – 3 volumi (pag. 600 - 601 - 629) – Edizioni EDT – giugno 2013 - € 20,00 a volume. _______________ Forse non tutti i melomani sanno che dal 1867 al 1901 Verdi ebbe casa stabile a Genova, dove trascorse abitualmente gli inverni in un clima più adatto ai suoi gusti. A Genova fu talmente legato, da destinare nel suo testamento quattro generosi lasciti ad altrettanti istituti assistenziali della città. Ed a Genova sono custodite 154 fra lettere e biglietti a firma di Verdi e Giuseppina Strepponi. Questo interessante corpus di documenti è stato appena pubblicato in un libro “Verdi, le lettere genovesi” a cura di Roberto Iovino e Raffaella Ponte ed inserito nei Quaderni dell’Istituto Nazionale di Studi Verdiani che firmano in apertura due saggi introduttivi (rispettivamente “Verdi & Genova” e “Documenti verdiani genovesi: divagazioni archivistiche”). Al volume, realizzato grazie al Comitato Nazionale delle Celebrazioni verdiane, è allegato un DVD che raccoglie le riproduzioni dei manoscritti originali di Verdi, mentre nel cartaceo sono proposte le trascrizio- ni con un importante commentario. giuseppe Verdi – LE LETTERE GENOVESI, a cura di roberto iovino e raffaella ponte - pagine 184 (in allegato DVD) - istituto nazionale di Studi Verdiani, parma - Euro 19,90 Ti. alf. Filatelia Musicale Verdi e La Fenice in dentelli E stato emesso il 10 ottobre proprio nel giorno del bicentenario della nascita di verdi, il francobollo dedicato all’autore di questo Ernani. Finalmente una elaborazione grafica accattivante del bozzettista Fabio Abbati di un soggetto divenuto abusato nella sua iconografia piuttosto omogenea. Il “dentello” è stato stampato in rotocalco, con quattro colori più l’oro su carta patinata autoadesiva per tre milioni e 285 mila esemplari. Due milioni e ottocentomila esemplari è invece la tiratura del francobollo emesso il 9 novembre per celebrare il decimo anniversario della riapertura del Teatro La Fenice di Venezia del 14 dicembre 2003, dopo il devastante incendio doloso che lo distrusse quando era temporaneamente chiuso per lavori di manutenzione, il 29 gennaio 1996. La Fenice, tra le tante opere, vide il debutto proprio dell’Ernani di Verdi, il 9 marzo 1844. Il francobollo è realizzato in quadricromia nel formato “quadrotto” di mm 48 x 40 ormai classico per la serie tematica “Il Patrimonio artistico e culturale italiano” e come vignetta riporta l’interno del Teatro. fr. pic.