XLIII Congresso Nazionale della Società Italiana di Psichiatria - Bologna 19-24 ottobre 2003
CONSENSUS CONFERENCE
“Psichiatria e Medicine Non Convenzionali nel Servizio Sanitario Nazionale”
FITOTERAPIA IN PSICHIATRIA: LIMITI ED OPPORTUNITA’
FABIO FIRENZUOLI
Centro di Medicina Naturale, Ospedale S. Giuseppe, Empoli
Scuola di Fitoterapia Clinica, Az. USL 11 - Empoli
ANMFIT - Associazione Nazionale Medici Fitoterapeuti
La Fitoterapia applicata alle scienze neuro-psichiatriche è forse il capitolo che maggiormente si presta alle
affermazioni di taluni che vorrebbero le piante medicinali unicamente sostanze placebo. Si potrebbe dire la
stessa cosa dei farmaci di sintesi. A differenza del farmaco di sintesi tuttavia lo studio delle piante comporta
come noto maggiori difficoltà legate alla molteplicità di sostanze chimiche presenti anche negli estratti, e
pertanto possono sorgere problematiche nuove. Ad esempio l’estratto idroalcolico di Centella asiatica ha
dimostrato un’attività sedativa sul Sistema Nervoso Centrale mentre invece la frazione dei triterpeni estratta in
modo selettivo dalle foglie della Centella stessa, costituisce com’è noto un semplice farmaco flebotropo.
Molte sono le sostanze di origine vegetale allucinogene, narcotiche o anestetiche utilizzate da tempo anche in
medicina, e tra queste la stessa morfina (Papaver somniferum), la reserpina (Rauwolfia serpentina), la
mescalina (Peyote), la cocaina (Erythroxylon coca), la efedrina (Ephedra sinica), la fisostigmina, chiamata
anche eserina, estratta dalla Fava del Calabar (semi secchi di Physostigma venenosum) ad attività
anticolinesterasica, la galantamina estratta dal Narciso, sono state utilizzate sperimentalmente nella demenza
di Alzheimer, ecc.
La fitoterapia invece, per definizione, piuttosto che la singola molecola utilizza vari tipi di estratti di
piante, contenenti il cosiddetto “fitocomplesso attivo”della pianta, ovviamente quando ne siano
dimostrate efficacia, sicurezza e vantaggi. Le piante oggi maggiormente studiate in fitoterapia sono la
Valeriana, la Passiflora, l’ Iperico, il Ginseng, la Ginkgo biloba, utilizzate in sindromi ansiosodepressive, cefalea, sindromi vertiginose, turbe della memoria e dell’attenzione. Fitoterapici sono
utilizzabili come in specialità medicinali e preparazioni galeniche magistrali, anche se nell’ambito
dell’automedicazione spesso il paziente si rivolge a prodotti erboristici e integratori, spesso privi delle
1
garanzie richieste. Per gli stessi motivi, e cioè la presenza di numerose sostanze attive, si possono avere
al tempo stesso effetti collaterali o interazioni farmacologiche, così come avviene per i farmaci di
sintesi, con l’aggravante che l’utente, impropriamente, spesso ritiene i prodotti naturali per definizione
privi di effetti nocivi.
La materia, di stretta competenza medica, necessita tuttavia di adeguata regolamentazione, al pari delle
altre medicine non convenzionali.
Riferimento web: www.naturamedica.net
BIBLIOGRAFIA
F. Firenzuoli: Fitoterapia, Masson Ed., III ed., Milano, 2002
C. Ratsch: Enzyklopaedie der psychoaktiven Pflanzen, WVG, Stuttgart, 1998
Kalus P, Strik W.K.: Phytotherapeutic drugs in psychiatry. Ther Umsch. 2002 Jun; 59 (6):307-12
Matthews S.C.:, Camacho A, Lawson K, Dimsdale JE. Use of herbal medications among 200
psychiatric outpatients: prevalence, patterns of use, and potential dangers. Gen Hosp Psychiatry.
2003 Jan-Feb; 25 (1):24-6.
Mamtani R., Cimino A.: A primer of complementary and alternative medicine and its relevance in
the treatment of mental health problems. Psychiatr Q. 2002 Winter; 73 (4):367-81
Ernst E.: Serious psychiatric and neurological adverse effects of herbal medicines -- a systematic
review. Acta Psychiatr Scand. 2003 Aug; 108 (2):83-91.
2
XLIII Congresso Nazionale della Società Italiana di Psichiatria - Bologna 19-24 ottobre 2003
CONSENSUS CONFERENCE
“Psichiatria e Medicine Non Convenzionali nel Servizio Sanitario Nazionale”
LA
FORMAZIONE
IN
MEDICINA
NON
CONVENZIONALE:
L’ESEMPIO
DELL’AGOPUNTURA
CARLO MARIA GIOVANARDI
Presidente della Federazione Italiana delle Società di Agopuntura, (F.I.S.A.)
Direttore della Scuola di Agopuntura della Fondazione Matteo Ricci
LA STORIA
A partire dai primi anni ’70, contestualmente alla diffusione delle Medicine Non Convenzionali
(MNC), in assenza di un’offerta didattica in ambito istituzionale, si è creata una realtà di scuole che
ha dedicato la propria attività alla formazione in Medicina Non Convenzionale.
L’atteggiamento dell’Università, sede istituzionale della formazione, rispecchiava fedelmente
quello della comunità medica e, in generale, della comunità scientifica del tempo, cioè di
disinteresse se non spesso di denigrazione.
In quel periodo non esistevano ancora né una classe di docenti ben formati, nè programmi
sufficientemente articolati e omogenei.
Col passare del tempo la realtà è profondamente cambiata, le scuole private sono cresciute e hanno
cercato di darsi programmi e regole precise.
Seri professionisti sono diventati ottimi docenti e hanno portato nell’attività didattica tutta la loro
esperienza accumulata in una più che ventennale attività clinica.
LO STATO ATTUALE
Numerose sono le scuole di MNC distribuite sul territorio Nazionale che annualmente rilasciano
attestati a numerosissimi medici, dopo corsi della durata in genere di 3-4 anni con un monte ore
teorico pratico totale che varia per ogni diversa disciplina e differente scuola..
Parallelamente a questa diffusione, l’atteggiamento delle Istituzioni verso le MNC sta radicalmente
cambiando con intensità diversa a seconda della MNC. Storico rimane il pronunciamento della
FNOMCeO in occasione del convegno del 17 maggio 2002 di Terni, dove vengono riconosciute
nove Discipline (Omeopatia, Agopuntura, Medicina Tradizionale Cinese, Omotossicologia,
1
Fitoterapia, Medicina Ayurvedica, Chiropratica, Osteopatia, Medicina Antroposofica) di esclusiva
competenza medica.
A spingere la Federazione ad interessarsi e ad esprimersi sul fenomeno delle MNC ha contributo
sicuramente la pubblicazione nel 2001, sul Notiziario dell’Istituto Superiore di Sanità, dei risultati
dell’indagine condotta dall’ISTAT e dall’Istituto Superiore di Sanità circa l’utilizzo delle MNC
degli italiani, nel triennio 1997-99, che evidenziava come 9 milioni di italiani, pari al 15,6% della
popolazione avessero fatto ricorso ad almeno una terapia convenzionale. [1]
Inoltre, la stessa Federazione definendo atto medico l’esercizio di queste discipline ha riconosciuto
la centralità e l’importanza fondamentale del momento diagnostico che deve sempre precedere
qualsiasi atto terapeutico.
Del resto, la definizione di atto medico per la pratica delle MNC non ha fatto altro che confermare
una situazione tipicamente italiana dove sono i medici che prevalentemente esercitano queste
medicine, contrariamente al resto d’Europa, in particolare le nazioni del nord, in cui sono spesso i
non laureati in medicina e chirurgia a praticarle. [2] [3]
Questa situazione di difformità, pone grossi ostacoli all’approvazione di una legge a carattere
europeo che sia in grado di armonizzare da un lato la pratica di queste discipline e
contemporaneamente rispettare le peculiari realtà nazionali.
Anche l’Università ha cominciato a mostrare interesse verso le MNC, istituendo corsi di
perfezionamento, master post laurea o corsi elettivi durante il corso di laurea per le per le MNC più
accreditate, in particolare l’Agopuntura e l’Omeopatia. Per supplire alla mancanza di docenti
preparati nelle varie discipline si avvale di esperti del settore e/o docenti degli Istituti privati.
L’ESEMPIO DELL’AGOPUNTURA
Nel panorama associativo e didattico delle MNC, è l’Agopuntura quella che si è meglio strutturata e
autoregolamentata.
Nel 1987 su iniziativa della Società Italiana di Agopuntura (SIA) e della Società Italiana di
Riflessoterapia Agopuntura - Auricoloterapia (SIRAA), le società più rappresentative del tempo, fu
fondata la Federazione Italiana delle Società di Agopuntura (FISA) con lo scopo di unire le due
anime dell’Agopuntura Italiana, quella ad impostazione tradizionale e quella ad impostazione
riflessologica.
Col passare degli anni, quasi tutte le realtà italiane hanno aderito alla FISA.
2
Nel 1995, la FISA si è fatta carico di coordinare l’attività didattica delle scuole delle Associazioni
aderenti alla FISA fissando programmi, regole e organismi di controllo comuni a tutte le scuole,
così riassunti:
-
durata di quattro anni;
-
monte ore a carattere teorico-pratico di almeno 360 ore;
-
programma concordato, in cui vengono sviluppati sia gli aspetti tradizionali che quelli
moderni dell’Agopuntura;
-
IV anno caratterizzato da stage politematici che l’allievo può frequentare presso una
qualsiasi delle scuole aderenti alla FISA;
-
esami annuali di ammissione all’anno successivo;
-
discussione finale di una tesi alla presenza di due docenti della scuola che si è frequentata e
di un docente di un’altra scuola aderente alla FISA in rappresentanza della FISA stessa;
-
conseguimento, dopo il superamento degli esami e la discussione della tesi, dell’Attestato
Italiano di Agopuntura riconosciuto dalla FISA e iscrizione al Registro Italiano dei Medici
Agopuntori della FISA edito annualmente dalla FISA stessa. [4]
Ogni allievo è possessore di un libretto (uguale in tutto il territorio nazionale) su cui sono registrate
le ore svolte durante il percorso formativo (lezioni teoriche, pratiche, congressi, ecc.) e le firme dei
relativi docenti che hanno insegnato.
IL FUTURO DELLA FORMAZIONE NELLE MNC
Molto dipenderà dall’approvazione o meno di una legge che regolamenti tutto il settore delle MNC
e dal suo contenuto.
Se è prevedibile un sempre maggiore coinvolgimento dell’Università nella formazione in MNC, si
spera che la ricchezza degli Istituti privati sia salvata e venga loro riconosciuto il ruolo che hanno
svolto e stanno tuttora svolgendo in tale settore.
E’ pertanto auspicabile che:
-
ogni MNC, attraverso gli Istituti privati, affini sempre di più gli strumenti per
un’autoregolamentazione, giunga ad una uniformità dei programmi e del numero di monte
ore e stabilisca regole per il controllo di qualità, in tema di formazione;
-
l’Università innalzi la qualità del livello formativo dei corsi post-laurea fino ad ora
organizzati, il cui livello è insufficiente a formare medici preparati e inserisca durante il
corso di laurea, corsi elettivi informativi sui campi d’azione e i limiti delle varie MNC;
3
-
il Legislatore, a partire da questa realtà, approvi una legge che riconosca gli Istituti privati e
i titoli da questi rilasciati equiparandoli a quelli universitari;
-
venga riconosciuta la professionalità e la figura dei medici che operano nelle varie branche
della MNC, dando loro la possibilità di qualificarsi pubblicamente (superamento delle attuali
norme in tema di pubblicità sanitaria) per dare possibilità al cittadino di fare una scelta
informata del medico esperto in una delle MNC.
Riferimento web: www.agopuntura-fisa.it
www.fondazionericci.it
Bibliografia
[1] Raschetti R., Menniti-Ippolito F., Forcella E., Bologna E., Sebastiani G., Sabbadini L. L,: Le
Terapie non Convenzionali in Italia: i primi dati. In Notiziario dell’Istituto Superiore di
Sanità. Vol 14-Num.7/8, 2001.
[2] Fischer P, Ward A. Medicine in Europe: commplementary medicine in Europe. British
Medical Journal, 1994, 309:107-111.
[3] World Health Organization. WHO Traditional Medicine Strategy 2002-2005, 11
[4] Allais G.B., Giovanardi C.M., Pulcri R., Quirico P.E., Romoli M., Sotte L.: La formazione
del medico agopuntore. In Agopuntura Evidenze Cliniche e Sperimentali, aspetti legislativi e
diffusione in Italia. Federazione Italiana delle Società di Agopuntura. Casa Editrice
Ambrosiana, 2000, pp. 111-112.
4
XLIII Congresso Nazionale della Società Italiana di Psichiatria - Bologna 19-24 ottobre 2003
CONSENSUS CONFERENCE
“Psichiatria e Medicine Non Convenzionali nel Servizio Sanitario Nazionale”
L’Unità di Medicine Non Convenzionali nel Dipartimento di Salute Mentale:
una scelta possibile
Aldrigo Grassi (*)
1. La psichiatria pubblica bolognese, che ha avuto una storia molto variegata, con indubbi tratti
di originalità, ma anche con vistosi ritardi, rispetto ad altre città dell’Emilia-Romagna,
nell’attuazione della riforma dell’assistenza psichiatrica, voluta nell’ormai lontano 1978 da
Franco Basaglia, si è data negli ultimi anni, con l’istituzione di un unico Dipartimento di
Salute Mentale, suddiviso in due aree territoriali (l’Area Est e l’Area Ovest, con poco meno
di 200 mila abitanti ciascuna), un ben definito assetto istituzionale ed organizzativo, con una
chiara attribuzione di compiti e responsabilità.
Parto da qui proprio per sottolineare un aspetto che a me pare costituirsi come prerequisito
indispensabile per la realizzazione (e, prima ancora, per la sperimentazione) di ogni progetto
di innovazione; la presenza, cioè, di un quadro di riferimento istituzionale e di un assetto
organizzativo consolidati ed assolutamente riconoscibili entro i quali collocare le esperienze
di innovazione. In caso contrario (se manca o se viene dato illusoriamente o ingenuamente
per scontato questo “prerequisito”) si rischia di costruire su sabbie mobili e di accrescere
instabilità e confusione nei livelli organizzativi e gestionali.
A Bologna da circa tre anni sono operanti due Centri di Salute Mentale (uno nell’Area Est
ed uno, con una sezione universitaria, nell’Area Ovest) a ciascuno dei quali afferiscono un
Day Hospital Territoriale, Semiresidenze/Centri Diurni, Laboratori protetti e Appartamenti
per la Riabilitazione, strutture organizzate in diverse Unità Operative.
La mission principale del Centro di Salute Mentale (CSM), sancita dell’Atto Aziendale, è
quella di “garantire l’accoglienza, la valutazione e l’attuazione dei programmi terapeutici e
riabilitativi personalizzati a tutti i pazienti del bacino d’utenza afferente tramite interventi
ambulatoriali, domiciliari e semiresidenziali nel rispetto del principio della continuità
terapeutica”; al tempo stesso, tra le più importanti aree di responsabilità del Direttore del
CSM, vi sono la formulazione di “linee d’indirizzo per la coordinata ed equilibrata gestione
delle strutture operative afferenti e l’adozione di decisioni con riferimento all’intero ambito
territoriale di competenza in materia di percorsi assistenziali, modalità di accesso, protocolli
assistenziali e valutazione dei risultati”.
__________________________
(*) : Medico
psichiatra, Direttore del Centro di Salute Mentale Ovest dell’AUSL Città di Bologna.
1
2. E’ dunque in questo contesto che, sulla base dei dati di domanda assistenziale rilevati
attraverso il sistema informativo psichiatrico aziendale (SIPA) e con riferimento agli
obiettivi indicati nel Piano delle Azioni, predisposto dalle competenti Direzioni aziendali,
viene preparato, discusso ed inviato per l’approvazione al Direttore del Dipartimento il
Programma annuale di lavoro del nostro CSM “Ovest”.
Nel Programma sono contenuti i piani operativi (con i relativi obiettivi) e i progetti che
assumono rilevanza particolare, ciascuno dei quali è corredato da specifici indicatori di
risultato per consentire l’effettuazione di tutte le verifiche del caso in sede di
rendicontazione di fine anno.
Nel programma del 2003 è stato inserito anche il progetto di istituzione, dopo una fase di
sperimentazione, dell’Unità di Medicine Non Convenzionali (U.Me.N.C.).
3. L’idea di ampliare nel Dipartimento di Salute Mentale dell’Azienda USL Città di Bologna
quello che oggi si chiama Catalogo dei prodotti è nata cogliendo, da un lato, la crescente
domanda di trattamenti con medicine non convenzionali (e, di converso, i sempre meno rari
rifiuti delle terapie psicofarmacologiche tradizionali) e dall’altro la possibilità di disporre,
all’interno del Centro, di competenze professionali specifiche nel campo dell’omeopatia e
dell’omotossicologia.
Più in generale, il progetto di costituire un’Unità di Medicine Non Convenzionali si è
inserito in un disegno di più ampio respiro, volto a migliorare l’accessibilità e ad estendere
la gamma delle prestazioni specialistiche fornite dal servizio psichiatrico pubblico.
In questo quadro, considerata la non marginale persistenza di incomprensioni/diffidenze nei
confronti delle Medicine Non Convenzionali da parte della Medicina “Ufficiale” (e con essa
della Psichiatria che, nonostante la sua collocazione tuttora eccentrica rispetto all’universo
delle specialità mediche e chirurgiche tradizionali, non si è certo distinta per iniziative di
confronto/apertura verso le terapie cosiddette non convenzionali), non va certo sottovalutata
la scelta di dare visibilità e, nel contempo, trasparenza, in un servizio psichiatrico pubblico,
a pratiche terapeutiche non convenzionali.
Sempre lungo questa direttrice, con l’obiettivo di fornire prove controllate, evidence based,
dell’efficacia dei trattamenti psichiatrici con medicine non convenzionali (terreno questo già
di per sé molto spinoso per la stessa psichiatria tradizionale), si è collocata anche la scelta di
eseguire test diagnostico-clinici all’inizio e alla fine dei trattamenti “non convenzionali” per
documentare gli esiti degli stessi.
2
4. Nella fase sperimentale, d’avvio della nostra esperienza, principalmente allo scopo di
procedere con prudenza e gradualità e tenuto conto delle risorse professionali disponibili, ci
si è posti alcuni vincoli, il primo dei quali rappresentato dall’ancora abbastanza ristretta
tipologia dell’offerta di terapie non convenzionali (che viene limitata all’omeopatia,
all’omotossicologia e alla floriterapia di Bach).
Secondariamente si è stabilito che i trattamenti “non convenzionali” vengano riservati a
persone “in carico” o, comunque, già entrate in contatto con il Centro di Salute Mentale: non
un accesso diretto, quindi, ma di secondo livello, “filtrato” cioè dai medici psichiatri e dagli
psicologi del CSM.
In terzo luogo le indicazioni diagnostiche (la casistica) degli invii all’Unità di Medicine Non
Convenzionali vengono limitate ai cosiddetti disturbi psichiatrici minori (riconducibili, per
lo più, alle nevrosi non strutturate e ai disturbi d’ansia e dell’umore di tipo reattivo),
prevedendo, in alcuni casi, la co-presenza di requisiti aggiuntivi, quali la
resistenza/intolleranza alla farmacoterapia tradizionale e l’assenza di indicazioni specifiche
alla psicoterapia.
5. Posti questi vincoli che, ripeto, potranno essere rivisti, modificati ed anche del tutto rimossi
alla luce dei risultati della fase sperimentale, l’avvio della nuova esperienza ha comportato il
superamento di alcuni passaggi importanti e delicati, primo fra tutti quello rappresentato
dalla ricerca dell’adesione e del consenso, se non proprio della piena collaborazione, alla
riuscita del progetto da parte dei medici psichiatri e degli psicologi del Centro, dei
professionisti cioè che nella fase sperimentale si costituiscono quale esclusiva fonte degli
invii all’ U.Me.N.C.. Affermare che le iniziali perplessità/diffidenze di molti colleghi siano
state completamente superate sarebbe oggettivamente una forzatura; continuano infatti a
sussistere sacche di resistenza, con uno spettro di posizioni che vanno dallo scetticismo/non
belligeranza al quasi-boicottaggio. Va però anche rimarcato che sono andati
contemporaneamente crescendo curiosità, interessi, volontà di collaborazione (in particolare
tra il personale non medico) che fanno ben sperare per gli sviluppi futuri.
Gli altri passaggi, per così dire, delicati sono coincisi con le diverse fasi di presentazione,
esame ed approvazione dello studio di fattibilità, prima all’interno del Centro di Salute
Mentale e in sede di Direzione dipartimentale, quindi ai più alti livelli istituzionali, quelli del
Comitato etico e del Collegio di Direzione aziendale.
Il solido impianto dello studio di fattibilità, la caratteristica sperimentale (per un periodo di
sei mesi) del progetto, l’inclusione nello studio di chiari indicatori di risultato per la verifica
3
dell’esito della sperimentazione e, certo non da ultimo, la convinta adesione della Direzione
dipartimentale alla iniziativa credo abbiano fortemente contribuito a favorire il positivo
superamento del complesso percorso istituzionale (percorso al quale, peraltro, dovrebbe
essere soggetta la maggior parte dei progetti innovativi delle Aziende Sanitarie pubbliche.
6. Mi scuso se mi sono dilungato in modo forse troppo dettagliato e magari un po’ noioso
sull’iter che nel nostro Dipartimento di Salute Mentale abbiamo seguito per l’istituzione
dell’Unità di Medicine Non Convenzionali; se l’ho fatto è anche perché coltivo la speranza
che, magari incuriositi e sollecitati dalla nostra iniziativa, altri possano attivarsi, proponendo
nuove esperienze su questo analogo terreno in altri Dipartimenti di Salute Mentale e creando
così le premesse per stimolanti confronti, con l’obiettivo di arricchire ed elevare la qualità
dei trattamenti della psichiatria pubblica e quindi di concorrere in modo sempre più efficace
al miglioramento delle condizioni di salute e di vita dei nostri pazienti.
4
XLIII Congresso Nazionale della Società Italiana di Psichiatria - Bologna 19-24 ottobre 2003
CONSENSUS CONFERENCE
“Psichiatria e Medicine Non Convenzionali nel Servizio Sanitario Nazionale”
Il contributo dell’antroposofia all’umanizzazione della medicina
GIUSEPPE LEONELLI
Società Antroposofica Italiana, Gruppo Medico Antroposofico Italiano
Il rapporto medico–paziente nasce dal bisogno del paziente di ristabilire la propria integrità e
autonomia secondo l’immagine in cui si riconosce ed anche è riconosciuta dalla sua comunità come
persona.
Si può definire malattia ciò che le minaccia.
Quando si dice che occorre tener conto non solo della malattia ma anche del malato nella sua
unicità si intende questo. Il medico è riconosciuto o dal paziente o dalla comunità o da entrambi
come colui che può ristabilire quell’unità e interezza perdute. Per farlo egli deve conoscere e avere
potere su ciò su cui il paziente non ha né conoscenza né potere. Questa area ignota o inconscia del
suo esserci è da un lato il suo corpo e dall’altro l’insieme delle forze che hanno costituito la
comunità e regolano l’interazione che entrambi hanno con la natura, dove il cerchio si chiude.
Per lo più parlando di umanizzazione della medicina si intende l’attenzione al vissuto del paziente,
alla relazione psicologica ed etica col medico. Ma questo è solo il profumo della cosa, la fiducia del
suo poter accadere. La cosa è proprio il ricondurre l’individuo malato all’integrità e all’autonomia
o, se non lo si può, il riconoscere questo limite come ragione di condivisa sofferenza. Ciò
presuppone che paziente, medico e comunità condividano un’immagine di integrità,
di integrazione. Ma il suo fondamento è che l’area dell’esserci del paziente ignota a lui sia
accessibile al medico –che il medico sappia e possa in qualche caso quello che il paziente né sa, né
può– e che entrambi riconoscano un’area inaccessibile a tutti.
Per il chirurgo il fondamento è la precisa conoscenza dell’anatomofisiologia, la sua quotidiana
frequentazione. Quando si occupa per esempio del percorso dei nervi laringei o delle coronarie egli
fa questo in nome e sotto il controllo della comunità, perché nervi e vasi sono questa ignota area
essenziale ed accessibile dell’umanità del singolo. Il singolo poi, costretto dall’impossibilità di
1
vivere o dal disagio, rinuncerà anche alla propria coscienza per affidarsi alla sue mani. Egli farà
proprio lo sguardo del chirurgo, quello sguardo che si è educato ad escludere il vissuto soggettivo
del corpo, salvo assumere poi la funzione e la responsabilità verso di esso del soggetto
che gli si affida.
Lo psichiatra pure in nome della comunità ha un potere sull’individuo, unico nell’ambito medico,
quello di privarlo della sua libertà. Ma qual è in questo caso l’area del suo esserci, ignota al paziente
ma accessibile al medico ? Il “corpo del chirurgo” è lo stesso del “corpo dello psichiatra”?
L’anatomofisiologia e la quotidiana frequentazione sono le stesse?
Gli organi nel corpo si costituiscono dall’incontro di vasi e nervi, nella loro rete, e possono essere
guardati da fuori come un qualsiasi oggetto fisico, che si può anche trapiantare, e da dentro come
parte del sé, di cui si può avere coscienza anche se amputata.
Il “corpo del chirurgo” è la traduzione in sintomi e segni fisici della storia del soggetto, ma per il
chirurgo questa deve essere muta come il soggetto. Il “corpo dello psichiatra” appare lui muto,
mentre i sintomi e i segni si presentano tutti nella storia e nel soggetto. In realtà essi sono la
traduzione di ciò che in quel corpo muto è malato.
Come il chirurgo, per reggere la proiezione su di sé del paziente e la sua domanda, lascia cadere la
sua storia e agisce sul corpo, così lo psichiatra, per riportare in sé il paziente, deve agire sul corpo e
mettere da parte i sintomi. Per entrambi, ma per ragioni opposte, la storia deve ammutolire; per
entrambi, ma da lati opposti, si tratta di agire sul corpo.
Che nel corpo veda cercata la causa delle psicosi è oggi in realtà anche troppo affermato. Il dilagare
epocale e patologico dell’uso di sostanze psicotrope può sembrare proprio la conseguenza di una
concezione corporea, non psicodinamica, relazionale e sociale, del disturbo psichiatrico, sostenuta
per di più dall’enorme sviluppo delle conoscenze sulla “chimica” delle emozioni e della mente. Qui
si colloca il contributo dell’antroposofia alla psichiatria.
Le conoscenze biochimiche in realtà nascono dalla stessa forma mentale, dallo stesso sguardo che il
chirurgo o il rianimatore volgono al corpo, da fuori.
Si è accumulata una quantità impressionante di dati e manca per ora un collegamento organico con
la vita del paziente, del medico e della comunità.
Non c’è un ponte tra biochimica e quadri psicopatologici; semmai la “chimica” delle sostanze e lo
spettro delle loro azioni si sostituisce alla diagnostica e ad ogni visione eziopatogenetica. Si fa
sempre più strada l’idea che “l’anima è un’ipotesi non necessaria”, che l’attività spirituale è la
neurofisiologia del cervello.
Quasi per opposizione a questa tendenza in psichiatria si è molto spostato l’accento su
fenomenologia e storia della malattia, sui sintomi e i segni, e quindi sugli aspetti relazionali e sociali
2
di essa. Lo psichiatra imita in ciò il chirurgo o il rianimatore, interviene sui sintomi, ma questi nel
suo caso lo spingono a divenire un ideologo o uno sciamano, un sociologo o un antropologo, o lo
riducono a ribellarsi al ruolo di guardiano per la comunità del modello che essa ha di integrità oggi
sempre più discusso e per di più soggetto a mutare nei tempi lunghi.
Non c’è dubbio che lo stato mentale risenta della vita degli organi, ma esiste forse una fisiologia del
loro ruolo nella genesi della coscienza?
L’unica fisiologia che ancora si insegna è quella per cui gli organi elaborano materie e forze fisiche,
non quella per cui essi – e non solo il cervello- elaborano anche sostanze e forze psichiche.
Il ponte tra lo sguardo da fuori, che magicamente anche rende esteriore tutto ciò che tocca, e quello
da dentro, che può perdersi nel labirinto delle rappresentazioni interiori, è la fisiologia degli stati
elementari della materia: termico, aeriforme, liquido, solido o nel linguaggio antico: fuoco, aria,
acqua, terra.
In questi stati natura e uomo si sovrappongono, fluiscono l’uno nell’altra e la loro esperienza è
universale, testimoniata ovunque e in ogni tempo.
Essi sono come le costanti dell’universo, un dato non arbitrario in cui realtà e coscienza trapassano
l’una nell’altra, un tertium. Gli stati elementari della materia , come già Schelling aveva
sottolineato, fin dalla loro rappresentazione nella Grecia antica, non sono infatti materia ma forma.
In essi, nel mistero delle loro proprietà e dei loro stabili confini, da sempre l’uomo ha percepito
l’anima del mondo, il suo ordine e le sue trasformazioni.
Non esisterebbe una fisiologia della respirazione se non ci fosse l’aria, ma lo stato aeriforme
nell’organismo è lungi dal coincidere con la sola respirazione. Senza lo stato aeriforme sarebbe
impossibile la vita psichica e in particolare l’intenzionalità, il tendere verso, l’anelito, il coraggio.
Non esisterebbe una fisiologia della circolazione se non ci fosse liquido ma lo stato liquido
nell’organismo non coincide con la sola rete vascolare. Senza di esso sarebbe impossibile la vita
vegetativa e sul piano psichico la sensibilità.
Non esisterebbe una fisiologia dell’apparato muscolo-scheletrico se non ci fosse lo stato solido ma
esso nell’organismo è più che il solo sistema osseo. Senza di esso non ci sarebbero individualità
biologica, forma, né sul piano psichico l’attività pensante.
Non esisterebbe una fisiologia del ricambio e del movimento senza calore ma lo stato di calore è più
che la temperatura corporea. Senza di esso non ci sarebbe coscienza dell’io né possibilità di
entusiasmarsi, di volere e fare alcunché.
Il corpo umano è una miscela di questi stati elementari e ciascuno di essi fa capo ad un organo
centrale, ad un cervello.
3
Questo organo è centrale rispetto allo stato elementare non perché esista un organo solo di calore o
aeriforme –ogni organo in modi diversi li riunisce tutti- ma governa quell’elemento anche negli altri
organi, dipendendo da loro a sua volta per gli altri elementi. In esso si esprime nella pienezza di
questa sua funzione. Quale funzione?
Collegare lo spirito che è nell’uomo con lo spirito che è nella materia; fare da ponte tra corpo e
anima; collegare lo stato elementare che governa gli altri, unificando il campo della coscienza:
l’uomo pensa tanto con i suoi piedi che col suo cervello.
Non è così d’altronde anche nel mondo, dove calore, aria, acqua e terra stanno entro i loro
misteriosi confini ed è innegabile per esempio riferire il calore al Sole e non alla Luna, ma a questa
invece un’azione sull’acqua? Attraverso gli elementi traspare una vita psichica della natura.
Del cuore per esempio, che governa lo stato del calore del corpo, si dovrà pensare che tale funzione
si esplichi principalmente a partire dalla sua struttura di calore e non da quella aeriforme e liquida, a
cui peraltro tutte le sue manifestazioni si trasmettono. Del cuore cioè si deve pensare che esso sia
una struttura di calore differenziato e non solo quello che il chirurgo si trova tra le mani.
Anche per gli altri organi esiste una struttura di calore differenziato soggetta al governo del cuore,
anche per il fegato, i polmoni, i reni, che invece governano rispettivamente l’uomo liquido, solido,
aeriforme. È evidente che questa funzione è distinta da quella fisica in cui cuore, fegato, polmoni e
reni appaiono correlati all’elemento liquido, di calore, aeriforme e ancora liquido.
Del calore poi in rapporto all’uomo si deve riconoscere che è l’unico stato della materia che egli
può sperimentare da dentro e da fuori; di cui può avvertire l’estraneità o che può generare o
spegnere per forza propria. Nel calore l’essere umano sperimenta se stesso, l’io coglie la propria
oggettività.
A questo cuore come struttura di calore differenziato e come cervello dell’intero uomo di calore, e
agli altri organi rispettivamente si deve pensare in psichiatria per avere un fondamento anatomofisiologico ed una quotidiana frequentazione equivalenti a quelle di cui si valgono il chirurgo e il
rianimatore.
Quando si dice “deve” non si intende né dovere morale né esortazione ma si vuole sottolineare la
necessità intrinseca a queste cose, che solo attraverso un pensiero attivo e che nasca per libera
iniziativa del medico, vengono a coscienza e manifestano la loro realtà e le loro leggi.
Questo apre anche la strada alla terapia. Se il cuore, la sua struttura di calore, è malato ad essa dovrò
rivolgere le cure. Certo non è una malattia delle fibre miocardiche, del cuore liquido, per cui cercare
per esempio nella digitale quello che mi occorre. Lo cercherò invece in quei metalli che hanno
un’affinità con la centralità del calore nel sistema del mondo.
4
Si trova così un fondamento per quell’umanizzazione della medicina che non va confusa con la sola
cura della relazione medico paziente –senza nulla voler togliere alla sua importanza- ma che è
cercare di pensare in modo umano l’uomo, il suo corpo, i suoi organi e il loro rapporto col mondo.
Che cosa siano la natura e l’uomo, e quindi l’integrazione, la salute, è ogni volta in realtà una
decisione della comunità. Oggi delle comunità del passato e delle loro immagini restano solo
sopravvivenze ed è in corso un complesso processo di emersione dell’universale dalla loro varietà e
molteplicità. Questo complesso emergere è anche una lotta e più volte nel XIX e XX secolo si è
visto l’operare funesto in campo scientifico-religioso e politico-economico di tentativi prematuri di
affermare il primato di una qualche comunità o di attuare il dominio di un modello sopra tutti.
Questi tentativi si sono intrecciati ad eventi o derive psicopatologiche collettive da cui non siamo
del tutto emersi. L’integrazione questa volta, l'umanizzazione della medicina, non è solo mettersi in
armonia con il sistema del mondo della propria etnia e della propria storia culturale, ma con
l’universalmente umano che anela d’essere riconosciuto. Esso sembra consistere più che in qualche
dogma scientifico in un salto antropologico che, valendo in ogni uomo, fa di ciascuno un promotore
di verità, di libertà, di realtà.
BIBLIOGRAFIA
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5
XLIII Congresso Nazionale della Società Italiana di Psichiatria - Bologna 19-24 ottobre 2003
CONSENSUS CONFERENCE
“Psichiatria e Medicine Non Convenzionali nel Servizio Sanitario Nazionale”
IL CONTRIBUTO DELL’OMEOPATIA PER UN SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE
INTEGRATO: DALLA FORMAZIONE ALLA TERAPIA
ENNIO MASCIELLO
Direttore Didattico della Scuola Triennale di Bologna del Centro Italiano di Studi e
Documentazione in Omeopatia, CISDO; Membro della Commissione per le Medicine Non
Convenzionali dell’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri di Bologna
L’omeopatia è nata agli inizi del XVIII secolo ad opera del medico tedesco C.F.S. Hahnemann, nato
in Sassonia nel 1755 e morto a Parigi nel 1843 all’età di 88 anni.
Per lui il medico deve avere come unico scopo quello di rendere sani i malati, ossia di guarirli
(Organon, par 1), come avevano già insegnato Ippocrate, Paracelso e Crollius.
Per questo motivo, non soddisfatto del suo operato di medico, chiude l’ambulatorio già di successo
per rimettersi a studiare e per trovare un metodo che curi radicalmente i pazienti, rendendoli liberi
di dedicarsi agli scopi superiori della loro esistenza (Organon, par. 9) .
Dallo studio degli effetti della lavorazione della corteccia di china sugli operai che la maneggiavano
nacque l’omeopatia.
Infatti Hahnemann ipotizza che una sostanza il cui uso in dosi ponderali nell’uomo sano produce
diversi segni e sintomi può curare, se usata in dosi sufficientemente attenuate, tutte quante le
malattie che mostrano nel malato quella stessa costellazione sintomatologica, in base al “Principio
di Similitudine”.
Hahnemann iniziò a preparare i rimedi in dosi concentrate ma ben presto capì che queste potevano
causare effetti collaterali e tossici. Quindi partì diluendo il rimedio con passaggi centesimali vale a
dire 1:100 parti in volume e si accorse così che dopo il terzo passaggio la maggior parte delle
sostanze non producevano più alcun effetto tossico.
Provò quindi ad agitare vigorosamente la soluzione dopo ogni diluizione, procurando la cosiddetta
succussione o dinamizzazione, notando che con questo procedimento non solo la sostanza non perde
i suoi effetti sull’uomo sano ma, aumentandone le diluizioni, acquisisce effetti sempre più vasti,
profondi e potenti.
1
Dato che egli era uomo pratico e sincero sperimentatore, sperimentò su se stesso, i figli e gli allievi
numerosi rimedi che iniziò ad applicare nella clinica, affermando che solo l’esperienza pura è il
responso infallibile dell’arte di guarire il malato.
Sperimentò così 61 rimedi i cui sintomi provocati su individui sani, i cosiddetti “provings”,
costituiscono la patogenesi o patogenesia dei rimedi che vengono raccolti e catalogati nella prima
Materia Medica Omeopatica, strumento fondamentale del medico omeopata.
A questi segni e sintomi si sono aggiunti quelli che il medico rileva sul malato nel corso
dell’osservazione clinica e non riconducibili al dato sperimentale. Attualmente disponiamo di
Materie Mediche estremamente ampie che comprendono la sintomatologia di migliaia di rimedi.
Cardine della disciplina fondata da Hahnemann sono l’ascolto e l’osservazione estremamente attenti
e accurati di tutti i segni e sintomi che i sensi del medico possono rilevare nel paziente, i quali
vanno annotati con precisione e rigorosa attenzione per costituire il quadro completo di ogni singolo
malato, dato che, secondo l’omeopatia non esistendo le malattie ma solo le persone malate, ogni
protocollo terapeutico deve essere personalizzato essendo il frutto dell’intima relazione
gnoseologica tra medico e paziente.
L’Omeopatia, apparsa, come abbiamo visto, tre secoli fa, sia pure tra alterne vicende (guerre
napoleoniche, mancata pubblicazione se non agli inizi del XX secolo dell’ultima edizione
dell’Organon, opera fondamentale del Maestro, contemporanea nascita e sviluppo della
batteriologia, frammentazione del mondo omeopatico in diverse correnti di interpretazione del
pensiero del Maestro), non ha mai smesso di svilupparsi, cioè di soddisfare un numero sempre
crescente di prescrittori e di malati.
In Italia oggi si annoverano tra i soli omeopati circa 7500 medici prescrittori, quasi una farmacia su
due è fornita di medicinali omeopatici, l’8,2% della popolazione utilizza medicine omeopatiche
(ove per medicine omeopatiche si deve intendere medicine prodotte secondo farmacopea
appropriata con metodologia di diluizione e dinamizzazione, come già descritto, prescindendo dalla
tecnica clinica seguita nella scelta e prescrizione della medicina da cui: omeopatia, omotossicologia,
antroposofia) con un fatturato da parte delle aziende italiane del settore di 157,2 milioni di Euro.
Tali numeri diventano nell’Unione Europea di 700 milioni di Euro, 50.000 medici, 50 milioni di
utenti che assurgono a centinaia di milioni a livello mondiale.
E’ quindi ovvio che un fenomeno di queste dimensioni necessiti di essere governato ed anche in
questa ottica ritengo si debba leggere la delibera della FNOMCeO del maggio 2002 nelle cui “Linee
Guida sulle Medicine e Pratiche Non Convenzionali” vengono riconosciute 9 Discipline
(Omeopatia, Agopuntura, Medicina Tradizionale Cinese, Omotossicologia, Fitoterapia, Medicina
Ayurvedica, Chiropratica, Osteopatia, Medicina Antroposofica) di esclusiva competenza medica.
2
Però non è solo da “cavalcare la tigre”, ma è anche importante capire il “fenomeno” ed il perché
della sua vastità.
L’affermazione che l’omeopatia non sia scientifica è falsa perché sino dalle sue origini essa si basa
sull’applicazione del principio galileiano di osservazione, interpretazione e riproducibilità del
fenomeno.
L’affermazione che l’omeopatia sia solo effetto placebo è confutata da innumerevoli lavori
scientifici tra i quali vanno citati: lo studio condotto dal Servizio di Ematologia della Facoltà di
Farmacia dell’Università di Bordeaux, che dimostra l’inversione dell’effetto clinico ottenuto tra
l’utilizzo di aspirina a dosi di 100 mg/kg e varie diluizioni fino alla 30CH su diversi parametri
(trombizzazione, embolia, aggregazione piastrinica, ecc.) su di una popolazione di cavie; gli studi
che Cornelli e Coll. stanno conducendo alla Loyola University di Chicago sulle eparine a basso
peso molecolare ottenute per diluizione e dinamizzazione.
Le tre metanalisi di Kleijenen J. et Al. (1991); Cucherot M. et Al. (2000); Linde K. et Al. (1997)
nelle quali i tre gruppi di valutatori indipendenti, ognuno con un diverso processo di analisi, sono
arrivati allo stesso risultato finale: l’azione positiva dell’omeopatia, pur affermando la necessità di
ulteriori studi.
L’affermazione secondo cui il medicinale omeopatico non contiene massa molecolare sufficiente e
quindi non può essere efficace è, secondo i detrattori dell’omeopatia, il lato debole ed oscuro della
disciplina. A costoro si possono contrapporre numerose evidenze scientifiche.
In Italia uno dei più autorevoli gruppi di ricerca scientifica sull’omeopatia fa riferimento al veronese
Paolo Bellavite dell’Istituto di Chimica e Microscopia Clinica dell’Università di Verona e
all’Osservatorio per le Medicine Complementari, sorto per iniziativa congiunta dell’Università degli
Studi di Verona e dell’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri di quella città.
Secondo Bellavite et Al. fino alla diluizione 10CH (decima centesimale), pur non riscontrandosi
massa sufficiente a giustificare un’azione farmacologica, si può teorizzare un’azione mediata da
sistemi moltiplicatori.
Non volendoci dimenticare dell’ovvietà della vita, cito due esempi tra i milioni riscontrabili in
natura: i ferormoni agiscono a concentrazione alla 10 -14 pari ad una 7CH e le endorfine endogene
agiscono a concentrazione nanomolecolare come pure i releasing factors, ecc.
Quanto proposto da Bellavite mi conforta fino alla 10CH.
La maggior parte della produzione dei medicinali omeopatici, quindi degli strumenti terapeutici di
Omeopati, Omotossicologi ed Antroposofi è dato dalle basse diluizioni, infatti circa l’80% della
produzione è al di sotto della 7CH, circa l’85% è entro la 9CH.
3
Tutti noi sappiamo bene che i dubbi sull’efficacia dell’Omeopatia non sono risolti, ma mi sembra
altresì corretto che ci si collochi tra l’evidenza della medicina empirica ed il dubbio sperimentale.
Da questa collocazione oltre che dalla necessità di “cavalcare la tigre” dell’ovvietà dell’esistenza
del mercato dell’Omeopatia e delle Medicine Non Convenzionali in genere, deriva la necessità di
prendere atto responsabilmente di tutti gli aspetti del fenomeno per meglio e compiutamente
integrare l’Omeopatia e le altre Medicine Non Convenzionali o, meglio, Integrative nel Sistema
Sanitario Nazionale.
Integrazione che può derivare solo dal reciproco riconoscimento tra un sistema medico dominante e
le medicine complementari e i rispettivi sistemi epistemologici che le sorreggono.
“La medicina integrata non è solo usare erbe al posto dei farmaci. La medicina integrata è buona
medicina ed il suo successo sarà evidenziato dalla caduta dell’aggettivo. La medicina integrata di
oggi dovrebbe essere la medicina del nuovo Millennio”, così si sono espressi L. Rees, direttore del
programma di formazione del Royal College of Physicians, U.K., e A. White, direttore del
programma per la Medicina Integrata dell’Università di Tucson, Arizona, nell’editoriale dal titolo:
“Integrated Medicine”, apparso sul British Medical Journal.
Lo scopo della Medicina Integrata è identificare i trattamenti più appropriati per ogni paziente
nell’ambito di tutte le possibilità di cura basate sull’evidenza scientifica.
Questo a maggior ragione se consideriamo che ai tempi di Hahnemann (1755-1843) e di Pasteur
(1822-1895) ci si ammalava e si moriva di privazioni ed infezioni mentre oggi si sono ridotte le
prime e combattute le seconde, ma ci si ammala lo stesso. Di cosa ci si ammala? Di cattivo rapporto
con l’ambiente (allergie), con se stessi (malattie autoimmuni, cancro, ansia, anoressia, bulimia, ecc).
Diceva Pasteur: “Il batterio è molto, il terreno è tutto”.
Cosa è quindi meglio della medicina dell’uomo nella sua totalità?
Quindi il concetto di Medicina Integrata non è quello di una sorta di sincretismo medico al pari di
un sincretismo religioso, bensì l’integrazione tra culture diverse che riconoscendosi reciprocamente,
reciprocamente si arricchiscono.
Quindi sta ad ogni medico agire sulla base della conoscenze acquisite, ove la decisione clinica viene
presa in base al numero maggiore di opzioni terapeutiche possibili.
Il processo d’integrazione non si può fermare solo a questo livello, ma deve coinvolgere l’intero
sistema, le istituzioni, le strutture e così via, addivenendo ad una reale cooperazione a tutti i livelli:
formativa, organizzativa, finanziaria, strutturale.
Fino a oggi la formazione ha ruotato intorno ad una serie di scuole private.
4
Nel caso del C.I.S.D.O. (Centro Italiano di Studi e Documentazione in Omeopatia) dal 1980 al 2002
abbiamo formato o contribuito a formare oltre 2.800 medici e 13.500 farmacisti; e molti sono stati i
medici e farmacisti informati sull’esistenza dell’Omeopatia.
Il corpo docente della Scuola è composto da 80 medici che operano in 8 sedi nazionali di scuole di
Medicina Omeopatica Clinica Triennale e 14 sedi nazionali di scuole di Medicina Omeopatica
Annuale.
In questi quasi venti anni di attività come docente ho visto cambiare la popolazione dei
medici/allievi: dalla prevalenza di giovani neolaureati all’attuale età media di 30-40 anni, con punte
al limite della pensione.
Un’altra variazione è data dall’aumento del numero dei medici operanti nel Sistema Sanitario
Nazionale, sia come dipendenti, sia come convenzionati: pediatri, medici di base, ginecologi,
psichiatri, ecc.
Che cosa può spingere dei professionisti che per età e livello professionale raggiunto potrebbero
considerarsi “arrivati” a cambiare se non addirittura a rivoluzionare lo stato delle loro cose
professionali? Si sentono schiacciati dal burocratismo clinico-operativo-legale: in fondo cosa sono i
LEA, i DRG, i Protocolli Terapeutici, se non delle camice di forza che imbrigliano terapia e
terapeuta, rapporto medico-paziente e spesa sanitaria entro degli schemi operativi molto limitati e
molto poco interpretabili?
Laddove nelle medicine complementari o integrative come l’omeopatia c’è meno chimica e in
tempi di sviluppo biocompatibile è giusto porsi anche il problema dell’ecologia interna.
Inoltre questi Colleghi sono animati da curiosità speculativa, spinta interiore, voglia di rinnovarsi,
sensibilità innata a relazionarsi con il paziente in maniera olistica.
Queste loro grandi motivazioni sono lo stimolo più importante per noi docenti.
I Colleghi predetti lavorano come operatori sul territorio e sono quindi il primo filtro del Sistema
Sanitario Nazionale rispetto alla popolazione, quelli più a contatto con gli umori ed i bisogni del
territorio e quindi sono i più sensibili a quel cambiamento epocale che è il passaggio dal concetto di
salute come assenza di malattia a quello di salute come benessere psico-fisico.
La grande partecipazione e la coralità dei nostri allievi producono un dialogo estremamente fecondo
grazie anche ad un alto rapporto tra numero dei docenti e numero dei discenti: lezioni frontali
laboratori, supervisioni cliniche e metodologiche, gruppi di studio costituiscono il cuore del nostro
percorso formativo.
Nella mia esperienza di docente e direttore didattico rilevo che è frequente che colleghi già
diplomati non solo continuino a frequentare a volte le lezioni frontali ma più di tutti i gruppi di
5
studio e di supervisione clinico-metodologica, realizzandosi così la formazione ed aggiornamento
continuo e si rileva una profonda empatia tra allievi anziani e quelli del primo anno.
Tutti questi elementi aumentano motivazione, impegno e rendimento di docenti e discenti.
Questo rapporto partecipativo e corale fa sì che ci sia grande disponibilità tra i diplomati e discenti
dell’ultimo anno con i neoiscritti, questo grazie ad un contesto di spontaneità e partecipazione dato
dalla motivazione dei Colleghi ad intraprendere questa strada.
Se è vero come è vero che il Ministero della Salute propugna il concetto di formazione continua e
permanente, come è provato dall’avvio del Programma ECM, il CISDO ha fatto di questo principio
il suo asse portante fin dalla sua costituzione.
Per mio tramite, anche in questa sede, la Scuola che rappresento esprime la sua piena motivazione,
interesse e disponibilità a collaborare sia per progetti di ricerca, sia per protocolli terapeutici, sia per
attività di formazione e supervisione dei medici chirurghi, odontoiatri e farmacisti operanti nel
Servizio Sanitario Nazionale.
6
BIBLIOGRAFIA
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2002
7
XLIII Congresso Nazionale della Società Italiana di Psichiatria - Bologna 19-24 ottobre 2003
CONSENSUS CONFERENCE
“Psichiatria e Medicine Non Convenzionali nel Servizio Sanitario Nazionale”
PSICHIATRIA PUBBLICA E MEDICINE NON CONVENZIONALI: PERCORSI OPERATIVI E
STRUMENTI TECNICI
PAOLO ROBERTI
Dirigente Medico di Psichiatria del Centro di Salute Mentale “Ovest”, Dipartimento di Salute
Mentale, AUSL della Città di Bologna
Obiettivo unificante dell’impegno dei medici del Servizio Sanitario Nazionale dovrebbe essere
quello di concorrere alla costruzione di una medicina capace di adeguare l’offerta di cura alla
maggior consapevolezza/maturità dei cittadini e alle nuove domande di salute che negli ultimi
vent’anni sono venute sviluppandosi nella società postindustriale.
In questa prospettiva, il progetto di realizzare nel Servizio Sanitario Nazionale la piena integrazione
tra medicina tradizionale e medicine non convenzionali o complementari può trovare nell’area della
tutela della salute mentale un “laboratorio” originale e specifico, anche e in particolar modo per il
carattere di multidisciplinarietà della maggior parte degli interventi/trattamenti della psichiatria
pubblica.
In psichiatria, d’altra parte, forse più che in altri ambiti della medicina, ci si ritrova frequentemente
a fare i conti con quel famoso trattino che unisce “psiche” a “soma” che per troppo tempo ha
costituito lo spartiacque di incomunicabilità o per lo meno di difficile dialogo tra “organicisti” e
“non organicisti”.
Non per caso, dunque, nella letteratura internazionale è sempre meno raro imbattersi in lavori clinici
sull’uso delle medicine non convenzionali nel trattamento di disturbi psichiatrici; voglio ricordare,
tra le pubblicazioni più recenti, il bell’articolo di Mamatani e Cimino (2002), il lavoro di Davidson,
Morrison et Al. (1997) sul trattamento omeopatico dell’ansia e della depressione, gli studi
controllati sulla terapia omeopatica del disturbo d’ansia generalizzata (Bonne, Shemer et Al., 2003)
e della depressione post partum (Mantle, 2002).
Lo scorso anno il National Center for Complementary and Alternative Medicine del National
Institute of Health, USA, su oltre 200 progetti di ricerca, ne ha finanziati 24 riguardanti l’area
psichiatrica: tra questi alcuni studi controllati sul trattamento con farmaci omeopatici delle
depressioni reattive, della fobia sociale e del disturbo ossessivo-compulsivo.
1
In Europa da anni servizi psichiatrici pubblici effettuano terapie con medicine non convenzionali;
mi limito qui a citare la clinica antroposofica di Friburgo, collegata all'università, con 100 letti di
degenza psichiatrica.
In Italia, dove sono almeno un centinaio le strutture pubbliche che erogano prestazioni di medicina
non convenzionale, si sono venute affermando, negli ultimi anni, anche alcune esperienze in campo
psichiatrico, come quelle del Centro Psicosociale di Rho (Milano) per la floriterapia di Bach e del
Servizio di Diagnosi e Cura di Formia (Roma) per l’omotossicologia e l’elettroagopuntura secondo
Voll.
Io stesso, negli anni tra il 200 e il 2002, presso il Centro di Salute Mentale “Tiarini” del
Dipartimento di Salute Mentale di Bologna, ho effettuato uno studio su 23 pazienti, 16 femmine e 7
maschi (di area diagnostica - Cod. ICD 9 CM - 300.0, 300.3, 300.4, 300.5) trattati con farmaci
omotossicologici (i risultati sono riportati in un articolo di recente pubblicazione - vedi bibliografia -).
E’ stato, del resto, anche sulla scia di questo lavoro che ha preso le mosse, nell’inverno 2002-2003,
il progetto di costituzione di una Unità di Medicine Non Convenzionali (U.Me.N.C.) nel Centro di
Salute Mentale “Ovest” di Bologna.
Tralascio di ripercorrere le fasi “costituenti” del progetto, alle quali ha fatto ampiamente riferimento
nella sua relazione Aldrigo Grassi, che desidero pubblicamente ringraziare per il decisivo contributo
fornito nell’elaborazione e realizzazione dell’U.Me.N.C..
Voglio qui invece cogliere l’occasione per illustrare brevemente i principali percorsi operativi e gli
strumenti tecnici di cui si è dotata l’Unità che dirigo, limitandomi a ricordare che l’offerta di terapie
non convenzionali è per ora circoscritta alle cure omeopatiche, a quelle omotossicologiche e alla
floriterapia di Bach e che la casistica degli invii è stata inizialmente mirata sui disturbi psichiatrici
cosiddetti minori (vedi prospetto - allegato 1 -).
Come già si è accennato, l’invio all’U.Me.N.C. avviene tramite i colleghi medici psichiatri e
psicologi del Centro di Salute Mentale (viene utilizzata un’apposita Scheda di Invio - vedi allegato 2 - ,
corredata dal punteggio della Scala di Valutazione di Funzionamento Globale - GAF -).
Dopo una preliminare valutazione, nel corso della quale possono essere raccolte ulteriori
informazioni ed effettuati più dettagliati accertamenti, anche in collaborazione con il medico o
psicologo inviante, l’U.Me.N.C. procede all’effettiva “presa in carico” del paziente (nel caso,
invece, di controindicazioni, ne vengono fornite le motivazioni al professionista inviante).
All’inizio e alla fine del trattamento vengono somministrati al paziente la Scala di Hamilton (per
l’Ansia o per la Depressione o entrambe) e, in relazione al quadro psicopatologico, eventuali altri
test diagnostico-clinici.
2
E’ stata inoltre predisposta un’apposita cartella clinica omeopatico/omotossicologica del paziente in
carico all’U.Me.N.C. (vedi allegato 3), strutturata in modo da poter integrare l’inquadramento
nosografico-clinico della psichiatria tradizionale con i criteri e le valutazioni proprie delle medicine
non convenzionali praticate.
La conclusione (o, nel caso accada, l’avvenuta interruzione) del trattamento viene comunicata
dall’U.Me.N.C. al professionista che ha effettuato l’invio, tramite un’apposita Scheda di dimissione
(vedi allegato 4), corredata dall’aggiornamento dei punteggi delle Scale di valutazione utilizzate
all’atto dell’invio.
Infine, nel Regolamento dell’U.Me.N.C., che entrerà in vigore una volta ultimata la fase
sperimentale, sono previste l’effettuazione di periodiche riunioni/incontri con i professionisti del
Centro di Salute Mentale per esaminare e discutere aspetti organizzativi e per l’eventuale
approfondimento di casi problematici e complessi e la presentazione annuale di una relazione
sull’attività svolta e sui risultati raggiunti,
Come si vede, notevole è stato lo sforzo per dotare l’U.Me.N.C. di un’affidabile base tecnicoorganizzativa e operativa; è comune, peraltro, la consapevolezza che solo il prolungarsi
dell’esperienza sul campo e il confronto con altre analoghe iniziative potranno consentire
all’U.Me.N.C. di acquisire quell’assetto solido e stabile, capace di garantire efficienza, efficacia e
trasparenza nella valutazione dei risultati.
3
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5
Allegato 1
Dipartimento di Salute Mentale
Centro di Salute Mentale “Ovest”
UNITA’ DI MEDICINE NON CONVENZIONALI (U.Me.N.C.)
CASISTICA DEGLI INVII ALL’U.Me.N.C.
ICD 9-CM
DIAGNOSI
REQUISITI AGGIUNTIVI
• 293.83
Assenza d’indicazioni specifiche ovvero
resistenza/intolleranza alla psicofarmacoterapia
• 300.0
Disturbo organico dell’umore
associato al puerperio, al
climaterio o a sindromi
disendocrine
Disturbo organico d’ansia
associato al puerperio, al
climaterio o a sindromi
disendocrine
Stati d’ansia
• 300.4
Depressione nevrotica/ Distimia
• 300.5
• 300.8
Nevrastenia
Neurosi psicastenica/ Psicastenia/ Assenza d’indicazioni specifiche alla
psicofarmaco- terapia e alla psicoterapia
Disturbi da somatizzazione
Disturbi astenici della personalità Assenza d’indicazioni specifiche alla
psicoterapia
Disturbi cardiovascolari psicogeni
Dismenorrea psicogena
Psicalgie/ Disturbo da dolore Assenza d’indicazioni specifiche alla
somatoforme
psicoterapia
Reazione depressiva di lunga Resistenza alla psicofarmacoterapia e assenza
durata
d’indicazioni specifiche alla psicoterapia
Reazione di adattamento con
sintomi
emotivi,
non
propriamente di tipo depressivo
• 294.80
• 301.6
• 306.2
• 306.5
• 307.8
• 309.1
• 309.2
Assenza d’indicazioni specifiche ovvero
resistenza/intolleranza alla psicofarmacoterapia
Resistenza/intolleranza alla psicofarmacoterapia
e assenza d’indicazioni specifiche alla
psicoterapia
Resistenza/intolleranza alla psicofarmacoterapia
e assenza d’indicazioni specifiche alla
psicoterapia
Allegato 2
6
Scheda di invio all’Unità di Medicine Non Convenzionali
(U.Me.N.C.)
• Cognome _______________________
Nome __________________________
• Data e luogo di nascita ______________________________________________
• Diagnosi __________________________________________________________
• Data della “prima visita” _______________ Ambulatorio _________________
• Data di invio all’ U.Me.N.C. _____________
• Eventuale trattamento psicofarmacologico in atto (riportare il tipo e la posologia
giornaliera
dei
farmaci
prescritti
e
la
presumibile
durata
del
trattamento)
__________________________________________________________________
__________________________________________________________________
• Altri eventuali trattamenti/interventi in atto ____________________________
_________________________________________________________________
• Eventuali precedenti trattamenti con medicine non convenzionali __________
__________________________________________________________________
• Brevi informazioni su dati anamnestici e di interesse psicopatologico e clinico
ed eventuali suggerimenti operativi (nel caso la richiesta di inizio di trattamento rivesta
carattere di urgenza, specificarne i motivi):
IL MEDICO/LO PSICOLOGO ________________________________________
Allegato 3
7
UNITA’ DI MEDICINE NON CONVENZIONALI (U.Me.N.C.)
Cartella Sanitaria di _________________________________________________
N° __
Data e Comune di nascita ___________________________________________________________
Indirizzo e Comune di residenza _____________________________________________________
Recapito telefonico e altri recapiti utili ________________________________________________
________________________________________________________________________________
Medico di Medicina Generale ________________________________ telefono _______________
Data della “Prima visita” presso Ambulatori: Tiarini ____________
Scalo _____________
altri ______________
Data di invio all’U.Me.N.C. _______________ Data della I° Visita all’U.Me.N.C. _____________
Professionista inviante (Cognome e Nome) _____________________________________________
Struttura di riferimento del professionista inviante________________________________________
Diagnosi di invio: 1) ____________________________________________ codice ____________
2) ____________________________________________ codice ____________
Terapie in atto: a) farmacologiche ____________________________________________________
_________________________________________________________________
_________________________________________________________________
b) altre ____________________________________________________________
_________________________________________________________________
UNITA’ DI MEDICINE NON CONVENZIONALI (U.Me.N.C.)
8
SCHEDA A
Cartella Sanitaria di _____________________________________________
N°
____
STATO ATTUALE
• Peso Kg _____ Altezza cm _____
• Dati anatomo-morfologici rilevanti ____________________________________________
___________________________________________________________________________________
• Generalità
-
Sonno __________________________________________________________________________
Bioritmi ________________________________________________________________________
Lateralità ________________________________________________________________________
Sudorazione _____________________________________________________________________
Termoreattività ___________________________________________________________________
Appetito ________________________________________________________________________
Desideri ________________________________________________________________________
Avversioni ______________________________________________________________________
Intolleranze ______________________________________________________________________
Sete ____________________________________________________________________________
Digestione _______________________________________________________________________
Alvo ___________________________________________________________________________
Diuresi _________________________________________________________________________
Ciclo___________________________________________________________________________
• Aspetto e comportamento ____________________________________________________
__________________________________________________________________________________
• Psichismo _________________________________________________________________
__________________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________
INQUADRAMENTO BIOPATOGRAFICO
9
A) Quadro lesionale __________________________________________________________________
B) Causalità ________________________________________________________________________
C) Tipologia sensibile
C1) Morfologia _______________________________________________________________________
C2) Temperamento ___________________________________________________________________
C3) Bioreattività _____________________________________________________________________
C4) Tendenze morbose ________________________________________________________________
D) Gerarchizzazione e qualificazione sintomo/semiologia
D1) Psichismo ________________________________________________________________________
________________________________________________________________________
D2) Sintomi e segni generali caratterizzati ________________________________________________
D3) Sintomi e segni locali caratterizzati __________________________________________________
D4) Sintomi comuni ___________________________________________________________________
E) Costituzione ______________________________________________________________________
F) Modalità reattiva diatesica ___________________________________________________________
___________________________________________________________
G) Revisione della tipologia sensibile _____________________________________________________
INQ UADRAMENTO DI FASE SECONDO LA TAVOLA DELL’ OMOTOS SICOSI
____________________________________________________________________________________
____________________________________________________________________________________
____________________________________________________________________________________
____________________________________________________________________________________
____________________________________________________________________________________
Variazioni di Fase (Vicariazioni) _________________________________________________________
____________________________________________________________________________________
____________________________________________________________________________________
____________________________________________________________________________________
____________________________________________________________________________________
____________________________________________________________________________________
____________________________________________________________________________________
____________________________________________________________________________________
____________________________________________________________________________________
____________________________________________________________________________________
____________________________________________________________________________________
____________________________________________________________________________________
Data ______________________
_________________________
(timbro e firma del Medico)
UNITA’ DI MEDICINE NON CONVENZIONALI (U.Me.N.C.)
10
SCHEDA B
Cartella Sanitaria di _____________________________________________
N°
____
TERAPIA
DATA
TIPOLOGIA
POSOLOGIA
Data variaz./
sospensione
Firma del
medico
ACCERTAMENTI LABORATORISTICI E STRUMENTALI
DATA
TIPOLOGIA
ESITO
Annotazioni
Allegato 4
11
Scheda di dimissione dall’Unità di Medicine Non Convenzionali
(U.Me.N.C.)
• Cognome _______________________
Nome __________________________
• Diagnosi (se modificata rispetto alla diagnosi di ammissione) _____________________
_________________________________________________________________
• Data di invio all’U.Me.N.C. ______________________
• Data di inizio e tipo di trattamento ___________________________________
__________________________________________________________________
• Dimissione: _ esplicita per: _ conclusione trattamento
_ interruzione concordata
_ per abbandono (specificare eventuali motivi) ___________________
_______________________________________
_ per altri motivi (specificare) _______________________________
_______________________________________
• Eventuale terapia psicofarmacologica (nel caso sia iniziata o sia stata modificata
rispetto a quella iniziale nel corso del trattamento, specificare) ______________________
__________________________________________________________________
__________________________________________________________________
• Valutazioni cliniche sull’andamento e sull’esito del trattamento ___________
_________________________________________________________________
_________________________________________________________________
_________________________________________________________________
_________________________________________________________________
Data ________________
IL MEDICO ________________________________
12
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