CRITERI EDITORIALI
La Preghiera del poeta di Giuseppe Verdi venne pubblicata nelle pagine della Rivista
Musicale Italiana nel 1941 accompagnata da un’introduzione, che riproduciamo
integralmente, di Paolo De Grazia.
È quindi a quella pubblicazione che abbiamo fatto riferimento riportando il testo
musicale, lasciando immutate tutte le indicazioni relative a tempo, fraseggio, dinamica e
agogica.
Il testo poetico è stato adeguato alle regole e alle convenzioni moderne – senza alterare il
ritmo, il metro e la pronuncia – per quanto riguarda l’uso della punteggiatura e delle lettere
maiuscole e minuscole anche all’interno del testo musicale.
Si ringrazia la professoressa Anna Maria Ioannoni Fiore per la segnalazione della
caricatura di Melchiorre Delfico e la Biblioteca Provinciale “M. Delfico” di Teramo per
averne concesso la riproduzione.
Emiliano Giannetti
4
Giuseppe Verdi giunse a Napoli il 14 gennaio del 1858. Venne accolto dalla stampa in
maniera trionfale. Ma questo soggiorno napoletano non fu facile per il musicista che trovò
numerosi ostacoli da parte della censura per la rappresentazione del Ballo in maschera al
Teatro San Carlo. I “trambusti”1 che caratterizzarono il suo soggiorno nel capoluogo
partenopeo furono, infatti, fra le esperienze più travagliate della carriera del compositore.
«Unico buon ricordo di quel soggiorno è l’amicizia con Domenico
Morelli Filippo Palizzi e Nicola Sole, tutt’e tre nel fiore degli anni e della
rinomanza: il Morelli ha trentacinque anni, il Palizzi quaranta, Nicola Sole
trentasette, Verdi quarantacinque. Il Morelli gli è stato presentato dal
Torelli. Ammiratore fervente di Verdi, ha già tratto argomento dai Foscari
per dipingere un quadro (che il Maestro acquisterà) e sta preparandone un
altro sui Vespri Siciliani. Il Torelli prende per sé lo schizzo dei Foscari; e il
Maestro acconsente a farsi fare dal Morelli un ritratto che il Palizzi, amico
fraterno del Morelli ed egli pure ammiratore fervidissimo di Verdi,
incorona d’alloro sulla tela.
I quattro amici stanno sovente insieme a conversare d’arte e di
avvenire. Nelle belle notti di luna scendono alla marina di Chiaia per
ammirare la scena incantevole del mare e del golfo che la splendida quiete
serena inargenta. Nicola Sole, poeta gentile e ardente di amore patriottico,
improvvisa dolci rime.
Verdi lascia Napoli il 23 aprile; s’imbarca per Civitavecchia e da
Civitavecchia giunge, per via terra, a Busseto il primo maggio»2.
Tornerà comunque a Napoli qualche mese più tardi. Di questi due soggiorni partenopei
abbiamo una testimonianza originale attraverso l’opera di Melchiorre De Filippis Delfico
che compilò, con i suoi disegni, un’accurata cronaca del soggiorno.
«Il tratto del caricaturista lascia intendere che i due soggiorni furono
in sostanza lieti, ma non trascura la di riprendere il maestro nei momenti di
solitudine e irritazione, con il caratteristico sopracciglio tirato obliquo,
aggrottato, sotto il quale nasconde la luce degli occhi, che però si immagina
vivacissima e pensierosa insieme. Altrettanto indimenticabile la pettinatura
selvatica e la barbaccia non sempre rifilata, che si oppongono, recalcitranti,
alla migliore presentabilità degli azzimati partenopei, eccezion fatta per
Domenico Morelli che, quanto ad orsaggine, supera anche Verdi»3.
Della piacevolezza del soggiorno napoletano nonché della bella amicizia nata fra
questi intellettuali riferisce anche Franco Abbiati narrando di una “graziosa lezione” sugli
usignoli che la Peppina (Giuseppina Strepponi) aveva impartito al
giovanissimo poeta Nicola Sole, uno dei più fervidi e recenti amici del
baluardo verdiano, sulla maniera più sicura d’allevarli ed educarli. Era
avvenuta, questa graziosa lezione sul trattamento degli usignoli ancora
1
Così li definisce il compositore in una lettera a Clara Maffei il 12 maggio dello stesso anno.
Carlo Gatti, Verdi, Mondadori, Milano, 1951, pp. 355-356.
3
Gustavo Marchesi, Giuseppe Verdi, I.M.I., Rozzano, 1982, p. 420.
2
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Una musica di Giuseppe Verdi*
Nell’inverno del 1858, Napoli artistica era in lieta orgasmo per la dimora di
Giuseppe Verdi, venuto per mettere in scena il Ballo in maschera. La città
dell’armonia e del teatro S. Carlo voleva vedere e sentire il grande musicista. Gli
artisti convenivano da Lui all’Hôtel Roma, o lo seguivano per le strade; il popolo
voleva imprimersi la fisionomia di un tanto Uomo. Il grande maestro del pennello,
Domenico Morelli, era il grande suo amico, l’aveva presentato a lui Vincenzo Torelli,
direttore del giornale Omnibus. e gli fece il noto mirabile ritratto; il Delfico fece la
caricatura, in un momento di posa dei due artisti. Il Morelli nel suo studio luminoso,
eccelso, in via Pace, che ora si intitola a lui, mi raccontava che egli a sua volta aveva
presentato al Verdi il poeta lucano Nicola Sole ben noto per l’armonia dei suoi versi e
per l’estemporaneità nel verseggiare. Sedeva il Maestro – egli dicevami – al
pianoforte e le sue note si sentivano diffondersi per le vie di Napoli e per il cielo
sereno, mentre la folla sostava sotto le finestre. Dopo quelle serate dolcissime e i lieti
parlari e cantari, si facevano delle vaghe passeggiate per le curve del golfo incantato.
Il Morelli, in una lettera al maestro (16 novembre 1896) gli ricorda una “passeggiata
a tarda notte (con Lui) e Nicola Sole… al largo di Palazzo, nel silenzio della città,
mentre pareva che tutto il mondo dormisse e solo le stelle e noi vegliassimo. Sole
improvvisava e voi ripetevate i suoi versi cantando”.
Una sera di questi trattenimenti di arte, il poeta lucano improvvisò un’ottava: La
preghiera del poeta. Il Verdi vi vide trasparire tutta la grande anima sua, i suoi stessi
ideali e vi adattò un motivo musicale, che il giorno dopo, trascritto in foglio,
consegnò all’amico. Il quale poi gli scriveva che seguendo quella melodia, gli
riusciva più facile l’improvvisazione a ottave.
La consorte del cigno di Busseto era con Lui, e anche essa ammirava il Sole, che
a sua volta ammirava lei come educatrice di usignoli, il canoro uccello sentito tante
volte nelle natie convalli e alla Giuseppina Sterponi [sic] cantò:
Tu che sedente a l’ara
Del Genio i suoi divini estri alimenti,
E invidiata e cara
Sacerdotessa di sue note ardenti,
Primiera accogli i numeri sovrani
Onde i teatri fremeran domani
Avrai da me al mio ritorno a Napoli
Due giovani usignuoli
Dei Camaldoli schiusi entro le rose.
Il Verdi entusiasta sempre più del fluido verso del poeta, gli dette l’incarico di
scrivere un libretto per musica.
*
Questo articolo è inserito nella rubrica “Vita musicale” presente nella Rivista Musicale Italiana, XLV, F.lli Bocca,
Torino, 1941, pp. 230-232.
V. 127 M.
8
La preghiera del poeta
Giuseppe Verdi
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(1813 - 1901)
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