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RASSEGNA STAMPA
Giovedì 22 Settembre 2011
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Confindustria- sindacati
Il Tesoro: non serve un’altra manovra .......................................................3
 Standard & Poor’s va avanti «Taglia» sette banche italiane ........................4
 La patrimoniale e la lezione di Einaudi
un’imposta per governi credibili................................................................5
 «Usa, crescita a rischio. Pronti 400 miliardi» ...............................................6
 Bundesbank, l'incontro segreto Il gruppo anti-Italia cena al castello .......7
 Atene, piano austerità: tagli del 20% agli stipendi.......................................8
 Moody’s boccia Fiat, titoli giù del 6% ...........................................................9
 Le sentenze delle agenzie di rating
e i consigli avvelenati da New York............................................................10
 Mediobanca, vertici confermati Nagel: il capitale è adeguato ....................12
 Bpm, il sindacato blocca la proposta dei soci minori
Il «lodo» Ponzellini .....................................................................................13
 Banche,
la crisi costa 300 miliardi Fmi: “Il tempo sta per scadere”.............14
 La Fed fa partire l’operazione twist
compravendita di bond per ridurre i tassi.................................................15
 Sette istituti di credito italiani declassati da Standard&Poor’s
Bce aiuta un gruppo francese .....................................................................16
 “L’Italia risolva i contrasti politici così darà certezza ai mercati”..............17
 Lavoro, le parti sociali sconfessano la manovra ..........................................18
 “È una firma sbagliata va contro lo statuto Cgil”.........................................19
 Mediobanca conferma i vertici, sale Gavio ..................................................20
 Bpm a tappe forzate verso il duale con Arpe l’aumento a fine ottobre ......21
 “Modelli vecchi e zavorra Chrysler” Moody’s taglia il rating alla Fiat .........22
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UN AFORISMA AL GIORNO
a cura di “eater communications”
“
LA MALDICENZA COLPISCE TRE
PERSONE IN UN SOLO COLPO:
1. CHI LA FA;
2.CHI LA SUBISCE;
3. CHI L’ASCOLTA!!
”
( Jean Claude Blanc-Verecteau)
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Il patto Confindustria-sindacati
Il Tesoro: non serve un’altra manovra
ROMA— Eventuali deroghe all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, che tutela dai licenziamenti
senza giusta causa, sono da ieri ancora più improbabili, dopo la firma definitiva di Confindustria e sindacati sotto l’intesa siglata il 28 giugno. Al di là dei contenuti dell’accordo, che regola l’accertamento
della rappresentanza sindacale e la validità delle intese aziendali secondo il criterio maggioritario, il
senso politico della firma di ieri, che ha coinvolto anche la Cgil, è che saranno le stesse parti sociali a
gestire i contenuti degli accordi aziendali. E quindi, anche se l’articolo 8 della manovra di recente approvata dal Parlamento consente alle intese raggiunte in azienda di derogare alle norme sui licenziamenti, di fatto questo non dovrebbe avvenire. Tanto più che Confindustria, Cgil, Cisl e Uil hanno aggiunto al testo siglato il 28 giugno 5 righe dove gli stessi soggetti « concordano che le materie delle relazioni industriali e della contrattazione sono affidate all’autonoma determinazione delle parti » . Il
ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, che ha fortemente voluto l’articolo 8, scontrandosi ancora una
volta con la Cgil, ha commentato con favore l’intesa di ieri, osservando che la legge « si limita a definire le materie che liberamente e responsabilmente le parti possono regolare » e a dare efficacia alle
stesse intese sindacali aziendali. Secondo il responsabile economia e lavoro del Pd, Stefano Fassina, la
firma di ieri « sconfessa » invece il tentativo di Sacconi di derogare alle norme Piano infrastrutture Piano per le infrastrutture e la semplificazione delle procedure sui licenziamenti. La questione resta controversa, tanto che la Cgil annuncia che continuerà la sua battaglia in tutte le sedi per ottenere la cancellazione dell’articolo 8, non sentendosi evidentemente garantita fino in fondo. Il ritrovato dialogo tra
le parti sociali arriva in un momento di forte difficoltà per il governo. La Confindustria, ma ieri anche
Rete imprese Italia con il presidente Ivan Malavasi, hanno sollecitato ad agire o ad andar via perché
ormai siamo « al finale di partita » . Ieri sera il ministero dell’Economia ha assicurato che non ci sarà
un’altra manovra correttiva. Per tutto il pomeriggio si erano rincorse voci circa la necessità di ritoccare
la manovra, con ulteriori misure per 5- 10 miliardi, per far fronte alla revisione delle stime sulla crescita del Pil ( Prodotto interno lordo ) dall’1,1% allo 0,7% nel 2011. L’aggiornamento del Def ( Documento di economia e finanza 2011), che sarà presentato oggi in Consiglio dei ministri per registrare il
rallentamento del Pil, « prevede sul 2013, come appena confermato dalla Commissione Europea, il
raggiungimento del doppio obiettivo del pareggio di bilancio e di un ampio avanzo primario idoneo a
porre il debito pubblico su uno stabile sentiero discendente » . Ad agosto scorso, Tremonti, aveva indicato al Parlamento un obiettivo di deficit pubblico del 3,8% del Pil quest'anno e dell’1,4% nel 2012,
con l’arrivo al pareggio di bilancio nel 2013. Di certo ora viene confermato l’obiettivo del pareggio nel
2013 mentre potrebbero essere riviste le stime per il 2011 dal 3,8% al 3,9% e del 2012 dall’1,4 all’
1,6%. Ameno che non si ritenga compensativo l’aumento dell'aliquota Iva dal 20 al 21%, che porterà
un gettito aggiuntivo di 700 milioni di euro in questo scorcio del 2011 e di 4,3 miliardi nel 2012. Oggi
in Consiglio dei ministri saranno presi in esame due decreti sullo stato di attuazione di opere pubbliche
e sulle semplificazioni. Altre misure sulle infrastrutture e l’energia arriveranno sul tavolo la prossima
settimana. Il 29 settembre invece il ministero di Tremonti ha convocato gli investitori per sondare la
possibilità di un piano di rapide dismissioni del patrimonio pubblico. Cattive notizie infine
dall’economia reale. L’Istat ha diffuso ieri i dati aggiornati sul lavoro nero. I lavoratori irregolari sono
2 milioni e mezzo nel 2010, soprattutto braccianti, operai edili, commessi, baristi, mediatori immobiliari e colf.
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Standard & Poor’s va avanti
«Taglia» sette banche italiane
Da Intesa a Mediobanca dopo il calo del rating Paese
MILANO — Anche le banche subiscono gli effetti del taglio del rating sull’Italia da parte di Standard
& Poor’s. Dopo aver ridotto il merito di credito sovrano da A+ ad A, ieri l’agenzia americana ha tagliato di un livello il giudizio su sette istituti italiani, a cominciare da Mediobanca e Intesa Sanpaolo, e
ha messo sotto osservazione per un ulteriore taglio in totale 15 banche italiane, tra le quali Unicredit,
pur avendo mantenuto il rating a lungo termine di A. Le banche downgradate e con outlook negativo
sono Findomestic, Banca Imi, Biis, Cr Bologna e Bnl, mentre quelle solo in outlook negativo sono Fideuram, Agos- Ducato, Credito Sportivo, Cariparma, Unicredit Bank Ag, Bank Austria e Unicredit
Leasing. Analogamente sono stati colpite le società vicine al Tesoro, come Cassa depositi e prestiti,
Enel, Terna. Insomma, il taglio ha colpito tutto il sistema economico- finanziario che più immediatamente riflette lo stato di salute dell’Italia, praticamente per un fatto automatico: per S& P il merito di
credito di istituzioni finanziarie focalizzate prevalentemente sul mercato nazionale ( pari al 40% delle
attività) e non dispongono di un sostegno esterno di gruppo, non può essere superiore al rating sovrano. Tuttavia l’impatto, per quanto scontato dal mercato come effetto domino, a lungo termine può incidere sul costo del reperimento della liquidità per gli istituti, con conseguenze dirette sui tassi richiesti
alla clientela per i finanziamenti. Non a caso ieri l’amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, Corrado Passera, ha ribadito che « le banche italiane hanno dimostrato di saper tenere e lo hanno dimostrato
nelle due crisi del 2008- 2009. Ci siamo preparati anche per questa seconda tornata di crisi. Abbiamo
anticipato gli aumenti di capitale, abbiamo messo da parte riserve di liquidità. È la ragione per la quale
in Italia il credito non si è mai fermato e l’attività delle banche continua a funzionare. Però dobbiamo
sapere, come qualsiasi altro Paese, che quando si mettono insieme alti debiti e bassa crescita, e anche
bassa credibilità, ci sono rischi » anche di default dell’Italia, ipotesi che comunque Passera considera «
non probabile » . Sono proprio la crescita e le vie per stimolarla il punto cruciale nell’analisi di S& P:
da un lato a causa della crisi economica in Europa ( le stime sul Pil dell’Italia sono calate da + 1% a +
0,7%), dall’altro perché la manovra da 60 miliardi appena varata e l’obiettivo del pareggio di bilancio
al 2013 potrebbero non essere centrati per la manovra fatta prevalentemente di maggiori entrate e anche per le debolezze del quadro politico, ha spiegato ieri Maria Pierdicchi, managing director di S& P.
« L’economia italiana non dipende dalla valutazione di agenzie di rating » , ha commentato ieri il ministro degli Esteri, Franco Frattini, alla Bbc, riconoscendo però che « c’è bisogno di completare la nostra strategia: ora dobbiamo parlare di crescita, liberalizzazioni e privatizzazioni per dare una spinta
all’economia. Questo è assolutamente necessario e non sarà fatto per le agenzie di rating, ma perché è
nell’interesse dell’Italia » . E per crescere « adesso è il momento di avere una più forte governance politica sui temi di economia » .
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La patrimoniale e la lezione di Einaudi
un’imposta per governi credibili
Il nostro debito pubblico è salito dal 60 per cento del Pil nel 1980 al 120 per cento dieci anni più tardi.
E se negli anni Novanta le privatizzazioni hanno ridotto il debito di dieci punti in rapporto al Pil, abbassandolo in poco più di un quinquennio dal 117 al 107 per cento, quel beneficio ce lo siamo « mangiati » nel decennio successivo e il debito è oggi tornato al 118 per cento. Può servire in questo contesto una patrimoniale? Dell’argomento parla un libretto di Luigi Einaudi, originalmente scritto nel
1946, intitolato « L'Imposta Patrimoniale » , proposto in questi giorni ( qui sotto la prefazione di Francesco Giavazzi) dall’editore Chiare Lettere ( 7 euro). « Il miracolo— scrive Einaudi — che l’imposta
patrimoniale è chiamata a compiere in Italia è davvero grande: nientemeno che mutare a fondo la psicologia del contribuente » Luigi Einaudi, nel marzo del 1946, nel libretto che vi apprestate a leggere
scrive: « Il miracolo che l’imposta patrimoniale è chiamata a compiere in Italia è davvero grande: nientemeno che mutare a fondo la psicologia del contribuente » ... « Essa infatti gli dice: " Vivi sicuro e fidente. Io vengo fuori ad intervalli rarissimi, dopo una grande guerra, nel 1920 e poi, forse, nel 1946,
per mettere una pietra tombale sul passato e liquidare il grosso delle spese derivanti dalla guerra. Per
l’avvenire tu pagherai solo le imposte ordinarie che tu stesso, per mezzo dei tuoi mandatari in parlamento, avrai deliberato per far fronte alle spese correnti dello stato. Saranno alte o basse a seconda che
tu vorrai. Se tu amministrerai bene le cose tue non saranno mai gravose" ... Il miracolo che la straordinaria patrimoniale deve compiere ... è dare per la prima volta ai contribuenti italiani, coi fatti e non con
le prediche di noialtri economisti, la sensazione precisa che si vuol mutare rotta ... che è finita l’era
lunga ( 1860- 1945) dell’incremento continuo ed esasperante delle imposte ordinarie sul reddito. Gli
aumenti ( saranno d’ora in poi riservati) ai momenti di pericolo, alle grandi opere trasformatrici. Anche
gli italiani sono disposti a veder raddoppiate, triplicate le aliquote quando la patria fa ad essi appello
per una causa giusta. Ma perciò occorre che il peso dell’insieme delle molte inspiegabili imposte sul
reddito sia ridotto ad un limite ragionevole » . Le condizioni dell’Italia nel 2011 sono molto distanti da
quelle che Einaudi riteneva giustificassero un’imposta patrimoniale. Quante volte questa classe politica
ha annunciato di voler « cambiare rotta » ? Quante volte ha promesso che le tasse d’ora in poi sarebbero state « alte o basse a seconda che tu vorrai » , « mai gravose » e che « è finita l’era lunga
dell’incremento continuo ed esasperante delle imposte » ? Quale è stata « la guerra » , quali « le grandi
opere trasformatrici » che stanno a fronte del nostro debito, salito dal 60 per cento del pil nel 1980 al
120 dieci anni più tardi? Negli anni Novanta le privatizzazioni ridussero il debito di dieci punti in rapporto al pil, abbassandolo in poco più di un quinquennio dal 117 al 107 per cento. Ma quel beneficio
ce lo siamo « mangiati » nel decennio successivo e il debito è oggi tornato al 118 per cento. Altro che
« mutare rotta » e por fine « all’era lunga dell’incremento continuo ed esasperante delle imposte » :
venduti i gioielli di maggior valore, la spesa al netto degli interessi ha ricominciato a crescere ( sale dal
41 al 46 per cento del pil nel decennio successivo alle privatizzazioni) e cresce di un punto ( dal 45 al
46 per cento) anche la pressione fiscale. Questi governanti hanno perduto la fiducia dei contribuenti.
Non la riguadagneranno con una patrimoniale, il cui beneficio oggi farebbe la fine delle privatizzazioni
degli anni Novanta. Per riguadagnare la fiducia è necessario dimostrare, anno dopo anno, di essere capaci di produrre quegli avanzi di bilancio che sono necessari per sostenere il debito. A questo scopo,
tassare i redditi da capitale alla stregua di ogni altro reddito ( cioè non con un’aliquota separata, bensì
sommandoli agli altri redditi) non solo sarebbe equo, ma aiuterebbe anche a produrre quegli avanzi di
bilancio. E la patrimoniale? Lasciamola, come scrive Einaudi, per il giorno in cui avremo governanti
sulla cui credibilità nessun contribuente potrà nutrire dubbi –se mai verranno.
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«Usa, crescita a rischio.
Pronti 400 miliardi»
La Fed in aiuto all'economia, ma Wall Street cade. L'accusa dei repubblicani a Bernanke
NEW YORK — Ignorando l'iniziativa senza precedenti del partito repubblicano che ha ufficialmente
invitato la Banca centrale Usa a non varare altre misure a sostegno dell'economia, la Federal Reserve
ha lanciato ieri un nuovo intervento mirante a far calare il costo del denaro che è stato già soprannominato «Operation Twist». Non una nuova iniezione di liquidità nel sistema ma l'acquisto, da qui al giugno 2012, di 400 miliardi di dollari di titoli del Tesoro a lungo termine (scadenze tra i 6 e i 30 anni),
«sterilizzati» attraverso la vendita sul mercato di un analogo volume di «Treasuries» a breve. In questo
modo il bilancio della Fed, già gonfiato dagli 800 miliardi di dollari del 2008 ai 2867 attuali nel tentativo di contrastare la crisi, non dovrebbe crescere ulteriormente.
Una cautela che non è bastata a sanare la frattura nel «board» dell'Istituto. Come già avvenuto un mese
fa, quando Bernanke comunicò la decisione della Fed di mantenere i tassi praticamente a zero almeno
fino a metà 2013, tre dei dieci governatori della Banca centrale (i responsabili delle sedi di Philadelphia, Dallas e Minneapolis), hanno espresso voto contrario.
Brusca anche la reazione di Wall Street: in una giornata segnata da nuove preoccupazioni per la gestione del debito greco e dalla pubblicazione di un documento del Fondo Monetario - il Global Financial Stability Report - che indica la necessità di una massiccia ricapitalizzare le banche europee (potenzialmente fino a 300 miliardi di euro), la Borsa di New York ha perso il 2,5% (meno 283 punti). Con
un crollo verticale nell'ultima mezz'ora di contrattazioni, dopo che la Fed ha comunicato la sua decisione.
Una manovra sperimentale, quella voluta da Bernanke (c'è solo un precedente, ma non molto significativo, che risale al 1961) con la quale si cerca di ridurre di circa un punto percentuale i tassi d'interesse a
lungo termine, dopo che quelli a breve per i titoli di Stato Usa sono già scesi a livelli bassissimi. Un intervento che, secondo i calcoli degli analisti di Macroeconomic Advisers, potrebbe portare a un incremento dello 0,4% della produzione Usa. Un numero che corrisponderebbe alla creazione di 350 mila
nuovi posti di lavoro.
Ieri la Fed ha anche deciso di riprendere l'azione a sostegno del mercato dei mutui-casa reinvestendo in
obbligazioni basate su prestiti immobiliari, anziché in titoli del Tesoro, le risorse recuperate col rimborso dei titoli immobiliari a suo tempo acquistati per aiutare le banche in difficoltà.
Probabilmente i mercati sono scoraggiati dalla disparità tra la dimensioni dei problemi dell'economia l'emergenza debito-pubblico, le banche Ue da ricapitalizzare, i 25 milioni di disoccupati e sottooccupati negli Usa - a fronte dell'esiguità degli interventi correttivi che possono essere messi in campo
dai governi e dalle banche centrali. Il tutto un clima di contrasti crescenti, almeno in America. La Fed,
come detto, era stata ammonita a non intervenire con una lettera ufficiale nella quale i leader repubblicani al Congresso (Boehner, McConnell, e i loro «numeri due» Cantor e Kyl) hanno messo in dubbio
che le misure fin qui varate abbiano avuto un effetto positivo sull'economia, paventando, poi, un indebolimento del dollaro e l'effetto-inflazione che potrebbero derivare da una politica monetaria troppo
accomodante.
L'Fmi intanto, come detto, lancia l'allarme sulle banche europee. Le analisi preoccupate degli esperti
del Fondo erano già emerse nei giorni scorsi, ma dal vertice Christine Lagarde aveva minimizzato, citando diversità nei criteri contabili. Ora l'Fmi torna alla carica sostenendo che le banche UE devono
reperire nuovo capitale a fronte degli aumentati rischi che devo affrontare per le crisi del debito sovrano. E l'ammontare di questo deterioramento, secondo il responsabile del dipartimento Capital Markets
del Fondo, Jose Vinals, è di circa 300 miliardi euro.
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Bundesbank, l’incontro segreto
Il gruppo anti-Italia cena al castello
FRANCOFORTE — La Bundesbank sta cercando di organizzare alla Bce una fronda di oppositori agli
acquisti di bond sovrani italiani e spagnoli? E' quanto sostiene il quotidiano conservatore «Frankfurter
Allgemeine» («Faz») in un articolo pubblicato ieri, nel quale si parla di una «cena cospirativa» organizzata in gran segreto dal capo della Bundesbank, Jens Weidmann, nella cittadina di Eltville, nella
romantica zona del Rheingau, al centro della Germania. L'obiettivo di quest'incontro misterioso fra governatori avvenuto probabilmente ieri sera, al termine della riunione del consiglio direttivo, era di «rafforzare lo spirito di corpo», gustando i vini e le specialità prelibate della zona del Reno.
Dopo le dimissioni dal board della Bce del tedesco Jürgen Stark, oppositore degli acquisti di bond, i
media tedeschi hanno fatto a gara nel raccontare quanto sia isolato ora Weidmann nel consiglio direttivo della Bce, composto da 23 membri. Per questo la «Faz», anch'essa molto critica nei confronti dei
provvedimenti straordinari della Bce, ora vede nell'incontro (non confermato) di ieri un'opportunità di
Weidmann per riunire i contrari agli acquisti di titoli sovrani — finora solo il "falco" lussemburghese
Yves Mersch — e alcuni indecisi.
Fra i quali, sempre secondo il quotidiano tedesco si conterebbero i governatori belga e austriaco Luc
Coene e Ewald Nowotny, oltre al nuovo membro del board, il belga Peter Praet. Dietro le quinte, l'indiscrezione ha sollevato un putiferio e secondo taluni ha perfino fatto scappare alcuni indecisi. Mentre
la Bundesbank è corsa ai ripari.
Senza confermare la fantomatica cena, ha fatto filtrare che i membri del Consiglio non sono i «soliti
sospettati». Perché si incontrano continuamente nelle riunioni, e a margine dei vertici internazionali. E
si scambiano le idee, senza per questo organizzare subito una rivolta.
Tanto più che Weidmann, ex-consulente della cancelliera Angela Merkel, è ritenuto molto più pragmatico e flessibile dei suoi predecessori. Al punto che ora deve dimostrare a tutti i costi la sua indipendenza da Berlino. E' innegabile, ad esempio, un maggiore appoggio a un governo economico e all'aumento del meccanismo salva stati Efsf. Ma gli acquisti di bond italiani e spagnoli, non gli vanno giù.
Perché spronano l'azzardo morale e frenano il risanamento, le riforme e la crescita. Brucia comunque il
fatto che la Buba, abituata un tempo a tenere il mondo in sospeso con la sua politica monetaria, ora abbia un solo voto nel consiglio della Bce (due con il membro del board). Come il governatore di Malta o
Cipro, pur essendo il maggiore azionista. E che il suo voto di minoranza non scalfisce per nulla i provvedimenti anti-crisi.
Anzi. Anche ieri la Bce ha segnalato che farà tutto il possibile per mantenere la stabilità dei mercati in
un momento particolarmente difficile e incerto. Incurante delle critiche — ribadite ieri anche dal consigliere della Buba, Andreas Dombret — la Banca centrale europea è intervenuta acquistando titoli italiani decennali e stabilizzando i differenziali con i bund tedeschi a 393 punti base, anche perché il rendimento dei titoli tedeschi, per la prima volta, è calato sotto quota 1,8%, mentre i Btp decennali in circolazione offrono il 5,70%.
E da gennaio la Bce ammorbidirà i parametri sui tipi di titoli finanziari che accetterà in garanzia dalle
banche, per concedere loro rifinanziamenti con maggiore facilità, se sarà necessario.
A differenza di quanto avviene oggi, l'eurosistema potrà accettare strumenti di debito emessi dagli istituti di credito, diversi dai covered bond bancari, anche se non trattabili sui mercati regolamentati.
L'Eurotower ha annunciato inoltre di aver limitato l'utilizzo di strumenti non garantiti emessi dalle
banche. «Tali asset — ha spiegato la Bce in una nota — potranno essere usati come collaterale nella
misura in cui il valore non ecceda il 5% del totale del collaterale consegnato». In precedenza, il limite
massimo era fissato al 10%.
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Atene, piano austerità:
tagli del 20% agli stipendi
BRUXELLES — C'è il Fondo monetario internazionale, da Washington, che torna a lanciare l'allarme
sul rischio del contagio per le finanze pubbliche europee, e indica proprio nell'Italia uno dei principali
snodi per affrontare e fermare la crisi. E c'è uno dei focolai centrali di quel contagio, che nelle stesse
ore ingurgita l'ultima e più amara medicina: la Grecia ha accettato ieri un nuovo di colpo di tenaglia ai
suoi bilanci, una vera bastonata che va dai tagli alle pensioni all'abbassamento del salario minimo di
esenzione fiscale. Le misure di austerità, destinate a surrogare quelle «inadeguate» di prima (giudizio
dell'Europa), erano state richieste dai maggiori creditori di Atene: l'Fmi, la Commissione Europea, la
Banca centrale europea. Cioè i proprietari-intestatari della prossima tranche di prestiti internazionali 8 miliardi su 110 - destinati ad Atene. Se tutto andrà bene, e se a fine ottobre il vertice dei capi di Stato
e di governo della Ue darà il suo via libera, quegli 8 miliardi porteranno nuova linfa alle vene inaridite
degli stipendi e delle pensioni pubbliche. E soprattutto, rinsalderanno sui mercati il bunker incrinato
dei titoli di Stato greci. Ma senza le nuove misure decise ora, tutto sarebbe rimasto come congelato
sull'orlo della palude chiamata default, la possibile bancarotta nazionale. Ha dovuto colpire sodo, il
premier socialista Georges Papandreou: un taglio di 1.200 euro mensili alle pensioni, una raffica di
provvedimenti di cassa integrazione protratti fino a dicembre per 30 mila dipendenti pubblici, l'abbassamento da 8 mila a 5 mila euro per il salario minimo di esenzione fiscale. Dicono gli economisti di
Bruxelles e Washington che senza questi colpi di freno il deficit greco si impennerebbe fino al 9% del
Pil, il prodotto interno lordo; ben più in alto di quel 7,5% promesso dal governo. Conferma il ministro
dell'economia, Venizelos: la Grecia «corre rischi immensi», come «uno stallo totale dell'economia»,
ma non lascerà l'euro. Dal canto loro, i sindacati preparano due giornate di sciopero generale per il 5 e
il 19 ottobre. Il resto del mondo, e il resto d'Europa, guardano. E ascoltano il tuono indistinto che sale
dalle Borse a ogni nuova convulsione della Grecia o anche degli “spread”, i divari di rendimento fra i
titoli del tesoro tedeschi e quelli italiani o di altri Paesi. L'allarme contagio trova orecchie attente anche
a Washington: l'Fmi ammonisce che la politica in Europa deve intraprendere azioni ”decise e concrete”
contro la crisi del debito, e allentare così le pressioni esercitate sulle banche, già provate da un impatto
calcolabile in 200-300 miliardi. C'è anche una parola per l'Italia, naturalmente: «Resta molto sensibile
a un aumento dei costi di finanziamento. E in queste circostanze un cambio dei fondamentali (quali la
crescita o l'aggiustamento fiscale) può cambiare sostanzialmente le aspettative sulla sostenibilità del
debito». Tutto ciò, avverte ancora l'Fmi, «può rendere un mercato dei bond normalmente liquido più
vulnerabile, se gli investitori fuggono dal rischio quando la volatilità aumenta».
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Moody’s boccia Fiat, titoli giù del 6%
La pagella sul debito del Lingotto scende di un voto a Ba2
MILANO — Declassamento. Con prospettive negative. L'integrazione di Chrysler potrà sì essere —
come scommette Sergio Marchionne — il fattore cruciale del lancio Fiat tra i leader dell'auto mondiale. Ma domani (e a precise condizioni). Oggi, sulle potenzialità industriali prevalgono le certezze dei
pesi finanziari. Con il consolidamento di Auburn Hills il Lingotto certamente raddoppia il proprio perimetro di attività. La «dote» è però fatta anche di elevato indebitamento. Ovvio, visto che Detroit nasce da un fallimento e un salvataggio, pagato con salatissimi prestiti rimborsati in anticipo al Tesoro
ma in contemporanea rifinanziati sul mercato. Ovvio anche, tuttavia, che proprio questo sia il punto su
cui si concentrano le agenzie di rating. E cala la scure. Almeno (per ora?) quella di Moody's. Aveva
avviato la nuova analisi il 26 aprile, dopo la scalata che ha portato al controllo della casa Usa. Ieri il
verdetto. È una bocciatura, pur se con spiragli legati alle sfide che Marchionne promette di vincere. Il
voto di Fiat «senza» Chrysler era Ba1. Quello di Fiat «con» Chrysler scende a Ba2. Con outlook, appunto, negativo sugli 8,3 miliardi di crediti coinvolti.
Il downgrade, che costa al Lingotto un crollo del 6,2% in Borsa, «riflette le attese che le credibilità
creditizie» di Torino e Detroit (cui la stessa Moody's aveva attribuito un B2 con outlook positivo) «si
allineeranno via via che strategie e operazioni dei due gruppi diventeranno più interconnesse». Sul
fronte industriale, in altre parole, l'integrazione potrà avere un impatto positivo che in parte già si vede:
«Sulla diversificazione geografica» di Fiat, prima «molto limitata», e sui «potenziali risparmi legati a
nuove sinergie». Se però «l'uso crescente di comuni architetture, moduli e tecnologie» è la premessa
indispensabile agli obiettivi fissati da Marchionne, su un altro piano «l'aumento della dipendenza reciproca potrebbe sfociare in due società che devono sostenersi a vicenda in caso di difficoltà finanziarie,
nonostante Fiat non garantisca il debito di Chrysler».
Tutto, insomma, si gioca sull'effettiva riuscita del gruppo unico in via di costruzione. Il lavoro è a buon
punto, ma tutt'altro che completato. Ed è qui che gli analisti aprono uno spiraglio: poiché l'outlook negativo è esplicitamente legato «ai rischi dell'integrazione», la conclusione «con successo» dell'operazione «potrà stabilizzare» le prospettive. Sulle quali pesano comunque altre incognite. Il Lingotto «esclusa Chrysler», riconosce Moody's, ha «un buon profilo di liquidità». Rimane tuttavia l'incertezza del
contesto. Comune a tutti i costruttori per quel che riguarda la ciclicità del business. Più accentuato per
Fiat a causa del «relativamente scarso tasso di rinnovo dei modelli». E aggravato dal quadro-Italia: «Le
misure di austerità e la debolezza dell'economia, legate alla crisi del debito, potrebbero penalizzare la
domanda sul mercato chiave del gruppo».
R. Po.
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Le sentenze delle agenzie di rating
e i consigli avvelenati da New York
Le grandi imprese a presidio della sovranità nazionale
Lunedì Standard&Poor's declassa le obbligazioni della Repubblica Italiana. Il governo, argomenta l'agenzia di rating, si dimostra incapace di politiche di sviluppo atte a garantire il rimborso del debito con
le stesse probabilità di prima. Due giorni dopo, sette banche italiane subiscono la stessa sorte. E Moody's boccia le obbligazioni Fiat: aver acquisito Chrysler aumenta e non riduce il rischio della casa italiana. Nel frattempo, a Roma si comincia a parlare di commissariamento per Finmeccanica sull'onda
della questione morale provocata dagli interventi di Silvio Berlusconi sui vertici aziendali a favore di
un faccendiere amico suo e da New York il Wall Street Journal esorta lo stesso premier a radicali privatizzazioni: subito le partecipazioni in Eni ed Enel e poi il patrimonio immobiliare pubblico. Che cosa
sta accadendo?
Oggi, nell'Occidente che ripudia le armi per risolvere i contrasti tra i suoi membri, la sovranità nazionale coincide con la capacità di un Paese di decidere il proprio modello economico e sociale. Economia di mercato nella democrazia? Certo. Ma tutti vorremmo poter stabilire come si ripartisce il valore
aggiunto generato dalle imprese e quali debbano essere le attività a scopo di lucro e quali no. E' evidente che meno un governo dipende dall'estero per finanziare il debito pubblico e più è libero. Un governo può restare libero anche dipendendo molto dall'estero, ma solo a patto di riscuotere la fiducia dei
creditori. Ed è a loro che spetta il giudizio reale sui conti pubblici, non all'emittente.
Il Corriere non ha risparmiato critiche alle agenzie di rating. Ma fino a quando il mercato non si organizza in altro modo, i loro giudizi pesano. Del resto, i credit default swaps (i contratti di assicurazione
contro l'insolvenza) spesso anticipano le sentenze delle agenzie: i Cds della Repubblica italiana sono
spesso peggiori di quelli di Mediobanca, che ha pochi titoli di Stato italiani in portafoglio. Fa sorridere
ascoltare il nostro governo che critica Wall Street e la City e rivendica l'indipendenza delle democrazie
dalle banche d'investimento internazionali, dopo aver preso a modello Reagan, Bush, la Thatcher e
Blair, mallevadori del capitalismo finanziario. E il sorriso diventa amaro se lo stesso governo abbandona negli archivi della storia la saggia legge bancaria del 1936 e lascia al Regno Unito di David Cameron il primo tentativo di tornare a un simulacro — probabilmente niente più di un simulacro — di
separazione del credito finanziario da quello commerciale.
Il declassamento del merito creditizio fa aumentare il costo del capitale per il Tesoro, le banche e la
Fiat. Qualcuno, naturalmente, riuscirà a difendersi. S&P non punisce l'Enel, ancorché le previsioni sull'ex monopolio della luce fattosi multinazionale siano ora negative. Ma si tratta di eccezioni. Di
questo passo, il rendimento necessario a giustificare un investimento sale e perciò si investirà meno.
S&P, Moody's e Fitch non sono infallibili. Ma queste loro sentenze sull'inconcludenza dei gerenti —
governo e campione del settore privato (nella pubblicistica se non nella realtà) — seguono, e non anticipano, le scelte del mercato reale. Da tempo, per quanto possono, le banche e le assicurazioni allontanano la clientela e sé stesse dal rischio Italia. Il Bot annuale oltre il 4% e i Btp decennali in volo verso
il 6% costituiscono una solenne bocciatura per il governo.
Quanto al debito Fiat, Moody's si accoda a quanti stanno ai fatti: i tristi responsi dei concessionari europei; l'incipiente rallentamento del Brasile, unica fonte di profitto del gruppo, dove ormai si sono costruite troppe fabbriche d'auto; le indecisioni su Fabbrica Italia e la modestia degli investimenti industriali; la consistenza del debito al quale andranno sommati gli impegni del fondo pensione Chrysler,
quando i sindacati Usa usciranno. Ma un conto sono le diagnosi, un altro le terapie.
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E' infatti nel mezzo di questa tempesta perfetta, dove convergono gli uragani dei mercati finanziari e
degli scandali giudiziari, che fioriscono consigli avvelenati come quelli del Wall Street Journal che
vanno a insidiare le grandi imprese. Lo Stato, si dice, venda subito Eni ed Enel, magari con aggiunta di
spezzatino Finmeccanica, e poi.. ma dove si trovano investitori che scommettono 300 miliardi sul mattone quando la Banca d'Italia duramente rampogna la Popolare di Milano per aver prestato qualche
centinaio di milioni agli immobiliaristi? Abbiamo criticato la sudditanza di Berlusconi verso l'amico
Putin e i suoi riflessi sull'Eni, ma questo non ci impedisce di vedere che in Libia ha fatto più Paolo
Scaroni del premier e del suo ministro degli Esteri. Se il gerente della holding Stato non va bene, si
cambi il gerente subito e alla politica di portafoglio della holding si provveda con calma. Ricordando
due punti: a) le grandi imprese, purtroppo ne sono rimaste per lo più di pubbliche, sono strumento di
sovranità nazionale; b) le privatizzazioni anni 90 furono un successo d'incassi per il Tesoro e una delusione industriale per il Paese, perché troppo spesso i nuovi padroni si rivelarono avidi, miopi e impari
alla sfida.
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Mediobanca, vertici confermati
Nagel: il capitale è adeguato
Utile netto a 369 milioni, dividendo invariato
MILANO — Nel consiglio di Mediobanca per i francesi entra come indipendente Anne-Marie Idrac,
mentre Pierre Lefevre, presidente di Groupama Italia, sostituisce il numero uno del gruppo Jean Azema; i soci industriali, sempre con le caratteristiche di indipendente, hanno scelto Elisabetta Magistretti.
Queste in sostanza le novità presenti nella lista per il board di Piazzetta Cuccia definita e deliberata ieri
dal patto di sindacato.
Il consiglio guidato da Alberto Nagel ha invece approvato i conti della banca d'affari chiusi al 30 giugno: l'utile netto è pari a 369 milioni, in leggera flessione rispetto ai 401 dell'esercizio precedente, dopo però rettifiche per 238 milioni, di cui 120 milioni riferibili a Telco-Telecom e altri 100 milioni su
titoli di Stato greci. Il dividendo resta invariato, pari a 0,17 euro per azione.
In vista della scadenza del patto a fine anno e dell'assemblea del 28 ottobre che rinnova il consiglio si
profila per Mediobanca un sostanziale status quo. Nel board i cambiamenti sono limitati e rispondono
alle nuove regole della governance approvata a fine luglio. In primo luogo con l'ingresso al posto di
Antoine Bernheim di Anne-Marie Idrac, ex presidente delle ferrovie francesi ed ex sottosegretario di
Stato per il commercio estero, e di Elisabetta Magistretti, consigliere Pirelli & C e con funzioni di
audit nel gruppo Unicredit, aumentano i consiglieri indipendenti secondo i criteri di autodisciplina: potrebbero salire dagli attuali cinque a sette o forse otto, visto che resta nel board Eric Strutz che rappresentava Commerz (1,7%), socio che tuttavia con Sal Oppenheim (1,7%) e la Santusa di Emilio Botin
(1,8%), ha già fatto pervenire la disdetta dall'accordo parasociale. In teoria dunque anche Strutz potrebbe essere annoverato come indipendente. Inoltre salgono a quattro (a fianco di Marina Berlusconi e
Jonella Ligresti) le componenti femminili del board.
Per quanto riguarda le quote, il patto ha anche precisato ieri che Diego Della Valle ha reso noto il 17
agosto di aver stipulato un'opzione call per l'acquisto entro il 20 dicembre 2012 dell'1,4% del capitale
di Piazzetta Cuccia, operazione che porterebbe la sua partecipazione all'1,9%. La quota complessiva di
capitale vincolata nel patto, oggi pari al 44,4%, non sembra al momento destinata a modifiche significative: da un lato ci sono le uscite già decise e comunicate, dall'altro Groupama porta nell'accordo
l'1,8% oggi fuori perimetro e, oltre alla possibile crescita già autorizzata dell'imprenditore della Tod's e
a quella in atto di Vincent Bolloré dal 5,5 al 6%, alcuni soci industriali potranno aumentare le proprie
quota, come la famiglia Gavio, che può portarla dall'attuale 0,08% fino all'1% e Angelini dallo 0,22%
allo 0,47%.
Nel corso della conference call con gli analisti che ha chiuso ieri la giornata, Nagel ha sottolineato che
la banca (a cui S&P ieri ha abbassato il rating con altri sei istituti dopo aver tagliato quello sovrano) è in una posizione «confortevole» con il core tier 1 pari all'11,2% a fine giugno. Relativamente ai
conti, il risultato va letto in base a una severa «dose» di svalutazioni: oltre a Telco, Mediobanca ha rettificato del 46% i titoli greci e ha anticipato sulle due poste anche le svalutazioni effettuate dalla partecipata Generali nella semestrale. I ricavi sono in crescita del 7% e in particolare il margine d'interesse
aumenta del 17%: viene dunque confermata la spinta della parte «core», bancaria, con il contributo determinante del credito al consumo e del retail (Chebanca) e con lo sviluppo della componente internazionale, che ha registrato aumenti del 50%. Nagel ha detto che l'istituto guarda a Cina, Turchia e Russia. La liquidità è confermata alta, con un rapporto fra raccolta e impieghi pari al 70%, e le disponibilità finanziarie sono pari a 18,6 miliardi.
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Bpm, il sindacato blocca
la proposta dei soci minori
Il «lodo» Ponzellini
MILANO — Il consiglio d'amministrazione straordinario di Bpm è andato come previsto: la proposta di
modifiche alla governance presentata dai soci di minoranza è stata bocciata senza riserve. I sindacati che
controllano Piazza Meda, Amici della Bpm in testa, possono tirare quindi un sospiro di sollievo. La proposta di mantenere l'attuale sistema con un unico consiglio d'amministrazione, ma con maggioranze diverse e
un controllo più stringente sulle materie sensibili come quelle sul personale, avrebbe ridotto la loro influenza. Che invece il duale su cui sta lavorando il presidente Massimo Ponzellini potrebbe salvaguardare.
Secondo la bozza circolata in Piazza Meda, alla lista di maggioranza, tradizionalmente espressione dei sindacati interni alla Bpm, andrebbero 11 dei 17 amministratori presenti in consiglio di sorveglianza. E' vero
che non avranno grandi poteri, ma spetterà comunque a loro scegliere i cinque membri del consiglio di gestione, incluso il consigliere delegato a cui andranno tutte le deleghe operative. Lo statuto prevederebbe dei
paletti molto precisi per la nomina, che non tutti però sembrano gradire. Su questo punto sarebbe in corso
un confronto serrato all'interno della banca per apportare alcuni correttivi. Anche al consiglio di ieri sono
emerse divergenze sul tema. I sindacati interni, secondo quanto è filtrato, temono di perdere peso. Cosa che
non solo non dispiacerebbe ai soci non dipendenti e pensionati ma anche all'azionista industriale di Bpm,
Credit Mutuel, che ieri ha votato a favore della proposta delle minoranze.
Riformare la governance di Bpm senza l'accordo dei sindacati, però, è impossibile. In assemblea non passerebbe. E Bpm non solo non può permettersi uno scontro ma nemmeno di entrare in impasse. La Banca d'Italia ha il faro puntato. Fabi, Fisac, Fiba, Uilca, i sindacati dei bancari, sono consapevoli che la strada sta
diventando sempre più stretta e per questo hanno preso in mano la situazione chiedendo un incontro d'urgenza a Palazzo Koch per chiarire i contorni dell'intera vicenda e capire se il duale, così come è stato impostato, è in grado di risolvere quei problemi evidenziati al termine della recente ispezione. L'appuntamento è
per oggi.
Il direttore generale, Enzo Chiesa, ieri si è mostrato comunque fiducioso sul varo della riforma: «Credo ci
sia una disponibilità generale a cambiare la governance. Con calma ma si può fare». Di tempo in realtà non
ce ne è molto. Martedì prossimo il board di Bpm tornerà a riunirsi per votare sul sistema duale e definire
l'importo della ricapitalizzazione, che si dovrebbe aggirare sui 900 milioni di euro. «Sono convinto che non
ci sarà inoptato se l'aumento sarà contestuale al varo della nuova governance» ha detto ieri Chiesa.
Il consiglio dovrebbe procedere anche alla convocazione dell'assemblea che dovrà dare il via libera al nuovo statuto e procedere alla nomina del consiglio di sorveglianza. Un passaggio che potrebbe nascondere alcune insidie per Ponzellini. Il quale potrebbe non essere rieletto. Molto dipende dai correttivi che verranno
apportati all'attuale schema duale e quindi dalla posizione degli Amici di Bpm, di fatto l'azionista di maggioranza. Un ruolo che, seppure «virtuale» visto che l'istituto milanese è una cooperativa, nessuno, tranne
Banca d'Italia, ha mai messo in dubbio. Lo stesso Matteo Arpe, la cui ombra si sta stagliando sempre di più
sul palazzo di Piazza Meda, lunedì scorso avrebbe avuto l'accortezza di incontrare i rappresentanti dei lavoratori dell'istituto milanese. Secondo alcune fonti l'arrivo del banchiere in Bpm sarebbe vicino e legato, dicono, al confronto sui criteri di nomina del consiglio di gestione, in cui Arpe secondo le voci dovrebbe assumere il ruolo di consigliere delegato.
A questo punto sul tavolo rimane quindi solo la proposta di adozione del sistema duale che sarà esaminata
martedì prossimo e, se tutto andrà secondo programma, sottoposta a un assemblea a fine ottobre. Poi toccherà all'aumento di capitale.
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I mercati
Banche, la crisi costa 300 miliardi
Fmi: “Il tempo sta per scadere”
Nuova manovra in Grecia: scure su pensioni e statali
Il Fondo: siamo tornati in una fase pericolosa. I rischi finanziari sono aumentati
Le misure varate dalla Grecia per sbloccare la sesta tranche di aiuti
WASHINGTON - La crisi del debito sovrano è costata finora alle banche europee circa 200 miliardi di
euro. Addirittura 300 se si include «l´aumento del rischio di credito delle esposizioni interbancarie».
Per evitare il contagio, servono «soluzioni politiche coerenti». Il Fondo monetario internazionale stila
un preoccupatissimo Global financial stability report. Senza mezzi termini, il suo autore, Jose Vinals
avverte: «Siamo tornati in una fase pericolosa». Negli ultimi mesi «i rischi finanziari sono aumentati».
Oggi siamo nel pieno di una «crisi di fiducia dovuta a tre fattori: crescita debole, bilanci deboli e politica debole».
Christine Lagarde, neo-direttore generale del Fmi, calcola gli effetti sul Sud del mondo del doppio
choc, finanziario e alimentare: altri 44 milioni di nuovi poveri solo quest´anno. I pericoli sulla crescita
dell´economia globale sono «marcatamente aumentati».
E c´è poco da stare allegri. Nella loro analisi, gli esperti dell´Fmi rilevano che i rischi finanziari stanno
crescendo. «Il tempo per affrontare le vulnerabilità che minacciano il sistema finanziario globale e la
ripresa economica sta per scadere», si legge nel testo. La strada verso una crescita sostenibile si è
ristretta, ma «non si è chiusa». Bisogna che la riforma delle regole, affidata al Financial Stability
Board guidato dal governatore italiano Mario Draghi, sia «conclusa e attuata rapidamente». Ai politici,
chiamati a prendere le decisioni per uscire dal tunnel, il Fondo raccomanda «sforzi credibili»: per prevenire il contagio e rafforzare il sistema finanziario. Un´adeguata azione fiscale, con appropriati livelli
di capitale delle banche, può rompere il link fra il rischio-debito e le banche medesime. Gli istituti più
deboli «hanno bisogno di essere ristrutturati e se necessario chiusi». Numerose banche devono aumentare il loro capitale, anche usando fondi pubblici, compresi quelli dell´Efsf, il fondo salva-stati.
Nel rapporto c´è la cronistoria della crisi del debito, con le sue tappe. L´epicentro è stata la Grecia, su
cui oggi ancora trattano affannosamente gli esperti Ue, Fmi, Bce. Atene ha varato proprio ieri un nuovo piano d´austerity lacrime e sangue per convincere la Troika a sbloccare la sesta tranche di aiuti da
8 miliardi entro metà ottobre, quando finiranno i soldi nelle casse dello Stato. I provvedimenti prevedono un taglio del 20% per le pensioni sopra i 1.200 euro e l´aspettativa coatta per 30 mila dipendenti
pubblici entro fine anno. Questi ultimi riceveranno il 60% dello stipendio per 12 mesi. Poi, se non avranno trovato un nuovo impiego nell´amministrazione statale, saranno licenziati. Previsto pure un
colpo di forbice sugli assegni previdenziali per chi è andato in pensione anticipata e un allungamento
fino al 2014 della patrimoniale sulla casa. «È un messaggio forte ai mercati –ha detto un portavoce
del governo Papandreou –. La Grecia intende mantenere i suoi impegni».
Il mondo del credito Ue resta con il fiato sospeso per capire se queste misure basteranno ad evitare il
default. Da Atene sono partite quattro ondate con impatto negativo sulle banche. La prima ha a che
fare con i loro 60 miliardi di euro di esposizione verso la Grecia. La seconda, con la crisi allargata a
Irlanda e Portogallo. La terza ondata si e´ avuta con le difficoltà di Belgio, Italia e Spagna. L´ultima,
include i balzi degli spread tra i titoli dei Paesi deboli e il bund tedesco.
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Strategia inedita della banca centrale per fronteggiare l´economia ristagnante e
l´occupazione ferma
La Fed fa partire l’operazione twist
compravendita di bond
per ridurre i tassi
NEW YORK - Parte l´Operazione Twist, dal nome di un ballo degli anni Sessanta. E´ l´ultimo sforzo
della Federal Reserve per rianimare l´economia americana, ma è uno sforzo che non entusiasma i
mercati. Pesa la sensazione che la stessa Fed agisca in modo riluttante, turbata dalle divisioni al suo
interno e dalla pesante intimidazione della destra repubblicana. Sullo sfondo c´è la constatazione che
«la crescita rimane lenta, continua la debolezza del mercato del lavoro, i consumi delle famiglie aumentano a ritmi modesti». E´ con queste parole che il comunicato della banca centrale americana ha
motivato ieri l´Operazione Twist. Si tratta di avviare un cambio nel portafoglio (colossale: oltre 2.000
miliardi di dollari) di titoli pubblici detenuti dalla Fed, spostandone la composizione dai bond a breve
verso quelli a più lunga scadenza.
Nel corso dei prossimi 9 mesi la banca centrale venderà 400 miliardi di bond con durata inferiore ai 3
anni, per sostituirli con titoli pubblici dello stesso valore e di una durata superiore ai 6 anni. Il risultato
sarà che la composizione del portafoglio per scadenze si allungherà dai 75 mesi attuali a una durata
media di 100 mesi. Il "twist", la contorsione che fa ruotare il portafoglio verso bond di lungo periodo,
serve a esercitare una pressione ulteriore al ribasso dei tassi d´interesse. Se si aggiunge che la Fed
continuerà a comprare anche i bond emessi da Fannie Mae e Freddie Mac cioè gli istituti pubblici di
credito immobiliare, l´intento è chiaro: aiutare consumatori e imprese a reperire credito a buon mercato. Si tratta della "quarta puntata" di un lungo sforzo della banca centrale per contrastare la recessione. Prima la Fed ha cominciato con l´abbassare a zero il suo tasso direttivo, nel dicembre 2008. A
ruota, sono partite le operazioni di "quantitative easing" ovvero pompaggio di liquidità nel sistema, attraverso i massicci acquisti di titoli del Tesoro. Poi, il mese scorso, il presidente della Fed Ben Bernanke ha annunciato che il tasso zero sarà prolungato fino a metà del 2013. Infine ecco l´Operazione
Twist, un´altra politica del tutto inedita (un vago precedente fu sperimentato negli anni Sessanta, ma
su scala molto più piccola: di qui l´idea del ballo che era di moda in quegli anni).
Una valutazione ottimistica di questa manovra stima che potrebbe ridurre i tassi sui mutui dello 0,4%
e creare indirettamente 350.000 posti di lavoro. Ma di nuovi posti ne occorrono 250.000 ogni mese,
per ridurre significativamente il tasso di disoccupazione ufficiale oggi al 9,1%. Il numero dei senza lavoro raggiunge 25 milioni se si includono coloro che sono costretti ad accettare posti part-time ma
hanno bisogno di lavorare a tempo pieno. Dall´inizio dell´anno il Pil è aumentato appena dello 0,7%.
Eppure i tassi sui mutui sono già al minimo storico da 50 anni, il 4,09%. Bernanke ha margini di manovra risicati, ormai. I maggiorenti del partito repubblicano lo hanno "diffidato" dal praticare politiche
inflazionistiche, con una lettera senza precedenti in un paese dove la banca centrale era
un´istituzione super partes. Lo stesso Bernanke ha detto chiaramente al Congresso: ho fatto quel che
potevo, ma contro la recessione dovete usare le politiche di bilancio.
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Sette istituti di credito italiani
declassati da Standard&Poor’s
Bce aiuta un gruppo francese
Nagel: “Il sistema rischia l´avvitamento”
MILANO - La liquidità delle banche non fa dormire i banchieri europei. Ogni giorno passato è di troppo e pieno di fatti precipitevoli. Quelle di ieri: il declassamento del rating di Standard & Poor´s a sette
banche italiane, che non possono avere un merito di credito più alto del loro declassato Paese (si tratta di Intesa Sanpaolo e le controllate Imi, Biis, Carisbo, poi Mediobancan Bnl e Findomestic), e ha rivisto in negativo le prospettive di altre otto, tra cui Unicredit; la Bce che surroga ancora il mercato e
presta 500 milioni di dollari a una grande banca francese (tutti dicono sia Bnp Paribas, da giorni incapace di rifinanziare i suoi circa 90 miliardi di impieghi in biglietti verdi); la Bank of China che, scrive il
Financial Times, per la paura avrebbe sospeso gli scambi in valute con Bnp, Socgen e Ubs.
La situazione è così grave che nessuno più esclude nulla, nemmeno che entro sei mesi qualche
grande banca dell´Europa che conta vada nazionalizzata, o chiusa. Alberto Nagel, ad di Mediobanca
e banchiere tra i più lucidi nel Paese, in conference call con gli analisti finanziari ha speso parole di
ruvido realismo: «Il disastro è di proporzioni molto ampie e non verificabili: la situazione della finanza
europea è molto deteriorata, la crisi dei titoli pubblici rapidamente contagia le banche con rischi di avvitamento del sistema. O le banche riducono gli attivi di rischio o trovano un nuovo modo di finanziare
gli impieghi, è impossibile continuare a farlo con le aste Bce a breve. Chi amministra banche in Europa non può e non deve dormire». Nei Parlamenti, invece, si sonnecchia. «Purtroppo la tendenza dei
governi europei è rinviare i problemi». Sono tremebondi anche molti banchieri per la verità: solo gli
italiani hanno ricapitalizzato, francesi e tedeschi fanno gli gnorri finora, per paura di diluire gli utili o
contabilizzare perdite. «Ma tutti sanno che le banche non falliscono per perdite, ma per carenza di liquidità: oggi l´interbancario è chiuso, non si può andare avanti più di sei-nove mesi. Servono misure
per riaprire il mercato delle emissioni bancarie, di tutta la carta commerciale che nessuno compra più.
Una riedizione del Tarp americano magari, per mezzo del fondo europeo Efsf». Sul correlato ritorno
dell´inflazione, Nagel replica: «Meglio rischiare la crescita dei prezzi che l´avvitamento dell´euro, con
conseguenze tragiche per l´Europa».
Il caso di Bnp Paribas, l´ex banque gatée che da settimane cade in Borsa, è forse il più emblematico.
Negli Usa i francesi hanno 90 miliardi di impieghi in dollari che non sanno più come rifinanziare. «Da
gennaio gli investitori americani abbandonano il rischio Europa –aggiunge Nagel –. Intanto i governi
europei tentennano, spesso per motivi elettoralistici. Il rischio avvitamento è serio e la liquidità bancaria può essere il casus belli: non si possono certo finanziare gli impieghi solo con i depositi».
L´Italia, poi, sperimenta crisi multiple e peculiari. Di credibilità politica, incapacità a crescere, decadenza morale-sociale. «La situazione era già chiara un anno fa –ha detto ancora Nagel agli investitori –era diverso il grado di fiducia sul rischio Italia. Ora dovremo fare un lungo purgatorio per convincere gli investitori a tornare indietro. Vedo un percorso simile alla Grecia: appena la Germania si chiarirà
le idee, giungeranno a Roma poche istruzioni chiare e irrevocabili: aumento dell´età pensionabile, forti
tagli alla sanità, lotta vera all´evasione, privatizzazioni, liberalizzazioni». Sarà ancora il governo Berlusconi a metterle in pratica? «Non è così importante, a quel punto qualsiasi Parlamento o governo dovrà eseguire le misure senza esitare». Pena il default sovrano, evocato giorni fa anche dall´ad di Intesa Sanpaolo, Corrado Passera: «Dobbiamo sapere che il rischio di default c´è: non diamo per scontato di farcela senza scelte coraggiose, data la combinazione di alto debito, bassa crescita e bassa credibilità». «Passera ha fatto bene a dirlo –ha chiosato Nagel –bisogna tentare di sensibilizzare la
classe politica a fare misure che non sta facendo. Ma un default italiano, anche solo selettivo con taglio del 20/25% del valore del debito, metterebbe in ginocchio il paese e l´Europa». Scenario solo da
evocare dunque. Tocca sperare nel catartico "percorso greco".
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Il rapporto
“L’Italia risolva i contrasti politici
così darà certezza ai mercati”
Fmi: Roma cruciale per fermare il contagio nella Ue
WASHINGTON - «Serve unità politica per rassicurare i mercati». E´ l´inusuale monito all´Italia del
Fondo monetario internazionale, preoccupato che le «difficili dinamiche politiche», in pratica le divergenze all´interno del governo finiscano per aumentare l´incertezza degli investitori e, al dunque, per
amplificare i rischi di un contagio. «Bisogna invece minimizzarle per convincere gli operatori che non
ci sono problemi di stabilità», incalza Josè Vinals, responsabile del report dedicato agli squilibri finanziari. «Occorre un fronte politico unico» per uscire dalla crisi. Nella sua visione, l´Italia è «cruciale»
perché l´Europa riesca ad arginare la propagazione dei guai del debito sovrano.
L´Fmi, come del resto la stessa Standard& Poor´s, individua nelle debolezze del governo Berlusconi
una delle fragilità del Paese. Teme gli effetti nella percezione di chi, ogni giorno, opera sui listini. E
quindi vede nei litigi e nelle tensioni della compagine governativa una delle cause della già difficilissima situazione dei mercati, sottoposti agli attacchi della speculazione. In ultima analisi ha anche paura
che queste tensioni producano una «distrazione», se così si può dire, della volontà di risanamento,
con inevitabili contraccolpi negativi lungo il percorso per riportare nei ranghi i conti pubblici e rilanciare
la crescita. Può spiegare meglio signor Vinals? «Io dico: si faccia tutto quello che serve per mostrare
unità politica in modo da rassicurare i mercati e persuaderli che non ci sono problemi nella solidità
delle finanze pubbliche. Nei mesi scorsi questo non è successo ed è cosa di dominio pubblico».
Così, per la prima volta, gli esperti del Fondo dedicano un capitoletto del loro rapporto proprio alle
conseguenze che le tensioni nel governo stanno creando sui mercati. C´è scritto anzitutto che «le difficili dinamiche politiche e le crescenti preoccupazioni sulle prospettive di crescita hanno aumentato
l´incertezza su un ampio aggiustamento dei conti in Italia». Perciò, «data la dimensione del mercato
dei titoli in Italia e le necessità di finanziamento del Tesoro, questi rischi sono diventati il motore dei
movimenti del mercato, aumentando il potenziale di contagio su differenti piazze finanziarie». E più
avanti, di fronte ai continui strappi degli spread, i differenziali di rendimento tra Btp e bund tedeschi:
«L´Italia resta molto sensibile a un aumento dei costi di finanziamento. In queste circostanze un cambio dei fondamentali, quali la crescita o l´aggiustamento fiscale, possono mutare sostanzialmente le
aspettative sulla sostenibilità del debito». Ultimo messaggio: «Le tensioni sul debito italiano in giugno
e luglio mostrano come la volatilità, se non controllata, possa erodere la base degli investitori nel debito e tradursi in un riprezzamento del debito stesso».
(e. p.)
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Lavoro, le parti sociali
sconfessano la manovra
Confindustria e sindacati firmano l´accordo che supera l´articolo 8 sui contratti
La Cisl: abbiamo messo la parola fine a tutte le polemiche delle ultime settimane
ROMA - Confindustria e sindacati chiudono in modo definitivo l´intesa raggiunta il 28 giugno scorso
su contrattazione e rappresentanza. Con un incontro a sorpresa, avvenuto ieri di buon mattino presso
la foresteria degli industriali in via Veneto a Roma, la presidente Marcegaglia e i segretari generali di
Cgil, Cisl e Uil - Camusso, Bonanni, Angeletti - hanno siglato l´accordo interconfederale di giugno, integrandolo con un nuovo impegno formale. Solo poche righe per affermare che «le materie delle relazioni industriali e della contrattazione sono affidate all´autonoma determinazione delle parti». Un principio che di fatto consente di superare, sconfessandolo e depotenziandolo, l´articolo 8 della manovra
di Ferragosto, la contestata norma sulla possibilità di derogare, in sede di contrattazione aziendale e
territoriale, al contratto nazionale e alle leggi in materia di lavoro, anche sui licenziamenti tutelati
dall´articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Esulta la Cgil, che ha preteso quelle righe per chiudere
l´accordo. Soddisfatti gli altri sindacati e Confindustria per la ritrovata unità. Il ministro del Lavoro
Sacconi, in una nota, «apprezza la responsabilità» di tutte le parti, ribadendo che «la legge vi aggiunge la sua "forza" per dare certezza agli accordi e si limita a definire le materie che liberamente e responsabilmente le parti possono regolare».
Si chiude così, con la firma di ieri, un percorso accidentato che rischiava di naufragare dopo il "blitz"
estivo del governo. «Da oggi le parti sociali potranno trattare, siglare accordi e, qualora ci siano dissidi, far decidere alla maggioranza», spiega Bonanni della Cisl che poi precisa: «Abbiamo messo la parola fine a tutte le polemiche delle ultime settimane. Saranno le parti in piena autonomia a gestire tutti
i punti che l´articolo 8 demanda alla volontà di sindacati e imprese». Le tutele previste dall´articolo 18
dello Statuto dei lavoratori «resteranno pienamente valide», assicura Angeletti della Uil.
La firma di ieri «ha un senso preciso» per il segretario Camusso della Cgil. Ovvero che «l´autonomia
delle parti è un valore» e che «non si è condivisa l´operazione del governo sull´articolo 8». Al contrario, si ribadisce che «il rapporto tra contratto nazionale e contratto aziendale è quello definito
dall´accordo del 28 giugno». Un accordo che pone la contrattazione di secondo livello sotto l´unico
ombrello del Contratto nazionale, fonte primaria per l´individuazione delle materie derogabili a livello
locale. «Se qualcuno pensa di utilizzare l´articolo 8 - prosegue la Camusso - allora guarda ai sindacati
di comodo e ai contratti pirata». Sul punto, la Cgil chiede l´abolizione dell´articolo 8, annunciando un
ricorso alla Consulta.
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Rinaldini: gli industriali incassano l’intesa di giugno e l’articolo 8
“È una firma sbagliata
va contro lo statuto Cgil”
ROMA - La firma della Cgil «va contro lo statuto dell´organizzazione perché arriva senza la consultazione degli iscritti». Gianni Rinaldini, leader della minoranza congressuale della Cgil, critica duramente la scelta di Susanna Camusso di firmare insieme a Cisl, Uil e Confindustria l´accordo sulla rappresentanza siglato il 28 giugno scorso.
Rinaldini, perché siete contrari?
«Perché con questa firma Bonanni e Confindustria incassano contemporaneamente l´accordo di giugno e l´articolo 8 inserito nella manovra da Sacconi».
Ma sindacati e Confindustria si sono impegnati a non utilizzare quell´articolo per aggirare il divieto di licenziare senza giusta causa. Non è positivo questo?
«Io vedo che con quell´articolo si trasferisce un diritto di ciascun lavoratore, quello di non essere licenziati senza giusta causa, dal lavoratore ai sindacati. Che poi i sindacati decidano di non utilizzare
questo nuovo potere non significa che quell´articolo sia accettabile».
Che cosa non vi convince dell´accordo di giugno con Cisl, Uil e Confindustria?
«Soprattutto il fatto che anche in questo caso il potere di decidere è lasciato alla maggioranza dei
rappresentanti sindacali e non a tutti i lavoratori interessati. Ci vorrebbe una legge che stabilisce di
rendere validi i contratti solo se sono approvati dalla maggioranza dei lavoratori».
Quali iniziative prenderete ora?
«Chiederemo alla commissione statuto di intervenire perché a nostro parere la firma messa senza la
consultazione degli iscritti viola le regole di democrazia interna della Cgil».
Chiederete provvedimenti?
«Questa è una scelta che spetta alla commissione. Se accerterà delle violazioni, deciderà il da farsi.
Certo non ritengo accettabile dire che la consultazione verrà fatta nelle prossime settimane, a firma
avvenuta».
(p.g.)
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Mediobanca conferma i vertici,
sale Gavio
Quattro donne nel nuovo cda, Lefevre al posto di Azema. L´incognita Della Valle
Rinviata la decisione sul comitato nomine, in forse Ben Ammar e Palenzona
MILANO - Mediobanca entra nel nuovo triennio con due donne in più, un tasso di indipendenza maggiore nel cda e conti ripuliti causa varie svalutazioni, ben 238 milioni che purgano l´utile tenendolo sui
livelli dello scorso esercizio. E così la cedola, identica al 2009-2010 e pari a 0,17 euro.
Il patto parasociale, in vista della data per disdettare (30 settembre) sarà rinnovato al 2014 con alcune modifiche, che lo porteranno dall´attuale 44,46% a ridosso del 43% del capitale ordinario. Dopo
l´esecutivo e l´assemblea dei grandi soci, hanno ottenuto la facoltà di arrotondare la quota il gruppo
delle infrastrutture Gavio –che da un piccolo 0,08% potrà salire all´1% –poi, ma per importi frazionali, gli industriali Angelini, Romano Minozzi e il banchiere Ennio Doris. Ci vorrà un anno, invece, per
capire se Diego Della Valle eserciterà la sua opzione per l´acquisto di un altro 1,42% di Mediobanca,
salendo fino all´1,9% e facendo lievitare il capitale vincolato oltre il 44%. Tra gli uscenti ci sono invece
Santander, Commerzbank, Sal Oppenheim, in parte compensati con il rialzo di quota di Bolloré e
Groupama. Alla presidenza del patto è stato confermato Angelo Casò, al rinnovo anche come consigliere indipendente. Il patto ha poi designato la lista per il cda che l´assemblea del 28 ottobre dovrà
votare. Si confermano le ultime indiscrezioni: la scontata conferma dei vertici, con Renato Pagliaro
presidente, Vincent Bollorè e Marco Tronchetti Provera vice presidenti, Alberto Nagel ad, Francesco
Saverio Vinci direttore generale. Le novità sono invece dalla sostituzione di Jean Azema, leader di
Groupama che da due anni non partecipava al cda e che verrà rimpiazzato dal numero uno della
compagnia in Italia, Pierre Lefevre. Come indipendenti entrano per i soci industriali del gruppo B Elisabetta Magistretti, e per i soci esteri (gruppo C) la francese Anne Marie Idrac. Entrambe 60enni, la
prima, è dottore commercialista da anni revisore dei conti Unicredit e da aprile consigliere indipendente di Pirelli, la seconda, bretone come Bolloré, è stata segretario di stato ai trasporti dal 1995 al 1997,
poi deputato per il partito centrista Udf fino al 2002, poi ad di Ratp (trasporti pubblici di Parigi) e presidente delle ferrovie statali Sncf. Dal marzo 2008 a fine 2010 fu scelta come segretario di stato al
commercio estero. Il patto ha anche stabilito la lista del collegio sindacale e la composizione dei comitati interni. Non del comitato nomine però, il più storicamente importante e che cambierà molto. Finora
ci stavano tre manager in compagnia di Bolloré, Tronchetti e Rampl. Da novembre i tre manager saranno affiancati da due indipendenti, e sembra che non saranno i "guardiani" delle fazioni italofrancesi Fabrizio Palenzona e Tarak Ben Ammar. Solo il consiglio del 28 ottobre, esaminando i conti
del primo trimestre, deciderà la composizione del comitato che nomina i vertici delle partecipate strategiche Telecom, Rcs e Generali.
La contabilità d´esercizio, se si mettono tra parentesi le svalutazioni –per 104 milioni legate ai 400
milioni di bond greci, 120 milioni per Telco (Telecom) e 16 milioni per Delmi (una cassaforte di Edison) –è incoraggiante per la crescita dei ricavi (+7%, con parziale +25% per la divisione retail e
grandi gestioni, mentre è in tenuta il ramo Cib di mercati e imprese). Così l´utile lordo cresce del 28%.
Con i conti sotto controllo, Piazzetta Cuccia pensa ad ampliare la presenza internazionale. «I mercati
ai quali guardiamo, con differente approccio, sono Cina, Turchia e Russia - ha detto l´ad Alberto Nagel -. Intendiamo anche rafforzarci nei paesi nei quali siamo già oggi presenti, in particolare in Francia
e Germania».
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Bpm a tappe forzate verso il duale
con Arpe l’aumento a fine ottobre
MILANO - Il tentativo di blitz sulla riforma di statuto da parte delle minoranze di Bpm (i consiglieri che
fanno capo ai soci non dipendenti e alla lista dei pensionati, cui si è aggiunto ieri il voto del Crédit Mutuelle) non è riuscito. Come era nelle attese della vigilia, al prossimo consiglio del 27 settembre andrà
dunque in onda la discussione sul modello duale di riforma della governance, insieme alla definizione
dell´importo dell´aumento di capitale e alla fusione per incorporazione della Cassa di risparmio di Alessandria nella Banca di Legnano. Oggi in mattinata invece i rappresentanti nazionali dei sindacati di
Fisac, Fiba, Fabi e Uilca andranno in Banca d´Italia, per fare il punto della situazione.
Da qui a martedì molto probabilmente verranno messe a punto le modifiche alla bozza di duale proposta dal presidente Massimo Ponzellini e che sta circolando in queste ore. L´obiettivo infatti è di disegnare una governance che distingua molto chiaramente i ruoli del consiglio di sorveglianza - eletto
dall´assemblea e quindi espressione in qualche misura anche dei sindacati interni - e quelli del consiglio di gestione, presentando un´ipotesi di statuto che vada bene a Bankitalia (che vuole recidere i legami troppo stretti tra soci-dipendenti e gestione della banca) e che sia ben accetto anche dal mercato, che a breve sarà chiamato a sottoscrivere un aumento di capitale ragionevolmente un po´ sotto il
miliardo di euro.
Nei prossimi giorni potrebbe uscire allo scoperto ufficialmente anche il candidato numero uno a sottoscrivere una quota di rilievo dell´aumento, Matteo Arpe. Anche se non è certo escluso che prima
dell´aumento (o anche durante) possano farsi avanti altri imprenditori - difficilmente altre banche - interessati a prendere una quota nella Popolare di Milano, che liberata dalle pastoie dell´assetto attuale
resta pur sempre uno dei principali interlocutori del mondo del credito nell´area più ricca d´Italia. Di
sicuro, le modifiche della governance dovranno andare di pari passo con il calendario dell´aumento,
perché senza una distribuzione dei poteri diversa da quella attuale è ben difficile procedere ugualmente sulla strada della ricapitalizzazione. Ma la strada potrebbe ormai essere in discesa, tanto che
circola già un calendario dei lavori: il 27 settembre il cda con le modifiche di statuto, forse già il 7 ottobre una lista di potenziali candidati alle liste per il consiglio di sorveglianza, il 20 il cda con il varo definitivo dell´aumento di capitale e, il 22, l´assemblea straordinaria. A ruota, il 24 ottobre, partirebbe
l´aumento vero e proprio.
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“Modelli vecchi e zavorra Chrysler”
Moody’s taglia il rating alla Fiat
Titolo giù del 6%. Rinviata la chiusura di Irisbus
Gli analisti delle agenzie valutano l´indebitamento a 8,3 miliardi ma a fine anno sarà 5,5
TORINO - Moody´s declassa Fiat. Perché, scrive l´agenzia di rating, «il rischio del business concentrato su un settore altamente ciclico come quello automobilistico e il tasso di rinnovo dei modelli relativamente basso rispetto ai concorrenti diretti, riduce la sua posizione competitiva». Pochi modelli
dunque ma anche gli effetti della fusione con Chrysler, una società che arriva da un fallimento e che,
per forza di cose, ha una valutazione ancora negativa. Tanto che in Usa la notizia viene letta come la
diretta conseguenza dell´alleanza tra Torino e Detroit: «Moody´s penalizza la Fiat per colpa di
Chrysler». Esplicitamente gli analisti della società di rating spiegano che «la valutazione di outlook
negativo è legata ai rischi dell´intergrazione con Chrysler, ma se questa andrà a buon fine potrà stabilizzarsi».
La decisione di Moody´s di abbassare il rating da Ba1 a Ba2 porta la valutazione del Lingotto allo
stesso livello di quella stabilita tempo fa da un´altra agenzia, Standard and Poor´s. Gli analisti valutano l´attuale indebitamento del Lingotto a 8,3 miliardi di euro. Due giorni fa a Londra Marchionne aveva previsto che entro fine anno l´indebitamento del gruppo dovrebbe scendere a 5,5 miliardi mentre la
liquidità, valutata da Moody´s a giugno a 12 miliardi, ora sarebbe intorno ai 18. Nella valutazione della
società di rating si tiene conto anche di elementi positivi come «la diversificazione geografica» e «le
sinergie» tra le due società che si avviano verso la fusione. Sull´altro piatto della bilancia ci sono le
incognite sul prezzo di acquisto del 40 per cento delle azioni Chrysler ancora in mano al fondo pensionistico Veba. E il fatto che «l´utilizzo di comuni architetture produttive aumenta la dipendenza reciproca» tra le due società.
Il downgrade punisce il titolo in borsa: Fiat spa perde il 6,22 per cento e si ferma poco sopra la soglia
dei 4 euro, quasi vanificando i progressi registrati nei giorni scorsi. In controtendenza le azioni di Fiat
Industrial che sale del 3,32 ancora sull´onda dei target annunciati due giorni fa dal presidente Marchionne.
Il manager del Lingotto è da ieri sera in Usa per tentare di chiudere l´accordo con il sindacato Uaw sul
nuovo contratto di lavoro negli stabilimenti della Chrysler. Tentativo fallito sette giorni fa perché il
leader del sindacato ha preferito prima concludere l´accordo con la Gm sperando di costituirsi un precedente da far valere sul tavolo della trattativa con Marchionne. Ieri sera King non aveva ancora deciso se accettare la trattativa con l´ad del Lingotto o se invece rinviarla nuovamente per chiudere prima
l´accordo con Ford.
In Italia intanto si consuma la vicenda Irisbus. Cariche della polizia e proteste ieri in via Veneto, di
fronte alla sede del Ministero dello Sviluppo economico, dov´era in programma l´incontro tra le parti
per risolvere la crisi dello stabilimento degli autobus di Valle Ufita, in provincia di Avellino, il luogo dove Fiat Industrial intende cessare la produzione. L´azienda ha accettato di prorogare «fino al 31 dicembre» l´attività: «Sia chiaro - ha ricordato l´amministratore delegato di Iveco, Alfredo Altavilla - che
non ci saranno altre proroghe». Per il ministro Paolo Romani «il rinvio della chiusura serve ad avere il
tempo per trovare soluzioni». Anche alternative alla cessione dell´impianto a Massimo Di Risio,
l´imprenditore che i sindacati non vogliono perché lo considerano un liquidatore. La scelta su come
proseguire la vertenza verrà presa lunedì dai lavoratori riuniti in assemblea nello stabilimento ma
«quel che più conta - hanno detto all´unisono le organizzazioni sindacali - è che il governo si impegni
a finanziare l´acquisto degli autobus da parte delle amministrazioni locali, unica condizione perché diventi redditizia la produzione».
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La Fiba-Cisl
Vi augura di trascorrere
una giornata
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domani 23 Settembre
ppeerr uunnaa nnuuoovvaa
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mppaa!!
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Giovedì 22 Settembre 2011 - cerca