%*3&16##-*$" %0.&/*$" -6(-*0 /6.&30 $VMU -B DPQFSUJOB *M SPNBO[P VOJTDF M&VSPQB 4USBQBSMBOEP &SNBOOP 3FB i4JBNP QFSEFOUJw .POEPWJTJPOJ 6OB UPQBJB HMPCBM B #BSDFMMPOB "3&" ("3*#"-%* 3&16##-*$" ª 456%*0 ("#3*&-& #"4*-*$0 .*-"/0 (SBO .JMBO ."63*;*0 #0/0 MILANO ' UORI DALLE FINESTRE al sesto piano della casa di Gillo Dorfles — pianoforte a mezza coda nell’angolo, alle pareti un’antologia della pittura contemporanea da Toti Scialoja a Giosetta Fioroni a un 5BHMJP di Fontana — la Milano in zona Buenos Aires, col sole e i terrazzi in fiore sui tetti, si esibisce, come fa non più di una ventina di giorni all’anno tra primavera e estate, nella pretesa di sembrare una città di bellezza italiana normale, con in più una leggera euforia da Expo nell’aria. Momento giusto per sfogliare la .JMBOP a due dimensioni fotografata con amore e rigore per quarant’anni da Gabriele Basilico (il volume è edito in questi giorni da Contrasto), cercando di capire come questa città sa cambiare. Con Dorfles — squisito padrone di casa e intelligenza critica cittadina in esercizio costante fin da quando arrivò qui negli anni Trenta — c’è Umberto Veronesi, che nella periferia estrema di Milano è nato e da medico protagonista di rivoluzioni scientifiche l’ha vista e anche un -B DJUUË EFMM&YQP Ò EJWFOUBUB CFMMB $PNF TJB TUBUP QPTTJCJMF MP BCCJBNP DIJFTUP B EVF TVPJ BCJUBOUJ (JMMP %PSGMFT F 6NCFSUP 7FSPOFTJ & B VO UFS[P DIF IB TQFTP VOB WJUB B GPUPHSBGBSMB po’ aiutata, con passione civile, a diventare com’è. Tutti e due si lasciano trascinare nel gioco di riflessioni e ricordi, con la conquistata leggerezza, rispettivamente a 105 straordinari anni e a 89 impegnatissimi nella presidenza onoraria della sua Fondazione, di chi dello spostamento dello sguardo dall’ordinaria prospettiva della propria disciplina a uno più ampio ha fatto la cifra del proprio percorso intellettuale. Premette Dorfles: «Se vuole posso parlare delle fotografie di Basilico, che ho stimato sempre come artista, una a una. Ma non direi più di quanto è già stato detto. Parliamo piuttosto, guardandole, di ciò che per scelta stilistica l’occhio del fotografo ha omesso, ma è ciò che nell’evoluzione delle città conta davvero: le persone». Raccoglie Veronesi: «Milano è ed è sempre stata una città di tante genti. È capace di cambiamenti perché è prima di tutto un centro di traffici commerciali, in mezzo alla pianura e a cavallo delle direttrici nord-sud ed est-ovest come dice “Mediolanum”, il suo antico nome. Chi commercia accetta volentieri chi è diverso, perché ha interesse agli scambi di merci e di idee». 4&(6& /&--& 1"(*/& 46$$&44*7& -PGGJDJOB /FMMBUFMJFS EJ &OLJ #JMBM MBSUJTUB DIF EJTFHOB JM EPNBOJ 4QFUUBDPMJ (JPSHJP .PSPEFS i4POP RVFMMP DIF IB JOWFOUBUP MB EJTDP NVTJD F PEJP CBMMBSFw /FYU &WHFOZ .PSP[PW JM HVSV EJHJUBMF i4BMWJBNP JOUFSOFU EBMMF NVMUJOB[JPOBMJ EFMMB 4JMJDPOw la Repubblica -" %0.&/*$" %0.&/*$" -6(-*0 -BDPQFSUJOB(SBO.JMBO Gillo Dorfles: “È tanto bella quanto brutta”. Umberto Veronesi: “È la nostra piccola New York”. Passeggiando tra le foto in bianco e nero di Gabriele Basilico due grandi vecchi raccontano la loro città. Si parte dai salotti anni Trenta e si arriva fino all’Expo re il fascismo, il riformismo, il craxismo, il leghismo, il berlusconismo… Veronesi: «Messa così, nell’elenco prevarrebbero di gran lunga le invenzioA SUA VOLTA CHI SI SPOSTA ni negative. Ma io aggiungerei in positivo la vocazione della borghesia milaneper andare altrove è a suo se al mecenatismo illuminato, eredità di una tradizione che era già dell’aristomodo selezionato, lo fa per- crazia e ha creato fra l’altro tutti i grandi ospedali. Ho visto quella vocazione ché oltre alla necessità lo da vicino: il mio Istituto europeo di oncologia nel Novanta è nato così. Enrico spingono il bisogno di cono- Cuccia, il presidente di Mediobanca, un giorno nel suo studio mi disse: stai lì scere, il senso dell’avventu- un attimo, che faccio qualche telefonata. Alzò il telefono, parlò con dieci persora e della fantasia. Che Mila- ne da Pirelli in giù, tutti e dieci tirarono fuori i soldi e iniziò un percorso, poi prono sia tanto cambiata e capa- seguito con la Fondazione, per mettere al centro della medicina la persona. E ce di cambiare, non solo naturalmente, parlando della storia dei milanesi, non vanno dimenticati la Renell’architettura ma nel mo- sistenza e il ’68, che ha espresso una rivolta positiva dei giovani, finché nei Setdo di vivere e di pensare, si tanta-Ottanta non siamo precipitati nell’abisso del terrorismo. E poi di Tandeve al fatto che cambiano gentopoli. Quegli anni, essendo da tanti molto amico di Borrelli, li ho vissuti profondamente i milanesi, tanto che sono pochissimi oggi quelli nati qui. In con apprensione insieme a lui». questo è da molto tempo una “piccola grande mela”, un po’ come New York”. Rivediamo intanto il film della caduta del fascismo. Dorfles: «Sì, la città è cambiata enormemente non solo perché la popolazioVeronesi: «Ho in mente due date. Il 25 luglio tutti i milanesi si precipitarono ne è cresciuta, ma perché non è più, letteralmente, quella di una volta. Il mio a cancellare le scritte mussoliniane e ad abbattere i simboli. Per dirla con Monprimo ricordo è di quando avevo due o tre anni e da Genova, dove con mia ma- tanelli, “tutti corrono in soccorso del vincitore”. E a diciassette anni mi diede dre ci eravamo trasferiti dalla Trieste in cui sono nato, venivo a trovare la mia una grande sensazione di ipocrisia, perché le facce erano le stesse che avevo vibisnonna che aveva un palazzo in Corso Venezia. Allora tutti parlavano sem- sto andare alle adunate ad applaudire. Poi naturalmente cambiò subito di nuopre in milanese, se entravi in un negozio e volevi farti capire dovevi farlo per vo tutto col ritorno di Mussolini, l’occupazione nazista, Salò. L’8 settembre forza. Fino agli anni Trenta si parlava in dialetto anche nella buona società, uscì il bando secondo il quale i nati nel 1925, la mia classe, dovevano essere arche allora ho abbastanza frequentato, dai Borromei ai Belgioioso. Compresa ruolati o fucilati. Pensammo di scappare in Svizzera, ma finii i una retata alla mia moglie Chiara, che tutti chiamavano Lalla ed era figlia del direttore del stazione Centrale e fui aggregato come soldato alle truppe di occupazione. Per Conservatorio Gallignani e figlioccia di Toscanini…». fortuna, diciamo così, pochi giorni dopo saltai su una mina e mi feci quattro Veronesi: «Lo stesso accadeva nella mia famiglia, che era di poveri e umili mesi e dieci interventi chirurgici in ospedale. Poi, guarito, per un anno e mezdelle campagne. Il milanese era la lingua ufficiale, se dicevi una cosa in italia- zo partecipai alla lotta clandestina con i Gap, e girare per la città con in tasca i no era quasi riprovevole, come se oggi in una conversazione dicessi una frase volantini o i messaggi del Cln non era uno scherzo». in inglese o in tedesco. Era anche bello, naturalmente, era un dialetto pieno di Poco dopo, nell’immediato dopoguerra, Milano vive un’altra vivace stagiodetti e di battute». ne creativa e nel 1948 Gillo Dorfles Molto milanese, piuttosto, sembra fonda con Bruno Munari e altri il il fatto che, nelle “oscillazioni del Movimento Arte Concreta. Cosa rigusto” — come ci ha insegnato a corderebbe di quegli anni? chiamarle Dorfles — tra nostalgia Dorfles: «In generale, l’occasione di della tradizione e spinta al nuovo, nuovo mancata di ricostruire la città il pendolo qui si sposti più spesso con una visione urbanistica moderna, sulla innovazione. Quando è comine le nuove idee anche in campo esteticiata questa attitudine? co. Il design rinasce e diventa imporDorfles: «Se parliamo di tradizione tante. Se mi chiede delle evoluzioni e innovazione artistica, certamente del gusto, è una domanda pericolosa, con il Futurismo, che è stato fondaperché, come sa, parlo del cattivo gumentale e a lungo sottovalutato. Poi sto da tanti anni, e l’argomento non negli anni Trenta e Quaranta, quanmi sembra affatto superato. Ma se do Milano è stata la vera culla dell’aguardo alle capacità che la città ha vanguardia in architettura, da Gio espresso nello stile degli oggetti induPonti ai BBPR - Banfi, Belgiojoso, Pestriali e nella moda, sì, mi pare che ressutti e Rogers - alle case popolari di con quella discussione qualche contriFranco Albini. Ma qui di Milano vorrei buto a cambiare i milanesi devo averdire un limite: ha avuto grandi archilo dato anch’io. Purtroppo altre cose tetti ma mai grandi urbanisti, e il risulmancano, per esempio stiamo ancora tato è la sua peculiare miscela di bello aspettando un museo dell’arte cone brutto, anche nelle stesse vie. Con temporanea, come l’hanno Torino, ."63*;*0 #0/0 poche eccezioni: come la zona di Porta Genova, Napoli, per non dire di Roma. Venezia che mi piace molto e una speranza recentissima, i nuovi Scandalosamente, manca proprio a grattacieli che stanno finalmente realizzando una vera “city”». Milano che è il principale mercato italiano dell’arte e una capitale Veronesi: «Anche Basilico, come si vede, del resto non fa sconti: del collezionismo privato». fotografa — benissimo e impietosamente — periferie di una brutVeronesi: «È uno dei tratti meno simpatici della mentalità cittatezza desolante. Per me una grande colpa urbanistica è stata la codina, l’individualismo...». pertura dei Navigli a partire dai primi anni Trenta, che ha fatCon qualche segnale in controtendenza, a quanto pare: to di Milano una delle poche città europee senza acqua: né fiuqualche mese fa Dorfles si è detto entusiasta del moto sponme, né lago, né mare. Eppure l’acqua è l’elemento base della taneo dei cittadini che sono scesi per le strade a pulire dopo vita, biologicamente veniamo da lì». le devastazioni dei black bloc anti-Expo. È ottimista anche Dorfles: «Sì, fu un errore e un delitto. Ricordo le meravigliolei, Veronesi? se passeggiate sui Navigli quando erano ancora una vera rete Veronesi: «Di sicuro Expo è un grande evento che sta funziourbana navigabile, il Tombon de San Marc con il laghetto che nando, il cibo è un tema che appassiona tutti, però non sembra era un piccolo mare interno, i ponti e i canali fino a Pavia». ancora voler affrontare a fondo il tema annunciato dell’evenVeronesi: «Io i Navigli scoperti ho fatto in tempo a vederli to, nutrire il pianeta, ovvero combattere la fame nel mondo. In da ragazzo. Come anche le case di ringhiera, adesso trasformaquello spirito ho lanciato già sei anni fa l’idea della “Carta di Mite in case ristrutturate per la boghesia medio-alta. Da giovane melano”: oggi è riapparsa nei programmi, ma bisogna puntarci ». dico ci andavo a visitare tanti pazienti terminali, arrivando in Dorfles: «Speriamo che non diventi un’altra occasione perduta. *- -*#30 tram con la borsa in mano: bagno esterno, una sola grande stanza, Ma per ora la speranza resta». i.*-"/0w con la cucina a destra e di fronte lettone e letti dei bambini. E la miE almeno finché resta, diventa quasi inevitabile un paragone $0/53"450 seria: quando chiedevano “cosa le dobbiamo”, rispondevo “non si con Roma sotto schiaffo dell’inchiesta di mafia: è la rivincita di 1"(*/& preoccupi, le manderò il conto”. Era una città povera con una borMilano? &630 ghesia molto ricca, cinquecento famiglie che contavano e un milioVeronesi: «Guardi, mi pare un po’ una semplificazione. Utile e 3"$$0(-*& ne e passa di persone che contavano poco. Ancora oggi del resto, alanche giusta, se è una denuncia del malaffare ovunque sia, ma ne1*Ä %* %6&$&/50 la Scala e nei salotti vedi sempre le stesse facce. Però le grandi famigli anni che ho vissuto a Roma, quando tra il 2000 e il 2001 sono sta'050(3"'*& glie industriali hanno perso industrie e potere. Lo diceva bene Thoto Ministro della Sanità nel governo Amato e fino al 2009 senato$)& ("#3*&-& mas Mann: “I ricchi amano la ricchezza, i figli dei ricchi amano gli re, ho visto una realtà diversa, almeno al ministero dove i funziona#"4*-*$0 ideali”. Guardi la storia dei Pirelli: il primogenito del fondatore Alri erano in ufficio alle otto e ben lieti di trovarci anche me, e in un berto, Giovanni Pirelli, era partigiano, comunista, anticapitalista governo dove c’erano Mattarella alla Difesa, Fassino alla Giusti)" 4$"55"50 e scrittore. Restò il fratello Leopoldo, a occuparsi della fabbrica, zia, Bersani ai Trasporti… No, Milano è stata troppo a lungo “capita" .*-"/0 ma non aveva la grandezza della generazione precedente e la Pirelle immorale” per poter dare lezioni. Piuttosto dovrà trovarsi un fu*/ 26"3"/5"//* li è andata in altre mani. E adesso è cinese». turo dopo Pisapia, che secondo me è stato un ottimo sindaco e anco*- 70-6.& 03" Chi ha poi sostituito quella élite cittadina? I banchieri? Gli imra non mi rassegno al fatto che non si ricandidi. Perché per fare le */ -*#3&3*" mobiliaristi? I nomi del made in Italy, del design e della moda? strade e i metrò bastano bravi assessori, ma per registrare i matriµ 45"50 $63"50 Dorfles: «Non si può più dire che è la Milano dei Visconti e neppumoni gay celebrati all’estero, per esempio, ci vuole coraggio e il %" (*07"//" re quella delle grandi famiglie imprenditoriali. Direi che sono senso della civiltà dei diritti umani. Magari anche contro le piazze $"-7&/;* scomparse entrambi e le ha sostituite la media borghesia ricca». gremite…». Passando dalla ricchezza al potere. È un luogo comune che MilaNo, ai milanesi migliori vincere facile non piace mai. no sia stato il laboratorio politico dell’Italia, avendo visto nasceª3*130%6;*0/& 3*4&37"5" 4&(6& %"--" $01&35*/" i& (*--0 %03'-&4 /"50 /&- " 53*&45& 4* µ 13&450 53"4'&3*50 " .*-"/0 %07& "556"-.&/5& 7*7& */5&--*(&/;" $3*5*$" %&--" $*55® & %&- 1"&4& µ 1*5503& $3*5*$0 %"35& '*-040'0 0((* 46 3&16##-*$"*5 6/ #3&7& 7*%&0 %&- %*"-0(0 .*-"/&4& 53" %03'-&4 & 7&30/&4* .JMBOP EB WFEFSF 6.#&350 7&30/&4* /"50 " .*-"/0 /&- )" '0/%"50 /&- -*45*5650 &6301&0 %* 0/$0-0(*" .*/*4530 %&--" 4"/*5® µ 45"50 4&/"503& %&--" 3&16##-*$" '*/0 "- la Repubblica %0.&/*$" -6(-*0 26"35*&3& *40-" #"4*-*$" %* 4"/ -03&/;0 1*";;" 7&-"4$" 1*";;" 4"/ '&%&-& 7*" (*07"//* '&33"3* 7*" /050 $0340 %* 1035" 5*$*/&4& $"45&--0 4'03;&4$0 ª 456%*0 ("#3*&-& #"4*-*$0 .*-"/0 7*"-& $&3.&/"5& 7*" 7*5503 1*4"/* %60.0 $&/530 $0..&3$*"-& $*/*4&--0 #"-4".0 la Repubblica -" %0.&/*$" %0.&/*$" -6(-*0 -BUUVBMJUË8FMDPNF -FMJUJ USB DPOEPNJOJVO NPTUSPDIJBNBUP(PPHMF J WFDDIJ JNQFSJBMJTUJUSBTGPSNBUJ JO DPNQB×FSPTF EPNBOJEPQP RVBTJ TFTTBOUBOOJ MBNCBTDJBUBBNFSJDBOBDIF SJBQSF B-"WBOB (MJBQQVOUJEJVOB TDSJUUSJDFVO BUUJNPQSJNB DIFUVUUP DBNCJ -BNJB$VCB 8&/%: (6&33" 4 L’AVANA ARÀ MEGLIO METTERSI D’ACCORDO. Sarà meglio che in quelle enormi palazzine dove si ammassano quindici o venti famiglie alla fine si trovi un compromesso e si riesca a vendere la proprietà, in modo che ogni inquilino possa trovare un luogo decente dove andare ad abitare, che garantisca intimità e indipendenza, e che si riesca a salvare l’edificio restaurandolo. I cartelli “Vendesi” sono dappertutto. Qui chiamiamo TPMBSFT quegli alveari pieni di CBSCBDPBT (soppalchi realizzati per ricavare più spazi abitativi in ambienti dai soffitti alti, OEU) dove l’asfissia e il cattivo odore delle fosse biologiche ti aggrediscono fin dall’enorme portone di ingresso. Ho vissuto in uno di questi posti per dodici anni; i tuoi lamenti si fondevano con la musica del vicino, a tutte le ore dovevi tenere accesa la luce elettrica, il labirinto di case non riceveva ventilazione; era un inferno sopravvivere in quel miscuglio di marginalità e promiscuità quotidiana. Finalmente è arrivata la legge che permette la compravendita: in uno spazio incredibilmente ridotto, di pochissimi metri, nascono e muoiono quattro generazioni di cuba- un appartamento piccolo ma indipendente ni che hanno bisogno di una via d’uscita da dove poter iniziare una vita dignitosa. In questo dramma. molti casi il processo di riadattamento di Ma chi vende? E perché? queste persone abituate a una vita collettiSe si calcola un prezzo generale per que- va in posti dove bisogna assuefarsi alla consti bellissimi ma fatiscenti palazzi coloniali vivenza intima e discreta di un palazzo più in decadenza, quasi tutti si trovano fra L’A- moderno fatto di singoli appartamenti è alvana Vecchia e il Vedado, ogni condomino quanto complesso. Alcuni vendono la loro parte per potere (KFGF EF OÞDMFP, il capofamiglia, OEU) potrà ottenere fra i quattro e i seimila Cuc (QFTPT coprire le spese del viaggio: pensano di ancubani convertibili, OEU) per il suo piccolo darsene definitivamente da Cuba. E chi compra? E perché? spazio, cifra con la quale potrà acquistare Gente che viene da altri Paesi e magari vuole mettere su un ristorante, una galleria d’arte, un locale notturno. Oppure emigranti che dall’estero spediscono denaro sufficiente per rientrare in possesso di proprietà che in un’altra epoca avevano fatto parte del proprio patrimonio familiare. Tenete conto che uno di questi palazzi può costare dai centocinquantamila ai quattrocentomila dollari. Il problema è che i condòmini non sempre si mettono d’accordo. Il processo di convincimento è lungo e degno di una commedia cubana degli intrecci. Il cambiamento si fonda sul fatto che ora è possibile vendere e comprare immobili che per quasi sessant’anni sono rimasti intoccabili o inamovibili perfino per i loro proprietari. Fino all’anno scorso lo Stato non ti consentiva di decidere alcunché sul destino della tua abitazione. $IJ IB EFUUP EJ OP B (PPHMF Nessuno ha chiesto al popolo cubano cosa rispondere all’offerta di Google. Voleva regalarci l’installazione gratuita di internet. Siamo troppo vicini agli Stati Uniti per pensare che in piena fase di innamoramento americano non avremmo ricevuto un’offerta del genere. Quello che ci hanno detto, fin da quando internet è comparsa sulla scena, è che Cu- ba è un Paese povero, così povero che non può permettersi il lusso di installare la Rete. Ma questo punto mi domando: chi ha risposto a Google a nome nostro? È stato il secondo segretario del Partito comunista, José Ramón Machado Ventura. Beh, vorrei dire che non mi sento affatto vicina a questa risposta, se non altro perché non sono stata debitamente consultata. Nessuno di quelli che conosco è stato consultato. Il secondo segretario ha detto che ci rifiutiamo di farci installare gratuitamente le antenne wi-fi in tutta Cuba. «Tutti sanno perché internet, a Cuba, è poco sviluppata: perché ha un costo elevato. Ora c’è qualcuno che vuole darcela gratis, ma non lo fa perché vuole che il popolo cubano comunichi, lo fa con l’intento di penetrare fra noi e svolgere un lavoro ideologico per portare a termine una nuova conquista. Noi dobbiamo avere internet, ma a modo nostro, nella consapevolezza che è intenzione del capitalismo usarla come un’altra via per distruggere la Rivoluzione». La parola “imperialismo” ricompare quando l’apertura ci sta un po’ troppo larga. Ma perché non domandarlo al popolo, che è adulto e sa discernere, e sa pensare con la propria testa. Perché tanta paura? Cosa temono? Google o la possibilità di avere una finestra sul mondo? la Repubblica %0.&/*$" -6(-*0 -"653*$& /"5" " -"7"/" /&- %07& 565503" 7*7& 4$3*553*$& "553*$& & 3&(*45" 8&/%: (6&33" µ %*7&/5"5" '".04" /&- .0/%0 (3";*& " i50%04 4& 7"/w i5655* 4& /& 7"//0w -& -&55&3& %*"3*0 */5*.0 %* 6/" 3"(";;*/" /&--" $6#" %* '*/& "//* A 16##-*$"50 $0/ 6/0 14&6%0/*.0 /&- 7&//& 130*#*50 " $6#" $0.& "-53* 460* -*#3* 1&3$)² (*6%*$"50 i4077&34*70w TPUUPUJUPMBUB Per favore, smettetela di rispondere a nome del popolo, anche il popolo è uno. *M DPSQP JM OPTUSP QJá HSBOEF TQB[JP EJ MJCFSUË Quando, negli anni Settanta, subimmo la 1BSBNFUSBDJØO, ovvero il giorno in cui gli omosessuali qui a Cuba iniziarono a essere perseguitati ingiustamente, espulsi dalle scuole o dai centri lavorativi, quando furono costrette ad abbandonare il Paese migliaia di persone messe all’indice e incolpate per le loro preferenze sessuali, quando intromettersi nelle suddette preferenze cominciò a separare famiglie, amici, collaboratori, fu allora che avvenne la grande rottura fra l’individuo e lo Stato. Più di noi, sono stati i nostri genitori a soffrire per questa epurazione. Vittime di una selezione disumana che non aveva nulla a che vedere con le premesse della società giusta che aspiravano a costruire, molti cittadini cubani finirono reclusi forzosamente in centri come la Umap (Unità militari di aiuto alla produzione), per essere “rieducati”. A partire da quel momento la nostra generazione decise, quasi senza rendersene conto, di liberare la nostra fisicità, e nei collegi come nelle mobilitazioni, sulle spiagge come nei campeggi, decretammo che eravamo liberi e che non avremmo mai lasciato che la nostra sessualità venisse governata da una ideologia. Da quel momento percepimmo il corpo come l’unico spazio di libertà intoccabile per i cubani. Sarà per questo che possediamo una libertà fisica che confina con il libero arbitrio. -B QBSPMB PQQVSF MJNNBHJOF Siamo in piena estate, la Bienal de Arte è già finita da qualche settimana ma la città è ancora decorata con sculture e installazioni. I simboli coronano le strade, e forti o duri che siano, lì stanno. Molti cubani tornano qui per le vacanze, e quelli che tornano per restare, grazie alla legge sul reimpatrio, quelli che esigono il loro diritto a essere parte di un Paese che è di tutti, quelli che già sono abituati a parlare con libertà da decenni, anche loro tornano. Mettono sul tappeto argomenti che non tutti siamo in grado di affrontare, per lo sforzo di stare in silenzio esercitato in tutti questi anni. Gli artisti che presentano le loro opere sulla spianata del Malecón di solito dicono (non senza fatica) la loro verità sotto il piedistallo dell’opera, di fronte alla meravigliosa luce di Cuba. Lo fanno anche quelli che hanno uno spazio nelle gallerie d’arte, nelle esposizioni alternative e negli interventi pubblici. È per questo che mi domando: perché dà tanto fastidio la parola? Forse l’immagine è un modo meno diretto di interve- -& '050(3"'*& *.."(*/* %" -"7"/" " 45&--& & 453*4$& "--" 7*(-*" %&--" 3*"1&3563" %&--".#"4$*"5" ".&3*$"/" */ $0/5&.103"/&" $0/ -" 3*"1&3563" %* 26&--" $6#"/" " 8"4)*/(50/ $)*64" /&- " 4&(6*50 %&--" 3*70-6;*0/& $"453*45" %&- nire sui problemi? Forse l’immagine è una scenografia che illustra il problema e il suo epilogo senza allargare la ferita? Perché la maggioranza dei miei libri viene censurata? Perché ci sono, ci sono stati e ci saranno tanti autori censurati? La parola è un urto verbale e fa male. Queste vacanze estive finiranno. Se ne andranno quelli che sono venuti a insegnare la loro verità, e qui rimango io, parlando da sola di una realtà che da fuori sembra una festa e da dentro è ormai una scenografia che illustra il campo di battaglia dove sono muti gli spari e pericolose le parole. "HHJPSOBUF JM WPTUSP WPDBCPMBSJP La piazza che sorge nel Vedado, quella che si trova di fronte alla vecchia “Sezione di interessi degli Stati Uniti”, la piazza che noi cubani abbiamo soprannominato FM 1SP UFTUØESPNP, la piazza delle lunghe marce di fronte al Malecón, sotto i violenti acquazzoni mattutini, forse cambierà nome: non la chiameremo più 5SJCVOB "OUJJNQFSJBMJ TUB, conserverà il nome di José Martí e le bandiere che sventolano lì prenderanno un altro significato. A partire da domani, 20 di luglio, tutti i cartelli che recitano “:BOLFFT (P )PNF” saranno sostituiti da cartelli con sopra scritto “8FMDPNF )PNF”. Noi che dall’età di tredici anni abbiamo imparato a sparare contro lo yankee op- pressore che da un momento all’altro sarebbe venuto ad attaccarci, dovremo imparare a ossequiarlo in questo nuovo Paese che cambia in modo sottile davanti ai nostri occhi: gli affitteremo le nostre case, le nostre stanze, faremo colazione insieme nella sala da pranzo di famiglia, perché gli alberghi non ce la faranno ad accogliere tutti questi ospiti; sicuramente nasceranno nuovi matrimoni misti, fra cubani e americani, e la guerra fredda sarà riscaldata dal nostro modo così tropicale di dimenticare in fretta il dolore o il risentimento. La televisione cubana sta già trasformando il suo linguaggio: ora chiama il gruppo di persone che prende parte ufficialmente al processo negoziale iDPNQB×FSPT EF MB EFMFHBDJØO OPSUFBNFSJDBOB”. Dal nostro vocabolario è sparito il gruppo di offese solenni destinate ai vicini del Nord, è stato bandito dalle allocuzioni ufficiali quell’appellativo, disegnato anche sui cartelloni, di 4F×PSFT JNQFSJBMJTUBT. Questa mattina mi sono alzata pensando a cosa ne sarà di quella frase del Che Guevara: «All’imperialismo americano non si può cedere neppure un’unghia». Domani, questo venti del mese di luglio, il mio Paese si risveglia sottotitolato in inglese. 5SBEV[JPOF EJ 'BCJP (BMJNCFSUJ ª3*130%6;*0/& 3*4&37"5" la Repubblica -" %0.&/*$" %0.&/*$" -6(-*0 -PGGJDJOB*NNPSUBMJ #JMBM %JTFHOP JMGVUVSP '"#*0 (".#"30 i/ ON PARIGI SAPPIAMO più guardare». Per Enki Bilal, viviamo in un universo saturo d’immagini, ma è come se fossimo ciechi. Dobbiamo quindi tornare a interrogarci sulla percezione e la memoria visiva, perché solo così potremo riconquistare la capacità di guardare il mondo. È questo il messaggio dell’ultima sfida dell’artista francese, grandissimo autore di storie a fumetti, ma anche pittore, cineasta e scenografo. La sfida si intitola *OCPY, fino al 2 agosto alla Fondazione Giorgio Cini sull’isola di San Giorgio a Venezia. L’affascinante installazione, nata con il sostegno della casa d’aste parigina Artcurial, sprofonda l’osservatore in un ambiente buio dove appaiono e scompaiono immagini parziali e sfuggenti che in maniera quasi ipnotica finiscono per restituire il negativo di una coppia di grandi tele dipinte per l’occasione. «*OCPY è un dispositivo che gioca con la nostra percezione, la memoria, il buio e la luce, costringendo l’osservatore a interrogarsi sulla natura di ciò passa davanti ai suoi occhi», ci spiega Bilal, da sempre critico spietato di una società dove «l’eccesso di immagini finisce per uccidere l’immagine». Fisico giovanile e tutto vestito di nero, l’artista francese nato a Belgrado sessantaquattro anni fa ci accoglie nel suo luminoso atelier nel centro di Parigi a due passi da Les Halles. È qui che, tra una testa di zebra impagliata e un grande cactus, tra cavalletti e tavoli ingombri di tele, carte, disegni, foto, matite e colori, è nata l’idea d’*OCPY. Qui ha fatto i primi schizzi ed elaborato le prime soluzioni, sugli stessi tavoli dove in passato sono nate le sue storie visionarie che hanno contribuito a rivoluzionare l’universo del fumetto: #BUUVUB EJ DBDDJB, -B 'JFSB EFHMJ JNNPSUBMJ o -B EPOOB USBQQPMB, opere bellissime e inquietanti, a cui hanno fatto seguito la tetralogia del .PTUSP e la nuova trilogia che, dopo "OJNBM[ e +V MJB 3PFN, si conclude oggi con *M DPMPSF EFMMBSJB (appena pubblicato in Italia da Alessandro Editore). In quest’ultimo lavoro Bilal, che in passato ha spesso raccontato un mondo plumbeo e post apocalittico, sembrerebbe ritrovare una nota di speranza che gli consente perfino di tornare al colore. «L’artista non deve commentare il presente, ma anticipare il futuro. I giornalisti descrivono il reale, i politici provano a modificarlo, noi artisti dobbiamo guardare verso un orizzonte più lontano. Nelle mie storie ho anticipato le catastrofi, le dittature, le guerre, il terrorismo religioso, gli incubi di una società in sfacelo», ci spiega Bilal. Il nostro sistema economico, sociale e ideologico, sostiene, è ormai in fase terminale: «Siamo alla fine di un ciclo, così ci ritroviamo in un mondo più fragile e in pie- na mutazione. In quanto cittadino me ne rendo conto tutti i giorni, ma in quanto disegnatore tutto ciò è alle mie spalle, l’ho già raccontato. Adesso guardo avanti. Provo a disegnare il futuro. E la prossima tappa è la consapevolezza che bisogna assolutamente salvare il pianeta. Semplicemente perché altrimenti non ci sarà più futuro. Per nessuno». Rivendicando «un discorso più umanistico che ecologico», l’artista francese spera soprattutto nelle giovani generazioni, le sole capaci di una presa di coscienza in grado di favorire trasformazioni radicali. È per loro che ha disegnato *M DPMPSF EFMMB SJB, un viaggio quasi western alla ricerca di una salvezza possibile, ª 7"/&44" '3"/,-*/ “Nelle mie storie ho anticipato catastrofi, guerre, terrorismo religioso. Ora c’è da salvare il pianeta” Il grande illustratore francese ci apre le porte del suo atelier. E, sorpresa, non è affatto da incubo la Repubblica ª%3 ª $0635&4: "35$63*"- %0.&/*$" -6(-*0 ª $0635&4: "35$63*"- -& *.."(*/* %" 4*/*453" */ 4&/40 03"3*0 &/,* #*-"- & 4013" *- 460 "5&-*&3 1"3*(*/0 4$)*;;0 1&3 i*/#09w */ .0453" '*/0 "- "(0450 "--" '0/%";*0/& $*/* %* 7&/&;*" 6/" 5"70-" %" i#"5565" %* $"$$*"w 53& 5"70-& %" i-" 5&53"-0(*" %&- .04530w %6& 5"70-& %" i-" %0//" 53"110-"w $)& '" 1"35& $0/ i-" '*&3" %&(-* *..035"-*w & i'3&%%0 &26"503&w %&--" i53*-0(*" /*,010-w $0/4*%&3"5" *- 460 $"10-"7030 & %" $6* #*-"- )" 53"550 & %*3&550 *- '*-. i*..035"- "% 7*5". w nelle cui pagine finali la poesia e il sogno prendono il sopravvento sul caos e la crisi: «Con la fantasia provo a liberarmi degli incubi contemporanei. È una speranza, un bisogno d’utopia che cerco di trasformare in favola attraverso il disegno». E a chi sostiene che l’arte non può nulla per cambiare il mondo, Bilal ricorda invece che «proprio l’arte, la cultura e l’immaginazione fanno sempre paura all’oscurantismo». Tanto che, aggiunge, tutte le forme di oscurantismo censurano gli artisti, cercando di ridurre le capacità espressive e le parole a disposizione degli individui: «È una forma di lobotomia della memoria, della lingua e della cultura contro cui noi artisti dobbiamo continuamente combattere. Naturalmente conosco i limiti della nostra azione, ma bisogna insistere, inventando ogni volta nuove soluzioni». Non è un caso se Bilal, che ama Lucian Freud, Francis Bacon, Goya e Velazquez, ma anche il surrealismo e Bill Viola, considera l’arte una forma di sperimentazione a tutto campo: «Cambiando tecniche, linguaggi e generi mi rimetto di continuo in discussione e quindi rinnovo il mio lavoro. In fondo, il mondo del fumetto è molto conservatore, dato che si fonda sulla ripetizione. I lettori vorrebbero ritrovare in ogni storia gli stessi personaggi e gli stessi meccanismi narrativi. Io invece cerco sempre nuove strade. Per questo, per esempio, ho abbandonato le gabbie tradizionali del fumetto, creando immagini indipendenti che poi assemblo secondo il principio del montaggio cinematografico». Al cinema, per altro, l’artista guarda da parecchio tempo, tanto che in passato ha diretto film come #VOLFS 1BMBDF )PUFM, 5ZLIP .PPO et *NNPSUBM BE 7JUBN). Ora sta lavorando a due nuovi progetti: una docufiction tratta dal libro di Alan Weisman *M NPOEP TFO[B EJ OPJ, che prova a immaginare la Terra dopo la scomparsa dell’uomo, e un lungometraggio tratto da "OJNBM[ in cui tornerà a confrontarsi con quel tema dell’ibridazione che gli è caro da sempre e da cui è nata anche la serie di quadri intitolata 0YZNPSFT: «Quelle tele sono il risultato di un progetto sulla mutazione, la fusione e l’ibridazione uomo/animale, maschio/femmina, alla ricerca di corpi universali che si liberano e lottano nello Spazio quasi in levitazione», racconta parlando di una serie ricca di quei colori mediterranei portati nell’atelier parigino dai suoi molti soggiorni in Corsica, un luogo dove ama ritirarsi a dipingere. Il tema dell’ibridazione, frutto anche del suo vecchio amore per la fantascienza, è presente perfino nell’installazione veneziana, il cui principio verrà poi ripreso nella prossima mostra giapponese, a Tokyo, nel gennaio del 2016: «Sono convinto che ciascuno di noi sia sempre la staffetta di se stesso. Passando da un progetto all’altro, si prolunga l’esperienza precedente in quella successiva, come in una corsa a staffetta. Così a Tokyo presenterò una ventina di tele inedite con un particolare lavoro sulla luce che non esisterebbe senza l’esperienza di *OCPY». Insomma, alle prese con innumerevoli progetti — e tra i tanti anche quello di un nuovo fumetto dominato da un realismo più vicino allo stile delle sue prime opere — Bilal continua a scrutare il mondo, trasformandolo in sorprendenti immagini piene di rabbia e di poesia: «Sperimentare», conclude, «significa correre il rischio di sbagliarsi. Un’artista deve sempre tenerlo presente, ma non per questo deve rinunciare a inseguire i propri sogni. La ricerca, infatti, è una forma d’impegno necessaria per un artista che voglia essere libero». ª3*130%6;*0/& 3*4&37"5" la Repubblica -" %0.&/*$" %0.&/*$" -6(-*0 4QFUUBDPMJ.ZOBNFJT(JPSHJP -6$" 7"-5035" 1 FIRENZE RIMA UNA VOCE ALTERATA DAL VOCODER E POI COME UNA VIBRAZIONE. “Ed è arrivato anche Giorgio Moroder con la sua 'SPN )FSF UP &UFSOJUZ”, annuncia il dj. Sul suono alieno e secco come un colpo di frusta, un timbro maschile sibila “#BCZ HJWFT NF MPWJO MFBWFT NF OFBSMZ OPUIJO OPUIJO MFGU XJUI NF”. Oscurità e mistero. E poi un ritornello. Dietro, una sensuale, orgasmica voce femminile. Quasi sei minuti che ridefiniscono l’elettronica. Era il 1977 e allora la si chiamava con sufficienza “disco music”. Oggi 'SPN )FSF UP &UFSOJUZ viene considerato un album-capolavoro e Giorgio Moroder è stato di nuovo catapultato al successo planetario grazie al brano-dedica intitolato (JPSHJP CZ .PSPEFS dei Daft Punk, signori miliardari dell’elettronica contemporanea. Ha settantacinque anni, Re Giorgio, ed è quel distinto signore con camicia blu a pallini bianchi che si palesa nella hall di un lussuoso hotel fiorentino. È in forma splendida. A segnare l’età solo i suoi celebri baffi, un tempo inevitabilmente a manubrio (e forse fu proprio lui ad aver fatto scuola), oggi candidi. Di lui Brian Eno disse: “Ho sentito il suono del futuro”. Era sempre il ‘77: un anno in cui tutto sembra accadere. L’anno del punk. E della disco. Questa è la storia dell’italiano che l’ha inventata. Quando ha capito che voleva fare il musicista? «A quindici anni suonavo la chitarra e volevo già diventare un compositore. Un giorno ho sentito un pezzo di Paul Anka, %JBOB, che potevo anche cantare e così ho iniziato. Venivo da un piccolo paese senza contatti con il mondo esterno e fare il musicista era un sogno, ma un sogno che mi sembrava impossibile realizzare». E invece… «Invece a poco a poco è diventato realtà: a diciannove anni mi hanno offerto un impiego come musicista e così ho girato l’Europa per cinque o sei anni. Allora la musica buona si ascoltava su 3BEJP -VYFNCVSH: Elvis, i Platters, The Trashmen, i gruppi neri. Un mio amico aveva un registratore professionale e avevamo inciso un pezzo. Suonavamo negli alberghi di sera, e di giorno, con due registratori Revox facevo i miei esperimenti, passando dall’uno all’altro. Poi sono andato a Berlino dove avevo una zia e lì ho trovato lavoro come tecnico del suono. Ma dopo un mese l’ho lasciato: volevo fare il compositore, non il tecnico. Il primo successo in questo ruolo l’ho avuto con un pezzo in tedesco per Ricky Shayne: la canzone fatta per lui ha venduto centomila copie. Allora era un buon risultato, oggi sarebbe una cosa incredibile». Lei è nato a Ortisei, Val Gardena: tutti si chiamano Moroder da quelle parti. Che lingua parlava da ragazzo? «In effetti è un cognome diffusissimo. Viene da “mureda” che era la prima casa fatta con le mura invece che usando il legno. Da lì NPSFEB, NPSJEB, NPSVEFS, NPSPEFS e così via. Si parlavano tre lingue: italiano, tedesco e ladino». Un cognome che pare fatto apposta per il mondo dello spettacolo. Ha ancora parenti lì? «Ho tre fratelli: uno abita ancora a Ortisei, uno a Salisburgo e uno tra Vienna e Ortisei. Ci telefoniamo quasi tutti i giorni». In famiglia ci sono altri musicisti? «Mio padre era concierge negli alberghi. Suonava il piano, ma solo se poteva leggere la musica. Il pianoforte che aveva era talmente stonato che non ho mai avuto la possibilità di praticarlo, ed è stato un peccato. Mio fratello, che ha tre anni più di me, prendeva lezioni di fisarmonica, non so perché lui sì e io no. Poi ho incominciato a suonare la chitarra da solo». Agli inizi della carriera, negli anni ‘70, andava nelle discoteche per guadagnare qualcosa. Che cosa suonava? «Giravo con un nastro con sette-otto pezzi e mettevo su dei dischi: ero una sorta di dj. Prendevo trecento marchi e spesso mi fermavo a dormire in macchina per risparmiare. Anche perché ti davano da bere e quindi era meglio non rischiare…». È stata dura? «L’unica cosa buonissima che abbiamo fatto con il gruppo di allora fu decidere: smettiamo tra un anno, ognuno metta via *- %*4$0 µ i%²+® 76w *- /6070 "-#6. %* .030%&3 -*7& " 30." *- & " .*-"/0 *- " $&/530 1"(*/" '050.0/5"((*0 %* .030%&3 46--" $07&3 %* i'063 4&"40/4 0' -07&w %* %0//" 46..&3 .PSPEFS TVNNFS tutti i soldi che può. Io avevo sedicimila franchi svizzeri, oggi forse circa centomila euro. Ci ho vissuto per due anni a Berlino. Ci sono stati anche momenti in cui non avevo più un soldo. Ma per fortuna è arrivata la canzone di Ricky Shayne e poi un secondo successo con .FOEPDJOP che ha venduto un milione di copie. Poi da Berlino sono andato a Monaco». Perché? «A Berlino c’era il muro, era triste. E poi è a Monaco che ho incontrato Donna». Come è successo? «Era il 1974. Con Pete Bellotte, che era il mio produttore, avevamo bisogno di una voce femminile e si è presentata lei. Ci ha subito colpiti. Abbiamo fatto due pezzi insieme, 5IF )PTUBHF e -BEZ PG UIF /JHIU. Poi è arrivato -PWF UP -PWF :PV #BCZ che ha lanciato Donna e segnato la mia carriera». Ci sono molte storie su come è nata “Love to Love You”. «Beh è andata così. Io le ho detto: “Voglio fare qualcosa di veramente sexy e ho in mente un titolo”. Siamo andati in studio e la questione era che Donna avrebbe dovuto simulare un orgasmo. Lei però non se la sentiva, e allora ho buttato fuori tutti, compreso il marito e…». E…? «C’è riuscita». Quindi in pratica c’era solo lei con Donna in studio… «Esatto. Per scherzo infatti dico sempre: “Immaginate un po’ a chi si è ispirata”…». Ed è vero? «Non lo so. Io avevo un po’ di luce nella “control room” ma non credo proprio che...». Donna era molto giovane... «Era una bella ragazza, aveva una magnifica voce. Quando le ho detto che avremmo fatto uscire il disco era contenta, ma anche un po’ preoccupata. Sa, in quegli anni per una donna non era facile fare certe cose. Era un mondo diverso e lei veniva da una famiglia molto religiosa. Quando siamo tornati negli Stati Uniti infatti c’erano i genitori e le sorelle che non mi hanno neanche salutato: pensavano che fosse /FMMFTUBUF JM SJUPSOP EFMMVPNP DIF JOWFOUÛ MB EJTDP colpa mia. D’altronde con quel pezzo abbiamo venduto credo più di tre milioni di dischi e lei è diventata una superstar. Eravamo al numero uno dappertutto nel mondo». In pratica la disco music l’avete creata voi. «C’erano degli altri pezzi, non credo di poter dire che siamo stati i primi: c’era una canzone che si chiamava 3PDL UIF #PBU. Però è vero che siamo stati i primi ad avere uno straordinario successo in radio e ovviamente nelle discoteche». Chi era il vostro principale rivale? Cerrone? «No, Cerrone no, poveretto. L’unico vero rivale era Nile Rodgers, perché lui aveva gli Chic ma anche Sister Sledge e altri tre o quattro gruppi». Ma è vero che lei allo Studio 54 di New York c’è stato una sola volta? «Quando ero in testa con -PWF UP -PWF :PV ho deciso che dovevo andare a vedere: tutti parlavano di quel locale. C’era una fila enorme. Quando siamo entrati era vuoto! Non facevano entrare nessuno perché non c’è nulla come una lunga coda fuori per indurre la gente ad andare in un posto». Ma lei ballava? «No, non ho mai ballato in vita mia». Davvero? «Ogni tanto a Monaco ci andavo, ma più che altro per vedere che succedeva, quali pezzi funzionavano…». Lavorava sempre. «Quando Donna è diventata numero uno e io con lei, sì, ero sempre in studio, giorno e notte». Nelle discoteche giravano molte droghe, cocaina soprattutto, basta pensare a film come “Boogie Nights”… «A Monaco non c’era niente, mentre a Los Angeles come le ho detto io lavoravo e basta. I miei musicisti, loro sì, andavano avanti tutta la notte e so che prendevano droghe. Ma io no, mai preso cocaina». La molto vituperata disco music in realtà ha portato avanti alcune istanze di liberazione sociale di cui il rock stile Led Zeppelin o The Who, molto amato e considerato dai critici, non si è mai fatto portatore. «La disco è stata un fenomeno non solo musicale ma anche di costume con la gente che si vestiva in un certo modo e ha contribuito all’affermazione del movimento gay che prima di allora era nascosto. Con -PWF UP -PWF :PV #BCy e * 'FFM -PWF si sono sentiti finalmente liberati». Quelli però erano anche gli anni del rock appunto: nel 1977 c’era addirittura stata l’esplosione del punk. «Tutti quelli che amavano il rock odiavano la disco». Ma perché? «Si sentivano superiori e la disco per loro era troppo femminile, troppo gay, era happy music, si ballava… Però c’è una certa contraddizione perché il rock, a parte la contestazione del Vietnam, alla fine politicamente non ha fatto niente, riaffermando anzi certi stereotipi da macho». A un certo punto è nato addirittura un movimento chiamato “Disco sucks!” culminato nei disordini della cosid- la Repubblica %0.&/*$" -6(-*0 AA %0//" 46..&3 7&/*7" %" 6/" '".*(-*" .0-50 3&-*(*04" -" $0/7*/4* " 4*.6-"3& 6/ 03("4.0 */ i-07& 50 -07&w 26"/%0 503/"..0 /&(-* 64" * (&/*503* /0/ .* )"//0 4"-65"50 1&3 -030 &3" 45"5" 5655" $0-1" .*" AA i*O EJTDPUFDB BOEBWP QFS TFOUJSF DIF QF[[J HJSBWBOP .B CBMMBSF OP OPO NJ QJBDF .BJ CBMMBUP JO WJUB NJBw 530110 */'-";*0/"50 "7&70 $"1*50 $)& *- (&/&3& /0/ 4"3&##& %63"50 & $04¹ .* 40/0 %&%*$"50 "--& $0-0//& 40/03& )0 7*/50 53& 04$"3 i'6(" %* .&;;"/055&w i'-"4)%"/$&w & i501 (6/w AA 1&3 i".&3*$"/ (*(0-0w $0/ *- 3&(*45" "##*".0 13&40 %&##*& )"33: %&* #-0/%*& #&--*44*." & #3"7*44*." *- 1&;;0 $)& "##*".0 '"550 */4*&.& i$"-- .&w μ %*7&/5"50 *- 1*Ä '".040 %&- -030 3&1&3503*0 AA %"7*% #08*& &3" */$3&%*#*-& "33*7¾ "--& /07& %&- ."55*/0 & */ .&;;03" 3&(*453"..0 i$"5 1&01-&w %* 26&1&;;0 4* μ *//".03"50 "/$)& 5"3"/5*/0 -)" .&440 */ i#"45"3%* 4&/;" (-03*"w AA 6/ (*03/0 * %"'5 16/, .* )"//0 $)*&450 %* "/%"3& /&- -030 456%*0 " 1"3*(* " 3"$$0/5"3& -" .*" 7*5" %"7"/5* " 6/" 4&-7" %* .*$30'0/* $04¹ μ /"50 i(*03(*0 #: .030%&3w & "%&440 &$$0.* "/$03" 26" μ 6/ %²+® 76 0((* 46 3&16##-*$"*5 7*%&0$-*1 '050("--&3*& & 6/ 7*%&0 %&- /04530 */$0/530 $0/ (*03(*0 .030%&3 detta “Disco Demolition Night” del 12 luglio 1979. «Bisogna dire però che tutto questo fu anche dovuto al successo della disco: c’è stato un momento in cui tutti, ma proprio tutti si sono messi a fare disco music, comprese band icone del rock come Kiss o Rolling Stones. C’erano troppi pezzi e troppo brutti: cose tipo 3JOH .Z #FMMT. Insomma il genere si era inflazionato e così arrivò il momento del rifiuto. Io però non me ne sono neanche accorto, perché allora mi stavo dedicando alla composizione di colonne sonore. Mi ero già reso conto che non poteva durare». E poi che cos’è successo? «Eh, per Donna è stata dura: non è più riuscita a reinventarsi come, che so, Madonna. È stato anche un errore mio: quando abbiamo fatto )PU 4UVGG che era più rock, avremmo dovuto fare un disco su quel versante. Oggi anche lei è stata rivalutata». Con Donna Summer lei ha avuto uno straordinario rapporto anche umano. La vedeva negli ultimi anni della sua vita? «L’ho vista di più negli ultimi due anni che nei venti precedenti perché eravamo vicini di casa, a Los Angeles, dove vivo tuttora. L’avevo invitata per un pranzo e a lei il nostro palazzo è piaciuto moltissimo per cui ha comperato l’appartamento di sotto: mi diceva che poteva sentirmi quando suonavo il pianoforte». Poi si è ammalata… «Io non mi ero accorto di nulla. Perché era sempre a dieta e mi diceva ‘”Sai, ho trovato dei succhi naturali, vedi che sto perdendo peso?”. In realtà dopo la sua morte, avvenuta tre anni fa, ho capito: lei non voleva più fare la chemioterapia e stava cercando di seguire una terapia alternativa che purtroppo non è servita a niente». Lei ha lavorato con tutti, David Bowie compreso. «Fu grazie a Brian Eno. Aveva sentito il mio pezzo * 'FFM -PWF e mentre stava incidendo a Berlino con Bowie e gli disse: “David, ho ascoltato la musica del futuro”. Qualche tempo dopo con il regista de *M CBDJP EFMMB QBOUFSB, Paul Schrader, siamo andati da lui e in mezz’ora abbiamo registrato $BU 1FPQMF: perfetto. L’ha poi ripreso Quentin Tarantino in #BTUBSEJ TFO[B HMPSJB. Ha anche detto che gli piaceva così tanto che aveva sempre voluto usarlo per una scena che durasse quanto tutta la canzone». Parliamo di cinema. Lei ha vinto tre Oscar con altrettante colonne sonore. «Sì, uno nel 1979 per 'VHB EJ NF[[BOPUUF. Il secondo nel 1984 per 8IBU " 'FFMJOH in 'MBTIEBODF e il terzo nel 1987 per 5BLF .Z #SFBUI "XBZ in 5PQ (VO». Come è nata invece la collaborazione con i Daft Punk che due anni fa l’ha riportata sulla cresta dell’onda? «Mi hanno chiesto di raccontare la storia della mia vita davanti a una serie di microfoni nel loro studio». E quando poi ha sentito il pezzo a lei intitolato, “Giorgio by Moroder”...? «Sono rimasto a bocca aperta. Non avevo la minima idea di come l’avrebbero utilizzato». E ora non solo ha fatto un nuovo album, “Déjà-Vu”, con una parata di stelle che vanno da Britney Spears a Sia, a Kylie Minogue, ma adesso ritorna, anche in Italia con una serie di concerti a Roma e Milano. «Sa qual è la cosa che mi fa più piacere? Che alcune delle ospiti non erano ancora delle star quando abbiamo inciso il disco, come Sia, come Charlie XCX: insomma sono contento di non aver perso il tocco dello scopritore di talenti». Qual è il suono del futuro? «Non lo so (ride). E se lo sapessi non ve lo direi». ª3*130%6;*0/& 3*4&37"5" la Repubblica -" %0.&/*$" %0.&/*$" -6(-*0 /FYU1PUFSJGPSUJ *OUFSWJTUB B &WHFOZ .PSP[PW HVSV EFMMB DVMUVSB EJHJUBMF i/PO TBSË JM XFC B SJTPMWFSF UVUUPw NJMJBSEJ 'BUUVSBUP "NB[PO JO EPMMBSJ AA (00(-& /0/ µ 1*Ä /&- .&3$"50 %&--& 3*$&3$)& 26"/50 */ 26&--0 %&--& 13&%*;*0/* µ *- 40((&550 $)& (3";*& "--" 41"7&/504" 26"/5*5® %* %"5* $)& "/"-*;;" µ */ (3"%0 %* 13&7&%&3& .&(-*0 %07& "/%3® *- .0/%0 */ 5655* * #64*/&44 03."* $)* )" * %"5* 7*/$& NJMJBSEJ 'BUUVSBUP (PPHMF JO EPMMBSJ AA ."/ ."/0 $)& *- 8&-'"3& 7&/*7" 4."/5&--"50 4* µ */*;*"50 " $&3$"3& "-5307& 3*4034& %07& %07& $&3"/0 * 40-%* 077&30 %" 13*7"5* $0.& "11-& " 6/ &6301&0 26&450 13&46/50 &.108&3.&/5 %&- $*55"%*/0 %&7& 4&.#3"3& 5&33*'*$"/5& 4 NJMJBSEP -B RVBOUJUË EJ QFSTPOF DIF VTB :PV5VCF 3*$$"3%0 45"(-*"/¾ %0."/* */ 3&157/&84 03& %&- $"/"-& %&- %*(*5"-& & %* 4,: 3*$$"3%0 45"(-*"/¾ 3"$$0/5" *- '65630 %&--" 3&5& 4&$0/%0 &7(&/: .030;07 GENOVA E SENTE PROFUMO DI MELASSA, EVGENY MOROZOV mette mano alla pisto- la. Dopo esserne stato ospite, ha sbertucciato le conferenze TED («Libri diventano talk, talk diventano libri, fino a quando ogni traccia di profondità o sfumatura spariscono in un vuoto virtuale»). Di Steve Jobs, morto da poco, diede una memorabile definizione: «Vegetariano sanguinario, buddista combattivo». Dei «critici della tecnologia», una comunità di cui sino a qualche anno fa si è sentito parte, oggi scrive che sono stati sconfitti dal pensiero unico che vede nella Silicon Valley il nuovo Eden («Al meglio sono riusciti a farne una carriera, al peggio sono utili idioti»). Dopo essere stato visiting scholar a Stanford questo trentunenne nato in Bielorussia, cresciuto in Bulgaria e attualmente fidanzato con un’italiana, sta facendo un Phd in storia della scienza a Harvard. Tra i suoi bersagli recenti il “soluzionismo”, ovvero l’idea puerile che a ogni problema corrisponda una app in grado di per risolverlo. Piaccia o meno, è una delle voci meno allineate nel dibattito su internet imbarazzantemente affollato da cheerleader più che da analisti. Per questo l’abbiamo invitato alla 3FQVCCMJDB EFMMF *EFF a dialogare su dubbi e prospettive. La chiamano “tecnoscettico”: è una definizione nella quale si riconosce? «Non direi. Sono un grande entusiasta delle tecnologie, ma oggi ne esiste un solo grande fornitore, la Silicon Valley, ovvero un gruppo di aziende private americane alle quali si delegano sempre più servizi pubblici. È questo che critico, non certo le tecnologie in sé. Stranamente, mentre ci piace parlar male di Big Pharma, Big Oil, Big Food e tutti gli altri conglomerati industriali, quasi nessuno lo fa di Silicon Valley, ovvero il detentore collettivo dei Big Data». Sono stati bravi a vendersi come un capitalismo diverso, dal volto umano. Non a caso lo slogan di Google è “Don’t Be Evil”, non essere malvagio. Potevamo capirlo prima che forse era solo marketing? «Avvisaglie ce ne sono state. Tuttavia, man mano che il welfare veniva smantellato, si è cominciato a cercare altrove risorse. Dove? Dove c’erano i soldi. Ovvero da aziende private come Apple che costruiva smartphone in grado di monitorare (ed eventualmente incoraggiare) l’attività fisica di ognuno di noi. Per un europeo questo presunto FNQPXFSNFOU del cittadino deve sembrare terrificante. Così come la prospettiva che Uber e le auto senza pilota di Google diventino i trasporti del futuro. La tecnofobia non c’entra niente, c’è solo da guardare alle cose in modo critico». Ripercorriamo i suoi libri. In “L’ingenuità della rete” (Codice) criticava l’eccesso di trionfalismo sulla portata politica del web. Quanto è importante nel favorire rivoluzioni? «Dalle Primavere arabe a Podemos un’infrastruttura tecnologica è un buon punto di inizio. Anche Facebook e altri social network privati possono essere utili, ma sarebbe meglio avere comunicazioni sicure, criptate, senza interessi commerciali. Anche perché dopo un paio d’ore su Facebook o Twitter, con tutti i loro link, sei sopraffatto, distratto, insomma non nel mood giusto per cambiare il mondo». 7JWB MIJUFDI BCCBTTP MB4JMJDPO la Repubblica %0.&/*$" -6(-*0 NJMJBSEJ i$SJUJDIJBNP UBOUP #JH 0JM F #JH 1IBSNB & QFSDIÏ OPO DIJ EFUJFOF J #JH %BUB w *M WBMPSF EFMMB TUBSU VQ 6CFS JO EPMMBSJ AA 4& 1&/4*".0 " 6#&3 "-530 $".1*0/& %&--0654063$*/( %* 4&37*;* 26"4* 16##-*$* %*3&* $)& *- 1"44&((&30 '034& 16¾ "/$)& 3*41"3.*"3& 26"-$04" ." /0/ μ "''"550 1305&550 4& /&7*$" 1&3 %*3& 6#&3 16¾ %&$*%&3& %* '"3(-* 1"("3& $*/26& 70-5& 5"/50 NJMJPOJ /VNFSP EJ QFSTPOF DIF VTBOP 'BDFCPPL RVPUJEJBOBNFOUF * WPMVNJ TUBNQBUJ EFJ TPMJ MFNNJ JO MJOHVB JOHMFTF In “Internet non salverà il mondo” (Mondadori) invece si occupa parecchio di Google. Nessuno ci conosce meglio di chi possiede le parole che cerchi, legge le tue email, i tuoi documenti e così via. Che impressione le fa? «Google non è più nel mercato delle ricerche, quanto in quello delle predizioni. È il soggetto che, grazie alla spaventosa quantità di dati che analizza, è in grado di prevedere al meglio dove andrà il mondo. E a lui che si rivolge un’assicurazione o una banca per capire quante probabilità di incendio o fallimento ha un loro cliente. In qualunque business, ormai, chi ha i dati vince». Eppure, se azzardi queste obiezioni, la risposta standard è che stanno ottimizzando il mondo precedente. La loro parola d’ordine è “disrupt”, “disgregare”. Come le suona? «È un termine che ha molta presa in America perché lì è già tutto privatizzato. Start up private smantellano altre imprese private. Da voi è diverso, si tratterebbe di un cambio di paradigma». Mi vengono in mente i Moocs, i corsi universitari gratuiti su web. Quello è senz’altro un altro paradigma. Migliore o peggiore? «L’unico motivo per andare all’università, almeno negli Stati Uniti, è trovare un lavoro, non gustarsi Dante. Quelle competenze forse si possono acquisire anche premendo tasti davanti a un computer. Per questo loro si scandalizzano meno». Ma gli utenti ci guadagnano o ci perdono? «Se pensiamo a Uber, altro campione dell’outsourcing di servizi quasi pubblici, direi che il passeggero forse può anche risparmiare qualcosa, ma non è affatto protetto. Se nevica, per dire, Uber può decidere di fargli pagare cinque volte tanto. Oppure può escludere i passeggeri cui puzza il fiato o quelli che mangiano tramezzini puzzolenti. Airbnb potrebbe fare la stessa cosa. A quel punto uno, che prima era solo cliente, deve preoccuparsi della propria reputazione. C’è di più: se il mio vicino mangia male o non fa moto, perché dovrebbe pagare la stessa polizza che pago io? Se questo modello individualistico ha la meglio, il modello sociale si disgregherà. Nel welfare tradizionale potevamo permetterci il lusso dell’anonimato, una difesa che non abbiamo an- * ."3$)* & -&41&350 26* " 4*/*453" *- 40$*0-0(0 &% &41&350 %* /607* .&%*" #*&-036440 &7(&/: .030;07 4013" "-$6/* %&* ."3$)* $)& 0((* 4* %*4165"/0 *- .&3$"50 %&--" 5&$/0-0(*" */ 3&5& cora imparato ad apprezzare abbastanza». Sempre sulla sharing economy, in Italia hanno dichiarato illegale Uber Pop, dove i privati possono trasformarsi in autisti. I tassisti non hanno spesso fatto del loro meglio per risultare simpatici, ma è anche vero che hanno visto svanire da un giorno all’altro l’investimento per la licenza. Chi ha ragione? «Il boom recente della sharing economy ha a che fare con la crisi. Per compensare redditi stagnanti o in calo molte persone hanno pensato di arrotondare, affittando una stanza o l’auto inutilizzata. Il problema vero è che la sinistra non ha saputo fornire un’alternativa a questo espediente. Lamentarsi non serve, perché se continua così Uber se lo mangia il modello sociale! Un po’ di Uber, inteso come maggiore competitività, poteva fare bene. Purtroppo non vedo autorità in grado di fissare dei paletti». Da Coursera, dove due prof star fanno lezione a centomila studenti, a Facebook che offre une connessione sponsorizzata nel terzo mondo. Sarà il mercato a offrire tutti i servizi? «Dipende se glielo lasceremo fare. Non deve sorprendere che Silicon Valley applichi a tutto, compresa l’istruzione universitaria, criteri di ottimizzazione tayloristica. Quando invece Facebook lancia internet.org per far navigare i poveri africani o brasiliani attraverso una partnership con operatori locali, dimentica di dire che sarà una navigazione gratis giusto su Facebook e pochi altri siti. Il resto sarà a pagamento. L’ennesima sostituzione, interessata, di servizi che avrebbero dovuto essere pubblici». Nel frattempo Zuckerberg diventa sempre più ricco, anche più dei vecchi magnati del secolo scorso, e tutti gli altri sempre più poveri. Vie d’uscita da questa disuguaglianza sempre più estrema? «Hal Varian, chief economist di Google, sostiene al contrario che i poveri avranno ciò che i ricchi hanno già, tipo una app-assistente virtuale che ricorderà loro cosa dovranno fare tra cinque minuti, come veri maggiordomi. Quanto a me, credo che un buon punto di partenza sarebbe tassare sul serio queste aziende, cosa che al momento non si fa. E pretendere la restituzione dei nostri dati. Perché anche quando crediamo che un servizio sia gratis, oltre alla privacy cediamo tali e tante informazioni su di noi che nel loro complesso valgono assai di più di quel che abbiamo risparmiato. È arrivato il momento di rendersene conto e, considerata la vostra diversa sensibilità, forse smettere di fare favori alle aziende americane». ª3*130%6;*0/& 3*4&37"5" AA 26"/%0 '"$�, -"/$*" */5&3/&503( 1&3 '"3 /"7*("3& * 107&3* "'3*$"/* 0 #3"4*-*"/* %*.&/5*$" %* %*3& $)& 4"3® 6/" /"7*(";*0/& (3"5*4 40-0 46 '"$�, & 10$)* "-53* 4*5* *- 3&450 4"3® " 1"(".&/50 26*/%* /0/ μ "-530 $)& -&//&4*." 4045*56;*0/& */5&3&44"5" %* 4&37*;* $)& "73&##&30 %07650 &44&3& 16##-*$* la Repubblica -" %0.&/*$" %0.&/*$" -6(-*0 4BQPSJ"DJBTDVOPMBTVB *- '*-. 401)*" -03&/ & (*"$0.0 '63*" */ i1*;;& " $3&%*50w 6/0 %&(-* &1*40%* %& i-030 %* /"10-*w %* 7*5503*0 %& 4*$" 4$3*550 %" (*64&11& ."3055" & $&4"3& ;"7"55*/* -" -03&/ */5&313&5" 6/" 1*;;"*0-" $0/ ."3*50 (&-04*44*.0 %&- 26"35*&3& 1010-"3& ."5&3%&* *M MJCSP i-B 1J[[B /BQPMFUBOB yQJá EJ VOB /PUJ[JB TDJFOUJGJDB TVM QSPDFTTP EJ MBWPSB[JPOF BSUJHJBOBMFw TDSJUUP EB EVF EPDFOUJ OBQPMFUBOJ 1BPMP .BTJ F "OOBMJTB 3PNBOP F EBM QJ[[BJPMPDVMU &O[P $PDDJB TWFMB BMDIJNJF F DVSJPTJUË TVMMJNQBTUP QJá EJGGVTP EFM QJBOFUB -B CPUUJHMJB $PNQBHOB EFMF[JPOF NB OPO VOJDB EFMMB QJ[[B MB CJSSB BSUJHJBOBMF TJ BSSJDDIJTDF DPOUJOVBNFOUF EJ OVPWF FUJDIFUUF 6MUJNB OBUB MB "TUFSPJE EFM #JSSJGJDJP *UBMJBOP JEFBUB QFS FTBMUBSF JM QSPGVNP EFM MVQQPMP MB TPTUBO[B BNBSJDBOUF DIF SFHBMB GSFTDIF[[B F IB GVO[JPOF THSBTTBOUF /0/ &4*45& $*#0 %" 453"%" 1*Ä 1010-"3& /² *.1"450 1*Ä %*''640 /&- .0/%0 */%*''&3&/5& "- $"-%0 &45*70 & " 26"-4*"4* -"5*56%*/& 26&--" /"10-&5"/" μ $&35".&/5& -" 1*Ä $&-& ." 0(/* 3&(*0/& )" -" 46" 7&34*0/& #3&7&55"5" & -" 46" *%&" %* 26&--0 $)& 4* 16¾ 4'03/"3& $0/ (-* 45&44* */(3&%*&/5* $)& 10440/0 &44&3& 107&3* $0.& $0."/%" -" 53"%*;*0/& 4&/;" $)& 26&450 4*(/*'*$)* 1&3¾ 4$"34" 26"-*5® 0$$)*0 "- 3*1*&/0 /PO MB TPMJUB QJ[[B 1BO[FSPUUP UFHBNJOPQBMBGSJUUBFTGJODJPOF RVFMM*UBMJBGBUUBEJBDRVBFGBSJOB i$ -*$*" (3"/&--0 *M DBNQJPOBUP *O DPJODJEFO[B DPO JM $BNQJPOBUP EFM NPOEP EFM QJ[[BJVPMP FEJ[JPOF OVNFSP /BQPMJ PTQJUFSË EBM QSJNP BM TFJ TFUUFNCSF JM i/BQPMJ 1J[[B 7JMMBHFw $JORVBOUB QJ[[FSJF TUPSJDIF USBTGPSNFSBOOP WJB $BSBDDJPMP OFMMB QJá HSBOEF QJ[[FSJB BM NPOEP B DJFMP BQFSUP è beddu cavuru, vassia veni a mancia, sunnu cuosi ra bella vieru... u spinciuni, scarso d’oggio e chinu i pruvulazzu......”. Coloriti e ironici, gli ambulanti di Palermo invitano i passanti ad assaggiare gli sfincioni, caldi, profumati, fatti come si deve, scarsi d’olio e pieni di polvere... Non esiste cibo da strada più popolare della pizza, né impasto più diffuso nelle cucine del pianeta. Per questo, l’estate rappresenta il suo trionfo. Certo, mentre gli orientali amano zuppe e brodi caldi a prescindere dalla stagione, appena le temperature salgono sopra i trenta gradi, i mediterranei si schierano dalla parte di gelati, bevande e paste fredde. Negli anni, perfino alcuni ardimentosi produttori di vino si sono cimentati in rossi da conservare in frigo e servire in glacette. SoIn realtà, a vincere nei mesi del grande lo la pizza fa eccezione, non c’è solleone che caldo è la terza via della pizza, rappresentatenga. La vogliamo comunque calda, anzi ta dalle declinazioni locali, che trasformabollente. Ma quale pizza? Cornicione alto o no il magico assemblaggio di acqua e faribasso, piegata a libretto o tagliata a tranci, na in bocconi irresistibili, quasi sempre serbianca o rossa? In versione gourmet, a mo’ viti in modalità itinerante, lontano dalla di ricetta gastronomica, come quelle di stanzialità dell’addentamento richiesta Edoardo Papa (In Fucina, Roma) e Simone nei templi della Pizza Madre. Così, al di là Padoan (I Tigli, San Bonifacio, Verona), o del tegamino torinese, che richiede coltello da selezione ossessiva di lieviti e farine, co- e forchetta (ma si distingue comunque per me le creazioni di Matteo Aloe (Berberè, il formato compatto e ridotto), l’altra pizza Castelmaggiore, Bologna) e Bruno de Rosa si sbocconcella per strada, impudente e (Montegrigna Tric Trac, Legnano)? grassosa. Ripiena con ogni bendiddio a piaHI CIAVURU, U CULURI C’HA TALIARI, cere del pizzaiolo, o finta magra per via del colore dorato e del solo formaggio fresco a velarla (ma le calorie scendono di poco, complice l’extravergine generosamente irrorato). Cotta al forno per preservarne l’origine in comune col pane, oppure fritta, opulenta campionessa della trasgressione culinaria. Servita in un cartoccetto minuscolo, insufficiente a proteggere mani e vestiti, oppure appoggiata sul piatto di carta, che permette il conforto di una sosta. A fare la differenza, come sempre, la mano di chi prepara e la qualità delle materie prime, entrambe in stato di agitazione per la vicenda del latte in polvere, che l’Unione Europea vorrebbe sdoganare per la facitura dei formaggi. Slow Food ha lanciato una raccolta di firme, proprio come quindici anni fa. Nel 2000, la campagna voleva incentivare l’utilizzo del latte crudo (a garanzia della bontà), oggi il traguardo è ridotto all’uso del latte liquido (spesso men che mediocre). In questa lotta di retroguardia, il concetto di qualità è scomparso, lasciando a cuochi e pizzaioli la responsabilità — anche economica — di supportare gli artigiani virtuosi, scegliendo i loro prodotti. Anche per questo, non fidatevi di un panzerotto qualsiasi, ma cercate quelli buoni, puliti, giusti. E ovviamente bollenti. ª3*130%6;*0/& 3*4&37"5" la Repubblica %0.&/*$" -6(-*0 -BSUF EJ BWFSF MF NBOJ JO QBTUB UJQJ JOEJSJ[[J ."3*/0 /*0-" -B SJDFUUB 1J[[B BMMB QBMB DPO SJDDJ EJ NBSF QFDPSJOP F OFSP EJ TFQQJB INGREDIENTI 1600 G. DI FARINA 00 “5 STAGIONI AGUGIARO&FIGNA”; 3 G. DI LIEVITO DI BIRRA; 1 LITRO D’ACQUA A TEMPERATURA AMBIENTE; 45 G. DI SALE MARINO; 40 G. DI OLIO EXTRAVERGINE; RICCI DI MARE; 1 MOZZARELLA DI MEDIA GRANDEZZA; MENTA FRESCA QB; NERO DI SEPPIA (FACOLTATIVO); PEPE QB; 2 CUCCHIAI DI PECORINO GRATTUGIATO; ZESTE DI LIMONE QB 4 ciolto il lievito in una tazza d’acqua, versatelo nel buco della fontana di farina. Salate e mescolate per creare una cremina, poi cominciate a impastare, versando poco alla volta la restante acqua, fino a ottenere una pagnotta liscia e setosa. Coprite con un panno umido e lasciate lievitare per 2 ore. Tagliate l’impasto in formelle grandi come una mela e lasciatele lievitare per altre 5 ore, poi stendetele sul piano infarinato: dovrete ottenere uno spessore di circa 3 mm al centro e 9 mm suk bordo, . Disponete l’impasto, condito con cubetti di bufala e filo d’olio, in una teglia da infornare alla massima temperatura per un quarto d’ora. Quando la base della pizza sarà dorata, aggiungete ricci, menta, pecorino, pepe nero e il nero di seppia cotto pochi minuti con poco olio e pomodoro 'SJUUB 1BMB "FSFB F GSBHSBOUF TFDPOEP MJFWJUB[JPOF MVOHB F GSJUUVSB MFHHFSB " DPUUVSB DPNQJVUB TJ BQQPHHJBOP VOB DVDDIJBJBUB EJ QBTTBUB RVBMDIF EBEJOP EJ NP[[BSFMMB F VO HJSP EPMJP -B .BTBSEPOB 7JB (JVMJP $FTBSF $BQBDDJP /BQPMJ 5FM 6O JNQBTUP QBSUJDPMBSF BMUBNFOUF JESBUBUP NJTVSB RVBTJ QBSJ USB BDRVB F GBSJOB JOGPSOBUP DPO MB MVOHB QBMB EB GPSOBJP F DPUUP TVMMB QJFUSB SFGSBUUBSJB JO WFSTJPOF CJBODB P SPTTB 'PSOP *BOOBSFMMJ 1JB[[B 5VTDPMP 3PNB 5FM 4GJODJPOF 1BO[FSPUUP -JOUFSQSFUB[JPOF QBMFSNJUBOB EFMMJNQBTUP TQVHOPTP EB DVJ JM OPNF FRVJEJTUBOUF USB QJ[[B F QBOF DPOEJUP DPO TBMTB EJ QPNPEPSP TBSEF DJQPMMB GPSNBHHJP FYUSBWFSHJOF 1BOJGJDJP (SB[JBOP 7JB EFM (SBOBUJFSF 1BMFSNP 5FM *M USJPOGP EFMMB QBTUB DSFTDJVUB GBSDJUB QVHMJFTF EFDMJOBUB JO WFSTJPOF NJHOPO F GSJUUB 5SB J SJQJFOJ PMUSF B QPNPEPSP NP[[BSFMMB SJDPUUB DBSOF TDBNPS[B PMJWF QFQF OFSP $BGGÒ 4BO 1JFUSP 1JB[[B 4BO 1JFUSP #BSJ 5FM 4DBDDJB 'PDBDDJB EJ 3FDDP .PEJDB F 3BHVTB SJWFOEJDBOP JM QSJNBUP EFMMB TPUUJMF TGPHMJB EJ TFNPMB EJ HSBOP EVSP SJQJFHBUB F SJQJFOB B TDFMUB DPO QPNPEPSP F DBDJPDBWBMMP DJQPMMB SJDPUUB NFMBO[BOF GSJUUF 5BWFSOB /JDBTUSP 7JB 4"OUPOJOP .PEJDB 3( 5FM .PMUP QJá DIF VO TFNQMJDF JNQBTUP MB TPWSBQQPTJ[JPOF EJ EVF TPUUJMJTTJNF TGPHMJF EJ GBSJOB BDRVB FE FYUSBWFSHJOF OJFOUF MJFWJUP GBSDJUF DPO GSFTDB DSFTDFO[B MJHVSF 1BOJGJDJP .PMUFEP 7JB #JBHJP "TTFSFUP 3FDDP (& 5FM $BM[POF 5FHBNJOP $PUUP OFM GPSOP B MFHOB P JO GSJUUVSB GSJKFOOP F NBHOBOOP MJNQBTUP EFMMB QJ[[B OBQPMFUBOB P EFMMB GPDBDDJB CBSFTF PTQJUB SJDPUUB DJDDJPMJ F TBMTJDDJB P QPNPEPSP F NP[[BSFMMB 1FQF JO (SBOJ 7JDP 4 (JPWBOOJ #BUUJTUB $BJB[[P $& 5FM 4FDPOEP USBEJ[JPOF UPSJOFTF MB UFHMJB HSBOEF RVBOUP VO QBMNP EJ NBOP SBDDPHMJF MJNQBTUP SJMJFWJUBUP OFM QBEFMMJOP NPSCJEP JO DPUUVSB DSPDDBOUF BJ CPSEJ HFOFSPTP OFM HVTUP "M 5FHBNJOP 7JB #PHJOP % 5PSJOP 5FM -0 $)&' *- /"10-&5"/0 1"426"-& $0;;0-*/0 µ *- ."&4530 1*;;"*0-0 %& i-" 3*#"-5"w $)& /&8 :03, 5*.&4 & 5*.& 065 /&8 :03, )"//0 */4&3*50 53" (-* */%*3*;;* *.1&3%*#*-* %&--" (3"/%& .&-" µ 46" 26&45" 3*$&55" .0-50 03*(*/"-& *%&"5" 1&3 * -&5503* %* 3&16##-*$" 1 IZZA FRITTA E CALZONE, panzerotto e sfincione, pala e focaccia, tegamino e scaccia. Fanno rima, proprio come gli italiani. Assonanti e nello stesso tempo differenti. Soprattutto quando decidono di mettere le mani in pasta. Che apparentemente è la stessa ovunque, acqua, farina, sale e qualche volta lievito. Ma in realtà a fare la differenza tra una regione e l’altra, tra un paese e l’altro, qualche volta addirittura tra una famiglia e l’altra è proprio la mano. Il gesto di amalgamare l’impasto, schiacciarlo, accarezzarlo, pizzicarlo, vezzeggiarlo, farlo crescere come una creatura è la cifra invisibile, ma anche inimitabile, che rende certi cibi unici e irriproducibili. Anassagora diceva che l’uomo pensa perché ha le mani. Arti che articolano il mondo. Ecco perché anche in un semplice panzerotto resta impressa l’impronta digitale della persona che lo ha fatto. Mettendoci mani testa e cuore. E per la stessa ragione la semplicità della pizza e delle sue sorelle è solo apparente. Essenziali, non elementari. Sono il basic istinct del sapore. In realtà queste non-pizze, sono degli straordinari contenitori edibili. Degne discendenti delle mense di cui parla Virgilio nell’Eneide. Schiacciate cotte al forno che servivano all’occorrenza anche da piatti. Un po’ come la pita greca e mediorientale, o come il nan indiano. La loro fortuna deriva anche dalla loro duttilità, che ne fa degli hardware gastronomici compatibili con qualsiasi software. Ci si può mettere sopra di tutto perché la forza sta nell’intelligenza delle mani. È il caso della pizza fritta partenopea, un aereo nembo di pasta dorata, ripieno di una bianca nuvoletta di ricotta con un cirro di pepe. Che fa pensare al gesto consumato di Sophia Loren che ne “L’oro di Napoli” lancia imperiosa dischi nell’olio bollente, come saette d’amore. E più a Sud, dove la Sicilia guarda verso Oriente, si entra nel regno delle madri catanesi e ragusane, che impastano scacciate e scacce, sottili come pergamene e ripiene come cornucopie. E se l’Italia è la terra promessa di questi street food, la focaccia ligure è la sua manna. Caduta dal cielo per essere modellata dai fornai della Superba. I genovesi la mangiano anche la mattina, al posto del croissant, col caffè amaro e bollente. Un’apoteosi! In realtà nella regione dove si consuma pan per focaccia, le varianti sono moltissime. Ma poche raggiungono le vette della focaccia di Recco. Due sfoglie sottili come ostie, rigorosamente senza lievito, farcite di latticino freschissimo. Una variante moderna dell’antica schiacciata di semola con la giuncata. Pare che i Crociati la mangiassero prima di imbarcarsi per Gerusalemme. Perché gli restasse nell’anima quel gusto dolceamaro. Inconfondibile. Come il ricordo di una creuza de ma’. ª3*130%6;*0/& 3*4&37"5" la Repubblica -" %0.&/*$" %0.&/*$" -6(-*0 -JODPOUSP4BSBOOPGBNPTJ AA 6/ $*/&"45" %&7& "7&3& -" 1";*&/;" %* 6/ 10&5" & -" '03;" '*4*$" %* 6/ .63"503& " 70-5& 1&3¾ $* 4* $0/'0/%& & '*/*".0 1&3 "7&3& -" 1";*&/;" %* 6/ .63"503& & -" '03;" '*4*$" %* 6/ 10&5" “Ho accettato il titolo di Sir perché faceva piacere ai miei cinque figli. Ma io vengo dalla working class, a diciott’anni mio padre mi disse che avevo studiato già fin troppo”. Al cinema arrivò per caso, dopo anni di spot pubblicitari: “Fuga di mezzanotte”, “The Wall”, “The Commitments”, “Evita”. E da anni non gira più un film: “Preferisco scrivere sceneggiature che nessuno leggerà. E poi dipingere. Così almeno non rischio di avere star tra i piedi. La verità è che mi sono sempre romanzi (e, nel 2008, 4JE 7JDJPVT MJDPOB EFM QVOL, sul bassista dei Sex Pia fronte dei quattordici lungometraggi e della miriade di spot sfornati in poco più di trent’anni, dal ’70 ai primi Duemila: «Il fatto è che davvero scrivesentito un clandestino del gran- stols) re mi piace più che girare film. Il mio autore preferito? Steinbeck, forse. Hemingway, Fitzgerald? Allora, piuttosto, Shakespeare. Devo confessare che sono un lettore accanito, come per esempio mia moglie, che si fa almeno de schermo. Lo sa? Sul mio pas- non due romanzi a settimana, tenendosi persino aggiornata sulle novità cinematografiche. Il guaio è che ne parla a tavola con gli ospiti e tutti chiedono il mio paFaccio finta di conoscerli tutti, libri e film, ma mia moglie sa bene che non saporto non c’è scritto che sono rere. li ho letti e non li ho visti. E così, a tu per tu, mi prende in giro: nel lavoro, mi dice, sei influenzato dai libri che non hai letto e dai film che non hai visto». Una volta ha ammesso che negli zapping tv si fa prendere da sequenze traun regista, ma uno scrittore. E scinanti, d’aspetto familiare e, quando ha ormai deciso che è proprio un bel film, si accorge che è suo: «Sì, che vergogna, vero?». Ma perché prende le didalle sue glorie in pellicola? «Perché mi sono sempre ritenuto un clanforse un giorno anche pittore ” stanze destino del grande schermo. Vi sono arrivato attraverso la scrittura e, prima, "MBO 1BSLFS ."3*0 4&3&/&--*/* 6 BARI N REGISTA DOVREBBE AVERE LA PAZIENZA DI UN POETA e la forza fisica di un muratore. Ricetta di Alan Parker, autore di film memorabili, da 'VHB EJ NF[[BOPUUF a 1JOL 'MPZE 5IF 8BMM e 5IF $PNNJU NFOUT. Ricetta di un Sir del cinema, che da buon inglese ha subito il correttivo di humor: « Tanti i registi che scambiano gli ingredienti, adottando la pazienza di un muratore e la forza fisica di un poeta». Sir Alan Parker, settantuno anni, siede trionfale davanti all’ennesimo bicchiere, stavolta un rubicondo Primitivo di Puglia. La lunga sciarpa penzoloni nella tasca della giacca, camicia jeans in libertà dentro il panciotto piuttosto pancione, rotondo e vispo, occhialoni di tartaruga e candida frangetta, con le sue dita paffute ha buttato giù in due secondi l’autocaricatura: «Quasi tutti quelli che scrivono di me hanno ricevuto una mia vignetta. Da più di mezzo secolo, disegno e pittura sono la mia attività preferita, insieme alla scrittura. Ma vado più veloce con le matite che con le mail. I disegni sono la migliore forma di comunicazione, superano ogni barriera linguistica: quanti ne ho mandati ai produttori di Hollywood per spiegare i miei progetti. La volta dopo, quando poi li andavo a trovare, li trovavo incorniciati nei loro Studios». Faccia, e statura, di putto stagionato, Parker sorvola, appena può, sull’attività che l’ha reso famoso — il cinema — per la quale è stato anche “incorniciato” al Bif&st di Bari con il premio di rito. Si schermisce, anche se quasi tutti i suoi film, proiettati in rassegna nell’omaggio al Festival Champs-Elysées di Parigi del mese scorso, sono AA 26"4* 5655* 26&--* $)& 4$3*70/0 %* .& 1&3 /0/ %*3& %&* 130%65503* %* )0--:800% 3*$&70/0 */ $".#*0 6/" .*" 7*(/&55" &$$0-& -" 46" * %*4&(/* 40/0 -" .*(-*03 '03." %* $0.6/*$";*0/& 1&3$)² 461&3"/0 0(/* #"33*&3" -*/(6*45*$" veri e propri casi cinematografici: 1JDDPMJ HBOHTUFS, baby-parodia dei film di mafia, con la tredicenne Jodie Foster, inaugurava nel ’76 il filone giovanilistico; 'VHB EJ NF[[BOPUUF del ’78 riceveva il primo Oscar per una musica realizzata da Giorgio Moroder con il sintetizzatore; altro Guinness, &WJUB del ’96, per il maggior numero di cambi d’abito in un film — ottantacinque per Madonna, contro i sessantacinque di Elisabeth Taylor in $MFPQBUSB — inclusi 39 cappelli, 45 paia di scarpe e 56 coppie d’orecchini. «D’accordo — ammette Parker — ma sa quanto tempo mi ci è voluto per convincermi che, forse, potevo definirmi “regista”? Pensi che sul passaporto ho sempre indicato la professione di scrittore, non di regista». Scrittore lo è davvero, sia pure con pigra cadenza british: tre gli spot. A diciotto anni, mio padre mi ha detto: “Hai già studiato anche troppo. Stop”. Lui aveva smesso a quindici. Io vengo dalla working class, da quel tipo di mentalità: perciò il titolo di 4JS mi fa sorridere, è come un marchio a fuoco su una pelle riottosa. Ho accettato volentieri questo timbro di nobiltà per far piacere ai miei cinque figli. Fossi venuto fuori dalla comunità ebrea, sarebbe stato diverso: lì, i genitori sono orgogliosi di predisporre ai figli un destino di avvocato, di medico…». O di farmacista, com’era nelle ambizioni, ripetutamente frustrate, del papà di Woody Allen, divenuto “solo” regista. «Anche lui vittima, come me, di una carriera sbagliata», ride Parker: «Abbandonati gli studi, ho seguito i corsi di Belle Arti e ho cominciato a lavorare nella pubblicità: è stata la mia scuola di cinema e la mia università. Scrivevo i soggetti, imparavo via via la tecnica delle riprese. Miei compagni di ventura erano Hugh Hudson, poi regista di .PNFOUJ EJ HMPSJB, e i fratelli Ridley e Tony Scott: tutti scolaretti dello spot e, quasi subito, maestri di un cinema nuovo». Per Parker è stata un’esperienza preziosa, tra l’altro, per il futuro clippone grande schermo 1JOL 'MPZE 5IF 8BMM «L’ho realizzato nell’81, quando ancora Mtv non esisteva e il videoclip era ai primi vagiti. Se avessi ricevuto anche un solo dollaro per ogni idea rubata a 5IF 8BMM nella valanga di clip successivi, sarei l’uomo più ricco del mondo». Ha invece continuato ad arricchire le platee di originali exploit di cinema & musica, come già era avvenuto nell’80 con 4BSBOOP GBNPTJ: «Sì, a parte che, a fine riprese, avrei voluto ucciderli tutti, uno dopo l’altro. E non parliamo di Roger Waters o di Madonna...». Parliamone, invece. Parker chiede rinforzi a un secondo bicchiere di Primitivo: «Capirà perché preferisco essere scrittore: tranquillo, a casa mia, davanti al computer, magari con un buon bicchiere a lato, ma nessuna star nei paraggi. Andiamo per ordine. Waters è stato un inferno: non accettava ciak che non fossero come lui li aveva immaginati. Non concepiva l’eventualità d’un confronto. L’ego che si nutre di sé. Il film è stato comunque un successo. E ne ho ricavato una lezione: non è detto che solo un set armonioso produca un buon film. È più probabile che esca da set di guerra, come 5IF 8BMM». E Madonna? «Discorso diverso. Durissima con tutti gli al- AA *- 7&30 */'&3/0 '6 $0/ 30(&3 8"5&34 /0/ "$$&55"7" $*", 4& /0/ $0.& 4& -* &3" *.."(*/"5* -&(0 $)& 4* /653& %* 4² ."%0//" */7&$& '6 %63*44*." $0/ 5655* (-* "-53* ." "%03"#*-& $0/ .& tri interpreti, ma adorabile con me. Aveva ottenuto il ruolo che aveva ostinatamente desiderato, battendo una concorrenza da capogiro: Meryl Streep, Cher, Glenn Close, Olivia Newton-John e, soprattutto, Michelle Pfeiffer, che da mesi studiava la parte e aveva già registrato le canzoni. Ho ricevuto da Madonna una lettera di cinque pagine, dove mi spiegava di essere l’unica in grado di ricoprire il ruolo. Che fare? Era, allora, la donna più famosa al mondo, come lo era stata a suo tempo Eva Peròn. Ma che fatica: quattro mesi per registrare le canzoni prima di metter piede sul set. Il film più costoso della mia carriera. Quando penso che, di norma, le prove sono un lusso negato: gli attori costano, non puoi permetterti extra. Così succede che due interpreti, appena arrivati, girino subito una scena bollente di sesso e, dopo, facciano conoscenza». Dal 2003, cioè da 5IF -JGF PG %BWJE (BMF, sulla pena di morte in Usa, non vediamo più suoi film. Perché ? «Perché scrivo. Da allora a oggi, sono nate tante sceneggiature mai diventate film: un intero festival che mi è rimasto in testa e che nessuno potrà mai vedere. L’ultimo soggetto è il migliore di tutti, ma non ha trovato produttori. Forse non ho conservato la pazienza o la disperazione del poeta: e la forza di un muratore non ce l’ho più. Inoltre, un regista che invecchia non è, come il vino, un regista che migliora: non ha più la freschezza, l’originalità delle prime volte. Perciò, sempre di più, dipingo. Ho in progetto una mostra in autunno a Londra. La pittura è gioia, è qualcosa che resta. Invece, se guardo indietro, a quarantacinque anni fa, quando è cominciato il mio cinema, apro la mano e la vedo vuota. Granello dopo granello, i film mi son scivolati via, come sabbia tra le dita». ª3*130%6;*0/& 3*4&37"5"