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MICHELE DI GIANNI
CARTA STAMPATA
ARTE TIPOGRAFICA EDITRICE
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ISBN 978-88-6419-057-0
# 2011 by Arte Tipografica Editrice
via San Biagio dei Librai, 39 - Napoli
Tel. 081.5517021-5517099 - Fax 081.5528651
www.artetipografica.it
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Ai miei cari nipoti
Luca, Andrea, Maria Teresa e Michele
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INDICE
Prefazione
di Francesco Paolo Casavola
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MALTA E NAPOLI
Saluto a Malta (dicembre 1970)
La via del Mediterraneo (gennaio-marzo 1973)
Gli esuli napoletani a Malta precursori degli avvenimenti del 1848
(marzo-aprile 1975)
1848: a seconda delle alterne vicende del Regno si susseguono a Malta
esuli borbonici e cospiratori (maggio-luglio 1975)
Faccia il Ministro Gioia quello che Coppo non fece (gennaio-febbraio 1976)
I gesuiti scacciati come ``assassini'' da Napoli, accolti e benedetti come
``Servi di Dio'' a Malta (marzo-aprile 1976)
Un grazie a Gioia e un appello a Drago (marzo-aprile 1976)
Da Napoli il 22 luglio il viaggio inaugurale del nuovo traghetto ``Malta
Express'' (maggio-giugno-luglio 1976)
Verso la Federazione delle Camere di Commercio Arabe Miste
(novembre-dicembre 1976)
31 marzo: appuntamento col destino (gennaio-marzo 1979)
L'Italia lascia, Gheddafi raddoppia (luglio-dicembre 1984)
Perche Napoli (luglio-dicembre 1985)
Interessante dibattito a Malta sui rapporti con la vicina Italia
(luglio-dicembre 1988)
Vent'anni dopo (gennaio-giugno 1989)
Verso la soppressione del collegamento marittimo Napoli-Malta?
(luglio-dicembre 1989)
NAPOLI CITTAÁ
Caro Sindaco, ti scrivo (gennaio-giugno 1991)
A maggio nel Real Sito di Capodimonte (dicembre 1995)
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Napoli sei patrimonio dell'umanitaÁ... ma dobbiamo difenderti!
(dicembre 1995)
Chiude la Reggia con l'ultimo monarca (dicembre 2008)
NAPOLI E GIAPPONE
Kagoshima mon amour. Ma Napoli non dimentica la sua gemella
(luglio-dicembre 1987)
Finalmente la Katori nel porto di La Valletta (luglio-dicembre 1991)
E poi «Napoli in Giappone» (dicembre 1995)
Il Professore Tetsuo Sakamoto dal Fuji al Vesuvio (dicembre 2002)
A Napoli nel 2003 l'Orchestra Sinfonica di Kagoshima (dicembre 2002)
PRESTIGIOSE FIGURE
Signor Presidente! (gennaio 1972)
Una cara, illustre amica: Claudia Refice Taschetta (maggio-giugno 1974)
Welcome, Mr. President! (marzo-aprile 1975)
Franco eÁ morto, viva il re? (agosto-settembre ottobre 1975)
Francesco Barra Caracciolo: eÁ scomparso un maestro
(agosto-settembre-ottobre 1975)
Il 3 novembre 1876 moriva a Napoli il cospiratore Luigi Settembrini
(agosto-settembre-ottobre 1976)
Lelio Della Pietra un campione dell'arengo civile (gennaio-marzo 1979)
Un principe del Foro: Edgardo Borselli nella rievocazione di Alfredo De
Marsico e Nicola Salerno (gennaio-marzo 1982)
Tito Biondo: un Prefetto da ricordare (luglio-dicembre 1983)
Raffaello Causa: uno studioso di statura europea (gennaio-giugno 1984)
Paolo Martuscelli: il «sarto» di Napoli (luglio-dicembre 1986)
Ingrata Napoli (luglio 1997)
A proposito di Giovanni Leone (...e della ``ingrata Napoli)
(dicembre 1997)
Grazie, Presidente Di Fiore! (dicembre 1998)
Rievocato Paolo Martuscelli (dicembre 2001)
La scomparsa di Umberto Agnelli: addio, Presidente! (giugno 2004)
Giovanni D'Errico: grande chirurgo e gentiluomo (giugno 2004)
Quell'incontro a Coimbra con Suor Lucia e poi a Cascais con Umberto II
di Savoia (dicembre 2005)
Pasquale Terracciano: un napoletano Ambasciatore d'Italia a Madrid
(giugno 2006)
Guido De Marco, splendida figura politica (dicembre 2010)
Ludovico Greco (giugno 2011)
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LAVIANO: luoghi e figure che riaffiorano da un terribile sisma
Amaro ritorno (novembre-dicembre 1980)
I 18 BL (novembre-dicembre 1980)
Un piccolo popolo un grande amore (gennaio-aprile 1981)
Un bravo al battaglione ``Timavo''! (maggio-luglio 1981)
Due anni dopo (aprile-dicembre 1982)
La Pinto Story: un esempio di come si rinasce negli USA (dicembre 1997)
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I VIAGGI
Napoli, primo amore! (settembre-ottobre 1973)
Americani e no (gennaio-febbraio 1974)
Good Bye, America! (marzo-aprile 1974)
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IL MEDITERRANEO
Il mondo cambia (e anche il Mediterraneo) (novembre-dicembre 1974)
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DIRITTO E GIURISPRUDENZA
Renato Golia: politici, avete fallito! Paolo Russo de Cerame: L'ergastolo
va abolito (dicembre 1998)
Ma eÁ davvero sacrale il provvedimento del tribunale fallimentare?
(giugno 2006)
DIRITTO E PROCEDURA CONSOLARE
Questioni in tema di immunitaÁ giurisdizionale a favore degli Stati esteri
(aprile-maggio 1973)
InviolabilitaÁ e protezione delle sedi consolari (novembre-dicembre 1974)
RealtaÁ giuridica e funzioni del Corpo Consolare (gennaio-febbraio 1975)
Ci siamo anche noi, Ministro Forlani! (aprile-giugno 1977)
Riconosciuta l'immunitaÁ consolare anche per la guida e il parcheggio
(ottobre-dicembre 1977)
Il perche di una udienza (aprile-giugno 1978)
I Consolati in proprio non possono essere convenuti in giudizio
(ottobre-dicembre 1978)
Il Tribunale di Napoli conferma il difetto di giurisdizione dell'autoritaÁ
giudiziaria ordinaria nei rapporti tra Consolari e dipendenti
(luglio-dicembre 1983)
Imminente la costituzione della F.I.U.C.H. (dicembre 2006)
Status e funzioni del Console Onorario (Conferenza del 5 marzo 1994)
Le aspettative del Console Onorario d'Italia nei Paesi Esteri
(Intervento del 19 dicembre 2000)
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Il cammino dell'U.C.O.I.: riconoscimenti e aspettative
(Relazione del 30 aprile 2011)
AMICI CARI
Alfonso Berrilli (luglio-dicembre 1986)
Antonio Carpino. Una figura da non dimenticare (luglio-dicembre 1987)
La scomparsa di Aldo Antonelli: un lutto nel mondo della cultura
(gennaio 1995)
Ricordo di Antonio Guglielmi (dicembre 1996)
Silvio Mifsud, un amico dell'Italia (dicembre 2002)
Lettera a Giovanni Mangion (giugno 2004)
Celestino Del Vecchio, da Laviano: un soldato che ha onorato l'esercito
italiano (dicembre 2005)
La scomparsa di Michele Tartaglione (giugno 2011)
RECENSIONI
``Mattia Preti: contributi alla conoscenza del Cavalier Calabrese'' di Claudia Refice Taschetta (luglio 1970)
``Piemontesi, Briganti e Maccaroni. La guerra civile che fece l'Italia'' di
Ludovico Greco (novembre-dicembre 1975)
``Larry'' di Vera Russo de' Cerame D'Alessio (dicembre 1994)
``Pittura tra Malta e Napoli nel segno del Barocco'' di Salvatore Costanzo
(giugno 2011)
``Sociologia e diplomazia: due facce della stessa medaglia'' di Santo Mancuso (giugno 2011)
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Postfazione
di Guido Belmonte
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Indice dei nomi
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PREFAZIONE
di FRANCESCO PAOLO CASAVOLA
Viviamo un tempo in cui sembrano nascere o rinascere nuove scritture,
destinate a documentare la propria vita, anziche a costruire con la fantasia
quella altrui o di tutti. La narrativa eÁ stata la grande invenzione letteraria
dell'Ottocento europeo. L'autobiografia o la documentazione delle res a se
gestae eÁ un genere piuÁ coltivato oggi. Proviamo a cercarne qualche ragione.
La prima, legata al mondo degli affetti personali, eÁ di lasciare ai familiari
e agli amici memoria di seÂ. Realizziamo durante la vita tante attivitaÁ, intessiamo relazioni, svolgiamo compiti pubblici, esprimiamo la nostra personalitaÁ
in ambiti diversi, di cui talvolta a stento serbiamo noi stessi il ricordo, se non
ci aiutassero le traccie o le opere a suo tempo da noi prodotte. Una seconda eÁ
piuÁ egoistica, di fare un bilancio della propria presenza significativa nel mondo. Le due ragioni spesso si intrecciano e danno luogo a scritture che si lasciano apprezzare sia per l'arte di raccontare la propria vita, sia per la costruzione di un documento storico. L'attenzione del lettore saraÁ alimentata nel
primo caso dalla conoscenza personale dell'autore, e quando questa manchi
dall'apprendimento di notizie su fatti altrimenti ignorati. CosõÁ abbiamo due
chiavi per leggere con godimento e profitto le pagine che ci offre Michele Di
Gianni. Egli le intitola a Malta e a Napoli, dal momento che il periodico cui
dedica le sue cure ha la testata di ``Maltanapoli'', che riflette la professione
dominante di Di Gianni, console generale onorario della Repubblica di Malta.
Ma quante cose passano negli oltre quaranta anni di vita di Maltanapoli!
L'autore, nel tempo piuÁ lontano del decennio di fondazione, dal 1970, ha
scritto sulle vicende dei patrioti napoletani esuli a Malta, dei gesuiti scacciati
come ``assassini'' da Napoli e accolti come ``servi di Dio'' a Malta, fino alle
vicende ultime degli equilibri di potenze nel Mediterraneo. Ma non potevano
mancare note affettuose e accorate su Napoli cittaÁ, e sui rapporti con il Giappone, di cui Di Gianni eÁ stato anche console. E poi il capitolo piuÁ lungo,
dedicato alle figure umane piuÁ prestigiose, che qui sono nate o qui hanno
vissuto tra cronaca e storia, elencabili nella sequenza degli intervento loro
dedicati: Claudia Refice Taschetta, Francesco Barra Caracciolo, Luigi Settem11
brini, Lelio Della Pietra, Edgardo Borselli, Tito Biondo, Raffaello Causa,
Paolo Martuscelli, Antonio Carpino, Giovanni Leone, il Presidente Di Fiore,
Giovanni D'Errico, Pasquale Terracciano, Guido De Marco, Ludovico Greco.
Quindi il paese d'origine della famiglia Di Gianni, Laviano, rivissuto come
storia collettiva, richiamata alla memoria dalla tragedia del terremoto del
1980. Ma Di Gianni eÁ tutt'altro che un nostalgico sedentario, eÁ anzi un
viaggiatore entusiasta, come attestano i suoi scritti su terre tra loro agli antipodi, quali gli Stati Uniti e il Giappone.
Non sono assenti i ritratti degli ``Amici cari'', Alfonso Berrilli, Aldo
Antonelli, Antonio Guglielmi, Silvio Mifsud, Celestino Del Vecchio, Michele
Tartaglione.
Capitolo su argomenti giuridici, data la professione di avvocato di Di
Gianni, e su materie consolari, nonche altro di recensioni, completano il libro.
Come si vede, non eÁ, a stretto rigore di genere letterario, un'autobiografia. Quest'ultima eÁ un discorso in prima persona, in cui l'io si confessa o si
difende, si vanta o si umilia, giuoca con se stesso o con il lettore tra veritaÁ o
invenzione. Di Gianni ha preferito riprodurre quello che ha scritto, quando
non poteva che esprimersi con la massima obiettivitaÁ possibile per essere
credibile dai suoi lettori di Maltanapoli.
CosõÁ Di Gianni, con queste pagine, si accredita come autore di documenti
utili per quella microstoria, che sempre piuÁ auspichiamo onorata della stessa
attenzione, che siamo stati in passato educati a riservare solo alla storia dei
grande eventi, scritta da storici di mestiere.
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MALTA E NAPOLI
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SALUTO A MALTA
Questo giornale ± di cui ecco il primo numero e la cui direzione non
poteva essere affidata a cure migliori di quelle appassionate e sagaci di Aldo
Antonelli ± rappresenta un concreto motivo dell'azione che l'Associazione
Napoletana Amici di Malta ha intrapreso: gettare un ponte di amicizia e di
affetto tra Napoli e Malta.
Tocca a noi ± che abbiamo avuto l'ambito privilegio di gettare le prime
fondamenta di quest'opera ± il preambolo di obbligo: salutare le AutoritaÁ e i
cittadini maltesi e napoletani e, particolarmente, i soci dell'ANAM, i suoi
simpatizzanti e i lettori che, anche da altre cittaÁ, ci conforteranno, speriamo
sempre con il loro consenso e con il loro incoraggiamento.
Ma noi vorremmo evadere da questo schema formale, anche se consueto
in occasione di ogni nuovo foglio stampato.
Un vero, autentico, affettuoso saluto noi stessi e i soci dell'ANAM lo
recammo di persona a Malta nel maggio scorso.
Fu quello un personale contatto (oggi eÁ di moda dire: contatto umano) con
le persone, gli spiriti, le pietre, la storia della meravigliosa piccola Isola.
Comuni vincoli di sangue, di religione, di lingua. Comune fascino di
bellezze naturali, di isole, di mare, di clima, di sole fanno considerare Malta,
a un napoletano, una seconda patria. A Malta non trovammo strada, non
monumento, non chiesa, non sepolcro che non ci ricordassero la tradizione di
arte e di spiritualitaÁ cosõÁ intimamente connessa a quella di Napoli. E noi vi
respirammo un'aria di casa, un'aria di famiglia anche se Strada Reale oggi si
chiami King's Way e Via Forno, Bakery Street.
Questo giornale vuole oggi, fin dal suo primo numero, ripetere gli stessi
sentimenti e la stessa cordiale sicurezza di sentirli ricambiati.
Ci sembra questa la migliore conferma dell'autenticitaÁ del saluto e del
programma; riconoscersi infatti vicini e fratelli, nella tradizione e nello spirito.
Ed a questi sentimenti uniformare la nostra azione.
Non sembreraÁ pedanteria ricordare la visita di orsono sei mesi, fu in
quella occasione che il Sindaco di Napoli, volle, a nostro mezzo, in rappresentanza dell'intera cittaÁ, inviare allo Stato amico (e per esso al suo Primo
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Ministro Ecc. Gorge Borg Olivier) un nobile messaggio di fraternitaÁ ed amicizia, accompagnandolo con il gonfalone della cittaÁ a simbolo del sentimento di
un milione e duecentomila napoletani per i trecentomila e piuÁ abitanti dell'isola. La commossa cerimonia, nel Palazzo del Governo, travalicoÁ certamente i
limiti di altri consimili riti dove lo scambio dei convenevoli e delle cortesie eÁ
piuÁ dettato dalle norme del protocollo che dall'impeto degli spiriti.
Fu in quell'occasione che nei visi attenti e pur commossi dei nostri ospiti,
nello stesso nostro turbamento, potemmo leggere ± al di fuori delle norme del
rituale diplomatico ± la carica di cordialitaÁ e di affetto che insieme ± Napoletani e Maltesi ± ci sentivamo battere dentro.
Ora questo giornale vuol proprio confermare questi sentimenti, arricchirli
sempre piuÁ con una migliore conoscenza, nostra per gli amici dell'isola e loro
per noi di Napoli, lavorare per una sempre piuÁ stretta e affettuosa amicizia.
Ne vorremmo che questo giornale sia una palestra per le esercitazioni
letterarie dei piuÁ provveduti (nell'arte dello scrivere) tra i nostri soci. Noi
invitiamo tutti a non farci mancare il loro consenso e la loro collaborazione:
con idee, suggerimenti, scritti. Eguale invito rivolgiamo agli amici maltesi.
Vorremmo insomma che questo foglio fosse un mezzo di comunicazione, un
``medium'' tra gli amici della CittaÁ e gli amici dell'Isola, tra Malta e Napoli,
insomma. ServiraÁ ± e ci pare fruttuoso e indispensabile ± per avviare a tenere
un discorso insieme. Che questo discorso possa essere ± e certamente saraÁ ± un
ulteriore progresso sulla strada del comune sentimento e della comune amicizia. Ed eÁ con questa certezza che vogliamo inviare a tutti gli amici e cittadini
di Malta, il fraterno ed affettuoso messaggio di saluto e di amore di questo
giornale e degli amici e dei cittadini di Napoli.
Dicembre 1970
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LA VIA DEL MEDITERRANEO
MaltaNapoli, fino a ieri. Da oggi, con l'inizio del suo quarto anno di vita,
anche Corriere Mediterraneo. CioÁ vuole significare che il raggio di azione si
allarga. L'asse principale eÁ Napoli, capoluogo del Mezzogiorno d'Italia ma
anche la piuÁ viva e popolosa cittaÁ che si affaccia nel Mediterraneo, e Malta,
la piccola grande Isola che nel passato ha svolto, e oggi continua a svolgere un
insostituibile ruolo come dimostrato dai recenti avvenimenti della politica
internazionale. Una piuÁ ampia dimensione, quindi, del giornale in una piuÁ
ampia prospettiva, per un collegamento tra Napoli e tutti i Paesi del bacino
Mediterraneo. Antiche amicizie, antiche relazioni, antichi interessi culturali
ed economici hanno lievitato tra l'Italia meridionale ed i Paesi che le sono di
fronte. Vorremmo, secondo i fermenti sopranazionali che ormai caratterizzano
la nostra epoca, polarizzare sul Mediterraneo la nostra attenzione, con un
riguardo particolare alla sua persistente storica funzione economica, anche
come utile guida a quanti operano nello spirito comunitario e, nella scelta
delle varie direzioni in cui esso si specifica, ci sembra di particolare interesse
il Terzo Mondo.
Questo vuol significare che il nostro giornale continueraÁ a guardare a
Malta ma non vorraÁ trascurare il suo sfondo, inserendo cioeÁ la propria tematica in un orizzonte piuÁ vasto e completo.
Delineato doverosamente il programma, sarebbe d'uso ora tracciare la
storia dei tre anni che sono trascorsi. E cioeÁ dell'opera che MaltaNapoli ha
svolto finora per l'orientamento e la maturazione dei rapporti tra i due Paesi e
per la promozione politica, economica e turistica. GiaÁ prioritario eÁ stato l'intento culturale inteso come quello, sia pure a lungo termine, piuÁ produttivo ed
anche il piu rispondente ai fini istituzionali del giornale e dell'Associazione
Amici di Malta che gli ha dato vita.
Faremmo torto, tuttavia, a tutti i nostri lettori, che puntualmente hanno
seguito la nostra opera, se volessimo ripetere, e vantarcene, quanto abbiamo
pubblicato negli anni scorsi, fino a ieri, rivendicando soltanto di aver operato
sempre, a Malta come a Napoli, nella piuÁ assoluta imparzialitaÁ politica, senza
fini personali e soltanto allo scopo di rendere questo periodico l'espressione e
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il tramite dei diffusi sentimenti di solidarietaÁ che legano scambievolmente
Napoli e Malta, preservandola da ogni facile ± e talvolta tentatrice ± contaminazione. E cioÁ anche nell'ambito dei rapporti fra le Rappresentanze consolari, specie a Napoli, per il cui collegamento e servizio informativo, eÁ stata
istituita stabilmente, un'apposita pagina.
Un cosõÁ breve riassunto di tre anni operosi ci sembra possa essere scambiato per umiltaÁ. Ed eÁ invece fierezza, sia concesso, di aver compiuto quanto ci
eÁ parso giusto per tener fede all'impegno manifestato fin da quando fu data
vita all'Associazione Amici di Malta e a «MaltaNapoli». Che l'associazione e il
giornale ± per l'abnegazione di chi lo dirige e di chi vi collabora ± abbiano
compiuto quanto era nei loro scopi non si potraÁ negare (specie se si considerano l'assoluta mancanza di risorse materiali e di qualsivoglia aiuto e la scarsa
sensibilitaÁ di organi e di persone pur preposte ad incentivare e incoraggiare
siffatte iniziative). E le nuove dimensioni ora annunciate stanno a dimostrare
un impegno ancora maggiore a sollecitazione di un'attenzione piuÁ vasta.
Da Napoli ecco quindi un movimento promozionale verso Malta e verso il
Mediterraneo che non eÁ nuovo, di oggi, ma ripete e trasvaluta antichi legami
spirituali e culturali. GiaÁ ci sembra, al riguardo, una felice coincidenza che da
breve tempo sia stato chiamato a rappresentare l'Italia sulla piuÁ vicina sponda
dell'Africa, in Libia, un napoletano, l'Ambasciatore Aldo Conte Marotta; cosõÁ
come un altro napoletano, Romualdo Massa Bernucci presenteraÁ tra giorni
nelle mani del Governatore di Malta Sir Anthony Mamo le proprie credenziali
di nuovo Ambasciatore di Italia nell'Isola.
Un magma incandescente, insomma, rischiara da Napoli questo piccolo
foglio: lo ripaga di non poche amarezze, lo fa dimentico dell'ignavia dei piccoli
uomini e lo sospinge a varcare frontiere amiche additandogli, nella perseveranza di una fatica oscura e non sempre apprezzata, la via che conduce ad un
amore piuÁ profondo tra i popoli. La sola via nella quale, fermamente, ancora
crediamo.
Gennaio-Marzo 1973
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MALTA E NAPOLI: UNA PAGINA DI STORIA DEL RISORGIMENTO ITALIANO
GLI ESULI NAPOLETANI A MALTA
PRECURSORI DEGLI AVVENIMENTI DEL 1848
Integrata dalla politica inglese, favorevole alla causa della libertaÁ dei popoli, MALTA
centro di propaganda mazziniana nel Mediterraneo, ospita illustri esuli: nel 1804 VITTORIO BARZONI; nel 1820 i napoletani RAFFAELE POERIO, GABRIELE ROSSETTI,
il Generale MICHELE CARRASCOSA; nel 1831 gli emiliani EMILIO USIGLIO e
NICOLA FABRIZI; nel '37 l'ardimentoso romagnolo TOMMASO ZAULI-SAJANI ± Le
proteste del BORBONE a Londra ed a Malta per la concessione nel '39 della libertaÁ di
stampa nell'isola ± La stretta sorveglianza sui rifugiati, giaÁ esercitata dal Re di Napoli
attraverso il suo zelante Console a Malta, viene ordinata nel '43 dalla stessa REGINA
VITTORIA ± Viaggo di FERDINANDO II a Malta nel '44 ± Allentamento delle restrizioni del '46 ± L'approdo, nel gennaio '48, del grande patriota napoletano LUIGI SETTEMBRINI, segna l'inizio del cruciale periodo della fervente azione risorgimentale.
Un accurato esame della emigrazione politica del Risorgimento a Malta eÁ
stata compiuta, recentemente, da Giovanni Mangion. «Governo inglese, Risorgimento italiano ed opinione pubblica a Malta (1848-1851)». Gli siamo
debitori di non poche notizie e di non poche ricerche sui personaggi e sulle
vicende che caratterizzarono quel periodo che anticipoÁ ± nella propraganda e
nell'azione politica ± gli avvenimenti del '48.
Negli anni precedenti e successivi alle rivolte napoletane del `48, Malta eÁ
stata di estrema importanza per le vicende, le attivitaÁ, le condizioni di vita
degli esuli del Risorgimento italiano, rifugiati in quella vicina isola per scampare alla persecuzione o per temprare e irradiare in Italia il soffocato ma ormai
non piuÁ contenibile anelito di libertaÁ. Malta, non dimentichiamo, costituiva
per i patrioti un riparo sicuro: centro di libera circolazione delle idee in quanto
appartenente all'Inghilterra che allora godeva di un indiscusso primato tra le
potenze europee per la sua tradizionale ospitalitaÁ e liberalitaÁ e per il suo
atteggiamento favorevole verso la causa della libertaÁ dei popoli e in ispecie di
quello italiano. Dopo la insurrezione contro Napoleone ± che la conquistoÁ nel
1798 nella sua spedizione in Egitto, tenendola per soli due anni ± Malta,
contrariamente a quanto avvenne per le altre colonie inglesi, passoÁ sotto la
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protezione e la sovranitaÁ britannica per spontanea volontaÁ degli abitanti e
dietro solenni promesse di salvaguardia della libertaÁ civile e religiosa della
popolazione. Il trattato di Vienna del 1814 ± pur consacrando il definitivo
abbandono dell'isola come dipendenza feudale del Regno di Sicilia ± legittimoÁ
la sovranitaÁ inglese su Malta in conformitaÁ delle istanze che i rappresentanti
del suo popolo avevano rivolto a Ferdinando IV Borbone, re di Napoli e al
Governo inglese. Gli esuli si rifugiarono a Malta preferendo, ad una comoda e
stabile sistemazione in un grande paese, la vita stentata ma ricca di cimenti
che ad essi offriva la piccola isola, cosõÁ vicina alla Sicilia, ritenuta punto di
partenza per il movimento rivoluzionario italiano. A Malta, infine, essi trovavano una comunanza di lingua, di cultura, di civiltaÁ, di costumi, di spiritualitaÁ sõÁ che essi respiravano un'aria di casa, di famiglia.
Gli esuli prerisorgimentali
Un'anticipazione della emigrazione politica del Risorgimento a Malta si
ebbe giaÁ nei tempi napoleonici. Il primo illustre esule fu Vittorio Barzoni che,
scacciato da Vienna da Napoleone, giunse nell'isola nel 1804, svolgendovi per
dieci anni una intensa attivitaÁ giornalistica anglofila ed antifrancese. Ebbe
un'autonoma visione dei problemi politici degli italiani, sõÁ da incitarli all'insurrezione dalle colonne del «Giornale di Malta». Il primo notevole afflusso di
esuli avvenne successivamente ai moti napoletani e piemontesi del 1820 e
1821 che segnarono il vero inizio della rivoluzione nazionale e con esso della
storia del contributo di Malta alle lotte del Risorgimento, quale maggiore base
di una vasta rete di cospirazione. Sbarcarono cosõÁ a Malta i profughi napoletani: Raffaele Poerio (fratello di Giuseppe e, quindi, zio di Carlo ed Alessandro, cosõÁ descritto dal Settembrini «uomo di fortissima tempra, e tanto potente
nell'azione quanto l'altro era potente nella parola, chiamava le Calabrie a sollevarsi contro il re spergiuro e lo straniero invasore. Dannato a morte anch'egli,
scampoÁ con la fuga, andoÁ a combattere in Ispagna, in Africa, in Francia, non mai
dimenticato dai suoi Calabresi, che l'aspettarono lungo tempo, come se dovesse di
giorno in giorno sbarcare, levare una bandiera e mutare ogni cosa. Esule per
trent'anni fu onorato tra a piuÁ valorosi dell'esercito francese, dove ebbe grado di
generale: e nel 1848 quantunque vecchio pote combattere per la causa d'Italia);
Gabriele Rossetti (dopo la revoca della Costituzione da parte di Ferdinando
IV e dopo aver preso parte attiva ai moti liberali del `20, riuscõÁ, con l'aiuto
dell'Ammiraglio inglese Moore ad approdare a Malta, dove rimase 2 anni
protetto dal poeta e diplomatico John Hookham Frere); il Generale Michele
Carrascosa (murattiano, che Ferdinanido IV preferõÁ al Generale Pepe per
sedare, senza successo, l'insurrezione dei militari a Nola capeggiati da Michele
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Morelli e Giuseppe Salvati, cui si unirono una ventina di carbonari guidati
dall'abate Luigi Minichini).
Da questo momento, infatti, i governi conservatori esercitarono una severa vigilanza su Malta, e fra questi governi si distinse, come quello maggiormente in pericolo, il governo di Napoli, a cioÁ insistentemente spronato dal
Metternich, ansioso di evitare nuovi disturbi del restaurato equilibrio europeo.
EÁ da questo momento, infatti, che venne diramata dal Ministero degli Affari
Esteri di Napoli ai propri rappresentanti, consoli e viceconsoli una circolare in
cui fu prescritto di vistare i passaporti dei fuorusciti sudditi di Sua MaestaÁ per
dovunque piacesse loro di andare, meno che per i Reali Romani e per l'isola di
Malta, troppo vicina ad essi. Scrupolosa sorveglianza sugli esuli esercitava a
Malta il Console Napoletano Girardi, tipica figura poliziesca, dotato di energia,
di risolutezza, di zelo dinastico. Varie ed insistenti richieste per l'estradizione
degli esuli piuÁ in vista ± da parte dei traditi Cavalieri Gerosolimitani di San
Giovanni ai quali era stata affidata nel 1530 da Carlo V e in particolar modo da
Raffaele Poerio, ± divenuto, dopo aver capeggiato la rivoluzione in Calabria,
uno degli esuli liberali piuÁ noti ed attivi ± furono presentate dal Girardi presso
il governo locale, nonche dall'Ambasciatore napoletano a Londra.
La seconda forte ondata di profughi italiani si ebbe nel 1831, dopo falliti
moti in Emilia e in Romagna. ArrivoÁ a Malta nel 1836 Emilio Usiglio, di
Modena, che durante il suo esilio francese aveva conosciuto il Mazzini, e che
nell'isola esplicoÁ, per sei anni, una tale attivitaÁ propagandistica a favore della
Giovine Italia da meritare dal Mazzini un elogio ed una raccomandazione al
Comitato Centrale della Giovine Europa. CosõÁ scrisse infatti Mazzini all'amico Melegari il 1ë gennaio 1837: Una cosa che vorrei eÁ questa: avete spesso
sentito i fogli parlare di Malta, etc. V'eÁ infatti il giovine Usiglio, che con grandissima attivitaÁ s'eÁ messo come incaricato nostro in contatto col Regno, colla Sicilia,
con CorfuÁ, con altri punti... ha diffuso il nome, la nozione, e le affiliazioni alla
Giovine Europa... Nel 1837 un altro esule modenese ed uno dei primi adepti
della Giovine Italia, Nicola Fabrizi, si era stabilito a Malta per preparare per
proprio conto una spedizione armata in Italia. Quasi contemporaneamente
giunse a Malta anche Tommaso Zauli-Sajani, esule da ForlõÁ, pure affiliato alla
Giovine Italia, fondatore e redattore con Carlo Cappelli di un importante
giornale, Il Mediterraneo-Gazzetta di Malta sorto appena fu concessa all'isola,
nel 1839, la liberta di stampa. Con l'arrivo di questi tre esuli, Malta divenne
subito uno dei piuÁ noti ed attivi centri migratori, si che l'emigrazione politica
italiana a Malta fu definitivamente guadagnata alle idee ed ai metodi del
Mazzini, il quale proprio in quell'anno 1831, spronato dal fallimento dei moti
carbonari, aveva liberamente scelto la via dell'esilio per dare una nuova impostazione all'azione cospiratoria e rivoluzionaria italiana ed aveva a tal uopo
fondato la «Giovane Italia», e tre anni dopo, la «Giovane Europa».
21
Le stampe incendiarie
La libertaÁ di stampa concessa nel 1839 dall'Inghilterra, per le insistenti
richieste dei maltesi, costituisce un fatto di grande rilievo nella storia dell'emigrazione politica italiana a Malta. Forti opposizioni alla concessione giunsero inutilmente al Governo britannico dai governi dell'Austria, dello Stato
Pontificio (che premeva sul Vescovo di Malta) e soprattutto dal governo di
Napoli e finanche da parte dei conservatori inglesi, capeggiati da Lord Wellington, i quali sostenevano che, per la presenza di esuli italiani in Malta, la
libertaÁ di stampa avrebbe compromesso i rapporti di amicizia esistenti fra
l'Inghilterra e gli Stati Europei e soprattutto italiani. A questi oppositori, il
governo di Londra dette la magra consolazione di inviare a Malta una commissione di inchiesta le cui risultanze assicuravano i governi stranieri ± e,
segnatamente, quello napoletano ± che avevano poco o niente da temere dall'innovazione. Le conclusioni a cui prevennero i Comissari inglesi indussero il
previdente Re di Napoli ad emettere il 16 aprile 1839 un Real Rescritto con
cui comunicava al Ministro di Polizia l'esito negativo delle trattative intraprese allo scopo di indure il governo britannico a desistere dalla sua intezione
di concedere la libertaÁ di stampa a Malta, ed avvertiva delle «tristi conseguenze
per l'Italia e massime pei Reali Dominj» che si dovevano ormai aspettare da
quella «funesta concessione», giacche «le pene... oltre ad essere miti non prevengono il male che si teme, ne sono dirette ad impedire che massime sovversive e
liberali compariscano nei fogli maltesi... ne vi eÁ da abbandonarsi alla lusinga che
esercitasse il governo dell'isola scrupolosa sorveglianza sulle stamperie». Indubbiamente, la concessione della libertaÁ di stampa a Malta da parte del governo
inglese servõÁ a raffreddare i rapporti anglo-napoletani, a tal punto che il potente capo della polizia, Maresciallo Franco Saverio del Carretto, a tutti noto e
da tutti odiato per la sua severitaÁ (cui, ironia della sorte, toccheraÁ, caduto in
disgrazia del Borbone nel gennaio `48, di rifugiarsi, come vedremo, proprio a
Malta, nel cui esilio fu seguito dall'odiato Monsignor Cocle, il famigerato
confessore del re) fu incaricato dal governo borbonico di intensificare la vigilanza sulle pubblicazioni di qualsiasi genere redatte in Malta fucina di ogni
settaria macchinazione e sinanche sugli stessi maltesi se capitavano nel Regno,
in quanto ritenuti a tal punto pericolosi da indurre il Re, nel giugno 1842, ad
ordinare che si stia attento e molto attento su questi girovaghi forastieri italiani.
Ma il buon Ferdinando II ± i cui timori si rivelarono di poi fondati ± non
pote ne arginare ne contenere il massiccio arrivo clandestino nel suo Regno
delle «stampe incendiarie» ± per usare l'espressione del reazionari del tempo ±
fatte a Malta. Il Mediterraneo-Gazzetta di Malta dello Zauli-Sajani assolveva ai
suoi compiti istituzionali di informazione sulle vicende politiche d'Italia verso
gli esuli sia in Malta che sparsi nel Mediterraneo e cioeÁ nelle isole Jonie, in
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Grecia e sulle coste settentrionali dell'Africa dove esso giungeva facilmente e
regolarmente e dove anzi disponeva di corrispondenti e collaboratori: tenere
gli esuli informati e naturalmente ± secondo i noti canoni del giornalismo
mazziniano ± stimolarli ed aver fiducia ed a prepararsi, uniti, per l'azione,
che giaÁ nel 1840 eÁ imminente: l'Italia eÁ un vulcano silenzioso, e lieve occasione eÁ
sufficiente a farlo eruttare. La Sicilia... eÁ in grande fermento. Altro scopo evidente
de «Il Mediterraneo» era la difesa degli interessi dell'emigrazione politica italiana a Malta, specialmente contro le «mene» del Console napoletano il quale ±
si diceva con tono aspro e polemico ± si comportava a Malta come se l'isola
appartenesse al Regno dei Borboni.
L'ostilitaÁ del clero
«Il Mediterraneo», come probabilmente era negli intenti dei redattori,
costituõÁ un sõÁ potente mezzo di educazione alla libertaÁ all'interno dell'isola da
guadagnare la popolazione maltese alla causa del Risorgimento italiano e da
stimolarlo alla solidarietaÁ con gli esuli italiani. Esso, pur rispettando le istituzioni britanniche, non esitava a deprecare con passione lo stato di servaggiocoloniale dell'isola ed a inveire contro la «sovrabbondanza degli ecclesiastici».
La concessione della libertaÁ di stampa identificava negli esuli una istituzione
isolana, una attiva forza politica, una scuola di liberalismo politico-religioso.
Se peroÁ una parte della popolazione simpatizzoÁ con gli esuli e una schiera di
giovani si affratelloÁ con loro, eÁ da ritenersi, d'altro canto, che la gran massa
della popolazione locale, cattolica e poco istruita, fu ad essi piuttosto ostile. In
particolare il clero fu apertamente avverso ad essi, e fondoÁ e diresse giornali
religiosi letterari politici per controbattere la stampa liberale. Pur un importante settimanale liberale moderato, il Portafoglio Maltese fondato nel 1838
dall'avvocato maltese Paolo Sciortino, giudicava dannosa per gli interessi di
Malta la presenza degli esuli italiani, e si lamentava che Malta venisse acquistando la brutta nomea di focolaio di rivoluzionari e di luogo d'origine dei
disordini accaduti in varie parti della penisola italiana ± comeche Malta si
trovasse su tutti i punti intorno all'Italia ± cioÁ che danneggiava i rapporti commerciali con l'Italia e comprometteva le concessioni liberali da parte dell'Inghilterra.
Dopo la crisi del `40 i rapporti anglonapoletani tornarono alla normalitaÁ,
tanto che nel giugno 1844 il re Ferdinando II, accompagnato dalla Regina
Maria Teresa (figlia dell'Arciduca Carlo d'Austria) si recava a Malta in breve
visita di Stato. Divenuti gli esuli in Malta, dopo la concessione della libertaÁ di
stampa, molto piuÁ numerosi, attivi e pericolosi, il governo inglese strinse i
freni e prese dei provvedimenti restrittivi nei confronti degli esuli cosõÁ a
Londra come a Malta: a Londra si esercitoÁ una sorveglianza sugli emigrati
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politici e si giunse a violare la corrispondenza di Mazzini e a svelare l'ordita
spedizione dei fratelli Bandiera; a Malta il Governatore venne investito dell'autoritaÁ di espellere gli stranieri dall'isola ed inoltre riprese vigore il divieto
agli esuli di usufruire della libertaÁ di stampa. Il 1ë febbraio 1843, infatti, un
Ordine in «Consiglio», emanato dalla Regina Vittoria, autorizzava i governatori di Malta e Gibilterra a «proibire la permanenza entro i confini dei loro
governi di qualsiasi persona che non fosse un suddito nativo o naturalizzato di Sua
MaestaÁ»: un documento che fu giudicato prezioso dal Console napoletano e che
provocoÁ sgomento fra gli esuli.
Un decreto del Governo maltese del 2 novembre 1844 intimava agli
stranieri di «astenersi dallo scrivere o contribuire nei pubblici fogli, o giornali,
sia come editori o contributori o anche come collaboratori o traduttori o
interpreti ed in qualunque altro modo»; tale decreto restrittivo fu cosõÁ commentato dal Mazzini nella lettera scritta alla madre l'11 dicembre 1844:
«Questo eÁ un secondo servizio reso al Governo napoletano, che teme si spargano articoli di giornali maltesi, per la vicinanza, negli Stati suoi».
Nel 1846, per l'avvento al potere in Inghilterra di un governo whig e per
l'inizio del periodo delle riforme in Italia, le restrizioni sugli esuli a Malta si
allentarono. Ma la situazione cambioÁ ancora nel 1848, per l'arrivo nell'isola
del nuovo Governatore, O'Ferral, e per la nuova piega che presero i rapporti
anglo-italiani.
Il 13 gennaio 1848 ± mentre Palermo insorgeva ed a Napoli venivano
arrestati Camillo Caracciolo, Duca di Biella, Gennaro Sambiase, Duca di
Sandonato e futuro sindaco della cittaÁ, il Duca Francesco Proto e il pittore
Saverio Altamura ± la fregata inglese Odin, preceduta dal Vascello Hibernia,
entrava nel grand harbour di Malta: vi discendeva un uomo di 35 anni, sfornito
di passaporto, che conduceva per mano il figlioletto Raffaele, entrambi accolti
dal dott. Stilon, un medico di origine calabrese, ivi rifugiato dopo i moti del
`20. Fu cosõÁ che Malta si accingeva generosamente ad ospõÂtare l'anonimo
autore della «Protesta del popolo delle Due Sicilie» del `47, Colui che redasse
il proprio solenne testamento di fede nelle «Ricordanze della mia vita», opera
di alto valore storico e letterario: il Maestro cospiratore Luigi Settembrini. Il
Quarantotto batte alle porte della storia.
Marzo-Aprile 1975
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MALTA E NAPOLI: UNA PAGINA DI STORIA DEL RISORGIMENTO ITALIANO
1848: A SECONDA DELLE ALTERNE VICENDE DEL REGNO
SI SUSSEGUONO A MALTA ESULI BORBONICI E COSPIRATORI
«Malta piccola, bella, pulita e lucente ± afferma il Settembrini ± ha le donne con gli occhi
parlanti». ± Il lungo tribolato rifugio di Carlo di Borbone, l'indebitato fratello del Re di
Napoli. ± Anche Re Ferdinando con la Reale Famiglia, all'annuncio della rivoluzione
scoppiata in Francia, era pronto a recarsi, con la nave «Trafalgar» nell'isola. ± Ma ancora
piuÁ sensazionale la notizia della progettata fuga del Papa: si sarebbe rifugiato a Malta in
vista della riorganizzazione dell'Ordine Gerosolimitano.
Le rivoluzioni negli stati italiani ebbero a Malta la loro risonanza, dando
origine ad un intenso movimento di esuli politici. A metaÁ gennaio approdava a
Malta Luigi Settembrini, autore della recente «Protesta del Popolo delle Due
Sicilie»: si qualificoÁ uomo di lettere e, benche sprovvisto di passaporto, fu
accolto dalla polizia, poiche ritenuto non compromesso (ma presumibilmente
per intercessione del comandante della fregata inglese Odin, che l'aveva protetto e condotto nell'isola). Fu ospitato, durante tutto il suo soggiorno maltese, dal dott. Giuseppe Stilon, di origine calabrese che studioÁ medicina presso
l'UniversitaÁ di Napoli e fu medico prima negli eserciti di Murat e poi presso
l'arsenale di Malta, ove si rifugioÁ dopo i moti del 1820 e dove nel 1837
ripristinoÁ l'antica Accadernia medica.
La prima cosa che mi colpõÁ in Malta ± scrisse il Settembrini nelle sue «Ricordanze» ± fu leggere per tutte le cantonate grandi avvisi di vendita di mobili di
don Carlo di Borbone, principe di Capua. Mi fece pena, anzi dolore a vedere uno
dei reali di Napoli cosõÁ vituperato, e ne domandai al dottore, il quale mi rispose: ±
Muore di fame, e non puoÁ uscire di casa, se no i creditori l'arrestano. EÁ una cosa
che fa pena. ± Non tanto per lui quanto per la moglie che eÁ un'ottima signora
inglese, e per due angioli di figliuoletti. ± Re Ferdinando certamente sa tutto
questo, e non se ne cura. E se egli eÁ cosõÁ crudelmente ostinato contro un fratello,
che ne possiamo aver noi?
Malta piccola, belIa, pulita, lucente, ha le donne con gli occhi parlanti, ed io
non vidi donna per vecchia e deforme che avesse gli occhi brutti. Subito mi trovai
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in mezzo agli esuli, e li conobbi tutti. Agostino ed Antonio Plutino di Reggio,
Carlo Gemelli di Messina con altri messinesi che avevano fatto a le schioppettate il
primo settembre, Filippo Agresti della causa di frate Angelo Peluso, l'avvocato
Luigi Zuppetta, e Giorgio Tamaio, e Luigi Fabrizi di Modena, e molti altri di cui
non ricordo i nomi, Lorenzo Borsini, toscano che era piacevole poeta, ed aveva
fatto il prete, il giornalista, il tabaccaio, il cantante, e in Malta faceva l'occhialaio,
e aveva due figliuoli. Io andavo sempre a la sua bottega per udirlo parlare, cheÂ
diceva le piuÁ nuove piacevolezze. Talora andava dal Gemelli che era un colto e
gentile uomo di lettera, ed era in letto per malattia, e gli venivano intorno gli altri
siciliani che gridavano come ossessi e tempestavano parlando della rivoluzione di
Palermo e della necessitaÁ di tornare a Messina.
Dopo che il Settembrini ripartõÁ il 5 febbraio per Napoli col suo figliuoletto Raffaele, partirono in molti per la Sicilia, anche i fratelli Agostino e
Antonio Plutino, che erano stati fra i maggiori responsabili dell'insurrezione
di Reggio del 2 settembre 1847, e che s'erano salvati dalla condanna a morte,
dopo il fallimento di quel moto, rifugiandosi a Malta: se ne ripartirono ora che
il sovrano napoletano aveva decretato la concessione di una Costituzione e il
condono della vita ai compromessi politici.
A metaÁ febbraio tre esuli siciliani ± Salvatore Mirone, di Viagrande,
Salvatore Fatta e Domenico Piazzi, di Catania ± giunsero a Malta con l'incarico, da parte del Comitato Rivoluzionario Palermitano, di combinare l'acquisto di 2.000 fucili inglesi, che avrebbero dovuto servire ad armare la guardia
cittadina: un acquisto che fu fatto solo piuÁ tardi a Londra, con permesso
speciale (e per motivi speciali) da parte di Palmerston, perche a Malta il
Direttore dei magazzini militari, di intesa certo col Governatore, oppose un
netto rifiuto ai tre Siciliani; i quali ritornarono in patria il 27 dello stesso
mese.
Il 26 febbraio lasciava Malta Luigi Fabrizi, che aveva raggiunto nell'isola i
tre fratelli nell'aprile del 1846: era diretto a Napoli e poi a Roma, dove si
sarebbe arruolato quale ufficiale nello stato maggiore del Generale Durando.
Pochi giorni dopo, Nicola e Paolo Fabrizi ± il fratello Carlo era morto nell'isola il 30 ottobre 1846 ± passarono in Sicilia, mettendosi per qualche tempo a
disposizione del Comitato Rivoluzionario.
All'esodo di patrioti italiani da Malta, seguõÁ l'arrivo nell'isola di alcuni
noti reazionari napoletani, costretti ad una precipitosa fuga dal furore popolare, che non s'era placato neanche dopo la concessione della costituzione. Il
10 marzo, a bordo del vapore napoletano Nettuno, giunse di nascosto ± tanto
che non se n'accorsero i solerti giornali maltesi ± l'ex ministro della polõÂzia,
maresciallo Del Carretto, che da Malta riprese subito il viaggio per Marsiglia.
Con lui si trovava Mons. Celestino Cocle, arcivescovo titolare di Patrasso e
confessore di Re Ferdinando; costui solo il giorno 12, dopo lunghe esitazioni,
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mise piede a terra ospitato nel Convento di S. Filippo, alla Senglea, dove fu
subito confortato con la cortese visita dell'Arcivescovo dell'isola.
Il tesoro di re Ferdinando
Tutti sapevano che il Re di Napoli e la sua famiglia, all'annuncio della
rivoluzione scoppiata in Francia, si erano rifugiati sulla nave Trafalgar, che si
teneva pronta a salpare per Malta. E i Maltesi, elettrizzati dalla stampa britannica che da tempo dava per certa la venuta di molti illustri personaggi nella
loro terra, ritenevano che sul Nettuno si fossero nascosti Re Ferdinando, la
Regina e il Conte d'Aquila. Naturalmente, essi pregustavano l'incontro fra il
Sovrano e il fratello Carlo, Principe di Capua giaÁ da tempo esule con la
famiglia a Malta dove visse ± come giaÁ ci ha ricordato anche il Settembrini
± nella piuÁ nera miseria, essendo caduto in disgrazia del re di Napoli.
Harlod Acton, nel suo libro su «Gli ultimi Borboni» lo descrive abulico e
megalomane, facile preda di usurai, avventurieri e parassiti.
Il Conte Horace de Viel-Castel, che lo aveva incontrato a un ballo offerto
a Parigi da Napoleone III, lo descrive nelle sue «Memorie sul Regno di Napoleone III», come un personaggio eccentrico: passeggiava insieme con la sua
Penelope... EÁ massiccio, volgare, solitamente vestito come un rustico ciarlatano.
Ha barba grigia, lunga e sporca, anche i capelli sono lunghi, sporchi e grigi.
Carlo era stato il beniamino dei genitori: nominato Contrammiraglio a
diciannove anni, si era guadagnato facili simpatie fra gli oppositori di Ferdinando che lusingavano la sua giovanile vanitaÁ. Frivolo, debole nei confronti
delle belle donne, era considerato molto bello da certuni, ma i ritratti non
confermano questo giudizio. Nella austerissima corte di Ferdinando e Maria
Cristina, le sue scappatelle amorose costituivano un comico elemento di distensione. Il principe di Capua si era invaghito di Penelope Smith, una bella
irlandese di passaggio per Napoli suscitando l'ira e l'avversione del Re. Sempre
secondo l'Acton, Carlo sarebbe trasceso alle vie di fatto, sguainando la spada e
la Regina, sebbene fosse in stato di gravidanza, si sarebbe interposta per
proteggere il Re. In conseguenza di quell'atto, ella avrebbe ricevuto un colpo
e sarebbe caduta a terra, con grave pericolo anche per la vita del nascituro.
Una cosa eÁ certa: fra i due fratelli si accese un violento litigio, nel quale trovoÁ
finalmente sfogo il loro nascosto antagonismo. Carlo si ritiroÁ in preda a folle
collera e la sera dopo aver assistito alla rappresentazione di gala data per il
genetliaco del Re al teatro San Carlo, lascioÁ segretamente la cittaÁ insieme con
l'amata raggiungendo Malta il 12 sett. 1836.
Si parloÁ ancora con insistenza dell'esilio a Malta della famiglia reale
napoletana in principio di aprile, allorche presero dimora nell'Isola due dei
piuÁ intimi collaboratori di Re Ferdinando: il marchese Nicola Santangelo, giaÁ
27
ministro degli interni, e suo fratello Michele. Le voci erano del resto completamente infondate. Il 17 giugno, infatti, il vapore Polifemo trasportava a
Malta i bagagli, le carrozze e i cavalli del Duca d'Aquila, mentre a Napoli era
in corso il caricamento del tesoro della Corona su una fregata inglese.
Il tentativo di trasferire a Malta il tesoro del Re di Napoli veniva sventato
dall'ammiraglio francese Baudin, il quale, messo al corrente dei fatti, inseguiva
la fregata Thetis, ormai in navigazione fuori della baia di Napoli, e ordinava al
suo comandante, cap. H.J. Codringion, di invertire la rotta e di sbarcare il
tesoro, poiche «La Nazione francese aveva dei diritti sulle proprietaÁ della Corona
napoletana».
I progetti relativi all'esilio a Malta del Re di Napoli assumevano un'importanza di secondo piano di fronte alla sensazionale notizia che anche il Papa
intendeva stabilirsi nell'Isola, sotto la protezione dell'Ordine gerosolimitano
(l'Osservatore Romano, nel suo numero del 10 dicembre 1849, faceva accenno
a un progetto di «riorganizzazione dell'Ordine Gerosolimitano, detto di Malta» al
quale si sarebbe affidata la tutela del Governo pontificio). Tutte le volte che il
presunto proponimento del Pontefice veniva rimesso sul tappeto, la popolazione maltese fremeva di gioia e di sdegno; di gioia per l'onore di ospitare il
Capo del cattolicesimo; di sdegno verso gli italiani, rei ± cosõÁ almeno affermavano i gesuiti e i laro alleati ± di insidiare la vita del Papa, costringendolo ad
abbandonare Roma. Sta in fatto che nei mesi di giugno e luglio 1848 si trovava
a Malta sotto la mentita veste di semplice prete, il Cardinale Ferretti, giaÁ
Segretario dello Stato Pontificio, e allora Arcivescovo di Napoli.
Le prime congetture sull'insediamento a Malta della Santa Sede ebbero
vita subito dopo lo scoppio dei moti del 1848, e da quell'epoca continuarono
ad agitare l'opinione pubblõÂca sõÂno alla vigõÂlia dei Patti Lateranensi (RõÂaffiorarono nel 1862, 1870, 1878, 1889, 1912 e perfino nel 1929).
Le voci relatõÂve al trasferimento a Malta della Sede papale offrirono
appassionate argomentazioni alla stampa internazionale. Perche supposizioni
del genere trovavano credito tutte le volte che si profilava un indebolimento
dell'autoritaÁ vaticana? Pensava davvero Âõl Sommo Pontefice di trasportarsi a
Malta in esilio? Non si trattava di un'ingegnosa carta giocata dalla Santa Sede
per attirare l'attenzione deõÂ paesi cattolici suõÂ problemi che l'assõÂllavano e per
indurli a intervenire in suo aiuto? Considerando la questione sotto molti
aspetti noi riteniamo che, nonostante le sollecitazioni dei governi interessati,
tanto Pio IX quanto i suoi successori non abbiano mai accarezzato il proposito
di portare la loro residenza fuori della CittaÁ eterna.
Maggio-Luglio 1975
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PER I COLLEGAMENTI TRA MALTA E I PORTI ITALIANI
FACCIA IL MINISTRO GIOIA
QUELLO CHE COPPO NON FECE
Il 19 dicembre 1970 fu varata nei Cantieri Pellegrino di Napoli la nave
traghetto «La Valletta».
Ministro della Marina Mercantile era allora il senatore Mannironi. Di
estrazione sarda e da buon isolano il ministro si rendeva esattamente conto
dell'importanza che la nuova unitaÁ della «Tirrenia» veniva ad assumere nel
quadro dei collegamenti tra l'Italia e Malta. «Siamo impegnati, disse il Ministro, ad intensificare i rapporti commerciali sia tra i porti del territorio nazionale
sia con i paesi esteri; siamo indotti a questa scelta non soltanto da meri intenti
mercantilistici, ma anche dal profondo convincimento che l'intensificazione dell'interscambio commerciale concorre validamente al rafforzamento dei rapporti e
della conoscenza tra i popoli. Si tratta, in definitiva, di un fatto di civiltaÁ che merita
pertanto il piuÁ alto e costante impegno, anche a livello politico».
Buoni propositi. Demmo atto allora al ministro Mannironi di avere superato certi criteri (li aveva giustamente chiamati «mercantilistici») per assicurare un piuÁ saldo rapporto tra l'Italia e l'isola amica. Ma, come fin troppo
spesso accade, i buoni propositi non furono seguiti dai fatti. GiaÁ bisogna
annotare che una oscura malasorte presiedette al varo e alla entrata in servizio
del «La Valletta». La repentina e inattesa scomparsa del Ministro (che ricordiamo vivo e cordiale, la cravattina a farfalla e l'eloquio tonante) era stata
preceduta da una serie di incidenti, la mattina del varo. Eravamo presenti e
ricordiamo ancora oggi il mal celato disagio di tutti quanti (rappresentanti di
governo italiani e maltesi, staff dirigenziali della Italcantieri e della Tirrenia,
autoritaÁ locali, ospiti, tecnici, operai) allorquando, imprevedibilmente, la nave
rimase bloccata sui sostegni. I «martinetti», saldamente incastrati sotto la chiglia, resistettero piuÁ di un'ora agli sforzi dei carpentieri. La nave si rifutava di
scendere in mare. In nome di Dio taglia! eÁ la frase fatidica che precede l'attimo
del varo, nel secondo che separa l'infrangersi della bottiglia di champagne sullo
scafo, allora che questo inizia la sua discesa verso il mare. Ma lo scalo si mosse
solo dopo un'ora di lunghissimi, reiterati sforzi. Un battesimo di malaugurio,
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disse qualcuno vicino a noi. Infatti a distanza di pochi mesi rilevammo gli
avvenimenti che seguirono. La morte inattesa del Ministro, le contestazioni
tra il cantiere e la Tirrenia committente della nave, il fallimento del cantiere e
la sua acquisizione, da parte della GEPI che non eÁ stata peraltro garante
dell'occupazione di molte centinaia di operai, la morte del titolare stesso del
cantiere; tutti episodi che attestano nascosti e maligni influssi. A cui va aggiunta la stessa disastrosa vita della nave. GiaÁ subito dopo l'entrata in servizio,
il «La Valletta» doveva pagare il prezzo delle sue singolari innovazioni tecniche. Tanto da essere costretta ad una lunga serie di «ricoveri » in bacino,
l'ultimo dei quali si eÁ protratto dal 19 gennaio al 18 febbraio scorso.
Certo, ben altro rispetto avrebbe meritato il Gran Maestro e Cavaliere
Jean de La Vallette che guidoÁ l'Ordine di San Giovanni nel grande assedio del
1565 salvando non soltanto Malta ma tutta l'Europa cristiana dal pericolo
saraceno ed al cui nome eÁ intitolata l'unitaÁ.
E ben altra considerazione avrebbe anche meritato l'interscambio tra
Malta e il continente, in crescente aumento e produttivo di benefici effetti
valutari, dal momento che si insiste sulla rotta trisettimanale Reggio-CataniaSiracusa-Malta con lo sfortunato «La Valletta» (2100 tonnellate di stazza, 130
ml di garage) invece che provvedervi con l'unitaÁ adottata, in sostituzione nelle
sue frequenti assenze. E cioeÁ il «Tiziano» (3600 tonnellate, 260 ml di garage)
dalla Tirrenia noleggiato dalle Compagnie Marittime dell'Adriatico. PercheÂ
non servire questa rotta ancora provvisoriamente con il Tiziano in attesa di
una nave dalle stesse caratteristiche che la Tirrenia potrebbe anche far costruire, sicura di un esercizio produttivo? Infatti di fronte alle limitate capacitaÁ di trasporto merci del «La Valletta» (35 autovetture e 13 semirimorchi)
stanno le ben piuÁ larghe e efficienti capacitaÁ delle navi traghetto tipo Tiziano
(80 autovetture o 40 semirimorchi). A parte le numerose interruzioni della
linea, per le frequenti avarie del «La Valletta», le merci dirette a Malta non
riescono a trovar posto perche il volume delle spedizioni supera di molto lo
spazio disponibile nelle stive dell'unitaÁ. Tonnellate di merci, anche deperibili,
restano accatastate, con gravissimo danno e vive proteste degli esportatori,
sulle banchine di Reggio, di Catania e di Siracusa in attesa di ghermire un
imbarco.
Ancora piuÁ catastrofica la situazione per le merci in partenza da Napoli,
conseguenziale alla sostituzione, avvenuta due anni or sono, dal traghetto
Petrarca, in esercizio sulla rotta settimanale Genova-Napoli-Catania-Siracusa-Malta-Tripoli con le cosiddette staffette. Queste che hanno invertito i
due ultimi scali lasciando Malta per ultimo, si trovano nell'impossibilitaÁ, sempre a stive piene, di caricare la merce che da Napoli eÁ diretta a Malta abolendo, il piuÁ delle volte, addirittura lo scalo nell'isola.
Sarebbe opportuno, ed eÁ questa la proposta che vogliamo avanzare al
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riconfermato ministro della Marina Mercantile on. Gioia: che la Tiziano (o
altra similare) rimessa in servizio sulla linea trisettimanale Reggio-Malta potesse, almeno una volta alla settimana, effettuare uno scalo a Napoli.
Questa la terapia, abbastanza facile crediamo, per risolvere in un sol
colpo i problemi di collegamento tra i quattro porti italiani e Malta; problemi
sia attinenti al traffico passeggeri (una unitaÁ del genere eÁ nel mezzo della fin
troppa larga ricettivitaÁ del Petrarca e del «La Valletta» e di quella fin troppo
esigua delle staffette, che dispongono di sole otto cabine) che attinenti al
traffico merci.
Ci auguriamo che queste esigenze che giaÁ a suo tempo ± come i nostri
lettori ricorderanno ± furono da noi direttamente (ed inutilmente) rappresentati all'allora Ministro Coppo, non siano trascurate anche dall'attuale onorevole signor Ministro.
Gennaio-Febbraio 1976
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MALTA E NAPOLI: UNA PAGINA DI STORIA DEL RISORGIMENTO ITALIANO
I GESUITI SCACCIATI COME «ASSASSINI» DA NAPOLI
ACCOLTI E BENEDETTI COME «SERVI DI DIO» A MALTA
Ma non a tutti gradita la nuova «pesante importazione»: contrasti e polemiche dividono
l'opinione pubblica. ± Tuttavia l'Isola eÁ sempre il punto di approdo degli esuli «reazionari»
o «liberali». ± L'arrivo del «Peloro» con 238 disertori napoletani e la «spaventata» pastorale del Vescovo Sant.
Non c'era discriminazione: secolari o religiosi, reazionari o liberali, conservatori o progressisti, Malta aveva cosõÁ gran braccia e tanta cordiale ospitalitaÁ da accoglierli tutti. Nelle tumultuose vicende politiche che caratterizzarono la prima metaÁ del secolo scorso furono molti, di ogni abito e tendenza, a
ricorrere alla ormai tradizionale ospitalitaÁ dell'isola.
Significativo il trasferimento a Malta di un folto gruppo di gesuiti, seguito
a uno dei tanti episodi di persecuzione di cui eÁ fitta la storia della Compagnia.
Nelle prime ore del mattino del 17 marzo 1848, dopo due giorni di
navigazione, erano giunti infatti, con il Vesuvio, quarantanove gesuiti espulsi
da Napoli. Nel gruppo si notavano i letterati Carlo Maria Curci, Ruggiero
Leoncavallo, Matteo Liberatore e il famoso predicatore Angelo Zuliani. Questo
fu il primo numeroso gruppo di esuli ad arrivare ed a stabilirsi a Malta: s'impose
percioÁ vivamente all'attenzione dell'autoritaÁ politica in Malta e a Londra, e
portoÁ anche ad una prima manifestazione di rapporti fra il Governatore O'Ferrall, gli esuli e la popolazione locale. Ci preme quindi seguire i fatti che accompagnarono lo sbarco degli esuli Gesuiti nell'isola.
Il 9 marzo 1848 una dimostrazione ostile ai Gesuiti era stata promossa
dai radicali in Napoli. In quell'occasione il Presidente del Consiglio dei Ministri, Principe di Cariati, placoÁ la folla, tumultuante di fronte al collegio dei
Gesuiti della Capitale. Qualche giorno dopo il Principe di Cariati informava
l'agente Ministro inglese, Napier, che i Gesuiti avevano espresso il desiderio
di recarsi nell'isola di Malta, e lo pregava d'avvertire il Governatore Inglese
in quell'isola allo scopo di assicurarne la cooperazione. Sbarcando a Malta il
17 marzo, i Gesuiti recavano una lettera in cui Lord Napier spiegava al
32
Governatore dell'Isola O'Ferrall, con la tipica franchezza, le ragioni del loro
esilio.
«Il Governo Napoletano, cedendo ad un clamore di popolo, ha acconsentito
all'espulsione dei Gesuiti da questa capitale. Il loro bando, mascherato sotto il
pretesto di una partenza volontaria, eÁ stato accompagnato da circostanze di peculiari tribolazioni, e nell'attuale stato del sentimento pubblico, sarebbe imprudente
da parte loro rifugiarsi in qualcuno dei vicini Stati d'Italia. In queste circostanze il
Governo di Sua MaestaÁ Siciliano ha deciso di trasferire i membri di quest'ordine
perseguitato a Malta, nella speranza che essi trovino sotto la Vostra AutoritaÁ
quell'asilo che non eÁ mai negato dal Governo di Sua MaestaÁ ai rifugiati politici
di qualsiasi classe o colore.
Sono stato assicurato che l'Ordine dei Gesuiti non eÁ generalmente apprezzato
a Malta, e mi rendo conto che un aumento cosõÁ forte del loro numero non sarebbe
in tutti i sensi desiderabile, ma sento di deviare dai principi di una imparziale
tolleranza che distinguono il Governo di Sua MaestaÁ qualora non dessi loro le
abituali facilitazioni di passaporto e non li raccomandassi alla protezione e ai
servizi di Vostra Eccellenza».
3000 ducati per sparpagliarsi
Lord Napier aggiungeva inoltre che il Governo Napoletano aveva messo a
disposizione dei Gesuiti il vapore Vesuvius e una somma di 2.000 ducati, ed
avrebbe inviato al Console Napoletano in Malta, qualora occorresse, una somma
addizionale di 1.000 ducati; accluse infine un elenco degli esuli a bordo del
Vesuvius, aggiungendo di credere fosse «la loro intenzione di sparpagliarsi e ritornare a seconda delle occasioni ai vari luoghi di nascita e di pristina residenza».
Il governatore O'Ferrall si diede subito da fare. IncaricoÁ un alto ufficiale
del Governo di concertare, insieme con l'Arcivescovo dell'isola e con il Console Napoletano, il miglior modo per dare ospitalitaÁ ai nuovi arrivati. L'arcivescovo mise a loro disposizione il vecchio convento di San Calcedonio, alla
Floriana e il Governo fornõÁ loro i letti provvisti di tutto l'occorrente.
Scrive a tal proposito il P. Carlo Maria Curci nel suo libro sulla «Cacciata
dei PP. Gesuiti da Napoli» che appena il piroscafo Vesuvio, gettoÁ le ancore nel
porto di Malta tutti ad un affetto, ad una cordialitaÁ che quasi parea frutto di antica
amicizia aggiungeano un sincero proferrirci case, mobili, abiti, biancheria tutto di
che potessimo aver bisogno; ed ognuno puoÁ leggermente immaginare quanto ci
dovessino tornare accette quelle significazioni di amore in terra forestiera: a noi
che ci vedevamo quasi reietti dalla patria nostra»... «Ci accorgemmo allora ai fatti
che quella ospitalitaÁ dei maltesi usata verso S. Paolo naufrago al loro lido, e della
quale sono lodati negli Atti apostolici, non eÁ smentita dopo tanti secoli dai tardi
loro nepoti, anzi vigoreggia rigogliosa come la Fede che l'Apostolo stessi vi evan33
gelizzoÁ per tre mesi. Ma deh! che sono eglino mai codesti Gesuiti cacciati di una
cittaÁ peggio che gli scherani e gli assassini; accolti e benedetti come servi di Dio in
un'altra? Osserva che gli cacciava come assassini da Napoli, che gli accoglieva
come servi di Dio in Malta».
Non tutti erano d'accordo. Diventata quartier generale dei gesuiti fuggitivi, Malta saraÁ perduta per l'Inghilterra. CosõÁ scriveva «Il Mediterraneo». Gli
rispondeva, qualche tempo dopo, il Padre Curci, nel suo libro, ricordando che
«matti e tristi ce n'eÁ a Malta come altrove».
Il 25 maggio il vapore francese Pluton arrivoÁ a Malta, da Napoli, con a
bordo otto profughi gravemente compromessi nei moti calabresi; Ricciardi, De
Lieto, Romeo e Plutino erano membri del Parlamento napoletano: Connade,
Amodei, Miletti e Torricelli, che «per motivi di umanitaÁ» li aveva accolti sulla
nave, si era rifiutato di sbarcarli in Sicilia o in Calabria, come essi avevano
richiesto, «in considerazione del principio di neutralitaÁ nelle discussioni interne di
una potenza amica». Sollecitato dal console francese il Governatore, per non
urtare lo stesso Baudin che li aveva raccomandati anche al vice ammiraglio Sir
William Parer, accordoÁ ai fuggiaschi il permesso di scendere a terra, ma non
volle concedere loro i passaporti per la Sicilia, tanto piuÁ che il conte Ricciardi
«aveva opposto un energico rifiuto alla richiesta che gli era stata rivolta di dare
assicurazione che in Sicilia non avrebbe combattuto contro il Re di Napoli».
Il 3 giugno la nave sarda Ichnusa trasportoÁ a Malta un personaggio di
sangue reale: Ferdinando Carlo di Borbone, unico figlio del duca di Parma.
Caduto nelle mani dei soldati di Carlo Alberto nel corso di una guerriglia, il
Principe era stato imprigionato a Milano e poscia liberato per intercessione
dell'ambasciatore inglese a Torino. Nell'isola, dove soggiornoÁ fino alla metaÁ di
agosto, prese alloggio al Dunsfor's Hotel sotto il nome di Carlo Castiglione.
Le «pesanti importazioni»
Il 7 marzo, dalla speronara siciliana Addolorata proveniente da Noto, sbarcarono undici gesuiti cacciati dalla Sicilia perche promotori di un complotto
mirante a rovesciare il governo provvisorio. Nel farne notizia il Malta Mail
affermoÁ che «era giunto il momento di porre termine a tali pesanti importazioni».
La disfatta dell'esercito sardo e la caduta di Messina, ripresa in settembre
dalle truppe borboniche, cagionarono a Malta confusione e timori.
I profughi realisti, incoraggiati dalla mutata piega degli eventi, si erano
affrettati a far ritorno in patria: Pietro Paolo Campobasso era partito alla fine
di luglio con il Leonidas; il marchese Santangelo e il fratello avevano preso
imbarco il 2 settembre sul Tancredi. L'ultimo ad accomiatarsi dall'Isola fu
monsignor Cocle, che richiamato dal Re di Napoli si allontanoÁ il 22 settembre
a bordo del Mentor.
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Incroci di arrivi e partenze
Nel frattempo incominciavano a giungere i profughi rivoluzionari. Il 13
settembre la nave inglese Bulldog trasportoÁ a Malta numerosi ex difensori di
Messina, fra cui B. Onofrio, S. Agresta, S. Giunta, Paolo Fabrizi e Salvatore
Fatta. Due giorni dopo sostava in porto il vapore francese Mentor con a bordo
52 messinesi diretti a Palermo.
Arrivi e partenze si incrociavano poiche i fuggiaschi, superato l'immediato senso di smarrimento, accorrevano nuovamente in aiuto dei combattenti. CosõÁ si diressero a Palermo: Diego Arangio, A. Asgro e V. Giudice con
il brigantino Concettina; S. Ralli con il Ripon; Paolo Fabrizi, Salvatore Fatta,
V. Mazzarese e il maltese A.V. Naudie con la barca S. Liberata.
Con la caduta di Catania e la «resa vergognosa» di Siracusa si inizioÁ l'esodo
in massa dei Siciliani che a Malta, secondo il Mediterraneo, raggiunsero il
numero di 2.800.
Bertolo Wiercinski e il suo stato maggiore furono i primi ad arrivare a
Malta (il 10 aprile), trasportati dalla nave Bulldog. E senza perdere tempo il
comandante in capo della fortezza di Siracusa scaglioÁ i suoi fulmini contro gli
uomini del governo provvisorio ± principalmente ± contro Stabile e il La
Farina ± da lui accusati di inadempienze contrattuali.
Il 19 aprile, dal vapore IndeÂpendant proveniente da Palermo, sbarcarono
parecchi nobili siciliani e molti membri del Parlamento «oppressi dalle vessazioni del Governo provvisorio». Vi erano fra essi: il Duca della Verdura, G. La
Masa, A.F. Salvo.
Numerosi altri esuli giungevano con imbarcazioni varie e con piccoli
mezzi di fortuna. Fra i naufraghi del Rhamses, raccolti dall'Odin, vi erano gli
ex ministri Principe di Butera Scordia, Mariano Stabile e il presidente della
Camera dei deputati, Marchese di Torrearsa.
L'arrivo di Ruggero Settimo suscitoÁ un'ondata di commozione. L'ex Presidente del governo provvisorio, che per la sua rettitudine si era meritato il
titolo di Washington di Sicilia, sbarcoÁ a Malta il 29 aprile dal vapore Bulldog,
messo a sua disposizione dall'autoritaÁ britanniche. Lo accompagnavano il cav.
Ascenso di S. Rosalia Pietro D'Alessandro, giaÁ capo dipartimento al Ministero
degli Affari Esteri. Il Portafoglio Maltese ci descrive lo sbarco del patriota
palermitano: «La scialuppa del vapore condusse l'illustre Emigrato fino al molo
della Dogana, ove eransi portati ad incontrarlo molti prolughi siciliani qui giunti
prima. Costoro, al mettere pieÁ in terra il loro antico Capo, si erano rispettosamente
scoperti e, commosso da tale attestato di stima verso la sua persona, Ruggero
Settimo esclamoÁ. «infelici siciliani!»
Il 16 maggio 1849 entroÁ nel porto di Malta il vapore Peloro, scortato dalla
nave da guerra Archimede.
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Partito da Palermo due giorni prima il Peloro aveva a bordo 238 profughi,
quasi tutti disertori napoletani e rivoluzionari siciliani. Fra i piuÁ noti: Onofrio
Positano, Luigi Bitonti Francesco Villena, Rosario Agresti, Salvatore Surrentino, Antonino Pugliesi, Francesco Basile, Giuseppe Giorgetti, Giovanni Corrao, Filippo Minutilli, Antonino Musso, Michele Rodigiano e quattro dei
quarantatre siciliani esclusi dall'amnistia; il settantenne generale Gerlando
Bianchini, il sac. Ragona, Francesco Gioeni e Stefano Seidita. Ad alcuni di
loro O'Ferrall concesse il permesso di sbarco; agli altri ordinoÁ di rimanere sulla
nave in attesa di ulteriori disposizioni.
O'Ferral detesta i napoletani
Indulgente con i Siciliani, il Governatore detestava i Napoletani. «Non vi
eÁ difficoltaÁ a ricevere le quattro persone escluse dall'amnistia, che sono pronte a
dare le garanzie richieste dalla legge ± scriveva a Lord Grey il 17 maggio ± ma eÁ
molto difficile fare delle concessioni a degli individui per i quali non vi puoÁ essere
simpatia perche hanno disertato la bandiera del loro paese, rendendosi indegni di
vivere fra gli uomini onesti. I quattro siciliani sono esclusi dalla amnistia per il
nome; i disertori napoletani ne sono esclusi per i loro crimini... Non vi eÁ scelta per
uomini che si trovano nella posizione di disertori; ad essi non si puoÁ permettere di
sbarcare nell'Isola, neppure se offrono le garanzie prescritte dai regolamenti...
Siccome il Console napoletano aveva dichiarato di non poter prendere
alcuna iniziativa in merito ai profughi, perche privo di istruzioni da parte del
suo governo, O'Ferrall si mise in diretto contatto con il Principe di Satriano.
Facendo affidamento sulla amnistia accordata da Re Ferdinando per «tutti i
reati comuni di qualunque natura», il 17 maggio il Governatore indirizzava al
Filangieri la seguente lettera: « Signore, eÁ arrivato ieri in questo porto il Peloro,
battente bandiera napoletana e scortato dalla nave da guerra Archimede, con a
bordo un considerevole numero di disertori. Penso che soltanto per motivi di
umanitaÁ V.E. abbia permesso al Peloro di raggiungere Malta con i sudditi di
S.M. il Re delle Due Sicilie, e nell'ansioso desiderio di assecondare le benevoli
vedute di V.E. ho concesso ai profughi di rimanere nel Lazzaretto di questa Isola, o
a bordo del Peloro, fino al momento in cui riceveroÁ una risposta alla presente
comunicazione. V.E. non puoÁ ignorare che numerose persone, in circostanze critiche, non possono ottenere residenza o sostentamento in questa Isola; la loro ammissione eÁ temporanea e da me intesa come segno di rispetto verso V.E. sia per
avere il tempo di rivolgere un appello alla generositaÁ di V.E. nella speranza che
l'amnistia cosõÁ generosamente concessa ai siciliani sia allargata anche agli uomini
traviati giunti con il Peloro, dandomi la possibilitaÁ di farli ritornare nelle loro terre
sotto la garanzia di V..».
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Gli eretici della Regina Vittoria
Ma in un momento saturo di passioni, in un momento cioeÁ in cui l'indulgenza poteva essere considerata una specie di tolleranza o di pericolosa impunitaÁ, l'appello non giunse gradito alle autoritaÁ napoletane. Nella sua risposta
inviata al Governatore il 24 maggio tramite un ufficiale britannico, il Principe
di Satriano asseriva che i disertori, «condannati a morte dai codici militari di
tutte le nazioni e di tutti i tempi», erano esclusi dall'amnistia e che se li avesse
incontrati in una parte qualunque del Regno delle Due Sicilie non avrebbe
esitato a consegnarli a una corte marziale. «A nome dell'umanitaÁ» pregava
quindi O'Ferrall di risparmiargli l'«immensa pena» di compiere «un dovere cosõÁ
terribile» e di mandare fuggiaschi in Egitto, in Algeria o in un altro luogo dove
fosse loro concesso di sbarcare.
L'arrivo dei napoletani aveva allarmato anche le autoritaÁ ecelesiastiche.
Nella pastorale del 23 maggio, letta e commentata in tutte le chiese, il Vescovo
di Malta, Sant, aveva definito gli esuli «nemici della Fede santissima, della
morale, della sana politica, della veritaÁ»; e condannato aspramente la loro azione: «Dessa eÁ l'eresia disgiunta o accoppiata alla piuÁ vile e svergognata apostasia; eÁ il
furore diabolico delle sette congiurate contro Cristo e le sue chiese... EÁ finalmente
la foja rabbiosa di rompere ogni freno di legge... foja sistemata dal socialismo,
propagata da facinorosi ed insinuata come veleno pestifero nei popoli sotto i titoli
mendaci di libertaÁ, fraternitaÁ ed uguaglianza».
Contro la pastorale, «letta e commentata nelle chiese di Malta» il Mediterraneo si scaglioÁ con prontezza e risolutezza. Il 6 giugno pubblicoÁ una lettera in cui
l'autore, firmatosi «Un Maltese», affermava di averla trovata «cosa interessantissima» e «singolare documento di caritaÁ», ma pregava l'autore di essa di sciogliergli
«una questione» che gli agitava lo spirito, e cioeÁ come si potesse «non avere
nessuna comunicazione cogli eretici», per stare ai dettami della Pastorale, se «la
Regina Vittoria e il suo governo stabilito da cinquant'anni in queste isole» erano
eretici e se era «la sudditanza civile... una comunicazione la piuÁ perfetta».
E successivamente sempre «Il Mediterraneo» definiva la pastorale del
Vescovo «un documento affatto nuovo nel suo genere, spirante da per tutto
fanatismo, odio, intolleranza».
CosõÁ, estremamente vivace e profondamente divisa era l'opinione pubblica a Malta nei confronti del Risorgimento Italiano e degli esuli in particolare, e quindi nei confronti del comportamento di O'Ferral verso questi ultimi.
Nel momento in cui, per il ristabilirsi dei governi assoluti dopo l'effimero
successo dei moti quarantotteschi, grandi masse di italiani battevano le vie
dell'esilio, arrivando anche ai lidi di Malta.
Gennaio-Febbraio 1976
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SENSIBILE IL MINISTRO DELLA MARINA MERCANTILE
ALLE SEGNALAZIONI DI MALTANAPOLI
UN GRAZIE A GIOIA E UN APPELLO A DRAGO
Il «La Valletta» saraÁ sostituito da un nuovo traghetto di cui la Tirrenia sta trattando
l'acquisto ± Perche non intitolarlo a Mattia Preti?
La questione dei collegamenti tra Malta e i porti italiani sembra finalmente in via di soluzione.
Il richiamo da noi fatto nel numero precedente sulla esigenza di adeguare
le linee marittime della Tirrenia alle necessitaÁ di traffico passeggieri e merci (in
particolare con la sostituzione della nave traghetto «La Valletta» in servizio
sulla rotta Reggio-Siracusa-Catania-Malta e con il potenziamento della linea
Napoli-Malta) ha avuto vasta eco nella stampa quotidiana, specie siciliana, ed
immediato, favorevole riscontro da parte del Ministro della Marina Mercantile, on. Giovanni Gioia, al quale avevamo rivolto un diretto appello.
Ci scrive, infatti, testualmente il Ministro Gioia: «Per quanto attiene «al
prospettato reimpiego sulla linea 19 (Reggio Calabria-Catania-Siracusa-Malta)
del m/t «Tiziano», di cui eÁ cenno nel Suo articolo, devo precisarLe che la ``Tirrenia'' ha temporaneamente noleggiato detta unitaÁ della societa ``Linee Marittime dell'Adriatico'' per sostituire sulla linea in questione il m/t ``La Valletta''
sottoposto recentemente a lavori. Pertanto, ultimati i lavori, il m/t ``La Valletta''
eÁ stato reimmesso in servizio mentre il m/t ``Tiziano'', scaduto il contratto di
noleggio, eÁ stato restituito al settore sovvenzionato del Medio Adriatico dal quale
era stato eccezionalmente distolto. Le faccio presente peraltro che, proprio per
venire incontro alle esigenze rappresentate dagli ambienti locali interessati, eÁ
stata giaÁ programmata la sostituzione del m/t ``La Valletta'' sulla linea 19 e la
SocietaÁ ``Tirrenia'' eÁ stata invitata a reperire un altro adeguato traghetto che
meglio corrisponda alle accresciute correnti di traffico da e per Malta. Il problema della sostituzione, sulla base delle proposte ora avanzate dalla ``Tirrenia'',
eÁ in corso di attento esame al fine di reperire la soluzione piuÁ idonea».
Fin qui per quanto concerne la richiesta sostituzione del «La Valletta»; un
problema la cui urgenza abbiamo sempre messo in rilievo e che in veritaÁ non
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ammetteva dilazioni. L'interessamento del Ministro si eÁ esteso anche al potenziamento, della linea diretta Napoli-Malta. Ci scrive, infatti, ancora il
Ministro: «In merito all'insufficienza dei collegamenti con Malta ± pure segnalata nel Suo articolo sulla linea 10 (Genova-Napoli-Catania-Siracusa-MaltaTripoli), svolta da traghetti tipo «Staffetta», Le comunico che anche per tale
settore di traffico eÁ previsto un potenziamento: sulla linea, infatti, saraÁ impiegato un ulteriore traghetto tutto merci, che dovraÁ essere, non appena possibile, acquisito dalla SocietaÁ ``Tirrenia''».
A questo punto non possiamo non dare atto al Ministro di avere affrontato, con una sensibilitaÁ che non eÁ di tutti gli uomini di governo, la soluzione
di un problema che interessa migliaia di operatori economici e involge interessi
di occupazione e della bilancia export-import da e per Malta.
Uno schietto ringraziamento, quindi, al Ministro Gioia non solo per la
sua vigile e pronta adesione alle esigenze delle categorie interessate ma, vorraÁ
consentirci la cordiale annotazione, anche per l'attenzione che ha voluto riservare al nostro giornale.
A conferma della sinceritaÁ di proposito e di impegno del governo e della
«Tirrenia» rileviamo con piacere che questa societaÁ di navigazione ha giaÁ in
corso avviate trattative per l'acquisto, da una societaÁ danese, di una nave
traghetto di ben 2500 tonnellate che dovraÁ sostituire l'ormai giubilata (e
scalognata) nave «La Valletta». Tale unitaÁ, cosõÁ come da noi sempre auspicato,
effettuerebbe uno scalo settimanale a Napoli e due a Reggio.
A tal proposito, con l'augurio che l'acquisto venga rapidamente perfezionato, vorremmo lanciare una proposta al solerte Amministratore Delegato e
Direttore Generale della Tirrenia, dott. Giuseppe Drago, della cui amicizia ci
onoriamo, perche nel dare un nome alla nuova unitaÁ che sostituiraÁ il «La Valletta»
non trascuri l'occasione di ricordare un Maestro della pittura del '600 che proprio
da Napoli, nel 1660, si trasferõÁ a Malta e per quarant'anni vi lavoroÁ, affrescando
chiese e cattedrali, coadiuvato da una schiera di allievi (una vera e propria scuola)
dipingendo quadri che dall'isola partivano per l'Europa. Vogliamo dire Mattia
Preti. Il pittore che nell'essere accolto tra i cavalieri di grazia dell'Ordine di S.
Giovanni, vedeva confermate la pietaÁ religiosa della lontana infanzia borghese
nella natia Taverna, in Calabria, e la fama che gli veniva dai suoi affreschi e dalle
sue tele, oggi contese dai maggiori musei del mondo. Un nome luminoso. Un
nome, quello del Cavaliere Calabrese di cui l'Italia e Malta sono fiere: una per
avergli dato i natali, l'altra per custodirne gelosamente le spoglie. Un nome che se
impresso sulla prua della nuova unitaÁ costituirebbe attestazione e conferma di
una amicizia che ha le sue radici nel passato delle due nazioni cosõÁ vicine sempre
nello spirito e nella cultura di nazioni del Mediterraneo.
Marzo-Aprile 1976
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QUANTO AL NOME, HA VINTO IL MARKETING!
DA NAPOLI IL 22 LUGLIO IL VIAGGIO INAUGURALE
DEL NUOVO TRAGHETTO «MALTA EXPRESS»
L'unitaÁ acquistata dalla Tirrenia in sostituzione de «La Vallella» sulla linea trisettimanale
Reggio-Catania-Siracusa-Malta faraÁ scalo ogni giovedõÁ anche a Napoli ± Una dichiarazione
dell'Ambasciatore d'Italia a Malta Eric da Rin
L'appuntamento con Malta eÁ il 23 luglio prossimo. Nel porto de la Valletta giungeraÁ il Malta Express. Sostituisce il non vecchio ma tanto sfortunato
traghetto La Valletta le cui disavventure sono ben note ai nostri lettori. Il
Malta Express eÁ la nuova unitaÁ che la Tirrenia ha acquistato e che il 22 luglio
prossimo partiraÁ da Napoli per il suo viaggio inaugurale.
Non possiamo non rinnovare al Ministro della Marina Mercantile Giovanni Gioia il dovuto riconoscimento per la sensibilitaÁ dimostrata con una cosõÁ
pronta adesione alle segnalazioni effettuate da MaltaNapoli; adesione che fu
prontamente manifestata in una cordiale lettera inviataci direttamente dall'On. Gioia e da noi pubblicata sul precedente numero di questo giornale. E
alla Tirrenia ± e al suo riconfermato amministratore delegato Dr. Giuseppe
Drago ± un eguale attestato per avere cosõÁ rapidamente accolte le istanze e le
sollecitazioni provenienti dagli operatori economici e turistici sia italiani che
maltesi per la sostituzione del «La Valletta» con una nave piuÁ nuova ed efficiente.
Peccato, tuttavia, che motivi di «marketing» abbiano spinto la «Tirrenia»
a denominare la nave in maniera diversa da quella che avevamo suggerito. La
nostra proposta era stata di intitolarla a Mattia Preti. Ci sembrava che il nome
del «Cavalier Calabrese», autentico testimone dell'antico rapporto culturale
tra l'Italia e Malta, fosse di cordiale conferma ai sentimenti di amicizia e di
simpatia che intercorrono tra le due nazioni. Ne al nostro suggerimento era
mancato l'autorevole avallo, tra gli altri, di due qualificati esponenti della
cultura italiana e maltese: di Padre Mario Zerafa, direttore del Museo Nazionale di Malta e del Prof. Raffaello Causa, Soprintendente alle Gallerie della
Campania; («Plaudiamo suo felice suggerimento di intitolare nuova nave traghettio
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Mattia Preti, gloria italo-maltese», cosõÁ ci aveva telegrafato l'amico Padre Zerafa).
Ma il «marketing» ha vinto. Non saraÁ quindi il Mattia Preti ma il «Malta
Express» che lasceraÁ Napoli il 22 luglio per ristabilire il collegamento diretto,
da oltre due anni interrotto, tra la cittaÁ partenopea e lo «ombelico» del Mediterraneo.
Il Malta Express ha le seguenti caratteristiche: lunghezza mt. 115; stazza
lorda: tonn. 3939; velocitaÁ: nodi 19; capacitaÁ di trasporto: 1000 passeggeri e
235 autovetture o, in alternativa, 40 automezzi pesanti.
La nuova unitaÁ effettueraÁ due volte alla settimana il collegamento ReggioCatania-Siracusa-Malta. Una volta alla settimana lo stesso collegamento ma
con partenza da Napoli. SaraÁ cosõÁ ovviato l'isolamento dello scalo di Napoli da
questa importante rotta mediterranea.
Maggio-Giugno-Luglio 1976
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SUCCESSO DI UN CONVEGNO A MALTA
VERSO LA FEDERAZIONE DELLE CAMERE
DI COMMERCIO ARABE MISTE
Un convegno quanto mai riuscito ad ogni livello. Merito di Adrian Busietta, Presidente della Camera di Commercio maltese-araba oltre che dell'ente
commerciale di Malta. Aria di casa, per una ospitalitaÁ cordialissima, per componenti delle numerose degazioni: dalla sovietica all'americana, dalla polacca
alla greca, dalla britannica alla ungherese dalla tedesca alla slava, dalla turca
alla bulgara, dalla ceca all'italiana, alla siriana e cosõÁ via. Quattro giorni di
fruttifere riunioni, in gran parte presiedute dal dottor Burhan Dejani, dal
1951 Segretario Generale dell'Unione delle Camere di Commercio Industria
e Agricoltura dei Paesi Arabi e docente di economia nell'UniversitaÁ americana
di Beirut.
Gran parte del merito di un cosõÁ riuscito convegno va annotata anche per
Mr. Mohamed Burshan, Vicepresidente della camera di commercio maltesearaba e General Manager della Compagnia Nazionale di investimento libica e
per Mr. Mustafa Lamir, Mr. Joseph Micallef, Mr. Joseph Runza, tutti della
Camera di Commercio maltese.
Il convegno che segue quello di Abu Dhabi del 1973 e di Alessandria di
Egitto del maggio scorso ha avuto un rilevante merito. Quello di avviare,
anche in base alle risultanze dei precedenti incontri, un nuovo discorso programmatico. Fatto di traguardi ben precisi ed a breve termine per una regolamentazione piuÁ efficiente delle Camere e, quindi, per la costituzione di un
super-organismo. In seno al quale possono dibattersi tutti i problemi e tutti gli
argomenti di interesse comune alle Camere costituitesi man mano nei singoli
Stati per l'incentivazione dei rapporti commerciali con i Paesi Arabi.
Ma cosa sono, si potraÁ domandare il lettore, queste camere miste-arabe?
Diremo innanzitutto che sono le uniche ad essere riconosciute dalla Lega degli
Stati Arabi (cui aderiscono, com'eÁ ben noto, 21 Paesi: Algeria, Arabia Saudita,
Bahrein, Emirati Arabi, Egitto, Giordania, Yemen del Nord, Yemen del Sud,
Iraq, Libano, Libia, Marocco, Mauritania, Oman, Palestina, Qatar, Queit,
Siria, Somalia, Sudan, Tunisia). Queste Camere sono le uniche legittimate
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dalla Lega Araba alla vidimazione dei certificati di origine e di tutti quei
documenti connessi all'esportazione di merce verso questi Stati ed a riscuoterne i diritti di verifica e di registrazione (adempimenti, questi, solitamente
assolti dalle Sezioni Commerciali dei Consolati o delle Ambasciate dello Stato
verso il quale il bene esportato eÁ diretto); le uniche che, per il loro statuto,
sono costituite da un consiglio paritetico, composto da un numero di membri
di nazionalitaÁ araba pari a quello di nazionalitaÁ dello Stato nel quale la Camera
agisce.
Ad esempio la Camera di Commercio Italo Araba, con sede a Roma
(costituita nel 1972, rappresenta una nuova struttura operativa per il potenziamento dell'interscambio; 700 soci tra i quali figurano le piuÁ grosse aziende
italiane ed importanti istituti di credito e noti operatori economici; uffici a
Milano ed a Napoli) eÁ disciplinata da uno statuto che prevede un Consiglio di
amministrazione di 16 membri (otto di nazionalitaÁ italiana ed altrettanti di
appartenenza ai Paesi Arabi fra cui la Pirelli, il Banco di Napoli, il Monte dei
Paschi di Siena, la Banca Nazionale dell'Agricoltura; le Camere di commercio
del Cairo, di Gedda, di Tripoli, di Damasco, del Kuwait; la Federazione delle
Camere di Commercio giordane e quella delle irachene; la Compagnia Aerea
egiziana, l'Unione delle Banche arabe ed Europee; l'Unione delle Camere di
Commercio dei Paesi Arabi). Tra i membri del detto Consiglio viene a sua
volta eletto il Comitato Direttivo (costituito da otto membri, quattro italiani e
quattro arabi, tra i quali il Presidente sempre di nazionalitaÁ italiana e due Vice
Presidenti uno italiano e l'altro arabo).
In un momento, come quello attuale, nel quale la proliferazione ± e non
solo nelle cittaÁ italiane ± di organismi che rivestendo varie forme di Camere di
Commercio con i Paesi Arabi, ingenerano. equivoci e creano confusioni con le
Camere riconosciute dalla Lega, non si puoÁ che guardare con estremo interesse
alla costituzione di una Federazione che sovraintenda allo sviluppo ed alla
difesa delle Camere miste-arabe e ne coordini meglio i rapporti sia tra di esse
medesime sia tra gli Stati nei quali rispettivamente operano ed i Paesi Arabi.
La risoluzione finale, pur approvata a larghissima maggioranza, con la
quale ciascuna Camera dovraÁ formulare le proprie considerazioni e proporre
utili suggerimenti su alcuni punti basilari per la costituzione del super-organismo (come la scelta della sede permanente, la formazione di alcune sue strutture, il finanziamento dell'ente ecc.) trova indubbio ostacolo di natura prettamente politica sia tra stati dello stesso mondo arabo sia tra stati appartenenti
a «blocchi» diversi.
Se peroÁ si vogliano assolvere, con proficuitaÁ, gli scopi statutari delle
singole camere arabo-miste ± che certamente non sono e non dovrebbero essere politici ± occorre avere la forza ± e non eÁ facile, lo riconosciamo ± di mettere
a parte i risvolti politici (e polemici) tra i rappresentanti delle diverse (o delle
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stesse) Camere e di soffocare le «camarille» che non di rado sorgono all'interno
di una stessa Camera sino a paralizzarne l'efficienza e lo sviluppo.
Non ha senso, ad esempio, che al Convegno di Malta sia seguito, di pochi
giorni, quello di Parigi al quale hanno partecipato alcune Camere miste assenti
(volutamente?) al «meeting» recentemente celebratosi nell'isola mediterranea.
Questi fatti vanno coraggiosamente stigmatizzati per evitarne la ripetizione
certamente pregiudizievole agli interessi di una causa nella quale crediamo ed
alla quale partecipiamo con il nostro impegno.
Non a caso, a Malta, chi scrive ± onorandosi di far parte della delegazione
della Camera italo-araba anche nella qualitaÁ di componente il direttivo di
quest'ultima ± fu il solo a rilevare, tra l'altro, a chiare lettere, che la scelta
della sede permanente della costituenda Federazione deve travalicare interessi
di parte e cadere su di un Paese geograficamente e politicamente equidistante:
in uno Stato cioeÁ possibilmente al di fuori di una gravitazione fortemente
occidentale, od araba. Ed aggiunse ± non certamente per puro sentimentalismo ± che uno di questi Paesi, proprio perche riveste tali requisiti, potrebbe
essere appunto Malta.
L'assenso a tale proposta gli parve convinto e sincero: un favorevole
auspicio per le migliori fortune delle Camere.
Novembre-Dicembre 1976
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SVOLTA STORICA A MALTA
31 MARZO 1979: APPUNTAMENTO COL DESTINO
CosõÁ chiamano la data del 31 marzo 1979 il governo e il popolo di Malta.
In effetti, si tratta di una data storica, pregna di conseguenze per Malta, e non
solo per essa.
Si conclude in quella data un arco di tempo lungo esattamente 179 anni.
Gli inglesi erano sbarcati a Malta nel settembre 1800. GiaÁ da tempo le
monarchie egemoni in Europa ± Inghilterra, Francia, Russia zarista ± gettavano avidi sguardi sulle isole mediterranee. Al momento opportuno l'Inghilterra occupoÁ Malta. Pare che l'idea determinante fosse di Orazio Nelson, che
inseguiva il grande Napoleone in terra d'Egitto. Le truppe britanniche misero
piede a Malta in nome del Re di Napoli, tornato ad essere sovrano dell'isola in
seguito alla capitolazione dell'Ordine dei Giovanniti. Ma Napoli non aveva
alcuna possibilitaÁ di intralciare i piani dell'astuta Albione!
Per Malta ricominciarono le ostilitaÁ franco-britanniche dopo il trattato di
Amiens del marzo 1802. Anche per sistemare la questione di Malta si riunirono a Parigi i potentati europei per firmare poi un trattato di pace nel 1814,
che legittimoÁ la sovranitaÁ inglese sull'isola.
«Che cosa eÁ Malta? EÁ una fortezza e un porto, eÁ un grande arsenale navale
e militare per le nostre navi e le nostre truppe nel Mediterraneo. La teniamo
per conquista e con trattato in seguito a conquista. La teniamo come un importante avamposto, un grande arsenale militare e navale, e niente piuÁ» ± disse
testualmente il Duca di Wellington il 3 maggio 1838.
«Diventa ogni giorno piuÁ necessario che questa colonia sia britannica e
non italiana, e che lo spirito almeno delle leggi britanniche vi sia introdotto,
ed ogni appoggio dato per la diffusione della lingua inglese. Poiche non si puoÁ
pretendere che perdurando in vigore il Codice Napoletano e restando l'italiano lingua nazionale si possano generare o promuovere in quest'isola sentimenti filo-britannici» ± ebbe a scrivere il governatore Sir Frederick Bouverie
al ministro delle Colonie Lord Stanley, il 14 maggio 1842.
Sono due citazioni che illustrano la politica colonialistica e snazionalizzatrice adoperata con perfetta logica di ragion di stato dalla Gran Bretagna a
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Malta. Per oltre un secolo e mezzo. Venne il '48 europeo, e il Risorgimento
italiano, e si ebbero a Malta evidenti aneliti di indipendenza, almeno a livello
culturale. Si organizzarono i partiti politici, con rivendicazioni nazionalistiche. Non tardarono a sorgere altri partiti, appoggiati dalla madrepatria lontana. Sorse in Italia il fascismo, che non pote non interessarsi di Malta, soprattutto nell'ipotesi e nella realtaÁ di un conflitto mondiale. Fu tentata l'occupazione di Malta, fu predisposta l'«Operazione C.3», ma il disinteresse degli
alleati maggiori boccioÁ un'impresa in effetti relativamente facile e sicura. I
bombardamenti servirono a rinsaldare i legami dell'isola con l'Inghilterra.
Tanto che nel dopoguerra si pensoÁ persino di istituzionalizzare tali legami, e il governo laburista commise alla storia una sua proposta di `integrazione' con il Paese lontano al fine di ottenere almeno migliori condizioni di
vita e una certa sicurezza per il popolo maltese rimasto alla deriva. L'illusione
ebbe breve durata. Bisognava ricercare altre soluzioni.
E si arrivoÁ all'indipendenza politica nel settembre 1964. Dieci anni dopo,
quel passo fu perfezionato con la proclamazione della costituzione repubblicana. Ulteriore perfezionamento e definitiva rottura col passato eÁ, appunto, la
data del 31 marzo 1979.
E che succede ora? Hic opus!
Gli inglesi se ne vanno defnitivamente da Malta. Le ripercussioni di questa svolta storica non sono lievi.
EÁ un fatto positivo o negativo? Positivo, a parere di chi scrive. Almeno a
lunga scadenza. Positivo per Malta, che prima o poi doveva svezzarsi dall'antica
madre, per poter camminare da seÂ, scegliendosi la sua strada. Positivo anche per
gli altri, poiche una situazione innaturale non puoÁ continuare ad infinitum.
Che succederaÁ ora?
Il governo maltese propone una politica di non-allineamento, con rapporti
speciali con la Libia e, se possibile, con alcuni Paesi europei, tra cui l'Italia. E
propone anche una politica di austeritaÁ all'interno dell'isola, che non suscita
certo entusiasmi, ma che s'impone per far fronte alle prevedibili difficoltaÁ... di
svezzamento e adolescenza.
Il partito di opposizione propone di intavolare negoziati miranti alla piena
associazione di Malta alla ComunitaÁ Economica Europea, fiducioso che interessi ad ambedue le parti sistemare definitivamente l'avvenire politico ed
economico di questo estremo lembo geografico d'Europa, scongiurando inutili
rischi per tutti.
Intanto la storia cammina, per merito di Dom Mintoff. Gli inglesi se ne
vanno. La scadenza del 31 marzo eÁ stata rispettata. Malta, ora, eÁ libera, e sola.
Occidente, se ci sei, batti un colpo!
Gennaio-Marzo 1979
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MA DOM MINTOFF AVEVA TORTO O RAGIONE?
L'ITALIA LASCIA, GHEDDAFI RADDOPPIA
Dopo cinque anni di assenza il Colonnello ritorna a Malta come tutore e garante della
neutralitaÁ dell'isola Al di fuori di ogni giudizio politico resta il fatto che la Libia si attesta
nel centro del Mediterraneo a soli 110 chilometri dall'ltalia, con rischi imprevedibili
Questo giornale, che assolve da anni, in assoluta indipendenza e apoliticitaÁ, la prevalente funzione di contribuire allo sviluppo dei buoni rapporti fra
Malta e l'Italia, non puoÁ sottrarsi alle aspettative dei suoi lettori di conoscere
piuÁ a fondo gli avvenimenti che hanno recentemente caratterizzato tali rapporti.
Per adiempiervi, ritiene opportuno riportare testualmente tre articoli
apparsi lo scorso dicembre su tre giornali italiani di diversa estrazione politica.
Essi recano le prestigiose firme dell'Ambasciatore Roberto Gaja (Il Tempo), di
Roberto Fabiani (L'Espresso) e di Ernesto Galli della Loggia (Europeo).
Da questi scritti emerge una concorde risultanza: l'accordo stipulato tra
Malta e l'Italia nel 1980 andava salvato, e onorato, anche a costo di qualche
ulteriore sacrificio da parte italiana.
Quando si tien conto che l'Italia, in un lodevole slancio di umana generositaÁ, si eÁ posta all'attenzione del mondo stanziando in due anni ben settemila
miliardi a favore dei Paesi sottosviluppati o in via di sviluppo (Craxi nella sua
recente visita in Tunisia ha elevato da 20 a 50 miliardi il contributo italiano
contro la desertificazione e per l'agricoltura di quel Paese, e da 50 a 150 milioni
di dollari lo stanziamento di crediti agevolati), eÁ facile convenire che si poteva
far lievitare il contributo italiano a favore di Malta, determinato dall'accordo
del 1980 in 16 milioni di dollari all'anno, pari a circa 30 miliardi di lire.
Tale contributo, prima ancora che se ne facesse interprete Dom Mintoff,
con modi forse non sempre graditi alla Farnesina, rappresentava una boccata
d'ossigeno per l'Isola di Malta, la quale, se pur non eÁ in condizioni di estremo
bisogno, attraversa peroÁ un momento difficile di trapasso da una economia
asservita alle esigenze di una potenza egemone ad un'economia industriale,
moderna, relativamente autosufficiente.
47
Che una soluzione della crisi nei rapporti italomaltesi sia ancora possibile
e auspicabile traspare anche dall'intervista rilasciata in questi giorni dal nuovo
Primo ministro di Malta, Carmelo Mifsud Bonnici, succeduto il 22 dicembre
scorso a Dom Mintoff, intervista che qui appresso si riporta: Craxi eÁ sempre il
benvenuto fra noi ha detto il neo-Premier maltese ±. Siamo sulla via giusta e
stiamo cercando di raggiungere un'intesa con l'Italia attraverso i normali canali
diplomatici.
E non solo l'Italia ma anche altri Paesi guardano con fiducia al ruolo che
sapraÁ svolgere il Primo Ministro Mifsud Bonnici per la pace e la distensione
nel Mediterraneo. Certo, non facili compiti incombono su di lui. In politica
estera, ove gli toccheraÁ disciplinare i rapporti con i Paesi dell'altra sponda (la
Libia di Gheddafi innanzitutto), con l'Europa e le due Superpotenze. E in
politica interna, ove tra l'altro gli toccheraÁ entro due anni rimisurare le forze
del Partit Socjalista Malti, di cui eÁ capo, con quelle del partito di Opposizione
capeggiato dal coetaneo Edward Fenech Adami, impegnato, quest'ultimo, a
ricondurre il Partit Nazzjonalista alla guida del Paese, che nel 1971 era passata
dalle mani del suo predecessore George Borg Olivier a quelle di Dom Mintoff.
Luglio-Dicembre 1984
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NELL'OBIETTIVO DI GHEDDAFI
PERCHEÂ NAPOLI
EÁ ormai una delle aree piuÁ calde del mondo: il Mediterraneo. La creazione
dello stato di Israele, il cosidetto «focolare ebraico», solennemente promesso
dalle grandi potenze, con la dichiarazione Balfour, fin da prima della Grande
Guerra, ha turbato, dopo questo secondo conflitto mondiale, l'equilibrio giaÁ di
per se instabile del Medio Oriente. Nasce un'armata palestinese, divisa in gruppi
e sottogruppi ma unita nell'odio ad Israele, che elegge a sua arma principale il
terrorismo indiscriminato. Ha come supremo obiettivo la cancellazione dello
stato ebraico ed il ritorno in quelle terre degli arabi palestinesi che un tempo le
avevano occupate (Le abbiamo acquistate, ribadiscono da Israele, ricordando i
massicci esborsi di danaro da parte dei movimenti sionisti di tutto il mondo, in
particolare degli Stati Uniti). PiuÁ volte gli stati arabi del Mediterraneo hanno
mosso guerra ad Israele ma il piccolo stato ebraico ha vittoriosamente respinto gli
eserciti coalizzati ed ha anzi occupato altri territori che presiede saldamente.
Potrebbero sembrare avvenimenti circoscritti al solo bacino del Mediterraneo ma in effetti, sappiamo tutti, non eÁ cosi. Le due grandi potenze, oggi gli
Stati Uniti e la Russia, stanno, dietro le due parti, anche se con diverse gradualitaÁ di impegni e misura. Una pericolosa dicotomia che ha evitato, finora soluzioni militari: queste potrebbero provocare reazioni a catena, anche una terza
guerra mondiale.
Se andiamo a rileggere i testi di storia troviamo che una volta i Balcani,
contesi dall'Austria all'impero ottomano, ambiti dalla Russia in nome del
panslavismo, erano indicati come la polveriera d'Europa. Oggi possiamo dire
che il Mediterraneo eÁ la polveriera del mondo. Basterebbe una scintilla a
provocare una massiccia esplosione che coinvolgerebbe non solo l'Europa ma
tutto il resto del mondo, in una guerra che sarebbe fatalmente nucleare, con
effetti di totale distruzione delle parti impegnate nel conflitto e, presumibilmente, anche di quelle nelle aree geografiche vicine. Ci si chiederaÁ, allora,
perche sarebbe investita l'Europa, l'Europa Occidentale, se gli sponsors sono
rispettivamente oltre gli oceani e nella parte orientale del nostro continente?
La risposta eÁ ovviamente facile. Le basi militari della NATO sono in
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Europa, in particolare le piuÁ vicine alle coste africane sono in Italia: a Sigonella e a Napoli. Di quõÁ il bersaglio preciso indicato da Gheddafi. Si potrebbe
obiettare che gli affari medio orientali non entrano nella sfera di applicazioni
della NATO. Ma abbiamo visto come, in occasioni precedenti (la guerra dei
sei giorni e la «allerta globale» decisa da Nixon alla fine della guerra tra Egitto
e Israele) il concetto di NATO, forza multinazionale destinata alla difesa
dell'Europa da offensive provenienti dalle frontiere orientali, sia stato oggetto
di interpretazioni piuÁ che estensive.
Sigonella e Napoli sono le due maggiori basi americane nel nostro paese,
naturali obiettivi di missili. Ma anche basi ± Napoli soprattutto ± di una
scontata reazione. Nella nostra cittaÁ fa base la VI Flotta. Sarebbe direttamente
impegnata fin dal primo minuto di un eventuale, malaugurato, scontro militare.
Il Presidente degli Stati Uniti si sta muovendo con circospezione nei
confronti della Libia, consapevole dei pericoli che gesti piuÁ decisi di quelli
compiuti, o ipotizzati, finora potrebbero avere conseguenze drammatiche per
la pace nel mondo. Se eÁ vero che la VI Flotta continua ad incrociare ai limiti
delle acque territoriali libiche eÁ pur vero che altri provvedimenti non sono
stati adottati oltre quelli delle sanzioni economiche, certo di limitata efficacia.
Ecco perche il Mediterraneo eÁ oggi il punto di piuÁ pericolosa tensione. Noi
italiani abbiamo cercato e cerchiamo di mantenere una posizione di equidistanza (alcuni severamente critici dicono che sia ambigua) non nascondendoci il
pericolo di essere fatalmente coinvolti ove si verificasse l'irreparabile, vittima
noi ± primi in Europa ± di una esplosione che non potrebbe essere controllata.
Ed ecco anche perche l'iniziativa del Premier maltese, Mifsud Bonnici, di
favorire un incontro tra Craxi e Gheddafi eÁ stata accolta con grata simpatia,
anche se finora senza impegni, dal governo italiano. Roma e Tripoli si parlano,
oggi, piuÁ che con i normali canali diplomatici, con la cordiale intercessione del
Premier maltese. Come due familiari che hanno litigato (non si rivolgono la
parola ma ascoltano e trasmettono le parole rivolte ad un terzo) Italia e Libia
hanno iniziato un certo discorso. L'impegno chiesto a Gheddafi, con la mediazione di Carmelo Mifsud Bonnici, eÁ di sconfessare il terrorismo internazionale. Ma il Colonnello finora non l'ha fatto. La questione eÁ ancora aperta.
Come aperta eÁ sempre la disponibilitaÁ di Mifsud Bonnici. Che nasce, oltre
che da naturali, scambievoli, sentimenti di amicizia per il nostro Paese, dalla
preoccupazione di un conflitto nel Mediterraneo, nel quale anche Malta ± per
la sua posizione geografica ± sarebbe inevitabilmente coinvolta.
CosõÁ come, purtroppo, ancora eÁ aperto il pericolo di quello che potrebbe
malauguratamente succedere. Ricordiamolo: il Mediterraneo eÁ oggi la polveriera del mondo.
Luglio-Dicembre 1985
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DOPO LA PUBBLICAZIONE SU «MALTANAPOLI»
DI UN ARTICOLO DELL'AMBASCIATORE MACCOTTA
INTERESSANTE DIBATTITO A MALTA
SUI RAPPORTI CON LA VICINA ITALIA
Ai primi degli anni Sessanta, durante una riunione interna del Ministero
degli Affari Esteri cui partecipavo, uno dei dirigenti segnaloÁ che il nostro
Console di Malta, allora ancora possedimento della Corona britannica, gli
aveva riferito quanto dettogli dal Governatore sull'eventualitaÁ che l'Italia si
annettesse l'isola, o meglio l'arcipelago, oppure si trovasse qualche forma
appropriata d'associazione tra i due».
Queste parole hanno suscitato un interessante dibattito a Malta, e presumibilmente anche fuori, nelle cancellerie diplomatiche. L'articolo dell'amb.
Maccotta, giaÁ apparso sulla benemerita Rivista Marittima, era stato riportato su
Maltanapoli per renderlo accessibile al pubblico maltese. Lo scopo eÁ stato
raggiunto, ed eÁ stato cosõÁ riesumato un periodo storico, ed eÁ venuta alla luce
un'interessante pagina di storia italo-maltese.
Si era nel 1962-63. A meno di vent'anni dalla fine della seconda guerra
mondiale. L'Italia era entrata in guerra con l'Inghilterra per vari motivi, tra
cui anche quello di sostituirla a Malta, e infatti le prime bombe sganciate
dall'aeronautica italiana il 10 giugno 1940 caddero proprio su Malta.
Nel 1955 era stato eletto a Malta il partito laburista, guidato da Dom
Mintoff. Il quale si mise subito alla ricerca di una soluzione politica piuÁ o
meno definitiva. TentoÁ per prima la carta dell'integrazione dell'Isola con la
Gran Bretagna, al fine di partecipare d'un salto al suo benessere economico e
al suo welfare state. Non vi riuscõÁ, anche per la tenace opposizione della
Chiesa maltese. Mintoff allora mobilitoÁ la piazza al grido dell'indipendenza,
e si dimise, nel 1958. Seguirono quattro anni in cui la Costituzione fu sospesa,
e il potere assoluto fu riassunto nella persona del governatore britannico.
Nel 1962 si tennero le elezioni politiche, e venne eletto il partito nazionalista, guidato da George Borg Olivier, che era succeduto nel 1950 ad Enrico
Mizzi quale capo del partito. Quell'Enrico Mizzi che era stato avversato,
imprigionato e, durante la guerra, esiliato, dalle autoritaÁ britanniche a causa
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della sua ideologia apertamente filo-italiana. I tempi erano ormai maturi per
una nuova e definitiva soluzione del problema istituzionale maltese.
Alla luce di questi fatti va considerato il discorso dell'allora Governatore
Sir Maurice Dorman all'allora Console Generale d'Italia Onofrio G. Messina
(ambedue hanno lasciato a Malta un ottimo ricordo di seÁ), discorso che eÁ stato
rievocato ad apertura del saggio dell'illustre Ambasciatore Maccotta.
Sulla scia di quel saggio, che fu diffusamente letto a Malta, eÁ apparso sul
Sunday Times del 14 agosto scorso un documento top-secret, dal quale risulta
che il partito laburista di Dom Mintoff aveva nel 1963 quasi proposto l'annessione di Malta all'Italia in una forma ancora da specificare.
Ecco, in traduzione italiana dal testo pubblicato sul Sunday Times, i
paragrafi piuÁ interessanti di un Memoriale di 11 pagine che fu inviato al
Governo Italiano dalla «Sede Centrale» del Partito, sita in Strada Reale 41,
Valletta:
«II Partito Laburista vede nell'immediata e completa liberazione dell'Isola dalla dominazione britannica, e in piuÁ strette relazioni politiche con
l'Italia una delle soluzioni piuÁ pratiche ed eque dei molteplici problemi di
Malta ...»
«L'avvicinamento di Malta all'Italia saraÁ facilitato dal fatto che Malta
dista appena 95 km. dalla Sicilia, ed eÁ legata all'Italia per ragioni geografiche,
climatiche, storiche, culturali e religiose, e inoltre la Costituzione italiana
prevede, all'interno della Repubblica, regioni autonome ed anche stati sovrani
con particolari trattati di «amicizia e buon vicinato»: essa pure equipara ai
cittadini italiani i cittadini maltesi in quanto «Italiani non appartenenti alla
Republica» (Art. 51).
«La forma precisa delle auspicate piuÁ strette relazioni tra Malta e l'Italia
saraÁ stabilita dopo un esauriente studio della questione, e in modo che sia la
migliore e la piuÁ utile nel comune interesse dell'Italia e di Malta. Si potrebbe
pensare ad una relazione simile a quella esistente con San Marino, oppure ad
un'autonomia regionale simile a quella della Sicilia».
I redattori del Sunday Times, commentando in extenso questo documento, hanno criticato Dom Mintoff per aver segretamente tramato il riavvicinamento con l'Italia, mentre il Partito Nazionalista, al potere, si preparava a
chiedere e ad ottenere l'Indipendenza. La veritaÁ eÁ che Dom Mintoff aveva
inteso esplorare la possibilitaÁ di una «soluzione italiana», soluzione in cui il
partito nazionalista per lungo tempo aveva pure creduto, e che i giornali filoinglesi dell'Isola avevano sempre avversato.
Al Times scrisse Derek Chuleigh, un diplomatico inglese e funzionario del
Foreign Office ai primi anni Sessanta. Egli negoÁ ogni possibilitaÁ di apertura da
parte dell'Inghilterra verso l'Italia a proposito di Malta, anche percheÂ, secondo lui, tra l'Inghilterra e l'Italia i rapporti allora non erano molto cordiali.
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Il Times rispose che cioÁ che veramente interessava era il documento di Dom
Mintoff, su cui non esistevano dubbi, e che, comunque, tra l'Italia e la Gran
Bretagna in quel periodo i rapporti erano buoni, e quest'ultima cercava l'appoggio dell'Italia per avvicinarsi al neonato Mercato Comune.
Su La Stampa del 1ë ottobre 1988 eÁ apparso, intanto, un equilibrato
riassunto della interessante polemica scoppiata a Malta. L'articolo, a firma
dell'illustre storico Enrico Serra, eÁ intitolato «Malta regione d'Italia (un'idea
di 24 anni fa)», e dice fra l'altro:
«Forse proprio l'aspirazione di Malta ad entrare nella ComunitaÁ economica europea, ingresso che avrebbe risolto molti dei problemi endemici dell'Isola, puoÁ spiegare il memorandum laborista redatto, si badi, prima, sia pure
di poco, della proclamazione dell'indipendenza maltese. Un problema ancora
attuale, anche se reso piuÁ complesso dall'essere Malta `uno stato neutrale
aderente a una politica di non allineamento'».
L'accenno alla ComunitaÁ Economica eÁ illuminante. Malta oggi aspira a
farne parte. Come Cipro. Anche Cipro, negli anni Cinquanta, lottoÁ contro la
Gran Bretagna in nome della riunificazione con la madrepatria greca. Oggi le
due isole mediterranee, Malta e Cipro, bussano alla porta della madrepatria
comune: l'Europa. I tempi cambiano, le prospettive pure. La Storia va avanti.
Luglio-Dicembre 1988
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VENT'ANNI DOPO
Vent'anni dopo. No, non il romanzo di Dumas (ne chi scrive ha la presunzione di rivendicare vittoriose avventure e battaglie, anche se qualche piccolo merito
potrebbe rivendicare nella direzione di questo giornale) e nemmeno lo sbarco dei
primi uomini sulla Luna. Vent'anni invece da quando eÁ nato Maltanapoli.
Un nostro anniversario da celebrare con la dovuta soddisfazione: un
giornale indipendente e libero, che altra affiliazione non ha riconosciuto oltre
quella di un civile impegno nell'avvicinare i nostri due popoli, quello italiano e
quello maltese. Che eÁ a noi cosõÁ vicino per tradizione, storia, cultura. In
particolare a Napoli, dove l'Associazione Amici di Malta ha costituito il primo
nerbo di collaborazione e di consenso al nostro foglio.
A questo primo, iniziale, capitolo altri sono seguiti: l'allargamento della
sfera di interessi non piuÁ e soltanto ai rapporti con l'Isola ma a veri e propri
rapporti sull'attivitaÁ diplomatica e consolare nel Mediterraneo. Ne ci risulta
che esistano altre pubblicazioni consimili. Va ricordato inoltre il regime di
«unione personale» che lega Maltanapoli all'Unione Consoli Onorari Italiani e
che ne ha fatto l'organo ufficioso di questa Associazione che raggruppa la
grande maggioranza di consoli onorari di stati esteri in Italia.
Un'opera volenterosa e paziente di due decenni, volta dal sottoscritto
pressoccheÁ da solo. Ma non gli sono mancate partecipazioni autorevoli: Ministri della Repubblica, Ambasciatori, diplomatici della carriera e non solo italiani. Gli scritti di qualcuno si sono rivelati autentici scoop con la narrazione
del risvolto di avvenimenti poco noti o affatto ignoti, il piuÁ delle volte visti dal
di dentro o una diretta e fin allora taciuta testimonianza. E nemmeno sono
mancati articoli di noti giornalisti e studiosi, sia di parte italiana che maltese,
tesi a mettere in rilievo le comuni radici culturali e storiche che appartengono
sia all'Isola che all'Italia, ed in particolare a Napoli.
Una gran parte di spazio eÁ stata dedicata alle ragioni dell'arte e della
cultura nell'Isola alle quali cosõÁ viva eÁ stata la partecipazione italiana, ragioni
che sono state compiutamente illustrate nella loro genesi e nei loro risvolti
storici, valga come esempio la puntuale illustrazione delle opere, talune se non
del tutto ignorate almeno in gran parte dimenticate, di Mattia Preti.
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Ma sarebbe davvero peccato, e grave, di presunzione voler elencare il
contributo offerto da questo giornale, anche nei limiti della sua necessariamente
modesta (ma poi non cosõÁ tanto) circolazione, ai legami tra l'Italia e Malta
nonche l'ampio spazio dedicato in ogni numero agli avvenimenti piuÁ salienti,
sia di Napoli che di Malta e Gozo, senza dimenticare la pagina riservata agli
«echi forensi» sulla quale sono intervenuti ed intervengano Magistrati, Avvocati
e operatori del diritto?
Questa breve nota puoÁ concludersi con un affettuoso ringraziamento a
quanti, normalmente o episodicamente, hanno dato finora, e vorranno continuare a dare, il loro contributo di motivazioni, testimonianze, giudizi, nerbo:
di quella collaborazione che ha fatto di questo giornale una pubblicazione
attesa e seguita nei circoli piuÁ esclusivi. Un ringraziamento, sempre affettuoso,
a quanti ci hanno letto, in questi vent'anni, ci leggono e si ripromettono di
continuare a farlo con lo stesso attento interesse di sempre.
I nostri primi vent'anni! Riuniamoci nel comune augurio di una vita, di
questo giornale, sempre piuÁ prospera e felice!
Gennaio-Giugno 1989
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UN EVENTO CHE IL GOVERNO DOVREBBE EVITARE
VERSO LA SOPPRESSIONE
DEL COLLEGAMENTO MARITTIMO MALTA-NAPOLI?
Che succede all'unica linea marittima che esiste da oltre 40 anni tra
Napoli e Malta? EÁ vero che saraÁ soppressa? E perche dovrebbe essere soppressa? Non sarebbe meglio, piuttosto, rafforzare tale collegamento e renderlo
piuÁ efficiente, nell'interesse di tutti e quindi anche nell'interesse della Compagnia che lo gestisce?
Sono domande che molti si son fatte, da quando eÁ circolata la voce di una
possibile soppressione del servizio, giaÁ prima dell'estate. Tali domande da parte
di persone private o dirigenti di aziende napoletane e maltesi, sono apparse sulle
colonne della corrispondenza di vari giornali. E la risposta non eÁ ancora arrivata!
Maltanapoli, che sin dalla fondazione nel lontano 1970, si eÁ battuta non
solo per la manutenzione, quanto per l'ammodernamento e il miglioramento
del servizio di collegamento marittimo fra Napoli e Malta, si augura vivamente
che tale risposta, definitiva e rassicurante, arrivi presto. L'incertezza sul futuro del collegamento eÁ l'anticamera del suo fallimento, preambolo alla sua
programmata eliminazione.
Quando nel 1970 nel cantiere Pellegrino di Napoli venne inaugurata la
m/n «La Valletta», l'allora ministro della Marina Mercantile, Sen. Mannironi,
parloÁ di un «fatto di civiltaÁ che merita costante impegno anche a livello politico». E quando nel 1976 sulla stessa rotta Napoli-Sicilia-Malta fu immessa
una m/n piuÁ capiente e piuÁ moderna, la «Malta Express», si parloÁ da parte
italiana di «efficace aggiornamento del nostro rapporto con l'amica nazione
maltese». E come mai, proprio ora che i rapporti tra Malta e l'Italia tendono
ad intensificarsi in tutti i settori, le AutoritaÁ italiane pensano di sopprimere
l'unico settimanale collegamento marittimo tra Napoli, la Sicilia sud-orientale
e Malta? Per non parlare del declassamento che il porto di Napoli verrebbe
ingiustamente a subire da tale soppressione.
Alla Camera dei Deputati un'opportuna interrogazione sull'argomento eÁ
stata recentemente rivolta dagli on.li Capria, Amodeo e Barbalace ai Ministri
della Marina Mercantile e degli Affari Esteri. Eccone il testo:
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«Per sapere ± premesso che:
il collegamento Malta-Italia (porti siciliani e/o Reggio Calabria) compiuto
dalla societaÁ Tirrenia nei mesi invernali appare l'unico collegamento stabile
per persone e merci;
pur prendendo atto della difficoltaÁ nella gestione economica di detto
servizio, tuttavia risulta esservi una nuova crescita nei rapporti politico-economici tra l'isola di Malta e l'Italia e quindi esservi la necessitaÁ primaria di
rafforzare i collegamenti tra l'Italia, l'Europa e l'isola di Malta ± :
a) se si ritenga di revocare la precedente disposizione del Ministero della
Marina mercantile di sopprimere il collegamento via mare compiuto dalla
societaÁ Tirrenia tra l'Italia e l'isola di Malta a partire dal 1ë ottobre 1989;
b) quali provvedimenti si intendano assumere per rafforzare i rapporti tra
l'Italia ± e la Sicilia in particolare ± e l'isola di Malta sotto il profilo politico,
economico e culturale».
La ragione addotta dalle AutoritaÁ per giustificare l'eventuale chiusura del
collegamento risiede presumibilmente nella sua non-redditivitaÁ in termini
economici. SenoncheÂ, dalle non poche lettere ricevute da Maltanapoli, sembra
di capire che la SocietaÁ Tirrenia non faccia niente per rendere tale Linea
remunerativa. Sembrerebbe che facesse proprio il contrario!
«Desideriamo informarLa ± ci scrive il proprietario di una grossa ditta di
Napoli, con lettera datata 20 novembre 1989 ± della crescente difficoltaÁ che
gli operatori Napoletani incontrano nell'interscambio con l'isola di Malta per
le rarissime possibilitaÁ di spedizione della merce.
«La SocietaÁ Tirrenia ± prosegue la lettera ± che ha partenze dal nostro
Porto in `container groupage', molte volte non carica la merce assumendo di
essere stata nella impossibilitaÁ di completare il container. Per questa spiacevole situazione siamo costretti molte volte ad inoltrare la merce al Porto di
Catania sopportando maggiori spese per poter qualche volta avvalerci di partenze dal citato porto, ma con estrema difficoltaÁ.
«Pertanto noi fidiamo nel Suo intervento presso la Compagnia Tirrenia o
presso altre Compagnie affinche possa essere superata l'illustrata difficoltaÁ che
rallenta notevolmente l'interscambio con Malta consentendo cosõÁ agli operatori Napoletani di sviluppare una interessante corrente di traffico incrementando le loro esportazioni».
Maltanapoli gira tale legittima protesta alle AutoritaÁ del Governo italiano,
nella viva speranza che prevalgano le buone ragioni addotte dalle stesse AutoritaÁ
negli anni 1970 e '76 e che pertanto tra i porti di Napoli, Reggio Calabria,
Catania, Siracusa e Malta, continui l'ormai quarantennale collegamento marittimo, che oltre ad assolvere ad un'esigenza mercantile sancisca e riaffermi, sul
piano politico, l'avvicinamento delle regioni meridionali d'Italia all'isola di Malta.
Luglio-Dicembre 1989
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Á
NAPOLI CITTA
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60
CARO SINDACO, TI SCRIVO
«... una lettera aperta (cosõÁ si suol dire) che oltre l'attenzione del Primo
Cittadino abbia la testimonianza di quanti vivono in questa cittaÁ disastrata.
Per porre un interrogativo. (Nessuna paura, ne sullo scandalo dei 57 miliardi
da restituire allo Stato, ne sul va e vieni delle licenze annonarie, e nemmeno
delle conseguenti dimissioni, caratterizzate anch'esse dal va e vieni della presentazione, del successivo ritiro o quanto meno dell'ibernazione, e nemmeno
ancora dalla paralisi dei servizi urbani in concomitanza con le targhe alterne, e
nemmeno quanto altro eÁ motivo di critica e doglianza nei confronti della
Civica Amministrazione, pur affetta da mille problemi).
Si diraÁ che i vizi e le mende di cui sopra sono dovuti alla insufficienza del
bilancio; I pochi spiccioli della calza di lana comunale si spendono per mille
buchi, sempre piuÁ pochi e sempre piuÁ largamente insufficienti ai bisogno della
CittaÁ. Pure l'interrogativo che io ripropongo riguarda una questione che potrebbe essere sanata con pochi spiccioli. Si tratta, caro Sindaco, di quelle
bandiere che di piccolo e grande formato, ora eÁ giusto un anno, furono esposte, un po' dovunque, per i Mondiali di calcio. Le bandiere dei tanti Stati
partecipanti alla grande manifestazione sportiva internazionale. Da allora mai
piuÁ rimosse, stracci polverosi in bella mostra (si fa per dire) che sui pali della
luce elettrica vanno dall'Aeroporto di Capodichino agli imbarcaderi di Mergellina, da Piazza Garibaldi allo Stadio S. Paolo.
Lo smog li ha anneriti, il vento li ha sfilacciati, lacere bandiere, non piuÁ
rappresentative degli Stati che furono nostri ospiti, ma della incuria di chi
sarebbe stato chiamato a rimuoverle.
Ancora una volta vorroÁ fare appello al Comune di Napoli, ed in particolare al Sindaco, cui spetta salvaguardare l'immagine e la dignitaÁ della nostra
CittaÁ, togliere quei cenci che costituiscono una non degna decorazione di cui
sembra proprio giunto il momento, ad un anno, di fare a meno.
Dopotutto la bandiera non eÁ soltanto un drappo di stoffa ma l'insegna e il
simbolo dell'autoritaÁ e dell'individualitaÁ di uno Stato: ad essa sono dovuti
rispetto e protezione. E tutto questo la cittaÁ di Napoli non puoÁ ignorarlo.
Gennaio-Giugno 1991
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A MAGGIO NEL REAL SITO DI CAPODIMONTE
Sono grato, e con me la CittaÁ di Napoli, all'Ambasciatore del Giappone a
Roma Ecc. Masamichi Hanabusa e al Maestro Shinobu Baba, per l'attenzione
e il privilegio che essi hanno voluto riservare alla mia cittaÁ nell'assegnarle,
unica sede in Italia, la sfilata della Collezione di Kimono 1996.
L'eccezionalitaÁ dell'evento (le precedenti sedi sono state soltanto il Metropolitan Museum di New York e il Museo del Louvre di Parigi) non poteva
non toccare anche la sensibilitaÁ del Soprintendente per i Beni Artistici e
Storici di Napoli prof. Nicola Spinosa, affinche Capodimonte spalancasse le
sue porte a tale manifestazione.
Capodimonte ± conosciuto in tutto il mondo per le sue importanti collezioni d'arte, per la storia che racchiudono le sue mura, per le grandi rassegne
espositive che vi si susseguono ± sapraÁ far risplendere nella giusta luce, la sera
del 13 maggio, grazie alla maestositaÁ del suo nudo piperno, le brillanti sete
birmane di filigrane dorate, il cotone degli Inca, i filati di Como e il batik che
fasciano e accarezzano le silhouettes delle bijin giapponesi e francesi.
Giustamente Shinobu Baba, alta e magica espressione della international
aute couture, vuole irrompere, da par suo, sulle scene della moda italiana, trasferendovi le ispirazioni dei temi che ruotano intorno alla cultura estetica di vari
Paesi, facendo riecheggiare sui motivi del suoi Kimono l'art nouveau francese o i
colori dell'Italia. Non a caso milioni di spettatori italiani hanno potuto recentemente ammirare, in una delle piuÁ seguite rubriche della prima rete della televisione italiana, la Cascata delle Marmore che impreziosiva un suo Kimono, indossato nell'occasione dall'ambasciatrice del Giappone Sig.ra Yoriko Hanabusa.
Oso sperare che nello sfavillio di luci e di colori che Shinobu Baba vorraÁ
regalare non solo a Napoli ma all'Italia, nella bella serata della prossima primavera, tra i privilegiati spettatori, saranno ben assisi in prima fila, orgogliosi
dell'evento, anche i re, le regine e le loro Corti che nei secoli si sono succeduti
nel Real Sito di Capodimonte, dalle cui alture l'occhio abbraccia tutta Napoli e il
suo Golfo.
Dicembre 1995
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UN GRIDO D'ALLARME CONTRO LA MICRO CRIMINALITAÁ
Á ...
NAPOLI SEI PATRIMONIO DELL'UMANITA
MA DOBBIAMO DIFENDERTI!
Il riconoscimento ratificato dall'UNESCO, gli sforzi di Bassolino, i successi di Napoli
Porte Aperte, del G7 e della montagna di sale, l'aumentato flusso turistico, l'orgoglio
ritrovato e tanti altri meriti devono subito trovare tutela nelle istituzioni. ± La cittaÁ a
tarda sera eÁ in balia della micro criminalitaÁ organizzata: intervenga e subito il Ministro
Coronas potenziando le Forze dell'Ordine.
Recentemente l'Ambasciatore del Giappone a Roma, S.E. Masamichi
Hanabusa, ha scritto una lunga lettera al sindaco di Napoli Bassolino: una
lettera squisita e gentile, naturalmente, piena di sincero affetto per Napoli,
ricca di calore umano, ma che esponeva una situazione drammatica, ormai
intollerabile, che sta facendo a Napoli un danno enorme, tale da annullare
quanto di buono si fa per la rinascita della CittaÁ. Inutile, insomma, che
l'Unesco la riconosca come «cittaÁ dell'arte» come poche al mondo, se tutti i
giornali pubblicano continuamente gli episodi di violenza contro i turisti. I
quali, da ambasciatori di promozione ed entusiasmo nei rispettivi Paesi di
provenienza, diventano veicoli di allarmismo e di scoraggiamento dal venire
a Napoli. I piuÁ inermi, i piuÁ colpiti, i piuÁ offesi sono i giapponesi: sono presi di
mira ogni giorno, nelle strade centrali e nel Centro antico, e vengono brutalmente scippati delle macchine fotografiche, delle valigie, delle borse...
La lettera dell'Ambasciatore Hanabusa eÁ un testo che tutti i napoletani
dovrebbero leggere e meditare, e percioÁ riteniamo utile riprodurla qui: anche
perche eÁ un documento... inedito, meritevole di adeguato riscontro da parte
del Sindaco Bassolino. Merita una risposta, merita delle scuse, merita forti
assicurazioni di impegno per un'azione di contrasto alla violenza.
Le forze dell'Ordine di Stato (Polizia e Carabinieri) devono, con il contributo anche della Polizia Municipale, vegliare sui forestieri. A sera transitare a piedi
per le vie del centro eÁ impresa ad alto rischio: orde di micro criminali vi sciamano,
assoluti padroni della cittaÁ a bordo di piccole e grandi cilindrate. Consapevoli di
agire indisturbati aggrediscono innanzi agli alberghi e lontani da essi.
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Tutto questo, e possiamo dirlo con orgoglio, lo abbiamo giaÁ denunciato
attraverso i mass media durante il G7. Risale a quei giorni il nostro rinnovato
ma inascoltato appello che rinnoviamo con maggiore fiducia al nuovo Prefetto
e, nondimeno, al Ministro dell'Interno. Proprio il forte risveglio e il grande
richiamo di Napoli in questi giorni, come giaÁ in occasione del G7 e del Convegno sulla CriminalitaÁ Organizzata nel '94, non devono far abbassare la
guardia verso l'ondata di violenza e di crimini che infanga la nostra cittaÁ.
Riportiamo, a proposito della lotta contro la emergente micro criminalitaÁ,
in altra parte di questo giornale, quanto scrive Guido Neppi Modona su «La
Repubblica».
Si veda, per intanto, con quanto garbo l'Ambasciatore comincia la lettera
al Sindaco Bassolino, lodando Napoli per le sue attrattive e augurando di cuore
la fortuna della cittaÁ: e con quanta delicatezza egli illustri il pericolo che la
violenza sui turisti danneggi ogni sforzo e distolga le correnti straniere dal
venire a Napoli.
Dicembre 1995
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UN ADDIO ALLA TOGA NEL RICORDO DI INSIGNI MAGISTRATI ED AVVOCATI
CHIUDE LA REGGIA CON L'ULTIMO MONARCA
Il mattino dello scorso 11 dicembre mi sono portato a Castelcapuano per
salutare, a due giorni dalla cessazione delle sue funzioni di Primo Presidente
della Corte di Appello di Napoli, il caro Amico Raffaele Numeroso. Un magistrato che ha voluto aggiungere ai suoi grandi meriti acquisiti con apprezzata
signorilitaÁ, nelle aule della giustizia penale e civile, quello di aver voluto
fermamente mantenere ± lui solo contro tutti ± la sede del suo ufficio in Castelcapuano, anche quando l'intera attivitaÁ giudiziaria, gradatamente da due
anni, si trasferiva dalla secolare sua sede nelle varie torri (ciascuna di oltre
trenta piani) del nuovo Centro Direzionale progettato dall'architetto giapponese Kenzo Tange.
Accedo nell'ampio cortile del castello le cui origini risalgono al XII secolo,
ai Normanni; come si legge negli archivi storici in Castel Capuano, soggiornoÁ
nel 1370, quando era ancora residenza reale degli Angioini, finanche Francesco Petrarca in qualitaÁ di legato di Clemente VI. Il Palazzo fu Reggia sino al
XVI secolo e poi dimora di Re e di nobili, oltre che testimone silenzioso di
innumerevoli vicende, liete e tristi. Soprattutto delle congiure, degli assassinii
e delle dissolutezze attribuite alla Regina Giovanna, come ricordava Giovanni
Verde, su questo giornale qualche mese fa, nel suo articolo ``Addio Castel
Capuano''.
In questo cortile ± accompagnato dall'amico e collega Mario Del Vecchio,
giaÁ Presidente dell'assemblea regionale ed autorevole esponente dell'allora partito repubblicano a Napoli ± ero entrato l'ultima volta, in una splendida sera di
maggio dell'anno addietro ove, nel contesto delle manifestazioni culturali del
``Maggio dei monumenti'' promosse dal Comune di Napoli, Mariano Rigillo con
la sua insuperabile arte faceva rivivere il personaggio de ``El ingenioso hidalgo
don Quijote de la Mancha''. Il palco era collocato sul lato destro di chi accede al
detto cortile; facevano da sfondo le arcate che si illuminavano, in alternanza, con
sapiente regia ed in sintonia dei possenti suoni, di vivissime luci a colore. Dalle
finestre del piano superiore si affacciava Dulcinea, riportandomi con la memoria
alle stanze a me frequentate per oltre 50 anni e sino al 2007, allorquando anche
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l'attivitaÁ della giustizia civile, seguendo di qualche anno quella penale, ha dovuto
definitivamente traslocare dall'antico Palazzo della Regina Giovanna.
Attraverso il deserto cortile ove fa eco soltanto lo zoccolo della mia
scarpa. Un irresistibile bisogno mi avvince, prima ancora di recarmi a porgere
il mio saluto all'ultimo solitario inquilino del piano nobile: accedere, in una
pur mesta e sofferta visitazione di corridoi e di piani vuoti, ai luoghi (se li
avessi trovati aperti) ove per lunghi decenni la mia vita eÁ stata alimentata dalla
cordialitaÁ dei rapporti intessuti con tantissimi magistrati e colleghi.
E cosõÁ sempre solo, tristemente solo, caparbiamente solo, nella illusione,
vana, di poter incontrare un'anima, una sola anima, comincio ad incamminarmi sui bui anfratti del piano terra, giaÁ sede delle aule penali. Trovo tutte le
porte sprangate. Mi soffermo per scavare nei miei ricordi: rivedo uscire da
un'aula, con tanto di gilet, Adriano Reale allievo prediletto di Giovanni Porzio; egli mi saluta con il suo consueto, solenne, lento gesto della mano destra,
seguito dai fedeli discepoli Omero Orlando e Carlo Fiore e rivedo altri maggiori penalisti degli anni 60 e 70 come Amerigo Crispo, Francesco Saverio
Siniscalchi (padre dell'altrettanto valoroso Vincenzo attuale Componente il
C.S.M.), Guido Cortese, i longilinei Renato Orefice con l'allora allievo Gerardo Inserra e Alberto Gasparrini e poi tante altre care figure, attive in un
ramo professionale che non era il mio, come Alfonso Tesauro (padre di Giuseppe attuale Giudice Costituzionale), Luigi Palumbo, Michele Crispo.
Pago di questi incontri ± sempre tremendamente solo ± torno indietro,
salgo la scala postica ai due ascensori ormai da tempo fuori servizio; entrambi,
negli anni 70, andarono non felicemente a sostituire quello lento ma piuÁ spazioso e funzionale che conduceva ± dal centro dell'arco sottostante al grande
orologio ± al primo piano, sede del Tribunale civile, e poi al secondo, sede delle
sezioni della Corte. Al terzo piano, ove erano allogati gli uffici della Procura
della Repubblica, conduceva un altro ascensore, pure di vecchia fattura, che
partiva dalla scala a destra di chi accede nello stesso cortile. Al piano ammezzato
fino agli anni 70 era attivo un provvidenziale ufficio distaccato del Registro
preposto alla registrazione delle sentenze. Eppure, a quel terzo piano, in meno
di quindici stanze (contro le cinquanta e piuÁ di oggi alla Torre B), assolvevano
egregiamente ai loro compiti i magistrati della Procura, sotto la guida di Alfonso
Vigorita, Francesco Cedrangolo, Alfredo Sant'Elia, Vittorio Sbordone.
Salgo la scala postica alla quale poc'anzi accennavo ± avente ingresso alla
prospiciente Porta Capuana da cui accedevano i detenuti in attesa del processo, la percorro sino al piano ammezzato, giaÁ ininterrotta sede della IX
Sezione civile del lavoro. Sono sempre solo. Eppure mi pare di imbattermi
improvvisamente nel Presidente Guzzardi e di poi nei suoi successori Gustavo
Garbellotto, Raffaele Romano Cesaro e nondimeno negli avvocati che in quel
tempo dominavano il contenzioso del lavoro come Domenico De Luca Tamajo,
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Vito Chiantera, Carlo Marinelli, Claudio Saviotti. Salgo ancora piuÁ su, al
``primo piano nobile'', ma non svolto subito a destra ove devo pur rendere il
mio saluto al solitario ultimo Presidente della Corte dal quale sono atteso.
Caparbiamente giro a sinistra per accedere al Consiglio dell'Ordine le cui
porte rinvengo sbarrate.
Pure chiuso, poco piuÁ innanzi, l'uscio della giaÁ 8a sezione civile del Tribunale ove ha lasciato una impronta Arnaldo Valente insigne magistrato (dalla
insostituibile elegante cravatta a farfalla) e di poi assurto ai piuÁ alti strati della
magistratura e giaÁ componente il C.S.M. Dalla porta accanto si accedeva alle
aule della 5a sezione civile ove l'attivitaÁ espropriativa veniva esclusivamente
ed egregiamente svolta dal Cancelliere Capo Gerardo Papa; mentre quella di
usciere da Aristide Di Capua dalla voce nasale (che nondimeno del fratello
Alberigo, usciere alla 3a, allogata sul piano superiore, rendeva sovente, sorridente e garbata visita a sera, ai nostri studi, per anticiparci la decisione della
lite ± ovviamente favorevole al visitato ± adottata nello stesso giorno in Camera di Consiglio e prima ancora che la sentenza venisse scritta dal relatore).
E a proposito dei fratelli uscieri, restano cari alla nostra memoria Michele
Cuccurullo della Ia Appello e Gaetano della 5a del Tribunale.
Imperterrito, mi faccio coraggio e avanzo ancora verso l'assolato emiciclo
che rinvengo privo delle quattro panche dalle quali era circondato; su di esse,
sovente, siedevano vecchi canuti avvocati ± come Sergio Cerruti, Enrico
Gallo, padre del Presidente Sergio e nonno di Maurizio, attuale V. Presidente
della Corte ± che, adagiandosi sui propri bastoni, amavano, ben felici, intrattenersi con i piuÁ giovani colleghi.
Le vetrine dei librai sui due lati dell'ampio corridoio sono interamente
vuote; i vetri dei ripiani ricoperti da un rilevante strato di polvere. ``Presidenza del Tribunale'', recita la scritta sul portale dell'ultimo vano a sinistra
per chi accede verso il Salone dei Busti. Anche qui la porta eÁ chiusa; l'apro
con la mia fantasia e vi rivedo, in una palpabile sequenza, tutti i Presidenti
che ivi ho avuto il privilegio di frequentare ed ammirare. Tra i tanti, il
valoroso quanto riservato Domenico Leone che in occasione del terribile
sisma dell'80 volle amabilmente accedere con un gruppo di amici a Laviano,
mio Paese natio, unico ad essere totalmente distrutto dalla possente scossa del
23 novembre di quell'anno. Con noi Guido Belmonte, Alfonso Palmieri,
Lorenzo Mazzeo e tanti altri colleghi ed amici. Vi trovammo, al cimitero,
320 croci ben allineate innanzi alle quali vidi rigare di lacrime il volto del pur
rigoroso Magistrato. E rivedo altri illustri Presidenti di quella stessa prima
sezione come Elio Mazzacane, Guido Capozzi (preparatore di fama nazionale, dagli anni '50 agli '80, dei corsi per gli esami di procuratore legale e per
l'accesso alla Magistratura e al Notariato). E poi valorosi magistrati di quella
stessa sezione civile, come Franco Favara (di poi Procuratore Generale della
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Suprema Corte di Cassazione), Umberto Carrescia, Ottorino Longo, Federico
Capasso, Bruno Satta Flores, Paolo Scordo, Gigi Scotti (di poi Ministro della
Giustizia), Vincenzo Carbone (oggi Presidente della Suprema Corte di Cassazione).
Ed avverto improvvisa anche la voce tonante del Presidente Raffaele Di
Fiore ± al quale va il merito di aver reso funzionale l'attivitaÁ della Pretura da lui
diretta per lunghi anni nell'ex Carcere di San Francesco a Porta Capuana ± e
quella pacata del suo vice, Paolo Russo de Cerame. Con entrambi trascorsi un
piacevole soggiorno a Malta in una lontana estate degli anni 80, tutti ospiti al
Palazzo Sant'Anton, dell'allora Presidente della Repubblica, Antony Buttigieg.
Torno indietro per rendere il mio saluto all'``ultimo Monarca'' per il
quale, in sostanza, mi trovo ad essere, solitario ondivago. Mi soffermo proprio
sulla finestra dalla quale in quella sera del maggio 2007 si affacciava Dulcinea.
Guardo in giuÁ e scorgo il cortile, non pervaso dalle bizzarrie dei personaggi di
Miguel Cervantes ma sepolto nel piuÁ cupo silenzio. Decido di proseguire e di
puntare verso la biblioteca, l'unica istituzione, ancora inamovibile, intitolata
al nome glorioso di Alfredo de Marsico che trovo puntualmente chiusa.
Sono sempre piuÁ avvinto da un profondo grande smarrimento e sconforto. Anche lo stretto, lungo e buio corridorietto, attiguo alla giaÁ VII Sezione
Fallimentare eÁ deserto. Il momento di viva desolazione ed isolamento mi viene
distratto dal ricordo dei tanti bravi magistrati che all'indiscussa competenza
professionale nell'esercizio del loro ufficio, impressero in quella sezione una
condotta irreprensibile non disgiunta da un comportamento di grande signorilitaÁ e cordialitaÁ verso la classe forense, non sempre successivamente riscontrato. Affiorano anche qui figure care al mio cuore, come i Presidenti Ugo
Murano, Vincenzo Cesaro, Ugo Candia, Sinibaldo Pizzuti e magistrati che
nella stessa Sezione, in anni piuÁ recenti hanno lasciato il segno della loro
preparazione e della loro classe, come Francesco Amirante (attuale V. Presidente della Consulta), Domenico Mazzocca, Peppino Costabile, Silvestro Landolfi, Maria Rosaria Cultrera. E, piuÁ recentemente, Michelangelo Petruzziello
che avraÁ avuto pure qualche buon motivo per richiedere ed ottenere il suo
trasferimento ad altra Sezione proprio alla vigilia del residuale trasloco dell'amministrazione della Giustizia da Castelcapuano al centro Direzionale.
A questo punto, divergendo da altre memorie, torno sui miei passi per
accedere ad un'altra costola dell'ex reggia. Unica ed ultima ancora in vita ma
soltanto per qualche giorno: la Presidenza della Corte di Appello di Napoli.
Attraverso cosõÁ il silenzioso, immenso, restaurato Salone dei busti ± giaÁ prestigiosa sede delle annuali solenni inaugurazioni dell'anno giudiziario ± ove ben
allineati si susseguono i grandi maestri del Foro napoletano: da Nicola Amore a
Giorgio Arcoleo, da Alfredo De Marsico a Giovanni Leone. Sfioro sul lato
destro la splendida piccola Cappella della Sommaria e scorgo in fondo, ad angolo
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con l'accesso alla Presidenza, un volto marmoreo che mi sorride. Rispondo al
suo sorriso con il mio: ma si, eÁ il mio maestro, l'Avv. Francesco Barra Caracciolo
di Basciano! Civilista emerito, la cui impronta professionale ± al pari di quella
dei suoi contemporanei Lelio Della Pietra, Alfonso Giordano, Carlo Minozzi,
Luigi Cariota Ferrara, Luigi Zevola ± rimane scolpita su quel busto marmoreo,
ultimo degli innumerevali esponenti del foro napoletano ad esservi collocato.
Accedo nel deserto saloncino antistante il Gabinetto del Primo Presidente, alle pareti pendono, ancora per poche ore, alcune tele, probabilmente
copie, del Cavalier Calabrese Mattia Preti, caro al mio cuore.
Anche in questa ultima sosta tornano alla mia mente figure che con alto
profilo sedettero sullo scranno piuÁ alto della Corte: Enrico Avitabile, Ugo
Stile, Errico Cortesani (che, ricordo, in un soggiorno trascorso con me in una
lontana estate a Malta, acceduti al Palazzo di Giustizia, al saluto che gli rivolse
il Presidente della Corte, replicoÁ magistralmente sulla validitaÁ del codice napoleonico ± normativa ivi in vigore ± sõÁ da lasciare allibita l'intera Corte). E
con essi rivedo altri insigni Magistrati, succedutesi in quella presidenza, come
Giuseppe Persico, Vincenzo Schiano, Italo Barbieri, Michele Maiella, Aldo
Aponte, Renato Golia, Aldo Vessia.
Si apre la porta del Primo Presidente: finalmente sono alla meta! Abbraccio l'ultimo, tenace, solitario occupante di Castelcapuano.
La pioggia, fuori, da giorni batte inclemente. Gli dico di essere ben felice
di portargli anche il saluto di illustri colleghi che, per la legge inesorabile del
tempo, non frequentano da qualche anno le aule della giustizia civile ove, per
preparazione giuridica e attaccamento alla toga, hanno lasciato forte traccia
come: Mario Pisani Massamormile, Vincenzo Cardarelli, Gioiacchino della
Pietra, Mario Rosario e Guido Pepe, Gabriele Lanzara, Luigi Zevola, Ugo
Cattaneo, Peppino di Rienzo, con i quali negli anni 70, costituimmo la Camera
degli Avvocati Civili. Accomiatandomi gli chiedo: cosa ne saraÁ tra due giorni
quando abbandonerai questa Reggia ove nel 1540 Don Pedro di Toledo volle
accorpare su tre livelli tutti gli uffici giudiziari?
Tace il mio illustre interlocutore. Dopo una pausa di silenzio mi sussurra:
``che vuoi che ti dica, caro amico. Ai posteri l'ardua sentenza!''
Mi accompagna, col suo solito garbo, sino alla soglia del grande Salone dei
Busti, l'ultimo mesto, tenace monarca.
Accolgo il suo tacito invito e rivolgo, indomito, a quella schiera di numi
del glorioso Foro di Napoli, lo stesso quesito: cosa ne saraÁ tra due giorni di
questa Reggia? Essi, tutti muti, mi sorridono.
Dicembre 2008
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NAPOLI E GIAPPONE
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KAGOSHIMA MON AMOUR
MA NAPOLI NON DIMENTICA LA SUA GEMELLA
Guardarla dall'alto da un finestrino del Jumbo che vi arriva da Tokio,
sembra di giungere a Napoli. Di fronte il Vesuvio che nella specie, eÁ il Sakurajima (isola dei ciliegi), un vulcano attivo da secoli. Ne manca, adiacente, il
monte Shimazu, ne piuÁ ne meno come al nostro Vesuvio si affianca il Monte
Somma. Il Sakurajima ha tuttavia qualcosa in piuÁ: un altissimo, folto, pennacchio di fumo che, dicono, cambi colore sette volte al giorno.
SõÁ, questa eÁ Kagoshima, la cittaÁ piuÁ sviluppata e in progresso del sud ovest
del Giappone, potremmo dire la capitale di quel «Mezzogiorno». Molti napoletani ne conoscono il nome, temiamo soltanto per la strada cosõÁ intitolata che
da Via Cilea scende a precipizio verso Via Aniello Falcone. Quanti ricordano
che eÁ la gemella della nostra cittaÁ e che il patto fu sottoscritto nell'ottobre del
1960? Anche a Kagoshima c'eÁ una strada, una delle piuÁ importanti, proprio nel
centro residenziale della cittaÁ: Corso Napoli. PiuÁ che ad una tabella viaria
appiccicata al muro di una casa che sarebbe certo sperduta nel vasto viale
fiancheggiato di verde, l'indicazione «Corso Napoli» eÁ incisa in grandi lettere
su un cippo di pietra. EÁ una testimonianza perenne del legame tra Napoli e la
cittaÁ giapponese, una delle poche, se non la sola che ricordi il patto di fratellanza ed amicizia.
Di questa affettuosa simpatia che Kagoshima nutre per Napoli posso ben
essere testimone, per aver ricevuto le parole, entusiastiche e sincere, del signor
Yoshinori Akasaki, sindaco della cittaÁ, durante il ricevimento che mi eÁ stato
offerto in quella MunicipalitaÁ nel corso di una mia recentissima visita in
Giappone. Ho potuto rispondere ± non tanto nella mia veste di Console
Onorario del Giappone a Napoli quanto in quella di cittadino napoletano che
si onora di consegnare un messaggio del nostro Sindaco Lezzi al suo omologo ±
dando assicurazioni che al mio ritorno a Napoli avrei sollecitato ± come vado a
sollecitare ± le AutoritaÁ, la stampa, i circoli culturali, i musei, i clubs di
servizio, ad un maggiore interesse verso la gemella. PercheÂ, in veritaÁ a Kagoshima Napoli eÁ assente.
Nell'importante modernissimo Museo (vi sono raccolte tra l'altro opere di
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Renoir, Cezanne, Rodin) potrebbe esservi qualcosa, ma non v'eÁ nulla, che
ricordi Napoli: da parte nostra nessuno vi ha pensato. Come nessuno ha pensato
ad una effettiva presenza di Napoli nella grande Mostra «Viva Napoli» che si eÁ
tenuta nei giorni scorsi nella cittaÁ nipponica e che ha avuto centinaia di migliaia
di visitatori giunti da ogni parte del Giappone. Ha avuto luogo nel Yamakataya
Department Store, un colossale edificio che ospita un supermercato e che si
sviluppa per piuÁ piani dove sono raccolti prodotti sia del Giappone sia provenienti da tutto il mondo. (Ogni giorno almeno quindicimila persone varcano la
soglia del Yamakataya accolte dai premurosi inchini delle hostess che, in omaggio ai tempi nuovi, hanno rifiutato il tradizionale chimono optando per una
corta minigonna). Ci si sarebbe aspettato che alla cittaÁ gemella Napoli inviasse
suoi operatori, una gamma delle sue produzioni piuÁ significative. A parte la
presenza di un commerciante di cofanetti intarsiati, un signor Apreda, inviato
dalla ditta Gargiulo e Jannuzzi di Sorrento, nessun'altra testimonianza del
lavoro napoletano eÁ stata offerta ai visitatori. GiaÁ si intravedeva, dall'accesso,
decorato con due grandi scudi tricolori, un banco sovraccarico di trasparenti
involucri di pasta. Ma non proveniva certo da Gragnano o da Torre Annunziata,
e da Pomigliano d'Arco e da Cicciano nemmeno. Era quella, abbondantemente
pubblicizzata, nella televisione italiana, di una nota casa del Friuli. CosõÁ come ai
visitatori era capziosamente offerta una «pizza napoletana», che di certo sarebbe stata sdegnosamente rifiutata dai clienti delle pizzerie di Port'Alba e di
Porta Nolana. Pizza Napoletana? L'esercente il chiosco era di Pordenone; il
pizzaiuolo un indaffarato e sorridente giapponese in grembiule bianco, ma la
rassomiglianza con uno dei nostri don Gennaro o don Pasquale, sapienti artefici
di «margherite» e di «marinare», non andava oltre quel grembiule. Ed ancora: i
vini provenivano da San Gimignano, e sui vassoi di dolci al cocco risaltava
l'etichetta di una ditta del Fulignate. E la canzone napoletana? Immancabile
certamente, si diffondeva nei tanti reparti disseminati nel colossale edificio ma
con altrui accento per essere esibita da un modesto trio, aborigeno di una cittaÁ
rivierasca dell'Adriatico.
E Napoli?
Certo una occasione perduta. Un solo titolo di merito: l'esposizione di
disegni degli allievi delle scuole elementari e medie di Napoli. Ma non eÁ il caso
di raccontare quanta fatica, spontaneamente, eÁ stata spesa da un volenteroso
gruppo di insegnanti perche questi quadri, per esclusivo impulso, se mi eÁ
consentito, del Consolato del Giappone a Napoli, fossero raccolti nelle scuole
e consegnati al Comune, allora retto dal Commissariato Straordinario, percheÂ
fossero inviati a Kagoshima ove il suo Sindaco Akasaki si eÁ compiaciuto far
esporre anche durante questa Mostra, con cordiale successo. Solo con le tarsie
di Sorrento e con i disegni dei piccoli scolari Napoli eÁ stata presente alla Italian
Fair «Viva l'Italia». Una presenza a passo ridotto.
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La nostra cittaÁ non si puoÁ dire abbia mai manifestato a tutt'oggi un
soverchio interesse per la gemella. (Pure Kagoshima nei deÂpliants turistici delle
Agenzie di viaggio giapponesi eÁ indicata come «la Napoli del Sol Levante»).
Vivo, invece, l'interesse di Kagoshima per Napoli. Nello scorso ottobre, in
vista della conferenza internazionale sui vulcani che si terraÁ nella cittaÁ giapponese l'anno prossimo, sono venuti a Napoli inviati del quotidiano «Minami
Nippon Shimbun» e della rete televisiva M.B.C. Sul «Minami Shimbun»
quattro pagine a colori sono state dedicate a Napoli e al Vesuvio. Un ampio
documentario sulla nostra cittaÁ e sulla squadra calcio del Napoli (Maradona,
ovviamente, compreso), eÁ stato trasmesso dalla televisione. Un pari interesse
non si eÁ mai manifestato da parte nostra. A prescindere da ogni considerazione
di carattere potremmo dire affettivo, va rilevato anche l'interesse, utilitaristico, che una maggiore presenza di Napoli in questa nostra cittaÁ gemella (che
eÁ anche centro culturale, commerciale e turistico di sempre maggiore importanza) come in altre cittaÁ giapponesi potrebbe avere per la nostra economia: e
nella promozione turistica, per incrementare il flusso di visitatori che dal
Giappone muovono, in ondate sempre piuÁ massicce, verso l'Europa e che
potrebbero piuÁ facilmente orientarsi su Napoli, e sul suo immenso patrimonio
archeologico, artistico e culturale.
A chi spetta questa promozione (che consiste prima di tutto nel rinsaldare
i vincoli, fin troppo trascurati, con la cittaÁ gemella) per raggiungere gli obiettivi che sono stati indicati? Al Comune, prima di tutti. E alla Regione. Chiediamo troppo?
Luglio-Dicembre 1987
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UNA SETTIMANA TUTTA GIAPPONESE A MALTA
FINALMENTE LA KATORI NEL PORTO DI LA VALLETTA
Dopo 61 anni tre navi della marina militare giapponese hanno potuto
recentemente attraccare a Malta. Trattasi di una squadra composta dalle fregate: Katori, Hat-suyuki e Yamayuki ± ciascuna lunga circa 130 metri con
stazza di oltre 3.000 tonn. ± che, in servizio come naviscuola con 250 cadetti
ed ufficiali e 700 militari di equipaggio, visitano ogni quattro anni i porti
mediterranei.
Un ritorno quanto mai atteso dalla marineria giapponese e non di meno
dal popolo maltese anche perche a Malta v'eÁ un cimitero militare ove riposano
le spoglie di tutti i marinai giapponesi caduti nel bacino mediterraneo durante
il primo conflitto mondiale; ad essa venne a rendere il proprio omaggio l'allora
giovane principe ereditario Hirohito. GiaÁ nel 1975, nel 1979 e nel 1983 i
cadetti del Sol Levante, lasciata Napoli ed impossibilitati ad accedere a Malta
± per una disposizione, solo recentemente abrogata dal governo nazionalista,
che vietava l'ingresso nell'Isola ai militari di qualsiasi Paese ± si portavano al
largo di essa, ma fuori delle sue acque territoriali, per adempiere ad una mesta
commemorazione: irrigiditi sugli attenti, sul ponte della Katori, sotto le note
del silenzio e con lo sguardo rivolto verso quel piccolo cimitero, depositavano
in acqua una corona di fiori nella segreta speranza che le onde potessero
portare a riva il loro muto messaggio di saluto e di preghiera.
Il 24 settembre 1991 altri 250 giovani cadetti, guidati dal loro comandante, l'Ammiraglio Takeo Tsukahara ± piuÁ fortunato dei suoi tre predecessori, gli ammiragli Kazuo Ueda e Satoshi Okada ± hanno potuto finalmente
vedere, e salutare da vicino, le croci dei caduti del loro Paese che il tempo, ma
non l'amore e il ricordo per essi, riesce a sbiadire nel piccolo cimitero militare
di Kalkara.
La visita a Malta della flotta giapponese va ascritto a merito del Console
Generale On. del Giappone, Comm. Silvio Mifsud, che per meglio solennizzare tale visita, si eÁ reso promotore di una memorabile settimana giapponese a
Malta: mostre di ikebana, sfilate di kimoni antichi e moderni (indossati da 40
ragazze giapponesi accompagnate appositamente a Malta, via aerea, dal Con76
sole On. di Malta a Tokio Sig. T. Miyushima), mostre fotografiche di giardini
giapponesi, recital operistico del mezzo soprano ms. K. Kashima, concerto della
pianista ms Kasakara, si sono freneticamente succeduti nel bellissimo Centro
Mediterraneo delle Conferenze, giaÁ antica infermeria del Sovrano Militare
Ordine di Malta ai tempi dei Cavalieri, capolavori della cinematografia giapponese sono stati proiettati nella sala Temi Zammit dell'UniversitaÁ di Malta;
saggi di arte marziale (judo, karate, aikido, kendo) sono stati eseguiti dagli
stessi cadetti della marina giapponese nel palazzo dello sport di Ta' Qali; al
centro culturale Robert Sammut in Floriana, dopo l'indirizzo di saluto di S.E.
l'Ambasciatore del Giappone in Italia, Shinihiro Asao, hanno svolto relazioni:
il Presidente della Micsui & Company Italia Spa, Sig Kazuo Suzuki sul tema
«Lo sviluppo commerciale tra l'Europa e il Giappone» e il Presidente della
Toho Mutial Life Insurance e Console Generale di Malta in Giappone, Sig.
Seizo Ota sul tema «Le prospettive dell'interscambio tra Malta e il Giappone».
Impeccabile e cordiale eÁ stata definita da tutta la stampa maltese l'accoglienza che l'Ammiraglio Tsukuhara, presente l'Ambasciatore Asao, ha riservato a bordo della Katori, ancorata al Crucifix Wh'arf del Grand Harbour, ai
300 ospiti maltesi. Tra essi il Presidente della Repubblica di Malta On. Vincent Tabone, il Primo Ministro On. Eddie Fenech Adami e molti Ministri tra i
quali il V. Primo Ministro degli Esteri e della Giustizia On. Guido De Marco
(che ha presieduto sino al settembre scorso l'Assemblea delle Nazioni Unite),
il Ministro dell'Interno e dell'Educazione On. Ugo Mifsud Bonnici, l'Ambasciatore d'Italia a Malta Ecc. Marino Fleri, tutti accompagnati dalle gentili
consorti.
Mancheremmo d'obiettivitaÁ se non aggiungessimo che hanno attivamente
contribuito al successo della «Japan week» il Sig. Umberto Mifsud ± figliuolo
del Console Generale On. del Giappone suo instancabile collaboratore sin
dalla istituzione dell'ufficio consolare giapponese a Malta ± e l'Associazione
Maltese Amici del Giappone, presieduta sin dalla sua fondazione nel 1987, dal
Dr. Edward Sammut.
Anche Maltanapoli si complimenta «toto corde» con l'amico Console
Generale del Giappone Silvio Mifsud e con le AutoritaÁ maltesi per la perfetta
organizzazione che hanno saputo e voluto imprimere a questa «settimana
giapponese» e, proprio sulla scia di tale successo e per quella osmosi che unisce
Malta a Napoli, questo giornale osa sperare che, dopo La Spezia nel 1986 e
Malta 1991, la squadra della marina imperiale giapponese, Katari in testa,
muovendo le ancore dalla base militare di Yokosuka, torni a volgere, in occasione del periplo del 1995, le prue delle sue fregate verso il porto di Napoli per
approdare come giaÁ nel '75, nel '79 e nell'83, al molo Angioino.
Luglio-Dicembre 1991
77
E POI «NAPOLI IN GIAPPONE»
Lo scopo principale di «Giappone in Italia 95-96» eÁ quello di approfondire e divulgare la cultura e la civiltaÁ del Giappone in Italia mediante manifestazioni multidisciplinari che possano fornire un'attenta ed efficace chiave di
lettura di un popolo che ha saputo conciliare l'anima tecnologica e avveniristica dell'oggi e del domani con quella sofisticata e peculiare di una tradizione
culturale millenaria.
PiuÁ specificatamente, le molteplici manifestazioni tendono a rafforzare i
rapporti culturali ed economici fra i due Paesi, attraverso una serie di iniziative che per un arco di nove mesi, dall'autunno 1995 all'estate 1996, avranno
luogo nelle cittaÁ piuÁ importanti d'Italia. Finora nulla del genere eÁ mai stato
realizzato nel nostro Paese, in una visione originale e non stereotipata dei
rapporti fra due grandi nazioni: nel senso che l'iniziativa non riguarda solo
la vita sociale, le tecnologie di avanguardia e gli aspetti politici peculiari dei
due Paesi ma tende ad inaugurare una nuova e fertile era di amicizia fra l'Italia
ed il Giappone. Si vuole, in sostanza, presentare attraverso eventi affascinanti
la straordinaria ricchezza e diversitaÁ della civiltaÁ giapponese e al tempo stesso
di individuare i punti di contatto che storicamente si sono instaurati tra
l'Italia e il Giappone e costituire, cosõÁ, un'importante occasione per sviluppare
e consolidare la comprensione e l'amicizia tra i due Paesi.
Il festival vuol essere un viaggio ideale nell'universo culturale di un Paese
poco conosciuto nel suo sviluppo storico e considerato talvolta soltanto come
un punto di riferimento commerciale ed industriale. Solo una forte consapevolezza delle proprie tradizioni ed una tenace volontaÁ nel conservarle e salvaguardarle con profondo rispetto ha reso possibile, invece, quel fenomeno di
modernizzazione che in Occidente eÁ noto come «il miracolo giapponese».
«Giappone in Italia 95-96» vuole inoltre contribuire al miglioramento
delle relazioni tra Italia e Giappone in un momento in cui le frontiere dei
Paesi sembrano essere sempre piuÁ vicine.
I rapporti di cordialitaÁ che intercorrono da sempre tra Napoli e il Giappone hanno consentito di riservare un rilevante «spaccato» del suggestivo
programma di iniziative di arte e di cultura del ciclo delle manifestazioni, a
78
Napoli, contribuendo pertanto ad imprimere un piuÁ forte e significativo volano al turismo, all'economia, all'import-export, agli scambi culturali e scientifici tra il Giappone da una parte (che giaÁ manifesta tanta simpatia nel settore
del turismo) e il Mezzogiorno, specialmente Napoli, dall'altra.
Di cioÁ siamo profondamente grati all'Ambasciatore del Giappone in Italia, Ecc. Masamichi Hanabusa, al quale Napoli giaÁ tanto deve per l'accresciuta
attenzione che il Giappone va riservando alla nostra cittaÁ ed al quale va anche
ascritto il merito di averla prescelta a sede di salienti manifestazioni. E per
ricambiare al Giappone ed al suo Insigne Rappresentante in Italia, almeno in
parte, tanta sensibilitaÁ occorre che le stesse forze che hanno voluto e sostenuto
questo grande evento non solo culturale ma anche e soprattutto di amicizia ±
nel solco sempre piuÁ largo e ricco di implicazioni che caratterizzano i rapporti
italo-nipponici ± sappiano portare nel 2000, a Tokyo, a Kagoshima, a Nagoya,
ad Osaka, a Kyoto a Shizuoka ed in tante altre cittaÁ del Sol Levante la
presenza dell'Italia cosõÁ come il Giappone ha portato oggi la sua forte testimonianza a Roma, a Napoli, a Firenze, a Milano, a Venezia, a Brescia, a
Parma, a Messina e in tante altre cittaÁ italiane.
E la nostra Napoli dovraÁ con la sua straordinaria sintesi di arte e di
cultura svolgere un ruolo primario nella spettacolare rassegna di «Italia in
Giappone 2000», che saraÁ ribalta d'apertura anche culturale verso il terzo
Millennio. L'Opera buffa del 700 napoletano; il Rinascimento e la pittura
dell'800; Pompei, Ercolano, Oplonti, i Campi Flegrei, il Museo di Capodimonte e quello di San Martino, Napoli normanna, aragonese, angioina, spagnola, borbonica e sabauda, dovraÁ schiudere i suoi scrigni per portare in
Giappone una presenza del suo immerso patrimonio storico e culturale e con
essa l'omaggio del nostro Golfo e il calore di una antica e profonda amicizia.
Dicembre 1995
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LASCIA DOPO QUARANT'ANNI L'INSEGNAMENTO DI LINGUA GIAPPONESE
PRESSO L'ISTITUTO ORIENTALE DI NAPOLI
IL PROFESSORE TETSUO SAKAMOTO DAL FUJI AL VESUVIO
Il 3 dicembre scorso il Rettore dell'Istituto Universitario Orientale Prof.
Pasquale Ciriello, con molti Ordinari e Docenti della FacoltaÁ di Scienze Politiche, con il Preside Alessandro Triursi, ha festeggiato calorosamente il Prof
Tetsuo Sakamoto, Titolare alla Cattedra del secondo biennio di lingua e letteratura giapponese presso quella UniversitaÁ, che, per la ineluttabile legge del
tempo, ha dovuto cessare, dopo circa quarant'anni, l'insegnamento presso il piuÁ
antico Istituto Orientalistico Europeo fondato da Matteo Ripa nel XVII secolo.
Il distacco, certamente sofferto, come tutte le cose che si eÁ costretti a
lasciare dopo un intenso amorevole impegno, gli consentiraÁ di dedicarsi piuÁ
intensamente alla sua attivitaÁ di giornalista, scrivendo, quale corrispondente
da Roma, sull'importante quotidiano giapponese Sankei.
Per meglio ricordare ed esaltare l'intensa attivitaÁ del Prof. Sakamoto,
autore peraltro di un pregevole Dizionario giapponese-italiano, riteniamo opportuno riportare qui di seguito la magistrale laudatio pronunciata qualche
tempo fa presso l'Ambasciata del Giappone a Roma, dal Prof. Franco Mazzei,
Preside della FacoltaÁ di Scienze Politiche dell'UniversitaÁ Orientale, in occasione dell'alta onorificenza per meriti culturali della quale il Prof. Sakamoto fu
insignito in quei giorni dall'Imperatore del Giappone.
Egli seppe anche tenere ben alti i meriti acquisiti da un altro illustre
giapponese, suo predecessore per cinquant'anni alla stessa Cattedra di Lingua
e Letteratura Giapponese, il Prof. Yoshiie Kawamura, amorevolmente assistito dal Prof. Sakamoto negli ultimi anni della sua vecchiaia conclusasi, in
estrema ma dignitosa povertaÁ, nel 1988.
La scia di simpatia, di ammirazione e di gratitudine che il Prof. Sakamoto
lascia non soltanto nell'Istituto Orientale ma negli strati culturali della cittaÁ e,
non di meno, in tantissimi suoi amici ed estimatori, fanno ben sperare di
rivederlo, e spesso, qui tra noi a Napoli.
L'accoglienza, caro Tetsuo, saraÁ ancora piuÁ affettuosa di prima.
Dicembre 2002
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UN'ALTRA PROVA D'AMORE DI UN GEMELLAGGIO
NATO QUARANTACINQUE ANNI FA
A NAPOLI NEL 2003 L'ORCHESTRA SINFONICA DI KAGOSHIMA
L'On. Yoshinori Akasaki, Sindaco di Kagoshima da 15 anni, sempre
rieletto dai suoi concittadini non finisce mai di stupire per il suo costante
amore verso la cittaÁ di Napoli. Accompagnato da una delegazione ha visitato
Napoli nel 1990 (in occasione dei Mondiali di Calcio al San Paolo), vi eÁ
tornato nel 2000 per solennizzare il Quarantennale del gemellaggio tra le due
cittaÁ.
Da 12 anni, l'On. Akasaki invia a spese del suo Comune un gruppo di 10
giovani che, sistemati a cura del Consolato Onorario del Giappone a Napoli
presso altrettanti famiglie napoletane, vi permangono per una settimana per
conoscere da vicino oltre che la nostra cittaÁ Napoli, le sue bellezze storiche,
culturali e paesaggistiche, la vita familiare napoletana. Nel contesto degli
eventi di ``Giappone in Italia 95/96'' ± il Coro Konsei di Kagoshima, composto da 80 elementi, si eÁ esibito al Teatro di Corte di Palazzo Reale in un
repertorio anche di canzoni napoletane.
In occasione delle manifestazioni di ``Italia in Giappone 2001-2002'', per
consentire anche nella sua cittaÁ l'esposizione della rassegna pompeiana ``Homo
Faber'', si eÁ compiaciuto, su sollecitazione di chi scrive, quale Console Generale del Giappone a Napoli, erogare allo sponsor Asahi Shimbun una somma
pari a 500 milioni di lire.
E nello scorso aprile a tagliare il nastro, all'apertura dell'esposizione
presso il Museo Nazionale di Kagoshima, ha invitato il Presidente della Regione Campania On. Antonio Bassolino e, in rappresentanza del Comune,
l'Assessore Nicola Oddati; tutti, unitamente al Capo del Servizio Cerimoniale
Dott. Umberto Zoccoli, calorosamente accolti ed ospitati dalla MunicipalitaÁ di
Kagoshima.
Un artistico kimono eÁ in arrivo, sempre dal Comune di Kagoshima, per
essere donato al Centro Polifunzionale ``IL TARI''.
EÁ di questi giorni, infine, la proposta del Sindaco Akasaki di accompagnare, a spese del suo Comune, nel corso del nuovo anno, l'intero complesso
81
dell'Orchestra Sinfonica della sua cittaÁ per una esibizione gratuita al Teatro di
San Carlo. In attesa dell'accoglimento di tale proposta da parte del Sindaco di
Napoli, On. Rosa Russo Iervolino, ci si domanda: perche mai, malgrado ogni
reiterata ultradecennale richiesta da parte non solo del Consolato Generale
On. del Giappone a Napoli e dell'Associazione di Amicizia Napoli-Kagoshima,
ma da molti strati cittadini, non viene accolta la proposta di dedicare alla cittaÁ
gemellata uno spiazzo del centro Direzionale, peraltro progettata dal noto
architetto giapponese Kenzo Tange) atteso che via Kagoshima (una ripida,
tortuosa strada) non puoÁ confrontarsi con ``Napoli Dori'' (Corso Napoli) una
via a doppia corsia, alberata, con a destra il mare e sullo sfondo il Vulcano
Sakurajima?
Si osa obiettare: ma uno spiazzo che porterebbe lo stesso nome di una via
creerebbe confusione! Si domanda, allora, al Sindaco di Napoli On. Rosa
Russo Iervolino e alla spett.le Commissione Toponomastica: piazze e vie ben
distanti come Piazza e Via D'Acquisto, Piazzale e Via Cristoforo Colombo,
Piazza e Via Alcide De Gasperi, Piazza e Via Salvatore Di Giacomo, Corso e
Piazza Vittorio Emanuele, e cosõÁ via, creano forse confusione?
Dicembre 2002
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PRESTIGIOSE FIGURE
83
84
SIGNOR PRESIDENTE!
Mr. President! EÁ l'appellativo che viene conferito al Presidente degli
Stati Uniti. Precede, di solito, le fulminanti domande che i giornalisti delle
conferenze stampa rivolgono, a bruciafiato, al capo dell'Unione. Per questo,
dire Mr. President (il vecchio Truman intitoloÁ cosõÁ un suo libro di ricordi)
significa un po' anche riconoscere al capo supremo della Nazione il carattere, il
tono e il ruolo di un vero democratico.
Ed ecco qui il Senatore a vita Prof. Giovanni Leone, Presidente della
Repubblica Italiana giaÁ Presidente del Consiglio dei Ministri in due momenti
eccezionalmente difficili per l'Italia, a lungo Presidente della Camera. Giovanni Leone ha posto al servizio del Paese non soltanto la sua capacitaÁ di uomo
politico, quant'anche quella di profondo conoscitore del diritto. In tale veste
Egli ha servito la causa della democrazia in Italia concorrendo alla soluzione
dei problemi che sono alla base della vita di un Paese democratico: come quello
del divorzio, come la riforma dei codici, la riforma del sistema carcerario.
Da discepoli, all'UniversitaÁ di Napoli, apprezzammo ed amammo il Maestro, nel Foro conoscemmo ed amammo l'Avvocato, la professione che con
dolcezza e perfidia lo ha tante volte sottratto alle cure e agli incarichi di
governo, la stessa tuttavia che gli ha permesso di riprendere, esattamente allo
stesso punto dove aveva lasciato, la sua attivitaÁ fondamentale: quella di Avvocato, di Professore, di Maestro.
PercheÂ, stranamente, in questa epoca di specializzazione a «full time»
Giovanni Leone non appartiene al professionismo politico. Parlavamo di perfidia: questa sua professione, infatti, fin troppe volte gli ha tolto la volontaÁ di
durare, e combattere per durare. Un vero professionista di «political affairs»
non eÁ disposto a «lasciare» con tanta serena indifferenza. E riprendere la toga
e tornare nelle aule giudiziarie e tracciarie lezioni dinanzi a un giovane uditorio nelle aule universitarie.
In questa limitazione (tale infatti non puoÁ non apparire ai giovani leoni
dei nostri affari politici) eÁ invece l'ultimo significato del carattere e della forza
dell'Uomo. Come i gran signori di una volta, per i quali il tributo di servire il
proprio Paese, era un dovere imperiosamente richiesto dalla propria coscienza,
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cosõÁ il Presidente ha dato se stesso al Paese ogni volta che questo ha avuto
bisogno di Lui. Ed ogni volta, sistemate e rimesse le cose su un giusto binario,
ha preferito andarsene in punta di piedi. Gli altri a litigare, inveire, sopraffare: Lui, compiuto il suo dovere, tornare ai diletti studi, alla professione, alla
famiglia.
L'Avv. Mario Squitieri, in un suo libro di ricordi forensi, ha trovato la
misura giusta per tratteggiare la figura di Giovanni Leone: «la vita intima di
quest'uomo di eccezione nella quale predomina, con la piuÁ convinta fede in
Dio, il sentimento della famiglia, della onestaÁ e del lavoro e soprattutto di una
sconfinata modestia ± quasi che volesse mortificare le doti non comuni del suo
ingegno ± non puoÁ essere considerata dissimile da quella vita che ha sempre
vissuto, rendendolo caro a tutti, nel Foro, nell'Ateneo, nel Parlamento».
Non si potraÁ del tutto intendere il fascino di questo richiamo da chi non
abbia pratica di avvocato: la nobiltaÁ di assumersi il patrocinio del debole,
dell'innocente. Di assicurare equitaÁ al colpevole. Un giusto processo al reo.
Si potraÁ allora intendere perche l'avvocato vorraÁ rimanere sempre tale.
In questa veste lo abbiamo ammirato molte volte. Lo abbiamo visto ed era
un atteggiamento come sempre sincero attardarsi nei saloni e negli ambulacri
di Castelcapuano, con qualche giovanissimo collega, dargli un consiglio, suggerirgli qualcosa. Fino al giorno prima era stato al potere; eccoLo, ora, nuovamente e solamente Avvocato entrare spedito nell'aula. Non prima comunque di aver impartito una lezione di diritto; e non necessariamente di procedura penale. Piuttosto, di quel comportamento che Lo ha designato tra gli
Italiani, come il Presidente del buonsenso, della sinceritaÁ, dell'onestaÁ politica
e morale.
Leone eÁ un po' (o molto) come De Nicola. L'accostamento eÁ stato tante
volte fatto che sembra ormai quasi fastidioso ripeterlo. Non per nulla ne
frequentoÁ lo studio (quel vecchio, solennissimo palazzo del corso Umberto
dove il Primo Presidente della Repubblica Italiana tornava puntuale, ogni
volta, dopo aver lasciato il potere) e ne fu l'allievo prediletto. Per gli Italiani
questo parallelo eÁ motivo di sicurezza e fiducia. Per i Napoletani, un motivo di
orgoglio. L'uno e l'altro figli di Napoli, l'uno e l'altro hanno espresso il loro
disinteresse, la loro onestaÁ non soltanto politica. Gli Italiani lo sanno.
Del suo vecchio Maestro ripete anche il tratto umano, la carica di simpatia e di affetto che propone e riceve. Ne avemmo prova, alcun tempo fa,
quando, rientrati noi dell'ANAM in folto gruppo da Malta a Napoli, Egli
acconsentõÁ in casa nostra a riunirsi con i soci dell'Associazione Napoletana
Amici di Malta di cui cordialmente aveva giaÁ accettato la presidenza onoraria.
Tutti gli erano d'attorno e per tutti seppe trovare un riconoscimento, una
parola affettuosa. Un successo mondano? Non diremmo: la prova, invece,
della devota, riconoscente amicizia che i Napoletani provano per lui. Con
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Sirio Giametta, giorni or sono si era convenuto di pregarLo di voler partecipare a un incontro conviviale che avrebbe riunito i soci dell'ANAM e quelli
dell'Associazione fra i Napoletani. Per vero siamo lieti, oggi, che questi ultimi
prestigiosi avvenimenti ci abbiano precluso l'attuazione di questa iniziativa.
Non per questo tuttavia (anche senza piuÁ essere, forse, presente alle nostre
riunioni) il Presidente Leone vorraÁ dimenticarsi di noi. Come tutti, fidiamo in
Lui.
EÁ proprio in quel suo essere ± prima che giurista e statista ± «un avvocato» che Giovanni Leone, riceve la piuÁ esatta e pertinente qualifica: e cioeÁ
l'avvocato (non dei Napoletani soltanto), di tutti gli Italiani che a Lui guardano con confidenza e speranza. Come ad un uomo libero, schivo di vanitaÁ e
di onori, quale Egli eÁ sempre stato, scevro di ipoteche e condizionamenti
politici, un Uomo a capo di una Nazione piuÁ progredita, piuÁ ordinata, piuÁ
prospera. L'avvocato, cioeÁ il difensore, nel processo che fin troppe volte
malauguratamente e artificiosamente divide gli Italiani fra vittime e colpevoli.
Un avvocato che difenda tutti: dai calcoli dei furbi, dalle intemperanze dei
violenti. Che assicuri una Italia piuÁ libera nel suo divenire.
Signor Presidente: buon lavoro!
Gennaio 1972
87
UNA CARA, ILLUSTRE AMICA:
CLAUDIA REFICE TASCHETTA
Ci aveva uniti un comune amore: quello per Mattia Preti. Insieme avevamo scelto le riproduzioni dei dipinti che avrebbero illustrato il suo libro sul
Cavalier Calabrese. Il libro fu da me ridato alle stampe quattro anni fa, ma
altri incontri erano seguiti con Claudia Refice Taschetta. Il progetto che li
occasionava era quanto mai ambizioso: una mostra, antologica, di Mattia
Preti, da tenersi a Napoli o a Roma. Avremmo raccolto d'ogni parte, da Napoli
a Taverna, a Malta a Londra, a Roma, quanti dipinti avremmo potuto, ma con
rigoroso criterio scientifico di selezione critica, di ricostruzione filologica e di
rappresentativitaÁ stilistica.
Claudia era ormai giaÁ da qualche tempo la Direttrice della Galleria Spada
che ha sede nell'antico palazzo. Presiedeva un raro centro di reperti artistici,
sito perdippiuÁ in una zona (quella della old Rome, come eÁ indicata nelle guide
turistiche) la piuÁ fitta di testimonianze, pietre, memorie. A qualche passo da
Campodifiori, nell'antico quartiere della Regola: qui approdarono un tempo,
sulle rovine dei templi fatti innalzare da Pompeo, l'Aretino e Benvenuto
Cellini; oggi, mutati tempi e costumi, vi abita Gabriella Ferri.
Puntuale ogni mattina giungeva in Piazza Capodiferro. Vi si affacciano le
grandi finestre e le pareti bugnate di Palazzo Spada. Qui il Cardinale Capodiferro trasportoÁ la statua di Pompeo, avuta in dono da Papa Giulio. Il Pontefice, con cinquecento scudi romani, l'aveva sottratta alle liti dei due proprietari di uno stabile in Via dei Leutari ed alla salomonica sentenza di un
giudice che aveva decretato fosse divisa e consegnata, una metaÁ all'uno e una
metaÁ all'altro, ai contendenti nel giudizio.
(Un'altra storia, su questa statua: il piccolo ma compiuto saggio che ha
ispirato a Dean Howells allora che vi giunse, dall'America. Un saggio sulla
monarchia e la repubblica per un solo sguardo in tralice. Certo meno ispirato
nella sua visita Melville: l'autore di Moby Dick era ancora sotto choc, piombato nell'amabile e tollerante civiltaÁ europea. Ne riusciva a stemperare l'antica
ferocia dei suoi antenati Pellegrini nel fasto e nell'incenso della Roma papale).
Per una donna cosõÁ provveduta, come Claudia, era la migliore destina88
zione che avesse potuto desiderare. Una Galleria tutta «sua», anzi un Palazzo
tutto «suo» (con il permesso, si intende, del Consiglio di Stato che vi ha sede)
e, intorno, tante altre memorie: solo la fatica di muovere qualche passo.
La mattina del 1ë aprile ero appunto in Piazza Capodiferro. Avevo con
me una fotografia (eÁ quella pubblicata qui accanto) di uno dei quadri della
National Gallery di Londra. Un Mattia Preti, le Nozze di Cana. Sarebbe stato
uno di quelli da inserire nella Mostra (poiche era ormai convenuto tra noi, per
tacito accordo, che la Mostra, cosõÁ indicata tout court, stesse a significare
quella di Mattia Preti). Quella che ± ella sapeva benissimo ± non era andata
finora in porto. Anche se il ministro Misasi, a suo tempo, e l'allora Direttore
Generale delle AntichitaÁ e Belle Arti Agresti, lo avessero promesso con tutta
solennitaÁ, anche se altri, qualificati sul piano scientifico, avessero assicurato
considerazione e appoggio e impartito solenni, quanto vane benedizioni. Un
compito quindi che io, inesperto, continuavo a volermi assumere e cui, Claudia Refice, assicurava il conforto del suo animoso entusiasmo. Una amica cara
che mi aggiungeva forza ed impegno, con il contributo inestimabile della sua
conoscenza di studiosa.
Quel primo di aprile scendemmo insieme per Via dei Balestrari (sulla
destra la pittrice napoletana Letizia Mangione ha aperto da poco una Galleria
di arte moderna, e impegnata), traversammo l'affollato mercatino di Campo di
fiori, dietro le spalle dell'aggrondato Giordano Bruno, la Piazza del Paradiso,
il fiume di metallo di Corso Vittorio, intasato di macchine, appena contenuto
dagli argini degli alti palazzi cinquecenteschi. E poi Piazza Navona, per Via
della Cuccagna, e infine, per altre vie e viuzze, il Corso. E qui, dopo questo
excursus, lo stesso itinerario dei turisti, una Rome by morning, ci lasciammo.
Ancora una volta compagno inseparabile, della nostra passeggiata e dei
nostri discorsi, era stato il Cavalier Calabrese. Ma a Mattia Preti, questa volta,
quasi le pietre stesse, di questo selciato romano che andavamo calpestando,
spingessero uomini e fatti, alla sua memoria, Claudia andava ripetendo la
storia dei luoghi e di quanti, buoni o cattivi, vi avessero avuto dimora, e di
quanto di altissimo o di meschino vi avessero fatto: chi con la biacca e i
cinabri, chi con il fiato, chi con il marmo e l'argilla, chi con le opere. Una
pitagorica lezione, impartita senza parere, e che io assorbivo, ripetendo in me
cose giaÁ sapute, e dimenticate, altre apprendendo, nuove e non consuete ai
testi dei non addetti ai lavori.
Convenimmo di rivederci presto. L'occasione sarebbe stata l'inaugurazione, il 20 aprile, della XVI Settimana dei Musei Italiani. A Roma sarebbe
stata aperta proprio nella Galleria Spada: un riconoscimento e un premio per
la sua Direttrice.
Ma la cara Claudia non ci sarebbe stata. In queste sale seicentesche dove
statue e quadri erano stati da lei disposti con il piuÁ esatto amore, dove in pochi
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mesi era giaÁ riuscita a risolvere tanti dei problemi che contristano oggi la vita
dei Musei in Italia, dove il suo impegno di cultura riceveva ogni giorno nuova
e ricca linfa dai solenni moduli architettonici dell'antico palazzo, non avrebbe
piuÁ messo piede. La morte l'aveva spezzata, all'improvviso, pochi giorni
prima, sulla soglia del Palazzo Arcivescovile di Civitacastellana, dove stava
eseguendo importanti lavori di ricerca e restauro.
Ancora giovane, piena di vita, di animo. Morta sulla breccia, eÁ stato
detto, con un inesorabile luogo comune, in uno dei necrologi che hanno accompagnato la notizia dolorosa della sua scomparsa.
Io che l'ho avuta in consuetudine, questo giornale di cui era attenta e
cordiale lettrice, gli amici dell'Associazione Napoletana Amici di Malta che,
tutti, hanno ricevuto, a suo tempo, e letto il suo libro, su Mattia Preti, la
prima grande opera monografica su questo singolare pittore del '600 italiano,
esprimiamo il nostro dolore.
Se questa Mostra di Mattia Preti (cui Claudia tanto entusiasmo e tanto
impegno aveva dedicato) si faraÁ (ed io faroÁ di tutto perche si faccia) molto saraÁ
dovuto anche a lei, e saraÁ menzionato.
Ricorderemo sempre Claudia Refice, cosõÁ provveduta di cultura e pure
cosõÁ semplice e umana. La Claudia Refice che, sobbalzando sui suoi tacchi
femminili per le stradine dell'old Rome, andava spiegando, a questo piccolo
provinciale che ho il vezzo di credermi, la storia degli uomini, dei sentimenti e
delle idee che andava via via leggendo su pietre e su tele lungo il nostro
cammino.
Maggio-Giugno 1974
90
WELCOME, MR. PRESIDENT!
EÁ il primo Presidente della Repubblica di Malta. Ed eÁ questa la sua prima
visita di Stato. Sir Anthony Mamo viene in Italia il 15 maggio per incontrarsi
con il Capo dello Stato italiano. La affettuosa restituzione di un gesto singolare di amicizia: il riconoscimento che l'Italia effettuoÁ, prima fra tutte le altre
nazioni, in occasione dell'indipendenza maltese.
Nel 1964 Malta ha raggiunto l'ambizione, coltivata fin dal 1802, di essere
indipendente dall'Inghilterra. Dieci anni dopo eÁ diventata una Repubblica,
per l'inesausta azione del suo Primo Ministro Don Mintoff.
Non eÁ stata una promozione, inattesa e non ancora giustificata, come per
taluni Paesi del Terzo Mondo. Questa piccola isola e stata sempre un paese
europeo, di cultura e di civiltaÁ continentali, un sicuro avamposto della fede
cattolica che ha sbarrato la via dell'Occidente al Levante musulmano.
E anche avamposto delle libertaÁ democratiche, quando accolse, e protesse, nel lungo arco di un cinquantennio, gli esuli patrioti del Risorgimento
italiano.
E pertanto sono stati sempre vivi e profondi i legami con l'Italia. PiuÁ che
la vicinanza geografica eÁ stata una vicinanza spirituale e culturale, accresciuta
dal comune sentimento religioso, che ha stabilito, nei secoli, un rapporto tra i
due Paesi. Rapporto che si eÁ espresso con ampie manifestazioni: rimangono
esempi le chiese, i palazzi, le opere d'arte, la stessa tradizione di cultura, di
arte e di spiritualitaÁ che eÁ stata europea, e quasi sempre italiana.
La visita del Presidente Mamo viene a rinsaldare e confermare questa
antica parentela. L'Italia ha dato, nei recenti anni, prove non equivoche della
sua considerazione per i problemi della piccola isola: contributi economici (due
milioni e mezzo di sterline in occasione della fiera polemica, con l'Inghilterra,
sulle basi militari; tre miliardi di lire per acquisto di macchinari e altri beni
necessari allo sviluppo economico di Malta; un milione di sterline in aiuto
della deficitaria bilancia dei pagamenti maltese) un accordo di cooperazione
tecnicoscientifica; un accordo di cooperazione culturale. Da parte di Malta eÁ
stato risposto con la cordiale sinceritaÁ dei sentimenti di cui, oggi, eÁ la prova
questa prima visita di Stato del suo Presidente.
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Ci eÁ caro ricordare, in questa occasione, l'accoglienza che Sir Anthony
Mamo, or eÁ qualche anno, volle riservare al folto gruppo di napoletani «Amici
di Malta» ± di cui eÁ espressione questo giornale ± ricevendoli nei bellissimi
giardini di San AntoÁn, sua residenza privata, per un party cui non mancoÁ la
viva cornice dei gnochi d'acqua, di fontane zampillanti tra le verdissime
aiuole: uno spettacolo inconsueto e suggestivo che ricordiamo per l'affettuosa
cordialita dell'Ospite.
Ecco perche la Sua visita ± che ci auguriamo di cuore possa avere, dopo
l'ufficialitaÁ degli incontri di Roma, un piuÁ intimo prosieguo qui a Napoli ha
per noi un valore maggiore di quella che potrebbe essere la visita di un qualche
altro Capo di Stato, anche uno di quelli che sono giudicati i potenti della terra.
EÁ come se ci rallegrassimo della visita di un amico a noi caro che venga a
salutarci nella nostra cittaÁ, a manifestarci il suo affetto. Ed e con questi
sentimenti, di viva partecipazione, che anche a nome dell'Associazione Napoletana Amici di Malta, vogliamo tributare all'illustre Ospite il saluto che Gli
spetta. Benvenuto in Italia, Signor Presidente!
Marzo-Aprile 1975
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FRANCO EÁ MORTO
VIVA IL RE?
Da Parigi il Segretario dei comunisti spagnoli, ancora in esilio, ha messo
giaÁ l'ipoteca. I moderati sono divisi tra loro. Nell'esercito esiste un'«ala»
democratica. I monarchici sono per Juan Carlos. Ma altri sono per suo cugino,
don Alfonso, altri per suo padre, il conte di Barcelona. Gli estremisti baschi
attendono la vendetta dei patiboli. I trotskisti vogliono nuove strutture.
Il piccolo capitano che dal Marocco voloÁ nel continente per portare la
rivoluzione si eÁ sottratto, dopo quarant'anni, alla morte che eÁ piuÁ consueta ai
dittatori. Muore nel proprio letto, assistito da familiari e medici, i bollettini
sono puntualmente affissi ai battenti del Pardo. Fino a ieri la sua mano, pur
tremante per il morbo di Parkinson, ha stretto saldamente le redini della
Spagna. Ora si spegne come un borghese qualunque, lui che si eÁ seduto, con
la sola civetteria di farsi chiamare il Caudillo sul trono di Ferdinando e di
Isabella. GiaÁ intorno nascono le congiure di palazzo e di partito. Stretti a
difesa i nuclei dei familiari, tessuti di febbrili programmi le riunioni dei partiti
e i rapporti tra loro. Il futuro della Spagna eÁ incerto.
Resisteranno le attuali strutture? Sarebbe questa l'aspirazione dei moderati anche se con il sottinteso di una graduale liberalizzazione. O non piuttosto
si andraÁ verso una concentrazione, un «compromesso storico», in salsa spagnola, che riuniraÁ democristiani, socialisti e comunisti, naturalmente. Questi
ultimi presto o tardi, i padroni. Gli esempi cominciano dal 1945, l'ultimo eÁ di
ieri in Portogallo.
EÁ inevitabale l'«esplosione» democratica. Quando si tace a lungo, appena
riaperta la bocca vien voglia di gridare. Protagonista (sono soprattutto i comunisti a prospettarlo) il popolo, meglio sarebbe dire: la piazza.
E la successione? SaraÁ di Juan Carlos? O di don Alfonso o di Hugo
Carlos?
E saraÁ il Re (probabilmente Juan Carlos, che parte favorito) in grado di
tener testa ai lieviti, ai fermenti, alle emozioni che scuoteranno la Spagna?
Quale modello europeo sceglieraÁ il nuovo Stato? EÁ annunciato, da tempo,
un modello monarchico costituzionale. Ma un governo di concentrazione con
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dentro i comunisti non potrebbe che rosicchiarlo in pochi mesi. Lo svuoterebbe dall'interno, la tattica eÁ nota. O non piuttosto, se saraÁ la piazza a
decidere un modello di «democrazia popolare», una repubblica filosovietica?
Nessuno puoÁ negare i motivi di tensione sociale che sarebbero sottostanti
ad un rovesciamento violento delle istituzioni, anche questa un'arma efficiente per gli agitatori a pro' di un nuovo regime. La Spagna eÁ, come il
Portogallo del resto, uno dei paesi piuÁ poveri d'Europa, dove i dislivelli esistono, non sanati, da tempi immemorabili.
Tutta una serie di interrogativi, di estrema facilitaÁ nella formulazione, ma
cosõÁ difficile rispondervi. Come abbiamo accennato, in principio, negli stessi
bastioni moderati sono aperte larghe crepe. La parola «repubblica» fino a ieri
respinta con sdegno eÁ accettata oggi in quegli ambienti, come una realtaÁ
possibile. Ne puoÁ essere ipotizzata una repubblica, in una nazione di intensa
esigenza sociale, che non sia facilmente vulnerabile da certe suggestioni che
finirebbero con attribuirle caratteristiche e affiliazioni ben precise.
Sul futuro dell'Europa grava oggi il destino della Spagna. EÁ pura illusione
quella di alcuni commentatori «borghesi» che ipotizzano un contributo di
vitalataÁ ai grandi ideali democratici che sono stati trascurati in Europa dalla
fine della guerra in poi. L'esempio del Portogallo eÁ cosõÁ vicino e proprio che
non si puoÁ non rimanere sorpresi di tanto volenteroso ottimismo. Noi confessiamo di essere scettici, di guardare anzi con apprensione e sgomento alle lotte
che giaÁ si sono aperte intorno al letto del dittatore morente, alle incertezze che
caratterizzano le posizioni dei cosiddetti moderati, divisi tra fin troppe sfumature (ognuna una predisposizione a lotte individuali di potere) alle certezze
che caratterizzano, invece, i partiti della sinistra. Da Parigi Carrillo, iI segretario del P.C. spagnolo, parla da capo del governo, gli altri sembrano giaÁ strumentalazzati, fanno solo da coro.
In questo confuso coacervo di ambizioni, di pretese, di speranze, di
incertezze si apre la successione di Spagna. Sembra essere tornati indietro di
mille anni: allora intorno al Re morto erano piuÁ di uno quelli che si aspettavano, o pretendevano, di ricevere in ereditaÁ la corona. CosõÁ eÁ oggi in Spagna
dove il moribondo del Pardo ha scatenato intorno a se la rissa delle forze
politiche da quelle sindacali, dei suoi familiari stessi.
GiaÁ il suo rifiuto (poiche fino all'ultimo ha voluto detenere il potere) della
delega al successore designato Don Juan Carlos ha protratto di otto giorni, un
pericoloso limbo, l'insediamento del Re. Otto giorni in cui tutto puo accadere.
E se accadesse qualcosa?
C'eÁ l'esercito, potrebbe rispondere qualcuno.
L'esercito, sembra, eÁ tuttavia diviso. Ma fosse davvero l'esercito a intervenire sarebbe come tornare indietro di quarant'anni.
Non resta che aspettare e guardare. Con la legittima appressione di chi
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con tanti e calzanti esempi presenti nella memoria (che fin troppi altri fingono
di dimentacare) vorrebbe che questa vecchia Europa, di cui anche la Spagna
anche se da tanto tempo isolata, fa parte, continuasse a vivere nella democrazia e nella libertaÁ. Almeno fin dove gli uomini e gli avvenimenti l'hanno
reso possibile, l'Est naturalmente eÁ escluso. DovraÁ esserlo anche la Spagna?
No, speriamo.
Agosto-Settembre-Ottobre 1975
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LA MORTE DELL'AVVOCATO FRANCESCO BARRA CARACCIOLO
EÁ SCOMPARSO UN MAESTRO
Non ha raggiunto l'87ë compleanno: sarebbe stata, anche questa volta,
l'occasione per incontrarsi. Era un appuntamento che si ripeteva ogni anno, il 4
ottobre, fra Lui e noi: avvocati, magistrati e suoi ex allievi. Una data puntualmente rispettata, questa volta eÁ saltata. Francesco Barra Caracciolo non era
piuÁ. L'ex allievo che scrive questa nota, piuÁ commossa che non voglia parere, lo
ricorda con affettuosa memoria. Da quel suo (e nostro) studio di Via Vittoria
Colonna 15/C spesso, a sera, lo accompagnavo giuÁ per la breve rampa, per
immetterci nel grande fiume di Via dei Mille per la consueta veloce passeggiata.
La figura, alta e possente, si ergeva tra la folla: da ogna parte piovevano
saluti, scappellate, inchini. A tutti la risposta con l'ampio gesto, cosõÁ tipicamente di vecchio stampo, del cappello levato con il braccio disteso. Ma tra un
incontro e l'altro non mancava al giovane allievo un insegnamento, una citazione del massimario della Cassazione, un avvertimento per le cause dell'indomani.
Piccolo procuratore tendevo l'orecchio, vent'anni fa, a raccogliere le parole del Maestro: suggerimenti, proposizioni, consigli venivano impartiti alla
maniera di Socrate, per la strada. GiaÁ, nello studõÁo, quando sul mio tavolo ero
chino ed esitante a minutare le prime faticose comparse ricercando l'impostazione e la forma che potesse essere gradita al Maestro, mi sorprendevo ad
avvertire la sua vigile presenza al lato. Il suggerimento giungeva perentorio,
limpido, sicuro. La massima della S.C., impressa da anni nella Sua mente, mi
veniva gridata con la data, i nomi del Presidente, del Relatore, dei componenti
il Collegio.
Questi esempi, certe norme di comportamento ± nella professione e nella
vita ± tante volte ho ricordato negli anni che sono venuti dopo. Avevo il
privilegio di essere stato uno dei suoi ultimi allievi. A me, quindi, spetta
ricordarlo, per essere io uno di quei pochi a cui con tanto volenteroso affetto
e tanta volenterosa fiducia, aveva impartito il segreto di una cosõÁ lunga e
meritata fortuna umana e professionale. Ed eÁ sopratutto l'Uomo che io, il piuÁ
modesto ma anche il piuÁ devoto dei suoi innumerevoli allievi, voglio ricordare.
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Come quello la cui mano paterna (a me che il padre avevo lontano) spesso
scendeva sulla mia spalla, quasi a ricordare che non ero solo, e che al di fuori
dei codici e delle glosse, c'era qualcuno che partecipava alla mia vita, pronto a
sorreggermi con il consiglio, l'aiuto, l'affetto.
CosõÁ come dopo, negli anni che sono seguiti (e l'ultima testimonianza ha
preceduto solo di qualche settimana la scomparsa) non eÁ mai mancato a me,
come agli altri che aveva avuto nel Suo studio, l'espressione puntuale e sincera
del Suo apprezzamento, la soddisfazione del Maestro che si compiace del
successo di un suo allievo.
Altri hanno ricordato la statura del Suo ministerio, il Suo alto prestigio, la
Sua scrupolosa preparazione, la Sua oratoria colta, brillante, impetuosa. Io
vorroÁ anche ricordare un altro aspetto della sua figura: l'amore saldo e costante di sposo e di padre, anche questo un esempio, che abbiamo trasferito
nelle nostre piuÁ giovani famiglie. Ancora un motivo per essergli grato.
Non altri sentimenti che questi voglio ricordare nell'occasione tristissima,rievocando l'Uomo a cui affidai la mia giovinezza, le mie speranze, le mie
ambizioni.
Agosto-Settembre-Ottobre 1975
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IL 3 NOVEMBRE 1876 MORIVA A NAPOLI
IL COSPIRATORE LUIGI SETTEMBRINI
Un napoletano per bene: ma neÁ il Sindaco, neÁ la Provincia, neÁ la Regione, neÁ lo Stato,
hanno ancora pensato di ricordarne la figura e l'opera nel centenario della scomparsa.
Richiamato dalla polvere di un secolo ± mancano si e no quaranta giorni al
centenario della morte ± il nome di Luigi Settembrini viene ricordato in questi
giorni, per i suoi fini di promozione pubblicitaria, soltanto da un istituto di
istruzione privato. Riconoscimento al collega che fu professore di letteratura,
poco per il patriota (e profeta). Nessun comitato di onoranze e nessun comitato d'onore. Il centenario di questo napoletano che, infiammato dalle vite di
Plutarco e dagli eroi della libertaÁ della Grecia antica, aveva dichiarato una sua
piccola guerra personale al Re di Napoli e ai suoi ministri di polizia, passerebbe inosservato nella stampa della nostra cittaÁ se non vi provvedesse questo
«piccolo giornale» a ricordarlo. Ne il Sindaco Valenzi, che pure eÁ uomo di
lettere oltre che di pennelli, ne altre autoritaÁ (Provincia, Regione, Stato),
hanno avuto memoria del piccolo professore napoletano. EÁ pur vero che nell'instabile mondo di oggi sono tanti e tali i profeti in attivitaÁ di servizio, da
ricordare e commemorare ancora in vita, che poco tempo ( e poco spazio) eÁ
destinato a rimanere a disposizione di quelli defunti. Pure Luigi Settembrini
meritava di essere ricordato. Per la sua tenace spiritualitaÁ, che assumeva il
tono e il dono da una battaglia di religione, tesa come era, nel suo ingenuo
candore, ad attestare un'alta ed austera fede nella libertaÁ. Per la non mansueta, o rassegnata, coscienza di dover vivere o morire secondo i precetti della
libertaÁ stessa. Dall'altra parte lo Stato con i suoi comandamenti: il Settembrini
li aveva rifutati ed era diventato cospiratore. Con le sue strutture autocratiche: il Settembrini le aveva ributtate ed era diventato rivoluzionario. Con i
suoi rigori e le sue prigioni: il Settembrini li aveva sfidati, ed era diventato
carcerato. Ricordarsi il quadro, notissimo, del Montefusco, dove Settembrini
eÁ ritratto, ergastolano tra gli altri ergastolani, nell'atto di impartire lezioni di
italiano e di letteratura. Lui, il professore, conserva la giamberga nera e il
solino bianco, distintivi della sua condizione di borghese e uomo di lettere. I
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camiciotti rossi e i berretti degli altri. E i volti rozzi. Pure sparse su quelle
facciacce brutte l'ineffabile letizia di quel po' di sapere che veniva attribuito
anche a loro, certamente estranei da sempre al libro e al maestro. Anche uno
dei secondini resta affacciato al cancello, lascia pendere il mazzo, immancabile, delle chiavi. GiaÁ la scena anticipa una di quelle sedute, ma verranno
molto dopo, di quella reale societaÁ di scienze, arti e lettere che rifiorõÁ in Napoli
dopo l'UnitaÁ e di cui Settembrini fu socio attivissimo. Solo che qui la dimensione eÁ di gran lunga diversa ed ancora di piuÁ caratterizza quella volontaÁ e
quell'ansia dell'insegnamento, anche inteso come fatto civile e morale, che
furono tanta parte della vita del rivoluzionario professore Settembrini.
Niente onoranze quindi. Il centenario scade il 3 novembre di quest'anno
e nessuna iniziativa eÁ stata annunciata, ne probabilmente lo saraÁ. D'altronde
quali esempi avrebbe potuto offrire, la memoria del professore, che non fossero di rimprovero alla corrente morale dei politici? Fu cosõÁ singolarmente
onesto che nemmeno quelle due malelingue del cavalier Giacinto De Sivo e
dell'impetuoso canonico don Giuseppe ButtaÁ ebbero modo di chiedergli conto
e ragione, come per altri («martiri» li chiama ironicamente ButtaÁ mentre De
Sivo ne conteggia fino all'ultimo carlino i premii, le gratifiche e il soldo
arretrato degli stipendi per diecine e centinaia di migliaia di ducati di una
scorrettezza o di un errore qualsiasi).
Con l'UnitaÁ tornoÁ ad insegnare. Ne fu ministro. ``Io non chiedo ne chiederoÁ mai nulla'', aveva scritto al fratello, appena era ritornato dall'esilio. Una
bega elettorale lo aveva escluso dalla prima camera nazionale. Solo nel 1873
era diventato senatore. Tre anni dopo era scomparso. EÁ naturale: morõÁ povero.
In veritaÁ l'antico cospiratore aveva rifiutato, come quello di ieri giudicato
nemico della libertaÁ, il mondo che nel nome della libertaÁ aveva aperto la gara
agli uffici di ricevitori generali, direttori di ministero, titolari di pubblici
appalti. Dove nell'Epistolario di un Cattaneo compaiono lettere nelle quali
eÁ sollecitato l'affidamento di un appalto ferroviario ad una tale ditta ben
segnalata, in quello di Settembrini, invece che nomi di finanzieri o speculatori,
sono citati quelli di autori greci e latini. Non c'eÁ dubbio che anche allora
questa predicazione morale dovette apparire fastidiosa a molti. ``LascioÁ al
volgo i volgari godimenti della Patria libera'' scrisse di lui, morto, il De Santis.
Incisivo epitaffio. Val la pena ricordarlo, cent'anni dopo, in memoria di questo
napoletano perbene.
Agosto-Settembre-Ottobre 1976
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LE GRANDI FIGURE DI CASTELCAPUANO
LELIO DELLA PIETRA
UN CAMPIONE DELL'ARENGO CIVILE
A cinque anni dalla scomparsa ancora non si eÁ provveduto a commemorare degnamente il
grande civilista, elevandogli un busto marmoreo nel Salone dei Grandi.
Lelio della Pietra nacque in Napoli il 23-11-1905: morõÁ il 28-4-1973.
CompõÁ gli studi ginnasiali e liceali presso il ginnasio liceo Garibaldi, in via
Maddalena, ed ebbe maestri, tra gli altri, i proff. Anzalone e D'Eufemia, i
quali pronosticarono per Lui un luminoso avvenire.
Laureato men che ventenne, superoÁ, coi primissimi, gli esami per procuratore legale a 22 anni: nel 1936, avendo vinto nel 1934 e nel 1935, insieme a
pochissimi altri, i due concorsi nazionali per avvocato e per cassazionista, in
Roma, con una votazione illuminante, si iscrisse nell'albo speciale dei patrocinanti in Cassazione, discutendo innanzi al Supremo Collegio della prima
civile, il suo primo ricorso nella ricorrenza del suo trentunesimo compleanno!
Non volle mai aderire al fascismo, e militoÁ notoriamente, per le sue ferme
idee liberali, nel campo dei silenziosi, composti e tenaci avversari del Regime.
Nell'anno 1943, fu chiamato, dal prof. Arangio Ruiz, titolare della cattedra di diritto Romano nella UniversitaÁ di Napoli, alla segreteria del dicastero
di Grazia e Giustizia, del quale l'Arangio Ruiz era ministro, nel primo governo
nazionale, che ebbe la sua sede, dopo la liberazione dell'Italia meridionale,
nella CittaÁ di Salerno. Dalla segreteria diresse e coordinoÁ il primo pur intenso
lavoro legislativo dell'Italia, che risorgeva dalle rovine.
Fu questa l'unica sua parentesi politica: chiamato alla vocazione di avvocato, in cui, prima nello studio del padre Gioacchino, poi in piena autonomia,
era emerso per serietaÁ di temperamento, per la vastitaÁ della sua preparazione
giuridica e per la illuminata cultura umanistica, si liberoÁ garbatamente ma
decisamente dalle numerose sollecitazioni e pressioni, da piuÁ parte espressegli,
perche si incamminasse nella vita politica.
Era nato avvocato e, se aveva appena laureato, respinto l'invito di un
maestro che lo aveva carissimo al suo cuore e lo stimava oltre ogni dire, il prof.
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Arangio Ruiz, a scegliere la carriera scientifica non volle egualmente indulgere
ad altre suggestioni.
Considerava la professione di avvocato, e in cioÁ eÁ il fondamentale insegnamento della sua vita, che deve essere raccolto dai giovani, nient'altro che
una missione, come qualcosa di sommo e di sacro, da svolgersi nei solchi dello
studio, della rettitudine, e questo nella sua piuÁ vasta ampiezza e integralitaÁ,
perche destinata ad abbracciare tutti i protagonisti del processo, dal collega
avversario alle parti, soprattutto quelle contrarie, nello svolgersi di un impegno spinto fino allo spasimo.
La sua preparazione che si radicava nella conoscenza capillare di tutte le
fonti legislative essenziali, nello studio profondo e costante della dottrina
dominante, per estendersi alla piuÁ esauriente informativa della giurisprudenza
di merito e di legittimitaÁ, fluiva lucida nel suo stile impeccabilmente tacitiano,
governato sempre esemplarmente da una logica di chiarissima sintesi.
In lui la precisa, realistica analisi del fatto, si innestava sempre abilmente,
con una particolare e visibile concatenazione, nell'alveo naturale, anch'esso,
delle questioni di diritto processuale e sostantivo, nelle quali egli si inseriva, in
ogni caso, con il contributo di interpretazioni originali, che costituivano la
sintesi, il superamento dei dati della dottrina e della giurisprudenza.
Fu certamente, nell'ultimo venticinquennio, fra i campioni piuÁ apprezzati, prestigiosi e penetranti dello arengo della Suprema Corte Civile, dove sempre, vincitore o vinto, si imponeva e destava l'interesse e l'attenzione religiosa
dei Giudici e dei colleghi, dai quali era unanimemente stimato, specie per la
sua innata modestia e semplicitaÁ, con le quali coloriva anche i momenti piuÁ
elevati delle sue ineccepibili prestazioni professionali.
L'attivitaÁ di avvocato cassazionista fu intensa, e altrettanto quella di
avvocato di merito. Innanzi al Supremo Collegio, veniva invitato da colleghi
di tutti i fori d'Italia. Si ripeteva cosõÁ moltiplicato quel riconoscimento delle
sue eccezionali attitudini di giurista, che gli era venuto da due dei piuÁ grandi
avvocati di tutti i tempi lo Ianfolla e il Calamandrei. Dal 1936 al 1941, lo
Ianfolla lo volle al suo fianco; e non poche volte lo prescelse suo consigliere. Di
lui il Calamandrei disse, in un incontro con la segreteria del Consiglio dell'Ordine degli avvocati e procuratori di Napoli, che era un ingegno giuridico
insuperabile.
Lelio della Pietra era anche un autodidatta musicista: le sue mani volavano sulla tastiera del piano, nella esecuzione di ritmi e di melodie, molti
composti da lui, quando riposava nell'intimitaÁ della sua vita familiare.
Di Lelio della Pietra, del quale il figliuolo Gioacchino, che ne segue mirabilmente le orme, ha in corso una raccolta di alcuni volumi di pareri, richiesti e inviati, nel tempo, a colleghi di tutta Italia, non si eÁ finora celebrata alcuna commemorazione, ne vi eÁ stata iniziativa alcuna per la elevazione di un
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busto marmoreo. Ne puoÁ avere rilievo per giustificare questa grave imperdonabile omissione, affermare che il figliuolo Gioacchino non si sarebbe espresso
favorevolmente per l'una e per l'altro, perche l'esaltazione del merito nel
campo universale del sapere, diretta a perpetuarsi nel tempo, prescinde dalla
volontaÁ di familiari ed amici, ma origina da una insuperabile esigenza ideale e
si impone da sola respingendo ogni ostacolo.
Gennaio-Marzo 1979
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UN PRINCIPE DEL FORO:
EDGARDO BORSELLI NELLA RIEVOCAZIONE
DI ALFREDO DE MARSICO E NICOLA SALERNO
La scomparsa di Edgardo Borselli eÁ un lutto per il Foro, nel quale per
sessant'anni fu avvocato principe; per il giornalismo, ove disseminoÁ la Sua alta
preparazione in quotidiani politici ed in riviste tecniche; per l'istituto consolare, avendo rappresentato per lungo tempo con dignitaÁ e competenza, ben
due Paesi stranieri.
Scrittore mirabile, volle, sulla soglia dei suoi 90 anni, raccogliere e pubblicare, in una sorta di osservatorio giuridico, «Cento scritti» che dedicoÁ alla
Sua «famiglia forense» e che gli valsero ± proprio mentre la Sua lunga e luminosa stagione volgeva ormai al termine ± consensi da ogni curia d'Italia.
Quando, per iniziativa della Camera degli Avvocati Civili ± che lo acclamoÁ Suo Presidente Onorario, istituendo di poi, a Suo nome, un Premio
annuale per una monografia in diritto civile ± si svolse, in Castelcapuano, nella
Sala del Consiglio dell'Ordine, gremito di Magistrati ed Avvocati, la presentazione del Suo libro, Alfredo De Marsico ebbe a dire, tra l'altro:
«Avrei voluto che l'addio di Edgardo Borselli alla classe forense si verificasse in questa Sala che eÁ il Suo cuore e la dimora di tutti gli Avvocati
napoletani perche il Consiglio dell'Ordine eÁ espressione della classe forense
e vera fortezza spirituale per la difesa della nazione. Edgardo Borselli merita
di essere salutato come una delle piuÁ nobili espressioni del Foro napoletano per
la sua attivitaÁ di studioso del Diritto e come collaboratore della evoluzione
scientifica della materia giuridica; noncheÂ, come scrittore che nell'efficacia
dell'officina dell'artigianato del diritto ha fucinato questi scritti che restano
insuperabile modello di superiore raffinatezza. Queste pagine saranno lette e
meditate da quelli che indossano la toga e considerano Edgardo Borselli un
combattente per la maestaÁ della legge. Egli costituisce un insegnamento che
personifica la dedizione che ogni avvocato deve alla via prescelta; in Edgardo
Borselli desidero segnalare ancora uno di coloro che con l'esercizio della professione hanno onorato e servito la Patria. Auguro ad Edgardo Borselli di
conservare la fiaccola del Suo ingegno e la luce della Sua fosforescenza per
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tramandare ai giovani le Sue parole, il Suo insegnamento e il Suo amore per la
famiglia forsente che ± come Egli ci dice ± lo ha legato a se con la Sua grande
fiamma».
In queste parole v'eÁ la migliore commemorazione di Edgardo Borselli,
Á
cosõ come non puoÁ esservi migliore rievocazione della Sua poliedrica figura se
non nelle parole che scrisse, cinque anni fa, Lui in vita, Nicola Salerno su
questa pagina di «Echi forensi» (che proprio Edgardo Borselli, volle e insistentemente mi richiese per dare, come ha dato, maggiore completezza ed
interesse a questo nostro giornale).
Ma percheÁ ± ci si potrebbe domandare ± uno scritto sul Borselli in vita,
quando questi eÁ morto? PercheÁ Edgardo Borselli, come mi ricordava Nicola
Salerno, eÁ vivo, e non moriraÁ mai!
Ed eÁ cosõÁ. Egli rivive e rivivraÁ nei cuori e nel ricordo di tutti noi. L'ultima
soddisfazione di essergli stato vicino negli ultimi anni della Sua vita annulla in
me il distacco che ha prodotto la Sua morte.
Ormai cieco, abbandonato dalle Sue forze ± ma vivido ed integro il Suo
ingegno ± sempre piuÁ solo nel Suo sacrario, alla Via Toledo, aspettava, per
nutrirsi, di ricevere il saluto ed il ricordo dell'amico; di apprendere la recente
massima delle Sezioni Unite che mutava totalmente l'orientamento giurisprudenziale; di conoscere l'attivitaÁ piuÁ recente della Camera Civile o dell'U.D.A.I.
o della U.C.O.I.; di assicurarsi ± ad un mese dalla sua morte ± se la «Nuova
Rassegna» o «La Toga Calabrese», o «Il Foro Napoletano» avessero o meno
pubblicato gli articoli da lui recentemente dettati sull'«interesse personale ed
interesse diffuso nella giustizia amministrativa».
Sentivo che mi voleva bene con sinceritaÁ e senza infingimenti.
Ero stato uno di quelli che piuÁ gli erano stati vicino nel corso del suo
lungo, inevitabile declino, sicuro di essere ricambiato nel mio affetto con
eguale sinceritaÁ. Fu tre anni orsono che, durante una visita di una rappresentanza della classe forense di Napoli, mi fece segno di avvicinarmi. Staccato
l'anello che aveva all'anulare sinistro me lo porse perentoriamente. «Ti porteraÁ
tanta fortuna», mi disse.
Ne sapeva, il Maestro, che maggior fortuna non avrei potuto aspettarmi
oltre quella di essergli stato tra i suoi piuÁ familiari, avermi consentito di stargli
vicino nella sua lunga, buia attesa della notte.
Gennaio-Marzo 1982
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TITO BIONDO: UN PREFETTO DA RICORDARE
Vivo cordoglio ha suscitato in molte cittaÁ d'Italia l'immatura scomparsa
del Prefetto Tito Biondo.
Ovunque egli prestoÁ servizio seppe farsi rapidamente apprezzare ed
amare: dalle Prefetture da Como, Piacenza e Gorizia, ai Ministeri delle Partecipazioni Statali e dell'Industria, alla Riforma della Pubblica Istruzione, al
Gabinetto della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Dopo aver diretto le Prefetture di Pordenone e Vicenza, fu Prefetto di
Napoli dal dicembre `76 al dicembre `81. L'ultimo anno di permanenza partenopea rappresentoÁ per Lui un tormentato e sofferto periodo, in quanto i
tormenti e le sofferenze che inferse il terribile sisma del novembre '80 alla
cittaÁ di Napoli furono da Lui vissuti in prima persona con un impegno instancabile che non gli lascioÁ respiro.
E di Lui vogliamo soprattutto ricordare il grande tratto di cortesia e di
signorilitaÁ che sin dal suo arrivo a Napoli gli fece guadagnare simpatia in ogni
strato sociale.
Non a caso Lo ricordiamo su questa pagina, come non a caso abbiamo
estratto dal nostro archivio la foto che qui riproduciamo, emblematica del suo
stite: il ricevimento che volle dare, a pochi giorni dal suo insediamento, in
onore del Corpo Consolare di Napoli. In onore, cioeÁ, di tutti i Consoli accredidati a Napoli, fossero essi di Carriera od Onorari (unica essendo, ovviamente, la funzione, identici i poteri di rappresentanza); in una tradizione, d'altra
parte, che si ricollegava ad illustri precedessori: da Giuseppe Conti (che, anche
come Commissario Straordinario al Comune di Napoli, appena insediatosi
nello scorso settembre ha voluto ricevere e salutare a Palazzo San Giacomo
tutti i Consoli accreditati con le rispettive consorti) a Domenico Amari, da
Nicola Fabiani a Francesco Bilancia.
Ne poteva un Rappresentante di Governo della sua tempra non recare a
tutti i Rappresentanti degli Stati accreditati a Napoli, senza alcuna discriminazione, la testimonianza di quella considerazione che eÁ riservata all'Ufficio
Consolare oltre che dalle consuetudini, dalla chiara normativa della Convenzione di Vienna del 1963, spesso ignorata, ed alla quale giustamente ha fatto
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richiamo, per impulso dell'U.C.O.I., l'Ufficio Cerimoniale Diplomatico della
Repubblica, con nota del giugno 1982, inviata fra gli altri a tutti i Commissari
Regionali di Governo.
E ci sia consentito ricordare che il rapporto che Tito Biondo volle instaurare con tutti i Consoli, come con tutte le componenti sociali della cittaÁ, lungi
dall'essere strettamente formale, valicava i limiti del freddo protocollo per
creare uno stabile contatto di umanitaÁ e di schiettezza tra Commissario di
Governo e CittaÁ, intesa come espressione di tutti i suoi poli rappresentativi.
Figura carismatica di gentiluomo, il Prefetto Biondo soleva far pervenire
il proprio messaggio angurale ad ogni ricorrenza onomastica dei Consoli ±
come sicuramente di ogni altra AutoritaÁ ± e delle loro consorti: stile irripetibile di vita, catalizzatore di avvertito rispetto per le istituzioni dello Stato e
per l'Uomo che le impersonava.
Ma anche figura saldamente ancorata ai principi della idealitaÁ di servizio
Rotariano convinto, frequentava con assiduitaÁ, al pari di ogni altro socio il
proprio club e mai, dico mai, riuscii a scorgere l'occhiello della sua giacca
sguarnito del distintivo del Rotary. L'ho incontrato l'ultima volta, l'anno
addietro, in Via Condotti a Roma. Era con la sua inseparabile Donna Serenella. Sedemmo al CaffeÁ Greco, non tanto per sorbire un caffeÁ ± che dopo
tutto non poteva competere con l'espresso napoletano ± quanto per potergli
parlare di Napoli. Una cittaÁ che a Lui era rimasta nel cuore, cosõÁ come era
rimasto Lui nel cuore di moltissimi napoletani.
Dopo circa cinque anni lascio questa vostra terra ± ci scrisse nella sua
commossa lettera di commiato dell'agosto '81± mi congedo con la serena, coscienza di aver fatto quanto era umanamente possibile fare per il bene di tutti. E ci
ringrazioÁ per averLo voluto accogliere con tanta immediata simpatia.
Ma nessuno poteva immaginare che a poco piuÁ di due anni da quell'accorato messaggio di saluto, il Prefetto Tito Biondo doveva veramente lasciare,
per sempre, questa nostra terra.
Luglio-Dicembre 1983
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COME INTENDE NAPOLI RICORDARE RAFFAELLO CAUSA?
UNO STUDIOSO DI STATURA EUROPEA
La scomparsa del prestigioso Soprintendente che per quarant'anni ha riaffermato, con
straordinario fervore, la nobiltaÁ della tradizione culturale napoletana) costituisce un severo
monito per le forze culturali, amministrative e politiche.
Il suo amore per Malta
Qualcuno lo aveva rassomigliato al ``vecchio della montagna'': per quel
suo grande corpo massiccio, e gli occhi orlati di lunghe ciglia scure e, infine,
per la grande barba che giaÁ precocemente si era imbiancata.
CosõÁ ricordo Raffaello Causa, torreggiante dinanzi una tela, a scrutarla
socchiudendo appena gli occhi, oppure curvo su una ceramica preziosa, o fisso
su una minuscola incisione per poi pronunciare, senza esitazione, la sua sentenza.
Del ragazzo avventuroso che dava concerti di fisarmonica ± come ha
ricordato Arturo Fratta su «Il Mattino» ± a un pubblico assetato di distrazioni
e canzoni napoletane, in Galleria, negli anni del dopoguerra, aveva conservato
lo spirito. Rinunciando al diritto di essere pedante ± pur uomo di cosõÁ vasta
cultura ± era un uomo di quelli che si usano definire «brillanti». Di una rara
specie, per essere vissuto sessant'anni in una cittaÁ decaduta e rassegnata, nei
suoi confini municipiali, ed avere invece dentro di seÁ promossa quella radice
europea che lo avrebbe reso l'interprete piuÁ autorizzato di una tradizione
culturale napoletana che non era solo di Napoli, nelle sue mura ma partecipe
sostanza della cultura dell'Europa. Le sue fondamentali mostre, del '600 e del
'700, stanno a confermarlo.
Amava Malta ± posso tranquillamente affermarlo ± quanto Napoli.
«Considero questa splendida isola un poÁ una mia seconda patria, anche
perche a Malta c'eÁ un patrimonio artistico cosõÁ intimamente connesso al patrimonio artistico dell'Italia meridionale, al patrimonio artistico di Napoli che
io ci respiro un'aria di casa, un'aria di famiglia, anche se Strada reale non si
chiami piuÁ Strada reale e via Forni non si chiami piuÁ via Forni come fino a
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cinquanta anni fa» disse in un meeting organizzato dall'Associazione Napoletana Amici di Malta, nella primavera del 1970, alla vigilia di quella memorabile esposizione che il Consiglio d'Europa impernioÁ a Malta su Caravaggio e
Mattia Preti e della quale il Causa fu Commissario Generale Scientifico.
Aveva, quindi, nel cuore Malta ove spesso tornava spinto piuÁ dal bisogno di
riaprirvi lo scrigno dei grandi tesori d'arte ± Egli che ne possedeva la chiave ±
che per trascorrervi con la moglie Marina qualche giorno delle sue brevi
vacanze estive. ChiamoÁ la sua prima bellissima figlia Floriana, come la cittaÁ
che, piuÁ vicina a Valletta, si affaccia, splendida fortezza, sul «Grand Harbour»
maltese. EÁ per questo che «Maltanapoli», a conferma di quanto Raffaello Causa amasse Malta e di quanto ne fosse riamato, ha voluto chiedere ai Rappresentanti piuÁ autorevoli della cultura maltese di ricordare il loro antico
sodalizio con il grande Scomparso.
PiuÁ volte, da Lui sollecitato, ho sentito il bisogno di essergli utile ± pur
nell'ambito dei miei limiti ± e di contribuire al successo di qualche sua splendida iniziativa.
Come quando, nel gennaio scorso, in preparazione della mostra del '600,
mi disse, col suo caratteristico cipiglio: «Capisco le buone ragioni che ha Dom
Mintoff a non far smuovere da Malta le sue opere, ma, diamine, potresti
chiedergli di farmi avere almeno l'armatura del Gran Maestro Alof de Vignancourt che Caravaggio riproduce nella sua tela del Louvre». E viva fu la sua
soddisfazione, allorcheÂ, appena una settimana dopo, gli comunicai che il Premier maltese non era rimasto insensibile alla sua richiesta.
O come quando, l'anno addietro, mi disse. «Ho un'idea; intendo fare una
mostra sulle ceramiche giapponesi «Kakiemon e Imari», custodite nei depositi
del nostro Museo Duca di Martina, alla Floridiana. Ma non abbiamo soldi ed
occorre che qualche ente giapponese ci finanzi almeno la stampa del catalogo».
Un recupero scientifico di quelle zone piuÁ oscure delle raccolte d'arte nella
nostra cittaÁ.
Quella Mostra, curata da Luisa Ambrosio, puntualmente si eÁ aperta il 31
marzo (chiuderaÁ il 30 settembre prossimo) grazie al determinante contributo
dello Asahi Shimbun (il quotidiano giapponese dalla piuÁ alta tiratura: dodici
milioni di copie al giorno) che ha prontamente finanziato la stampa del bellissimo catalogo. In esso leggiamo la nitida presentazione ± l'ultima ± che
Raffaello Causa ha scritto di questa sua ultima, anche se piccola mostra.
Non vi leggiamo, peroÁ, che anche in questa nuova occasione Raffaello
Causa aveva gettato un altro seme: uno spaccato, notevole, della mostra «CiviltaÁ del `700» sarebbe andato tra qualche anno a Tokyo, auspice lo stesso
sponsar «Asahi» che avrebbe anche finanziato il restauro di qualche importante opera d'arte qui a Napoli (probabilmente l'arco trionfale di Castelnuovo
celebrante l'Ingresso a Napoli di Alfonso d'Aragona).
108
Ora che eÁ scomparso, con tanto dolorosa subitaneitaÁ, non posso non
ricordare tutto questo con commossa tristezza. Capisco sol'oggi i timori che
affioravano in Lui celati, talvolta, da un lieve sorriso. Le non poche ore vissute
con Lui il 31 marzo scorso, mi danno solo adesso una diversa dimensione di
quel sentirsi minacciato, di ora in ora, dalla morte.
Per quel suo cuore malfermo di cui, a coloro che gli diventavano vicini,
confessava l'inevitabile precarietaÁ. Quella paura della morte che non l'abbandonoÁ mai negli ultimi anni, pur dimenticata nella somma, stragrande, di lavoro
dello Studioso e che non gli impedi mai, tuttavia, di gettarsi ogni volta a
capofitto nelle polemiche, negli scontri, nell'azione per il piuÁ ampio riconoscimento della nobiltaÁ della tradizione culturale napoletana.
E quando la sera del 16 aprile la terribile notizia della sua improvvisa
scomparsa mi colse in Sardegna, attraverso il telegiornale della notte, fui preso
da un bisogno irrefrenabile: rientrare subito a Napoli.
Ma un proponimento piuÁ razionale, si sostituõÁ ben presto all'emozione del
momento: Raffaello Causa va ricordato in morte e subito, con lo stesso fascio
di luce che in vita ne illuminoÁ la possente figura in un fervore di straordinaria
attivitaÁ.
«Maltanapoli» osa ricordarlo con le testimonianze qui raccolte. Non puoÁ,
fare di piuÁ. Occorre, invece, che altri, da Napoli, non perdano tempo per
intraprendere le giuste iniziative, indispensabili a ricordare degnamente e
perennemente Raffaello Causa. Una sorta non di effimera celebrazione ma di
ricambiato amore di una cittaÁ verso uno dei suoi figli migliori.
Gennaio-Giugno 1984
109
Á
PAOLO MARTUSCELLI: INGEGNO E TENACIA AL SERVIZIO DI UNA CITTA
IL «SARTO» DI NAPOLI
Un paziente lavoro di ago e filo. CosõÁ come il sarto, a ginocchia incrociate
sul suo tavolo, rammenda e ricuce gli strappi e gli sbrendoli di un vestito
incappato in qualche infortunio, cosõÁ ± con mattoni e cemento ± c'eÁ chi riduce
gli strappi e gli sbrendoli della cittaÁ. Che infortuni ne ha subiti parecchi, non
ultimo ± e tra i piuÁ gravi ± il terremoto del 1980. Ne la terra quando tremoÁ
fece distinzioni tra edifici pubblici e privati, distribuendo con imparziale
misura eguali danni agli uni ed agli altri. Molte antiche memorie furono
danneggiate: ad antiche incurie furono sovrapposti gli effetti catastrofici del
sisma. Alla lebbra degli anni veniva ad aggiungersi il trauma dirompente del
terremoto, appannando in maniera che poteÁ sembrare irreparabile la splendida
tradizione culturale che Napoli esprimeva nelle sue pietre.
A seguito di questa premessa, che ci sembrava necessaria, converraÁ dire
ora nome e cognome di questo sarto (ne l'offenda il richiamo a questa professione che eÁ nobile e che nella nostra cittaÁ ha antica tradizione) e cioeÁ
dell'ingegnere Paolo Martuscelli, Provveditore alle Opere Pubbliche. Da quel
suo palazzo di acciaio e vetro, che da una parte confina con il bordo marino di
Napoli e dall'altra lambisce i confini del centro storico, sono partiti i progetti
di risanamento e sono stati messi in esecuzione con alacre (vorremmo aggiungere caparbia) opera.
Napoli deve molto a questo «tecnico» che, come sappiamo, eÁ anche un
uomo di cultura e non sottratto alla spinta ed al fascino delle antiche memorie.
A quante opere monumentali, gia in declino o corrotte, non eÁ legato il nome di
Paolo Martuscelli? Vogliamo ricordare, fra tante, la paziente opera di restauro,
una vera e propria ricucitura, per rimanere nella similitudine, della Certosa di
San Martino. Le sezioni dei Sotterranei Gotici, del Giardino Pensile, la riscoperta della «passeggiata dei Monaci», le sale del Quarto del Priore allestite
a museo, «un autentico gioiello dell'arte napoletana tra gotico e rococoÁ» ± la
definizione eÁ di Nicola Spinosa, Soprintendente ai temi artistici ± sono stati,
proprio nel dicembre '86, restituiti al loro antico splendore. Il generarle abbandono, dagli inizi del secolo, e il successivo danno del terremoto, cancellati
110
infine e restituita al complesso monumentale (cosõÁ unico, un aereo balcone
sulle case e sul mare di Napoli) la sua dignitaÁ di incomparatile opera d'arte.
A quest'opera di restauro eÁ stato dedicato un volume che illustra; il programma di progressivo recupero dell'intera Certosa. L'avvenimento eÁ stato
salutato con soddisfazione da quanti hanno a cuore le nostre memorie, espresse
nei momenti e nelle architetture. Ma sarebbe ingiusto confinare l'apprezzamento dovuto al nostro amico (perche amico di Napoli e dei napoletani) Paolo
Martuscelli solo per questa opera, la piuÁ recente dopo piuÁ altre similari.
Con Paolo Martuscelli sono stati finalmente risolti i secolari problemi del
Castello dell'Ovo, la splendida rocca tufacea sul lungomare. Grazie a lui si eÁ
avuta la rinascita di Castel Sant'Elmo, l'immenso complesso dalla pianta a
stella, che sovrasta la Certosa di San Martino con decine di ambienti disponibili ora per congressi, per il turismo, per la cultura.
Ha lavorato anche negli Scavi di Ercolano; intorno alla Tomba di Virgilio
a Mergellina, che minacciava di venir travolta dalla sovrastante collina di tufo;
nel Conservatorio di S. Pietro a Majella (di cui Martuscelli eÁ Presidente), dove
finalmenie sta per riaprirsi la Grande Sala bruciata da un incendio di dieci
anni fa; nell'ex Caserma Bianchini di ispirazione Vanvitelliana, giaÁ Cavallerizza della Maddalena, diruta dal 1944, che si voleva abbattere e che Martuscelli ha ripristinato, quale sede di uffici statali; nel Teatro San Carlo, con le
nuove coperture e gli interventi statici e di impiantistica: nel Museo Nazionale; nell'Accademia di belle arti (finalmente puoÁ tornare alla luce la famosa
Pinacoteca dell'800); ed anche nel settore ospedaliero, con i nuovi edifi del
«Pascale» che funzioneranno da Day-hospital. Nel campo non monumentale,
ecco che il Provveditore realizza a tempo di record le aulebunker nelle carceri
di Napoli e di Santa Maria Capua Vetere, per lo svolgimento dei processi della
camorra; nuove carceri circondariali a Secondigliano presso Napoli, (saraÁ
pronta per il 1988, ad Avellino, la nuova sede della Questura), caserme per
i Vigili del fuoco, Finanza e Polizia in tutta la Campania; ed i tanti restauri dei
beni demaniali danneggiati dal terremoto, fra cui moltissime chiese e conventi
di grande interesse.
Vogliamo infine ricordare la «strenna» che in questo Natale Paolo Martuscelli ha voluto donare agli stupõÁti napoletani. Potrebbe sembrare cosa da poco
ed invece eÁ significativa: sparita in pochi giorni la pista sabbiosa di Via Colombo, tra Piazza Municipio e la chiesetta di Portosalvo, un tratto scoperto e
transitabile solo sulle rotaie. Solo qualche giorno ed i quattrocento metri di
pista sono stati ricoperti di asfalto. Chi non ignora la plantigradica lentezza
dei lavori di manutenzione stradale nella nostra cittaÁ non puoÁ non esserne
sorpreso.
Attualmenie Paolo Martuscelli lavora in due direzioni: da una parte, il
nuovo Palazzo di Giustizia che egli ha promesso di consegnare entro il 1987, il
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piuÁ grande d'Europa; il restauro di due Torri della cinta Aragonese, giaÁ Caserma Garibaldi dismessa dalla Difesa; dall'altra prepara i progetti degli altri
suoi sogni.
Anche questo eÁ dovuto a Paolo Martuscelli: il nostro amico passa, con
disinvolta alacritaÁ, dagli antichi monumenti alle moderne infrastrutture, con la
stessa solerzia, lo stesso amore ± sia verso la tradizione, sia verso il progresso ±
ad appagare le necessitaÁ dello spirito (vedi San Martino) cosõÁ come quelle,
insolentemente pratiche, del traffico.
Ed eÁ appunto questa sintesi, che ci sembra significativa, che ci spinge a
ritenere come in Paolo Martuscelli si possa riconoscere il napoletano che
vorremmo oggi, in maggior numero di quanto non sia, in veritaÁ piuÁ che scarso,
veder vivere ed operare nella nostra cittaÁ: un napoletano come Martuscelli,
legato eÁ pur vero alla tradizione ed alla memoria della nostra cittaÁ ma anche
aperto alla soluzione dei problemi e delle necessitaÁ di una cittaÁ che vive,
nonostante tutto, e vuole vivere di piuÁ ed ancora.
Luglio-Dicembre 1986
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GIOVANNI LEONE: UN UOMO DIMENTICATO
INGRATA NAPOLI
Un primo segno di affetto verso Napoli vi fu, quando nacque. Non a
Pomigliano d'Arco, pur operoso centro ai margini del capoluogo, ma nel Capoluogo fu registrata la nascita del piccolo Giovanni, cosõÁ come appare all'anagrafe
del Municipio di Napoli. Non tanto un falso quanto un augurio volto a prospettare al nascituro una vita ricca di ambizioni premiate e di successi meritati.
Fu questo il primo rapporto di Giovanni Leone con Napoli, che egli ebbe
sempre nel suo cuore e di cui non mancoÁ mai di seguire le tumultuose vicende
fin dai primi anni della sua militanza nella Democrazia Cristiana, ristretta
allora, nella Sala dei Baroni, ad una coraggiosa ma sterile opposizione alla
disinvolta gestione del potere praticata da Achille Lauro.
Ma giaÁ in politica Giovanni Leone ha compiuto i primi passi. Che sono
stati lunghi, tanto da arrivare a Montecitorio: eletto deputato alla Costituente
eÁ chiamato a far parte della Commissione dei 75 incaricata di scrivere il testo
della Costituzione. (Da quei giorni sono passati cinquant'anni e dei 75 solo
quattro sono rimasti in vita: Nilde Iotti, Paolo Emilio Taviani, Amintore
Fanfani e lui, Leone). EÁ il riconoscimento di una vivace attivitaÁ scientifica
che giaÁ lo ha portato appena ventisettenne alla Cattedra di diritto penale
nell'UniversitaÁ di Camerino e poi a Napoli titolare della Cattedra di diritto
processuale penale.
Di pari passo, e con eguale successo, la sua attivitaÁ politica, prima vice
Presidente della Camera, poi Presidente, e due volte Presidente del Consiglio,
infine Presidente della Repubblica. E dal 1967 senatore a vita.
Una carriera cosõÁ ricca di successi e di riconoscimenti non poteva essere
indenne da contestazioni provocazioni, diffamazioni. EÁ storia di ieri, ± e certo
presente nella memoria degli italiani ± l'uragano di accuse, le denunce di
presunte relazioni affaristiche, tutti alla fine smentiti, con il pieno riconoscimento della onestaÁ del Presidente e lo smascheramento di quell'autentico
complotto che era stato messo in orbita dai comunisti e che avrebbe portato
in una prima fase, alle dimissioni di Leone, Presidente della Repubblica e in
un secondo tempo, tuttavia, al riconoscimento della sua innocenza.
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Pur impegnato nei casi della politica nazionale, nel corso dei tantissimi
anni intesi all'esame e alla soluzione dei problemi dello Stato, il Presidente
non aveva mai trascurato di seguire ± e sempre intervenendo ± le vicende
napoletane. Per la cittaÁ che lo aveva iscritto come suo cittadino in quell'anno
1908, e sottratto il suo nome all'anagrafe di Pomigliano d'Arco, Leone non
aveva rinunciato ad essere uno degli sponsor piuÁ autorevoli.
Da diciassette anni Giovanni Leone si eÁ rifugiato nell'eremo de «Le
Rughe» con rare uscite. «Vede gente, telefona, scrive, parla degli eventi del
giorno, segue le vicende politiche e lascia scorrere nei suoi discorsi l'antico,
mite sarcasmo che gli eÁ connaturato, anche se inclina piuÁ che mai alle citazioni
latine e dantesche». Durante una delle mie prime visite alle Rughe, guardandosi attorno disse, adattandosi le parole di Severino Boezio a Dante nel
Paradiso: «`... da martiro e da esilio' venni `a questa pace'», scrive Piero
Chiara nella sua pregnante pubblicazione «Una storia italiana ± Il caso Leone»
(edita nel 1985 dalla Sperling & Kupfer).
Un volontario esilio, questo de «Le Rughe», confortato, eÁ pur vero, dal
pubblico riconoscimento della falsitaÁ delle accuse che gli sono state rivolte,
dalla condanna dei suoi diffamatori e da infinite attestazioni di devoto affetto.
«Il 14 giugno del 1978 su di me e sulla mia famiglia si eÁ abbattuta una
sventura irreparabile. Una grande ingiustizia eÁ stata commessa contro di me e
contro il Paese» rileviamo da una delle interviste che Piero Chiara ha riportato
nel libro innanzi citato dal quale emerge, del tutto inedita, la figura di politico,
di giurista e di padre, di Giovanni Leone.
Certo l'etaÁ grave gli avraÁ vietato, insieme con il distacco da frequentazioni di carattere pubblico e privato, quelle manifestazioni di vivacitaÁ e di
bonomia da molti discusse ma intese come espressione del carattere napoletano. Peccati veniali, atteggiamenti ± fu rilevato ± non consoni alla dignitaÁ di
un Capo di Stato, ma in realtaÁ espressione di un carattere lieto e tale da non
essere noiosamente legato alle convenzioni di un bon ton burocratico.
Che io sappia eÁ da tantissimi anni che «il Signore delle Rughe» non mette
piede a Napoli. EÁ in colpa? E perche dovrebbe? La cittaÁ sembra peroÁ che lo
abbia dimenticato.
Da giurista, da parlamentare, da Capo del Governo saranno piuÁ che
cinquanta anni, direi piuttosto sessanta, che a Napoli Giovanni Leone ha
tributato il suo affetto, l'esercizio devoto del suo interessamento. Ma ne eÁ
stato ripagato?
L'anniversario della Costituzione ha ricordato la presenza di Leone nell'esiguo manipolo dei Padri costituenti. L'occasione sarebbe stata, potrebbe
esserlo tuttora, propizia ad una celebrazione. Poche settimane orsono eÁ stata
fatta per altro vecchio personaggio politico con unanime adesione dei cittadini
tutti, oltre che degli ottimati.
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Di fronte a sõÁ grave silenzio ho osato contattare Francesco Paolo Casavola, Michele Scudiero, Gerardo Marotta, Max Vajro, Vincenzo Siniscalchi ed
altri esponenti della cultura, della magistratura e del Foro napoletano, per
manifestare a Giovanni Leone, uno dei pochi superstiti Padri Storici della
Costituzione, nel cinquantenario della sua approvazione, la deferente simpatia
e l'apprezzamento della cittaÁ di Napoli, ricevendo da essi convinte e immediate adesioni. E dove dar corso a tale celebrazione? Nell'Aula Magna dell'UniversitaÁ Federiciana nella quale Egli giganteggioÁ, insuperato, alla Cattedra di
Diritto Processuale Penale o nel Salone dei Busti di Castelcapuano, ove indossoÁ la toga di indomito penalista?
Accennai la mia timida iniziativa al Presidente in una delle mie ultime
visite nel suo eremo de «Le Rughe». Stette egli per qualche minuto in sovrappensiero, poi con voce triste e sommessa mi disse: «Vi ringrazio. Lasciate
stare». Ho obbedito alla sua volontaÁ. Ma mi chiedo: e se l'iniziativa oltre ad
essere stata appoggiata dalle forze culturali fosse partita, come doveva essere,
dal Sindaco di Napoli? Bassolino non eÁ soltanto l'Uomo politico di appartenenza a quel partito che con Marco Pannella decretoÁ l'infame espulsione dal
Quirinale di un Uomo probo e saggio. Il Sindaco di Napoli, nel momento in
cui rivendica il merito di risvegliare i valori storici e culturali della nostra
CittaÁ, avraÁ intuito l'opportunitaÁ di tributare a nome della stessa cittaÁ che egli
rappresenta il dovuto riconoscimento all'ex Capo dello Stato e ricordare
quanto quegli disse ai cittadini italiani nel suo messaggio di commiato: «...per
sei anni e mezzo avete avuto come Presidente della Repubblica un uomo
onesto, che ritiene di aver servito il Paese con correttezza costituzionale e
dignita morale».
Ingrata Napoli! RimarraÁ, comunque, a guisa di sigillo, la motivazione con
cui Giuseppe Saragat accompagnoÁ, nel 1967, la nomina di Leone a Senatore a
vita. «Perche ha illustrato la Patria».
Il 1998 segneraÁ il cinquantennale della promulgazione della Costituzione:
una grave lacuna potrebbe essere ancora colmata.
Luglio 1997
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A PROPOSITO DI GIOVANNI LEONE
(... E DELLA «INGRATA NAPOLI»)
Vivissimi consensi ha suscitato la nostra proposta di onorare con una
solenne cerimonia Giovanni Leone, giurista insigne, senatore a vita, giaÁ Presidente del Consiglio, della Camera e poi della Repubblica: uomo di grande
comprensione umana, di alte doti morali, al quale la vita politica diede delle
amarezze da tutti poi ritenute immeritate ma delle quali non si eÁ fatto ancora
pubblica e larga ammenda da parte degli italiani tutti. I napoletani, poi, hanno
particolari motivi di affetto e di gratitudine per l'Uomo illustre, figlio degnissimo di Napoli, discepolo prediletto di un altro grande Napoletano, Enrico de
Nicola. Il nostro editoriale dal titolo «Giovanni Leone: un uomo dimenticato»,
apparso sul numero del luglio scorso di questo periodico ha suscitato larghi
consensi.
Hanno scritto a Maltanapoli e al suo direttore moltissime personalitaÁ,
avvocati, giornalisti, magistrati.
Fra i tanti: il Prof. Francesco Paolo Casavola (Presidente Emerito della
Corte Costituzionale e Garante dell'Editoria): «Caro Di Gianni, aderisco toto
corde alla iniziativa di onorar il senatore Giovanni Leone. Tutti possono
ricordare la carriera politica e istituzionale culminata con la presidenza della
Repubblica. Io inclino ad apprezzare altri aspetti, dell'uomo e dello studioso.
L'ho conosciuto, io tra i banchi, Lui sulla cattedra di procedura penale della
FacoltaÁ giuridica napoletana, nel 1951. Uomo giusto, equanime, con forti
convinzioni religiose, viveva l'esperienza politica come dovere civile. L'insegnamento corrispondeva alle qualitaÁ della sua intelligenza disciplinata e chiara
e ai valori etico-sociali, ch'Egli aveva maturato sin dagli anni giovanili dell'apprendistato professionale nello studio di Enrico De Nicola e affermato con
vigore come autorevole componente della Commissione dei 75 nell'Assemblea
Costituente. Di questa vicenda di Padre costituente resta ancora oggi, per i
nostri riformatori, utile per le sue suggestioni, il progetto da lui redatto di non
nuovo e piuÁ liberale impianto della giurisdizione, nettamente distinta dalla
collocazione e funzione del Pubblico Ministero.
Quanto al manuale e poi trattato di Procedura penale, chiunque lo abbia
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avuto tra le mani da studente eÁ tornato poi sempre a rileggerlo e consultarlo da
avvocato e da magistrato come una di quelle opere didattiche e scientifiche
che non servono soltanto per apprendere regole e tecniche del processo penale
ma principi di civiltaÁ giuridica, costitutivi della coscienza moderna del mondo
e dunque della vita di ciascuno di noi».
L'On. Francesco D'Onofrio (Presidente del Gruppo CCD al Senato):
«Caro Michele, ho letto il tuo articolo `Ingrata Napoli' pubblicato sul Maltanapoli di luglio, sono anche io convinto della opportunitaÁ di dedicare una
adeguata riflessione sulla Costituzione vigente in occasione dei suoi cinquanta
anni, anche se, come mi auguro il prossimo anno potremo celebrare l'inizio
della nuova seconda parte della nostra Costituzione. In tale occasione mi
sembrerebbe di certo molto significativa una valutazione del Leone Costituente e del Leone politico napoletano. In fondo se la nuova seconda parte
saraÁ federalista la voce di Napoli non potraÁ mancare e quella di Leone per una
grande voce costituente!»
Il Prof. Corrado Beguinot (Direttore del Dipartimento di pianificazione e
scienza del territorio all'UniversitaÁ di Napoli): «Finalmente un ricordo doveroso, coraggioso, commovente, necessario su chi tanto ha dato al Paese e alla
cultura giuridica e tanto poco ha ricevuto in termini di gratitudine. Quanti
hanno utilizzato la sua bontaÁ, la sua generositaÁ, la sua fervida intelligenza, la
sua dottrina!... e poi `oblio'! Michele Di Gianni eÁ oggi la sola persona, a mia
conoscenza che ha sentito il dovere morale di dedicare al grande giurista, al
grande statista, ad un grande esemplare una pagina, elaborata con rara perizia
e con grande amore, che ha commosso tutti quelli che hanno avuto il privilegio
di conoscere da vicino Giovanni Leone».
L'On. Avv. Vincenzo Siniscalchi (Componenti la Commissione Giustizia
alla Camera dei Deputati: «Carissimo Michele, l'editoriale sul Prof. Leone eÁ
giusto. Lo condivido in pieno. Sono a disposizione per ogni iniziativa voÁlta a
celebrare la figura dell'insigne concittadino».
Il Dr. Massimiliano Vajro (giornalista): «Caro Direttore, nobile ed appassionato il suo articolo che ricorda ai napoletani un Uomo come Giovanni
Leone, degno di essere onorato nella sua CittaÁ dove ha illustrati il Foro, il
Diritto, le Istituzioni, alimentando quel mito della grande Avvocatura napoletana di cui egli eÁ legittimo esponente e vanto. Chi vuol che non aderisca ad
una iniziativa che esprima rispettoso affetto a Giovanni Leone, con tanta
maggiore calorositaÁ in ricordo di passate amarezze che ingiustamente gli toccarono? Mi sembra che un grande abbraccio dei napoletani sia doveroso, sia il
meno che si debba per lui e chi meglio di te, che hai opportunamente esortati a
farlo, puoÁ rendersi promotore dell'iniziativa, collegandosi con i massimi Esponenti della CittaÁ, del Foro, delle Istituzioni?»
L'On. Learco Saporito (Docente di Diritto all'UniversitaÁ di Teramo):
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«Ricordo le solitarie sue prese di posizione sulla riforma del codice di procedura penale nell'aula del Senato con giudizi puntuali che a distanza ± per le
drammatiche vicende accadute in Italia ± si sono rivelati veri e propri presagi.
Una voce, spesso, solitaria quella di Giovanni Leone, ma d'altronde, Caro
Michele, le aquile sono abituate a volare in alto ed in solitudine, mentre i
passerotti ed i fringuelli volano in gruppo. Per questi motivi condivido la tua
proposta di approfittare del 50ë di promulgazione della nostra Costituzione
repubblicana per ricordare la figura e l'opera del Sen. Giovanni Leone, che fu
grande protagonista in sede costituente, cosõÁ come lo eÁ stato nella storia del
nostro Paese. Non eÁ solo Napoli, ma eÁ tutta l'Italia che deve `riconciliarsi' con
questo nostro Maestro».
L'Arch. Prof. Sirio Giametta: «Sarebbe ora che Napoli rendesse a questo
diletto figlio, gli onori che merita, non solo per avere illustrato le discipline
giuridiche in maniera insuperabile, da insigne Maestro, ma aver espresso da
Presidente della Repubblica quella sincera, genuina umanitaÁ che solo un figlio
di Napoli poteva possedere».
Naturalmente ci premurammo di coinvolgere il sindaco Bassolino, al quale
avremmo voluto affidare l'iniziativa, lasciandogliene la paternitaÁ, sia per conferire maggior risalto all'idea sia perche non era nostro desiderio metterci in
mostra, paghi di aver suscitato una opportunitaÁ e degna iniziativa: «Signor
Sindaco, affido alla Sua sensibilitaÁ di acuto Uomo politico oltre che di saggio
amministratore della nostra cittaÁ la mia proposta volta a far promuovere proprio
dal Comune di Napoli una manifestazione celebrativa in onore di uno dei pochi
superstiti dei Padri Storici della costituzione repubblicana; essa ± sicuramente
molto apprezzata dalla nostra cittaÁ ± potrebbe aver luogo, come ho proposto,
nell'anno 1998, cinquantennale della promulgazione della Costituzione».
Non abbiamo avuto alcuna risposta. Probabilmente la situazione politica,
l'organizzazione dei richiami turistici o altre necessitaÁ (ma la nostra lettera era
del 22 agosto) hanno impedito il riscontro, ma noi continuiamo a sperare. Nel
frattempo ci giungono altre adesioni, scritte e verbali, e contiamo di realizzare
certamente il nostro proposito: che ormai non eÁ piuÁ soltanto di «Maltanapoli»
ma della cittaÁ. Basti a dimostrarlo il lunghissimo applauso che scoppiava nel
Salone dei busti in Castelcapuano ogni volta che ± durante la visita del Presidente Scalfaro ± il presidente dell'Ordine degli avvocati, Francesco Landolfo, pronunziava il nome di Giovanni Leone, al quale la tarda etaÁ, si diceva,
aveva impedito di intervenire alla cerimonia organizzata dall'Ordine per la
presentazione dell'opera «Napoli e i suoi avvocati». Ma la veritaÁ eÁ che troppa
emozione avrebbe causato al Presidente Leone una sua visita in quel Castelcapuano riecheggiante dei suoi trionfi di penalista: e solo una forte manifestazione di affetto come quella da noi proposta, potrebbe indurlo ad affrontare
una gioiosa emozione.
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Siamo dunque ancora in tempo: se Palazzo S. Giacomo finora non si eÁ
mosso, sollecitiamo l'Ordine e il collega Landolfo con tutti gli amici e colleghi
affinche si programmi al piuÁ presto una manifestazione che sia tutta e soltanto
per Giovanni Leone, a nome di tutta la CittaÁ, che di lui eÁ fiera e che lo ama
profondamente e deve dimostrarglielo con tutto il calore che l'illustre Uomo
merita.
Dicembre 1997
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GRAZIE, PRESIDENTE DI FIORE!
Il Presidente Raffaele di Fiore, nel lasciare la Magistratura e la presidenza
del Tribunale di Napoli, ha voluto salutare, insieme alla consorte, le autoritaÁ e
gli amici al Circolo Militare.
Ai presenti, stretti affettuosamente attorno a loro, Raffaele e Maria Antonietta Di Fiore hanno voluto esprimere un ringraziamento attraverso il dono
gentile d'un libretto edito da Alfredo Guida («Gl'incanti di Partenope»), in
cui sono tradotte e pubblicate integralmente, per la prima volta in Italia, le
quattro lettere «napoletane» del piuÁ ampio carteggio che Juan AndreÂs, gesuita
spagnolo passato da Napoli nel 1785, indirizzoÁ a suo fratello a Valencia.
C'eÁ un passo d'una di quelle lettere (la XII) che, nel descrivere Napoli e i
tesori della sua cultura, si ferma pure a parlare d'una delle meraviglie della
cittaÁ, che «eÁ il foro, o come dicono qui la Vicaria». Dopo aver ricordato che il
vicere Don Pedro de Toledo riunõÁ i Tribunali nel grande fabbricato dove i re
dimoravano anticamente, l'AndreÂs si dilunga in una descrizione che certo
esaltante non eÁ: «In una piazza antistante e nel grande patio di quell'edificio
si vedono moltissime carrozze, il fracasso dei cocchieri e dei cavalli giaÁ stordiscono; poi salendo e girando per quelle sale, si perde la testa nel disordine e
nella confusione di innumerevoli persone, che circolano si affollano dappertutto. Si vedono diverse sale, e in esse uno o piuÁ Giudici, Avvocati e Procuratori che trattano le cause, perorando alcuni, rispondendo altri, sentenziando
altri ancora, e in maggior numero coloro che stanno a sentire, come se fossero
veramente interessati alla discussione, o per mera curiositaÁ. Si dice ... che
dentro quei corridoi e quelle sale nei giorni di apertura del tribunale vi siano
1000 e piuÁ persone. Di soli Avvocati si contano a Napoli diverse migliaia; e tra
Avvocati, Procuratori, Giudici e tutti i dipendenti dei tribunali circa 3000!
Che strepito, che confusione...».
Una descrizione, quella di AndreÂs, che rievoca immagini consuete anche a
me, frequentatore «necessario», da anni, dell'antico palazzo; ma che mi suggerisce pure un sentimento di gratitudine immensa per Raffaele Di Fiore. PercheÂ
non puoÁ negarsi che, negli anni della sua presidenza, quel palazzo s'eÁ andato
facendo, di giorno in giorno, piuÁ pulito, piuÁ ordinato, meno rumoroso, al punto
120
che tra qualche anno le vestigia del vecchio castello potranno rivelare di nuovo a
chi lo visita qualche segno residuo dell'antico lustro di dimora di Re.
Ne possiamo omettere altri grandi meriti di questo Magistrato dai modi, eÁ
vero, a volte bruschi ma sempre coerente nell'espletamento della sua difficile
funzione e sempre accorto e sensibile a recepire le giuste istanze dei suoi colleghi o di noi Avvocati. Ci riferiamo al migliorato funzionamento della giustizia. Trasferiti tutti gli Uffici penali (Procura e Corte d'Appello inclusi) nel
nuovo Palazzo di Giustizia al Centro Direzionale, eÁ toccato a Raffaele Di Fiore rendere funzionante in Castel Capuano le sezioni civili del Tribunale e della
Corte di Appello. E tale attuazione, pur non facile e agevole, eÁ stata felicemente compiuta prima del novembre scorso allorquando egli ha voluto consegnare le chiavi del «Vecchio Castello» al Presidente f.f. Dott. Renato Vuosi
(altro apprezzato Magistrato, giaÁ Capo degli Uffici G.I.P. di Napoli al quale
formuliamo l'augurio di proseguire nell'opera felicemente intrapresa dal suo
predecessore).
Come ha fatto il Presidente Di Fiore a ottenere questo? Con molto
lavoro, anzitutto; con molta pazienza, anche; con la tenacia che gli va riconosciuta; e pure, probabilmente, con qualche amarezza, che non ha tuttavia
incrinato la sua intrepida fedeltaÁ a un ideale di giustizia ancorato alla solida
saggezza del buon tempo antico: la giustizia eÁ tanto piuÁ efficace quanto piuÁ eÁ
amministrata senza fracasso, senza strepito, senza confusione, nell'ordine,
possibilmente nel silenzio.
Dicembre 1998
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FINALMENTE NAPOLI RICORDA UNO DEI SUOI FIGLI MIGLIORI
AL CUI NOME ANDREBBE INTITOLATA UNA STRADA
RIEVOCATO PAOLO MARTUSCELLI
Era tempo che Napoli ricordasse la figura, l'opera e l'impegno di Paolo
Martuscelli, scomparso oltre due anni or sono. Provveditore alle Opere Pubbliche della Campania, Deputato al Parlamento, Consigliere Comunale, Presidente del Conservatorio di S. Pietro a Majella, Paolo Martuscelli eÁ stato
degnamente rievocato in una toccante cerimonia svoltasi il 18 dicembre scorso
nella Chiesa di Santa Caterina a Chiaia affollata da napoletani di ogni strato
sociale. Hanno in particolare ricordato l'impegno e l'amore che Paolo Martuscelli diede alla Cultura e all'Arte napoletana evidenziando la sua figura:
Maria Delle Cave, Ida Pempinello, Francesco Canessa, Fernando Gombos e
Max Vairo del quale abbiamo innanzi riportato quanto egli ha detto sulla
multiforme e fervente attivitaÁ di Paolo Martuscelli.
La rievocazione si eÁ conclusa con un concerto del Quartetto Scarlatti che
ha eseguito musiche di Mozart e Scarlatti. Ma eÁ tempo che anche le istituzioni
ricordino degnamente Paolo Martuscelli al cui nome l'intitolazione di una
strada sarebbe piuÁ che giusta. Per il Sindaco Rosa Russo Iervolino e la Commissione Toponomastica cioÁ costituirebbe un atto dovuto.
Dicembre 2001
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LA SCOMPARSA DI UMBERTO AGNELLI:
UNA GRAVE PERDITA ANCHE PER LA FONDAZIONE ITALIA-GIAPPONE
ADDIO, PRESIDENTE!
Il 18 novembre del 1982, auspice l'allora Ambasciatore del Giappone a
Roma, Shinsuke Hori e per iniziativa del Console Generale Onorario dello
stesso Paese a Napoli si costituiva in Roma con atto per Notar Pierleonardo
Giuliani, l'``Associazione Italiana per l'amicizia con il Giappone (Associazione
Italia-Giappone)''. Soci fondatori furono Andrea Amatucci, Sergio Arzeni,
Fernando Bocchino, Michele Di Gianni, Umberto Donati, Anna Piras ed altri.
Con verbale 28 marzo 1983 l'assemblea dei soci promotori eleggevano il
Consiglio Direttivo nominando Presidente Umberto Agnelli e Segretario Generale Umberto Donati (che seppe essergli sempre accanto da quel giorno).
Vice Presidenti: Shunji Abe, Presidente della Yoshida Italia, Margherita Boniver, oggi Sottosegretario di Stato agli Affari Esteri, Tetsuo Sakamoto (Docente di lingua giapponese all'Istituto Universitario Orientale di Napoli e
autore, tra l'altro, del primo vocabolario di italiano-giapponese). Tra i componenti il Consiglio Direttivo: il Prof. Piero Corradini, Ordinario di Storia
Cinese alla Sapienza di Roma e giaÁ Direttore dell'Istituto Italiano di Cultura
a Tokyo e il sottoscritto.
Ricordo tutto questo perche senza quell'Associazione costituita nel 1982
non avremmo avuto ne le molteplici manifestazioni di Giappone in Italia 95/96
(le piuÁ importanti si svolsero proprio qui a Napoli) ne quelle d'Italia in Giappone 2001 (realizzate in collaborazione e con il Ministero degli Affari Esteri,
l'Ambasciata d'Italia a Tokyo, l'ICE e l'ENIT), ne la Fondazione ItaliaGiappone (costituita successivamente con atto per Notar Luigi Cecala di Roma) che
da alcuni mesi, con Ufficio appositamente ad essa assegnato presso il Ministero
degli Affari Esteri, prosegue la sua attivitaÁ di promozione dell'immagine dell'Italia in Giappone affiancando il Commissariato Generale per l'Organizzazione del Padiglione Italia all'esposizione universale di AICHI nel 2005. Un
fervore di iniziative e di successi legati ai meriti personali del Presidente
Umberto Agnelli che ha saputo aprire nuove frontiere fra i due Paesi.
I miei incontri con Umberto Agnelli furono, per vero, sempre fugaci e
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brevi ma improntati al reciproco rispetto ascrivibile, probabilmente anche ai
miei antichi e personali rapporti con Franz Grande Stevens (il grande Avvocato gentiluomo della famiglia Agnelli) consulente prima e punto di riferimento poi della FIAT) che ebbe a precedermi quale procuratore legale nel
cenacolo del grande avvocato civilista napoletano Francesco Barra Caracciolo
del quale sposoÁ la nipote Giuliana Greco.
Al di fuori dei rapporti intrattenuti con lui attraverso l'Associazione ItaliaGiappone e la successiva omonima Fondazione, ve ne fu qualcuno anche in
privato come la recita del Teatro NoÁ giapponese svoltasi in Castelgandolfo
nell'84 in onore di SS. Giovanni Paolo II, riservata ad uno strettissimo numero
di invitati; ricordo che mi sedeva accanto proprio Giovannino, predestinato
dall'Avvocato Gianni al timone della FIAT, scomparso immaturamente nel
1997. CosõÁ come affiora alla mia memoria un pranzo seduto offerto dall'allora
Ambasciatore del Giappone Umeo Kagei alla sua residenza di Via Misurina in
occasione del quale la mia Teresa ± che in vita fu sempre parca negli elogi e
nelle effusioni ± ebbe a dirmi sull'Ospite che le sedette accanto: ``Ma quanta
eccezionale signorilitaÁ ho trovato nel garbo, nel portamento, nel sorriso di
questo Uomo!'' Un giudizio, quello, giaÁ anticipato su un giovanissimo Umberto
da Oriana Fallaci in una intervista per l'Espresso nel lontano 1959.
GiaÁ Senatore della Repubblica nel 1976, Umberto Agnelli ha partecipato
insieme ad altre PersonalitaÁ di spicco del mondo dell'UniversitaÁ, dell'Industria
e delle Professioni alla Fondazione dell'AREL, l'Agenzia di Ricerche e di
Legislazione, un centro di ricerca e di approfondimento sui piuÁ rilevanti temi
economici amministrativi e istituzionali italiani e internazionali.
Il filo rosso che ha legato i titoli dei giornali, da New York a Parigi, da
Bruxelles a Berlino, eÁ la constatazione che con la morte di Umberto Agnelli si
chiude un'era. Essa recide l'ultimo legame con un'epoca che una generazione
di italiani ricorda come giorni gloriosi, quando l'economia esplodeva, le piccole Fiat 500 riempivano tutte le strade e il vasto clan degli Agnelli dominava
l'immaginario collettivo con uno stile da jetset che eÁ stato spesso paragonato a
quello dei Kennedy.
L'ultimo Consiglio di Amministrazione della Fondazione Italia Giappone
si eÁ svolto il 18 marzo scorso in una grande sala della Farnesina. Tra i tantissimi componenti: il Segretario Generale del MAE Amb. Umberto Vattani,
l'allora Presidente della RAI Lucia Annunziata. Mi sedeva accanto Ademaro
Lanzara, napoletano, Direttore Generale della BNL. Alla fine della seduta,
mentre l'Amb. Vattani mi serrava affettuosamente il polso con la sua mano al
fine di condurmi ± con l'abituale sua cortesia ± nel suo ufficio (ove ebbe ad
impartire al Cons. Marras precise disposizioni in favore della Unione dei
Consoli Onorari in Italia) si avvicinoÁ, con l'abituale suo garbo Umberto
Agnelli e mi rivolse queste testuali tre parole ``Mi saluti Napoli''. Il suo
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sguardo e i suoi azzurri occhi erano, come sempre, dolcissimi, non cosõÁ il suo
sorriso. Ne capii successivamente in tutta la reale crudeltaÁ le ragioni: appena
dieci giorni prima, l'8 marzo, era venuto a conoscenza, in assoluta e rigorosa
riservatezza, di una terribile sentenza, inappellabile, giaÁ esecutiva; l'addio al
suo regno, non solo della FIAT, della Fondazione Italia Giappone e di tutte le
altre Amministrazioni, ma a noi tutti. Addio, Ti abbiamo detto la sera del 28
giugno nella chiesa di S. Croce sotto la Tua casa in Piazza del Quirinale con le
inconsolabili Allegra e Susanna, le signore Franca Ciampi, Irene Pivetti, Mariapia Fanfani, Lucia Annunziata, e Gaetano Gifuni, Gustavo Selva, Gianni
Letta e tantissimi altri. Addio, anche da queste colonne, caro Presidente!
Giugno 2004
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IL DECANO DEL BISTURI DEI TUMORI SI EÁ SPENTO A 88 ANNI
GIOVANNI D'ERRICO
GRANDE CHIRURGO E GENTILUOMO
Il carisma del chirurgo e l'aspetto del gentiluomo d'altri tempi. CosõÁ lo
descrivono i colleghi ± giovani e anziani ± che piangono la scomparsa del
Professor Giovanni D'Errico. Il decano della scuola chirurgica oncologica
napoletana che si eÁ spento all'alba del 3 giugno nella terapia intensiva del
Pascale. A stroncarlo, a 88 anni, una forma acuta di leucemia diagnosticata
una settimana fa in pieno benessere. Pugliese di nascita (era di San Vito dei
Normanni) D'Errico ± come scrive Giuseppe Del Bello su ``La Repubblica'' ±
aveva iniziato la sua lunga carriera nel 48 come allievo di Luigi Torraca nel cui
Istituto di Patologia Chirurgica fu assistente fino a quando, dopo una breve
parentesi come primario a Brindisi, venne nominato a vertice chirurgico del
San Leonardo di Castellammare di Stabia. Ma anche qui, il Professore sarebbe
rimasto ben poco pronto al gran balzo, nel 55 diventoÁ primario chirurgo del
Pascale. Un ruolo che mantenne fino alla pensione dell'86 ma che gli consentõÁ
di continuare a coltivare, come Presidente della Lega Italiana per la Lotta ai
Tumori, quelle radici nel settore oncologico che furono l'humus della sua
preparazione scientifica e umana. Ampio il gruppo di allievi e collaboratori
che trascorsero con lui tre decenni tra sala operatoria e corsia: da Romolo
Cerra a Enrico Percesepe a Francesco Claudio ``EÁ stato un chirurgo completo''
ricorda commosso il Professor Claudio. Conosciuto ovunque, interveniva in
qualsiasi distretto anatomico: dal polmone all'addome, alle patologie cutanee e
fino ai tumori maxillofacciali. Quando, seguendo il suo percorso arrivammo al
Pascale, trovammo quello che lui definiva un cronicario e che per l'immaginario collettivo era l'anticamera della morte. E invece, perfino tornando a casa
alle quattro del mattino, abbiamo tirato su una vera chirurgia oncologica a
Napoli: tra le piuÁ seguite in Italia''. Solo dieci giorni fa D'Errico, commentando la trasformazione dell'Istituto in Fondazione, aveva detto ``Mi lascia
perplesso perche cosõÁ vivraÁ con fondi privati e questo faraÁ aumentare il divario
giaÁ esistente tra sanitaÁ del nord e sanitaÁ del sud''.
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Lascia la moglie Maria Lo Russo e un figlio: Adolfo Gallipoli D'Errico,
medico e radiologo al Pascale.
Caro Nino, ti scrivo
La sera del prossmo 4 agosto i tavoli, riservati da quindici anni, in fondo a
sinistra, sotto il limoneto di Paolino a Capri rimarranno vuoti. Io e i tuoi piuÁ cari
amici non potremo piuÁ festeggiare l'anniversario di matrimonio con la tua inseparabile dolce Maria. Ne potranno continuare le magiche serate nella accogliente tua
villa sulla collina di Posillipo ove centinaia di tuoi amici solennizzavano, nel 24
giugno di ogni anno, la tua festa onomastica.
Mass media nazionali e locali hanno, in occasione della tua incredibile improvvisa scomparsa, giustamente evocato le alte vette che hai raggiunto nel campo
dell'oncologia, i meriti che hai acquisito nella creazione e nello sviluppo della Lega
Nazionale contro i tumori della quale sei stato indimeniticabile Presidente Nazionale per dieci anni. Altri, e tanto bene, hanno scritto del tuo carisma di chirurgo.
Io, invece, voglio solo dirti di non poter credere che il nostro ultratrentennale
fraterno rapporto si sia interrotto bruscamente, come un lampo. Il nostro sodalizio eÁ
stato cosõÁ forte da spalancarsi ai nostri rispettivi cari amici cosõÁ che tanti dei tuoi
sono divenuti miei amici: Antonio Blasi grande pneumologo, allievo prediletto di
Vincenzo Monaldi (come tu lo fosti di Luigi Torraca) e poi Romolo Cerra, Francesco Claudio, Donato Zarrilli, Umberto Bellissimo, tanto per citarne alcuni e per
restare nel campo della chirurgia, che hanno con te collaborato all'``Istituto Nazionale per la cura dei tumori Giovanni Pascale'' ove tuo figlio, Adolfo Gallipoli
D'Errico, forgiato alla tua scuola e al tuo impegno, eÁ giaÁ apprezzato dirigente del
reparto diagnostico. Sono certo che il tuo Adolfo sapraÁ sufficientemente sviluppare,
in Campania, il ruolo della tua Lega nella quale ha giaÁ acquisito grandi meriti.
E poi Ugo Camiciotti che ci accoglieva negli anni ottanta, nella sua splendida
galleria in via Santo Spirito a Firenze, durante le annuali mostre dell'antiquariato,
che per noi organizzava sontuosi pranzi seduti, a lume di candele, nel palazzo
Aldobrandini con la partecipazione dell'allora Prefetto di quella cittaÁ Sergio Vitello, altro nostro comune amico che ci ospitava affettuosamente a Palazzo dei
Medici.
Per la prima volta, tra pochi giorni, non trascorreremo insieme la nostra estate
nell'incantevole isola di Capri. Non piuÁ insieme con Costanzo Staiano, vero dominus dell'isola (altro che Sindaco!), reale capo di una dinastia che ha in mano
tutti settori e tutte le chiavi dell'isola azzurra. Come furono belle le nostre ascese a
Villa Iovis o all'arco naturale, alla Chiesa di Santa Maria della Cetrella a picco sul
Monte Solaro, al Castello di Materita e alla Migliara, lungo sentieri scavati nella
roccia tra cespugli di ginestra e biancospino; le nostre passeggiate al tramonto con il
parroco Don Costanzo Cerrotta per via Tragara; non potroÁ piuÁ ammirare, con te,
dalla terrazza di casa tua a Marina Piccola, il panorama mozzafiato offertoci dal
sottostante scoglio delle sirene, ove si infrangono le onde del mare, e, sullo sfondo,
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si ergono, possenti, i faraglioni; non piuÁ le serate insieme sotto il pergolato del mio
``Purtusillo'' con la tarantella di ``Scialapopolo'' e la pizza, le fritture e le graffe di
Salvatore Attanasio.
Nella tua poesia ``Terrazza a Capri'', scritta appena l'anno addietro, quasi
viatico della tua scomparsa, hai scritto:
``un gabbiano vola
alto verso ponente
bianca fugace immagine
del tempo che passa
inesorabilmente.
Ed io sono qui
ancora qui
con il peso degli anni
sempre piuÁ innamorato di Capri
del suo unico
irripetibile incanto
piccolissimo scrigno
dell'immensitaÁ del creato''.
Quante volte abbiamo rievocato, proprio su quella tua terrazza, scampoli di
felici evasioni come il viaggio in Giappone e Thailandia nell'81 (eravamo piuÁ di
200) o quello in Cina nell'89, ove, sperdutici in quattro) nel dedalo delle viuzze di
Shangay, tu e la mia Teresa, indomiti, conduceste me e Maria tremanti, fuori da
quell'intricato labirinto; episodio anche questo molte volte lietamente da noi
rievocato. Ora tu e Teresa vi siete ricongiunti. Io e Maria continueremo invece,
a vivere, ogni giorno, sentendoVi sempre accanto. E con l'amore che ci avete
donato. Siete entrambi vivi, credimi, caro Nino!
Giugno 2004
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NEL RICORDO DI UN VIAGGIO DI CINQUANT'ANNI FA
QUELL'INCONTRO A COIMBRA CON SUOR LUCIA
E POI A CASCAIS CON UMBERTO II DI SAVOIA
Correva l'anno 1959. Io e la mia sposa uniti in matrimonio nella Basilica
di Santa Chiara il 5 di ottobre, lasciammo per qualche giorno Napoli e la
costiera amalfitana diretti ± a bordo della mia Fiat 1100 blu, nuova di zecca
± verso due non vicine mete: Fatima, alla cui Madonna la mia Teresa era molto
devota e Cascais, ove Umberto II di Savoia avrebbe dovuto riceverci.
Una cavalcata attraverso metropoli, ricche di arte e di storia, all'Europa
piuÁ saliente, intersecata da piacevoli soste sulla costa ligure prima, poi su
quella azzurra e, infine, su quella ``Do Sol''. Ma anche un appagamento spirituale, intriso della mia fede monarchica di allora: come la sosta nel piccolo
cimitero di Montpellier per deporre un fiore su una nuda, inclinata lastra
marmorea, con su incise due sole parole ± ``Elena Reina'' ± e sotto, il nodo
sabaudo. Un omaggio, quella visita, ad Elena di Montenegro, una delle Regine
di Casa Savoia sicuramente la piuÁ cara e la piuÁ vicina al cuor degli italiani. Una
visita che ho voluto ricordare qualche mese fa al suo pronipote Principe Serge
di Iugoslavia, figlio di Maria Pia, in un mio breve intervento qui a Napoli a
Palazzo Serra di Cassano nel corso della presentazione del libro di Michela
Mastrodonato ``Scacco al Re''.
Sul deserto Iberico
Da Montpellier, dunque, a Carcassonne e poi Saragozza ove, prima di
affrontare il deserto iberico per raggiungere Madrid mi premunii di una tanica
di benzina: una strada accidentata e polverosa, priva di ogni confort, attraversata da scarsi automezzi, vigilata sovente da una coppia di carabineros con
moschetto a spalla, tricorno e mantellina, che sorridenti ci salutavano. Pernottamento, ricordo, all'``Hostel del ciervo'', unica locanda che incontrammo.
Finalmente, a Madrid e poi Avila, Salamanca, Guarda. Infine, commossi e
felici raggiungemmo Fatima.
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Il santuario che sorge nella Cova da Iria, la ``tana di Irene'', nella desolata
brughiera battuta dal vento dell'Atlantico, esattamente nel luogo ove nel 1917
la Vergine apparve ai pastorelli Lucia, Francesco e Giacinta (questi ultimi
scomparsi ancora bambini). Lucia resta sola, in balia della curiositaÁ di migliaia
di fedeli e di devoti che accorrono alla Cova di Iria e chiedono di poterle
parlare. Decide di farsi suora dorotea e poi, per arginare le pressioni, le visite e
le richieste dei visitatori, entra in un convento carmelitano di clausura. ``Da
allora'', ci dice padre JoseÁ dos Santos Valinho, il nipote della religiosa, ``eÁ una
sepolta viva''.
Dal luogo delle apparizioni mia moglie ed io raggiungemmo Coimbra, non
tanto perche cittaÁ natale di sei Re e sede della piuÁ importante UniversitaÁ del
Portogallo, quanto ed esclusivamente per appagare un sogno che due giovani
sposi cullavano nel raggiungere Fatima: incontrare e conoscere Suor Lucia, la
superstite dei tre fanciulli che nel 1917 ebbero per 6 volte la visione della
Signora di Fatima.
Incontrare Lucia de Jesus do Santos costituiva quindi uno degli obiettivi
primari del nostro lungo viaggio. Ci venne detto che nel monastero ove viveva,
a Coimbra, fosse venerata, ma in qualche modo temuta, come testimone di
una dimensione inquietante, come depositaria di una sapienza che non le veniva certo dalla sua origine di contadina povera e ignorante ma da un privilegio soprannaturale. Sapevamo, giaÁ prima della nostra partenza da Napoli,
che avvicinarla sarebbe stata una impresa difficile ma la speranza ± specie in
una coppia di sposi permeata da grande fede e da una costanza tipicamente
napoletana ± era l'ultima a morire.
Al convento
``Andate pure a Coimbra'', ci dissero, ``naÄo vaÄo incontrar ningnem'' (ma
non la incontrerete). Preparati a questa delusione, raggiungemmo il piccolo
Monastero dall'aspetto, ricordo, molto modesto somigliante piuÁ a un grosso
casolare di campagna che ad un edificio monastico.
Una piccola suora, informata sullo scopo della nostra visita e sulla nostra
lontana provenienza, con nostra viva sorpresa lungi dal congedarci, ci fece
accedere in una piccola sala-parlatoio pregandoci di aspettare.
Ancora incerti sull'accoglimento della nostra richiesta introdussi nella mia
Agfa a soffietto un rollino 6x6. Trascorsero pochi minuti e la suorina portinaia
ricomparve accompagnandosi ad un'altra consorella leggermente piu grassottella: era Suor Lucia! Non ricordo, malgrado ogni mio sforzo mnemonico, le
parole che con essa scambiammo nel nostro breve incontro tale fu la incredulitaÁ e la commozione da cui fummo sopraffatti. Ricordo, peroÁ, e bene, la sua
disponibilitaÁ ad accogliere la mia richiesta a farsi ritrarre sulla soglia del
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Monastero con la mia Teresa e, sottovoce, due sole parole: ``Vogliatevi bene!''
E posso ben assicurare oggi a Suor Lucia ± spentasi appena pochi mesi or sono
a 97 anni nella sua cella ± che quegli sposi, fino a quando uno di essi tredici
anni fa eÁ mancato all'altro, si sono voluti veramente bene: un bene ed un
affetto ancor oggi vivo e presente!
Da Coimbra, spiritualmente ritemprati, partimmo verso Lisbona nella cui
vicina Cascais ci attendeva un inconto che costituiva un'altra meta della
nostra ``luna di miele''.
A Villa Italia
Il Senatore monarchico Ing. Andrea D'Albora, compare d'anello al nostro
matrimonio, aveva ottenuto, unitamente ad Alfredo Covelli, segretario generale dello stesso partito, su mia richiesta, che Umberto di Savoia, ultimo Re
d'Italia potesse riceverci. L'udienza ci venne fissata in un pomeriggio di fine
ottobre ma giaÁ al mattino volli accompagnare con la mia auto, anche per
conoscere la strada, il ragazzo del fioraio che a nome degli sposi in visita piuÁ
tardi, consegnava a ``Villa Italia'' un cesto di fiori.
Ripercorremmo, cosõÁ i trenta chilometri che, attraversando Cintra e Estorie, separano Lisbona da Cascais. Ore 16 di un terso pomeriggio di fine
ottobre 1959. LaÁ ove una strada leggermente in salita si arresta, sorge solitaria,
sulla destra, Villa Italia al cospetto di una alta scogliera sulla quale si infrangono le onde dell'Atlantico.
Due giovani sposi suonano al cancello. Un inserviente li accompagna
attraverso una scalinata di marmo alabastro in una sala di attesa, ove vengono
raggiunti dall'aiutante di campo, Generale Emilio Gamera.
Un breve scambio di saluti e poi il Generale, ci introduce in un'ampia sala
e sugli attenti annuncia, a voce alta ``l'avvocato Michele Di Gianni e la Signora Teresa Murolo Di Gianni''. Vi scorgiamo, eretto nella sua longilinea
figura, Umberto di Savoia che, sorridente e in piedi accanto ad una vetrata che
si affaccia sull'Atlantico, ci invita a sederci. Un colloquio lungo, pacato, familiare. Il re che ci chiedeva ripetutamente di Napoli e ci parlava, da buon
padre di famiglia, delle ansie che gli avevano procurato poco prima il figlio
Vittorio Emanuele, che aveva fatto ricorso alla camera iperbarica, e poi Maria
Pia, alle prese con un recente parto gemellare. E poi, rivolgendosi alla mia
Teresa ``...ricordo, Signora, le visite a casa sua, ... lassuÁ''. Un ricordo certamente struggente di una Napoli della sua giovinezza che sovente lo portavano
a frequentare le dimore della locale alta borghesia. Ritenendo che il cognome
Murolo potesse ricollegarlo alla casa un tempo, del poeta Ernesto Murolo o ad
altre nella collina del Vomero, volli precisargli che il padre della mia sposa era
soltanto un modesto fabbricante di guanti.
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Passarono pochi minuti e il Sovrano, ancora rivolto a mia moglie: ``quegli
incontri... a casa sua...''. La comprensibile e commovente nostalgia di Umberto di Savoia verso Napoli e i napoletani meritava tutto il nostro rispetto sõÁ da
ritenere irriguardosa ogni mia ulteriore puntualizzazione. In quell'incontro
volli timidamente ricordargli quando, bambino, nel 1939, in divisa da figlio
della lupa e con in mano una bandierina di carta con lo stemma sabaudo ero tra
la folla festante che a Laviano ± mio piccolo paese natio, PodestaÁ mio padre ±
accoglieva con grande tripudio l'allora giovane Principe di Piemonte. Sorrideva compiaciuto a questo ricordo l'augusto e triste sovrano.
Trenta o quaranta minuti vissuti con l'ultimo Re d'Italia condannato ad
un esilio protattosi per quarant'anni, in assoluto silenzio e grande dignitaÁ.
Senza il calore di un solo familiare, lontano dalla sua Patria e dal suo popolo.
Soltanto le agitate onde dell'Atlantico e i voli radenti dei gabbiani a fargli
compagnia nel ricordo struggente della sua Patria lontana.
Dicembre 2005
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PASQUALE TERRACCIANO
UN NAPOLETANO AMBASCIATORE D'ITALIA A MADRID
Pasquale Terracciano, cinquant'anni, eÁ il nuovo Ambasciatore d'Italia a
Madrid. GiaÁ Console a Rio de Janeiro nel 1985, Primo Segretario alla NATO
a Bruxelles dal 1989 al 1992, ha svolto le mansioni di Consigliere del Gabinetto del Ministro. Dal 1996 al 2000 Primo Consigliere dell'Ambasciata d'Italia a Londra torna successivamente alla rappresentanza della NATO quale
responsabile del settore politico-militare; V. Capo Gabinetto del Ministero
degli Esteri nel 2001, Ministro Plenipotenziario nel 2003, ha ricoperto l'incarico di Capo del servizio stampa e informazione presso il M.A.E. dal 2004 sino
ad oggi.
L'alto recente incarico al quale eÁ assurto l'Ambasciatore Terracciano, non
poteva passare inosservato all'Ambasciatore Michelangelo Pisani Massamormile ± altra apprezzata figura di diplomatico napoletano, giaÁ Ambasciatore in
Cile e Turchia ± promotore e direttore dell'``Antenna napoletana del Circolo
di Studi Diplomatici'' che costituisce qui a Napoli una rassegna costante degli
avvenimenti piuÁ attuali e salienti tra l'Italia e gli altri Stati nel contesto
europeo (tavola rotonda nell'ottobre scorso sull'``Europa dei valori'' con la
partecipazione degli Ambasciatori Francesco Corrias, Federico Di Roberto,
Guido Lenzi, Antonio Napoletano, Vittorio Pennarola e, ovviamente, dello
stesso Pisani Massamormile) oppure nella rievocazione di eminenti figure di
diplomatici napoletani (come quella svoltasi nell'ottobre scorso di Pasquale
Diana alla quale hanno partecipato gli Ambasciatori Paolo Pucci di Benisichi,
Segretario Generale del Ministero degli Affari Esteri, Giacomo Attolico, Ferdinando Salleo, Franco Guariglia, Luigi Guidobono Cavalchino, il Min. Maurizio Serra, Direttore dell'Istituto Diplomatico) od infine nei rapporti tra
l'Italia ed altri Stati (Conferenze degli Ambasciatori accreditati a Roma della
Federazione Russa Ecc. Alexei Meshkov, di Austria Ecc. Alfons Kloss del
maggio e giugno scorso).
L'Ambasciatore Pisani Massamormile ha pertanto voluto salutare il neo
Ambasciatore e concittadino Terracciano con un raffinato pranzo offerto in
suo onore il 1ë luglio al Circolo Italia ove, al cospetto dei velieri d'epoca
133
ancorati sull'antistante porticciolo per un rally nel Golfo di Napoli, erano
convenuti esponenti della cultura e dell'alta societaÁ partenopea con gentili
Signore.
Siamo particolarmente felici ± ha detto tra l'altro l'anfitrione ± che in un
Paese tanto legato, per Storia e per Cultura, a Napoli, ritorni a rappresentare
l'Italia un Ambasciatore napoletano dai tempi in cui lo era stato altro emerito
concittadino, Giulio del Balzo di Presenzano, la cui carriera saraÁ ricordata in
una prossima manifestazione dell'Antenna.
Al brindisi di saluto dell'Amb. Pisani Massamormile ha risposto l'Amb.
Terracciano ringraziando tutti i partecipanti soffermandosi, tra l'altro, sui
settori di promettente collaborazione italospagnola, in particolare nella costruzione europea e nell'America latina. Al riguardo egli ha annunciato che al
Vertice del nostro maggiore strumento di presenza nel Sub Continente ±
L'Istituto Italolatino americano ± eÁ stato designato un ulteriore Ambasciatore
napoletano, Paolo Bruni, per cui anche in tale area Napoli potraÁ contare su
una autorevole presenza amica''.
Giugno 2006
134
UNA GRAVE PERDITA PER LA REPUBBLICA DI MALTA
GUIDO DE MARCO
SPLENDIDA FIGURA POLITICA
Correva la primavera dell'anno 1970. I Deputati del Parlamento maltese,
partecipanti all'Assemblea di Strasburgo, rientravano a Malta dopo una breve
sosta a Napoli per imbarcarsi sul volo della British Airwais Londra-NapoliMalta.
In una di tali soste e precisamente al Circolo Canottieri di Napoli, ebbi
modo di incontrare e conoscere il giovane Guido De Marco, giaÁ accreditato
parlamentare del partito nazionalista maltese. Gli confidai di aver conosciuto
qualche mese prima l'Ambasciatore di Malta a Roma Philip Pullicino che mi
aveva spronato a costituire l'Associazione di Amicizia Napoli-Malta per i
vincoli storici e geografici che legano l'Isola dei Cavalieri alla cittaÁ partenopea;
a simiglianza dell'Associazione ``Friends of Malta'' costituita a Londra. Non
riponeva, peroÁ, eccessivo ottimismo il diplomatico maltese sul conseguimento
dell'incarico conferitomi in quanto ± mi rilevava, con una sottigliezza puramente anglosassone ± Napoli non poteva offrire una presidenza dal prestigio
similare a quella londinese che si avvaleva, nientepopodimeno, del grande
Lord Mountbatten. A raccogliere il guanto di sfida mi furono propizie le prime
elezioni regionali che si svolgevano nello stesso anno. Candidato alla presidenza della Regione Campania ± di cui risultoÁ vincitore ± era Carlo Leone,
fratello di Giovanni, giaÁ presidente del Consiglio dei Ministri; entrambi giaÁ
miei illustri e cari professori all'UniversitaÁ di Napoli; l'uno Incaricato di
Procedura Civile, l'altro Ordinario di Procedura Penale. Offrii, nell'occasione, un cocktail nell'allora mia casa di Via Ponte di Tappia, al quale non
mancoÁ il carissimo Don Giovanni; al brindisi, nell'evocare i meriti del candidato, auspicavo che l'illustre suo germano potesse, nel buon nome di Napoli,
raccogliere la sfida lanciatami dall'Ambasciatore maltese e, quindi, accettare la
nomina di Presidente Onorario dell'Associazione Napoletana Amici di Malta.
Giovanni Leone, da par suo, pur obiettando, con la sua abituale bonomia,
di non poter competere con il grande Ammiraglio della Flotta britannica quale
fu il Conte e statista Lord Louis Mountbatten, zio del Principe Filippo e Duca
135
di Edimburgo, accettava il mio invito. Il dado, oramai, era stato tratto. Appena pochi giorni da quel ricevimento mi recai a Lungotevere Marzio 12 sede
ancor'oggi, da cinquant'anni, dell'Ambasciata di Malta a Roma. ``Eccellenza
Pullicino'' ± dissi all'incredulo diplomatico ± ``se Londra ha Lord Mountbatten alla ``Friend of Malta Association'', Napoli potraÁ contare su Giovanni
Leone, giaÁ piuÁ volte presidente del Consiglio dei Ministri della nostra Repubblica, sullo scranno piuÁ alto del Sodalizio Napoli-Malta''. Sbigottito ed incredulo da tale risultato, Sr Philip Pullicino, giaÁ Governatore del Regno Unito a
Zanzibar, mi strinse fortemente la mano.
Nasceva, cosõÁ nel 1970 ± come riferivo al compiaciuto giovane Guido De
Marco ± l'Associazione Napoletana Amici di Malta alla cui Presidenza onoraria eÁ stato, fino alla sua scomparsa, avvenuta nel 2001, Giovanni Leone; e
nasceva, altresõÁ nello stesso anno, il periodico del Sodalizio ``MaltanapoliCorriere Mediterraneo'', che da quarantun'anni non ha mai interrotto le sue
pubblicazioni.
Questo antefatto costituisce non solo una pagina rilevante dei rapporti
personali intessuti con Malta, quanto il germe di una fraterna amicizia, alimentatasi sempre piuÁ negli anni, con Guido De Marco e non di meno tra le
rispettive nostre famiglie.
Nel luglio dello stesso anno 1970, infatti, mi resi promotore di una visita
a La Valletta in concomitanza della XIIIë Esposizione d'arte del Consiglio
d'Europa imperniata sul tema ``L'Ordine di San Giovanni a Malta - Mattia Preti,
pittore e cavaliere'', curato dall'allora Soprintendente ai Beni Culturali e Ambientali di Napoli, il caro indimenticabile Prof. Raffaello Causa.
Elevato fu il numero dei partecipanti tra i quali una folta rappresentanza
della aristocrazia napoletana, sicuramente edotta dalla mia imminente investitura a Console On. di Malta a Napoli, proposta dall'Amb. Pullicino e
sostenuta da Guido De Marco. Durante tale soggiorno fui raggiunto da Guido,
vicinissimo all'allora Primo Ministro On. George Borg Oliver, che abbracciandomi mi disse ``ce l'abbiamo fatta!''. Mi confidoÁ che il gruppo dell'aristocrazia
napoletana che mi accompagnava in quella visita a Malta, sosteneva ± in
concreto e a mia insaputa ± la nomina a tale incarico di un Ammiraglio della
Marina Italiana, la cui consorte era ben presente nel gruppo. ``Ma ± mi aggiunse testualmente il caro Guido ± il Primo Ministro Borg Oliver, su mia
indicazione, ha preferito per tale incarico, a un pur illustre ma anziano candidato, un giovane al quale va il merito di aver costituito l'Associazione di
Amicizia tra Napoli e Malta''.
Si rafforzava, cosõÁ, un affettuoso sodalizio, di poi sempre piuÁ sviluppatosi
in oltre quarant'anni, con Guido De Marco. E non c'eÁ stato anno in cui, a
Malta o a Napoli, a Roma e a Caserta (alla cui Link Campus University
sovente partecipavamo unitamente al Direttore Gaetano Liccardi, a Enzo
136
Scotti e a Giulio Andreotti) ± ma anche a Bruxelles e persino a New York (nel
lontano 1973 con Alfred Bellizzi, rappresentante di Malta all'ONU) ± non mi
fossi incontrato e abbracciato col caro Guido. Piacevoli le ore trascorse nelle
sue case di Hambun o di S.Lucia, fuori da ogni protocollo, in forma privatissima, con Francesco Cossiga o con l'Arcivescovo Michel Gonzi e soventi sono
stati gli incontri ai quali hanno partecipato le nostre rispettive famiglie. Bellissima la Pasqua di due anni or sono trascorsa al Ta' Cenc di Gozo ove, dopo
aver insieme partecipato, nei giorni precedenti, alle tipiche processioni del
VenerdõÁ Santo nei villaggi maltesi, le nostre famiglie si unirono per festeggiare
i 50 anni di matrimonio dei miei consuoceri Armando e Mara Carotenuto.
Eccezionale e possente l'affermazione della sua personalitaÁ oltre che nell'agone forense e nella cattedra universitaria, in quello politico quale esponente del partito nazionalista e, non di meno, di Governo. Sensibile sul
versante internazionale, ha sempre avuto una attenzione particolare per l'Italia e il Vaticano. Protagonista assoluto della crescita politica e sociale di Malta,
ha ricoperto tutte le piuÁ alte cariche dello Stato. Ha rappresentato, infatti, con
grande prestigio, dal 1966 al 1997 la Repubblica di Malta all'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa. Nominato nel 1997 Vice Primo Ministro e
Ministro degli Interni e della Giustizia, ha partecipato alla Conferenza Europea dei Ministri della Giustizia. Ha ricoperto nel 1990 la carica di Ministro
degli Affari Esteri e nello stesso anno fu eletto alla Presidenza dell'Assemblea
delle Nazioni Unite (45ë sessione). Dal 1996 al 1998 eÁ stato Rappresentante
Permanente di Malta al Consiglio d'Europa. Nell'aprile 1999 eÁ stato eletto alla
presidenza della Repubblica di Malta.
Rilevante eÁ stata la solidarietaÁ espressa dalle piuÁ alte personalitaÁ del
mondo politico e dei governanti dei maggiori Stati esteri alla scomparsa di
Guido De Marco. Alle onoranze funebri ± solennemente celebratesi nella gremita Concattedrale di San Giovanni ± erano presenti molti Capi di Stato e
personalitaÁ del mondo politico e internazionale; tra gli altri, il Primo Ministro
del Kuwait Sher Nassen, il Presidente della Repubblica maltese George Abela,
il Primo Ministro Laurence Greech e tutti i membri del Governo e del Parlamento. Il Governo italiano era rappresentato dai Sottosegretari agli Esteri
On.Vincenzo Scotti e all'Istruzione On. Giuseppe Pizza. Alla vedova Sig.ra
Violet e ai figli Mario, Fiorella e Giannella hanno fatto pervenire messaggi di
solidarietaÁ Capi di Stato ed Esponenti del mondo politico internazionale tra cui
la Regina d'Inghilterra Elisabetta II, il Primo Ministro inglese David Cameron,
il Presidente del Commonwealth Kamalesh Sharma, il Presidente del Consiglio
d'Europa Mevlut Cavusoglu, il Segretario Generale della Lega Araba Amre
Moussa, il Segretario Generale delle Nazioni Unite Hilary Clinton.
Ho potuto riabbracciare per l'ultima volta il caro Guido alla fine dello
scorso aprile in un luogo che piuÁ santo e caro ad entrambi i nostri cuori non
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poteva essere: la Grotta di Lourdes. Quell'incontro, l'ultimo, non fu solo
inaspettato e profetico ma denso di commozione in quanto proprio ai piedi
di quella Grotta, girandomi, incrociai ± con viva sorpresa ± il mio sguardo con
quello di uno dei piuÁ cari dei miei amici, assiso su una carrozzella condotta da
Violet. Era Guido, giaÁ emaciato e consunto dalla dialisi che da tempo lo
affliggeva; ci abbracciammo lungamente e in lacrime volle stringere a se anche
mio figlio Fabrizio che ci stava accanto. Quasi presago degli ultimi giorni della
sua vita, mi invitoÁ al suo albergo. Quando mi ci recai trovai il caro Amico che,
seduto, appoggiandosi al suo bastone, mi aspettava nella hall. Trascorremmo
uniti due lunghissime ore rievocando gli intensi incontri vissuti in 40 anni,
unitamente alla sua Violet e alla mia Teresa e, non di meno, ai nostri figli.
Mi espresse il desiderio di tornare in agosto nella mia casa a Capri,
rassicurato di poter disporre del Centro Dialisi posto proprio a fronte del mio
cancello. Ci abbracciammo, quindi, con un arrivederci a Capri. Ma quella casa
a lui tanto cara, che si affaccia su Marina Piccola, ha accolto, nello scorso
settembre ± per tenere in vita una cara consuetudine ± solamente Violet con i
suoi figli e nipoti. Guido non c'era. Un mesto breve soggiorno volto soltanto
ad avvalorare un'amicizia che dovraÁ continuare in futuro con la presenza
spirituale di un grande, impareggiabile Uomo che fu, soprattutto, mio grande,
indimenticabile Amico.
Dicembre 2010
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A DIECI ANNI DALLA SCOMPARSA
LUDOVICO GRECO
GIORNALISTA, SCRITTORE, POLITICO
Alto, affusolato, elegante, quasi sempre con la ``Marlboro'' fra le dita
bruciacchiate; le sue camicie di ``zephil'' con gemelli, lunghi soprabiti, feltri
morbidi o Loch bordati. Comportamento e abbigliamenti, questi, che lo portarono al successo con donne bellissime. Permeato di grande generositaÁ, non
esitoÁ, come ebbe personalmente a confidarmi, a donare un ``Joan MiroÁ'' ad
una seducente sua amica.
I miei primi ricordi della sua figura risalgono agli anni 51-52 allorquando
nella Pignasecca, ove vivevo, Egli, con il suo affascinante eloquio, partecipava
con Achille Lauro, nelle file dello stesso Partito Monarchico Popolare, da poco
nato, alle elezioni amministrative dalle quali fu eletto al Consiglio Comunale.
Di poi fu Consigliere ed Assessore alla Provincia di Napoli e, infine, Senatore
della Repubblica e sempre al fianco di Lauro fu V. Direttore del ``Roma''.
Ormai giornalista e null'altro, collaboroÁ con i maggiori quotidiani italiani.
Fu poi editore di raffinati libri tra cui una ristampa di ``La Mount''. Diresse,
nell'immediato dopoguerra ``Il Corriere'', tra i primissimi quotidiani del Mezzogiorno liberato, di forte tono polemico in una stesura ironica ornata di
citazioni e vanitaÁ letteraria.
Autore oltre che di un libro pubblicato anche a puntate su Il Mattino dal
titolo ``Una storia italiana, 1936-1946'' ± dove sono narrate illusioni, emozioni, delusioni e turbamenti di un italiano e della sua generazione vissuto tra
due guerre e due regimi ± ha collaborato in piuÁ rubriche, ai giornali radio della
RAI ed a Radio Montecarlo realizzando, per quest'ultima, commenti e interviste con gli uomini piuÁ rappresentativi del Palazzo, veri e propri spregiudicati
colloqui pressoche confidenziali.
Ha pubblicato, inoltre, ``La sposa di Castelrosso'', ``Piemontisi, Briganti e
Maccaroni'', di poi aggiornato con un intervento del leader leghista Umberto
Bozzi sul Risorgimento sbagliato, noncheÁ ``Viaggio sui fronti di guerra'' e
``Storia di Ordinaria memoria''. Negli ultimi anni, prima di ritirarsi a vita
privata aveva seguito, come si eÁ detto innanzi, l'attivitaÁ giornalistica dal fronte
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manageriale ed erta stato tra i pionieri delle emittenze private pilotando, ai
suoi albori, CRT 34.
Senza essere stato deliberatamente un asociale ebbe a rifuggere da ogni
forma di presenzialismo riservando gran parte delle sue attenzioni a ``Sr Anthony'' un simpatico gattino con il quale affettava di compiere fitte conversazioni su argomenti di arte, cultura e varia umanitaÁ.
I primi miei contatti nacquero attraverso mio zio, Ciccillo D'Angiolillo,
che gli fu vicino allorquando, Ludovico Greco, cessata la sua attivitaÁ politica,
volle cimentarsi nel campo della editoria, impiantando una tipografia in Via
Ventaglieri, di poi trasferita sotto il nome di POLISUD a Casoria. E proprio
presso di essa trovoÁ gli albori, nel 1970, il presente periodico ``Maltanapoli
Corriere del Mediterraneo''.
Da avvocato gli sono stato molto vicino dagli anni 70 in poi assistendolo
in vicende in cui emergeva la sua incompatibilitaÁ con iniziative che non fossero strettamente culturali.
In tale contesto ho avuto modo di approfondire i rapporti di amicizia con
la sua famiglia ed in particolare con la sua amata sposa Gina, di una dolcezza
inconsueta, alla quale ho riservato frequenti visite successivamente alla scomparsa del suo sposo.
Tra le attestazioni di amicizia e di stima che il compianto senatore Greco
ha sempre riservato alla mia persona vi eÁ stata quella di affidarmi, a qualche
anno dalla laurea, suo nipote Corrado Giugni, oggi affermato professionista
che del nonno porta i tratti di grande riservatezza e, non di meno, di insuperabile signorilitaÁ.
Giugno 2011
140
LAVIANO
Luoghi e figure che riaffiorano da un terribile sisma
141
142
AMARO RITORNO
Vi ero andato il 2 di novembre, come ogni anno, spinto dai miei morti.
Eccomi ora, ancora non eÁ compiuto un mese, spinto da altri, e tanti, morti. NeÂ
posso dire che trecento, quanti sono, non sono i miei. SõÁ, ci sono ± seppelliti
fra questi gorghi di tavole di cemento, sventrate, tra queste sbarre di ferro
contorte, tra queste pietre dissolte nelle giunture ± morti che mi sono appartenuti nella carne e nel sangue. Ma innumerevoli altri ci sono anch'essi, mi
sono appartenuti. Angeluzzo il barbiere che, in ogni mia visita, compunto nel
suo camice bianco, abbandonava di scatto pennello, rasoio e cliente per correre a salutarmi fuori la sua porta a vetri; Giovannina, la fornaia della casa
accanto, che inondava di allegria e di voce squillante via della «Serra»; Aniello,
il mio antico fedele amico, compagno di banco alle elementari, al quale la
fortuna non arrise mai; il contadino che la sera rientrava, un po' stanco, un
po' gobbo per la tanta fatica dei campi. Tutti mi sono appartenuti questi
trecento, anch'essi ± pur senza vincoli di anagrafe e di scrittura ± miei. Carne
e sangue del mio paese.
Dov'eÁ la mia casa? GiaÁ ero abituato a riconoscerla di lontano. La facciata
color verde. Il tetto di embrici rossi sulla policroma grande veranda. PiuÁ sotto
la «loggia» ed ancora piuÁ in basso la finestra della mia camera. E lo sguardo da
questa casa spaziava sull'alta Valle del Sele sino al Monte Cervialto, al Santuario, ben visibile, di Materdomini, alla Sella di Conza. Bambino, sui quaderni di scuola, la rifacevo con i pastelli colorati, in cima la bandiera tricolore,
squillante, ed il comignolo con un filo di matita, un ghirigoro che stava a
indicare il fumo.
Avrei potuto, quel giorno della fine di novembre, disegnarne, con esatto
amore, il profilo nell'aria.
SõÁ, aria, aria soltanto. E grigia, spessa per la polvere delle macerie. E la
casa eÁ diruta, sparita, cancellata dal sisma. La mano di un gigante l'ha schiacciata nel suolo, l'ha sprofondata. Solo uno stipite di pietra, l'avanzo dell'antico
portale eÁ ancora in piedi. Precipitati nel nulla, con le pietre e la calce, anche i
ricordi e le memorie e tutto il patrimonio di affetti: le fotografie ricordo, i
giocattoli dell'infanzia, i primi libri illustrati e stampati a grossi caratteri e
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quelli venuti dopo, di ansiose e talvolta nascoste letture. I mobili: il cassettone
di zia Tettella con sul piano di marmo il trittico dell'800, orgoglio del salotto
buono, il tavolinetto con la frangia lunghissima di passamaneria, con appoggiato sopra lo stereoscopio con le vedute di Napoli, di Roma, di Firenze, la
prima evasione fuori del cerchio delle vicine montagne, il tavolino dove l'adolescente scriveva, intingendo in una boccetta di vetro la cannuccia con un
fiammante pennino Cavallotti, le sue prime lettere d'amore.
Tutto eÁ stato malvagiamente sprofondato nel nulla. Eccomi qui, ingiustamente vivo, tra il gorgo delle macerie, della casa dove nacqui, dove vissero e
morirono mio padre e mia madre. La mia casa.
Sono appoggiato con le spalle a questo trave di pietra, l'unico brandello
sopravvissuto al sisma, l'unica testimonianza di un luogo dove ci si ritrovoÁ, si
amoÁ, si visse.
Da questo pezzo di pietra puoÁ avere inizio la ricostruzione della mia casa.
Ed intorno a questa stele rifarsi tutto il tessuto di ferro e cemento e pietra
dove riportare il ricordo e la memoria dell'infanzia e la speranza per il futuro.
Ne sono il solo, io emigrato nella metropoli e qui, ogni anno, almeno per
una volta, in visita ai vivi ed ai morti. Tanti altri, anche essi emigrati in paesi
diversi e lontani e qui giunti, con affannosi voli di aerei sorvolando gli oceani,
dividono questo impegno. Rifare la cittaÁ, cancellando l'iniquitaÁ del terremoto,
rifarla nuova, ricostruendo le strade, le piazze. Eccoci ancora tenacemente
abbarbicati alla nostra terra, cosõÁ esigua di frutti, cosõÁ povera, pure cosõÁ cara.
Lo ha espresso quella vecchia signora, seppellita tra le macerie, sorpresa dalla
televisione, ± disarticolata nelle sue vesti nere, i capelli bianchi ed il viso
coperti di una patina di fango e polvere ± a gridare ai soccorritori: «Non
rompete la porta!». Era mia zia, ne ha sopravvissuto allo strazio della sua casa
distrutta. In questo avviso, lanciato a piena gola prima di morire, zia Michelina affermava la volontaÁ di resistere, di conservare, di mantenere intatto il
patrimonio costruito nei secoli: la propria casa, la porta che, chiusa, ne faÁ il
proprio castello, e insieme le memorie, le abitudini, lo stesso pezzo di cielo
ghermito, ogni mattino appena eÁ chiaro, da una finestra, il profilo dolcebruno
del monti.
Come accettare di far trasmigrare lontano ± come giaÁ dolorosamente,
spinta dalla necessitaÁ e dal bisogno, tanta parte dei suoi abitanti ± anche il
paese?
EÁ qui che Laviano deve risorgere. A ciascuno il diritto di riavere la
propria casa, nel suo habitat di sempre (ma consentiamo, per difenderci da
un sempre possibile e malaugurato sisma, di spostarci piuÁ a valle) di fronte alle
sue montagne e al suo cielo di sempre.
A ciascuno il diritto a tornare, nella sicurezza, sereni e felici. Non a caso
odo ± mentre mi riparo dalla pioggia sotto la tenda di uno dei dodici figli di
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Rocco Falivena ± un'allegra musica di organetto. Proviene da una vicina
roulotte. La tendopoli eÁ un pantano; i miei gambali di gomma affondano
nell'argilla. Ma devo sapere, e capire quella musica. Sul vetro della roulotte
un piccolo «olio» raffigurante il Castello di Laviano ed una foto di una giovane
coppia con una bimba. Dentro, lo stesso giovane, ma pallido e smunto, che
suona. EÁ l'insegnante-pittore-poeta-filosofo Pasquale Dente che, mi dice,
sente di suonare per quei cinque o sei bambini che io trovo, accovacciati e
sorridenti, nella sua roulotte. E non mi dice che egli suona anche per la
giovane moglie e per l'unica figlioletta, Cinzia, entrambe perite la sera del
23 novembre. Ma nel suo cupo dolore io leggo l'impegno a risorgere.
Siamo stati in tanti a scambiarci questo impegno, solenne e superbo per il
futuro: l'unico dato di commossa fierezza, nella passione e nel dolore, nel
nostro amaro ritorno.
Novembre-Dicembre 1980
145
I 18 BL
Gli anni '30. L'eta del jazz, ma a Laviano chi lo sapeva? Del charleston
l'esistenza a malapena si conosceva, accennato da qualcuno a mezzavoce il
motivo, ballarlo poi. GiaÁ la cittadina partecipava piuÁ del carattere di sano,
aspro borgo rurale che alle nuove mode, d'altronde ignote, salvo quel poco che
era potuto trapelare dalla lettura di qualche giornale o da qualche trasmissione
della radio allora, d'altronde, piuÁ impegnata nella musica classica, lirica o
sinfonica, che nelle canzonette e nei ballabili. GiaÁ il paese era chiuso e d'accesso non facile. Per una strada polverosa, la «rotabile» (detta anche la Via
Nova) si andava attraverso le case, sulla montagna e se ne discendeva. In
principio erano carretti con tintinnanti sonagliere ed il lume dondolante da
un assale, poi furono gli autocarri. Avanzi della guerra 15/18 affannavano sulla
salita, con sbuffi di fumo dai radiatori arroventati, le ruote sottili incidevano
stretti solchi nella polvere. Dietro un parabrezza verticale, al riparo di una
tendina ondeggiante nella corsa della discesa, l'autista si aggrappava al volante, gli occhi tesi sotto la visiera della berretta. Carichi di carbone questi
18 BL scendevano ± da Monte Pennone ± a valle, fendendo Laviano e sino a
Temete, tra gemiti, stridii, ruggiti rauchi del motore tra un cambio di marce e
l'altro, scuotendosi e scuotendo le case affiancate lungo il cammino. CosõÁ il
ricordo nella mia infanzia: enormi bestioni neri, rumorosi e massicci (i miei
Mazinga ed i miei Goldrake) autentici mostri nei miei sogni. Dal cassone
fluivano all'indietro nubi di polvere di carbone. Si appiccicavano alle pareti
delle case, eccole spalmate di nerofumo.
In pellegrinaggio a S. Gerardo
La veranda, al piano piuÁ alto della mia casa, affacciava sulla vallata. Per
due notti all'anno ± la prima domenica di settembre e il 16 di ottobre ero
svegliato da un'eco lontana di canti, un calpestio di scarponi. Eccomi al «finestrone», freddoloso, in camicia da notte, tra mio padre e mia madre, ad
ammirare la fiumana dei pellegrini che, discendendo, giuÁ per l'accorciatoia
del Mulino», da Muro Lucano e da Castelgrande il Santuario di S. Gerardo
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a Materdomini. Passano ombre per i viottoli, come fantasmi, le donne con il
capo ricoperto di lunghi scialli, quasi tutti carichi di lunghi ceri, l'offerta
votiva al grande Santo dispensatore di grazie. E voci di donne si elevavano
dal coro per squarciare il silenzio della notte:
«San Girardo, quann'era guaglione,
si faceva la cummunione,
si la faceva matina e sera,
San Girardo di Capussele».
Sparivano per i sottostanti tornanti. L'eco del canto continuava a giungere da lontano.
Accompagnavano i pellegrini le greggi e le bestie (non soltanto buoi dalle
lunghe corna e branchi di maiali ma anche sonari che portavano sulle groppe
cesti colmi di galli e di galline e di conigli) condotti per l'occasione alla grande
fiera di Materdomini. Ne tra i pellegrini stessi mancavano i «piattari», carichi
della loro fragile mercanzia, i piuÁ venivano da Calitri, paese di antiche stirpi di
vasai. E i «vardari», fabbricanti di basti per gli asini e per i muli, costoro da
Pescopagano.
Tornavano a sera. A passo stanco. Ne ceri, ne torce. Gruppi di meno
anziani, accompagnandosi alla musica degli organetti, intonavano strofe e
mottetti. Non precisamente religiosi, raccolti piuttosto attorno al tavolo dell'osteria, attratti da un fronzuto moncone di quercia, segno inequivocabile di
buon vino.
Cantavano fantasiosamente ebbri i pellegrini di Muro e di Bella. Le
donne, cariche di vergogna, stringevano lo scialle sul viso, facevano il segno
della croce.
La festa dell'Assunta
La tromba di Paoluccio eÁ stata ereditata da suo figlio Vitale. Vitale ha
ereditato non solo la tromba e la professione di banditore ma anche le funzioni
di sagrestano. L'imboccatura dello strumento eÁ lucida per le labbra e il soffio
di piuÁ generazioni dei Paoluccio. (Nella famiglia il nome eÁ accoppiato a quello
di battesimo, come un costante patronimico). Paoluccio, padre di Vitale Paoluccio, annunciava con la sua tromba gli avvenimenti notabili. Sappia la popolazione tutta che, il 15 agosto, Festa dell'Assunta, avrebbe avuto a conclusione un programma di fuochi artificiali, opera, particolare di uno dei piuÁ
accreditati fuochisti del Circondario: Manomozza. Piccolo e nero, privo di una
mano portata via dallo scoppio prematuro di un cartoccio di polvere, Manomozza da Grottaminarda, era anche orbo di un occhio. Responsabile di quest'altra mutilazione la scheggia di un cilindro di ferro per mortaretti. Gli
avevamo messo nome il Pirata, per la benda nera che gli attraversava la fronte.
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L'annuncio di Paoluccio metteva in subbuglio il paese. Non mancava chi
deprecasse una pretesa parzialitaÁ del masto di festa per questo artefice di razzi
e girandole. Ma ZõÁ Nicola Caruso lasciava dire. La sera del 15, Manomozza
avrebbe certamente conquistato tutti con le sue splendide composizioni piriche. ZõÁ Nicola lisciava sornione il rotondo embonpoint ricoperto da una catena
d'oro, si sentiva sicuro di Manomozza e del fatto suo. E poi ci sarebbe stato il
carro. Che era a tre piani, preparato giaÁ da quindici giorni, dinanzi la «Cappella» ± extra moenia ± della Madonna e accompagnato ogni sera dalla Novena
dei fedeli. Intanto noi bambini vi giravamo attorno, a questo grande monumento votivo, mentre i piuÁ grandi agitavano le zucche che avevano raccolte e
vuotate e forate con occhi e bocca, al buio ± con inserita una candela accesa ±
vere teste di morto.
Ed infine la festa, con gli archi scintillanti di luce all'acetilene.
A S. Maria «la Cassa Armonica» illuminata a giorno con le bancarelle ±
sempre in prima fila quella di «ZõÁ Carluccio» ± con la «copeta» e le nocelline.
In giro, con pesanti trecce nere a cornice di visi olivastri, le zingare pronte a
dirci la buona fortuna e i loro mariti, abili nel rattoppare caldaie o a guarire
cavalli o a castrare i maiali, ma guardati con sospetto si temeva rapissero i
bambini.
E in ultimo i «fuochi».
Salivano in cielo scintillanti razzi di ogni colore e poi si aprivano rutilanti
ombrelli: le granate. Il cielo cambiava, erano oscurate le stelle da cascate di
verde, di rosso e di bianco elettrico. Ne c'era sosta, perche tra una serie e
l'altra di granate una salve di mortaretti. E infine, su una sommitaÁ, le scoppiettanti girandole ruotare come impazzite. Controluce vedevi un omettino
nero saltellare da un palo all'altro, tendere una sigaretta accesa (nella mano
sinistra naturalmente) ed era Manomozza. E tra l'acre odore della polvere da
sparo, tra i residui combusti delle armature, eccolo chinarsi a dar fuoco all'ultimo mortaretto, quello di chiusura (il «colpo scuro») e infine, tra gli applausi, chinarsi ancora, ringraziando, e rialzarsi, e salutare, levando il braccio e
agitando una mano che non c'era.
Musica in piazza
Gli acuti della tromba, il ritmato sospiro del trombone, lo squillare dei
piatti, il mugolio del clarino: oh, che bel suonare! Era la banda che il Maestro
Maiorana presiedeva con il rigore della sua nervosa bacchetta. Imperiosamente
battuta sul leggio, allorche uno dei musicanti aveva perduto il filo, faceva
interrompere tutti di scatto. Aveva ragione il Maestro. EÁ un si bemolle,
imprecava. EÁ un si bemolle! Daccapo! Tutti daccapo! Solfeggiava con le labbra
socchiuse: ± sidofafafasollado... Il «professore d'orchestra» chinava il capo,
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mortificato. Pensava «fosse meglio» la sua botteguccia da sarto, con alle pareti
i manifesti sbiancati del «Conte Verde» e del «Conte Biancomano», con i
cataloghi della «Sartotecnica» sul bancone e una copia della rivista «Arbiter»
e i legnaioli (e carbonai, e contadini) che venivano a farsi cucire il vestito di
fustagno nero per la domenica. Pure la musica li univa tutti. Ogni sera, disertate le botteghe, il sarto, il calzolaio, il falegname, il proprietario dell'emporio, venivano alle prove dell'orchestra, della banda cioeÁ. Una banda, orgoglio di Laviano, con ottoni splendenti, luccicanti tamburi, lucidissimi piatti.
GiaÁ prenotata per la festa dell'Angelo a Colliano, di San Gerardo a Caposele,
della Madonna delle Grazie a Santomenna, di tanti santi e sante a Lioni, a
Conza, a Castelnuovo, a Teora, a Buccino, a Valva, e un po' dovunque, anche
fuori il Mandamento. Domani invece, proprio a Laviano. E con l'occasione il
concerto avrebbe avuto a chiusura, prima del consueto canzoniere (un insieme
di Tosti, di Costa e delle canzoni napoletane), una composizione dello stesso
Maestro. Forse che Mascagni non scrisse la Cavalleria Rusticana, quando era
direttore della banda di Cerignola? Quel sabato sera il Maestro sogna il palcoscenico dell'Opera (lui in frac, in frac i professori, in frac e deÂcolleteÂs il
pubblico) e un uragano d'applausi. Ahi, non fosse per il primo clarino! Non
indovina mai! ± EÁ un si bemolle, un si bemolle! grida, svegliato dal corruccio,
appena in tempo a vederlo in faccia; questo professore d'orchestra. EÁ in frac,
ma ha la faccia del sarto.
L'indomani, in piazza, invece tutto fila liscio.
Sidofafafasollado... il clarino non ha sbagliato una nota.
Tutti noi eravamo intorno al palco, sfuggiti ai genitori. Ma non prima di
avere estorto dieci centesimi a testa: il prezzo di una fetta di cocomero o di un
sorbetto (fragola, limone, pistacchio) tratto da un cilindro di metallo, tuffato
in una tinozza colma di ghiaccio e sale. Appena in tempo a ingozzarci di gelato,
avere le mani libere, applaudire freneticamente il Canzoniere.
I monili delle spose
Pure all'alba della domenica, Don Armando da Caposele, ZõÁ 'Ntonio da
Nusco, tolto in prestito qualche tavolo, esponevano, l'uno a S. Maria, l'altro
alla «chiazza» la loro merce. Anelli, ed orecchini, e collane di limpido oro
giallo, monili affettuosi e casalinghi, orgoglio delle spose, civetteria delle adolescenti. Oggi che i gioielli si comperano anche per posta chi ricorda piuÁ questi
tanto attesi procacciatori ambulanti di vanitaÁ e felicitaÁ. Ne i guadagni erano
facili. Quanti tronchi d'albero abbattuti, quanto fumo nei polmoni per le nere
carbonaie ricoperte di terra, quante uova avaramente contate e vendute dieci
centesimi l'una, o quanti bucati alla «cenere» presso i benestanti del paese per
un anellino piccolo cosõÁ?
149
Il Tesoro di Scazzamauriello
Una chioccia, tutt'oro, con dodici pulcini, tutt'oro, era seppellita nella
stanza trecentosessantacinquesima del Castello medioevale. Ma le stanze si
diceva, che si erano potute contare, e tutte appiattite dal tempo, erano state
soltanto trecentosessantaquattro.
Ci andavamo a primavera, e piuÁ ancora in estate, nella corte, i grandi per
giocare a bocce, noi piccoli per giocare a cucuÁ. Era il gioco del nasconderello:
celarsi dietro i ruderi del Teatro o della Chiesa, a ridosso di un muro, correre a
perdifiato da una torre all'altra, essere inseguiti e, non visti, tornare, trionfanti, al luogo di partenza. Minuti affannosi, soli, alle prese con i fantasmi di
cui favoleggiavano i vecchi. Ne io mi sottraevo alla spinta dei timori e spaventi
congeniali a quelle vecchie pietre. Eccomi, bambino, addossato a un brandello
di porta. LaggiuÁ un lembo di veste bruna. EÁ lui, eÁ Scazzamauriello. Il «monaciello», il «diavolicchio», il «diavolillo», in tutti i paesi del Sud eÁ vivo (cosõÁ
almeno dicono) questo genietto domestico, a volte dispettoso e maligno, a
volte protettore e genius loci della casa.
Scazzamauriello, si diceva, avrebbe potuto indicare l'esatta ubicazione
del tesoro. Il tesoro, io lo volevo. Un immenso patrimonio da dividere con i
miei compagni di giuoco (ma una parte l'avrei lasciata a mio padre e mia
madre) e con i miei fratelli. Temevo e cercavo Scazzamauriello, andavo al
Castello dove sembrava si manifestasse piuÁ spesso. Con il cuore in gola, durante le partite a cucuÁ, allora che ero solo lo invocavo, aspettavo mi comparisse
davanti. Con speranza e paura, i capelli subito rizzati in testa allora che lo
sdrucciolio di una pietra, mossa probabilmente da un topo, il guizzo verdebruno di una lucertola, appena avvertito con la coda dell'occhio, mi davano
conto di un'altra presenza. Ma Scazzamauriello non si fece mai vedere, ne da
me, ne da altri, come del resto in tante centinaia di anni prima di noi. Il tesoro
eÁ rimasto sepolto nella trecentosessantacinquesima stanza. Che non c'eÁ piuÁ. E
probabilmente nemmeno Scazzamauriello c'eÁ piuÁ. Ben altri e visibili diavoli
avrei incontrato, poi, sulla mia strada.
La domenica mattina
Come Stendhal ricordo, o immagino di ricordare. Domenica mattina a «S.
Maria», gli «stagnari» di Santomenna che esponevano le loro luccicanti mercanzie, tutte di latta o di stagnola: pentole, tegami, becchi e misurini per olio,
serrature, d'ogni tipo, fatte a mano e «centrelle a doie botte», chiodi cioeÁ a due
facce, pure fatti a mano con i quali contadini e carbonai chiodavano i loro alti
scarponi che tingevano con sego e nero fumo.
In «piazza», i «quagliettani» con le loro verdure, insalate e «papaccelle» (i
150
rossi e verdi peperoni che le vecchiette infilavano allo spago ed appendevano,
assieme ai prosciutti, alle lunghe pertiche savrastanti il focolare). Aria di festa.
Anche i forni di Liberata e di Desiderata emanavano sulla strada un profumo
di festa che non era fatto solo di pane e freselle ma sopratutto di pizze al
pomodoro e alle alici, di pan di Spagna e di taralli all'uovo. Contadini venuti
in paese per la messa. Vestiti di nero, il cappello, sempre nero e teso, ben
calcato in testa, nella mano l'impugnatura di un grosso bastone. Ed in piuÁ la
gentile civetteria di un fiore all'occhiello. Oppure, discesi dalla montagna,
legnaioli e carbonai. Il lavoro della domenica non era valso a scavare dalle
piegoline del viso (intorno agli occhi o all'angolo della bocca) le sottili venature
di carbone, depositato da anni, una ragnatela oscura, una sorta di spontaneo
tatuaggio, indicativo dello stato del suo portatore. E poi le donne.
GiaÁ spuntava qualche timido vestito a fiori, o qualche gonna un po' sotto
il ginocchio. Ma la gran parte nel costume tradizionale. Il bustino stretto, con
una fila di bottoncini, bianco e ricamato, con le maniche a sbuffo. Ed una
larga gonna ricadente fino a terra, spesso ricoperta da un grembiule. In testa
un ampio fazzoletto annodato sulla nuca e spiovente sul davanti, una specie di
soggolo profano: l'antichissimo costume del Principato Citeriore, cosõÁ denominato in una carta geografica (di certo anteriore a Franceschiello, voglio dire
Sua MaestaÁ Francesco II, Re delle Due Sicilie) dove con l'orgoglio di saper giaÁ
compitare, ero andato a cercare il nome del mio paese.
Tutta questa composita popolazione si muoveva tra le strade con la grazia
di un balletto. I vestiti neri degli uomini, i corpetti bianchi delle donne, le
rosse coccarde dei fiori all'occhiello, gli accesi colori dei fazzoletti sembravano
avessero ispirato la fantasia di un nascosto coreografo che, invisibile, da un
angolo muovesse, battendo la sua mazza sul selciato, i passi della contraddanza. E gran parte di questa si spingeva nella parte piuÁ alta del paese: alla
Chiesa dell'Assunta ove Don Arcangelo, l'arciprete dotto e burbero, celebrava
la messa cantata. Alle antifone, replicava «Zi' prevete», cioeÁ il Canonico
Buccino, mentre dal grande organo, i cui grossi mantici erano azionati da un
nugolo di vocianti ragazzi, si diffondevano le musiche gregoriane tra nubi
d'incenso.
Gli Americani
Tutto era cominciato dopo il Sessanta. Con la difficile sutura delle due
Italie, era nata la questione meridionale. E con essa l'emigrazione. Qualcuno
tornava di tanto in tanto. Erano riconoscibili, gli «americani», per i loro vestiti
di altro taglio, le cravatte colorate e un nuovo modo di esprimersi. Un linguaggio «beche de mer», un miscuglio di parole italiane, dialettali, americane.
Bricchi, erano le tegole delle case. Stima, il riscaldamento a vapore (ma c'era in
151
America, da noi ± in paese ± no). CoÂstume, era il compratore o il cliente in
genere. Bevevano birra piuÁ che vino, raccontavano della favolosa New York;
delle sue grandi strade, della «elevata». Sprizzavano salute, orgoglio, e dollari!
Tutti li invidiavamo. (Ne sapevamo che tacevano l'amaro risvolto dei loro
primi anni. La divorante nostalgia, quante volte affondata nelle lagrime per
una cartolina con il francobollo dell'Italia (la testolina di Vittorio Emanuele
III ancora con i baffi all'insuÁ), le lacrime nella salsa di pomodoro, il capo
reclino su un piatto di spaghetti, in una bettola di Mulberry Street quando
un suonatore di chitarra accennava «O sole mio». E il duro lavoro di ogni
giorno, e la lacerante solitudine). Hello, boy! Da questo rombante saluto
arguivo che Zio Valentino era in giornata di vena: magari aveva vinto, una
«briscola» ad un altro «americano», al «caffeÁ» di Zio Peppino Carchio, che poi
era l'unico ritrovo «in» dell'epoca.
Ma «l'americano» piuÁ americano di tutti era Attilio D'Antona, detto
anche «Il Milionario». Emigrato in America aveva partecipato al vittorioso
destino dei self made men in U.S.A. Al paese natale aveva profuso dollari: a sue
spese la fontana del Tritone in piazza, l'Asilo infantile, la Biblioteca Comunale. E, prima di tornarsene in America, anche lui a costruire la «casa» che,
per essere piuÁ grande della casa di Zio Valentino e di quelle di tanti altri
«americani», era chiamata, la sua, «il Palazzo».
Meat and vegetables
La guerra aveva fortunosamente lasciato indenne il paese. I tedeschi vi
erano passati ma avevano fucilato soltanto le galline. Nel '43 erano giunti gli
americani della V armata; a valle ± a Buoninventra, a Pasano ± avevano fatto
una tendopoli.
Gli «americani» di Laviano ± quelli che si erano definitivamente rimpatriati e quelli che in visita al paese nativo vi erano stati costretti a rimanere per
la guerra ± facevano da interpreti. Ve ne era proprio bisogno? Di questi G.I.
erano tanti di ceppo italiano: bevevano vino con i vecchi, qualcuno parente;
offrivano sigarette, chewing gum e grandi manate nella schiena. Hello, boys!
Mica tanta, la differenza tra gli americani di Laviano e questi americani
d'America.
Un giorno sopraggiunse un Ufficiale di spicco, molto elegante, naturalmente a bordo di una jeep. Era il Maggiore Felix Aulisi, venuto a trovare «li
parienti» cioeÁ tutti noi, suoi parenti, prima che, come Giudice delle truppe di
occupazione, si installasse nell'aula di S. Domenico Maggiore a Napoli, ove
mesi dopo io, appena quindicenne, venni a vederlo, assiso su un alto scranno, a
processare e a condannare.
152
Portava, e spesso per tutti, sigarette, corned beef e anche tante scatolette
di Meat and Vegetables e pane bianchissimo e tanta cioccolata, per noi bambini.
I cannoli di Donna Amalia
Tanta ricchezza l'avrei incontrata piuÁ tardi solo nell'esercizio della lettura: quella del MazzaroÁ di Pirandello. Che la casa, anzi il palazzo di Donna
Amalia Pinto, traboccava, anch'essa, di ricchezza. GiaÁ appena entrato per il
grande portone incorniciato di pietra ± e prima di imboccare lo scalone che piuÁ
tardi avrei trovato simile a quello di Palazzo Cerio a Capri ± eri afferrato alla
gola dai mille odori e dai mille sapori che emanavano le dispense a piano terra.
I tanti stanzoni enormi, dai cancelli in legno, ricolmi di ogni ben di Dio.
LõÁ, appesi alle volte, salami, prosciutti, caciocavalli: il cielo di una lunga e
massiccia distesa di sacchi, gonfi di frumento e di grano saraceno. E poi, man
mano che ti inoltravi, nell'interno altri stanzoni, anche essi enormi ed anch'essi decorati degli stessi pendenti. E poi il frantoio. Le enormi macine
giravano lentamente al passo di un minuscolo, paziente somaro con gli occhi
bendati, distillando un biondo olio d'oliva.
Su questa opulenza regnava incontrastata Donna Amalia, ne si sarebbe
pensato che di tanta roba ne avesse mangiato piuÁ dello stretto necessario: alta
e magra e vestita di nero, la ricordo ancor'oggi come la Nonna Lucia del
Carducci.
Gli antichi legami tra la Sua e la mia famiglia oltre a far convergere
frequentemente verso casa mia grossi cesti di frutta ricoperti da candide
tovaglie (erano le primizie che, attraverso la sua fedele «Angelecchia», Donna
Amalia teneva a farci assaporare) fecero, di me bambino, uno dei prediletti
della vecchia signora. La mia golositaÁ infantile era premiata da costanti donativi di dolci, soprattutto di cannoli alla siciliana che preparava per me con le
sue mani.
L'ultimo ricordo che ho di lei eÁ quando ± un cammeo sul collettino di
pizzo, il largo cappello, le mani infilate nel manicotto ± la vidi salire e poi
assidersi eretta sulla torpedo, con la capote alzata, di Scocozza, unico autista di
piazza, grosso, opulento, burbero e tanto simpatico.
L'auto era partita lasciandosi dietro una scia di fumo azzurro. Poi, impugnando la pera di gomma della tromba e lanciando una serie di allegri squilli,
Scocozza, ± con il grosso sigaro toscano che gli pendeva dalle labbra ± discese e
superoÁ la curva detta di «'Ze Felicia». La torpedo disparve dietro quella curva.
CosõÁ uscõÁ Donna Amalia Pinto dalla mia infanzia. Ne l'avrei piuÁ riveduta. Solo
il ricordo di quei grandi cesti di frutta e di quei cannoli alla siciliana. Insuperabili, si diceva Donna Amalia ne avesse imparato la ricetta, e il segreto, dalle
monache, giovanetta, in collegio.
153
Tempo di vendemmia
Lungamente attesa, eÁ finalmente arrivata l'ora della vendemmia. Uomini,
e donne, e somari: una lunga fila uscita dal paese andava verso la campagna,
alle vigne. E lõÁ i vendemmiatori, staccavano i grappoli dalle viti. Le donne li
deponevano con le ceste nel luogo della raccolta.
Un tiepido sole di settembre dorava i chicchi, rotondi, faceva scintillare
nelle brocche l'acqua del pozzo. Canestri e «quartari» ricolmi di cibo: patate e
peperoni (una ratatouille domestica con il sapore del sole e della terra, che
dalle nostre parti si chiama «cianfotta»), laganelle e fagioli. Grossi bocconi di
pane di granturco, il «paniello», alternati a grandi sorsate di vino tratte dalle
fiasche tirate su dal pozzo dove erano state calate in fresco.
Una gioia tutta pagana e festosa di paÂmpini, un alacre e divertito andirivieni tra i filari delle viti e gli asini, in paziente attesa, a rosicchiare un cardo.
Infine a sera il rientro delle carovane con i tinelli colmi e traboccanti di
grappoli, ciascuna verso la sua cantina ± incavata quasi sempre nel cuore della
roccia ± per riporvi l'uva.
Eccoli giaÁ pronti per la pigia al fioco lume della lucerna ad olio: due o tre,
scalzi, a pestare l'uva nelle tine.
Altri a raccogliere il filo rosato che sgorga dal cannello in tinozze di
minore misura.
I vendemmiatori e le vendemmiatrici, rochi per il tanto cantare della
giornata, nell'oscura cantina si inebriano dei vapori del vino. Il mosto esala
il suo invisibile fumo, prende alla testa. (Ragazzo, una volta, per assistere alla
pigiatura nella cantina di mio nonno ne fui ubriaco). Le voci si alzano di tono,
diventano stridule. Sono intonati nuovi canti, l'eco si ripercuote di cantina in
cantina. Nelle grosse tine bolle e fermenta il mosto. Presto saraÁ vino, preferibilmente rosso. Un vino forte e robusto, fatto di sola uva. A Scarrabbino e
Sebbuncolo, uomini indigeti di via delle cantine ± per essere i maggiori provveditori di barili e tinozzi ± l'onore del primo bicchiere. Che, con tocco
patriarcale, trangugiano lentamente, ad occhi socchiusi.
Quel giorno del 1951
Fui proprio io, nel 1951, a sollecitare Eraldo Monzeglio, allenatore del
Napoli, a inviarci la squadra per l'inaugurazione del campo di calcio. Avevo
fatto spianare il Magnolino. Ecco, Laviano aveva il suo stadio. Che fu puntualmente inaugurato dal Napoli (con Casari, Amadei, Arce, Cecconi, Vitali,
Posio, Gramaglia, Bacchetti, ecc.) impegnato in un amichevole con la squadra
di Laviano (costituita da elementi che rappresentavano tutti i paesi vicini). Il
risultato: 9 a 1. Vincitore, naturalmente, il Napoli.
154
SõÁ, erano passati gli anni. Prima i favolosi anni '30, poi gli anni difficili,
della guerra e del dopoguerra, poi i costruttivi anni '50 con un presagio di
benessere economico, che sarebbe venuto ma poi cancellato da altri anni
difficili. Quel giorno del 19 agosto 1951, nello stadio del Magnolino, battezzato «Bazzicalupo», non lo sapevamo. Il nostro paese aveva ripreso la sua vita
di sempre, l'auspicio sembrava favorevole. Chi avrebbe pensato, quel giorno,
(mentre una delirante salva di applausi e di mortaretti salutava quell'unico
goal del Laviano contro una delle piuÁ agguerrite squadre del campionato di
Serie A) quel che sarebbe avvenuto trent'anni dopo? Ne lo avrei immaginato
io, ancora cosõÁ giovane, e poco piuÁ che adolescente, che trent'anni dopo, su
questo mio giornale, avrei dovuto riappiccicare, con il fiato della memoria, i
cocci infranti della mia giovinezza, per ricostruirmi dentro (e con me gli altri
del mio stesso luogo) il mio paese. Che oggi totalmente piuÁ non esiste.
Novembre-Dicembre 1980
155
UN PICCOLO POPOLO UN GRANDE AMORE
La morte, quella sera del 23 novembre, non si fermoÁ ad esaminare certificati di credito o titoli di proprietaÁ. ColpõÁ indiscriminatamente il ricco ed il
povero. Che anzi i sopravvissuti si trovaroro tutti ad essere poveri: senza tetto
e senza cibo, neÁ avevano di che coprirsi.
ComincioÁ allora, dall'estero l'invio degli aiuti. Partirono nel giro di poche
ore le prime colonne di soccorso. Da ogni parte erano raccolti indumenti,
medicinali, viveri, denaro. Una gara nobile per fare di piuÁ e piuÁ presto.
Fra tutte le nazioni che cosõÁ generosamente avevano offerto il loro aiuto
non puoÁ di certo essere dimenticata Malta. Un'isola di poco piuÁ di 300.000
abitanti, meno di quanti non ne conti un solo quartiere di Napoli, nello spazio
di una settimana aveva raccolto quasi 700 milioni.
L'iniziativa era partita direttamente dal Primo Ministro, l'On. Dom
Mintoff. E subito era stato formato un comitato nazionale di soccorso presieduto dall'On. Moran, Ministro della SanitaÁ e dell'Ambiente.
Ne erano stati chiamati a far parte il Signor Valhmor Borg, la Signora J.
Burns-Debono, l'on. Dott. J. Farrugia, il Signor J. Fino, il Signor J. GialanzeÁ,
Mons. V. Grech, il Signor V. Laiviara, la Signora R. Micallef-Judge e l'On.
Dott. D. Piscopo. Un sotto comitato per l'isola di Gozo era costituito dal
Signor C. Buttigieg, dall'On. A. Tabone e dal Signor R. Portelli.
Eguale slancio ed impegno da parte della Charitas Maltese, del Lion's
Club of Malta, Sliema e Gozo, del Laboratorio della Pace. Incitamenti ed
esortazioni a prodigarsi nella raccolta venivano puntualmente e ripetutamente
da Xandir Malta con annunci per radio, televisione, filodiffusione.
In brevissimo tempo erano raccolte 14.000 coperte e ogni giorno di piuÁ
indumenti e denaro. La raccolta era organizzata anche nelle chiese di Malta e
di Gozo. Gli automezzi della Polizia, delle Forze Armate, della Task Force
provvedevano a trasportare i materiali raccolti fino al Ministero della SanitaÁ
alla Valletta. Nella sala principale, trasformata in un enorme deposito, i giovani del Laboratorio della Pace provvedevano a separare e imballare i materiali
via via che venivamo scaricati dai mezzi: un lavoro che si protrasse per giorni
senza soste, fin dalle sette del mattino a tardissima sera.
156
Non occorre sapere di statistica per rapportare i settecentomilioni di lire
raccolte e gli indumenti e le coperte al numero degli abitanti di Malta. Basterebbe una semplice operazione aritmetica per stabilire quanto procapite ogni
cittadino di Malta si sia spontaneamente quotato in favore dei terremotati
italiani. Non c'eÁ dubbio che, nella proporzione, la piccola isola amica abbia
fatto piuÁ di ogni altra Nazione nel Mondo.
Un risultato che poteva essere raggiunto (ed eÁ stato raggiunto) solo in
virtuÁ di una commossa solidarietaÁ. GiaÁ si era manifestata nella stessa opera di
raccolta ed organizzazione degli aiuti. Governo ed Opposizione, Chiesa e
Stato, giovani ed anziani avevano lavorato insieme per offrire assistenza alle
popolazioni italiane colpite dal disastro.
Appena dieci giorni dopo, il 3 dicembre, la nave «Qormi», messa a disposizione dalla Sea Malta, salpava per Reggio Calabria con il suo carico di
containers e prefabbricati. Uno era stato donato dalla Debono Coaches e
Toyota Motors; altri dalla Birreria Farsons, dai Fratelli Portanier, dalle Cantine Marsovin.
Ora l'autocolonna era partita da Reggio Calabria, risaliva le prime falde
della dorsale appenninica. I grandi autocarri procedevano con difficoltaÁ sul
manto, madido di neve disciolta, della superstrada. E via via che avanzavano
sollevando un polverio di acqua e nevischio, due getti paralleli, quasi una scia
aerea che attestava la difficoltosa rotta verso la Lucania e il Salernitano, ecco
la neve infittirsi, guardarla venire giuÁ in larghe bianchissime zolle, scendere sul
tetto degli automezzi, stendere sull'asfalto un candido manto sempre piuÁ alto.
E l'autocolonna arrancare, i motori sotto sforzo e gli autisti abbracciati al
volante, quasi a voler aggiungere la forza dei loro muscoli alla propulsione
meccanica dei pur tanti HP, ormai incerti, e le ruote scivolose e non piuÁ capaci
di mordere la strada. E infine, ancora uno sforzo, giaÁ quasi alla vetta del Passo
di Campo Tenese. E, invece, la colonna fermarsi, di fronte al muro di neve.
(Da ogni parte, sul ciglio della superstrada, i primi «terremotati» l'orribile
parola nata dalle tante e simili sciagure cadute sul nostro paese ± affacciarsi,
avvolti nelle coperte, i volti fissi, immobili. Come nei wasterns che vediamo al
cinema e alla televisione ± non sembri irriverente il paragone ± quegli indiani
dal volto di pietra, anch'essi avvolti nelle coperte a guardare il passaggio degli
uomini bianchi, aggrappati alle pareti di un canyon, espressione derelitta di un
popolo sconfitto. CosõÁ come sconfitta era questa umanitaÁ senza nome, uscita
dalle macerie, sconfitta dalla natura, ed una inesorabile quanto incongrua e
non giustificabile, collera divina).
Eravamo al bivio di Contursi, io e l'amico Joseph Schembri, reggente
l'Ambasciata di Malta a Roma. Eravamo in attesa della colonna, giaÁ dieci ore
erano trascorse oltre l'orario previsto dalla tabella di marcia. Anche a Contursi
nevicava, una nevicata sottile, notavo con incongruo umorismo come imbian157
casse i capelli del diplomatico amico, almeno fin quando non decise con un
gesto impaziente, di calcarsi in capo il berretto.
C'eÁ tutto un inverno dinanzi a questa povera gente! Chi sa quante altre
nevicate. Come faranno senza case dove ripararsi?
Aspettammo ancora, battendo i piedi per il freddo. (Schembri doveva
accompagnare e consegnare i containers, stipati di coperte e vestiario, al
generale Antonelli, presso il Centro Raccolta dell'aeroporto di Pontecagnano,
io accompagnare e sistemare i primi due prefabbricati nella tendopoli di Laviano). Rimanemmo, al bivio, ad aspettare, neÁ osavamo cercare riparo, al caldo
in una casa vicina, volevamo ghermire, appena nell'aria, il rombo dei motori
della colonna, allora che sarebbe spuntata di lontano.
± Senza casa ± aggiungeva Schembri ± senza scuole, senza ambulatorii,
senza nemmeno la chiesa.
Riflettevo su queste parole. Anch'io avevo agitato le stesse idee dentro di
me. La conclusione venne facilmente ovvia.
± Senti ± gli dissi ± perche non proponi al comitato nazionale maltese di
impiegare, ma subito, le offerte raccolte, che sono cosõÁ cospicue, nella immediata
costruzione a Malta di prefabbricati per esclusivo uso sociale? CosõÁ ci saranno
molti paesi i piuÁ colpiti, naturalmente che disporranno subito della scuola, dell'ambulatorio, della sede municipale, dell'ufficio di collocamento al lavoro.
± SõÁ, si puoÁ fare, annuõÁ subito Schembri.
E, in realtaÁ, fu fatto. A tempo di primato. Nemmeno dieci giorni, giaÁ nel
porto di Napoli la «Staffetta Ligure» e il «Malta Express» sbarcavano i primi
prefabbricati, dono del popolo di Malta. Tutti in acciaio, coibentati, completi
di servizi igienici, di impianto elettrico, di aeratori.
Ora bisognava sistemarli nei Comuni pescelti. Non ricordare la viva,
preziosa collaborazione del Comandante il Centro Logistico della Regione
Militare Col. Puoti dei suoi piuÁ diretti collaboratori Ten. Col. Casella e Cap.
Serafini?
Queste case, anche se provvisorie, dislocate nei centri maggiormente
colpiti della Campania e della Basilicata, hanno rappresentato un primo passo
verso la normalizzazione dei servizi sociali, cosõÁ come attestano le numerose
lettere di AutoritaÁ e di Sindaci riportate su altre pagine di questo giornale.
Dono del Popolo di Malta: eÁ scritto sulla porta di ciascuna di queste case.
Poche parole che il sole di marzo ha giaÁ reso sbiadite ma che ricordano lo
slancio di solidarietaÁ e di amore di un popolo amico.
Attestano, queste case, (ne vi sarebbe stato bisogno, forse, delle pur brevi
scritte) il gesto di amore di un piccolo, grande popolo.
Grazie, amico popolo di Malta. Anzi: Grazzi, ghaziz poplu ta' Malta!
Gennaio-Aprile 1981
158
CRONACHE DEL DOPO SISMA
UN BRAVO AL BATTAGLIONE «TIMAVO»!
Non posso giurare, oggi, a distanza di tanti anni che quella tavola a colori
fosse firmata da Achille Beltrame. L'illustratore della «Domenica del Corriere», l'autore di quella copertina a colori del 1908, probabilmente era lui.
Il giornale, che insieme ad una collezione in veritaÁ un tantino scompaginata
della «Scena Illustrata», era con tanti altri contenuto in una vecchia scansia,
era stato una golosa lettura dei miei anni infantili. Quando la televisione
ancora non ci portava in casa ± neÁ questa meraviglia era allora prevedibile ±
l'immagine nei suoi colori degli avvenimenti di tutto il mondo, la Domenica
del Corriere, con le sue vive e fiammanti copertine, almeno di quello piuÁ
importante ci dava un resoconto grafico, qualcosa molto approssimata al vero.
CosõÁ come veri erano quei soldatini, con in capo il chepõÁ e con la giubba e
le uose di tela, arrampicati su cumuli di macerie, a relitti di tetti, con gli
embrici sconvolti, con in mano il badile o il piccone. SõÁ, il terremoto di
Messina del 1908. E i soldati, la protezione civile di allora (ma chi puoÁ dire
che ci sia stata oggi?) i soldati del genio inviati a scavare macerie, recuperare
feriti, rintracciare dispersi, raccogliere i morti. CosõÁ come vero fu l'impegno,
allora, di quella truppa che, nella pagina a colori della «Domenica», esibiva un
viso ancora implume salvo per alcuni, adorno, nello stile della epoca, di solennissimi baffi ad uncino.
Avere immaginato che cessata la meraviglia dell'infanzia con tanto e non
piuÁ distaccato dolore avrei ritrovato questi soldati (ma fatti di carne ed ossa,
stavolta, e non piuÁ con il chepõÁ ma con la bustina, e non piuÁ con la divisa da
fatica di grossa tela grigia ma vestiti in panno kaki) nella mia stessa cittaÁ.
Anch'essi con badile e piccone, a sconvolgere e muovere le macerie, al silenzioso e tragico appuntamento con i trecento morti del 23 novembre dell'anno
scorso, i soldatini del genio del Battaglione Timavo che sabato 28 giugno si
sono congedati da Laviano, per rientrare alla loro sede, a Caserta, dopo sette
mesi trascorsi tra le case sventrate, le strade dissolte, tra il tragico scenario dei
palazzi ridotti soltanto a una quinta, la facciata ancora in piedi, e gli usci e le
finestre e i balconi che dietro, anziche le case e gli uomini (e tutto l'insieme di
159
calore e di vita e di gioia ehe sono racchiusi nello involucro delle pareti
domestiche) hanno soltanto il nulla, occhi aperti e vuoti, ciechi alla memoria
della felicitaÁ perduta.
Grazie, cari soldati del Battaglione Timavo!
Per sette mesi avete fatto il campo nella mia Laviano.
Altra memoria dell'infanzia il campo al «canalicchio» del 231ë Reggimento di fanteria negli anni '30.
Giungevano in luglio, a sera, dalla scorciatoia del «Mulino» i fanti in fila
per tre, ben allineati, con zaino, giberne e fucile '91; giaÁ da lontano si udiva
l'eco di un coro che sempre piuÁ si avvicinava a noi; cantavano i fanti, madidi di
sudore e stanchi «Campagnola bella» preceduti dalla fanfara del Reggimento e
dal Generale sul cavallo bianco. Nel castagneto di mio nonno, ben ripulito,
centinaia di tende e vicino al «canale» che sgorgava acqua freschissima per i
450 soldati del battaglione assetato, il capanno del rancio. Allora il mio paese
era vivo. E viva e lieta si risvegliava la mattina insieme con la tromba del
Reggimento. Stava per levarsi il sole e giaÁ all'ingresso della cittaÁ sentivi il
cigolare delle ruote della carretta da battaglione. Un gran diavolo di mulo,
nero come il carbone, avanzava di buon passo tra le stanghe e accanto a lui,
con passo egualmente fiero il sergente della spesa viveri. Questi due suoni, lo
stridio delle ruote della carretta e l'eco marziale dei passi del furiere accompagnarono piuÁ di una estate il mio insolitamente alacre risveglio.
Questo campo d'inverno del battaglione Timavo eÁ stato dovuto invece,
questa volta, alla sofferenza e al dolore. Oggi sono partiti. In questi mesi
hanno contribuito a ridare un volto alla cittaÁ, a cancellare, a rattoppare, dove
eÁ stato possibile, i guasti e le lacerazioni del terremoto.
La partenza ha coinciso con la Festa dell'Arma. EÁ venuto da Napoli il
generale Cini, comandante del Genio del Comiliter. In questo giorno in tutte
le caserme del Genio, in Italia, la festa eÁ stata egualmente celebrata. Come
tutte le feste militari ci saranno stati, immancabili, un generale per parte, la
sfilata in parata, il rancio speciale, il permesso teatrale (usa ancora?). Ma la
festa di qui ha avuto un suo significato particolare. Qui, in questo paese
diroccato, bombardato dal terremoto, qui nella terra che custodisce trecento
croci, tutte con la stessa data del 23 novembre 1980, anno del Signore (ma,
perche o Signore, questa inesorabile ed incongrua punizione, per quali peccati
non commessi?) in questo paese dove i soldatini della Timavo (come i loro
antichissimi, ormai, predecessori del 1908 a Messina) hanno lavorato e scavato
e sudato, spinti dalla pietaÁ e dall'amore, tutti, quanti sono stati, nostri amici,
nostri compagni, nostri fratelli, in questa cittaÁ che non li dimentica, d'ora in
poi anch'essi suoi figli, nel segno dell'amore e del dolore, qui la festa ha
assunto nel riconoscimento del dovere compiuto, la sua piuÁ alta esaltazione.
Dimenticare ± possibile? ± quella prima settimana che seguõÁ il tragico 23
160
novembre? Dimenticare quel gruppo di soldati della Timavo, chini nel vuoto
di una casa schiacciata al suolo, avvolgere in un telo quanto era rimasto (di
carne ed ossa e vestiti, ormai a brandelli, pure acquistati o cuciti da una madre
con tanto amore) di una delle vittime piuÁ giovani del terremoto (ripugna dire
bambino), dimenticare la fiera pietaÁ stampata su quei visi, quando nella
piazza, sul bordo del marciapiede, dinanzi alla fila delle bare allineate, piano,
con attenzione, con gentile tenerezza, calarono, in una delle piuÁ piccine, quel
piccolo; lieve ed inerte, fagotto scuro?
Maggio-Luglio 1981
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DUE ANNI DOPO
Prima di essere depennato, ci sembra con scarsa gratitudine, dall'elenco
dei ministri del recentissimo governo Fanfani, l'on. Zamberletti ha fatto appena in tempo a presentare, qui a Napoli, un servizio televisivo ed un volume
di documentazione fotografica. Il titolo: «Dopo», ripetuto in cinque lingue.
Il «dopo» di Zamberletti ha voluto essere la testimonianza di quanto eÁ
stato fatto per le popolazioni colpite dal terremoto. Una lunga, a volte monotona, enumerazione degli insediamenti, mostrati nella loro realtaÁ provvisoria:
fila ben ordinate di tetti rossi o neri sulla cima di altrettante casette. Immancabile nello sfondo la varia opera di traforo che il terremoto ha compiuto nei
paesi colpiti. Sono archi sostenuti da esili colonne, da muri e barbacani, di
pretta architettura militare, tutto quanto rimane di antiche, nobili tradizioni
espresse dall'arte di antichi capomastri che traevano dalla pietra viva, ed
esponevano al cielo, l'anima e il sentimento di borghi e cittaÁ che avevano
tratto i natali dalle antiche stirpi italiche, o dai sopravvenuti gentili greci o
dai fieri romani. Ognuno di questi luoghi aveva acquistato una sua connotazione, una sua particolare fisionomia. Ora, ai piedi di queste macerie dirute,
che compaiono come fondali di scenari spettrali, fanno spicco, in primo piano,
i monoblocchi in legno che si rassomigliano tutti. La stessa bizzarra architettura, ora, fatta di buchi, di fori, di vuoti: cancellato o ridotto ad un unico
comune modo, tutto quanto era prima particolare e differenziato.
Il «dopo» di Zamberletti (e che ora saraÁ di Fortuna) si eÁ espresso con il
legno e la plastica. Era il suo compito, lo ha assolto al meglio delle sue possibilitaÁ; e giusto in tempo, prima di essere dimesso da ministro, lo ha documentato sia per la stampa che per la televisione.
Ma c'eÁ un'altro «dopo», piuÁ pressante e pregnante, ed eÁ quello che esiste in
ciascuno di noi. Di tutti noi che abbiamo sofferto, nel crollo totale dei nostri
paesi, la perdita di persone care, delle nostre case, dei nostri ricordi e delle
nostre memorie.
Agitavo questi pensieri mentre, due anni dopo quel 23 novembre, mi recavo ± come tanti altri ± laÁ ove ricordanze ed affetti affiorano in un impeto di
struggente nostalgia e ti squarciano il petto e ti fanno rigare sul volto lacrime
162
amare. Correvo verso quel lembo di terra, astratta e indefinibile, nel cuore
dell'alto Sele: ecco Calabritto, Caposele, Materdomini, Valva, Colliano; ecco
in lontananza Santomenna e Castelnuovo; ecco, infine, Laviano.
Monasteri diruti, o caverne dell'antica Cappadocia, questi paesi! Ma tutti
aventi poco piuÁ in giuÁ, a valle, i propri nuovi insediamenti. Tutti cosõÁ lindi ed
ordinati, cosõÁ geometricamente squadrati, ognuna una piccola Brasilia o una
nuova Parigi appena uscita dai disegni del barone Haussmann.
Strade ben bitumate e ben illuminate, aiuole, parchi da gioco per bambini, giardini di infanzia, scuole, biblioteche, bar, pizzerie, supermarket, centri sportivi, tutti dello stesso legno dei prefabbricati. Dei tanti prefabbricati
da due, tre, quattro camere, tutti dal tetto ben catramato e senza piuÁ una
tegola, un embrice, prefabbricati che profumano ancora di resina e di vernice,
tutti coibentati e forniti di doccia, della mezza vasca, della stufetta a legno.
Sono entrato in molte case. Ed ho sentito dentro di me cioÁ che sente tutta
questa gente al di laÁ di ogni comfort: un qualcosa che ad essa eÁ venuto a mancare.
Qualcosa di irripetibile, nato e cresciuto dentro di noi, il fondamento di una
nostra cultura, che potrebbe anche essere definita tribale se non fosse la ereditaÁ
di modi di pensare, abitudini e costumi antichissimi. Tutto ora eÁ ricoperto dalla
cenere e dal pulviscolo delle case crollate. E noi stessi corriamo il rischio di
esserne ricoperti ed abbandonarci ad una cauta, rassegnata pietaÁ di noi stessi.
Quella fierezza, quell'ansia di rifare, che furono il pegno dei primi giorni
sembrano ora appannate.
EÁ stato facile (o relativamente facile) costruire cittaÁ e villaggi di legno, di
lamiera e di plastica. EÁ materia inerte e, oseremmo dire, vile. Si inchioda, si
salda, si avvita: ecco, d'un fiato, tutto eÁ pronto. Una mano di vernice e non
occorreraÁ piuÁ altro. Ma rifarci dentro tutto quanto avevamo di memoria e
cultura (cosõÁ astratte e pur cosõÁ inesorabilmente legate alle vecchie, care pietre)
eÁ di gran lunga piuÁ difficile. Rifarci dentro la nostra casa, i nostri morti, il nostro
paese com'era, come era stato di quelli che erano venuti prima di noi, come lo
ricordavamo fin dai tempi della nostra infanzia.
Dopo lo sforzo comune, di noi e di altri italiani e di altre genti, per
assicurare il tetto e la continuazione della vita economica e di quella sociale,
quest'altro sforzo deve essere continuato e compiuto. Era stato l'impegno che
ciascuno aveva preso, cui avevano aderito (testimonianza le molle lettere
giunte a questo giornale da ogni parte del mondo) i tanti che, negli anni, erano
stati costretti a emigrare, l'impegno al quale mi richiamravo io stesso il giorno
del secondo anniversario di quel terribile minuto e mezzo, e che ero sicuro
fosse condiviso dai miei concittadini. Questo eÁ il nostro «dopo», certo piuÁ
astratto di quello in legno e cemento che ci ha mostrato Zamberletti, ma non
meno importante e necessario per noi, figli del terremoto.
Aprile-Dicembre 1982
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LACRIME, DOLLARI E PANE AMARO
LA PINTO STORY: UN ESEMPIO DI COME SI RINASCE NEGLI USA
Giudici, ammiragli, politici di successo: l'emigrazione italiana ha conquistato la leadership
nei settori piuÁ importanti del paese, divenendone la nuova frontiera.
«Giulia, mia figlia, ha dato alla luce tre bambini; il primo porta il nome di
mio padre: Antonio Pinto...». CosõÁ mi scriveva negli scorsi giorni da Belleville
(New York) Diodato, meglio conosciuto come Tittino, Pinto. La notizia ha
acceso subito la lampada della mia memoria sino a ricondurmi alla mia nascita.
Novembre 1930: alla fonte battesimale dell'Assunta in Laviano, Parroco Don
Arcangelo Giuliani il giovane medico Antonio Pinto, giaÁ promettente neurologo, tergeva le gocce d'acqua santa dalla fronte di un bimbo appena nato, al
quale veniva imposto il nome Michele.
Da quel momento i componenti delle nostre due famiglie divennero «compari» e non c'era saluto senza tale appellativo: un rito di fede si traduceva per
tre generazioni in un legame di reciproco affetto. Ne posso dimenticare il dono
che il compare volle farmi al mio battesimo: una scatola rossa, foderata di raso
giallo, custodiva all'interno, ben incastrata, una posata di argento con un
campanello sferico anch'esso d'argento legato ad un cerchio d'avorio col quale
il bimbo avrebbe dovuto piuÁ avanti giocherellare.
La visita del Federale
Ma cioÁ non avvenne perche mia madre depose quel piccolo «trofeo» sul
piano inferiore della «cristalliera», adagiandolo su una pila di piatti «buoni»
che venivano usati soltanto in rare importanti occasioni (come quando, ad
esempio, mio padre, PodestaÁ, riceveva a pranzo, a casa nostra, il Federale in
visita alla «Casa del Fascio» di Laviano ed al tavolo era assiso, ovviamente in
primis ed in camicia nera il compare Pinto mentre io, in uniforme da «balilla
perfetto», pronto (e preparato) a recitare su di una sedia la poesia «PapaÁ
soldato». E quel trofeo, dal raso sbiadito, eÁ rimasto per 50 anni sempre al suo
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posto, con il carico dei suoi ricordi, fino alla sera del 23 novembre 1980
allorquando la cristalliera con tutta la mia casa e l'intero mio Paese crollarono
nel soffio della potente scossa sismica.
Fa luce forte la lampada della memoria: la famiglia Pinto (probabilmente
discendente del Gran Maestro Emanuel Pinto che governoÁ Malta alla fine del
1700) e la famiglia Foselli ± i due ceppi di Tittino ± erano le uniche blasonate
di Laviano. Erano proprietarie di grossi latifondi tra cui: la prima del castello
medievale, la seconda ± che aveva annoverato nei primi anni del '900 un
Primo Presidente della Corte di Appello qui a Napoli ± di altro turrito palazzetto. Quando, bambini, Tittino e il fratello maggiore Michelangelo ± i due
soli figli del mio compare Pinto ± uscivano a passeggio, ben curati, su eleganti
carrozzine, sospinte dal fedele servo Pasquale (in giacca grigio-bianco-rigata,
dalla voce afana, anche compunto sacrestano della Chiesa dell'Assunta) la
gente compiaciuta faceva largo ai «signorini».
La loro nonna, Donna Amalia, non usciva quasi mai dall'avito «Palazzo
Pinto» ove mi accoglieva con i suoi deliziosi cannoli. Accanto al grosso focolare un incavo blindato custodiva grossi mazzi di grandi chiavi che consentivano l'accesso ai magazzini ed ai granai (ormai vuoti) allogati al piano terra del
palazzo, e mazzi di chiavi piuÁ piccole che aprivano le porte interne e gli
innumerevoli cassettoni e cassonetti disseminati al piano nobile. Una fuga di
camere tappezzate di stoffa scolorita dalle cui pareti pendevano ritratti ad olio
di antenati, nelle quali, decenni prima, si era sicuramente respirata la stessa
aria di casa nel palazzotto, a Lubecca, de «I Buddenbrook» di Thomas Mann.
Da questa fuga di camere Ella, Donna Amalia, novella «Signora Gerda»,
fasciata da un lungo vestito nero ± una spilla d'oro ne serrava l'alto collare
di velluto ± si allontanava solo raramente; probabilmente per incontrare qualche legale a Salerno od a Napoli nel tentativo di frenare il dissesto economico
nel quale era precipitato il suo casato. GiaÁ anni prima, per non pagare l'imposta sul patrimonio, il castello medievale era stato scoperchiato; ne ricordo,
ancora negli anni '30 i fossati, dai quali esso era circondato, le torri, i resti
fatiscenti del grande portale in legno, l'ampia «corte» sulla quale d'estate si
andava a giocare a bocce, la fila interminabile di cunicoli sotterranei e il
teatro, la chiesa, il municipio, il carcere dalle grate di ferro divelte, e le tante
camere, ormai a cielo aperto, che ancora recavano tracce di fiori e di ghirlande
affrescati sulle pareti e tutto forzatamente abbandonato all'incuria del tempo.
Scomparsa Donna Amalia, subentrata la seconda guerra, anche il palazzo
avito venne sgomberato, frazionato e svenduto. Il mio compare, in piena
maturitaÁ, costretto a reindossare la divisa di ufficiale medico, andoÁ a dirigere
l'Ospedale Militare di Verona nel quale concluse anzitempo, nel 1949, l'ultima
stagione della sua amara vita. Michelangelo e Tittino con la loro dolcissima e
santa madre rimasero ancora piuÁ soli e piuÁ tristi nel di lei palazzetto Foselli.
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Una Madonna dal seno scoperto
Anche in questo una fuga di camere piccole e buie al primo piano nelle
quali anni prima, ragazzi, giocavamo a nascondiglio (sempre evitando, io,
quella ove si ergeva rischiarata da una fioca luce rossa, in un alto scarabattolo
bianco dorato, una grande statua lignea di una Madonna da un seno scoperto
che, per siffatta rappresentazione, mi diceva la comara Mena, non poteÁ essere
trasferita in Chiesa). Al palazzetto si accedeva attraverso una rampa di scale
scoperta; dalla prima sala si poteva immettere su un orticello recintato che si
affacciava a strapiombo sulle «ripe». Non c'era gioco a «cucuÁ» senza che
avessimo, a gara, fatto rotolare dalla cinta del muro qualche grossa pietra per
ascoltarne, in silenzio, l'eco del tonfo che rimbombava laggiuÁ, dalla stretta
gola, appena il macigno aveva raggiunto le pozze d'acqua del ruscello.
Michelangelo, conseguita la maturitaÁ classica, si era bloccato. Non l'UniversitaÁ cercava ma disperatamente un lavoro. Ne capivo le umane ragioni e ne
soffrivo terribilmente per l'amaro destino che continuava, impietoso, ad abbattersi sulla cara famiglia del mio compare. Riuscii a trovargli un lavoro
presso i bacini di Castellammare di Stabia. Ma appena il Presidente dei cantieri, mio buon amico, venne sostituito per avvicendamento politico, il suo
successore, puntualmente, licenzioÁ Michelangelo per sostituirlo, nel posto, con
un suo protetto.
Lo sceriffo del Connecticut
A quel punto, Iddio volle che i Pinto si ricordassero di un loro caro antico
amico di famiglia, Giovanni Gramigna, Sceriffo della Contea di Shelfied (Connecticut), per cui l'ultima aÁncora rimaneva l'emigrazione negli Stati Uniti.
Fu cosõÁ che in un freddo mattino del 1960 dalla banchina superiore della
Stazione Marittima di Napoli, sventolavo un fazzoletto bianco per rispondere
al saluto che il caro Tittino rivolgeva a me, a sua madre ed a mia moglie,
anch'egli innalzando un fazzoletto affacciato tra una calca di emigranti, da un
ponte del «Saturnia» mentre la nave lentamente si allontanava per «una terra
assai lontana» ed un singhiozzo ci stringeva fortemente in gola.
Nel 1966 Tittino viene raggiunto dalla madre; ad essi, stabilitisi a Belleville (New Jersey), si ricongiunge nel 1970 anche Michelangelo che, indossata la tuta di operaio, trova lavoro in una fabbrica di aeroplani.
Nell'agosto del '73, trovandomi negli Stati Uniti avvertii il bisogno di
andare a riabbracciare una rinata famiglia. Michelangelo e Tittino mi accompagnarono, peroÁ, su una collina, innanzi ad una piccola lastra di marmo con su
inciso il nome della loro genitrice, scomparsa qualche mese prima, a conclusione di una vita che nell'intero suo arco riservoÁ ad essa soltanto delusioni,
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amarezze e sofferenze. Le stesse che toccarono a Michelangelo, il mio caro
compagno di giochi, di ginnasio e di liceo che giaÁ da giovane fu malfermo in
salute e di poi, in etaÁ adulta, scapolo e solo, colpito da grave malattia, chiudeva
anch'egli la sua infelice esistenza in una disadorna piccola casa in affitto, alla
periferia di Belleville.
Torno in USA nell'ottobre 1987 e a New York venne ad incontrarmi
Tittino. Mi dice che il destino sembra finalmente voltare pagina nel libro della
sua famiglia: felicemente sposato ad una brava giovane, figlia anch'essa di
emigrati, aveva due figlie: Giulia e Consuela giaÁ molto bene avviate negli
studi. Ne gioisco. Mentre assaporiamo un «hot dog» al centodecimo piano
dell'«Empire State Building» gli dico: devi sapere, caro Tittino, che questa
America per una ineludibile legge di nemesi storica, restituisce benessere e
prestigio alle future generazioni di quegli emigranti, specie italiani, che concorsero, con sudore e lacrime, a renderla oggi grande e potente.
Partono i bastimenti
Mio nonno ± gli ricordavo ± dopo aver suonato negli anni '10 il contrabasso a bordo del conte Biancamano sulle note di E.A. Mario («Partono 'e
bastimente p'eÁ terre assaje luntane cantano a buordo e so' napulitane»), divenne, poi, maestro dell'orchestrina di bordo del maestoso Rex, il piuÁ grande e
lussuoso transatlantico di tutti i tempi.
Mio nonno, infatti, portoÁ con la moglie tutti i suoi figli (cinque femmine e
due maschi; tranne l'ottavo, mio padre, giusto in tempo per essere stato
chiamato alle armi nel conflitto della guerra 15-18); erano gli anni delle crudeli
partenze e degli amari sbarchi ad «Ellis Island» e furono, per tutti, in principio, lacrime, dollari e pane amaro come nella canzone di Libero Bovio.
PeroÁ, gran parte dei miei cugini ± gli aggiungevo ± fanno parte, oggi, della
nuova frontiera di quell'America che porta alto il nome del natio Paese dei
loro avi: mio cugino Samy Coppola ± figlio di zia Severina, sorella di mio padre
± eÁ cattedratico nonche presidente della Associazione Dentistica dello Stato di
New York; un altro, Louis Colucciello ± figlio di Zia Adelina ± eÁ Ammiraglio
guardiacosta della Flotta USA; ancora un altro congiunto, Felix Aulisi, ha
presieduto la Corte Suprema Criminale dello stato di New York, dopo essere
stato Presidente del Tribunale Alleato, proprio a Napoli in Castelcapuano,
durante la breve occupazione delle forze Alleate, e cosõÁ una miriade di altri
parenti prossimi od acquisiti. Sii paziente anche tu, caro Tittino ± conclusi ± e
vedrai che dalle lacrime e dalle sofferenze di tua madre, di tuo fratello e tue
scaturiranno, a breve ed a pieno merito, sicuri allori e maggiori agiatezze.
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Merry Christmas
15 dicembre '97: «Merry Christmas, Caro Michele! Mia figlia Giulia, ± mi
scrive Tittino ± ricercatrice presso il «Cancer Institute di Boston», moglie di
un affermato avvocato, associato ad uno dei primi studi di Washington ha
dato alla luce tre bimbi, il primo porta il nome di Antonio-Pinto ed il cognome
del padre, Fryer; Consuela, la seconda, sposata recentemente ad un Ordinario
dell'UniversitaÁ di New York, esercita l'attivitaÁ forense nel settore del diritto
del lavoro».
28 dicembre '97: rientro a casa e raccolgo dalla registrazione della segreteria telefonica una voce «Michele, sono Tittino, non hai ricevuto la mia lettera
con la foto dei tre gemelli?» Ma sõÁ che l'ho ricevuta, caro Tittino, e saroÁ felice di
pubblicarla sul prossimo numero del mio Maltanapoli ± un filo diretto, piuÁ che
un giornale, che da 28 anni mi lega, invisibilmente ad una moltitudine di amici
± per far conoscere che i Tuoi nipoti, oltre a rappresentare la terza generazione
di Colui che mi tenne a battesimo sono proiettati ad infoltire lo stuolo dei figli
degli emigranti che dall'America fanno grande l'Italia. A te, grato, rispondo
con questo scritto intingendo la penna nell'inchiostro del mio piuÁ avvertito
amarcord.
E tornando indietro con la memoria, a conferma di quanto ti profetizzavo
all'ultimo piano del piuÁ alto «skyscraper» che si affaccia sul Central Park di
Manhattan, vorrei ricordarti che oggi New York ha un sindaco eccezionale
nella persona di Rudolf Giuliani, come in passato lo fu, nella stessa grande
metropoli, Fiorello La Guardia; Ambasciatore USA a Roma eÁ da pochi giorni
Thomas Foglietta, succeduto a Reginald Bartholomew e questi a Peter Secchia
(con i quali due ultimi mi sono personalmente compiaciuto, incontrandoli al
Consolato USA di Napoli) e poi Cuomo insuperabile Governatore dello Stato
di New York e Lee Jacocca, Presidente della Chrysleir e tanti altri che hanno
onorato ed onorano l'Italia. Tutti i loro nonni sicuramente varcarono l'Oceano
con mio nonno, a bordo del conte Biancamano o del Conte Verde o di qualche
altro vecchio «bastimento».
Ciao, caro Tittino, con l'augurio che anche Anthony Pinto, Erich e Jon
Fryer, i tre gemelli appena nati, tuoi nipoti, possano portare ben alto, e fieri
del loro sangue, il nome della Patria dei loro avi.
Dicembre 1997
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I VIAGGI
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RESOCONTO SENTIMENTALE DI UN VIAGGIO IN U.S.A.
NAPOLI, PRIMO AMORE!
I vecchi italiani d'America sono ancora napoletani ± Ma i loro figli e nipoti sono completamente «integrati» e seguono scrupolosamente l'«american way of life» ± Una tipica
casa di campagna ± Si consuma di nostalgia il pizzaiuolo di Casavatore, sbarcato nella
Little Italy.
L'America: dovrebbe annunciarsi cosõÁ: un aroma intenso di noccioline
tostate e la fragranza del gin nei Martini cocktails che soddisfatti uomini
d'affari bevono, brindando alla felice conclusione di un grosso contratto. Li
immaginiamo cosõÁ, questi americani. Lieti e contenti. Laboriosi e sconosciuti,
scrisse Luciano Zuccoli in un dimenticato romanzo. Sono stato in America per
conoscerne un poco, per riscontrare da questa vecchia scettica Europa il cordiale ottimismo del nuovo mondo. Quindici giorni in contatto con gli abitanti
del pianeta America e, a riscontro, quelli che vi sono arrivati, dalle nostre
parti, decenni or sono.
Erano stati incantati dai posters di metallo con quattro fumaioli che la
Navigazione Generale Italiana aveva affisso nei paesi del Mezzogiorno, sull'uscio dei tabaccai e degli uffici postali. La direzione dello sperone d'acciaio
della nave, che levava grandi e immobili baffi di spuma, proprio quella: gli
States. Ma la lusinga piuÁ efficace era certo stata quella delle registrate, prelevate
all'ufficio postale del paese (spesso l'ufficiale postale era il rappresentante
della compagnia di navigazione) e che, aperte, lasciavano uscire sottili e scrocchianti bigliettini azzurri: Good morning, dollar! Giungevano a New York,
ammassati nei sacchi i pochi averi, dopo aver venduto la terra e la casa,
bruciati i vascelli alle spalle. Quante mamme Lucia nelle case di Brooklin,
negli ultimi piani della Mulberry Street. Affondavano la nostalgia nella salsa
di pomodoro degli spaghetti, risparmiavano un quarter dopo l'altro. I figli ora
sono giudici, avvocati, imprenditori. Sono anche loro americani: bevono cocktails, anzi high balls, prendono la elevated e la subway, mangiano hamburgers,
dicono Hello!
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Magic moments
Eccomi ora di ritorno. Sono sulla «normale» del ponte Belvedere per non
perdermi il magic moment dell'attraversamento del ponte «Giovanni da Verrazzano». Un monumento di opera ardimentosa che dieci anni fa New York ha
dedicato al grande navigatore italiano. La «Raffaello» da circa due ore, protesa
verso l'Atlantico per ricondurci a Napoli, scivola lentamente, a non piuÁ di
dieci nodi, sulla baia di Hudson. La grande metropoli, l'enorme porto dai 110
piers (le nostre ammiraglie attraccano quasi sempre all'86a banchina), la celebre giunonica statua della libertaÁ, l'Ellis Island e persino i due nuovi Skyscrapers ± che, mi dicono, superano l'altezza dell'Empire State Bulding ± sono
ormai dietro di noi, inghiottiti dalla leggera foschia che da giorni ammanta la
City. A destra, invece, ancora State Island, a sinistra Brooklin. Ma la mia
attenzione eÁ lassuÁ, su quel serpente di acciaio che a mezzo miglio da noi si libra
nel cielo sino a congiungere il polo di Long Island a quello di Brooklin e sotto il
quale slittano, incredibilmente mastodontici, i transatlantici. Piccole meteore
sembrano saettare da un capo all'altro del gigantesco ponte; sono i riflessi
solari dei vetri dei cars e dei trucks che sfrecciano, in triplice corsia, sui due
piani del big-bridge. Ancora cento metri. Il comandante De Visentini, con
sicura collaudata manovra, si accinge ad intersecare con millimetrica precisione il centro della immensa capriata: questione di secondi e la «formagetta»,
posta lassuÁ sull'albero maestro, sembra prima impattare, poi fendere, infine
miracolosamente lambire la travata inferiore del «Da Verrazzano». Il traffico
veicolare si sposta ormai dietro di noi, sempre in vetta, prima in cima alla
poppa e poi sempre piuÁ lontano, sino a confondersi nel groviglio delle travature e dei cavi; eÁ l'ultima emozione riservata a chi lascia, via mare, gli States!
Tante altre essi ne riservano al visitatore. Appena giunto ero stato prelevato con la famiglia ai piedi della «Michelangelo» da un mio parente, Jose
Jannuzzi (che per facilitare il suo intervento professionale era soltanto Jose
Jan); businessman con studio a Rockfeller Center ma con abitazione a Stamford, Connecticut, un piccolo centro a quaranta miglia da New York. Un'ora
circa di auto, sufficiente a svelarmi il volto di quest'America tanto diversa da
quella di Mark Twain in «Innocents Abrood» e tanto simile a quella di Gianfranco Piazzesi nel recentissimo premio estense «La svolta dell'America».
Innanzitutto un verde, un verde intenso dalla vegetazione fittissirna, con
alberi dalle innumerevoli specie, fiancheggia l'autostrada a sei corsie sulla
quale le grandi automobili marciano a non piuÁ di 90 chilometri l'ora. Ai bordi
di questa ± come in tutte le altre che di poi, in Stati diversi, ho potuto solcare
± prati dalla erba rasata, incontaminati dal benche minino rifiuto (e cioÁ sia per
i 50 dollari che il contravventore eÁ costretto a pagare, sia per la campagna che
Lady Johnson, moglie del Presidente Lindon, intraprese per una «America
172
pulita»), separano il piano stradale dai verdi parchi che impreziosiscono, e
nascondono nel loro fitto fogliame, le tipiche casette americane interamente
costruite in legno. Di tanto in tanto piccole colline degradanti su cui imperversano, in lunghe gimcane, ragazzi amanti del motocross o sciamano numerose
frotte di fans del golf che «chiudono» i loro set solo al calar del sole. E poi
fiumi, lunghissimi e navigabili, attraversati da ponti giganteschi, e laghi immensi sempre circondati dalla piuÁ fitta vegetazione, sui quali gli americani
hanno modellato la loro vita.
Un quadro suggestivo propongono, a sera, all'inconsueto visitatore questi
ampi corsi d'acqua: doppie lunghe teorie di motoscafi e di battelli, fantasiosamente addobbati e illuminati, lentamente riadducono a casa, a conclusione
dei loro week-end, gli americani stanchi dello sci nautico intensamente praticato.
Un'emigrante degli anni '10
Giungiamo a Stamford. Un villaggio di trentamila abitanti costituito da
un immenso parco di alberi secolari. Al numero 41 di Lourghram Ave, sul
prato antistante una linda casetta-villino una vecchietta ci viene incontro a
piccoli e lenti passetti; mi serra in un lungo abbraccio mentre le sue gote sono
bagnate di lacrime: eÁ zia Carmela, sorella di mia nonna, mai conosciuta prima,
da 75 anni in terra americana: una delle tante giovani emigranti sbarcate agli
albori del secolo a Long Island, dopo trenta giorni di navigazione sul «Conte
Biancamano», oggi madre di un ingegnere e di un professore universitario,
nonna molte volte, da poco anche bisnonna, donna insomma che ha dato una
qualificata cittadinanza americana a quattro generazioni. Entriamo in casa.
Per la prima volta in una casa americana, che eÁ il prototipo della american
house e che non si differenzieraÁ dalle altre che ci accoglieranno nel New Jersey
o nel Maryland o in Pennsylvania. Sobrie all'esterno, interamente in legno,
hanno un piano terra ± solitamente costituito da cucina, ampio soggiorno e
servizi ± un piano superiore adibito a camera da letto; un piano interrato
chiamato cellar adibito a cantinola. I vani sono tutti arredati sobriamente; i
mobili si riducono all'indispensabile; l'aria condizionata eÁ limitata solitamente
alla camera da letto e a quella da pranzo. In corrispondenza della cucina, un
corpo avanzato, sempre in legno, che d'estate viene adibito a sala da pranzo;
arieggiato dai tre lati attraverso vetrate a coltello e munite, come tutte le
finestre e sinanche la porta d'ingresso, di zanzariere.
Attraverso questo «grillage» si esce nella parte postica della casa, costituita da un prato che, quando non lambisce il river od il lake, accoglie una
confortevole piscina, solitamente di plastica e non sempre interrata. Attaccato
alla casa, o da qualche metro separato, v'eÁ il garage ± la cui porta viene
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solitamente aperta da un pulsante azionato dall'interno della auto ± dove, oltre
alle grosse autovetture, fa bella pompa, sulle pareti e sui banchi di lavoro, un
vasto ed ordinato assortimento di ferri e di attrezzi che il nostro migliore
falegname o fabbro sognerebbe di avere nella sua pur rispettabile bottega. EÁ
con questo armamentario che il padrone di casa, quasi sempre aiutato dai figli
maggiori, riempie il suo week end nel costruire scale, riparare mobili, allungare
la banchina che si protende nel fiume, portare la luce nelle tende da campo
dove dormono nei sacchi a pelo i figli piuÁ piccoli con gli immancabili «bassotti», revisionare gli infissi e le tegole di legno che da se ritinge prima dei
rigori invernali. Dietro al garage la Yarda: un piccolo orto che, annualmente,
dopo il rigido inverno viene pazientemente ricostruito; dove una messe di
pomodori (dalle «sammarzano» alle «fiaschette»), di fagiolini, insalate, cipolle,
agli, unitamente ai prodotti dei vari alberi da frutta (ciliegi, pesche, mele,
pere, fichi) disseminati oltre il limite della yarda ed al vino prodotto dalle viti
nane, costituiscono, spesso, motivo di dispute spassose e malcelata invidia nel
vicinato o nel parentado per la bellezza, l'abbondanza o la varietaÁ del prodotto.
Cani e gatti
Gli animali, poi, sia domestici che selvatici rendono ancora piuÁ suggestivo
l'habitat. I cani (bassotti o levrieri o chihuahua) sempre delle migliori razze
(non un bastardo mi eÁ toccato di vedere!) sono, per i padroni di casa, i «figli»
piuÁ coccolati e, per i ragazzi, i «fratellini» piuÁ inseparabili. (La misura della
presenza ed importanza del cane nella famiglia americana eÁ data dalla reclamizzazione televisiva dei loro prodotti alimentari: le mie orecchie sono ancora
assordate dagli slogans tipo «an active dog is a healthy dog» ed ancora i miei
occhi ritengono la ossessiva immagine delle «dog play things». Di pulizia ed
igiene ineccepibili, non di rado incipriati e profumati, essi sono frequentemente condotti in apposite «cliniche» (solitanente riservate anche ai gatti, che
sono, rispetto ai dogs in netta minoranza) di cui ogni villaggio eÁ fornito. Ma
non eÁ raro ammirare sul green che porta al fiume bellissime starnazzanti anatre
od oche sempre pronte ad aggredire, con poderose beccate, il gluteo del malcapitato ospite e, pertanto, sempre destinate a riceversi un'altrettanto poderosa legnata (come felicemente stoccai proprio io mentre ad Arnold, in un'amaca troppo bassa per difendermi dal sol leone mi crogiolavo alla ombra di
alcune fronzute querce!) E poi frotte di scoiattoli (che vidi saltellare persino
tra le croci di Arlington, altra verde collina ammantata di alberi maestosi) e
lepri che attraversano, ben visibili specie alla luce dei fari, i viali dei parchi.
A sera, quando l'elevato tasso di umido e le molte zanzare (i soli fattori
negativi dei vicini corsi d'acqua) ci costringono a starcene ben tappati in casa,
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magari con le finestre aperte e le zanzariere ben chiuse, la musica intensa e
ininterrotta delle cicale e il canto del grillo conciliano il sonno profondo
dell'ospite.
SõÁ, l'America eÁ questa. Ma zia Carmela americana non eÁ. GiaÁ lo sono di
piuÁ i suoi figli, ancora maggiormente i suoi nipoti. E gli ultimi della covata,
quelli che l'autorizzano a chiamarsi bisnonna, lo saranno del tutto, con ogni
probabilitaÁ. Completamente integrati. GiaÁ, l'America eÁ un grande crogiolo di
razze dove si sono fusi insieme i primi olandesi di New Amsterdam (poi New
York), gli inglesi pellegrini del Mayflower, gli irlandesi venuti a cercare
scampo dopo ogni rivoluzione fallita, gli ugonotti e gli ebrei, cattolici e protestanti, e pagani che coltivano i loro riti, spesso nascosti. Tutti insieme sotto il
grande ombrello protettore della Dichiarazione di Indipendenza, la Grande
Carta della libertaÁ nata dalla guerra rivoluzionaria, in un paese che eÁ sinceramenie democratico e che lascia vivere tutti i suoi figli in paritaÁ, bianchi, gialli e
neri.
Little Italy
Gli italiani delle nuovissime generazioni sono completamente integrati, e
seguono scrupolosamente l'american way of life. L'antica tradizione eÁ rimasta
nei vecchi e in qualche famiglia di irriducibiIi. Sono concentrati ancora, la
maggioranza; a New York nella Little Italy. Di qui si mosse Petrosino per il
suo ultimo viaggio in Italia, qui sbarcano i cantanti napoletani, sicuri di trovare subito ammiratori tra i tavoli della Pasticceria e Gran CaffeÁ Ferrara, nella
Gran Street, e scritture nel Grande Cinema Teatro Giglio. Qui si compera
l'olio di Puglia e il salame di Secondigliano e la pasta di Torre Annunziata, di
Gragnano e persino di Fara San Martino. Sul frontespizio di un grosso negozio
leggo a caratteri luminosi tipo Broadway «capozzelle e mogliatielli». PiuÁ oltre, a
destra e a sinistra, piccoli bar che reclamizzano «sfogliatelle», «cappuccini» e
«caffeÁ espresso». Accanto alle sontuose vetrine di «Di Palo's» opime di lunghe
pertiche da cui pendono quintali di «Auricchio» e di «Sopressate», ecco protendermisi dalla vetrina contigua un gigantesco Sant'Antonio: eÁ una delle
tante congreghe dove attempati «paesani» alternano al «tressette» o alla
«scopa» fiaschi di «terzigno». Passo, divertito e stupefatto, all'altro lato della
strada, e, dopo dieci metri, ecco pararmisi dinnanzi, quasi sul ciglio della
porta, un imbusto mitrato tutto d'oro: ma sõÁ, eÁ il nostro San Gennaro, anche
qui sempre consenziente. Entro nella confraternita e mi accoglie, giovanilissimo dalla consunta cornice liberty, baffuto e ravviato, non altri che... Sua
MaestaÁ Vittorio Emanuele III! EÁ proprio qui che si imposta, annualmente, la
piuÁ grossa festa rionale al Patrono di Napoli, che vede in «tricolore» tutta la
Little Italy. La nostalgia della patria si alimenta, anch'essa, di fanatismo
175
popolare e di generi alimentari tipicamente nostrani. Come di «panzarotti», di
pizze «margherite» e «marinare» («One dollar, white!» grida il cameriere verso
il forno. Ma se il nuovo avventore italiano, non trascura di rammentare i suoi
dati anagrafici, ulteriori raccomandazioni vengono impartite in dialetto. Che
non eÁ lo slang della Batteria o di Bruccolino ma quel vernacolo basso campano
che eÁ un po' la lingua madre della Little Italy).
CosõÁ, a me e ai miei familiari, nella pizzeria che eÁ di fronte alla Pasticceria
Ferrara, eÁ capitato di essere serviti di tutto punto di enormi pizze, soffici e
fragranti come quelle di Port'Alba. Pizze per raccomandati, pizze per i signori
che sono venuti da Napoli e tornano, beati loro!, a Napoli.
Chi eÁ questo pizzaiuolo (giovane, di poco piuÁ che venticinque anni, che ci
ha assunto sotto la sua benevolenza di tavoleggiante) che ci ha impedito di
pagare il conto, che si affaccia dalla porta della pizzeria per scortarci dentro da
Ferrara e riempirci le braccia di pacchi e pacchetti, doni per noi e doni da far
avere ai suoi a Napoli? Si chiama Michele Pezzella, da Casavatore. EÁ qui solo
da qualche anno, si consuma di nostalgia. Il desiderio di tornare a casa lo
strugge ogni giorno un poco. Anche lui ripete l'ingenua frase retorica: «Salutateme Napule mia, Napule bella!».
Non eÁ diventato americano, ne forse lo vuole. Suo figlio quando saraÁ
chiamato da lui, con la madre, negli States lo diventeraÁ invece ben presto.
Pezzella eÁ soltanto un italiano di America.
Ho parlato solo di loro in questo capitolo, il primo del racconto del mio
viaggio in America. Potremmo intitolarlo, al rovescio del libro famoso di
Soldati, sull'America: «Napoli, primo amore».
Ma l'America e gli americani sono fuori di Little Italy. Ne parleroÁ, col
prossimo numero, continuando questo mio excursus sentimentale.
Settembre-Ottobre 1973
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AMERICANI E NO
A salutare l'amico italiano che parte: il vecchio giudice, le anziane zie, i cugini oramai
«made in USA» ed insieme, vicina e consueta, la folla di ogni giornata americana: studenti,
fumatori di marijuana, reduci del Vietnam, hippies, impiegati col colletto bianco, miseri
negri di Harlem, negre in capelli alla Angela Davis. Il ritratto contraddittorio e polemico di
un grande Paese che ancora non eÁ riuscito a compiere la sua svolta.
Uno sceriffo con il baden powell in testa e le pistole alla cintura. NeÂ
ovviamente manca la stella d'argento affibbiata sul petto. Quattro ore di rail
sul piccolo trenino dell'Amtrak mi hanno trasferito dagli italiani di New York
agli americani di Amsterdam. Gli indiani dove sono? Se ci sono, sono anch'essi
mimetizzati con camicie a fiori e pantaloni jeans. L'unico pellerossa in attivitaÁ
di servizio eÁ quella santa, e martire, indiana, cui eÁ dedicato un santuario sulla
collina di fronte ad Amsterdam, una grande basilica di legno. L'amico che mi
invita a visitarlo aggiunge (come un cronista del settecento riferendo di una
chiesa o del duomo della sua cittaÁ) con opportuno orgoglio: ± Ha cinquantadue
porte!
Ma la curiositaÁ professionale mi impone una scelta. Prima del tempio
della Martire indiana, il tempio della giustizia. EÁ domenica ma il Presidente
Felix Aulisi, Giudice dalla Suprema Corte dello Stato di New York, ha giaÁ
convocato lo sceriffo. Venti minuti di auto e siamo a Fonda, nella Contea di
Montgmery (la giurisdizione territoriale di ogni Stato eÁ divisa in Contee, il
solo Stato di New York ne ha 62). Eccolo, come ho detto, con il suo grande
cappello e la sua cartucciera a mo' di cintura. Questo John Wayne al servizio
della procedura ha le chiavi della Corte. Entro nell'aula. I telefilm di Hollywood non rendono l'idea, con il grigio che ci arriva dal video. GiaÁ la sala, a
ferro di cavallo, eÁ fitta di poltroncine di velluto, vi possono sedere almeno
duecento persone. Le transenne sono di vecchia quercia o di cristallo. L'alta
scranna del giudice non manca del ben noto martelletto. Mentre sfoglio un
libretto con le statistiche dei casi arrivati e evasi (nel 1971-72: arrivati 8648,
giudicati 8619!) un singolare happening si svolge nella sala. EÁ mio figlio Fabrizio, nove anni, che, con la divertita complicitaÁ del giudice Aulisi e un
177
ghigno di acquiescenza dello Sceriffo, eÁ salito sulla scranna per recitare una
pantomima giudiziaria made in USA. Imputata eÁ la sorella, che puntualmente
lo gratifica di: ± Vostro Onore... (i nostri ragazzi, in virtõÁ della RAI TV, e
quindi grazie a Perry Mason, conoscono la procedura americana, ignorando
del tutto quella italiana). Poi la biblioteca: una sala tappezzata di libri. Non eÁ
riservata ai soli addetti ai lavori: anche studenti, pubblico in genere, operai.
Ne dai giudici viene rifiutata, a chi domandi, qualche spiegazione sulle cause
in corso, sui precedenti giuridici, sulle eccezioni, sui fondamenti di diritto.
Una nuova tecnologia della cultura giuridica.
Mi eÁ sempre di guida in questa visita di interesse professionale l'eminente
Magistrato: Felix Aulisi, che fu a Napoli, dopo la liberazione, come giudice di
un tribunale alleato. Sedeva in una aula di Castelcapuano (come diversa allora,
e oggi ancora, da questa dove ora mi trovo con lui) con la bandiera a stelle e
strisce alle spalle, nella divisa della V Armata. Incuteva la dovuta soggezione ai
«correntisti» e «baitisti» che la M.P. sui vicoli della Napoli «off limits» riusciva
a prendere nelle sue grinfie. Ma quando da Napoli, con la stessa divisa kaki,
anche se impolverata dai centoventi chilometri percorsi in jeep, raggiungeva
Laviano, il suo e mio piccolo paese natõÁo (dove mio padre lo tenne a cresima
cinquant'anni fa) era, questa volta, il giaÁ terribile Maggiore, sorridente e
affettuoso verso il ragazzino che io ero; oltre la polvere di piselli e la polvere
d'uovo e le Wien Sausages e i Meat & Vegetables, che solennemente consegnava
a mio padre e a mia madre, egli mi tendeva un personale, riservatissimo
pacchetto con le sbarrette di Mars e di chewing gum e una scatolina di peanuts:
il mio primo contatto con la civiltaÁ americana!
Gli «spazzacamini»
Ma Felix Aulisi non eÁ il solo italo americano di Amsterdam (N.Y.) anche
se eÁ uno dei pochi ad essere insignito di una altissima carica (del resto la sua eÁ
tutta una famiglia di Magistrati: dal fratello Arthur al genero Gene L. Catena). Ve ne sono in questa cittadina, di poco piuÁ che trentamila abitanti, altri
cinquemila, forse piuÁ. Vengono, l'immigrazione si eÁ rinnovata abbastanza di
recente, da una cittadina del cilento ancora piuÁ piccola. Da Pisciotta, che oggi
alla antica tradizione della terra e della pesca cerca di aggiungere, divisa tra il
monte e il mare, una attivitaÁ turistica che sta cominciando a dare i suoi frutti.
Sono piuÁ di cinquemila i «pisciottari» di Amsterdam. Ne incontro due, giaÁ
americani nell'aspetto, con quelle tute blu che gli «americani» dei nostri paesi
del Mezzogiorno riportavano dagli States, al ritorno, sul pezzo di terra acquistato con i sudati dollari dell'emigrazione. Hanno in testa il berretto a visiera
che le fotografie e le attualitaÁ televisive sui marines hanno reso familiare anche
a noi, un berretto verde. Avessero il cappello a cilindro, con le scope e le scale
178
sembrerebbero ± secondo l'antica iconografia romantica quello che sono: due
spazzacamini. EÁ l'altra faccia della Little Italy, meno nota (senza pizze e senza
spaghetti al pomodoro e senza le sfogliatelle del Gran CaffeÁ Ferrara) quella di
una comunitaÁ laboriosa che non si concede il riposo della domenica, consumata
com'eÁ dalla nostalgia, pur di mettere da parte qualche dollaro in piuÁ e ritornare
piuÁ presto alla vecchia casa, per costruirne magari una nuova, piuÁ bella e piuÁ
grande e, ancora e naturalmente, comperare il pezzo di terra. In questi trasmigratori, che hanno rifiutato il vecchio continente per affrontare quello
ancora nuovo, dove ancora dimorano la speranza e il successo, eÁ ancorata
sempre la nostalgia. Per molti l'America eÁ e rimane la spiaggia dove sostare,
uccelli di passo, e di dove riprendere, piuÁ forti, il ritorno a casa. Ed eÁ per
questo che i due spazzacamini «pisciottari» di Amsterdam la domenica e le
altre feste comandate vanno in giro a pulire e riparare camini. Ogni ora di
lavoro, venti dollari. Un passo in piuÁ sulla via di casa.
Non tutti comunque. L'altro «pisciottaro» che incontro sul treno per
Buffalo ha messo radici. I figli sono piccoli ma giaÁ «integrati». Al padre assegnano ogni sera il compito, lo rivedono all'indomani, al ritorno dalla scuola.
EÁ una piccola scuola anche questa che hanno instaurata tra le pareti familiari.
± Brother = fratello, Wife = moglie, Sister = sorella, eccetera. Il nuovo terribile
linguaggio (smozzicato, troncato, artefatto, aspirato) questo americano cosõÁ
ostico alle nostre cadenze meridionali, viene insegnato al padre dai due figli
giaÁ esperti e provveduti dalla loro esperienza scolastica e dal loro piuÁ estroverso contatto con la vita e la societaÁ, anche se infantile, americana. Parto da
Amsterdam, dopo tutto, con il cuore in gola. In questa piccola assolata e
deserta stazioncina di provincia non lascio soltanto l'ormai vecchio giudice
Aulisi che ci saluta agitando a lungo la sua paglietta alla Frank Sinatra neÂ,
piangenti, le zie Adelina, Angelica, Severina, Genovina, sorelle di mio padre,
tutte da oltre sessant'anni in America, ne gli altri commossi congiunti ed
amici, tutti radunati a salutare me e la mia famiglia: una piccola folla, insomma, nella quale faceva spicco anche Gerardo Infante uno dei due pisciottari-spazzacamini. Ad Amsterdam lascio un sentimentale filo di Arianna. Mi
terraÁ legato a personaggi ed oggetti che sono la memoria della mia infanzia, la
sostanza dei racconti delle sere intorno al tavolo familiare, il resoconto delle
lunghe lettere giunte «Air mail» da un continente cosõÁ lontano che la mia
fantasia di fanciullo non riusciva ad immaginare oltre il profilo dei monti che
chiudevano la mia vita, un sogno favoloso. Lascio cioeÁ un cordone ombelicale
che possa ricondurmi, quando lo voglia, a Forbes Street, a East Main Street, a
Chapel Place; laÁ ove, respirando a pieni polmoni l'aria di famiglie ormai
disunite dal tempo ed interamente integrate nella «american way of life»,
scrutando nei vecchi ingialliti album delle loro famiglie od ascoltando, mai
pago, innumerevoli aneddoti familiari delle mie vecchie zie, mi eÁ consentito
179
rivedere sullo schermo di una realtaÁ ancora palpitante, il canovaccio di una
vita, spesso amara, ma sempre operosa, di quella numerosa famiglia cui apparteneva mio padre.
Una torre di Babele
New York. La statua della LibertaÁ con la mano levata e nello sfondo il
Palazzo di Vetro. Da ogni lato le altissime quinte degli skyscrapers. I grattacieli.
Il panorama di New York eÁ inconfondibile. L'Empire State Building eÁ una cittaÁ
nella cittaÁ. Vi si potrebbe vivere senza mai varcare una delle tante porte che
danno nelle strade che la circondano. Sigarette? Ecco il tabaccaio. Vestiti?
Ecco una, due, dieci boutiques per vostra moglie o la vostra amica, gli stores
per voi. E le cafeterie, gli snacks, i drug-stores. C'eÁ l'emporio, il cinema, il teatro,
tutto di tutto. Migliaia di abitanti, diecine di piani, centinaia di ascensori. E
terrazze fiorite, e giardini pensili, e verande da dove si riesce a scorgere quando
non c'eÁ foschia finanche il profilo degli alberi di Central Park o la superficie
grigio sporca dell'Hudson. Tutto di vetro, incorniciato di tanti quadretti
quante sono le innumerevoli finestre, il Palazzo di Vetro, sede delle Nazioni
Unite. Un mio vecchio amico eÁ il volenteroso e cordiale cicerone: il dott. Alfred
Bellizzi, addetto alla delegazione di Malta all'ONU, dopo essere stato apprezzato consigliere alla ambasciata maltese a Roma, fin dalla sua istituzione.
Ed eÁ donata da Malta all'organizzazione societaria mondiale la singolare
opera, su una parete del secondo piano, un astratto di Emanuel V. Cremona, che
ferma l'attenzione di molti incuriositi visitatori. Ogni nazione a suo tempo donoÁ,
per il grande edificio, un'opera d'arte del suo paese. La Francia quella di uno dei
piuÁ celebri suoi pittori, anche se russo naturalizzato, un Marc Chagall tradotto su
vetri che fronteggia, nell'interesse degli ospiti, il Picasso, ancora non del tutto
astratto, che a sua volta eÁ tradotto in un arazzo. Ma fra tutte le opere, donate da
sessanta nazioni, quella che fa piuÁ spicco, chiaramente «impegnata» e quasi
l'inizio di un discorso politico, il monumento donato dalla Russia, monumento
che campeggia all'ingresso sul verde di un prato, e raffigura il solito adusto
lavoratore dai poderosi bicipiti (ahi, quante reminiscenze littorie!) che spezza
una spada. Ne gli manca ai piedi il vomere dell'aratro e, in mano, il martello.
Con le sue statue, i suoi arazzi, le sue tribune dove sono echeggiati per
anni i «niet» di Molotof prima e di Gromyko dopo, dove si eÁ discussa tante
volte la pace o, come ai tempi della Corea, si eÁ dichiarata la guerra, si erge
verso il cielo di New York questo palazzo altissimo, una torre che sfida le
nuvole. Una vera e propria torre di Babele, vorrei aggiungere, perche vi si
parlano trentasei lingue diverse. E naturalmente non mancano trentasei staffs
di interpreti e traduttori simultanei perche in ogni assemblea ciascuna riceva,
nella cuffia, il discorso dell'oratore (sia esso in swahili, o in cinese, o in
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indostano o in qualunque altra lingua, anche la piuÁ astrusa e difficile della
terra) direttamente e letteralmente tradotto nella propria lingua.
La svolta dell'America
Da questo aereo osservatorio politico eÁ agevole, anche nel raffronto diretto con gli interessi, le volontaÁ, le determinazioni della sua popolazione
internazionale, rendersi conto della misura della svolta americana. Di questa
grande Nazione pervasa di fermenti e di lieviti: contestazione, disimpegno (e di
converso imperialismo) questioni razziali, diffusione della droga. Una America
che non ha contorni precisi e che sarebbe difficile fotografare, cosõÁ sfumata e
flou, in un taccuino di viaggio. Un intero continente dove centinaia di migliaia
di persone tributano al loro scomparso animale domestico, un gatto o un cane,
le lacrime piuÁ sincere e affettuose e un perenne monumento in un apposito
cimitero (ne rise, sfrontato, Evelyn Waugh nel suo ben noto romanzo «Il caro
estinto») e nessuno pensa a fermarsi a dare aiuto se vede il suo vicino, sul
marciapiede, barcollare, e cadere, sotto un colpo di pistola o di coltello, o
semplicemente di una scarica di pugni. Un grande paese con severe abitudini
di libertaÁ e inesplicabili complicazioni autocratiche o anche teocratiche (si pensi
alla influenza delle numerose confessioni e delle numerosissime sette religiose),
dove eÁ considerato povero chi guadagni meno di tremila dollari l'anno ma dove
i piuÁ poveri, quelli morfinomani ed eroinomani, spendono milleduecento dollari al mese solo per procurarsi le tre bustine giornaliere di droga, anche questa
abitudine, in gran parte, ereditaÁ pesante del Vietnam. Una America di dimensione diversa da quella che noi europei, e italiani in ispecie, siamo stati abituati
a considerare, sulla scorta dei favolosi racconti della nostra infanzia, i racconti
degli «americani» dei nostri paesi e dei «rotocalchi». Una America non racconsolata ne amabile che si dibatte, dilaniata in mille e mille problemi e che vede
dilaniato il suo tanto vantato e celebrato (da noi) ottimismo. Forse eÁ diventata
piuÁ ottimista la mia vecchia, scettica, Europa che questa America che ha
rifiutato da tempo il rigore calvinista dei suoi fondatori Pellegrini, la rude
fiducia in se stessi degli uomini della Frontiera, la sfacciata buona volontaÁ dei
corridori del gold rush per diventare, anche se fitta di grattacieli, di infrastrutture, di fabbriche, un grande sterminatore Greenwich Village, con tutti i suoi
complessi, le sue debolezze, le sue incertezze e i suoi vizi.
«The medium is the message»
Scendo nella subway. Vagoni rossi e gialli si muovono velocissimi nei due
sensi. «The medium is the message» proclama Mac Luhan. E i vagoni della
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metropolitana sono i mass media piuÁ attivi di New York. Sulle loro fiancate
centinaia, migliaia di messaggi. Sono facilmente «decodificabii», molti accompagnati da non equivoci disegni o composti nella piuÁ gran parte da «four letters
words», parole di quattro lettere, come gli anglosassoni eufemisticamente indicano le «cattive parole». La Grecia, Nixon, il Vietnam, la Cambogia, il
bolscevismo internazionale, o semplicemente il sesso: ecco gli argomenti consueti. Ne manca ovviamente il riferimento razziale, particolarmente fitti i
messaggi delle «pantere nere» e gli evviva a Angela Davis.
Sempre in nome di Angela Davis non eÁ prudente trattenersi dopo le sei di
sera per le strade di Newark. Qui la maggioranza della popolazione eÁ negra,
negro anche il Sindaco. I poliziotti girano al largo dai quartieri popolari, la
gente bene si tappa in casa. Anche qui ci sono i «poveri» che hanno bisogno
dei quaranta dollari giornalieri per l'acquisto delle famigerate «cartine». Pure
al di fuori dei facili schemi della rivolta negra, il sociologo puoÁ avvertire, qui
dove la platea eÁ piaÁ vasta e fitta, come del resto altrove in altri stati e cittaÁ di
popolazione mista, gli stessi fenomeni di insofferenza e di esperienza insieme,
visti e praticati dalle due parti, bianca e nera. Ne separatismo ne segregazione,
una terza via (non prevista dalle Pantere, forse, prima che lo ammazzassero, da
Luther King) e cioeÁ: che i negri rimangono negri ma diventano americani.
Ancora un salto a New York, per una cena. Lumi di candela, al 48ë piano
del «Top of the Park», nel cuore del Central Park. Sei persone servite di hors
d'oeuvres, minestra e gamberi peruviani. Conto finale: duecento dollari. A
ricordo della cena, e del conto che mi stupisce, il menuÁ stampato su fiammante
cartoncino azzurro, con le firme di tutti i convitati e il particolare, malizioso
omaggio del cugino-anfitrione: «Tanti bacci!».
Gennaio-Febbraio 1974
182
RESOCONTO SENTIMENTALE DI UN VIAGGIO IN U.S.A.
GOOD BYE, AMERICA!
Einstein: «un ometto buffo»
Come non andare a Princeton? Fu la scuola di James Madison, il «Padre
della Costituzione» e fu l'UniversitaÁ fondata nel 1746, dove Woodrow Wilson
affinoÁ la sua severitaÁ presbiteriana prima di esercitarla a danno dell'Italia nella
conferenza di Versailles. Ma sono storie vecchie di piuÁ che mezzo secolo. Vale
piuttosto la pena fermarsi a guardare questo enorme complesso universitario,
una cittaÁ di ville e villette affondate in verdi giardini, tra alte steli di marmo e
marmoree strutture di antiche ville che ricordano certo, nei loro saloni la
lettura, dal foglio appena fresco di stampa, dello editto sul bollo prima e della
dichiarazione di indipendenza dopo. E poi gli stores riservati agli studenti, le
Chiese, i drug stores immancabili dove prendere il gelato, o la coca cola o il
giornale o le sigarette. E le aule dell'UniversitaÁ. Vi insegnoÁ Einstein. Lo ricorda, divertito, un suo vecchio conoscente, mio zio Alfonso. Era ancora
qualche anno prima della guerra. Solerte artigiano, lo zio Alfonso aveva l'incarico di controllare le suppellettili delle aule. Entrava in quella di matematica. Al
primo banco un vecchietto con i capelli sale e pepe spioventi sulle spalle, due
occhietti pungenti e mobili, malvestito, i panni gli cadevano di dosso. Giaceva
quasi disteso sulla panca, seguiva quello che allineava cifre sulla lavagna. D'un
tratto saltava su, si avvicinava alla lavagna e strappato il gessetto alla mano di
quello che scriveva, a sua volta tracciava velocissimo, cifre su cifre per rapide,
interminabili righe. Ridacchia ancora zio Alfonso, raccontando questa sua
esperienza parascolastica di Princeton. ± Un caro ometto buffo! ± commenta.
Ne sapeva che da quello omettino malvestito, da quelle dita nervose di ebreo
nascevano sulla lavagna, sotto i suoi occhi attoniti, causa della sua divertita e
ignara (e perche non ignorante, almeno a questo livello, caro zio Alfonso?)
allegria, la teoria dei quanta, la teoria della relativitaÁ e tante altre mirabili
astruserie, per noi profani, che ancora oggi reggono il nostro Universo.
A Princeton ero arrivato da New York con il bus. Lo avevo preso al
quarto piano del Graffiti Building, alla 40a strada; eÁ il Bus Terminal che ospita
183
centinaia di linee automobilistiche. La stazione eÁ sviluppata in altezza con
tante rampe dove i mastodontici autobus si sono arrampicati per raggiungere i
passeggeri. Che siamo in attesa in comode salette, su soffici poltroncine munite, sul bracciolo, di piccoli televisori a gettone con otto canali a colori. La
luce verde su una porticina ci avverte che il bus eÁ pronto per la partenza.
Aperta la porticina, l'ingresso del bus eÁ a livello. Il grosso autista negro faraÁ
anche da bigliettaio nelle fermate successive. ToccheroÁ il suolo di Princeton
dopo nemmeno un'ora.
Ma da Princeton a Baltimora eccomi, invece, sul Metroline. EÁ il nostro
super rapido. Ma «rapido» non eÁ, perche piuttosto lento e costituito da poche
vetture. Non per nulla in USA si parla, con insistenza, di abolire le ferrovie e
lasciare i collegamenti alle linee aeree interne e alle innumerevoli reti di
trasporti automobilistici che solcano la superficie dei piuÁ che cinquanta Stati
del'Unione. A meno che la prospettata maggiore austerity non blocchi questo
progetto. In attesa, comunque, di ulteriori determinazioni al riguardo (e comunque se ne parlerebbe in una mia prossima visita negli States), eccomi sul
Metroline, nella vettura bar, dõÁ fronte a un tiepido e annacquato american
coffee, per sbarcare infine sulla banchina della stazione di Baltimora ed essere
ricevuto dall'Ammiraglio Luigi Colucciello che con la moglie Rose, mia cugina,
ci conduce su una automobile grande come una corazzata verso la loro bellissima casa di Arnold. Da qui, all'indomani, domenica, scivoliamo silenziosamente verso Annapolis, sede della famosa Accademia Navale Americana. I
cadetti, lustrati e silenziosi, si dirigono dai viali a messa. La chiesa eÁ infatti
piena di allievi nelle giubbe azzurro cielo. I capelli sono tagliati corti, alla
maniera dei «bravi ragazzi americani». Uno scanno vuoto, con sopra un fascio
di rose ed un lumicino acceso: omaggio allo Ufficiale dei Marines recentemente caduto e sul quale sedeva poco tempo prima. All'elevazione, nel piuÁ
religioso dei silenzi, squilla la tromba: eÁ il segnale d'attenti. Alla fine del rito il
celebrante eÁ sulla soglia della Chiesa, a ricevere il saluto di tutti i partecipanti
alla Messa, noi compresi. Ancora un'altra faccia dell'America: una gioventuÁ
fresca, pulita, pensosa dell'avvenire del Paese.
«Saluti alla bella Italia!» mi dice, rincorrendomi, un cadetto che eÁ stato
qualche tempo a Livorno, nella nostra Accademia Navale. Gli occhi gli sfavillano di commozione.
Washington e Chateaubriand
Tutta bianca, tutta di zucchero traforato, Washington. A volte il suo stile
neoclassico riesce insopportabile. Faccio eccezione per Mount Vernon, appena
mezz'ora dal molo sul Potomac. Sbarcava lõÁ Giorgio Washington, che non
volle essere rieletto Presidente degli Stati Uniti e preferõÁ ritirarsi appunto in
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questa sua famosa tenuta. Sullo stesso molo sbarcoÁ un giovane alfiere francese,
il visconte di Chateaubriand. GiaÁ maturava dentro di seÁ le pagine piuÁ vive di
«Atala» che, se pure avrebbero scandalizzato l'abbate Morellet, vietandogli le
soglie dell'Accademia di Francia, gli avrebbero spalancato tuttavia la strada
della gloria. Qui veniva, questo aristocratico e figlio di aristocratici, incuriosito dalla democrazia, a rendere visita al padre della nuova repubblica americana. Ne avrebbe parlato diecine di anni dopo nelle sue «Memorie d'Oltretomba». EÁ probabile che su quelle sedie a dondolo, che ancora oggi sono
conservate sulla veranda della villa settecentesca di Mount Vernon, il vecchio
patriota e il giovane aristocratico si siano seduti a ragõÂonare pianamente insieme. Ma giaÁ in Europa, accanto alle ceneri del trono di Luigi XVI, si levava
il fumo dei cannoni di Tolone, manovrati da quel giovane e ambizioso artigliere che si chiamava Napoleone Buonaparte. Il giovane Chateaubriand ripartõÁ per l'Europa con nessun altro bagaglio che la conoscenza delle grandi
foreste e dei loro improbabili selvaggi dal naso bucato, esempi e ambientazioni
letterari e non politici. Sia pure attratraverso il filtro di una misera emigrazione a Londra, finõÁ ambasciatore di Napoleone.
Ma altre e piuÁ recenti o meno recenti memorie francesi sono presenti a
Washington, nella National Art Gallery. L'interesse dei visitatori dopo i Leonardo, i Raffaello, i Beato Angelico e gli altri Old Italian Masters, si appunta
sugli impressionisti e post impressionisti. Da Lautrec a CeÂzanne. E non dimentichiamo Rousseau. Del piccolo Doganiere e della sua arte transumana,
fatta di atmosfera e di felicitaÁ, di trasognata innocenza e di stupefatto candore, esiste a Washington piuÁ di un esempio, tra la National, la Philips Memorial Gallery ed altre raccolte. Le sue nature morte, con trofei di fiori e di
frutta accesi di colore e le sue steariche rosa, e le sue giungle inconsuete,
popolate di scimmie fulve che mordono arance dorate, con le sue vedute
dell'Ile Saint Louis e il Lungosenna dove c'eÁ un punto nero e fermo, un omino
di spalle (riconoscibile il pittore), sono messaggi di speranza. Furono cosõÁ
interpretati, fin dall'alba della prima guerra mondiale da uno dei suoi piuÁ
avvertiti amici e biografi, Guillaume Apollinaire. E dopo furono i giorni della
«grande illusione». (Un figlio di pittore, Renoir, ne fece un film che stupõÁ
Hollywood e commosse il mondo). Tutto ricomincioÁ vent'anni dopo, daccapo.
Good bye, America
Con una di queste immagini vorrei concludere il resoconto sentimentale
del mio viaggio in USA. Con la sperata commozione dei grandi della terra
dinanzi alle proposte formulate dall'arte. Cui gli americani singolarmente
tengono. Anche questa una spietata contraddizione: con il Vietnam, Cosa
Nostra, la Droga, Watergate, le «Black Panthers» e tante e tutte le altre cose
185
che distinguono l'America. Questa America, dolce e amara, libera nelle sue
istituzioni ma prigioniera dei suoi complessi e dei suoi limiti, che sono i limiti
del sistema e forse i limiti della sua stessa gigantesca crescita. Questa America
contraddittoria e polemica, in polemica con se stessa prima ancora che con il
resto del mondo, fieramente malinconica e tuttavia aperta alla speranza, dove
la consuetudine delle tecnologie piuÁ avanzate non impedisce la speculazione
filosofica e dove un quadretto fatto di colore, d'aria e di luce eÁ custodito, cosa
preziosa, come un esempio e un augurio di riacquistata innocenza. «Good bye»
America, un arrivederci da un italiano che ha presso te molti ed antichi affetti
e che ora, dal ponte della nave che lo riporta in Italia, ti saluta, nella Statua
della LibertaÁ, ancora preso delle tue immagini e convinto della tua grandezza,
nel bene e nel male. Che parte con l'augurio di ritornare un giorno e ritrovarti,
effettuata la tua svolta, piuÁ forte e libera, di esempio al resto del mondo.
Marzo-Aprile 1974
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IL MEDITERRANEO
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IL MONDO CAMBIA
(E ANCHE IL MEDITERRANEO)
Il Mediterraneo eÁ diventato il centro della politica internazionale. Il
signor Kissinger, questo inesauribile commesso viaggiatore della democrazia,
eÁ occupatissimo, la piuÁ parte del suo tempo, a volare da una capitale all'altra
del Medio Oriente. L'ONU ± e sarebbe stato impensabile fino a qualche anno
fa ± invita Arafat come rappresentante unico della nazione palestinese. Cambiano metodi, indirizzi, filosofie nei rapporti tra le potenze.
La stessa ONU eÁ in crisi: gli ottanta nuovi Stati, quasi tutti del terzo
mondo, condizionano l'assemblea. EÁ un condizionamento che eÁ espresso da
una maggioranza in cui si fronteggiano, a paritaÁ di effetti, il voto che rappresenta centinaia di milioni di persone e il voto che ne rappresenta solo qualche
centinaio di migliaia.
La crisi del petrolio costituisce il «boom» del Mediterraneo. I paesi arabi
sono locupletati dalle «royalties» ed ancora di piuÁ dal greggio nazionalizzato.
Un fiume di oro nero che si converte in un fiume di oro monetato. Il prezzo
del greggio eÁ aumentato di cinque volte. Battiamo i denti nelle nostre case
troppo fredde, eÁ il nostro tributo all'arricchimento degli sceicchi.
Fino a ieri il piuÁ ricco e il piuÁ volitivo eÁ stato Gheddafi. Ancora fa parlare
di se con sospetto per l'acquisto di metaÁ dell'isola di Pantelleria. Un centro
strategico nel Mediterraneo: Mussolini lo sapeva ma non seppe tenerla e la
rese con i suoi cannoni e le sue truppe intatte. Ancora oggi, anzi piuÁ di ieri,
nella nuova concezione di una guerra non piuÁ convenzionale ma missilistica,
importante. Se ne parla molto, sui giornali e naturalmente in Parlamento. EÁ
caratteristica del leader libico far parlare molto di seÂ.
Ma un nuovo personaggio ± e su questo vogliamo mettere l'accento ± si eÁ
affacciato apertamente, e risolutamente, nel Mediterraneo. EÁ Mohamed Reza
Pahlevi, lo SciaÁ di Persia. Nel quinquennio 1973-1977 avraÁ incassato (se i prezzi
non lieviteranno ancora, ed eÁ quindi una stima ancora prudenziale) cento e otto
miliardi di dollari. EÁ il paese, l'Iran, che meglio di ogni altro ha saputo amministrare le rendite del petrolio. La crescita in prodotto nazionale lordo eÁ stata del
25 per cento. Lo SciaÁ controlla ormai tutto il Golfo Persico, il piuÁ ricco e vasto
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comprensorio petrolifero del mondo, crocevia strategico mondiale. Quando il
petrolio ancora non esisteva se ne era accorto anche Pietro il Grande: «Colui che
controlleraÁ il Golfo Persico saraÁ padrone del mondo».
EÁ recentissimo il «divertissment» di uno scrittore di fantapolitica. Ha
tracciato il racconto, datato 1984, degli ultimi dieci anni di politica internazionale. L'Iran eÁ diventata la potenza militare piuÁ forte del mondo. E detta
ordini a Russia e America. Un «divertissement»? Non del tutto, forse. GiaÁ noi
stessi abbiamo ascoltato, giorni orsono, in una intervista televisiva Reza Pahlevi affermare la stessa cosa. Ed ha preso tempo soltanto cinque anni, giusto
quello che gli occorre per provvedersi della bomba atomica. Germania e Giappone vi hanno rinunciato, ma l'Iran ne considera seriamente l'opportunitaÁ.
Sappiamo tutti, d'altra parte, che lo SciaÁ eÁ oggi il piuÁ importante cliente
dell'industria degli armamenti. Ha acquistato aerei Phantom a centinaia, ha
la piuÁ grande flotta mondiale di «hovercraft», le sue truppe aerotrasportate
sono servite da piuÁ di mille elicotteri. Produce lui stesso armi: ha acquistato
una larga partecipazione della Krupp in Germania. Con l'Inghilterra sta trattando l'acquisto della Leyland.
Se alcuni sceicchi disperdono le loro rendite petrolifere sui tavoli di
Montecarlo o Las Vegas. come ci informano cronache recenti, lo SciaÁ le investe nello sviluppo economico del paese (l'Iran eÁ oggi il piuÁ grande acquirente di
cemento sul mercato internazionale) e negli armamenti. Solo nel 1973 ha speso
per questo oltre quattro miliardi di dollari. Gliene sono restati sedici di quanti
ne aveva realizzati in quel solo anno vendendo petrolio. CosõÁ ricco, non ha
avuto difficoltaÁ a rimborsare in anticipo quei paesi che gli avevano prestato
denaro quando era povero. Per crediti, aiuti, anticipi su forniture ha distribuito: tre miliardi di dollari all'Italia, un miliardo alla Francia, un miliardo
all'Egitto, un miliardo e trecento milioni all'Inghilterra, un miliardo alla Banca
Mondiale. Il totale degli aiuti iraniani all'estero e stato di dieci miliardi di
dollari. Con una punta di orgoglio il ministro di Teheran ha voluto ricordare
che l'insieme degli aiuti distribuiti dall'America, con il Piano Marshall, fu in
tutto e per tutto di tredici miliardi di dollari. Tra sei mesi l'Iran saraÁ al primo
posto nella lista dei benefattori mondiali. Zio Reza al posto di Zio Sam!
Le considerazioni, i calcoli, le previsioni di una politica delle grandi potenze (e cioeÁ quelle che possiamo considerare europee, pur senza esserlo geograficamente ne l'una ne l'altra: la Russia e gli Stati Uniti) non potranno non
tener conto, in un futuro che eÁ giaÁ oggi, di questo nuovo elemento. La strategia nel Mediterraneo eÁ condizionata dall'erede di Ciro. Il mondo cambia, il
petrolio l'ha fatto cambiare. Nella nostra civiltaÁ delle macchine il petrolio vale
piuÁ che l'oro.
Novembre-Dicembre 1974
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DIRITTO E GIURISPRUDENZA
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INAUGURATO L'ANNO GIUDIZIARIO A NAPOLI E A SALERNO
CON LE RELAZIONI DEI DUE P.G.
RENATO GOLIA: «POLITICI, AVETE FALLITO!»
PAOLO RUSSO DE CERAME: «L'ERGASTOLO VA ABOLITO»
Immigrazione e criminalitaÁ sono stati i temi centrali affrontati dai Procuratori Generali dei vari distretti d'Italia. Non sono stati da meno nelle loro corpose
e franche relazioni, i P.G. presso la Corte di Appello di Napoli, Dott. Renato
Golia e la Corte di Appello di Salerno Dott. Paolo Russo de Cerame, entrambi,
peraltro, prossimi a lasciare i rispettivi incarichi per raggiunti limiti di etaÁ.
Nell'affollato Salone dei Busti di Castelcapuano ± tra gli altri erano
presenti il Cardinale di Napoli Michele Giordano, il Prefetto Romano, il
Sindaco Bassolino, il Procuratore Capo della Repubblica Cordova, il Presidente ff. del Tribunale Vuosi e altre AutoritaÁ civili e militari ± ha presieduto la
cerimonia e guidato i numerosi interventi che si sono succeduti alla relazione
del P.G. Golia, il Presidente della Corte di Appello ff. Mario Tedesco.
L'analisi del Procuratore Generale di Napoli ha ripreso temi che nella
giornata dell'inaugurazione dell'anno giudiziario nei vari distretti sono stati
ricorrenti: gli allarmi per una criminalitaÁ che non conosce divisioni tra regioni,
le censure a un potere politico che non riesce a fornire risposte adeguate ai
tanti problemi giudiziari, l'autocritica sul ricorso incontrollato ai collaboratori
di Giustizia. Nella sua spietata denuncia il P.G. Golia ha, tra l'altro affermato: «Non vi eÁ settore o tipo di illecito che non sia direttamente o indirettamente controllato, spesso grazie ad un efficace circuito di complicitaÁ e connivenze, dall'organizzazione camorristica che, in particolare, gestisce il traffico degli stupefacenti e delle armi, il gioco d'azzardo, la prostituzione, il
contrabbando, le estorsioni, le truffe, le rapine, l'usura, le frodi comunitarie».
Tra i numerosi interventi che hanno fatto seguito alla relazione del P.G.
apprezzati quelli del Presidente della Giunta distrettuale dell'Associazione
Nazionale Magistrati Luigi Riello e del Presidente del Consiglio dell'Ordine
degli Avvocati Franco Landolfo. Ha porto il saluto del Consiglio Superiore
della Magistratura il Componente Prof. Giuseppe Riccio.
Altrettanto solenne l'inaugurazione dell'anno giudiziario svoltasi nell'aula
193
Nicola Giacumbi della Corte di Appello di Salerno che, come diraÁ, tra l'altro, a
conclusione della sua relazione il P.G. Russo de Cerame, «ricorda il nome di una
esemplare figura di Magistrato della Procura della Repubblica di Salerno, la cui
vita fu stroncata da mano omicida nei tempi bui del terrorismo e onora con lui la
memoria di tutti i Magistrati che caddero in quegli stessi anni di piombo».
Sullo scranno piuÁ alto siedeva il primo Presidente della Corte di Appello
Dott. Domenico Mazzocca che, prima di dare inizio alla cerimonia inaugurale,
ha salutato con nobili parole la presenza dell'Arcivescovo Gerardo Pierro, il
Consiglio dell'Ordine degli Avvocati che partecipava al completo e le piuÁ alte
autoritaÁ civili e militari del capoluogo. Pure presenti il neo Avvocato Generale
Nino Vacca, il Presidente del Tribunale di Salerno Isacco D'Ambrosio e il
Dirigente della Pretura Pres. Giovanni Maffei.
Molto seguita ed apprezzata eÁ stata la dotta relazione del P.G. presso la
Corte di Salerno Russo de Cerame che, tra l'altro, ha passato al setaccio, con una
limpida, circostanziata e coraggiosa esposizione, l'intera attivitaÁ del Distretto:
«La camorra ± ha tra l'altro rilevato ± dalle sue basi storiche nell'Agro nocerino e
nella Piana del Sele si eÁ di fatto estesa a tutta la provincia ed anche nel capoluogo.
Negli ultimi tempi ha riorganizzato e rinforzato suoi organici lanciando allarmanti
segnali di vitalitaÁ come eÁ dimostrato dall'evasione dall'aula bunker dei due ergastolani Cesarano e Autorino. Episodio che segna una sconfitta delle istituzioni».
Particolare rilievo ha pure assunto il suo accenno sulla estensione dell'usura arrivata in maniera drammatica anche a Salerno. «Una attivitaÁ ± spiega
Russo de Cerame ± nella quale eÁ sempre piuÁ coinvolta la criminalitaÁ organizzata
con i proventi ricavati dalla sua attivitaÁ illecita e ne sono vittime gli imprenditori in difficoltaÁ anche per la politica di stretta creditizia operata dalle banche».
La relazione del P.G. ha suscitato viva attenzione quando si eÁ soffermata
sull'abolizione dell'ergastolo, ritenuto contrario ai principi costituzionali e alla
civiltaÁ giuridica di un Paese come l'Italia. «Il carcere a vita, oltre a essere
contrario a elementari principi di civiltaÁ giuridica contrasta con il dettato
costituzionale secondo cui la pena deve essere finalizzata alla rieducazione del
condannato, in vista del suo reinserimento nella vita sociale». Una affermazione controcorrente rispetto a quella della maggioranza dei magistrati e che
porta Russo de Cerame ad apprezzare il disegno di legge sull'eliminazione
dell'ergastolo dall'ordinamento italiano, giaÁ approvato dal Senato.
Hanno fatto seguito numerosi interventi tra i quali molto apprezzati
quello del rappresentante il consiglio Superiore della Magistratura, Cons.
Ettore Ferrara, del Presidente della Commissione Giustizia del Senato, Sen.
Michele Pinto, del neo Procuratore Capo della Repubblica, Mino Cornetta,
del Componente il Consiglio Nazionale Forense Avv. Pasquale Franco.
Dicembre 1998
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RIFORMA DEL DIRITTO FALLIMENTARE E CORTE COSTITUZIONALE
MA EÁ DAVVERO SACRALE
IL PROVVEDIMENTO DEL TRIBUNALE FALLIMENTARE?
Opportunamente il Legislatore, tra le recenti modifiche del diritto fallimentare, ha introdotto limitazioni al potere del giudice delegato e conferito,
viceversa, maggiore spazio al curatore ed al comitato dei creditori. Tra le
norme interessate alla modifica c'eÁ l'art. 37 della legge secondo cui il tribunale
puoÁ in ogni tempo, su proposta del giudice delegato o su richiesta del comitato
dei creditori o d'ufficio, revocare con decreto il curatore. Aveva ritenuto la
giurisprudenza, vigendo la vecchia norma, che, se il Tribunale avesse, con
motivazioni non rispondenti alla realtaÁ dei fatti, surrogato il curatore, quest'ultimo non avrebbe potuto proporre reclamo contro il provvedimento.
L'ammissibilitaÁ eÁ prevista invece dalla recente riforma.
La reclamabilitaÁ del decreto di surroga da parte del curatore era stata per
veritaÁ sostenuta da un'autorevole dottrina che fa capo all'insigne fallimentarista prof. Pajardi; ma una costante giurisprudenza la negava. Conclusione
questa, che appariva in contrasto con l'art. 739 c.p.c., da cui eÁ testualmente
previsto che ``contro i decreti pronunciati dal tribunale in camera di consiglio
in primo grado si puoÁ proporre reclamo con ricorso alla corte d'appello, che
pronuncia anch'essa in camera di consiglio'', nonche con l'art. 24 della Cost.,
che afferma esser la difesa un diritto inviolabile in ogni stato e grado del
procedimento.
La ripetitivitaÁ delle massime di giurisprudenza (spesso lontane dalle indicazioni della dottrina) trova una sua spiegazione anche in una certa pigrizia
interpretativa. Certo eÁ peroÁ che la conclusione secondo cui il curatore, colpito
da un ingiusto provvedimento di revoca, non potesse dolersene appariva inaccettabile. La tesi infatti che il decreto con cui il Tribunale revoca il curatore
per supposte sue inadempienze avrebbe la preminente funzione d'assicurare la
continuitaÁ dell'amministrazione fallimentare, cosõÁ che l'esigenza di affidare
questa a un curatore nuovo (in ipotesi piuÁ diligente) non potrebbe venir
attardata da un reclamo del curatore, sorvolava troppo disinvoltamente sul
pregiudizio che subisce il curatore per effetto d'un giudizio sbagliato del
195
Tribunale. Anche l'altra argomentazione, che cioeÁ il provvedimento di revoca
non avrebbe natura decisoria perche la sua finalitaÁ sarebbe quella di eliminare
interruzioni all'attivitaÁ della curatela, compromessa da supposte inadempienze
del curatore revocato, si rivelava d'una debolezza evidente.
Non puoÁ negarsi, innanzitutto, che la revoca per pretese inadempienze,
con l'affermare la rilevanza di queste ai fini della necessitaÁ (o anche solo
opportunitaÁ) di sostituire il curatore ha ± per la decisivitaÁ che la valutazione
dell'opera di quest'ultimo riveste ai fini della revoca ± un contenuto decisorio.
Non eÁ, infatti, che col provvedimento ci si limiti a sostituire il curatore tout
court; eÁ vero invece che lo si sostituisce ``percheÂ, secondo il Tribunale, ha agito
male''.
In secondo luogo, se eÁ vero che il doppio grado di merito contro un
provvedimento del Giudice non eÁ con sicurezza una regola generale eÁ vero
pure che ± prevista in via generale una reclamabilitaÁ nel merito di qualsivoglia
provvedimento che tocchi i diritti d'una persona ± una tale reclamabilitaÁ
dovrebbe in via generale venir desunta dalle regole processuali, quanto meno
di quelle dettate in materia di giurisdizione volontaria.
Ma anche quando, prima della recente riforma, non si fosse voluto affermare ± come ha fatto con luciditaÁ il Pajardi ± l'esistenza d'una norma che
lasciasse desumere l'ammissibilitaÁ d'un reclamo del curatore, ingiustamente
colpito da una valutazione errata del Tribunale, il ricorso al controllo della
legittimitaÁ costituzionale d'una pretesa normativa che impedisse al curatore di
reclamare avrebbe dovuto comunque sopperire.
Numerose sentenze della Corte Costituzionale hanno cominciato a render
armonico il sistema delle impugnazioni di merito, riconoscendo l'incostituzionalitaÁ di norme che prima escludevano l'impugnazione: valga per tutte la
decisione che ha riconosciuto l'ammissibilitaÁ del reclamo, prima non previsto,
contro il provvedimento di rigetto della richiesta di una misura cautelare.
Quell'indirizzo costituzionale, al di laÁ della soluzione del caso specifico,
ha finito con l'affermare in via generale che nessun provvedimento (positivo o
negativo) puoÁ di regola soggiacere all'ipse dixit d'un giudice di primo grado.
Nel caso che ne occupa, un controllo di costituzionalitaÁ sarebbe stato
necessario con riguardo alla norma giaÁ prima richiamata di cui all'art. 24 della
nostra Costituzione.
L'articolo sancisce infatti che la difesa eÁ diritto inviolabile. E per difesa
deve intendersi la possibilitaÁ di esporre le proprie ragioni non giaÁ in un contesto qualsiasi, ma proprio (pena l'inefficacia) in quel medesimo contesto processuale in cui l'esigenza di difesa insorge. La difesa, infatti, eÁ la possibilitaÁ di
opporre immediatamente le ragioni che militano a sostegno della tesi d'una
parte, al fine di evitare che un giudizio si formi in termini di contrarietaÁ a
quelle ragioni; e se il sistema processuale, in questo senso giaÁ integrato da
196
numerose decisioni della Corte Costituzionale, prevede che quel giudizio
debba esser soggetto di regola a una revisione in grado superiore, l'escludere
in un caso l'impugnazione da parte del soggetto che da quel giudizio eÁ gravemente leso, costituirebbe una deroga ingiustificata, vale a dire una disparitaÁ in
casi uguali da considerarsi in contrasto col menzionato art. 24 della Costituzione.
Se al curatore si contestasse infondatamente d'aver agito male al punto da
doverlo sostituire, il diritto di difendersi in doppio grado va esercitato con
immediatezza; non certamente dopo che un giudizio probabilmente sbagliato,
col fatto solo d'esser divenuto definitivo a cagione della irreclamabilitaÁ, ha giaÁ
prodotto i suoi danni al malcapitato curatore.
Questo diceva la dottrina; e questo per fortuna ha finito per dire il
Legislatore nella riforma da cui la reclamabilitaÁ, da parte del curatore, del
decreto di revoca eÁ stata affermata.
Giugno 2006
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DIRITTO E PROCEDURA CONSOLARE
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DOTTRINA E GIURISPRUDENZA CONSOLARE
QUESTIONI IN TEMA
Á GIURISDIZIONALE
DI IMMUNITA
A FAVORE DEGLI STATI ESTERI
Recentemente eÁ stata convenuta in giudizio, avanti al Tribunale di Napoli, una rappresentanza straniera, in persona del console pro tempore, per
spettanze di lavoro rivendicate da un ex dipendente. Tale insolita vertenza, in
attesa della sua decisone, nel riproporre il problema dei rapporti tra giurisdizione italiana e straniera in materia di controversie di lavoro dei dipendenti
degli uffici diplomatici e consolari, offre l'occasione per un breve inquadramento della fattispecie (art. 10 della Costituzione, 43 della Convenzione di
Vienna, 37 cpc e 16 disp. prel. cc.)
Le Ambasciate, come i Consolati, non sono enti autonomi con personalitaÁ
propria, bensõÁ organi dello Stato che rappresentano. La questione, percioÁ, va
risolta nella piuÁ ampia prospettiva delle funzioni che lo Stato esplica tramite i
cennati suoi organi, e della partecipazione dei dipendenti di questi ultimi al
loro esercizio. Del problema si eÁ piuÁ volte interessata la Suprema Corte e su di
esso si sono, in numerosi casi, pronunciati i giudici di merito ribadendo una
uniformitaÁ di indirizzo che non puoÁ essere posta in dubbio per la diversitaÁ
delle soluzioni adottate a seconda della differente natura dei rapporti dedotti
nelle singole fattispecie concrete. Le Sezioni Unite del Supremo Collegio, con
la sentenza n. 3368 del 14 novembre 1972 hanno confermato che la soluzione
della vexata quaestio risiede nello stabilire se, nel singolo caso, lo Stato straniero agisce nell'esercizio del suo potere sovrano, ovvero indipendentemente
da questo, ponendosi alla stregua di un privato cittadino: nella prima ipotesi,
infatti, opera la immunitaÁ giurisdizionale a favore dello Stato estero, con
esclusione della competenza del giudice italiano, in conformitaÁ delle ragioni
internazionali per cui lo Stato del Foro deve astenersi, rispetto alle contrapposte attivitaÁ pubblicistiche, non solo da ogni loro valutazione data dalle
norme giuridiche, ma anche da ogni valutazione concreta derivante da atti
giurisdizionali: nella seconda ipotesi, invece, e cioeÁ quando lo Stato straniero
agisce come privato cittadino, non piuÁ soccorrendo le ragioni anzidette, nei
201
suoi confronti la giurisdizione di altri Stati non puoÁ essere esclusa (e, per cioÁ
che ne interessa, quella del giudice italiano) poiche esso svolge la sua attivitaÁ
come soggetto dell'ordinamento dello Stato del Foro.
EÁ chiaro percioÁ come la questione vada risolta caso per caso, stabilendo la
natura dell'organo e della sua attivitaÁ rispetto ai fini istituzionali dello Stato,
nonche la natura delle funzioni svolte dal lavoratore, come partecipi o meno
dell'attivitaÁ statale dell'organo del quale eÁ stato dipendente, qualificandosi il
rapporto di natura pubblicistica, con la conseguente immunitaÁ giurisdizionale
a favore dello Stato straniero quando risulti che il dipendente abbia svolto una
di quelle attivitaÁ che concorrono a formare la volontaÁ dell'organo sa in senso
sostanziale che formale, o cioeÁ assolvendo compiti preparatori (informazioni,
indagini, ecc.) o svolgendo mansion documentative (preparazione e spedizione
degli atti dell'organo). Tale ultima condizione non eÁ stata ritenuta peroÁ sempre
necessaria ai fini della esenzione dalla giurisdizone, in quei pronunciati (Trib.
Napoli 9.1.1964 n. 68) nei quali si eÁ affermato che «l'immunitaÁ va accordata
indipendentenente dalla materialitaÁ dell'opera prestata», per cui «quando un
rapporto di lavoro inerisce allo svolgimento di mansioni costituenti attuazioni
dell'attivitaÁ pubblicistica dell'Ente e rientra percioÁ nei fini istituzionali dello
stesso, non si puoÁ dubitare che si tratti di rapporto avente carattere pubblico.
Tanto che il Tribunale di Napoli (sent. cit. pag. 6) ha ritenuto che anche
l'opera di un inserviente (cuoco) concorrendo all'espletamento di un'attivitaÁ
istituzionale (nella specie militare, per il servizio cioeÁ inerente al soggiorno del
relativo organo in Italia), partecipa agli scopi istituzionali dell'Ente, con la
conseguente natura pubblicistica del relativo rapporto.
In conformitaÁ di tali principi: 1) Il Tribunale di Milano con la sentenza
inedita n. 2280 del 19.1.1966 (Pres. Jucci. Est. Saputi) ha ritenuto la propria
giurisdizione sulla domanda proposta da tale Jone Gilli contro il Ministero
degli Affari Esteri del Brasile, per avere l'attrice prestato la sua opera presso
gli uffici del Consolato Brasiliano in qualitaÁ di operaia addetta alla pulizia; 2)
Il Tribunale di Napoli con la sentenza n. 4893 del 22 novembre 1957 (Pres.
Guzzardi, Est. Colosimo), inedita, ha dichiarato la sua competenza sulla domanda proposta da tale Cortese Concetta contro il Console Generale di Turcha a Napoli, per avere prestato servizio, in qualitaÁ di domestica, alle dipendenze dello stesso; 3) Ancora il Tribunale di Napoli con la sentenza, pure
inedita, n. 68 del 9.1.64 (Pres. Rubinacci, Est. Marotta) ha dichiarato il
propro difetto di giurisdizione in ordine alla domanda proposta da tale Liberatore Nicola contro il Governo degli Stati Uniti di America, per avere l'attore
prestato la propria opera quale cuoco alla dipendenza della Commissioned
Officers Mess Ashore, organo della Marina Militare U.S.A.; 4) La Cassazone
Sezioni Unite 25 novembre 1971 n 3441 in Foro It. 1972, I, pag. 2181, ha
dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice italiano rispetto alla domanda
202
proposta da una bibliotecaria dell'Usis, perche partecipe della pubblica attivitaÁ
di propaganda all'estero e di informazioni in Paesi stranieri, esercitata dalla
Usia (United States Information Agency) attraverso gli uffici dell'Usis per
conto del Governo Americano); 5) La Cassazione Sezioni Unite 13.5.63 n.
1178 in Foro It. 63, col. 1405, ha confermato il principio della immunitaÁ
giurisdizionale dello Stato estero allorche esplica, nel territorio dello Stato
italiano, funzioni sovrane da questo consentite.
In senso contrario, invece, la Cass. 18-10-1959 n. 3160, decidendo sulla
controversia proposta da un inserviente alle dipendenze delle Truppe Alleate
di occupazione in Italia (con riferimento alla convenzione di Londra del 1951,
ratificata e resa esecutiva in Italia con la Legge 30-11-1955 n. 1355).
Aprile-Maggio 1973
203
LA CONVENZIONE DI VIENNA E LE IMMUNITAÁ CONSOLARI
Á E PROTEZIONE DELLE SEDI CONSOLARI
INVIOLABILITA
Il vasto rinnovamento del diritto consolare prodottosi dopo la 2a guerra
mondiale attraverso una molteplicitaÁ di accordi bilaterali ed anche di convenzioni plurilaterali, il formarsi di nuovi Stati specie nel terzo mondo, le nuove
correlazioni economico-sociali costituitesi negli anni 50 e 60 tra Stati appartenenti a continenti diversi od a «sfere» politicamente diverse, la convinzione
che le relazioni consolari erano ormai tipica espressione di una moderna e
profonda cooperazione tra gli Stati e tra i popoli, questi ed altri motivi indussero, nel 1958, l'Assemblea delle Nazioni Unite (le cui norme statutarie le
fanno carico, tra l'altro, di procedere alla codificazione del diritto internazionale) ad affidare alla Commissione di Diritto Internazionale il compito di
predisporre un progetto di Convenzione Mondiale sulle Relazioni Consolari.
Il 24 aprile 1963 si concludeva cosõÁ a Vienna la Convenzione delle Nazioni
Unite sulle relazioni consolari: il piuÁ recente ed importante avvenimento dello
sviluppo storico delle istituzioni consolari. Con la Convenzione di Vienna,
infatti la figura del console assume una nuova dimensione nella presente realtaÁ
delle relazioni interstatali: i suoi compiti non sono piuÁ di solo sviluppo economico e commerciale ma anche di promozione scientifica e culturale. Il testo
della Convenzione (ratificata dall'Italia con Legge 9-8-67 n. 804) e le sue 79
norme saranno, indispensabilmente, costante punto di riferimento per lo sepecifico argomento che si occupa in questa sede e per quegli altri che, in
materia, ci riserviamo di trattare brevemente nei prossimi numeri: beninteso,
con l'intento di contribuire alla migliore conoscenza di qualche aspetto saliente delle relazioni consolari.
Le norme sulle immunitaÁ consolari vanno considerate, oltre che in funzione delle varie categorie (consoli di carriera e consoli onorari), con riferimento all'Ufficio consolare inteso nella sua unitaÁ ed alle persone preposte
all'Ufficio. La Convenzione di Vienna ha voluto infatti racchiudere nel capitolo 2ë le norme riguardanti le «Facilitazioni, i privilegi e le immunitaÁ degli uffici
consolari di carriera» (artt. 28-39) e dei funzionari e degli altri membri aggregati ai consolati di 1a categoria (artt. 40-57) mentre ha inteso fissare un altro
204
apposito capitolo, il 3ë, le norme relatave al «Regime applicabile agli uffici ed
ai funzionari dai Consolati onorari» (artt. 58-68).
In altre occasioni saranno trattati i criteri che concorrono a distinguere la
figura giuridica e lo Status dei Consoli Onorari (Consules electi) da quelli di
carriera (Consules missi); ci limitiamo per ora ad evincere dalla Convenzione la
identicitaÁ, per i Consoli di carriera e per quelli onorari, delle funzioni da
assolvere, degli atti da compiere e delle responsabilitaÁ da assumere.
Una differenziazione, tuttavia, puoÁ essere colta proprio nel campo dei
trattamenti (cioeÁ delle immunitaÁ consolari) che lo stato territoriale eÁ obbligato
ad accordare agli Organi degli Stati esteri perche questi possano svolgere la
missione in assoluta sicurezza, libertaÁ e decoro. Tali trattamenti trovano giustificazione nel dovere internazionale dello Stato ricevente di non frapporre
ostacolo al libero funzionamento di un organo straniero alla cui istituzione, nel
proprio Paese, esso stesso ha liberamente consentito.
Tali guarentige si distinguono in: a) immunitaÁ propriamente dette, consistenti nell'esenzione da un obbligo cui sarebbero invece sottoposti gli altri
stranieri e gli stessi cittadini dello Stato: ad es. immunataÁ giurisdizionale, inviolabilitaÁ personale (e come tali riservate al Console di carriera); immunitaÁ fiscale
(estesa al console onorario limitatamente ai tributi che possono incidere sulle
eventuali remunerazioni ufficiali corrispostegli dallo Stato estero: art. 66); b)
privilegi consolari, costituiti dalla possibilitaÁ di godere taluni benefici, o di ricevere determinati onori: facoltaÁ di esporre lo stemma e la bandiera nazionale,
diritto a ricevere una speciale protezione (tali privilegi sono riconosciuti ad
entrambe le categorie consolari); c) prerogative consolari, consistenti nel potere
che il console (sia di carriera che onorario) ha di prendere decisioni produttive di
determinati effetti giuridici rispetto allo stato territoriale: ad es. la richiesta alle
autoritaÁ locali di farsi riconoscere nelle sue funzioni; d) facilitazioni consolari,
concretizzantisi in agevolazioni che le autoritaÁ dello Stato ricevente devono
accordare agli Organi consolari esterni come ad es. il facilitare allo Stato estero
al conseguimento dei locali da adibire a sede dell'Ufficio Consolare (art. 30, par.
1, richiamato nell'art. 58 a proposito delle disposizioni generali concernenti le
facilitazioni, i privilegi e le immunitaÁ dei Consoli Onorari).
Il problema giuridico piuÁ complesso, che si ricollega alla condizione della
sede consolare eÁ quello della inviolabilitaÁ della sede stessa. Come per la sede
diplomatica (cfr. Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche del 18-461) il dovere dello Stato territoriale di assicurare l'inviolabititaÁ della sede
assume un duplice significato: nel dovere di astenersi, entro certi limiti dal
compiere atti d'imperio all'interno di esso e nel dovere di tutelare tale sede da
ogni pericolo di offesa.
L'art. 31 sancisce il principio di inviolabilitaÁ assoluta della sede consolare
per cui le AutoritaÁ di Polizia o le altre competenti AutoritaÁ dello Stato terri205
toriale non possono penetrare nella sede senza il consenso del Capo dell'Ufficio Consolare (tale consenso si presume tuttavia concesso solo in caso da
incendio o di altro sinistro, per il quale sia necessaria una immediata azione
protettiva). Questa norma non eÁ peroÁ richiamata nel capitolo 3ë della Convenzione a proposito del «Regime applicabile alle sedi ed ai funzionari dei
consolati onorari» dove invece viene, piuÁ precisamente, regolata all'art. 59 la
«protezione degli Uffici Consolari» (onorari).
La ragione ritengo che sia evidente: la Convenzione di Vienna ha voluto
assicurare l'inviolabilataÁ alle sedi consolari di 1ã categoria, cioeÁ agli Uffici
dove non possono che essere espletate solamente funzioni consolari (come ad
es. gli uffici di importanti Stati esteri che dispongono nei capoluoghi di giurisdizione consolare di vaste sedi ± se non addirituradi grossi edifici di loro
proprietaÁ ± in cui vengono espletate, con l'apporto di funzionari di carriera e
di imipiegati, le incombenze proprie dell'UffõÂcio). Alle sedi, invece, di 2a
categoria, quelle cioeÁ rette da Consoli onorari ± dove prevalentemente tale
console adempie anche funzioni proprie (siano esse professionali o commerciali) o dove ha la propria residenza, si eÁ inteso assicurare soltanto la necessaria
protezione (riconosciuta ai consolati di carriera) da quelle offese alla dignitaÁ
dell'Organo, da quelle minacce alla sua sicurezza, da quegli ostacoli al suo
libero funzionamento che potrebbero derivargli da cittadini dello Stato territoriale o da stranieri residenti nel suo territorio od anche da cittadini dello
Stato estero di cui il consolato eÁ organo.
L'inviolabilitaÁ degli archivi consolari ± uno dei piuÁ antichi e sicuri principi del diritto conolare ± eÁ stata viceversa sancita dalla Convenzione di
Vienna con le piuÁ ampie formule contenute sia a favore dei consolati di
carriera nell'art. 33, sia a favore dei consolati onorari nell'art. 61. Con tale
distinta norma si eÁ voluto regolare la condizione giuridica dell'Ufficio consolare retto dal console onorario nel senso che gli archivi consolari, e i documenti
consolari ovunque si trovino, sono inviolabili, a condizione, peraltro, che siano
separati dai documenti e dalla corrispondenza attinenti alla professione ed alla
vita privata del console.
Novembre-Dicembre 1974
206
QUESTIONI VECCHI E NUOVE
REALTAÁ GIURIDICA E FUNZIONI
DEL CORPO CONSOLARE
Non diversamente dalla Convenzione di Vienna del 1961 sulle relazioni
diplomatiche, la Convenzione di Vienna del 1963 sulle relazioni consolari
non contiene alcuna norma che menzioni espressamente il Corpo consolare.
Ma ± come le norme della stessa Convenzione di Vienna del 1961, regolatrici
delle precedenze diplomatiche, presuppongono l'esistenza di un corpo diplomatico ± cosõÁ quelle della Convenzione di Vienna del 1963, disciplinatrici
delle precedenze consolari, implicano imprescindibilmente l'esistenza giuridica del corpo consolare.
Funzioni del Corpo Consolare
La realtaÁ del Corpo Consolare appare manifesta, segnatamente, in ogni
pubblica cerimonia per la quale sia prevista la partecipazione dei singoli consoli esteri residenti nella cittaÁ dello Stato territoriale nella quale la cerimonia si
svolge.
Tale manifestazione del corpo consolare non eÁ per altro, se non una delle
possibili manifestazioni dell'esistenza di esso, e dei problemi giuridici che tale
esistenza propone al diritto diplomatico-consolare.
Secondo lo Zampaglione (Manuale di Diritto Consolare, Stamperia Nazionale, Roma, 1958, pag. 45) il C.C. eÁ sorto a similitudine del C.D., ma con
privilegi di natura ben diversa tanto da non potersi parlare di un riconoscimento internazionale dell'istituto il cui funzionamento dipende principalmente dagli usi invalsi nello Stato ricevente. Il Biscottini (Manuale di Diritto
Consolare, CEDAM, Padova 1970) ritiene i Corpi Consolari semplici enti di
fatto, privi di ogni autonomo potere, potendo solo i singoli Consoli prendere
contatti personali tra loro, sebbene non manchi qualche esempio di atti collettivi provenienti da tutti i Consoli accreditati.
Non possiamo, peroÁ, concordare con il Quadri (Diritto Internazionale
207
Pubblico, Liguori, Napoli, 1968, pag. 497) secondo il quale «il C.C. ha esclusivamente funzioni di cerimoniale», giacche il Corpo consolare eÁ legittimato a
compiere funzioni oltre che di mera rappresentanza o di cerimoniale (partecipazione del C.C. alle cerimonie pubbliche) anche di ben altra natura come ad
es. funzioni di affari (passo collettivo compiuto presso il Prefetto o il Sindaco
per attirarne l'attenzione su situazioni locali di comune interesse per i singoli
consoli); funzioni, prevalentemente se non esclusivamente, interne, attinenti cioeÁ
allo sviluppo della vita associata del Corpo, ai progressi del suo coordinamento
(regolamentato, solitamente, da norme e consuetudini riconosciute dai singoli
Corpi), alla formazione, accanto al Decano, di un piccolo apparato, c.d. ufficio
del decano, in virtuÁ del quale il C.C. possa meglio adempiere le sue funzioni
soprattutto per rendere piuÁ profondi e piuÁ frequenti i rapporti tra i Consoli dei
singoli Stati nella stessa cittaÁ (a Napoli, recentemente, eÁ stato, a tal uopo,
costituito un «comitato» composto da un Console Generale, un Console di
Carriera e due onorari) ed infine alla propria documentazione (la pubblicazione, a cura dello stesso C.C. della lista dei suoi componenti, completata e
aggiornata da ogni utile indicazione).
Analogie e differenziazioni tra C.C. e C.D.
Secondo il Maresca (Le Relazioni Consolari, GiuffreÁ, Milano, 1966) evidenti sono i rapporti analogici e quelli differenziali tra il corpo consolare ed il
corpo diplomatico:
1) Come il Corpo Diplomatico, il Corpo Consolare eÁ formato dall'insieme
degli organi istituiti dai singoli Stati esteri presso uno stesso Stato territoriale
al fine di svolgere le medesime funzioni;
2) Non diversamente dal corpo diplomatico, il corpo consolare manifesta
la coesistenza ed il frequente intreccio dei fasci di relazioni consolari aventi
carattere bilaterale, e consente quindi che le relazioni stesse siano prese in
considerazione, sia pure ad effetti limitati, sul piano della plurilateralitaÁ dei
rapporti internazionali;
3) A differenza del corpo diplomatico, il corpo consolare non eÁ unico,
rispetto allo Stato ricevente, ma si scinde nella molteplicitaÁ dei gruppi di
consoli esteri, coesistenti nelle maggiori cittaÁ dello stesso Stato territoriale (ad
es. il Corpo consolare di Milano, secondo la piuÁ recente lista degli uffici
consolari esteri edita dal Ministero degli Affari Esteri Italiano, eÁ costituito
da 66 rappresentanze; seguono Genova con 55, Napoli con 45, Torino con 38,
Trieste con 33, Firenze con 31, Venezia con 30, Palermo con 23, Bari con 23,
Catania con 14 rappresentanze ecc.);
4) Generalmente nelle legislazioni degli Stati riceventi, alle norme che
prevedono particolari agevolezze diplomatiche sul presupposto dell'ufficiale
208
organicitaÁ del corpo stesso, non corrispondono altrettante norme regolatrici di
agevolezze consolari. Ad esempio in Italia, il codice della strada non prevede
per i membri del corpo consolare la concessione delle speciali targhe automobilistiche che stabilisce, invece, per i membri del corpo diplomatico. EÁ
stato redatto qualche anno fa uno «Schema di disegno di legge per l'istituzione
di una speciale targa per le autovetture appartenenti agli agenti consolari esteri» e,
quindi, per il riconoscimento della targa C.C., applicando, analogamente a
quanto avviene per la immatricolazione delle autovetture appartenenti agli
Agenti Diplomatici esteri, le disposizioni di cui all'art 93 c. 1ë e 3ë delle
norme sulla disciplina della circolazione stradale approvato con DPR 15-61959 n. 393 (cfr. La targa di riconoscimento per le automobili delle AutoritaÁ
Consolari, Edgardo Borselli in Maltanapoli, Corriere Diplomatico Consolare
n. 3.4/74 pag. 5).
Il Decano e le sue attribuzioni.
Il Corpo Consolare, in conclusione, costituisce un complesso di organi di
Stati esteri che si forma spontaneamente nel territorio di uno Stato determinato. Esso tende a trovare una unitaÁ di espressione, merceÁ l'istituzione del
Decano del Corpo stesso. Il criterio, in base al quale l'ufficio di decano eÁ
conferito, eÁ quello stesso cui si informa la designazione del decano del corpo
diplomatico; tale carica compete, cioeÁ al console capo di ufficio che appartiene
alla classe piuÁ elevata, e, entro la classe stessa, eÁ piu anziano di exequatur. Se
nella medesima classe sono compresi consoli di carriera e consoli onorari, alla
carica di decano saraÁ chiamato, in ogni caso, il piuÁ anziano dei consoli di
carriera, anche se titolare di exequatur di data meno remota di un console
onorario della stessa classe. Tale regola discende dalla norma stessa posta dalla
Convenzione di Vienna del 1963, art. 16 par. 5, secondo la quale, nella
medesima classe di appartenenza, i consoli onorari capi di ufficio seguono i
consoli di carriera capi di ufficio, anche se piuÁ anziani di questi per exequatur.
In base a criteri analoghi a quelli di cui sopra eÁ cenno, eÁ nominato,
accanto al decano, un vice decano del corpo consolare. Le norme e consuetudini riconosciute dai singoli Corpi Consolari e racchiuse nel c. d. «Statuto»,
prevedono la figura ± accanto a quella: del Decano e del V. Decano ± e del
Segretario Generale, normalmente prescelto tra i Consoli Onorari, che, non
essendo assoggettato ad alcuna scadenza di mandato in quanto cittadino dello
Stato ricevente, rimane in carica per un tempo limitato e viene eletto da tutti i
Consoli Capi missione. Il segretario del C.C. oltre ad essere il primo e piuÁ
vicino coadiutore del Decano, provvede: a mantenere gli archivi del C.C.;
all'aggiornamento e pubblicazione della «lista» consolare; alla diramazione
degli inviti alle AutoritaÁ in occasione dei ricevimenti ufficiali; alla convoca209
zione dei Consoli capi di ufficio e degli altri funzionari consolari alle riunioni
ed assemblee; al coordinamento di tutte le iniziative dirette a sviluppare i
rapporti tra i membri del C.C.
Il decano del corpo consolare eÁ chiamato a svolgere attribuzioni diverse
che rispecchiano le varie funzioni del corpo stesso, e che si sviluppano su piani
distinti:
1) Rispetto alle autoritaÁ locali, egli eÁ legittimato a rendersi interprete, a
nome dei singoli membri del corpo consolare, di un comune sentimento,
secondo le circostanze, di congratulazioni di auguri e di doglianze (cfr. a tal
proposito la lettera di protesta che il Decano del C.C. di Tripoli A. Tilger:
indirizzoÁ il 4-10-1911 all'Ammiraglio Faravelli per la caduta di schegge di
granata sullle sedi di alcuni Consolati: in Roccagli «La guerra italo-turca» Hoepli, Milano 1918, pag. 1871). Rispetto alle stesse autoritaÁ locali, il decano ha
titolo giuridico, per compiere: quei passi che la situazione puoÁ consigliare al
fine di assicurare in favore dei membri del corpo consolare l'esatto adempimento dei trattamenti loro dovuti.
2) Nei confronti dei membri del corpo consolare medesimo, egli ha il potere, d'altra parte, di dare quei consigli, che potraÁ stimare convenienti ai fini
della piuÁ corretta condotta dei consoli stessi, nell'uso da parte di essi dei
singoli trattamenti onde lo status consolare eÁ costituito.
3) Sotto la direzione e l'impulso del decano e dei suoi coadiutori, il corpo
consolare puoÁ conoscere una fiorente vita associata, in virtuÁ della quale i rapporti personali tra i consoli dei singoli Stati tendono ad essere piuÁ frequenti,
ed i consoli stessi possono trovare occasioni di contatti con gli ambienti economici e culturali dello cittaÁ e delle regioni, ove sono chiamati a svolgere le
loro funzioni.
4) Su iniziativa del Decano del corpo consolare, e sotto il controllo dei
suoi coadiutori, eÁ pubblicata la «lista consolare», avente la natura giuridica di
cui sopra eÁ cenno.
5) Il Decano, infine, eÁ garante delle norme statutarie che disciplinano lo
vita del C.C., sia all'interno di esso (assemblee e riunioni del Corpo Consolare,
elezioni del Segretario generale), sia all'esterno (rapporti con le AutoritaÁ locali), cosõÁ come eÁ garante del riguardo da parte di queste ultime verso le
rappresentanze consolari, siano esse di carriera od onorarie.
Gennaio-Febbraio 1975
210
DIMENTICATI I CONSOLI ONORARI
NEL PROGETTO DEL NUOVO CODICE DELLA STRADA
CI SIAMO ANCHE NOI, MINISTRO FORLANI!
Non ancora tutti, ma giaÁ siamo centinaia che facciamo parte dell'Unione
dei Consoli Onorari Italiani. Dalla riunione alla Farnesina sono passati solo
pochi mesi e giaÁ l'organismo rivela il suo carattere dinamico e vitale: una
riprova eÁ nel passo compiuto verso il Ministero degli Esteri per un contrassegno, ufficiale e legale, da apporre accanto alla targa automobilistica.
EÁ una antica questione che non fu risolta nel 1966. Il Ministero delle
Finanze aveva opposto il suo veto preoccupato di possibili implicazioni di
ordine fiscale. In parole semplici per il timore che, come per i consoli di
carriera anche i consoli onorari fossero sottratti al pagamento della tassa di
immatricolazione e a quella di circolazione per le autovetture. Bisogna tuttavia
dare atto al Ministero degli Esteri italiano che, in quella occasione, aveva dato
prova di buona volontaÁ formulando, con una apposita commissione interministeriale un provvedimento che, in cinque articoli prevedeva l'assegnazione di
una targa di circolazione anche «agli agenti consolari non di carriera anche se
cittadini italiani purche capi dell'ufficio consolare». Vi aderõÁ pure il Ministero
dei Trasporti, ma quello delle Finanze disse no e il contrassegno non fu
statuito.
Sorge ora una nuova occasione. Nel contesto del progetto di riforma del
Codice della Strada, tuttora all'esame della commissione interministeriale e
prossimo per passare all'esame del Parlamento, potrebbero essere introdotti
degli emendamenti ± sarebbero soltanto due ± agli articoli 122 (ex art. 93) e 5
(ex art. 4) che consentirebbero l'auspicato contrassegno e il diritto di parcheggio delle autovetture di appartenenza dei rappresentanti consolari in prossimitaÁ di sede.
EÁ di questi giorni una precisa richiesta in tal senso avanzata dall'Unione
dei Consoli Onorari al Ministro Forlani, accompagnata da una documentata e
serrata relazione in cui, ricordati la funzione e il ruolo dell'Unione, vengono
esposti i motivi a favore della richiesta. E in veritaÁ sono tanti e tutti validi ed
autentici: per un decoroso assolvimento delle funzioni consolari, per il fatto
211
che in altri Paesi ± come in Germania ed in Svizzera oltre che in quasi tutti gli
Stati sudamericani ± tale contrassegno eÁ riconosciuto esclusivamente ai consoli
onorari (godendo invece, e giustamente, i Consoli di carriera della targa speciale prevista per gli Agenti diplomatici); per venire incontro all'esigenza di
disporre di posti speciali per il parcheggio delle autovetture consolari; per il
dovere che ha lo Stato Italiano di proteggere la fede pubblica (la mancanza
della norma ha provocato in ogni cittaÁ italiana crescente indiscriminato abuso
di contrassegni simili da parte anche di contrabbandieri o delinquenti motorizzati); per assicurare al Console Onorario la stessa dignitaÁ e prestigio, nell'assolvimento delle sue funzioni, normalmente riservati ai suoi colleghi di
carriera.
I consoli onorari (quelli che ancora non hanno aderito) non possono
ignorare se stessi, a patto che gli altri continuino a ignorarli o quanto meno
a non tenerli nel conto dovuto. Questo primo passo ufficiale compiuto dall'Unione (la relazione al Ministro Forlani per l'ormai annosa questione del
contrassegno) conferma l'esigenza di uno schieramento compatto. Anche per
«fronteggiare» quella pur cortese barriera che una certa parte della Farnesina
continua a tenere innalzata verso i consoli onorari. EÁ pur vero che certi
comportamenti di ieri sembrano superati dal singolare gesto di distinzione
compiuto dalla Farnesina ± per volontaÁ del suo Segretario Generale l'Ambasciatore Manzini ± con l'ospitalitaÁ accordata alla prima assemblea della Unione
perche avesse luogo nella sede piuÁ propria. Ma non tutti gli ostacoli e non tutte
le ingiuste riserve sono state rimosse.
Queste poche considerazioni formulate a poco piuÁ che tre mesi dalla
costituzione dell'Unione ci sembrano opportune: l'Unione ha dimostrato in
appena novanta giorni la sua vitalitaÁ, la sua immediata disponibilitaÁ alle proposte ed alle azioni a vantaggio della categoria, la sua funzione nella realtaÁ
storica dell'Istituto Consolare Onorario e nella evoluzione verso una forma
associativa sulla scorta di quanto egualmente avviene nei piuÁ disparati settori
della vita nazionale. Una forma associativa che, con la massiccia adesione degli
interessati di tutta Italia, costituisce fin d'ora un efficace strumento per la
difesa e prestigio dei consoli onorari italiani.
E queste considerazioni ± ce lo consenta il caro Ministro Forlani ± non
possono essere minimamente ignorate dal suo Dicastero.
Aprile-Giugno 1977
212
UN'IMPORTANTE RECENTE DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE
RICONOSCIUTA L'IMMUNITAÁ CONSOLARE
ANCHE PER LA GUIDA ED IL PARCHEGGIO
I principi di diritto enunciati dalla Suprema Corte a Sezioni Unite avvalorano la fondatezza
degli emendamenti agli artt. 5 e 122 del nuovo Codice della Strada proposti dall'Unione dei
Consoli Onorari in Italia.
La Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, ha pronunciato in data 26
maggio 77 una sentenza (n. 4834) di particolare rilievo per una conferma dei
principi relativi alla immunitaÁ consolare, quale stabilita dagli artt. 43 e 58
della Convenzione di Vienna.
Si tratta di una decisione di estrema rilevanza anche perche essa offre una
definizione delle modalitaÁ esplicative dell'ufficio consolare, per stabilire, quindi, l'ambito delle attivitaÁ nel cui esercizio il Console gode della corrispondente
immunitaÁ.
D'altra parte il tema della controversia ha pure consentito ai Giudici della
Suprema Corte di poter ribadire importanti principi inerenti all'ambito della
«immunitaÁ» pure sotto il profilo della individuazione dei poteri dello Stato
ospitante nei cui confronti essa opera.
La controversia ha tratto origine da un prolungato giudizio tra il Prefetto
di Trieste ed il Dott. Alberto Hesse, Console della Repubblica del Cameroun.
Questi: negli anni 1970, 1971, 1972, si sentiva ingiungere, con varie ordinanze del Prefetto di Trieste, il pagamento di somme, per sanzioni pecuniarie,
od accessori, inflittegli per violazioni alle norme sulla circolazione stradale,
regolanti la sosta dei veicoli.
Infatti contro tali ordinanze il Console Hesse, mediante distinti ricorsi, a
norma dell'art. 9 della L. n. 317 del 1967, inoltrava opposizione, innanzi al
Pretore di Trieste. Le opposizioni proposte, traevano, appunto, argomento
dagli artt. 43 e 58 della Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari,
ratificate dallo Stato italiano con L. 9 agosto 67 n. 804.
Il Pretore, disposta la riunione delle procedure, rigettava, tuttavia, le
opposizioni in esse confluite, adducendo la natura amministrativa, e non giu213
risdizionale dei provvedimenti impugnati (solo per questi ultimi, e non anche
per i primi, giovando la immunitaÁ di giurisdizione), l'esclusione dell'ambito
delle funzioni consolari dell'uso dell'auto privata del Console (attraverso una
ristretta definizione della funzione consolare, sganciata dalle attivitaÁ strumentali concorrenti all'esercizio dell'ufficio) ed infine la inammissibilitaÁ della
prova testimoniale articolata dall'oponente, che intendeva con essa dimostrare
l'uso per ragioni del suo ufficio della propria auto privata (in considerazione
della pretesa genericitaÁ delle circostanze dedotte ad oggetto della prova).
Contro tale sentenza il Dott. Hesse proponeva ricorso per Cassazione.
La Suprema Corte, pure respingendo, in definitiva, il ricorso ha colto
l'occasione, come si eÁ detto, per affermare rilevanti principi dei quali si eÁ fatto
cenno all'inizio che possono cosõÁ massimarsi:
1) L'art. 43 della Convenzione di Vienna, allorche statuisce che i funzionari e gli impiegati consolari, per atti compiuti nell'esercizio delle funzioni
consolari «ne sont pas justiciables des autoriteÂs» (non solo) «judicia ires» (ma
anche) «administratives» si riferisce, con la seconda locuzione, non soltanto ai
procedimenti giurisdizionali amministrativi, ma anche agli atti degli organi
amministrativi veri e propri, allorche questi si esplicano attraverso un procedimento paragiudiziale di accertamento della conformitaÁ o meno di un cornportamento alla norma, e si conclude con l'irrogazione di misure che, per la
loro funzione sanzionatoria e repressiva del comportamento tenuto dal soggetto investito dall'officium consolare, possono risolversi anche essi in sostanziali compromissioni della libertaÁ di esercizio dell'ufficio stesso.
2) Anche se si attribuisce all'immunitaÁ consolare una nozione limitata alla
sola giurisdizione in senso stretto (come attivitaÁ soggettivamente giurisdizionale) parimenti l'immunitaÁ consolare, affinche possa realizzare appieno le
finalitaÁ cui eÁ ordinata, deve essere necessariamente intesa almeno in guisa da
sottrarre il soggetto attributario alla possibilitaÁ non solo diretta, ma anche
indiretta, di venire assoggettato alla giurisdizione dello Stato di soggiorno,
con riferimento a quelle ipotesi nelle quali, per legge, la resistenza di un atto
amministrativo si traduce in un procedimento giurisdizionale in senso stretto
per la rimozione degli effetti dell'atto impugnato, per cui l'attributario dell'immunitaÁ sia costretto di propria iniziativa a sottoporsi alla potestaÁ dell'AutoritaÁ Giudiziaria dello Stato ospitante.
3) L'immunita consolare copre anche attivitaÁ materiali del Console quali
la guida ed il parcheggio di un'autovettura, allorche queste si presentino
strumentalmente collegate con l'esercizio della funzione consolare, secondo
un accertamento devoluto alla esclusiva cognizione del giudice di merito, la
cui indagine deve essere svolta con attento e prudente contemperamento dei
mezzi materiali occorrenti all'esercizio della funzione, tuttavia, in ordine ad
essi, scrutinando in base alle singole circostanze di concreta prospettazione.
214
Per altro la Suprema Corte con la cennata sentenza si eÁ richiamata anche
al principio giaÁ affermato dallo stesso Collegio (Sezioni Unite 7 luglio 76,
sentenza n. 3007) per cui: rientrano nell'ambito della immunitaÁ garantita dalla
convenzione di Vienna non soltanto gli atti ufficiali, compiuti dal Console
nell'esercizio delle funzioni proprie dell'ufficio ricoperto ma anche tutti gli
atti e le attivitaÁ che, pur non essendo per se tali, siano strumentalmente o
eziologicamente connessi al compimento degli atti ufficiali, riferibili per il
tramite dell'autore, allo stato estero sotto il profilo pubblicistico.
A nostro avviso i principi di diritto enunciati dalla Cassazione offrono
un'esatta interpretazione della normativa adottata dalla legislazione italiana in
materia consolare, attraverso il protocollo della Convenzione di Vienna.
Dall'altra parte, allo stesso modo di come nel diritto pubblico interno, il
concetto della funzione amministrativa non eÁ mai inteso in senso cosõÁ ristretto
da espungerne le attivitaÁ materiali che vi sono preordinate, a presupposto,
condizione o modalitaÁ esecutiva di esercizio, in egual misura deve ritenersi con
riguardo ai rapporti di reciprocitaÁ internazionali.
Piuttosto si avverte sempre piuÁ l'esigenza che sia lo Stato a disciplinare
con specifica normativa, i limiti e le condizioni limitative dell'ambito di riferimento dell'immunitaÁ, in relazione alle attivitaÁ materiali connesse all'esercizio della funzione consolare. Per evidenti ragioni di tutela, innanzitutto della
fede pubblica, come, con riferimento all'uso delle autovetture attraverso l'assegnazione alle stesse del contrassegno «CC».
Per tutte le suesposte considerazioni., appare sempre piuÁ legittima la
proposta di emendamenti agli artt. 5 e 122 del progetto del nuovo codice della
strada, legittimamente avanzata e circostanziatamente sviluppata e documentata anche con esegesi comparativa rispetto alla normativa di altri Stati Europei alla Commissione interministeriale preposta alla redazione del detto
progetto, attraverso una relazione inviata al Ministro degli Affari Esteri nel
giugno 1977 dall'Unione dei Consoli Onorari in Italia e giaÁ provvidamente
accettata dal Capo del Cerimoniale del detto dicastero.
Ottobre-Dicembre 1977
215
LETTERA APERTA AL MINISTRO FORLANI
IL PERCHEÂ DI UNA UDIENZA
Signor Ministro,
ci rendiamo conto che i doveri del Suo alto ufficio difficilmente possono
consentirLe di attribuire spazio, tempo e considerazione ai problemi dell'Unione dei Consoli Onorari in Italia. Questi, certamente, i motivi per i quali
una udienza piuÁ volte richiesta e vivamente sollecitata ancora non eÁ stata
concessa. Diamo atto, e subito, al Capo della Sua Segreteria Particolare Prefetto Semprini, ai Suoi Sottosegretari On.li Radi e Sanza di essersi resi conto,
con molta sensibilitaÁ, degli argomenti e dei problemi che sono alla base del
richiesto colloquio. Ma finora Ella non ha potuto riceverci privandoci della
possibilitaÁ di esprimerLe Ð dopo l'avvenuta costituzione della U.C.O.I. e
dopo il suo primo anno di vita giaÁ ricco di affermazioni e consensi ± il nostro
doveroso omaggio alla Sua persona ed al Governo che rappresenta, oltre che
chiedere il Suo personale impegno almeno verso il problema piuÁ attuale che
pur potendo presentarsi, a prima vista, di non grande rilievo costituisce, in
realtaÁ, nell'imminenza dell'approvazione della lezione definitiva del nuovo
Codice della Strada, un test di verifica dell'attenzione del Governo verso la
categoria dei Consoli Onorari. Una categoria, non ci stanchiamo di ripeterlo,
Signor Ministro, che fino ad oggi non ha goduto di quell'apprezzamento e di
quella considerazione che pur ampiamente crediamo essa meriti per i motivi
espressi nelle sue prime due assemblee nazionali.
Il problema eÁ appunto quello del cosiddetto «contrassegno» per le autovetture del Console Onorario. Dopo le non poche documentate istanze a Lei
direttamente rivolte ecco, in sintesi, la situazione:
1) Al Console da Carriera il Ministero Affari Esteri si eÁ preoccupato, e
giustamente, in sede di commissione interministeriale per la redazione del
nuovo Codice della Strada, di assicurare una targa speciale, paritetica a quella
dei rappresentanti diplomatici. Ha trascurato, invece, di considerare la funzione del Console Onorario, identica nel suo contenuto e nei suoi strumenti
operativi a quella del Console di Carriera, malgrado il Suo dicastero e gli altri
dicasteri competenti avessero, nel 1964, concordato un provvedimento che
216
prevedeva «l'assegnazione da parte del Ministero dei Trasporti di una targa di
circolazione anche agli agenti consolari non di carriera, anche se cittadini
italiani, purche capi dell'ufficio consolare.
2) L'unione dei Consoli Onorari, con l'istanza di emendamenti all'art.
126 del progetto per il nuovo codice, avanzata a Lei ed ai Sigg. Ministri dei
Trasporti, LL.PP. e Interni, aveva chiesto che al Console Onorario venisse
riconosciuto almeno un contrassegno da apporre a fianco alla targa, rinunciandosi cosõÁ a qualsiasi privilegio di natura fiscale e tributario; cioÁ, d'altra parte,
in perfetta sintonia con la legislazione vigente in numerosi altri Stati Europei
(di cui abbiamo fornito ampia prova documentale).
3) Per conseguire piuÁ celermente e piuÁ sicuramente tale finalitaÁ l'Unione
aveva domandato (e ripetutamente domanda, attraverso ogni canale) che un'espressa richiesta in tali sensi venisse avanzata dal Suo dicastero ± e con lo
stesso incondizionato riconoscimento accordatoci verbalmente dall'Ufficio del
Cerimoniale ± agli altri tre dicasteri interessati: passo basilare ed indispensabile per una concreta e sollecita soluzione. Sta peroÁ di fatto che mentre gli altri
Ministeri, compulsati dall'Unione, riservano la loro favorevole adesione a una
esplicita e convinta richiesta, il Suo Ministero ± dopo non poche tergiversazioni ± intenderebbe «sollevare la questione relativa alla regolamentazione del
contrassegno per i Consoli Onorari solo in sede di riesame definitivo del
disegno di legge». CioeÁ, Signor Ministro, all'ultimo momento dell'ultima fase
e quando qualsiasi ripensamento o modifica potrebbero non trovare piuÁ tempo
per essere accolti.
Ma perche tutto questo, Signor Ministro? PercheÂ, Signor Ministro, si
assicura dal Suo Dicastero alla Unione, giaÁ eÁ un anno, di aver avanzato apposita richiesta, nel senso auspicato, al Ministero dei Trasporti mentre a quest'ultimo, come agli altri Dicasteri, nulla ancora sin oggi eÁ pervenuto?
E perche mai, proprio il Suo Dicastero, che se ne rese promotore il
15.12.64 tenta, oggi, d'affievolire, se non addirittura di rinnegare, la sua
iniziativa di allora, pure accettata dagli altri Dicasteri, malgrado essa contenesse quelle esenzioni di natura fiscale e tributaria che invece l'attuale richiesta dell'Unione per un semplice contrassegno non contempla?
PercheÂ, infine, il Suo Ministero, «cui spetta istituzionalmente esprimere
una valutazione sull'argomento e far propria la richiesta di emendamenti
avanzata dalla UCOI», come rettamente ci obietta un altro Dicastero, consente che un Funzionario del Ministero dei LL.PP ± che ignora sia la normativa della Convenzione di Vienna, sia la pariteticitaÁ delle funzioni assolte dalle
due categorie consolari ± esprima, in proposito del richiesto contrassegno,
«l'inopportunitaÁ di introdurre privilegi non giustificati, quali quelli richiesti
dalla categoria dei Consoli Onorari »?
E percheÂ, On.le Ministro Forlani, di fronte a sõÁ arbitrarie ed affrettate
217
valutazioni, non un intervento, non una rettifica, non una presa di posizione
ufficiale da parte del Suo Dicastero quantunque l'occasione fosse stata quanto
mai propizia per ristabilire alcune veritaÁ ed alcuni equilibri?
Questi interrogativi ± pur relativi ad un argomento che noi stessi in
principio abbiamo dichiarato poter sembrare banale ± vanno, come Ella certamente avverte, Signor Ministro, ben al di laÁ della loro effettiva portata ed
investono il ruolo e la rappresentativitaÁ della Unione alla quale ha aderito la
stragrande maggioranza dei Consoli Onorari in Italia, nonche le funzioni di
questi ultimi i quali, assolvendo gratuitamente e con la stessa dignitaÁ dei
Consoli di Carriera ai compiti del loro ufficio, si sentono lesi non soltanto
come rappresentanti di Stati Esteri ma anche e soprattutto come cittadini
italiani.
EÁ per questo che ci rivolgiamo con rinnovata speranza direttamente a Lei
perche si ponga finalmente fine a questo discriminante, dilatorio e contraddittorio comportamento ed a qualsiasi altro che non costituisca giusto apprezzamento e rispetto alla persona ed all'opera del Console Onorario!
In un momento in cui la forza dell'Associazionismo, in ogni settore della
vita pubblica del Paese, riesce a far valere tutto il suo peso nei confronti del
Governo della Repubblica per la difesa ed il riconoscimento dei diritti delle
singole categorie, non si vede perche soltanto l'Unione dei Consoli Onorari
debba subire, in eterno e composto silenzio, immeritevoli trattamenti.
Resta chiaro che se questa piuÁ recente decisione ± che ormai non puoÁ
sorprenderci ± di far slittare al momento meno favorevole ed oltre ogni ragionevole attesa, la nostra richiesta di emendamento dell'art. 126, debba servire a
far ricadere su altri dicasteri responsabilitaÁ che, per una somma di motivi,
sono soltanto del Suo Ministero, allora l'Unione dovraÁ studiare ogni ulteriore
rimedio a tutela dei suoi aderenti, non escluso il ricorso in Parlamento ed agli
organi di stampa di diffusione nazionale, per portare all'attenzione del Paese
lo sfavorevole trattamento riservato, e solo qui in Italia, al Console Onorario.
Ma a tutto questo, ci creda Signor Ministro, non vogliamo assolutamente
pervenire. Ed eÁ percioÁ che in attesa dell'auspicata udienza, per la seconda volta, in meno di un anno, dalle colonne di questo periodico, ± nel quale l'Unione,
in attesa di darsi un proprio organo di stampa, trova larga ospitalitaÁ ± ci
rivolgiamo, con simpatia e fiducia, a Lei, personalmente.
Aprile-Giugno 1978
218
DIRITTO E GIURISPRUDENZA CONSOLARE
I CONSOLATI IN PROPRIO
NON POSSONO ESSERE CONVENUTI IN GIUDIZIO
La stampa nazionale (da ultimo il «Giornale Nuovo» del 20-11-78) ha
dato ampio risalto alla sentenza emessa il 12-10-78 dal Pretore di Milano, in
funzione di Giudice del Lavoro di I grado, con la quale, accogliendo il ricorso
di tal Brancato Natale usciere presso il Consolato Generale di Turchia in
Milano ha condannato quest'ultimo al pagamento della dovuta indennitaÁ di
anzianitaÁ.
La decisione, a nostro avviso, lungi dal costituire una innovazione giurisprudenziale sotto il profilo della immunitaÁ giurisdizionale, eÁ rilevante, invece,
per la sua censurabilitaÁ, tenuto conto che il Consolato convenuto in proprio,
come nel caso di specie, eÁ carente di legittimazione passiva.
Quanto al primo punto (competenza o meno dell'AutoritaÁ Giudiziaria
Ordinaria a decidere) ± come eÁ giurisprudenza ormai consolidata (confr. da
ult. sentenza Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite del 31-3-77 tra
Consolato Generale di Panama in Venezia e Rubini Maria) e come ci siamo
occupati piuÁ volte in passato in questa rubrica ± occorre che il Magistrato
adito stabilisca, innanzitutto, la natura dell'organo e della sua attivitaÁ rispetto
ai fini istituzionali dello Stato, nonche la natura delle funzioni svolte dal
lavoratore, come partecipi o meno dell'attivitaÁ statale dell'organo, del quale
eÁ stato dipendente, qualificandosi il rapporto di natura pubblicistica, con la
conseguente immunitaÁ giurisdizionale a favore dello Stato straniero quando
risulti che il dipendente abbia svolto una di quelle attivitaÁ che concorrono a
formare la volontaÁ dell'organo sia in senso sostanziale che formale. E per vero
il Pretore di Milano ha adempiuto a tale precetto quando ha rettamente
motivato che «il principio di rispetto della sovranitaÁ dello Stato dal quale
consegue l'immunitaÁ dalla giurisdizione civile dello Stato straniero ± eÁ limitato
dalla giurisprudenza a quei rapporti nei quali lo Stato straniero si comporta
come soggetto di diritto internazionale ed a quello nei quali esso agisce come
titolare della potestaÁ d'imperio nell'ordinamento di cui eÁ portatore». Nel caso
specifico, invece, «la natura dell'attivitaÁ svolta dal ricorrente, usciere addetto
219
alle pulizie, eÁ tale da escludere che possa essere considerata come direttamente
collegata all'organizzazione dello Stato straniero e quindi come estrinsecazione della sua attivitaÁ sovrana».
La decisione, invece, ci sorprende quando il Giudicante non ha inteso
dichiarare inammissibile il ricorso cosõÁ come prospettato dal Brancato contro
l'ente evocato in giudizio (Consolato Generale di Turchia) anche se contumace.
Anche qui la Giurisprudenza eÁ costante (confr., tra l'altro, sentenza Tribunale Napoli 29-5/26-6-73 tra D'Aponte Attanasio e Consolato della Repubblica di Argentina in Napoli) nel ritenere che i Consolati non sono enti autonomi con personalitaÁ propria bensõÁ organi dello stato che rappresentano, di
guisa che l'attivitaÁ che essi svolgono nell'ambito dello stato territoriale eÁ
ascrivibile sempre e soltanto al c.d. stato della missione.
Perche un ente straniero, come eÁ certamente un consolato, possa infatti
considerarsi persona giuridica nel nostro ordinamento eÁ necessario che esso sia
fornito da personalitaÁ giuridica alla stregua dell'ordinamento di origine (art.
16, comma secondo, disposizioni preliminari cc.); ne segue che per potersi
riconoscere ad un consolato la personalitaÁ giuridica occorrerebbe dimostrare
che l'ordinamento dello stato di appartenenza considera i consolati enti collettivi forniti di personalitaÁ, cioÁ che puoÁ essere con sicurezza escluso in quanto
rappresenterebbe una deviazione rispetto al modello riorganizzativo proprio di
ogni stato moderno ed in quanto, comunque, nessun elemento eÁ emerso a
conforto di una simile ipotesi.
Si aggiunge poi che il Consolato non ha istituzionalmente la capacitaÁ di
rappresentare in giudizio lo stato della missione, essendo le sue funzioni (descritte analiticamente dalla Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari)
limitate essenzialmente alla protezione degli interessi dei cittadini dello Stato
rappresentato mediante opportuni contatti con le autoritaÁ periferiche dello
stato territoriale (cfr. Trib. Napoli 4-3-1966, in Temi Napoletana 1966, I,
221).
CioÁ premesso, non avendo il Giudice la possibilitaÁ, per la carenza del
suddetto presupposto, di scendere all'esame del merito, la domanda del Brancato andava dichiarata inammissibile.
Ci risulta, infine, che anche il Tribunale di Napoli, quale Giudice del
Lavoro di secondo grado, eÁ stato chiamato a pronunciarsi su di una analoga
questione e si attende con interesse di conoscere la sentenza che verraÁ pronunciata, ci auguriamo, in conformita ai principi giurisprudenziali innanzi
esposti che, a nostro avviso risolvano con correttezza interpretativa in diritto
le controversie che ancora continuano ad interessare l'argomento.
Ottobre-Dicembre 1978
220
DIRITTO E GIURISPRUDENZA CONSOLARE
II TRIBUNALE DI NAPOLI CONFERMA IL DIFETTO
DI GIURISDIZIONE DELL'AUTORITAÁ GIUDIZIARIA ORDINARIA
NEI RAPPORTI TRA CONSOLATI E DIPENDENTI
II Console Onorario, al pari di quello di Carriera, non puoÁ essere convenuto in giudizio per
prestazioni lavorative dal proprio dipendente, sia anche esso V. Console Onorario, quando
il rapporto di subordinazione e esclusivamente connesso all'attivitaÁ dell'Ufficio Consolare.
Con sentenza n. 6645/83 emessa dalla IX Sez. Civile, il Tribunale di
Napoli (Presidente Ianniruberto, Cons. Rel. Cosentino) in data 17-6/27-91983 pronunciando sull'appello proposto da Pagnotta Larson Birgitt ± che
aveva giaÁ convenuto innanzi al Giudice del Lavoro della Pretura di Napoli
l'allora Console Onorario di Svezia Avv. Agostino Pansa Cedronio ± ha dichiarato il difetto di giurisdizione dell'AutoritaÁ Giudiziaria Ordinaria.
La Larson, premesso di aver lavorato alle dipendenze del Consolato Onorario di Svezia, di cui l'Avv. Agostino Pansa Cedronio era titolare, dal luglio
1963 al marzo 1964 quale impiegata, di poi Cancelliere Onorario sino al
dicembre del 1967 ed infine V. Console Onorario, con riconoscimento di
relativo exequatur, sino alla cessazione del rapporto avvenuto nel settembre
1980, ha lamentato la inadeguatezza della paga ricevuta rispetto a quella
prevista dal CCNL dei dipendenti degli studi professionali e dall'art. 36 della
Costituzione, chiedendo, di conseguenza, la condanna del convenuto al pagamento della somma di circa L. 28.000.000.
Pregiudizialmente all'esame delle censure di merito, il Tribunale, esaminando la sussistenza o meno della propria competenza a giudicare, dichiarava
il difetto della propria giurisdizione. Quanto al periodo successivo al 10
marzo 1964, trattandosi di prestazioni assolte nel contesto di specifici compiti connessi alle funzioni di Cancelliere prima e di V. Console Onorario poi,
delle quali era stata investita ufficialmente dallo Stato di rappresentanza, il
Tribunale di Napoli, in considerazione sia della prospettazione offerta dalla
Larson delle mansioni e dei compiti da essa medesima espletati, sia della
normativa vigente nello Stato di appartenenza sui servizi di rappresentanza
221
all'estero, rilevava giustamente ed agevolmente il difetto della propria giurisdizione.
«La Larson ± si rileva nella citata sentenza ± deve ritenersi dal 1964, epoca
in cui venne investita prima della carica di Cancelliere e successivamente, dal 1968,
della carica di V. Console, del tutto inserita nell'organizzazione della struttura
consolare della rappresentanza svedese ed impegnata nell'assolvimento dei fini
istituzionali tipici della sede consolare, rivestendo la carica con riflessi esterni, cioeÁ
di rappresentativitaÁ dello Stato di appartenenza e con la incidenza, per cosõÁ dire
pubblica, del funzionario consolare, prevista dalla Convenzione di Vienna del 24
aprile 1963 (art. 1, par. 1 lett. D)».
Quanto al periodo antecedente alle investiture ufficiali da parte delle
competenti AutoritaÁ dello Stato svedese (1963-1964), il Tribunale, con una
motivazione che si ricollega ai piuÁ autorevoli precedenti giurisprudenziali, ha
parimenti dichiarato la propria carenza di giurisdizione trovandone la giustificazione in altri principi giuridici.
Invero ± rileva il Tribunale ± l'art. 58 della Convenzione di Vienna sulle
relazioni consolari del 24 aprile 1963 che ha ricevuto ratifica dall'Italia con legge
9-8-1967 n. 804, nel parificare i Consoli Onoriari ai Consoli retribuiti, consente
espressamente l'applicazione per i primi dell'art. 43. In virtuÁ delle citate normative
devono ritenersi sottratti alla giurisdizione dello Stato di invio, gli atti compiuti dai
funzionari ed impiegati consolari all'estero nell'esercizio delle loro funzioni, eccezioni fatte per due ipotesi tassativamente contemplate: azione civile risultante dalla
conclusione di un contratto stipulato da un funzionario consolare che egli non ha
concluso espressamente o implicitamente in quanto mandatario dello Stato di invio
oppure azione civile intentata da un terzo per un danno risultante da un incidente
causato, nello Stato di residenza, da un veicolo, una nave o un'aeronave. Pertanto,
anche a voler ritenere che per il periodo 1963-1964 fosse configurabile un rapporto
di subordiniazione, i fatti caratterizzanti lo stesso quanto a genesi, evoluzione,
miodalitaÁ, a tempi, nonche contenuto della prestazione lavorativa, debbono ritenersi sottratti alla giurisdizione dell'AutoritaÁ Giudiziaria, in quanto la conclusione
del contratto di tal genere costituirebbe tipico atto posto in essere dal Console
nell'esercizio delle sue funzioni istituzionali. E cioÁ perche gli atti funzionali assistiti
da immunitaÁ, pure essendo posti in essere materialmente dal Console, sono in realtaÁ
imputabili allo Stato di invio nell'interesse del quale egli ha agito.
Una sentenza, questa, ineccepibile per chiarezza di motivazione e per
conformitaÁ ai precedenti dottrinali e giurisprudenziali. Infatti, come ci siamo
occupati piuÁ volte in passato in questa rubrica, occorre che il magistrato adito
stabilisca, innanzitutto, la natura dell'Organo e della attivitaÁ rispetto ai fini
istituzionali dello Stato, nonche la natura delle funzioni svolte dal dipendente,
come partecipi o meno dell'attivitaÁ statale dell'Organo, del quale eÁ stato
dipendente, qualificandosi il rapporto di natura pubblicistica, con la conse222
guente immunitaÁ giurisdizionale a favore dello Stato straniero quando risulta
che il dipendente abbia svolto una di quelle attivitaÁ che concorrono a formare
la volontaÁ dell'Organo sia in senso sostanziale che formale (cfr. in tali sensi:
sentenza della Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite del 31-3-1977 tra
Consolato Generale di Panama in Venezia e Rubini Maria).
I Consolati non sono enti autonomi con personalitaÁ propria bensõÁ Organi
dello Stato che essi rappresentano, di guisa che l'attivitaÁ che essi svolgono
nell'ambito dello Stato territoriale eÁ ascrivibile sempre e soltanto al c.d. Stato
della missione.
Perche un ente straniero, come eÁ certamente un Consolato, possa infatti
considerarsi persona giuridica nel nostro ordinamento, e necessario che esso
sia fornito di personalitaÁ giuridica alla stregua dell'ordinamento di origine; ne
segue che per potersi riconoscere ad un Consolato la personalitaÁ giuridica
occorrerebbe dimostrare che l'ordinamento dello Stato di appartenenza considera i Consolati enti collettivi forniti di personalitaÁ, cioÁ che puoÁ essere con
sicurezza escluso in quanto rappresenterebbe una deviaziome rispetto al modello organizzativo proprio di ogni Stato moderno ed in quanto, comunque
nessun elemento eÁ emerso a conforto di una simile ipotesi.
Si aggiunge poi che il Consolato non ha istituzionalmente la capacitaÁ di
rappresentare in giudizio lo Stato della missione, essendo le sue funzioni
(descritte analitivamente dalla Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari) limitate essenzialmente alla protezione degli interessi dei cittadini dello
Stato rappresentato mediante opportuni contatti con le autoritaÁ periferiche
dello Stato territoriale (cfr. Trib. Napoli 4-3-1966, in Temi Napoletana 1966,
I, 221; Trib. Napoli 29-5/26-6-1973 tra D'Aponte Attanasio e Consolato della
Rep. Argentina in Napoli). Ne accoglimento ha potuto avere la domanda
proposta innanzi al giudice del lavoro della Pretura di Napoli dal Sig. Vincenzo Scotellaro con ricorso 18-1-1982 contro il Consolato della Rep. Federativa del Brasile.
Vogliamo infine ricordare la rilevante sentenza 18.6.1979 n. 48 della
Corte Costituzionale (G.U. 27-6-1979 n. 175 in F.I. 1979, I, 1644) che ha
ritenuto infondata la questione di costituzionalitaÁ dell'art. 31, 1ë e 3ë paragrafo, della Convenzione di Vienna del 18 aprile 1961 sulle immunitaÁ diplomatiche, resa esecutiva in Italia con legge 9 agosto 1967 n. 804 (che ratificava
anche la Convenzione sulle relazioni consolari adottata a Vienna il 24 aprile
1963), nella parte in cui prevede il difetto di giurisdizione dell'autorita giudiziaria nazionale in materia civile e di esecuzione di provvedimenti giudiziari
civili, nei confronti degli agenti diplomatici, in riferimento agli artt. 2, 3, 1ë
comma, 10, 2ë comma, 11, 24, 1ë comma, e 102, 1ë comma, Cost.
Luglio-Dicembre 1983
223
Á IMPROCRASTINABILE IL RICORSO ALL'O.N.U. PER L'AGGIORNAMENTO
SEMPRE PIU
DELLA CONVENZIONE DI VIENNA DEL 24 APRILE 1963
IMMINENTE LA COSTITUZIONE DELLA FIUCH
New York, Parigi, Bruxelles e Malta sono le cittaÁ candidate a sedi per
effettuare la costituzione della F.I.U.C.H. (Federation International des
Unions des Consuls Honoraires), approvarne lo statuto e programmare le
istanze da portare all'esame delle Nazioni Unite appena tale Federazione potraÁ
contare sull'adesione di un notevole numero di Unioni od Associazioni giaÁ
costituite su piano nazionale nei singoli Paesi (e non sono poche con un
numero rilevante, peraltro, di associati) o in corso di costituzione (e potranno
essere numerose).
L'Organo Federativo dovraÁ approntare il proprio statuto con le finalitaÁ e
le considerazioni illustrate dal Cons. Guido Raimondi, Magistrato di Cassazione, nel contesto dei lavori della XXV Assemblea Nazionale dell'U.C.O.I.
svoltasi a Mantova nell'aprile 2001.
Quanto alla scelta della cittaÁ, sede per la costituzione della FIUCH, se
alle metropoli dei tre Stati carismatici si eÁ voluto aggiungere Malta, cioÁ eÁ
dovuto all'attenta considerazione che tutti i Consoli Onorari di Malta convenuti al recente Convegno Internazionale svoltosi a La Valletta nel novembre
scorso, hanno apprezzato la proposta che a nome dell'UCOI ho ad essi anticipata a chiusura dei lavori; e tutti, dopo averne riconosciuto la fondatezza e la
legittimitaÁ, si sono impegnati a sostenerla e a divulgarla nei rispettivi Paesi di
residenza al fine di costituire, negli Stati ove ancora manchi, una Unione od
Associazione rappresentativa di Consoli Onorari, o a rafforzarla in quelli ove
esse siano giaÁ costituite. La proposta peraltro ha meritato attenta considerazione e vivo apprezzamento anche dal Signor Ministro degli Esteri di Malta,
On. Micheal Frendo.
Quale che sia, comunque, lo Stato o la cittaÁ che avraÁ il privilegio di veder
sottoscrivere la carta costitutiva della FIUCH, Malta ± ne sono ben certo, per
il contributo che i suoi consoli onorari sapranno dare all'iniziativa ± avraÁ
quanto meno legato il suo nome a tale costituzione.
L'U.C.O.I., sin dalla costituzione avvenuta in Roma presso la sede del
224
Ministero degli Affari Esteri nel febbraio 1977, ha sempre e fortemente
creduto nei valori dell'associazionismo in quanto, come rilevava il grande
giurista e Console Onorario di Albania a Napoli negli anni 30, Edgardo Borselli: ``solo dall'unione si puoÁ trarre maggiore forza perche i problemi del singolo
diventano problemi della collettivitaÁ; il singolo, infatti, eÁ geloso della propria
autonomia, e non considera che un'organizzazione o un raggruppamento non
estingue ma al contrario potenzia e difende ogni utile realizazione. I singoli riescono a farsi valere, nell'insieme degli interessi eventualmente contrastanti, in
quanto siano organizzati. La utilitaÁ dell'associazionismo eÁ una realtaÁ della quale
bisogna rendersi conto: la maturazione della coscienza solidaristica rappresenta un
vantaggio innegabile contro il fenomeno dell'attivitaÁ del singolo che continua a
vivere avulso da ogni forma associativa''.
Occorre, pertanto, che una forza ufficialmente costituita e fortemente
rappresentata, come si eÁ detto, da Sodalizi Nazionali provveda tra l'altro a
richiedere all'ONU: 1) il riconoscimento di N.G.O. avendone pieno titolo; 2)
l'applicazione paritetica in tutti gli Stati membri della normativa della Convenzione di Vienna del 1963 in attesa che la stessa, ormai obsoleta rispetto alle
odierne esigenze, possa essere aggiornata; 3) l'accoglimento della istanza che
l'UCOI, in occasione della Conferenza Intergovernativa dei Ministri degli
Affari Esteri dell'Unione Europea svoltasi a Napoli il 28-29 novembre
2003, ha fatto pervenire a mezzo dei 25 Sigg. Ambasciatori dei rispettivi
Paesi accreditati a Roma, avente ad oggetto l'applicazione uniforme, in ambito
europeo, della Convenzione. In tale nota in particolare veniva richiamata
l'attenzione degli Stati membri sull'applicazione paritetica quanto meno di
sette articoli di quella Convenzione in gran parte disapplicati. Si invoca, in
particolare, una normativa comunitaria articolata nelle seguenti sei disposizioni connesse alle materie qui di seguito indicate:
ValiditaÁ dell'exequatur in conformitaÁ delle lettere patenti rilasciate dallo Stato
di invio (art. 12).
Lo Stato di residenza deve essere tenuto a rispettare i periodi di esercizio
delle funzioni di Console Onorario stabilite dallo Stato di invio. Difatti anche
il Console Onorario, come quello di Carriera, eÁ sottoposto alle decisioni esclusivamente dello Stato che rappresenta, relativamente pure alla durata del
proprio incarico, in quanto anche la durata rientra nel contenuto del rapporto
che lega a tale Stato il Console Onorario.
Mentre la Convenzione di Vienna prevede la revoca di un exequatur
(artt. 23 e 25), con le conseguenze che ne discendono, essa non consente che
ad un exequatur sia posto un termine non determinato dallo Stato di invio.
Potere dello Stato di invio di stabilire il termine di cessazione dell'incarico
consolare onorario per limite di etaÁ (art. 25).
Questo potere deriva da una precisa norma. L'eventuale interferenza in
225
questa materia da parte dello Stato di residenza eÁ in contrasto con il principio
di paritaÁ di trattamento e viola la sovranitaÁ dello Stato di invio.
Dovere delle AutoritaÁ Locali di considerare sullo stesso piano i Consoli Onorari ed i Consoli di Carriera (art. 16).
Non possono essere di conseguenza consentite diverse collocazioni dei
Consoli di Carriera ed Onorari ± se non per classi, come suindicato ± nell'ambito della gerarchia e delle precedenze delle AutoritaÁ estere ai fini dei rapporti
con le AutoritaÁ locali. (Non a caso l'U.C.O.I. ha richiesto con ricorso del suo
Presidente Prof. Avv. Giovanni Puoti al Presidente della Repubblica l'annullamento del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 14 aprile
2006, pubblicato in G.U. n. 174 del 28 luglio 2006 contenente le Disposizioni
generali in materia di cerimoniale e di precedenza tra le cariche pubbliche''.
Nomina di Funzionari Consolari in aggiunta al Titolare dell'Ufficio Consolare Onorario allorquando comprovate esigenze lo richiedano (art. 19).
Il divieto indiscriminato ed immotivato di tali nomine da parte di taluni
Stati di residenza costituisce grave esplicita violazione dello spirito di cui alla
lettera dell'art. 19, sub 3 della Convenzione di Vienna. Qualche Paese, come
l'Italia, non consente la nomina di un V. Console Onorario anche quando le
esigenze dell'ufficio lo richiedono.
PariteticitaÁ di garanzia del diritto alla libertaÁ di movimento e di circolazione
dei funzionari consolari (art. 34).
Ogni discriminazione nel garantire il diritto ± fissato dalla Convenzione
di Vienna all'art. 34 ± alla libera circolazione per l'espletamento delle funzioni
consolari deve essere eliminata anche sotto il profilo formale. Pertanto eÁ priva
della condizione di validitaÁ e di efficacia la legge nazionale che consente una
targa speciale alle autovetture dei soli Consoli di Carriera, riconoscendo ai
Consoli Onorari soltanto un contrassegno che presuppone una inesistente
differenza di funzioni.
``Laissez-passer'' consolare (art. 34 e 35).
Esso consentirebbe ai Consoli Onorari di essere titolari degli stessi diritti
che sono riconosciuti ai Consoli di Carriera ± usualmente titolari di passaporti
diplomatici ± negli spostamenti nazionali ed internazionali. Un Console Onorario, che si sposta per motivi legati al proprio Ufficio, eÁ trattato, ai posti di
frontiera, non come un Console di Carriera, che pur svolge le medesime funzioni, bensõÁ come un comune cittadino, in violazione della Convezione di
Vienna, anche se i suoi bagagli dovessero contenere documenti riservati, i quali,
invece, per tutto il tempo in cui sono custoditi nel posto consolare, sono protetti
da inviolabilitaÁ, in quanto, ivi, le ispezioni della Forza pubblica possono essere
autorizzate solo da una specifica disposizione del Govero dello Stato ospitante.
***
226
Non ci fa velo riconoscere che nessuno degli stati membri dell'UE ha
onorato di riscontro le nostre proposte. Di qui il ricorso, ineludibile e non piuÁ
procrastinabile di portare le predette ed altre richieste all'esame dell'ONU,
Organo supremo, legittimato ad esaminare e a provvedere sulle fondate richieste avanzate dalla categoria consolare onoraria. E cioÁ nella prevalente duplice
considerazione: 1) che il console onorario opera attivamente e gratuitamente
nei Paesi di tutti i Continenti; 2) che la categoria consolare onoraria, stante la
gratuitaÁ del proprio servizio, va sempre piuÁ sostituendosi a quella di carriera in
quanto anche Paesi ricchi di prima fascia non potendo sostenere le rilevanti
spese che comportano tali uffici, procedono sempre piuÁ a sostituire, anche in
grandi cittaÁ, i propri rappresentanti di carriera con quelli onorari.
Dicembre 2006
227
STATUS E FUNZIONI DEL CONSOLE ONORARIO
La Figura del Console non ha alcun collegamento con l'antico Magistrato
della Repubblica romana bensõÁ nasce con i mercanti del tardo medioevo e del
rinascimento che nei principali centri commerciali del mondo, allora sconosciuto, elessero coloro che dovevano reggere le loro comunitaÁ lontane dalla
madrepatria e che chiamarono appunto ``consules electi''. E fu proprio il Comune di Firenze che, nel XIV secolo al Console eletto a Costantinopoli dai
mercanti fiorentini che operavano in quella cittaÁ, attribuõÁ il compito di vigilare
affincheÁ i privilegi loro concessi dall'imperatore bizantino non venissero violati
o disconosciuti. EÁ il primo esempio di Console nel senso moderno del termine.
Il vasto rinnovamento, poi, del diritto consolare prodottosi dopo la II
guerra mondiale attraverso una molteplicitaÁ di accordi bilaterali ed anche di
convenzioni plurilaterali, il formarsi di nuovi Stati specie nel Terzo Mondo, le
nuove correlazioni economico-sociali costituitesi tra Stati appartenenti a continenti diversi od a ``sfere'' politicamente diverse, la convinzione che le relazioni
consolari erano ormai tipica espressione di una moderna e profonda cooperazione tra gli Stati e tra i popoli, queste ed altre considerazioni indussero la quasi
totalitaÁ degli Stati indipendenti, in numero di 91, a sottoscrivere il 24 aprile
1963 a Vienna, la Convenzione delle Nazioni Unite sulle relazioni consolari.
Da quel giorno, infatti, la figura del Console assume una nuova dimensione nella presente realtaÁ delle relazioni interstatali sõÁ da far esclamare, a
buon diritto, ad un delegato del Governo norvegese durante i lavori preparatori di quella Convenzione ``I Consoli Onorari non sono un fenomeno di ieri
bensõÁ una realtaÁ di domani''; i suoi compiti, infatti, non sono piuÁ di solo
sviluppo economico ma spaziano prevalentemente dall'assistenza alla promozione commerciale e culturale.
II testo della Convenzione (ratificata dall'Italia con Legge 9 agosto 1967, n.
804), con le sue 79. norme e la sua suddivisione in 3 capitoli ± il 1ë connesso alle
``Relazioni Consolari in generale'' (artt. 1-27), il 2ë riguardante le ``Facilitazioni, i
privilegi e le immunitaÁ degli uffici consolari di carriera'' (artt. 28-29) e dei funzionari e degli altri membri aggregati ai consolati di 1ë categoria (artt. 40-57) il 3ë
relativo alle norme del ``Regime applicabile agli uffici ed ai funzionari dei Consolati
228
Onorari'' (artt. 58-68) ± ci offre una chiara visione dei criteri che concorrono, a
seconda dei casi, a distinguere o ad identificare la figura dei Consoli Onorari
(consules electi) in quella dei Consoli di Carriera (consules missi).
Proprio da questa Convenzione codificatrice si staglia ben precisa la
figura del Console Onorario: sotto l'aspetto dello Status ben distinto da quella
del Console di Carriera; sotto l'aspetto delle funzioni similare a quest'ultimo.
Quanto allo status vi eÁ una distinzione fondamentale tra le due categorie:
mentre il Console di Carriera eÁ cittadino dello Stato inviante o rappresentato
(Consul missus, per cioÁ stesso Console inviato), il Console Onorario, viceversa, eÁ cittadino prescelto nello Stato di residenza (quindi Consul electus).
Consegue, pertanto, che il Console di Carriera, che eÁ di 1ë categoria non puoÁ
assolvere ad altra funzione se non quella consolare nella sede in cui egli viene
``inviato'', il Console Onorario, viceversa, puoÁ espletare ± accanto alla sua
funzione consolare ± la propria attivitaÁ sia essa professionale, industriale,
imprenditoriale.
E questo nostro Status di cittadini italiani mentre da un lato ci porta ad
assolvere a tutte le funzioni (come vedremo tra breve) che sono anche del
Console di Carriera, dall'altro ± e diciamolo subito per sgomberare ogni equivoco ± non ci consente di godere quel complesso di trattamenti dei quali solo il
Collega di Carriera eÁ, giustamente, beneficiario in quanto cittadino straniero.
Il Console Onorario, infatti, oltre a non essere remunerato, non eÁ titolare
dell'incolumitaÁ personale, non eÁ esente dall'obbligo di deporre come testimone
sui fatti estranei alle sue funzioni, non gode della immunitaÁ fiscale; non eÁ
ammesso al beneficio della franchigia doganale; non eÁ esonerato dal pagamento della tassa di circolazione e da quella di immatricolazione delle autovetture anche al servizio del proprio ufficio; i membri della sua famiglia e le
persone addette al suo servizio privato non beneficiano di alcun trattamento
speciale. Quanto all'immunitaÁ mentre per il Console di Carriera questa si
estende a tutto l'ufficio consolare, per il Console Onorario tale immunitaÁ si
limita al solo archivio nel quale custodisce atti e documenti connessi alla sua
funzione. CioÁ perche il Console Onorario espleta ``la sua funzione consolare in
via sussidiaria rispetto a quella principale, professionale propria''.
Quanto alle funzioni identico resta lo spirito con il quale le funzioni
consolari sono svolte dai Consoli di carriera e dai Consoli Onorari; esso eÁ
costituito prevalentemente dalla stessa volontaÁ di assistere e proteggere i
cittadini dello Stato durante il loro soggiorno nel territorio dello Stato ricevente; identico l'impegno di promuovere i commerci tra l'uno e l'altro Stato;
identico il proposito di sviluppare le relazioni culturali tra i due Paesi, identica
la vocazione, infine, ad approfondire i vincoli di amicizia e di cooperazione
internazionale.
Il Console Onorario in egual misura a quello di Carriera, eÁ chiamato ad
229
assolvere a molteplici incombenze: prima fra tutte l'assistenza al cittadino del
proprio Paese, considerata sia nel suo momento esterno quale potere-dovere
del Console di assistere i suoi connazionali nei loro rapporti con le AutoritaÁ
locali, con gli Organi Giurisdizionali ecc.; sia considerata nel suo momento
interno allorquando l'assistenza si esaurisce nel contatto fra i connazionali e il
proprio ufficio sul piano dell'informazione, del consiglio, dell'ausilio materiale, ecc.
Di non minore rilevanza la funzione economica commerciale dell'ufficio
consolare; un compito, questo, originario e fondamentale della istituzione consolare nelle singole fasi della sua lunga storia come gli utili suggerimenti che il
Console puoÁ dare al proprio Governo e agli stessi operatori economici per
intensificare i traffici; l'appoggio del Console alle istituzioni commerciali nazionali della sua circoscrizione; la sua cooperazione alle varie Sezioni dell'Ambasciata, dalla quale esso quasi sempre dipende: (Sezione Consolare, Sezione
Culturale, Sezione Commerciale, Sezione Politica, Sezione economica).
Il Console Onorario, al pari di quello di Carriera inoltre eÁ legittimato:
± alle funzioni attinenti ai passaporti sia dei cittadini dello Stato inviante
sia di quello ricevente e sia infine, ai passaporti di altri stranieri,
± alla funzione certificativa nei suoi molteplici aspetti, con riguardo alle
persone fisiche ed alla loro condizione giuridica subiettiva, con riguardo infine
ai documenti stessi (legalizzazione, vidimazione, apposizione di visto, traduzione, rilascio di copie autentiche, ecc.),
± alle funzioni di stato civile con particolare riguardo al matrimonio, alla
cittadinanza e, anche se di rado, al voto del cittadino all'estero.
Ed a tante altre funzioni come:
± quella di volontaria giurisdizione,
± quella notarile,
± quella per i minori e gli incapaci, per la risoluzione delle controversie,
per la esecuzione degli atti processuali fino a quelle in materia successoria,
marittima, aerea, della emigrazione ed immigrazione senza dimenticare la
funzione del Console attinente alle relazioni culturali sia all'interno della
comunitaÁ nazionale che al di fuori di essa.
Possiamo, pertanto, ben dire che cosõÁ operando, i Consoli Onorari sono
gli strumenti ed i militi delle buone relazioni tra la loro Patria, Paese di
residenza e lo Stato che essi rappresentano.
Ma come si diventa Console Onorario? Ecco la domanda ricorrente che mi
sento sovente rivolgere. Requisiti essenziali sono innanzitutto oltre a quelli
richiesti per l'assunzione in qualsivoglia Ufficio della Pubblica Amministrazione (cittadinanza italiana, certificato di condotta specchiatissima ed illibata,
ecc.) l'assenza di pendenze passate o presenti con il fisco.
Normalmente il Paese che intende essere rappresentato da un Console
230
Onorario in una determinata circoscrizione in altro Stato presceglie la persona
(uomo o donna) che oltre a determinati requisiti (etaÁ, attivitaÁ professionale,
qualitaÁ imprenditoriali, censo, notorietaÁ, benemerenze, onorificenze, consistenza patrimoniale) possa avere (od anche aver avuto) rapporti professionali,
commerciali, culturali tra la giurisdizione di residenza (Regione, Provincia,
cittaÁ) e lo Stato d'invio.
L'avvio per la nomina puoÁ scaturire determinata o dalle conoscenze dirette su cui il candidato puoÁ contare nel Paese che intende rappresentare o da
segnalazione di altra influente persona che intrattenga od abbia intrattenuto
rapporti con la Pubblica Amministrazione, AutoritaÁ, esponenti dell'imprenditoria dello Stato Estero od, infine, da avvenimenti casuali.
Quanto alla procedura per la nomina di un Console Onorario in Italia, va
rilevato che presupposto essenziale alla sua nomina eÁ l'esistenza di un Ufficio
Consolare Onorario che puoÁ essere istituito soltanto con il consenso preventivo
dello Stato territoriale. Infatti 1'art. 68 della Convenzione di Vienna sulle Relazioni Consolari stabilisce che ogni Stato eÁ libero di decidere se ammettere o no
Consoli Onorari ± ed implicitamente quindi subordina l'apertura dell'Ufficio al
suo consenso ± di regolamentare le modalitaÁ di ammissione o di porre limitazioni
all'ammissione di funzionari consolari onorari. Fra queste limitazioni sono da
considerarsi quelle poste dall'Italia, che riconosce in senso attivo e passivo l'istituto, ove, per prassi, non eÁ ammesso che funzionari onorari vengano destinati
a far parte di Uffici Consolari di carriera, come eÁ del pari esclusa la possibilitaÁ che
funzionari consolari onorari possano far parte del personale delle Sezioni Consolari (Cancellerie Consolari) delle Missioni diplomatiche.
L'istituzione in Italia di un Ufficio Consolare Onorario (che puoÁ appartenere ad una delle quattro classi previste dall'art. 9 della Convenzione di Vienna:
Consolato Generale, Consolato, Vice Consolato, Agenzia Consolare) avviene
seguendo una procedura secondo la quale la Rappresentanza diplomatica accreditata presso il Governo italiano ± e talvolta, ma piuÁ raramente, direttamente il
Ministero degli Affari Esteri dello Stato interessato ± chiede l'autorizzazione al
Ministero degli Affari Esteri per l'apertura del nuovo Ufficio.
Nella ``nota verbale'' che formalizza la richiesta vanno indicate la cittaÁ
dell'Ufficio, la categoria e la classe di appartenenza nonche la circoscrizione
consolare. La scelta relativa alla localitaÁ sede dell'Ufficio, della sua categoria e
la classe sono del tutto soggettive e discrezionali dello Stato d'invio.
EÁ evidente, che questi si orienteraÁ verso quelle localitaÁ dove maggiori
sono gli interessi economici, culturali, emigratori od anche politici che hanno
motivato la decisione di istituire una nuova sede consolare. SaraÁ quindi lo
Stato di invio a fissare, oltre alla sede, la categoria che sono due (Ufficio
Consolare di carriera od Ufficio Consolare Onorario) e la classe dell'Ufficio
che sono quattro (Consolato Generale, Consolato, Vice Consolato od Agenzia
231
Consolare) ed a proporle al Ministero degli Affari esteri al fine di ottenere il
prescritto consenso.
Lo Stato di invio stabiliraÁ quindi la circoscrizione consolare e cioeÁ quella
parte del territorio dello Stato di residenza dove il Capo del nuovo Ufficio
dovraÁ svolgere le proprie funzioni. Quest'ultimo elemento eÁ assai importante
perche delimita il territorio entro cui possono essere esercitate le competenze
di cui eÁ titolare il Capo dell'Ufficio. La circoscrizione consolare puoÁ anche
comprendere l'intero territorio dello Stato di residenza ed estendersi anche ad
altri Stati: in tal caso eÁ peroÁ necessario l'assenso di tutti gli Stati sul cui
territorio verranno esercitate le funzioni del Console. Successive modifiche
alla sede od alla circoscrizione, cambiamenti di categoria o di classe potranno
essere effettuati soltanto con il consenso del Governo italiano e del pari eÁ
necessario il consenso espresso e preventivo dello stesso per l'acquisizione di
altri locali destinati all'Ufficio nella stessa cittaÁ, al di fuori della sede ufficiale
dell'Ufficio Consolare esistente (art. 4 della Convenzione di Vienna).
La procedura per la nomina di un Console Onorario in Italia viene avviata, contrariamente a quello che generalmente si pensa, direttamente dallo
Stato estero, e/o per esso dalla sua Rappresentanza diplomatica, che intende
affidare a persona di fiducia l'incarico di Console in un Ufficio preesistente ed
autorizzato, che abbia uno o piuÁ posti vacanti. Quindi il Ministero degli Affari
Esteri dello Stato di residenza italiano non propone nomi per candidature ma
valuta le candidature proposte dalle Ambasciate interessate e daÁ il proprio
consenso alle eventuali nomine.
La proposta viene inviata per via diplomatica con Nota Verbale al Ministero degli Affari Esteri che solo da quel momento eÁ ufficialmente investito
della questione.
Da parte del Ministero degli Affari Esteri, qualora la persona segnalata
sia cittadino italiano o cittadino di uno Stato terzo residente, viene anzitutto
accertata l'esistenza di eventuali incompatibilitaÁ con l'incarico al quale eÁ proposto; e viene altresõÁ accertato che egli abbia la residenza nel Comune ove ha
sede l'Ufficio Consolare, requisito questo ritenuto essenziale. Di solito vengono svolte indagini particolarmente delicate sul candidato, estese anche alle
AutoritaÁ fiscali, e soltanto dopo aver acquisito il benestare delle AutoritaÁ
competenti a conoscere eventuali elementi ostativi sul suo comportamento
pubblico e privato, viene notificato il consenso alla nomina.
Esperiti tutti gli accertamenti necessari il Ministero degli Affari Esteri
comunica quindi, con una nota di gradimento, il proprio benestare alla nomina
e richiede all'Ambasciata l'invio delle Lettere Patenti.
Tale documento, notificato anch'esso al Ministero degli Affari Esteri per
via diplomatica, vale a dire per mezzo di una Nota Verbale, deve contenere le
seguenti indicazioni (art. 11 della Convenzione di Vienna):
232
1) - categoria (Consolato di Carriera od Onorario);
2) - classe dell'Ufficio (Consolato Generale, Consolato, Vice Consolato od
Agenzia Consolare Onoraria);
3) - nome e cognome del Capo dell'Ufficio Consolare;
4) - circoscrizione;
5) - sede dell'Ufficio.
Il Capo dell'Ufficio Consolare Onorario per insediarsi ufficialmente deve
attendere la concessione dell'exequatur e cioeÁ l'autorizzazione dello Stato di
residenza mediante la quale egli viene immesso nell'esercizio delle sue funzioni
con la garanzia del godimento dei privilegi e delle immunitaÁ spettantigli. '
In attesa del rilascio dell'exequatur eÁ invalso l'uso che su richiesta dello
Stato di invio, venga concessa l'autorizzazione provvisoria che consente lo
svolgimento delle attivitaÁ connesse con la carica ed eÁ equiparata a tutti gli
effetti all'exequatur.
Nel momento in cui il Capo dell'Ufficio Consolare Onorario eÁ immesso
nell'esercizio delle sue funzioni, anche se solo a titolo provvisorio, vengono
informate le competenti AutoritaÁ centrali e locali (Ministero dell'Interno,
Prefettura, Questura, ecc.) affinche siano adottate le misure necessarie per
consentirgli lo svolgimento delle funzioni consolari.
Solo al funzionario consolare onorario italiano o straniero e non ai suoi
familiari (moglie e figli) e collaboratori viene rilasciata dal Ministero degli
Affari Esteri una speciale carta di identitaÁ che deve essere richiesta con Nota
Verbale dalla Rappresentanza diplomatica competente e non dall'interessato
ed attraverso la stessa Ambasciata verraÁ effettuato il rinnovo e verranno
apportate al documento eventuali successive modifiche resesi necessarie. CioÁ
perche il funzionario consolare non eÁ abilitato a corrispondere con il Ministero
degli Affari Esteri.
Quanto alla sempre piuÁ crescente sostituzione in Italia (e nei Paesi Esteri) dei
Consolati di Carriera con quelli Onorari, va rilevato che la proliferazione di
nuovi Stati sviluppatasi ancor piuÁ dopo il secondo conflitto mondiale ha determinato in tutto il mondo un sensibile aumento di uffici consolari onorari
che assicurano, senza alcuna spesa, l'assolvimento delle stesse mansioni devolute a quelli di carriera, costituendo cosõÁ organi altrettanto efficienti e circondati dalle stesse guarentigie internazionali di questi ultimi.
I Consolati di Carriera, inoltre, troppo onerosi anche per Paesi ricchi e di
vecchia estrazione, cedono il passo a quelli Onorari. Anche in Italia ne abbiamo recenti esempi: escludendo le sezioni consolari presso le rispettive
Ambasciate in Roma basta ricordare che la Gran Bretagna ha ridotto a 5 i
propri consolati di carriera con declassamento, ai fini delle spese, di quelli
nelle cittaÁ di Napoli, Firenze, Genova, Torino e Venezia da Consolati Generali a Consolati di II classe (restando Consolati Generali soltanto quello di
233
Milano); gli Stati Uniti che hanno ridotto i propri Uffici Consolari di I classe
in sole 3 cittaÁ (Milano, Napoli e Firenze); lo stesso Giappone che, all'unico suo
Consolato Generale di Carriera sito nel nostro Paese (e precisamente a Milano), ne ha aggiunto solo un secondo proprio qui a Napoli di 1ë classe ma di
categoria onoraria; l'Austria un solo Consolato di I categoria (a Milano) e 10
onorari; il Belgio ha solo 14 Consolati onorari; il Brasile e il Cile 1 contro 7
onorari; la Danimarca 1 contro 16; la Finlandia con 14 consolati in Italia, tutti
onorari; la stessa Francia con 3 Consolati di Carriera contro i 30 Onorari; la
Germania con 2 Consolati di Carriera contro 13 Consolati Onorari. Piccoli
Stati, poi, ma di antica tradizione, hanno in Italia soltanto Consolati Onorar!:
Malta con 17 Uffici Onorari, il Principato di Monaco con 14. Altrettanto
dicasi per la Norvegia in numero di 11 e dei Paesi Bassi con 1 Console
Generale di Carriera (a Milano) contro 14 Consolati Onorari sparsi sul territorio nazionale.
Quanto alla composizione dei Corpi Consolari nelle singole cittaÁ cito
esemplificativamente, ad eccezione di Milano ± che registra il piuÁ alto numero
di Consolati di Carriera per il suo ruolo di polo industriale e di cittaÁ sede di
Rappresentanze multinazionali, con 57 Consolati di Carriera e 41 Onorari:
Firenze con 3 Consolati di Carriera e 53 Onorari; Genova con 7 di Carriera e
41 Onorari; Napoli con 9 di Carriera e 59 Onorari; Palermo con 4 di Carriera
e 31 Onorari; Roma con 21 Consolati di Carriera e 10 Onorari (con esclusione
delle Sezioni Consolari presso le Ambasciate); Torino con 4 di Carriera e 44
Onorari; Trieste con 3 di Carriera e 32 Onorari ed, infine, Venezia con 2
Consolati di Carriera contro 33 Consolati Onorari.
Esempi, questi, che stanno a comprovare da un lato la graduale riduzione
dei Consolati di Carriera e dall'altra il crescente ruolo sostitutivo dell'Ufficio
consolare onorario.
In conclusione l'istituto consolare onorario negli ultimi 50 anni si eÁ sempre piuÁ sviluppato e rafforzato nel tessuto della moderna societaÁ civile tanto
che moltissimi Stati, sia di antica che di nuova estrazione, vi hanno fatto
crescente ricorso; siccheÂ, tanto per restare all'Italia, i Consoli Onorari in Italia
(suddivisi tra le quattro classi: Consoli Generali, Consoli, V.Consoli e Agenti
Consolari) sono 573 contro i 108 di Carriera dislocati nelle altre varie cittaÁ
d'Italia, cosõÁ come, per singolare quasi coincidenza numerica, i Consoli Onorari d'Italia nei Paesi Esteri sono 400 contro i 110 Consoli di Carriera titolari
di uffici consolari italiani nelle cittaÁ degli Stati Esteri.
Di fronte a questa realtaÁ ed a questa crescente maggioranza numerica dei
Consoli Onorari rispetto ai Consoli di Carriera occorreva da un lato ribaltare
quel concetto stereotipato e obsoleto del Console Onorario, seppure inquadrato in un'ottica di una delle piuÁ qualificanti dignitaÁ borghese, come ± tanto
per intenderci ± ci eÁ stato affrescato da Thomas Mann nella cittaÁ anseatica di
234
Lubecca della fine `800, nel suo libro ``I Buddenbrock'' o da Graham Greene
nel suo libro ``II Console Onorario'' in una cittaÁ senza nome che si affaccia sul
PanaraÁ. E dall'altro lato occorreva riguadagnare alla pubblica opinione l'immagine del Console Onorario quale essa realmente oggi eÁ rappresentata, nella
sua evoluzione di ruolo e di compiti, nel suo complesso aspetto giuridicoconsolare e nella sua non meno multiforme attivitaÁ. Una attivitaÁ incentrata,
soprattutto, sulla protezione, sull'assistenza del cittadino del Paese rappresentato non senza ricordare che in Italia, ed in particolare qui a Napoli, vi sono
Consoli Onorari di Stati con elevato tasso di emigrazione come Capo Verde,
Filippine, Sri Lanka, Ucraina, Polonia, Ghana, che registrano in talune giurisdizioni sino a 15.000 presenze di emigrati legalmente o clandestinamente.
Assolve a questo impegno di ribaltamento, di rivalutazione e di divulgazione della figura del Console Onorario, l'Unione dei Consoli Onorari in Italia
fondata dal sottoscritto nel 1977 e che ogni anno svolge nelle maggiori cittaÁ
d'Italia le sue Assemblee Nazionali con lavori che puntualmente si avvalgono
del contributo di Ambasciatori sia italiani che di Paesi accreditati in Italia
nonche di Ordinari di Diritto Internazionale nelle maggiori UniversitaÁ italiane. Relazioni, osservazioni ed interventi che vengono registrati nelle nostre
pubblicazioni annuali. L'Annuario Diplomatico Consolare ± che si potraÁ agevolmente consultare sul sito internet www.ucoi.it ± costituisce un ricercato
strumento di utile consultazione ed eÁ l'unica pubblicazione cartacea in Italia
che riporta, tra l'altro, l'elenco aggiornato delle Rappresentanze Diplomatiche
e Consolari sia in Italia che della Repubblica italiana nei Paesi Esteri.
Nel testamento spirituale del grande diplomatico ed uomo politico Charles Maurice Talleyrand leggiamo che ``la vita del Console eÁ una vita dedicata al
servizio della umanitaÁ''. Questo spirito di servizio che noi avvertiamo giorno
dopo giorno costituisce la piuÁ alta remunerazione del nostro lavoro.
E voglio attingere allo scrigno delle mie memorie due ricordi che, nell'espletamento della mia funzione consolare onoraria, toccandomi da vicino,
hanno segnato felici momenti della mia vita.
Fu quando, in una sera di inverno e di pioggia, di molti anni or sono,
accompagnandomi ad un disperato cittadino maltese che mi richiedeva aiuto
per ricondurre nella sua famiglia una propria figliuola fuggita di casa e aggregatasi in S.Giorgio a Cremano ad una setta (se ben ricordo c.d. ``Figlie di Maria''),
dopo lunga e paziente attesa riuscii, con un fortunato stratagemma, dopo che
entrambi rimanemmo acquattati dietro un cespuglio, ad avvicinare ± e forse a
salvare ± la ragazza che riabbraccioÁ il padre in un convulso pianto. Quell'abbraccio e quel pianto sono rimasti incancellabilmente impressi nel mio cuore.
E quando alla vigilia della Pasqua del 1991, mentre con la mia compianta
sposa, uscivamo di casa, bagagli in mano, per raggiungere i figli in montagna,
vedemmo comparire innanzi la porta un ragazzo giapponese accompagnato da
235
un agente di P.S.; il ragazzo era in grave stato di choc per essere stato, in
treno, prima indotto ad accettare l'offerta di una bevanda soporifera e di poi,
in pieno sonno, derubato di ogni suo avere. Dopo essermi adoprato, con scarsa
fortuna, al suo rasserenamento, cercai di accompagnarlo ad un vicino albergo:
niente da fare! Il malcapitato, pur privato di tutto il suo danaro, in stato
psichico di certo proporzionato alla sventura occorsagli e al danno patito, tra
pianti e contorcimenti vari, mi supplicava di non lasciarlo solo. Fu cosõÁ che io e
mia moglie trascorremmo quella Pasqua (peraltro la penultima della nostra
felice unione coniugale) nella nostra casa con il giovanetto giapponese. Per
l'archivio l'episodio ± oggetto di un rapporto di Polizia e di una mia comunicazione all'Ambasciata ± finiva lõÁ.
Quello che, peroÁ, non poteÁ essere mai archiviato fu 1'appagamento morale derivato a me e a mia moglie dal disfacimento di un bagaglio e dalla
gratificante, spontanea rinuncia ad una pur programmata vacanza pasquale,
per stare accanto ad un cittadino che, in quel particolare sconvolgente momento della sua vita, aveva eletto, in terra straniera, la casa del proprio
Console Onorario, e soltanto questa, a propria casa e a propria terra! Ha
respirato aria di famiglia quel giapponese in quei tre giorni. Ma io e mia moglie
piuÁ di lui abbiamo vissuto tre giorni veramente felici.
Episodi, questi, emblematici come tanti altri, che il Console Onorario, in
ogni cittaÁ d'Italia, ha il privilegio di vivere. Dico ``privilegio'' in quanto
conseguenza di una libera scelta proiettata verso un godimento di alta, umana
spiritualitaÁ.
Anche se non tutti, purtroppo, sanno capire e apprezzare questo privilegio non scritto, non codificato nei protocolli di Vienna e in nessuna altra
convenzione. Il vero, grande privilegio del Console Onorario.
Conferenza svolta al Circolo Lucano di Napoli il 5 marzo 1994
236
LE ASPETTATIVE DEL CONSOLE ONORARIO D'ITALIA
NEI PAESI ESTERI
Ringrazio il Ministro Marsili, Direttore Generale per gli italiani all'Estero e le politiche migratorie, per il privilegio che ha voluto riservarmi nell'invitarmi a questa conferenza.
Avverto senza dubbio il grave disagio che mi deriva da ``un parterre'' cosõÁ
qualificato, arricchito della presenza del Ministro per l'Industria e il Commercio On.Letta, dal Sottosegretario agli Esteri On. Danieli, dal Segretario Generale del M.A.E. Amb. Vattani e dei piuÁ alti Rappresentanti della nostra
politica estera. Voi, Signori Consoli qui convenuti, rappresentate non solo la
Diplomazia di oggi del nostro Paese ma quella ancora piuÁ alta di domani; e
questo accresce il privilegio cui accennavo poc'anzi e che si estende all'U.C.O.I., ai Colleghi Consoli Onorari in Italia che alimentano in me quell'impegno e quell'energia che cerco di profondere in questo Sodalizio nato ben
venticinque anni or sono.
Il mio intervento non eÁ centrato sulla funzione del Console Onorario
(come generosamente riportato nel programma); esso vuole soltanto portare
ai Vostri lavori un modesto contributo dell'Unione che qui rappresento, segnalandoVi, in particolare, le giuste aspettative di non pochi Consoli Onorari
che rappresentano la nostra Repubblica nei Paesi esteri.
Consentitemi, pertanto, la lettura di una breve ± e ritengo indispensabile
± scheda di presentazione dell'Unione dei Consoli Onorari in Italia.
Un lungo excursus iniziato proprio qui alla Farnesina il 26 febbraio 1977,
nella Sala Morosini (Segretario Generale l'Amb. Raimondo Manzini). Quivi ci
condussero i valori dell'associazionismo; sospinti dal bisogno non del raffronto
ma dell'incontro e dell'apprendimento; consapevoli di dover attingere proprio
dalla Diplomazia ufficiale, e quindi dalla Vostra categoria, utili insegnamenti.
Abbiamo arricchito le nostre annuali assemblee, tutte svoltesi nelle maggiori
cittaÁ d'Italia ± qualcuna anche in vicini Paesi esteri ± dalla partecipazione oltre
che di eminenti cattedratici del Diritto Internazionale, di Ambasciatori sia di
Paesi esteri accreditati in Italia che di eminenti Ambasciatori d'Italia che
hanno onorato la Diplomazia del nostro Paese. Alcuni di questi illustri diplo237
matici hanno voluto ricordarci le proprie esperienze vissute nell'espletamento
delle loro missioni consolari; altri le ottime relazioni intessute con i propri
Consoli Onorari d'Italia. Le loro dotte relazioni ± concretizzantesi in magistrali lezioni ± sono state puntualmente riportate nei nostri annuari le cui
edizioni ± sempre inviate a tutte le Ambasciate della nostra Repubblica nei
Paesi Esteri ± si susseguono da 25 anni.
Gli argomenti e i temi trattati da questi illustri conferenzieri potranno da
Voi essere rilevati nella prima parte dell'Annuario Diplomatico Consolare
2000 del quale mi pregio offrirVi copia. Questo ampliamento conoscitivo,
unitamente ai rapporti venutisi a creare all'interno della nostra rete consolare
onoraria qui in Italia, hanno reso piuÁ forte, piuÁ avvertita e piuÁ rilevante la
funzione associativa sõÁ da indurre l'U.C.O.I. a rendersi promotrice in altri
Paesi della costituzione di Organismi similari.
Sono nate, cosõÁ, con le predette finalitaÁ, attraverso atti costitutivi e statuti, pressoccheÁ paritetici a quelli dell'U.C.O.I., Unioni od Associazioni di
Consoli Onorari: in Belgio nell'82, in Argentina nell'83, in Brasile nell'84, in
Malta, Germania, San Marino, e Turchia nel 95. Nello stesso anno, sempre per
impulso e iniziativa dell'U.C.O.I., nasce nella sede della ComunitaÁ Europea di
Bruxelles la F.U.C.H.E. (Federation des Unions des Consuls Honoraires en
Europe), che nei tre successivi anni ha svolto ± sotto la mia Presidenza ± i
propri convegni nelle sedi comunitarie di Strasburgo e Lussemburgo e di poi ad
Hannover con la partecipazione, a qualche mese dalla sua elezione a Cancelliere, di Gerard Schroder. Nell'anno 2000 sono state altresõÁ costituite le Associazioni di Consoli Onorari in Gran Bretagna, Austria e Georgia nel 2000.
L'U.C.O.I. eÁ l'Organismo che rappresenta nel Mondo il maggior numero
dei Consoli Onorari operanti in un Paese: i nostri iscritti sono 320 sui 490
colleghi che in Italia costituiscono le quattro classi consolari di seconda categoria.
Molteplici i risultati da essa conseguiti. Il piuÁ recente eÁ costituito dalla
concessione di un contrassegno automobilistico riservato alle autovetture dei
Consoli Onorari. Tale contrassegno, numerato e recante l'emblema della nostra
Repubblica eÁ stato assegnato e consegnato dal Cerimoniale Diplomatico ai
Consoli Onorari, per il tramite delle rispettive Ambasciate accreditate a Roma.
Va pure detto che nel maggio scorso, l'U.C.O.I. si eÁ resa promotrice della
``Giornata Giubilare del Console Onorario'' alla quale hanno partecipato 246
Consoli Onorari provenienti da 47 Stati diversi, alcuni dei quali molto lontani
come il Giappone, l'Australia, il Canada (27 di tali Paesi sono stati rappresentati da Consoli Onorari d'Italia). L'incontro con il Santo Padre, l'udienza
speciale concessaci dal Signor Presidente della Repubblica nel Salone delle
Feste al Palazzo del Quirinale (estesa a tutti i Consoli partecipanti, anche
stranieri), e l'accoglienza che il Signor Ministro degli Affari Esteri, On. Dini,
238
si compiacque riservare ai Consoli Onorari che rappresentano la Repubblica
Italiana all'Estero, costituiscono avvenimenti che resteranno impressi nei nostri cuori; di essi sapremo conservare giusta e grata memoria.
Ho voluto citare gli incontri della ``Giornata Giubilare del Console Onorario'' perche essi hanno offerto lo spunto a non pochi Consoli Onorari partecipanti di proporre la costituzione di un Organismo internazionale meritevole di riconoscimento dell'O.N.U. come N.G.O. nel quale possano confluire
le Associazioni nazionali esclusivamente rappresentative di Consoli Onorari
stabilendo, cosõÁ, una netta differenziazione ± peraltro giaÁ assorbita dall'U.C.O.I. nel suo statuto del 1977 ± da qualche Organismo sorto in Paesi Esteri
con l'assurda pretesa di rappresentare sullo stesso piano Consoli Onorari,
Consoli di Carriera, Corpi Consolari e Associazioni similari.
Tali Organismi consentirebbero una permanenza senza termini del Console
Onorario personalmente, mentre condizionerebbero quella del Console di Carriera al breve tempo in cui egli eÁ chiamato ad assolvere le sue funzioni. Occorre
poi tener presente la distinzione di base su cui si fonda la formulazione dei
capitoli della Convenzione di Vienna del 1963. Associare, pertanto, i Consoli di
Carriera ± come ho spesso replicato a qualche disattento collega ± a Sodalizi
costituiti da Organi individuali (intesi cioeÁ come persona) e non da Organi
istituzionali (qual'eÁ l'Ufficio Consolare) e porli all'interno di questi su un piano
di assoluta pariteticitaÁ con i Consoli Onorari, significherebbe non voler tener
conto della distinzione di preminenza a Voi riconosciuta dalla Convezione di
Vienna e dalla quale tali Organismi non possono assolutamente deflettere.
E concludo questa prima parte del mio intervento con un invito che oso
rivolgerVi con grande calore e, non di meno, con grande fiducia: meritare il
Vostro, sicuramente determinante, contributo per sollecitare i Consoli Onorari d'Italia operanti nelle Vostre circoscrizioni affinche possano, con il sostegno di Consoli Onorari di altri Stati, costituire, laÁ dove manchino, Organismi
rappresentativi della nostra categoria sõÁ da poter solidamente cementare la
costituzione del giaÁ auspicato e invocato Organismo internazionale.
Uno dei primi punti salienti al quale dovrebbe guardare il costituente
Organismo internazionale eÁ quello connesso all'aggiornamento della Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari; argomento, questo, sul quale non ho
mancato di richiamare l'attenzione del Signor Ministro degli Affari Esteri in
occasione dell'incontro avuto proprio qui alla Farnesina il 4 maggio 2000 ±
presente anche il Ministro Carlo Marsili ± con i Consoli Onorari d'Italia nei
Paesi Esteri. Un aggiornamento, quello del protocollo sottoscritto a Vienna il
23 aprile 63 che interessa non certo in misura minore la categoria dei Sigg.
Consoli di Carriera. Basta tener conto, per tale aggiornamento, il rilevante
aumento, negli ultimi quarant'anni degli Stati sovrani; di entitaÁ supernazionali, prime fra tutte l'Unione Europea; la diffusione del decentramento delle
239
istituzioni nel quadro della globalizzazione; la convergenza nell'ambito della
giurisdizione consolare tra Paesi di forte emigrazione e quelli di accoglienza sõÁ
da rendere indispensabile al Console sia esso di Carriera od Onorari di vincoli
istituzionali che lo legano ad entrambi gli Stati.
Le caratteristiche che una volta limitavano lo spazio del Console Onorario oggi lo stanno notevolmente ampliando. In effetti la globalizzazione estende in periferia, dove i Consoli di Carriera non possono essere assiduamente
presenti, i rapporti internazionali nel commercio, l'industria, gli investimenti,
la cultura, il turismo. In piuÁ la dinamica internazionale ci fa assistere ad una
evoluzione del concetto di sovranitaÁ un tempo assoluto ed esclusivo. A Voi che
cosõÁ attivamente partecipate alla stesura della Storia, non devo certo segnalare
l'alterazione di concetti tradizionali a seguito della stretta connessione di
interessi tra Paesi, ad esempio, di migrazione e di immigrazione.
Si tratta di una mutazione genetica graduale dovuta alle pressioni esterne,
al crollo del sistema bipolare, alla doppia contraddizione della politica internazionale che oscilla tra il trend che porta alla globalizzazione e le spinte
molteplici che vanno verso la frammentazione. E nel nostro Paese vi sono
problemi tecnici ancor'oggi irrisolti: come quello sul voto degli italiani all'estero per il quale occorre un opportuno rodaggio della rete consolare non
ancora preparata a tale evento, cosõÁ come eÁ emerso anche dalla Conferenza
degli italiani nel mondo svoltasi negli scorsi giorni qui a Roma.
Occorre, insomma, tanto per essere piuÁ chiaro e piuÁ concreto, che la
Convenzione di cui si chiede l'aggiornamento, oltre a tener conto dell'accresciuto, e sempre piuÁ crescente, numero di rappresentanze Consolari Onorarie,
sostitutive di quelle di Carriera (queste troppo onerose anche per Paesi di ricca
estrazione), preveda che gli Stati che ricevono una rilevante presenza di emigrati da Paesi in via di sviluppo, in particolare del quarto mondo, si facciano
carico di assicurare quell'indispensabile aiuto economico al Console Onorario
± che, come eÁ ben noto, assolve alle sue funzioni in assoluta gratuitaÁ ± si da
consentirgli di assicurare la dovuta assistenza all'emigrante bisognoso dello
Stato che egli rappresenta. Illuminanti esempi sono costituti da Consolati
Onorari in Italia che rappresentano nelle rispettive giurisdizioni comunitaÁ di
migliaia ± e a volte decine di migliaia ± di cittadini di Stati aventi una forte
presenza di immigrati come il Ghana, Capo Verde, Filippine, Sri Lanka,
Bangladesh, ecc.; questi colleghi, privi di ogni risorsa, devono affrontare e
superare personalmente le esigenze piuÁ disparate.
Sempre a titolo esemplificativo: l'Italia (ma il raffronto vale anche per
altri ricchi Stati europei ed extraeuropei) si avvale di una presenza di manodopera di Paesi in via di sviluppo che stante l'ultima statistica del Ministero
dell'Interno ammonta a circa 900.000 unitaÁ; presenza costituita da stranieri
muniti di permessi di soggiorno, regolarmente inquadrati in un lavoro subor240
dinato i cui datori di lavoro versano nelle casse dello Stato le dovute indennitaÁ
previdenziali ed assicurative (peraltro non sempre riversate agli Stati di provenienza). Ebbene, di fronte a siffatti casi, il nostro Paese, in quanto ricevente, dovrebbe farsi carico degli oneri assistenziali, occorrenti dagli Uffici
Consolari Onorari di tali Stati, per la prevalente considerazione che il Console
Onorario, sul piano della reciprocitaÁ, concorre, al mantenimento e allo sviluppo delle buone relazioni, soprattutto umanitarie, tra lo Stato rappresentato
e quello di residenza.
In conclusione la Convenzione nel suo aggiornamento dovrebbe, tra l'altro, tener conto che nell'evoluzione dei rapporti internazionali e nel superamento del concetto di sovranitaÁ esclusiva, il Console Onorario ± proprio
perche non inquadrato in una organizzazione statale ± eÁ chiamato ad offrire
un utile strumento per sperimentare nuove forme di collaborazione (ad es. tra
Paesi di emigrazione e Paesi di accoglienza). In altre parole il Console Onorario potrebbe essere legato da vincoli con piuÁ Paesi ± perche non sperimentare una collaborazione nel settore tra piuÁ Paesi comunitari? ± ricevendo dagli
stessi, in relazione alle rispettive capacitaÁ, un supporto anche finanziario per
l'espletamento di compiti che corrispondono ad interessi comuni.
E veniamo, ora, alle aspettative e alle considerazioni formulate da taluni
Consoli Onorari d'Italia nei Paesi Esteri, recepite dall'U.C.O.I. non in quanto
± si badi bene ± loro Organismo di rappresentanza, meno che mai sindacale.
Gli elementi, invece, che porto alla Vostra cortese attenzione costituiscono le
risultanze acquisite dall'U.C.O.I. nel contesto dei contatti e del ruolo che essa
svolge, sui quali credo di essermi giaÁ abbastanza soffermato in precedenza.
Mi sono, pertanto, pervenuti non pochi appunti, tutti meritevoli di apprezzamento, tra i quali segnalo quelli dei Sigg.Consoli Onorari d'Italia in:
ARGENTINA (Oscar Dichiara, C.O. a Santa Fe; Tiberio Fioretto, C.O. a
San Luis; Rosaria Vattimo, C.O. a Quilmes; Eliana Maffi Caprarulo, C.O. a
Concordia); AUSTRIA (Helfried Leskoschek, C.O. a Graz); BELGIO (Armando Barillari, C.O. a Gand); BRASILE (Osvaldo Dal Lago, C.O. a Santa
Maria; Carlo Cono, C.O. a Aracaju-se); CANADA (Riccardo Rossini, C.O. a
Quebec; Guido Del Rizzo, C.O. a Newfoundland; Imelda Gazzola Porcellano,
C.O. a Guelph, Ontario); FRANCIA (Lucien Ceccon, C.O. a Annecy; Stephane Felici; C.O. a Bordeaux); GRAN BRETAGNA (Nunzia Bertali, C.O. a
Liverpool); GRECIA (Mario Vogna, C.O. a Comodini); PAESI BASSI (Paolo
Agostini, C.O. a Beek); PORTOGALLO (Manuel Velho Tavares Carreiro,
C.O. a Ponta Delgada): SLOVACCHIA (Franco Pigozzi, C.O. a Kosice);
SPAGNA (Giancarlo Federighi Toti, C.O. a Burgos); STATI UNITI D'AMERICA (Gilda Rorro Baldassari, C.O. a Trenton; Edward Fanucchi, C.O. a
Fresno, California); TURCHIA (Oya Izmirli, C.O. a Bursa).
Copia di queste come di altre note, per una piuÁ diretta conoscenza di
241
quanto in esse riportato, sono a disposizione dei Consoli di Carriera, qui
presenti, dai quali tali miei Colleghi dipendono. Dalle risultanze globali di
tali considerazioni, dai contatti sin'oggi intercorsi in via diretta tra l'U.C.O.I.
e le Rappresentanze italiane nei Paesi Esteri e, non di meno, dagli spunti e
dagli interventi affiorati nei lavori assembleari che la mia Unione svolge ogni
anno, ho il pregio di sottoporre alla Vostra cortese attenzione, in un contesto
riassuntivo, i seguenti punti:
1. - Al Console Onorario d'Italia, innanzitutto, va riservata una maggiore
attenzione nell'espletamento delle sue funzioni. Egli va gratificato, dal Consolato di Carriera o dall'Ambasciata da cui dipende e, non di meno, dal
M.A.E. e dal Governo, di quella meritevole considerazione per il costante
impegno che profonde, in assoluta gratuitaÁ, per il buon nome della nostra
Repubblica.
2. - Al Console Onorario, quale che sia la sua classe di appartenenza, va
riconosciuto un rimborso spese corrispondente all'attivitaÁ espletata dal suo
ufficio, proporzionata alla presenza dei connazionali nella sua giurisdizione.
In alcuni casi pare che a tale rimborso non si proceda neppure in minima parte.
Cito esemplificativamente il caso del Console On. d'Italia a Quilmes, Argentina, Sig.ra Rosaria Vattimo, nella cui circoscrizione gravitano dai 70 agli
80.000 connazionali, con un archivio nel suo Ufficio di 40.000 fascicoli.
Elementi, questi, che richiederebbero l'istituzione di un Ufficio di prima
categoria. Il suo predecessore ha retto lo stesso Ufficio per 25 anni dal quale
si eÁ dimesso per aver esaurito ogni scorta di energia. Sembra che nessuna
attrezzatura, quantunque richiesta, sia stata a tutt'oggi fornita per il buon
servizio di quel Consolato. Di qui un interrogativo che non puoÁ non sensibilizzare e scuotere chi ha nel cuore il sentimento e l'affetto della propria Patria:
``Perche ho accettato l'incarico?'' si chiede la Vattimo. ``Nessuno puoÁ capirmi;
forse un po' per sfida, un po' per spirito di missione, ma soprattutto per servire
meglio gli emigranti essendo io una figlia di emigrante!'' E queste parole ci
riportano alla considerazione che faceva ieri il Console Generale d'Italia a
New York, Radicati, quando ci ha ricordato che oggi i figli degli emigranti si
sono scrollati dal trauma dei loro avi e vantano un diritto storico nei confronti
del nostro Paese. Il Sottosegretario On.Danieli ha poc'anzi accennato nel suo
intervento all'aumento del capitolo dei fondi riservati all'assistenza diretta
degli italiani portandolo da 16 a 25 miliardi. Ebbene una piccola, anche
piccolissima parte di tale capitolo potrebbe essere riservata agli Uffici Consolari Onorari d'Italia piuÁ abbisognevoli di aiuto in particolare nei Paesi ove la
comunitaÁ italiana eÁ molto rilevante.
3. - A completamento della propria missione sarebbe giusto che il Console
Onorario riceva una espressione di apprezzamento, se non in via diretta dal
M.A.E., quanto meno dall'Ambasciata da cui dipende.
242
4. - Sarebbe quanto mai auspicabile che al Console Onorario d'Italia,
ancor prima della sua cessazione ± specie quando la sua attivitaÁ e il suo
impegno risultino notevoli ± venga proposto dall'Ambasciata da cui dipende,
una onorificenza al Merito della Repubblica italiana. Una concessione, almeno
questa, che nulla sottrae alle risorse del nostro Paese tantoppiuÁ che, sovente
tali onorificenze vengono conferite, proprio su proposta delle nostre Ambasciate, a cittadini degli Stati esteri.
5. - Molto apprezzata ± oltre che opportuna e determinante per gli interessi del nostro Paese ± sarebbe una convocazione, anche non frequente, dei
Consoli Onorari d'Italia presso le rispettive Ambasciate. Occasione, questa,
oltre che di apprendimento e di aggiornamento per giovani e vecchi colleghi,
di conoscenza e di affiatamento tra i componenti della rete consolare onoraria
italiana operante nello stesso Paese. Consta personalmente a chi Vi parla come
i Consoli Onorari di taluni Stati rappresentati in Italia vengano convocati
periodicamente qui a Roma.
6. - Opportuna, oltre che sicuramente meritata, sarebbe la convocazione
del Console Onorario italiano in occasione di conferenze nazionali e internazionali alle quali potrebbe dare un sicuro apporto e dalle quali potrebbe ricevere utili suggerimenti. Mi riferisco, in particolare alla Preconferenza di Montevideo e alla Conferenza degli italiani nel mondo, svoltasi a Roma negli scorsi
giorni, dalle quali i Consoli Onorari d'Italia si sono visti immeritatamente
esclusi.
7. - Evitare, se possibile, che talune incombenze, di naturale spettanza
consolare vengano affidate a Patronati o a membri eletti dalle ComunitaÁ
nazionali in alcune circoscrizioni di Stati esteri; ComunitaÁ e Patronati che
tendono a creare un rapporto diretto con i Consoli di Carriera escludendo,
con conseguente lesione del proprio prestigio e della propria funzione, il Console Onorario nel cui territorio essi operano. Siffatti singolari rapporti espongono pesantemente il Console Onorario nei confronti delle AutoritaÁ locali con
le quali sicuramente egli giaÁ intrattiene radicati rapporti e verso le quali eÁ
istituzionalmente chiamato a rappresentare e ad aiutare i nostri connazionali
nella maniera piuÁ efficace.
8. - Considerare l'opportunitaÁ di elevare le classi della nostra rete onoraria, ed in particolare quelle dei V. Consoli a Consoli Onorari, specie quando il
titolare di essa abbia da lungo tempo, e con particolare impegno, assolto alle
proprie funzioni.
9. - Nel sito web del M.A.E. (www.esteri.it), opportunamente istituito,
nella parte riservata alle Missioni Diplomatiche e Consolari della Repubblica
italiana nei Paesi Esteri, mentre la sede Consolare di Carriera, oltre che
dall'indirizzo, completo dei riferimenti telefonici, fax e e-mail, eÁ corredata
dal nome del suo titolare reggente, quella Onoraria, pur riportante il riferi243
mento della propria sede, eÁ sfornita del nome del suo titolare. Tale inspiegabile e, direi, grave omissione, oltre a poter concretizzare una grave discriminazione e una offesa che sicuramente questo Ministero non intende riservare
ai Consoli Onorari d'Italia nei Paesi Esteri, costituisce una lacuna informativa
per l'utenza internet che va sollecitamente colmata.
Le suesposte ed altre considerazioni potrebbero offrire ai Consoli Onorari
d'Italia la sensazione che essi siano, in relazione ai Diplomatici di Carriera, una
sorte di ``Figli di un Dio minore''. Questo sentimento oltre che ad incidere sulle
prioritaÁ e produttivitaÁ dei Consoli Onorari, genera nelle AutoritaÁ locali la
sensazione che quanto portato alla loro attenzione non dall'Ambasciata o dal
Console di Carriera ma da quello Onorario sia di minore importanza e di
minore interesse per il Paese interlocutore. Invece molte volte eÁ proprio l'importanza della questione che impone una trattazione immediata che non puoÁ
essere assicurata dalla lontananza della sede Diplomatica consolare.
Il ruolo, in conclusione, che oggi svolge il Console Onorario ``eÁ sempre
piuÁ essenziale per il buon funzionamento dell'attivitaÁ diplomatica'', come ha
testualmente riconosciuto il Signor Ministro degli Affari Esteri, On. Lamberto Dini, quando, il 4 maggio scorso, ha ricevuto alla Farnesina una rappresentanza italiana della rete consolare onoraria.
Vogliate assolvermi, Illustri e Cari Signori Consoli di Carriera, da qualche
peccato nel quale sono probabilmente incorso in questa mia affrettata esposizione. Peccato non certamente di presunzione o di scarso rispetto verso la
Vostra funzione che eÁ, e rimaraÁ, preminente su quella Onoraria ma solamente
per quei legami di amicizia e di amore che mi fanno sentire vicino al Console
Onorario d'Italia, ovunque esso operi. Egli ± e sono ben certo di ricevere il
Vostro consenso ± con la sua opera, sovente silenziosa, e sempre legata, attraverso un cordone ombelicale, alla nostra amata Patria, onora sommamente
la nostra Repubblica. E questo grande merito del Console Onorario va tenuto,
da tutti, in un piuÁ giusto conto.
Vi ringrazio per la Vostra attenzione.
Intervento svolto alla Conferenza dei Consoli Italiani di Carriera nei Paesi Esteri:
Roma, Ministero degli Affari Esteri, 19 dicembre 2000
244
IL CAMMINO DELL'U.C.O.I.:
RICONOSCIMENTI E ASPETTATIVE
Signor Presidente, Signori Ambasciatori, Sigg. Consoli in Italia e d'Italia
nei Paesi Esteri, AutoritaÁ, Signori e Signore, oggi l'U.C.O.I. eÁ orgogliosa di
svolgere la sua XXXV Assemblea Nazionale qui nel Museo Nazionale del
Risorgimento Italiano di Torino, sede prestigiosa delle celebrazioni del Centocinquantenario dell'UnitaÁ d'Italia.
Mi preme, innanzitutto, ringraziare, unitamente alle AutoritaÁ presenti,
gli illustri Relatori, e non di meno i Consoli Onorari qui convenuti da numerose cittaÁ d'Italia e anche da Paesi Esteri.
Questa felice occasione oltre a farci considerare il cammino sin'oggi compiuto dal nostro Sodalizio, ci induce a perseverare sulla strada da essa intrapresa, auspicando un maggiore e piuÁ concreto sostegno dai Consoli Onorari in
Italia e, non di meno, dai Corpi Consolari costituiti nelle maggiori cittaÁ d'Italia; cioÁ perche i Consoli Onorari, che in massima parte ne compongono la
struttura, sono ben consapevoli dei non pochi vantaggi fatti conseguire dal
Sodalizio alla categoria consolare onoraria.
Cammino, quello dell'U.C.O.I., impreziosito dalla costante appassionata
conduzione del Presidente di essa Margherita Costa che, dopo aver cessato la
sua funzione diplomatica di Ambasciatore d'Italia in Azerbaijan, ha accettato
di buon grado, dal settembre 2009, la guida del Sodalizio al quale non fa
mancare il suo apprezzato apporto.
Ma le benemerenze acquisite dall'U.C.O.I. ± non mi fa velo doverlo
ricordare ± non vengono riconosciute, in concreto, dalla quasi totalitaÁ dei
Corpi Consolari. Manca inspiegabilmente da essi quel riconoscimento di cui
va meritevole l'U.C.O.I. che da ben 35 anni svolge tenacemente una intensa
attivitaÁ volta esclusivamente a valorizzare il prestigio della categoria consolare
onoraria e a farne riconoscere i meriti.
Questa lacuna viene, per fortuna, sufficientemente colmata dall'apprezzamento costante e sincero, che all'U.C.O.I. riservano le piuÁ alte cariche che si
sono succedute alla guida della Repubblica e del Governo. Incoraggiati nel
nostro cammino da tale attenzione, mi sembra doveroso, piuÁ che opportuno,
245
tracciare in questa sede un bilancio sugli avvenimenti piuÁ salienti di cui l'U.C.O.I. eÁ stata gratificata.
Cominciamo dalla costituzione del nostro Sodalizio quando, nel febbraio
1977, fu onorata da un nobile messaggio dell'allora Capo dello Stato Giovanni
Leone.
All'U.C.O.I. sono state felicemente spalancate le porte del Palazzo del
Quirinale nel maggio 1979 dal Presidente Sandro Pertini e poi, nel Salone
delle Feste, nel maggio 1993 dall'allora Presidente della Repubblica Luigi
Oscar Scalfaro, nel maggio del 2000 dal successore Carlo Azeglio Ciampi e,
infine, nel settembre 2007 dall'attuale Presidente Giorgio Napolitano.
L'attenta considerazione di cui l'U.C.O.I. eÁ stata onorata dai Supremi
Reggitori della nostra Repubblica trova conferma non soltanto dai loro calorosi messaggi dei quali abbiamo dato lettura in apertura delle nostre Assemblee Annuali, quanto dall'invito al Palazzo del Quirinale che da anni essi
riservano al Presidente e al Segretario Generale del Sodalizio in occasione
della Festa Nazionale della Repubblica.
Altrettanto alto prestigio ci eÁ derivato dalle udienze speciali concesseci
nella Sala Clementina del Vaticano nel 1985 e nel 2000 dall'allora SS. Giovanni Paolo II e nel settembre 2007 dal Sommo Pontefice Benedetto XVI.
Va pure ricordato che nella ``Giornata Giubilare del Console Onorario''
svoltasi a Roma nel maggio 2000, tutti i Consoli Onorari in Italia e d'Italia nei
Paesi Esteri che vi parteciparono furono ricevuti dal Ministro degli Esteri On.
Lamberto Dini.
Quanto alla importanza riservata allo svolgimento delle Assemblee, non
posso sottrarmi al dovere di ricordare che dopo l'Assemblea Costituente svoltasi a Roma nel Palazzo della Farnesina nel febbraio 1977, seguõÁ quella dell'aprile 1978 nella Sala della Protomoteca del Campidoglio con la partecipazione del Sottosegretario agli Esteri, On. Angelo Sanza. Tra le successive mi
limito a ricordare, fra le piuÁ salienti, quelle del 1979 a Napoli onorata in
Castelnuovo dalla presenza del Ministro dei Lavori Pubblici On. Francesco
Compagna; del maggio 1980 a Firenze a Palazzo Vecchio col Ministro degli
Affari Esteri On. Emilio Colombo.
Pure meritevoli di particolare ricordo quelle svoltesi nel maggio 1982 a
Palermo a Palazzo delle Aquile col Prefetto Generale Carlo Alberto Dalla
Chiesa; del 1991 a Lecce col Ministro del Commercio On. Vito Lattanzio; nel
1993 nel Campidoglio in Roma con l'intervento dell'Amb. Alessandro Quaroni; nel giugno 1995 a Bruxelles dell'Ambasciatore d'Italia Francesco Corrias; nel giugno 1997 a Palazzo Marino a Milano con la partecipazione del
Presidente della Regione Lombardia Formigoni e del Sindaco Albertini; nel
giugno 1998 a Trieste dell'Amb. Romualdo Bettini e del Sindaco Riccardo
Illy; nell'aprile 2001 a Mantova del Sottosegretario Franco Danieli e del246
l'Amb. Umberto Vattani; nel maggio 2002 a Caserta del Ministro per le
Politiche Comunitarie On. Rocco Buttiglione e del Capo del Cerimoniale
Amb. Balboni Acqua; nel 2004 a Terni con la partecipazione del Sottosegretario Baccini e dell'Amb. Paolo Pucci di Benisichi; nel 2005 a Sorrento del V.
Ministro dell'Ambiente e del Territorio On. Nucara; nel 2008 a Venezia del
V. Presidente della Commissione Europea Franco Frattini e del Ministro alla
Giustizia Luigi Scotti; e l'anno addietro a Napoli al Maschio Angioino con la
partecipazione del Segretario Generale del MAE Giampiero Massolo e del
Sottosegretario agli Esteri Vincenzo Scotti. Non meno prestigiosa e gradita,
registriamo quest'oggi la presenza del mio autorevole concittadino napoletano
Ecc. Pasquale Terracciano che dopo essere stato negli anni addietro Ambasciatore d'Italia a Madrid, ricopre oggi la carica di Capo Gabinetto del Ministero degli Affari Esteri. E mi eÁ gradita l'occasione per ringraziarlo per la
importante sua relazione che, al pari delle altre svolte dall'Ambasciatore del
Guatemala Ecc. Velasques e del Prof. Walter Barberis e, non di meno, degli
interventi dell'On. Piero Fassino e dell'Amb. Carlo Marsili, hanno voluto
arricchire i lavori di questa Assemblea. Tutte meritevoli di essere riportate
sull'Annuario Diplomatico Consolare 2011 a stamparsi nei prossimi giorni.
Non mi fa velo, peroÁ, dirVi che l'U.C.O.I., a fronte delle innanzi richiamate partecipazioni e relazioni, meritevoli di alto apprezzamento, non riscuote, da una cospicua parte della categoria consolare onoraria quel piuÁ compiuto sostegno di cui il Sodalizio va meritevole in virtuÁ dei non pochi vantaggi
fatti ad essa conseguire.
Ne eÁ riprova come su ben 514 Consoli Onorari che rappresentano gli
Stati Esteri nelle maggiori cittaÁ d'Italia, solo 286 ± anche se ne costituiscono
la maggioranza ± sono ad essa aderenti.
CioÁ dimostra che un considerevole numero di Consoli Onorari vive in un
contesto avulso dalla realtaÁ sociale. Eppure l'associazionismo costituisce oggi
piuÁ di ieri la forza concreta per conseguire finalitaÁ volte al progresso delle
comunitaÁ.
Non posso sottrarmi al bisogno di ribadire a tal proposito quanto mi
ricordava agli albori della costituzione del nostro Sodalizio, un saggio scomparso Console Onorario di Albania nella mia cittaÁ, l'Avv. Edgardo Borselli,
principe del foro di Napoli.
``Caro Di Gianni, ho elogiato l'attivitaÁ meritoria tua per aver proposto,
concretato e tenacemente voluto realizzare la costituzione della Unione dei Consoli Onorari in Italia. Tu se fra quelli che hanno capito quale sia il valore e la
forza dell'Associazionismo. Associazione significa anzitutto assistenza, coordinamento e aiuto, e ti sei quindi reso conto dei vantaggi che deriveranno dal coordinamento dei rapporti dell'attivitaÁ dei Consoli Onorari nei rapporti col Ministero
degli Esteri, con gli altri Ministeri, con le AutoritaÁ Centrali e Locali per tutti i
247
problemi comuni, riguardanti le sedi consolari e la loro sicurezza, il personale
dipendente, le questioni tributarie, i meccanismi giudiziari e quanto altro! Solo
dalla unione si puoÁ trarre maggiore forza perche i problemi del singolo diventano
problemi della collettivitaÁ; il singolo, infatti, eÁ geloso della propria autonomia, e
non considera che un'organizzazione o un raggruppamento non estingue ma al
contrario potenzia e difende ogni utile realizzazione. I singoli riescono a farsi
valere, nell'insieme degli interessi eventualmente contrastanti, in quanto siano
organizzati. La utilitaÁ dell'associazionismo eÁ una realtaÁ della quale bisogna rendersi conto: la maturazione della coscienza solidaristica rappresenta un vantaggio
innegabile contro il fenomeno dell'attivitaÁ del singolo che continua a vivere avulso
da ogni forma associativa''.
A queste sagge considerazioni mi permetto aggiungere che la mancata
associazione al nostro sodalizio di non pochi Consoli Onorari in Italia oltre
ad essere incompatibile con gli apprezzamenti ricevuti dalle piuÁ alte AutoritaÁ
Centrali e periferiche, contrasta con l'attenzione che eÁ riservata all'UCOI dai
Consoli Onorari d'Italia nei Paesi Esteri sia in occasione nello svolgimento
degli annuali Congressi dell'UCOIM (Unione dei Consoli Onorari d'Italia nel
Mondo) ± Sodalizio che della sua costituzione si rese promotrice l'UCOI ± sia
nella partecipazione spontanea e gradita alle nostre Assemblee dei colleghi che
rappresentano la nostra Repubblica in Paesi vicini e lontani.
Tale felice considerazione eÁ confermata dalla presenza a questa odierna
Assemblea dei colleghi convenuti: dal Brasile: Dott. Alvaro Cotomacci, Console On. d'Italia a Campinas e Sig.ra; dalla Danimarca: Dott. Giovanni Volpi,
V. Console On. d'Italia a Aalborg; dalla Germania: Dott. Karsten Meyer,
Console On. d'Italia a Kiel e Sig.ra; dalla Namibia: Sig.ra Maria Cristina
Poncini, Console Generale On. d'Italia a Windhonek con il consorte Ecc.
Marcello Ricoveri, Ambasciatore d'Italia a r.; dalla Spagna: Dott. Paolo Ercolani, V. Console On. d'Italia a Oviedo; dalla Turchia: Dott.ssa Oya Izmirli, Console On. d'Italia a Bursa; e l'U.C.O.I. li ringrazia tutti per la loro
presenza.
L'apprezzamento peraltro riservato al nostro Sodalizio da un gran numero di Consoli Onorari d'Italia nei Paesi Esteri con un sostegno costante
ed affettuoso eÁ consacrato in una indimenticabile pagina scritta nell'ottobre
2008 da 39 Consoli Onorari in Argentina che, presenti nella quasi loro totalitaÁ
presso l'Ambasciata d'Italia a Buenos Aires ± ove ci accolse affettuosamente
l'Ambasciatore Stefano Ronca, oggi a capo del nostro Cerimoniale della Repubblica ± vollero assegnare a chi vi parla una targa d'oro che, in concreto,
sancisce gratitudine e apprezzamento per la considerazione che l'UCOI riserva
al ruolo del Console Onorario d'Italia sovente svolto in circoscrizioni povere e
lontane, privo di adeguati supporti ma sempre alimentato da un impegno e un
amore meritevoli della nostra considerazione.
248
Ci conforta la presenza in questa nostra XXXV Assemblea di due cari
colleghi, il Decano del CC di Firenze e Console Gen. On. di Danimarca,
Sandro Berti, e il Segretario Generale del CC di Cagliari e Console On. di
Finlandia, Roberto Chessa. Essi hanno dato in passato un notevole contributo
alla crescita del nostro Sodalizio. L'U.C.O.I. spera di poter continuare ad
avvalersi del loro contributo per il miglioramento della funzione consolare
onoraria e a riaverli nella struttura degli Organi Sociali del nostro Sodalizio.
Il cammino piuÁ immediato dell'UCOI ± tanto per tornare al tema che ci
occupa ± eÁ segnato da due proposte.
La prima eÁ costituita da un suggerimento che ci perviene dall'Amb. Carlo
Marsili.
Ma prima ancora voglio dirVi che la figura di questo illustre Diplomatico
eÁ particolarmente cara al cuore di tutti i Consoli Onorari sia quelli che rappresentano Stati esteri in Italia che la nostra Repubblica in altri Paesi. Promotore nel 2004, con chi Vi parla, dell'``Unione dei Consoli Onorari d'Italia
nel Mondo'' del cui Sodalizio ricopre a pieno merito la carica di Presidente
Onorario, l'Amb. Marsili, sin da quando avemmo la fortuna di incontrarlo
nella sua funzione di Capo Gabinetto del Ministro degli Affari Esteri On.
Lamberto Dini e di poi Capo del Personale del MAE, eÁ stato sempre vicino al
ruolo e allo sviluppo dell'UCOI. Prodigo di consigli per un felice assolvimento
della funzione consolare onoraria, forbito relatore da anni alle Assemblee
dell'UCOI e ai Congressi dell'UCOIM, alimenta con grande competenza ed
amore lo sviluppo dei due Sodalizi che per tali meriti gli riservano infinita
gratitudine e grande affetto.
La proposta che oggi l'Amb. Marsili ci suggerisce eÁ quella di conseguire,
in occasione della celebrazione dei 150 anni dell'UnitaÁ d'Italia, una udienza
dal Sig.Ministro degli Affari Esteri, a svolgersi nella sede del MAE, aperta a
tutti i Consoli Onorari siano essi dei Paesi esteri in Italia che della Repubblica
italiana in altri Paesi. Sono ben certo che questa Assemblea accoglieraÁ con
grande favore tale importante suggerimento.
La seconda proposta eÁ costituita dalla partecipazione del nostro Sodalizio
all'VIII Congresso Internazionale dell'U.C.O.I.M., che dopo quelli di Vienna
nel 2009 e di Zagabria nel 2010 avraÁ luogo a Salvador de Bahia nel novembre
prossimo, in coincidenza delle manifestazioni per il ``Momento Italia'' e per
iniziativa del Console On. d'Italia in quella cittaÁ, Dott. Giovanni Pisanu; di
essa Vi illustreraÁ meglio, di qui a poco, il collega Prof. Andrea Amatucci,
Console On. di Ungheria a Napoli e Presidente del Collegio dei Revisori
dell'U.C.O.I.
In considerazione del rilevante numero dei Consoli On. d'Italia ± ben 41
± che ascrive il Brasile al primo posto nei Paesi esteri col maggior numero dei
nostri rappresentanti Onorari e non di meno dall'accoglienza che a Brasilia
249
intende riservarci l'Ambasciatore d'Italia, Ecc. Gherardo La Francesca, vogliamo ben sperare che a tale Congresso vi sia una larga partecipazione di
Consoli Onorari associati all'U.C.O.I.
Con tale auspicio, Vi ringrazio per la Vostra attenzione e Vi saluto caramente.
Relazione svolta alla XXXV Assemblea Nazionale dell'U.C.O.I.: Torino, 30 aprile 2011
250
AMICI CARI
251
252
ALFONSO BERRILLI
In una estate degli anni '70, nella quale non trascorse a Malta, con me e la
mia famiglia, la consueta vacanza, volle salutarmi al Molo Angioino di Napoli
infilandomi in tasca un libricino esortandomi a leggerne il contenuto durante
la traversata.
Fu cosõÁ che sul ponte del «Malta Express», in mare aperto e sotto il sole
accecante, rilessi ± dopo trent'anni ± il «De Amicitia» di Marco Tullio Cicerone.
Riapro, ancora a pochi giorni dalla Sua morte, quel volumetto, e vi rileggo, trascritto di Suo pugno, in prima pagina, un brano dal «Ragionamento
di Lelio»: «Che c'eÁ di piuÁ caro che avere uno con cui si possa parlare francamente
di tutto come con noi stessi? E che sorta di soddisfazione ci sarebbe nella prosperitaÁ, se non si avesse uno che ne godesse al pari di noi?».
E quante volte, infatti, in tanti, tantissimi anni, ho deposto in Alfonso, in
quest'uomo cosõÁ semplice e buono, che in vita ho amato piuÁ di un fratello, le
gioie e le amarezze delle mie giornate!
Il messaggio dal trattato che M. Tullio Cicerone scrisse nel 45 a.C. nella
quiete campestre della sua villa, trovava, senza accorgermene, il suo corollario
nell'amicizia piuÁ limpida e piuÁ tersa della mia vita.
Il buon Alfonso, da quando un avverso destino, lo aveva privato, giaÁ senza
figli, anche della propria amatissima sposa (apprezzata e nota medicodentista)
aveva finito col dare sempre meno impulso alla sua pur ragguardevole attivitaÁ
di avvocato di enti mutualistici per riversare la sua ragion d'essere, oltre che sui
propri parenti, sugli amici tra i quali io godevo un posto privilegiato.
Aveva trovato ± egli che abitava nel palazzo di fronte al mio ± nella mia
casa e nella mia famiglia la sua casa e la sua famiglia. Ed il nostro sodalizio,
rafforzatosi sempre piuÁ negli anni, dalla fuga di quella amara sua solitudine
che, inconsapevolmente, lo conduceva a seguire ogni ora della mia giornata,
aveva finito col consacrarLo parte integrante della mia famiglia. E non solo a
Napoli, ma a Roccaraso od a Laviano, a Malta od a Capri, i miei piuÁ cari amici
finivano con il diventare altrettanto suoi cari amici e per i miei figli, egli era
l'affettuoso «Zio Alfonso».
253
Forse, per questo, per quella carica di simpatia, di semplicitaÁ e di umana
trasparenza che lo contraddistinse in vita, il mattino di domenica 21 novembre una folla, muta e dolente, ha voluto gremire Via Ponte di Tappia prima, e
la vicina Chiesa dell'Incoronatella poi, per porgere l'estremo saluto ad Alfonso
Berrilli: vi erano gli amici della sua lontana giovinezza; vi erano avvocati e
Magistrati che continuando a volergli bene, avevano dato una grande valenza
agli ultimi anni della sua vita; e vi era, tra i tanti, anche un amico che ancor
oggi non si rassegna alla realtaÁ di averlo perduto. Anche se la perdita, recente,
di un caro Amico porta, come eÁ naturale, a cercare un sollievo nel ricordo dei
beni goduti nella Sua amicizia. Voglio percioÁ ricordare questo mio grande
Amico ancora con parole di Cicerone (L'Amicizia 20-23): «Moltissimi e grandissimi sono dunque i vantaggi che riunisce in se l'amicizia. Ma ce n'eÁ uno che
senza dubbio eÁ superiore a tutti: essa c'illumina l'avvenire col raggio della speranza
e c'impedisce di avvilirci e di abbandonarci. Chi ha un amico su cui fissare lo
sguardo, vede in lui riprodotto se stesso. E allora l'amico, se lontano, eÁ presente; se
povero, eÁ ricco; se debole, eÁ forte; se morto ± e questo eÁ ancor piuÁ inesplicabile ± eÁ
vivo; tanto sentito e il rispetto, il ricordo, il rimpianto con cui l'amico sussiste lo
accompagna: e cosõÁ avviene che dell'uno appare felice la morte, dell'altro invidiabile la vita».
Luglio-Dicembre 1986
254
ANTONIO CARPINO
UNA FIGURA DA NON DIMENTICARE
Antonio Carpino ci ha lasciato improvvisamente.
La Sua scomparsa segna una perdita irreparabile per la cittaÁ di Napoli al
cui progresso ha dedicato, fin da giovane, le migliori energie della Sua vita: ha
rappresentato con grande fervore ed impegno il P.S.I. nella civica amministrazione per oltre vent'anni: Consigliere Comunale dal 1964 ed Assessore in
rami diversi, ha ricoperto per 12 anni la carica di Vice Sindaco; ha rappresentato al Parlamento la Circoscrizione di Napoli-Caserta nella VI e VII
legislatura assolvendo con grande prestigio e dignitaÁ le funzioni di Sottosegretario di Stato.
Il Sindacato Forense, in un nobile manifesto, ha voluto giustamente
ricordarlo come un «Uomo esemplare che aveva profondamente assimilato i
valori antichi della cultura meridionale legati alla capacitaÁ di sacrificio, alla
tenacia, al senso di responsabilitaÁ ed equilibrio che, provenienti dalla provincia, si inseriscono nel grande tessuto urbano della cittaÁ. Fu cosõÁ ch'Egli seppe
dare un respiro nuovo ed originale all'Amministrazione pubblica di Napoli.
NeÁ, eletto deputato e chiamato a rappresentare il Governo nei dicasteri delle
Finanze e della Giustizia, dimenticoÁ il fluidificante nesso tra i problemi dello
sviluppo e quelli dell'assetto della giustizia; neÁ di indossare la vecchia e gloriosa toga d'avvocato. Disponibile sempre, spirito teso al superamento dei
contrasti, fu un cuore aperto a tutti».
Effettivamente un grande cuore, particolarmente aperto a tutto cioÁ che
potesse contribuire alla crescita materiale e spirituale della Sua Napoli. Fu
percioÁ sensibile alla creazione e allo sviluppo di nuovi rapporti tra la nostra
cittaÁ e i Paesi stranieri; non a caso questo giornale vuole ricordare due lontani
momenti, entrambi sintomatici di tale sensibilitaÁ: la Sua convinta partecipazione alla costituzione nel 1970 dell'Associazione Napoletana Amici di Malta,
di cui fu socio fondatore e della quale questo giornale, in assoluta indipendenza ed apoliticitaÁ, persegue i fini statutari; il suo ininterrotto contributo a
sviluppare il gemellaggio, nato nel 1960, tra Napoli e Kagoshima.
Due volte nella Sua qualitaÁ di V. Sindaco di Napoli, Antonio Carpino si eÁ
255
recato, a capo di una delegazione, in quella grande cittaÁ sita nell'isola di
Kyushu nell'estremo sud dell'arcipelago giapponese. Il ricordo che ha lasciato
nei cuori dei figli del Sol Levante in entrambe le Sue visite e nella calda
accoglienza riservata ad essi quando sono venuti a Napoli, eÁ stata tale che nel
novembre scorso, in occasione di una mia visita alla MunicipalitaÁ di Kagoshima, mi fu richiesto dal Sindaco Yoshinori Akasaki perche mai non fosse
venuto con me anche l'On.le Antonio Carpino. Saputone l'amaro motivo,
l'aula grande della «city Hall» improvvisamente tacque e tutti i membri del
Consiglio in piedi, a capo chino, osservando un minuto di religioso silenzio,
vollero tributare un mesto accorato saluto ad un Uomo ad essi molto caro.
Quella improvvisa attenta partecipazione, che mi scosse profondamente,
volle significare che se Antonio Carpino rivive in una terra cosõÁ lontana,
Napoli, la Sua Napoli, la Civica Amministrazione, il Suo partito, i Suoi concittadini dovrebbero pur pensare a manifestarGli, in morte, un segno di
umana gratitudine.
Luglio-Dicembre 1987
256
LA SCOMPARSA DI ALDO ANTONELLI:
UN LUTTO NEL MONDO DELLA CULTURA
Se eÁ vero, come eÁ vero, che la visita del Governatore Distrettuale segna
uno dei momenti piuÁ alti e piuÁ qualificanti della vita del Club, non avremmo
potuto trovare occasione migliore per ricordare brevemente la figura, l'opera,
la missione di Alto Antonelli, socio fondatore non solo, quand'anche ± ed a
pieno merito ± socio onorario di questo nostro amato Rotary Club di Napoli
Nord-Est.
«Un lutto per la cultura la scomparsa di Antonelli», ha giustamente titolato il piuÁ diffuso quotidiano del Mezzogiorno; non di meno un lutto per il
Rotary, aggiungeremmo noi. Perche i soci fondatori superstiti (siamo rimasti
in undici) non possono non riandare con la memoria a quella sera del 25 marzo
1977, nella piccola sala dell'hotel Excelsior, quando Aldo, sensibile agli ideali
e agli alti valori del Rotary, volle essere in prima fila nella costituzione di
questo Club.
Personalmente, con Lui avevo giaÁ vissuto, almeno da dieci anni, stagioni
di intensa partecipazione a non poche iniziative socio culturali: la costituzione
dell'A.N.A.M. (Associazione Napoletana Amici di Malta) grazie anche al contributo di Guido Belmonte; la creazione di un periodico che oggi ha 25 anni,
alla quale Aldo mi condusse per mano.
Consentitemi di riandare con la memoria alla composizione dei primi
numeri, quando, gomito a gomito, prima col linotipista che componeva riga
per riga e poi col tipografo, impaginavamo sul marmo, aggiustando nei telai le
colonne di piombo; e il nostro vezzo (che per vero toccava non a noi ma ai
grandi giornalisti) di comporre sul marmo la fisionomia della pagina inserendo
o spostando uno dopo l'altro gli articoli; ricordi questi che il tempo ha affievolito di fronte alla stampa a freddo in offset ed alla prestampa computerizzata; competenza, quella, che derivava ad Aldo dal suo lungo sodalizio con la
carta stampata, per essere stato, fin dagli anni '40, direttore amministrativo
del quotidiano liberale ``Il Giornale'' sul quale firmavano articoli, ricordo,
Benedetto Croce, Raffaele De Caro, Guido Cortese, nonche giornalisti come
Pio Nardacchione, Federico Frascani, Arturo Collana e tanti altri.
257
Ne posso stralciare dalla memoria, durante la lunga milizia vissuta con
Aldo, le prime visite al centro storico con il Corpo Consolare di Napoli, a
cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta e di cui egli fu precursore nel coinvolgimento e nell'accostamento dei gruppi alla conoscenza del patrimonio storico
culturale della cittaÁ; accostamento che poi sviluppoÁ, con Antonio Speranza, a
mezzo dell'Associazione per il Mondo Unito, da lui creata, e le visite a Malta,
ove egli mi stupiva per la conoscenza di ogni pietra, di ogni fortezza, di ogni
bastione, di ogni strada, fossero esse dell'antica Medina o di Valletta, sõÁ da
sembrare di casa.
Ma non voglio sciupare l'eloquenza dei fatti con le parole.
Al di laÁ dei miei ricordi personali, sono convinto che la parola non puoÁ
dare da se sola la visione fedele di una personalitaÁ umana e culturale come
quella di Aldo Antonelli nelle molteplici manifestazioni della sua essenza e
della sua grandezza. Perche l'uomo non potraÁ mai riprodurre con la parola una
personalitaÁ umana in tutta la sua poliedrica complessitaÁ. Occorre, quindi, per
delineare compiutamente la figura e la vita di Alto Antonelli, ricordare le cose
che egli fece, le ricerche intraprese specie sul piano storico-artistico, gli ideali
perseguiti, gli insegnamenti che impartõÁ, la passione che suscitoÁ, la fede che
ispiroÁ ogni sua azione.
Il suo ``cursus honorum'' eÁ denso e ricco. Mi limiteroÁ soltanto a citarne i
passi piuÁ salienti.
± Assistente presso la Cattedra di Economia Politica e quella di Scienza
delle Finanze dell'UniversitaÁ di Napoli;
± Ispettore Onorario del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali;
± Ordine al Merito ± grado di Grande Ufficiale ± della Presidenza della
Repubblica Italiana;
± Premio della Cultura della Presidenza del Consiglio dei Ministri;
± Medaglia d'Oro e Senatore dell'Ordine dei Dottori Commercialisti;
± Vice Presidente dell'Associazione Napoletana Amici di Malta;
± Condirettore del periodico Maltanapoli - Corriere Mediterraneo;
± Socio fondatore e, poi, onorario del Rotary Club di Napoli Nord Est;
massima onorificenza rotariana Paul Harris Fellow;
± Componente del direttivo di numerose accademie e sodalizi culturali,
tra i quali: Istituto Italiano dei Castelli, Associazione Amici dei Musei, Archeoclub, Italia Nostra, Istituto Campano per la Storia del Giornalismo, Federazione Italiana delle Associazioni Amici dei Musei, World Federation of
Friends of Museums;
± Fondatore e Presidente dell'Associazione per il Mondo Unito.
Da questa intensa attivitaÁ culturale della sua lunga giornata terrena ricaviamo l'identificazione esatta della sua personalitaÁ, permeata da un animo
estroverso e tendente a comprendere tutti, a volere bene a tutti.
258
Nel groviglio delle opinioni, con un costante sorriso sorretto da un humour sottile che non gli faceva mai perdere il senso del limite e delle proporzioni, egli scorgeva immediatamente antitesi e convergenze, derivazioni e
collegamenti. Con assoluta sicurezza, che non ammetteva obiezioni, con impeccabile rigore logico, Aldo Antonelli trovava il filo conduttore e dava al suo
lungo periodare, sempre intessuto da richiami ora artistici, ora storici, ora
letterari, ora poetici e, sovente, anche nel piuÁ accattivante vernacolo napoletano, un tocco di ``suspense'' che ``bloccava'' il partecipe ascoltatore.
Certo, negli ultimi tempi il suo fisico cominciava a rivelare il peso degli
anni. Nessun cedimento peroÁ nella sua mente, nella sua memoria e nella sua
inesauribile tempra. ``Aldo'' ± gli dissi, con affettuosa franchezza, in uno dei
piuÁ recenti e forse ultimo incontro ± ``comincia il freddo, riguardati! Non puoi,
unico tra i soci, essere sempre presente alle nostre riunioni''. ``Michele, mi sento
una quercia, io vado fino in fondo''.
Ci diceva tutto questo, perche egli conosceva ed ammetteva soltanto
l'ultima fermata, la fermata suprema. Ed ha voluto raggiungerla proprio qui,
in questo albergo, la sera del 2 dicembre mentre, accostandosi all'urna per
deporvi il suo voto per l'elezione del prossimo consiglio, consumava l'ultimo
atto della sua fede rotariana e voltava l'ultima pagina del libro della sua vita.
Ma non lo ricorderemo solo per questo; lo ricorderemo, di certo e tutti,
ogni volta che tu caro Gino e tutti i Presidenti che ti succederanno, chiederete, a conclusione della conversazione settimanale: ``Ci sono domande?''. Gli
attimi di ``imbarazzanti silenzi'' ± come ben rileva l'anonimo redattore che ha
voluto dedicare ``ad Aldo'' un nitido saluto sul frontespizio del nostro recente
notiziario ± continueranno a scorrere; ma i nostri sguardi non potranno piuÁ
puntare sul vecchio Aldo, pronto ± e, diciamolo pure, dopo voluta, studiata,
compiaciuta e, percioÁ simpatica attesa ± a levarsi lentamente con l'indice della
mano destra leggermente ricurvo, proteso a serrare il microfono sotto il
mento, onde, come diceva, ``rompere il ghiaccio''.
Certo, i suoi interventi, lungi dal recepire la puntuale sollecitazione del
Presidente e costituire una domanda, erano, invece, sempre una piacevole,
soggettiva, libera mini-dissertazione sul tema oggetto della conversazione. Ed
avevano il pregio, e sovente, di farci sorridere e ben figurare.
Ma questo ``silenzioso protagonista di momenti luminosi della vita di
Napoli'', come ha scritto di lui Max Vajro su ``Maltanapoli'', non eÁ piuÁ tra
noi! La nostra cittaÁ, il nostro Rotary, i suoi tanti amici ne sentono giaÁ la
mancanza.
E consentitemi allora, caro Governatore, caro Presidente, cari Amici, che
io, in tutta umiltaÁ, concluda con una proposta: farci carico questa sera, tutti
noi di questo Club, che, fin dalla fondazione, fu costantemente il Rotary Club
di Aldo Antonelli, di richiedere, con una petizione che si apra alla cittaÁ con le
259
nostre firme, la intitolazione a suo nome di un tratto dell'antico vico Salata
all'Olivella, e precisamente di quella parte ove eÁ sito il civico 19, nel quale,
sessant'anni or sono, volle acquistare una piccola casa, da lui ininterrottamente abitata, per eleggerla a palestra di insegnamento per i giovani ed a
fucina di cultura e di amore per la nostra cittaÁ. (Commemorazione svolta al
Rotary Cub Napoli Nord-Est).
Gennaio 1995
260
RICORDO DI ANTONIO GUGLIELMI
Per gli intimi era il Marchese.
Un titolo nobiliare che seppe guadagnarsi nei primi anni sessanta per il
suo incedere e per il suo elegante abbigliamento (portava giaÁ allora giacche di
Tweed dai bottoni di cuoio e cravatte Harrods made in England). Eppure, per
una strana simbiosi comportamentale, esplodeva, sovente per un nonnulla, in
improvvisi scatti di nervi, il buon Marchese.
Eravamo, in quegli anni, agli inizi della nostra attivitaÁ professionale; i
nostri studi legali, pur godendo di rispettiva autonomia rimasero per un breve
periodo allogati nello stesso appartamento di Via Ponte di Tappia accanto a
quello della mia abitazione; quello dell'Avv. Antonio Guglielmi venne di poi
man mano a costituirsi in una eccezionale e ben nota fucina di lavoro, in
proficuo sodalizio con la sua preziosa, e non meno preparata, consorte Antonella (entrambi occupati, prevalentemente e compiutamente, nel contenzioso
espropriativo immobiliare anche per conto di Istituti di credito). E il suo
studio eÁ stato, per la ricchezza della sua biblioteca, un punto di riferimento
per gli studiosi del diritto e non di meno per molti colleghi od anche magistrati
di primo piano. Vale la pena ricordare due episodi, emblematici e sintomatici
che, pur tra loro contrastanti, sono rivelatori di una non comune personalitaÁ
condensata in una allegra verve che puntualmente cancellava le sue frequenti
«incazzature» cagionate da un nonnulla e fonti di acute sofferenze nei suoi
stessi collaboratori. Incazzature che venivano assorbite dal suo animo, in
concreto, infinitamente buono.
Il primo episodio risale al breve periodo del nostro sodalizio: mi intrattenevo un giorno nella mia stanza con alcuni clienti, quando apparve d'improvviso il Marchese che, scatenato e rubizzo, impugnava un paio di grosse forbici:
«il tuo telefono, per Dio, mi ha rotto i timpani» e ... zac un colpo netto al filo
del mio apparecchio!
Il secondo episodio: quello tante volte rivissuto e rievocato da lui, da me e
dagli amici che ne furono protagonisti, come l'episodio della «notte delle
bambole». In una sera di agosto di quei meravigliosi primi anni sessanta il
Marchese Guglielmi propose a me e ad altri comuni amici e colleghi (Guido
261
Belmonte, Massimo De Marco, Tommaso Tomasicchio e qualche altro) di
accedere al «Salone Margherita» per assistere ad un eccezionale avanspettacolo
di prima grandezza offerto da una compagnia di «pin up girls» inglesi. Compatti accogliemmo l'invito: le foto riportate sulle locandine apposte in galleria,
in cima alle scale dell'antico e celebre Salone, erano invitanti, pari all'accattivante grossa scritta sovrapposta in diagonale «Le bambole». A fine spettacolo
un eccitato Marchese si propose cuoco sopraffino di mezzanotte, per una
spaghettata «aglio e olio» da consumarsi nella vicina mia casa (tanto piuÁ che
la mia famiglia era in montagna). Mentre il Marchese, con tanto di grembiule
bianco, scodellava il fumante piatto per il nottambulo gruppetto di buoni
amici, ecco una lunga prolungata scampanellata alla porta, e i miei ospiti che
scoppiavano in esilaranti risate. Ignaro corro ad aprire: cinque altissime giovanissime figlie di Albione, malamente struccate e con tanto di borsone chiedevano, compunte, con tanto di «lasciapassare» vergato di pugno dal Marchese, di accedere in casa mia. Sbiancato e tremante per le imprevedibili
conseguenze che potevano derivare da quella notturna pur aristocratica bravata, grido al Nobile Amico: tutti fuori! Altro coro di contorcenti risate.
Tomasicchio, compunto e forbito Avvocato dello Stato lisciandosi il cranio pelato e luccicante, sentenzia di calare in acqua non meno di due chili di
pasta: «Le bambole» sussurra, «non mangiano da due giorni!». Solo contro
tutti, corro a chiudere a doppia mandata tutte le camere: dal salotto a quelle
(in particolare!) da letto; tinello, cucina e corridoio sono piuÁ che sufficienti per
il branco affamato. Il Marchese cantava, scodellava e somministrava la prelibata, unica, pietanza alternandola a robuste libagioni di vini pregiati, sturati
dalle mie migliori bottiglie d'annata da anni riservate ad occasioni piuÁ propizie, allorquando sopraggiungeva una seconda scampanellata. Era Ciccillo Florenzano, assonnato, in vestaglia ed a piedi scalzi che avuta personale contezza
del sovrastante baccano, sale dalla sua casa al piano di sotto, chiude la porta e
biascica: «Piatto ricco mi ci ficco».
Ma il vero incontenibile regista e concreto padrone di casa mia era solo
lui: il Marchese Antonio Guglielmi che, a fronte delle veementi mie proteste,
consumava l'ultimo perfido tiro in mio danno dicendomi: «le bambole, grate e
satolle, vanno a casa». Santo cielo, ma le bambole, barcollanti e assonnate
avevano ben serrate al seno tutte le bambole di mia figlia Questo no, caro
Marchese! Imprecando, riuscivo a strappare dalle mani della piuÁ aitanti delle
pin-up, la bambola piuÁ grande, quella dal vestito rosa, riponendola sul lettino
di mia figlia. Al rientro della famiglia mi salvoÁ una provvida pietosa bugia: le
bambole, dissi, erano state da me donate ad una suora venuta a bussare alla
nostra porta accompagnata da alcune orfanelle! «Opera migliore non potevi
compiere» replicoÁ la mia buona e santa moglie.
Quella grossa bambola, salvata in extremis dalla piuÁ insospettata razzia
262
notturna, ancor'oggi, dopo quarant'anni, seppure con la veste rosa sgualcita, il
parrucchino scompigliato e qualche ditino rotto ± cimelio di una casa che non
esiste piuÁ! ± siede su una poltrona dello studio della mia nuova abitazione: i
suoi occhi, specie a sera quando lavoro, luccicano; il suo sorriso eÁ triste e
quando il suo sguardo incrocia il mio, un inconscio afflato ci ricollega ad
Antonio, al caro Marchese Guglielmi che, senza incazzarsi, in punta di piedi,
nello scorso settembre, ci ha prematuramente lasciato.
Dicembre 1996
263
SILVIO MIFSUD, UN AMICO DELL'ITALIA
Enclosed herewith pls find copy of all article which appeared in today's `Times of
Malta' for your guidance. With best regards. Silvio. Con questo fax del 5 luglio
scorso si concludeva tra me e Silvio Mifsud un fraterno e lungo sodalizio durato
circa quarant'anni. Cinque giorni dopo si spegneva improvvisamente nella sua
casa a Main Street in San Giuliano. Quel messaggio oltre a costituire l'ultimo suo
saluto, rappresentava anche l'ultimo atto d'amore verso questo periodico che,
per sua ispirazione, vedeva la luce nell'anno 1970, sempre alimentato in trentadue anni dall'apprezzamento, dal sostegno, dalla vigile attenzione di questo mio
Caro Amico che, in prima persona, ne curava anche la distribuzione a Malta.
L'articolo di Hermann Grech apparso sul «Times of Malta» quel 5 di
luglio riportava infatti con la foto del nuovo Ambasciatore d'Italia a Malta,
Alvise Memmo, l'inizio delle trattative per il quinto protocollo finanziario
italo-maltese del quale, firmato il 20 dicembre scorso, scrive su altra pagina
di questo numero Lawrence Grech.
Sposato nel 1939 con Mary Borg, da cui ebbe tre figli ± Neville, Umberto
e Adriano ± che hanno seguito le orme paterne, Silvio fu uno dei maggiori e
piuÁ noti imprenditori maltesi, fondando nel 1935 col fratello Paolo la ditta
«Mifsud Brothers Ltd», che presto divenne notissima a Malta come una delle
migliori agenzie marittime.
Nel 1950 i due fratelli intrapresero disgiuntamente le loro attivitaÁ e Silvio
fondoÁ la ditta «S. Mifsud and Sons», nota ancora oggi come SMS che associa
proficuamente al settore marittimo, quello assicurativo e quello turistico. In
particolare la SMS lavoroÁ con l'Italia, essendo per molti anni rappresentante a
Malta dell'Alitalia, della Tirrenia Navigazione, del Registro Navale Italiano
(dal 1970) e del Touring Club Italiano. Nel 1994 Silvio ± che fu anche delegato
onorario della Fiera Internazionale di Milano e della Fiera del levante di Bari ±
aveva lasciato la direzione della SMS ai figli Neville e Adriano, diventando
consulente del figlio Umberto, fondatore della ditta «Hubert Mifsud & Sons».
Per i suoi eccezionali meriti nei confronti del Paese da lui piuÁ amato, l'Italia,
Silvio Mifsud fu insignito dal Presidente della Repubblica Italiana nel 1989
dell'alta onorificenza di Commendatore al Merito della Repubblica Italiana.
264
Aveva studiato a Malta nel collegio «San Luigi» dei Gesuiti portando in
ogni giorno della sua vita l'impronta della sua formazione religiosa; da ardente
cattolico fu sempre attivo e generoso verso i bisognosi e verso le istituzioni
nazionali e internazionali che assistono i poveri e i malati. Per tali meriti fu
insignito dell'alta onorificenza di Cavaliere per Grazia Magistrale del Sovrano
Ordine di Malta.
Va pure ricordato che Silvio Mifsud si distinse anche nella categoria
Consolare Onoraria. Ha rappresentato a Malta, per oltre trent'anni, con grande dignitaÁ e spirito di servizio, nella qualitaÁ di Console Generale Onorario, la
Repubblica della Liberia e il Giappone. Per i meriti acquisiti fu insignito nel
1988 dall'Imperatore del Giappone Hirohito dell'alta onorificenza dell'«Ordine del Sacro Tesoro, con raggi d'oro e rosetta».
Silvio Mifsud sentiva la funzione del Console Onorario non come pura
onorificenza (come, purtroppo, sovente si riscontra nella categoria consolare
onoraria) bensõÁ come assolvimento di un avvertito servizio. Il grande statista e
diplomatico Charles Maurice Talleyrand scrisse infatti nel suo testamento che
«la vita del Console eÁ una vita dedicata al servizio dell'umanitaÁ». E Silvio ±
dopo essersi reso promotore, proprio per mia sollecitazione, della costituzione
nel 1995 dell'Associazione dei Consoli Onorari a Malta ± per meglio calarsi in
tale servizio e per conoscere fino in fondo, le molteplici attivitaÁ del Console
Onorario, ha partecipato, quale attento e puntuale osservatore a quasi tutte le
27 Assemblee Nazionali della Unione dei Consoli Onorari in Italia, ovunque
esse si fossero svolte; anche fuori dell'Italia, come a Vienna (1988), nella sua
Malta (1992) ove fu prodigo di ospitalitaÁ, a Bruxelles (1995) a Strasburgo
(1996) a Lussemburgo (1997) tanto da saper creare un sodalizio forte e vivo
tra la sua Persona e i Consoli Onorari in Italia. Non a caso il 4 maggio scorso
svolgendo la mia relazione di Segretario generale dell'UCOI nel Teatro della
Reggia di Caserta avvertii, forte, il bisogno di segnalare e ringraziare, per la
sua costante, puntuale e fedele presenza alle nostre assise, un vecchio collega
che siedeva compunto e silenzioso in quel parterre. L'aula gli tributoÁ uno
scrosciante applauso e Silvio, sollevandosi lentamente dalla sua poltrona, con
il peso dei suoi 84 anni, ringrazioÁ tutti con il suo ben noto largo sorriso non
senza reprimere una lacrima di commozione.
E per le sue grandi qualitaÁ di uomo, di cattolico, di manager, di Console
Generale Onorario, di socio aggregato all'UCOI, di amore infinito per la nostra
Italia, il Consiglio Direttivo dell'UCOI nella sua recente riunione svoltasi a
Firenze il 7 dicembre scorso, su mia proposta, ha deliberato all'unanimitaÁ di
dedicargli nell'Assemblea nazionale del 2003, una medaglia alla memoria per
aver tenuto, sempre, ben alti i valori e la missione del Console Onorario.
Conto di tornare presto a Malta. Al mio arrivo non troveroÁ piuÁ l'amico
che a piccoli passi al Grand Harbour o all'aeroporto di Gudja, mi viene
265
incontro per accogliermi e starmi vicino durante tutta la mia permanenza.
Questa volta non androÁ con lui, suo ospite, al villaggio dei pescatori nella baia
di Marsaxlokk o in quella di Marsascala. Non piuÁ. AndroÁ, invece, a Malta
soltanto per deporre sulla sua tomba la medaglia in argento, giaÁ coniata e che
mi eÁ accanto; essa reca incisa questa scarna motivazione: «A Silvio Mifsud che
esaltoÁ nella sua poliedrica figura i valori della funzione consolare onoraria».
Dicembre 2002
266
AD UN ANNO DALLA SCOMPARSA DI UN ILLUSTRE MALTESE
LETTERA A GIOVANNI MANGION
Carissimo Giovanni, mio amico e mentore, te ne sei andato anche tu, ad
un'etaÁ, considerata oggi, ancora giovanile. Ma da tempo ti rodeva un male,
stoicamente e silenziosamente sopportato ``per non preoccupare gli amici''.
Hai lasciato nel profondo dolore la tua amatissima moglie Rosemare, i tuoi
adorati figli Irene e Dino. Nonche i molti amici del cuore e tutta la redazione
di questo benemerito periodico, al quale sempre collaboravi, come pure la
redazione del ``Sunday Times'', dove puntualmente appariva il tuo modesto
monogramma GM, nel quale trattavi argomenti relativi all'Unione Europea,
alla quale eri tanto attaccato. Sicuramente cosõÁ contribuendo all'Entrata nell'UE della tua e nostra Malta.
Lasci un enorme vuoto in seno a Strasburgo, dove rappresentavi degnamente l'Isola. Brillante scrittore, hai dedicato, tra gli altri, un bel libro sul
Barocco maltese, e hai donato ai tuoi numerosi alunni vari fascicoli dal titolo
``L'italiano eÁ bello''. E infatti, da convinto italianista, che gli studi all'UniversitaÁ di Pisa ± da te frequentata accanto a Romano Prodi ± hanno rafforzato,
diffondendovi nelle scuole di Malta e di Napoli la cultura italiana e la lingua di
Dante. Ricordo pure la bella rivista ``Il Ponte'', titolo che voleva esprimere il
legame simbolico tra Malta e l'Italia da Te fondata e diretta.
Addio, mio caro Giovanni. Rimarrai sempre vivo nel mio cuore.
Giugno 2004
267
SARAJEVO, APRILE 1943: UN ATTO DI EROISMO
CHE MALTANAPOLI SEGNALA AL PRESIDENTE CIAMPI
CELESTINO DEL VECCHIO, DA LAVIANO:
UN SOLDATO CHE HA ONORATO L'ESERCITO ITALIANO
Giusto rilievo hanno riservato il quotidiano ``DAN'' di Sarajevo e ``La
stampa'' di Torino all'incontro tra Celestino Del Vecchio e Ismeta Avdic, oggi
rispettivamente di 88 e 64 anni, svoltosi recentemente presso l'Ambasciata
italiana di Sarajevo ove la donna risiede. Un incontro che si eÁ avvalso del
determinante contributo del figlio di Celestino, ing. Franco, che con accurata
ed affettuosa regia ha voluto donare al suo papaÁ una giornata di grande gioia e
che ha trovato coronamento nella partecipazione del Col. Silvio Bigini, Comandante del 3ë Reggimento Artiglieria Alpina della Divisione Julia del Contingente militare italiano in Bosnia.
Correva il mese di aprile dell'anno 1943, in piena guerra mondiale, un
battaglione dell'artiglieria italiana presidiava la valle di Scenica, in Serbia,
vicina ai confini con il Montenegro e il Kossovo. Celestino Del Vecchio, soldato semplice da Laviano, Salerno (ove, fanciullo e mascotte, suonava il tamburo nella locale banda musicale votato ad emulare lo stesso gesto eroico
compiuto cent'anni prima sulle colline di Custoza dal ``piccolo tamburino
sardo'' nato dalla fantasia di Edmondo De Amicis) e di poi maresciallo maggiore dell'esercito (rimanendovi per quarant'anni), sta dormendo, dopo una
giornata estenuante, nella sua baracca in riva al torrente Jablanica. Improvvisamente, e inspiegabilmente, si sveglia: un impulso, come una voce interiore,
lo chiama verso la riva del torrente. E qui, proprio dove l'acqua eÁ piuÁ profonda, vede prima una, poi due manine emergere dall'acqua e dibattersi disperatamente. Il coraggioso soldato si getta nel fiume e a fatica riesce ad afferrare il corpo di una bambina, appena in tempo a sottrarsi entrambi dal
sopraggiungere di una gigantesca massa d'acqua.
``Mi sono tuffato, l'ho afferrata e portata a riva: era una femminuccia.
Insieme al nostro ufficiale medico siamo riusciti a rianimarla. Poi eÁ arrivata la
madre, una donna musulmana dal volto coperto, che l'ha presa con seÂ. Quella
268
donna eÁ tornata poco dopo per regalarmi un paio di calzettoni bianchi. Li ho
ancora oggi con me''.
L'improvviso trasferimento del Maresciallo e dei suoi commilitoni in
un'altra regione serba gli impedõÁ peroÁ di approfondire la conoscenza della
bambina salvata e della sua famiglia e Del Vecchio tornoÁ in Italia senza aver
mai potuto scoprire il nome di quella bimba. Rimase peroÁ viva per oltre
sessant'anni l'intima convinzione che il suo risveglio di allora non fosse casuale
e che dietro al salvataggio di quella vita si celasse una spinta miracolosa.
Difficile quindi reprimere il desiderio di ritornare in quella terra lontana,
finalmente in pace, e soprattutto incontrare nuovamente la bimba sottratta
dalle gelide acque del torrente, ora diventata una anziana signora. Il desiderio
dell'ex Maresciallo Del Vecchio ha trovato, pur dopo tanti anni, un felice
coronamento quando, coadiuvato, come si eÁ detto da un suo figliuolo nella
faticosa ricerca, la bambina di allora eÁ stata rintracciata a Sarajevo, grazie
anche al contributo di un quotidiano serbo, colpito dalla vicenda toccante: il
soldato italiano e la bimba salvata si sono potuti cosõÁ conoscere e riabbracciarsi
sessant'anni dopo.
Viene cosõÁ finalmente svelata un'altra storia che dimostra come, anche fra
i drammi umani che inevitabilmente costellano le guerre nel mondo, i militari
italiani si distinguono, oggi come allora, per generositaÁ e senso di solidarietaÁ,
qualunque sia il popolo che con essi venga a contatto.
Un percorso lungo 4.800 km che ha condotto Celestino ± da decenni
cittadino torinese ± dopo aver attraversato decine di frontiere: Croazia, Bosnia, Serbia, Montenegro, Slovenia, finalmente alla meta: riabbracciare quella
bambina, ritrovata oggi a Sarajevo donna di 64 anni con marito e due figli
adulti.
Una storia, questa, che Maltanapoli pone all'attenzione ± sempre vigile ±
del caro Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Un atto di eroismo
che non puoÁ concludersi soltanto con l'abbraccio tra i due protagonisti presso
l'Ambasciata d'Italia a Sarajevo.
Dicembre 2005
269
IN LUTTO L'AVVOCATURA NAPOLETANA
LA SCOMPARSA DI MICHELE TARTAGLIONE
``Caro Michelone'', erano e rimangono queste le due parole che, scambiandoci reciprocamente con un forte abbraccio, segnavano ogni nostro incontro al quale partecipava la sempre sorridente Tua cara Annamaria.
Quali fossero stati gli excursus da me promossi ± in Argentina o in
Uruguay, in Turchia o in Austria ± Tu e Annamaria mi siete sempre stati
vicini. Mi avevi giaÁ assicurato la Vostra partecipazione al Congresso dei Consoli Onorari d'Italia che avraÁ luogo in Brasile nel prossimo novembre. Ma a
Salvador de Bahia non potroÁ scrutare, nelle sedi di lavoro, l'immagine sempre
attenta e silenziosa, del mio caro ``Michelone''.
Se la categoria degli Avvocati Tributaristi di Napoli ha perso l'alfiere del
suo sodalizio, la ristretta cerchia dei Tuoi piuÁ cari amici, ha perso la sua punta
di diamante.
Nell'affollata modernissima Chiesa di San Carlo Borromeo che, limitrofa
al Palazzo di Giustizia sorge nel Centro Direzionale, tra i tanti magistrati e
avvocati convenuti qualche giorno fa a renderTi l'estremo saluto, sedeva al mio
fianco, ricurvo e sempre piuÁ acciaccato, il caro Aldo Manfredonia. Entrambi
ricordavamo come nello studio di suo fratello Carlo, Tuo maestro, forgiasti la
Tua solida e insuperabile preparazione di avvocato fiscalista e tributarista. E
durante la mesta cerimonia affioravano in me, tra i ricordi piuÁ cari, le nostre
frequenti visite proprio al caro Aldo da quando il suo stato di salute si eÁ reso
cagionevole o al compianto Presidente del Tribunale di Napoli Raffaele Di
Fiore da quando la sua infermitaÁ gli impediva di uscire da casa. Tra questi ed
altri ricordi che si alternavano nella mia mente in quella triste celebrazione, un
avvertito proponimento: il nostro legame di amicizia continueraÁ, come prima,
tra me, la Tua Annamaria e i tuoi figli Giuliano e Salvatore.
Ciao, ``caro Michelone''!
Giugno 2011
270
RECENSIONI
271
272
MATTIA PRETI
CONTRIBUTI ALLA CONOSCENZA DEL CAVALIER CALABRESE
di CLAUDIA REFICE TASCHETTA
Questo pregevole libro di Claudia Refice Taschetta ± premiato nel '63 a
Villa S. Giovanni per la saggistica, e da tempo esaurito ± torna, arricchito di
quadri inediti esistenti a Malta, nuovamente alla luce a cura dell'Associazione
Napoletana Amici di Malta. Il suo Presidente Onorario, Senatore a vita Giovanni Leone, il Comitato Esecutivo, i soci, vogliono con questa ristampa ± in
occasione della XIII Mostra d'Arte del Consiglio di Europa che si tiene appunto a Malta dal 30 Aprile al 1ë Luglio di quest'anno 1970 ± confermare il
vincolo, di spirito e di cultura, che unisce l'Italia, ed in particolare Napoli,
all'Isola.
E quale migliore auspicio per questo rinnovato scambio di affetti della
celebrazione di uno dei piuÁ singolari artisti del '600? Quel Mattia Preti che
proprio da Napoli, nel 1660, si trasferõÁ a Malta e per quarant'anni vi lavoroÁ,
affrescando chiese e cattedrali, coadiuvato da una schiera di allievi (una vera e
propria scuola), dipingendo quadri che dall'isola partivano per l'Europa. Il
pittore che nell'essere accolto tra i cavalieri di grazia dell'Ordine di S. Giovanni, vedeva confermate la pietaÁ religiosa della lontana infanzia borghese
nella natia Taverna, in Calabria e la fama che gli veniva dai suoi affreschi e
dalle sue tele.
Il Preti era partito da Napoli, giaÁ allora uno dei centri di maggiore vivezza
artistica in Europa (vi operavano in quel tempo il Fracanzano, lo Stanzione, il
Battistello Caracciolo, il Cavallino, il Vaccaro). Il pittore, che, anche se nato in
Calabria, non soltanto calabrese era, ma soprattutto napoletano, per cultura e
formazione spirituale (come la gran parte dei meridionali di spicco in quel
tempo) e tra Malta e Napoli aveva stabilito un concreto rapporto. Da Malta
erano partite ± eseguite nell'isola ± buona parte delle tele di S. Pietro a
Maiella, cosõÁ come quelle di Santa Maria del Carmine Maggiore. A Napoli,
prima che a Malta, aveva conosciuto il suo maggior rilievo d'artista. E piuÁ di
una volta vi era ritornato, in quei quarant'anni, per commissioni o soltanto per
ritrovarsi nei luoghi della sua prima maturitaÁ artistica.
273
A Napoli aveva potuto pronunziare il suo «inveni portum» dopo una vita
disagevole e di avventure, iniziate con la partenza a diciassette anni dal suo
villaggio calabrese e sottolineata dalla fuga da Roma per un omicidio. Una vita
«tenebrosa», annota il saggista settecentesco e pare quasi che questo aggettivo,
di ombre piuÁ che di luci, tragga spunto anche dalla ricchezza drammatica, dal
violento contrasto, dal chiaroscuro delle sue tele, dal conflitto tra l'interiore
sentimento religioso, cresciuto con lui dall'infanzia, con la sensuale ricchezza
delle immagini esaltata nei toni della sua pittura. Siffatta iconografia romantica del nostro personaggio eÁ stata ancora piuÁ caratterizzata dalla Goddard
King che tracciando, a suo modo, un portrait of the artist as a young man,
ricordato, in questo volume, da Claudia Refice Taschetta, non esita a descriverlo come «un uomo grande e robusto, con occhi neri e fiammeggianti, con
pesante capellatura... aveva i tratti della sua regione montanara, dove la piccola nobiltaÁ e la classe contadina sono dello stesso ceppo e sono state successivamente greche, bizantine, saracene, forse normanne, infine per solo mezzo
millennio completamente italiane».
Se comunque dai diciassette anni ai quarantatreÁ (tanti ne aveva quando si
stabilõÁ a Napoli, la seconda volta, dopo il primo breve soggiorno dell'adolescenza) il Preti ebbe vita avventurosa (ne finora i pochi biografi hanno potuto
accertare quale e quanta sia la veritaÁ di queste notizie) non v'eÁ dubbio che a
Napoli nel 1656 ± ed a Malta nel 1660 ± apparve tranquillo e pacato. I suoi
furori, le ire, gli impeti, i patimenti, gli sdegni invece che nella vita trasferiva
ora nella pittura, un suo mondo personale squillante di biacca, di cinabro, di
cobalto, di oro a riscontro di cupe e pesanti ombre, di fondi fumosi. Nascono
qui, a Napoli, i suoi capolavori. E continuano, alacramente, per altri quarant'anni a Malta.
Dove questa tredicesima mostra del Consiglio d'Europa porta a sottotitolo l'epigrafe «Mattia Preti, Pittore e Cavaliere» quasi a marcare la eccezionalitaÁ della presenza del gran pittore nella esposizione. Che eÁ addirittura una
«personale» del Preti. Ai pochi Caravaggio (anch'egli fu cavaliere di S. Giovanni e soggiornoÁ nell'isola quasi due anni), al di gran lunga meno prestigioso
de Favray (ritrattista ufficiale di Gran Maestri e autore di visioni orientali che
anticipano l'invenzione colorata di Delacroix) fanno riscontro ben trenta quadri di Mattia Preti. EÁ questa «personale» ± ci sembra ± la piuÁ grande e
importante mostra, per numero e qualitaÁ dei dipinti ± che sia stata mai dedicata al pittore cavaliere. E qui incide opportuno il riferimento all'istanza che il
sottoscritto avanzoÁ nel «meeting» celebratosi recentemente a Napoli tra l'Ambasciatore di Malta a Roma S.E. Philip Pullicino e l'Associazione Napoletana:
che fosse promossa, proprio a Napoli, una grande mostra del Mattia Preti! Qui,
dagli scomparti di S. Pietro a Maiella che ± secondo quanto scriveva il Longhi
fin dal 1913 ± «diventeranno, speriamo presto, qualcosa di piuÁ delle stanze di
274
Raffaello!» alle tele conservate nei musei e nelle chiese (di S. Domenico Maggiore, di S. Domenico Soriano, di S. Maria dei Sette Dolori, di S. Agostino
degli Scalzi, di S. Maria del Carmine Maggiore) eÁ la testimonianza viva del
periodo napoletano del Preti, quello che, unanime, la critica riconosce come
l'epoca piuÁ felice dell'artista. La presenza delle opere ± che sono conservate a
Malta ± contribuirebbe a confermare quella osmosi spirituale che fu cosõÁ ricca
tra l'Italia e Malta, a partire proprio dal Seicento. Dopo cioeÁ che i Cavalieri ±
ceduta Rodi a Solimano ± vi si trasferirono cosõÁ che, cessata l'insularitaÁ siciliana, l'isola attivoÁ piuÁ diretti scambi politici, economici, culturali con il continente europeo.
Questa iniziativa, giaÁ auspicata dieci anni or sono dalla Refice nella
prefazione di questo libro, abbiamo piacere di ricordare, eÁ stata ripresa, piuÁ
autorevolmente di noi, dal prof. Raffaello Causa in un recentissimo articolo
dedicato alla Mostra di La Valletta. E contiamo molto sull'apporto dell'insigne
studioso perche possa essere realizzata.
CosõÁ come vogliamo affermare la nostra fiducia sull'attenzione dello
On.le Riccardo Misasi, prima che Ministro della Pubblica Istruzione, conterraneo insigne del «Cavalier Calabrese», perche l'arte di Mattia Preti, trovi con
questa grande «personale» a Napoli, una compiuta celebrazione sul solco giaÁ
aperto da illustri studiosi alla moderna interpretazione del grande seicento
meridionale.
L'Associazione Napoletana Amici di Malta consegna pertanto questo
libro nuovamente alle stampe, a ricordo del Pittor Cavaliere onorando in Lui
quanti altri, nel corso dei secoli, dall'Italia, e da Napoli in particolare, a Malta
si diressero e vissero o con essa attivarono commerci o scambiarono parole ed
idee. Quanti della nostra terra per questa «piccola isola dalla grande storia»
ebbero sentimenti di cordialitaÁ e di affetto. Con l'augurio che presto alla visita
che in questi stessi giorni, dalla XIII Mostra del Consiglio d'Europa, i soci
dell'A.N.A.M. compiono a Malta, possa corrispondere, all'inverso, per l'auspicata «personale» di Mattia Preti nella nostra cittaÁ, una visita degli amici di
Malta. Egualmente cordiale ed affettuosa.
Luglio 1970
275
PIEMONTISI, BRIGANTI E MACCARONI
LA GUERRA CIVILE CHE FECE L'ITALIA
di LUDOVICO GRECO
L'altra faccia del Risorgimento: sangue, dolore, lutti, fiamme, massacri nel Sud «liberato»
da Garibaldi e Vittorio Emanuele
EÁ raro che la grande stampa del Nord si occupi con simpatia e spazio di un
autore di estrazione meridionale. Ancora peggio se questo autore eÁ pubblicato
da un editore meridionale.
EÁ il caso del volume di Ludovico Greco che Tuttolibri ha definito una
«interpretazione meridionalistica della recente storia italiana» e di cui «Il
Giornale», di quella malalingua di Montanelli, si eÁ entusiasticamente occupato
con un taglio di terza pagina, a cinque colonne, a firma di Mario Pinzauti.
Ricordiamo anche le larghissime e cordiali recensioni di Arturo Fratta sul
«Mattino» e di Aldo Gianfreda sul «Roma». Ma sono giornali di casa nostra e
quindi legati ad una considerazione meridionalistica che gli scrittori del Nord
cosõÁ spesso affettano di rifiutare.
In veritaÁ l'opera ha diritto a una «citazione al merito».
La storia dell'altra faccia del Risorgimento, cosõÁ poco nota o nota soltanto
a una ristretta cerchia di addetti ai lavori, eccola balzar fuori da questo libro
con il titolo certamente inconsueto. «Piemontisi, Briganti e maccaroni». L'autore ± come abbiamo detto ± eÁ Ludovico Greco, giornalista e uomo politico
ben noto per aver condotto a suo tempo vigorose campagne meridionalistiche
(fu l'interprete negli anni '50 di quel ribellismo del Sud che sembroÁ potesse
condizionare il potere centrale e che invece fu, ancora una volta, sopraffatto)
che con questo libro scava ancora meglio e piuÁ dentro in un filone di antichi
avvenimenti dimenticati.
GiaÁ bisognerebbe dire che non sono stati mai ben conosciuti. Gli avvenimenti del Risorgimento meridionale sono stati visti sempre dalla parte dei
vincitori, i «buoni». I perdenti, naturalmente, i «cattivi». Questo libro di
Ludovico Greco, con sinceritaÁ demistificatoria, fa giustizia del luogo comune,
restituisce uomini e cose di quel tempo a una reale dimensione. Quanto meno
276
offre una visione dei fatti non piuÁ sottintesa dalla «caritaÁ di patria» ma dalla
prospettiva della parte che ha perduto. EÁ la vicenda di una guerra italiana che
la storia ufficiale ha nascosto. L'opera di Ludovico Greco (Guida Editori,
Pagine 298 - lire 6.600) illumina i fatti dal 1860 al 1865: proprio il periodo
in cui piuÁ infurioÁ la guerra civile tra i «liberatori» piemontesi e i «liberati»
mangiatori di «maccaroni». Guerra che impegnoÁ piuÁ che centoventimila uomini dell'esercito «sardo» (piuÁ che in tutte le guerre d'indipendenza messe
insieme) e venti, trentamila «briganti».
Avverte una nota, in copertina, il ristretto succo dell'opera «Piemontisi
sta qui per piemontesi, nel dialetto della bassa Italia, e cioeÁ i «sardi» e cioeÁ da
Vittorio Emanuele all'ultimo bersagliere o fantaccino di La Marmora. «Briganti» sono i briganti, ma non proprio quelli della storiografia e della iconografia classica, pronti, con tromboni, fucilacci, e non dimentichiamo il cappello a pan di zucchero, a depredare, sequestrare, tagliare orecchie e pretendere sonanti ducati di riscatto. Invece combattenti di una armata rurale,
furente ed agra, sospinta dal rancore e dalla vendetta. «Maccaroni» (in vernacolo sta per maccheroni) cibo essenziale dei poveri del Meridione, non puoÁ
non significare la realtaÁ dei bisogni e delle neopovere regioni italiane e dei loro
abitanti. Una realtaÁ che non rimossero ne i «Piemontisi» ne quelli che vennero
poi a reggere le sorti del regno dell'Italia unita».
I «Piemontisi» si comportarono come nazisti. EÁ dimostrato dalla cronaca
delle fucilazioni, delle deportazioni, degli incendii.
Ma se la repressione militare fu cruda e feroce, la rivoluzione contadina
non fu da meno. «Guerra di barbari»: cosõÁ l'on. Ferrari definõÁ nel Parlamento
di Torino la guerra civile. I morti contadini furono decine di migliaia. Molti
morirono vittime di rappresaglie o sulla base di semplici sospetti o solo percheÂ
«bisognava dare un esempio».
Sbaglierebbe tuttavia chi volesse accettare questo libro come un contributo a quella rivalutazione dei Borboni che oggi eÁ di moda in un certo filone di
storiografia napoletanista. Al contrario. Nella sua opera, Ludovico Greco
sottolinea come questa guerra di secessione (infurioÁ nello stesso tempo quella
americana) prendesse solo a prestito, e non sempre, l'etichetta e i gigli di
Francesco II. Anzi va notato che quando Franceschiello, esule a Roma, tentoÁ
di riunire le sparse bande «brigantesche» e farne un esercito di liberazione, che
avrebbe dovuto ripetere il successo del Cardinale Ruffo, il tentativo fallõÁ. NeÂ
ebbe seguito l'alleanza tra il generale Borjes, inviato dalla Corte borbonica,
con il generale contadino Carmine Crocco, il «Pancho Villa» della Basilicata.
Troppo diverse le spinte dell'uno e dell'altro: monarchica e legittimista quella
che muoveva il primo, giustizialista e populista quella che infiammava il secondo.
Furono in realtaÁ i briganti combattenti di un'armata rurale, un'armata
277
contadina espressione di quel sottoproletariato meridionale che si vedeva ancora una volta, pur dopo le promesse di Garibaldi, respinto e emarginato dalle
nuove strutture. Veri e propri guerriglieri, solo oggi si comincia, cautamente, a
riconoscerlo.
Da queste vicende nasceva e prendeva corpo successivamente, la questione meridionale. I miserabili del Sud cominciavano a sperimentare sulla propria
pelle il peso dell'unificazione. In nome di chi e per che cosa? si domanda
Ludovico Greco. Per l'Italia, avrebbero risposto in quel tempo, intellettuali
e filosofi, galantuomini e liberali, se i cafoni avessero fatto questa domanda.
Italia? E che significava questa parola? Manco lo sapevano. Bisognava
arrivare a Vittorio Veneto per cominciare a capirci qualcosa.
Un libro inconsueto. Che si avvale di una larga documentazione. Sui
personaggi (un Garibaldi, un Cavour, un Vittorio Emanuele, assolutamente
inediti demitizzati e dissacrati) sugli avvenimenti del Plebiscito e le relative
manipolazioni («Piemontesi, go home!» eÁ il titolo suggestivo del capitolo) sulla
rivolta contadina (con le sue cronache di lutti, massacri, dolore e sangue) sulle
canzoni popolari (espressione di protesta e denuncia contro la nuova «tirannia»). Un libro che illumina, un primo tentativo di comunicazione larga ed
aperta, avvenimenti (finora ristretti a pochi studiosi) che sono le nascoste
radici della nascita della Nazione.
Novembre-Dicembre 1975
278
LARRY
di VERA RUSSO DE' CERAME D'ALESSIO
Un cane chiamato Larry. La storia di un amore, protagonista un cane da
una parte, dall'altra una donna, a metaÁ tra l'intellettuale e la madre di famiglia. Lui un collie, allevato fin da cucciolo in famiglia, lei una scrittrice di
successo. Sono in tanti, in Italia, come nel resto del mondo, ad avere nella
propria casa un cane. Solo in Italia, ci eÁ stato fatto sapere, sono almeno sei
milioni i cani alle famiglie, la gran parte di loro accettata come parte integrante
del nucleo familiare, un compagno su cui riversare tenerezza ed affetto. CosõÁ
fu per Larry. La sua storia eÁ brevemente raccontata da Vera Russo de' Cerame
D'Alessio in uno scritto postumo pubblicato in questi giorni a cura di suo
marito Vittorio e preceduto da una breve nota biografica del figlio Giovanni.
Uno smilzo libriccino verde: lo consiglierei a tutti quanti amano gli animali,
per ritrovarvi i sentimenti di amore e di calda protezione che riserviamo ai
nostri piccoli amici. Di questi ultimi eÁ certo Larry un esempio: con puntiglioso
affetto l'autrice percorre i vari capitoli della purtroppo breve esistenza di
Larry (ci affezioniamo ai nostri compagni domestici, cani o gatti che siano:
purtroppo di vita di gran lunga piuÁ breve della nostra, dobbiamo rassegnarci a
vederli scomparire). Le sue abitudini, i suoi comportamenti, le sue preferenze,
le inevitabili saltuarie sue birichinerie, ci sono narrati con affettuosa comprensione, la stessa verso un figlio, da parte di una madre che, pur essendo putativa, riserva tuttavia i doni del suo amore anche a questo membro adottivo
inserito con pari diritti nella famiglia.
Circondato da questo materno amore Larry seguiraÁ la famiglia da una
residenza all'altra. Passeranno circa quindici anni. Larry eÁ ormai vecchio e
ammalato. AccadraÁ una domenica d'agosto, nelle prime ore del mattino. «Avvertimmo come un fruscio d'ali», annota a conclusione delle sue pagine la
scrittrice. Un angelo, entrato silenziosamente in casa, si era chinato sulla sua
cuccia e lo aveva preso dolcemente tra le braccia per portarlo con seÁ in cielo.
Dove, si puoÁ essere sicuri, a lui, come a tutti gli altri della sua specie, cui
pure eÁ vietato entrare in Chiesa, saranno stati invece aperti i cancelli del
Paradiso, a premio della felicitaÁ e della gioia che hanno donato alle «loro»
279
famiglie. CosõÁ la nuova casa di Larry, dove da qualche anno lo ha raggiunto la
madre adottiva e dove non mancheraÁ di correre e sgambettare tra una nuvola e
l'altra per fermarsi infine, accucciato su un cirro ovattato e bianco nella casa
del buon Dio, come un giorno, quaggiuÁ, sul divano del salotto della casa di
Vera Russo de' Cerame D'Alessio.
Dicembre 1994
280
PITTURA TRA MALTA E NAPOLI NEL SEGNO DEL BAROCCO
di SALVATORE COSTANZO
Sono ben lieto ed onorato di accogliere l'invito a salutare, nella mia
duplice qualitaÁ di Console Generale Onorario di Malta a Napoli dal 1970 ±
anno della sua istituzione ± e di direttore e fondatore, nello stesso anno, del
periodico ``Maltanapoli - Corriere Mediterraneo'', la rilevante pubblicazione
``Pittura tra Malta e Napoli nel segno del barocco'' che, seppure con finalitaÁ
e scopi diversi, evoca e rafforza l'accostamento storico, spirituale, artistico che
da secoli intercorre tra Napoli e Malta.
In tale solco va ricordata la ristampa della monografia ``Mattia Preti:
contributi alla conoscenza del Cavalier Calabrese'' di Claudia Refice Taschetta,
da me curata nell'anno 1970 in occasione della XIII Mostra d'Arte del Consiglio d'Europa recante a sottotitolo l'epigrafe ``Mattia Preti, pittore e Cavaliere''
svoltasi a Malta dall'aprile al luglio 1970 al cui successo, va ricordato, contribuõÁ Raffaello Causa.
Ad essa seguõÁ la Mostra nel 1999 al Museo di Capodimonte di Napoli su
``Mattia Preti tra Roma, Napoli e Malta'', promossa da Nicola Spinosa che si
avvalse della collaborazione, tra gli altri, di Mariella Utili, Denise Pagano,
Rosanna Muzi.
Bernardo De Dominici, il noto pittore saggista settecentesco, figlio di
Raimondo, allievo del Preti ± sui quali il Costanzo incentra la sua documentata
pubblicazione ± pone in giusta luce la loro arte (dipinti di quest'ultimo sono
altresõÁ presenti nelle Chiese del Duomo e di San Carlo in Marcianise, cittaÁ in
cui l'autore eÁ nato e vive) ci dice che il Preti a Napoli ± ove ha vissuto dal 1653
al 1661 ± aveva potuto pronunziare il suo ``inveni portum'' dopo una vita
disagevole di viaggi ed avventure, iniziate con la partenza a diciassette anni
dal suo villaggio calabrese e sottolineata dalla fuga da Roma per un omicidio.
Una vita ``tenebrosa'', annota il saggista settecentesco e pare quasi che questo
aggettivo, di ombre piuÁ che di luci, tragga spunto anche dalla ricchezza drammatica, dal violento contrasto, dal chiaroscuro delle sue tele, dal conflitto tra
l'interiore sentimento religioso, cresciuto con lui dall'infanzia, con la sensuale
ricchezza delle immagini esaltata nei toni della sua pittura.
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Se comunque dai diciassette anni ai quarantatreÁ (tanti ne aveva quando si
stabilõÁ a Napoli, la seconda volta, dopo il primo breve soggiorno dell'adolescenza) il Preti ebbe vita avventurosa (ne finora i pochi biografi hanno potuto
accertare quale e quanta sia la veritaÁ di queste notizie) non vi eÁ dubbio che a
Napoli nel 1656 ± ed a Malta nel 1660 ± apparve tranquillo e pacato. I suoi
furori, le ire, gli impeti, i patimenti, gli sdegni invece che nella vita trasferiva
ora nella pittura, un suo mondo personale squillante di biacca, di cinabro, di
cobalto, di oro a riscontro di cupe e pesanti ombre, di fondi fumosi. Nascono
qui, a Napoli, i suoi capolavori. E continuano, alacremente per altri quarant'anni a Malta. Capolavori che il periodico ``Maltanapoli'' ha costantemente
riportato nell'apposita rubrica di 3ë pagina ``Galleria del Cavalier Calabrese'';
dipinti con i quali il grande Maestro, con la sua pittura, volle avvicinare
Napoli a Malta.
Dopo la lunga, approfondita e documentata esposizione dell'arte pittorica
di ispirazione pretiana sviluppatasi a Malta, l'autore si sofferma sul panorama
figurativo dell'isola nei primi decenni del 700 riportando opere, tra gli altri, di
Alessio Erardi, Enrico Regnaud, Pierre Guillemin, Carlo Marotta, NicoloÁ
Nasoni.
Uno studio approfondito eÁ stato pure dedicato dal Costanzo all'influenza
che il neo-barocco del Solimena esercitoÁ su alcuni pittori maltesi, tra cui Gian
Nicola Buhagiar e Francesco Vincenzo Zahra e non di meno di Sebastiano
Conca e Francesco De Mura, autore della ``Allegoria di Malta'' nel Museo
Nazionale di La Valletta.
L'arte del 700 a Malta, anche per la presenza nell'isola del pittore romano
Agostino Masucci, trova negli artisti maltesi Giovanni Antonio Mamo, Giovanni Carlo Mallia e Salvatore Cutajar, non soltanto una rilevante produzione
di dipinti religiosi ma anche vedute (in primis quelle di Alberto Pullicino)
influenzati dalla scuola napoletana dei vedutisti come Gaspar Van Wittel.
Va altresõÁ rilevato che indiscutibile protagonista dell'arte maltese ed europea del 700 fu Antoine de Favraj, artista francese di grande talento che
seppe lasciare a Malta una impronta molto significativa dopo quella di grande
prestigio del Caravaggio e del Mattia Preti.
Bernardo De Dominici, molto attivo a Malta, con il padre Raimondo, nel
periodo 1698/1701 rientra a Napoli ove intraprende la sua grande carriera alla
scuola di Francesco Solimena, dopo l'apprendistato a Malta presso il Preti, e
fu collaboratore nella cittaÁ partenopea di Luca Giordano dimostrando grande
passione per l'arte del disegno.
Bernardo De Dominici fu altresõÁ maestro a Napoli di Filippo Ceppaluni
(presente, peraltro, nelle Chiese di Forio d'Ischia). Pure meritevole di apprezzamento eÁ l'attivitaÁ di Suor Maria Eufrasia De Dominici, figlia di Onofrio,
sorella dei due pittori Raimondo e Francesco e zia di Bernardo. Artista ele282
gante ed interprete sensibile del tardo barocco (ma anche copiatrice delle
opere del Preti), sue opere si rinvengono a Malta nella Chiesa del Carmine
a La Valletta, di San Filippo a Zebbug, e al Museo della Parrocchia di Attard.
Il Costanzo, inoltre, attraverso una acuta indagine storica artistica, sempre corredata da nitide riproduzioni fotografiche a colori dei dipinti, evidenzia
il contributo e i metodi che Bernardo De Dominici vanta sulla formazione del
Laurenzano ed in particolare su Giovan Battista Ruoppolo, Giacinto e Domenico Brando, Paolo De Matteis. L'attivitaÁ fervida e operosa del De Dominici,
non disgiunta dal suo insegnamento a Malta ed a Napoli, eÁ altresõÁ evidenziata
da un lucido scritto di Raffaello Causa ``Omaggio a De Dominici'' del 1971.
La pubblicazione di Salvatore Costanzo, in conclusione, per la sua imponente documentazione, per le ricerche accurate, svolte in particolare nelle
Biblioteche e nei Musei di Napoli e di Malta, costituisce oltre che un piacevole
testo di studio per quanti guardano con interesse ed amore alla pittura napoletana barocca a Napoli ed a Malta, un sostanziale contributo all'ulteriore
sviluppo degli antichi rapporti di amicizia e di cultura che intercorrono fra la
nostra cittaÁ e la storica isola mediterranea.
Giugno 2011
283
SOCIOLOGIA E DIPLOMAZIA
DUE FACCE DELLA STESSA MEDAGLIA
di SANTO MANCUSO
La presente pubblicazione eÁ frutto di una attenta, approfondita ricerca
svolta dall'autore su un ampio fronte che spazia da quello politico a quello
filosofico e diplomatico.
Particolare rilevanza ha suscitato in me, nella qualitaÁ di Segretario Generale dell'Unione dei Consoli Onorari in Italia, il secondo capitolo che l'Autore ha destinato all'attivitaÁ diplomatica e consolare con una padronanza di
linguaggio e di conoscenza rivelatrice dell'attenzione riservata ai meriti e alla
funzione consolare onoraria.
Il vasto rinnovamento, infatti, del diritto consolare prodottosi dopo la II
guerra mondiale attraverso una molteplicitaÁ di accordi bilaterali ed anche di
convenzioni plurilaterali, il formarsi di nuovi Stati specie nel Terzo Mondo, le
nuove correlazioni economico-sociali costituitesi tra Stati appartenenti a continenti diversi od a ``sfere'' politicamente diverse, la convinzione che le relazioni consolari erano ormai tipica espressione di una moderna e profonda
cooperazione tra gli Stati e tra i popoli, queste ed altre considerazioni indussero la quasi totalitaÁ degli Stati indipendenti, in numero di 91, a sottoscrivere
il 24 aprile 1963 a Vienna, la Convenzione delle Nazioni Unite sulle Relazioni
Consolari.
Da quel giorno, infatti, la figura del Console assume una nuova dimensione nella presente realtaÁ delle relazioni interstatali sõÁ da far esclamare, a
buon diritto, ad un delegato del Governo norvegese durante i lavori preparatori di quella Convenzione ``I Consoli Onorari non sono in fenomeno di ieri
bensõÁ una realtaÁ di domani''; i suoi compiti, infatti, non sono piuÁ di solo
sviluppo economico ma spaziano prevalentemente dall'assistenza alla promozione commerciale e culturale.
In conclusione, la trattazione che l'Autore riserva agli argomenti piuÁ
disparati e lontani tra loro, costituisce un ``unicum enciclopedico'' meritevole
di alta considerazione e attenzione da parte dei lettori.
Giugno 2011
284
POSTFAZIONE
di GUIDO BELMONTE
L'Autore mi ha chiesto affettuosamente di far seguire da poche mie
parole, che sono purtroppo umili e povere, questo suo libro, in cui si racchiudono memorie care a lui come a me: una comunione di ricordi che nasce da
un'amicizia antica e soprattutto dalla generositaÁ con la quale Michele Di
Gianni ha sempre voluto render partecipi gli amici delle sue esperienze, dei
suoi affetti, de ``le gioie e le amarezze'' d'ogni sua giornata (si legga nel libro, a
conforto di quel che dico, il ricordo commovente d'un comune amico: Alfonso
Berrilli, pag. 253).
Nello scorrere le pagine che precedono, da Di Gianni dedicate al suo
paese natale, a Malta, al Giappone, al mondo culturale e a quello forense della
nostra Napoli e soprattutto, come dicevo, al ricordo degli amici piuÁ cari,
sempre mi ritrovo accanto a lui: tra le mura cadenti del castello di Laviano
o nelle strade suggestive di La Valletta; nella grande Infermeria melitense con
i Cavalieri dell'Ordine o nell'immensitaÁ di Tokyo; nella fascinosa intimitaÁ di
Kyoto o nelle aule per noi indimenticabili di Castelcapuano.
Anche Maltanapoli, da cui le pagine del libro son tratte, eÁ un giornale che
ho seguito fedelmente da quando Di Gianni comincioÁ a pubblicarlo, con
l'aiuto di Aldo Antonelli (La scomparsa di Aldo Antonelli, pag. 257); e di alcuni
degli eventi narrati nella sua cronaca, come l'entrata in servizio del Malta
Express (la nave alla quale Di Gianni avrebbe voluto che si desse il nome di
Mattia Preti: Un grazie a Gioia e un appello a Drago, pag. 38) e i primi raduni
degli ``Amici di Malta'', sono stato testimone.
Che la lettura di ``Carta stampata'' sia stata fatta da me con l'occhio d'un
amico ``compromesso'' in alcune delle vicende narrate non posso percioÁ negare; ma spero che cioÁ non abbia fatto velo alla serenitaÁ del mio giudizio e non
m'abbia impedito di cogliere qualche fil rouge che lega le pagine solo apparentemente sparse del libro: il quale, come nota con la consueta acutezza Francesco Paolo Casavola nella Prefazione, ``non eÁ ± a stretto rigore di genere letterario ± un'autobiografia'', perche nelle sue pagine, in effetti, Di Gianni ``si
accredita come autore di documenti utili per quella microstoria che ± dice
285
ancora Casavola ± sempre piuÁ auspichiamo onorata della stessa attenzione, che
siamo stati educati in passato a riservare solo alla storia dei grandi eventi,
scritta da storici di mestiere''.
E per adeguare, appunto, alle dimensioni d'una microstoria l'ambiente in
cui per solito s'immagina che essa debba svolgersi non saprei trovare un punto
di riferimento piuÁ adatto di Laviano, il piccolo paese natale di Di Gianni,
disteso sul dorso di un'ariosa collina, verde d'ulivi, che dal fondo della valle
del Sele preannuncia l'approssimarsi d'altri territori tutti pieni d'interesse:
l'Irpinia (con Materdomini cara al culto di Gerardo Maiella, Caposele da cui
si diparte l'Acquedotto Pugliese, e ± piuÁ lontane ± Teora, Lioni, l'abbazia di S.
Guglielmo al Goleto) e la Lucania (con Muro Lucano da un lato e, dall'altro ±
al di laÁ della Sella di Conza ± Pescopagano, l'industre cittadina con la sua
antica centrale idroelettrica e la sua banca).
Conobbi Laviano prima della distruzione dell'ottanta, quando Michele e
Teresa ebbero l'amabilitaÁ d'ospitarmi a casa loro: quella casa di cui Di Gianni,
nel triste giorno del novembre 1980 in cui la ritrovoÁ distrutta, avrebbe saputo
disegnare, con esatto amore, il profilo nell'aria: ``la facciata color verde, il
tetto di embrici rossi della policroma grande veranda. PiuÁ sotto la `loggia' ed
ancora piuÁ in basso la finestra della (sua) camera'' (Amaro ritorno, pag. 143).
Anch'io tornai a Laviano subito dopo l'immane tragedia (Di Gianni ricorda che c'erano con noi amici avvocati e il Presidente del Tribunale di
Napoli Domenico Leone: Chiude la reggia con l'ultimo monarca, pag. 65); e
non fui in grado di ritrovare nulla di cioÁ che ricordavo di aver visto pochi anni
prima: non la casa di Michele, non la chiesa, ove il 15 agosto si celebrava la
festa dell'Assunta (I 18 BL, pag. 146); non il Castello, di cui ``s'erano potute
contare soltanto trecentosessantaquattro'' camere, mentre nella trecentosessantacinquesima una leggenda narrava che fosse stata seppellita ``una chioccia
d'oro'': di cui soltanto Scazzamauriello ``avrebbe potuto indicare l'esatta ubicazione'' (Il Tesoro di Scazzamauriello, pag. 150).
Quelle poche volte che, dopo il terremoto, tornai ancora a Laviano,
sempre naturalmente in compagnia di Di Gianni, mi resi veramente conto di
quanto profonda dovesse esser la tristezza sua e dei superstiti abitanti, che si
stringevano intorno a lui in una tendopoli divenuta un pantano (Amaro ritorno,
pag. 143); perche in quella tristezza, che non mi pareva soltanto l'effetto della
tragedia da poco vissuta, io leggevo anzitutto l'amarezza d'una gente, operosa
e buona, costretta ancora una volta a subire e accettare un destino che da piuÁ
d'un secolo andava perseguitandola.
Gli esperti avevano lasciato intendere che non sarebbe stato opportuno,
dopo il terremoto, ricostruire il paese com'era e dov'era; conveniva scegliere
invece un luogo piuÁ sicuro, magari distante. Ma ± si domandava con angoscia
Di Gianni ± era mai accettabile ``di far trasmigrare lontano'' ± come giaÁ
286
dolorosamente in passato, spinta dalla necessitaÁ e dal bisogno, tanta parte dei
suoi abitanti ± ``anche il paese?'' (Amaro ritorno, pag. 144).
Di Gianni, ancora giovanissimo, era anche lui trasmigrato a Napoli (a pag.
144 si autodefinisce ``emigrato nella metropoli''), non per altra necessitaÁ ± si
capisce ± che quella di studiare all'UniversitaÁ, dopo aver frequentato la scuola
di Laviano e quella di Conza (che una volta fece visitare anche a me); e sapeva
percioÁ quanto fosse pungente la nostalgia di chi ha dato un addio al suo paese.
A Laviano, peroÁ, egli aveva la possibilitaÁ di ritorni frequenti con la sua
Fiat 500, sulla quale caricava spesso anche noi amici: e un giorno (Quel giorno
del 1951, pag. 154) era tornato addirittura con la squadra di calcio del Napoli
per inaugurare ± in un incontro amichevole con la squadra locale che riuscõÁ a
segnare orgogliosamente il goal della bandiera ± lo stadio del Magnolino,
battezzato ``Bazzicalupo''. Ma a centinaia di abitanti di Laviano, che negli
anni erano emigrati ``per terre assai lontane'', quella possibilitaÁ d'un ritorno al
paese era stata piuÁ spesso negata.
Fu questo il destino triste di cui parlavo: che purtroppo comincioÁ a
prender corpo con l'unificazione dell'Italia, un evento che Di Gianni rievoca
nella recensione d'un libro di Ludovico Greco (Piemontisi, Briganti e Maccaroni
± La guerra civile che fece l'Italia, pag. 276) in cui quell'indimenticabile giornalista comincioÁ a raccontare gli avvenimenti del Risorgimento meridionale
``con sinceritaÁ demistificatoria'', facendo giustizia di luoghi comuni e restituendo uomini e cose di quel tempo a una reale dimensione, che lascia spazio
alla rivoluzione contadina ``cruda e feroce'' e alla repressione militare dei
``Piemontisi'', che non lo fu da meno.
Certamente anche la terra di Laviano, cosõÁ vicina alla Lucania, saraÁ stata
scossa piuÁ volte, nel corso di quella guerra, dagli zoccoli dei cavalli al galoppo
della banda di Crocco che risaliva da Muro. Si trattava in realtaÁ di ``briganti
combattenti di un'armata rurale'' (pag. 277), ``espressione di quel sottoproletariato meridionale che si vedeva ancora una volta, pur dopo le promesse di
Garibaldi, respinto e emarginato dalle nuove strutture''. Da queste vicende ±
dice Di Gianni ± ``nasceva e prendeva corpo la questione meridionale. I
miserabili del Sud cominciavano a sperimentare sulla propria pelle il peso
dell'unificazione'' (pag. 278). La povertaÁ crescente, la fame insoddisfatta di
terra da coltivare, il peso d'un sistema tributario uniforme che ignorava le
particolaritaÁ del mezzogiorno costringevano purtroppo all'emigrazione un numero sempre crescente di meridionali.
EÁ bene dir subito che, nel rievocare Piemontesi e Briganti con toni che
non si ritrovano in certa storiografia ufficiale, da cui ``gli avvenimenti del
Risorgimento meridionale sono stati visti sempre dalla parte dei vincitori'', i
``buoni'' (Piemontisi cit. pag. 276), Di Gianni non vuol fare del ``revisionismo''
neÂ, animato come appare da una rilevante carica di patriottismo unitario (valga
287
il ricordo del Tamburino sardo di De Amicis, in Celestino Del Vecchio da
Laviano, pag. 268), contribuire in qualche modo a una ``rivalutazione dei
Borboni'' (pag. 277). A escludere cioÁ basterebbe da un lato la lettura delle
pagine (Gli esuli napoletani, pag. 19; 1848 ... Esuli borbonici e cospiratori, pag.
25; I gesuiti scacciati, pag. 32; Il 3 novembre 1876 moriva a Napoli il cospiratore
Luigi Settembrini, pag. 98) che Di Gianni dedica ai rapporti tra Malta e il
Risorgimento (un tema approfondito dall'indimenticabile amico maltese prof.
Giovanni Mangion) e dall'altro quella manifestazione di particolare delicatezza che riserva all'ultimo sfortunato rappresentante della monarchia sabauda
(Quell'incontro ... a Cascais con Umberto II di Savoia, pag. 129).
Altre, quali emergono dalle pagine del libro, sono invece le motivazioni
che ispirano i sentimenti di Di Gianni con riguardo a quell'emigrazione che,
dopo l'UnitaÁ, andoÁ gradualmente spopolando le regioni del Sud (e non soltanto
quelle). Si leggano, per cogliere quei sentimenti, La Pinto Story (pag. 164),
Napoli primo amore (pag. 171), Americani e no (pag. 177), Good bye, America!
(pag. 183). L'emigrazione fu anzitutto fenomeno che colpõÁ, senza discriminazione, ogni famiglia: costretti a emigrare non furono soltanto i contadini per
mancanza di terra da coltivare; lo furono anche, per l'insufficienza di adeguate
occasioni di lavoro, famiglie borghesi, e famiglie ``blasonate'', una delle quali
addirittura proprietaria di quel Castello che s'eÁ ricordato (e che s'era stati
costretti a scoperchiare per non pagare l'imposta sul patrimonio: pag. 165).
RappresentoÁ poi ± l'emigrazione ± un fenomeno duraturo, che si ripeteva di
generazione in generazione. Racconta Di Gianni d'aver incontrato per la
prima volta, a Stamford, la zia Carmela (pag. 173) sorella di sua nonna,
emigrata agli inizi del novecento; e d'essere stato ± lui sconosciuto fino a quel
giorno, fuor che nell'esistenza e nel nome, alla zia ± abbracciato da lei con le
gote ``bagnate di lacrime'' (pag. 173): una tenerezza affettuosa che rivela un
senso profondo, e sacro, della famiglia. Racconta ancora come, verso la fine
della seconda guerra mondiale, quando le forze armate americane erano venute a combattere in Europa, il ``terribile'' Maggiore Felix Aulisi, giudice d'un
tribunale alleato che sedeva in Castelcapuano, arrivasse in jeep, da Napoli, a
Laviano per salutare chi (il padre di Di Gianni) l'aveva tenuto a cresima tanti
anni prima (Americani e no, pag. 177).
Dell'emigrazione Di Gianni coglie percioÁ, con gli aspetti piuÁ penosi,
anche quelli che direi piuÁ esaltanti: i primi rivelatori della tristezza degli
sbarchi a Ellis Island (pag. 167) e della ``divorante nostalgia, quante volte
affondata nelle lacrime, per una cartolina con il francobollo dell'Italia'', o, ``il
capo reclino su un piatto di spaghetti, in una bettola di Mulberry Street,
quando un suonatore di chitarra accennava ``O sole mio'' (pag. 152); i secondi
espressione di quelle autentiche virtuÁ che tanti emigranti seppero mostrare: la
dedizione al lavoro; la vita parsimoniosa che permetteva, con le rimesse,
288
d'aiutare le famiglie in Italia, la volontaÁ di sentirsi ancora legati alla terra
d'origine, coltivando il proposito di ritornarvi, magari per edificare una casa
che ± con l'essere piuÁ grande delle altre ± meritasse d'esser considerata un
``palazzo'' (pag. 152).
Uno sguardo pieno d'amore, quello di Michele, che non esclude il senso
dell'orgoglio di appartenere a una gente ``forte'', sradicata sõÁ per un destino
avverso dalla propria terra, ma capace di radicarsi in un'altra: e questa arare e
fecondare con la stessa energia e la stessa passione che si sarebbe riservata alla
propria. Ha ragione percioÁ Casavola nell'affermare che il paese d'origine della
sua famiglia eÁ rivissuto da Di Gianni ``come storia collettiva''. Una storia ±
vorrei aggiungere ± in cui trova posto, nel rispetto della tradizione, anche una
religiositaÁ, che Di Gianni non esita a manifestare. Non sfuggiraÁ al lettore come,
dopo aver ricordato i pellegrinaggi dell'infanzia a San Gerardo (I 18 BL cit.,
pag. 146 e seg.), Di Gianni racconti d'essersi recato con Teresa, subito dopo il
loro matrimonio, al Santuario di Fatima, incontrando in quell'occasione, a
Coimbra, Suor Lucia, la superstite dei tre fanciulli testimoni delle apparizioni
(Quell'incontro a Coimbra con Suor Lucia, pag. 130 e seg.); e, nel rievocare ``un
affettuoso sodalizio'' con Guido De Marco, Presidente della Repubblica di
Malta (Guido De Marco, splendida figura politica, pag. 135 e segg.), egli scriva
di aver ``potuto riabbracciare per l'ultima volta il caro Guido ... in un luogo che
piuÁ santo e caro ... non poteva essere: la Grotta di Lourdes''.
Vorrei anche aggiungere che questa intensa spiritualitaÁ di cui mi eÁ stato
caro far cenno ispira dal profondo ogni attivitaÁ che Di Gianni continua operosamente a svolgere, nel campo professionale come in quello consolare (attivitaÁ che son ricordate in tante pagine del libro sulle quali purtroppo la tirannia
dello spazio e del tempo non mi ha permesso di soffermarmi). Non posso peroÁ,
nel rileggere la relazione che da Segretario Generale dell'U.C.O.I. ha tenuto
l'aprile scorso a Torino, astenermi dal notare come Di Gianni anche in attivitaÁ
di cosõÁ alto rilievo sociale resti fedele a quella sua ispirazione. Non sfugga la
delicatezza del suo ricordo (pag. 247) di Edgardo Borselli, vecchio console
onorario e avvocato grandissimo: al quale, col tono affettuoso quasi d'un
discepolo, Di Gianni rivolge espressioni di gratitudine per aver apprezzato
l'opera intensa, da lui profusa per la costituzione dell'Unione dei Consoli
Onorari in Italia.
289
INDICE DEI NOMI
Asao Shinihiro, 77
Asgro A., 35
Attanasio Salvatore, 127
Attolico Giacomo, 133
Aulisi Arthur, 178
Aulisi Felix, 152, 167, 177, 178, 288
Autorino, 194
Avdic Ismeta, 268
Avitabile Enrico 69
Abe Shunji, 123
Abela George, 137
Acton Harlod, 27
Agnelli Allegra, 125
Agnelli Gianni, 124
Agnelli Giovannino, 124
Agnelli Susanna, 125
Agnelli Umberto, 123, 124
Agostini Paolo, 241
Agresta S., 35
Agresti Filippo, 26
Agresti Rosario, 36
Akasaki Yoshinori, 73, 74, 81, 256
Albertini Gabriele, 246
Albione, 240
Altamura Francesco, 24
Amadei, 154
Amari Domenico, 105
Amatucci Andrea, 123, 249
Ambrosio Luisa, 108
Amirante Francesco, 68
Amodei, 34, 56 (amodeo)
Amore Nicola, 68
Andreotti Giulio, 137
AndreÂs Juan, 120
Annunziata Lucia, 124, 125
Antonelli, 158
Antonelli Aldo, 12, 15, 257, 258, 259, 285
Anzalone, 100
Apollinaire Guillaume, 185
Aponte Aldo, 69
Aprea, 74
Arafat, 189
Arangio Diego, 35
Arangio Ruiz, 100, 101
Arce, 154
Arcoleo Giorgio, 68
Arzeni Sergio, 123
Baba Shinobu, 62
Bacchetti, 154
Baccini, 246
Balboni Acqua Giuseppe, 246
Barbalace, 56
Barberis Walter, 247
Barbieri Italo, 69
Barillari Armando, 241
Barra Caracciolo Francesco, 11, 68, 96, 124
Barzoni Vittorio, 19, 20
Basile Francesco 36
Bassolino Antonio, 61, 63, 81, 115, 118,
193
Baudin, 28, 34
Beato Angelico, 185
Beguinot Corrado, 116
Bellissimo Umberto, 127
Bellizzi Alfred, 137, 180
Belmonte Guido, 67, 257, 262, 285
Beltrame Achille, 159
Benedetto XVI, 246
Berrilli Alfonso,12, 253, 254, 263
Bertali Nunzia, 241
Berti Alessandro, 248
Bettini Romualdo, 246
Bianchini Gerlando, 36
Bigini Silvio, 268
Bilancia Francesco, 105
291
Biondo Serenella, 106
Biondo Tito, 12, 105, 106
Biscottini, 207
Bitonti Luigi, 36
Blasi Antonio, 127
Bocchino Fernando, 123
Boezio Severino, 114
Boniver Margherita, 123
Borg Mary, 264
Borg Olivier George, 16, 48, 51, 136
Borg Valhmor, 156
Borjes, 277
Borselli Edgardo, 12, 103, 104, 209, 225,
247
Borsini Lorenzo, 26
Bossi Umberto, 139
Bouverie Frederick, 45
Bovio Libero, 167
Brancato Natale, 219, 220
Brando Domenico, 283
Brando Giacinto, 283
Bruni Paolo, 134
Bruno Giordano, 89
Buhagiar Gian Nicola, 282
Buonaparte Napoleone, 185
Burns-Debono, 156
Burshan Mohamed, 42
Busietta Adrian, 42
ButtaÁ Giuseppe, 99
Buttigieg Antony, 68
Buttigieg C., 156
Buttiglione Rocco, 246
Cardarelli Vincenzo, 69
Carducci, 153
Cariota Ferrara Luigi, 69
Carlo V, 21
Carlodi Borbone, 25, 27
Carlo Alberto 34,
Carotenuto Armando, 137
Carotenuto Mara, 137
Carpino Antonio, 12, 255, 256
Carrascosa Michele, 19, 20
Carrescia Umberto, 67
Carrillo, 94
Caruso Nicola, 148
Casari, 154
Casavola Francesco Paolo, 11, 115, 116,
285, 286, 289
Casella 158
Castiglione Carlo, 34
Catena L. Gene, 178
Cattaneo Ugo, 69, 99
Causa Floriana,108
Causa Marina, 108
Causa Raffaello, 12, 40, 107, 108, 109,
136, 275, 281, 283
Cavallino, 273
Cavour Camillo Benso, 278
Cavusoglu Mevlut, 137
Cecala Luigi, 123
Ceccon Lucien, 241
Cecconi, 154
Cedrangolo Francesco, 66
Cellini Benvenuto, 88
Ceppaluni Filippo, 282
Cerra Romolo, 126, 127
Cerrotta Costanzo, 127
Cerruti Sergio, 67
Cervantes Miguel, 68
Cesarano, 194
Cesaro Vincenzo, 68
Cezanne, 74, 185
Chateaubriand, 185
Chessa Roberto, 248
Chiantera Vito, 66
Chiara Piero, 114
Chuleigh Derek, 52
Ciampi Carlo Azeglio, 247, 268, 269
Ciampi Franca, 125
Cicerone Marco Tullio, 253, 254
Cini, 160
Calamandrei, 101
Cameron David, 137
Camiciotti Ugo, 127
Campobasso Pietro Paolo, 34
Candia Ugo, 68
Canessa Francesco, 122
Capasso Federico, 67
Capodiferro, 88
Capozzi Guido, 67
Cappelli Carlo, 21
Capria, 56
Caracciolo Battistello, 273
Caracciolo Camillo, 23
Caravaggio, 108, 274, 282
Carbone Vincenzo, 68
Carchio Peppino, 152
292
Ciriello Pasquale, 80
Claudio Francesco, 126, 127
Clinton Hilary, 137
Cocle Celestino, 22, 26, 34
Codringion H.J., 28
Collana Arturo, 257
Colombo Emilio, 246
Colucciello Luigi, 184
Colucciello Rose, 184
Compagna Francesco, 246
Conca Sebastiano, 282
Connade, 34
Cono Carlo, 241
Conti Giuseppe, 105
Coppo, 29
Coppola Samy, 167
Cordova Agostino, 193
Cornetta Mino, 194
Coronas, 63
Corradini Piero, 123
Corrao Giovanni, 36
Corrias Francesco, 133, 246
Cortesani Errico, 69
Cortese Concetta, 202
Cortese Guido, 66, 257
Cosentino, 221
Cossiga Francesco, 137
Costa Margherita, 245
Costabile Peppino, 68
Costanzo Salvatore, 281, 282, 283
Cotomacci Alvaro, 248
Covelli Alfredo, 131
Chagal Marc, 180
Craxi Bettino, 47, 48, 50
Cremona V. Emanuel, 180
Crispo Amerigo, 66
Crispo Michele, 66
Croce Benedetto, 257
Crocco Carmine, 277
Cuccurullo Michele, 67
Cultrera Maria Rosaria, 68
Cuomo, 168
Curci Carlo Maria, 32, 33, 34
Cutajar Salvatore, 282
D'Alessio Vittorio, 257
Dalla Chiesa Carlo Alberto, 246
Dal Lago Osvaldo, 241
D'Ambrosio Isacco, 194
D'Angiolillo Ciccillo, 140
Danieli Franco, 237, 242, 246
Dante Alighieri, 114
D'Antona Attilio,152
D'Aponte Attanasio, 220, 223
D'Aquila, 27, 28
D'Aragona Alfonso, 108
Da Rin Eric, 40
D'Austria Carlo, 23
D'Austria Maria Teresa, 23
Da Verrazzano Giovanni, 172
David Angela, 177, 182
De Amicis Edmondo, 268, 288
De Caro Raffaele, 257
De Dominici Bernardo, 281, 282, 283
De Dominici Francesco, 282
De Dominici Onofrio, 282
De Dominici Raimondo, 281, 282
De Dominici Suor Maria Eufrasia, 282
De Favraj Antoine, 274, 282
Dejani Burhan, 42
De Jesus do Santos Lucia, 129, 130, 131
Delacroix, 274
De la Vallette Jean, 30
Del Balzo di Presenzano Giulio, 134
Del Bello Giuseppe,126
Del Carretto Franco Saverio, 22, 26
De Lieto, 34
Della Pietra Gioacchino, 69, 100
Della Pietra Gioacchino Jr., 101, 102
Della Pietra Lelio, 12, 69, 100, 101
Della Verdura, 35
Delle Cave Maria, 122
Del Rizzo Guido, 241
De Luca Tamajo Domenico, 66
Del Vecchio Celestino, 12, 268, 269, 288
Del Vecchio Franco, 268
De Marco Fiorella, 137
De Marco Giannella, 137
De Marco Guido, 12, 77, 135, 136, 137,
138, 267, 289
De Marco Mario, 137
De Marco Massimo, 262
De Marco Violet, 137, 138
De Marsico Alfredo, 68, 103
Da Lautrec, 185
D'Albora Andrea, 131
D'Alessandro Pietro, 35
D'Alessio Giovanni, 257
293
De Matteis Paolo, 283
De Mura Francesco, 282
De Nicola Enrico, 86, 116
Dente Pasquale, 145
D'Errico Giovanni, 12, 126, 128
De Santis, 99
De Sivo Giacinto, 99
D'Eufemia, 100
De Viel-Castel Horace, 27
De Vignancourt Alof, 108
De Visentini, 172
Diana Pasquale, 133
Di Capua Alberigo, 67
Di Capua Aristide, 67
Dichiara Oscar, 241
Di Fiore Maria Antonietta, 120
Di Fiore Raffaele, 12, 68, 120, 121, 270
Di Gianni Adelina, 179
Di Gianni Angelica, 179
Di Gianni Fabrizio, 138, 177
Di Gianni Genovina, 179
Di Gianni Michele, 11, 12, 123, 131, 140,
164, 259, 285, 286, 287, 288, 289
Di Gianni Severina, 167, 179
Di Gianni Teresa, 124, 128, 129, 131, 138,
286,289
Dini Lamberto, 238, 244, 246, 249
Di Rienzo Peppino, 69
Di Roberto Federico, 133
Dom Mintoff, 46, 47, 48, 51, 52, 53,
91,108, 156
Donati Umberto, 123
D'Onofrio Francesco, 116
Don Pedro de Toledo, 120
Dorman Maurice, 52
Dos Santos Velinho JoseÂ, 130
Drago Giuseppe, 38, 40
Dulcinea, 68
Dumas, 54
Durando, 26
Fabiani Roberto, 47
Fabrizi Carlo, 26
Fabrizi Luigi, 26
Fabrizi Nicola, 19, 21, 26
Fabrizi Paolo, 26, 35
Falivena Rocco, 145
Fallaci Oriana, 124
Fanfani Amintore, 113, 162
Fanfani Mariapia, 125
Fanucchi Edward, 241
Faravelli, 210
Farrugia J., 156
Fassino Piero, 247
Fatta Raffaele, 26
Fatta Salvatore, 35
Favara Franco, 67
Federighi Toti Giancarlo, 241
Felici Stephane, 241
Fenech Adami Edward, 48, 77
Ferdinando Carlo di Borbone, 34
Ferdinando II di Borbone, 19, 20, 22, 23,
25, 26, 27
Ferdinando IV, 20
Ferrara Ettore, 194
Ferrari, 277
Ferretti, 28
Ferri Gabriella, 88
Filangieri, 36
Filippo di Edimburgo, 136
Fino J., 156
Fiore Carlo, 66
Fioretto Tiberio, 241
Fleri Marino, 77
Florenzano Francesco, 262
Foglietta Thomas, 168
Forlani, 211, 212, 216, 217
Formigoni, 246
Fortuna, 162
Foselli, 165
Fracanzano, 273
Francesco II, 151, 277
Franco Pasquale, 194
Frascani Federico, 257
Fratta Arturo, 107, 276
Frattini Franco, 247
Frendo Michael, 224
E.A. Mario, 167
Einstein, 183
Elena di Montenegro, 129
Elisabetta II, 137
Erardi Alessio, 282
Ercolani Paolo, 248
Gaja Roberto, 47
Galli della Loggia Ernesto, 47
Fabiani Nicola, 105
294
Gallipoli D'Errico Adolfo, 127
Gallo Enrico, 67
Gallo Maurizio, 67
Gallo Sergio, 67
Gamera Emilio, 131
Garbellotto Gustavo, 66
Garibaldi Giuseppe, 265, 276, 278
Gasparini Alberto, 66
Gazzola Porcellano Imelda, 241
Gemelli Carlo, 26
Gheddafi, 47, 48, 49, 50, 189
Giacumbi Nicola, 194
GialanzeÁ J., 156
Giametta Sirio, 87, 118
Gianfreda Aldo, 276
Gifuni Gaetano, 125
Gilli Jone, 201
Gioeni Francesco, 36
Gioia Giovanni, 29, 38, 40
Giordano Alfonso, 69
Giordano Luca, 282
Giordano Michele, 193
Giorgetti Giuseppe 36
Giovanni Paolo II, 124, 246
Girardi, 21
Giudice V., 35
Giugni Corrado, 140
Giuliani Arcangelo, 164
Giuliani Pierleonardo, 123
Giuliani Rudolf, 168
Giunta S., 35
Golia Renato, 69,193
Gombos Fernando, 122
Gonzi Michel, 137
Gramaglia, 154
Gramigna Giovanni, 166
Grande Stevens Franz, 124
Grech Hermann, 264
Grech Lawrence, 264
Grech V., 156
Greco Gina, 140
Greco Giuliana, 124
Greco Ludovico, 12, 139, 140, 276, 277,
278, 287
Greech Laurence, 137
Greene Graham, 235
Grey, 36
Guariglia Franco, 133
Guglielmi Arpaia Antonella, 261
Guglielmi Antonio, 12, 261, 262, 263
Guida Alfredo, 120
Guidobono Cavalchino Luigi, 133
Guillemin Pierre, 282
Guzzardi, 66
Hanabusa Yoriko, 62
Hanabusa Masamichi, 62, 63, 79
Haussmann, 163
Hesse Alberto, 213, 214
Hirohito, 76, 243
Hookham Frere John, 20
Hori Shinsuke, 123
Howells Dean, 88
Kagei Umeo, 124
Kasakara, 77
Kashima K., 77
Kawamura Yoshiie, 80
Kennedy, 124
King Luther, 182
Kissinger, 189
Kloss Alfons, 133
Ianfolla, 101
Illy Riccardo, 246
Infante Gerardo, 179
Ianniruberti, 221
Inserra Gerardo, 66
Iotti Nilde, 113
Izmirli Oya, 241, 248
Jacocca Lee, 168
Jannuzzi Jose, 172
Juan Carlos, 93, 94
La Farina, 35
La Francesca Gherardo, 250
La Guardia Fiorello, 168
Laiviara V., 156
La Masa G., 35
Landolfi Silvestro, 68
Landolfo Francesco, 118, 119, 193
Lanzara Ademaro, 124
Lanzara Gabriele, 69
La Marmora, 277
Lattanzio Vito, 246
Lamir Mustafa, 42
Laurenzano, 283
295
Lauro Achille, 113, 139
Lelio, 231
Lenzi Guido, 133
Leonardo, 185
Leoncavallo Ruggiero, 32
Leone Carlo, 135
Leone Domenico, 67, 264
Leone Giovanni, 12, 68, 85, 86, 87, 113,
114, 115, 116, 117, 118, 119, 135, 136,
273, 51,245
Leskoschek Helfried, 241
Letta Gianni, 125, 237
Lezzi Pietro, 73
Liberatore Matteo, 32
Liberatore Michele, 202
Liccardi Gaetano, 136
Lindon Johnson, 172
Longo Ottorino, 67
Lo Russo D'Errico Maria, 127, 128
Luhan Mac, 181
Luigi XVI,185
Marsili Carlo, 237, 239, 247, 249
Martuscelli Paolo, 12, 110, 111, 112, 122
Mascagni Pietro, 149
Mason Perry, 178
Massa Bernucci Romualdo, 18
Massolo Giampiero, 247
Mastrodonato Michela, 129
Masucci Agostino, 282
Mauriello Michele, 69
Mazzacane Elio, 67
Mazzarese V., 35
Mazzei Franco, 80
Mazzeo Lorenzo, 67
Mazzini, 21, 24
Mazzocca Domenico, 68, 194
Meyer Karsten, 248
Meshkov Alexei, 133
Metternich, 21
Melegari, 21
Memmo Alvise, 264
Messina G. Onofrio, 52
Micallef Joseph, 42
Micallef-Judge R., 156
Mifsud Adriano, 264
Mifsud Neville, 264
Mifsud Paolo, 264
Mifsud Silvio, 12, 76, 77, 264, 265, 266
Mifsud Umberto, 77, 264
Mifsud Bonnici Carmelo, 48, 50
Mifsud Bonnici Ugo, 77
Miyushima T., 77
Miletti, 34
Minichini Luigi, 21
Minozzi Carlo, 69
Minutilli Filippo, 36
Mirone Salvatore, 26
Misasi Riccardo, 89, 275
Mizzi Enrico, 51
Monaldi Vincenzo, 127
Montanelli Indro, 276
Montefusco, 98
Monzeglio Eraldo, 154
Moore, 20
Moran, 156
Morelli Michele 21
Mountbatten Louis, 135, 136
Moussa Amre, 137
Murano Ugo, 68
Murat, 25
Maccotta, 51, 52
Madison James, 183
Maffei Giovanni, 194
Maffei Caprarulo Eliana, 241
Maiorana, 148
Mallia Giovanni Carlo, 282
Mamo Anthony, 18, 91, 92
Mamo Giovanni Antonio, 282
Mancuso Santo, 284
Manfredonia Aldo, 270
Manfredonia Carlo, 270
Mangion Dino, 267
Mangion Giovanni, 19, 267, 288
Mangion Irene, 267
Mangion Rosemarie, 267
Mangione Letizia, 89
Mann Thomas, 165, 234
Mannironi, 29, 56
Manzini Raimondo, 212, 237
Maresca, 208
Maria Cristina di Borbone, 27
Maria Pia di Savoia, 129, 131
Marinelli Carlo, 66
Marotta Aldo, 18
Marotta Carlo, 282
Marotta Gerardo, 115
Marras, 124
296
Murolo Ernesto, 131
Musso Antonino, 36
Mussolini, 189
Muzi Rosanna, 281
Petrosino, 175
Petruzziello Michelangelo, 68
Pezzella Michele, 176
Piazzaesi Gianfranco, 172
Piazzi Domenico, 26
Picasso, 180
Pierro Gerardo, 194
Pietro il Grande, 190
Pigozzi Franco, 241
Pio IX, 28
Pinto Amalia, 153, 165
Pinto Antonio, 164
Pinto Consuela, 167
Pinto Diodato, 164, 166, 167, 168
Pinto Emanuel, 165
Pinto Giulia, 164, 166, 168
Pinto Michelangelo, 165, 166, 167
Pinto Michele, 194
Pinto-Fryer Antonio, 168
Pinto-Fryer Erich, 168
Pinto-Fryer Jon, 168
Pinzauti Mario, 276
Pirandello, 153
Piras Anna, 123
Pisani Massamormile Mario, 69
Pisani Massamormile Michelangelo, 133,
134
Pisanu Giovanni, 249
Piscopo D., 156
Pivetti Irene, 125
Pizza Giuseppe,137
Pizzuti Sinibaldo, 68
Plutarco, 98
Plutino di Reggio Agostino, 26
Plutino di Reggio Antonio, 26
Poerio Alessandro, 20
Poerio Carlo, 20
Poerio Giuseppe, 20
Poerio Raffaele, 19, 20, 21
Pompeo, 88
Poncini Maria Cristina, 248
Portelli R., 156
Porzio Giovanni, 66
Posio, 154
Positano Onofrio, 36
Preti Mattia, 38, 39, 40, 41, 54, 69, 88, 89,
136, 273, 274, 275, 281, 282, 283
,
261, 263
Prodi Romano, 267
Napier, 32
Napoleone, 19, 20
Napoleone III, 27
Napoletano, 33
Napoletano Antonio, 133
Napolitano Giorgio, 246
Nardacchione Pio, 257
Nasoni NicoloÁ, 282
Nassen Sher, 137
Naudie A.V., 35
Nelson Orazio, 45
Neppi Modona Guido, 64
Nixon, 50, 182
Nucara, 246
Numeroso Raffaele, 65
Oddati Nicola, 81
O'Ferral, 24, 32, 33, 36, 37
Okada Satoshi, 76
Onofrio B., 35
Orefice Renato, 66
Orlando Omero, 66
Ota Seizo, 77
Pagano Denise, 281
Pagnotta Larson Birgitt, 221, 222
Pajardi, 195
Palmerston, 26
Palmieri Alfonso, 67
Palumbo Luigi, 66
Pannella Marco,115
Pansa Cedronio Agostino, 221
Papa Gerardo, 67
Parer William, 34
Pascale Giovanni, 126, 127
Pempinello Ida, 122
Pennarolo Vittorio, 133
Peluso Angelo, 26
Pepe, 20
Pepe Guido, 69
Pepe Mario Rosario, 69
Percesepe Enrico, 126
Persico Giuseppe, 69
Pertini Sandro, 246
297
Proto Francesco, 24
Pucci di Benisichi Paolo, 133, 246
Pugliesi Antonino 36
Pullicino Alberto, 282
Pullicino Philip, 135, 136, 274
Puoti, 158
Puoti Giovanni, 226
Salerno Nicola, 103, 104
Salleo Ferdinando, 133
Salvati Giuseppe 21
Salvo A.F., 35
Sambiase Gennaro, 24
Sammut Edward, 77
Sant, 32, 37
Santangelo Michele, 28, 34
Santangelo Nicola, 27, 34
Sant'Elia Alfredo, 66
Sanza Angelo, 216, 246
Saporito Learco, 117
Saragat Giuseppe, 115
Satta Flores Bruno, 67
Saviotti Claudio, 66
Sbordone Vittorio, 66
Scalfaro Oscar Luigi, 118, 246
Schembri Joseph, 157, 158
Schiano Vincenzo, 69
Schroder Gerard, 238
Sciortino Paolo, 23
Scocozza, 153
Scordia Principe di Butera, 35
Scordo Paolo, 67
Scotellaro Vincenzo, 223
Scotti Luigi, 67, 247
Scotti Vincenzo, 137, 247
Scudiero Michele, 115
Secchia Peter, 168
Selva Gustavo, 125
Semprini, 215
Serafini, 158
Serge di Jugoslavia, 129
Serra Enrico, 53
Serra Maurizio, 133
Settembrini Luigi, 11, 19, 24, 25, 26, 27,
98, 99, 288
Settembrini Raffaele, 26
Settimo Ruggero, 35
Sharma Kamalesh, 137
Siedita Stefano, 36
Sinatra Frank, 179
Siniscalchi Francesco Saverio, 66
Siniscalchi Vincenzo, 66, 115, 117
Smith Penelope, 27
Solimena Francesco, 282
Speranza Antonio, 258
Spinosa Nicola, 62, 110, 281
Squitieri Mario, 86
Quadri, 207
Quaroni Alessandro, 246
Radi, 216
Radicati, 242
Raffaello, 185, 275
Ragona, 36
Raimondi Guido, 224
Ralli S., 35
Reale Adriano, 66
Refice Taschetta Claudia, 11, 88, 90, 273,
274, 275, 281
Regnaud Enrico, 282
Regina Giovanna, 65
Reginald Bartholomew, 168
Renoir, 74, 185
Reza Pahlevi Mohamed, 189, 190
Ricciardi, 34
Riccio Giuseppe, 193
Ricoveri Marcello, 248
Riello Luigi, 193
Rigillo Mariano, 65
Rodigiano Michele, 36
Rodin, 74
Romano, 193
Romano Cesaro Raffaele, 66
Romeo, 34
Ronca Stefano, 248
Rorro Baldassari Gilda, 241
Rossini Riccardo, 241
Rousseau, 185
Rossetti Gabriele, 19, 20
Rubini Maria, 219, 223
Ruffo, 277
Runza Joseph, 42
Ruoppolo Giovan Battista, 283
Russo de Cerame Paolo, 68, 193, 194
Russo de Cerame D'Alessio Vera, 279, 280
Russo Iervolino Rosa, 82, 122
Sakamoto Tetsuo, 80, 123
298
Stabile Mariano, 35
Staiano Costanzo, 127
Stanley, 45
Stanzione, 273
Stendhal, 150
Stile Ugo, 69
Stilon Giuseppe, 24, 25
Surrentino Salvatore 36
Suzuki Kazuo, 77
Vajro Massimiliano, 115, 117, 122, 259
Valente Arnaldo, 67
Valenzi Maurizio, 98
Van Wittel Gaspar, 282
Vattani Umberto, 124, 237, 246
Vattimo Rosaria, 241, 242
Velasquez Alfred, 247
Velho Tavares Carreiro Manuel, 241
Verde Giovanni, 65
Vessia Aldo, 69
Vigorita Alfonso, 66
Villela Francesco 36
Vitali, 154
Vitiello Sergio, 127
Vittoria Regina, 19, 24, 37
Vittorio Emanuele di Savoia, 131, 276,
277, 278
Vittorio Emanuele III, 152, 175
Vogna Mario, 241
Volpi Giovanni, 248
Vuosi Renato, 121, 193
Tabone A., 156
Tabone Vincenzo, 77
Talleyrand Charles Maurice, 235, 265
Tamaio Giorgio, 26
Tange Kenzo, 65
Tartaglione Pisanelli Annamaria, 270
Tartaglione Giuliano, 270
Tartaglione Michele, 12, 270
Tartaglione Salvatore, 270
Taviani Paolo Emilio, 113
Tedesco Mario, 193
Terracciano Pasquale, 12, 133, 134, 247
Tesauro Alfonso, 66
Tesauro Giuseppe, 66
Tilger A., 210
Tomasicchio Tommaso, 262
Torraca Luigi, 126, 127
Torricelli, 34
Triursi Alessandro,80
Truman, 85
Tsukahara Takeo, 76, 77
Twain Mark, 172
Wayne John, 177
Washington Giorgio, 184
Waugh Evelyn, 181
Wellington, 22
Wiercinski Bertolo, 35
Wilson Woodrow, 183
Zahra Francesco Vincenzo, 282
Zamberletti, 162, 163
Zampaglione, 207
Zarrilli Donato, 127
Zauli-Sajani Tommaso, 19, 21, 22
Zerafa Mario, 40, 41
Zevola Luigi, 69
Zoccoli Umberto, 81
Zuccoli Luciano, 171
Zuliano Angelo, 32
Zuppetta Luigi, 26
Ueda Kazuo, 76
Umberto II di Savoia, 129, 131, 132, 288
Usiglio Emilio, 19, 21
Utili Mariella, 281
Vacca Nino, 194
Vaccaro, 273
299
finito di stampare nel mese di novembre mmxi
in mille esemplari non venali
nello stabilimento «arte tipografica» s.a.s.
s. biagio dei librai - napoli
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Carta Stampata - Michele Di Gianni