IL NON POTERE (2005-2007) Lo non poter mi turba... Jacopo da Lentini a Roberta I cadaveri La doccia No, la vita non è enorme, si incanala come un torrente in rubinetti chiusi e sgocciola, calcarea, di doccia in vano, si raccoglie tra gli abusi, sciolti dei corpi i resti in acquitrini viola che l’estate dai finestri asciuga; così resta, ad un sapone attiguo, un pelo tuo ricciuto, nero; l’oggi è quanto resta, scoria che la fuga della storia elude: un perizoma sgualcio ai piedi del cesso, un rubinetto semiaperto, il pacchetto dei preservativi che raccolgo e getto. Tu t’accasci sulla tavolozza e pisci parlando di Bologna e non capisci che quello che davvero mi stupisce dal tuo corpo defluisce in nuova fogna. 5 Genova Il cielo è uno spicciolo opaco che un dio nazionale ci porge; pietà è quest’edera gialla che copre; la città divide in settori il cemento armato. Tu, musa diciottenne, vivi nel grido di un’anca spezzata; trascinano il tuo corpo due gendarmi: è pallido giglio, visione. Due lacrime rosse ti segnano in graziosa venatura. Poi l’antro della questura che s’apre è il nostro addio a vedersi altrove, o mia selvaggia musa trecce d’oro, trascinante le ossa fracassate per le strade di una città che non ti vuole ed ha paura della tua bionda disperazione, o lupa noglobalina che scambiando follia per reazione ti precipitasti tra le mille bandiere di Genova a gridare il tuo bisogno di esser meno sola. 6 Il fiume Hai il corpo smangiato dagli oli, morto fiume che penoso passi: a pezzi la pelle del letto riarsa s’affaccia coi peli di paglia stecchiti e la piaga del sole nel petto; qualche brandello di carne s’attanaglia. Sei, torrente, dai rovi ricoperto e dalle pile delle auto; su un masso dove stente s’incagliano le rive un grasso laureando scrive le sue orribili poesie, stirando le fibre smagliate del ventre… già, l’estate è rovi, copertoni e batterie sul bordo sfiancato del niente, Ivan… E i sampietrini rialzati, i calcinacci di questa ultima periferia dove sei cumulo di resti e vanghe tra presti lavori di muratura e i cementizi tumuli… reale è questo campo che tronco fecale alla deriva trapassi, Tronto che fosco gli abusi ritingono e vile tra gli scarichi industriali e i rifiuti ti vedo sotto i piloni fluire delle circonvallazioni, non fiume ma rivolo di sangue, sterco, muco che scende, non sorgente ma rifiuto, scarico urbano che la vita abiura. 7 Hollywood Si decompone in PAUSE il volto divo che il DVD pirata smaglia in pixel pestilenziali, cosicché nel vivo di un californiano lieto fine il mix di morte e varietà televisivo traduce lo scenario della fiction in un carnaio orribile e cattivo… America che t’apri come un tronco marcito ma sorridi e dici: «AMORE», lo squarcio sei terribile del viso, lo sguardo depravato di chi muore. 8 I cadaveri I. Le croci delle antenne sopra i tetti che scrostano l’intonaco del cielo; per strade cementizie i ragazzetti drogati si trascinano nel gelo cittadino, fumando sigaretti. Si addormono negli angoli del centro traendo nei piumini neri, stretti quei crani prematuri, già da dentro rigonfi in ematomi e crosti infetti che blu le natalizie luci al neon ne fanno dei cadaveri perfetti. 9 II. Su un panco addormentato il corpo nudo (già dalle 5 e un quarto rinvenuto) di un riso eterno ride e spaventoso: tra i cosi lì del parco, un nuovo coso. Ha un rivolo di sangue che discende da un varco d’ago aperto lungo il braccio e in eternata forma si rapprende grumifico sugli argini di un laccio emostatico che fanciulletto pende e sventola, sul mondo, leggermente. 10 La partita Gli si gonfiò la gola come un rospo. Gli si ficcò nel ventre quell’estate. La nonna preparava le patate da mettere nel forno con l’arrrosto. Gli s’allargò il sorriso come a un morto. Gli s’aggrumò una bava sopra al collo. Dalla cucina un buon odor di pollo col rosmarino fresco preso all’orto. Lo troveremo immobile nel letto col viola allucinato della tele sul corpo raddurito e il membro eretto. Lo troveremo immobile e perfetto: ghignando ci dirà che gli è finita la voglia di guardare la partita. 11 Preghiera Uno un giorno si accorge che la vita è la mancia pietosa che rimane su una mensola deposta, una reliquia che penzola scomposta da un altare di ciaffi rugginosi, e allora s’alza in una stanza giallognola, solo, e sollevando la serranda salta trentunenne, contro il mondo, in volo. E quindi lo vedi signore il tuo corpo inchiodato a che cosa è servito, sei morto tra le risa come muore ogni giorno qualcuno (e non posa sul fango la rosa né perle concede la storia): che sarà di questo mondo senza più pietà né volgo non voglio neppure saperlo ma piango per te o signore che hai morto come adesso si muore un ragazzo e che cosa hai risolto, nel mondo? 12 Domus La casa Residenza: osceno letto dove tornare alle sette di mattina col fiato disgustato e il membro eretto. Ecco qui: il libretto universitario, un vasetto di yogurt, un accendino. Eh eh… didascalici i miei anni tutti persi. Quanto a noi t’ho scritto una lunga e-mail questa notte perduta tra i file dell’estate (l’ha demolita il caso in un momento). Capisci amico caro il pentimento di averti consegnato questo scalcinato orizzonte di stucco e scotch coi poster scoperchiati in croste sull’intonaco vecchio maculato e le bagnate rughe delle pagine che asciuga questa estate e ingialla… Cmq sia non so più scrivere, hai ragione. Sarò costretto a vivere o morire. Amico mio il nostro amore è buffo. Altro che lo stantuffo attonito, il perpetuo vagito della moglie che s’ingravida di schifo. Oh casa, dolce casa, disarticolata dimora di piante e di foto di mio padre senza i baffi in un paesino di duecento abitanti coi santi Rocco e Gianni appiccicati al muro, casa di poster che si cascano in avanti dal ruolo scollati dei miei 16 anni, casa delle prime sigarette in balcone, 14 della prima comunione col sesso e con l’alcool, casa di lagrime e rovine: tempietto d’asfalto, museo delle prime poesie: addio. 15 Dicembre Tu pensa un po’ che bel Natale senza albero e famiglia: grazie mille storia d’Italia meschina, storia di eredità contese, di cortese rovina. Oh una canzoncina didascalica per vivo ripensarmi in ciò che resta per non cedere al suolo che rimescola la cenere la cenere alla vita. Stanotte balleremo fino all’alba sopra il suolo che si sfalda, che cede: nel vuoto giorno vuoto del dovere io ti battezzo cementizia grazia. 16 Il depuratore Nel canale otturato dalle scorie s’incaglia l’esistenza che snatura: assorbe tutto il vivere la storia. Se passa ne distilla un succo amaro che naufraghe le foglie incatramate deposita vigliacco sulle grate. Tu questo come puoi chiamarlo amore? Mi resta indifendibile il segreto di te che all’ombra di un depuratore mi chiedi allora bello come va? 17 Sms #1 Il getto della fontanella rotto dal battito cardiaco, dal vuoto che sotto si spalanca come un coito che preme prematuro ed interrotto. Oh vita che pensavo fossi vita e non sei che una snodata prostituta su un sedile ribaltabile che invita a fare presto nella solca ossuta. Poesia, il bip metallico del tasto del Nokia che nel file salva il messaggio poetico e l’immerge nel paesaggio mimetico rendendolo al disastro. 18 Sms #2 Squilla cellulare, squilla standard suoneria dell’SMS e tu lunaccia cosa guardi strafottente mentre piango su uno schermo lucente? Sopra a un nodo d’asfalto si spensiera la stupida sera degli spari, la testa del santo, ecco, si infiamma coi botti che nascondono lo schifo. Lo so, non so più scrivere, ora dico senza pensare una canzone ossessa: antenna, padellone sulla testa, concedimi un messaggio ed un sorriso. 19 Stanza Questo naufragio di ventre e polmoni sotto le costole marroni del tetto è la riaperta ferita del neon al clicchìo costretto degli interruttori. «Che ridi?» mi chiedesti, sorridendo. Io ti risposi un timido: «no, niente». Contempleremo nel quartiere orrendo i bar che si riempiono di gente. «Tu vedi di studiare qualche cosa…». Ma adesso pure noi si sa che si è qualcosa, tra le cose: un accumulo di prole in disavanzo, che solo la bufera ci promette sul tavolino bianco questa rosa. 20 Lettera Ce ne torneremo nei boschi nativi dove tutto è cambiato e alle ruspe daremo un saluto bagnato dal pianto. Da qualche parte riderà tua madre ancora pregando con chissà che mani il fiore dei tuoi ventitre anni. O nell’aurora desolante del lutto si spalanchi questo dolore esangue come un fiato impossibile, distrutto dai canti senza voce dell’estate. Lo so, lo so che anch’io trascinerò questo ingombrante cuore nel disamore asciutto e a te vicino tra i melograni spalancati al sole poserò su uno scalino un frutto distante, rovinato; e poi un rubino teneramente scivolando altrove sarà la pena valsa, mai, di tutto. (a Valeria) 21 Il non potere Il passaggio La stanza è senza luce: fulminata la lampadina (in questa pioggia crudele come una mitraglia di ossessioni): non ci fa mica ridere una donna che si inciampa per la strada e cade… È tutta andata via la gioventù svenduta mese dopo mese per far posto a questa produttiva lacrima. Oh, una lampada da accendere che illumini soltanto un poco il ciondolo di plastica, le foto… E invece tutto schiara mutazione: il sole di nuovo alla finestra e quella voce, implacabile, che torna. Questo salire e scendere, crollare o correre all’ombra dei grattacieli sulla pista ciclabile (il cielo è spaventoso qui) tu immagina questo cadere e ridere continuamente tra le siringhe a terra e le carcasse dei mici che non ce l’hanno fatta: bisognerebbe arrendersi o andare via fuggire ricominciare tutto altrove, dove nessuno ti conosce, dove nessuno sa. E questa sera la luna sarà gonfia come un ovulo di sangue (sarà la terra scossa di tremendo): un’emergenza che giustifichi la pena, l’urgenza di un’azione definitiva. Ma no, ma no, c’è il sole… un sole sopportabile e mediocre, 23 che mette sonnolenza, che dissuade… * «Tu cosa stai facendo della vita?». «I verdi prati, i grandi orinatoi lo schifo: ci faceva ridere ed invece… In un cesso a sverginare adolescenze praticando insegnamenti altrui mi sono guadagnato questa piccola cicatrice proprio sopra l’orecchio destro, non si vede ma fa più male di quanto possiate… Mi salvarono due poliziotti che vagavo sanguinante per la strada, mi offrirono un panino, una coca-cola e la poltrona del questore dove dormire. Al risveglio, mi ricordo, c’era l’alba ed era enorme, sopra ogni cosa». «C’era un grosso martello sotto lo specchio: argentato, lucente, bilanciamento perfetto per inferire un colpo preciso e netto contro la tempia…». Oh prendere la forza di non imbracciare più l’arma del telefono sparando messaggi così inutili di aiuto. Ma non sarà così, sarà la storia a divorare il bello, a vomitarlo come una scoria oltraggiosa e impura da ripulire con cura ai bordi del cesso… * «Il sangue rende impura, ripugnante imbratta sangue il letto e tra le gambe no, non sarò felice più di niente 24 con tutto questo sangue che mi perde… Queste protuberanze orrende dove un corpo era esile, innocente: due bozze lo condannano all’informe ruolo della femmina in amore». Lei dice: «Guarda la mela che pende dal ramo, immatura e adolescente: è goffa se prepara già domani per lei maturazione un nuovo ciclo. Cadrà rigonfia e molle e dirà marcia il contadino sostenendosi la pancia con gli occhi corrugati dalla sete. Ma l’utile è volgare, ed anche il bene del mondo, no, non ci appartiene. Prendi in custodia i vermi, invece, che già ti sbirciano, o quanto diviene nel corso dei secoli». Ma la bambina: «Zitta, il corpo puzza!». 25 L’estasi L’amore rattrappito in un mucchietto di ossa, uno straccetto mal piegato sopra il letto: la signora desidera qualcosa? Io non ho mai detto che scrivo per cambiare il mondo ma per piangere nel fondo di questa miseria me lo permetterete brutti figli di puttana? Nel TUZ TUZ della disco apparsa è la madonna su una colata di ghisa. Un uccellino mi ha detto: non ridere, stronzetto, sei strafatto. È l’amore rattrappito in un mucchietto di ossa, uno straccetto mal piegato sopra il letto: la signora desidera qualcosa? * Nel letto la visione di una cosa, la rosa spelacchiata del giubbetto di lei che ancora dorme oppure è morta… Non andartene dai, proprio sul bello della serata. La carcassa dell’auto ribaltata sarà rimossa dal personale addetto alla perizia… «Te lo dicevo io che ti dimenticavi pure questa volta le chiavi, che 26 suonavi ancora presto, ed è domenica e lo sai che tuo padre si arrabbia…». Ma quello che aspettavi e non ritorna alla porta è una divisa in penombra e dietro c’è quest’alba orrenda, sporca, senza alcun pudore, da obitorio e claxon. E il nostro amore che non è più lo stesso amore di un tempo, è qualcosa di diverso, perché sei andato via proprio sul bello della serata? * «È così che… che non lo so come si dice però ti ho preso un fiore, ecco, prendilo…». «Lo perderò dentro l’inferno della sala…». «Ma almeno provaci un momento, a trattenerlo…». «Guarda qui che luce gialla che c’è sopra l’insegna che ci piove sopra tutta questa pioggia che viene giù dalla grondaia rotta dei palazzi. Guarda le rondini, schiacciate pure loro da questo cielo così inutile e italiano che non sovrasta proprio niente, è sovrastato come un coperchio rialzato dalla schiuma dell’acqua sporca, che ribolle e preme. Questo è l’amore ai tempi della techno, se non ci credi… vabbe’ lo stesso tanto qui la luce è muro vuoto, è nudo parcheggio, sotto casa, che impedisce». * 27 E sventolasti un biglietto di non so che andata contro di lei che rimaneva viva. Poi certo, pure noi nella deriva cadremo, questa gloria impasticcata è solo una questione di ore. Ma adesso tu sorridi come allora quando in due sul motorino la strada era uno straccio indecifrabile e la vita era bellissima: la bara la ripercorre lenta e trionfale come in una visione allucinata… 28 La condanna Amico mio la primavera tutto cambia radici sensi sradica deriva la riva la trovammo rosicchiata i nomi dei fiori perduti appena. Non lo aprirò quel libro di botanica, la vita è irrimediabile, del resto… Così a Nicola lo metteranno dentro. Spaccio di eroina, tentata strage. Lui dice due anni al fresco cosa vuoi che siano non è che ci sia granché da fare in città… Leggerò dei libri, mi porterai qualcosa? Certo, ora però l’importante è che… (Piange la madre sotto le lenzuola, prega il rosario, anche se non crede.) Mi ricordo di un racconto che scrivesti (o forse un sogno) di te bambino che ridevi in cima a un albero… dovresti leggerlo, come per dire signor giudice a parte i fatti c’è dell’altro lo capisce che c’è dell’altro nella vita di un uomo? «Non preoccuparti, starò bene. Grazie». Un giorno al fiume mi dicesti sono povero perché ho tutto mal trattato e forse l’unico peccato è proprio questo sciupare doni, le occasioni… (certo, anch’io… in altro modo…). Amico mio la primavera tutto cambia radici sensi sradica rovina la riva la trovammo rosicchiata e i nomi dei fiori… 29 Non siamo mica nati per questo centro di feste universitarie ed empori… Tornare nei boschi neppure ci serve, il silenzio è altrettanto volgare. Le icone del niente sopra gli scooter se ne vanno invece verso il mare dove ridere sfacciatamente sarà il loro modo di sentirsi gente. Poi lo saranno sempre, e senza grida sfacciati padroni di immobili ed aziende o di famiglie corrose dall’invidia… Torti nell’utile, come una garanzia di riuscita, nell’indecente calcolo della nostra ferita. * Tu, quando avrai corroso ulteriormente la resistenza dell’umano, preparati ad uscire: il vero mondo è lì, lì fuori. Sopra i piloni di cemento le scritte di un tempo sono tutte andate via col sole. Resta la macchia di quando cascando pensasti: uccidetemi, al punto che sono non sono più utile a nessuno. L’inopportuno così tenero e sgradito tuo modo di parlare, chissà perché è rimasto quell’alone proprio lì, dove tu eri. «Non sai niente? Siediti, devo parlarti…». In questa conca orribile di muri solo le ombre rimangono violente sugli stabilimenti e le ringhiere o come epitaffi alla memoria le panchine riportano in vita un vociare di morto 30 che si raggruma… E nel parco la giostra divelta adesso è un fosso dove prima invece un perno… Tutto è negato a chi si muove innamorato delle cose: non pretendere bisogna, dimenticare in fretta… guardarsi dalla fede, imparare a far di conto… * «Noi siamo noi per loro che sono così tanti e tutti così loro…». Come una mosca sulla carta che l’appiccica canticchia Augusto incrostato al bancone: «condanna è questo stare al margine, è il lager della vita, che nessuna rivoluzione…». «La vita inutile, inutile la vita che trascorre inutilmente e starcelo a dire a cosa serve? A dire: prima o poi… Ma tanto prima o poi niente». Solo una grande esplosione (per dirla alla Pasolini) salverà questa nazione, o un’invasione di gentaglia, o una carestia… Ma non lo so, ma che ne so io… Fefo dice che bisogna essere estremamente sinceri cioè ridere commuoversi gridare antisociali e belli parlare a voce alta, parlare sempre… 31 La soglia Dopo sei mesi di naufragio fai ritorno alla porta di casa (welcome). La croce appesa al collo come dono non colto o ricordo di un tradimento. Mi cercasti madre più di una volta ma i miei entusiasmi sopiti dal giorno non poterono seguirti altrove dove volevi. Resta questa stanza disseminata dalle scorie di una fallita redenzione. E ti ho cercata Chiesa anch’io su libri di teologia medievale commosso dalla tua millenaria ingiustizia e bellezza. Mi parlasti e non è vero che l’istituzione (in quanto tale) è muta. Tu fosti cara a me come una famiglia buona a cui si può soltanto spezzare il cuore. Libertà, libertà che non dura: eccomi di nuovo a casa. La disfatta è bella. Qui tutto è ancora come un tempo e forse anch’io non sono poi cambiato più di tanto. * Ma cosa dico… non è vero. Come l’ultima generazione di una stirpe suicida questo ramo non fruttifica. La storia e l’utopia non conta più 32 senza una fede cieca nella vita. Da un’altra parte madre padre e figlio sono tre contro ad un muro che le raffiche li incrostano sull’uscio e ci s’accasciano come stracci mentre avanzano i militari inglesi di soglia in soglia a portare a tutti la buona novella. Lei sognava di fuggire altrove una volta finita la guerra. Ma si ritenne utile lo sterminio perché in una zona strategica un buon ministro della difesa sa bene che i morti sono morti per qualcosa di più grande della vita stessa. Ma torniamo qua da noi dove la madre è sul divano in ansia per i naufraghi famosi sopra all’isola e i poeti cattolici si sporcano la maglia con il sugo. Qui un ragazzo se ne torna a casa dopo mesi di sbando e si ritrova tutto un mondo in piedi, lì davanti, che gli parla. * «Caro ragazzo, sei tornato a me come ad uno specchio polveroso con il tuo ventre smagliato dagli anni precoci e il sorriso corroso… Dove prima camminavi urlando inconsapevole e maldestro adesso parli delle tue occupazioni. 33 E il viso rosso non c’è più, al suo posto la grassa risata nel telefono e l’accordo compromesso con amici che non ti conoscono. Ma tu non piangi (neanche ridi) e quell’odore dischiuso non ti ricorda più niente. Domani sarai un muto signore di mezza età a sbirciare dal divano con un bicchiere di birra in mano il mondo rappresentato. Per certe storie, sai non si sprecano nemmeno endecasillabi. Basta qualche assonanza che giustifichi la costanza di un’abitudine. Urlasti e ti fu aperto. Lì fuori un nuovo interno. La stanza dove torni era il ventre materno.». * Sulla strada ce n’è una che non torna ma va via sotto il peso di un borsone pieno. Sottobraccio ha il libro di un poeta straniero che non ci capisce niente ma le piace trascinarsi le parole dietro come i sogni del mattino. E l’alba è enorme, deserta, e lei non sa dove la strada per andare. 34 Sorella, sui tuoi passi tornerai domani oppure inutilmente fingerai di stare bene di fronte a quel via vai di gente che dopo lavoro ritorna. E scoprirai la nostalgia della norma che non c’è se non perdendola per sempre, come oggi che tu cercando vai con il tuo piercing nel labbro sparato un mondo nuovo che invece non è altro che lo stesso ribaltato. E il pianto di tuo padre sarà il trauma degli anni violentati nella forma di questa sterile rivolta… * Ma dove chi va via e chi ritorna nel flusso continuo che si trasforma davvero vuole andare e non lo sa? La signora Anna se ne va come una barca in mezzo al mare. Viveva qui che era campagna e lei una povera ragazza scesa in città per lavorare. Poi si versò il cemento e i cosi gialli s’addensarono oscurando il cielo e lei fu gravida sei volte. Ora che il ciclo si conclude se ne vola guardando finalmente dall’alto la strada della spesa, con la scuola dove prima c’era il prato e lei cadeva 35 tra le radici della quercia enorme trasportando con la bici a notte le scatole degli alimentari. Diceva che alle piante non si mente perché ascoltano il silenzio della pelle di chi le sfiora. * Ed il nipote varca la soglia che non sa niente però corre come un sogno. E nella stanza c’è un altare spoglio. Lui si gira sorridendo e chiede: «Perché la nonna dorme su uno scoglio?». 36 L’origine Il fiume risalendo diventava qualcosa di terribile e non l’acqua ma le ferite aperte sotto i piedi lasciavano percorsi per gli squali. Forse perché tu vivi adagio, costeggiando non puoi capire, è inutile, l’urgenza di sbagliare, quando di notte scivola la pietra e la scelta è quale spalla fratturare, nient’altro. Ma dove per l’origine? Il passaggio non lo si trova più. La luce che si scolla dalla sera ci lascia dopo il sogno, senza scampo con la via della natura preclusa dai copertoni delle auto in fuga. 37 Lo specchio Questo viso appartenne ad un poeta che un giorno ti battezzò sua musa e che ti amò riconoscendoti sorella perdutamente e con tutto sé stesso. Per l’ultima volta mi illudo di esserci quindi per favore non contraddirmi e dimmi che domani ce ne andremo oppure se non ci credi fai finta. Su queste strade passeranno ragazzi che senza sapere dove sbattere la testa andranno avanti ricavandosi un ruolo se non rispettabile, rispettoso… * Poi nello specchio questo viso che non conosco, all’improvviso questo sorriso atroce. Come chioma al vento va davvero il pensiero dell’uomo mosso dall’utilità del cosmo? E chi saprebbe accettare una simile evenienza? Non la bambina che corre dal padre chiedendo riparo dalle piaghe del giorno né tantomeno noi. E attorno c’è una stanza e la ragazza sorridendo chiede aiuto. Chi potrebbe accogliere l’ipotesi che nulla è adatto all’uomo se non il sogno? Non queste strade, non queste parole 38 ma solo il bisogno di altre? Sorella, senza troppe domande chiudi gli occhi e tira questa bianca striscia sul bordo del lavabo. * Diremo tante cose salutandoci, che non si può permettere alla vita di avere l’ultima parola. Arrivederci amica mia, ciao. I cadaveri buttati in fondo al mare sono ghermiti d’alghe. Tutte le ossa disperse nella storia adesso affiorano dietro agli scogli illuminate da un oltraggio chiaro. 39 Lampi Se pure ti avessi incontrata, vita sarei rimasto immobile, incapace a piangere come di fronte a un morto. Sotto un fiotto di luce se ne stava col suo camice bianco di angelo o di dottoressa. Balliamo dai stasera sono allegro come un bambino, ehi mi riconosci? Noi tutti sui divani a far l’amore con noi stessi, a premere le mani sui sessi solitari… Salutiamoci così, senza lacrime né baci. Basti una stretta di mano a dirsi addio, una pacca sulle spalle, da padre antico... * Con ali di cemento armato tornerà il domani a coglierci, di nuovo impreparati a una seconda vita… * Non rispose. Morimmo sotto braccio, in overdose nel gabinetto di una discoteca marina. I nostri corpi tra due fuochi, fuori la tragedia mattutina, sopra di noi il bianco neon della cabina... Così ci salutammo, nello specchio 40 per ridere di noi nella rovina come pazzi abbarbicati al secchio dell’immondizia. (Il cliente selezionato non è al momento…) Si parlerà domani di eroina o di problematiche legate al vuoto del mondo giovanile. Eppure muto riuscii a prenderti, selvaggia maestà delle Puglie: ti chiamo selvaggia maestà de li mari: li scogli o l’oblio, il creato e nisciuna: che ridere amore mio che ridere l’infinito che si scaglia oltre il parcheggio abusivo… 41 Controluce Adolescenza Le mattine gelide sulle panchine gelide a scartare maritozzi, aspettando mezzogiorno, dentro il piumino nero, sotto il cielo sterrato, incomprensibile avervi creduto, mattine. Io mi portavo addosso la luce oltraggiosa della colazione davanti alla tele, la corsa dietro al pullman, la ressa per salire, tenersi in equilibrio, scendere. Vi ritrovavo nel giardino spoglio come una sala d’attesa alla stazione sotto il cielo ingiallito e il palazzo arancione con quella scritta oscena che ci faceva ridere. La ricalcammo con il gesso alla lavagna ed erano ultimi i giorni di scuola e le villanie da teppisti improvvisati contro i soprusi del professor Donati. Poi ne arrivarono degli altri e tutti uguali e adesso addirittura anche dai nostri si inizia a fare presto, a ritornare col suono della prima campanella. Ma tu resisti, anima mia, sorella sulla panchina gelida di questa mattina bella. 43 Terza età Dopo il caffè e la sigaretta il vuoto sotto il sole, ancorato al balcone come in muta polaroid d’aprile. O nel gesto così ruvido e infantile della solida mano che separa la luce dalle palpebre ferite. O nel sorriso amaro, quasi acerbo da felino anziano che si ripara in zona d’ombra prima di morire. Sotto di te scorrazzano ragazzi urlando bestemmie antiche e nuove ed un pallone sgonfio che rimbalza sulla piazzola. Ma sono corpi in ombra e controluce di loro sai che gesti e quali sibili soltanto come spiriti campestri che ritornano dopo la scuola. E ti dimentichi del tempo il volto e gli abiti moderni o quasi immagini rivolti a te chiamarti in secco coro: «Scendi». Ma già la metamorfosi di luce riveste la materia di sé stessa e tutto torna sé medesimo, più nulla il cuore può felice contro il vero. 44