Nome file 120121SC_MDC1.pdf data 21/01/2012 Contesto ENC Relatore MD Contri Liv. revisione Trascrizione Lemmi Darwinismo Diritto naturale Insipidezze giusnaturalistiche Umiliazione SOCIETÀ AMICI DEL PENSIERO CORSO DI STUDIUM CARTELLO 2011-2012 IL REGIME DELL’APPUNTAMENTO. QUID IUS? IL TRIBUNALE FREUD (ANNO VI) 21 gennaio 2012 4° LEZIONE “Insipidezze giusnaturalistiche. DArwiNisMO cOME DissOLUziONE fiNALE DEL DiriTTO NATUrALE” 1 Testi di riferimento: S. Freud, Totem e tabù, 1912-132; H. Kelsen, Il problema della giustizia, 19603; Giacomo B. Contri, Il pensiero di natura, 19944 MARIA DELIA CONTRI Introduzione Come introduzione ai lavori di oggi che hanno una loro coerenza interna – in un certo senso tra un incontro e l’altro il tema è sempre lo stesso – vi faccio notare che nelle varie schede introduttive di volta in volta ho messo come testi di riferimento scritti molto importanti: per la prossima volta ho scelto Istituzioni del Pensiero. Le due ragioni5, per l’incontro di oggi ho indicato Il pensiero di natura. Sono tutti testi che vi esorto davvero a prendere in mano con grande precisione. Sono scritti estremamente densi, estremamente precisi nelle loro articolazioni interna, articolazioni che vanno attentamente colte, e non a spanne o pressappoco. Si tratta, infatti, della ricostruzione di una metapsicologia senza la quale il nostro intervento anche come psicoanalisti – psicoanalisti o avvocati della salute – di fatto non è altro che fare della psicoterapia e magari persino di cattiva qualità. Il tema che si ripeterà nelle varie occasioni è quello di moti, di azioni che non riescono ad essere atti. Anche questa è una cosa di cui sarà bene che vi impadroniate con precisione: una cosa è un atto, un’altra è un semplice moto6, una semplice azione. Si tratta di azioni che non riescono ad essere atti perché il soggetto agente non è titolare del senso dell’atto, della meta: non gli appartiene. 1 Trascrizione a cura di Sara Giammattei. Testo non rivisto dall’Autore. S. Freud, Totem e tabù (1912-13), OSF, Vol. VII, Bollati Boringhieri, Torino. 3 H. Kelsen, Il problema della giustizia, Il Mulino, Bologna, 1984. 4 Giacomo B. Contri, Il pensiero di natura. Dalla psicoanalisi al pensiero giuridico, terza edizione, Sic Edizioni, 2008. 5 Giacomo B. Contri, Istituzioni del pensiero. Le due ragioni, Sic Edizioni, Milano, 2010. 6 Io credo che dire “moto” forse rimanda con più precisione anche al dettato freudiano. 2 1 Non è titolare del senso dell’atto e quindi proprio per questo, l’azione non riesce ad essere atto, il che equivale a dire che non riesce ad essere soddisfacente. Il soggetto in assenza di un senso di cui è titolare – e per essere titolari bisogna essere i legislatori della legge che orienta quell’azione – è inevitabilmente soggetto ad una coazione a ripetere; rifà sempre la stessa cosa e questo lo vediamo frequentissimamente nel ripetere sempre la stessa azione, sempre nello stesso modo, sempre con le stesse coordinate in quanto – e questa è l’idea che mi sono fatta io – le azioni restano sostenute da una sorta di Provaci ancora, Sam7 per vedere se questa volta così facendo riesce che il pensiero sia soddisfatto in quanto è un atto e non una semplice azione. Perché ci sia soddisfazione del pensiero bisogna che il pensiero sia soddisfatto, che il pensiero esca da una posizione di umiliazione. L’idea dell’umiliazione del pensiero va anche colta bene, perché l’umiliazione del pensiero non è semplicemente quella in cui ci si può imbattere di fronte a certe critiche, di fronte a certi insulti, a certe offese, ma è altro. Nel testo che vedrete e che ho preparato per oggi 8 cito una battuta di Lacan ricordata peraltro da Giacomo Contri che dice che la vita non è tragica, è comica 9, anche se poi Giacomo Contri aggiunge che le conseguenze patologiche sono tragiche, ma ciò che le produce è comico, o meglio, tragicomico. In che cosa consiste la comicità che poi si rovescia in tragicità, nella tragicità della patologia – se non altro perché c’è questo ripetere continuamente un fallimento –? Qual è il centro, il motore, la chiave di questa comicità? È in questo insistere nel farsi mero strumento – non direi neanche della soddisfazione di un altro, ma comunque diciamo così – della soddisfazione di un altro, della volontà di quello che vuole un altro, mero strumento. Questo tema è trattato in un libretto che vi consiglierei di acquistare perché è estremamente interessante; già ieri sera lo citavo al seminario del Lavoro Psicoanalitico, perché l’ho trovato proprio in questi giorni sul banchetto del libraio: è intitolato Opus Dei10 ed è di Agamben. L’Opus Dei non è l’organizzazione Opus Dei, ma è l’idea di essere opera di Dio. Nella pulsione come forma dell’azione, come norma concreta dell’azione, c’è la mia soddisfazione per mezzo di un altro. È chiaro che anch’io sono mezzo della soddisfazione di un altro, ma qui si tratta di essere solo strumento, per cui il moto della mia mano, appunto, non è che strumento di un progetto, dell’intenzione di un altro. Si tratta di essere proprio puramente strumento. Progetto, che poi Lacan giustamente negli Scritti11, definisce progetto perverso. Lacan dice che aspirare a questa meta dell’essere puro strumento vuol dire pura obbedienza ed è un progetto perverso. Nel nevrotico – e sappiamo che Freud definisce la nevrosi come negativa della perversione, e anche questo è un concetto di cui bisogna impadronirsi con precisione, non a spanne – il pensiero resta in stato di umiliazione, resta dominato dall’idea che il suo ideale (anche ideale va ben colto nel suo significato come concetto) resta quello di essere strumento della volontà di un altro. Sapete che Lacan dice che il nevrotico è sempre lì a chiedere: “Che cosa mi vuole?”, non tanto “Che cosa vuole da me?”, ma “Che cosa vuole che io sia”, “Che cosa mi vuole?”. Pur avendo questo ideale – ideale perverso, anzi, l’ideale poi è sempre perverso e sostanzialmente è sempre un ideale che affonda le radici in questa intenzione, in questa meta, in questo scopo –, pur restando e non essendo in grado 7 Film Provaci ancora, Sam, regia di H. Ross, soggetto e sceneggiatura di W. Allen, con W. Allen e D. Keaton, 1972, USA, 85 min. 8 M.D.Contri, Eredità senso destino, Testo introduttivo al Corso del 18 febbraio 2012, www.studiumcartello.it 9 “La vie n’est pas tragique, elle est comique”. 10 G. Agamben, Opus Dei. Archeologia dell’ufficio, Bollati Boringhieri, 2012. 11 J. Lacan, Scritti, (a cura di Giacomo B. Contri), Einaudi, 2002. 2 di criticare la ragione della sua umiliazione, però ci vede una contraddizione e soprattutto l’impossibilità. L’altro di cui io voglio essere puro e mero strumento è l’Oggetto, divento suo oggetto, che poi questo Oggetto sia un’idea astratta, Dio, etc. non importa, diventa un oggetto. Il nevrotico, il soggetto che non riesce a criticare questa premessa, anzi, la mantiene come proprio ideale, non può non coglierne la contraddizione, e la contraddizione è l’impossibilità. C’è una frase che ho preso da Istituzioni del Pensiero dedicata proprio al tema dell’Oggetto: «(…) l’Oggetto non è tragico bensì tragicomico, è impotente a imporre la resa, non è senza scampo (…)12. L’oggetto di fatto è impotente a imporre la resa al pensiero, non ce la fa e neppure il soggetto stesso può imporre a se stesso la resa, quand’anche voglia riuscire a realizzarlo. Il fatto che l’altro diventi mezzo della mia soddisfazione e che questa è la forma della pulsione come forma legislativa è vero, come è vero che la mia soddisfazione io la ottengo per mezzo di un altro e a sua volta l’altro la ottiene per mezzo mio, ma tutt’e due investiamo, ci mettiamo la testa con un nostro principio di piacere. Mettere la testa nell’opera di un altro in quanto corrisponde a un mio principio di piacere non vuol dire essere mero strumento dell’opera di un altro. Tu mi proponi una cosa che a te interessa fare – qualunque cosa sia, dall’andare al cinema, allo scrivere un libro o mettere su un’azienda –, che è la tua opera ma perché io entro in questo rapporto che è del regime dell’appuntamento con te? Perché a me interessa come interessa a te, e quindi quell’opera diventa mia. Io non sono lo strumento, non sono un Opus Dei o qualsiasi cosa possiamo mettere al posto di Dio. Possiamo mettere qualsiasi cosa al posto di Dio o della natura, per esempio, possiamo metterci la necessità della natura che è poi la lezione di Darwin, spacciata per una lezione che avrebbe fatto fuori Dio, mentre in realtà non ha fatto fuori niente, semplicemente al posto di Dio ha messo la selezione naturale, ma in fondo è sempre un pensiero teologico, solo che al posto di Dio ci metti qualcos’altro. Il posto resta da occupare, resta quello. Questo pensiero impedisce che le nostre azioni abbiano la forma di atto in quanto ci è precluso il senso di quell’atto, dato che il senso è quello messo dentro da un altro – “Lui lo sa, lui ce l’ha, io no” – e quindi si introduce nella nostra vita una dimensione di tensione a un ideale asintotico: vado da quella parte, ma non ci arrivo mai. Ecco, immette nella nostra vita un ideale da raggiungere che però non verrà mai raggiunto, cioè la soddisfazione che è anzitutto soddisfazione del pensiero è asintotica, è dunque inarrivabile, immette nella nostra vita una dimensione da terra promessa verso cui dichiariamo di andare, pur sapendo che non ci arriveremo mai. Adesso sentiamo l’intervento di Gabriella Pediconi che farà interagire l’idea di una meta pensata dalle varie elaborazioni intorno al diritto naturale e l’elaborazione darwiniana, poi ci sarà un intervento di Giulia Contri che dirà qualche cosa a proposito di Kelsen (che è uno dei testi di riferimento indicati per questa volta), poi Vera Ferrarini che invece si fermerà sulla questione di questo ideale costruito dalla filosofia. © Studium Cartello – 2012 Vietata la riproduzione anche parziale del presente testo con qualsiasi mezzo e per qualsiasi fine senza previa autorizzazione del proprietario del Copyright 12 Giacomo B. Contri, Istituzioni del pensiero. Le due ragioni, Sic Edizioni, Milano, 2010, pp. 19-20. 3