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mixtape newsletter
C’è speranza. Quest’estate di recessione economica ci dà speranza. Tornare ad apprezzare il gelato da due euro che si scoglie
sulla lingua, slabbrare la t-shirt di quel concerto degli Strokes
fino a farla diventare una bandana, sfondare le Adidas gazzelle, tanto così sono ancora più hip. Surfare sui divani dei propri amici, lontani e vicini, per permettersi i sedili scomodissimi
della easyfuck*ngjet. Il mondo sta cambiando, intorno a noi,
ma questa non è mai stata una novità. E allora imbracciamo il
cambiamento, come un mitra, e crediamo negli strani percorsi
che la vita ci propone.
È con questa filosofia che il MIXTEAM ha impacchettato per
voi sullo stesso nastro (MIXTAPE GAMMA) storie differenti
e complementari tra loro, dal mondo all’Italia e ritorno. Siamo
andati in Qatar, a capire cosa si nasconde dietro lo sponsor del
Barcellona e perché robo-Monti si vanta delle strette di mani
scambiate con l’emiro Khalifa. Abbiamo parlato con chi vuole partecipare a una rivoluzione fatta di proiettili e respiri affannati, in Siria, ma si ritrova le mine sotto casa, piazzate anzitempo dai soldati israeliani. Ci siamo ritrovati in una marea
arancione tra i canali di Amsterdam, in cui crisi e alcool vanno
d’amore e d’accordo durante la Festa della Regina. Abbiamo
intervistato gli autori di startup cucite con ago e filo nel centro
di Milano, che senza paura stanno realizzando i propri sogni.
In Visual, Laura Bagnera ci ha mostrato cosa ha trovato sotto
i sediolini dei propri sogni. In Tapes, vi raccontiamo cos’è che
cambia tra le file dei musicisti made in Italy, con nuovi colpi di
mix (Death in Plains) e schizzi geniali dei classici (Afterhours).
Pause reality. Let’s mix it.
Il Mixteam
10 mixtape
mixtape 11
Fabrizio De Rosa : Scappato di casa alla tenera età di
19 anni, De Rosa è il reporter dall’occhio lesto che nessuno si vorrebbe mai trovare di fronte. Sempre pronto ad essere lanciato in orbita da compagnie low cost,
non ammetterebbe mai di essere un radical chic.
Roberto Strino : È il più rilevante critico musicale della zona ospedaliera di Napoli. L’unico videogame a cui
gioca è Puzzle Bubble. È intrappolato in una crepa dimensionale dalla quale può scappare solo dormendo o
masturbandosi. Il suo sogno è di vivere in una sit com
degli anni ‘90.
Elena Roda : Nonostante sia nata a 5 km dalla Svizzera
e nel cuore di Manzoni (Como), Elena costruisce ponti
tra il mondo occidentale e quello arabo con la sua penna. Giornalista internazionale, quando parla del Golan
spesso specifica che non si tratta di un gelato Magnum
a edizione limitata. Stranamente non ha mai avvistato
il mostro del lago di Como, George Clooney.
Sabrina De Mercurio : Amante del bello, (e di Leme
Cam), Sabrina è una fotografa/stylist professionista
che passa le giornate sui set fashionisti milanese. Crede nella moda sostenibile, ha un debole per il Medio
Oriente e il succo alla rosa canina. Non uscirebbe mai
di casa senza i suoi boccoli da yiddish.
Laura Bagnera : Nata e cresciuta a Palermo, trascorre le sue giornate a Milano, disegnando, dormendo e
raccontando i sogni che fa. Nei suoi disegni penetra la
musica che la culla. Non le piacciono un sacco di cose,
tra cui, per ora, il caldo.
Martina Petrelli : Esteta del design ragionato, Martina
ha speso l’ultimo anno a rielaborare il concetto di archivio in chiave dittatoriale e ad accarezzare conigli.
Ha vissuto più o meno in tutti paesi che partecipano ai
Mondiali di calcio con la sua compagna inseparabile,
una borsa-monolite grigia che ripara il suo Mac come
se fosse l’armatura di Pegasus. È la madre spirituale e
visuale di MIXTAPE BETA.
VIEWS..................................17
STORIES..............................21
VISUAL................................50
TAPES..................................56
Views
STORIES
VISUAL
TAPES
la strada
della peggio
gioventu'. 17
Doha :
la terra promessa
e' deserta. 23
after padania. 58
depressione
postcolonialismo
#1. 18
golan :
RIVOLUZIONE,
MINE E
FACEBOOK. 32
Things found
under car seats
- Everybody
loses something.
50
la festa della
regina :
paura, delirio e
crisi economica ad
amsterdam. 37
milano chiama
eco-fashion. 43
the canadian
tree. 60
intervista a
death in plains. 63
move to the
mountains. 65
LA strada della peggio gioventu'
fabrizio de rosa
Finito Berlusconi, siamo rimasti con i cerini in mano.
Sono finiti i girotondi, le
petizioni online, le intercettazioni (quasi). Lo scandalo. Quanto era semplice,
identificarsi sotto quella
bandiera rossa, la bandiera degli anti. Per ribellarsi
bastava guardare Santoro
posare l’indice sulle labbra.
Oggi devi leggerti l’Economist e litigare con i turisti
in tedesco. Bastava ritrovarsi tra le rime dei Cani.
Finito Berlusconi, c’è rimasto il futuro dilaniato della
generazione di Dragonball.
La Peggio Gioventù. Tra
Bruxelles, Parigi, Berlino
e Roma, mandando qualche sms a Madrid e Atene
(perennemente in fiamme)
si gioca quel che ne sarà
dei giovani europei. Senza Muccino che bussa al
citofono. La disoccupazione giovanile ha toccato il
22% in tutta l’UE. In Italia
ci distinguiamo con un bel
35% (+6% rispetto all’anno
scorso). I Peggio Giovani
italiani sono una Beat Generation senza Vietnam e
acidi da ingoiare. Il Messiah Jack Kerouac descriveva i suoi contemporanei
attraverso un fil rouge, il
battito del cuore, the beat.
Assente. Anzi no, lento.
Schiacciato dalla seconda
guerra mondiale e dalle paranoie comuniste, un cuore a sangue freddo, tradito
e minacciato dai Mad Men
americani e la loro gelatina ammazza-ideologie. Un
16 mixtape
sangue che i Peggio Giovani del Bel Paese conoscono
molto bene, accarezzato
sotto pelle come i troppi
esami sul libretto. L’università finisce e ci si ritrova su
un precipizio. Il vuoto delle
mancate opportunità made
in Italy. L’ansia.
Da cittadini italiani ed europei viviamo in un mondo
di incertezze. Ma anche di
possibilità. Bisogna guardare all’Europa per quello
che è : casa nostra. E ascoltare più attentamente a
quello che si dice nelle sale
del Parlamento Europeo.
Proprio in questa sede già
nel 2010 era stata pubblicata una risoluzione in cui si
chiedeva alla Commissione
una maggiore attenzione
nei confronti dei giovani
disoccupati europei. Secondo il modello austriaco
(molto simile a quello danese e tedesco) un giovane che rimane disoccupato
per più di 4 mesi deve essere indirizzato dallo Stato
verso un’occupazione (lavoro o stage) retribuita per
almeno sei mesi, in modo
da facilitarne l’ingresso nel
mondo del lavoro (questo
sconosciuto). Insomma, il
diritto al lavoro (retribuito)
esiste ancora da qualche
parte e la Commissione Europea ha deciso di spalmarlo per tutto il vecchio continente, specialmente presso
gli 8 paesi meno virtuosi in
fatto di politiche giovanili :
Grecia, Irlanda, Italia, Let-
tonia, Lituania, Portogallo,
Slovacchia e Spagna. Per
la fine del 2012 questi stati
membri dovranno investire
i fondi strutturali rimanenti del periodo 2007-2013 per
riscattare la Peggio Gioventù europea. Così finanziamenti per progetti EU
regionali, borse di mobilità
per studenti e giovani laureati, saranno distribuiti a
pioggia (82 miliardi, in totale) in tutta Europa. In Italia,
il Monti-bot ha calcolato
che fondi per 8 miliardi sono
disponibili per circa 128mila
Peggio Giovani italiani,
“molti dei quali al Sud”. Ed
è proprio dal Sud, da Napoli, che mi torna in mente un murales screpolato
letto tra i vicoli del centro
storico : “Il futuro non è
scritto”. Specialmente su
Google, dove il futuro si
produce ogni giorno, come
la pasta a Gragnano, tramite le dozzine di bandi aperti
disponibili per chi ha fame
di vivere il proprio On the
Road, dentro o fuori i confini nazionali. Peggio Gioventù, allacciati le cinture,
si parte.
mixtape 17
DEPRESSIONE POST-COLONIALISMO #1
ROBERTO STRINO
Come in una polaroid sbiadita, ecco la mia nuca
ciondolare tra file di magliette
monocromatiche
a prezzo di favore. Chi ha
girato mercatini e grandi
magazzini scavando nei
cumuli di merce da campionario può capire lo straniamento di trovare tutto ciò
che si è sempre desiderato
stretto in un punto che fa
sembrare ogni capo privo
di esperienza e personalità. La camicia a quadri per
10euro che ti fa assomigliare alla tua ultima band indie
folk preferita adesso non
ti riesce più a distinguere
dal tamarro che l’ha trovata di moda. Adesso il trend
sei tu, che ti facevi sottile
per scivolare sulle pareti e
sgattaiolare via dal flusso
di persone che non capivano, che ascoltavano Christina Aguilera e idolatravano gli short pants sbagliati.
Entrando da H&M non è
stato l’assortimento di
merce che mi ha steso.
Sono state le casse che
pompavano, sulla massa di
scialbi potenziali acquirenti, il nuovo singolo dei Real
Estate, e poi Class Actress.
Mi avvicino al commesso
che ha la pettinatura male
interpretata del mohicano.
Gli chiedo se quella che sto
sentendo è una radio. Lui
mi risponde avvilito che è
un cd di merda standard
per tutti i negozi della catena, e che lui non ne può più
di questa musica.
18 mixtape
C’è qualcuno che ha pensato a me. Ha pensato che
gli analfabeti non se la sarebbero cavata con la crisi, quindi i soldi da spillare
sarebbero stati nelle mie
tasche. Nelle tasche di chi
ha giocato a giochi di ruolo,
smanettato su computer,
amato serie fantascientifiche e puntato tutto su
band che si sono rivelate la
nuova faccia della musica
dell’inizio del millennio.
E’ tutto lì, per tutti, svuotato del potenziale sovversivo. Comprabile senza il
percorso di conquista.
Alla fine, dopo che abbiamo predicato tanto in giro,
Dio ci ha puniti esaudendo
il nostro desiderio di vedere il mondo uguale a noi. E
ha rivelato il nostro peccato, la nostra vanità che
si è sempre espressa nella
volontà di non essere uguali agli altri. Abbiamo solo
avuto la fortuna di stare
dalla parte della qualità.
Il deprimente doposbornia
dell’esaltazione da conquista coesiste con la soddisfazione data dalla verifica
di aver sempre posseduto
una conoscenza sofisticata emanata dal magazine o
dal sito web più giusto e di
nicchia.
Adesso non riesco più a
ridere davanti alle battute di The Big Bang Theory.
Punch Line standard e un
target preciso : il vecchio
me.
mixtape 19
20 mixtape
mixtape 21
Doha : la terra promessa e' deserta
FABRIZIO DE ROSA
Volare sull’Iraq ed atterrare su una pista di sabbia, mentre il sole si ferma
a metà a strada, visibile
come un occhio di bue con
della margarina sopra. Rotondo. Benvenuti in Qatar,
dice un cartellone scintillante. Benvenuti in una
nazione che ha le proprie
radici nel futuro. Il Qatar è
un minuscolo stato tra l’Arabia Saudita e l’Iran, un
piccolo ducato ante-litteram, governato dalla dinastia Al Thani, al potere dal
1850. Nel 1995 un colpo di
stato soft da parte di Hamad bin Khalifa Al Thani ai
danni del padre Khalifa bin
Hamad Al Thani ha posto
le basi dello stato moderno
che è oggi il Qatar. Apri le
sue guide e ti rendi conto
che la più grande attrazione dello stato mediorientale deve ancora nascere,
uno stadio da 60.000 posti
alla periferia della capitale,
Doha.
Il grattacielo di Al Jazeera,
emittente finanziata dall’
emiro Khalifa, è il simbolo dell’indipendenza e del
progresso culturale che abbraccia la penisola desertica. Si staglia, modesto, nel
mezzo di hotel a 5 stelle e
grattacieli rinfrangenti con
neon incorporati, un incrocio tra il pianeta della sabbia di Star Wars e Mordor,
la terra degli orchi del Signore degli Anelli. Il Qatar
si è guadagnato le copertine dei media globali grazie
22 mixtape
alla costante presenza di
Khalifa e famiglia (a rotazione, ha 23 figli e 3 mogli)
nei salotti della politica internazionale. E da divani
vellutati ha lanciato appelli
accolti (intervenire in Libia)
o meno (fermare l’eccidio
di civili in Siria con un contingente arabo). “ L’emiro
del Qatar è certamente un
tipo molto influente – ha
detto di lui Barack Obama,
a margine di una sessione
di strette di mano con Khalifa – ed è un grandissimo
promotore della democrazia nei paesi arabi. Eppure,
nel suo paese non c’è traccia di processi democratici”. Nel paese con il reddito pro-capite più elevato al
mondo (all’incirca 145,000
dollari) la democrazia è un
optional.
Doha, l'incrocio
tra il pianeta di
sabbia di Star
Wars e Mordor.
Le fortune dello stato mediorientale sono segnate
dalla scoperta del gas liquido nei primi anni novanta. Dopo il golpe pacifico,
Khalifa ha consolidato la
sua leadership istituendo
un piano di sfruttamento
delle risorse sommerse dalle dune qatariane. Oggi il
Qatar è il più grande esportatore mondiale di gas liquido nel mondo e la sua
economia cresce come il
pizzetto di un adolescente
procace : + 15% nel 2011 e
+ 19% del 2012. Addirittura,
in proporzione, più di India
e Cina. “Ma se continuano
a esportare così, le risorse
finiranno in una quindicina
d’anni” mi rivela un businessman man inglese interessato alle vicende della
regione. In un paese in cui
il 90% del cibo è importato
e l’acqua corrente è ottenuta a seguito di un costoso processo di desalinizzazione, le finanziarie delle
prossime decadi del paese
arabo sono già argomento
di dibattito nel palazzo reale. Ed è proprio per questa ragione che il serioso
emiro del Qatar ha stilato
un booklet, Qatar National
Vision 2030, dove si proietta una nazione che, seppure senza le risorse naturali
di oggi, possa essere all’avanguardia e protagonista. Progetto sponsorizzato, letteralmente, dalle
icone del Qatar, l’emiro
Khalifa e il suo figlio prediletto, il principe Tamim bin
Hamad, trentenne erede al
trono della dinastia Al Thani. I due membri della famiglia reale sono ritratti un
po’ come la Madonna nelle
città d’arte italiane ad ogni
angolo di strada, stampati
sui gadget più vari, dall’orologio, alla sciarpa, passando al cappellino che si
illumina e mouse-pad 3d.
Arabic pop art made in China.
I soldi non bastano per ac-
quistare il Colosseo o la
Tour Eiffel, ma sono abbastanza a pagare il Barcellona per far correre Messi con
una maglietta a righe con
su scritto Qatar e convincere i delegati della FIFA ad
organizzare il mondiale di
calcio all’ombra degli emiri nel 2022. In un paese dove
d’estate ci sono in media
piu’ di 50°. “La temperatura che conta – spiega Wolfgang Kessling, project manager del team Qatar World
Cup 2022 – è solo quella percepita. Negli stadi che stiamo costruendo ci saranno
tubature d’acqua fredda
all’interno e pannelli solari
malleabili a basso impatto
ambientale. Le nuvole artificiali faranno il resto e
l’esperienza del mondiale
qatariano sarà molto simile a quella di Usa ‘94”. Che,
dicono i ben informati, fu al
limite della sopravvivenza
per i giocatori ed il pubblico
(chiedete al codino di Robi
Baggio).
Il Mondiale sarà di scena
tra dieci anni ma negozi
specializzati già sorgono
ad ogni angolo del mercato centrale di Doha per la
" Guardare una donna musulmana negli occhi, e' paragonabile ad un pizzico
sul sedere in Europa "
produzione di coppe del
mondo che differiscono
dall’originale solo perché
ad alzarle non ci sono né
Zidane né Cannavaro, ma
occidentali in sovrappeso.
Quei turisti e businessman
che camminano incuriositi alla ricerca di uno sisha
e di deliziosi dolcetti mediorientali, evitando di incrociare lo sguardo di donne coperte da vesti nere
che lasciano intravedere
solo gli occhi. “Guardare
una donna musulmana negli occhi, è paragonabile
ad un pizzico sul sedere in
Europa” mi dice Rita, originaria del Kosovo, in Qatar
per una conferenza. Molti
uomini baffuti la scrutano
ed io mi sento imbarazzato per lei. Gli uomini arabi
non sorridono mai, si dice
perché questo è il loro costume. Lei, bionda ed occhi
verdi, è una dei tanti opinion leader che per una ragione o per l’altra capitano
di passare una settimana
Una riproduzione della Coppa del Mondo presso il mercato centrale di Doha.
nella capitale. Il governo
qatariano, in collaborazione con fondazioni satellite,
attrae decine di organizzazioni no profit (UN inculsa)
ogni anno, offrendo hotel
a cinque stelle, trasporti, attività di divertimento (gettonatissimi i giri in
cammello, le scampagnate
in gip sulle dune e sport acquatici sul Golfo Persico) e
persino alcol ( qui è proibito
ovunque tranne che nei bar
degli hotel dove solo occidentali e pochi altri eletti
sono accetti). In ritorno,
queste organizzazioni distribuiscono gadget con il
marchio del Qatar stampato in bella mostra, mentre
i profili Facebook e gli account Twitter degli invitati
sono bombardati da spot
entusiasmanti : “Il Qatar
non smette mai di stupirmi” è una filastrocca che
ho sentito esclamare spesso, anche dalle mie labbra.
Gli emiri amano
la cultura ma
non cosi' tanto
una citta'
multiculturale.
Ma svegliarsi, mangiare e
andare a dormire in questi
circuiti di conferenze internazionali è come vivere
dentro una biglia, senza poter guardare oltre il vetro,
appannato dalla sabbia.
Quando lo spolveri con il
mixtape 23
pugno, Doha ti appare per
quello che è : una ghost
town. La capitale sembra
appartenere ad un futuro
distopico non troppo lontano, l’evoluzione di una New
York mediorientale abbandonata in fretta e furia dopo
l’attacco di un manipolo
di maestri d’arti marziali. Ken Shiro e compagnia
bella. Palazzoni rifrangenti e altri in costruzione si
accalcano tra loro nel centro della città, un po’ come
cartoni di latte da riciclare.
Non piove da un anno, ma
i prati sono sempre verdi,
giardinieri
incappucciati
spargono erba fresca sulle
aiuole. Importata chissà da
dove. La gente dov’è ?
Nel 1949 11.000 qatariani vivevano nel paese, poche
centinaia nell’area di Doha,
ai tempi centro specializzato nella raccolta di perle.
Poi nel dopo guerra qualcosa è cambiato. Torri di
Sauron hanno cominciato a
spuntare nel deserto, e poi
la scoperta del gas liquido
condita dalla visione dell’emiro Khalifa. Creare l’antiDubai. Da qui il bisogno di
importare operai, cuochi,
tassisti. Uno stato in via
di sviluppo che attrae emigranti in cerca di sviluppo,
dal Nepal, dalle Filippine,
dall’India, dall’Etiopia e
chi più ne ha più ne metta.
Così il Qatar nel 2012 conta
1.7 milioni di abitanti, di cui
l’80% sono immigrati. Lavoratori, senza cittadinanza,
perché c’è solo un modo per
ottenerla, sposare un cittadino qatariano. Gli emiri
amano la cultura ma non
così tanto una città mul24 mixtape
Gli immigrati li
riconosci subito,
gli unici a non
indossare abiti
tradizionali,
incravattati
come sardine,
accalcati in bus
senza aria
condizionata.
ticulturale, tanto da riservare posti letto gratuiti ai
propri lavoratori in “campi
da lavoro” ai margini delle
città. Gli immigrati li riconosci subito, gli unici a non
indossare abiti tradizionali,
incravattati come sardine,
accalcati in bus senza aria
condizionata. Eppure hanno spesso un sorriso stampato sulle labbra. La scelta
di venire in Qatar è loro, il
salario è buono, e gli permette di fare una vita da
re quando, almeno per un
mese all’anno, tornano nel
paese natio. “Mi piace il
Qatar ? Certo che mi piace –
dice Nabil, cameriere nepalese da Qatar da due anniè pieno di soldi. Ma oltre
quello, il tempo è orribile,
si lavora e basta”. Il sorriso cala quando gli si chiede
di casa. Lo stesso avviene
con quegli imprenditori dalle guance piene che si barricano dentro hotel dove
all’ingresso è necessario
il passaporto e si paga un’
Heneiken 12 dollari. “Il Qatar sarà il prossimo paradiso fiscale, ma casa mia mi
manca” mi rivela Meidera,
originaria del Portogallo,
fondatrice di una società
per consulenza finanziaria con sede a Doha. “Mi
mancano le piccole cose.
Mi manca il fornaio sotto
casa mia, i suoi bambini. In
Qatar non se ne vedono per
strada”. Medeira fa parte di
un vero e proprio esercito
di immigrati qualificatissimi che decidono di saltare
su un aereo, attraversare le
nuvole irachene per ingrossare il proprio portafoglio
mettendosi a disposizione
di organizzazioni profit e
no-profit che il tocco dorato e gassoso della dinastia
Al Thani fa sbocciare.
Il restante 15% della popolazione, i qatariani storici,
si confondono con gli altri
immigrati del golfo, dell’Oman, degli Emirati Arabi
Uniti. “Non puoi distinguerli fino a che salgono
in macchina – mi dice Steven, imprenditore americano che vive qui da cinque
anni. Da fuori tutti hanno
un vestito bianco, limpido,
poi salgono in macchina
e vedi chi ha la Maserati”.
I qatariani sono seri, con
baffi inchiodati sotto al
naso, camminano per strada sfiorandosi, mentre alle
donne è proibito ogni contatto fisico. Ma oltre le apparenze c’è una società che
è aggrappata solo ai propri
abiti, e che a furia di cover
stories conquistate sull’Economist ha imparato ad
accogliere il mondo occidentale, anche con i suoi
pantaloncini infedeli. Del
resto mancano appena dieci anni alla Coppa del Mondo.
Vista del centro di Doha dal 60esimo piano del Kempiski Hotel. Il vento proveniente dal deserto impolvera continuamente i finestroni.
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Grattacielo in costruzione nella zona occidentale di Doha.
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Due orologi targati dai volti dell’emiro Khalifa (a destra) e il principe Tamim (a sinistra). Il loro prezzo oscilla dai 130 ai 110 rial (30-25 euro).
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Vista da Katara, centro di conferenze internazionali nella zona settentrionale di Doha.
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GOLAN : RIVOLUZIONE, MINE E FACEBOOK
elena roda
Sabato mattina. Altipiani
del Golan. A pochi chilometri di distanza, al di là della
rete che delimita il ‘no trespassing point’ c’è Damasco. Lì la gente è per le strade a manifestare contro il
regime di Assad. Lì, oltre la
rete, la guerra, quella vera,
fa stragi, ogni giorno. Qui
tutto è diverso. Siamo seduti a Oud El Na’ na’ caffè,
uno di quei luoghi di ritrovo
che, dicono da queste parti, sono malvisti dai capi
religiosi. Uno di loro butta
un occhio dentro e affretta
il passo scuotendo la testa.
Questa aria di cospirazione
lo infastidisce, lo mette di
cattivo umore.
Questo è il luogo di ritrovo
di chi la rivoluzione la può
fare solo attraverso Facebook e Twitter. Sono qui i
giovani e meno giovani che
dal Golan guardano alla Siria e con il pensiero sono in
piazza a manifestare contro quel regime che i capi
religiosi e i più conservatori
sostengono e che loro vorrebbero vedere caduto, una
volta per tutte, per provare,
dicono, quell’aria di democrazia tanto agognata.
Tra loro e la Siria
c' e' una rete,
alta e spessa,
e una striscia
di terra minata.
32 mixtape
Tra loro e la Siria c’è una
rete, alta e spessa, e una
striscia di terra minata.
Qui, lo scorso giugno, una
ventina di siriani sono morti, uccisi dalle mine e dal
fuoco israeliano. Stavano
manifestando contro l’occupazione israeliana del
Golan che dal 1967 divide
chi qui abita da genitori,
fratelli e cugini in Siria.
La rivoluzione ha riacceso
le speranze in quelli che inseguono il sogno di poter
un giorno buttare giù quella
rete e tornare ad essere siriani, a tutti gli effetti. Per
il mondo sono ‘residenti in
Israele’ ma non hanno nazionalità. Da quando Israele ha occupato il Golan,
hanno perso la cittadinanza siriana e negli anni Ottanta hanno rifiutato quella
israeliana. “Siamo undefined”, dice Aamer, 21 anni.
‘Undefined’, come il nome
del bar dove i ragazzi si ritrovano la sera. Per bere un
cocktail o un bicchiere di
vino, in un luogo dove bere
alcool è contro la religione.
Ma loro sono ‘undefined’ e
gli ‘undefined’ non hanno
regole fisse. Con gli amici
la sera ballano sulle note
delle hit americane, in famiglia parlano e mangiano
arabo, le loro auto hanno
targa israeliana.
Qui, in questa piccola isola araba ricca di acqua, gli
israeliani coltivano la terra
e sciano sul monte Hermon,
l’unico ski resort d’Israele.
La bandiera israeliana capeggia sugli edifici pubblici
e sulla vedetta al confine,
quella siriana invece è bandita. Gli abitanti del Golan,
circa 20.000, in Siria non
possono entrare se non con
speciali permessi per brevi
periodi o per studiare all’università. Chi invece il confine lo attraversa sono le
mele che vengono prodotte
qui e vendute in Siria grazie
all’aiuto della Croce Rossa
Internazionale. Il confine si
apre così per alcune settimane all’anno ma solo per
le mele. Una volta passati i camion si richiude, gli
uomini quel confine non lo
possono varcare.
Il popolo degli
undefined,
targhe israeliane
e tweets siriani.
Così non resta che guardare alla Siria attraverso
i social network per restare informati e esprimere la
propria solidarietà a chi, al
di là della rete, è in piazza
a protestare. All’inizio della rivoluzione l’Oud El Na’
na’ caffè ha messo a disposizione un muro bianco per
raccogliere pensieri, disegni, idee sulla protesta in
Siria. Un po’ come il muro
di Facebook, dicono qui.
Un posto per condividere, chiedere e rispondere.
C’è chi su quel muro, reale
e non virtuale, ha scritto
‘Non sono mio’, prendendo
a prestito le parole del poeta palestinese Mahmoud
Darwish. Un ‘non sono mio’
che parla di libertà sottratta, dell’altro, degli altri che
decidono per te.
I giovani del Golan attraverso il Web vogliono far
sentire la loro voce e dire :
non siamo nelle strade a
protestare ma ci siamo con
il pensiero, dall’altra parte
della rete. Come Shefaa, 26
anni, giornalista e blogger.
Attraverso internet mantiene i contatti con un gruppo
di giovani rivoluzionari e li
aiuta a far circolare notizie
fuori dai confini siriani. O
come Randa che fa l’artista
e attraverso le sue sculture
rappresenta la rivoluzione
Il Muro presso Oud El Na’na’ cafè.
Il villaggio di Majdal Shams (sopra).
in Siria da un punto di vista
inedito, “quello dei soldati siriani che uccidono chi
protesta ma sono obbligati
a farlo”, racconta.
“Io voglio rappresentare il
loro dolore”, ci dice “perché anche loro sono essere
umani e meritano la nostra
comprensione”.
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La rete di confine tra Golan e Siria.
34 mixtape
mixtape 35
LA FESTA DELLA REGINA : PAURA,
DELIRIO E CRISI ECONOMICA AD AMSTERDAM
FABRIZIO DE ROSA
Amsterdam non è la capitale della ganja, della prostituzione e dell’amore libero.
Nemmeno se ci sei stato e
l’hai vista nuda e maledetta con i tuoi occhi, accarezzando i suoi fianchi umidi,
i canali, ed incrociando gli
sguardi di prostitute e cigni nel Red Light District.
Amsterdam è l’ombelico
dell’Europa, punto di contatto tra le economie di
successo bagnate dal mar
Baltico, la cultura centro-europea e le decine di
multinazionali americane
stanziate nelle vicinanze
dell’aeroporto di Schipol.
Amsterdam è tutto questo, più le biciclette. Per
364 giorni l’anno. Poi arriva
il 30 aprile, la città si veste
d’arancio, scende dalla bicicletta e sale su centinaia
di barche intasando i canali, ubriacandosi senza
ritegno. Questo giorno ha
un nome ben preciso e se
lo direte agli olandesi gli
si illumineranno gli occhi,
“Koninginnedag” (pronuncia Konikdahg) : La Festa
della Regina. Creato ad
hoc nel 1885, svolge ancora
la stessa funzione dei tempi color seppia, rafforzare
l’identità olandese esaltando una delle icone olandesi,
la sempre presente Regina.
La festa si è tramandata
di generazione in generazione ed oggi, la regina
36 mixtape
Beatrix, è la terza reale a
celebrare l’evento. Il protocollo vuole che la regina
visiti una città dei Paesi
Bassi l’anno, inaugurando
i festeggiamenti. Dov’è la
regina oggi ? “Il 30 aprile è
solo una scusa per bere e
festeggiare, chi se ne frega
della Regina” mi dice Willem, trent’anni e fondatore
di un’azienda IT. Che, tra le
altre cose, indossa in bella
mostra una spilla della regina Whilelmina, la prima
ad inagurare il Koninginnedag. Oggi, gli olandesi
hanno bisogno più che mai
di una “festa della regina”.
Il secondogenito di Beatrix, il principe Friso, è in
stato vegetativo dopo essere stato travolto da una
valanga in Belgio mentre
sciava. L’Olanda è entrata
in recessione (Pil -2% nella primavera 2012 rispetto
all’anno precedente) come
la maggior parte dei membri EU. Ciliegina sulla torta,
il paese non ha un governo
in pianta stabile. Saranno
felici i ganja lovers, il disegno di legge per limitare
l’acquisto di marjuana da
parte di turisti è congelato
dall’instabilità politica.
Il grande protagonista delle crisi di governo è il Bossi olandese, Geert Wilders,
che si è tirato fuori dalla
coalizione di governo, un
po’ come fece il Che Guevara di noi altri, Bertinotti, nel 1997, facendo cadere
il governo Prodi. “La crisi
di governo ? I politici sono
dei pagliacci, per me politica è solo pagare le tasse,
poi se la vedano loro a risolvere i problemi” mi urla
Jan, d’arancione vestito
e con due mezze pinte di
Grolsch tra le mani. Geert
Wilders ha racimolato ben
1 milione e mezzo di voti e
24 posti in parlamento nel
2010 a suon di affermazioni come “Io non odio i mu-
Le spille che ritraggono la Regina Wilhelmina (1880 – 1962) sono gettonatissime.
mixtape 37
I canali del quartiere chic di Jordaan sono le arterie principali della festa.
38 mixtape
mixtape 39
sulmani, odio l’Islam” e
“il Corano è come il Mein
Kampf”. Insomma un amico di Borghezio, ma ben
più magro e pericoloso di
lui, definito dal governo inglese come una “minaccia
per la società”. Oggi Geert
è tornato sulle prime pagine sul De Telegraaf grazie
ai suoi strepiti su Twitter (è
seguito da 188.000 persone).
Il terzo partito d’Olanda, il
Freedom Party, non accetta una nuova finanziaria
che limiti il potere d’acquisto dei propri elettori. Bum,
governo spappolato e il primo ministro costretto riconsegnare il mandato alla
regina.
Alla maggior parte degli olandesi,
brilli e dal passo
incerto, della
crisi di governo e
della recessione
non frega niente.
Alla maggior parte degli
olandesi, brilli e dal passo
incerto, della crisi di governo e della recessione
non frega niente. O almeno cosi’ sembra. “Crisi di
governo ? Vedo solo una
crisi arancione” mi dice Richard, 42 anni, scollegando di proposito il cervello.
I fiumi arancioni che si riversano nelle arterie della
città (specialmente nella
zona di Jordaan, ad ovest
di piazza Dam) scorrono a
singhiozzo. Quando vedo
una ragazza bionda da copertina di Vogue ballare su
40 mixtape
un porticciolo nei pressi di
un dj-set improvvisato, non
posso evitare di chiederle cosa pensa di Wilders.
“Non capisco niente di politica” si gira lei, smorfiosa.
Chiedere di politica e crisi economica, durante la
Festa della Regina, è paragonabile a mettere a palla
“Meno male che Silvio c’è”
durante un concerto degli
Afterhours. Mai come oggi,
olandesi e stranieri sbandati, che vedono in Amsterdam una specie di Las
Vegas sull’acqua, sono figli dello stesso Dio. Per un
gruppo di studenti exchange capitanati da Jessie,
americana di 22 anni ed
un’ambizione per il devastarsi ad ogni angolo d’Europa prima di ritornare nella
natia Nebraska, il Queen’s
Day è come Natale. Cosi’
armati di preservativi, patate (“Metti caso che questa patata voglia divertirsi” mi confida) e decine di
birre scendono per strada
confondendosi con le altre
maglie arancioni e flirtando con macchine della polizia. Per rendere la giornata
fruttuosa, Connie, canadese 19enne autrice in patria
di workshop di come reagire contro i bulli, stila una
lista di cose da fare “Salire
su una barca, rubare una
barca arancione, pomiciare con uomo calvo, ballare
con un uomo nudo, pisciare in pubblico…” e così via.
Pomiciare con un omaccione calvo è stato più facile
del previsto, ma come saltare su una barca ? Il segreto sta nello stesso livello di
ubriacatura del passeggero
(clandestino) e del nostromo. Jessie e compagni non
credono ai loro occhi quando si ritrovano su un barcone che ospita panchine di
legno. Ce l’hanno fatta. Da
lì guardano Amsterdam da
una prospettiva mai vista,
dal cuore del canale. Si siedono sulle panche e brindano all’impresa. Splash. Cadono nel canale, profondo
tre metri e sul cui fondale,
leggende tramandano, c’è
un cimitero di bicilette. La
barca è in realtà una piattaforma su cui, nottetempo,
sono state legate alle meno
peggio delle panchine di legno rubate in periferia.
Gli olandesi accettano il
caos di buon grado perché
di fatto questo giorno è visto “come le ventiquattro
ore in cui puoi fare il cazzo
che vuoi”. Si può bere per
strada (è bandito per legge), le attività non emettono scontrini, ogni cittadino
può ospitare una bancarella e vendere di tutto, i bambini scendono per strada e
suonano chitarre e batterie. “Questo è il giorno in
cui i nostri ragazzi possono
finalmente mostrare quello che hanno imparato nel
corso dell’anno, a tutta la
comunità” mi dice Johannes, 60 anni, pensionato. E
racimolare qualche spic-
ciolo. “Quand’ero bambina
vendevo per strada i miei
giocattoli, era tutto un gioco” mi dice Nikki, segretaria universitaria. “Non è
la fiera del baratto – rivela
Indre, studentessa lituana
di lungo corso nelle università olandesi – tutt’altro.
Questa è l’occasione per
gli olandesi di levarsi dalle
proprie soffitte gli oggetti più improbabili. Ed è l’unico giorno in cui possono
farlo perché solo oggi non
hanno bisogno di una licenza per vendere. I bambini
diventano artisti di strada,
per loro è un gioco, ma la
verità è che questo è un popolo di commercianti. Sin
da bambini, sanno vendersi
e sanno vendere”. In effetti, sono stati gli olandesi a
inventare il mercato azionario.
Chiedere di politica e crisi economica,
durante la Festa della Regina, e' paragonabile a mettere a palla "Meno male
che Silvio c'e'" durante un concerto degli Afterhours.
La giornata finisce con un
tramonto lunghissimo, studenti internazionali, turisti
e cittadini olandesi partecipano a un’atmosfera di
fratellanza
post-alcolica
facendo la fila per urinare
su piastroni gialli di plastica. Jessie e Connie, inzuppate completamente,
hanno rinunciato a ballare
con un uomo nudo. Amsterdam è ubriaca fradicia.
Da domani tornerà ad essere l’ombelico d’Europa. Le
lattine che galleggiano nei
canali saranno rimosse, la
spazzatura raccolta, l’urina
slavata dalle strade. Come,
qualcuno si augura, i tweet
di Geert Wilders.
Delirio arancione tra passanti (sopra), edifici (al centro) e statuette di plastica
(pagina seguente). La “to do list” di Jessie e Connie (a sinistra).
mixtape 41
ECO-MILANO CHIAMA FASHION BUISNESS
SABRINA de mercurio
Eppur si muove. La Peggio Gioventù italiana, quella della disoccupazione
endemica e delle opportunità negate, supera il muro dell’indifferenza innalzato dalla crisi economica, facendosi imprenditrice di se stessa. A Milano, centro propulsore della moda internazionale, un gruppo di giovani
con background molto diversi tra loro, ha creato degli spazi d’incontro, in
cui è possibile acquistare abiti vintage ed eco-friendly, scoprire nuovi designers, partecipare ad aperitivi, dj set e presentazioni di nuove collezioni,
in collaborazione con stilisti, grafici e videoartisti. Sfidando i i sampietrini
meneghini ho scoperto quattro meravigliose realtà metropolitane, poliedriche, vivaci e green oriented. Spazi ricchi di opportunità per chi li progetta e di stimoli per chi ne usufruisce.
42 mixtape
mixtape 43
MEET2BIZ : Incontrarsi
per fare eco-business
Alzaia Naviglio Grande 14
www.meet2bizshop.com
Incedo a passi tremanti per
la Ripa di Porta Ticinese, sfidando a viso aperto il gelo
dell’inverno milanese, e solo
ora capisco cosa intendesse
dire Nada cantando “Ma che
freddo fa…” – con le sue note
ancora calde (almeno loro)
nelle orecchie, mi accingo ad
entrare da Meet2Biz, dove mi
accoglie Silvia Bentivoglio, la
giovane e sorridente proprietaria dello shop.
MIXTAPE : Puoi descrivermi lo
spazio in cui ci troviamo ?
Silvia Bentivoglio :
“È un ambiente polifunzionale, che si presenta come
un concept store basato sul
concetto di sostenibilità ed
accessibilità (qui vige una
price policy precisa, per
la quale la media dei costi
deve mantenersi bassa ed
avvicinarsi a tutte le fasce
d’età), ma riveste anche il
ruolo di showroom, offrendo in più servizi di creazione e gestione ai marchi
di giovani designers, e di
social platform, grazie ad
eventi e dj set tematici”.
MX : Facciamo un passo indietro, torniamo al “the day before” l’inizio del tuo progetto :
raccontaci cosa ti ha spinto ad
44 mixtape
iniziare questo percorso.
S : “E’ stato un percorso
molto naturale. Una tesi sul
vintage, pubbliche relazioni, un mulino di 400 mq dove
ho cominciato ad organizzare mostre, live, sfilate e
poi lavori per agenzie, tour
operator – il tutto in completa autonomia, base fondamentale per muoversi fra
creatività, economia e giovani talenti. Devo però ringraziare i miei soci Luca e
Claudia, che mi hanno aiutato a convogliare le mie
mille esperienze in quello
che oggi è Meet2Biz”.
MX : Cosa consiglieresti ad un
ragazzo che volesse intraprendere un iter professionale simile al tuo ?
S : “È indispensabile l’umiltà, mettersi sempre in
discussione, saper ideare
qualcosa di nuovo (riprodurre le idee altrui non funziona a lungo termine e non
fa la differenza necessaria
per andare avanti), infine
trovare una “via laterale”
per fronteggiare le difficoltà : per me i problemi costituiscono uno stimolo, una
possibilità… altrimenti non
potrei fare questo lavoro”.
MX : Quali obiettivi senti di
aver raggiunto e quali sfide ti
si prospettano ?
S : “Credo di aver creato un
punto di riferimento per le
collezioni degli artisti e gli
eventi interattivi (un mix di
moda, design e fotografia)
legati a periodi particolari
dell’anno, in rispondenza
delle varie fashion & design weeks, ma soprattutto
di dare visibilità e sostegno
a brands emergenti che utilizzano materiali di qualità
e dalla filiera controllata,
rispettando il loro iter professionale e tutelandone
l’artigianalità. Un esempio
su tutti è Moku. Mi auguro di continuare su questa
strada, mantenendo la mia
indipendenza e quella delle
persone con cui collaboro”.
MX : Il tuo mantra ?
S : “Il nome del progetto :
Meet2Biz, ovvero incontrarsi per fare business. Da
soli non si fa nulla, perché
le relazioni che si costruiscono valgono spesso più
dell’incasso
immediato.
Credo poi di avere nel dna
il verso di una canzone dei
Casino Royale, “The Future”, che dice : “Ogni stop è
un altro start”.
Silvia Bentivoglio e Luca Cecchi (responsabile eventi speciali) insieme a Claudia
Pedroni, assente ingiustificata nella foto
(responsabile produzione e coordinamento generale) formano il team di Meet2Biz.
LAUNDRY :
TO BE RE-USE
Via Vigevano 20
www.l-a-u-n-d-r-y.com
“Weee ! Accomodati dove
vuoi !”. Marco Russo, socio del
Laundry, mi fa sentire subito a
casa. Forse parte del merito
va anche alle innumerevoli lavatrici che definiscono lo spazio intorno a noi, donandogli
un’allure domestica. Ci rilassiamo attorno ad un tavolino,
aspettando David Beltram,
l’art director, che, sentendosi
nominato, appare pronto sulla
soglia, munito di caffè americano e di un accento squisitamente straniero, per l’esattezza colombiano. Riunitosi il
team, possiamo impostare il
programma dei lavaggi.
MIXTAPE : Puoi descrivermi lo
spazio in cui ci troviamo ?
Marco Russo (socio dell’attività) & David Beltram (art
director) : “È una piattaforma di lavoro libera, dove si
offrono le materie prime e
gli spazi ai giovani professionisti (designers, grafici,
cool hunters, musicisti),
per migliorare in toto il concept store, sulla base di un
equo scambio di competenze all’insegna dell’ecosostenibilità e di una filiera
produttiva a basso impatto
ambientale. Qui puoi lavare
i vestiti e partecipare attivamente al contesto, interagendo con esso attraverso le tue abilità creative.
Si ospitano mostre, dj set,
collezioni di giovani stilisti
ed anche una linea di t-shirt
creata ad hoc per lo store
da diversi artisti”.
MX : Facciamo un passo indietro… torniamo al “the day
before” l’inizio del vostro progetto : raccontaci cosa vi ha
spinto ad iniziare questo percorso.
M : “In realtà il progetto
ha pochi mesi di vita ma
moltissime specificità, che
chiamiamo “lavaggi” e che
possono declinarsi in musicali, visivi etc… All’inizio
avevamo un altro socio, andato via per motivi personali – gli è subentrato David, che, con la sua verve,
sta riorganizzando le attività ri-creative del Laundry, curandosi in particolar
modo di ridimensionare la
superficie dedicata al vintage puro ed ampliare la
serie di abiti second hand,
con una stilizzazione tout
court per accontentare i
clienti più esigenti”.
MX : Quali obiettivi sentite di
aver raggiunto e quali sfide vi
si prospettano ?
M&D : “Creare abiti con
stoffe vintage e dar loro
nuova vita, utilizzare le materie prime che già esistono
senza creare ulteriori sprechi, fornire un prodotto che
non sia costato un sacrificio al pianeta, ma che abbia arricchito umanamente
noi che lo produciamo e gli
artisti che di volta in volta
contribuiscono al nostro
progetto, ci sembra già un
bel traguardo. Siamo inoltre molto fieri di annunciare la nostra prossima collaborazione con la designer
Marta Bettiga, per la nuova
linea di t-shirts dello shop e
altri eventi. Seguiteci sulla
nostra pagina facebook o
sul sito !”.
MX : Cosa consiglieresti ad un
ragazzo che volesse intraprendere un iter professionale simile al vostro ?
M : “A chiunque voglia intraprendere un’attività imprenditoriale, posso solo
consigliare di non mollare mai, ma se le sue azioni
sono permeate dalla passione di sicuro non mollerà !”.
MX : Il vostro mantra ?
M : “RE-USE. Il riuso è alla
base di tutto ciò che è Laundry, la sua anima. La location è re-use, il prodotto è
re-use, la comunicazione è
re-use. Noi siamo re-use.
Abbiamo creato uno scenario in cui l’individuo si fa
collettività, in un complesso gioco di specchi riflessi,
dove ognuno dona visibilità
all’altro”.
Marco Russo e Francesco Marconi
(soci Laundry)
mixtape 45
PARTICELLE
COMPLEMENTARI :
Riciclo, accessibilità,
sostenibilità e condivisione
Via Pollaiuolo, 3 Isola
www.fridaisola
Inserendomi in un susseguirsi di strade, stradine e viottoli nel bel quartiere di Isola,
giungo in un cortile dall’aria
decisamente europea : è difficile spiegare l’atmosfera
che vi si respira all’ interno,
ma dà la netta sensazione
che sia frutto di un progetto
affettivo, di un’ architettura
sentimentale. Mi dirigo sulla
sinistra, salgo una scaletta di
ferro ed arrivo allo shop, dove
mi aspetta Stefania Fulghesu, che tenterà di spiegarmi la
formula di questa affascinante teoria che prende il nome di
Particelle Complementari.
MIXTAPE : Puoi descrivermi lo
spazio in cui ci troviamo ?
Stefania Fulghesu (responsabile dello store) : “Particelle nasce come progetto, prima ancora che come
shop, per rispondere ad
alcune istanze : conoscere il contenuto etico dei
prodotti che acquistiamo
e indossiamo, per selezionare brands e articoli
sostenibili al di fuori dei
circuiti (rispettabilissimi)
dell’equosolidale. La nostra “formula“ si basa su
questi principi : riciclo, accessibilità, sostenibilità e
condivisione, valori che si
rispecchiano nella struttura effettiva dell’eco-shop,
la cui superficie è egualmente ripartita in tre aree
principali : vintage, brands
emergenti e reparto eco46 mixtape
logico, con detersivi alla
spina e prodotti da toeletta
vegani”.
MX : Facciamo un passo indietro… torniamo al “the day
before” l’inizio del vostro progetto : raccontaci cosa vi ha
spinto ad iniziare questo percorso.
S : “Il progetto è il risultato
di una maturazione personale, una reazione verso un
sistema moda “usa e getta”
e le sue logiche insane : volevamo fornire un’alternativa pratica al solito negozio,
offrendo trasparenza sul
percorso dell’abito, dalla
sua produzione all’arrivo
in store. La nostra musa
ispiratrice è stata la nostra
ex-socia Monica, esperta in
discipline ambientali”.
MX : Quali obiettivi sentite di
aver raggiunto e quali sfide vi
si prospettano ?
S : “Sentiamo di aver creato un luogo non di consumo
fine a se stesso ma di condivisione – non è un caso
che sia stato aperto all’interno del Frida, storico locale milanese, il cui slogan
è : “Non volevamo un bar
come tanti ma un bar per
tanti”. Il nostro obiettivo
è di offrire una scelta concreta, accessibile, con una
media dei costi molto bassa e quindi sostenibile per
la maggior parte delle persone. Noi lo consideriamo
un laboratorio di idee “in
progress”, un viatico per il
riuso, l’autoproduzione e la
distribuzione di beni di uso
comune”.
MX : Cosa consiglieresti ad un
ragazzo che volesse intraprendere un iter professionale simile al vostro ?
S : “Di non aspettarsi risultati immediati, perché in
Italia la moda etica non è
ancora una realtà acquisita
e consolidata : è necessario
impegnarsi nel fare informazione e nel sollecitare
il mutamento delle nostre
abitudini di consumo”.
MX : Il vostro mantra ?
“In realtà sono due aforismi : “Attento a ciò che
scegli di desiderare, potresti ottenerlo” e “Vuoi far
ridere Dio ? Raccontagli i
tuoi piani !”
Stefania Fulghesu e una collaboratrice
SERENDEEPITY :
Passioni personali e combinazioni multisensoriali
www.serendeepity.net
La sostanziale capacità di incappare in una serie di eventi
e situazioni che ti portano alla
scoperta di qualcosa, mentre ne stai cercando un’altra :
ecco cosa si avverte entrando da Serendeepity, dove una
sequenza di note, avvalorata
dalla presenza di Nicola Mazzetti e Cristian Croce alla consolle, ti accoglie all’ingresso e
invita a proseguire all’interno,
come in un club.
MIXTAPE : Puoi descrivermi lo
spazio in cui ci troviamo ?
Nicola Mazzett & Cristian
Croce : “È l’ambiente dove
possiamo condividere col
mondo le nostre passioni, un luogo d’incontro, un
perpetuo emotion sharing,
grazie ai nostri dj set pomeridiani e alle numerose
partecipazioni agli eventi artistici della città. Qui
puoi associare diversi interessi creando delle combinazioni multisensoriali
(vista, tatto, udito), in un
contesto da living room,
ultimamente arricchito da
una nuova sezione dedicata ai libri, frutto del nostro
recente inserimento nel circuito Interno 4, un progetto
di librerie settorializzate
nei centri storici delle città”.
MX : Facciamo un passo indietro… torniamo al “the day
before” l’inizio del vostro progetto : raccontaci cosa vi ha
spinto ad iniziare questo percorso.
N&C : “La spinta è chiaramente legata alla passione,
pura passione. Quando ci
siamo buttati in quest’impresa, lo abbiamo fatto con
quella dose di entusiasmo
e incoscienza necessari per
intraprendere un cammino che sulla carta nessun
commercialista
consiglierebbe !”
MX : Quali obiettivi sentite di
aver raggiunto e quali sfide vi
si prospettano ?
N&C : “Vi sono miriadi di
idee, poi alcune riusciamo ad attuarle ed altre
no. Il nostro obiettivo è la
perseveranza, il continuo
impegno a portare avanti i nostri progetti perché
sentiamo che è giusto, non
saprei come spiegarlo altrimenti. Il momento è difficile per tutti, ma la sfida ci
dà ancora più motivazione.
Un evento a cui partecipiamo da più anni è Il Salone
del Mobile, in occasione del
quale utilizziamo lo spazio
esterno allo store per la
presentazione di nuovi artisti e designers.”
MX : Cosa consigliereste ad
un ragazzo che volesse intraprendere un iter professionale
simile al vostro ?
N&C : “Tutto questo lavoro
si basa su passione, zelo e
tenacia : sono gli elementi base senza i quali non
si può iniziare un cammino del genere, considerate
inoltre le difficoltà del momento”.
MX : Il vostro mantra ?
“Vinile, vinile, vinile, vinile,
vinile, vinile…”
Nicola Mazzetti, Cristian Croce e Francesca Vituccio (soci di Serendeepity).
mixtape 47
GLOSSARIO
Sviluppo Sostenibile
“Lo sviluppo sostenibile è un concetto molto semplice. Significa garantire
una migliore qualità della vita per tutti, nel presente e per le generazioni
future.”- Opportunities for Change, Department of the Environment, Transport and the Regions, 1998.
Moda Sostenibile
S’intende il sistema per il quale i prodotti vengono creati ponendo massima attenzione alla provenienza delle materie prime (che possono bollarsi
della certificazione di agricoltura biologica , essere materiale di recupero
o fibre naturali etc…) e alla produzione stessa, rispettando la dignità dei
lavoratori e avvalendosi di processi (industriali o artigianali) sostenibili,
dunque sopportabili dalla Terra.
Eco Friendly
Indica quella gamma di prodotti che non necessariamente utilizzano fibre
derivanti da agricoltura biologica ma rientrano in un sistema produttivo
rispettoso dell’ambiente.
Re-use
Vuol dire rendere del materiale già utilizzato ”nuovamente utile” per lo
stesso scopo per cui è stato realizzato o per un nuovo fine.
Eco Shop
Fa riferimento alla tipologia di negozi specializzata nel commercio di prodotti ecologici, alcuni dei quali possono rientrare in una categoria più vasta, come quella del concept store, dove vanno ad integrarsi e interagire diversi settori (abbigliamento, alimentare, editoria…), aventi in comune una
politica di base sensibile all’ambiente.
48 mixtape
mixtape 49
Things found
under car seats
Everybody
loses something
3
LAURA BAGNERA
mixtape 51
7
52 mixtape
8
mixtape 53
11
www.cargocollective.com/laurabagnera
www.arthousecoop.com
“The Sketchbook Project” è una biblioteca itinerante di libri d’artista. Il progetto è stato
creato dal collettivo newyorchese ArtHouse Coop e fino ad ora hanno partecipato 30
mila persone di 94 nazionalità diverse, e i loro Schetchbooks saranno esposti in un tour
internazionale di gallerie d’arte.
54 mixtape
a cura di Roberto strino
56 mixtape
mixtape 57
after padania
Io prima degli album degli
Afterhours ho le ‘sensazioni’, come le madri che sanno già il colore degli occhi
del figlio che sguscerà fuori
dalle loro gambe. E il movimento mediatico degli ultimi giorni mi ha fatto sentire
come le quattordicenni che
per la prima volta entrano
in una discoteca vestite da
salami che vogliono tornare al macello. Mentre Padania degli AfteR sta per
uscire dal tendone della
produzione, la Lega Nord
è in ginocchio per un terremoto con epicentro all’interno del partito. La gente
beve il cocktail a base di
scandalo+giornalismo ed il
cielo di primavera è grigio
brillante, come un pavone
dalla coda nera. Il singolo La Tempesta è In Arrivo
ha l’alone profetico, ma nei
casolari in mezzo alla pianura non avranno sentito
niente, occupati a contare
soldi.
Mentre ascolto in anteprima i pezzi penso all’affresco sociale, che ormai è
diventato il presupposto
e il punto di arrivo dei musicisti più impegnati del
nostro paese, con la nuova sfumatura del calarsi
nella soggettività, come
un itinerario balzachiano
trasudante di particolari, con il pathos contenuto
dalla compostezza delle
architetture che sostengono gli arrangiamenti. Ma
accostando Padania agli
58 mixtape
altri release “sociali” ci si
sbaglia di grosso. Non c’è
traccia di formalismi derivanti da qualche ideologia
novecentesca. Il marcato carattere analitico che
spesso ha trasceso la politica della band milanese, in
questo passaggio storico
si è rivelato un punto di forza, evitando di far cadere i
testi nell’indulgenza o nel
giudizio sommario. Alla
fine di quest’anno ci sarà
l’inevitabile verdetto che
decreterà il migliore album
italiano, e il primo tempo di
questo 2012 ha avuto l’onore
di accogliere la competizione silenziosa e ingombrante di tre colonne portanti
della scena alternative, ovvero Offlaga Disco Pax, Il
Teatro Degli Orrori e i già
nominati Afterhours.
Al terzo release ci sono arrivati anche il messianico
Pierpaolo Capovilla e il suo
Teatro superband, composto da pezzi dei SuperElasticBubblePlastic e OneDimensionalMan. Il loro
esordo seguito dall’acclamato presunto capolavoro
A Sangue Fred
e il primo tempo di questo 2012
ha avuto l'onore di accogliere
la competizione silenziosa
e ingombrante di tre colonne
portanti della scena alternativA.
Qualche anno fa il cantastorie degli Offlaga, Max
Collini, con il successo di
Socialismo Tascabile si è
aperto la pista di bardo sinistroide nell’era post-conversione di Giovanni Lindo
Ferretti, con il suo raccontato monotonale su beat
elettronici che procedevano impietosi come carri funebre. Balanite, il secondo
Ora dalla mischia
dovra' emergere
chi ha raccontato
meglio la contemporaneita'.
capitolo della saga ODP,
si è rivelato un classico
bis sotto tono. Questi dati
hanno reso il terzo lavoro,
Gioco Di Società, un punto critico della loro storia,
dove rischiano molta credibilità data la scelta di non
aver cambiato modalità sonore, costringendo la loro
commedia umana in allestimenti rumoristici sempre più minimali e privi di
elementi analogici.
sua complicata storia da
risultare brutalmente categorico.
do li ha fatti eleggere
dall’ex pubblico dei MarleneKuntz come migliore, e
forse unica vera, rock-band
italiana.
Tutto questo mette sul
piatto tre individui dagli
ego mastodontici, con le
loro rispettive band.
Il Mondo Nuovo dovrebbe
essere la loro consacrazione, in cui hanno passato il
microfono agli immigrati,
che dipingono la penisola
in modo così estraneo alla
La pacatezza di Max Collini
e la prorompenza di Pierpaolo Capovilla caratterizzano questi due personaggi
agli antipodi che giocano la
stessa partita, con Manuel
Agnelli che entra nell’ulti-
mo minuto da iena con la
voglia di mordere ancora, e
punta al cuore dei peccati
di superbia del belpaese, la
pianura più inquinata d’Europa.
Le voci protagoniste in
ogni brano di Padania appartengono alle anime che
vagano nel purgatorio italiano degli anni della crisi
socio-economica, la stessa
che fa da sfondo alle figure
di Gioco Di Società degli
Offlaga e del Mondo Nuovo
del Teatro, ma con il filtro
di chi non è mai stato compassionevole nel giudicare
gli esseri umani.
Ora dalla mischia dovrà
emergere chi ha raccontato
meglio la contemporaneità,
con il vantaggio di Collini e
Capovilla di sembrare merce più fresca pur avendo la
stessa età di Agnelli.
mixtape 59
the canadian tree
Il Canada è un immenso
territorio dove tratti boschivi semi-inesplorati abbracciano grattacieli postguerra fredda con armonia
innaturale. Il melting-pot
e il benessere del subcontinente hanno generato
correnti artistiche, che
però non hanno goduto di
quell’attenzione
sfrenata della comunità globale costantemente attirata
dall’auto-focus statunitense.
La prima canzone, il primo
artista o il primo album
punk sono nozioni che si
assorbono per osmosi in
60 mixtape
qualsiasi ambiente musicofilo, ma delle rivoluzioni
sonore avvenute all’ombra
delle foglie d’acero arrivano solo vaghi frammenti.
All’alba del ventunesimo
secolo la Grande Mela aveva nella sua mano da poker
la combo TheStrokes/Interpol (primi release rispettivamente nel 2001 e nel
2002), lasciando intendere
che il revival del garage e
del post-punk sarebbero
stati un affare da major.
Contro ogni aspettativa,
nella metropoli di Toronto si andava a formare,
All'alba
del ventunesimo
secolo la Grande
Mela aveva nella
sua mano da
poker la combo
The Strokes /
Interpol.
tra studenti d’arte e frequentatori di club underground, il primo nucleo
della Arts&Craft, l’etichetta che ha dato un volto
alla scena indie canadese
nell’ultimo decennio, fiancheggiata da vecchie realtà come SubPop e Merge.
Kevin Drew, dj rock sperimentale che agiva intorno
al 2000 con l’alias K. C. Accidental, condividendo con
l’amico Brendan Canning
la passione per i Tortoise e
il post-rock più avanguardistico, decide di autoprodurre un disco con ospiti
del panorama folk nascente nella sua area, compresa
la fidanzata Leslie Feist.
Quello che ne risulta è Feel
Good Lost, un’accozzaglia
di ritmi acustici sghembi
avviluppata nel fluido acido dell’elettronica pregna
di bassi dub. Poi è la volta
di You Forgot It In People, il
loro secondo lp, capolavoro celebrato dall’ormai influente webzine Pitchfork,
che viene subito ristampato l’anno successivo(2003) .
Le conseguenze sono vendite al di là di ogni aspettativa, brani selezionati per
colonne sonore (Half-Nelson, Scott Pilgrim Vs The
World) e inviti a festival
internazionali. Grazie alla
fama acquisita come superband, i singoli componenti
e le loro carriere soliste ricevono una svolta decisiva,
ad esempio facendo ascendere Feist allo status di
Storie d'amore
con persone
morte raccontate
con la leggerezza
easy rock
nineties.
cantautrice di culto, erede
di Patty Smith. Band come
Metric, Stars e Most Serene Republic interpretano
questa nuova tendenza ad
ibridare elementi apparentemente disarmonici tra
loro, come un trampolino di
lancio per scrivere canzoni
mixtape 61
con tematiche canoniche,
ma sotto una luce nuova.
Storie d’amore con persone morte raccontate con la
leggerezza easy rock nineties, glam mischiato a lo-fi
e testi grotteschi, o liriche
esistenzialiste su basi digitali piene di campionamenti nonsense.
Queste realtà vengono celebrate da tutti i fanzinari,
e viene utilizzato il termine
Baroque Pop.
Altra storia è invece quello
che è successo a Montreal.
Il polistrumentista Spencer Krug, che si divideva tra progetti come Frog
Eyes, Swan Lake e Sunset
Rubdown, utilizzava il rock
psichedelico come tela su
cui dipingere un suono teutonico e solenne, creando
ballate piene di tastiere di
stampo seventies e chitarrone da heavy metal epico
anni 80.
Un giorno gli venne chiesto
da un promoter di mettere
su una band per un concerto. Con sole due settimane
di preavviso, il musicista
chiamò in aiuto l’amico
chitarrista Dan Boeckner
(ex-Atlas Strategic, poi negli Handsome Furs insieme
alla moglie scrittrice Alexei
Perry) e il batterista Arlen
Thompson (che aveva appena terminato la sessione
di registrazione del brano
Wake Up del primo lp degli
ancora non popolari Arcade Fire). Decisero di chiamarsi Wolf Parade, ed il
curriculum marcatamente
art-rock di Boeckner e l’attitudine folk di Thompson,
62 mixtape
miscelate con il songwriting di richiamo cavalleresco di Krug, donarono
ai primi pezzi registrati in
demo un carattere vitale e
aggressivo, facendo pensare ad una versione alternativa della realtà in cui
le corti dei secoli passati
sono state invase da strumenti elettrici e sintetizzatori.
una versione
alternativa
della realta' in
cui le corti dei
secoli passati
sono state invase
da strumenti
elettrici e
sintetizzatori.
Di lì a poco si unirono alla
ciurma anche il soundmanipulator Hadji Bakara
(proveniente da un gruppo di dj chiamato Megasoid) e il chitarrista Dante
DeCaro(a lui si attribuiscono i primi successi degli
Hot Hot Heat, formazione
che scimmiotta il brit-rock.
Da un paio di anni Dante ha
un nuovo progetto dreampop/folk, Johnny and the
Moon).
La testata Pitchfork, per
la terza volta (aveva appena consacrato gli Arcade
Fire), diede inizio alle fortune di una band made in
Canada. Apologies to the
Queen Mary, il loro album
d’esordio, fu chiamato così
per scusarsi formalmente
della volta in cui la band,
aprendo per i Flaming Lips
sul vaporetto Queen Mary,
sfasciò delle porte in preda all’ubriachezza e venne
cacciata dal comandante.
Il caso mischiato al talento
e allo zampino di una fanzine diventata ammiraglia
nel settore dell’informazione musicale, hanno premiato queste brillanti menti rielaboratrici del folk e
portato tanti soldi alle etichette indipendenti.
intervista a death in plains
Viene dalla ultimamente prolifica scena di Pesaro, trapiantato a Milano
per portare avanti i suoi progetti. Non se la tira e con le mani crea immagini
e musica, a volte mixando il tutto. Dal fai-da-te alla professionalità accademica, Enrico Boccioletti aka DEATH IN PLAINs è una di quelle realtà
nostrane che non mi fa invidiare l’estero.
Mixtape : Secondo te si può
campare di musica in Italia ?….. No sto scherzando,
non ne posso più di sta cazzo
di domanda.
Death in Plains : (Ride).. mi
solleva molto.
MX : Fai roba elettronica fruibile da tutta la comunità internazionale hipster. Ti becco nelle
playlist cazzute e dal profilo
della tua carriera si può dire
che stai spaccando. Quanto
è aumentato il ritmo dei tuoi
rapporti sessuali durante la
tua ascesa ?
DIP : Direi che sono rimasti
quelli che avevo con la mia
ragazza. Sono impegnato e
cerco di mantenermi serio
il più possibilie. Vado per la
monogamia.
MX : In ogni artista c’è un monomaniaco narcisista che a
stento ammetterebbe di avere avuto influenze da altri.
Sforzandoti, riusciresti ad
ammettere di aver rubato consciamente da qualche altro
musicista ?
DIP : In realtà penso di aver
rubato da un sacco di cose,
e penso di farlo continuamente. Adesso se dovessi
dire un nome in particolare la mia testa va ancora a
pensare quando magari a
16anni amavo Amnesiac e
Kid A dei Radiohead, però
in realtà poi tutto quello che ho sentito su blog,
mixtape o su cose che possono essermi arrivate, ho
sicuramente copiato qualcosa che ho sentito e rimesso insieme, magari si
sente e non si sente, in un
certo senso il piccolo plagio quotidiano è continuo
se fai musica, quindi penso
proprio di sì.
MX : Dai lavori video sembra
che la tua direzione artistica
sia meno decisa e che ti affidi
mixtape 63
a delle strutture già definite da
altri. Scegli volutamente canali mediatici già collaudati e
adatti i pezzi o semplicemente la tua attenzione principalmente rivolta alla musica ti
toglie tempo ad un’ipotetica
sperimentazione visiva ?
DIP : Diciamo che nell’ambito del video, quando lo
faccio per me o per altri,
i tempi sono abbastanza
limitati, devo lavorare in
tempi stretti e si rimane su
qualcosa di un pochino più
convenzionale. Non so forse sperimentazione visiva
a livello video mi piacerebe
farla ma non necessariamente legata alla musica
che faccio. Se voglio fare
video per DEATH IN
PLAINs o per amici, vorrei
che il centro fosse il pezzo,
farei emergere il pezzo. Se
dovessi partire dal video la
musica sarebbe diversa.
MX : I tuoi suoni mi avvolgono
in un mantello di malinconia
catartica e propulsiva dal punto di vista creativo, ovvero lo
stupefacente preferito dalla
post-adolescenza indie. L’ultima volta che ti ho ascoltato ho
pensato “ci sarà una canzone
che vuole suonata al suo funerale oppure si comporrebbe
64 mixtape
la musica da solo per renderlo
estatico come una scena di un
film underground ?”
DIP : Non so, una delle mie
canzoni così non mi viene
in mente (Ride). King Night
dei Salem, al funerale facciamo una pacchianata
dai ! Perché mi è piaciuto
un sacco il disco quando è
uscito. Però non dal vivo
perché i parenti ci rimarrebbero male a vederli.
MX : Se decidessero di utilizzare i tuoi pezzi come soundtrack
di un videogioco arcade o di
piattaforma, come vorresti
che fosse il plot del videogame ? Io ci vedo un SuperMario
ultracinquantenne che esce
dalla comunità di riabilitazione
e deve recuperare il figlio adottivo rapito da una sottocultura
di lupi mannari capitanata da
Steve Buscemi. Over and Above nella schermata iniziale.
DIP : (Ride) Hai fatto la
domanda e ti sei risposto
da solo ! Soddisfa anche
me. Approvo e se posso
aggiungerei anche che mi
piacerebbe musicare un
ipotetico remake di Final
Fantasy VII lavorando sui
pezzi originali del videogame. Mi stimolerebbe anche
se magari adesso però mi
piace andare di più nell’astratto, nonostante ai miei
amici piacciono di più le
scelte melodiche degli inizi, appunto come Over and
Above.
MX : Se Ganesh ti apparisse
di notte e ti chiedesse di non
fare più musica senza volerti
dare spiegazioni, tu gli daresti
ascolto ? Avresti paura delle
sue minacce ?
DIP : (sospira) Avrei abbastanza paura di Ganesh
probabilmente, però non
so, penserei a una scappatoia per tentare di fregarlo, perché voler fare musica in maniera abbastanza
estesa mi interessa molto,
nonostante io sia stato in
alcune band, per esempio
nei Damien* che sono proprio amici, mi interessa
comunque fare musica in
senso esteso. La musica mi
interessa e mi interesserà
per un bel pezzo, anche se
mi chedono perché suono
poco live e faccio più video
per band. Magari credono
che ho perso interesse, a
me interssa ancora, non mi
interessa la routine uscitadisco-singolo-promozione,
mi piace farlo in modo più
libero, con tutti i mezzi che
ci sono adesso.
MOVE TO THE MOUNTAINS
Quanto ci hanno insegnato
in fatto di musica le serie
televisive nell’ultimo decennio ?
Da quando poi le persone
sono lo stampino attorno
al quale vengono costruite hanno cominciato a
funzionare come last.fm,
e dalle stagioni di Chuck
ho potuto succhiare un
bel po’ di band nuove, merito anche della curatrice del soundtrack, una ex
studentessa della Berklee
che non si è trattenuta neanche dal riempire Gossip
Girl con una vagonata di
hit indie-ane con una marcata predisposizione pop.
Di solito i brani sono reperibili, per quanto le band in
questione possano essere
poco più che appena esistenti. Ma durante la quarta stagione di Chuck un riff
di piano particolarmente
catchy della formazione
emergente Clock Opera
è risultato introvabile in
rete, e ha fatto impazzire
l’utenza geek tanto da far
spuntare fuori una pagina
facebook intitolata “Clock
Opera to release Move to
The Mountains”. Il pezzo
in questione ha tutto quello
che serve per conquistare il
cuore nerd di chi è cresciuto con tanto alternative
da essere particolarmente
felice nel sentire i Grizzly
Bear durante gli spot, ma
forzando un’analisi critica
direi che usare una cellula
di note arpeggiate da balletto francese in un loop
su una strutura locomotiva
minimale è segno di estro
brillante, mentre il resto
della canzone trova l’equilibrio tra l’emotività e il sequencing limpido. Il resto
della storia dei Clock Opera è ancora da scrivere, ma
le intenzioni della loro etichetta sono chiare, e un po’
mi piange il cuore a pensare che avranno lo stesso
mercato dei Gomez.
Noi siamo ancora in tempo
per festeggiare l’approdo
Noi siamo
ancora in tempo
per festeggiare
l'approdo
dell'elettronica
con barba hipster
all'overground.
dell’elettronica con barba
hipster all’overground che
ha sciacquato via i Bloc
Party. Il pezzo si è fatto
aspettare ma c’è. Il debut
album è uscito in questi
giorni ed è molto da ballare o fingere di ballare. Per
qualcuno che ha vissuto
con cognizione questi anni
il pezzo in questione sarà
solo un commovente ricordo di come delle idee hanno cambiato forma per essere fruibili a tutti, ma la
sostanza di chi le ha create
è la stessa fragile sostanza
di chi è cresciuto in un ambiente inospitale ai sentimenti evanescenti messi in
repeat.
mixtape 65
66 mixtape
mixtape 67
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