ORIENTAMENTO
QUADERNI
DI
Periodico semestrale
II semestre - Novembre 2005
Anno XIV - N. 27
Direzione centrale istruzione,
cultura, sport e pace
Servizio istruzione e orientamento
ORIENTAMENTO
E SCUOLA
Benessere
a scuola
•
Didattica
laboratoriale
•
L’orientamento
in prospettiva interculturale
•
Un sistema di rete
per l’orientamento
SPAZIO APERTO
Intervista a
Claudio Naranjo
INFORMA
LIBRI
27
IN QUESTO NUMERO
EDITORIALE ............................................................... Redazione...........................
Il benessere a scuola .............................................. F. Tessaro..............................
Orientamento e Scuola
3■
4■
12■
F. Sesti...................................
18■
La didattica laboratoriale
al servizio dell’orientamento.................................. C. Berto ...............................
L’orientamento in prospettiva interculturale .......
22■
F. Batini.................................
30■
Un sistema di rete per l’orientamento.................. L. Clama, D. De Carolis
A. Ferrari ..............................
Orientamento e empowerment ...........................
Centra la scelta.
Un questionario di autovalutazione on-line......... G. Gulli, S. Pozzi...................
36■
46■
F. Ometto ............................
56■
E. Damianis .........................
62■
Transazione post-diploma.
I ragazzi come si orientano?.................................. S. Mosco..............................
I fattori decisionali nell’orientamento...................
Spazio Aperto
Informa
Intervista a Claudio Naranjo..................................
68■
S. Vizin..................................
72■
Il Libretto formativo del cittadino.......................... A. Rocchi.............................
Il manager didattico (intervista a C. Nonnis) ......
74■
S. Gazzola (a cura di)........
76■
R. Tami (a cura di)..............
78■
La scuola dei tutori
(intervista al Tutore dei minori del FVG) ............... L. D’Orlando .......................
Libri
Lo staff del dirigente (C. Berto) .............................
Professione orientamento (L. Evangelista)...........
Centro Risorse
Allegato
Riparte il Progetto Ri.T.M.O.
Centri dedicati
PROFILO DELL’INCISORE VIRGILIO TRAMONTIN
Virgilio Tramontin nasce nel 1908 a San Vito al Tagliamento e la prima gioventù si svolge tra Roma (dove la famiglia fugge, dopo Caporetto), di nuovo a San Vito e poi a Pola, alla Scuola Ufficiali.
Nel 1931 si trasferisce a Venezia dove frequenta l’Accademia e conosce il
pittore Virgilio Guidi. Ma la passione disegnativa nasce frequentando lo
studio degli incisori Brugnoli e Giuliani, passione che darà impronta a tutta la sua produzione, pur dedicandosi anche alla pittura e all’affresco su tematiche religiose.
Dal 1932 partecipa alla vita culturale in Friuli e a Venezia, dove viene ammesso alle Biennali internazionali nel 1938, 1940 e 1942.
Verso la fine della guerra incontra Pier Paolo Pasolini, Federico De Rosso e
Nico Naldini, con cui collabora alla Academiuta di lenga furlana e alla pubblicazione dello Stroligut.
Negli anni ’50 tiene contatti con gli incisori Marangoni e Wolf, e promuove
con Giorgio Trentin l’Associazione Incisori Veneti, con la quale opera costantemente per oltre un decennio.
Per la sua fama di prezioso incisore, anche nel campo degli ex libris, viene
intensamente chiamato ad esporre in Italia, e sono numerosissime le sue
mostre personali e la partecipazione a quelle collettive all’estero: Amsterdam, Anversa, Vienna, Como, Bled, Lubiana, Tokyo, Mosca, Leningrado,
Parigi, Tolosa, Bordeaux, Marsiglia, Grenoble, Berlino, Strasburgo, Barcellona, Oslo, Varsavia, Budapest, Rabat, Casablanca.
Sue opere sono conservate in Musei, Gallerie, Università, Centri calcografici, Accademie: a Bruxelles, Stoccolma, Roma, Venezia, Milano, Asti, Cremona, Udine, Pordenone.
Sull’opera di Virgilio Tramontin hanno scritto molti acuti osservatori del
nord-est (critici, scrittori, poeti), da Arturo Manzano a Giorgio Trentin, da
Ettore Cozzani a Carlo Mutinelli, da Elio Bartolini a Novella Cantarutti, da
Giancarlo Pauletto a Giulio Montenero. Ma serve qui riportare un pensiero
che Pasolini scrisse nel lontano 1943 in occasione di una mostra dell’amico:
“Virgilio Tramontin, incisore, si presenta qui, forse, come la personalità più
sicura e lineare. Non si potrà ricercare giustificatamente in questo buon numero di acqueforti, una preoccupazione lirico-deformatrice che possa far ricordare i nomi più impegnati dei nostri incisori (Bartolini, Morandi): la sua
arte, sviluppatasi e maturatasi in provincia, lontana benché cosciente, di
certi problemi che assillano sempre le nostre odierne arti figurative, sembra
ricercare i propri motivi poetici in una casta saggezza di visione. I ‘luoghi’
tramontiniani conservano tutti i loro dati naturali (e parleremo a lungo delle dolci terre dove il ruvido Friuli si ingentilisce nella Venezia) e la sua trasfigurazione è molto interna, affettuosa, scoperta.”
Nel 2002, all’età di 94 anni, Virgilio Tramontin muore, nella serenità del
paese natale.
Riccardo Toffoletti
Si ringrazia la Stamperia d’Arte Albicocco di Udine per aver concesso la riproduzione delle opere pubblicate in questo numero del periodico: tutte acqueforti eseguite fra il 1983 e il 1993.
Editoriale
La didattica laboratoriale
è argomento di analisi
in due articoli di questo numero. F. Tessaro con “Benessere a scuola”, mette in rilievo le potenzialità del laboratorio di apprendimento, quale metodologia esemplificabile per la
realizzazione del benessere a scuola. Il senso interpretativo che l’autore propone, configura questo stato come una precaria condizione di equilibrio dinamico, all’interno dell’azione formativa e della relazione tra docente e discente, raggiungibile tramite una costante modulazione nei processi di insegnamento/apprendimento. La pratica di laboratorio opera un rovesciamento di prospettiva, spostando l’obiettivo didattico dalla conoscenza delle discipline, al modo in cui esse possono invece favorire la costruzione della competenza nell’individuo. L’allievo costruisce attivamente il proprio sapere e governa il dominio dei propri apprendimenti.
Sostenendo una significativa correlazione tra le pratiche didattiche attivate dalla scuola, la conoscenza di sè e l’autorientamento, C. Berto con “La didattica laboratoriale al servizio dell’orientamento”, indaga a sua volta gli aspetti metodologico/didattici di questa
strategia di lavoro, ricca di potenzialità espressive e di possibilità esperienziali. Ci porta a considerarla una sorte di volano, in grado di trascinare con sé una molteplicità di
aspetti a carattere orientativo, fortemente innovativi, che vanno nella direzione della valorizzazione degli studenti e dei loro vissuti, della realizzabilità di un processo di apprendimento realmente significativo, e della motivazione intrinseca all’interno di una
dimensione cooperativa. L’autrice pone l’accento sui significativi cambiamenti relativi
al piano dell’insegnamento disciplinare e trasversale, delle metodologie centrate sulla
ricerca, del cooperative-learning e della personalizzazione dell’intervento formativo.
L’articolo redatto da F. Sesti, “L’orientamento in prospettiva interculturale”, mette in evidenza le problematiche che il sistema educativo si trova ad affrontare per la trasformazione in atto della popolazione scolastica. Il principio di una mera integrazione appare
sempre più riduttivo ed elude la vera sfida che la scuola oggi è chiamata ad affrontare.
La società multiculturale, quale è quella in cui viviamo, richiede secondo l’autore, un
cambiamento radicale dei nostri criteri interpretativi ed una capacità nuova di progettare la formazione delle giovani generazioni.
La sezione prosegue con la proposta di due articoli relativi alle ricerche condotte nel
contesto di alcune scuole secondarie. I contributi redatti da S. Mosco e F. Ometto, inquadrano la situazione orientativa riferita agli studenti frequentanti l’ultimo anno della
scuola superiore, le competenze orientative che hanno maturato e le problematiche che
il futuro pone loro.
G. Gulli e S. Pozzi in una recente indagine della fondazione IARD, hanno esplorato i bisogni orientativi degli studenti, nelle diverse fasi di transizione e di scelta e nell’articolo “Centra la scelta!. Un questionario di autovalutazione on-line”, propongono le risultanze
del lavoro finalizzate allo sviluppo di percorsi, di strumenti e di condizioni per l’attivazione di una progettualità consapevole.
Sempre in questa sezione ritorniamo a parlare del sistema rete con l’articolo ”Un sistema di rete per l’orientamento”, proposto da L. Clama, D. De Carolis e A. Ferrari. Gli autori
si soffermano sulla necessità di istituire reti che siano governate secondo modelli efficaci, basate sulla condivisione di obiettivi e strategie, da parte di tutti i partners, che si riconoscono nel sistema ed hanno, al suo interno, pari dignità.
Infine F. Batini in “Orientamento ed empowerment” riprende le funzioni proprie del processo di empowerment ed illustra un percorso narrativo collettivo, volto alla ricostruzione e alla valorizzazione delle competenze, in senso funzionale per lo sviluppo dell’autoefficacia della persona.
■27
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
3
IL BENESSERE A SCUOLA
QUANDO IL SOGGETTO È RESPONSABILE
DEL PROPRIO APPRENDIMENTO
Fiorino Tessaro
I
l benessere è una condizione
di equilibrio dinamico tra la
tensione allo sviluppo, al
cambiamento, al
miglioramento per un verso, e
il bisogno di certezze, di
sicurezza, di affermazione, di
identità dall’altro.
Nel paradigma della
complessità che caratterizza
tutta la società
contemporanea, il benessere è
una categoria estremamente
fluida, è in disequilibrio
continuo, appena lo si
immagina non esiste più
PREMESSA
Apprendere è cambiare. Il cambiamento è crisi, dissonanza, diversità. È sufficiente pensare all’apprendimento adulto per comprendere quanto sia faticoso studiare,
imparare, cambiare, assumere e integrare nuove conoscenze. In prospettiva pedagogica il benessere
non è semplice assenza o riduzione
del disagio, ma è presa in carico, da
parte dell’allievo, del suo percorso
formativo, comprendendo il disagio e la sofferenza, l’impegno e la
frustrazione che ogni trasformazione porta con sé. Il benessere a scuola si fonda sulla costruzione di situazioni formative ecologiche, nella corresponsabilità di allievi e insegnanti dello sviluppo di sempre
nuovi equilibri cognitivi, vissuti e
condivisi.
Il benessere viene qui interpretato
come condizione di equilibrio dinamico tra la tensione allo sviluppo,
al cambiamento, al miglioramento
4
Virgilio Tramontin, Cividale del Friuli, acquaforte.
per un verso, e il bisogno di certezze, di sicurezza, di affermazione, di identità dall’altro. In ambito
scolastico, il docente è facilitatore
dell’apprendimento: predispone
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
■
27
contesti, relazioni e ambienti in
cui ogni allievo sente, ed è consapevole, di vivere un’esperienza
“sua”, importante e significativa
per lui. Il benessere scolastico,
Orientamento e scuola
pertanto, è dato dalla modulazione dei processi di insegnamento
(quelli dell’insegnante) con i processi dell’apprendimento (quelli
dell’allievo) nell’azione formativa
e nella relazione tra insegnanti e
studenti.
L’insegnante predispone situazioni
che favoriscono lo star bene dell’allievo a) con la disciplina che porta
all’allievo, b) con il modo con cui
avvicina la conoscenza all’allievo,
c) con la promozione di sistemi relazionali tra gli allievi. Quest’ultimo, l’approccio relazionale, è ampiamente frequentato, in particolare
nella scuola primaria; il primo, l’approccio epistemologico, merita un approfondimento a sé da sviluppare
in un altro articolo; in questa sede
affrontiamo la via metodologica al benessere formativo.
I metodi didattici sono modalità procedurali e processuali attivate dal docente, che facilitano l’acquisizione
significativa, stabile e fruibile di
ciò che si offre con l’azione di insegnamento. L’insegnamento è una
proposta complessa, organizzata e
vissuta, di contenuti e di metodi,
di valori e di strategie, di visioni
del mondo e di tecniche operative.
In tale proposta il metodo si configura come l’itinerario, la procedura
messa a punto e organizzata dall’insegnante. L’itinerario si trasforma in percorso da seguire, in processo
reale e vissuto, al fine di ottenere
risultati validi e affidabili nello
studio dell’allievo e nell’azione didattica.
Il metodo è ricerca e mediazione,
nella coniugazione e nell’interconnessione tra:
la determinazione del profilo d’ingresso degli allievi e del potenziale
d’apprendimento diagnosticato;
la definizione del profilo formativo in
uscita (fissando gli obiettivi nelle so-
glie di competenze/padronanze attese, conclusive o in itinere);
la selezione dei saperi disciplinari, intesi come mediatori scientifici e culturali.1
Naturalmente non è possibile giungere alla elaborazione di un metodo se
non si sa dove si vuole arrivare
(obiettivi) e, qualora si intendesse
impostare un metodo valido e efficace, occorrerebbe considerare
attentamente sia la struttura conoscitiva dell’allievo (stili di apprendimento) sia quella propria del
contenuto da apprendere (struttura
epistemologica della disciplina).
Di conseguenza non è possibile affermare in astratto l’esistenza di
un metodo migliore di altri: solo
nella mediazione tra le formae
mentis degli studenti e le disciplinae mentis dei saperi un metodo
potrà risultare adeguato, appro2
priato, opportuno o conveniente .
DAI PRINCÌPI
DI METODO
UNA LEZIONE
DI BENESSERE
SCOLASTICO
Ecco alcuni tra i più importanti
princìpi di metodo che facilitano la
promozione del potenziale di sviluppo formativo dell’allievo:
il gusto del sapere: soltanto l’insegnante che vive il “sapore profondo” della sua disciplina, lo sa “gustare” traendone emozioni intellettuali, può partecipare e condividere
con gli studenti questa esperienza.
Il docente deve lasciar trasparire l’amore per ciò che insegna e nel volerlo insegnare. Non basta il piacere di insegnare, deve piacere ciò che si insegna. Lo studente non deve essere
■27
QUADERNI
DI
catturato dall’imbonitore, deve rimanere affascinato dagli oggetti e
dai processi di ricerca della disciplina, deve imparare ad apprezzare
nuovi modi di osservare, di leggere
e di interpretare il mondo;
la significatività: l’azione didattica
deve garantire il collegamento, nel
senso e nel significato, delle nuove
conoscenze con quelle già possedute dall’allievo; questo collegamento
deve essere riconosciuto dallo studente, altrimenti non c’è significatività e lo studente respinge, rifiuta la
novità per lui senza senso; lo studente possiede saperi suoi, sistemi di
conoscenze e di organizzazioni delle conoscenze che fanno parte della sua vita:
se l’insegnante opera ignorando i
saperi dell’allievo, per un verso
svaluta la persona e per l’altro perde un’ottima possibilità per facilitare sia l’insegnamento che l’apprendimento;
la motivazione: l’intervento per
esser efficace deve promuovere
tutti quei fattori che possono determinare e stimolare l’attività del
soggetto. La spinta all’apprendimento è risultante da fattori di
personalità, di contesto e di relazione. Dal punto di vista formativo le frammentate e contraddittorie
motivazioni adolescenziali devono diventare terreno di analisi metacognitiva e di ricerca condivisa3;
la direzione: l’itinerario indicato
dagli insegnanti serve per orientare l’apprendimento verso gli
obiettivi prefissati. L’insegnamento è efficace se l’itinerario è costruito insieme, con lo studente, se
è personalizzato, o almeno negoziato. La costruzione partecipata del
curricolo dà senso all’azione didattica; lo studente non potrà più
chiedere “perché devo studiare questo?!”: il percorso e la direzione
sono stati decisi insieme;
ORIENTAMENTO
5
IL BENESSERE A SCUOLA
la continuità: il curricolo vissuto
dallo studente deve lasciar trasparire l’unitarietà nelle progressioni
diacroniche (tra segmenti formativi
in successione) e sincroniche (trasversali alle diverse discipline, e
connessi con offerte formative diverse)4;
la ricorsività: l’apprendimento si
ottiene ritornando più volte sull’oggetto di studio; la ricorsività
dell’insegnamento serve a facilitare apprendimenti estensivi (con
connessioni orizzontali, per ampliare il campo di analisi e le possibilità d’uso) e intensivi (con connessioni verticali, per andare in
profondità in un argomento): l’estensione attraverso processi di
transfer e di generalizzazione5, l’intensione nell’analisi e nell’approfondimento delle conoscenze e
delle competenze;
l’integrazione: l’azione didattica
deve favorire il processo formativo mediante l’integrazione interna,
tra le discipline, superando l’eccessiva segmentazione, e l’integrazione esterna, nel coordinamento
delle diverse proposte formative,
anche provenienti dal territorio,
funzionali al successo formativo;
l’allievo vive molteplici realtà formative, spesso talmente isolate da
non percepirne le connessioni; alcune esperienze sono gratificanti
altre deludenti: l’integrazione facilita l’apprendimento nelle situazioni
meno felici;
l’organizzazione: l’intervento didattico organizzato non comprende solo la strutturazione dei saperi;
l’insegnante deve anche pianificare
e gestire in modo funzionale le attività, i tempi, gli spazi e le risorse a disposizione; lo studente apprende
dall’organizzazione: se l’insegnante affronta e completa un argomento importante negli ultimi dieci mi-
6
nuti della lezione, per l’allievo tale
argomento non sarà affatto importante;
la stabilizzazione: l’azione dell’insegnante, se per un verso punta allo sviluppo di apprendimenti
autonomi e originali, dall’altra deve assicurare regole e procedure
costanti, stabili (punti fermi, che
potranno essere modificati qualora non risultassero più validi e
pertinenti); la divergenza adolescenziale è una ricchezza da educare con il
pensiero, la riflessione, la discussione; l’incertezza non deve diventare
uno stato dell’Io, ma va indirizzata
alla definizione della complessità e dei
problemi;
il consolidamento: conseguente alla
stabilizzazione, il principio metodologico del consolidamento punta
a valorizzare e a sostenere ciò che
l’allievo va apprendendo, ampliando le situazioni, incrementando i
contesti d’uso, riorganizzando gli
ambienti formativi; l’enorme quantità informativa, interna ed esterna
alla scuola, richiede filtri epistemologici nella selezione dei saperi e
contestualizzazioni di senso per lo
studente;
la trasferibilità: la proposta didattica deve sollecitare il transfer delle
conoscenze e delle competenze, con
la loro traslazione da un sistema a un
altro (da un argomento ad un altro,
da una disciplina ad un’altra, dal sistema scolastico alla vita reale, da
un sistema di codici ad un altro, da
un sistema di padronanza ad un altro).
“Maestri si diviene non si nasce”
l’insegnante oggi è un “facilitatore
dell’apprendimento ……..esperto
e competente ricercatore delle strategie più adatte per rapportarsi
con l’allievo valutando nel suo
complesso in itinere, tutti gli aspetti e le tappe del processo di ap-
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
■
27
prendimento che con lui ha cercato
di avviare.”6
LA DIDATTICA
LABORATORIALE,
DOVE INSEGNANTE
E ALLIEVI
APPRENDONO
INSIEME
Uno studente ben difficilmente si
annoia in laboratorio. L’allievo in
aula può essere coinvolto con modalità partecipative e dialogiche,
ma non basta! Anche una lezione
tradizionale può essere svolta con
tali modalità.
Per puntare al benessere è necessario che l’allievo “crei” il suo sapere.
Perciò la metodologia più attenta è
la didattica laboratoriale: il laboratorio rende possibili i processi della
ricerca/riscoperta, organizzando
attività educative e didattiche in cui
lo studente domina il senso del suo
apprendimento. Nel laboratorio
l’insegnante predispone contesti
operativi e comunicativo-relazionali; attiva le condizioni che consentono ai singoli allievi di riscoprire,
reinventare, ricostruire i concetti,
nel rispetto dei livelli di sviluppo e
di apprendimento, degli stili e dei
ritmi personali.
E ciò non può essere effettuato attraverso la lezione collettiva, ma attraverso la costituzione di gruppi
che operino in laboratori di apprendimento per rielaborare i contenuti disciplinari, per promuovere progetti
trasversali, per sperimentare il valore e la validità della conoscenza.
Il laboratorio è un ambiente in cui si
realizza un rovesciamento della
prospettiva didattica: l’obiettivo
non è quanto si deve conoscere in
Orientamento e scuola
ordine alle discipline teoriche, ma
in che modo le discipline possono
costruire la competenza nell’allievo, in che modo esse possono cercare di riempire lo spazio tra il mondo
dei problemi vissuti e quello della
riflessione.
Il laboratorio è allora un luogo di
costruzione della conoscenza: affin-
ché i contenuti e le procedure proposti non si sovrappongano semplicemente alle conoscenze già possedute, ma interagiscano con queste
permettendo una loro ristrutturazione attraverso nuovi e più ricchi
modi di connessione ed organizzazione, è necessario trovare efficaci
collegamenti tra contenuti dell’in-
Virgilio Tramontin, Dalla finestra, acquaforte.
■27
QUADERNI
DI
segnamento e le esperienze diversificate degli allievi.
Nel laboratorio la novità non è disturbante, ma avventura conoscitiva: l’insegnante e l’allievo si costituiscono entrambi come viaggiatori, in cui la scommessa è il percorso
formativo (metafora dell’esplorazione di Bateson7, 1977). Il laboratorio didattico è il luogo più indicato
per intraprendere un’avventura conoscitiva.
L’avventura non è solo emozione
ma anche riflessione, metacognizione: il laboratorio didattico mira ad
un processo di apprendimento che
non incide solamente sulle abilità di
base o acquisite, ma anche sulle
modalità della loro comprensione
ed utilizzazione. Infatti, l’approccio
metacognitivo è una modalità di intervento polivalente e trasversale
all’interno del processo di apprendimento.
Luogo di approccio cooperativo, il
laboratorio è l’ambiente in cui si
concretizza un nuovo modello di
insegnamento/apprendimento fondato sulle interazioni fra gli attori
del processo formativo. Apprendere insieme significa costruire un benessere collettivo. In laboratorio
l’enfasi va posta sul rapporto tra
esperienza individuale e ricostruzione culturale affinché le teorie
servano per rispondere ai perché
diventando significative e motivanti, per tutti e per ciascuno.
Nella scuola il laboratorio è senza
dubbio un “ambiente”8, ma è soprattutto uno “spazio mentale attrezzato”,
un modo di interagire con la realtà per
comprenderla e/o per cambiarla. Il
termine laboratorio va inteso in
senso estensivo, come qualsiasi spazio, fisico, operativo e concettuale, opportunamente adattato ed equipaggiato
per lo svolgimento di una specifica attività formativa.
ORIENTAMENTO
7
IL BENESSERE A SCUOLA
Dal punto di vista logistico il laboratorio della scuola secondaria dovrebbe essere un locale a sé stante,
appositamente costruito e corredato per produrre apprendimenti specialistici.9 Dal punto di vista formativo, il laboratorio si caratterizza
per l’oggetto della sua azione, vale
a dire per l’attività che vi si svolge,
che investe il soggetto operante.10
Con il lavoro in laboratorio lo studente domina il senso del suo apprendimento, perché produce, perché opera concretamente, perché
“facendo” sa dove vuole arrivare e
perché.
L’EPISTEMOLOGIA
OPERATIVA:
IL BENESSERE
DALLA PADRONANZA
Prendiamo da A. Munari (1994)
l’invito a promuovere laboratori di
epistemologia operativa per conoscere
attraverso l’azione, la produzione, l’interazione con il sapere. Dai fondamenti dell’epistemologia operativa
ritroviamo un allievo responsabile,
padrone dei propri saperi. Ecco, in
conclusione, le caratteristiche salienti.
L’attività proposta, nel laboratorio
formativo, si deve prestare ad una manipolazione concreta. Un’attività puramente verbale, senza il passaggio
al trattamento reale, non è sufficiente. Quando si parla si sottintendono
cose date per scontate, che così non
sono quando si tenta di tradurle in
attività tangibili.
L’attività deve implicare le operazioni
cruciali. In una sessione di laboratorio non è possibile fare di tutto:
è necessario focalizzarsi su alcune
operazioni principali. È indispensabile che il docente sappia con
8
precisione lo sviluppo della procedura che intende centrare, anche se non è detto che di questo
siano consapevoli gli studenti.
Costoro accetteranno di fare ciò
che viene chiesto loro e, solo alla
conclusione, in gruppo, si discuterà sulle azioni compiute e sul risultato ottenuto.
L’attività non deve avere una soluzione unica. Questa affermazione
può risultare sconcertante per coloro che considerano il laboratorio
come il luogo dell’esercitazione
meccanica, dell’addestramento
concreto, dei passi obbligati. Ma
non è questo il laboratorio inteso
come “spazio mentale attrezzato”,
che richiede non una risposta giusta, un’unica soluzione, ma più risposte e più soluzioni, tutte a vario titolo plausibili.
Le attività devono provocare uno
“spiazzamento” cognitivo. L’esperienza di laboratorio deve produrre dissonanza tra ciò che l’allievo conosceva e ciò che va apprendendo mediante il lavoro. Deve
indurre una maggiore motivazione negli studenti e mantenere costante il desiderio di scoprire
qualcosa di nuovo. Le applicazioni automatiche irrigidiscono il
pensiero e rendono difficile la
consapevolezza delle diversità dei
contesti e dei processi.
L’attività si deve situare ad una giusta distanza dalle competenze
possedute. Le abilità richieste nelle
attività laboratoriali non possono
collocarsi eccessivamente distanti11
dalle competenze possedute dall’allievo, altrimenti costui utilizzerebbe soltanto un approccio per
tentativi ed errori. Per altro verso, le
attività non possono neppure identificarsi con le competenze possedute dell’allievo, che si troverebbe
costretto a svolgere un esercizio, e
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
■
27
non a ricercare le soluzioni ad un
problema.
Le attività devono comportare diversi
livelli di interpretazione. Imparare
in laboratorio significa apprendere
metodi che possono essere variamente applicati in diverse situazioni; perciò un metodo diventa suscettibile di interpretazioni diverse
secondo l’angolo visuale adottato.
Il gruppo di studenti in laboratorio
viene chiamato a proporre, condividere e sperimentare i diversi punti
di vista.
Le attività devono possedere valenze
metaforiche. L’attività laboratoriale
non richiede soltanto competenze
di tipo esecutivo, così come non
produce soltanto apprendimenti di
tipo operatorio-concreto. Operare
in laboratorio significa fare riferimento (ripensare) ad esperienze
lontane ed eterogenee, e contemporaneamente costruire, su quel pensiero, nuove esperienze.
Le attività devono coinvolgere il rapporto che ciascuno ha con il sapere. Nel
laboratorio l’azione e la riflessione
si ritrovano intrecciati nella costruzione del sapere individuale, attraverso continui processi retroattivi e
proattivi. In tal modo il laboratorio
supera la perenne divisione tra teoria e pratica, tra principi e applicazioni, individuando il sapere come
conoscenza in azione.
UNA RIFLESSIONE
PER CONTINUARE
IL VIAGGIO
Nel paradigma della complessità
che caratterizza tutta la società
contemporanea, il benessere è una
categoria estremamente fluida, è
in disequilibrio continuo, appena
lo si immagina non esiste più. È
Orientamento e scuola
come il passaggio a nord-ovest di
M. Serres, che mette in comunicazione l’Atlantico con il Pacifico:
“Si apre, si chiude, si torce, attraverso l’immenso arcipelago artico frattale, lungo un dedalo follemente complicato di golfi e canali, di bacini e
stretti, tra il territorio di Baffin e la
terra di Banks. Distribuzione aleatoria e forti vincoli regolari, il disordine
e le leggi. Lo imboccate allo stretto di
Davis, finisce nel mare di Beaufort.
Da là, percorrete il nord dell’Alaska
verso le Aleutine. Liberazione, vi affacciate sul nome della pace”.
Il benessere nel percorso formativo è una scommessa: “gli itinerari labirintici che il viaggiatore è costretto
a percorrere stanno a indicare che il
passaggio stesso non è tracciato una
volta per tutte, che esso, appunto, si
apre e si chiude in una fluttuazione
imprevedibile, in una distribuzione di
probabilità … Dipende dallo stile del
tentativo la sua riuscita o il suo fallimento, così come lo stesso tentativo fa
parte della geografia mutevole del
percorso: è il viaggiatore che determina il passaggio dal possibile al reale,
nell’uno o nell’altro senso; può aprire
uno spiraglio là dove l’icefield appare
impenetrabile, o chiudere, con la sua
presenza, un varco tra i ghiacci che
l’oscillazione aleatoria del caso ha
scoperto”.
“Per la natura stessa delle cose, un
esploratore non può mai sapere che cosa stia esplorando finché l’esplorazione non sia stata compiuta. Egli non ha
in tasca una guida che gli indichi le
chiese da visitare o gli alberghi dove
pernottare; ha solo l’ambigua tradizione di altri che l’hanno preceduto su
quella strada”.12
Ma l’allievo non è un esploratore
solitario. Scopre e costruisce i suoi
saperi in ambienti di relazioni. Condivide, media e negozia la costruzione di nuovi significati. In questo
ambiente ogni studente, ogni docente, ogni disciplina, tutto si intreccia in un benessere che è insieme di tutti e di ciascuno; dove ciascuno è portatore di una propria
specificità, di proprie aspettative, di
propri sistemi simbolici e rappresentativi, di proprie visioni del
mondo, di proprie interpretazioni
proprio come ogni filo nella trama
di un tessuto.
NOTE
1) Ogni disciplina si presenta con
valenze metodologiche plurali, sia
nel suo farsi come disciplina accademica, sia nel suo proporsi come
disciplina-insegnamento. La mediazione scientifica e culturale comporta la ricerca dei metodi e delle
tecniche che accomunano (o per lo
meno, avvicinano) i “modi” dell’apprendere dell’allievo con i “modi” del sapere della disciplina.
2) “Il metodo diventa veramente il procedimento che garantisce la razionalità
del lavoro didattico, ma non esaurisce
più il lavoro didattico. Esso è uno strumento indispensabile ma non unico
della didattica; soprattutto non è elaborato una volta per tutte, ma è soggetto
a variazioni, a cambiamenti, a trasformazione, in funzione della sua applicazione guidata dai principi della didattica come scienza.” (T. Tomasi, Il metodo nella storia dell’educazione, Torino,
Loescher, 1985, p. 27)
3) “Perché devo studiare ’sta roba?”
Una domanda di questo tipo (implicita o esplicita che sia) deve sempre essere risolta. Con gli adolescenti la soluzione non sta nell’offrire loro soluzioni preconfezionate,
né dettate dal dogmatismo programmatico (“Sta scritto nei pro-
■27
QUADERNI
DI
grammi …, Devi saperlo per l’esame
…”), né dettate dalla nostra esperienza e dal nostro buon senso (“Ti
servirà quando dovrai imparare …, Io
l’ho trovato molto utile. …). L’adolescente deve capire per accettare, deve riconoscersi nell’idea del gruppo
(ricerca condivisa) e, in ultima
istanza, deve rispondere autonomamente ai suoi “perché” con la riflessione consapevole (analisi metacognitiva).
4) Il principio della continuità riguarda la successione degli apprendimenti, secondo il senso attribuito dallo studente (e non
quello dell’insegnante) a tale successione; il docente sa che cosa insegnare prima e che cosa insegnare dopo (diacronia), è l’allievo che
spesso non ne capisce il senso e
assimila la successione (nel migliore dei casi) come logica di causa-effetto. Più difficile, dal punto
di vista metodologico, è la gestione della sincronia: lo studente (come ogni essere umano) vive la
propria vita secondo unitarietà di
senso (e “i semi della conoscenza che
copiosamente versiamo” cadono di
volta in volta in terreni molto diversi); è difficile (se non impossibile) riuscire a governare le diversità contingenti dell’adolescente;
possono invece essere governate
le dissonanze di senso che l’organizzazione scolastica provoca. Per
es.: le prime due ore sono di lettere (lezione e interrogazione di letteratura), la terza di fisica (laboratorio); oppure, le prime due ore
sono di matematica (compito in
classe), la terza di storia: all’avvio
della terza ora quanto tempo ci
vuole agli studenti per abbandonare il “senso” delle prime due
ore ed entrare in quello dell’ora
successiva? Quanto influisce la
coesistenza di emozioni e processi
ORIENTAMENTO
9
IL BENESSERE A SCUOLA
Virgilio Tramontin, Paesaggio, acquaforte.
mentali diversi e confliggenti?
Quale potrebbe essere un’organizzazione modulare che riduce l’inutile dispendio di risorse nell’insegnante e di talenti nell’allievo?
5) Margiotta U. (a cura di), Riforma
del curricolo e formazione dei talenti,
Armando, Roma 1977
6) Tomasi T., Il metodo nella storia dell’educazione, Torino, Loescher, 1985,
p. 30
7) Bateson, Verso un’ecologia della
mente, Adelphi, Milano 1977, p. 20
8) Tra le diverse tipologie presenti
nelle scuole, sono noti i laboratori
linguistici, i laboratori informatici e
quelli multimediali. In ambito
scientifico, tecnico e professionale
10
sono presenti i diversi laboratori
specialistici (di chimica, fisica,
macchine utensili, …), quelli di ricerca e quelli sperimentali. Negli indirizzi artistici, umanistici e sociali sono laboratori gli atelier artistici, teatrali e musicali. Ovviamente
ogni disciplina può essere insegnata secondo metodologie laboratoriali e l’ambiente in cui si
svolge l’azione formativa è fondamentale: provare una scena teatrale in classe o su un palcoscenico è
completamente diverso dal punto
di vista dei processi formativi implicati; una reazione chimica può
essere descritta in aula dal docente, può essere simulata con un
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
■
27
software in laboratorio di informatica, può essere “realizzata” in
un laboratorio di chimica: sono tre
ambienti didattici che attivano e
producono tre diversi tipi di apprendimento. Si può pensare anche ad un laboratorio linguisticoletterario, ad uno storico, e così
via. In questo modo ogni disciplina potrebbe essere dotata di un
proprio laboratorio: nelle istituzioni scolastiche di altri Paesi in
cui si spostano gli studenti da
un’aula all’altra (e non gli insegnanti, come avviene da noi), la
didattica più facilmente “si lascia
organizzare” secondo metodologie laboratoriali.
Orientamento e scuola
9) Se nella scuola di base il laboratorio può anche avvalersi di strumenti e materiali “poveri”, nella secondaria la povertà strumentale è
portatrice di angustie concettuali.
Talvolta, a causa della scarsità dei
finanziamenti o di risorse esperte,
il laboratorio viene inteso non come lavoro produttivo, ancorché
protetto, ma come simulazione
mentale o come rappresentazione
concettuale di tale lavoro. Queste
rappresentazioni, che spesso non
si avvalgono di spazi appositamente attrezzati, sono concettualmente metacognitive: non si rifanno al metodo operativo, ma lo oltrepassano presupponendo la sua
marginalità intellettuale. Detto in
termini più concreti: esiste (nella
scuola) un diffuso primato della
parola sull’azione e questo, se è
appropriato quando si perseguono competenze verbali e linguistiche, è fuori luogo quando la competenza richiesta è spiccatamente
operativa; se voglio che lo studente impari a fare qualcosa devo vederlo all’opera. Se invece di osservarlo mentre sta facendo, gli chiedo
di dirmi “come farebbe per …” non
controllo la sua competenza operativa, ma la sua rappresentazione
metacognitiva. Quest’ultima è importantissima dopo che l’allievo ha
svolto l’azione, e serve per pensare sull’azione, per costruire i concetti, per personalizzarli e consolidarli. Con gli studenti che presentano difficoltà comunicative il laboratorio (“operativo”) è imprescindibile come metodologia d’avvio;
solo successivamente si potrà proseguire con processi di “verbalizzazione”, confronto e ragionamento (coniugando azione e riflessione).
10) Nel laboratorio, come con gli altri metodi “coinvolgenti” il soggetto
agisce, è attivo. L’essere attivo del
soggetto si può esplicitare in molti
modi e ai due estremi ritroviamo
due tipologie: l’attività riproduttiva
e quella produttiva; è attivo l’allievo che copia, che ripercorre la procedura richiesta, che riproduce ciò che
ha studiato; è attivo l’allievo che inventa, che ipotizza nuove strategie
risolutive, che produce qualcosa ex
novo. Nel laboratorio si opera su
entrambi i piani: ma lo scopo formativo del laboratorio è quello di
produrre pensiero a partire dall’azione
e non è mai meramente applicativo
(ossia riproduttivo).
11) Il significato della giusta distanza si rifà al principio di Vygotskij
della zona di sviluppo prossimale.
12) M. Serres, Passaggio a Nord-Ovest, in Minichiello G., Il doppio pensiero, Morano, Napoli 1994, p. 109
nei luoghi dell’educazione, Raffaello
Cortina, Milano 1998.
Margiotta U. (a cura di), Riforma del
curricolo e formazione dei talenti, Armando, Roma 1977.
Minichiello G., Il doppio pensiero,
Morano, Napoli 1994.
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Formenti L., Gamelli I., Quella volta
che ho imparato. La conoscenza di sé
■27
QUADERNI
DI
Fiorino Tessaro
Professore Associato di Didattica
generale e Pedagogia Speciale
Università Ca’ Foscari di Venezia
ORIENTAMENTO
11
LA DIDATTICA LABORATORIALE
AL SERVIZIO DELL’ORIENTAMENTO
Carla Berto
I
l laboratorio potrebbe
fungere da antidoto nei
riguardi
dell’individualismo
professionale e della
frammentazione
disciplinare che spesso
costituiscono un ostacolo
ai processi di
riunificazione cognitiva
nella mente degli alunni e
alla possibilità di
esplorare, da molteplici
punti di vista, un unico
problema
LO SPAZIO
ESPRESSIVO
DELLA PERSONA
CHE APPRENDE
La problematica relativa all’orientamento scolastico dello studente
contiene una molteplicità di possibili piste di approccio. In questa sede ci sembra interessante affrontare
il tema a partire dalle opportunità
messe in campo dalla scuola per offrire allo studente occasioni di conoscersi, di mettersi alla prova in
situazione, di misurarsi con le richieste dell’ambiente, di scoprire le
proprie motivazioni profonde, le
aspirazioni e le propensioni che potrebbero aiutarlo a definire un personale progetto di vita. L’assunto
che intendiamo sostenere in questa
sede è relativo alla presenza di una
significativa correlazione tra le pratiche didattiche attivate dalla scuola, la conoscenza di sé e l’autorientamento.
12
Al raggiungimento di questo ultimo obiettivo concorrono tutte le
variabili presenti nel processo di
insegnamento/apprendimento,
dalle dimensioni squisitamente cognitivo-didattiche (le discipline, le
metodologie, le prassi didattiche,
gli strumenti, le tecnologie, etc.) a
quelle socio-relazionali (clima della
classe, rapporti con i docenti e con
il gruppo di pari, ruoli giocati all’interno della classe,etc.) a quelle
organizzative riconducibili al contesto (ambiente scolastico, piano
formativo dell’istituto, progettualità, tempi e spazi di lavoro, etc.).
L’incidenza dei vari fattori non è
tuttavia distribuita in modo uniforme e cambia con il variare dei soggetti e dei loro bisogni; alcuni alunni saranno maggiormente suggestionati da variabili di contesto, altri esprimeranno maggior sensibilità verso la dimensione interpersonale della relazione educativa o per
gli aspetti prettamente cognitivi. In
riferimento alle componenti di tipo
didattico, va fatta una prima considerazione: alcune pratiche di insegnamento rispondono meglio di altre al compito di fornire allo studente la possibilità di entrare in
contatto con se stesso e con le proprie vocazioni profonde, ovvero di
conoscersi attraverso le esperienze che
realizza. Laddove l’alunno è messo
nelle condizioni di disporre di uno
spazio di autonomia ideativa,
espressiva, progettuale e operativa,
potrà ricevere una pluralità di feedback preziosi dalle proprie azioni
ed avere un rispecchiamento esterno del proprio mondo interiore.
L’oggetto della riflessione che qui
andiamo a svolgere riguarda l’impostazione didattica del processo
formativo, e più specificatamente
la metodologia laboratoriale quale
strategia di lavoro ricca di poten-
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
■
27
zialità espressive e di possibilità
esperienziali.
Detta pratica si colloca oltre i confini dei consueti percorsi di insegnamento/apprendimento di tipo lineare e sequenziale a carattere riproduttivo. Essa esprime una forte
opzione nella direzione della valorizzazione degli studenti, dei loro
vissuti, della motivazione intrinseca costituita dalla dimensione cooperativa che accompagna detta tipologia didattica. L’adozione della
metodologia del laboratorio presuppone non solamente l’introduzione di un modello di lavoro avente determinate caratteristiche, ma
anche l’assunzione delle condizioni
indispensabili all’attuazione dello
stesso; per queste ragioni tale pratica si configura come un volano in
grado di trascinare con sé una molteplicità di aspetti a carattere fortemente innovativo. Nel nostro specifico possiamo attribuire al laboratorio il compito di introdurre significativi cambiamenti sul versante
dell’insegnamento disciplinare e
trasversale, delle metodologie attive centrate sulla ricerca, del rinvigorimento della collegialità docente, dell’introduzione del cooperativelearning e della personalizzazione
dell’intervento formativo.
In base a questo ultimo punto, il
ruolo assegnato alla scuola è quello
di accogliere lo studente, di riconoscerlo nella sua peculiarità e originalità, di creare le condizioni didattiche, organizzative e sociali affinché l’identità del singolo possa manifestarsi, esprimersi in tutte le
sfaccettature, accrescere e svilupparsi nelle dimensioni cognitive, affettive, emotive e sociali. Il processo
educativo trova ragion d’essere nella misura in cui promuove l’identità
personale e crea un ambiente favorevole alla crescita dell’individuo e
Orientamento e scuola
Virgilio Tramontin, Natura morta su paesaggio marino, acquaforte.
all’elaborazione di un personale
progetto di vita.
Lo sfondo culturale di tipo olistico,
richiama sistematicamente l’assunzione di uno sguardo globale, attento ad una molteplicità di dimensioni e al loro intreccio profondo. Tradotto diversamente, la sfera affettivo-emotiva investe di valore i contenuti cognitivi e, contemporaneamente, il reticolo socio-relazionale
tessuto tra docenti e alunni, e all’interno del gruppo di pari, connette il
tutto e attribuisce senso all’azione
di imparare in un determinato contesto. Detta prospettiva presuppone
una forte consapevolezza da parte
dei docenti della complessità del
compito formativo e della necessità
di creare significative opportunità
affinché non solo le singole soggettività emergano nella loro integrità,
ma anche perché ciascuno possa
trovare le migliori condizioni per
esprimere il meglio di sé.
Tale affermazione sgombera il campo dal ricorso a modalità standardizzate e indifferenziate di intervento didattico; si chiede ai docenti di saper agire concretamente il
principio della diversificazione degli approcci metodologici e della
personalizzazione dell’insegnamento. Ciò non significa creare tan-
■27
QUADERNI
DI
ti modelli didattici quanti sono gli
alunni, una sorta di vestito su misura per ogni studente; sarebbe
un’idea accattivante ma realisticamente poco praticabile, considerate
le caratteristiche logistico-organizzative delle scuole, i vincoli contrattuali e le risorse di organico.
Nello specifico la sfida della personalizzazione applicata al versante didattico può tradursi in un invito rivolto ai docenti affinché venga curato
con particolare attenzione il repertorio delle pratiche formative, degli
approcci metodologici, delle strategie di insegnamento, della scelta
delle strumentazioni e dei mezzi da
ORIENTAMENTO
13
LA DIDATTICA LABORATORIALE
impiegare all’interno delle aule e
dei laboratori. Per visualizzare il
concetto, immaginiamo venga richiesta ai docenti una rivisitazione
della propria “cassetta degli attrezzi”, il rinnovamento di alcuni dispositivi e l’eliminazione di sistemi
ormai obsoleti.
L’operazione dovrebbe essere condotta all’insegna di una chiara definizione delle angolature prospettiche attraverso le quali guardare i fenomeni educativi: nel nostro specifico il focus è posto sull’alunno, sui
suoi bisogni espressivi, sul suo diritto a fruire di un’offerta formativa
adeguata alla sua soggettività. La
didattica laboratoriale, quale complesso di pratiche, di processi e di
relazioni, rappresenta una risposta
significativa orientata alla persona
che apprende e finalizzata ad aiutare lo studente a rispondere al quesito primario del “perché apprendere”.
MOTIVAZIONE
E APPRENDIMENTO
SIGNIFICATIVO
La problematica relativa all’attribuzione di senso alla propria attività
di apprendimento chiama in causa,
da un lato, i meccanismi riconducibili al soggetto che apprende e, dall’altro, la qualità dell’erogazione
del servizio formativo da parte di
chi è istituzionalmente preposto a
tale funzione sociale. In questa sede
è al secondo aspetto che dovrebbe
essere prevalentemente rivolta la
nostra attenzione; tuttavia un rapido richiamo ad alcune chiavi di lettura sui fenomeni intrapsichici potrebbe risultare opportuno all’approfondimento della tematica in discussione e alla contestualizzazione
della riflessione sulla stessa.
14
Le ricerche psicopedagogiche degli
ultimi anni hanno preso in esame
congiuntamente i due aspetti. Ciò
in relazione al fatto che tra soggetto
in apprendimento e oggetto culturale
esistono strettissime correlazioni di
tipo strutturale e strutturante in
quanto entità che reciprocamente si
autodeterminano e si co-costruiscono. Uno studente motivato incontrerà il mondo dei saperi formalizzati con una disponibilità positiva
che riverserà sui processi cognitivi,
emotivi e affettivi che metterà in
gioco per collegare le nuove acquisizioni alle conoscenze già in suo
possesso e collocarle unitariamente
in quadri concettuali di grado superiore. Secondo J. Novak il concetto
di apprendimento significativo
(“meaningful Learning” nelle pubblicazioni in lingua inglese) investe i
processi attraverso i quali le nuove
informazioni interagiscono con
concetti già presenti nella struttura
cognitiva del soggetto. Chi decide
questo cammino di sviluppo può
essere solamente l’individuo: l’insegnante può incoraggiare tale passaggio attraverso il sostegno emotivo e la predisposizione di condizioni operative favorevoli allo sviluppo di tale processo sul piano della
strutturazione e della presentazione
graduale delle conoscenze. In tale
ottica organizzativa, la didattica laboratoriale possiede un notevole potenziale formativo in quanto richiede implicitamente l’attivazione dell’alunno nell’affrontare un problem-solving o nell’azione di ricomposizione di una dissonanza
cognitiva.
La necessità di attribuire senso ai
dati del reale comporta un atteggiamento di ricerca di frames cognitivi
e di chiavi di interpretazione in grado di illuminare una situazione
problematica. Da notare che l’azio-
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
■
27
ne di connessione tra i vecchi e i
nuovi quadri cognitivi può senza
dubbio risultare feconda laddove
viene sapientemente accompagnata
e adeguatamente documentata in
funzione della restituzione all’alunno dei feed back relativi ai processi
metacognitivi attivati.
La modalità di acquisizione delle
conoscenze ha una rilevante ripercussione sul processo di tipo assimilativo a livello di memorizzazione, di assestamento delle stesse e
nella possibilità di un loro recupero
in vista di un utilizzo legato alla risoluzione di analoghi problemi. La
strutturazione dei quadri concettuali e dei saperi procedurali, nonché i relativi processi di transfert,
sono da connettersi in buona parte
a ciò che accade nelle aule scolastiche e nelle occasioni non formalizzate di stimolazione cognitiva. Tali
considerazioni sull’apprendimento
significativo chiamano in causa le
metodologie di insegnamento adottate dal docente, i suoi approcci didattici, la sua “cassetta degli attrezzi” contenente strategie e pratiche
in grado di aiutare l’alunno a costruirsi percorsi di conoscenza in
progressiva evoluzione. L’insegnante abile nella problematizzazione delle varie situazioni e nella
formulazione di “enigmi cognitivi”, crea una sorta di tensione conoscitiva attraverso la disseminazione della curiosità e del desiderio
di sapere. In virtù di questo cammino, l’approdo dello studente ai
sistemi culturali formalizzati dovrebbe risultare un percorso piuttosto naturale, in quanto tale universo custodisce soluzioni allettanti e
rappresenta una risorsa in grado di
fornire risposte a domande concrete. Riteniamo sia questo lo spirito
profondo che anima la didattica laboratoriale e che la può far esistere
Orientamento e scuola
anche in assenza di spazi fisici adeguati quali laboratori, aule attrezzate, strumentazioni particolari. Ci
sembra di poter dire che tale pratica innanzitutto deve essere una
realtà presente nella mente di chi
insegna, una sorta di realtà pensata
prima che fisica e materiale, una
metodologia di problem solving sistematico e diffuso che investe trasversalmente le molteplici attività
di insegnamento. Ovviamente dove esistono strutture idonee, risulterà più agevole il lavoro, in quanto si potrà avvalere concretamente
di procedure sperimentali e di percorsi di ricerca atti a facilitare il
compito dell’alunno e a creare forti
investimenti emotivi di tipo motivazionale.
L’apprendimento significativo, quale impegno globale della persona a
livello cognitivo, emotivo ed affettivo, viene indicato da D. Ausubel come automotivante in quanto, pur in
presenza di uno stimolo esterno,
nasce all’interno della persona e si
sostiene autonomamente, grazie
ad un sistema intrinseco che alimenta il desiderio, e ricerca contributi a carattere cognitivo in grado
di offrire delle risposte soddisfacenti. Il soggetto conoscente deve
cioè essere motivato a mettere in
relazione la sua struttura cognitiva
con le nuove informazioni. In tal
modo il contenuto di conoscenza
verrà investito di significato psicologico.
Dal punto di vista etimologico, il
termine motivazione (dal latino motus) indica un movimento, una
spinta del soggetto ad orientarsi
verso un oggetto desiderato, in direzione di uno scopo. L’individuo
motivato è tale perché tende ad un
obiettivo avente valore di interesse
o incentivo: tale aspettativa può
avere carattere esterno (motivazione
estrinseca) o interno incentrato sull’io (motivazione intrinseca). Il risultato di un comportamento motivato
ha ripercussioni significative sul
versante cognitivo e affettivo. L’affermazione, confermata dalle teorizzazioni psicopedagogiche degli
anni ‘60 e ‘70, risulta di assoluta rilevanza per chi si occupa di formazione, in quanto chiama in causa dinamiche relazionali, energie psichiche e desideri di “effectance” (come
R. W. White ha definito il bisogno
intrinseco di affrontare in modo
adeguato l’ambiente, di padroneggiare e controllare le situazioni, di
sentirsi competenti), che rimandano alla strutturazione della personalità di chi apprende e alle sue
aspirazioni profonde. È il soggetto
che costruisce autonomamente il
proprio apprendimento innanzitutto perché lo desidera, per rispondere ad un proprio appetito e a forme
di curiosità che soddisfano necessità interiori di organizzazione cognitiva e di ricomposizione delle
dissonanze in quadri concettuali
progressivamente più complessi e
articolati. Se l’ambiente esterno offre all’alunno attività cognitive
strutturate, significative ed efficaci
chiavi interpretative dell’esperienza, in uno sfondo di conferme personali e di rinforzo dei dispositivi
dell’autostima, si creano buone probabilità di sviluppo di forme personali di autoregolazione cognitiva e
di motivazione intrinseca all’apprendimento. La motivazione di effectance inoltre attiva nel soggetto
tentativi di padronanza in vari settori, da quello cognitivo (apprendimento), a quello fisico (gioco e attività fisica), a quello sociale (rapporti con i pari e con gli adulti).
Per le innumerevoli valenze legate
all’ambiente scolastico del quale
qui ci occupiamo, crediamo sia im-
■27
QUADERNI
DI
portante soffermare l’attenzione su
quest’ultimo punto.
Generalmente gli obiettivi sociali
connessi alla motivazione vengono
distinti tra:
- obiettivi orientati al sé: il soggetto
desidera ricevere conferme ed
essere considerato competente
per rinsaldare il suo senso di appartenenza al contesto ambientale
- obiettivi orientati agli altri: il soggetto mira a farsi riconoscere come un membro apprezzato e stimato del gruppo.
Nelle aule scolastiche tali fattori costituiscono preziose risorse per
l’apprendimento, dimensioni cruciali da coltivare attraverso la predisposizione delle condizioni didattiche e organizzative più adatte a sviluppare processi formativi.
La coordinazione tra gli obiettivi sociali e cognitivi è in ogni caso più facilmente raggiungibile in ambienti
di apprendimento basati sulla collaborazione e sulla cooperazione.
L’interdipendenza e la condivisione
delle risorse (tecnologiche, materiali ma anche umane) promuovono
un clima di responsabilità collettiva
e di reciproco rispetto che rafforzano, da un lato, il senso di appartenenza ad un gruppo impegnato in
un progetto condiviso e, dall’altro,
il senso di identità personale. L’attività di laboratorio contiene un connaturato curricolo implicito di apprendimento sociale: attraverso la
messa in gioco diretta della persona, gli scambi di punti di vista, l’assunzione diversificata di ruoli, la
soluzione di conflitti socio-cognitivi, si sviluppano e si potenziano le
competenze sociali legate al “saper
essere”. Il gruppo di alunni diviene
l’elemento organizzatore dell’attività, lo strumento di lavoro è contestualmente l’obiettivo al quale ten-
ORIENTAMENTO
15
LA DIDATTICA LABORATORIALE
dere per creare negli studenti competenze relazionali e sociali.
IL LABORATORIO
ORIENTANTE
In questa sezione si forniranno alcuni spunti di tipo organizzativo
funzionali alla creazione dei laboratori i quali, proprio per la peculiarità degli elementi costitutivi, non
potranno che conservare i caratteri
della flessibilità, dell’apertura agli
apporti provenienti dall’ambiente
esterno, dell’approccio metodologico specifico della ricerca-azione. Il
compito di elaborare un progetto di
laboratorio presuppone l’esistenza
di un’équipe pedagogica, ovvero di
un gruppo di docenti che collegialmente identificano le linee giuda a
partire dalla basilare rilevazione dei
bisogni formativi degli alunni, dalla definizione degli obiettivi di apprendimento, dall’individuazione
delle attività da svolgere, delle metodologie e dei mezzi da utilizzare,
degli strumenti di verifica da impiegare. Una questione primaria
che si presenta ai docenti che si apprestano a pianificare le azioni da
intraprendere per attivare un laboratorio, riguarda l’oggetto culturale
da porre al centro della ricerca. La
problematica ci conduce al dilemma relativo alla scelta di contenuti
di tipo disciplinare o interdisciplinare. Ferme restando le considerazioni esposte nelle pagine precedenti circa la possibile trattazione
di qualsiasi ambito tematico attraverso la prassi laboratoriale, ci sembra che le problematiche a carattere
trasversale contengano un maggior
potenziale formativo ed una ricchezza ragguardevole in termini di
apporti specifici e di indicazione di
piste di indagine. Il problema è sta-
16
Virgilio Tramontin, Caldarrostaia, acquaforte.
to approfonditamente analizzato da
F. Frabboni il quale ha individuato
degli assi culturali di tipo longitudinale (le discipline) e trasversale (a carattere interdisciplinare). I primi
possiedono una vocazione di riproduzione degli schemi concettuali
già noti e consolidati, di cifra ben
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
■
27
diversa rispetto ai secondi, ricchi di
potenzialità divergenti e più orientati sul versante della produzione
di nuovi assetti cognitivi e di nuove
prospettive di analisi. Le competenze connesse all’esplorazione degli
assi in discussione spaziano da
quelle prettamente cognitive a quel-
Orientamento e scuola
le metacognitive (di elaborazione,
scoperta, metodo) passando per
quelle fantacognitive (di intuizione,
invenzione, trasfigurazione). Gli ultimi due raggruppamenti possono
trarre forti benefici ed essere rafforzati da approcci culturali di tipo
trasversale.
La struttura disciplinare analizzata
da Frabboni presenta la seguente
articolazione:
- contenuti
- linguaggi
- logiche interpretative di tipo ermeneutico
- paradigmi investigativi
- dispositivi generativi dei nuclei fondanti e dei nessi interdisciplinari
- congegni euristici e potenziali creativi.
La dimensione propria della trasversalità si pone ad un livello di alta complessità rispetto agli elementi basilari costituiti dagli aspetti meramente contenutistici. La tematica
a carattere interdisciplinare, quale
nucleo di ricerca e principio organizzatore delle strategie trasversali
di indagine, ha connaturata una notevole possibilità di generare conoscenze e di favorire la scoperta di
nuovi orizzonti cognitivi. In un simile contesto trovano spazio le
componenti intuitivo-immaginative degli studenti e vengono alimentate le capacità espressive e creative
in quanto risorse indispensabili all’avanzamento qualitativo della ricerca. Per l’alunno la valenza di tale dimensione è rilevante in quanto
gli restituisce una rappresentazione
delle proprie possibilità interiori,
delle proprie attitudini e propensioni profonde verso un nucleo culturale o un settore particolare di competenze. Gli aspetti caratterizzanti
la trasversalità, quali la contaminazione tra le aree disciplinari e lo
sconfinamento cognitivo, metodo-
logico e procedurale, portano con
sé un altro valore aggiunto di fondamentale importanza relativo alla
creazione di nuove forme di collegialità tra i docenti e alla disponibilità di apporti professionali molteplici. La dimensione collettiva non
si configura come la semplice somma delle expertises dei singoli insegnanti: contiene un plusvalore dato
dall’interazione produttiva delle
competenze e dalla creatività del
pensiero plurale. Negli ambienti
scolastici si respira un notevole bisogno di dialogo interdisciplinare e
di forme di progettualità che manifestino i segni della condivisione
educativa e metodologica. Il laboratorio potrebbe quindi fungere da
antidoto nei riguardi dell’individualismo professionale e della
frammentazione disciplinare che
spesso costituisce ostacolo ai processi di riunificazione cognitiva nella mente degli alunni e della conquista della possibilità di esplorare
da molteplici punti di vista un unico problema.
Un’ultima considerazione, finalizzata a rilevare la portata innovativa
delle pratiche laboratoriali, va rivolta alla valenza metacognitiva
delle attività che si realizzano in tale ambito. Il momento della riflessione metacognitiva, quale fase di consapevolezza circa le proprie modalità di conoscere e di esplorare il
reale, va concepito come elemento
costitutivo sia del laboratorio ad
impostazione prevalentemente disciplinare (informatico, scientifico,
linguistico, etc.), sia di quello interdisciplinare. Siffatto aspetto consente di realizzare un percorso
compiuto, a partire dalla definizione del campo della ricerca, all’identificazione di ipotesi, alla ricerca
delle fonti informative e degli strumenti di indagine, alla sperimenta-
■27
QUADERNI
DI
zione, alla conclusione e documentazione dell’itinerario percorso. La
ricostruzione del procedimento seguito consente all’alunno di entrare
in contatto con i propri processi
mentali, con gli stili di apprendimento e con le dinamiche del pensiero che regolano i processi di ordine cognitivo. Acquisire consapevolezza di tali componenti permette allo studente di conoscersi, di entrare in contatto con le proprie risorse e con i propri punti di debolezza per sviluppare forme di coscienza di sé ed innestare conseguentemente processi di autostima. Riteniamo che in questo humus possano germogliare orientamenti proficui in grado di promuovere scelte
responsabili e decisioni consapevoli sul proprio progetto di vita.
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Sandrone Boscarino G., La didattica
laboratoriale. Contributo su IndirePuntoedu D.L.gs.59/2004.
Carla Berto
Dirigente scolastica
ORIENTAMENTO
17
L’ORIENTAMENTO IN PROSPETTIVA
INTERCULTURALE
LA SFIDA DELLA SOCIETÀ MULTICULTURALE
Fabio Sesti
L
a multiculturalità è un
processo inarrestabile di
trasformazione sociale,
pertanto richiede un
cambiamento radicale dei
nostri criteri interpretativi
e una capacità nuova di
progettare la formazione
delle giovani generazioni.
La scuola può avere un
ruolo strategico
nell’educazione
all’interculturalità
PREMESSA
Che l’orientamento non consista
soltanto nella scelta di un indirizzo
scolastico o di formazione professionale al termine del ciclo di istruzione di base e che sia una funzione
più generale di autopromozione
della persona, un processo quindi
lungo e complesso all’interno di
una situazione in continuo cambiamento, è ormai un dato acquisito
che non ha bisogno di ulteriori conferme. Ma che aspetto assuma una
problematica del genere nel nostro
sistema educativo, in presenza di
una trasformazione accelerata della
popolazione scolastica, determinata
dall’arrivo di quote sempre più
consistenti di alunni stranieri, è
questione relativamente nuova.
Limitarsi a ragionare in termini di
mera integrazione, come se le diversità potessero semplicemente essere “accettate” in vista di una loro
progressiva assimilazione, significa
non cogliere il dato epocale di tale
18
movimento e in definitiva eludere
la vera sfida che la scuola è chiamata ad affrontare. Non si tratta di essere, più o meno a-priori, ovvero in
modo pregiudizialmente ideologico, pro o contro la società multiculturale ma di capire che se la multiculturalità è un dato di fatto e contro
la realtà è inutile combattere (“non
ridı̄re, non lugı̄re, sed intelligĕre” diceva Spinoza), il governo di questo fenomeno richiede una trasformazione radicale dei nostri criteri interpretativi e quindi una capacità nuova di progettare la formazione delle
giovani generazioni. La tesi che intendo proporre e argomentare brevemente è che se le società sono destinate a essere sempre più multiculturali, l’unica strategia vincente
per evitare i conflitti che ciò comporta è costituita dalla elaborazione
di una prospettiva educativa interculturale.
Dato che spesso i termini di “multicultura” e “intercultura” (e i loro
derivati) sono usati come sinonimi,
è opportuno premettere una chiarificazione che ne distingua bene il
campo di applicazione: multicultura è termine descrittivo, si limita a
prendere atto del fatto che in uno
stesso territorio convivono culture
diverse, con lingue e più ancora con
sistemi di valori e processi identitari differenti; intercultura è invece
termine prescrittivo, indica delle
mete, quindi non ciò che è ma ciò
che potrebbe essere se le diverse
culture entrano tra loro in contatto e
reciprocamente si “contaminano” e
si trasformano, dando luogo a una
cultura di tipo nuovo. Ebbene, se la
situazione di multiculturalità è intrinsecamente conflittuale, in modo
latente quando una cultura è fortemente dominante e le altre del tutto
minoritarie e subalterne, oppure in
modo esplicito quando quella o
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
■
27
quelle subalterne intendono subentrare alla dominante (ed è evidente
che la prima situazione tende spontaneamente a evolvere nella seconda laddove l’assetto sociale sia caratterizzato, come quello attuale, da
fluidità e dal costante rimescolamento demografico), la prospettiva
interculturale è l’unico mezzo per
disinnescare i conflitti e progredire
verso una situazione di rispetto e
arricchimento reciproco. In altre parole, la prospettiva interculturale è la
sola risposta educativa possibile in grado di governare il processo di trasformazione sociale in atto, favorendone
l’evoluzione pacifica e democratica.
Il ragionamento svolto sin qui si
fonda a sua volta su una constatazione ancora più generale: nessuna
delle grandi questioni che l’umanità oggi ha di fronte, dallo sfruttamento delle risorse alla tutela dell’ambiente e della salute, dal lavoro
alla sicurezza e alla pace, trova una
soluzione se non in un contesto planetario. Ciò significa che va assolutamente fondata una universalità di
tipo nuovo per le grandi scelte di
natura etica, una universalità che
non sia ingabbiata all’interno di
nessuna cultura particolare.
Da quando sulla scena della storia
si è affacciata la possibilità della fine (“ora le civiltà sanno di essere
mortali” scriveva P. Valéry dopo il
primo conflitto mondiale, prima
ancora che l’arma “totale” facesse la
sua comparsa1), la necessità di una
tale visione si è fatta sempre più impellente. Filosofi, uomini di cultura,
scienziati, nel momento in cui escono fuori dal chiuso delle loro specializzazioni e si aprono a problemi
etici e educativi, per vie diverse si
avvicinano sempre più al senso dell’appello rivolto da Einstein nel
1955 agli uomini di Stato: “ricordatevi della nostra umanità e dimenti-
Orientamento e scuola
cate tutto il resto”2. In sostanza, riconoscere l’appartenenza alla specie come criterio unico e sufficiente
di scelta morale, è diventato il punto di vista della nuova universalità.
Una volta si diceva che l’uomo non
ha una natura, ché la sua natura è
appunto quella di essere culturalmente (cioè, storicamente) determinato. Ora non è più così. Se l’attuale
fase di “popoli in movimento” non è accompagnata da una prospettiva educativa capace di mettere le culture in comunicazione e in grado di contaminarsi reciprocamente, i conflitti e i ghetti3, e il circolo vizioso che si stabilisce tra gli uni e gli altri, sono destinati a crescere con conseguenze catastrofiche rispetto alla stessa sopravvivenza della specie o almeno
di quel tenore di vita che siamo ormai abituati a definire umano.
E. Morin parla giustamente di due
comprensioni: quella intellettuale
(o oggettiva) e quella umana (o intersoggettiva)4. Non si accede a
quest’ultima senza la prima, ciò significa che il sapere passa innanzitutto attraverso l’intellegibilità e la
spiegazione ma si coglie l’altro (e lo
si comprende) solo quando lo si
percepisce come soggetto (alter ego
o ego alter).
Tutto ciò non è una vaga esigenza
moralistica ma una necessità vitale:
l’homo sapiens deve governare l’homo tecnologicus per non autodistruggersi. “Dal momento che la specie
umana continua la sua avventura
sotto la minaccia dell’autodistruzione, l’imperativo è divenuto: salvare l’Umanità realizzandola” 5.
Alla luce di quanto sopra, e recuperando un’idea forte del pensiero
ambientalista “pensare globalmente e agire localmente”6, pur con i limiti evidenti che qualsiasi pratica
realizzazione reca con sé, penso che
la prospettiva interculturale vada col-
ta in tutta la sua potenzialità, come
occasione storica per fare delle
scuole laboratori di convivenza democratica e strumenti di superamento di questa nuova fase di “confusione delle lingue”7 che stiamo attraversando.
LA PROSPETTIVA
INTERCULTURALE
Ma cosa vuol dire in concreto educazione interculturale? Le azioni
che la possono attuare sono talmente svariate che riesce difficile darne
una descrizione completa e non è
certo questa la sede per tentare di
essere esaustivi. Forse, se riusciamo
a mantenere chiaro l’obiettivo generale (la “contaminazione”), siamo
in grado di dire quali sono le condizioni che consentono di praticarla
in modo più efficace.
A proposito delle possibili soluzioni che la scuola può dare all’intercultura, E. Damiano individua tre
tipologie di percorsi praticati in
modo prevalente: 1) la soluzione
estemporanea (feste, mostre, ecc), 2)
la soluzione specifica (ovvero nuova materia), 3) la soluzione delle
materie ospitanti8.
È evidente che la seconda soluzione
equivarrebbe ad una sorta di neutralizzazione dell’intercultura, tolta
dalla dimensione dell’agito e fatta
confluire nella più innocua e tranquillizzante sfera del “parlato”, ma
anche la prima e la terza non soddisfano pienamente le sue potenzialità. Ciò che occorre perseguire è un
quarto tipo di percorso, quello che,
sempre Damiano, chiama della soluzione diffusa, consistente in una
reimpostazione complessiva della
proposta educativa che attraversi,
all’interno della scuola, sia la sfera
dei comportamenti e delle relazioni
■27
QUADERNI
DI
sia quella delle conoscenze e dei
curricoli e all’esterno l’insieme dei
rapporti tra scuola e territorio.
Vediamo allora alcuni punti di riferimento attorno ai quali si può cominciare a delineare la soluzione
diffusa. Quanto dirò non ha certo
pretese di completezza: è semplicemente il portato dell’assunto teorico sopra argomentato (dalla coesistenza irrelata dei diversi alla relazione “contaminante”) e di esperienze accumulate.
1. La cittadinanza attiva non comincia “dopo la scuola”, non è
qualcosa cui ci si prepara ma un
allenamento continuo da realizzare subito. È la pratica della responsabilità personale e diretta
che la può far capire, non la lezione sui diritti. Avviare, pertanto, gli alunni all’assunzione di
incarichi e alla loro verifica, compresa la gestione dei loro conflitti, negoziare uno spazio di discussione e di messa in discussione delle regole (tempo del cerchio, rotazione dei ruoli, elezione per l’attribuzione di incarichi
di maggiore impatto collettivo),
sono un insieme di possibili strategie volte a trasformare il ribellismo e l’anarchismo più o meno
latente dei giovani verso forme
di aggregazione sociale produttiva. E gli stranieri cosa c’entrano?
Ebbene, arricchire tali momenti
di negoziazione mediante il
coinvolgimento di chi proviene
da esperienze diverse di rapporto adulto-minore, è già una forma di meticciato culturale, una
sorta di prima verifica del concetto di diritto. Significa imparare (o reimparare) che a scuola
non si va solo per studiare le
“materie” ma anche (e soprattutto) per formarsi attraverso le relazioni.
ORIENTAMENTO
19
L’ORIENTAMENTO IN PROSPETTIVA
2. Se quanto detto è vero, ne consegue che anche la dimensione ludica, non solo nella scuola dell’infanzia, deve essere pienamente recuperata e valorizzata,
ovvero deve entrare a far parte
del piano intenzionale dell’offerta formativa. Il gioco è uno strumento di comunicazione e di conoscenza reciproca: insegnarsi
reciprocamente giochi che fanno
parte del proprio patrimonio
esperienziale non solo aiuta a
rompere il ghiaccio ma consente
di riconoscersi qualità da non
trascurare, stimola la curiosità,
abitua al decentramento ed è un
potentissimo fattore di apprendimento linguistico spontaneo.
3. I curricoli disciplinari non devono essere percepiti come qualcosa di separato rispetto alla sfera
relazionale e affettiva, comunicando implicitamente il messaggio che “ora si fa sul serio”. Pertanto vanno colte tutte le occasioni in cui sia possibile la valorizzazione del sapere di cui “gli
altri” sono portatori. Chi proviene da altri universi culturali, anche se all’inizio non parla o parla a stento la nostra lingua, non è
una tabula rasa e può aprire una
finestra su mondi che cessano di
essere solo nozioni libresche. In
definitiva, la presenza degli stranieri è più che un problema una
risorsa, un’occasione per “analisi
contrastive” che favoriscono il
decentramento e la relativizzazione dei punti di vista.
4. In questa prospettiva può essere
prezioso il contributo dei mediatori culturali ma anche degli
stessi genitori degli alunni stranieri.
5. Anche l’incontro tra adulti a
scuola va favorito e incoraggiato.
I momenti di festa, lo scambio di
20
tradizioni alimentari aiutano a
far sentire la scuola come luogo
in cui trovare ascolto e risposta a
bisogni concreti e può essere
un’occasione importante per iniziare a rompere l’isolamento sociale e il ripiegamento autoreferenziale.
6. Tutto ciò deve ripercuotersi nella
pratica didattica quotidiana. Se
la coerenza è la cartina di tornasole su cui misurare la credibilità
di qualsiasi educazione, tanto
più l’intercultura come prospettiva complessiva di impostazione educativa richiede una grande coerenza tra ciò che si dice e
come lo si dice, tra obiettivo e metodo. Senza, pertanto, entrare nel
merito dei contenuti, ciò che porterebbe questo già lungo intervento a dilatarsi eccessivamente,
mi limiterei a suggerire come
metodologia più fertile quella
del cooperative learning9, che non
solo è estremamente flessibile
ma consente di perseguire gli
obiettivi cognitivi e di contenuto
più svariati in assoluta coerenza
con le esigenze di clima fin qui
descritte. Il gruppo cooperativo,
spostando il focus dall’attenzione
quasi esclusiva sui contenuti dell’insegnamento all’apprendimento, inteso come processo
complesso, che deve armonizzare fattori sociali, affettivi e cognitivi, consente una migliore e più
attiva partecipazione degli alunni. In particolare, con alunni
stranieri, il cooperative learning
stimola un incremento di scambi
verbali tra pari che aiuta a superare blocchi emotivi e a fissare le
strutture linguistiche con cui codificare i nuovi contenuti, dato
che nel gruppo è necessaria una
continua negoziazione dei significati. Ovviamente un gruppo è
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
■
27
cooperativo quando realizza
un’interdipendenza positiva,
ovvero se ciascun membro si
sente parte di una squadra ed è
disposto pertanto a valorizzare i
risultati altrui quanto i propri, ed
essere perciò in grado di “aiutare, dirigere, consigliare, incoraggiare, commentare”, sentendosi
responsabile in prima persona
di ciò che il gruppo realizza.
RUOLO STRATEGICO
DELL’APPRENDIMENTO
LINGUISTICO
La rassegna, che non ha alcuna pretesa di essere esaustiva, dei criteri
cui prestare attenzione per fondare
una pratica effettiva dell’intercultura, non deve far perdere di vista la
necessità di affrontare con rigore e
professionalità il nodo cruciale della lingua. Questo è uno dei campi
più indagati ed è impossibile qui
darne conto in modo approfondito.
La ricerca evolve con l’evolvere
stesso del fenomeno ma esistono
dei punti di riferimento che possono essere ormai considerati come
punti fermi. Sommariamente: la distinzione tra lingua della comunicazione e lingua dello studio (quella
che consente i processi di codifica
delle nozioni disciplinari e stimola
lo sviluppo cognitivo), il rapporto
tra L1 (la lingua madre da cui si
proviene) e L2 (la lingua dominante
del paese in cui si studia), la nozione di interlingua (la struttura “fluttuante” che si viene a creare tra la
lingua madre e quella con cui si comunica nel paese ospitante). Sono
tutti aspetti, questi, che devono essere tenuti presenti se si vuole portare sul serio gli alunni stranieri ad
“abitare” (è la bella metafora utiliz-
Orientamento e scuola
zata da G. Favaro10) la nostra lingua,
presupposto imprescindibile dell’esercizio della cittadinanza attiva e
quindi di un orientamento efficace.
Ma da dove si può partire per
esplorare questo campo di indagine? Direi che innanzitutto la conoscenza del “Quadro comune europeo delle lingue” (noto come Framework) può rappresentare una base di partenza. Attualmente, nell’ambito del Progetto SAM, è in corso una ricerca per adattare questo
strumento (pensato dal Consiglio
d’Europa per consentire un’analisi
obiettiva dei livelli di competenza
in LS) alla valutazione dei livelli di
apprendimento della L2, così come
anche la messa a punto di strumenti di analisi dell’interlingua.11 Lo
scopo di tali studi è quello di focalizzare sempre meglio il ruolo dell’apprendimento scolastico nell’acquisizione della L2. Infatti, se la lingua della comunicazione è in gran
parte il risultato di un apprendimento spontaneo nell’ambiente, la
lingua dello studio, invece, la si acquisisce solo in seguito ad apprendimento formale. Le ricerche, in
particolare Cummins,12 hanno chiarito che i progressi nella L2 (il raggiungimento del livello astratto) sono connessi con lo sviluppo della
L1. Secondo lo studioso canadese le
differenze tra le due lingue sono solo di superficie, mentre a livello
profondo, che è il livello in cui si
determina lo sviluppo cognitivo,
sono interconnesse e quindi i risultati raggiunti mediante una lingua
possono essere travasati nell’altra.
Ciò significa che non è il bilinguismo in sé ad essere vantaggioso
“ma determinati rapporti tra la
competenza in lingua materna e
quella in lingua seconda”.13
Ora, se tutto ciò è vero, il ruolo della scuola è appunto quello di stimo-
lare il passaggio dalla lingua della
comunicazione a quella dello studio mediante il superamento degli
stadi di fossilizzazione dell’interlingua. È questo il settore in cui occorre concentrare lo sforzo formativo
per evitare che il percorso scolastico
si inceppi e per favorire quindi, con
l’incremento delle capacità di interazione a livello astratto, il successo
formativo senza il quale la scommessa dell’intercultura è persa e l’orientamento inefficace.
NOTE
1) La citazione è ripresa da E. Balducci, L’uomo planetario, Camunia
MI (1985) p. 12.
2) Ibi. p 5
3) Una lucida analisi della esplosione dei conflitti etnici in presenza
della diffusione del modello liberista (l’altra faccia della globalizzazione) è condotta da Amy Chua nel
recente L’età dell’odio, Carocci Roma
(2004).
4) E. Morin, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Raffaello Cortina MI 2001, p 98.
5) Ibi. p 98.
6) Questa massima è una costante
del pensiero ecologico la cui attenzione si è venuta sempre più concentrando sui limiti dello sviluppo
(ecosostenibilità) e sulla conseguente necessità di superamento dell’antropocentrismo, nella considerazione del rapporto uomo-natura, in
funzione di una nuova etica della
responsabilità (cfr, H. Jonas Il principio responsabilità TO 1990). Anche su
questo punto è chiarissima e illuminante un’osservazione di Balducci:
“… prendere atto dello stato di interdipendenza di tutti i problemi di
■27
QUADERNI
DI
cui soffre l’umanità di oggi. Non ci
sarà più possibile affrontare davvero un problema solo – poniamo
quello della sanità in Italia – se attraverso un procedimento di interconnessione graduale non lo collocheremo nel problema globale del
genere umano … assumere come
fondamento della convivenza umana la ‘comunione creaturale’…” in
Testimonianze n. 317 (1989).
7) Cfr. P. Balboni , Le sfide di Babele
UTET, TO 2003, p. 4.
8) E. Damiano, a cura di, “Homo migrans, discipline e concetti per un curricolo di educazione interculturale a
prova di scuola”, MI Franco Angeli
1998.
9) Cfr. Johnson, Johnson, Holubec,
Apprendimento cooperativo in classe.
Migliorare il clima emotivo e il rendimento, Erickson Trento 1996, Comoglio, Cardoso, Insegnare e apprendere
in gruppo. Il Cooperative learning,
LAS Roma 1996. Si veda anche il sito della rivista italiana on-line dedicata al Cooperative learning, ricca
di spunti e materiali didattici:
www.scintille.it.
10) G. Favaro, Insegnare l’italiano agli
alunni stranieri, La Nuova Italia MI
2002.
11) I risultati saranno man mano resi disponibili nel sito www.progettosam.it.
12) Cfr. M.C.Luise (a cura di), Italiano Lingua Seconda: Fondamenti e metodi vol. 1 Coordinate, Guerra Edizioni, Perugia 2003
13) op. cit. p. 108.
Fabio Sesti
Dirigente scolastico
Ist. Compr. “E. Giacich”
Monfalcone
ORIENTAMENTO
21
UN SISTEMA DI RETE
PER L’ORIENTAMENTO
UN’ESPERIENZA NELLA PROVINCIA DI TREVISO
Luigi Clama, Donella De Carolis, Alberto Ferrari
I
l sistema Rete
deve essere efficace e
funzionale per sostenere
servizi specifici, quali
quelli dell’informazione
e dell’orientamento.
La forma di “governo”
della Rete deve essere
condivisa per offrire
garanzia ai soggetti
che si riconoscono nel
sistema ed hanno, al suo
interno, pari dignità
PREMESSA
Diverse esperienze sul campo sottolineano quanto sia importante
che il sistema Rete sia efficace e funzionale al fine di poter sostenere
servizi specifici, quali ad esempio
quelli di informazione e orientamento. La Commissione Europea
invita a “facilitare l’inserimento dei
giovani nel mercato del lavoro anche attraverso lo sviluppo di partenariati tra istituti scolastici, autorità
locali, mondo dell’impresa, reti
transnazionali di cooperazione”
(Libro Verde,1993), nel Libro Bianco
(1995) e nel Memorandum sul longlife
learning (2000), individua nelle reti
uno strumento strategico per i servizi di informazione e orientamento
a garanzia di:
• integrazione tra dimensione europea e comunità locali, al fine di
diffondere le informazioni tenendo conto delle diverse specificità geografiche e culturali;
• raccordo tra servizi istituzionali,
privati e del privato sociale, an-
22
che attraverso canali non formali di diffusione delle informazioni;
• coordinamento tra servizi di
orientamento e altri servizi alla
persona per realizzare sistemi
territoriali integrati che rispondano alla pluralità dei bisogni
dei cittadini/utenti.
Nello stesso senso, la legislazione
nazionale e regionale sui Servizi
per l’Impiego ridefinisce funzioni e
compiti dei Centri per l’Impiego
che divengono nodi di una Rete di
servizi rivolti al mercato del lavoro
e promotori a loro volta di reti territoriali finalizzate all’utilizzo di tutte le risorse presenti sul territorio,
sia pubbliche sia private.
Questo argomento è stato oggetto
di una ricerca condotta da Rete
Informa1 di Bari che ha affrontato i
temi della socializzazione dell’informazione tra operatori e tra
servizi di orientamento e della costruzione di forme di cooperazione
e scambio (a livello regionale, nazionale ed europeo).
Anche esperienze quali ad esempio
quella della Città dei Mestieri2, partita da Parigi negli anni ’90 ed ora in
fase di espansione a livello mondiale, indicano la necessità di istituire
reti governate secondo modelli efficaci e basate sulla condivisione di
obiettivi e strategie da parte di tutti
i partner. Le reti territoriali possono
dunque diventare sistema-Rete, trasversale ai sistemi istruzione, formazione, contesto produttivo, enti
locali, che funzioni sia come sistema
organizzativo territoriale di supporto
e coordinamento sia come spazio di
intersezione e di riferimento per la organizzazione e la gestione di attività comuni. Perché questo sistema
possa attivarsi, è però necessario
rendere riconoscibile ed operativo il
soggetto Rete, legittimandolo come
figura (anche giuridica) che opera
sul territorio. Sarebbe quindi necessario tentare una prima modellizzazione del sistema-Rete, così che il
modello-Rete possa favorire quell’integrazione fra scuola, formazione professionale e lavoro che è posta quale condizione per l’occupabilità e l’adattabilità delle persone.
Nella sola provincia di Treviso, secondo uno studio condotto dal CSA3 provinciale negli anni 2002 - 2004, si contano almeno 53 reti nelle quali sono compresi Istituti Scolastici (il campione d’indagine ha coperto il 75% degli Istituti scolastici e paritari); di queste, circa il 40% è costituito da reti interistituzionali fondate su accordi stipulati con il “territorio” (centri di formazione, enti locali,
Asl, agenzie private, associazioni di categoria etc.). Come si dirà più dettagliatamente in seguito, le tematiche di cui queste reti prevalentemente si occupano (accoglienza, integrazione, orientamento scolastico e professionale, autovalutazione delle scuole) sono relative ad attività trasversali a più sistemi: istruzione, formazione, contesto produttivo, enti locali. Anche nel territorio regionale veneto, lo sviluppo delle reti si può attribuire all’effetto congiunto delle
normative nazionali e regionali degli ultimi anni riguardanti il sistema dell’istruzione e della formazione (autonomia delle istituzioni scolastiche e nuova
riforma dei cicli; vedi L. 275/99 art. 7, 8, 9; accordo Stato Regioni del 19.06.2003
e apposito protocollo R.V.-M.I.U.R.-M.L.P.S. del 03.10.2003; l. 53/2003), il mercato del lavoro (legge Biagi 30/2003; P.O.R. 2000-2006; Programma Triennale
Formazione Lavoro 2004-2006), le competenze degli enti locali (regioni, province, comuni). Tutte le innovazioni legislative indicate prefigurano una osmosi sempre maggiore tra sistemi, alla ricerca di modalità di dialogo, confronto e
integrazione tra di essi.
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
■
27
Orientamento e scuola
zate da creazione di nuove potenzialità locali tra loro integrate.
raggiungere insieme; le azioni
sono perciò caratterizzate dalla
creazione di una nuova potenzialità
centrale5 (l’attivazione di una biblioteca di Rete, di un laboratorio, di un centro servizi; un corso
di formazione, un centro di consulenza…).
C. “Rete di fornitori/fruitori”: si riferisce a quei sistemi in cui i servizi sono erogati dalle parti stesse
del sistema. La Rete deve attivare
gli scambi; ognuno ha bisogno di
qualcosa e fornisce qualcos’altro.
Le azioni sono caratterizzate da
migliore sfruttamento delle potenzialità presenti localmente.
D. “Rete di cooperatori”: si riferisce a quelle Reti in cui i servizi
sono prodotti dalle parti. Ognuno ha tutto e tutti vogliono migliorare ed integrarsi; la Rete deve
costruire i canali comunicativi e gli
scambi. Le azioni sono caratteriz-
I sistemi A e B sono di tipo monocentrico: le Reti fanno riferimento ad
un ufficio centrale che fornisce i servizi richiesti oppure a un laboratorio costruito espressamente per la
ricerca e lo sviluppo di specifici servizi o attività. Gli schemi che rappresentano questi sistemi assumono una configurazione simile a
quella di un sistema di satelliti ruotanti intorno ad un corpo centrale.
Viceversa, i sistemi C e D sono di
tipo policentrico: si tratta di Reti in
cui i servizi sono erogati o prodotti
dalle parti stesse del sistema e quindi di sistemi nei quali avvengono
scambi tra le parti. Gli schemi che
rappresentano questi sistemi assumono una configurazione simile a
quella di una costellazione, che e’
tale in quanto gli elementi che la
SCHEMI DI RETE
Sistema monocentrico
Il sistema fa riferimento ad un centro
(configurazione: schema satellitare)
Sistema policentrico
Il sistema opera scambi tra le parti
(configurazione: costellazione)
Il sistema
A RETE DI FRUITORI
C RETE DI FORNITORI
B RETE DI PRODUTTORI
D RETE DI COOPERAZIONE
SISTEMI DI RETE
A partire dalle riflessioni formulate
da Jeremy Rifkin4 a proposito dell’evoluzione dei mercati verso le
Reti, è possibile individuare quattro
ipotesi di sistemi di Rete traslati nel
mondo della scuola.
A. “Rete di fruitori”: si caratterizza
per l’erogazione dei servizi da
parte di un centro; la prima azione della Rete sarà quella dell’attivazione del centro (un ufficio, un
esperto, un’agenzia…). Ognuno
ha bisogno di qualcosa che il
centro è riconosciuto come in
grado di fornire. Le azioni sono
caratterizzate dall’utilizzo di una
potenzialità centrale.
B. “Rete di produttori”: presuppone che i servizi siano prodotti da
un centro e la Rete, in questo caso, deve costruire il centro e quindi tutti vogliono qualcosa da
cerca Stabilità attraverso acquisizione
di servizi
tende al miglioramento attraverso il
livellamento e/o l’omogeneizzazione
(Staticità)
Il sistema
cerca di crescere attraverso miglioramento e/o creazione di servizi
(Crescita)
tende al miglioramento attraverso
il movimento, lo spostamento
(Dinamicità)
Sistemi di Rete: le Reti nella provincia di Treviso
■27
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
23
UN SISTEMA DI RETE PER L’ORIENTAMENTO
compongono concorrono tutti a descriverla.
I sistemi A e C sono caratterizzati
da tendenza alla stabilità: in questo tipo di Reti i “prodotti” (servizi) esistono già ma non sono ancora erogati a tutti in egual modo e quindi il
target servito non è ancora l’intera
Rete; il sistema risulta pertanto instabile e acquisirà stabilità nel momento in cui il target servito sarà
l’intera Rete, garantendo acquisizione di servizi in forma allargata e comunitaria. La connotazione finale è la
staticità (nel senso della solidità)
del sistema.
I sistemi B e D sono invece caratterizzati da crescita: in questo tipo di
Reti i “prodotti” (servizi) non esistono (nel sistema B) oppure sono
ritenuti non più sufficientemente
efficaci (nel sistema D). Il sistema
cerca di crescere attraverso il miglioramento e/o la creazione di servizi. Questi sistemi tendono al miglioramento attraverso il movimento verso nuovi target e lo spostamento dei propri standard qualitativi verso soglie via via più elevate.
La connotazione finale è la dinamicità del sistema (e delle proprie
strutture). I quattro sistemi sono tra
loro comparabili mediante una tabella a doppia entrata, che allinea in
una colonna i sistemi monocentrici
e nell’altra quelli policentrici; in
orizzontale, troveremo una fascia
con i sistemi che tendono alla stabilità e una fascia con i sistemi che
tendono a crescere.
Rispetto alle schematizzazioni teoriche, raramente si sono osservate
Reti reali in cui fosse rilevabile uno
di questi sistemi in forma “pura”. Si
sono piuttosto notati numerosi casi
in cui più sistemi sono compresenti,
ciascuno funzionale a specifiche attività della Rete. In una Rete una
certa attività o azione si conformerà
24
per esempio al sistema A mentre
un’altra attività si conformerà piuttosto al sistema D. Questa compresenza di sistemi risponde peraltro
ad esigenze spesso complesse delle
Reti reali. Si esemplifica ora questo
concetto in base a quanto osservato
in relazione a reti di orientamento.
RETI DI
ORIENTAMENTO
E SISTEMI DI RETE:
UN ESEMPIO
Nelle fasi di PROGETTAZIONE,
cioè di produzione del nuovo servizio, il sistema prevalente è di tipo
B; la progettazione si sviluppa infatti nell’ambito di gruppi interistituzionali in cui sono rappresentati
alcuni nodi della Rete tramite uno o
più operatori. Al fine di costituire
questi gruppi di progettazione e gestione generale, la Rete si struttura
secondo il sistema B: nel “laboratorio” (raffigurato dal pallino centrale) confluiscono gli operatori, i quali poi si suddividono nei vari gruppi o team, che successivamente cominciano a lavorare alla organizzazione generale delle attività e alla
definizione delle procedure di erogazione / acquisizione del servizio.
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
■
27
Nelle fasi di EROGAZIONE il sistema varia a seconda delle azioni.
Per alcune azioni il sistema è di tipo
A, cioè di acquisizione del servizio: il “laboratorio” (raffigurato
dal pallino centrale) provvede direttamente all’erogazione del servizio, avvalendosi in qualche caso
di uno o più nodi specializzati che
fungono da “sede” dell’erogazione di servizio. Può essere il caso di
azioni che consistono in incontri
di formazione per i genitori o in
corsi di alfabetizzazione per studenti stranieri o in attivazione di
sportelli territoriali: gli incontri
per i genitori, ad esempio, sono
interamente gestiti dal team di
azione che si avvale di altri nodi in
qualità di sedi fisiche in cui il servizio viene erogato. L’utente finale di questo servizio è costituito
dalle famiglie degli studenti: i nodi (scuole) acquisiscono dalla Rete
il servizio per il quale si rendono
tramiti nei confronti dell’utenza
(le famiglie). Il servizio viene cioè
messo a disposizione delle famiglie che fanno riferimento a quel
singolo nodo (scuola).
Per le azioni che prevedono scambi,
il sistema è invece di tipo C.
Non si osserva però tanto uno
scambio reciproco tra tutti i nodi,
quanto piuttosto una fornitura di
servizio da parte di alcuni nodi e
Orientamento e scuola
un’acquisizione da parte di altri.
Questo è quanto, ad esempio, avviene nell’azione che concerne i laboratori d’orientamento: tutte le
scuole superiori di una Rete organizzano autonomamente delle giornate di laboratorio per gli studenti
delle scuole medie e queste ultime
vi indirizzano i propri studenti
(l’organizzazione nel suo complesso viene comunque coordinata dal
team di azione); similmente avviene
per un’azione come la rassegna o
expo per l’orientamento, anche se
in quest’ultimo caso l’erogazione
del servizio ha luogo in un’ unica
sede comune, messa a disposizione
da un nodo (es. sale comunali dei
Centri Servizi).
Infine, per azioni di miglioramento
e di ampliamento, il sistema è di tipo D.
In queste azioni ogni singola
scuola provvede all’erogazione
del servizio per i propri studenti.
La cooperazione avviene all’interno dei team di azione, che in questi
casi sono particolarmente ampi e i
nodi vi sono rappresentati per la
quasi totalità. In questo tipo di
azioni (percorsi di orientamento ad
una scelta consapevole nelle scuole
medie, valutazione delle competenze e portfolio nel passaggio tra
i due ordini di scuola, azioni di rimotivazione e di ri-orientamento
per alunni di 15, 16 anni nell’esercizio - assolvimento del diritto dovere all’istruzione e alla formazione), è dato particolare rilievo
alla fase di condivisione - tra i nodi - dei criteri che regolano la definizione e la progettazione dei
percorsi e delle attività (che poi
ciascun nodo attua autonomamente), allo scopo di giungere al
miglioramento e all’ampliamento
del servizio, che ciascuno già eroga. In questo caso, il contesto della Rete fornisce una maggiore articolazione ai percorsi e permette di
puntare l’attenzione più sull’utente finale (studente e famiglie) che
sul soggetto erogatore (la singola
scuola). Nelle fasi di gestione generale e consulenza il sistema è invece
di tipo A, cioè acquisizione del
servizio. In queste fasi infatti i singoli nodi divengono utenti di un
servizio che viene offerto dal “laboratorio”: essi fruiscono dei progetti, degli strumenti e dei materiali messi a punto dal team di
coordinamento ed adottano le procedure che vengono proposte. Il
sistema si presenta quindi monocentrico nelle fasi pre e post erogazione del servizio mentre è prevalentemente policentrico nella fase
di erogazione del servizio.
■27
QUADERNI
DI
GLI ELEMENTI
COSTITUTIVI
DELLA RETE
La Rete come insieme di nodi e di relazioni
Dal punto di vista dell’analisi delle
Reti sociali, le Reti formate da soli
Istituti scolastici o le Reti interistituzionali appartengono alla categoria
delle Reti formali, la quale definisce, a sua volta, un tipo di Rete sociale6. Questo approccio rappresenta la Rete come una figura costituita da “un insieme di punti (nodi) e
di linee o frecce di collegamento (relazioni)”, in cui si dà importanza
non tanto alle singole individualità
(ai singoli nodi) bensì ai legami e
agli scambi esistenti tra i nodi di
una Rete. Questo concetto di Rete
implica quindi che l’appartenenza a
una Rete offra una serie di possibilità ma imponga nel contempo alcuni vincoli (ad esempio il rispetto di
una programmazione coordinata).
Le Reti non si definiscono però solo
in base ai vincoli tra i nodi o alla dimensione (quantità dei nodi) ma
anche in base allo scopo che si prefiggono; un soggetto (un nodo) può
quindi appartenere contemporaneamente a più Reti, in ognuna delle quali può rivestire un ruolo diverso a seconda della posizione assunta rispetto agli altri soggetti (da
centrale a periferico).
Scopi per cui una Rete si costituisce e
condizioni di partenza.
Con quale scopo dunque si costituisce una Rete? Quali condizioni di
partenza favoriscono l’adozione di
un sistema piuttosto che di un altro?
In generale, si può dire che tale scopo e tali condizioni riguardano la
presenza o l’assenza di servizi e l’opportunità di fruirne. In particolare, e
ORIENTAMENTO
25
UN SISTEMA DI RETE PER L’ORIENTAMENTO
cioè in relazione ai quattro sistemi di
Rete individuati, scopo e condizioni
si diversificano a seconda del sistema di Rete a cui si connettono.
Sistema A - Rete di fruitori: il sistema è caratterizzato dall’erogazione
di servizi da parte di un centro (Ufficio); condizione di partenza è la rilevazione della mancanza sia del servizio sia delle risorse individuali
necessarie a costruirlo. Una volta
individuato l’Ufficio in grado di
erogare il servizio, scopo della Rete è
mettere i nodi in condizione di utilizzare l’Ufficio come risorsa, far sì
cioè che il servizio venga effettivamente acquisito dall’Ufficio per il
cui impiego ci si è costituiti in Rete.
Sistema B - Rete di produttori: caratteristica di questo sistema di Rete è la costruzione di una nuova potenzialità centrale; la condizione di
partenza coincide con quella individuata per il Sistema A agli effetti
della rilevazione della mancanza di
un servizio ma non agli effetti della
mancanza di risorse individuali. In
questo caso, infatti, i singoli soggetti dispongono di risorse che non
consentono di erogare in proprio
quel servizio ma che, unite a quelle
di altri, permettono la costruzione
di un centro in grado di fornire a
tutti il servizio mancante. Scopo del-
Il diagramma illustra il processo di costituzione ed il processo funzionale della Rete.
26
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
■
27
la Rete è quindi produrre un nuovo
servizio centralizzato attraverso la
connessione delle risorse appartenenti ai singoli nodi.
Sistema C - Rete di fornitori/fruitori: caratteristica del sistema è lo
scambio, grazie a cui ogni nodo può
ricevere da altri servizi di cui manca e può fornire a altri servizi di cui
dispone.
Le condizioni di partenza sono costituite dalla rilevazione secondo cui
ogni soggetto è dotato di alcuni servizi ma manca delle risorse necessarie a soddisfare l’esigenza di un
insieme di servizi più completo e
più qualificato. Scopo della Rete è
Orientamento e scuola
quindi permettere una condivisione
territoriale di servizi e di risorse secondo un criterio di complementarietà.
Sistema D - Rete di cooperatori: caratteristica anche di questo sistema
è lo scambio, che non è però disciplinato dalla complementarietà.
Nella condizione di partenza, tutti i
soggetti dispongono del medesimo
insieme di servizi; ciò di cui si avverte l’esigenza e per cui mancano
individualmente le risorse è una
maggiore qualità o un ampliamento
di servizi che ognuno eroga già individualmente. La Rete deve quindi
rispondere allo scopo di permettere
il miglioramento e l’ampliamento
di servizi già esistenti collegando e
integrando le risorse presenti nei
singoli nodi.
IL PROCESSO
Questo approccio riguarda l’iter
processuale adottato dalla Rete e
può applicarsi a Reti “governate”
dette anche “strutturate” mentre risulta meno applicabile ai casi di Reti spontanee e poco governate. Attraverso quale processo si formalizza una Rete? Quali sono le fasi critiche attraverso cui la Rete transita
per pervenire a soddisfare il bisogno iniziale?
Si esaminano ora alcuni passaggi
rappresentati nel diagramma:
ORGANIZZARE
L’EROGAZIONE
DI SERVIZI
Analizzare i bisogni e definire le priorità (Fase 2)
Prima fase operativa è l’analisi del
bisogno-domanda, attuata tramite
adeguati strumenti di indagine (interviste, questionari, focus-group,
analisi documentale, etc.) e volta alla definizione di obiettivi prioritari.
Pianificare i processi (Fase 3)
Pianificare i processi (in ottica di
qualità) significa esplicitare passaggi, responsabili, tempi, luoghi e
strumenti necessari alla loro attuazione, dando evidenza a tutto ciò.
Anche i passaggi del monitoraggio
e della valutazione, relativi sia al
processo sia al prodotto, vanno
esplicitati e tutti i nodi della Rete
devono conoscerne ed applicarne
criteri, indicatori e strumenti. La
pianificazione dei processi va inoltre condotta in funzione dell’applicazione degli standard dei servizi preventivamente definiti dagli accordi di Rete; si tratta di un
aspetto di fondamentale rilevanza
ai fini della valutazione del servizio erogato, sia nei casi in cui i servizi vengano erogati da un ente diverso da quello che pianifica i processi di erogazione, sia nei casi in
cui i servizi siano erogati dallo
stesso ente che ne pianifica i processi di erogazione. Poiché si opera in Rete, anche il processo di
coordinamento e di organizzazione dei servizi (tipologia, responsabile e target di riferimento) è oggetto di pianificazione.
Attivare i processi di Rete (Fase 4)
A seconda dello scopo per cui la
Rete è sorta, si potranno produrre
e/o erogare dei servizi, oppure
mettere a disposizione e scambiare servizi e risorse pattuiti. In questa fase va però inclusa anche l’azione di mantenimento della Rete,
ovvero tutte quelle operazioni rivolte a rendere i legami attivi e
funzionali allo svolgimento dei
■27
QUADERNI
DI
processi in ottica di Rete, azione
che risulterà tanto più impegnativa quanto più la Rete avrà una
struttura complessa.
L’attivazione dei processi corrisponde allo scopo individuato inizialmente: sistema A, erogazione
del servizio; sistema B, produzione
dei servizi; sistema C, messa a disposizione dei servizi e delle risorse
stabiliti (ovvero rendere possibili
gli scambi); sistema D, scambio dei
servizi e delle risorse stabiliti (ovvero integrare potenzialità).
Risulta che nei sistemi A e C l’attivazione dei processi (erogazione,
messa a disposizione) non incide
sensibilmente sulla produzione di
servizi, quanto piuttosto sull’allargamento del target che ne fruisce.
Invece nei sistemi B e D l’attivazione dei processi (produzione, scambio e integrazione) incide proprio
sulla produzione e quindi sulla
qualità dei servizi.
GESTIRE LA QUALITÀ
DEI PROCESSI
E DEI PRODOTTI
DI RETE
Monitorare e valutare i processi e i prodotti di Rete (Fase 5)
Le Reti sono centrate sul raggiungimento di determinati obiettivi,
basandosi spesso su uno o più
progetti; tendono pertanto a strutturare il processo piuttosto che le
funzioni dotandosi di sistemi di
funzionamento “orizzontali”; in
questo si differenziano dalle modalità di organizzazione delle istituzioni scolastiche che si articolano invece prevalentemente su sistemi “verticali” dove preminente
è l’adempimento della funzione
rispetto all’obiettivo. A questo
ORIENTAMENTO
27
UN SISTEMA DI RETE PER L’ORIENTAMENTO
Virgilio Tramontin, Paesaggio, acquaforte.
prevalere di un’organizzazione
orizzontale, si collega la necessità
di procedure di monitoraggio e
valutazione sia del processo sia
del prodotto in quanto la “sopravvivenza” della Rete è determinata
unicamente dal conseguimento
dell’obiettivo per cui è nata. La fase del monitoraggio e della valutazione si articola in tre momenti
distinti: Monitoraggio, Verifica,
Valutazione. Il soggetto che svolge questa fase applica i criteri di
valutazione in base a cui formula
un giudizio sulla validità del processo e/o del prodotto (e quindi sul grado di raggiungimento dell’obietti-
28
vo). I giudizi formulati e le scelte
ad essi conseguenti devono essere
legittimati dalla Rete nella sua interezza e dalle parti che la compongono. Per questi motivi, il
compito di attuare questa fase deve essere attribuito ad un soggetto
(individuo o gruppo o organismo)
riconosciuto e legittimato da tutti
i nodi, il cui ruolo sia super-partes. Tale funzione può essere assunta, infine, anche da un soggetto esterno alla Rete.
Le azioni per migliorare i processi e i
prodotti (Fase 6)
La progettazione del piano di mi-
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
■
27
glioramento è in relazione a quanto
formulato in sede di valutazione e
la sua attuazione coinciderà con il
riavvio del processo complessivo, le
cui fasi verranno ricalibrate in ordine a quanto stabilito dal piano di
miglioramento stesso.
CONSIDERAZIONI
FINALI
La forma di “governo” della Rete
deve essere condivisa dai nodi
della Rete; governare i processi secondo quest’ottica risulta una ga-
Orientamento e scuola
ranzia per tutti i nodi che si riconoscono nella Rete ed hanno, all’interno di essa, pari dignità. Naturalmente esistono anche Reti
nelle quali alcuni nodi “pesano”
più di altri oppure Reti nelle quali esistono sottogruppi più densi o
più “pesanti” (cluster). In tutti
questi casi le strutture e le forme
di governo risulteranno da una
mediazione tra sistemi teorici (alcuni dei quali questa indagine
tenta di definire) e situazioni contingenti. Lo svolgersi del processo
non è, nella realtà, perfettamente
lineare e schematico. Alcune fasi
possono sovrapporsi ad altre oppure essere riunite in una; alcune
possono essere molto laboriose ed
altre invece agili e veloci. Ma l’elusione di uno o alcuni di questi
passaggi potrebbe comportare
una ridotta solidità di governo
della Rete e conseguenti situazioni di squilibrio tra i nodi e nelle
relazioni tra essi intercorrenti o
anche situazioni di incoerenza tra
ciò che gli accordi iniziali hanno
stabilito e ciò che nella realtà dei
processi avviene.
NOTE
1) Annibale D’Elia, Annamaria Ricci, in Progettare un servizio di informazione, a cura di M. Consolini,
Franco Angeli, 2003.
2) Vedi Osservatorio sul mercato del
lavoro e sulle professioni , fascicolo 5,
volume 23, anno 2002; in particolare i contributi di: Alida Salomone,
“Il modello italiano delle Città dei
Mestieri e delle Professioni”; Danièle Drevet, “La rete internazionale
delle Città dei Mestieri”; Diego
Boerchi, “La Città dei Mestieri e
delle Professioni di Milano”. Sullo
stesso argomento vedi inoltre i materiali prodotti nell’ambito del Progetto di trasferimento Buone Pratiche “Orientare: fornire strumenti e
attivare risorse” Fse Ob. 1 2003, a
cura degli operatori delle Città dei
Mestieri di Genova, Milano, Cagliari, Taranto, Fano, Treviso; I.S.U.
Università Cattolica di Milano,
2003.
3) CSA TREVISO, Scuole in rete, preatti del convegno svoltosi a Treviso
il 10 maggio 2004, Treviso 2004. Il
testo presenta una riflessione sulle
Reti formate da Istituzioni Scolastiche, promossa dal CSA di Treviso e
svolta negli aa. ss. 2001-02, 2002-03,
2003-04 da un gruppo costituito da
12 docenti utilizzati in qualità di
coordinatori di progetti di Rete e
coordinato dalla dirigente Maria
Antonia Moretti; il testo propone alcuni elementi del modello teorico
messo a punto e alcuni esiti dell’indagine che, a partire dal modello
teorico, si è sviluppata. Per approfondire i contenuti dell’articolo
vedi il testo integrale della ricerca
pubblicato dal CSA Treviso e reperibile su: www.csa.tv.it/reti/convegno.asp. Sono disponibili gli strumenti utilizzati nell’indagine, le tabelle di sintesi con i dati relativi a
ciascuna Rete, le tabelle analitiche
di descrizione dei sistemi di Rete.
L’analisi teorica si è articolata secondo tre prospettive principali:
prospettiva di analisi centrata sui sistemi di Rete, suggerita dagli studi
sui sistemi di Reti economiche;
prospettiva di analisi centrata sugli
elementi costitutivi, suggerita dagli
studi sulle Reti sociali;
prospettiva di analisi centrata sul
processo, suggerita dagli studi sui
modelli di processo nei sistemi di
gestione per la qualità.
4) J. Rifkin, L’era dell’accesso. La rivo-
■27
QUADERNI
DI
luzione della new economy, trad. it. di
Paolo Canton, Mondadori, Milano,
2000. Tra gli altri studi sui modelli
teorici citiamo G. Alessandrini (a
cura di), Pedagogia delle risorse umane e delle organizzazioni, Guerini Studio, Milano, 2004.
5) Per produzione si intende “l’attività diretta all’ottenimento di beni o
servizi”; per erogazione si intende
“la distribuzione a domicilio mediante apposita Rete” del servizio
prodotto. (Devoto Oli, Dizionario
della lingua italiana).
6) Besozzi, Colombo, Metodologia
della ricerca sociale, Guerini Studio
Editore, Milano, 1998, pp. 136-141.
Luigi Clama
Coordina la Rete “Monitoraggio
Progetti dell’Offerta Formativa”,
lavora presso il CSA Treviso
Donella De Carolis
Coordina la Rete “Spazio-Ascolto”
di cui è capofila l’Istituto Comprensivo
di Caerano S. Marco
Alberto Ferrari
Coordina “ReteOrione – orientamento
e formazione” di cui è capofila l’Ipsia
Galilei di Castelfranco Veneto
ORIENTAMENTO
29
ORIENTAMENTO
ED EMPOWERMENT
IL NUOVO OBIETTIVO DELL’ORIENTAMENTO
Federico Batini
I
l processo di
empowerment intende
favorire l’espressione
personale nella
determinazione della
propria vita futura.
Il percorso narrativo ha
lo scopo di analizzare,
ricostruire e valorizzare
le competenze
sviluppando
l’autoefficacia della
persona
PREMESSA
L’orientamento, nella sua seppur
breve storia si è visto assegnare, a
più riprese, diverse funzioni, si è
avvalso di diverse metodologie,
ha esplorato modalità di azione,
utenze, percorsi differenti tra loro,
a volte, persino antitetici. Tramontata ormai la valenza soltanto
informativa dell’orientamento,
tramontata la collocazione in momenti socialmente definiti (passaggio da un ordine scolastico ad
un altro, momento della scelta o
della crisi professionale), riaffermato ormai il primato del soggetto
nel percorso orientativo e la duratività dello stesso, la sua collocazione in momenti soggettivamente
definiti, compiuto il passaggio per
cui esso si avvicina, sempre di più
alla formazione acquisendone caratteri, intenzionalità, in alcuni casi tempi e modalità di raggruppamento, potremmo osservare che si
sta delineando ormai una nuova
30
pratica per la quale potremmo trovare nel termine empowerment la
nuova centratura. Sempre più
spesso nella definizione delle funzioni dell’orientamento compare il
termine empowerment. L’emersione di paradigmi orientativi non direttivi, centrati sull’utente, qualitativi ha facilitato la progressiva
importanza che questo costrutto
teorico-pratico ha assunto all’interno del processo orientativo. Oggi infatti si preferisce assegnare all’orientamento la funzione di empowerment di un soggetto che ne aumenti il controllo e la percezione di
controllo sulla propria vita e sulle
proprie scelte. Molto spesso nelle
scelte ci si situa, oggi, in una deprivazione o in una sovrabbondanza informativa. Si tratta di due
condizioni che non facilitano, la
prima non consente una scelta opportuna, informata, adeguata, la
seconda imbroglia, confonde, travolge. La funzione dell’orientamento assume un’importanza maggiore, l’orientatore non supporta
più soltanto in determinate fasi, ha
compiti di empowerment, aiuta a
costruire competenze di scelta,
competenze progettuali, ascolta,
informa, forma.
CHE COSA È
L’EMPOWERMENT?
Negli anni ‘50 e ‘60, negli Stati Uniti il termine empowerment viene
usato dagli studi di politologia in
riferimento ai movimenti per i diritti civili e sociali delle minoranze
e contro l’emarginazione e la segregazione razziale (soprattutto
della popolazione afroamericana).
Negli anni ’70 il termine fa il suo
ingresso nella letteratura socio-politica, nella teoria della democrazia
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
■
27
moderna, nei movimenti femminili e delle minoranze. Soltanto negli
anni ’80 il concetto di empowerment viene mutuato anche a livello
organizzativo e nelle teorie del management.
Rappaport ha attribuito al termine
empowerment, già dal 1977, il significato di acquisizione di potere,
intendendo così concentrarsi sull’incremento delle capacità delle
persone nel controllare in modo attivo la propria vita, utilizzando il
termine per la prima volta in riferimento a contesti psicosociali.1 Kieffer (Kieffer, 1984) utilizza questo
termine nelle ricerche che svolge
con soggetti che provengono da
ambienti o gruppi etnici socioculturalmente deprivati.
Anzitutto dobbiamo ricordare come l’empowerment comprenda sia
i processi (empowering) che i risultati (to be empowered).2
Secondo Zimmermann vi sono alcuni presupposti teorici da considerare quando si parla di empowerment, ovvero: si tratta di una variabile continua, in continua evoluzione (evoluzione non sempre lineare),
è un costrutto contestuale (non è
possibile un’eccessiva generalizzazione ma deve specificarsi in relazione al contesto ed alla popolazione), può essere articolato ad un livello individuale, organizzativo, di
comunità.3
L’empowerment viene progressivamente definito attraverso analisi
che prendono in considerazione le
regole ed i modelli impliciti nelle
organizzazioni e nei sistemi sociali
(ai quali ci si aspetta che i singoli
soggetti si adeguino e conformino): queste regole e questi modelli
producono marginalità negli individui che non riescono o non vogliono adattarsi, la marginalità non
consente di accedere ai servizi of-
Orientamento e scuola
Livelli
Destinatari
Oggetto di interesse
dell’empowerment
Livello individuale
Il singolo soggetto
Il potenziamento e l’espansione
dell’io individuale
Livello organizzativo
Il management ed i componenti dell’organizzazione
L’organizzazione come sistema:
in tutte le sue componenti statiche
e dinamiche
Livello di comunità
Il soggetto nel gruppo, nel proprio
contesto, ed i componenti
del gruppo stesso.
L’emarginazione,
il disagio psicologico.
I tre livelli secondo i destinatari e l’oggetto di interesse dell’empowerment: (rielaborazione da Piccardo, 1995)4
ferti dalla società, ad esercitare
cioè, pienamente, il proprio diritto
di cittadinanza; l’empowerment
diviene, in questo senso, un antidoto ad un processo di questo tipo.
Nella Conferenza delle donne di
Pechino, nel 1995, l’utilizzo del termine è passato da un uso specialistico ad un uso maggiormente diffuso in relazione alle strategie di
intervento contro la marginalità
sociale e di genere. Negli ultimi anni, oltre ai contributi derivanti dalla letteratura sull’apprendimento e
sulla formazione e da quella della
psicologia di comunità, il concetto
è stato recepito anche dalla letteratura medica e psicoterapeutica, in
relazione al rapporto medico-paziente o terapeuta-paziente e come
costrutto che propugna l’attivazione e l’informazione del soggetto
come forte componente di gestione
della salute (sia in ottica preventiva che curativa).
EMPOWERMENT
ED ORIENTAMENTO
Per quanto riguarda l’orientamento, l’empowerment, come anticipa-
to nel primo paragrafo, è strettamente correlato alla dimensione
psicologico-individuale dello stesso. E’ sufficiente infatti esaminare
quali sono i concetti ai quali si fa riferimento in questo primo orizzonte di azione dell’empowerment per
evidenziarne i legami con il processo orientativo:
• il concetto di self percived efficay
(autoefficacia percepita, coniato
da Albert Bandura): il livello di
autoefficacia percepita misura
quanto ogni soggetto creda alle
proprie capacità di attivare risorse cognitive e comportamentali
atte ad ottenere i risultati attesi
(esempio: quanto mi percepisco
efficace rispetto ad un compito
,indipendentemente dalla conoscenza o dalla ripetizione dello
stesso?). Risulta ormai dimostrato come queste credenze di efficacia contribuiscano notevolmente a determinare le probabilità di successo;
• il concetto di percezione e di valorizzazione delle proprie abilità
e competenze;
• i fattori motivazionali che, partendo da un cambiamento pensato come possibile, attivino il
soggetto e gli consentano di inse-
■27
QUADERNI
DI
rirsi in dinamiche di azione collettiva.
Il percorso dell’empowerment dovrebbe portare da uno stato di learned helplessness (passività o impotenza appresa, acquisita) in direzione di una learned hopefullness
(acquisizione di fiducia nella possibilità di determinare la propria
esistenza, una “speranza appresa”). Si evidenzia immediatamente
la coincidenza di obiettivi, ogni
orientatore potrebbe acconsentire
ad avere come risultato atteso
un’attivazione del soggetto e l’acquisizione, da parte dei propri
utenti, di una fiducia nella reale
possibilità di incidere attivamente
nel determinare la propria vita futura. Non c’è nemmeno bisogno di
sottolineare quale sia l’importanza
attribuita dall’orientamento all’esplicitazione e valorizzazione delle competenze del soggetto. L’analisi, la ricostruzione e la valorizzazione delle competenze ed abilità
dell’utente, la sua rimotivazione, il
potenziamento della sua efficacia
percepita sono obiettivi che l’orientamento indubbiamente si pone. Per questo, oggi, con una formula sintetica diventa possibile
ORIENTAMENTO
31
ORIENTAMENTO ED EMPOWERMENT
Virgilio Tramontin, Neve nel viale, acquaforte.
32
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
■
27
Orientamento e scuola
dire che l’orientamento ha come finalità principe l’empowerment dei
soggetti.
UN PROGETTO
DI EMPOWERMENT
NARRATIVO:
TRA SOGGETTO
E COMUNITÀ
Il 1954 fu un anno cruciale per la
Maremma, per la sua industria
estrattiva e per i suoi abitanti, ma
soprattutto per il borgo interamente minerario di Ribolla (GR).
La mattina del 4 maggio 1954 nel
piccolo villaggio avvenne la più
grave tragedia mineraria italiana
del secondo dopoguerra che causò la morte di 43 persone. Una
violenta esplosione di grisou si
verificò fra le 8.35 e le 8.45 nella
sezione “Camorra Sud”, la parte
più meridionale dell’intero bacino lignitifero, la più profonda, la
più ricca e la più recente, il pozzo
era stato eretto nel 1948. L’esplosione percorse le gallerie, a più di
200 metri di profondità, con
un’onda d’urto che si propagò
per i cunicoli principali della miniera, distruggendo ogni cosa
trovasse. Subito dopo la vampata
le fiamme piombarono nelle
aperture risucchiate verso l’uscita dei pozzi mentre le tubature
esplodevano, l’acqua riempiva le
cavità, le pareti e le volte delle
gallerie crollavano. Lo scoppio
del grisou ebbe anche come effetto quello di fare salire la temperatura delle gallerie dai 40 gradi,
che normalmente vi si riscontravano, fino ai 100-110 gradi.
La ricorrenza del 50° anniversario
della tragedia del Pozzo Camorra
dove morirono 43 minatori per una
esplosione di grisou, è l’occasione
per riprendere il filo di una storia
interrotta. Dal 4 maggio 2004 con le
parole, i libri, le foto, gli audiovisivi, le incisioni, le installazioni, le
passeggiate, la segnaletica, lo sceneggiato radiofonico, Ribolla è stata
trasformata in una grande macchina narrativa.
Nel complesso e ricchissimo percorso che ha consentito la riappropriazione, ad una comunità intera,
della propria storia, si è inserito anche un percorso di orientamento
narrativo, metodologia che ha come
obiettivo principale quello dell’empowerment5.
C’ERA UNA VOLTA
LA MINIERA…
ANCHE PER CHI
NON C’ERA
In una dimensione di orientamento, come empowerment, si situa
questo particolare progetto che ha
agito all’interno della complessa
“macchina narrativa” di Ribolla
2004, un’ottica dunque di empowerment dei singoli soggetti e
della comunità intera, anzi un
esempio paradigmatico di questa
attenzione mantenuta ai due
aspetti. Il progetto, realizzato con
i bambini delle scuole elementari
del luogo, si è svolto, nell’ambito
delle manifestazioni di Ribolla
2004. Realizzato da Thélème s.r.l.
(www.theleme.it) nella primavera, ha ispirato anche l’intero programma delle celebrazioni del
cinquantenario della tragedia di
Ribolla, che è diventato, nel suo
complesso, una “macchina narrativa”6. Si è scelto di lavorare con i
bambini attorno a dei nuclei se-
■27
QUADERNI
DI
mantici centrati su opposizioni,
costruendo dunque una “sceneggiatura” scritta durante l’intero
percorso e che giocava tra il presente e la memoria, tra il luogo fisico Ribolla e i luoghi metaforici
costituiti dai nuclei tematici. Le
produzioni, ricche di significato
dei bambini hanno consentito, nei
due convegni dedicati a questa
parte della manifestazione (uno
aperto al pubblico ed un seminario “a porte chiuse”, riservato ad
esperti ed insegnanti e centrato
sulla valutazione del progetto) di
enucleare i risultati principali:
• la scoperta di un’appartenenza
ad una comunità locale che condivide un passato, dei significati,
una dimensione storica;
• un rafforzamento delle capacità
di autoanalisi;
• un potenziamento delle capacità
espressive e di autoespressione
(quindi, sul medio termine di autorealizzazione ed autostima);
• la comprensione dell’esistenza
di più punti di vista e più significati attribuibili alla stessa cosa
o al medesimo evento;
• la restituzione alla comunità del
punto di vista dei bambini (ricchissimo ed emotivamente denso) sulla propria storia locale,
con l’apertura di nuovi sensi e significati da attribuire alle proprie radici culturali e di conseguenza alla dimensione progettuale di un’intera comunità locale.
Nella tabella che segue presentiamo alcuni dei nuclei tematici affrontati con ogni gruppo classe.
Per ogni nucleo erano previsti due
incontri da due/tre ore ciascuno,
con una certa flessibilità di orario.
Le insegnanti hanno partecipato in
modo vivo, competente, rispettoso
ed attivo all’intero svolgimento del
progetto.7
ORIENTAMENTO
33
ORIENTAMENTO ED EMPOWERMENT
“L’orrore di quel momento”, continuò il Re, “non lo dimenticherò mai, mai!” “Si, invece”, disse la Regina, “se non ne prenderai nota”.
(da “Attraverso lo Specchio” di Lewis Carroll)
NUCLEI TEMATICI
AZIONI
OBIETTIVI
MATERIALI
PRODOTTI
Terra/Sottoterra
sopra/sotto
giù/su
profondo/superficie
Introduzione: si racconta ai
bambini che cosa faremo con
loro e si chiedono le loro
opinioni in proposito (si può
fare attraverso un piccolo
racconto di un percorso
chiedendo poi loro di fare un
disegno su come si
immaginano che questo
percorso si articolerà, su come
andrà a finire etc…
Confrontarsi con le paure
La storia della miniera di
Ribolla riscritta attraverso gli
occhi di un bambino
(raccontarla pensando che fosse
un bambino a vedere la
miniera, non in relazione alla
tragedia del 1954, piuttosto in
relazione alla quotidianità della
miniera)
Disegni delle paure dei
bambini e paure dei grandi
“La storia del leone e della talpa”
(Subcomandante Marcos)
Occorre valorizzare gli
interventi dei bambini, tramite,
ad esempio, la produzione di
racconto collettivo con le loro
esperienze su questo nucleo
tematico
Letture stimolo (cfr. materiali)
Attività grafico pittorica
Confrontarsi con la memoria
della paura
Confrontarsi con il futuro:
essere grandi significa abolire
le paure? Di che cosa hanno
paura i grandi?
Comprensione dei momenti in
cui “sono su” e dei momenti in
cui “sono giù” (come metafora
e letteralmente)
Leggerezza, superficialità,
profondità… che significati
possono veicolare?
Racconti interrotti da
continuare
Racconti costruiti con il collage
(materiali pre-preparati con già
personaggi etc….)
Qualche passaggio da Verga o
da altri testi classici che parlano
di miniere, e dei relativi nuclei
tematici ….
Storia della gabbianella e del gatto
di Sepulveda
“Raccontiamoci”: brevi
componimenti sulle paure e le
certezze nel cuore di un bimbo
(..e nel bimbo che è in ognuno
di noi: perché non raccontarsi
insieme a loro?!)
Preparazione della produzione
finale
Il gabbiano di R. Bach
Il piccolo principe di A. S. E.
Nero/Bianco
buio/luce
giorno/notte
Che cosa è il buio? Che cosa è
la luce?
Attività di scrittura libera,
attività grafico-pittorica.
Racconti sulla creazione attinti
da più religioni, prendendo i
passi che raccontano il
passaggio dal caos all’ordine,
dal buio alla luce.
I luoghi del buio ed i luoghi
della luce: l’esperienza
individuale e l’esperienza
collettiva.
I colori e le persone: attività
interculturali (narrazioni e
giochi).
Stimolo a produzioni narrative:
esempio il lavoro tratto da Lino
Di Lallo, “Quo Lapis?”,.
Stimolare la fantasia e la
creatività dei bambini
(creazione di poesie, brevi testi)
attraverso il superamento della
paura e del silenzio che
provoca un foglio bianco
Il razzismo spiegato a mia figlia di
T. B. Jelloun
Accogliere contraddizioni e
conflitti (anche interiori, legati
allo sviluppo dell’identità).
Sviluppare la valenza positiva
della contraddizione creativa
(il rispetto della propria
e dell’altrui individualità
nella vita).
L’inventore di sogni di Ian Mc
Ewan
Accogliere l’alterità e la
differenza
La notte e il giorno: simboli,
sogni, sussurri….
Sporco/pulito
Puzzo/profumo
Sudato/asciutto
Qui si lavora in modo molto
giocoso: giochi, narrazioni
stimolo, immagini (per esempio
da “La guerra dei bottoni”) e
produzione di raccontini
Giocare con il concetto di
sporco e pulito avvicinandolo
anche al concetto di
concesso/proibito ma anche al
lavoro ed al lavoro in miniera
così come loro se lo
rappresentano
Testi sulla creazione: brani
molto narrativi o narrazione di
brani che non lo sono a
sufficienza
Cartoncini, fogli bianchi,
lapis…tanta accortezza e una
presenza non ingombrante
(ovvero: i bambini si
interrogano, vogliono sapere,
ad esempio, cos’è il bianco di
Crems ecc. ma a noi spetta il
diritto di non dare spiegazioni,
se non quelle “definizionali”,
per non inficiare un loro
corretto approccio con
l’immaginario e la conseguente
produzione creativa)
Gli sporcelli di R. Dahl
Il profumo di Patrik Suskind
Immagini tratte da film come
“La guerra dei bottoni”,
“I 400 colpi” e/o altro
Tab. 1: Nuclei tematici affrontati con ogni gruppo classe
34
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
■
27
Poesie o brevi testi, racconti,
insomma tutto ciò che i
bambini riescono a sviluppare
a partire da un foglio bianco,
tramite una semplice
associazione di idee.
Poesie, canzoni, racconti sul
tema luce/buio
Fotocopie di canzoni, fogli
bianchi, lapis..
Preparazione produzione finale
Cartelloni con le percezioni dei
bambini rispetto a questi nuclei
tematici
Produzione di filastrocche.
Preparazione per la produzione
finale.
Orientamento e scuola
Come risulta evidente dalla colonna che enuclea gli obiettivi la centratura è stata nel rafforzamento e
potenziamento di alcune competenze e disposizioni comportamentali
dei bambini, in un’ottica di sviluppo delle proprie capacità e delle
proprie visioni. Il diritto di eguale
cittadinanza e dignità che hanno
avuto la pluralità di linguaggi utilizzati ha consentito un empowerment rispettoso delle differenze,
notevole, in effetti, è stata, da parte
degli stessi bambini la sottolineatura di questa libertà di espressione.
NOTE
1) Rappaport J., 1977, Community
Psychology. Values, Research and Action., New York, Holt Rinehart &
Winston.
2) La parola inglese “empowerment” può essere tradotta in italiano con “conferire poteri”, “mettere
in grado di”. Deriva dal verbo “to
empower” che include una duplice
sfumatura di significato intendendo sia il processo operativo per raggiungere un certo risultato, sia il risultato stesso, cioè lo stato “empowered” del soggetto.
3) Zimmermann, M. A., 1999, Empowerment e partecipazione della comunità, in «Animazione Sociale», 2,
10-24.
4) Piccardo, 1995, Empowerment,
strategie di sviluppo centrate sulla persona, Milano, Raffaello Cortina.
5) Per approfondire la metodologia
dell’orientamento narrativo e la sua
finalità di empowerment si vedano
almeno i seguenti testi: Batini, Zaccaria (a cura di, 2000), Per un orientamento narrativo, Milano, Angeli;
Batini, Zaccaria (a cura di 2002), Fo-
to dal futuro. Orientamento narrativo,
Arezzo, Zona; Batini, Del Sarto
(2005), Narrazioni di narrazioni.
Orientamento narrativo e vita quotidiana, Trento, Erickson.
6) Per il progetto “Ribolla 2004 – La
miniera a memoria” si rinvia al sito
www.ribolla2004.it.
7) Gli operatori che hanno lavorato
con le classi delle scuole elementari
sono stati: Simone Cini, Francesca
Bellugi, Fabio Pietro Corti. Il progetto è stato ideato e diretto da chi
scrive, la formazione degli operatori coinvolti è stata opera di Thélème. La ricerca sul ricchissimo materiale prodotto dai ragazzi è ancora
in corso e ne sarà dato conto in un
volume che vedrà la luce tra alcuni
mesi nella collana “Comunità e persone” della Erickson.
BIBLIOGRAFIA
Batini F., Del Sarto G. (a cura di,
2005), Narrazioni di narrazioni.
Orientamento narrativo e progetto
di vita, Trento, Erickson.
Batini F. (a cura di, 2005), Manuale
per orientatori, Trento, Erickson.
Batini F., Capecchi G., Forzoni A., (a
cura di, 2005), Dopo il diploma. Informazioni per l’orientamento, Arezzo,
ZU (Zona Università) Zona.
Batini F., (2005), Trovare lavoro, Roma, Buffetti.
Batini F., Zaccaria R. (a cura di),
2002, Foto dal futuro. Orientamento
narrativo, Arezzo, Zona; Batini F.,
Zaccaria R. (a cura di, 2000), Per un
orientamento narrativo, Milano, Angeli.
Baumann Z., 1999, La società dell’incertezza, Il Mulino, Bologna.
Di Fabio A., 1998, Psicologia dell’orientamento, Giunti, Firenze.
■27
QUADERNI
DI
Domenici D., Manuale dell’orientamento e della didattica modulare, Roma-Bari, Laterza, 1998; Giaconi N.,
Antoni N., Trovare il lavoro che piace,
Rimini, Maggioli, 2001.
Grimaldi A., Porcelli R. (a cura di),
L’orientamento a scuola: quale ruolo
per l’insegnante, Milano, Angeli ISFOL, 2003.
GRIMALDI A., (a cura di), Profili professionali per l’orientamento: la proposta ISFOL, Angeli - ISFOL, 2003.
Grimaldi A., (a cura di), Repertorio
bibliografico nazionale sull’orientamento, Angeli - ISFOL, 2003.
Groupe de réflexion sur l’education
et la formation, 1997, Rapport- Accomplir l’Europe par l’éducation et la
formation, CECA-CE-CEEA, Bruxelles-Luxembourg.
Keiffer C. (1984). Citizen empowerment, Prevention in human service,
213, 3, 9-36.
Piccardo C., 1995, Empowerment,
strategie di sviluppo centrate sulla persona, Milano, Raffaello Cortina.
Pombeni M. L., 1996, Orientamento
scolastico e professionale, Il Mulino,
Bologna.
Pombeni M. L., 1996, Il colloquio di
orientamento, La Nuova Italia Scientifica, Roma.
Rappaport J., 1977, Community Psychology. Values, Research and Action.,
New York, Holt Rinehart & Winston.
Zimmermann M. A., 1999, Empowerment e partecipazione della comunità, in «Animazione Sociale», 2,
10-24.
Federico Batini
Direttore di Pratika
ORIENTAMENTO
35
CENTRA LA SCELTA!
UN QUESTIONARIO DI AUTOVALUTAZIONE
ON-LINE
Giovanna Gulli, Stefania Pozzi
S
aper scegliere non è più
una prerogativa
di secondo livello,
ma una competenza
fondamentale per
orientarsi in un futuro
sempre più complesso.
La flessibilità
e la mobilità risultano
essere abilità
necessarie in una
società così articolata
LA METODOLOGIA
DELLA
RICERCA-AZIONE
PREMESSA
Il saper scegliere non può essere
più confinato a pochi momenti
cruciali (le transizioni da un ciclo
di studi ad un altro), ma deve essere insegnato, studiato e sviluppato durante l’intero percorso di
crescita dello studente. In una società e in un mondo del lavoro in
cui cognizioni come la flessibilità
e la mobilità risultano essere abilità necessarie, il saper scegliere
non è più una prerogativa di secondo livello, ma diventa una
competenza fondamentale per
orientarsi in un futuro sempre più
complesso e articolato. Dall’analisi del clima socio-culturale nel
quale preadolescenti e adolescenti
sono chiamati a vivere oggi, spesso entro contesti che non sempre
sono in grado di accompagnare i
processi di crescita e di costruzione della loro identità verso scelte
di vita sufficientemente stabili,
prende avvio la ricerca-intervento
36
Progettualità e orientamento alle
scelte. L’obiettivo dell’indagine,
attivata nel mese di novembre
2004 da Fondazione IARD 1, dal
COSPES (il Centro di Orientamento Scolastico e professionale Salesiano) e dalle Direzioni Scolastiche Regionali di Abruzzo, Liguria,
Lombardia, Piemonte, Puglia, Toscana, Umbria è stato quello di
comprendere i bisogni orientativi
degli studenti nelle differenti fasi
di transizione e di scelta, per lo
sviluppo di percorsi, strumenti e
condizioni che attivino una progettualità consapevole.
Il progetto si fonda sul contributo
scientifico della metodologia della
“ricerca-azione” (action-research),
che intende attivare un processo di
cambiamento attraverso il contributo partecipato dei soggetti. L’individuo, da “oggetto di studio”, diviene “soggetto protagonista” dell’analisi del proprio vissuto e, quindi,
favorisce la creazione di nuove leve
di motivazione all’agire.
Sulla base degli approcci teoricometodologici presentati, il progetto
prevede lo sviluppo di 3 fasi modulari interdipendenti. L’evoluzione
di queste fasi modulari, attraverso
una continua ricaduta sul campo
dei risultati attesi, sviluppa un circolo virtuoso della “ricerca-intervento”, al fine dell’elaborazione di
un modello orientativo/educativo
che coinvolga l’intero ciclo di vita
formativa.
Fase 1 – quantitativa [2005] ➞ Questionario on-line “Centra la scelta!”
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
■
27
Analisi del panorama giovanile in
ordine al tema delle scelte e primo
livello di intervento nel processo di
autoconsapevolezza alla comprensione della propria identità.
Fase 2 - qualitativa [2006] ➞ Focus
group, counseling
Definizione ed analisi delle strategie decisionali degli studenti, attraverso il confronto con il gruppo dei
pari, per l’attivazione di modifiche
degli stili cognitivi e dei comportamenti in ordine alle scelte.
Fase 3 formativa [2007] ➞ Esperienze pilota
Elaborazione di esperienze pilota,
per la costruzione di percorsi orientativi e modelli di intervento nelle
scuole.
IL QUESTIONARIO
DI AUTOVALUTAZIONE
ON-LINE
Punto centrale della prima fase della ricerca, conclusasi nel dicembre
2005 nelle 7 regioni di cui sopra, è
rappresentato dallo strumento
ideato, un questionario di autovalutazione on-line (www.questionarioorientamento.org)2, compilato da
poco meno di 7.000 soggetti, che ha
inteso articolarsi su un duplice livello.
Da un lato il livello di indagine conoscitiva, attraverso il quale si è voluto effettuare una mappatura in
tempo reale dei fabbisogni orientativi degli studenti, di età compresa
tra i 13 e i 19 anni, per delineare il
quadro dei vissuti e delle strategie
decisionali degli studenti, in ordine
alla costruzione di una progettualità consapevole.
In particolare, l’obiettivo è stato
quello di cogliere ed elaborare il
vissuto degli studenti in relazione
Orientamento e scuola
Virgilio Tramontin, San Vito al Tagliamento, acquaforte.
ai momenti di transizione nel loro
percorso scolastico e formativo, al
fine di analizzare i criteri adottati
per l’elaborazione dei processi decisionali, dei fattori esogeni che influenzano il processo decisionale,
delle aspettative circa il proprio futuro scolastico/professionale.
Dall’altro lato il livello di intervento, attraverso il quale predisporre
spazi e tempi di interazione e confronto per la messa in gioco del Sé.
In questo senso, il questionario è
stato strutturato come uno strumento di autovalutazione delle
competenze orientative, grazie alla
restituzione immediata e personalizzata dei risultati ottenuti, resa
possibile dalla compilazione informatizzata dello strumento. Per attivare questo secondo livello di intervento, ci si è avvalsi della visualizzazione on-line di alcuni grafici di
autovalutazione alle scelte, utili per
avviare una riflessione, autonoma o
guidata da un figura di riferimento
per l’orientamento, sui propri processi di scelta e sui propri fabbisogni orientativi. Le indicazioni fornite non intendono delineare quale
percorso intraprendere, non offrono
risposte immediate e definitive ma
intendono favorire nel soggetto il livello di autoconsapevolezza e autovalutazione dei propri punti forti e
punti deboli, per aprire la strada alla comprensione della propria identità e potenziare così le proprie
competenze orientative.
Data la compilazione on-line, caratteristica del questionario Centra la
scelta! è la sua natura “multi-livello”; nel corso della rilevazione sul
campo (aprile-giugno 2005) lo strumento è stato reso fruibile a tre differenti tipologie di campione di
utenti:
• il campione di studenti statisticamente significativo della popolazione scolastica delle 7 regioni
■27
QUADERNI
DI
coinvolte nel partenariato (definito come “campione casuale” 3.000 unità), guidati nella compilazione dai rilevatori di Fondazione IARD;
• gli studenti del territorio nazionale delle scuole non estratte
(definito come “altre scuole” 3.251 unità), accompagnati da un
docente/tutor;
• i cosiddetti “net-surfer”, ossia i
giovani interessati all’argomento
proposto dal questionario (851
unità), che hanno “incontrato” il
questionario nella navigazione in
rete (definiti come “altri utenti”).
LA STRUTTURA
DEL QUESTIONARIO
CENTRA LA SCELTA!
Al termine della compilazione del
questionario, ogni utente può vi-
ORIENTAMENTO
37
CENTRA LA SCELTA!
sualizzare il proprio profilo orientativo3, costruito attraverso un’articolata strutturazione ad albero che organizza in sottodimensioni, dimensioni e macro aree, le aree di competenza decisionale.
Per costruire tale matrice connettiva è stato necessario sviluppare
due livelli di pre-test, grazie ai quali è stato possibile creare indicatori
e, attraverso l’analisi fattoriale degli item, mettere in evidenza l’esistenza di alcune sotto-dimensioni
che riflettono la capacità di autovalutazione della sfera emozionale,
cognitiva e comportamentale del
soggetto.
Tali sotto-dimensioni sono state
successivamente accorpate in 10
dimensioni, che consentono l’autovalutazione della rappresentazione del Sé (soggetto del processo di orientamento), in funzione
dell’insieme dei significati e dei
valori, dei vissuti e delle abilità
personali nei confronti della scelta; tale rappresentazione viene
posta in relazione al sistema di
rappresentazioni dell’esperienza
formativa/professionale (oggetto
del processo di orientamento) ed,
infine, in relazione alla percezione dei vincoli e delle opportunità
di scelta presenti nell’ambiente
(contesto del processo di orientamento).
Le dimensioni sono state a loro volta poste in relazione alle 3 macro
aree su cui si fonda il questionario
di autovalutazione (area delle Rappresentazioni, delle Risorse personali e dell’Atteggiamento di fronte
alla scelta).
L’ipotesi di ricerca che sta alla base della complessa architettura a
“tre stadi”, così costruita, è fondata sul principio di attivazione del
processo di autovalutazione delle
competenze orientative (che av-
38
Percorso di rilevazione dei fabbisogni orientativi
RAPPRESENTAZIONI
Sé ideale
• Futuro
• Scuola
• Lavoro
RISORSE PERSONALI
Sé reale
• Problem solving
• Metodo di studio
• Motivazione allo studio
ATTEGGIAMENTO
DI FRONTE ALLA SCELTA
COMPIUTA
Sé passato
• Soddisfazione
• Modalità decisionale
ATTEGGIAMENTO
DI FRONTE ALLA SCELTA
FUTURA
Sé futuro
• Modalità decisionale
• Livello informativo acquisito
Fig. 1: Rappresentazione della struttura teorica del questionario
viene nel corso della compilazione
dello strumento e nella lettura del
risultato ottenuto), grazie al quale
il soggetto compie un percorso
che prende avvio dall’analisi delle
proprie rappresentazioni, per passare attraverso l’autovalutazione
delle proprie risorse personali e
concludersi, infine, nell’analisi del
proprio atteggiamento attivato nei
confronti della scelta (compiuta e
futura).
IL BERSAGLIO
Gli studenti che compilano on-line
il questionario ottengono immediatamente un feedback circa la perce-
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
■
27
zione che essi hanno di sé in relazione alle tematiche affrontate nelle
aree di indagine considerate. Infatti,
a livello grafico, terminata la compilazione, ai ragazzi compare un
bersaglio diviso in quattro “spicchi” (le quattro macro aree) con le
rispettive quattro frecce che, a seconda del punteggio ottenuto, cadono più o meno vicino al centro
del bersaglio (corrispondente al
punteggio più elevato).
A livello visivo, quindi, lo studente non vedrà immediatamente il
proprio punteggio ottenuto, ma
solamente 4 frecce posizionate
dentro all’area del bersaglio, collocate ad una distanza variabile
dal centro.
Orientamento e scuola
Fig. 2: Es. di grafico di primo livello di restituzione dei valori ottenuti. Ogni quadrante del bersaglio rappresenta una delle quattro macroaree investigate. Cliccando sull’icona di riferimento è possibile accedere ai grafici di secondo livello
Il bersaglio è circondato dai quattro fumetti della “mascotte” del
questionario, rappresentata da un
ragazzo/a che comunica all’utente, mediante il proprio atteggiamento corporeo e l’espressione
del viso, il risultato più o meno
soddisfacente all’interno di ciascuna macro area. Inoltre, le immagini sono accompagnate da
una descrizione sintetica delle
macro aree (Fig. 2).
Un secondo livello di lettura delle informazioni è dato dai punteggi che il ragazzo ottiene nelle
quattro competenze, che può visualizzare “cliccando” di volta
in volta sulle mascotte (Fig. 3).
La pagina che si apre mostra i
punteggi percentuali ottenuti da
chi ha compilato il questionario,
distinti per dimensioni e sottodimensioni e arricchiti da un’indicazione neutra per la lettura e
l’interpretazione degli stessi;
processo questo che valorizza
l’autonomia e la libertà di azione
del giovane. Le percentuali relative alle dimensioni e sottodimensioni sono accompagnate
sempre da una grafica divertente
e dinamica, raffigurante la ma-
scotte in posizione d’inizio gara
o di corsa, che dà l’idea del movimento verso il raggiungimento
dell’obiettivo, del miglioramento, della crescita, della strada da
percorrere.
Ma, in concreto, cosa accade
quando lo studente visualizza i
risultati al termine della compilazione del questionario? Il processo di autovalutazione, già attivato durante la compilazione, acquista maggiore spessore: la finalità delle informazioni di feedback, infatti, è quella di favorire
la destrutturazione del campo cognitivo del giovane attraverso la
destabilizzazione delle mappe
cognitive e del sistema di rappresentazioni che egli ha consolidato
in riferimento alla visione del Sé
(in quanto decision maker), stimolando così il desiderio di approfondimento, di confronto sulle dimensioni critiche, o di difficile lettura. Da notare che, nel momento in cui i risultati relativi ad
Fig. 3: Grafico di secondo livello. Ogni macro area offre all’utente la possibilità di
visualizzare in maniera più specifica e personale il proprio risultato. L’atto motorio
della mascotte (corsa, pattinata, salto, …) aiuta l’utente a rappresentare la strada
percorsa e quella che ancora deve percorrere
■27
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
39
CENTRA LA SCELTA!
Virgilio Tramontin, Il muro di cinta, acquaforte.
una qualsiasi macro area si presentano collocati ad un livello insoddisfacente, la mascotte invita
il giovane ad approfondire i risultati attraverso un supporto
orientativo.
L’idea di utilizzare nel questionario una grafica giovane, accattivante e facilmente confrontabile, nasce anche dalla necessità di
ottenere l’attenzione e la partecipazione del gruppo dei pari, sia
all’interno che all’esterno del
contesto scolastico istituzionalizzato. Inoltre, la metodologia
del confronto di gruppo intende
valorizzare il ruolo che la scuola
40
porta al processo orientativo, cogliendo il setting di apprendimento in relazione al gruppoclasse.
Infatti, durante il periodo della
socializzazione secondaria gli
amici e i compagni di scuola, con
i quali l’adolescente affronta il
proprio percorso per giungere alla maturità, rappresentano i riferimenti con cui stringere un implicito patto di forte e reciproca
credibilità. Il gruppo dei pari diviene un costante punto di riferimento e metro di valutazione per
la strutturazione del Sé: un luogo
dove condividere esperienze per
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
■
27
tentare di definire la propria personalità e il proprio percorso di
vita; uno spazio che rimane tendenzialmente precluso all’adulto
e dove, a differenza del periodo
infantile, idee, emozioni e comportamenti affettivi vengono condivisi.
Sulla base della metodologia
della peer education, dunque, le
caratteristiche dei feedback (i
grafici di autovalutazione), restituiti al termine della compilazione on-line, acquistano parte del
loro significato in rapporto alle
differenze percepite dal confronto con i risultati dei compagni e,
Orientamento e scuola
conseguentemente, alla connotazione di valore assegnata a tali
differenze.
ASPETTI INNOVATIVI
DELLO STRUMENTO
L’indagine ha reso evidente come
la completa disponibilità dello
strumento appaia una soluzione
efficace per attivare un processo di
auto-orientamento e, se percepito
come necessario, sollecitare il contatto con la consulenza. Il panorama italiano dei sussidi on-line per
l’orientamento, infatti, risulta ancora fortemente legato alla dimensione informativa; tuttavia, all’interno del processo autorientativo,
l’utilizzo del computer non può
più limitarsi al solo compito di raccolta, elaborazione o archiviazione
di dati. Il “rapporto” di semplicità
e immediatezza d’uso, che soprattutto le giovani generazioni ormai
hanno con lo strumento informatico, può facilitare e attivare quel
processo di self-empowerment che
avviene prima di tutto dentro la
persona.
Potenzialmente il computer si configura, quindi, come un mezzo di
comunicazione diretto e dalla notevole efficacia:
• l’interfaccia ludica e accattivante
nella presentazione dei grafici,
avvicina lo strumento al mondo
giovanile cui si rivolge;
• nella fase della restituzione dei
risultati, l’utente è “accompagnato” e si identifica in una mascotte (un ragazzino/a);
• la compilazione si configura come una partita virtuale a freccette, al termine della quale lo studente visualizza immediatamente il punteggio ottenuto in base
al posizionamento delle frecce,
più o meno distante dal centro;
• il livello e la complessità dei risultati ottenuti sono di gran lunga più personalizzati, immediati
e accattivanti di quelli ottenibili
da qualunque altro questionario
cartaceo.
Internet e la soluzione informatica,
in sintesi, si configurano come ambienti facilitanti con cui i giovani
hanno dimestichezza e facilità nell’utilizzo, che possono favorire positivamente l’avvicinamento al processo di orientamento.
Ed è proprio allo scopo di porre
l’accento sull’aspetto educativo dell’interazione con il web, che lo strumento è stato concepito in modo sostanzialmente differente dalla maggioranza dei questionari per l’orientamento presenti on-line, attuandosi attraverso elementi innovativi e sperimentali.
Scopo finale del questionario Centra
la scelta! non è quello di offrire soluzioni concrete e indicare percorsi
formativi o professionali definiti,
bensì l’apprendimento delle modalità personali adottate di fronte alla
presa di decisione e l’acquisizione
della consapevolezza dei propri
punti deboli e punti di forza, al fine
di attivare strategie che permettano
di affrontare razionalmente l’incertezza.
Mentre la maggioranza degli
strumenti on-line agisce sulla “fase finale” del percorso orientativo, quella di carattere progettuale, di elaborazione di un piano
d’azione definito e personalizzato, il questionario Centra la scelta!
si focalizza sulla “fase iniziale”
del processo. Lo strumento proposto agisce sulla cosiddetta fase
di “ricostruzione” (dei vissuti,
delle rappresentazioni, ecc.), al
fine di attivare un processo di auto-esplorazione, per aumentare la
■27
QUADERNI
DI
consapevolezza dell’utente nei
confronti del Sé, secondo una logica di prevenzione e di supporto
ai processi di costruzione di un’identità sociale e professionale,
fondata sul concetto chiave di
educazione alla scelta.
IL QUESTIONARIO:
COME STRUMENTO
DI PREVENZIONE
DEL DISAGIO
E DELLA DISPERSIONE
SCOLASTICA
Accanto all’utilizzo del questionario come strumento di ricerca, volto
a fornire una fotografia del panorama giovanile in relazione alle singole macro-dimensioni di indagine,
Centra la scelta! può fornire indicazioni utili sul processo auto-orientativo dei soggetti coinvolti. Si passa, in sostanza, dalla descrizione
statistica di una serie di item, alla
creazione di un profilo orientativo
dell’utente.
L’analisi dei punteggi medi, ottenuti dai soggetti nelle aree di
analisi individuate (Area della
Rappresentazioni, Area delle Risorse Personali, Area dell’Atteggiamento di fronte alla scelta) ha
messo in luce valori che, per tutte
le dimensioni, si attestano sopra
la sufficienza. Tuttavia, all’interno del campione considerato sono stati individuati soggetti che
hanno ottenuto punteggi insufficienti in una, due o addirittura in
tutte le aree. Se si considera tale
gruppo in termini statistici si
tratta di un numero di individui
minoritario rispetto alla complessità del campione. Al contrario,
utilizzando un approccio psico-
ORIENTAMENTO
41
CENTRA LA SCELTA!
sociale (soprattutto legato alla ricerca-intervento) è possibile evidenziare situazioni a maggior rischio di disorientamento. In questo senso, dunque, il questionario
può risultare utile a docenti e
operatori del settore, ai fini di un
intervento mirato alla prevenzione del disagio e della dispersione
scolastica.
L’elaborazione consapevole dell’interazione dinamica tra le dimensioni del Sé, da parte dell’adolescente,
permette la creazione di spazi di conoscenza e di riflessione sui significati della propria esistenza, presupposto per la costruzione dell’identità personale e sociale. Dunque, individuare le situazioni in cui tale
dinamica di comunicazione risulta
“interrotta”, sembra utile al fine di
comprendere e prevenire percorsi
di disagio.
Accolta questa premessa, i dati permettono di delineare categorie di
“situazioni di disagio”, strutturate
sulla base delle differenti modalità
di correlazione tra le macro aree insufficienti, ovvero analizzando le
differenti modalità di interazione
delle varie dimensioni del Sé.
Sono stati definiti “insoddisfatti”
gli studenti che ottengono un
punteggio al di sotto della sufficienza sia nell’area delle risorse
personali che in quella della scelta compiuta. Il gruppo, infatti,
giudica negativamente tanto la
dimensione del Sé presente, ovvero l’autopercezione delle proprie caratteristiche, attitudini e
abilità, quanto quella del Sé passato, ovvero l’esperienza vissuta
in relazione alla strategie di scelta della scuola. Da sottolineare
che questo gruppo rappresenta il
15,7% del campione preso in analisi, per un totale di oltre 500 ragazzi.
42
Per contro, gli studenti che ottengono un punteggio insufficiente,
tanto nell’area delle risorse personali, quanto in quella della scelta
futura, possono essere denominati come il gruppo dei “timorosi”,
ovvero di coloro che mostrano
una percezione di sfiducia in relazione al proprio senso di autostima/autoefficacia nelle strategie
decisionali (Sé reale), accompagnata da una rappresentazione
negativa di Sé in relazione alle
competenze di strutturazione di
un percorso formativo/professionale futuro (Sé futuro). Tale difficoltà ad investire in modo consapevole nel futuro rischia di portare tali studenti ad una situazione
di centratura sul presente o, al
contrario, ad incorrere nel rischio
di comportamenti decisionali casuali e/o compiacenti, poco consapevoli. A questa categoria appartiene il 7,5% degli studenti
delle scuole superiori.
Coloro che uniscono con un punteggio insufficiente le tre macro
aree di cui sopra (risorse personali,
scelta passata e scelta futura) possono essere definiti come il gruppo
degli studenti “spaventati”, ovvero
coloro che attribuiscono un giudizio negativo alle dimensioni del Sé
presente, passato e futuro. A questo
gruppo appartiene il 4% degli studenti delle scuole superiori, ossia
uno studente su 25, dato dunque,
non trascurabile, soprattutto in funzione del grado di disagio manifestato.
Infine, coloro che si collocano con
tutte le 4 macro aree su un punteggio insufficiente, sono stati definiti
“problematici”, in quanto ad alto rischio di disagio e di difficoltà nella
strutturazione di un percorso progettuale.
La tabella 1 evidenzia la stratificazione per grado di scuola e classe di
età del campione dei ragazzi considerati, nella quale si registra un aumento degli “insoddisfatti” in relazione al crescere dell’età; nonché
una diminuzione della categoria
dei “timorosi” al crescere dell’età:
tale tendenza è data dal miglioramento delle attribuzioni di valore
in relazione all’area delle risorse
personali.
In sostanza, a titolo di semplificazione, si può affermare che, in un
gruppo medio di 20 studenti, è possibile trovare 1 studente “spaventato”, 2 studenti “timorosi” e 3 studenti “insoddisfatti”: si tratta, quindi, di 6 studenti su 20 (pari al 30%)
per i quali andrebbero pensati percorsi di orientamento mirati, a sup-
Scuola media
inferiore
di primo grado
Scuola media
superiore
Scuola media
superiore
Scuola media
superiore
Classi
3^
1^
3^
5^
Insoddisfatti
10,8
12,5
19,2
23
Timorosi
9,5
7,5
4,3
Spaventati
4,1
4,1
3,6
Tab. 1: Percentuali di “insoddisfatti”, “timorosi” e “spaventati” per classe e grado
scolastico
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
■
27
Orientamento e scuola
porto dello sviluppo delle risorse
personali.
IL PROFILO
DEI SOGGETTI
A RISCHIO
DI DISAGIO
Ma chi sono gli studenti a maggiore
rischio di difficoltà? È possibile considerare adeguato il restante 70%
del campione sopra evidenziato?
Un indicatore del “grado di disagio” del soggetto può essere individuato nel numero delle aree considerate insufficienti.
La figura 4 restituisce il dato suddiviso per ordine di scuola.
Una prima lettura evidenzia una
discreta quota di studenti che
non ha “aree deficitarie”: quindi
gli studenti della secondaria di
primo grado, che hanno raggiunto un punteggio sufficiente, sono
poco più di uno su due, mentre
quelli della scuola superiore non
raggiungono la maggioranza. I
soggetti che conseguono 1 “area
deficitaria” sono una percentuale molto simile sia per i preadolescenti che per gli adolescenti.
Benché la presenza di una sola
dimensione insufficiente possa
apparire poco significativa, essa
rimane comunque indicatore di
un vissuto di disagio in una delle dimensioni del Sé coinvolte
nel processo decisionale, rilevato
per una quota complessiva di
studenti che supera la maggioranza dell’intero campione (si
tratta del 33,2% tra i preadolescenti e del 33,5% tra gli adolescenti).
La quota di chi consegue 2 aree insufficienti, nonostante sia una per-
centuale di rispondenti decisamente
minore della precedente, rimane
considerevole, con una differenza significativa tra preadolescenti (10,5%)
e adolescenti (19,8%).
Infine, sembra particolarmente interessante analizzare la quota dei
soggetti che ha conseguito 3 o 4
aree insufficienti4; benché il numero
sia contenuto, si tratta, comunque,
per le scuole superiori, di oltre il 5%
del campione.
Al fine di offrire agli operatori del
settore un profilo, il più possibile
analitico, dei soggetti che appaiono
maggiormente in difficoltà, è stata
correlata la quota di coloro che hanno conseguito 3 o 4 aree insufficienti con alcune variabili socio-demografiche.
Una prima analisi di genere, in
linea con quanto altrove sottolineato, evidenzia come siano più
facilmente i maschi ad esprimere
Fig. 4: Grafico dei giovani distinti per numero di aree deficitarie (val %)
■27
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
43
CENTRA LA SCELTA!
Virgilio Tramontin, Udine, piazza Libertà, acquaforte.
un atteggiamento disorientato,
rispetto alle coetanee. Inoltre, gli
studenti delle scuole superiori
risultano essere percentualmente
più numerosi nelle aree deficitarie 5, rispetto agli studenti della
secondaria di primo grado. Il dato trova riscontro nella ricerca
promossa dal Cospes sulla formazione dell’identità negli adolescenti, in cui si sottolinea la
tendenza ad una valutazione di
sé più positiva e idealizzante da
parte degli studenti più giovani
(Tònolo, De Pieri, 1995).
Per quanto riguarda la tipologia
di scuola, negli istituti professionali si evidenziano percentualmente più soggetti (27,3%)
che hanno ottenuto punteggi insufficienti in almeno 2 aree. Seguono gli studenti degli istituti
tecnici (25,9%) e, per ultimi, si
collocano gli studenti del liceo
(23% dei casi).
Infine, per quanto riguarda l’età,
44
nelle classi III e V delle scuole
superiori, più del 26% dei ragazzi ha un “deficit” in almeno 2
aree; inferiore risulta invece la
percentuale delle classi I (23%).
I dati evidenziano come le situazioni di transizione legate al passaggio da un percorso formativo
ad un altro, o dall’esperienza
formativa al mondo del lavoro,
risultino essere quelle dove più
evidente è il fabbisogno di orientamento, in quanto vissute come
momento di cambiamento che
suscita particolare ansia e inquietudine (soprattutto per gli
studenti maschi).
Si conferma, dunque, come un
processo di orientamento, in linea con le fasi dello sviluppo
evolutivo degli studenti, costituisca presupposto per permettere loro di affrontare la transizione (in particolare al termine
della scuola superiore), come un
“evento significativo” positivo.
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
■
27
NOTE
1) Fondazione IARD, ente no-profit
che opera nell’ambito della ricerca
psico-sociale, con un’attenzione specifica rivolta al panorama giovanile.
2) Il questionario è attualmente compilabile gratuitamente dagli studenti
sul sito indicato. E dal sito del servizio orientamento della regione fvg:
www.regione.fvg/planetgiovani.
3) È bene specificare che il termine
“profilo” intende l’insieme delle dimensioni di natura psico-sociale che
lo strumento ha permesso di leggere e non fa riferimento ad un’analisi
di tipo clinico/diagnostico.
4) La quota dei soggetti che ha conseguito 4 aree insufficienti è troppo
esigua per poter effettuare analisi
specifiche. Pertanto tale quota è stata considerata unitamente alla percentuale di soggetti che risultano
deficitari in 3 aree.
5) Valore definito solo su 3 aree deficitarie.
Orientamento e scuola
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Giovanna Gulli
Stefania Pozzi
ORIENTAMENTO
45
TRANSIZIONE POST-DIPLOMA
I RAGAZZI COME SI ORIENTANO?
Samanta Mosco
L
a ricerca, che ha indagato
le strategie messe in atto
dai ragazzi iscritti
all’ultimo anno del
percorso superiore, ha
offerto un’ulteriore
conferma ai dati presenti
in letteratura, secondo cui i
figli rimangono all’interno
del nucleo familiare
allungando la condizione
di dipendenza giovanile
INTRODUZIONE
Il presente lavoro è la sintesi di
un’indagine condotta nel periodo
marzo-maggio 2002 in alcuni istituti superiori delle province di
Udine e Gorizia, che si prefiggeva
di verificare quali risorse e quali
strategie mettano in atto i ragazzi
che si accingono a scegliere ‘cosa
fare’ al termine del percorso superiore. I dati raccolti, i risultati conseguiti e le considerazioni finali
cui si è giunti sono espressione di
uno specifico campione inserito in
un contesto e in un momento preciso. La ricerca è stata determinata
dall’esigenza di scoprire le modalità con cui un giovane si orienta
tra l’ampia gamma dell’offerta
universitaria e le prospettive del
mondo del lavoro. Naturalmente,
bisogna anche sottolineare il sommovimento che ha coinvolto in
ogni ordine e grado il mondo della scuola ed il radicale cambiamento della concezione stessa di
46
lavoro, che sta rivoluzionando il
mercato (Sgalambro, 2000). Come
fa, lo studente, a scegliere tra una
molteplicità di proposte? Come fa
a discriminare tra la vera motivazione e gli altri aspetti di contorno
(corsi suggestivi, fama dell’università, presenza di un centro
sportivo organizzato, ecc.)? Quale
peso ha la famiglia, nella sua valutazione? E la scuola? E il mondo
del lavoro? In altre parole, come si
orienta lo studente?
L’orientamento implica un insieme
di eventi e di tappe rispetto a compiti da affrontare. La psicologia, col
termine compito di sviluppo, intende
una situazione straordinaria il cui
superamento positivo porta l’individuo ad uno stato di benessere,
mentre un fallimento lo blocca nel
superamento di compiti futuri. Si
parla di compiti di sviluppo connessi ad un processo di scelta (es. la
scelta della scuola), all’impatto organizzativo (es. entrata in una nuova realtà formativa) e alla perdita di
ruolo (es. per abbandono scolastico
o licenziamento).
Rispetto alla natura della transizione, è interessante il lavoro della Schlossberg (1995); l’Autrice
parla di “eventi principali attesi e
normativi” come eventi che la persona sa accadranno (es. la transizione post-diploma), “eventi non prevedibili, imprevisti e non pianificati” (come un licenziamento), “assenza dell’evento” come la concretizzazione
di un evento che ci si aspetta (es.
promozione) e “eventi con preoccupazione persistente”, ossia eventi che
perdurano nel tempo mutando
molto lentamente.
Con l’evoluzione delle teorie dell’orientamento, viene a perdere significato la distinzione tra orientamento scolastico, inteso come
processo a sostegno degli studenti
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
■
27
al momento di scegliere il percorso di studi e orientamento professionale, come attività di sostegno
nella ricerca di un lavoro che tenga conto delle aspirazioni e competenze individuali e delle richieste del mercato. Poiché l’orientamento diviene un processo formativo, è inevitabile la fusione tra
scuola e lavoro, per cui la prima
deve prevedere anche incontri col
mondo del lavoro (es. apprendistato e tirocini formativi e di
orientamento; art.16, art.18 L. n.
196/1997) e il MdL deve essere
supportato da momenti di formazione (Mancinelli, 1999; Di Fabio,
1998). Aspetto emblematico è che
in Italia, l’orientamento scolastico
è di pertinenza del Ministero dell’Istruzione e quello professionale
del Ministero del Lavoro e delle
politiche sociali (Di Fabio, 1998).
Oggi il termine “orientamento” è
utilizzato in due accezioni principali: una indica l’azione di orientarsi,
in altre parole il processo socio-psicologico per il superamento di una
transizione; l’altra indica il vero e
proprio intervento professionale
realizzato da esperti per aiutare
l’individuo a superare il preciso
momento in modo positivo (Pombeni, 1990).
Entrando nel merito dell’attuale
realtà dell’orientamento, si individuano modelli e approcci molto
diversi tra loro. Tra questi si intravedono però due linee guida: da
un lato la concezione dell’orientamento come processo continuo, non
più riferibile solo ad una tappa
ma a tutta la vita; dall’altro il desiderio di aiutare le persone a compiere
le loro scelte in modo corretto. Così, se un approccio, il modello psicosociale, mette in luce lo stretto
legame che intercorre tra i processi psicologici e i processi sociali,
Orientamento e scuola
Virgilio Tramontin, Alberi spogli, acquaforte.
sottolineando il concetto di “transizione psicosociale”, intesa come
quell’evento stressante che, in
quanto tale, determina disorientamento e disorganizzazione provocate dalla novità stessa della situazione (Pombeni, 1996), l’altro,
il modello sociocognitivo, rileva
che la differenza di percorso dipende da processi diversi di scelta, determinati dall’autovalutazione del sé (Pombeni, 1996); questo approccio si concentra soprattutto sul costrutto di autoefficacia, intesa come la percezione di
abilità propria che il soggetto
stesso fa, rispetto al possibile suc-
cesso conseguibile in un compito
(Bandura, 1986).
LA RACCOLTA DATI
La ricerca sperimentale aveva come
scopo principale quello di verificare
due principali ipotesi: la prima, relativa al ruolo delle risorse personali, voleva dimostrare che i ragazzi
che hanno sviluppato una migliore
percezione di loro stessi continuano
negli studi, mentre gli altri si orientano verso il lavoro; la seconda, riguardante invece l’influenza del
percorso di tipo scolastico voleva
■27
QUADERNI
DI
verificare se gli studi di tipo liceale
orientano verso una prosecuzione
degli studi, mentre percorsi di tipo
tecnico e/o professionale verso il
mercato del lavoro.
La raccolta dati è stata condotta in
Friuli Venezia Giulia, nello specifico
in alcuni istituti superiori delle province di Udine e Gorizia. Si è proceduto alla somministrazione di un
questionario semistrutturato a domande chiuse, con risposta su scala
Likert a 5 punti. Il questionario, precedentemente validato, è stato compilato in maniera collettiva dagli studenti all’interno delle diverse classi
(a gruppi di 12- 25 studenti), duran-
ORIENTAMENTO
47
TRANSIZIONE POST-DIPLOMA
te il consueto orario di lezione; nella
maggior parte dei casi, il professore
rimaneva all’interno dell’aula.
Il questionario, nelle due versioni in
cui era stato predisposto, andava ad
indagare quattro principali ambiti,
quali: aspetti socio-anagrafici, esperienza formativa e lavorativa, risorse
applicate nella vita quotidiana e atteggiamenti verso il futuro. Gli item che
compongono il questionario, in entrambe le versioni, possono essere
raggruppati in tre aree:
- Area competenze orientative di base.
Sono competenze generali, tramite le quali ciascuno si crea una
cultura e un metodo orientativo.
La scuola e la famiglia sono le
principali agenzie formative di tipo spontaneo in cui tali competenze vengono sviluppate; queste
costituiscono un patrimonio implicito e perciò sono di difficile
valutazione. Tali competenze,
inoltre, sono necessarie per lo sviluppo di competenze orientative
specifiche.
In quest’area si ritrovano le risorse che il soggetto impiega al
momento di superare una situazione difficile e le strategie messe in pratica; queste competenze
sono state indagate mediante
l’utilizzo delle scale ‘sostegno
sociale’, ‘coping attivo’, ‘diagnosticare’.
- Area competenze orientative di monitoraggio. Sono competenze specifiche relative all’esperienza formativa e lavorativa. Riguardano
la capacità di “tenere sotto controllo” la situazione nel suo verificarsi con l’intento di prevenire
gli ostacoli e i fallimenti. Queste
competenze sono state analizzate
sia nella rilettura della storia personale e formativa, sia nel modo
in cui il soggetto si pone rispetto
al futuro, mettendo a fuoco le dif-
48
ficoltà e le speranze che egli
esprime. Si sono utilizzate scale
diverse per le due versioni del
questionario; versione F/F: scala
‘organizzazione pianificata’, ‘autocritica costruttiva’ e ‘ricerca di
feedback’; versione F/L: scala ‘ricerca attiva del lavoro’.
- Area competenze orientative di sviluppo. Così come quelle di monitoraggio, le competenze di sviluppo sono competenze orientative specifiche, relative all’esperienza personale e lavorativa; riguardano la capacità del soggetto
di progettare l’evoluzione della
propria esperienza rimanendo
sempre fedeli ai propri valori, interessi e motivazioni. Queste
competenze emergono sia dall’analisi della storia lavorativa individuale sia dal modo in cui il soggetto immagina il suo futuro.
Gli item di quest’area indagano
da un lato il peso che il soggetto
attribuisce al lavoro e dall’altro
gli atteggiamenti che egli esprime
verso il futuro. Queste competenze sono state rilevate mediante
l’utilizzo di scale quali ‘aspetti
importanti del lavoro’, ‘rapporto
famiglia/lavoro/tempo libero’ e
‘centralità assoluta del lavoro’.
Inoltre, si è fatto ricorso ad altri tipi di scale per indagare l’atteggiamento verso il futuro (scale ‘indecisione e conflitto’, ‘rappresentazione formazione’, ‘autoefficacia’
e ‘ansia della prestazione’).
Il campione della ricerca, eterogeneo per genere (maschi 55.8% e
femmine 44.2% - cfr.gr.1), conta 310
studenti dell’ultimo anno delle
scuole superiori, divisi, come rappresentato nel grafico che segue (cfr.
gr.2), in tre indirizzi di studio: liceale (44.5%), tecnico (11.3%) e professionale (44.2%).
Si è somministrato, sulla base di un
processo di autovalutazione operato da ogni ragazzo, il medesimo
questionario in due versioni differenti in relazione al tipo di transizione: versione F/F per coloro che
erano orientati a proseguire gli studi; versione F/L per coloro che erano orientati a inserirsi nel mondo
del lavoro; questo allo scopo di vedere se vi fosse una differenza di
approccio e di risultato, rispetto a
variabili quali ‘tipo di transizione’
Grafico 1: Distribuzione del campione in base al genere
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
■
27
Orientamento e scuola
triamo nel merito dei risultati che,
per fornire una certa omogeneità
con i passaggi precedenti, vengono
presentati sulla base della ripartizione per aree di competenze
orientative (di base, di monitoraggio e di sviluppo), dove, per ciascuna area, si considerano tre variabili:
‘percezione delle risorse personali’
(rispetto ad un orientamento scuola/scuola o scuola/lavoro), ‘percorso scolastico’ (per i tre sottogruppi: licei, istituti tecnici istituti
professionali), ‘genere’ (maschio,
femmina).
AREA COMPETENZE
ORIENTATIVE DI BASE
Grafico 2: Distribuzione del campione in base al percorso scolastico
(Formazione/Formazione; Formazione/Lavoro), ‘percorso scolastico’ (Licei/Professionali/Tecnici) e
‘genere’ (Maschio/Femmina). Come rappresentato graficamente in
figura (cfr. gr. 3), il campione era
maggiormente orientato a proseguire gli studi piuttosto che a inserirsi nel mercato del lavoro (transizione F/F 62,2%; transizione F/L
37,8%,).
I dati ottenuti sono stati elaborati
tramite il pacchetto statistico SPSS;
per i confronti a due si è utilizzato il
T-Test per campioni indipendenti,
mentre si è ricorsi all’Anova nel
confronto tra tipi di scuole (item
‘percorso scolastico’).
famiglia, gli amici, gli insegnanti, il
percorso scolastico superiore?
Partendo dalla concezione secondo
cui la scelta al termine degli studi
superiori è un “evento principale
atteso e normativo” che ha in sé
premesse e conseguenze molto rilevanti sia per i ragazzi che sono
orientati a continuare gli studi, sia
per coloro che pensano di cercare
un lavoro (Schlossberg, 1995), en-
Le conclusioni cui si è giunti, dimostrano che il campione, indistintamente dalle variabili esaminate,
possiede quelle competenze di base, come capacità strategiche e comportamentali, da ‘giocare’ al momento della scelta vera e propria.
Con riferimento alla variabile F/F e
F/L assume rilevanza il fatto che
tutti i punteggi ottenuti hanno un
valore elevato ma non sono significativi; pertanto le differenze tra i
RISULTATI CONSEGUITI
Quale ruolo hanno le risorse personali nel processo di transizione?
Quali strategie utilizzano i ragazzi
per decidere che strada intraprendere al termine degli studi superiori?
Quale valore assume la percezione
del sé? Quanta influenza hanno la
Grafico 3: Distribuzione del campione in base al tipo di transizione
■27
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
49
TRANSIZIONE POST-DIPLOMA
Virgilio Tramontin, dal ciclo “Ortolani di laguna”, acquaforte.
due gruppi non dipendono dalle
diverse percezioni che i soggetti
esprimono ma da altri fattori, di natura esterna, non indagati nel contesto in questione; questo dato appare in contraddizione con la logica
comune, che farebbe presupporre
l’impiego di risorse ma soprattutto
50
di strategie diversificate per spostarsi nel mondo del lavoro, rispetto a quello scolastico.
Allo stesso modo, anche per la variabile ‘percorso di studi’, i punteggi non risultano significativi in merito al tipo di strategie e di risorse
messe in atto; anche in questo caso,
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
■
27
come nel precedente, ciò risulta alquanto strano, perché si presuppone che siano necessarie risorse e
strategie diverse per far fronte ai
compiti propri di ciascun istituto e
che tale diversità si apprenda proprio a scuola; i dati, però, dimostrano che così non è. Questo dato, a
Orientamento e scuola
prima vista contraddittorio rispetto
alla logica comune, potrebbe avere
una doppia valenza; positiva, perché starebbe ad indicare che le
scuole offrono le stesse opportunità
di fronte ai momenti di transizione
e perciò non vi sarebbero più delle
differenze significative tra i singoli
percorsi; negativa, perché ciò eliminerebbe la specificità dei singoli
istituti.
AREA COMPETENZE
ORIENTATIVE
DI MONITORAGGIO
Con riferimento alle competenze
orientative di monitoraggio, il risultato più interessante è emerso
relativamente alla variabile ‘percorso di studi’, nello specifico per
la dimensione ‘ricerca attiva di
informazioni sul lavoro’ e ‘ricerca
attiva del lavoro’. Infatti, l’analisi
dei punteggi ha evidenziato un
valore decisamene alto dei liceali
(media = 3.70 e DS=0.71) rispetto
ai professionali (media = 3.10 e
DS 0.76) e ai tecnici (media = 2.97
e DS=1.03). I punteggi ottenuti in
questa dimensione si pongono in
opposizione con quanto rilevato
nella dimensione ‘Ricerca attiva
del lavoro’ , in cui i liceali hanno
indicato punteggi molto bassi (liceali, media=1.60 e DS 0.632; professionali, media=2.33 e DS 0.88;
tecnici, media = 2.30 e DS 0.89).
L’interpretazione che ne segue è
che gli studenti degli istituti liceali indagati si impegnano maggiormente per trovare informazioni
circa il futuro, anche in virtù della ‘curiosità’ che le scuole liceali
propongono, ma non si tratta di
informazioni specifiche al lavoro
che invece, inteso come attività a
tempo indeterminato, viene percepito come qualcosa di lontano,
a differenza di quanto accade invece per i ragazzi iscritti a istituti
tecnici e professionali.
Rispetto alla variabile ‘genere’ risulta significativa la dimensione
‘organizzazione pianificata’ che
evidenzia una maggiore capacità
organizzativa dei diversi compiti
da svolgere da parte delle ragazze
rispetto ai compagni.
AREA COMPETENZE
ORIENTATIVE DI SVILUPPO
Relativamente alle competenze di
sviluppo, ossia le modalità di progettazione del proprio futuro formativo e lavorativo, emerge che la
formazione e l’istruzione sono ritenute molto importanti perché,
portando ad un benessere personale e sociale, sono tappe essenziali nel cammino di maturazione.
Questo spiegherebbe perché, contro le nostre attese, una modesta
percentuale di studenti delle scuole professionali è orientata ad un
percorso formativo, così come tutti i liceali, piuttosto che a ricercare
un lavoro. Allo stesso tempo, questo aspetto è difficilmente spiegabile, se si considera il peso che lo
stesso campione attribuisce al lavoro come attività generale. Per
ogni variabile considerata, infatti,
la dimensione importanza del lavoro ottiene punteggi molto elevati, risultando significativa rispetto alla dimensione ‘percorso
scolastico’. Ciò, però, non induce i
soggetti a cercare subito un’occupazione (così come si legge nei
punteggi bassi in “Ricerca attiva
del lavoro”). Si potrebbe pensare
che, a livello teorico, il lavoro venga visto come fondante la vita di
un individuo, ma che ancora non
sia il momento di mettersi in pratica o si aspiri ad un lavoro di me-
■27
QUADERNI
DI
dio-alto livello, ottenibile solo con
una laurea. Questo è un dato
confortante, se si considera la situazione attuale di crisi del mercato del lavoro e delle difficoltà di
inserimento dei giovani, laureati o
diplomati.
Ancora sul lavoro, gli aspetti specifici del lavoro sono tutti considerati
importanti, senza presentare delle
differenze significative. Il punteggio maggiore che il campione F/L
attribuisce alle caratteristiche
estrinseche e familiari del lavoro
può dipendere dalle esperienze
passate che costoro hanno svolto;
infatti, solo l’1,7% di questo campione non ha mai lavorato contro il
32,1% del campione F/F.
Sempre con riferimento al lavoro e
nello specifico agli aspetti importanti del lavoro, oltre a denunciare che i punteggi si presentano
nuovamente piuttosto elevati, bisogna sottolineare una differenza
tra i tre campioni rispetto alle Caratteristiche familiari e alla Centralità assoluta del lavoro. Nel primo
caso, sono i liceali a considerare
più importanti nel lavoro gli
aspetti familiari, forse per il fatto
che la popolazione liceale è costituita in maggioranza da ragazze
che prevedono di crearsi una famiglia. Nel secondo caso, invece,
sono tanto gli studenti delle scuole tecniche che quelli delle professionali a presentare punteggi più
elevati in dipendenza anche dall’esperienza di stage attuata da
questi istituti.
I dati che si discostano dalla letteratura riguardano il lavoro e la dimensione dell’autoefficacia. Rispetto al primo (‘importanza del lavoro’), la letteratura esaminata distingue tra aspetti intrinseci ed estrinseci, sottolineando il valore intrinseco del lavoro, vale a dire la realiz-
ORIENTAMENTO
51
TRANSIZIONE POST-DIPLOMA
zazione personale e professionale; il
campione analizzato, invece, assegna sempre maggior importanza
agli aspetti estrinseci, ossia la retribuzione, gli orari fissi e la sicurezza
del posto.
Per quanto riguarda l’autoefficacia,
invece, il fatto che non risulti significativa in nessuna delle variabili
considerate, quando invece le informazioni che si trovano in letteratura sottolineano una forte differenza
fra maschi e femmine, a favore dei
primi (Hackett, Betz, 1995), può essere interpretato come segnale positivo. Se, infatti, tale differenza viene
attribuita a processi di socializzazione che tengono conto del genere,
la mancanza di differenza può essere la dimostrazione che è avvenuto
un cambiamento di rotta e di mentalità.
Analizzando complessivamente i
dati, risulta che né la transizione
F/F, né quella F/L vengono vissute
come eventi traumatici; questo potrebbe dipendere del fatto che oggi
c’è un graduale avvicinamento (anche grazie ai saloni per l’orientamento, promossi dalle università)
alla scelta; in generale, dunque, i ragazzi del campione esaminato si
percepiscono preparati, anche se
nell’immediato individuano ancora
delle difficoltà nella realizzazione
delle loro idee.
CONSIDERAZIONI
CONCLUSIVE
Il quadro complessivo, a cui la ricerca ha portato, illustra una situazione positiva e piuttosto incoraggiante. Il campione, sottoposto
ad analisi, infatti, dimostra di essere pronto ad affrontare la transizione che lo attende, consapevole
delle difficoltà che potrebbe in-
52
contrare, ma forte del possesso
delle modalità necessarie a superare tali barriere. Tutto il campione si ritiene in possesso delle strategie necessarie ad analizzare il
compito orientativo e a concluderlo con successo. Mantenendo fede,
ancora una volta, alla distinzione
delle competenze orientative in
tre distinte macro aree (Pombeni,
2001), si delinea un quadro generale di quanto espresso, in precedenza, solo in separate sedi. Così,
relativamente alle competenze
orientative di base, sulla scorta dell’approccio proattivo, si può considerare il campione come investito dal ruolo di primo attore nel
processo di transizione. Cercando
di indagarne le cause e notando
che non vi sono differenze significative rispetto alle dimensioni indagate, si ritiene innanzitutto fondamentale il ruolo della scuola.
Sembrerebbe, cioè, che la scuola
sia riuscita nel suo intento educativo fornendo aiuto e sostegno ai
suoi allievi, conducendoli ad una
progressiva maturazione personale e culturale (Censis, 1999).
Accanto al sostegno offerto dalla
scuola, si deve considerare quello
della famiglia; in primo luogo perché essa è il principale formatore
nella costruzione del sistema individuale di valori che stanno alla base della percezione personale; in secondo luogo, perché essa stessa è la
base su cui sorgono le fondamenta
del background individuale.
Inoltre, la famiglia è ritenuta fonte
di sostegno a cui i ragazzi si affidano e da cui traggono beneficio; invece, la classe e il gruppo dei pari in
generale sono gli ambiti in cui il sostegno sociale si realizza. Queste
conclusioni confermano quanto
presente in letteratura dove, infatti,
si sottolinea il ruolo di primo piano
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
■
27
della famiglia, della scuola e degli
amici nell’orientamento dei ragazzi
(Cavalli, Facchini, 2001; Soresi,
2001; Pombeni, 1996).
Soffermandoci più specificatamente sulle strategie di coping e
facendo esplicito riferimento alla
distinzione proposta dalla Frydenberg (2001), si può notare che
le principali strategie a cui il campione fa riferimento, sono di tipo
proattivo e di tipo funzionale/disfunzionale. Alle prime, che consistono nell’anticipazione dei problemi e della loro risoluzione, in
modo da essere preparati al momento in cui si presentano davvero, si pensa per la presenza di
punteggi elevati nelle dimensioni
del Coping attivo, Ricerca feedback,
Diagnosticare. Le seconde, di tipo
funzionale prevedono l’analisi di
più alternative, mentre i punteggi
bassi in Ansia per la prestazione fanno presupporre l’uso di quelle di
tipo disfunzionale, che sono deputate al controllo e alla gestione
dei sentimenti.
In generale, dall’analisi dei questionari sembra che il campione
utilizzi sia un coping cognitivo come
raccolta e analisi di informazioni,
sia un coping comportamentale relativo ai processi di risoluzione del
problema, sia un coping affettivo come gestione dei sentimenti collegati (Zani, Cicognani, 1999). Dai dati
relativi al genere, infine, viene una
conferma agli studi di Zani, Cicognani (1999); queste Autrici hanno
trovato che i maschi tendono a minimizzare gli eventi, mentre le ragazze si dimostrano più attente ad
un’analisi dettagliata della situazione e quindi più disponibili a ricercare ed offrire un aiuto e una
collaborazione.
Anche per lo sviluppo delle competenze
orientative di monitoraggio, si ritiene fon-
Orientamento e scuola
Virgilio Tramontin, Campo d’avena a sera, acquaforte.
damentale il ruolo della famiglia e della
scuola. La prima nell’impianto generale
e la seconda per il supporto che offre.
Osservando i dati che si collocano attorno alla media, quello che si vede è una
preoccupazione positiva del futuro, intesa come interessamento alle opportunità e alle possibili strade in cui incamminarsi. Da questi risultati, deriva una
conferma agli studi che presuppongono
la presenza di sottodimensioni del sé,
nella sicurezza personale, nell’apertura
e flessibilità e nel controllo emotivo
(Pombeni, Guglielmi, 2000). Il campione
si percepisce in modo positivo, cioè sa
controllare le proprie emozioni, affronta
i problemi con sicurezza, cercando di
imparare dagli errori commessi. Tutto
ciò fa da traino alla scoperta di nuove alternative e alla progettazione del proprio futuro.
Infine, le competenze orientative di
sviluppo, ossia quelle competenze
necessarie alla costruzione di un
progetto in linea con i valori e gli interessi individuali per tutte le variabili considerate.
In quest’area, ciò che balza subito
all’occhio è la ripetuta significatività
delle stesse dimensioni, ossia di Indecisione, Conflitto e Sviluppo psicosociale. Per tutte le variabili considerate, i dati si sostengono a vicenda,
poiché a punteggi bassi in Indecisio-
■27
QUADERNI
DI
ne e Conflitto corrispondono punteggi alti in Sviluppo psicosociale; il fatto
che si proceda in questa direzione è
un ulteriore conferma della presenza di “quell’insieme di caratteristiche, abilità, atteggiamenti e motivazioni personali necessari a gestire
un compito di sviluppo che sono
definite competenze orientative”
(Pombeni, 2000). Leggendo il confronto tra tipi di scuola, la bassa indecisione può essere interpretata come conseguenza della preiscrizione
all’università (L.n.9/1999, art.1); così come è stata anticipata la ricerca
di informazioni, anche gli interessi
e le motivazioni sono state focaliz-
ORIENTAMENTO
53
TRANSIZIONE POST-DIPLOMA
zate ed ora, a pochi mesi dal termine della scuola, sembra che gli intervistati sappiano sicuramente se
continuare gli studi o cercare un lavoro. Lo stesso discorso può valere
per la dimensione Conflitto. La difficoltà di mettere in atto propri progetti, scaturiti proprio dall’analisi
degli interessi, e la presenza di ostacoli ritenuti difficilmente eliminabili nel breve periodo, sono comunque segnali di un campione attivo,
che cerca di esprimere il proprio
progetto di vita. Lo stesso vale per
l’Autoefficacia. Comunque, la presenza di punteggi alti in Autoefficacia e bassi in Indecisione e Conflitto
era già emersa in altre ricerche
(Trentin, Monari, Nota, 2000) e
quindi questa viene ad essere una
conferma a quei dati. Così come in
precedenza (Soresi, 2000), se l’ Autoefficacia viene concepita come
strategia di fronteggiamento, ne
viene ribadito il suo ruolo nel processo di decision making.
Analizzando i campioni per identità di genere, il valore non significativo della dimensione Autoefficacia va controcorrente rispetto ai dati presenti in letteratura; infatti,
un’analisi delle ricerche precedenti
(Hackett, Betz, 1995) mostra l’accordo sul ritenere i maschi più dotati
di autoefficacia, tanto che ciò sarebbe alla base delle loro occupazioni
professionali di primo piano; di
conseguenza, il fatto che le donne
occupino posizioni meno importanti e di secondo livello dipenderebbe
proprio dal basso livello di autoefficacia. Il disaccordo dei risultati
emersi dalla presente ricerca, potrebbe essere una smentita a queste
considerazioni, anche in virtù della
posizione che le ragazze assumono
rispetto il lavoro. Viene meno, quindi, l’idea che il processo di scelta dipenda direttamente dall’identità di
54
genere, così come invece si ipotizzava. Entrando maggiormente nell’ambito lavorativo, le considerazioni che il campione ha offerto sono davvero inaspettate.
Il primo punto rilevante è la non significatività del lavoro in nessuna
variabile; anzi, emerge un’elevata
importanza e una visione forse
“idealistica” del lavoro stesso. Non
si vuole, però, pensare che questa
idea positiva venga meno con le
prime esperienze lavorative, così
come espresso in altri studi (Quaderni Isfol, 1992). Interessante è poi
il fatto che le femmine considerino
il lavoro alla stregua dei maschi; anzi, queste pongono una maggior attenzione dei loro compagni verso le
caratteristiche familiari del lavoro,
il che potrebbe dipendere da influenze di tipo materno. Attualmente, infatti, nella maggior parte
dei casi, le donne hanno un’occupazione esterna e le figlie, cresciute
vedendo la madre in grado di occuparsi tanto della casa quanto del lavoro, ne hanno fatto un modello da
imitare. Inoltre, in letteratura (Cavalli, Facchini, 2001) si trova che la
madre che lavora, esercita una
grande influenza sui figli e soprattutto sulle figlie.
Infine, osservando le percentuali di
coloro che si trovano in una situazione di transizione F/F (62,2%) rispetto a F/L (37,7%) si deducono
due principali conseguenze.
La prima riguarda l’effettiva liberalizzazione degli accessi universitari
(Fisher, 2000); infatti il 35% degli
studenti provenienti da istituti professionali, sulla totalità del campione esaminato, si iscrive all’università. Il dato relativo agli studenti del
licei sfiora il 100%. La maggior parte dei ragazzi proveniente dalle
scuole tecniche è orientata alla ricerca di un lavoro piuttosto che ad
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
■
27
una cammino universitario; questo
dipende dal fatto che gli istituti tecnici esaminati sono relativi all’area
industriale e commerciale e quindi
offrono, ai propri diplomati, la possibilità immediata di spendersi nel
lavoro (Pavoni, Sironi, Tabacchi,
1999).
La seconda viene interpretata come
un segnale dalla doppia valenza;
esplicita se si considera il valore che
viene assegnato all’istruzione e alla
convinzione delle possibilità e delle
conoscenze che, un percorso universitario prima e una laurea poi,
possono offrire; implicita come sintomo di benessere economico, necessario per iniziare e supportare
tanto il percorso scolastico in sé
quanto la permanenza in casa del
figlio, oltre la maggiore età e il diploma.
È, questa, un’ulteriore conferma ai
dati presenti in letteratura, secondo
cui i figli rimangono all’interno del
nucleo familiare, su cui gravano, fino ai 30 anni; la conseguenza ultima, ma inevitabile, è l’allungamento della condizione giovanile (Buzzi, Cavalli, De Lillo, 1996).
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QUADERNI
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Samanta Mosco
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ORIENTAMENTO
55
I FATTORI DECISIONALI
NELL’ORIENTAMENTO
UNA RICERCA CONDOTTA AL
LICEO LEOPARDI-MAJORANA DI PORDENONE
Franca Ometto
L
a scuola, di fronte ad una
società tanto complessa,
non sempre riesce ad
aiutare il giovane a
maturare consapevolmente
il progetto personale.
Dal questionario emerge
chiaramente che i ragazzi
dell’ultimo anno della
scuola secondaria, sono
fondamentalmente molto
incerti sul loro futuro
PREMESSA
Una delle scelte più significative
che interessano i giovani è quella
che concerne l’individuazione dei
percorsi più congeniali alle proprie potenzialità ed ai propri interessi. In sostanza, devono individuare e ordinare gli elementi più
significativi della loro storia personale per prefigurare il proprio
futuro. Quali strategie dovranno
allestire per raggiungere l’obiettivo che si è andato via via delinenando? Ma, soprattutto, c’è già un
obiettivo nitido e realistico? Oggi,
per chiunque, è difficile prendere
una decisione. L’offerta scolastica,
in particolare quella post-diploma
è particolarmente vasta ed anche,
talora, disorientante. Il mercato
del lavoro, dinamico e cangiante,
propone una varietà di scelte che
non sempre è facile ponderare.
Decidere l’ambito lavorativo nel
quale inserirsi é molto difficile, e
pertanto anche l’individuazione
56
del percorso formativo post-diploma, più adatto alle proprie esigenze é arduo, tenendo conto anche della necessità di superare la
frustrazione e di cambiare strada,
qualora non si ottengano i risultati sperati nelle prove di selezione
alle facoltà a numero chiuso. La
scuola, naturalmente, ha sicuramente svolto un ruolo importante
nell’identificazione della vocazione personale ma, di fronte una società tanto complessa, non sempre
riesce ad aiutare il giovane a maturare consapevolmente il progetto personale. Per sviluppare un lavoro sempre più efficace e mirato
abbiamo provato ad esplorare,
con l’aiuto di un questionario,1 i
fattori decisionali nella scelta
orientativa di un gruppo di studenti, iscritti alle quinte di alcuni
corsi liceali.
LA RICERCA
Il campione della ricerca è rappresentato dagli studenti appartenenti
a due classi quinte del liceo scientifico, due classi terze (classi terminali) del liceo classico e una classe del
liceo socio-psico-pedagogico.
È stato somministrato un questionario costituito da 27 items, raggruppati in alcune aree omogenee:
• prospettive per il futuro;
• interessi extrascolastici;
• competenze e rendimento scolastico;
• risorse individuali;
• atteggiamenti verso la scuola;
• rappresentazione del lavoro.
Erano richieste anche delle sintesi
individuali, che servivano a controllare la capacità di fare un proprio bilancio di competenze, ma che
sono state elaborate da pochi (è stato considerato un oneroso lavoro
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
■
27
aggiuntivo). Il questionario è stato
somministrato nell’ultimo mese di
scuola, con la collaborazione dei
docenti in servizio.
ANALISI
E COMMENTO
DEI RISULTATI
1) Le attività lavorative che riscuotono maggior interesse nei ragazzi e in cui essi si vedono
proiettati, corrispondono sostanzialmente all’indirizzo di studi
scelto nella scuola secondaria, con
una buona propensione per il settore tecnologico e ambientale nel
liceo scientifico, ma anche per
l’ambiente e un marcato interesse
per l’area tecnologica nell’indirizzo socio-pedagogico (non in linea
con l’indirizzo di studi). I ragazzi
del liceo classico manifestano interesse soprattutto per Giurisprudenza ed Economia, ma un 55% è
attratto da Lettere, Arte- Musica e
Spettacolo. Anche le professioni
sono in linea con gli interessi ed il
percorso di studi scelto per raggiungerli: i ragazzi dello scientifico propendono per un lavoro di tipo subordinato e manageriale,
mentre quelli del pedagogico
aspirano ad attività di tipo psicologico o educativo e quelli del
classico aspirano ad intraprendere
carriere di avvocati, diplomatici,
medici.
Vanno registrate tuttavia, a fronte
di un numero consistente di “non
so” (22%), scelte molto precise come quelle che si riferiscono all’attività di mediatore culturale (corrispondente ad indirizzo di studi da
poco presente in un certo numero
di atenei italiani), attività di volontariato e di logopedista.
Orientamento e scuola
La maggior parte dichiara di voler
continuare gli studi fino alla laurea
(percentuale che cresce notevolmente al liceo classico), ma una parte cospicua (14-26%) intende la laurea triennale (che nel questionario
era indicata come diploma universitario, poiché il questionario era
antecedente la riforma in atto nelle
università italiane),2 ed un 13 %
vorrebbe inserirsi subito dopo il diploma nel mondo del lavoro.3 In
sintesi, la volontà di fermarsi dopo
il diploma cresce al Pedagogico e
diminuisce al Classico.
I ragazzi dichiarano che le loro scel-
te corrispondono alle attese dei genitori; pochi (11-14%) dichiarano
che il consiglio dei genitori è diverso. Il disaccordo cresce al classico.
In generale, i genitori manifestano
il desiderio che i figli continuino a
studiare fino alla laurea quinquennale (l’11% alla triennale) e desiderano per i figli un’occupazione sicura. Al Pedagogico desiderano che
seguano l’attività di famiglia (ma
non conosco il background sociale
delle famiglie, quindi il dato è poco
significativo).
2) I ragazzi dichiarano di trascorrere il tempo libero dedicandosi
alla visione di film (20%), (sono
molto attive a Pordenone le iniziative cinematografiche), all’attività
sportiva (18%), alla lettura (16%),
alla TV e computer (13%). Allo
Scientifico molti dichiarano che
trascorrono il tempo libero “facendo” ed ascoltando musica, mentre
al Classico e al Pedagogico preferiscono stare con gli amici. In generale, frequentano gruppi sportivi e religiosi.
3) Le valutazioni riportate alla
scuola media si attestano su voti alti per i ragazzi che frequentano lo
Scientifico e il Classico (ottimo:
Virgilio Tramontin, Villa Baglior, acquaforte-acquatinta.
■27
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
57
I FATTORI DECISIONALI NELL’ORIENTAMENTO
33%, distinto: 47%), meno buoni
per quelli che frequentano il Pedagogico (buono: 37% e sufficiente:
31%).
Le ripetenze più numerose a livello
di scuola secondaria, si registrano
tra i ragazzi del Classico. Le valutazioni più basse allo scientifico si registrano nelle materie scientifiche,
buoni voti si ottengono in scienze e
disegno, in una delle due classi, voti decisamente buoni si registrano
nelle materie umanistiche.
Al Pedagogico i voti più alti sono in
storia, lingua straniera e filosofia. Al
Classico nelle materie umanistiche,
matematica, fisica e lingua straniera. Al di fuori della scuola sono
state acquisite competenze nelle
espressioni artistiche, informatica,
lingue straniere, disegno, musica e
recitazione (sono attività che organizza la scuola in orario extrascolastico), ma i ragazzi dichiarano che si
sono formati al di fuori dell’orario
scolastico anche nelle materie umanistiche, (probabilmente ci si riferisce ad iniziative offerte dal territorio, ma che vedono coinvolti anche
docenti della scuola).
4) Si dichiarano molto disponibili a
fare nuove esperienze, pronti a collaborare ed interessati ad acquisire
nuove conoscenze. Gli alunni dello
Scientifico individuano i propri
punti di forza nella determinazione, serietà, rapidità e in generale
nell’autostima e nella sicurezza,
quelli del Pedagogico considerano
propri punti di forza la fiducia in se
stessi, il senso della musicalità e,
quelli del Classico, la mentalità
aperta, la gioia di vivere e la sensibilità. Punti di debolezza sono in
genere la timidezza e l’incostanza;
l’insicurezza aumenta tra gli alunni
dello Scientifico e l’ansia caratterizza quelli del Pedagogico.
5) Nei confronti della scuola i ragaz-
58
zi in genere dichiarano poca soddisfazione, o nulla, segnalabili apprezzamenti positivi provengono
dagli alunni del Classico (33%), una
metà degli alunni dello Scientifico
dichiara che avrebbe preferito seguire un altro indirizzo di studi e il
Pedagogico manifesta la sua spiccata predilezione per il Classico, che
considera un’occasione mancata.
Nell’ambiente scolastico gli alunni hanno trovato l’opportunità di
fare amicizie, ma hanno anche acquisito strumenti e capacità di ragionare. Il rapporto con gli insegnanti è vissuto per lo più come
problematico, ed a questa difficoltà di relazione viene anche attribuita la causa di un rendimento
scolastico poco soddisfacente; i ragazzi lamentano di avere poco
tempo libero. Ritengono di avere
regole scolastiche troppo rigide e
manifestano in generale scarso interesse per le attività scolastiche.
Ritengono che la formazione scolastica incida poco nelle scelte future:
solo una classe del Classico ritiene
che sia importante. I fattori dell’insuccesso scolastico vengono individuati nello scarso impegno, ma anche nelle difficoltà insite in alcune
discipline; allo studio vengono dedicate due-tre ore allo Scientifico,
più di tre al Pedagogico e al Classico. Una classe (3^ D) dichiara di dedicare poco tempo allo studio pomeridiano.
La maggior parte degli alunni intervistati dichiara che le attività di
orientamento organizzate dalla
scuola, (stages e percorsi formativi)
sono state apprezzate, ma non sono
servite come guida alla scelta postdiploma.
6) Gli studenti ritengono che il lavoro favorisca la realizzazione personale, considerano un fattore importante la sicurezza del posto. Il
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
■
27
lavoro dovrebbe essere anche socialmente utile e non imporre troppi sacrifici. È importante la carriera
e fondamentale l’assunzione delle
responsabilità in ordine alla gestione e all’organizzazione, tuttavia il
lavoro dovrebbe lasciare anche
tempo da dedicare ad altre attività
ed ai rapporti interpersonali.
CONCLUSIONI
Dall’analisi delle risposte del questionario emerge chiaramente che i
ragazzi dell’ultimo anno della scuola secondaria,4 nel caso specifico, liceo Classico, liceo Scientifico e liceo
Psico-socio-pedagogico, a parte alcune differenze di non sostanziale
rilevanza, (collegabili ad una sorta
di preselezione che avviene fin dal
momento della scelta dell’indirizzo
di studi liceali), sono fondamentalmente molto incerti sul loro futuro,
sia che esso riguardi la formazione
post diploma sia, in generale, per
quel che riguarda l’ambito lavorativo in cui si proiettano.
Lo si deduce da una serie di risposte che sottolineano la difficoltà di
prendere una decisione, l’incertezza e l’insicurezza nei confronti del
futuro e il desiderio di ancorarsi ad
un posto di lavoro sicuro (mentalità
che non appartiene più al nostro
tempo, ma che evidentemente rappresenta ancora un’aspirazione
molto forte). Segnalabile è, peraltro,
la componente “umana” e relazionale che gli alunni vorrebbero vedere realizzata nella professione futura (va detto però che tre classi su
cinque appartengono ad indirizzi
umanistici) e l’importanza che viene attribuita al tempo libero. Si va
affermando dunque una mentalità
nuova, che si allontana dal cliché
friulano e del Nord Est in generale,
Orientamento e scuola
tutto proteso alla carriera e al lavoro. I dati vanno tuttavia riferiti ad
un’età e ad un ambiente scolastico,
la realtà liceale, in cui i contatti con
il mondo del lavoro sono assai rari.
Ma se vogliamo soffermarci ad analizzare il dato significativo che attribuisce ai giovani un notevole stato
di insicurezza (che è poi l’assunto
principale della ricerca), nella scelta
del futuro, ritengo che le cause siano imputabili sia alla particolare
contingenza del momento storicopolitico della società italiana, (simile da questo punto di vista a quella
di molti altri Paesi europei), sia ad
una tendenza a procrastinare il momento della scelta, che corrisponde
ad un atteggiamento di evitamento
della decisone da prendere, atteggiamento sempre riconducibile ad
una situazione di incertezza. Ci sono anche altre ragioni, evidentemente, che si possono far risalire sia
all’ambito familiare, che all’eccesso
di offerta formativa proveniente
dall’Università (alludo alla struttura della laurea triennale e della specialistica), sia ad un problema di autovalutazione e di conoscenza di sé.
Se questo è il fine dell’orientamento, a cui si dà sempre più importanza, al punto che sono stati istituiti
corsi universitari e master per preparare orientatori (sono sorte numerose associazioni di professionisti di orientamento, di consulenti
etc.,) ovvero aiutare i ragazzi a leggere dentro se stessi per imparare a decidere il loro futuro e per saper
fronteggiare ogni transizione importante della loro vita, dobbiamo
capire che cosa non funziona nell’orientamento e quali comportamenti
è necessario assumere.
È opportuno, prima di tutto, distinguere le buone pratiche da quelle
negative, perché in questi anni abbiamo assistito al consolidarsi di abi-
tudini che non corrispondono ai
principi che ci prefiggiamo di raggiungere e che a mio avviso sortiscono l’effetto contrario, con il risultato
di creare disaffezione per le iniziative di orientamento e insicurezza. Mi
riferisco, quando sottolineo che si
tratta di pratiche negative, per esempio, alle iniziative note come “saloni
di orientamento” dove si mettono
insieme, come negli stand di una fiera, le più svariate offerte formative
presenti nel territorio, oppure alle
conferenze organizzate dalle università o da associazioni di ambiti lavorativi d’élite che sembrano organizzazioni più volte a operare preselezioni, utili a coloro che assumono e
non a coloro che entrano nel mondo
del lavoro) che a fornire un valido
aiuto ai giovani. Senza considerare
che il maggior rischio che si corre è
quello dell’autoreferenzialità.5
Un eccesso di informazioni, non filtrate da un vaglio critico e non accompagnate da una riflessione, porta ad un accrescimento di insicurezza, come d’altra parte la modalità
della conferenza, rivolta a gruppi
troppo ampi di persone, non si rivela efficace; meglio un gruppo ristretto, meglio a volte un colloquio
individuale, meglio partire dai bisogni dell’orientando, meglio fornire un servizio di consulenza, attraverso un colloquio, un’attività di
counselling e poi erogare le informazioni che si richiedono, mirate a focalizzare pochi aspetti, in uno spettro di variabili che si è già criticamente ristretto. Finalità dell’orientamento, nella società attuale, è più
che informazione, costruzione di
competenze trasversali, relazionali, la capacità di gestire situazioni
complesse, approcci culturali diversi, di progettare, coordinare e integrarsi, per acquisire il senso di
una partecipazione attiva ad una
■27
QUADERNI
DI
società allargata, verso la consapevolezza dei problemi collettivi e di
una cittadinanza comune.6
Se ragioniamo poi sui meccanismi
che conducono alla decisione, troviamo le strategie del problem solving
e della riflessione critica, che muovono dalla conoscenza di sé, dall’autovalutazione, e dalla riflessione sui
processi di apprendimento. Importante è allora adottare un didattica
orientativa fondata sulla soluzione
dei problemi e sul gusto della scoperta. Evidentemente sono molte le
azioni che si raggruppano in un’azione orientativa, fatta di informazione-formazione e consulenza.
Per aiutare a scegliere dobbiamo essere consapevoli che scegliere significa prima di tutto razionalizzare,
analizzando i dati di un problema,
scartando le opzioni che non si correlano alla propria natura, vagliando interessi, motivazioni, desideri
capacità e attitudini, semplificando
le alternative possibili.
Tra le scelte che gli adolescenti sono
chiamati a compiere, quella relativa
al loro futuro è sicuramente una
delle più impegnative. Decidere in
quale ambito lavorativo collocarsi è
molto difficile, individuare di conseguenza il percorso universitario
più consono alle proprie esigenze e
attitudini è arduo, (senza considerare che in alcune facoltà c‘è il numero chiuso e questo può comportare la necessità di invertire la rotta,
nel caso di un insuccesso alle prove
di selezione).
Bisognerebbe imparare a scegliere i
percorsi che aiutano la realizzazione
di sé, che permettono una crescita
personale, la costruzione di un progetto autentico di crescita e di autovalorizzazione, eliminando impulsività ed emotività. Il supporto a questo processo deve servire ad individuare questi aspetti superando i pro-
ORIENTAMENTO
59
I FATTORI DECISIONALI NELL’ORIENTAMENTO
blemi che nascono da una sfuocata
coscienza di sé. La scuola può fare
molto, sia nell’ambito di una didattica orientativa, che significa far acquisire all’alunno metodo e strumenti
per fronteggiare le situazioni problematiche della vita (long life learning) e,
al tempo stesso, saper valutare le proprie risorse e le proprie capacità,7 sia
attraverso le figure degli orientatori,
che sono insegnanti esperti, formati
in questo senso che si avvalgono
spesso dell’aiuto degli psicologi.
Nella nostra scuola sono stati introdotti i cosiddetti “percorsi formativi”, che comportano la sospensione
dell’attività didattica per una settimana e mirano a fornire agli allievi
del penultimo anno di scuola informazioni e conoscenze, in situazione,
delle offerte formative post-diploma.
I ragazzi scelgono tra due opzioni
possibili e nell’arco della settimana
hanno la possibilità di conoscere e vivere da vicino in ambienti di studio e
lavorativi quelle che sono le realtà
Virgilio Tramontin, Torcello, acquaforte.
60
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
■
27
sociali in vista delle quali sceglieranno il proprio percorso formativo. Si
tratta di un progetto ambizioso e coraggioso, condiviso dalla gran parte
degli insegnanti e fortemente voluto
dal Dirigente scolastico. Tuttavia, e
ciò si evince anche dalle riposte del
questionario, vi sono degli aspetti
modificabili nel progetto e delle lacune. A mio parere, per esempio, manca la componente dei genitori, che
considero fondamentale nella costruzione delle scelte dell’adolescente e
un valido supporto di counselling individuale, che dia spessore alle iniziative di informazione e favorisca la
riflessione individuale.
I genitori potrebbero essere coinvolti nella fase di conoscenza degli
ambienti lavorativi, ma anche partecipare ai colloqui d’orientamento
che si dovrebbero promuovere tutto l’anno (ma anche in tutto l’arco
degli studi liceali) gestiti dall’orientatore, in una relazione a tre
parti (alunno, genitori e orientatore esperto). Indispensabile è anche,
a mio avviso, la consulenza dello
psicologo, che completa l’intervento dell’orientatore fornendogli i
supporti teorici e pratici (es. questionari-test attitudinali etc. e una
preziosa consulenza scientifica)
necessari per una completa azione
di orientamento formativo. Ovviamente debbono essere coinvolti i
docenti, attraverso una relazione
sulle attività e gli esiti dei colloqui
e l’istituzione di percorsi di formazione e aggiornamento sui processi sottesi all’orientamento Si deve
avviare, cioè, una collaborazione
proficua fra quanti sono impegnati
nella formazione dell’adolescente,
che resta comunque l’attore principale. A volte l’alunno più deciso rivela per es. forti condizionamenti
provenienti dall’ambiente familiare e credendo di essere solo a deci-
Orientamento e scuola
dere, è in realtà condotto da meccanismi che lo forzano in una direzione ben precisa, quella voluta
dalla famiglia, e questo può essere
comune proprio in un ambito come quello degli studi liceali e in un
territorio tutto sommato ricco di
opportunità e dominato da forti
aspettative come quello del NordEst italiano, come abbiamo visto
nell’analisi dei dati del questionario.
Un’attività di supporto al ragazzo
che frequenta la secondaria si precisa, quindi, attraverso un’attività di
counselling, come aiuto alla costruzione di un progetto personale in
cui è fondamentale:8
• individuare i valori e gli obiettivi
importanti;
• vagliare una serie di opzioni che
permettano di perseguire i propri obiettivi;
• condurre una ricerca accurata di
informazioni;
• valutare le informazioni senza
pregiudizi e/o condizionamenti;
• riesaminare tutte le informazioni
in modo razionale, ponderando
le conseguenze positive o negative che possono derivare da ciascuna alternativa individuata;
• scegliere e implementare quanto
deciso pianificando la propria attività.9
Si confida che questa iniziativa possa veramente aiutare i giovani eliminando il pesante alone di insicurezza, che frena la loro iniziativa10
ed è in questo momento che diventa importante il supporto al processo di decison making del counsellor.
NOTE
1) A. M. Di Fabio, Psicologia dell’orientamento, Problemi, metodi e stru-
menti; Giunti, 1998, pp. 198 et seg.
2) Mi riferisco alle decisioni perse al
congresso di Bologna, che hanno
istituito la laurea triennale e la laurea specialistica. Recentemente è
stata riconosciuto anche alla triennale il titolo di “dottore”, mentre la
laurea quinquennale è denominata
“magistrale”.
3) La realtà territoriale in cui è stata
condotta la ricerca, comunemente
nota come Nord-Est, offre buone
opportunità di lavoro, se paragonata al resto d’Italia: questo per molti
anni è stato chiamato “effetto sirena”
per i giovani che ottengono un diploma, nel senso che prospettive
anche allentanti di realizzazione
personale e di guadagno hanno
rappresentato un notevole richiamo
per far concludere gli studi.
4) I dati si riferiscono al Liceo Leopardi-Majorana di Pordenone, ma
lo spettro delle risposte è abbastanza ampio per poter essere allargato
ad una realtà molto più vasta. Evidentemente è necessario rapportare
i dati al territorio e al particolare
momento storico, che vede numerosi processi di trasformazione della società e della scuola.
5) Cfr. A. Messeri, “Alcune cattive
pratiche dell’orientamento”, in Milano,
Anno VI, aprile 2005, pp. 1 et seg..
6) Messeri parla di competenze che
possono essere “universalizzabili”,
ovvero applicabili in contesti ampi,
come per esempio il riferimento alla “cittadinanza europea”.
7) Mi riferisco per esempio al
portfolio e al bilancio di competenze, come strumenti proiettivi della
conoscenza di sé.
8) V. Nota-Soresi, Scelte scolasticoprofessionali e autoefficacia, Psicologia e scuola, 1998, pp. 151-164.
L’indecisione scolastico-professionale,
in Psicologia e scuola, 95, pp. 191200, Soresi-Nota-Mann Friedman,
■27
QUADERNI
DI
Come decidono gli esseri umani, in
Scelte e decisioni scolastico-profesionali, ITER Firenze, 2202.
9) L’adolescente impara a ragionare, nel senso che diviene capace,
con lo sviluppo del pensiero formativo, di affrontare ragionamenti
complessi prima inaccessibili. E impara a decidere perché giunge a dominare le variabili che sono in gioco
nelle decisioni, soprattutto quando
sono di larga portata e riguardano il
suo futuro. Vedi G. Petter, L’adolescente impara a ragionare e a decidere,
Giunti, Manuali e monografie di
psicologia, Firenze, 2002.
10) Questo spiega forse anche perché la maggior parte dei giovani
italiani resta a lungo in famiglia e
non trova il coraggio di trasferirsi in
ambienti diversi e lontani da quello
d’origine. Si tratta, a volte, di non
coltivare in sé quello spirito d’iniziativa e quel desiderio di sperimentarsi al di fuori del proprio ambiente, che caratterizza invece molti giovani europei.
Franca Ometto
Insegnante di lettere
al liceo Leopardi-Majorana
Pordenone supervisore di tirocinio alla
Scuola Interateneo di Specializzazione
delle Università del Veneto
ORIENTAMENTO
61
Spazio aperto
CAMBIARE
L’EDUCAZIONE
PER CAMBIARE
IL MONDO
sando la formazione emozionale,
intellettuale ed esistenziale degli
insegnanti e degli educatori, alla
luce delle nuove scoperte sulla
persona umana sviluppate in ambito culturale, filosofico e psicoterapeutico 1. Nelle successive due
giornate C. Naranjo, assieme al
suo team, ha coordinato dei seminari teorico-pratici al fine di favorire la crescita delle competenze
emotive ed esistenziali.
Poter rivolgere a Claudio Naranjo la
LA TRASFORMAZIONE
DELL’EDUCAZIONE
È IL NOSTRO PONTE
PER UN FUTURO
MIGLIORE
INTERVISTA A
CLAUDIO NARANJO
Fornire un’educazione umanizzante che contrasti la tendenza all’alienazione, all’assenza di contatto
e relazione con se stessi e gli altri,
che miri ad una più profonda consapevolezza e spiritualità, può
considerarsi il nucleo della rivoluzione pedagogica proposta dallo
studioso cileno Claudio Naranjo
uno dei massimi esponenti dell’integrazione fra psicoterapia e tradizioni spirituali. Da queste basi si
sono sviluppate le riflessioni e le discussioni che hanno caratterizzato
il Convegno Internazionale tenutosi dal 27 al 29 ottobre 2005 presso l’aula magna dell’ateneo udinese. Il convegno dal titolo “Cambiare l’educazione per cambiare
il mondo”, è stato organizzato su
iniziativa congiunta dell’Università
degli Studi di Udine, Facoltà di
Scienze della Formazione e dell’Istituto Gestalt di Trieste. La prima
giornata, è stata dedicata ad una
riflessione critica delle proposte
avanzate da Claudio Naranjo riguardanti la necessità profonda
di cambiare l’educazione ripen-
62
Claudio Naranjo è nato a Valparaiso (Cile) nel 1932. Ha studiato
medicina, musica e filosofia. Si è
specializzato in psichiatria. Ha insegnato religioni comparate,
psicologia dell’arte, psichiatria
sociale e psicologia umanistica
presso numerose università americane. La ricerca sui caratteri
della personalità lo ha portato
alla elaborazione dell’”Enneagramma dei tipi psicologici”,
una sorta di ponte tra oriente ed
occidente nella concezione
umana. Ha fondato il SAT Institute, una scuola integrativa psicospirituale. Il suo percorso si caratterizza per l’approfondimento
delle tradizioni “psicoiniziatiche”
e dei movimenti contemporanei
della “nuova coscienza” nella ricerca di una sintesi intellettuale
e di metodi educativi e terapeutici integrati. Attualmente il suo
impegno maggiore è nel campo della psicologia transpersonale e dell’educazione in vari
paesi del Sud America e dell’Europa. È autore di numerosi saggi
e libri tra cui: “Carattere e nevrosi” (1998), “La via del silenzio,
la via delle parole” (2000), ed.
Astrolabio, “Cambiar la educaciòn para cambiar el mundo”
(La Llave2004).
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
■
27
seguente intervista è stato per me
fonte di profonda ispirazione.
QUAL È LA TUA VISIONE
DELLA SOCIETÀ E DI COSA
HA BISOGNO, OGGI?
Secondo la mia visione, il problema
più grande della società non è la
violenza, non è il mercantilismo, non
è nessuna di quelle cose che comunemente si considerano tanto gravi,
anche se poi lo sono molto. Credo
però che la radice più profonda di
tutto sia la condizione patriarcale
della società e questo è intrinseco
alla vita civilizzata. In tal senso mi reputo nemico della civilizzazione. La
civilizzazione è l’inizio della rivoluzione maschile ed è basata sull’istituzione del Pater Familias. Questo è
considerato simbolicamente come
un “dono” per la moglie, mentre i figli diventano una sua proprietà, utilizzati per il lavoro o cresciuti per diventare “carne da macello” nelle
guerre. Credo quindi che la condizione civilizzata sia stata idealizzata
perché è parsa come un progresso
in contrasto con la condizione primaria della vita del Neolitico a cultura “matristica”.
In particolare io identifico tre fasi
storiche:
- una fase primaria pre-sedentaria,
pre-neolitica caratterizzata dalla
condizione istintiva, animale dell’uomo e da una anarchia competitiva come descritta da
Darwin a proposito della selezione naturale ;
- una seconda fase a condizione
“matristica”2 che inizia nel Neolitico con il passaggio dalla vita nomade a sedentaria resa possibile
grazie alla coltivazione dei vegetali. Spesso se ne parla come rivoluzione agricola. In questa fase
tuttavia non nasce solo l’agricoltura ma nasce anche la cultura,
nasce lo spirito religioso e nasce
Spazio aperto
l’arte. Anche se non c’è unanimità tra gli studiosi, sembra che
la sedentarietà e la rivoluzione
agricola siano state iniziative
femminili. Questa fase si identifica con valori quali la solidarietà
tribale, la reverenza per la vita, la
sacralità della procreazione ed il
potere del gruppo;
- una terza fase in cui predomina
l’autorità centrale patriarcale.
Questa ha inizio dopo il ritiro delle acque seguito all’epoca dello
scioglimento dei ghiacciai. La
terra cominciò a seccarsi ed i
popoli si riunirono attorno ai
grandi fiumi (Tigri, Eufrate, Nilo,
Yangtse, Gange) istituendo una
struttura sociale di tipo gerarchico. All’inizio tale autorità era legata alla sapienza sacerdotale
(i re sacerdoti) che non potevano possedere terre. Nel corso
del tempo, poiché, come dice
Lord Acton “l’autorità corrompe
e l’autorità assoluta porta alla
corruzione” si passò da una autorità benigna ad un autoritarismo slegato dal senso del bene
comune ed ancorato alla sete
di potere.
Mi sembra che tutte queste forme
siano state reazioni ad un trauma
storico originario. La vita umana è
iniziata nel periodo glaciale caratterizzata da grande freddo, grande fame, necessità cannibalistica,
necessità di ammazzare. Questo ci
ha reso maggiormente insensibili e
credo che continuiamo a vivere
(sotto certi aspetti) in una forma di
cripto-cannibalismo. Tale atteggiamento si rivela nello sfruttamento
violento caratteristico della nostra
storia e si fa sentire nell’attuale
brama sterminatrice dell’impero
globale capitalista che rade al
suolo la natura, i diseredati, i valori
umani. Nello sfruttamento della natura non c’é equilibrio tra ciò che
produciamo e quanto consumia-
mo, non c’é equilibrio tra collaborazione e competizione, tra l’aspetto femminile di tenerezza e
quello maschile di aggressività.
L’aggressività maschile prevale sulla tenerezza femminile. Credo che
la civilizzazione sia stata un progresso transitorio ma adesso, l’atteggiamento egemonico dominante, di conquistare tutto, non
serve più, è obsoleto. Da questo
punto di vista posso rispondere alla
tua domanda. Di cosa ha bisogno
la società oggi? Ha bisogno di esseri umani completi. Questo equilibrio è necessario nella società come nella mente umana dell’individuo. Siamo interiormente tri-cerebrati, abbiamo cioè tre cervelli:
quello istintivo, legato all’immagine del fanciullo interiore, quello
emozionale, legato all’immagine
materna che abbiamo ereditato
dai mammiferi e quello razionale
corrispondente al padre interiore.
La voce della madre, che è la voce dell’amore e quella del bambino interiore, dell’istinto, sono spesso dominate, represse dall’autorità
maschile, l’autorità della disciplina.
Il più grande bisogno dell’umanità
è però il vero sviluppo umano.
Questo sviluppo è bloccato, l’educazione che dovrebbe essere per
lo sviluppo in realtà risulta essere
una falsificazione. Non si educa.
Anche se la parola etimologicamente significa tirare dentro, il modello dell’educazione è solo centrato sul dare informazioni per poi
testare, esaminare al fine di verificare se l’informazione è stata ricevuta. Tutto ciò rende l’educazione
simile ad un biglietto d’ingresso al
mondo del lavoro. Non si educa
per la comprensione, né per lo sviluppo, ma per dare questo biglietto che alla fine non risulta essere
neanche utile al lavoro, perché la
correlazione tra l’efficienza del lavoro e gli studi in realtà non è così
■27
QUADERNI
DI
visibile. Questa correlazione è un
mito.
IN CHE MODO LA GLOBALIZZAZIONE
CONTRIBUISCE A FAR EMERGERE
TALI PROBLEMATICHE?
C’era un presidente in Cile che diceva: “Governare è educare”. In
questa frase egli riprendeva l’idea
platonica per cui governare, nel suo
significato più alto, è educare nella
virtù. Oggi si vede quanto questo sia
vero. Anche una costituzione buona
e ben intenzionata come quella
nord americana, non funziona se le
persone non sono virtuose. La legge
funziona solo con le buone persone.
La globalizzazione ha creato un impero del denaro in cui anche i paesi
più potenti risultano essere governati da fantocci. Non sono persone all’altezza di avere tanto potere come
al tempo degli stati sovrani. Le pressioni finanziarie sono troppo grandi e
la tendenza del mondo globale è
sempre più legata al denaro e a
questa macchina di produzione.
L’interesse dell’autorità suprema è
sempre più distante, opposta all’umanizzazione. Manca la capacità di
credere nel valore dell’umanità.
COSA MANCA
ALL’EDUCAZIONE, OGGI?
Oggi, manca la capacità di dare importanza e coltivare il cuore, l’amore, diciamo la virtù nella forma classica. Essere buone persone. Educare il
carattere ed educare ai buoni rapporti umani. Oggi non è molto di moda parlare d’amore e questo è già
sintomatico. Cristo aveva ragione
quando diceva che la cosa più importante è amare il prossimo come
te stesso. Ciò risulta più difficile, meno
possibile nel mondo di oggi. È un
mondo molto egoista e nel fondo le
persone non amano né il prossimo
né se stesse. L’egoismo non è un
ORIENTAMENTO
63
Spazio aperto
amore per se stessi; in realtà più simile ad una compensazione, è un volere di più per riempire un vuoto perché la persona non ha un vero amore verso il suo bambino interiore (o
neonato interiore).
A volte si parla dell’educazione
emancipatoria (si pensi ad Horkheimer e Adorno). Mi chiedo cos’è la libertà se non la libertà dell’iniziativa
e dei desideri. Oggi il desiderio è
spesso criminalizzato nella vita civilizzata. C’è molta inibizione della
spontaneità. In tal modo la nostra
educazione si trasforma in un addomesticamento carico di frasi tipo:
“Non fare questo; non fare quello;
tutto no, no!” Queste modalità inibitorie si ritrovano sia a casa che a
scuola e in questa maniera trasmettiamo il nostro modo di essere. Questo processo di replicazione diviene
al contempo trasmissione della nostra patologia, delle nostre piaghe.
Credo sia molto importante fermarsi
e dire: “abbiamo bisogno di una
educazione per l’evoluzione” senza
continuare a voler essere uguali come se dovessimo fare un calco di
noi stessi o riprodurci identici come i
cromosomi. Ma educare per andare oltre il conosciuto. Questo è molto legato ad una educazione che
guarda al bambino in senso profondo, ovvero al bambino interiore di
ognuno. Ciò significa educare per
la felicità. Ognuno vuole la felicità
ma l’educazione attuale è molto inibitoria e criminalizza il piacere. Il piacere è un valore di cui non si parla.
Già nella Genesi si mette il piede sulla testa del serpente che rappresenta l’istintività, la vita naturale. In tal
senso la civilizzazione risulta essere
contro la natura, la vuole dominare.
Questa sete di dominio si rivolge sia
verso la natura esterna all’individuo
ma anche verso quella interna anche se di ciò non si parla. Solo Nietzsche affronta questo tema quando
afferma che la salvezza sta nello spi-
64
rito dionisiaco che è lo spirito di libertà e di fede naturale.
SI PUÒ TROVARE UNA DIMENSIONE
IN CUI IL PROCESSO
DI SOCIALIZZAZIONE
VADA DI PARI PASSO CON QUELLO
DI INDIVIDUAZIONE?
COME SI PUÒ AGIRE AFFINCHÉ
NELL’EDUCAZIONE CI SIA
UNA CRESCITA DELL’INDIVIDUO
NELL’INCONTRO CON L’ALTRO?
Perché si verifichi questa possibilità
di trasmettere valori senza togliere
l’individualità, è importante l’atteggiamento non autoritario. Questo è
però un elemento poco presente,
poco visibile, perché anche in paesi
dotati di una costituzione che dà
agli adulti il diritto alla libertà di
espressione non avviene lo stesso
per i bambini. La scuola è più autoritaria come se in questo caso il dispotismo fosse giustificato. Ma il dispotismo nei confronti di chi è nel
processo di sviluppo è ancora più
grave. Non dico che l’autorità non
sia importante, l’autorità è importante ma lo è anche l’atteggiamento
della scuola attiva come per esempio la scuola Montessori o altre tendenze che danno valore alla scelta
del bambino, al suo interesse favorendo elementi di autogestione e il
lavoro di cooperazione in gruppi. A
volte l’autoritarismo scolastico non
fa che alimentare quello che c’è in
casa il quale è già patologico.
PRIMA, HAI CITATO LO SQUILIBRIO
ESISTENTE TRA L’ASPETTO
DELLA COLLABORAZIONE E QUELLO
DELLA COMPETIZIONE. NELLA MIA
ESPERIENZA D’INSEGNAMENTO
AVVERTO IN MODO MOLTO FORTE
TALE SQUILIBRIO. PUOI DIRMI
QUALCOSA DI PIÙ AL RIGUARDO?
Credo che questo sia in realtà un
sintomo dello squilibrio esistente tra
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
■
27
l’aspetto maschile ed il femminile.
L’aspetto amorevole della donna è
da ricondurre alla maternità. La maternità non può esistere senza amore. È come una vocazione spontanea. L’educazione dovrebbe essere
materna nel senso che le persone
che scelgono di educare, in genere
lo fanno attraverso un’idea di aiuto
simile ad un’ispirazione maternale,
ma si vedono prese in un sistema
maschile, burocratico, politico in cui
non c’è molto spazio per la creatività degli educatori. Gli educatori
sono vittime di un sistema patriarcale politico-economico che non li
mette nella condizione di servire veramente. Come se l’idea di servire
allo sviluppo dell’altro fosse viziata
perché il sistema non favorisce questa attività ma favorisce piuttosto
l’informazione, le nude nozioni. È come dare da mangiare sabbia ai
bambini invece di vero cibo. E
quando non vogliono questa educazione e non vogliono mangiare la
sabbia, non si capisce che in realtà
loro vedono di più, hanno più chiarezza sul fatto che quanto viene dato loro non è rilevante. Allora si dice
che i bambini hanno problemi ma in
effetti il problema è nel sistema che
non vede se stesso.
SPESSO MI RENDO CONTO
DELLA DEMOTIVAZIONE DI MOLTI
INSEGNANTI I QUALI PERDONO LA
VOGLIA DI ASCOLTARE GLI ALUNNI,
DI IMPARARE DAGLI ALUNNI
E PERDONO IL SENSO DI VALORE
DEL PROPRIO LAVORO
È una situazione triste quella degli insegnanti perché solo un insegnante
eroico può rimanere umano. È forte
la pressione di lavorare per sopravvivere anche se questo comporta di
agire attraverso un’autorità che non
serve l’interesse umano. L’educazione che abbiamo risale a ciò che è
stato inventato con l’era industriale.
Spazio aperto
SPESSO GLI INSEGNANTI
LAMENTANO DI NON ESSERE
RICONOSCIUTI A LIVELLO SOCIALE.
SE NEL MONDO CONTA IL DENARO,
IN QUANTO A STIPENDI
GLI INSEGNANTI NON OCCUPANO
UNA POSIZIONE RILEVANTE E,
NEL “MONDO ALLA ROVESCIA”,
L’EDUCAZIONE, CHE DOVREBBE
ESSERE FONDAMENTALE VIENE
RELEGATA AD UN RUOLO PIUTTOSTO
MARGINALE
Il lavoro dell’insegnante, dell’educatore, dovrebbe essere di importanza fondamentale, ma se questo
diviene un ingranaggio del sistema
anche il suo lavoro effettivamente
diviene marginale, non fondamentale. Certo ha una potenzialità.
Credo sia molto importante che gli
insegnanti comincino a capire come, senza saperlo, hanno servito gli
interessi industriali e militari del
mondo. È come se l’educazione
fosse diventata il socio invisibile, il
partner nascosto del sistema militare industriale. Gli interessi politici
rendono invisibile l’educazione. Gli
educatori e gli insegnanti forse non
si rendono conto di quanto il denaro li condizioni.
Virgilio Tramontin, Acacie, acquaforte.
Si educa in fondo per ottenere forza
lavoro, per formare persone obbedienti, che fanno cose ripetitive senza protesta. È molto robotizzante e
idiotizzante. Tutto ciò toglie l’interesse di sapere. Quando un bambino è
molto curioso, spesso l’educazione
frustra questa voglia di sapere dando in cambio qualcos’altro, dando
forme di apprendimento del tipo ricompensa/punizione. L’insegnante
si trova in questa situazione difficile
nella quale è facile perdersi e smarrire il senso della vita (burn-out). Per
avere senso nella vita è necessario
non solo avere tempo per sé, un
contatto con se stesso e uno spazio
di sviluppo, ma anche un lavoro
che ha senso, un lavoro che non sia
alienante. L’educazione alienante
(priva di contatto con l’Altro) toglie
alla persona la possibilità di crescere con il suo lavoro facendole così
perdere il significato del suo esistere.
Ci sono molti sintomi di questo. L’aspetto più profondo è che senza saperlo il sistema educativo funziona
in una situazione di non senso.
■27
QUADERNI
DI
ULTIMAMENTE SI DISCUTE MOLTO,
A SEGUITO DELLA LEGGE FRANCESE,
SUL TOGLIERE O MENO I SIMBOLI
RELIGIOSI DAGLI SPAZI PUBBLICI
E DUNQUE ANCHE DALLE CLASSI.
A ME SEMBRA DI INTRAVVEDERE IN
QUESTO UNA INCAPACITÀ DI STARE
ED AFFRONTARE I CONFLITTI
DERIVANTI DALL’INCONTRO CON
L’ALTRO. TU COSA NE PENSI?
Penso che il conflitto più diffuso sia
tra secolarizzazione e spiritualità. Al
mercato conviene la secolarizzazione. Il mondo del denaro non ammette che altri valori interferiscano
con le decisioni economiche. Una
multinazionale, un’azienda, funzio-
ORIENTAMENTO
65
Spazio aperto
nano come uno psicopatico. Interessa solo il denaro. Una persona a
cui interessa solo il denaro può agire in una forma che va contro l’interesse di molte altre persone. Ciò è
criminale, per cui questa persona
viene chiamata psicopatica. Ma
un’azienda funziona proprio così,
per essa è perfettamente legittimo
curarsi esclusivamente del proprio
denaro. Per il denaro è dunque disposta anche a distruggere la natura, a distruggere culture e persone.
Per tale motivo al mercato non conviene l’interferenza di nessuna autorità religiosa.
Nell’educazione e nel mondo occidentale il conflitto si propone soprattutto tra monoculturalismo e multiculturalismo in quanto è esclusa a priori
la possibilità di trasmettere valori
transculturali. Manca la capacità di
riconoscere l’esistenza di una eredità
comune. Soprattutto nel campo religioso. In effetti, se si parla di arte non
c’è dubbio che bisogna insegnare la
storia dell’arte dell’umanità intera.
Non ha senso essere nazionalista e
per esempio mostrare esclusivamente l’arte europea e non mostrare l’arte asiatica. Per la religione dovrebbe
essere lo stesso. Ci sono persone, profeti, geni nel campo religioso, che
hanno esperienze mistiche. Ciò di cui
abbiamo bisogno è un insegnamento religioso che presenti l’essenza degli insegnamenti spirituali del mondo
intero; in cui si sottolinei l’esperienza
universale comune che questi simbolizzano, interpretano e coltivano in
modi diversi. Sarebbe come creare
un senso comune in cui educare significa dare una cultura nella quale
tutti i bambini sanno chi è stato non
solo Gesù ma anche Buddha, Maometto, Lao Tze. Com’è possibile rimuovere dall’educazione, dalla conoscenza questi grandi ispirati che
hanno creato culture? Come è possibile che l’educazione serva così
tanto il nazionalismo e il parrocchiali-
66
smo, che non danno un’educazione
interculturale nell’ambito della spiritualità? Anche se l’educazione dovesse limitarsi a trasmettere esclusivamente informazioni, queste dovrebbero essere date. Come si propone
una poesia di un buon poeta o un libro di lettura, sarebbe normale leggere una pagina del Tao te Ching o
dei grandi libri ispirati. Manca in sostanza un’educazione che non imponga una supremazia culturale dell’occidente o di una religione data.
Lo stile campanilistico è troppo vecchio, obsoleto per la società attuale.
Abbiamo visto per troppo tempo gli
eccessi del fanatismo. Non è più il
tempo. Un Vescovo della California
dice: “La nostra non è una situazione
storica in cui ci si può permettere di
insegnare una sola cultura. Abbiamo
un’eredità comune e la storia richiede una cultura più completa per agire in forma più sana. Il minimo che
possiamo permetterci è di diventare
eredi del patrimonio culturale completo dell’umanità”.
IL TUO ULTIMO LIBRO, CHE PRESTO
SARÀ TRADOTTO INTEGRALMENTE
IN LINGUA ITALIANA, SI INTITOLA
“CAMBIARE L’EDUCAZIONE PER
CAMBIARE IL MONDO”.
IN CHE MODO L’EDUCAZIONE PUÒ
REALIZZARE UNA COSÌ PROFONDA
TRASFORMAZIONE?
Il mondo in cui viviamo è così terribile perché abbiamo un’educazione
terribile. L’educazione è molto importante e responsabile di ciò che
avviene. Quella attuale è una “maleducazione” cattiva e perversa. Il
risultato è questo mondo perverso.
Stiamo vivendo una crisi nell’umanità. L’umanità o cambia o non sopravvive. Non abbiamo un’economia sostenibile, stiamo divorando
l’ambiente. Per fare diversamente
ci vuole una generazione con una
coscienza diversa. Non si possono ri-
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
■
27
solvere i problemi solo esteriormente
così come potrebbero fare un ingegnere o un economista. Il cambiamento deve iniziare dall’interno.
Come dice la frase biblica “Curati
del Regno di Dio ed il resto viene da
solo”. Questo significa aver cura del
mondo interiore, della coscienza,
della mente. L’elemento principale
è avere dei discendenti con maggiore saggezza e con più amore.
Solo loro potranno trovare una forma migliore di vita e migliori istituzioni. Questo perché la mente che ha
creato i problemi non è in grado di
risolvere tali problemi.
SI PUÒ DIRE CHE
NELLA NOSTRA EPOCA CI SONO
MOLTI INSEGNANTI, PROFESSORI,
MA MANCANO I MAESTRI?
Si, in effetti gli insegnanti devono imparare da persone che non appartengono al mondo dell’educazione.
Io credo che ci sono tre sfere della
conoscenza che si sono troppo scisse nella civiltà:
- La sfera della terapia o guarigione.
- La sfera dello sviluppo o educazione.
- La sfera religiosa o dello sviluppo
superiore o maturazione spirituale.
L’educazione si è separata sia dall’elemento terapeutico che da
quello religioso. Questo è comprensibile in quanto ha rappresentato
da un lato una buona difesa nei riguardi dell’eccessivo autoritarismo
della Chiesa e dall’altro una reazione all’invadenza prematura della
psicoanalisi. Nel primo caso si è finiti
con il “gettare il bambino con l’acqua sporca” nel senso di aver estromesso, con l’invadenza ecclesiale,
anche l’aspetto spirituale nel suo insieme, identificandolo con le antiche lezioni di religione. Nel secondo
caso, la dimensione analitico-tera-
Spazio aperto
peutica derivante dalla psicanalisi
classica, nel suo aspetto eccessivamente interpretativo e assolutistico,
si è rivelata arrogante come se dovesse dare una soluzione a tutto. All’inizio la psicoanalisi, come una tipica scienza moderna, si è spinta molto avanti nelle sue pretese. È stata
formulata dogmaticamente e, in retrospettiva, possiamo notare che il
mondo della società moderna di
massa ha voluto credere ingenuamente a questo dogmatismo, ma
successivamente ne è rimasto deluso. Questa delusione ha creato una
sorta di reazione allergica da parte
delle istituzioni le quali ancora oggi
si rendono immuni da tale interferenza. Ora però abbiamo risorse migliori, mezzi migliori, che ancora non
sono giunti agli educatori e neanche nelle università. Ora non si può
più educare senza educare il cuore.
Non si può evitare di occuparsi della condizione spesso patologica dei
bambini. Molti di essi sono danneggiati psicologicamente e togliere
l’elemento spirituale significherebbe
perpetuare ed ampliare il danno. Si
può togliere l’influenza di un’autorità religiosa, ma non si può togliere
all’educazione il compito di occuparsi della profondità della mente. Il
senso della vita non si può scoprire
attraverso il pensiero razionale,
neanche tramite l’amore inteso nel
senso ordinario del termine: le persone sono spesso infelici nelle loro
relazioni. Non si può trovare nemmeno il senso solo nell’istinto. Il senso
della vita è la scoperta del Sé
profondo. Questo messaggio non
viene trasmesso dall’attuale sistema
educativo, lo si può solo imparare
attraverso la vita spirituale di persone che sono maestri veri.
Se ci fossero governi illuminati, si potrebbero convocare personalità
sagge di diverse culture per contribuire con le loro opinioni. Ho saputo
da poco che Edgard Morin, perso-
na di profonda saggezza, ha avuto
l’incarico di riformare l’educazione
francese ma dopo un anno o due
ha rinunciato. Ha detto che non poteva portare a termine il lavoro perché la burocrazia è troppo forte ed
il sistema è molto arrogante. Il sistema ha la sua inerzia. C’è bisogno di
un metodo per la rieducazione dei
professori finalizzato ad offrire loro
qualcosa che il mondo accademico non gli ha dato. Un nutrimento,
un aiuto allo sviluppo personale.
L’autoconoscenza non è forse parte
dell’educazione, ma è parte della
vita. Si rendono molti omaggi a Socrate, ma non si pone in essere ciò
che lui affermava. L’educazione implica che gli educatori conoscano
se stessi. Se qualcuno vuole la trasformazione dell’educazione per
trasformare il mondo deve incominciare con la trasformazione di alcuni educatori perché diventino un lievito, un fermento. La trasformazione
non può avvenire solo da una ridefinizione curriculare, anche se è molto importante ridefinire, affinché
non ci si riduca solo ad imparare a
fare ma anche imparare ad imparare, imparare a convivere, imparare ad essere. Il metodo che ho elaborato, pur lavorando in un altro
campo, credo possa contribuire,
senza un eccessivo impiego di risorse in termini di tempo e denaro, sostanzialmente ad una riforma di
questo tipo.
Ritornando alla tua domanda iniziale: “Cosa richiede la società attuale?” La società attuale ha bisogno di umanizzarsi, di andare contro la tendenza a disumanizzare, ad
alienarsi. I problemi sociali derivano
essenzialmente dalla disumanizzazione o comunque si aggravano a
causa di essa. L’umanizzazione, per
come io la intendo, offre una capacità creativa che risolve cose
che non si possono risolvere in altre
forme.
■27
QUADERNI
DI
NOTE
1) Tale confronto, introdotto dal
Preside di Scienze della formazione
e referente scientifico della scuola
di psicoterapia “Gestalt” di Trieste
Franco Fabbro e dal Presidente dell’Associazione “Don Gilberto Pressacco” e Preside della Facoltà di
Agraria, Angelo Vianello, ha visto la
partecipazione di: Giuseppe Longo:
Professore ordinario di Teoria dell’Informazione alla facoltà d’ingegneria di Trieste; Luciano Galliani:
Professore ordinario di Pedagogia
sperimentale presso l’Università di
Padova, Presidente della Facoltà di
Scienze della Formazione presso la
stessa Università e Presidente della
Conferenza dei Presidi di Scienze
della Formazione; Paolo Baiocchi:
medico psichiatra e psicoterapeuta
della Gestalt, direttore dell’Istituto
Gestalt Trieste, Ginetta Pacella: psicologa e psicoterapeuta della Gestalt, direttore del “Centro Gestalt
per lo studio della personalità”di Bologna; Roberto Albarea: Professore
straordinario di Pedagogia generale
presso la facoltà di Scienze della
Formazione dell’Università di Udine.
2) Termine usato da M. Gimbutas in
riferimento al dominio culturale dei
valori femminili e non alla supposta
superiorità delle donne implicito nel
termine matriarcale
Elisabetta Damianis
Università di Teramo
ORIENTAMENTO
67
Informa
IL LIBRETTO
FORMATIVO
DEL CITTADINO
UNO STRUMENTO
PER MIGLIORARE
L’OCCUPABILITÀ
DELLE PERSONE
NELL’OTTICA DELLE
POLITICHE EUROPEE
DI LIFELONG
E LIFEWIDE LEARNING
Nell’ambito del processo attuativo
della legge Biagi è stato istituito il
“Libretto formativo del cittadino”,
che raccoglie informazioni, dati
ed attestazioni riguardanti le esperienze di tipo educativo, formativo
e lavorativo, effettuate anche in
ambito sociale, ricreativo o familiare da ogni individuo. La previsione della realizzazione di un “libretto formativo” era già contenuta in
vari provvedimenti normativi nazionali a partire dall’Accordo Stato-Regioni del 18 febbraio 2000
che, nell’allegato B, individuava in
tale dispositivo lo strumento per
“documentare il curriculum formativo e le competenze acquisite”
dalle persone.
Il DM 174/2001 ribadiva, invece,
che nel libretto formativo dovessero essere riportate le certificazioni
delle competenze effettuate: a) al
termine di un percorso di formazione professionale di norma finalizzato all’acquisizione di una qualifica; b) in esito a percorsi di formazione parziale ovvero in caso di
abbandono precoce del percorso
formativo o in percorsi che non
68
conducono all’acquisizione di
qualifica; c) a seguito di esperienze di lavoro e di autoformazione su
richiesta degli interessati.
Il D.Lgs. 276/2003, attuativo della
L. 30/2003 (Legge Biagi), integra
quanto previsto dall’Accordo del
2000 e dal DM 174/2001, prevedendo che:
- la definizione del libretto avvenga di concerto tra il MLPS ed il
MIUR, previa intesa con la Conferenza Unificata Stato-Regioni e
sentite le parti sociali;
- in esso siano registrate “le competenze acquisite durante la
formazione in apprendistato, la
formazione in contratto di inserimento, la formazione specialistica e la formazione continua
svolta durante l’arco della vita
lavorativa ed effettuata da
soggetti accreditati dalle Regioni, nonché le competenze
acquisite in modo non formale
ed informale secondo gli indirizzi dell’Unione Europea in materia di apprendimento permanente, purché riconosciute e
certificate”.
A seguito di quanto previsto dall’art.
2 del citato D.Lgs., il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha costituito un gruppo di lavoro (costituito
dai rappresentanti, oltre che dei due
Ministeri coinvolti - MLPS e MIUR -, delle Regioni e Province autonome, delle Parti sociali e dell’ISFOL, quale organismo di assistenza tecnica) con il
compito di:
- individuare gli elementi costitutivi di una proposta di libretto formativo inteso come strumento
per la messa in trasparenza delle
competenze, tenendo conto:
a) dei vincoli e dei limiti attualmente
costituiti dallo stato ancora non
definito del confronto a livello
nazionale sul tema degli standard minimi, del riconoscimento
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
■
27
e della certificazione delle competenze;
b) delle indicazioni comunitarie in
materia di trasparenza delle qualifiche e dei titoli (in particolare
della Decisione del 15/12/2004
“Quadro comunitario unico per
la trasparenza delle qualifiche e
delle competenze - Europass”);
c) di quanto già sviluppato in contesti specifici in tema di messa in
trasparenza delle competenze
(in particolare rispetto ad esperienze regionali);
- delineare e definire nel dettaglio
la proposta di libretto, unitamente a quella relativa ad una sua
prima sperimentazione nelle Regioni e Province Autonome.
Pertanto, il lavoro svolto dal gruppo
tecnico:
a) tiene conto dei diversi provvedimenti che affrontano il tema del
libretto formativo con angolature
diverse, ma intendendolo sempre come strumento di registrazione unitaria. Mentre, infatti,
l’Accordo del 2000 ed il DM
174/2001 guardano al libretto soprattutto dalla prospettiva del sistema di formazione professionale, il D.Lgs 276/2003 adotta un approccio dal versante del sistema
del lavoro, individuando in esso
lo strumento per la raccolta e la
registrazione delle competenze
del cittadino-lavoratore comunque acquisite “purché riconosciute e certificate”, secondo le
procedure in vigore presso le amministrazioni regionali dai diversi
organismi preposti.
Il libretto si configura, quindi, come una delle misure per l’attuazione delle politiche di lifelong e
lifewide learning promosse dall’Unione Europea, poiché punta
ad una maggiore trasparenza
delle qualifiche in funzione della
garanzia per ogni individuo di vedersi riconosciuto il proprio patri-
Informa
Virgilio Tramontin, Torcello: cucitrici di reti, acquaforte.
■27
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
69
Informa
monio di competenze, soprattutto in situazioni di mobilità formativa o lavorativa.
b) Ha una natura trasversale, poiché riguarda diversi contesti e sistemi che l’individuo si trova ad
“attraversare” nel suo percorso
di apprendimento permanente.
Coerentemente, pertanto, non
può che essere frutto di una cooperazione istituzionale (tra Regioni/Province autonome e tra queste ed i Ministeri) e di concertazione (con le forze sociali).
c) Non può costituire un’operazione
“chiusa” nel tempo: dovendo il libretto accogliere le registrazioni
delle competenze “riconosciute
e certificate”, la sua definizione
deve necessariamente configurarsi come percorso raccordato
a quello in atto per l’individuazione degli standard di riconoscimento e certificazione.
Scopo principale del Libretto è aiutare la persona, costituendo un ausilio per il cittadino-lavoratore che
voglia rendere riconoscibili, trasparenti e utilizzabili le competenze acquisite, soprattutto in “situazioni di
transito” e cambiamento nel contesto di lavoro o di formazione.
Non avrà, pertanto, una “valenza
burocratica”, ma l’intento di far
emergere tale patrimonio nella sua
integrità, rispettando l’unicità della
persona e sarà uno strumento in
progress, dal momento che dovrà
essere adeguato ed integrato man
mano che si andranno definendo le
caratteristiche di un sistema condiviso di standard minimi a livello nazionale per la riconoscibilità e certificabilità delle competenze, ossia di
quegli standard minimi nazionali
che restano la priorità assoluta rispetto alla quale le Regioni e le Province autonome devono agire per
l’attuazione delle politiche di lifelong learning.
70
È importante non confonderlo con
altri strumenti di raccolta dati sui
percorsi formativi compiuti, come
ad esempio il CVE, la scheda anagrafico-professionale, il portfolio perché, sebbene siano tutti centrati sul
cittadino al fine di consentire la
spendibilità delle sue competenze,
ciascuno di essi si focalizza su aspetti diversi e su differenti supporti alla
compilazione e tutti risultano più
“statici” e frammentati.
Il Libretto tende, invece, all’individuazione di un format minimo comune e di procedure condivise di
compilazione assistita, per ottenere
uno strumento che:
- risponda alla funzionalità primaria di documentazione trasparente delle acquisizioni in termini di
competenza a supporto delle
transizioni in ambito formativo e
lavorativo;
- costituisca, in seconda battuta,
anche un momento di riflessione
della persona sul proprio percorso al fine di renderla consapevole (o maggiormente consapevole) delle proprie potenzialità;
- permetta l’avvio di percorsi di
“accertamento”, in modo da rendere maggiormente spendibili le
competenze possedute, consentire l’inserimento della persona in percorsi formativi al fine di
completare la formazione posseduta e formalizzare ulteriori acquisizioni.
Le Regioni e le Province autonome
sono i soggetti titolari del rilascio del
libretto formativo.
Ciascuna Regione e Provincia autonoma dovrà individuare le tipologie di soggetti preposti a supportare la persona, almeno nella fase,
di introduzione e sperimentazione,
nella compilazione ed aggiornamento del libretto formativo, garantendone, mediante idonee misure di controllo, l’effettiva capa-
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
■
27
cità e competenza a svolgere il
servizio.
In particolare, esse dovranno garantire i seguenti requisiti minimi:
- che nell’attivazione del libretto i
soggetti autorizzati ad assistere i
singoli individui abbiano le competenze professionali necessarie
per instaurare una corretta relazione con gli stessi;
- che rispettino il carattere volontario dello strumento e, quindi,
delle scelte che la persona opera rispetto a ciò che intende mettere in trasparenza;
- che mantengano costantemente centrale la prospettiva di valorizzazione dell’individuo, anche
al fine di orientarlo nei progetti
professionali e nelle scelte di vita,
o indirizzarlo in percorsi per la successiva validazione delle competenze non ancora certificate.
Le Regioni e le Province autonome
dovranno, inoltre, in coerenza con il
piano di attivazione ed implementazione dello strumento (definito
congiuntamente agli altri attori istituzionali e non), garantire la massima diffusione ed informazione circa
le caratteristiche dello stesso presso
i potenziali utilizzatori.
Il singolo individuo, unico titolare del
libretto, sarà responsabile dell’aggiornamento dei contenuti.
Volendo, in sintesi, enucleare i
vantaggi derivanti dall’attuazione
di tale dispositivo, si può affermare
che esso offra: all’individuo la possibilità di rendere riconoscibili e
trasparenti le competenze acquisite e le potenzialità professionali;
alle imprese un modo per facilitare l’individuazione di professionalità e competenze personali all’interno di un processo di inserimento
e mobilità lavorativa; alle Istituzioni l’occasione per valorizzare i modelli di certificazione e riconosci-
Informa
CENTRO RISORSE NAZIONALE PER L’ORIENTAMENTO
Il Centro Risorse Nazionale per l’Orientamento è promosso dalla
Commissione Europea (Direzione Generale Istruzione e Cultura),
dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (Direzione Generale per le Politiche per l’Orientamento e la Formazione) e dal
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (Dipartimento per l’Istruzione, Direzione Generale per gli Affari internazionali dell’Istruzione scolastica).
È collocato dal 2004 all’interno dell’Agenzia Leonardo da Vinci,
situata presso l’Isfol, e si propone di supportare e favorire la mobilità per motivi di studio e di lavoro all’interno dell’Unione Europea attraverso le seguenti attività:
• elaborazione di materiali informativi su tematiche legate alle
opportunità di studio, formazione e lavoro a livello nazionale
e transnazionale;
• diffusione dell’informazione sui servizi di orientamento all’interno dei Paesi dell’Unione Europea e di quelli di nuovo ingresso;
• esperienze innovative e sperimentazione di modelli nel campo dell’orientamento scolastico e professionale;
• formazione degli operatori di orientamento;
• ricerca e monitoraggio nell’ambito delle metodologie e dei
sistemi informativi per l’orientamento.
L’attività del Centro Risorse è rivolta in particolare ad operatori
dei servizi per l’orientamento, la formazione ed il lavoro, nonché
agli insegnanti ed ai formatori.
A livello nazionale, esso coordina la Rete Nazionale di Diffusione
che raccoglie strutture ed esperti per diffondere in modo capillare l’informazione sulla mobilità europea.
A livello transnazionale, il Centro Risorse Nazionale per l’Orientamento italiano è membro della rete Euroguidance, la rete che
riunisce i Centri Risorse europei.
I Centri, promossi dalla Commissione Europea e dalle competenti autorità nazionali, lavorano in rete tra loro, favorendo e promuovendo la raccolta, la produzione e la circolazione di informazioni in materia di istruzione e formazione,
opportunità di mobilità, qualifiche e diplomi, sistemi di orientamento. Contribuiscono, inoltre, all’implementazione del
portale europeo sulle opportunità formative: http://europa.eu.int/ploteus
■27
QUADERNI
DI
mento in atto nei sistemi dell’istruzione e della formazione professionale e per garantire la visibilità
delle esperienze maturate dagli individui in una logica di mobilità
geografica e professionale e di
apprendimento durante tutto l’arco della vita. In senso più ampio si
può affermare, dunque, che il libretto supporterà l’occupabilità
delle persone e diventerà progressivamente uno strumento sempre
più funzionale rispetto alle esigenze di mobilità e trasparenza poste
dalla società europea. Esso sarà,
inoltre, allegato alla scheda anagrafico-professionale del lavoratore nell’ambito della Borsa Continua Nazionale del Lavoro e costituirà, dunque, un elemento ulteriore per far conoscere le proprie conoscenze e progettare percorsi
mirati e personalizzati.
Il libretto è visionabile, al momento,
sul sito del Governo italiano, alla pagina:
www.governo.it/governoinforma/d
ossier/librettoformativo2005
e sul sito del Ministero del Lavoro e
delle Politiche Sociali, alla pagina:
www.welfare.gov.it/europalavoro/n
ovita/news/librettoformativo
Andrea Rocchi
Direttore Centro Risorse Nazionale
per l’orientamento
ORIENTAMENTO
71
Informa
IL MANAGER
DIDATTICO
re professionali possiedano conoscenze ed abilità afferenti a diversi
settori che ben si integrino e si potenzino, dall’altro esse sviluppino ed
eventualmente acquisiscano quelle
competenze trasversali (Life skills)
fondamentali per attuare l’auspicato lavoro di rete.
Una professione che ben esemplifica l’adeguamento individuale alle
regole del recente mercato è quella del Manager Didattico: essa è
stata approfondita grazie all’intervista rivolta al dott. Salvatore Fadda
della Facoltà di Lettere e Filosofia
dell’Università degli studi di Sassari.
INTERVISTA A
SALVATORE FADDA
DELL’UNIVERSITÀ
DI SASSARI
La conoscenza dell’odierno mercato del lavoro rappresenta una competenza di base che tutti dovrebbero possedere: essa si sviluppa a partire da una riflessione sul moderno
concetto di carriera lavorativa che
vede alternarsi ciclicamente fasi di
ingresso/uscita nelle diverse realtà
professionali. Conseguentemente
all’evoluzione del termine, non più
ancorato al tradizionale percorso
lineare di addestramento-lavoropensionamento, si sono modificate
le richieste del mondo lavorativo a
coloro che si preparano ad entrarvi.
Innanzitutto, si rende necessario prolungare il tempo dedicato alla formazione nel corso della propria vita
(Long Life Learning), secondariamente si richiede una certa apertura mentale per fronteggiare l’attuale flessibilità contrattuale successiva
al D. Lgs 10/9/2003 n. 276, comunemente conosciuta come “Riforma
Biagi”.
Lo scenario che funge da sfondo al
mercato lavorativo si caratterizza
per un continuo affacciarsi di professionalità multidisciplinari e interdisciplinari: in termini concreti ciò implica che, da un lato tali nuove figu-
72
COME SI INSERISCE
IL RUOLO DEL MANAGER DIDATTICO
NEL CONTESTO DELL’ATTUALE
RIFORMA UNIVERSITARIA?
È molto importante introdurre, al
fianco dei docenti, persone con
nuove competenze che facilitino la
concreta possibilità di riformare la
vita universitaria e il pieno accoglimento della centralità dell’apprendimento, della qualità dei servizi,
delle relazioni con il mondo esterno.
Persone che consentano ai docenti
di svolgere al meglio la docenza e
la ricerca, senza doversi occupare
anche della loro organizzazione e
gestione.
I Manager Didattici hanno il principale obiettivo di facilitare i rapporti
tra i vari soggetti coinvolti nel processo formativo.
COME SI COLLOCA LA
FIGURA DEL MANAGER DIDATTICO
ALL’INTERNO DEL SISTEMA
UNIVERSITARIO?
QUALI SONO I PRINCIPALI ATTORI
CON I QUALI INTERAGISCE?
Il Management Didattico riguarda
azioni che sono riconducibili a tre
principali aree:
- supporto agli studenti;
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
■
27
- supporto tecnico alla direzione
dei Corsi di studio e alle Presidenze di facoltà;
- rapporti con il territorio.
Le Università decidono in autonomia se istituire, al fianco dei Manager Didattici di Corso di laurea (o di
un insieme di essi, magari raggruppabili per classe) o di Facoltà, la figura del Manager Didattico di Ateneo e, inoltre, decidono quali attività tra le seguenti privilegiare:
LA COMUNICAZIONE
• Interna: fornire agli studenti informazioni di carattere generale
sull’organizzazione e sui programmi dei corsi di insegnamento, sui
servizi didattici disponibili in facoltà e in ateneo, sui servizi di tutorato e di supporto alla didattica, sui servizi di segreteria (certificazioni possibili, es. diploma supplement). Inoltre, controllare che
le comunicazioni fornite dai docenti agli studenti siano sufficientemente chiare e tempestive curando un opportuno sito web.
• Esterna: fornire informazioni ai
soggetti interessati, pubblici e privati, sul corso di laurea, descrivendo in modo sintetico l’ordinamento degli studi, gli eventi/seminari e le possibili collaborazioni didattiche (docenza esterna, stage, tesi applicative).
ORIENTAMENTO E ASSISTENZA
DEGLI STUDENTI
• Assistere gli studenti durante tutto
il percorso formativo, anche predisponendo e coordinando Servizi di Accoglienza e Servizi di Consulenza.
• Curare una migliore comprensione dei manifesti degli studi con riferimento al sistema dei crediti e
alle attività formative diverse dai
normali corsi di insegnamento.
• Fornire informazioni sugli obiettivi
e sugli sbocchi occupazionali del
Informa
corso di studio, svolgendo attività
di consulenza, anche attraverso
incontri individuali, per la formulazione dei piani di studio (attività
didattiche integrative, esperienze professionali, crediti).
ASPETTI ORGANIZZATIVI
DELLA DIDATTICA
• Fornire indicazioni utili ad una
eventuale riprogettazione e ridefinizione degli obiettivi formativi
del corso di laurea.
• Collaborare con il Presidente del
corso nella pianificazione delle
attività didattiche.
• Monitorare periodicamente la dinamica delle risorse disponibili
del corso di studio, verificandone
l’efficienza e l’efficacia, rispetto
agli obiettivi dichiarati.
• Coadiuvare e assistere i docenti
del corso di laurea, in particolare
i docenti extra-accademici, per
questioni di gestione operativa
che coinvolgono l’amministrazione, gli spazi didattici, la segreteria studenti e in generale le funzioni svolte dai servizi didattici
della Facoltà.
• Curare i rapporti con i responsabili delle azioni di ateneo: centri
linguistici e informatici.
• Monitorare e verifica la rispondenza ai requisiti progettuali
CampusOne da parte del corso
di studio.
STAGE E NUOVE ATTIVITÀ
FORMATIVE: COLLEGAMENTO
CON IL MONDO DEL LAVORO
• Collaborare con il Presidente del
corso di laurea nella pianificazione e organizzazione delle attività
formative introdotte dalla riforma, con particolare riguardo a
quelle esterne.
• Realizzare, attraverso la collaborazione della struttura di ateneo
preposta ai rapporti internazionali, una tempestiva attività di
comunicazione relativamente alle occasioni di formazione in
campo internazionale.
• Fornire utili indicazioni sulle attività integrative che completano
la costruzione del percorso formativo.
• Curare gli eventuali rapporti con
gli enti di formazione, le aziende
e le istituzioni interessate a contribuire alle attività formative (tramite l’ufficio Tirocini e Stage).
CONTROLLO, QUALITÀ,
MONITORAGGIO
• Svolgere un controllo delle carriere degli studenti avvalendosi di
strumenti informatici, quali semplici sistemi informativi di rilevazione, possibilmente in collaborazione con il Centro di Elaborazione
Dati di ateneo e le segreterie studenti.
• Individuare situazioni di sofferenza o di scarso rendimento di studenti sulla base di parametri oggettivi (numero esami, voto medio) e proporre eventuali interventi correttivi.
progettazione dei corsi e delle modalità di autovalutazione e valutazione degli stessi.
QUALI SONO LE COMPETENZE
TRASVERSALI CHE TALE FIGURA
PROFESSIONALE DEVE POSSEDERE?
Essendo il Manager Didattico una figura professionale innovativa in grado di interagire con attori diversi
(docenti, amministrativi, studenti)
per migliorare il raccordo tra i soggetti interni all’Università e intensificare l’integrazione tra Sistema Universitario e Società, dovrebbe possedere le seguenti capacità:
- di relazione e comunicazione interpersonale;
- di analisi dei flussi decisionali e
dei problemi organizzativi;
- di rapido inserimento in contesti
lavorativi.
Infine, deve sviluppare un buon livello di assertività e continuare a formarsi per migliorare tali abilità.
L’ITER FORMATIVO PER ACCEDERE
A TALE PROFESSIONE È DEFINITO?
Alcuni Atenei hanno attivato dei
Master finalizzati alla formazione di
tale figura, ma non vi è ancora una
chiara definizione dell’iter formativo. In proposito, si rende necessario
verificare quanto e in che modo gli
Atenei assorbiranno il Progetto
CampusOne e le relative indicazioni
sul Management Didattico.
QUALI PERCORSI
SONO DA LEI CONSIGLIATI?
Credo che sia molto importante
che un Manager Didattico possieda
una formazione post lauream soprattutto inerente alle tematiche
dell’Orientamento formativo, della
■27
QUADERNI
DI
Sara Vizin
Psicologa
ORIENTAMENTO
73
Informa
LA SCUOLA
PER TUTORI
INTERVISTA
AL PUBBLICO TUTORE
DEI MINORI
FRANCESCO MILANESE
È NATA IN FRIULI VENEZIA GIULIA
LA PRIMA “SCUOLA PER TUTORI
LEGALI VOLONTARI PER MINORI
”CHIEDIAMO AL DR. FRANCESCO
MILANESE, TUTORE PUBBLICO
DEI MINORI DELLA REGIONE DI
SPIEGARCI LO SCOPO
DELL’INIZIATIVA
Uno dei principali compiti assegnati all’ Ufficio del Tutore pubblico dei minori, dalla legge istitutiva,
è quello di “individuare e preparare persone disponibili a svolgere
attività di tutela e curatela, assicurando la consulenza e il sostegno
ai tutori o ai curatori nominati”;
(art.21 - L.R.n.49/1993 succ. modifiche L.R.n.16/96). Per tale motivo
nel piano delle attività promosse
dal mio Istituto di Garanzia per
l’anno in corso, è stato inserito il
progetto di istituzione di una
“Scuola per Tutori Legali Volontari
per Minori ”.
Ai giorni nostri il compito di tutelare un minore, non corrisponde più
al farsi carico dei suoi problemi e
sostituirsi a lui, ma mira ad instaurare con lui uno stretto rapporto
educativo, per favorire la sua gra-
74
duale crescita, sostenendo lo sviluppo della sua autonomia, per
portarlo ad essere egli stesso protagonista un domani dell’esercizio dei suoi diritti. Diviene quindi
necessario preparare gli operatori/volontari che si offrono a favore
della rappresentazione degli interessi del bambino, esercitando
l’azione tutoria, ad un’adeguata
cultura dell’infanzia anche per
promuovere l’attuazione della legislazione internazionale sulla tutela dei minori, allo scopo di aiutare il bambino ad essere soggetto dei suoi diritti
A CHI È RIVOLTA LA SCUOLA
E QUALI SONO I REQUISITI
PER LA FREQUENZA?
I soggetti invitati a svolgere le funzioni di tutela devono per legge essere al di fuori della rete parentale
del minore. Ma in primo luogo devono essere, secondo me, persone
sensibili, disponibili e fortemente motivate ad assumere la tutela legale
di un minore, privo dei genitori o
che, pur avendoli, non siano in grado per un periodo più o meno lungo
di esercitare, per una pluralità di
cause, la potestà sul figlio. Viene
inoltre consigliata una certa esperienza nel campo minorile, magari
maturata attraverso attività di volontariato.
QUANDO E COME VERRÀ
REALIZZATA L’ IMPORTANTE
INIZIATIVA?
DI
ORIENTAMENTO
Il corso è già stato avviato ai primi
di ottobre con una giornata seminariale alla presenza delle Autorità
regionali e locali. Successivamente c’è stata la lezione introduttiva
dedicata a: I diritti dei minori e responsabilità degli adulti tenuta dal
Tutore Pubblico dei Minori. In seguito, la dott.ssa Fabia Melina Bares, docente di diritto minorile all’Università degli studi di Trieste e
Udine, coordinatrice del corso di
formazione, ha presentato il profilo
culturale e didattico del programma formativo.
CI PUÒ BREVEMENTE ILLUSTRARE
LE CARATTERISTICHE DEL CORSO
DI FORMAZIONE?
Il progetto che definirei sperimentale, ma che verrà riproposto nei
prossimi anni, è realizzato in collaborazione all’Istituto Regionale
per gli Studi di Servizio Sociale di
Trieste (IRSSES) che vanta notevole esperienza nei processi formativi degli operatori sociali. La presentazione ufficiale del corso si è
QUADERNI
svolta presso la sala Auditorium
dell’Ufficio di rappresentanza della Regione a Udine. All’incontro
sono stati invitati i Direttori Generali delle Aziende Sanitarie, i Responsabili del Servizi Sociali dei
Comuni. I Segretari Comunali degli Enti Gestori del Servizi Sociali
dei Comuni ed associazioni di Volontariato. Sono state invitate anche alcune persone che in anni
precedenti avevano seguito un’iniziativa formativa di tutela per i
minori, realizzata con l’ANCI. La
scuola è stata promossa per mezzo di interviste della Rai e di altre
emittenti televisive. È stata proposta anche attraverso:
- sito internet dell’ Ufficio del Tutore
pubblico dei minori;
- sito internet dell’IRSSES;
- editoriale dell’ Anci.
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27
La scuola,completamente gratuita, è articolata in 200 ore suddivise
in una prima parte a carattere
teorico (140 ore) con lezioni frontali in classe e lavori per piccoli
gruppi; e da una seconda parte
con carattere esperienziale (60
ore) dove i corsisti organizzati in
Informa
ALLA FINE DEL PERCORSO QUALI SARANNO LE RICADUTE NELLA PRATICA
QUOTIDIANA?
È prevista la definizione di un elenco
o “registro” di tutori legali volontari
motivati e preparati che verrà messo a disposizione dei Giudici Tutelari
o del Tribunale per i minorenni per
un eventuale conferimento dell’incarico.
Virgilio Tramontin, Alberi, acquaforte.
gruppi-classe si muoveranno sul
territorio. Le discipline proposte riguardano, per la parte teorica, diritto di famiglia e minorile, organizzazione di servizi, psicologia dell’età evolutiva e della comunicazione. La parte formativa connessa all’esperenzialità porterà i corsisti a conoscere e confrontarsi con
alcune tra le più rappresentative
realtà educativo/assistenziali e ad
incontrare alcuni “ testimoni chiave ” impegnati, a diverso titolo,
nella problematica minorile. Inizialmente, ai partecipanti sono stati
somministrati alcuni test d’ingresso
per ogni disciplina trattata, per
capire le loro motivazioni e competenze. Alla fine è previsto un test o colloquio finale per la verifica
dell’acquisizione dei contenuti formativi proposti.
QUALI SONO LE MODALITÀ
DI ISCRIZIONE ALLA SCUOLA PER
COLORO CHE FOSSERO INTERESSATI
A FREQUENTARE UN CORSO COSÌ
INTERESSANTE E SIGNIFICATIVO
PER LA TUTELA DEI BAMBINI
E ADOLESCENTI IN DIFFICOLTÀ?
Quest’anno i soggetti interessati
alla formazione si sono iscritti entro
la fine del mese dello scorso luglio,
compilando una scheda di adesione e sostenendo una preselezione da parte dei Sindaci, unitamente ai responsabili territoriali del Servizio Sociale dei Comuni. Le persone ammesse sono state una quarantina e provengono da tutta la
regione. Per facilitare la frequenza
anche alle persone che lavorano,
il corso è stato concentrato nel fine settimana, il venerdì pomeriggio ed il sabato mattina. Inoltre
per agevolare i corsisti provenienti
da varie province è stata individuata una sede a Udine. Penso
che le stesse modalità verranno riproposte il prossimo anno anche
perché è nostra intenzione, con
questa iniziativa, avviare una reale
e concreta promozione della tutela di bambini ed adolescenti come indicato dalla Convenzione
europea sull’esercizio dei diritti del
fanciullo approvata a Strasburgo il
25 gennaio 1996 e ratificata dal
Parlamento Italiano con legge 20
marzo 2003, n.77.
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QUADERNI
DI
Luigina D’Orlando
Psicologa
Per informazione rivolgersi a:
IRSSES,
Via Combi, 13
34143 - Trieste –
tel. 040 309968 - fax 040 308952
www.irsses.it
ORIENTAMENTO
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Libri • la recensione
Carla Berto, Matteo Cornacchia
LO STAFF
DEL DIRIGENTE
Carocci Faber, 2005
pp.111 € 10,00
La piena realizzazione dell’Autonomia Scolastica prevede che la
scuola diventi una realtà dinamica
e organizzata in cui, da una parte il
dirigente “facilitatore e gestore dell’apprendimento” motivi e coordini
il personale della scuola (docente e
non) nella transizione dal vecchio al
nuovo modello organizzativo, dall’altra che il docente abbandoni l’idea di un insegnamento solitario ed
egocentrico per aprirsi al dialogo e
alla condivisione di idee e progetti
lavorativi all’interno di una dimensione nuova collaborativa-partecipativa, che è quella dello staff. Da
ciò si ricava che, la nuova figura del
dirigente, risponda all’assunzione di
competenze di un elevato spessore
che comprendano l’area giuridicoamministrativa e quelle di natura più
specificatamente psicologica e didattica.
Nello stesso tempo, l’insegnante riconosce l’importanza delle relazioni
all’interno dello staff individuando in
questo fattore l’elemento basilare
per rispondere al bisogno di autorealizzazione e di stima sociale. Inol-
76
tre, affinché si instauri un clima di lavoro piacevole che favorisca produttività e coesione tra i membri,
devono necessariamente entrare in
campo l’intelligenza sociale e le
qualità personali che riconducano
al concetto di adultità.
Questo libro si rivolge a tutti coloro
che si trovano a vivere tale cambiamento e vuole essere un supporto
psicologico ma anche una guida
sostanzialmente utile a promuovere
l’assunzione di atteggiamenti e
comportamenti adatti ad un modo
nuovo di “fare scuola”. Inoltre, l’esposizione chiara e ordinata dei
contenuti salienti, ne permette una
lettura vivace, motivando anche il
lettore ad una riflessione personale
differita nel tempo. Il volume, infatti,
individua ed espone i punti critici
della tematica che vuole analizzare, organizzando gli elementi chiave
o“idee-madri” in schemi sintetici, su
cui focalizzare l’attenzione, sia durante la lettura del testo, sia una volta ultimata. Questa modalità risulta
essere funzionale per il lettore a livello cognitivo, dato che rende efficace sia la comprensione sia la memorizzazione dei contenuti più importanti.
Alla luce dell’importanza metodologica dello “Studio dei Casi,” il testo
espone tre storie di accadimenti tipici ovvero “astrazioni verosimili e
pertinenti riguardanti situazioni di vita paradigmatiche”. Partendo dalla
visione concreta dei problemi, descritti in questi racconti, il lettore
comprende in modo corretto le
competenze che deve possedere
un buon insegnante e nello stesso
tempo un buon dirigente, per il superamento dei conflitti e il mantenimento di un clima adeguato e positivo all’interno dello staff. Il volume
chiarisce il concetto di “pluriappartenenza”, nel senso che il docente
ha il duplice ruolo di insegnare
quando è in classe e anche di lavo-
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
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27
rare all’interno dello staff rapportandosi con altri insegnanti. Inoltre si descrivono le linee guida affinché senso di appartenenza, di condivisione,
e atteggiamenti collaborativi possano svilupparsi per il raggiungimento
degli obiettivi specifici della mission.
Risulta essere altrettanto funzionale
e utile per la conoscenza e la comprensione della rivoluzione pedagogica avvenuta con l’Autonomia,
leggere che i primi germogli in senso “autonomistico” si possono trovare già in un documento programmatico “Il progetto 80” nel quale si
sollecitava il decentramento dei poteri decisionali a favore di una valorizzazione delle autonomie locali. Ufficialmente fino alla legge 59/1997,
le scuole dovevano solo eseguire le
linee programmatiche decise dal
provveditorato degli Studi. Esistevano però moltissime realtà che senza
un controllo effettivo agivano autonomamente. In altre parole, si è sentita l’esigenza di regolarizzare qualcosa che già avveniva per dare la
possibilità alle scuole di progettare e
realizzare azioni formative mirate.
L’Autonomia Scolastica ha cancellato il vecchio modello gerarchico
funzionale, a favore di una nuova
cultura organizzativa.
Da ciò si evince che la transizione è
basata sul passaggio “dalla cultura
dell’adempimento a quella del servizio”, e viene da sé che si passi “dal
principio del comando al diventare
attori responsabili del processo formativo”.
Gli autori, analizzando il contesto
storico-culturale che ha dato avvio
all’Autonomia Scolastica, colgono
un filo conduttore tra il presente, il
passato e il futuro delle istituzioni
scolastiche complesse, dandone
una visione globale, anche dal punto di vista storico, del cammino verso l’Autonomia.
Sonia Gazzola
Libri • la recensione
16. Virgilio Tramontin, Mattino di neve, acquaforte.
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QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
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Libri • la recensione
Leonardo Evangelista
PROFESSIONE ORIENTAMENTO
UNA GUIDA PER INSERIRSI NEL SETTORE
Edizioni Sonda, 2005
pp. 139 € 12,00
Questo libro vuole essere una guida rivolta a quanti desiderano inserirsi nel settore dell’orientamento
ed a quanti vi sono già inseriti, ma
desiderano comunque migliorare
la propria professionalità. Nelle varie sezioni, infatti, si possono ricavare utili indicazioni su cosa occorre
conoscere per formarsi e lavorare
nel settore. All’inizio, l’autore descrive le caratteristiche e l’aiuto offerto dall’orientamento; passando
in rassegna le numerose definizioni
(termine, dice, che attualmente
ha troppi significati), ne propone
una delimitazione rispetto ad altre
attività collegate, ma di natura diversa: “fare orientamento significa
aiutare le persone (qualunque sia
la loro età) ad individuare e costruire percorsi pienamente soddisfacenti in ambito formativo e professionale”. L’orientamento aiuta
cioè a fare scelte in ambito formativo e professionale ed a metterle
in atto. Ma in cosa consiste l’aiuto
dell’orientamento? Nel fornire
informazioni orientative, nell’aiutare le persone ad approfondire la
78
conoscenza delle proprie caratteristiche personali, ad operare scelte professionali o formative, nonché a mettere in opera l’obiettivo
individuato. Ognuno di questi punti viene approfondito esaurientemente.
Questa parte si conclude con un’elencazione dei luoghi in cui vengono svolte attività di orientamento in
Italia, come ad esempio scuole,
Università, Centri per l’impiego,
sportelli aperti al pubblico, agenzie
di lavoro interinale. Mette anche in
evidenza uno dei possibili rischi dell’orientamento in azienda: le attività di orientamento (la cui caratteristica fondamentale è la centratura sul cliente) possono essere
confuse con quelle di gestione delle risorse umane (svolte in azienda
o in collegamento con le aziende).
Conseguentemente, i risultati dell’attività rimangono al cliente e non
possono essere utilizzati per fini che
possano penalizzarlo; se questa
condizione non è assicurata, non è
possibile instaurare quella relazione
di aiuto indispensabile per il buon
svolgimento delle attività di consulenza orientativa.
La seconda parte è dedicata ai
principali servizi dell’orientamento,
che negli ultimi anni stanno conoscendo un’ampia diffusione ed alle
ragioni del loro sviluppo, in Italia.
Partendo da una breve storia (il primo Centro di orientamento in Italia
risale al 1918), vengono illustrati i
motivi del loro sviluppo, dovuto fondamentalmente alla nuova politica
europea sull’occupazione, alla riforma dei servizi per l’impiego e alla
normativa sull’obbligo formativo e
la loro evoluzione; viene presentata
inoltre una sistematica classificazione dei servizi di accoglienza ed
informazione, di consulenza (bilancio orientativo e counselling orientativo) e di orientamento formativo.
QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
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Il testo prosegue con una parte dedicata al governo ed alla regolamentazione del settore dell’orientamento, in particolare alle strutture di organizzazione dei servizi e alle normative sull’orientamento in
Italia, nonché alle diverse ipotesi di
regolamentazione delle figure professionali.
L’orientamento sembra essere una
disciplina trasversale ai sistemi educativo e produttivo, che rientra nelle competenze sia dello Stato che
delle Regioni; nella sua gestione risultano quindi coinvolti soggetti istituzionali diversi (Ministero del Lavoro, Ministero dell’Istruzione e dell’Università, Regioni) e molteplici figure
professionali. Tutto ciò tendenzialmente porta ad una difficoltà di
gestione del sistema e ad una conseguente necessità di coordinamento dello stesso (si pensi che
ogni Regione o Provincia ha normative diverse).
In questa sede viene spiegato cosa si è fatto finora e come si stia faticosamente cercando di arrivare
ad un coordinamento fra le politiche di tutti i soggetti coinvolti e
quali sono gli organismi tecnici di
supporto: viene ipotizzata, ad
esempio, anche la costituzione di
un Centro risorse nazionale per l’orientamento e di Centri risorse regionali (quest’ultimo già presente
nella nostra regione dal 2002). Un
tema molto dibattuto è quello delle figure professionali dell’orientamento: se cioè esistano effettivamente figure “esclusive” per l’orientamento o se le attività di
orientamento sono o debbano essere un’aggiunta alle attività di figure professionali già esistenti. Un
altro tema collegato è quello dei
requisiti minimi di legge per svolgere attività di orientamento, e di come questi requisiti vadano verificati. In questa terza parte del volume
sono presentate le ipotesi più ac-
Libri • la recensione
Virgilio Tramontin, dal ciclo “Ortolani di laguna”, acquaforte.
creditate (anche se in alcuni casi
molto distanti tra loro), nonché i
percorsi di accesso alla professione per quanto concerne la situazione attuale ed i possibili sviluppi
futuri.
L’ultima parte chiarisce alcuni percorsi inerenti la formazione necessaria per lavorare nel settore, come abilitarsi (si è in attesa di una
regolamentazione di legge delle
figure professionali), con chi e come avviare attività di collaborazione, quali regole seguire nello svol-
gimento della propria attività e
come inquadrarla fiscalmente; oggi, tre sono le possibilità: prestazione occasionale; lavori a progetto;
attività libero professionale con
partita IVA.
Poiché il settore dell’orientamento
in Italia è in rapido cambiamento,
l’autore precisa che le indicazioni
contenute in questo capitolo sono
soggette ad aggiornamenti continui. Si parte da alcuni cenni di
deontologia professionale, per passare poi ad una dettagliata descri-
■27
QUADERNI
DI
zione di quali siano i possibili e potenziali committenti delle attività di
orientamento; segue una nutrita serie di strategie per formarsi ed inserirsi nel settore, acquisire competenze e muoversi per cercare questo tipo di lavoro.
Rossanna Tami
ORIENTAMENTO
79
La distribuzione della rivista semestrale “Quaderni di Orientamento”, è gratuita per operatori scolastici e
di orientamento della regione Friuli-Venezia Giulia previa richiesta scritta all’Ufficio di coordinamento
della Struttura regionale di orientamento. Nel caso il materiale fosse disponibile, potrebbero essere prese
in considerazione anche richieste provenienti da Strutture pubbliche di orientamento, operanti sul
territorio nazionale.
La rivista è comunque disponibile in formato elettronico PDF, all’interno delle pagine Internet della
Struttura di orientamento della regione Friuli-Venezia Giulia, al seguente indirizzo:
www.regione.fvg.it
Selezionare la voce tematica ORIENTAMENTO.
Per nuovi abbonamenti, richieste di numeri arretrati, o cambiamento di indirizzo, si prega di utilizzare
l’apposito form, disponibile nella sezione “Materiale e guide” del suddetto sito, oppure di compilare la
seguente richiesta (da inoltrarsi via fax).
Al
SERVIZIO DI ORIENTAMENTO
Scala dei Cappuccini, 1 – 34131 Trieste
Fax 040 3772856
Rivista “Quaderni di Orientamento”
(nuovo abbonamento)
Rivista “Quaderni di Orientamento”
(cambio di indirizzo)
Eventuali numeri arretrati (se disponibili)
Nome Cognome
Scuola/Ente
Indirizzo
Personale
Scuola/Ente
Cap
Città
Provincia
Telefono
NB: Barrare l’indirizzo prescelto.
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QUADERNI
DI
ORIENTAMENTO
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