ORIENTAMENTO QUADERNI DI Periodico semestrale II semestre - Novembre 2005 Anno XIV - N. 27 Direzione centrale istruzione, cultura, sport e pace Servizio istruzione e orientamento ORIENTAMENTO E SCUOLA Benessere a scuola • Didattica laboratoriale • L’orientamento in prospettiva interculturale • Un sistema di rete per l’orientamento SPAZIO APERTO Intervista a Claudio Naranjo INFORMA LIBRI 27 IN QUESTO NUMERO EDITORIALE ............................................................... Redazione........................... Il benessere a scuola .............................................. F. Tessaro.............................. Orientamento e Scuola 3■ 4■ 12■ F. Sesti................................... 18■ La didattica laboratoriale al servizio dell’orientamento.................................. C. Berto ............................... L’orientamento in prospettiva interculturale ....... 22■ F. Batini................................. 30■ Un sistema di rete per l’orientamento.................. L. Clama, D. De Carolis A. Ferrari .............................. Orientamento e empowerment ........................... Centra la scelta. Un questionario di autovalutazione on-line......... G. Gulli, S. Pozzi................... 36■ 46■ F. Ometto ............................ 56■ E. Damianis ......................... 62■ Transazione post-diploma. I ragazzi come si orientano?.................................. S. Mosco.............................. I fattori decisionali nell’orientamento................... Spazio Aperto Informa Intervista a Claudio Naranjo.................................. 68■ S. Vizin.................................. 72■ Il Libretto formativo del cittadino.......................... A. Rocchi............................. Il manager didattico (intervista a C. Nonnis) ...... 74■ S. Gazzola (a cura di)........ 76■ R. Tami (a cura di).............. 78■ La scuola dei tutori (intervista al Tutore dei minori del FVG) ............... L. D’Orlando ....................... Libri Lo staff del dirigente (C. Berto) ............................. Professione orientamento (L. Evangelista)........... Centro Risorse Allegato Riparte il Progetto Ri.T.M.O. Centri dedicati PROFILO DELL’INCISORE VIRGILIO TRAMONTIN Virgilio Tramontin nasce nel 1908 a San Vito al Tagliamento e la prima gioventù si svolge tra Roma (dove la famiglia fugge, dopo Caporetto), di nuovo a San Vito e poi a Pola, alla Scuola Ufficiali. Nel 1931 si trasferisce a Venezia dove frequenta l’Accademia e conosce il pittore Virgilio Guidi. Ma la passione disegnativa nasce frequentando lo studio degli incisori Brugnoli e Giuliani, passione che darà impronta a tutta la sua produzione, pur dedicandosi anche alla pittura e all’affresco su tematiche religiose. Dal 1932 partecipa alla vita culturale in Friuli e a Venezia, dove viene ammesso alle Biennali internazionali nel 1938, 1940 e 1942. Verso la fine della guerra incontra Pier Paolo Pasolini, Federico De Rosso e Nico Naldini, con cui collabora alla Academiuta di lenga furlana e alla pubblicazione dello Stroligut. Negli anni ’50 tiene contatti con gli incisori Marangoni e Wolf, e promuove con Giorgio Trentin l’Associazione Incisori Veneti, con la quale opera costantemente per oltre un decennio. Per la sua fama di prezioso incisore, anche nel campo degli ex libris, viene intensamente chiamato ad esporre in Italia, e sono numerosissime le sue mostre personali e la partecipazione a quelle collettive all’estero: Amsterdam, Anversa, Vienna, Como, Bled, Lubiana, Tokyo, Mosca, Leningrado, Parigi, Tolosa, Bordeaux, Marsiglia, Grenoble, Berlino, Strasburgo, Barcellona, Oslo, Varsavia, Budapest, Rabat, Casablanca. Sue opere sono conservate in Musei, Gallerie, Università, Centri calcografici, Accademie: a Bruxelles, Stoccolma, Roma, Venezia, Milano, Asti, Cremona, Udine, Pordenone. Sull’opera di Virgilio Tramontin hanno scritto molti acuti osservatori del nord-est (critici, scrittori, poeti), da Arturo Manzano a Giorgio Trentin, da Ettore Cozzani a Carlo Mutinelli, da Elio Bartolini a Novella Cantarutti, da Giancarlo Pauletto a Giulio Montenero. Ma serve qui riportare un pensiero che Pasolini scrisse nel lontano 1943 in occasione di una mostra dell’amico: “Virgilio Tramontin, incisore, si presenta qui, forse, come la personalità più sicura e lineare. Non si potrà ricercare giustificatamente in questo buon numero di acqueforti, una preoccupazione lirico-deformatrice che possa far ricordare i nomi più impegnati dei nostri incisori (Bartolini, Morandi): la sua arte, sviluppatasi e maturatasi in provincia, lontana benché cosciente, di certi problemi che assillano sempre le nostre odierne arti figurative, sembra ricercare i propri motivi poetici in una casta saggezza di visione. I ‘luoghi’ tramontiniani conservano tutti i loro dati naturali (e parleremo a lungo delle dolci terre dove il ruvido Friuli si ingentilisce nella Venezia) e la sua trasfigurazione è molto interna, affettuosa, scoperta.” Nel 2002, all’età di 94 anni, Virgilio Tramontin muore, nella serenità del paese natale. Riccardo Toffoletti Si ringrazia la Stamperia d’Arte Albicocco di Udine per aver concesso la riproduzione delle opere pubblicate in questo numero del periodico: tutte acqueforti eseguite fra il 1983 e il 1993. Editoriale La didattica laboratoriale è argomento di analisi in due articoli di questo numero. F. Tessaro con “Benessere a scuola”, mette in rilievo le potenzialità del laboratorio di apprendimento, quale metodologia esemplificabile per la realizzazione del benessere a scuola. Il senso interpretativo che l’autore propone, configura questo stato come una precaria condizione di equilibrio dinamico, all’interno dell’azione formativa e della relazione tra docente e discente, raggiungibile tramite una costante modulazione nei processi di insegnamento/apprendimento. La pratica di laboratorio opera un rovesciamento di prospettiva, spostando l’obiettivo didattico dalla conoscenza delle discipline, al modo in cui esse possono invece favorire la costruzione della competenza nell’individuo. L’allievo costruisce attivamente il proprio sapere e governa il dominio dei propri apprendimenti. Sostenendo una significativa correlazione tra le pratiche didattiche attivate dalla scuola, la conoscenza di sè e l’autorientamento, C. Berto con “La didattica laboratoriale al servizio dell’orientamento”, indaga a sua volta gli aspetti metodologico/didattici di questa strategia di lavoro, ricca di potenzialità espressive e di possibilità esperienziali. Ci porta a considerarla una sorte di volano, in grado di trascinare con sé una molteplicità di aspetti a carattere orientativo, fortemente innovativi, che vanno nella direzione della valorizzazione degli studenti e dei loro vissuti, della realizzabilità di un processo di apprendimento realmente significativo, e della motivazione intrinseca all’interno di una dimensione cooperativa. L’autrice pone l’accento sui significativi cambiamenti relativi al piano dell’insegnamento disciplinare e trasversale, delle metodologie centrate sulla ricerca, del cooperative-learning e della personalizzazione dell’intervento formativo. L’articolo redatto da F. Sesti, “L’orientamento in prospettiva interculturale”, mette in evidenza le problematiche che il sistema educativo si trova ad affrontare per la trasformazione in atto della popolazione scolastica. Il principio di una mera integrazione appare sempre più riduttivo ed elude la vera sfida che la scuola oggi è chiamata ad affrontare. La società multiculturale, quale è quella in cui viviamo, richiede secondo l’autore, un cambiamento radicale dei nostri criteri interpretativi ed una capacità nuova di progettare la formazione delle giovani generazioni. La sezione prosegue con la proposta di due articoli relativi alle ricerche condotte nel contesto di alcune scuole secondarie. I contributi redatti da S. Mosco e F. Ometto, inquadrano la situazione orientativa riferita agli studenti frequentanti l’ultimo anno della scuola superiore, le competenze orientative che hanno maturato e le problematiche che il futuro pone loro. G. Gulli e S. Pozzi in una recente indagine della fondazione IARD, hanno esplorato i bisogni orientativi degli studenti, nelle diverse fasi di transizione e di scelta e nell’articolo “Centra la scelta!. Un questionario di autovalutazione on-line”, propongono le risultanze del lavoro finalizzate allo sviluppo di percorsi, di strumenti e di condizioni per l’attivazione di una progettualità consapevole. Sempre in questa sezione ritorniamo a parlare del sistema rete con l’articolo ”Un sistema di rete per l’orientamento”, proposto da L. Clama, D. De Carolis e A. Ferrari. Gli autori si soffermano sulla necessità di istituire reti che siano governate secondo modelli efficaci, basate sulla condivisione di obiettivi e strategie, da parte di tutti i partners, che si riconoscono nel sistema ed hanno, al suo interno, pari dignità. Infine F. Batini in “Orientamento ed empowerment” riprende le funzioni proprie del processo di empowerment ed illustra un percorso narrativo collettivo, volto alla ricostruzione e alla valorizzazione delle competenze, in senso funzionale per lo sviluppo dell’autoefficacia della persona. ■27 QUADERNI DI ORIENTAMENTO 3 IL BENESSERE A SCUOLA QUANDO IL SOGGETTO È RESPONSABILE DEL PROPRIO APPRENDIMENTO Fiorino Tessaro I l benessere è una condizione di equilibrio dinamico tra la tensione allo sviluppo, al cambiamento, al miglioramento per un verso, e il bisogno di certezze, di sicurezza, di affermazione, di identità dall’altro. Nel paradigma della complessità che caratterizza tutta la società contemporanea, il benessere è una categoria estremamente fluida, è in disequilibrio continuo, appena lo si immagina non esiste più PREMESSA Apprendere è cambiare. Il cambiamento è crisi, dissonanza, diversità. È sufficiente pensare all’apprendimento adulto per comprendere quanto sia faticoso studiare, imparare, cambiare, assumere e integrare nuove conoscenze. In prospettiva pedagogica il benessere non è semplice assenza o riduzione del disagio, ma è presa in carico, da parte dell’allievo, del suo percorso formativo, comprendendo il disagio e la sofferenza, l’impegno e la frustrazione che ogni trasformazione porta con sé. Il benessere a scuola si fonda sulla costruzione di situazioni formative ecologiche, nella corresponsabilità di allievi e insegnanti dello sviluppo di sempre nuovi equilibri cognitivi, vissuti e condivisi. Il benessere viene qui interpretato come condizione di equilibrio dinamico tra la tensione allo sviluppo, al cambiamento, al miglioramento 4 Virgilio Tramontin, Cividale del Friuli, acquaforte. per un verso, e il bisogno di certezze, di sicurezza, di affermazione, di identità dall’altro. In ambito scolastico, il docente è facilitatore dell’apprendimento: predispone QUADERNI DI ORIENTAMENTO ■ 27 contesti, relazioni e ambienti in cui ogni allievo sente, ed è consapevole, di vivere un’esperienza “sua”, importante e significativa per lui. Il benessere scolastico, Orientamento e scuola pertanto, è dato dalla modulazione dei processi di insegnamento (quelli dell’insegnante) con i processi dell’apprendimento (quelli dell’allievo) nell’azione formativa e nella relazione tra insegnanti e studenti. L’insegnante predispone situazioni che favoriscono lo star bene dell’allievo a) con la disciplina che porta all’allievo, b) con il modo con cui avvicina la conoscenza all’allievo, c) con la promozione di sistemi relazionali tra gli allievi. Quest’ultimo, l’approccio relazionale, è ampiamente frequentato, in particolare nella scuola primaria; il primo, l’approccio epistemologico, merita un approfondimento a sé da sviluppare in un altro articolo; in questa sede affrontiamo la via metodologica al benessere formativo. I metodi didattici sono modalità procedurali e processuali attivate dal docente, che facilitano l’acquisizione significativa, stabile e fruibile di ciò che si offre con l’azione di insegnamento. L’insegnamento è una proposta complessa, organizzata e vissuta, di contenuti e di metodi, di valori e di strategie, di visioni del mondo e di tecniche operative. In tale proposta il metodo si configura come l’itinerario, la procedura messa a punto e organizzata dall’insegnante. L’itinerario si trasforma in percorso da seguire, in processo reale e vissuto, al fine di ottenere risultati validi e affidabili nello studio dell’allievo e nell’azione didattica. Il metodo è ricerca e mediazione, nella coniugazione e nell’interconnessione tra: la determinazione del profilo d’ingresso degli allievi e del potenziale d’apprendimento diagnosticato; la definizione del profilo formativo in uscita (fissando gli obiettivi nelle so- glie di competenze/padronanze attese, conclusive o in itinere); la selezione dei saperi disciplinari, intesi come mediatori scientifici e culturali.1 Naturalmente non è possibile giungere alla elaborazione di un metodo se non si sa dove si vuole arrivare (obiettivi) e, qualora si intendesse impostare un metodo valido e efficace, occorrerebbe considerare attentamente sia la struttura conoscitiva dell’allievo (stili di apprendimento) sia quella propria del contenuto da apprendere (struttura epistemologica della disciplina). Di conseguenza non è possibile affermare in astratto l’esistenza di un metodo migliore di altri: solo nella mediazione tra le formae mentis degli studenti e le disciplinae mentis dei saperi un metodo potrà risultare adeguato, appro2 priato, opportuno o conveniente . DAI PRINCÌPI DI METODO UNA LEZIONE DI BENESSERE SCOLASTICO Ecco alcuni tra i più importanti princìpi di metodo che facilitano la promozione del potenziale di sviluppo formativo dell’allievo: il gusto del sapere: soltanto l’insegnante che vive il “sapore profondo” della sua disciplina, lo sa “gustare” traendone emozioni intellettuali, può partecipare e condividere con gli studenti questa esperienza. Il docente deve lasciar trasparire l’amore per ciò che insegna e nel volerlo insegnare. Non basta il piacere di insegnare, deve piacere ciò che si insegna. Lo studente non deve essere ■27 QUADERNI DI catturato dall’imbonitore, deve rimanere affascinato dagli oggetti e dai processi di ricerca della disciplina, deve imparare ad apprezzare nuovi modi di osservare, di leggere e di interpretare il mondo; la significatività: l’azione didattica deve garantire il collegamento, nel senso e nel significato, delle nuove conoscenze con quelle già possedute dall’allievo; questo collegamento deve essere riconosciuto dallo studente, altrimenti non c’è significatività e lo studente respinge, rifiuta la novità per lui senza senso; lo studente possiede saperi suoi, sistemi di conoscenze e di organizzazioni delle conoscenze che fanno parte della sua vita: se l’insegnante opera ignorando i saperi dell’allievo, per un verso svaluta la persona e per l’altro perde un’ottima possibilità per facilitare sia l’insegnamento che l’apprendimento; la motivazione: l’intervento per esser efficace deve promuovere tutti quei fattori che possono determinare e stimolare l’attività del soggetto. La spinta all’apprendimento è risultante da fattori di personalità, di contesto e di relazione. Dal punto di vista formativo le frammentate e contraddittorie motivazioni adolescenziali devono diventare terreno di analisi metacognitiva e di ricerca condivisa3; la direzione: l’itinerario indicato dagli insegnanti serve per orientare l’apprendimento verso gli obiettivi prefissati. L’insegnamento è efficace se l’itinerario è costruito insieme, con lo studente, se è personalizzato, o almeno negoziato. La costruzione partecipata del curricolo dà senso all’azione didattica; lo studente non potrà più chiedere “perché devo studiare questo?!”: il percorso e la direzione sono stati decisi insieme; ORIENTAMENTO 5 IL BENESSERE A SCUOLA la continuità: il curricolo vissuto dallo studente deve lasciar trasparire l’unitarietà nelle progressioni diacroniche (tra segmenti formativi in successione) e sincroniche (trasversali alle diverse discipline, e connessi con offerte formative diverse)4; la ricorsività: l’apprendimento si ottiene ritornando più volte sull’oggetto di studio; la ricorsività dell’insegnamento serve a facilitare apprendimenti estensivi (con connessioni orizzontali, per ampliare il campo di analisi e le possibilità d’uso) e intensivi (con connessioni verticali, per andare in profondità in un argomento): l’estensione attraverso processi di transfer e di generalizzazione5, l’intensione nell’analisi e nell’approfondimento delle conoscenze e delle competenze; l’integrazione: l’azione didattica deve favorire il processo formativo mediante l’integrazione interna, tra le discipline, superando l’eccessiva segmentazione, e l’integrazione esterna, nel coordinamento delle diverse proposte formative, anche provenienti dal territorio, funzionali al successo formativo; l’allievo vive molteplici realtà formative, spesso talmente isolate da non percepirne le connessioni; alcune esperienze sono gratificanti altre deludenti: l’integrazione facilita l’apprendimento nelle situazioni meno felici; l’organizzazione: l’intervento didattico organizzato non comprende solo la strutturazione dei saperi; l’insegnante deve anche pianificare e gestire in modo funzionale le attività, i tempi, gli spazi e le risorse a disposizione; lo studente apprende dall’organizzazione: se l’insegnante affronta e completa un argomento importante negli ultimi dieci mi- 6 nuti della lezione, per l’allievo tale argomento non sarà affatto importante; la stabilizzazione: l’azione dell’insegnante, se per un verso punta allo sviluppo di apprendimenti autonomi e originali, dall’altra deve assicurare regole e procedure costanti, stabili (punti fermi, che potranno essere modificati qualora non risultassero più validi e pertinenti); la divergenza adolescenziale è una ricchezza da educare con il pensiero, la riflessione, la discussione; l’incertezza non deve diventare uno stato dell’Io, ma va indirizzata alla definizione della complessità e dei problemi; il consolidamento: conseguente alla stabilizzazione, il principio metodologico del consolidamento punta a valorizzare e a sostenere ciò che l’allievo va apprendendo, ampliando le situazioni, incrementando i contesti d’uso, riorganizzando gli ambienti formativi; l’enorme quantità informativa, interna ed esterna alla scuola, richiede filtri epistemologici nella selezione dei saperi e contestualizzazioni di senso per lo studente; la trasferibilità: la proposta didattica deve sollecitare il transfer delle conoscenze e delle competenze, con la loro traslazione da un sistema a un altro (da un argomento ad un altro, da una disciplina ad un’altra, dal sistema scolastico alla vita reale, da un sistema di codici ad un altro, da un sistema di padronanza ad un altro). “Maestri si diviene non si nasce” l’insegnante oggi è un “facilitatore dell’apprendimento ……..esperto e competente ricercatore delle strategie più adatte per rapportarsi con l’allievo valutando nel suo complesso in itinere, tutti gli aspetti e le tappe del processo di ap- QUADERNI DI ORIENTAMENTO ■ 27 prendimento che con lui ha cercato di avviare.”6 LA DIDATTICA LABORATORIALE, DOVE INSEGNANTE E ALLIEVI APPRENDONO INSIEME Uno studente ben difficilmente si annoia in laboratorio. L’allievo in aula può essere coinvolto con modalità partecipative e dialogiche, ma non basta! Anche una lezione tradizionale può essere svolta con tali modalità. Per puntare al benessere è necessario che l’allievo “crei” il suo sapere. Perciò la metodologia più attenta è la didattica laboratoriale: il laboratorio rende possibili i processi della ricerca/riscoperta, organizzando attività educative e didattiche in cui lo studente domina il senso del suo apprendimento. Nel laboratorio l’insegnante predispone contesti operativi e comunicativo-relazionali; attiva le condizioni che consentono ai singoli allievi di riscoprire, reinventare, ricostruire i concetti, nel rispetto dei livelli di sviluppo e di apprendimento, degli stili e dei ritmi personali. E ciò non può essere effettuato attraverso la lezione collettiva, ma attraverso la costituzione di gruppi che operino in laboratori di apprendimento per rielaborare i contenuti disciplinari, per promuovere progetti trasversali, per sperimentare il valore e la validità della conoscenza. Il laboratorio è un ambiente in cui si realizza un rovesciamento della prospettiva didattica: l’obiettivo non è quanto si deve conoscere in Orientamento e scuola ordine alle discipline teoriche, ma in che modo le discipline possono costruire la competenza nell’allievo, in che modo esse possono cercare di riempire lo spazio tra il mondo dei problemi vissuti e quello della riflessione. Il laboratorio è allora un luogo di costruzione della conoscenza: affin- ché i contenuti e le procedure proposti non si sovrappongano semplicemente alle conoscenze già possedute, ma interagiscano con queste permettendo una loro ristrutturazione attraverso nuovi e più ricchi modi di connessione ed organizzazione, è necessario trovare efficaci collegamenti tra contenuti dell’in- Virgilio Tramontin, Dalla finestra, acquaforte. ■27 QUADERNI DI segnamento e le esperienze diversificate degli allievi. Nel laboratorio la novità non è disturbante, ma avventura conoscitiva: l’insegnante e l’allievo si costituiscono entrambi come viaggiatori, in cui la scommessa è il percorso formativo (metafora dell’esplorazione di Bateson7, 1977). Il laboratorio didattico è il luogo più indicato per intraprendere un’avventura conoscitiva. L’avventura non è solo emozione ma anche riflessione, metacognizione: il laboratorio didattico mira ad un processo di apprendimento che non incide solamente sulle abilità di base o acquisite, ma anche sulle modalità della loro comprensione ed utilizzazione. Infatti, l’approccio metacognitivo è una modalità di intervento polivalente e trasversale all’interno del processo di apprendimento. Luogo di approccio cooperativo, il laboratorio è l’ambiente in cui si concretizza un nuovo modello di insegnamento/apprendimento fondato sulle interazioni fra gli attori del processo formativo. Apprendere insieme significa costruire un benessere collettivo. In laboratorio l’enfasi va posta sul rapporto tra esperienza individuale e ricostruzione culturale affinché le teorie servano per rispondere ai perché diventando significative e motivanti, per tutti e per ciascuno. Nella scuola il laboratorio è senza dubbio un “ambiente”8, ma è soprattutto uno “spazio mentale attrezzato”, un modo di interagire con la realtà per comprenderla e/o per cambiarla. Il termine laboratorio va inteso in senso estensivo, come qualsiasi spazio, fisico, operativo e concettuale, opportunamente adattato ed equipaggiato per lo svolgimento di una specifica attività formativa. ORIENTAMENTO 7 IL BENESSERE A SCUOLA Dal punto di vista logistico il laboratorio della scuola secondaria dovrebbe essere un locale a sé stante, appositamente costruito e corredato per produrre apprendimenti specialistici.9 Dal punto di vista formativo, il laboratorio si caratterizza per l’oggetto della sua azione, vale a dire per l’attività che vi si svolge, che investe il soggetto operante.10 Con il lavoro in laboratorio lo studente domina il senso del suo apprendimento, perché produce, perché opera concretamente, perché “facendo” sa dove vuole arrivare e perché. L’EPISTEMOLOGIA OPERATIVA: IL BENESSERE DALLA PADRONANZA Prendiamo da A. Munari (1994) l’invito a promuovere laboratori di epistemologia operativa per conoscere attraverso l’azione, la produzione, l’interazione con il sapere. Dai fondamenti dell’epistemologia operativa ritroviamo un allievo responsabile, padrone dei propri saperi. Ecco, in conclusione, le caratteristiche salienti. L’attività proposta, nel laboratorio formativo, si deve prestare ad una manipolazione concreta. Un’attività puramente verbale, senza il passaggio al trattamento reale, non è sufficiente. Quando si parla si sottintendono cose date per scontate, che così non sono quando si tenta di tradurle in attività tangibili. L’attività deve implicare le operazioni cruciali. In una sessione di laboratorio non è possibile fare di tutto: è necessario focalizzarsi su alcune operazioni principali. È indispensabile che il docente sappia con 8 precisione lo sviluppo della procedura che intende centrare, anche se non è detto che di questo siano consapevoli gli studenti. Costoro accetteranno di fare ciò che viene chiesto loro e, solo alla conclusione, in gruppo, si discuterà sulle azioni compiute e sul risultato ottenuto. L’attività non deve avere una soluzione unica. Questa affermazione può risultare sconcertante per coloro che considerano il laboratorio come il luogo dell’esercitazione meccanica, dell’addestramento concreto, dei passi obbligati. Ma non è questo il laboratorio inteso come “spazio mentale attrezzato”, che richiede non una risposta giusta, un’unica soluzione, ma più risposte e più soluzioni, tutte a vario titolo plausibili. Le attività devono provocare uno “spiazzamento” cognitivo. L’esperienza di laboratorio deve produrre dissonanza tra ciò che l’allievo conosceva e ciò che va apprendendo mediante il lavoro. Deve indurre una maggiore motivazione negli studenti e mantenere costante il desiderio di scoprire qualcosa di nuovo. Le applicazioni automatiche irrigidiscono il pensiero e rendono difficile la consapevolezza delle diversità dei contesti e dei processi. L’attività si deve situare ad una giusta distanza dalle competenze possedute. Le abilità richieste nelle attività laboratoriali non possono collocarsi eccessivamente distanti11 dalle competenze possedute dall’allievo, altrimenti costui utilizzerebbe soltanto un approccio per tentativi ed errori. Per altro verso, le attività non possono neppure identificarsi con le competenze possedute dell’allievo, che si troverebbe costretto a svolgere un esercizio, e QUADERNI DI ORIENTAMENTO ■ 27 non a ricercare le soluzioni ad un problema. Le attività devono comportare diversi livelli di interpretazione. Imparare in laboratorio significa apprendere metodi che possono essere variamente applicati in diverse situazioni; perciò un metodo diventa suscettibile di interpretazioni diverse secondo l’angolo visuale adottato. Il gruppo di studenti in laboratorio viene chiamato a proporre, condividere e sperimentare i diversi punti di vista. Le attività devono possedere valenze metaforiche. L’attività laboratoriale non richiede soltanto competenze di tipo esecutivo, così come non produce soltanto apprendimenti di tipo operatorio-concreto. Operare in laboratorio significa fare riferimento (ripensare) ad esperienze lontane ed eterogenee, e contemporaneamente costruire, su quel pensiero, nuove esperienze. Le attività devono coinvolgere il rapporto che ciascuno ha con il sapere. Nel laboratorio l’azione e la riflessione si ritrovano intrecciati nella costruzione del sapere individuale, attraverso continui processi retroattivi e proattivi. In tal modo il laboratorio supera la perenne divisione tra teoria e pratica, tra principi e applicazioni, individuando il sapere come conoscenza in azione. UNA RIFLESSIONE PER CONTINUARE IL VIAGGIO Nel paradigma della complessità che caratterizza tutta la società contemporanea, il benessere è una categoria estremamente fluida, è in disequilibrio continuo, appena lo si immagina non esiste più. È Orientamento e scuola come il passaggio a nord-ovest di M. Serres, che mette in comunicazione l’Atlantico con il Pacifico: “Si apre, si chiude, si torce, attraverso l’immenso arcipelago artico frattale, lungo un dedalo follemente complicato di golfi e canali, di bacini e stretti, tra il territorio di Baffin e la terra di Banks. Distribuzione aleatoria e forti vincoli regolari, il disordine e le leggi. Lo imboccate allo stretto di Davis, finisce nel mare di Beaufort. Da là, percorrete il nord dell’Alaska verso le Aleutine. Liberazione, vi affacciate sul nome della pace”. Il benessere nel percorso formativo è una scommessa: “gli itinerari labirintici che il viaggiatore è costretto a percorrere stanno a indicare che il passaggio stesso non è tracciato una volta per tutte, che esso, appunto, si apre e si chiude in una fluttuazione imprevedibile, in una distribuzione di probabilità … Dipende dallo stile del tentativo la sua riuscita o il suo fallimento, così come lo stesso tentativo fa parte della geografia mutevole del percorso: è il viaggiatore che determina il passaggio dal possibile al reale, nell’uno o nell’altro senso; può aprire uno spiraglio là dove l’icefield appare impenetrabile, o chiudere, con la sua presenza, un varco tra i ghiacci che l’oscillazione aleatoria del caso ha scoperto”. “Per la natura stessa delle cose, un esploratore non può mai sapere che cosa stia esplorando finché l’esplorazione non sia stata compiuta. Egli non ha in tasca una guida che gli indichi le chiese da visitare o gli alberghi dove pernottare; ha solo l’ambigua tradizione di altri che l’hanno preceduto su quella strada”.12 Ma l’allievo non è un esploratore solitario. Scopre e costruisce i suoi saperi in ambienti di relazioni. Condivide, media e negozia la costruzione di nuovi significati. In questo ambiente ogni studente, ogni docente, ogni disciplina, tutto si intreccia in un benessere che è insieme di tutti e di ciascuno; dove ciascuno è portatore di una propria specificità, di proprie aspettative, di propri sistemi simbolici e rappresentativi, di proprie visioni del mondo, di proprie interpretazioni proprio come ogni filo nella trama di un tessuto. NOTE 1) Ogni disciplina si presenta con valenze metodologiche plurali, sia nel suo farsi come disciplina accademica, sia nel suo proporsi come disciplina-insegnamento. La mediazione scientifica e culturale comporta la ricerca dei metodi e delle tecniche che accomunano (o per lo meno, avvicinano) i “modi” dell’apprendere dell’allievo con i “modi” del sapere della disciplina. 2) “Il metodo diventa veramente il procedimento che garantisce la razionalità del lavoro didattico, ma non esaurisce più il lavoro didattico. Esso è uno strumento indispensabile ma non unico della didattica; soprattutto non è elaborato una volta per tutte, ma è soggetto a variazioni, a cambiamenti, a trasformazione, in funzione della sua applicazione guidata dai principi della didattica come scienza.” (T. Tomasi, Il metodo nella storia dell’educazione, Torino, Loescher, 1985, p. 27) 3) “Perché devo studiare ’sta roba?” Una domanda di questo tipo (implicita o esplicita che sia) deve sempre essere risolta. Con gli adolescenti la soluzione non sta nell’offrire loro soluzioni preconfezionate, né dettate dal dogmatismo programmatico (“Sta scritto nei pro- ■27 QUADERNI DI grammi …, Devi saperlo per l’esame …”), né dettate dalla nostra esperienza e dal nostro buon senso (“Ti servirà quando dovrai imparare …, Io l’ho trovato molto utile. …). L’adolescente deve capire per accettare, deve riconoscersi nell’idea del gruppo (ricerca condivisa) e, in ultima istanza, deve rispondere autonomamente ai suoi “perché” con la riflessione consapevole (analisi metacognitiva). 4) Il principio della continuità riguarda la successione degli apprendimenti, secondo il senso attribuito dallo studente (e non quello dell’insegnante) a tale successione; il docente sa che cosa insegnare prima e che cosa insegnare dopo (diacronia), è l’allievo che spesso non ne capisce il senso e assimila la successione (nel migliore dei casi) come logica di causa-effetto. Più difficile, dal punto di vista metodologico, è la gestione della sincronia: lo studente (come ogni essere umano) vive la propria vita secondo unitarietà di senso (e “i semi della conoscenza che copiosamente versiamo” cadono di volta in volta in terreni molto diversi); è difficile (se non impossibile) riuscire a governare le diversità contingenti dell’adolescente; possono invece essere governate le dissonanze di senso che l’organizzazione scolastica provoca. Per es.: le prime due ore sono di lettere (lezione e interrogazione di letteratura), la terza di fisica (laboratorio); oppure, le prime due ore sono di matematica (compito in classe), la terza di storia: all’avvio della terza ora quanto tempo ci vuole agli studenti per abbandonare il “senso” delle prime due ore ed entrare in quello dell’ora successiva? Quanto influisce la coesistenza di emozioni e processi ORIENTAMENTO 9 IL BENESSERE A SCUOLA Virgilio Tramontin, Paesaggio, acquaforte. mentali diversi e confliggenti? Quale potrebbe essere un’organizzazione modulare che riduce l’inutile dispendio di risorse nell’insegnante e di talenti nell’allievo? 5) Margiotta U. (a cura di), Riforma del curricolo e formazione dei talenti, Armando, Roma 1977 6) Tomasi T., Il metodo nella storia dell’educazione, Torino, Loescher, 1985, p. 30 7) Bateson, Verso un’ecologia della mente, Adelphi, Milano 1977, p. 20 8) Tra le diverse tipologie presenti nelle scuole, sono noti i laboratori linguistici, i laboratori informatici e quelli multimediali. In ambito scientifico, tecnico e professionale 10 sono presenti i diversi laboratori specialistici (di chimica, fisica, macchine utensili, …), quelli di ricerca e quelli sperimentali. Negli indirizzi artistici, umanistici e sociali sono laboratori gli atelier artistici, teatrali e musicali. Ovviamente ogni disciplina può essere insegnata secondo metodologie laboratoriali e l’ambiente in cui si svolge l’azione formativa è fondamentale: provare una scena teatrale in classe o su un palcoscenico è completamente diverso dal punto di vista dei processi formativi implicati; una reazione chimica può essere descritta in aula dal docente, può essere simulata con un QUADERNI DI ORIENTAMENTO ■ 27 software in laboratorio di informatica, può essere “realizzata” in un laboratorio di chimica: sono tre ambienti didattici che attivano e producono tre diversi tipi di apprendimento. Si può pensare anche ad un laboratorio linguisticoletterario, ad uno storico, e così via. In questo modo ogni disciplina potrebbe essere dotata di un proprio laboratorio: nelle istituzioni scolastiche di altri Paesi in cui si spostano gli studenti da un’aula all’altra (e non gli insegnanti, come avviene da noi), la didattica più facilmente “si lascia organizzare” secondo metodologie laboratoriali. Orientamento e scuola 9) Se nella scuola di base il laboratorio può anche avvalersi di strumenti e materiali “poveri”, nella secondaria la povertà strumentale è portatrice di angustie concettuali. Talvolta, a causa della scarsità dei finanziamenti o di risorse esperte, il laboratorio viene inteso non come lavoro produttivo, ancorché protetto, ma come simulazione mentale o come rappresentazione concettuale di tale lavoro. Queste rappresentazioni, che spesso non si avvalgono di spazi appositamente attrezzati, sono concettualmente metacognitive: non si rifanno al metodo operativo, ma lo oltrepassano presupponendo la sua marginalità intellettuale. Detto in termini più concreti: esiste (nella scuola) un diffuso primato della parola sull’azione e questo, se è appropriato quando si perseguono competenze verbali e linguistiche, è fuori luogo quando la competenza richiesta è spiccatamente operativa; se voglio che lo studente impari a fare qualcosa devo vederlo all’opera. Se invece di osservarlo mentre sta facendo, gli chiedo di dirmi “come farebbe per …” non controllo la sua competenza operativa, ma la sua rappresentazione metacognitiva. Quest’ultima è importantissima dopo che l’allievo ha svolto l’azione, e serve per pensare sull’azione, per costruire i concetti, per personalizzarli e consolidarli. Con gli studenti che presentano difficoltà comunicative il laboratorio (“operativo”) è imprescindibile come metodologia d’avvio; solo successivamente si potrà proseguire con processi di “verbalizzazione”, confronto e ragionamento (coniugando azione e riflessione). 10) Nel laboratorio, come con gli altri metodi “coinvolgenti” il soggetto agisce, è attivo. L’essere attivo del soggetto si può esplicitare in molti modi e ai due estremi ritroviamo due tipologie: l’attività riproduttiva e quella produttiva; è attivo l’allievo che copia, che ripercorre la procedura richiesta, che riproduce ciò che ha studiato; è attivo l’allievo che inventa, che ipotizza nuove strategie risolutive, che produce qualcosa ex novo. Nel laboratorio si opera su entrambi i piani: ma lo scopo formativo del laboratorio è quello di produrre pensiero a partire dall’azione e non è mai meramente applicativo (ossia riproduttivo). 11) Il significato della giusta distanza si rifà al principio di Vygotskij della zona di sviluppo prossimale. 12) M. Serres, Passaggio a Nord-Ovest, in Minichiello G., Il doppio pensiero, Morano, Napoli 1994, p. 109 nei luoghi dell’educazione, Raffaello Cortina, Milano 1998. Margiotta U. (a cura di), Riforma del curricolo e formazione dei talenti, Armando, Roma 1977. Minichiello G., Il doppio pensiero, Morano, Napoli 1994. Mortari L., Aver cura della vita della mente, La Nuova Italia, Firenze 2002. Munari A, Fabbri D, Apprendere nelle organizzazioni. Proposte per la crescita cognitiva in età adulta, Milano, 1994. Negri S. C. Il lavoro di gruppo nella didattica, Carocci, Roma 2005. Piaget J. Che cos’è la psicologia, Milano, 2000. Tomasi T., Il metodo nella storia dell’educazione, Loescher, Torino 1985. Varela F.J., Thompson E., Rosch E., La via di mezzo della conoscenza. Feltrinelli, Milano 1992. Vygotskij L., Pensiero e linguaggio, Laterza, Bari 1990. BIBLIOGRAFIA Andolfi M., Forghieri Manicardi P., Adolescenti tra scuola e famiglia. Verso un apprendimento condiviso, Raffaello Cortina, Milano 2002. Antonietti A., Cantoia M., La mente che impara. Percorsi metacognitivi di apprendimento, La Nuova Italia, RCS, Milano 2000. Bruera R., La didattica come scienza cognitiva, La Scuola, Brescia 1998. Bruner J., La cultura dell’educazione. Nuovi orizzonti per la scuola, Feltrinelli, Milano, 1997. De Mennato P., Il sapere personale. Un’epistemologia della professione docente, Guerini, Milano 2003. Fabbri D., Munari A., Strategie del sapere. Verso una psicologia culturale, Guerini, Milano, 2005. Formenti L., Gamelli I., Quella volta che ho imparato. La conoscenza di sé ■27 QUADERNI DI Fiorino Tessaro Professore Associato di Didattica generale e Pedagogia Speciale Università Ca’ Foscari di Venezia ORIENTAMENTO 11 LA DIDATTICA LABORATORIALE AL SERVIZIO DELL’ORIENTAMENTO Carla Berto I l laboratorio potrebbe fungere da antidoto nei riguardi dell’individualismo professionale e della frammentazione disciplinare che spesso costituiscono un ostacolo ai processi di riunificazione cognitiva nella mente degli alunni e alla possibilità di esplorare, da molteplici punti di vista, un unico problema LO SPAZIO ESPRESSIVO DELLA PERSONA CHE APPRENDE La problematica relativa all’orientamento scolastico dello studente contiene una molteplicità di possibili piste di approccio. In questa sede ci sembra interessante affrontare il tema a partire dalle opportunità messe in campo dalla scuola per offrire allo studente occasioni di conoscersi, di mettersi alla prova in situazione, di misurarsi con le richieste dell’ambiente, di scoprire le proprie motivazioni profonde, le aspirazioni e le propensioni che potrebbero aiutarlo a definire un personale progetto di vita. L’assunto che intendiamo sostenere in questa sede è relativo alla presenza di una significativa correlazione tra le pratiche didattiche attivate dalla scuola, la conoscenza di sé e l’autorientamento. 12 Al raggiungimento di questo ultimo obiettivo concorrono tutte le variabili presenti nel processo di insegnamento/apprendimento, dalle dimensioni squisitamente cognitivo-didattiche (le discipline, le metodologie, le prassi didattiche, gli strumenti, le tecnologie, etc.) a quelle socio-relazionali (clima della classe, rapporti con i docenti e con il gruppo di pari, ruoli giocati all’interno della classe,etc.) a quelle organizzative riconducibili al contesto (ambiente scolastico, piano formativo dell’istituto, progettualità, tempi e spazi di lavoro, etc.). L’incidenza dei vari fattori non è tuttavia distribuita in modo uniforme e cambia con il variare dei soggetti e dei loro bisogni; alcuni alunni saranno maggiormente suggestionati da variabili di contesto, altri esprimeranno maggior sensibilità verso la dimensione interpersonale della relazione educativa o per gli aspetti prettamente cognitivi. In riferimento alle componenti di tipo didattico, va fatta una prima considerazione: alcune pratiche di insegnamento rispondono meglio di altre al compito di fornire allo studente la possibilità di entrare in contatto con se stesso e con le proprie vocazioni profonde, ovvero di conoscersi attraverso le esperienze che realizza. Laddove l’alunno è messo nelle condizioni di disporre di uno spazio di autonomia ideativa, espressiva, progettuale e operativa, potrà ricevere una pluralità di feedback preziosi dalle proprie azioni ed avere un rispecchiamento esterno del proprio mondo interiore. L’oggetto della riflessione che qui andiamo a svolgere riguarda l’impostazione didattica del processo formativo, e più specificatamente la metodologia laboratoriale quale strategia di lavoro ricca di poten- QUADERNI DI ORIENTAMENTO ■ 27 zialità espressive e di possibilità esperienziali. Detta pratica si colloca oltre i confini dei consueti percorsi di insegnamento/apprendimento di tipo lineare e sequenziale a carattere riproduttivo. Essa esprime una forte opzione nella direzione della valorizzazione degli studenti, dei loro vissuti, della motivazione intrinseca costituita dalla dimensione cooperativa che accompagna detta tipologia didattica. L’adozione della metodologia del laboratorio presuppone non solamente l’introduzione di un modello di lavoro avente determinate caratteristiche, ma anche l’assunzione delle condizioni indispensabili all’attuazione dello stesso; per queste ragioni tale pratica si configura come un volano in grado di trascinare con sé una molteplicità di aspetti a carattere fortemente innovativo. Nel nostro specifico possiamo attribuire al laboratorio il compito di introdurre significativi cambiamenti sul versante dell’insegnamento disciplinare e trasversale, delle metodologie attive centrate sulla ricerca, del rinvigorimento della collegialità docente, dell’introduzione del cooperativelearning e della personalizzazione dell’intervento formativo. In base a questo ultimo punto, il ruolo assegnato alla scuola è quello di accogliere lo studente, di riconoscerlo nella sua peculiarità e originalità, di creare le condizioni didattiche, organizzative e sociali affinché l’identità del singolo possa manifestarsi, esprimersi in tutte le sfaccettature, accrescere e svilupparsi nelle dimensioni cognitive, affettive, emotive e sociali. Il processo educativo trova ragion d’essere nella misura in cui promuove l’identità personale e crea un ambiente favorevole alla crescita dell’individuo e Orientamento e scuola Virgilio Tramontin, Natura morta su paesaggio marino, acquaforte. all’elaborazione di un personale progetto di vita. Lo sfondo culturale di tipo olistico, richiama sistematicamente l’assunzione di uno sguardo globale, attento ad una molteplicità di dimensioni e al loro intreccio profondo. Tradotto diversamente, la sfera affettivo-emotiva investe di valore i contenuti cognitivi e, contemporaneamente, il reticolo socio-relazionale tessuto tra docenti e alunni, e all’interno del gruppo di pari, connette il tutto e attribuisce senso all’azione di imparare in un determinato contesto. Detta prospettiva presuppone una forte consapevolezza da parte dei docenti della complessità del compito formativo e della necessità di creare significative opportunità affinché non solo le singole soggettività emergano nella loro integrità, ma anche perché ciascuno possa trovare le migliori condizioni per esprimere il meglio di sé. Tale affermazione sgombera il campo dal ricorso a modalità standardizzate e indifferenziate di intervento didattico; si chiede ai docenti di saper agire concretamente il principio della diversificazione degli approcci metodologici e della personalizzazione dell’insegnamento. Ciò non significa creare tan- ■27 QUADERNI DI ti modelli didattici quanti sono gli alunni, una sorta di vestito su misura per ogni studente; sarebbe un’idea accattivante ma realisticamente poco praticabile, considerate le caratteristiche logistico-organizzative delle scuole, i vincoli contrattuali e le risorse di organico. Nello specifico la sfida della personalizzazione applicata al versante didattico può tradursi in un invito rivolto ai docenti affinché venga curato con particolare attenzione il repertorio delle pratiche formative, degli approcci metodologici, delle strategie di insegnamento, della scelta delle strumentazioni e dei mezzi da ORIENTAMENTO 13 LA DIDATTICA LABORATORIALE impiegare all’interno delle aule e dei laboratori. Per visualizzare il concetto, immaginiamo venga richiesta ai docenti una rivisitazione della propria “cassetta degli attrezzi”, il rinnovamento di alcuni dispositivi e l’eliminazione di sistemi ormai obsoleti. L’operazione dovrebbe essere condotta all’insegna di una chiara definizione delle angolature prospettiche attraverso le quali guardare i fenomeni educativi: nel nostro specifico il focus è posto sull’alunno, sui suoi bisogni espressivi, sul suo diritto a fruire di un’offerta formativa adeguata alla sua soggettività. La didattica laboratoriale, quale complesso di pratiche, di processi e di relazioni, rappresenta una risposta significativa orientata alla persona che apprende e finalizzata ad aiutare lo studente a rispondere al quesito primario del “perché apprendere”. MOTIVAZIONE E APPRENDIMENTO SIGNIFICATIVO La problematica relativa all’attribuzione di senso alla propria attività di apprendimento chiama in causa, da un lato, i meccanismi riconducibili al soggetto che apprende e, dall’altro, la qualità dell’erogazione del servizio formativo da parte di chi è istituzionalmente preposto a tale funzione sociale. In questa sede è al secondo aspetto che dovrebbe essere prevalentemente rivolta la nostra attenzione; tuttavia un rapido richiamo ad alcune chiavi di lettura sui fenomeni intrapsichici potrebbe risultare opportuno all’approfondimento della tematica in discussione e alla contestualizzazione della riflessione sulla stessa. 14 Le ricerche psicopedagogiche degli ultimi anni hanno preso in esame congiuntamente i due aspetti. Ciò in relazione al fatto che tra soggetto in apprendimento e oggetto culturale esistono strettissime correlazioni di tipo strutturale e strutturante in quanto entità che reciprocamente si autodeterminano e si co-costruiscono. Uno studente motivato incontrerà il mondo dei saperi formalizzati con una disponibilità positiva che riverserà sui processi cognitivi, emotivi e affettivi che metterà in gioco per collegare le nuove acquisizioni alle conoscenze già in suo possesso e collocarle unitariamente in quadri concettuali di grado superiore. Secondo J. Novak il concetto di apprendimento significativo (“meaningful Learning” nelle pubblicazioni in lingua inglese) investe i processi attraverso i quali le nuove informazioni interagiscono con concetti già presenti nella struttura cognitiva del soggetto. Chi decide questo cammino di sviluppo può essere solamente l’individuo: l’insegnante può incoraggiare tale passaggio attraverso il sostegno emotivo e la predisposizione di condizioni operative favorevoli allo sviluppo di tale processo sul piano della strutturazione e della presentazione graduale delle conoscenze. In tale ottica organizzativa, la didattica laboratoriale possiede un notevole potenziale formativo in quanto richiede implicitamente l’attivazione dell’alunno nell’affrontare un problem-solving o nell’azione di ricomposizione di una dissonanza cognitiva. La necessità di attribuire senso ai dati del reale comporta un atteggiamento di ricerca di frames cognitivi e di chiavi di interpretazione in grado di illuminare una situazione problematica. Da notare che l’azio- QUADERNI DI ORIENTAMENTO ■ 27 ne di connessione tra i vecchi e i nuovi quadri cognitivi può senza dubbio risultare feconda laddove viene sapientemente accompagnata e adeguatamente documentata in funzione della restituzione all’alunno dei feed back relativi ai processi metacognitivi attivati. La modalità di acquisizione delle conoscenze ha una rilevante ripercussione sul processo di tipo assimilativo a livello di memorizzazione, di assestamento delle stesse e nella possibilità di un loro recupero in vista di un utilizzo legato alla risoluzione di analoghi problemi. La strutturazione dei quadri concettuali e dei saperi procedurali, nonché i relativi processi di transfert, sono da connettersi in buona parte a ciò che accade nelle aule scolastiche e nelle occasioni non formalizzate di stimolazione cognitiva. Tali considerazioni sull’apprendimento significativo chiamano in causa le metodologie di insegnamento adottate dal docente, i suoi approcci didattici, la sua “cassetta degli attrezzi” contenente strategie e pratiche in grado di aiutare l’alunno a costruirsi percorsi di conoscenza in progressiva evoluzione. L’insegnante abile nella problematizzazione delle varie situazioni e nella formulazione di “enigmi cognitivi”, crea una sorta di tensione conoscitiva attraverso la disseminazione della curiosità e del desiderio di sapere. In virtù di questo cammino, l’approdo dello studente ai sistemi culturali formalizzati dovrebbe risultare un percorso piuttosto naturale, in quanto tale universo custodisce soluzioni allettanti e rappresenta una risorsa in grado di fornire risposte a domande concrete. Riteniamo sia questo lo spirito profondo che anima la didattica laboratoriale e che la può far esistere Orientamento e scuola anche in assenza di spazi fisici adeguati quali laboratori, aule attrezzate, strumentazioni particolari. Ci sembra di poter dire che tale pratica innanzitutto deve essere una realtà presente nella mente di chi insegna, una sorta di realtà pensata prima che fisica e materiale, una metodologia di problem solving sistematico e diffuso che investe trasversalmente le molteplici attività di insegnamento. Ovviamente dove esistono strutture idonee, risulterà più agevole il lavoro, in quanto si potrà avvalere concretamente di procedure sperimentali e di percorsi di ricerca atti a facilitare il compito dell’alunno e a creare forti investimenti emotivi di tipo motivazionale. L’apprendimento significativo, quale impegno globale della persona a livello cognitivo, emotivo ed affettivo, viene indicato da D. Ausubel come automotivante in quanto, pur in presenza di uno stimolo esterno, nasce all’interno della persona e si sostiene autonomamente, grazie ad un sistema intrinseco che alimenta il desiderio, e ricerca contributi a carattere cognitivo in grado di offrire delle risposte soddisfacenti. Il soggetto conoscente deve cioè essere motivato a mettere in relazione la sua struttura cognitiva con le nuove informazioni. In tal modo il contenuto di conoscenza verrà investito di significato psicologico. Dal punto di vista etimologico, il termine motivazione (dal latino motus) indica un movimento, una spinta del soggetto ad orientarsi verso un oggetto desiderato, in direzione di uno scopo. L’individuo motivato è tale perché tende ad un obiettivo avente valore di interesse o incentivo: tale aspettativa può avere carattere esterno (motivazione estrinseca) o interno incentrato sull’io (motivazione intrinseca). Il risultato di un comportamento motivato ha ripercussioni significative sul versante cognitivo e affettivo. L’affermazione, confermata dalle teorizzazioni psicopedagogiche degli anni ‘60 e ‘70, risulta di assoluta rilevanza per chi si occupa di formazione, in quanto chiama in causa dinamiche relazionali, energie psichiche e desideri di “effectance” (come R. W. White ha definito il bisogno intrinseco di affrontare in modo adeguato l’ambiente, di padroneggiare e controllare le situazioni, di sentirsi competenti), che rimandano alla strutturazione della personalità di chi apprende e alle sue aspirazioni profonde. È il soggetto che costruisce autonomamente il proprio apprendimento innanzitutto perché lo desidera, per rispondere ad un proprio appetito e a forme di curiosità che soddisfano necessità interiori di organizzazione cognitiva e di ricomposizione delle dissonanze in quadri concettuali progressivamente più complessi e articolati. Se l’ambiente esterno offre all’alunno attività cognitive strutturate, significative ed efficaci chiavi interpretative dell’esperienza, in uno sfondo di conferme personali e di rinforzo dei dispositivi dell’autostima, si creano buone probabilità di sviluppo di forme personali di autoregolazione cognitiva e di motivazione intrinseca all’apprendimento. La motivazione di effectance inoltre attiva nel soggetto tentativi di padronanza in vari settori, da quello cognitivo (apprendimento), a quello fisico (gioco e attività fisica), a quello sociale (rapporti con i pari e con gli adulti). Per le innumerevoli valenze legate all’ambiente scolastico del quale qui ci occupiamo, crediamo sia im- ■27 QUADERNI DI portante soffermare l’attenzione su quest’ultimo punto. Generalmente gli obiettivi sociali connessi alla motivazione vengono distinti tra: - obiettivi orientati al sé: il soggetto desidera ricevere conferme ed essere considerato competente per rinsaldare il suo senso di appartenenza al contesto ambientale - obiettivi orientati agli altri: il soggetto mira a farsi riconoscere come un membro apprezzato e stimato del gruppo. Nelle aule scolastiche tali fattori costituiscono preziose risorse per l’apprendimento, dimensioni cruciali da coltivare attraverso la predisposizione delle condizioni didattiche e organizzative più adatte a sviluppare processi formativi. La coordinazione tra gli obiettivi sociali e cognitivi è in ogni caso più facilmente raggiungibile in ambienti di apprendimento basati sulla collaborazione e sulla cooperazione. L’interdipendenza e la condivisione delle risorse (tecnologiche, materiali ma anche umane) promuovono un clima di responsabilità collettiva e di reciproco rispetto che rafforzano, da un lato, il senso di appartenenza ad un gruppo impegnato in un progetto condiviso e, dall’altro, il senso di identità personale. L’attività di laboratorio contiene un connaturato curricolo implicito di apprendimento sociale: attraverso la messa in gioco diretta della persona, gli scambi di punti di vista, l’assunzione diversificata di ruoli, la soluzione di conflitti socio-cognitivi, si sviluppano e si potenziano le competenze sociali legate al “saper essere”. Il gruppo di alunni diviene l’elemento organizzatore dell’attività, lo strumento di lavoro è contestualmente l’obiettivo al quale ten- ORIENTAMENTO 15 LA DIDATTICA LABORATORIALE dere per creare negli studenti competenze relazionali e sociali. IL LABORATORIO ORIENTANTE In questa sezione si forniranno alcuni spunti di tipo organizzativo funzionali alla creazione dei laboratori i quali, proprio per la peculiarità degli elementi costitutivi, non potranno che conservare i caratteri della flessibilità, dell’apertura agli apporti provenienti dall’ambiente esterno, dell’approccio metodologico specifico della ricerca-azione. Il compito di elaborare un progetto di laboratorio presuppone l’esistenza di un’équipe pedagogica, ovvero di un gruppo di docenti che collegialmente identificano le linee giuda a partire dalla basilare rilevazione dei bisogni formativi degli alunni, dalla definizione degli obiettivi di apprendimento, dall’individuazione delle attività da svolgere, delle metodologie e dei mezzi da utilizzare, degli strumenti di verifica da impiegare. Una questione primaria che si presenta ai docenti che si apprestano a pianificare le azioni da intraprendere per attivare un laboratorio, riguarda l’oggetto culturale da porre al centro della ricerca. La problematica ci conduce al dilemma relativo alla scelta di contenuti di tipo disciplinare o interdisciplinare. Ferme restando le considerazioni esposte nelle pagine precedenti circa la possibile trattazione di qualsiasi ambito tematico attraverso la prassi laboratoriale, ci sembra che le problematiche a carattere trasversale contengano un maggior potenziale formativo ed una ricchezza ragguardevole in termini di apporti specifici e di indicazione di piste di indagine. Il problema è sta- 16 Virgilio Tramontin, Caldarrostaia, acquaforte. to approfonditamente analizzato da F. Frabboni il quale ha individuato degli assi culturali di tipo longitudinale (le discipline) e trasversale (a carattere interdisciplinare). I primi possiedono una vocazione di riproduzione degli schemi concettuali già noti e consolidati, di cifra ben QUADERNI DI ORIENTAMENTO ■ 27 diversa rispetto ai secondi, ricchi di potenzialità divergenti e più orientati sul versante della produzione di nuovi assetti cognitivi e di nuove prospettive di analisi. Le competenze connesse all’esplorazione degli assi in discussione spaziano da quelle prettamente cognitive a quel- Orientamento e scuola le metacognitive (di elaborazione, scoperta, metodo) passando per quelle fantacognitive (di intuizione, invenzione, trasfigurazione). Gli ultimi due raggruppamenti possono trarre forti benefici ed essere rafforzati da approcci culturali di tipo trasversale. La struttura disciplinare analizzata da Frabboni presenta la seguente articolazione: - contenuti - linguaggi - logiche interpretative di tipo ermeneutico - paradigmi investigativi - dispositivi generativi dei nuclei fondanti e dei nessi interdisciplinari - congegni euristici e potenziali creativi. La dimensione propria della trasversalità si pone ad un livello di alta complessità rispetto agli elementi basilari costituiti dagli aspetti meramente contenutistici. La tematica a carattere interdisciplinare, quale nucleo di ricerca e principio organizzatore delle strategie trasversali di indagine, ha connaturata una notevole possibilità di generare conoscenze e di favorire la scoperta di nuovi orizzonti cognitivi. In un simile contesto trovano spazio le componenti intuitivo-immaginative degli studenti e vengono alimentate le capacità espressive e creative in quanto risorse indispensabili all’avanzamento qualitativo della ricerca. Per l’alunno la valenza di tale dimensione è rilevante in quanto gli restituisce una rappresentazione delle proprie possibilità interiori, delle proprie attitudini e propensioni profonde verso un nucleo culturale o un settore particolare di competenze. Gli aspetti caratterizzanti la trasversalità, quali la contaminazione tra le aree disciplinari e lo sconfinamento cognitivo, metodo- logico e procedurale, portano con sé un altro valore aggiunto di fondamentale importanza relativo alla creazione di nuove forme di collegialità tra i docenti e alla disponibilità di apporti professionali molteplici. La dimensione collettiva non si configura come la semplice somma delle expertises dei singoli insegnanti: contiene un plusvalore dato dall’interazione produttiva delle competenze e dalla creatività del pensiero plurale. Negli ambienti scolastici si respira un notevole bisogno di dialogo interdisciplinare e di forme di progettualità che manifestino i segni della condivisione educativa e metodologica. Il laboratorio potrebbe quindi fungere da antidoto nei riguardi dell’individualismo professionale e della frammentazione disciplinare che spesso costituisce ostacolo ai processi di riunificazione cognitiva nella mente degli alunni e della conquista della possibilità di esplorare da molteplici punti di vista un unico problema. Un’ultima considerazione, finalizzata a rilevare la portata innovativa delle pratiche laboratoriali, va rivolta alla valenza metacognitiva delle attività che si realizzano in tale ambito. Il momento della riflessione metacognitiva, quale fase di consapevolezza circa le proprie modalità di conoscere e di esplorare il reale, va concepito come elemento costitutivo sia del laboratorio ad impostazione prevalentemente disciplinare (informatico, scientifico, linguistico, etc.), sia di quello interdisciplinare. Siffatto aspetto consente di realizzare un percorso compiuto, a partire dalla definizione del campo della ricerca, all’identificazione di ipotesi, alla ricerca delle fonti informative e degli strumenti di indagine, alla sperimenta- ■27 QUADERNI DI zione, alla conclusione e documentazione dell’itinerario percorso. La ricostruzione del procedimento seguito consente all’alunno di entrare in contatto con i propri processi mentali, con gli stili di apprendimento e con le dinamiche del pensiero che regolano i processi di ordine cognitivo. Acquisire consapevolezza di tali componenti permette allo studente di conoscersi, di entrare in contatto con le proprie risorse e con i propri punti di debolezza per sviluppare forme di coscienza di sé ed innestare conseguentemente processi di autostima. Riteniamo che in questo humus possano germogliare orientamenti proficui in grado di promuovere scelte responsabili e decisioni consapevoli sul proprio progetto di vita. 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La scuola può avere un ruolo strategico nell’educazione all’interculturalità PREMESSA Che l’orientamento non consista soltanto nella scelta di un indirizzo scolastico o di formazione professionale al termine del ciclo di istruzione di base e che sia una funzione più generale di autopromozione della persona, un processo quindi lungo e complesso all’interno di una situazione in continuo cambiamento, è ormai un dato acquisito che non ha bisogno di ulteriori conferme. Ma che aspetto assuma una problematica del genere nel nostro sistema educativo, in presenza di una trasformazione accelerata della popolazione scolastica, determinata dall’arrivo di quote sempre più consistenti di alunni stranieri, è questione relativamente nuova. Limitarsi a ragionare in termini di mera integrazione, come se le diversità potessero semplicemente essere “accettate” in vista di una loro progressiva assimilazione, significa non cogliere il dato epocale di tale 18 movimento e in definitiva eludere la vera sfida che la scuola è chiamata ad affrontare. Non si tratta di essere, più o meno a-priori, ovvero in modo pregiudizialmente ideologico, pro o contro la società multiculturale ma di capire che se la multiculturalità è un dato di fatto e contro la realtà è inutile combattere (“non ridı̄re, non lugı̄re, sed intelligĕre” diceva Spinoza), il governo di questo fenomeno richiede una trasformazione radicale dei nostri criteri interpretativi e quindi una capacità nuova di progettare la formazione delle giovani generazioni. La tesi che intendo proporre e argomentare brevemente è che se le società sono destinate a essere sempre più multiculturali, l’unica strategia vincente per evitare i conflitti che ciò comporta è costituita dalla elaborazione di una prospettiva educativa interculturale. Dato che spesso i termini di “multicultura” e “intercultura” (e i loro derivati) sono usati come sinonimi, è opportuno premettere una chiarificazione che ne distingua bene il campo di applicazione: multicultura è termine descrittivo, si limita a prendere atto del fatto che in uno stesso territorio convivono culture diverse, con lingue e più ancora con sistemi di valori e processi identitari differenti; intercultura è invece termine prescrittivo, indica delle mete, quindi non ciò che è ma ciò che potrebbe essere se le diverse culture entrano tra loro in contatto e reciprocamente si “contaminano” e si trasformano, dando luogo a una cultura di tipo nuovo. Ebbene, se la situazione di multiculturalità è intrinsecamente conflittuale, in modo latente quando una cultura è fortemente dominante e le altre del tutto minoritarie e subalterne, oppure in modo esplicito quando quella o QUADERNI DI ORIENTAMENTO ■ 27 quelle subalterne intendono subentrare alla dominante (ed è evidente che la prima situazione tende spontaneamente a evolvere nella seconda laddove l’assetto sociale sia caratterizzato, come quello attuale, da fluidità e dal costante rimescolamento demografico), la prospettiva interculturale è l’unico mezzo per disinnescare i conflitti e progredire verso una situazione di rispetto e arricchimento reciproco. In altre parole, la prospettiva interculturale è la sola risposta educativa possibile in grado di governare il processo di trasformazione sociale in atto, favorendone l’evoluzione pacifica e democratica. Il ragionamento svolto sin qui si fonda a sua volta su una constatazione ancora più generale: nessuna delle grandi questioni che l’umanità oggi ha di fronte, dallo sfruttamento delle risorse alla tutela dell’ambiente e della salute, dal lavoro alla sicurezza e alla pace, trova una soluzione se non in un contesto planetario. Ciò significa che va assolutamente fondata una universalità di tipo nuovo per le grandi scelte di natura etica, una universalità che non sia ingabbiata all’interno di nessuna cultura particolare. Da quando sulla scena della storia si è affacciata la possibilità della fine (“ora le civiltà sanno di essere mortali” scriveva P. Valéry dopo il primo conflitto mondiale, prima ancora che l’arma “totale” facesse la sua comparsa1), la necessità di una tale visione si è fatta sempre più impellente. Filosofi, uomini di cultura, scienziati, nel momento in cui escono fuori dal chiuso delle loro specializzazioni e si aprono a problemi etici e educativi, per vie diverse si avvicinano sempre più al senso dell’appello rivolto da Einstein nel 1955 agli uomini di Stato: “ricordatevi della nostra umanità e dimenti- Orientamento e scuola cate tutto il resto”2. In sostanza, riconoscere l’appartenenza alla specie come criterio unico e sufficiente di scelta morale, è diventato il punto di vista della nuova universalità. Una volta si diceva che l’uomo non ha una natura, ché la sua natura è appunto quella di essere culturalmente (cioè, storicamente) determinato. Ora non è più così. Se l’attuale fase di “popoli in movimento” non è accompagnata da una prospettiva educativa capace di mettere le culture in comunicazione e in grado di contaminarsi reciprocamente, i conflitti e i ghetti3, e il circolo vizioso che si stabilisce tra gli uni e gli altri, sono destinati a crescere con conseguenze catastrofiche rispetto alla stessa sopravvivenza della specie o almeno di quel tenore di vita che siamo ormai abituati a definire umano. E. Morin parla giustamente di due comprensioni: quella intellettuale (o oggettiva) e quella umana (o intersoggettiva)4. Non si accede a quest’ultima senza la prima, ciò significa che il sapere passa innanzitutto attraverso l’intellegibilità e la spiegazione ma si coglie l’altro (e lo si comprende) solo quando lo si percepisce come soggetto (alter ego o ego alter). Tutto ciò non è una vaga esigenza moralistica ma una necessità vitale: l’homo sapiens deve governare l’homo tecnologicus per non autodistruggersi. “Dal momento che la specie umana continua la sua avventura sotto la minaccia dell’autodistruzione, l’imperativo è divenuto: salvare l’Umanità realizzandola” 5. Alla luce di quanto sopra, e recuperando un’idea forte del pensiero ambientalista “pensare globalmente e agire localmente”6, pur con i limiti evidenti che qualsiasi pratica realizzazione reca con sé, penso che la prospettiva interculturale vada col- ta in tutta la sua potenzialità, come occasione storica per fare delle scuole laboratori di convivenza democratica e strumenti di superamento di questa nuova fase di “confusione delle lingue”7 che stiamo attraversando. LA PROSPETTIVA INTERCULTURALE Ma cosa vuol dire in concreto educazione interculturale? Le azioni che la possono attuare sono talmente svariate che riesce difficile darne una descrizione completa e non è certo questa la sede per tentare di essere esaustivi. Forse, se riusciamo a mantenere chiaro l’obiettivo generale (la “contaminazione”), siamo in grado di dire quali sono le condizioni che consentono di praticarla in modo più efficace. A proposito delle possibili soluzioni che la scuola può dare all’intercultura, E. Damiano individua tre tipologie di percorsi praticati in modo prevalente: 1) la soluzione estemporanea (feste, mostre, ecc), 2) la soluzione specifica (ovvero nuova materia), 3) la soluzione delle materie ospitanti8. È evidente che la seconda soluzione equivarrebbe ad una sorta di neutralizzazione dell’intercultura, tolta dalla dimensione dell’agito e fatta confluire nella più innocua e tranquillizzante sfera del “parlato”, ma anche la prima e la terza non soddisfano pienamente le sue potenzialità. Ciò che occorre perseguire è un quarto tipo di percorso, quello che, sempre Damiano, chiama della soluzione diffusa, consistente in una reimpostazione complessiva della proposta educativa che attraversi, all’interno della scuola, sia la sfera dei comportamenti e delle relazioni ■27 QUADERNI DI sia quella delle conoscenze e dei curricoli e all’esterno l’insieme dei rapporti tra scuola e territorio. Vediamo allora alcuni punti di riferimento attorno ai quali si può cominciare a delineare la soluzione diffusa. Quanto dirò non ha certo pretese di completezza: è semplicemente il portato dell’assunto teorico sopra argomentato (dalla coesistenza irrelata dei diversi alla relazione “contaminante”) e di esperienze accumulate. 1. La cittadinanza attiva non comincia “dopo la scuola”, non è qualcosa cui ci si prepara ma un allenamento continuo da realizzare subito. È la pratica della responsabilità personale e diretta che la può far capire, non la lezione sui diritti. Avviare, pertanto, gli alunni all’assunzione di incarichi e alla loro verifica, compresa la gestione dei loro conflitti, negoziare uno spazio di discussione e di messa in discussione delle regole (tempo del cerchio, rotazione dei ruoli, elezione per l’attribuzione di incarichi di maggiore impatto collettivo), sono un insieme di possibili strategie volte a trasformare il ribellismo e l’anarchismo più o meno latente dei giovani verso forme di aggregazione sociale produttiva. E gli stranieri cosa c’entrano? Ebbene, arricchire tali momenti di negoziazione mediante il coinvolgimento di chi proviene da esperienze diverse di rapporto adulto-minore, è già una forma di meticciato culturale, una sorta di prima verifica del concetto di diritto. Significa imparare (o reimparare) che a scuola non si va solo per studiare le “materie” ma anche (e soprattutto) per formarsi attraverso le relazioni. ORIENTAMENTO 19 L’ORIENTAMENTO IN PROSPETTIVA 2. Se quanto detto è vero, ne consegue che anche la dimensione ludica, non solo nella scuola dell’infanzia, deve essere pienamente recuperata e valorizzata, ovvero deve entrare a far parte del piano intenzionale dell’offerta formativa. Il gioco è uno strumento di comunicazione e di conoscenza reciproca: insegnarsi reciprocamente giochi che fanno parte del proprio patrimonio esperienziale non solo aiuta a rompere il ghiaccio ma consente di riconoscersi qualità da non trascurare, stimola la curiosità, abitua al decentramento ed è un potentissimo fattore di apprendimento linguistico spontaneo. 3. I curricoli disciplinari non devono essere percepiti come qualcosa di separato rispetto alla sfera relazionale e affettiva, comunicando implicitamente il messaggio che “ora si fa sul serio”. Pertanto vanno colte tutte le occasioni in cui sia possibile la valorizzazione del sapere di cui “gli altri” sono portatori. Chi proviene da altri universi culturali, anche se all’inizio non parla o parla a stento la nostra lingua, non è una tabula rasa e può aprire una finestra su mondi che cessano di essere solo nozioni libresche. In definitiva, la presenza degli stranieri è più che un problema una risorsa, un’occasione per “analisi contrastive” che favoriscono il decentramento e la relativizzazione dei punti di vista. 4. In questa prospettiva può essere prezioso il contributo dei mediatori culturali ma anche degli stessi genitori degli alunni stranieri. 5. Anche l’incontro tra adulti a scuola va favorito e incoraggiato. I momenti di festa, lo scambio di 20 tradizioni alimentari aiutano a far sentire la scuola come luogo in cui trovare ascolto e risposta a bisogni concreti e può essere un’occasione importante per iniziare a rompere l’isolamento sociale e il ripiegamento autoreferenziale. 6. Tutto ciò deve ripercuotersi nella pratica didattica quotidiana. Se la coerenza è la cartina di tornasole su cui misurare la credibilità di qualsiasi educazione, tanto più l’intercultura come prospettiva complessiva di impostazione educativa richiede una grande coerenza tra ciò che si dice e come lo si dice, tra obiettivo e metodo. Senza, pertanto, entrare nel merito dei contenuti, ciò che porterebbe questo già lungo intervento a dilatarsi eccessivamente, mi limiterei a suggerire come metodologia più fertile quella del cooperative learning9, che non solo è estremamente flessibile ma consente di perseguire gli obiettivi cognitivi e di contenuto più svariati in assoluta coerenza con le esigenze di clima fin qui descritte. Il gruppo cooperativo, spostando il focus dall’attenzione quasi esclusiva sui contenuti dell’insegnamento all’apprendimento, inteso come processo complesso, che deve armonizzare fattori sociali, affettivi e cognitivi, consente una migliore e più attiva partecipazione degli alunni. In particolare, con alunni stranieri, il cooperative learning stimola un incremento di scambi verbali tra pari che aiuta a superare blocchi emotivi e a fissare le strutture linguistiche con cui codificare i nuovi contenuti, dato che nel gruppo è necessaria una continua negoziazione dei significati. Ovviamente un gruppo è QUADERNI DI ORIENTAMENTO ■ 27 cooperativo quando realizza un’interdipendenza positiva, ovvero se ciascun membro si sente parte di una squadra ed è disposto pertanto a valorizzare i risultati altrui quanto i propri, ed essere perciò in grado di “aiutare, dirigere, consigliare, incoraggiare, commentare”, sentendosi responsabile in prima persona di ciò che il gruppo realizza. RUOLO STRATEGICO DELL’APPRENDIMENTO LINGUISTICO La rassegna, che non ha alcuna pretesa di essere esaustiva, dei criteri cui prestare attenzione per fondare una pratica effettiva dell’intercultura, non deve far perdere di vista la necessità di affrontare con rigore e professionalità il nodo cruciale della lingua. Questo è uno dei campi più indagati ed è impossibile qui darne conto in modo approfondito. La ricerca evolve con l’evolvere stesso del fenomeno ma esistono dei punti di riferimento che possono essere ormai considerati come punti fermi. Sommariamente: la distinzione tra lingua della comunicazione e lingua dello studio (quella che consente i processi di codifica delle nozioni disciplinari e stimola lo sviluppo cognitivo), il rapporto tra L1 (la lingua madre da cui si proviene) e L2 (la lingua dominante del paese in cui si studia), la nozione di interlingua (la struttura “fluttuante” che si viene a creare tra la lingua madre e quella con cui si comunica nel paese ospitante). Sono tutti aspetti, questi, che devono essere tenuti presenti se si vuole portare sul serio gli alunni stranieri ad “abitare” (è la bella metafora utiliz- Orientamento e scuola zata da G. Favaro10) la nostra lingua, presupposto imprescindibile dell’esercizio della cittadinanza attiva e quindi di un orientamento efficace. Ma da dove si può partire per esplorare questo campo di indagine? Direi che innanzitutto la conoscenza del “Quadro comune europeo delle lingue” (noto come Framework) può rappresentare una base di partenza. Attualmente, nell’ambito del Progetto SAM, è in corso una ricerca per adattare questo strumento (pensato dal Consiglio d’Europa per consentire un’analisi obiettiva dei livelli di competenza in LS) alla valutazione dei livelli di apprendimento della L2, così come anche la messa a punto di strumenti di analisi dell’interlingua.11 Lo scopo di tali studi è quello di focalizzare sempre meglio il ruolo dell’apprendimento scolastico nell’acquisizione della L2. Infatti, se la lingua della comunicazione è in gran parte il risultato di un apprendimento spontaneo nell’ambiente, la lingua dello studio, invece, la si acquisisce solo in seguito ad apprendimento formale. Le ricerche, in particolare Cummins,12 hanno chiarito che i progressi nella L2 (il raggiungimento del livello astratto) sono connessi con lo sviluppo della L1. Secondo lo studioso canadese le differenze tra le due lingue sono solo di superficie, mentre a livello profondo, che è il livello in cui si determina lo sviluppo cognitivo, sono interconnesse e quindi i risultati raggiunti mediante una lingua possono essere travasati nell’altra. Ciò significa che non è il bilinguismo in sé ad essere vantaggioso “ma determinati rapporti tra la competenza in lingua materna e quella in lingua seconda”.13 Ora, se tutto ciò è vero, il ruolo della scuola è appunto quello di stimo- lare il passaggio dalla lingua della comunicazione a quella dello studio mediante il superamento degli stadi di fossilizzazione dell’interlingua. È questo il settore in cui occorre concentrare lo sforzo formativo per evitare che il percorso scolastico si inceppi e per favorire quindi, con l’incremento delle capacità di interazione a livello astratto, il successo formativo senza il quale la scommessa dell’intercultura è persa e l’orientamento inefficace. NOTE 1) La citazione è ripresa da E. Balducci, L’uomo planetario, Camunia MI (1985) p. 12. 2) Ibi. p 5 3) Una lucida analisi della esplosione dei conflitti etnici in presenza della diffusione del modello liberista (l’altra faccia della globalizzazione) è condotta da Amy Chua nel recente L’età dell’odio, Carocci Roma (2004). 4) E. Morin, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Raffaello Cortina MI 2001, p 98. 5) Ibi. p 98. 6) Questa massima è una costante del pensiero ecologico la cui attenzione si è venuta sempre più concentrando sui limiti dello sviluppo (ecosostenibilità) e sulla conseguente necessità di superamento dell’antropocentrismo, nella considerazione del rapporto uomo-natura, in funzione di una nuova etica della responsabilità (cfr, H. Jonas Il principio responsabilità TO 1990). Anche su questo punto è chiarissima e illuminante un’osservazione di Balducci: “… prendere atto dello stato di interdipendenza di tutti i problemi di ■27 QUADERNI DI cui soffre l’umanità di oggi. Non ci sarà più possibile affrontare davvero un problema solo – poniamo quello della sanità in Italia – se attraverso un procedimento di interconnessione graduale non lo collocheremo nel problema globale del genere umano … assumere come fondamento della convivenza umana la ‘comunione creaturale’…” in Testimonianze n. 317 (1989). 7) Cfr. P. Balboni , Le sfide di Babele UTET, TO 2003, p. 4. 8) E. Damiano, a cura di, “Homo migrans, discipline e concetti per un curricolo di educazione interculturale a prova di scuola”, MI Franco Angeli 1998. 9) Cfr. Johnson, Johnson, Holubec, Apprendimento cooperativo in classe. Migliorare il clima emotivo e il rendimento, Erickson Trento 1996, Comoglio, Cardoso, Insegnare e apprendere in gruppo. Il Cooperative learning, LAS Roma 1996. Si veda anche il sito della rivista italiana on-line dedicata al Cooperative learning, ricca di spunti e materiali didattici: www.scintille.it. 10) G. Favaro, Insegnare l’italiano agli alunni stranieri, La Nuova Italia MI 2002. 11) I risultati saranno man mano resi disponibili nel sito www.progettosam.it. 12) Cfr. M.C.Luise (a cura di), Italiano Lingua Seconda: Fondamenti e metodi vol. 1 Coordinate, Guerra Edizioni, Perugia 2003 13) op. cit. p. 108. Fabio Sesti Dirigente scolastico Ist. Compr. “E. Giacich” Monfalcone ORIENTAMENTO 21 UN SISTEMA DI RETE PER L’ORIENTAMENTO UN’ESPERIENZA NELLA PROVINCIA DI TREVISO Luigi Clama, Donella De Carolis, Alberto Ferrari I l sistema Rete deve essere efficace e funzionale per sostenere servizi specifici, quali quelli dell’informazione e dell’orientamento. La forma di “governo” della Rete deve essere condivisa per offrire garanzia ai soggetti che si riconoscono nel sistema ed hanno, al suo interno, pari dignità PREMESSA Diverse esperienze sul campo sottolineano quanto sia importante che il sistema Rete sia efficace e funzionale al fine di poter sostenere servizi specifici, quali ad esempio quelli di informazione e orientamento. La Commissione Europea invita a “facilitare l’inserimento dei giovani nel mercato del lavoro anche attraverso lo sviluppo di partenariati tra istituti scolastici, autorità locali, mondo dell’impresa, reti transnazionali di cooperazione” (Libro Verde,1993), nel Libro Bianco (1995) e nel Memorandum sul longlife learning (2000), individua nelle reti uno strumento strategico per i servizi di informazione e orientamento a garanzia di: • integrazione tra dimensione europea e comunità locali, al fine di diffondere le informazioni tenendo conto delle diverse specificità geografiche e culturali; • raccordo tra servizi istituzionali, privati e del privato sociale, an- 22 che attraverso canali non formali di diffusione delle informazioni; • coordinamento tra servizi di orientamento e altri servizi alla persona per realizzare sistemi territoriali integrati che rispondano alla pluralità dei bisogni dei cittadini/utenti. Nello stesso senso, la legislazione nazionale e regionale sui Servizi per l’Impiego ridefinisce funzioni e compiti dei Centri per l’Impiego che divengono nodi di una Rete di servizi rivolti al mercato del lavoro e promotori a loro volta di reti territoriali finalizzate all’utilizzo di tutte le risorse presenti sul territorio, sia pubbliche sia private. Questo argomento è stato oggetto di una ricerca condotta da Rete Informa1 di Bari che ha affrontato i temi della socializzazione dell’informazione tra operatori e tra servizi di orientamento e della costruzione di forme di cooperazione e scambio (a livello regionale, nazionale ed europeo). Anche esperienze quali ad esempio quella della Città dei Mestieri2, partita da Parigi negli anni ’90 ed ora in fase di espansione a livello mondiale, indicano la necessità di istituire reti governate secondo modelli efficaci e basate sulla condivisione di obiettivi e strategie da parte di tutti i partner. Le reti territoriali possono dunque diventare sistema-Rete, trasversale ai sistemi istruzione, formazione, contesto produttivo, enti locali, che funzioni sia come sistema organizzativo territoriale di supporto e coordinamento sia come spazio di intersezione e di riferimento per la organizzazione e la gestione di attività comuni. Perché questo sistema possa attivarsi, è però necessario rendere riconoscibile ed operativo il soggetto Rete, legittimandolo come figura (anche giuridica) che opera sul territorio. Sarebbe quindi necessario tentare una prima modellizzazione del sistema-Rete, così che il modello-Rete possa favorire quell’integrazione fra scuola, formazione professionale e lavoro che è posta quale condizione per l’occupabilità e l’adattabilità delle persone. Nella sola provincia di Treviso, secondo uno studio condotto dal CSA3 provinciale negli anni 2002 - 2004, si contano almeno 53 reti nelle quali sono compresi Istituti Scolastici (il campione d’indagine ha coperto il 75% degli Istituti scolastici e paritari); di queste, circa il 40% è costituito da reti interistituzionali fondate su accordi stipulati con il “territorio” (centri di formazione, enti locali, Asl, agenzie private, associazioni di categoria etc.). Come si dirà più dettagliatamente in seguito, le tematiche di cui queste reti prevalentemente si occupano (accoglienza, integrazione, orientamento scolastico e professionale, autovalutazione delle scuole) sono relative ad attività trasversali a più sistemi: istruzione, formazione, contesto produttivo, enti locali. Anche nel territorio regionale veneto, lo sviluppo delle reti si può attribuire all’effetto congiunto delle normative nazionali e regionali degli ultimi anni riguardanti il sistema dell’istruzione e della formazione (autonomia delle istituzioni scolastiche e nuova riforma dei cicli; vedi L. 275/99 art. 7, 8, 9; accordo Stato Regioni del 19.06.2003 e apposito protocollo R.V.-M.I.U.R.-M.L.P.S. del 03.10.2003; l. 53/2003), il mercato del lavoro (legge Biagi 30/2003; P.O.R. 2000-2006; Programma Triennale Formazione Lavoro 2004-2006), le competenze degli enti locali (regioni, province, comuni). Tutte le innovazioni legislative indicate prefigurano una osmosi sempre maggiore tra sistemi, alla ricerca di modalità di dialogo, confronto e integrazione tra di essi. QUADERNI DI ORIENTAMENTO ■ 27 Orientamento e scuola zate da creazione di nuove potenzialità locali tra loro integrate. raggiungere insieme; le azioni sono perciò caratterizzate dalla creazione di una nuova potenzialità centrale5 (l’attivazione di una biblioteca di Rete, di un laboratorio, di un centro servizi; un corso di formazione, un centro di consulenza…). C. “Rete di fornitori/fruitori”: si riferisce a quei sistemi in cui i servizi sono erogati dalle parti stesse del sistema. La Rete deve attivare gli scambi; ognuno ha bisogno di qualcosa e fornisce qualcos’altro. Le azioni sono caratterizzate da migliore sfruttamento delle potenzialità presenti localmente. D. “Rete di cooperatori”: si riferisce a quelle Reti in cui i servizi sono prodotti dalle parti. Ognuno ha tutto e tutti vogliono migliorare ed integrarsi; la Rete deve costruire i canali comunicativi e gli scambi. Le azioni sono caratteriz- I sistemi A e B sono di tipo monocentrico: le Reti fanno riferimento ad un ufficio centrale che fornisce i servizi richiesti oppure a un laboratorio costruito espressamente per la ricerca e lo sviluppo di specifici servizi o attività. Gli schemi che rappresentano questi sistemi assumono una configurazione simile a quella di un sistema di satelliti ruotanti intorno ad un corpo centrale. Viceversa, i sistemi C e D sono di tipo policentrico: si tratta di Reti in cui i servizi sono erogati o prodotti dalle parti stesse del sistema e quindi di sistemi nei quali avvengono scambi tra le parti. Gli schemi che rappresentano questi sistemi assumono una configurazione simile a quella di una costellazione, che e’ tale in quanto gli elementi che la SCHEMI DI RETE Sistema monocentrico Il sistema fa riferimento ad un centro (configurazione: schema satellitare) Sistema policentrico Il sistema opera scambi tra le parti (configurazione: costellazione) Il sistema A RETE DI FRUITORI C RETE DI FORNITORI B RETE DI PRODUTTORI D RETE DI COOPERAZIONE SISTEMI DI RETE A partire dalle riflessioni formulate da Jeremy Rifkin4 a proposito dell’evoluzione dei mercati verso le Reti, è possibile individuare quattro ipotesi di sistemi di Rete traslati nel mondo della scuola. A. “Rete di fruitori”: si caratterizza per l’erogazione dei servizi da parte di un centro; la prima azione della Rete sarà quella dell’attivazione del centro (un ufficio, un esperto, un’agenzia…). Ognuno ha bisogno di qualcosa che il centro è riconosciuto come in grado di fornire. Le azioni sono caratterizzate dall’utilizzo di una potenzialità centrale. B. “Rete di produttori”: presuppone che i servizi siano prodotti da un centro e la Rete, in questo caso, deve costruire il centro e quindi tutti vogliono qualcosa da cerca Stabilità attraverso acquisizione di servizi tende al miglioramento attraverso il livellamento e/o l’omogeneizzazione (Staticità) Il sistema cerca di crescere attraverso miglioramento e/o creazione di servizi (Crescita) tende al miglioramento attraverso il movimento, lo spostamento (Dinamicità) Sistemi di Rete: le Reti nella provincia di Treviso ■27 QUADERNI DI ORIENTAMENTO 23 UN SISTEMA DI RETE PER L’ORIENTAMENTO compongono concorrono tutti a descriverla. I sistemi A e C sono caratterizzati da tendenza alla stabilità: in questo tipo di Reti i “prodotti” (servizi) esistono già ma non sono ancora erogati a tutti in egual modo e quindi il target servito non è ancora l’intera Rete; il sistema risulta pertanto instabile e acquisirà stabilità nel momento in cui il target servito sarà l’intera Rete, garantendo acquisizione di servizi in forma allargata e comunitaria. La connotazione finale è la staticità (nel senso della solidità) del sistema. I sistemi B e D sono invece caratterizzati da crescita: in questo tipo di Reti i “prodotti” (servizi) non esistono (nel sistema B) oppure sono ritenuti non più sufficientemente efficaci (nel sistema D). Il sistema cerca di crescere attraverso il miglioramento e/o la creazione di servizi. Questi sistemi tendono al miglioramento attraverso il movimento verso nuovi target e lo spostamento dei propri standard qualitativi verso soglie via via più elevate. La connotazione finale è la dinamicità del sistema (e delle proprie strutture). I quattro sistemi sono tra loro comparabili mediante una tabella a doppia entrata, che allinea in una colonna i sistemi monocentrici e nell’altra quelli policentrici; in orizzontale, troveremo una fascia con i sistemi che tendono alla stabilità e una fascia con i sistemi che tendono a crescere. Rispetto alle schematizzazioni teoriche, raramente si sono osservate Reti reali in cui fosse rilevabile uno di questi sistemi in forma “pura”. Si sono piuttosto notati numerosi casi in cui più sistemi sono compresenti, ciascuno funzionale a specifiche attività della Rete. In una Rete una certa attività o azione si conformerà 24 per esempio al sistema A mentre un’altra attività si conformerà piuttosto al sistema D. Questa compresenza di sistemi risponde peraltro ad esigenze spesso complesse delle Reti reali. Si esemplifica ora questo concetto in base a quanto osservato in relazione a reti di orientamento. RETI DI ORIENTAMENTO E SISTEMI DI RETE: UN ESEMPIO Nelle fasi di PROGETTAZIONE, cioè di produzione del nuovo servizio, il sistema prevalente è di tipo B; la progettazione si sviluppa infatti nell’ambito di gruppi interistituzionali in cui sono rappresentati alcuni nodi della Rete tramite uno o più operatori. Al fine di costituire questi gruppi di progettazione e gestione generale, la Rete si struttura secondo il sistema B: nel “laboratorio” (raffigurato dal pallino centrale) confluiscono gli operatori, i quali poi si suddividono nei vari gruppi o team, che successivamente cominciano a lavorare alla organizzazione generale delle attività e alla definizione delle procedure di erogazione / acquisizione del servizio. QUADERNI DI ORIENTAMENTO ■ 27 Nelle fasi di EROGAZIONE il sistema varia a seconda delle azioni. Per alcune azioni il sistema è di tipo A, cioè di acquisizione del servizio: il “laboratorio” (raffigurato dal pallino centrale) provvede direttamente all’erogazione del servizio, avvalendosi in qualche caso di uno o più nodi specializzati che fungono da “sede” dell’erogazione di servizio. Può essere il caso di azioni che consistono in incontri di formazione per i genitori o in corsi di alfabetizzazione per studenti stranieri o in attivazione di sportelli territoriali: gli incontri per i genitori, ad esempio, sono interamente gestiti dal team di azione che si avvale di altri nodi in qualità di sedi fisiche in cui il servizio viene erogato. L’utente finale di questo servizio è costituito dalle famiglie degli studenti: i nodi (scuole) acquisiscono dalla Rete il servizio per il quale si rendono tramiti nei confronti dell’utenza (le famiglie). Il servizio viene cioè messo a disposizione delle famiglie che fanno riferimento a quel singolo nodo (scuola). Per le azioni che prevedono scambi, il sistema è invece di tipo C. Non si osserva però tanto uno scambio reciproco tra tutti i nodi, quanto piuttosto una fornitura di servizio da parte di alcuni nodi e Orientamento e scuola un’acquisizione da parte di altri. Questo è quanto, ad esempio, avviene nell’azione che concerne i laboratori d’orientamento: tutte le scuole superiori di una Rete organizzano autonomamente delle giornate di laboratorio per gli studenti delle scuole medie e queste ultime vi indirizzano i propri studenti (l’organizzazione nel suo complesso viene comunque coordinata dal team di azione); similmente avviene per un’azione come la rassegna o expo per l’orientamento, anche se in quest’ultimo caso l’erogazione del servizio ha luogo in un’ unica sede comune, messa a disposizione da un nodo (es. sale comunali dei Centri Servizi). Infine, per azioni di miglioramento e di ampliamento, il sistema è di tipo D. In queste azioni ogni singola scuola provvede all’erogazione del servizio per i propri studenti. La cooperazione avviene all’interno dei team di azione, che in questi casi sono particolarmente ampi e i nodi vi sono rappresentati per la quasi totalità. In questo tipo di azioni (percorsi di orientamento ad una scelta consapevole nelle scuole medie, valutazione delle competenze e portfolio nel passaggio tra i due ordini di scuola, azioni di rimotivazione e di ri-orientamento per alunni di 15, 16 anni nell’esercizio - assolvimento del diritto dovere all’istruzione e alla formazione), è dato particolare rilievo alla fase di condivisione - tra i nodi - dei criteri che regolano la definizione e la progettazione dei percorsi e delle attività (che poi ciascun nodo attua autonomamente), allo scopo di giungere al miglioramento e all’ampliamento del servizio, che ciascuno già eroga. In questo caso, il contesto della Rete fornisce una maggiore articolazione ai percorsi e permette di puntare l’attenzione più sull’utente finale (studente e famiglie) che sul soggetto erogatore (la singola scuola). Nelle fasi di gestione generale e consulenza il sistema è invece di tipo A, cioè acquisizione del servizio. In queste fasi infatti i singoli nodi divengono utenti di un servizio che viene offerto dal “laboratorio”: essi fruiscono dei progetti, degli strumenti e dei materiali messi a punto dal team di coordinamento ed adottano le procedure che vengono proposte. Il sistema si presenta quindi monocentrico nelle fasi pre e post erogazione del servizio mentre è prevalentemente policentrico nella fase di erogazione del servizio. ■27 QUADERNI DI GLI ELEMENTI COSTITUTIVI DELLA RETE La Rete come insieme di nodi e di relazioni Dal punto di vista dell’analisi delle Reti sociali, le Reti formate da soli Istituti scolastici o le Reti interistituzionali appartengono alla categoria delle Reti formali, la quale definisce, a sua volta, un tipo di Rete sociale6. Questo approccio rappresenta la Rete come una figura costituita da “un insieme di punti (nodi) e di linee o frecce di collegamento (relazioni)”, in cui si dà importanza non tanto alle singole individualità (ai singoli nodi) bensì ai legami e agli scambi esistenti tra i nodi di una Rete. Questo concetto di Rete implica quindi che l’appartenenza a una Rete offra una serie di possibilità ma imponga nel contempo alcuni vincoli (ad esempio il rispetto di una programmazione coordinata). Le Reti non si definiscono però solo in base ai vincoli tra i nodi o alla dimensione (quantità dei nodi) ma anche in base allo scopo che si prefiggono; un soggetto (un nodo) può quindi appartenere contemporaneamente a più Reti, in ognuna delle quali può rivestire un ruolo diverso a seconda della posizione assunta rispetto agli altri soggetti (da centrale a periferico). Scopi per cui una Rete si costituisce e condizioni di partenza. Con quale scopo dunque si costituisce una Rete? Quali condizioni di partenza favoriscono l’adozione di un sistema piuttosto che di un altro? In generale, si può dire che tale scopo e tali condizioni riguardano la presenza o l’assenza di servizi e l’opportunità di fruirne. In particolare, e ORIENTAMENTO 25 UN SISTEMA DI RETE PER L’ORIENTAMENTO cioè in relazione ai quattro sistemi di Rete individuati, scopo e condizioni si diversificano a seconda del sistema di Rete a cui si connettono. Sistema A - Rete di fruitori: il sistema è caratterizzato dall’erogazione di servizi da parte di un centro (Ufficio); condizione di partenza è la rilevazione della mancanza sia del servizio sia delle risorse individuali necessarie a costruirlo. Una volta individuato l’Ufficio in grado di erogare il servizio, scopo della Rete è mettere i nodi in condizione di utilizzare l’Ufficio come risorsa, far sì cioè che il servizio venga effettivamente acquisito dall’Ufficio per il cui impiego ci si è costituiti in Rete. Sistema B - Rete di produttori: caratteristica di questo sistema di Rete è la costruzione di una nuova potenzialità centrale; la condizione di partenza coincide con quella individuata per il Sistema A agli effetti della rilevazione della mancanza di un servizio ma non agli effetti della mancanza di risorse individuali. In questo caso, infatti, i singoli soggetti dispongono di risorse che non consentono di erogare in proprio quel servizio ma che, unite a quelle di altri, permettono la costruzione di un centro in grado di fornire a tutti il servizio mancante. Scopo del- Il diagramma illustra il processo di costituzione ed il processo funzionale della Rete. 26 QUADERNI DI ORIENTAMENTO ■ 27 la Rete è quindi produrre un nuovo servizio centralizzato attraverso la connessione delle risorse appartenenti ai singoli nodi. Sistema C - Rete di fornitori/fruitori: caratteristica del sistema è lo scambio, grazie a cui ogni nodo può ricevere da altri servizi di cui manca e può fornire a altri servizi di cui dispone. Le condizioni di partenza sono costituite dalla rilevazione secondo cui ogni soggetto è dotato di alcuni servizi ma manca delle risorse necessarie a soddisfare l’esigenza di un insieme di servizi più completo e più qualificato. Scopo della Rete è Orientamento e scuola quindi permettere una condivisione territoriale di servizi e di risorse secondo un criterio di complementarietà. Sistema D - Rete di cooperatori: caratteristica anche di questo sistema è lo scambio, che non è però disciplinato dalla complementarietà. Nella condizione di partenza, tutti i soggetti dispongono del medesimo insieme di servizi; ciò di cui si avverte l’esigenza e per cui mancano individualmente le risorse è una maggiore qualità o un ampliamento di servizi che ognuno eroga già individualmente. La Rete deve quindi rispondere allo scopo di permettere il miglioramento e l’ampliamento di servizi già esistenti collegando e integrando le risorse presenti nei singoli nodi. IL PROCESSO Questo approccio riguarda l’iter processuale adottato dalla Rete e può applicarsi a Reti “governate” dette anche “strutturate” mentre risulta meno applicabile ai casi di Reti spontanee e poco governate. Attraverso quale processo si formalizza una Rete? Quali sono le fasi critiche attraverso cui la Rete transita per pervenire a soddisfare il bisogno iniziale? Si esaminano ora alcuni passaggi rappresentati nel diagramma: ORGANIZZARE L’EROGAZIONE DI SERVIZI Analizzare i bisogni e definire le priorità (Fase 2) Prima fase operativa è l’analisi del bisogno-domanda, attuata tramite adeguati strumenti di indagine (interviste, questionari, focus-group, analisi documentale, etc.) e volta alla definizione di obiettivi prioritari. Pianificare i processi (Fase 3) Pianificare i processi (in ottica di qualità) significa esplicitare passaggi, responsabili, tempi, luoghi e strumenti necessari alla loro attuazione, dando evidenza a tutto ciò. Anche i passaggi del monitoraggio e della valutazione, relativi sia al processo sia al prodotto, vanno esplicitati e tutti i nodi della Rete devono conoscerne ed applicarne criteri, indicatori e strumenti. La pianificazione dei processi va inoltre condotta in funzione dell’applicazione degli standard dei servizi preventivamente definiti dagli accordi di Rete; si tratta di un aspetto di fondamentale rilevanza ai fini della valutazione del servizio erogato, sia nei casi in cui i servizi vengano erogati da un ente diverso da quello che pianifica i processi di erogazione, sia nei casi in cui i servizi siano erogati dallo stesso ente che ne pianifica i processi di erogazione. Poiché si opera in Rete, anche il processo di coordinamento e di organizzazione dei servizi (tipologia, responsabile e target di riferimento) è oggetto di pianificazione. Attivare i processi di Rete (Fase 4) A seconda dello scopo per cui la Rete è sorta, si potranno produrre e/o erogare dei servizi, oppure mettere a disposizione e scambiare servizi e risorse pattuiti. In questa fase va però inclusa anche l’azione di mantenimento della Rete, ovvero tutte quelle operazioni rivolte a rendere i legami attivi e funzionali allo svolgimento dei ■27 QUADERNI DI processi in ottica di Rete, azione che risulterà tanto più impegnativa quanto più la Rete avrà una struttura complessa. L’attivazione dei processi corrisponde allo scopo individuato inizialmente: sistema A, erogazione del servizio; sistema B, produzione dei servizi; sistema C, messa a disposizione dei servizi e delle risorse stabiliti (ovvero rendere possibili gli scambi); sistema D, scambio dei servizi e delle risorse stabiliti (ovvero integrare potenzialità). Risulta che nei sistemi A e C l’attivazione dei processi (erogazione, messa a disposizione) non incide sensibilmente sulla produzione di servizi, quanto piuttosto sull’allargamento del target che ne fruisce. Invece nei sistemi B e D l’attivazione dei processi (produzione, scambio e integrazione) incide proprio sulla produzione e quindi sulla qualità dei servizi. GESTIRE LA QUALITÀ DEI PROCESSI E DEI PRODOTTI DI RETE Monitorare e valutare i processi e i prodotti di Rete (Fase 5) Le Reti sono centrate sul raggiungimento di determinati obiettivi, basandosi spesso su uno o più progetti; tendono pertanto a strutturare il processo piuttosto che le funzioni dotandosi di sistemi di funzionamento “orizzontali”; in questo si differenziano dalle modalità di organizzazione delle istituzioni scolastiche che si articolano invece prevalentemente su sistemi “verticali” dove preminente è l’adempimento della funzione rispetto all’obiettivo. A questo ORIENTAMENTO 27 UN SISTEMA DI RETE PER L’ORIENTAMENTO Virgilio Tramontin, Paesaggio, acquaforte. prevalere di un’organizzazione orizzontale, si collega la necessità di procedure di monitoraggio e valutazione sia del processo sia del prodotto in quanto la “sopravvivenza” della Rete è determinata unicamente dal conseguimento dell’obiettivo per cui è nata. La fase del monitoraggio e della valutazione si articola in tre momenti distinti: Monitoraggio, Verifica, Valutazione. Il soggetto che svolge questa fase applica i criteri di valutazione in base a cui formula un giudizio sulla validità del processo e/o del prodotto (e quindi sul grado di raggiungimento dell’obietti- 28 vo). I giudizi formulati e le scelte ad essi conseguenti devono essere legittimati dalla Rete nella sua interezza e dalle parti che la compongono. Per questi motivi, il compito di attuare questa fase deve essere attribuito ad un soggetto (individuo o gruppo o organismo) riconosciuto e legittimato da tutti i nodi, il cui ruolo sia super-partes. Tale funzione può essere assunta, infine, anche da un soggetto esterno alla Rete. Le azioni per migliorare i processi e i prodotti (Fase 6) La progettazione del piano di mi- QUADERNI DI ORIENTAMENTO ■ 27 glioramento è in relazione a quanto formulato in sede di valutazione e la sua attuazione coinciderà con il riavvio del processo complessivo, le cui fasi verranno ricalibrate in ordine a quanto stabilito dal piano di miglioramento stesso. CONSIDERAZIONI FINALI La forma di “governo” della Rete deve essere condivisa dai nodi della Rete; governare i processi secondo quest’ottica risulta una ga- Orientamento e scuola ranzia per tutti i nodi che si riconoscono nella Rete ed hanno, all’interno di essa, pari dignità. Naturalmente esistono anche Reti nelle quali alcuni nodi “pesano” più di altri oppure Reti nelle quali esistono sottogruppi più densi o più “pesanti” (cluster). In tutti questi casi le strutture e le forme di governo risulteranno da una mediazione tra sistemi teorici (alcuni dei quali questa indagine tenta di definire) e situazioni contingenti. Lo svolgersi del processo non è, nella realtà, perfettamente lineare e schematico. Alcune fasi possono sovrapporsi ad altre oppure essere riunite in una; alcune possono essere molto laboriose ed altre invece agili e veloci. Ma l’elusione di uno o alcuni di questi passaggi potrebbe comportare una ridotta solidità di governo della Rete e conseguenti situazioni di squilibrio tra i nodi e nelle relazioni tra essi intercorrenti o anche situazioni di incoerenza tra ciò che gli accordi iniziali hanno stabilito e ciò che nella realtà dei processi avviene. NOTE 1) Annibale D’Elia, Annamaria Ricci, in Progettare un servizio di informazione, a cura di M. Consolini, Franco Angeli, 2003. 2) Vedi Osservatorio sul mercato del lavoro e sulle professioni , fascicolo 5, volume 23, anno 2002; in particolare i contributi di: Alida Salomone, “Il modello italiano delle Città dei Mestieri e delle Professioni”; Danièle Drevet, “La rete internazionale delle Città dei Mestieri”; Diego Boerchi, “La Città dei Mestieri e delle Professioni di Milano”. Sullo stesso argomento vedi inoltre i materiali prodotti nell’ambito del Progetto di trasferimento Buone Pratiche “Orientare: fornire strumenti e attivare risorse” Fse Ob. 1 2003, a cura degli operatori delle Città dei Mestieri di Genova, Milano, Cagliari, Taranto, Fano, Treviso; I.S.U. Università Cattolica di Milano, 2003. 3) CSA TREVISO, Scuole in rete, preatti del convegno svoltosi a Treviso il 10 maggio 2004, Treviso 2004. Il testo presenta una riflessione sulle Reti formate da Istituzioni Scolastiche, promossa dal CSA di Treviso e svolta negli aa. ss. 2001-02, 2002-03, 2003-04 da un gruppo costituito da 12 docenti utilizzati in qualità di coordinatori di progetti di Rete e coordinato dalla dirigente Maria Antonia Moretti; il testo propone alcuni elementi del modello teorico messo a punto e alcuni esiti dell’indagine che, a partire dal modello teorico, si è sviluppata. Per approfondire i contenuti dell’articolo vedi il testo integrale della ricerca pubblicato dal CSA Treviso e reperibile su: www.csa.tv.it/reti/convegno.asp. Sono disponibili gli strumenti utilizzati nell’indagine, le tabelle di sintesi con i dati relativi a ciascuna Rete, le tabelle analitiche di descrizione dei sistemi di Rete. L’analisi teorica si è articolata secondo tre prospettive principali: prospettiva di analisi centrata sui sistemi di Rete, suggerita dagli studi sui sistemi di Reti economiche; prospettiva di analisi centrata sugli elementi costitutivi, suggerita dagli studi sulle Reti sociali; prospettiva di analisi centrata sul processo, suggerita dagli studi sui modelli di processo nei sistemi di gestione per la qualità. 4) J. Rifkin, L’era dell’accesso. La rivo- ■27 QUADERNI DI luzione della new economy, trad. it. di Paolo Canton, Mondadori, Milano, 2000. Tra gli altri studi sui modelli teorici citiamo G. Alessandrini (a cura di), Pedagogia delle risorse umane e delle organizzazioni, Guerini Studio, Milano, 2004. 5) Per produzione si intende “l’attività diretta all’ottenimento di beni o servizi”; per erogazione si intende “la distribuzione a domicilio mediante apposita Rete” del servizio prodotto. (Devoto Oli, Dizionario della lingua italiana). 6) Besozzi, Colombo, Metodologia della ricerca sociale, Guerini Studio Editore, Milano, 1998, pp. 136-141. Luigi Clama Coordina la Rete “Monitoraggio Progetti dell’Offerta Formativa”, lavora presso il CSA Treviso Donella De Carolis Coordina la Rete “Spazio-Ascolto” di cui è capofila l’Istituto Comprensivo di Caerano S. Marco Alberto Ferrari Coordina “ReteOrione – orientamento e formazione” di cui è capofila l’Ipsia Galilei di Castelfranco Veneto ORIENTAMENTO 29 ORIENTAMENTO ED EMPOWERMENT IL NUOVO OBIETTIVO DELL’ORIENTAMENTO Federico Batini I l processo di empowerment intende favorire l’espressione personale nella determinazione della propria vita futura. Il percorso narrativo ha lo scopo di analizzare, ricostruire e valorizzare le competenze sviluppando l’autoefficacia della persona PREMESSA L’orientamento, nella sua seppur breve storia si è visto assegnare, a più riprese, diverse funzioni, si è avvalso di diverse metodologie, ha esplorato modalità di azione, utenze, percorsi differenti tra loro, a volte, persino antitetici. Tramontata ormai la valenza soltanto informativa dell’orientamento, tramontata la collocazione in momenti socialmente definiti (passaggio da un ordine scolastico ad un altro, momento della scelta o della crisi professionale), riaffermato ormai il primato del soggetto nel percorso orientativo e la duratività dello stesso, la sua collocazione in momenti soggettivamente definiti, compiuto il passaggio per cui esso si avvicina, sempre di più alla formazione acquisendone caratteri, intenzionalità, in alcuni casi tempi e modalità di raggruppamento, potremmo osservare che si sta delineando ormai una nuova 30 pratica per la quale potremmo trovare nel termine empowerment la nuova centratura. Sempre più spesso nella definizione delle funzioni dell’orientamento compare il termine empowerment. L’emersione di paradigmi orientativi non direttivi, centrati sull’utente, qualitativi ha facilitato la progressiva importanza che questo costrutto teorico-pratico ha assunto all’interno del processo orientativo. Oggi infatti si preferisce assegnare all’orientamento la funzione di empowerment di un soggetto che ne aumenti il controllo e la percezione di controllo sulla propria vita e sulle proprie scelte. Molto spesso nelle scelte ci si situa, oggi, in una deprivazione o in una sovrabbondanza informativa. Si tratta di due condizioni che non facilitano, la prima non consente una scelta opportuna, informata, adeguata, la seconda imbroglia, confonde, travolge. La funzione dell’orientamento assume un’importanza maggiore, l’orientatore non supporta più soltanto in determinate fasi, ha compiti di empowerment, aiuta a costruire competenze di scelta, competenze progettuali, ascolta, informa, forma. CHE COSA È L’EMPOWERMENT? Negli anni ‘50 e ‘60, negli Stati Uniti il termine empowerment viene usato dagli studi di politologia in riferimento ai movimenti per i diritti civili e sociali delle minoranze e contro l’emarginazione e la segregazione razziale (soprattutto della popolazione afroamericana). Negli anni ’70 il termine fa il suo ingresso nella letteratura socio-politica, nella teoria della democrazia QUADERNI DI ORIENTAMENTO ■ 27 moderna, nei movimenti femminili e delle minoranze. Soltanto negli anni ’80 il concetto di empowerment viene mutuato anche a livello organizzativo e nelle teorie del management. Rappaport ha attribuito al termine empowerment, già dal 1977, il significato di acquisizione di potere, intendendo così concentrarsi sull’incremento delle capacità delle persone nel controllare in modo attivo la propria vita, utilizzando il termine per la prima volta in riferimento a contesti psicosociali.1 Kieffer (Kieffer, 1984) utilizza questo termine nelle ricerche che svolge con soggetti che provengono da ambienti o gruppi etnici socioculturalmente deprivati. Anzitutto dobbiamo ricordare come l’empowerment comprenda sia i processi (empowering) che i risultati (to be empowered).2 Secondo Zimmermann vi sono alcuni presupposti teorici da considerare quando si parla di empowerment, ovvero: si tratta di una variabile continua, in continua evoluzione (evoluzione non sempre lineare), è un costrutto contestuale (non è possibile un’eccessiva generalizzazione ma deve specificarsi in relazione al contesto ed alla popolazione), può essere articolato ad un livello individuale, organizzativo, di comunità.3 L’empowerment viene progressivamente definito attraverso analisi che prendono in considerazione le regole ed i modelli impliciti nelle organizzazioni e nei sistemi sociali (ai quali ci si aspetta che i singoli soggetti si adeguino e conformino): queste regole e questi modelli producono marginalità negli individui che non riescono o non vogliono adattarsi, la marginalità non consente di accedere ai servizi of- Orientamento e scuola Livelli Destinatari Oggetto di interesse dell’empowerment Livello individuale Il singolo soggetto Il potenziamento e l’espansione dell’io individuale Livello organizzativo Il management ed i componenti dell’organizzazione L’organizzazione come sistema: in tutte le sue componenti statiche e dinamiche Livello di comunità Il soggetto nel gruppo, nel proprio contesto, ed i componenti del gruppo stesso. L’emarginazione, il disagio psicologico. I tre livelli secondo i destinatari e l’oggetto di interesse dell’empowerment: (rielaborazione da Piccardo, 1995)4 ferti dalla società, ad esercitare cioè, pienamente, il proprio diritto di cittadinanza; l’empowerment diviene, in questo senso, un antidoto ad un processo di questo tipo. Nella Conferenza delle donne di Pechino, nel 1995, l’utilizzo del termine è passato da un uso specialistico ad un uso maggiormente diffuso in relazione alle strategie di intervento contro la marginalità sociale e di genere. Negli ultimi anni, oltre ai contributi derivanti dalla letteratura sull’apprendimento e sulla formazione e da quella della psicologia di comunità, il concetto è stato recepito anche dalla letteratura medica e psicoterapeutica, in relazione al rapporto medico-paziente o terapeuta-paziente e come costrutto che propugna l’attivazione e l’informazione del soggetto come forte componente di gestione della salute (sia in ottica preventiva che curativa). EMPOWERMENT ED ORIENTAMENTO Per quanto riguarda l’orientamento, l’empowerment, come anticipa- to nel primo paragrafo, è strettamente correlato alla dimensione psicologico-individuale dello stesso. E’ sufficiente infatti esaminare quali sono i concetti ai quali si fa riferimento in questo primo orizzonte di azione dell’empowerment per evidenziarne i legami con il processo orientativo: • il concetto di self percived efficay (autoefficacia percepita, coniato da Albert Bandura): il livello di autoefficacia percepita misura quanto ogni soggetto creda alle proprie capacità di attivare risorse cognitive e comportamentali atte ad ottenere i risultati attesi (esempio: quanto mi percepisco efficace rispetto ad un compito ,indipendentemente dalla conoscenza o dalla ripetizione dello stesso?). Risulta ormai dimostrato come queste credenze di efficacia contribuiscano notevolmente a determinare le probabilità di successo; • il concetto di percezione e di valorizzazione delle proprie abilità e competenze; • i fattori motivazionali che, partendo da un cambiamento pensato come possibile, attivino il soggetto e gli consentano di inse- ■27 QUADERNI DI rirsi in dinamiche di azione collettiva. Il percorso dell’empowerment dovrebbe portare da uno stato di learned helplessness (passività o impotenza appresa, acquisita) in direzione di una learned hopefullness (acquisizione di fiducia nella possibilità di determinare la propria esistenza, una “speranza appresa”). Si evidenzia immediatamente la coincidenza di obiettivi, ogni orientatore potrebbe acconsentire ad avere come risultato atteso un’attivazione del soggetto e l’acquisizione, da parte dei propri utenti, di una fiducia nella reale possibilità di incidere attivamente nel determinare la propria vita futura. Non c’è nemmeno bisogno di sottolineare quale sia l’importanza attribuita dall’orientamento all’esplicitazione e valorizzazione delle competenze del soggetto. L’analisi, la ricostruzione e la valorizzazione delle competenze ed abilità dell’utente, la sua rimotivazione, il potenziamento della sua efficacia percepita sono obiettivi che l’orientamento indubbiamente si pone. Per questo, oggi, con una formula sintetica diventa possibile ORIENTAMENTO 31 ORIENTAMENTO ED EMPOWERMENT Virgilio Tramontin, Neve nel viale, acquaforte. 32 QUADERNI DI ORIENTAMENTO ■ 27 Orientamento e scuola dire che l’orientamento ha come finalità principe l’empowerment dei soggetti. UN PROGETTO DI EMPOWERMENT NARRATIVO: TRA SOGGETTO E COMUNITÀ Il 1954 fu un anno cruciale per la Maremma, per la sua industria estrattiva e per i suoi abitanti, ma soprattutto per il borgo interamente minerario di Ribolla (GR). La mattina del 4 maggio 1954 nel piccolo villaggio avvenne la più grave tragedia mineraria italiana del secondo dopoguerra che causò la morte di 43 persone. Una violenta esplosione di grisou si verificò fra le 8.35 e le 8.45 nella sezione “Camorra Sud”, la parte più meridionale dell’intero bacino lignitifero, la più profonda, la più ricca e la più recente, il pozzo era stato eretto nel 1948. L’esplosione percorse le gallerie, a più di 200 metri di profondità, con un’onda d’urto che si propagò per i cunicoli principali della miniera, distruggendo ogni cosa trovasse. Subito dopo la vampata le fiamme piombarono nelle aperture risucchiate verso l’uscita dei pozzi mentre le tubature esplodevano, l’acqua riempiva le cavità, le pareti e le volte delle gallerie crollavano. Lo scoppio del grisou ebbe anche come effetto quello di fare salire la temperatura delle gallerie dai 40 gradi, che normalmente vi si riscontravano, fino ai 100-110 gradi. La ricorrenza del 50° anniversario della tragedia del Pozzo Camorra dove morirono 43 minatori per una esplosione di grisou, è l’occasione per riprendere il filo di una storia interrotta. Dal 4 maggio 2004 con le parole, i libri, le foto, gli audiovisivi, le incisioni, le installazioni, le passeggiate, la segnaletica, lo sceneggiato radiofonico, Ribolla è stata trasformata in una grande macchina narrativa. Nel complesso e ricchissimo percorso che ha consentito la riappropriazione, ad una comunità intera, della propria storia, si è inserito anche un percorso di orientamento narrativo, metodologia che ha come obiettivo principale quello dell’empowerment5. C’ERA UNA VOLTA LA MINIERA… ANCHE PER CHI NON C’ERA In una dimensione di orientamento, come empowerment, si situa questo particolare progetto che ha agito all’interno della complessa “macchina narrativa” di Ribolla 2004, un’ottica dunque di empowerment dei singoli soggetti e della comunità intera, anzi un esempio paradigmatico di questa attenzione mantenuta ai due aspetti. Il progetto, realizzato con i bambini delle scuole elementari del luogo, si è svolto, nell’ambito delle manifestazioni di Ribolla 2004. Realizzato da Thélème s.r.l. (www.theleme.it) nella primavera, ha ispirato anche l’intero programma delle celebrazioni del cinquantenario della tragedia di Ribolla, che è diventato, nel suo complesso, una “macchina narrativa”6. Si è scelto di lavorare con i bambini attorno a dei nuclei se- ■27 QUADERNI DI mantici centrati su opposizioni, costruendo dunque una “sceneggiatura” scritta durante l’intero percorso e che giocava tra il presente e la memoria, tra il luogo fisico Ribolla e i luoghi metaforici costituiti dai nuclei tematici. Le produzioni, ricche di significato dei bambini hanno consentito, nei due convegni dedicati a questa parte della manifestazione (uno aperto al pubblico ed un seminario “a porte chiuse”, riservato ad esperti ed insegnanti e centrato sulla valutazione del progetto) di enucleare i risultati principali: • la scoperta di un’appartenenza ad una comunità locale che condivide un passato, dei significati, una dimensione storica; • un rafforzamento delle capacità di autoanalisi; • un potenziamento delle capacità espressive e di autoespressione (quindi, sul medio termine di autorealizzazione ed autostima); • la comprensione dell’esistenza di più punti di vista e più significati attribuibili alla stessa cosa o al medesimo evento; • la restituzione alla comunità del punto di vista dei bambini (ricchissimo ed emotivamente denso) sulla propria storia locale, con l’apertura di nuovi sensi e significati da attribuire alle proprie radici culturali e di conseguenza alla dimensione progettuale di un’intera comunità locale. Nella tabella che segue presentiamo alcuni dei nuclei tematici affrontati con ogni gruppo classe. Per ogni nucleo erano previsti due incontri da due/tre ore ciascuno, con una certa flessibilità di orario. Le insegnanti hanno partecipato in modo vivo, competente, rispettoso ed attivo all’intero svolgimento del progetto.7 ORIENTAMENTO 33 ORIENTAMENTO ED EMPOWERMENT “L’orrore di quel momento”, continuò il Re, “non lo dimenticherò mai, mai!” “Si, invece”, disse la Regina, “se non ne prenderai nota”. (da “Attraverso lo Specchio” di Lewis Carroll) NUCLEI TEMATICI AZIONI OBIETTIVI MATERIALI PRODOTTI Terra/Sottoterra sopra/sotto giù/su profondo/superficie Introduzione: si racconta ai bambini che cosa faremo con loro e si chiedono le loro opinioni in proposito (si può fare attraverso un piccolo racconto di un percorso chiedendo poi loro di fare un disegno su come si immaginano che questo percorso si articolerà, su come andrà a finire etc… Confrontarsi con le paure La storia della miniera di Ribolla riscritta attraverso gli occhi di un bambino (raccontarla pensando che fosse un bambino a vedere la miniera, non in relazione alla tragedia del 1954, piuttosto in relazione alla quotidianità della miniera) Disegni delle paure dei bambini e paure dei grandi “La storia del leone e della talpa” (Subcomandante Marcos) Occorre valorizzare gli interventi dei bambini, tramite, ad esempio, la produzione di racconto collettivo con le loro esperienze su questo nucleo tematico Letture stimolo (cfr. materiali) Attività grafico pittorica Confrontarsi con la memoria della paura Confrontarsi con il futuro: essere grandi significa abolire le paure? Di che cosa hanno paura i grandi? Comprensione dei momenti in cui “sono su” e dei momenti in cui “sono giù” (come metafora e letteralmente) Leggerezza, superficialità, profondità… che significati possono veicolare? Racconti interrotti da continuare Racconti costruiti con il collage (materiali pre-preparati con già personaggi etc….) Qualche passaggio da Verga o da altri testi classici che parlano di miniere, e dei relativi nuclei tematici …. Storia della gabbianella e del gatto di Sepulveda “Raccontiamoci”: brevi componimenti sulle paure e le certezze nel cuore di un bimbo (..e nel bimbo che è in ognuno di noi: perché non raccontarsi insieme a loro?!) Preparazione della produzione finale Il gabbiano di R. Bach Il piccolo principe di A. S. E. Nero/Bianco buio/luce giorno/notte Che cosa è il buio? Che cosa è la luce? Attività di scrittura libera, attività grafico-pittorica. Racconti sulla creazione attinti da più religioni, prendendo i passi che raccontano il passaggio dal caos all’ordine, dal buio alla luce. I luoghi del buio ed i luoghi della luce: l’esperienza individuale e l’esperienza collettiva. I colori e le persone: attività interculturali (narrazioni e giochi). Stimolo a produzioni narrative: esempio il lavoro tratto da Lino Di Lallo, “Quo Lapis?”,. Stimolare la fantasia e la creatività dei bambini (creazione di poesie, brevi testi) attraverso il superamento della paura e del silenzio che provoca un foglio bianco Il razzismo spiegato a mia figlia di T. B. Jelloun Accogliere contraddizioni e conflitti (anche interiori, legati allo sviluppo dell’identità). Sviluppare la valenza positiva della contraddizione creativa (il rispetto della propria e dell’altrui individualità nella vita). L’inventore di sogni di Ian Mc Ewan Accogliere l’alterità e la differenza La notte e il giorno: simboli, sogni, sussurri…. Sporco/pulito Puzzo/profumo Sudato/asciutto Qui si lavora in modo molto giocoso: giochi, narrazioni stimolo, immagini (per esempio da “La guerra dei bottoni”) e produzione di raccontini Giocare con il concetto di sporco e pulito avvicinandolo anche al concetto di concesso/proibito ma anche al lavoro ed al lavoro in miniera così come loro se lo rappresentano Testi sulla creazione: brani molto narrativi o narrazione di brani che non lo sono a sufficienza Cartoncini, fogli bianchi, lapis…tanta accortezza e una presenza non ingombrante (ovvero: i bambini si interrogano, vogliono sapere, ad esempio, cos’è il bianco di Crems ecc. ma a noi spetta il diritto di non dare spiegazioni, se non quelle “definizionali”, per non inficiare un loro corretto approccio con l’immaginario e la conseguente produzione creativa) Gli sporcelli di R. Dahl Il profumo di Patrik Suskind Immagini tratte da film come “La guerra dei bottoni”, “I 400 colpi” e/o altro Tab. 1: Nuclei tematici affrontati con ogni gruppo classe 34 QUADERNI DI ORIENTAMENTO ■ 27 Poesie o brevi testi, racconti, insomma tutto ciò che i bambini riescono a sviluppare a partire da un foglio bianco, tramite una semplice associazione di idee. Poesie, canzoni, racconti sul tema luce/buio Fotocopie di canzoni, fogli bianchi, lapis.. Preparazione produzione finale Cartelloni con le percezioni dei bambini rispetto a questi nuclei tematici Produzione di filastrocche. Preparazione per la produzione finale. Orientamento e scuola Come risulta evidente dalla colonna che enuclea gli obiettivi la centratura è stata nel rafforzamento e potenziamento di alcune competenze e disposizioni comportamentali dei bambini, in un’ottica di sviluppo delle proprie capacità e delle proprie visioni. Il diritto di eguale cittadinanza e dignità che hanno avuto la pluralità di linguaggi utilizzati ha consentito un empowerment rispettoso delle differenze, notevole, in effetti, è stata, da parte degli stessi bambini la sottolineatura di questa libertà di espressione. NOTE 1) Rappaport J., 1977, Community Psychology. Values, Research and Action., New York, Holt Rinehart & Winston. 2) La parola inglese “empowerment” può essere tradotta in italiano con “conferire poteri”, “mettere in grado di”. Deriva dal verbo “to empower” che include una duplice sfumatura di significato intendendo sia il processo operativo per raggiungere un certo risultato, sia il risultato stesso, cioè lo stato “empowered” del soggetto. 3) Zimmermann, M. A., 1999, Empowerment e partecipazione della comunità, in «Animazione Sociale», 2, 10-24. 4) Piccardo, 1995, Empowerment, strategie di sviluppo centrate sulla persona, Milano, Raffaello Cortina. 5) Per approfondire la metodologia dell’orientamento narrativo e la sua finalità di empowerment si vedano almeno i seguenti testi: Batini, Zaccaria (a cura di, 2000), Per un orientamento narrativo, Milano, Angeli; Batini, Zaccaria (a cura di 2002), Fo- to dal futuro. Orientamento narrativo, Arezzo, Zona; Batini, Del Sarto (2005), Narrazioni di narrazioni. Orientamento narrativo e vita quotidiana, Trento, Erickson. 6) Per il progetto “Ribolla 2004 – La miniera a memoria” si rinvia al sito www.ribolla2004.it. 7) Gli operatori che hanno lavorato con le classi delle scuole elementari sono stati: Simone Cini, Francesca Bellugi, Fabio Pietro Corti. Il progetto è stato ideato e diretto da chi scrive, la formazione degli operatori coinvolti è stata opera di Thélème. La ricerca sul ricchissimo materiale prodotto dai ragazzi è ancora in corso e ne sarà dato conto in un volume che vedrà la luce tra alcuni mesi nella collana “Comunità e persone” della Erickson. BIBLIOGRAFIA Batini F., Del Sarto G. (a cura di, 2005), Narrazioni di narrazioni. Orientamento narrativo e progetto di vita, Trento, Erickson. Batini F. (a cura di, 2005), Manuale per orientatori, Trento, Erickson. Batini F., Capecchi G., Forzoni A., (a cura di, 2005), Dopo il diploma. Informazioni per l’orientamento, Arezzo, ZU (Zona Università) Zona. Batini F., (2005), Trovare lavoro, Roma, Buffetti. Batini F., Zaccaria R. (a cura di), 2002, Foto dal futuro. Orientamento narrativo, Arezzo, Zona; Batini F., Zaccaria R. (a cura di, 2000), Per un orientamento narrativo, Milano, Angeli. Baumann Z., 1999, La società dell’incertezza, Il Mulino, Bologna. Di Fabio A., 1998, Psicologia dell’orientamento, Giunti, Firenze. ■27 QUADERNI DI Domenici D., Manuale dell’orientamento e della didattica modulare, Roma-Bari, Laterza, 1998; Giaconi N., Antoni N., Trovare il lavoro che piace, Rimini, Maggioli, 2001. Grimaldi A., Porcelli R. (a cura di), L’orientamento a scuola: quale ruolo per l’insegnante, Milano, Angeli ISFOL, 2003. GRIMALDI A., (a cura di), Profili professionali per l’orientamento: la proposta ISFOL, Angeli - ISFOL, 2003. Grimaldi A., (a cura di), Repertorio bibliografico nazionale sull’orientamento, Angeli - ISFOL, 2003. Groupe de réflexion sur l’education et la formation, 1997, Rapport- Accomplir l’Europe par l’éducation et la formation, CECA-CE-CEEA, Bruxelles-Luxembourg. Keiffer C. (1984). Citizen empowerment, Prevention in human service, 213, 3, 9-36. Piccardo C., 1995, Empowerment, strategie di sviluppo centrate sulla persona, Milano, Raffaello Cortina. Pombeni M. L., 1996, Orientamento scolastico e professionale, Il Mulino, Bologna. Pombeni M. L., 1996, Il colloquio di orientamento, La Nuova Italia Scientifica, Roma. Rappaport J., 1977, Community Psychology. Values, Research and Action., New York, Holt Rinehart & Winston. Zimmermann M. A., 1999, Empowerment e partecipazione della comunità, in «Animazione Sociale», 2, 10-24. Federico Batini Direttore di Pratika ORIENTAMENTO 35 CENTRA LA SCELTA! UN QUESTIONARIO DI AUTOVALUTAZIONE ON-LINE Giovanna Gulli, Stefania Pozzi S aper scegliere non è più una prerogativa di secondo livello, ma una competenza fondamentale per orientarsi in un futuro sempre più complesso. La flessibilità e la mobilità risultano essere abilità necessarie in una società così articolata LA METODOLOGIA DELLA RICERCA-AZIONE PREMESSA Il saper scegliere non può essere più confinato a pochi momenti cruciali (le transizioni da un ciclo di studi ad un altro), ma deve essere insegnato, studiato e sviluppato durante l’intero percorso di crescita dello studente. In una società e in un mondo del lavoro in cui cognizioni come la flessibilità e la mobilità risultano essere abilità necessarie, il saper scegliere non è più una prerogativa di secondo livello, ma diventa una competenza fondamentale per orientarsi in un futuro sempre più complesso e articolato. Dall’analisi del clima socio-culturale nel quale preadolescenti e adolescenti sono chiamati a vivere oggi, spesso entro contesti che non sempre sono in grado di accompagnare i processi di crescita e di costruzione della loro identità verso scelte di vita sufficientemente stabili, prende avvio la ricerca-intervento 36 Progettualità e orientamento alle scelte. L’obiettivo dell’indagine, attivata nel mese di novembre 2004 da Fondazione IARD 1, dal COSPES (il Centro di Orientamento Scolastico e professionale Salesiano) e dalle Direzioni Scolastiche Regionali di Abruzzo, Liguria, Lombardia, Piemonte, Puglia, Toscana, Umbria è stato quello di comprendere i bisogni orientativi degli studenti nelle differenti fasi di transizione e di scelta, per lo sviluppo di percorsi, strumenti e condizioni che attivino una progettualità consapevole. Il progetto si fonda sul contributo scientifico della metodologia della “ricerca-azione” (action-research), che intende attivare un processo di cambiamento attraverso il contributo partecipato dei soggetti. L’individuo, da “oggetto di studio”, diviene “soggetto protagonista” dell’analisi del proprio vissuto e, quindi, favorisce la creazione di nuove leve di motivazione all’agire. Sulla base degli approcci teoricometodologici presentati, il progetto prevede lo sviluppo di 3 fasi modulari interdipendenti. L’evoluzione di queste fasi modulari, attraverso una continua ricaduta sul campo dei risultati attesi, sviluppa un circolo virtuoso della “ricerca-intervento”, al fine dell’elaborazione di un modello orientativo/educativo che coinvolga l’intero ciclo di vita formativa. Fase 1 – quantitativa [2005] ➞ Questionario on-line “Centra la scelta!” QUADERNI DI ORIENTAMENTO ■ 27 Analisi del panorama giovanile in ordine al tema delle scelte e primo livello di intervento nel processo di autoconsapevolezza alla comprensione della propria identità. Fase 2 - qualitativa [2006] ➞ Focus group, counseling Definizione ed analisi delle strategie decisionali degli studenti, attraverso il confronto con il gruppo dei pari, per l’attivazione di modifiche degli stili cognitivi e dei comportamenti in ordine alle scelte. Fase 3 formativa [2007] ➞ Esperienze pilota Elaborazione di esperienze pilota, per la costruzione di percorsi orientativi e modelli di intervento nelle scuole. IL QUESTIONARIO DI AUTOVALUTAZIONE ON-LINE Punto centrale della prima fase della ricerca, conclusasi nel dicembre 2005 nelle 7 regioni di cui sopra, è rappresentato dallo strumento ideato, un questionario di autovalutazione on-line (www.questionarioorientamento.org)2, compilato da poco meno di 7.000 soggetti, che ha inteso articolarsi su un duplice livello. Da un lato il livello di indagine conoscitiva, attraverso il quale si è voluto effettuare una mappatura in tempo reale dei fabbisogni orientativi degli studenti, di età compresa tra i 13 e i 19 anni, per delineare il quadro dei vissuti e delle strategie decisionali degli studenti, in ordine alla costruzione di una progettualità consapevole. In particolare, l’obiettivo è stato quello di cogliere ed elaborare il vissuto degli studenti in relazione Orientamento e scuola Virgilio Tramontin, San Vito al Tagliamento, acquaforte. ai momenti di transizione nel loro percorso scolastico e formativo, al fine di analizzare i criteri adottati per l’elaborazione dei processi decisionali, dei fattori esogeni che influenzano il processo decisionale, delle aspettative circa il proprio futuro scolastico/professionale. Dall’altro lato il livello di intervento, attraverso il quale predisporre spazi e tempi di interazione e confronto per la messa in gioco del Sé. In questo senso, il questionario è stato strutturato come uno strumento di autovalutazione delle competenze orientative, grazie alla restituzione immediata e personalizzata dei risultati ottenuti, resa possibile dalla compilazione informatizzata dello strumento. Per attivare questo secondo livello di intervento, ci si è avvalsi della visualizzazione on-line di alcuni grafici di autovalutazione alle scelte, utili per avviare una riflessione, autonoma o guidata da un figura di riferimento per l’orientamento, sui propri processi di scelta e sui propri fabbisogni orientativi. Le indicazioni fornite non intendono delineare quale percorso intraprendere, non offrono risposte immediate e definitive ma intendono favorire nel soggetto il livello di autoconsapevolezza e autovalutazione dei propri punti forti e punti deboli, per aprire la strada alla comprensione della propria identità e potenziare così le proprie competenze orientative. Data la compilazione on-line, caratteristica del questionario Centra la scelta! è la sua natura “multi-livello”; nel corso della rilevazione sul campo (aprile-giugno 2005) lo strumento è stato reso fruibile a tre differenti tipologie di campione di utenti: • il campione di studenti statisticamente significativo della popolazione scolastica delle 7 regioni ■27 QUADERNI DI coinvolte nel partenariato (definito come “campione casuale” 3.000 unità), guidati nella compilazione dai rilevatori di Fondazione IARD; • gli studenti del territorio nazionale delle scuole non estratte (definito come “altre scuole” 3.251 unità), accompagnati da un docente/tutor; • i cosiddetti “net-surfer”, ossia i giovani interessati all’argomento proposto dal questionario (851 unità), che hanno “incontrato” il questionario nella navigazione in rete (definiti come “altri utenti”). LA STRUTTURA DEL QUESTIONARIO CENTRA LA SCELTA! Al termine della compilazione del questionario, ogni utente può vi- ORIENTAMENTO 37 CENTRA LA SCELTA! sualizzare il proprio profilo orientativo3, costruito attraverso un’articolata strutturazione ad albero che organizza in sottodimensioni, dimensioni e macro aree, le aree di competenza decisionale. Per costruire tale matrice connettiva è stato necessario sviluppare due livelli di pre-test, grazie ai quali è stato possibile creare indicatori e, attraverso l’analisi fattoriale degli item, mettere in evidenza l’esistenza di alcune sotto-dimensioni che riflettono la capacità di autovalutazione della sfera emozionale, cognitiva e comportamentale del soggetto. Tali sotto-dimensioni sono state successivamente accorpate in 10 dimensioni, che consentono l’autovalutazione della rappresentazione del Sé (soggetto del processo di orientamento), in funzione dell’insieme dei significati e dei valori, dei vissuti e delle abilità personali nei confronti della scelta; tale rappresentazione viene posta in relazione al sistema di rappresentazioni dell’esperienza formativa/professionale (oggetto del processo di orientamento) ed, infine, in relazione alla percezione dei vincoli e delle opportunità di scelta presenti nell’ambiente (contesto del processo di orientamento). Le dimensioni sono state a loro volta poste in relazione alle 3 macro aree su cui si fonda il questionario di autovalutazione (area delle Rappresentazioni, delle Risorse personali e dell’Atteggiamento di fronte alla scelta). L’ipotesi di ricerca che sta alla base della complessa architettura a “tre stadi”, così costruita, è fondata sul principio di attivazione del processo di autovalutazione delle competenze orientative (che av- 38 Percorso di rilevazione dei fabbisogni orientativi RAPPRESENTAZIONI Sé ideale • Futuro • Scuola • Lavoro RISORSE PERSONALI Sé reale • Problem solving • Metodo di studio • Motivazione allo studio ATTEGGIAMENTO DI FRONTE ALLA SCELTA COMPIUTA Sé passato • Soddisfazione • Modalità decisionale ATTEGGIAMENTO DI FRONTE ALLA SCELTA FUTURA Sé futuro • Modalità decisionale • Livello informativo acquisito Fig. 1: Rappresentazione della struttura teorica del questionario viene nel corso della compilazione dello strumento e nella lettura del risultato ottenuto), grazie al quale il soggetto compie un percorso che prende avvio dall’analisi delle proprie rappresentazioni, per passare attraverso l’autovalutazione delle proprie risorse personali e concludersi, infine, nell’analisi del proprio atteggiamento attivato nei confronti della scelta (compiuta e futura). IL BERSAGLIO Gli studenti che compilano on-line il questionario ottengono immediatamente un feedback circa la perce- QUADERNI DI ORIENTAMENTO ■ 27 zione che essi hanno di sé in relazione alle tematiche affrontate nelle aree di indagine considerate. Infatti, a livello grafico, terminata la compilazione, ai ragazzi compare un bersaglio diviso in quattro “spicchi” (le quattro macro aree) con le rispettive quattro frecce che, a seconda del punteggio ottenuto, cadono più o meno vicino al centro del bersaglio (corrispondente al punteggio più elevato). A livello visivo, quindi, lo studente non vedrà immediatamente il proprio punteggio ottenuto, ma solamente 4 frecce posizionate dentro all’area del bersaglio, collocate ad una distanza variabile dal centro. Orientamento e scuola Fig. 2: Es. di grafico di primo livello di restituzione dei valori ottenuti. Ogni quadrante del bersaglio rappresenta una delle quattro macroaree investigate. Cliccando sull’icona di riferimento è possibile accedere ai grafici di secondo livello Il bersaglio è circondato dai quattro fumetti della “mascotte” del questionario, rappresentata da un ragazzo/a che comunica all’utente, mediante il proprio atteggiamento corporeo e l’espressione del viso, il risultato più o meno soddisfacente all’interno di ciascuna macro area. Inoltre, le immagini sono accompagnate da una descrizione sintetica delle macro aree (Fig. 2). Un secondo livello di lettura delle informazioni è dato dai punteggi che il ragazzo ottiene nelle quattro competenze, che può visualizzare “cliccando” di volta in volta sulle mascotte (Fig. 3). La pagina che si apre mostra i punteggi percentuali ottenuti da chi ha compilato il questionario, distinti per dimensioni e sottodimensioni e arricchiti da un’indicazione neutra per la lettura e l’interpretazione degli stessi; processo questo che valorizza l’autonomia e la libertà di azione del giovane. Le percentuali relative alle dimensioni e sottodimensioni sono accompagnate sempre da una grafica divertente e dinamica, raffigurante la ma- scotte in posizione d’inizio gara o di corsa, che dà l’idea del movimento verso il raggiungimento dell’obiettivo, del miglioramento, della crescita, della strada da percorrere. Ma, in concreto, cosa accade quando lo studente visualizza i risultati al termine della compilazione del questionario? Il processo di autovalutazione, già attivato durante la compilazione, acquista maggiore spessore: la finalità delle informazioni di feedback, infatti, è quella di favorire la destrutturazione del campo cognitivo del giovane attraverso la destabilizzazione delle mappe cognitive e del sistema di rappresentazioni che egli ha consolidato in riferimento alla visione del Sé (in quanto decision maker), stimolando così il desiderio di approfondimento, di confronto sulle dimensioni critiche, o di difficile lettura. Da notare che, nel momento in cui i risultati relativi ad Fig. 3: Grafico di secondo livello. Ogni macro area offre all’utente la possibilità di visualizzare in maniera più specifica e personale il proprio risultato. L’atto motorio della mascotte (corsa, pattinata, salto, …) aiuta l’utente a rappresentare la strada percorsa e quella che ancora deve percorrere ■27 QUADERNI DI ORIENTAMENTO 39 CENTRA LA SCELTA! Virgilio Tramontin, Il muro di cinta, acquaforte. una qualsiasi macro area si presentano collocati ad un livello insoddisfacente, la mascotte invita il giovane ad approfondire i risultati attraverso un supporto orientativo. L’idea di utilizzare nel questionario una grafica giovane, accattivante e facilmente confrontabile, nasce anche dalla necessità di ottenere l’attenzione e la partecipazione del gruppo dei pari, sia all’interno che all’esterno del contesto scolastico istituzionalizzato. Inoltre, la metodologia del confronto di gruppo intende valorizzare il ruolo che la scuola 40 porta al processo orientativo, cogliendo il setting di apprendimento in relazione al gruppoclasse. Infatti, durante il periodo della socializzazione secondaria gli amici e i compagni di scuola, con i quali l’adolescente affronta il proprio percorso per giungere alla maturità, rappresentano i riferimenti con cui stringere un implicito patto di forte e reciproca credibilità. Il gruppo dei pari diviene un costante punto di riferimento e metro di valutazione per la strutturazione del Sé: un luogo dove condividere esperienze per QUADERNI DI ORIENTAMENTO ■ 27 tentare di definire la propria personalità e il proprio percorso di vita; uno spazio che rimane tendenzialmente precluso all’adulto e dove, a differenza del periodo infantile, idee, emozioni e comportamenti affettivi vengono condivisi. Sulla base della metodologia della peer education, dunque, le caratteristiche dei feedback (i grafici di autovalutazione), restituiti al termine della compilazione on-line, acquistano parte del loro significato in rapporto alle differenze percepite dal confronto con i risultati dei compagni e, Orientamento e scuola conseguentemente, alla connotazione di valore assegnata a tali differenze. ASPETTI INNOVATIVI DELLO STRUMENTO L’indagine ha reso evidente come la completa disponibilità dello strumento appaia una soluzione efficace per attivare un processo di auto-orientamento e, se percepito come necessario, sollecitare il contatto con la consulenza. Il panorama italiano dei sussidi on-line per l’orientamento, infatti, risulta ancora fortemente legato alla dimensione informativa; tuttavia, all’interno del processo autorientativo, l’utilizzo del computer non può più limitarsi al solo compito di raccolta, elaborazione o archiviazione di dati. Il “rapporto” di semplicità e immediatezza d’uso, che soprattutto le giovani generazioni ormai hanno con lo strumento informatico, può facilitare e attivare quel processo di self-empowerment che avviene prima di tutto dentro la persona. Potenzialmente il computer si configura, quindi, come un mezzo di comunicazione diretto e dalla notevole efficacia: • l’interfaccia ludica e accattivante nella presentazione dei grafici, avvicina lo strumento al mondo giovanile cui si rivolge; • nella fase della restituzione dei risultati, l’utente è “accompagnato” e si identifica in una mascotte (un ragazzino/a); • la compilazione si configura come una partita virtuale a freccette, al termine della quale lo studente visualizza immediatamente il punteggio ottenuto in base al posizionamento delle frecce, più o meno distante dal centro; • il livello e la complessità dei risultati ottenuti sono di gran lunga più personalizzati, immediati e accattivanti di quelli ottenibili da qualunque altro questionario cartaceo. Internet e la soluzione informatica, in sintesi, si configurano come ambienti facilitanti con cui i giovani hanno dimestichezza e facilità nell’utilizzo, che possono favorire positivamente l’avvicinamento al processo di orientamento. Ed è proprio allo scopo di porre l’accento sull’aspetto educativo dell’interazione con il web, che lo strumento è stato concepito in modo sostanzialmente differente dalla maggioranza dei questionari per l’orientamento presenti on-line, attuandosi attraverso elementi innovativi e sperimentali. Scopo finale del questionario Centra la scelta! non è quello di offrire soluzioni concrete e indicare percorsi formativi o professionali definiti, bensì l’apprendimento delle modalità personali adottate di fronte alla presa di decisione e l’acquisizione della consapevolezza dei propri punti deboli e punti di forza, al fine di attivare strategie che permettano di affrontare razionalmente l’incertezza. Mentre la maggioranza degli strumenti on-line agisce sulla “fase finale” del percorso orientativo, quella di carattere progettuale, di elaborazione di un piano d’azione definito e personalizzato, il questionario Centra la scelta! si focalizza sulla “fase iniziale” del processo. Lo strumento proposto agisce sulla cosiddetta fase di “ricostruzione” (dei vissuti, delle rappresentazioni, ecc.), al fine di attivare un processo di auto-esplorazione, per aumentare la ■27 QUADERNI DI consapevolezza dell’utente nei confronti del Sé, secondo una logica di prevenzione e di supporto ai processi di costruzione di un’identità sociale e professionale, fondata sul concetto chiave di educazione alla scelta. IL QUESTIONARIO: COME STRUMENTO DI PREVENZIONE DEL DISAGIO E DELLA DISPERSIONE SCOLASTICA Accanto all’utilizzo del questionario come strumento di ricerca, volto a fornire una fotografia del panorama giovanile in relazione alle singole macro-dimensioni di indagine, Centra la scelta! può fornire indicazioni utili sul processo auto-orientativo dei soggetti coinvolti. Si passa, in sostanza, dalla descrizione statistica di una serie di item, alla creazione di un profilo orientativo dell’utente. L’analisi dei punteggi medi, ottenuti dai soggetti nelle aree di analisi individuate (Area della Rappresentazioni, Area delle Risorse Personali, Area dell’Atteggiamento di fronte alla scelta) ha messo in luce valori che, per tutte le dimensioni, si attestano sopra la sufficienza. Tuttavia, all’interno del campione considerato sono stati individuati soggetti che hanno ottenuto punteggi insufficienti in una, due o addirittura in tutte le aree. Se si considera tale gruppo in termini statistici si tratta di un numero di individui minoritario rispetto alla complessità del campione. Al contrario, utilizzando un approccio psico- ORIENTAMENTO 41 CENTRA LA SCELTA! sociale (soprattutto legato alla ricerca-intervento) è possibile evidenziare situazioni a maggior rischio di disorientamento. In questo senso, dunque, il questionario può risultare utile a docenti e operatori del settore, ai fini di un intervento mirato alla prevenzione del disagio e della dispersione scolastica. L’elaborazione consapevole dell’interazione dinamica tra le dimensioni del Sé, da parte dell’adolescente, permette la creazione di spazi di conoscenza e di riflessione sui significati della propria esistenza, presupposto per la costruzione dell’identità personale e sociale. Dunque, individuare le situazioni in cui tale dinamica di comunicazione risulta “interrotta”, sembra utile al fine di comprendere e prevenire percorsi di disagio. Accolta questa premessa, i dati permettono di delineare categorie di “situazioni di disagio”, strutturate sulla base delle differenti modalità di correlazione tra le macro aree insufficienti, ovvero analizzando le differenti modalità di interazione delle varie dimensioni del Sé. Sono stati definiti “insoddisfatti” gli studenti che ottengono un punteggio al di sotto della sufficienza sia nell’area delle risorse personali che in quella della scelta compiuta. Il gruppo, infatti, giudica negativamente tanto la dimensione del Sé presente, ovvero l’autopercezione delle proprie caratteristiche, attitudini e abilità, quanto quella del Sé passato, ovvero l’esperienza vissuta in relazione alla strategie di scelta della scuola. Da sottolineare che questo gruppo rappresenta il 15,7% del campione preso in analisi, per un totale di oltre 500 ragazzi. 42 Per contro, gli studenti che ottengono un punteggio insufficiente, tanto nell’area delle risorse personali, quanto in quella della scelta futura, possono essere denominati come il gruppo dei “timorosi”, ovvero di coloro che mostrano una percezione di sfiducia in relazione al proprio senso di autostima/autoefficacia nelle strategie decisionali (Sé reale), accompagnata da una rappresentazione negativa di Sé in relazione alle competenze di strutturazione di un percorso formativo/professionale futuro (Sé futuro). Tale difficoltà ad investire in modo consapevole nel futuro rischia di portare tali studenti ad una situazione di centratura sul presente o, al contrario, ad incorrere nel rischio di comportamenti decisionali casuali e/o compiacenti, poco consapevoli. A questa categoria appartiene il 7,5% degli studenti delle scuole superiori. Coloro che uniscono con un punteggio insufficiente le tre macro aree di cui sopra (risorse personali, scelta passata e scelta futura) possono essere definiti come il gruppo degli studenti “spaventati”, ovvero coloro che attribuiscono un giudizio negativo alle dimensioni del Sé presente, passato e futuro. A questo gruppo appartiene il 4% degli studenti delle scuole superiori, ossia uno studente su 25, dato dunque, non trascurabile, soprattutto in funzione del grado di disagio manifestato. Infine, coloro che si collocano con tutte le 4 macro aree su un punteggio insufficiente, sono stati definiti “problematici”, in quanto ad alto rischio di disagio e di difficoltà nella strutturazione di un percorso progettuale. La tabella 1 evidenzia la stratificazione per grado di scuola e classe di età del campione dei ragazzi considerati, nella quale si registra un aumento degli “insoddisfatti” in relazione al crescere dell’età; nonché una diminuzione della categoria dei “timorosi” al crescere dell’età: tale tendenza è data dal miglioramento delle attribuzioni di valore in relazione all’area delle risorse personali. In sostanza, a titolo di semplificazione, si può affermare che, in un gruppo medio di 20 studenti, è possibile trovare 1 studente “spaventato”, 2 studenti “timorosi” e 3 studenti “insoddisfatti”: si tratta, quindi, di 6 studenti su 20 (pari al 30%) per i quali andrebbero pensati percorsi di orientamento mirati, a sup- Scuola media inferiore di primo grado Scuola media superiore Scuola media superiore Scuola media superiore Classi 3^ 1^ 3^ 5^ Insoddisfatti 10,8 12,5 19,2 23 Timorosi 9,5 7,5 4,3 Spaventati 4,1 4,1 3,6 Tab. 1: Percentuali di “insoddisfatti”, “timorosi” e “spaventati” per classe e grado scolastico QUADERNI DI ORIENTAMENTO ■ 27 Orientamento e scuola porto dello sviluppo delle risorse personali. IL PROFILO DEI SOGGETTI A RISCHIO DI DISAGIO Ma chi sono gli studenti a maggiore rischio di difficoltà? È possibile considerare adeguato il restante 70% del campione sopra evidenziato? Un indicatore del “grado di disagio” del soggetto può essere individuato nel numero delle aree considerate insufficienti. La figura 4 restituisce il dato suddiviso per ordine di scuola. Una prima lettura evidenzia una discreta quota di studenti che non ha “aree deficitarie”: quindi gli studenti della secondaria di primo grado, che hanno raggiunto un punteggio sufficiente, sono poco più di uno su due, mentre quelli della scuola superiore non raggiungono la maggioranza. I soggetti che conseguono 1 “area deficitaria” sono una percentuale molto simile sia per i preadolescenti che per gli adolescenti. Benché la presenza di una sola dimensione insufficiente possa apparire poco significativa, essa rimane comunque indicatore di un vissuto di disagio in una delle dimensioni del Sé coinvolte nel processo decisionale, rilevato per una quota complessiva di studenti che supera la maggioranza dell’intero campione (si tratta del 33,2% tra i preadolescenti e del 33,5% tra gli adolescenti). La quota di chi consegue 2 aree insufficienti, nonostante sia una per- centuale di rispondenti decisamente minore della precedente, rimane considerevole, con una differenza significativa tra preadolescenti (10,5%) e adolescenti (19,8%). Infine, sembra particolarmente interessante analizzare la quota dei soggetti che ha conseguito 3 o 4 aree insufficienti4; benché il numero sia contenuto, si tratta, comunque, per le scuole superiori, di oltre il 5% del campione. Al fine di offrire agli operatori del settore un profilo, il più possibile analitico, dei soggetti che appaiono maggiormente in difficoltà, è stata correlata la quota di coloro che hanno conseguito 3 o 4 aree insufficienti con alcune variabili socio-demografiche. Una prima analisi di genere, in linea con quanto altrove sottolineato, evidenzia come siano più facilmente i maschi ad esprimere Fig. 4: Grafico dei giovani distinti per numero di aree deficitarie (val %) ■27 QUADERNI DI ORIENTAMENTO 43 CENTRA LA SCELTA! Virgilio Tramontin, Udine, piazza Libertà, acquaforte. un atteggiamento disorientato, rispetto alle coetanee. Inoltre, gli studenti delle scuole superiori risultano essere percentualmente più numerosi nelle aree deficitarie 5, rispetto agli studenti della secondaria di primo grado. Il dato trova riscontro nella ricerca promossa dal Cospes sulla formazione dell’identità negli adolescenti, in cui si sottolinea la tendenza ad una valutazione di sé più positiva e idealizzante da parte degli studenti più giovani (Tònolo, De Pieri, 1995). Per quanto riguarda la tipologia di scuola, negli istituti professionali si evidenziano percentualmente più soggetti (27,3%) che hanno ottenuto punteggi insufficienti in almeno 2 aree. Seguono gli studenti degli istituti tecnici (25,9%) e, per ultimi, si collocano gli studenti del liceo (23% dei casi). Infine, per quanto riguarda l’età, 44 nelle classi III e V delle scuole superiori, più del 26% dei ragazzi ha un “deficit” in almeno 2 aree; inferiore risulta invece la percentuale delle classi I (23%). I dati evidenziano come le situazioni di transizione legate al passaggio da un percorso formativo ad un altro, o dall’esperienza formativa al mondo del lavoro, risultino essere quelle dove più evidente è il fabbisogno di orientamento, in quanto vissute come momento di cambiamento che suscita particolare ansia e inquietudine (soprattutto per gli studenti maschi). Si conferma, dunque, come un processo di orientamento, in linea con le fasi dello sviluppo evolutivo degli studenti, costituisca presupposto per permettere loro di affrontare la transizione (in particolare al termine della scuola superiore), come un “evento significativo” positivo. QUADERNI DI ORIENTAMENTO ■ 27 NOTE 1) Fondazione IARD, ente no-profit che opera nell’ambito della ricerca psico-sociale, con un’attenzione specifica rivolta al panorama giovanile. 2) Il questionario è attualmente compilabile gratuitamente dagli studenti sul sito indicato. E dal sito del servizio orientamento della regione fvg: www.regione.fvg/planetgiovani. 3) È bene specificare che il termine “profilo” intende l’insieme delle dimensioni di natura psico-sociale che lo strumento ha permesso di leggere e non fa riferimento ad un’analisi di tipo clinico/diagnostico. 4) La quota dei soggetti che ha conseguito 4 aree insufficienti è troppo esigua per poter effettuare analisi specifiche. Pertanto tale quota è stata considerata unitamente alla percentuale di soggetti che risultano deficitari in 3 aree. 5) Valore definito solo su 3 aree deficitarie. Orientamento e scuola BIBLIOGRAFIA Amerio P., Fondamenti teorici di psicologia sociale, Il Mulino, Bologna, 1995. 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Naturalmente, bisogna anche sottolineare il sommovimento che ha coinvolto in ogni ordine e grado il mondo della scuola ed il radicale cambiamento della concezione stessa di 46 lavoro, che sta rivoluzionando il mercato (Sgalambro, 2000). Come fa, lo studente, a scegliere tra una molteplicità di proposte? Come fa a discriminare tra la vera motivazione e gli altri aspetti di contorno (corsi suggestivi, fama dell’università, presenza di un centro sportivo organizzato, ecc.)? Quale peso ha la famiglia, nella sua valutazione? E la scuola? E il mondo del lavoro? In altre parole, come si orienta lo studente? L’orientamento implica un insieme di eventi e di tappe rispetto a compiti da affrontare. La psicologia, col termine compito di sviluppo, intende una situazione straordinaria il cui superamento positivo porta l’individuo ad uno stato di benessere, mentre un fallimento lo blocca nel superamento di compiti futuri. Si parla di compiti di sviluppo connessi ad un processo di scelta (es. la scelta della scuola), all’impatto organizzativo (es. entrata in una nuova realtà formativa) e alla perdita di ruolo (es. per abbandono scolastico o licenziamento). Rispetto alla natura della transizione, è interessante il lavoro della Schlossberg (1995); l’Autrice parla di “eventi principali attesi e normativi” come eventi che la persona sa accadranno (es. la transizione post-diploma), “eventi non prevedibili, imprevisti e non pianificati” (come un licenziamento), “assenza dell’evento” come la concretizzazione di un evento che ci si aspetta (es. promozione) e “eventi con preoccupazione persistente”, ossia eventi che perdurano nel tempo mutando molto lentamente. Con l’evoluzione delle teorie dell’orientamento, viene a perdere significato la distinzione tra orientamento scolastico, inteso come processo a sostegno degli studenti QUADERNI DI ORIENTAMENTO ■ 27 al momento di scegliere il percorso di studi e orientamento professionale, come attività di sostegno nella ricerca di un lavoro che tenga conto delle aspirazioni e competenze individuali e delle richieste del mercato. Poiché l’orientamento diviene un processo formativo, è inevitabile la fusione tra scuola e lavoro, per cui la prima deve prevedere anche incontri col mondo del lavoro (es. apprendistato e tirocini formativi e di orientamento; art.16, art.18 L. n. 196/1997) e il MdL deve essere supportato da momenti di formazione (Mancinelli, 1999; Di Fabio, 1998). Aspetto emblematico è che in Italia, l’orientamento scolastico è di pertinenza del Ministero dell’Istruzione e quello professionale del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali (Di Fabio, 1998). Oggi il termine “orientamento” è utilizzato in due accezioni principali: una indica l’azione di orientarsi, in altre parole il processo socio-psicologico per il superamento di una transizione; l’altra indica il vero e proprio intervento professionale realizzato da esperti per aiutare l’individuo a superare il preciso momento in modo positivo (Pombeni, 1990). Entrando nel merito dell’attuale realtà dell’orientamento, si individuano modelli e approcci molto diversi tra loro. Tra questi si intravedono però due linee guida: da un lato la concezione dell’orientamento come processo continuo, non più riferibile solo ad una tappa ma a tutta la vita; dall’altro il desiderio di aiutare le persone a compiere le loro scelte in modo corretto. Così, se un approccio, il modello psicosociale, mette in luce lo stretto legame che intercorre tra i processi psicologici e i processi sociali, Orientamento e scuola Virgilio Tramontin, Alberi spogli, acquaforte. sottolineando il concetto di “transizione psicosociale”, intesa come quell’evento stressante che, in quanto tale, determina disorientamento e disorganizzazione provocate dalla novità stessa della situazione (Pombeni, 1996), l’altro, il modello sociocognitivo, rileva che la differenza di percorso dipende da processi diversi di scelta, determinati dall’autovalutazione del sé (Pombeni, 1996); questo approccio si concentra soprattutto sul costrutto di autoefficacia, intesa come la percezione di abilità propria che il soggetto stesso fa, rispetto al possibile suc- cesso conseguibile in un compito (Bandura, 1986). LA RACCOLTA DATI La ricerca sperimentale aveva come scopo principale quello di verificare due principali ipotesi: la prima, relativa al ruolo delle risorse personali, voleva dimostrare che i ragazzi che hanno sviluppato una migliore percezione di loro stessi continuano negli studi, mentre gli altri si orientano verso il lavoro; la seconda, riguardante invece l’influenza del percorso di tipo scolastico voleva ■27 QUADERNI DI verificare se gli studi di tipo liceale orientano verso una prosecuzione degli studi, mentre percorsi di tipo tecnico e/o professionale verso il mercato del lavoro. La raccolta dati è stata condotta in Friuli Venezia Giulia, nello specifico in alcuni istituti superiori delle province di Udine e Gorizia. Si è proceduto alla somministrazione di un questionario semistrutturato a domande chiuse, con risposta su scala Likert a 5 punti. Il questionario, precedentemente validato, è stato compilato in maniera collettiva dagli studenti all’interno delle diverse classi (a gruppi di 12- 25 studenti), duran- ORIENTAMENTO 47 TRANSIZIONE POST-DIPLOMA te il consueto orario di lezione; nella maggior parte dei casi, il professore rimaneva all’interno dell’aula. Il questionario, nelle due versioni in cui era stato predisposto, andava ad indagare quattro principali ambiti, quali: aspetti socio-anagrafici, esperienza formativa e lavorativa, risorse applicate nella vita quotidiana e atteggiamenti verso il futuro. Gli item che compongono il questionario, in entrambe le versioni, possono essere raggruppati in tre aree: - Area competenze orientative di base. Sono competenze generali, tramite le quali ciascuno si crea una cultura e un metodo orientativo. La scuola e la famiglia sono le principali agenzie formative di tipo spontaneo in cui tali competenze vengono sviluppate; queste costituiscono un patrimonio implicito e perciò sono di difficile valutazione. Tali competenze, inoltre, sono necessarie per lo sviluppo di competenze orientative specifiche. In quest’area si ritrovano le risorse che il soggetto impiega al momento di superare una situazione difficile e le strategie messe in pratica; queste competenze sono state indagate mediante l’utilizzo delle scale ‘sostegno sociale’, ‘coping attivo’, ‘diagnosticare’. - Area competenze orientative di monitoraggio. Sono competenze specifiche relative all’esperienza formativa e lavorativa. Riguardano la capacità di “tenere sotto controllo” la situazione nel suo verificarsi con l’intento di prevenire gli ostacoli e i fallimenti. Queste competenze sono state analizzate sia nella rilettura della storia personale e formativa, sia nel modo in cui il soggetto si pone rispetto al futuro, mettendo a fuoco le dif- 48 ficoltà e le speranze che egli esprime. Si sono utilizzate scale diverse per le due versioni del questionario; versione F/F: scala ‘organizzazione pianificata’, ‘autocritica costruttiva’ e ‘ricerca di feedback’; versione F/L: scala ‘ricerca attiva del lavoro’. - Area competenze orientative di sviluppo. Così come quelle di monitoraggio, le competenze di sviluppo sono competenze orientative specifiche, relative all’esperienza personale e lavorativa; riguardano la capacità del soggetto di progettare l’evoluzione della propria esperienza rimanendo sempre fedeli ai propri valori, interessi e motivazioni. Queste competenze emergono sia dall’analisi della storia lavorativa individuale sia dal modo in cui il soggetto immagina il suo futuro. Gli item di quest’area indagano da un lato il peso che il soggetto attribuisce al lavoro e dall’altro gli atteggiamenti che egli esprime verso il futuro. Queste competenze sono state rilevate mediante l’utilizzo di scale quali ‘aspetti importanti del lavoro’, ‘rapporto famiglia/lavoro/tempo libero’ e ‘centralità assoluta del lavoro’. Inoltre, si è fatto ricorso ad altri tipi di scale per indagare l’atteggiamento verso il futuro (scale ‘indecisione e conflitto’, ‘rappresentazione formazione’, ‘autoefficacia’ e ‘ansia della prestazione’). Il campione della ricerca, eterogeneo per genere (maschi 55.8% e femmine 44.2% - cfr.gr.1), conta 310 studenti dell’ultimo anno delle scuole superiori, divisi, come rappresentato nel grafico che segue (cfr. gr.2), in tre indirizzi di studio: liceale (44.5%), tecnico (11.3%) e professionale (44.2%). Si è somministrato, sulla base di un processo di autovalutazione operato da ogni ragazzo, il medesimo questionario in due versioni differenti in relazione al tipo di transizione: versione F/F per coloro che erano orientati a proseguire gli studi; versione F/L per coloro che erano orientati a inserirsi nel mondo del lavoro; questo allo scopo di vedere se vi fosse una differenza di approccio e di risultato, rispetto a variabili quali ‘tipo di transizione’ Grafico 1: Distribuzione del campione in base al genere QUADERNI DI ORIENTAMENTO ■ 27 Orientamento e scuola triamo nel merito dei risultati che, per fornire una certa omogeneità con i passaggi precedenti, vengono presentati sulla base della ripartizione per aree di competenze orientative (di base, di monitoraggio e di sviluppo), dove, per ciascuna area, si considerano tre variabili: ‘percezione delle risorse personali’ (rispetto ad un orientamento scuola/scuola o scuola/lavoro), ‘percorso scolastico’ (per i tre sottogruppi: licei, istituti tecnici istituti professionali), ‘genere’ (maschio, femmina). AREA COMPETENZE ORIENTATIVE DI BASE Grafico 2: Distribuzione del campione in base al percorso scolastico (Formazione/Formazione; Formazione/Lavoro), ‘percorso scolastico’ (Licei/Professionali/Tecnici) e ‘genere’ (Maschio/Femmina). Come rappresentato graficamente in figura (cfr. gr. 3), il campione era maggiormente orientato a proseguire gli studi piuttosto che a inserirsi nel mercato del lavoro (transizione F/F 62,2%; transizione F/L 37,8%,). I dati ottenuti sono stati elaborati tramite il pacchetto statistico SPSS; per i confronti a due si è utilizzato il T-Test per campioni indipendenti, mentre si è ricorsi all’Anova nel confronto tra tipi di scuole (item ‘percorso scolastico’). famiglia, gli amici, gli insegnanti, il percorso scolastico superiore? Partendo dalla concezione secondo cui la scelta al termine degli studi superiori è un “evento principale atteso e normativo” che ha in sé premesse e conseguenze molto rilevanti sia per i ragazzi che sono orientati a continuare gli studi, sia per coloro che pensano di cercare un lavoro (Schlossberg, 1995), en- Le conclusioni cui si è giunti, dimostrano che il campione, indistintamente dalle variabili esaminate, possiede quelle competenze di base, come capacità strategiche e comportamentali, da ‘giocare’ al momento della scelta vera e propria. Con riferimento alla variabile F/F e F/L assume rilevanza il fatto che tutti i punteggi ottenuti hanno un valore elevato ma non sono significativi; pertanto le differenze tra i RISULTATI CONSEGUITI Quale ruolo hanno le risorse personali nel processo di transizione? Quali strategie utilizzano i ragazzi per decidere che strada intraprendere al termine degli studi superiori? Quale valore assume la percezione del sé? Quanta influenza hanno la Grafico 3: Distribuzione del campione in base al tipo di transizione ■27 QUADERNI DI ORIENTAMENTO 49 TRANSIZIONE POST-DIPLOMA Virgilio Tramontin, dal ciclo “Ortolani di laguna”, acquaforte. due gruppi non dipendono dalle diverse percezioni che i soggetti esprimono ma da altri fattori, di natura esterna, non indagati nel contesto in questione; questo dato appare in contraddizione con la logica comune, che farebbe presupporre l’impiego di risorse ma soprattutto 50 di strategie diversificate per spostarsi nel mondo del lavoro, rispetto a quello scolastico. Allo stesso modo, anche per la variabile ‘percorso di studi’, i punteggi non risultano significativi in merito al tipo di strategie e di risorse messe in atto; anche in questo caso, QUADERNI DI ORIENTAMENTO ■ 27 come nel precedente, ciò risulta alquanto strano, perché si presuppone che siano necessarie risorse e strategie diverse per far fronte ai compiti propri di ciascun istituto e che tale diversità si apprenda proprio a scuola; i dati, però, dimostrano che così non è. Questo dato, a Orientamento e scuola prima vista contraddittorio rispetto alla logica comune, potrebbe avere una doppia valenza; positiva, perché starebbe ad indicare che le scuole offrono le stesse opportunità di fronte ai momenti di transizione e perciò non vi sarebbero più delle differenze significative tra i singoli percorsi; negativa, perché ciò eliminerebbe la specificità dei singoli istituti. AREA COMPETENZE ORIENTATIVE DI MONITORAGGIO Con riferimento alle competenze orientative di monitoraggio, il risultato più interessante è emerso relativamente alla variabile ‘percorso di studi’, nello specifico per la dimensione ‘ricerca attiva di informazioni sul lavoro’ e ‘ricerca attiva del lavoro’. Infatti, l’analisi dei punteggi ha evidenziato un valore decisamene alto dei liceali (media = 3.70 e DS=0.71) rispetto ai professionali (media = 3.10 e DS 0.76) e ai tecnici (media = 2.97 e DS=1.03). I punteggi ottenuti in questa dimensione si pongono in opposizione con quanto rilevato nella dimensione ‘Ricerca attiva del lavoro’ , in cui i liceali hanno indicato punteggi molto bassi (liceali, media=1.60 e DS 0.632; professionali, media=2.33 e DS 0.88; tecnici, media = 2.30 e DS 0.89). L’interpretazione che ne segue è che gli studenti degli istituti liceali indagati si impegnano maggiormente per trovare informazioni circa il futuro, anche in virtù della ‘curiosità’ che le scuole liceali propongono, ma non si tratta di informazioni specifiche al lavoro che invece, inteso come attività a tempo indeterminato, viene percepito come qualcosa di lontano, a differenza di quanto accade invece per i ragazzi iscritti a istituti tecnici e professionali. Rispetto alla variabile ‘genere’ risulta significativa la dimensione ‘organizzazione pianificata’ che evidenzia una maggiore capacità organizzativa dei diversi compiti da svolgere da parte delle ragazze rispetto ai compagni. AREA COMPETENZE ORIENTATIVE DI SVILUPPO Relativamente alle competenze di sviluppo, ossia le modalità di progettazione del proprio futuro formativo e lavorativo, emerge che la formazione e l’istruzione sono ritenute molto importanti perché, portando ad un benessere personale e sociale, sono tappe essenziali nel cammino di maturazione. Questo spiegherebbe perché, contro le nostre attese, una modesta percentuale di studenti delle scuole professionali è orientata ad un percorso formativo, così come tutti i liceali, piuttosto che a ricercare un lavoro. Allo stesso tempo, questo aspetto è difficilmente spiegabile, se si considera il peso che lo stesso campione attribuisce al lavoro come attività generale. Per ogni variabile considerata, infatti, la dimensione importanza del lavoro ottiene punteggi molto elevati, risultando significativa rispetto alla dimensione ‘percorso scolastico’. Ciò, però, non induce i soggetti a cercare subito un’occupazione (così come si legge nei punteggi bassi in “Ricerca attiva del lavoro”). Si potrebbe pensare che, a livello teorico, il lavoro venga visto come fondante la vita di un individuo, ma che ancora non sia il momento di mettersi in pratica o si aspiri ad un lavoro di me- ■27 QUADERNI DI dio-alto livello, ottenibile solo con una laurea. Questo è un dato confortante, se si considera la situazione attuale di crisi del mercato del lavoro e delle difficoltà di inserimento dei giovani, laureati o diplomati. Ancora sul lavoro, gli aspetti specifici del lavoro sono tutti considerati importanti, senza presentare delle differenze significative. Il punteggio maggiore che il campione F/L attribuisce alle caratteristiche estrinseche e familiari del lavoro può dipendere dalle esperienze passate che costoro hanno svolto; infatti, solo l’1,7% di questo campione non ha mai lavorato contro il 32,1% del campione F/F. Sempre con riferimento al lavoro e nello specifico agli aspetti importanti del lavoro, oltre a denunciare che i punteggi si presentano nuovamente piuttosto elevati, bisogna sottolineare una differenza tra i tre campioni rispetto alle Caratteristiche familiari e alla Centralità assoluta del lavoro. Nel primo caso, sono i liceali a considerare più importanti nel lavoro gli aspetti familiari, forse per il fatto che la popolazione liceale è costituita in maggioranza da ragazze che prevedono di crearsi una famiglia. Nel secondo caso, invece, sono tanto gli studenti delle scuole tecniche che quelli delle professionali a presentare punteggi più elevati in dipendenza anche dall’esperienza di stage attuata da questi istituti. I dati che si discostano dalla letteratura riguardano il lavoro e la dimensione dell’autoefficacia. Rispetto al primo (‘importanza del lavoro’), la letteratura esaminata distingue tra aspetti intrinseci ed estrinseci, sottolineando il valore intrinseco del lavoro, vale a dire la realiz- ORIENTAMENTO 51 TRANSIZIONE POST-DIPLOMA zazione personale e professionale; il campione analizzato, invece, assegna sempre maggior importanza agli aspetti estrinseci, ossia la retribuzione, gli orari fissi e la sicurezza del posto. Per quanto riguarda l’autoefficacia, invece, il fatto che non risulti significativa in nessuna delle variabili considerate, quando invece le informazioni che si trovano in letteratura sottolineano una forte differenza fra maschi e femmine, a favore dei primi (Hackett, Betz, 1995), può essere interpretato come segnale positivo. Se, infatti, tale differenza viene attribuita a processi di socializzazione che tengono conto del genere, la mancanza di differenza può essere la dimostrazione che è avvenuto un cambiamento di rotta e di mentalità. Analizzando complessivamente i dati, risulta che né la transizione F/F, né quella F/L vengono vissute come eventi traumatici; questo potrebbe dipendere del fatto che oggi c’è un graduale avvicinamento (anche grazie ai saloni per l’orientamento, promossi dalle università) alla scelta; in generale, dunque, i ragazzi del campione esaminato si percepiscono preparati, anche se nell’immediato individuano ancora delle difficoltà nella realizzazione delle loro idee. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE Il quadro complessivo, a cui la ricerca ha portato, illustra una situazione positiva e piuttosto incoraggiante. Il campione, sottoposto ad analisi, infatti, dimostra di essere pronto ad affrontare la transizione che lo attende, consapevole delle difficoltà che potrebbe in- 52 contrare, ma forte del possesso delle modalità necessarie a superare tali barriere. Tutto il campione si ritiene in possesso delle strategie necessarie ad analizzare il compito orientativo e a concluderlo con successo. Mantenendo fede, ancora una volta, alla distinzione delle competenze orientative in tre distinte macro aree (Pombeni, 2001), si delinea un quadro generale di quanto espresso, in precedenza, solo in separate sedi. Così, relativamente alle competenze orientative di base, sulla scorta dell’approccio proattivo, si può considerare il campione come investito dal ruolo di primo attore nel processo di transizione. Cercando di indagarne le cause e notando che non vi sono differenze significative rispetto alle dimensioni indagate, si ritiene innanzitutto fondamentale il ruolo della scuola. Sembrerebbe, cioè, che la scuola sia riuscita nel suo intento educativo fornendo aiuto e sostegno ai suoi allievi, conducendoli ad una progressiva maturazione personale e culturale (Censis, 1999). Accanto al sostegno offerto dalla scuola, si deve considerare quello della famiglia; in primo luogo perché essa è il principale formatore nella costruzione del sistema individuale di valori che stanno alla base della percezione personale; in secondo luogo, perché essa stessa è la base su cui sorgono le fondamenta del background individuale. Inoltre, la famiglia è ritenuta fonte di sostegno a cui i ragazzi si affidano e da cui traggono beneficio; invece, la classe e il gruppo dei pari in generale sono gli ambiti in cui il sostegno sociale si realizza. Queste conclusioni confermano quanto presente in letteratura dove, infatti, si sottolinea il ruolo di primo piano QUADERNI DI ORIENTAMENTO ■ 27 della famiglia, della scuola e degli amici nell’orientamento dei ragazzi (Cavalli, Facchini, 2001; Soresi, 2001; Pombeni, 1996). Soffermandoci più specificatamente sulle strategie di coping e facendo esplicito riferimento alla distinzione proposta dalla Frydenberg (2001), si può notare che le principali strategie a cui il campione fa riferimento, sono di tipo proattivo e di tipo funzionale/disfunzionale. Alle prime, che consistono nell’anticipazione dei problemi e della loro risoluzione, in modo da essere preparati al momento in cui si presentano davvero, si pensa per la presenza di punteggi elevati nelle dimensioni del Coping attivo, Ricerca feedback, Diagnosticare. Le seconde, di tipo funzionale prevedono l’analisi di più alternative, mentre i punteggi bassi in Ansia per la prestazione fanno presupporre l’uso di quelle di tipo disfunzionale, che sono deputate al controllo e alla gestione dei sentimenti. In generale, dall’analisi dei questionari sembra che il campione utilizzi sia un coping cognitivo come raccolta e analisi di informazioni, sia un coping comportamentale relativo ai processi di risoluzione del problema, sia un coping affettivo come gestione dei sentimenti collegati (Zani, Cicognani, 1999). Dai dati relativi al genere, infine, viene una conferma agli studi di Zani, Cicognani (1999); queste Autrici hanno trovato che i maschi tendono a minimizzare gli eventi, mentre le ragazze si dimostrano più attente ad un’analisi dettagliata della situazione e quindi più disponibili a ricercare ed offrire un aiuto e una collaborazione. Anche per lo sviluppo delle competenze orientative di monitoraggio, si ritiene fon- Orientamento e scuola Virgilio Tramontin, Campo d’avena a sera, acquaforte. damentale il ruolo della famiglia e della scuola. La prima nell’impianto generale e la seconda per il supporto che offre. Osservando i dati che si collocano attorno alla media, quello che si vede è una preoccupazione positiva del futuro, intesa come interessamento alle opportunità e alle possibili strade in cui incamminarsi. Da questi risultati, deriva una conferma agli studi che presuppongono la presenza di sottodimensioni del sé, nella sicurezza personale, nell’apertura e flessibilità e nel controllo emotivo (Pombeni, Guglielmi, 2000). Il campione si percepisce in modo positivo, cioè sa controllare le proprie emozioni, affronta i problemi con sicurezza, cercando di imparare dagli errori commessi. Tutto ciò fa da traino alla scoperta di nuove alternative e alla progettazione del proprio futuro. Infine, le competenze orientative di sviluppo, ossia quelle competenze necessarie alla costruzione di un progetto in linea con i valori e gli interessi individuali per tutte le variabili considerate. In quest’area, ciò che balza subito all’occhio è la ripetuta significatività delle stesse dimensioni, ossia di Indecisione, Conflitto e Sviluppo psicosociale. Per tutte le variabili considerate, i dati si sostengono a vicenda, poiché a punteggi bassi in Indecisio- ■27 QUADERNI DI ne e Conflitto corrispondono punteggi alti in Sviluppo psicosociale; il fatto che si proceda in questa direzione è un ulteriore conferma della presenza di “quell’insieme di caratteristiche, abilità, atteggiamenti e motivazioni personali necessari a gestire un compito di sviluppo che sono definite competenze orientative” (Pombeni, 2000). Leggendo il confronto tra tipi di scuola, la bassa indecisione può essere interpretata come conseguenza della preiscrizione all’università (L.n.9/1999, art.1); così come è stata anticipata la ricerca di informazioni, anche gli interessi e le motivazioni sono state focaliz- ORIENTAMENTO 53 TRANSIZIONE POST-DIPLOMA zate ed ora, a pochi mesi dal termine della scuola, sembra che gli intervistati sappiano sicuramente se continuare gli studi o cercare un lavoro. Lo stesso discorso può valere per la dimensione Conflitto. La difficoltà di mettere in atto propri progetti, scaturiti proprio dall’analisi degli interessi, e la presenza di ostacoli ritenuti difficilmente eliminabili nel breve periodo, sono comunque segnali di un campione attivo, che cerca di esprimere il proprio progetto di vita. Lo stesso vale per l’Autoefficacia. Comunque, la presenza di punteggi alti in Autoefficacia e bassi in Indecisione e Conflitto era già emersa in altre ricerche (Trentin, Monari, Nota, 2000) e quindi questa viene ad essere una conferma a quei dati. Così come in precedenza (Soresi, 2000), se l’ Autoefficacia viene concepita come strategia di fronteggiamento, ne viene ribadito il suo ruolo nel processo di decision making. Analizzando i campioni per identità di genere, il valore non significativo della dimensione Autoefficacia va controcorrente rispetto ai dati presenti in letteratura; infatti, un’analisi delle ricerche precedenti (Hackett, Betz, 1995) mostra l’accordo sul ritenere i maschi più dotati di autoefficacia, tanto che ciò sarebbe alla base delle loro occupazioni professionali di primo piano; di conseguenza, il fatto che le donne occupino posizioni meno importanti e di secondo livello dipenderebbe proprio dal basso livello di autoefficacia. Il disaccordo dei risultati emersi dalla presente ricerca, potrebbe essere una smentita a queste considerazioni, anche in virtù della posizione che le ragazze assumono rispetto il lavoro. Viene meno, quindi, l’idea che il processo di scelta dipenda direttamente dall’identità di 54 genere, così come invece si ipotizzava. Entrando maggiormente nell’ambito lavorativo, le considerazioni che il campione ha offerto sono davvero inaspettate. Il primo punto rilevante è la non significatività del lavoro in nessuna variabile; anzi, emerge un’elevata importanza e una visione forse “idealistica” del lavoro stesso. Non si vuole, però, pensare che questa idea positiva venga meno con le prime esperienze lavorative, così come espresso in altri studi (Quaderni Isfol, 1992). Interessante è poi il fatto che le femmine considerino il lavoro alla stregua dei maschi; anzi, queste pongono una maggior attenzione dei loro compagni verso le caratteristiche familiari del lavoro, il che potrebbe dipendere da influenze di tipo materno. Attualmente, infatti, nella maggior parte dei casi, le donne hanno un’occupazione esterna e le figlie, cresciute vedendo la madre in grado di occuparsi tanto della casa quanto del lavoro, ne hanno fatto un modello da imitare. Inoltre, in letteratura (Cavalli, Facchini, 2001) si trova che la madre che lavora, esercita una grande influenza sui figli e soprattutto sulle figlie. Infine, osservando le percentuali di coloro che si trovano in una situazione di transizione F/F (62,2%) rispetto a F/L (37,7%) si deducono due principali conseguenze. La prima riguarda l’effettiva liberalizzazione degli accessi universitari (Fisher, 2000); infatti il 35% degli studenti provenienti da istituti professionali, sulla totalità del campione esaminato, si iscrive all’università. Il dato relativo agli studenti del licei sfiora il 100%. La maggior parte dei ragazzi proveniente dalle scuole tecniche è orientata alla ricerca di un lavoro piuttosto che ad QUADERNI DI ORIENTAMENTO ■ 27 una cammino universitario; questo dipende dal fatto che gli istituti tecnici esaminati sono relativi all’area industriale e commerciale e quindi offrono, ai propri diplomati, la possibilità immediata di spendersi nel lavoro (Pavoni, Sironi, Tabacchi, 1999). La seconda viene interpretata come un segnale dalla doppia valenza; esplicita se si considera il valore che viene assegnato all’istruzione e alla convinzione delle possibilità e delle conoscenze che, un percorso universitario prima e una laurea poi, possono offrire; implicita come sintomo di benessere economico, necessario per iniziare e supportare tanto il percorso scolastico in sé quanto la permanenza in casa del figlio, oltre la maggiore età e il diploma. È, questa, un’ulteriore conferma ai dati presenti in letteratura, secondo cui i figli rimangono all’interno del nucleo familiare, su cui gravano, fino ai 30 anni; la conseguenza ultima, ma inevitabile, è l’allungamento della condizione giovanile (Buzzi, Cavalli, De Lillo, 1996). BIBLIOGRAFIA Ajello A. M., Meghnagi S., Mastracci C. (2000). Orientare dentro e fuori la scuola, La Nuova Italia, Firenze. Arcuri L. (1995). Le dimensioni sociali del sé in Arcuri, L. (a cura di) Manuale di psicologia sociale, Il Mulino, Bologna. 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Dal questionario emerge chiaramente che i ragazzi dell’ultimo anno della scuola secondaria, sono fondamentalmente molto incerti sul loro futuro PREMESSA Una delle scelte più significative che interessano i giovani è quella che concerne l’individuazione dei percorsi più congeniali alle proprie potenzialità ed ai propri interessi. In sostanza, devono individuare e ordinare gli elementi più significativi della loro storia personale per prefigurare il proprio futuro. Quali strategie dovranno allestire per raggiungere l’obiettivo che si è andato via via delinenando? Ma, soprattutto, c’è già un obiettivo nitido e realistico? Oggi, per chiunque, è difficile prendere una decisione. L’offerta scolastica, in particolare quella post-diploma è particolarmente vasta ed anche, talora, disorientante. Il mercato del lavoro, dinamico e cangiante, propone una varietà di scelte che non sempre è facile ponderare. Decidere l’ambito lavorativo nel quale inserirsi é molto difficile, e pertanto anche l’individuazione 56 del percorso formativo post-diploma, più adatto alle proprie esigenze é arduo, tenendo conto anche della necessità di superare la frustrazione e di cambiare strada, qualora non si ottengano i risultati sperati nelle prove di selezione alle facoltà a numero chiuso. La scuola, naturalmente, ha sicuramente svolto un ruolo importante nell’identificazione della vocazione personale ma, di fronte una società tanto complessa, non sempre riesce ad aiutare il giovane a maturare consapevolmente il progetto personale. Per sviluppare un lavoro sempre più efficace e mirato abbiamo provato ad esplorare, con l’aiuto di un questionario,1 i fattori decisionali nella scelta orientativa di un gruppo di studenti, iscritti alle quinte di alcuni corsi liceali. LA RICERCA Il campione della ricerca è rappresentato dagli studenti appartenenti a due classi quinte del liceo scientifico, due classi terze (classi terminali) del liceo classico e una classe del liceo socio-psico-pedagogico. È stato somministrato un questionario costituito da 27 items, raggruppati in alcune aree omogenee: • prospettive per il futuro; • interessi extrascolastici; • competenze e rendimento scolastico; • risorse individuali; • atteggiamenti verso la scuola; • rappresentazione del lavoro. Erano richieste anche delle sintesi individuali, che servivano a controllare la capacità di fare un proprio bilancio di competenze, ma che sono state elaborate da pochi (è stato considerato un oneroso lavoro QUADERNI DI ORIENTAMENTO ■ 27 aggiuntivo). Il questionario è stato somministrato nell’ultimo mese di scuola, con la collaborazione dei docenti in servizio. ANALISI E COMMENTO DEI RISULTATI 1) Le attività lavorative che riscuotono maggior interesse nei ragazzi e in cui essi si vedono proiettati, corrispondono sostanzialmente all’indirizzo di studi scelto nella scuola secondaria, con una buona propensione per il settore tecnologico e ambientale nel liceo scientifico, ma anche per l’ambiente e un marcato interesse per l’area tecnologica nell’indirizzo socio-pedagogico (non in linea con l’indirizzo di studi). I ragazzi del liceo classico manifestano interesse soprattutto per Giurisprudenza ed Economia, ma un 55% è attratto da Lettere, Arte- Musica e Spettacolo. Anche le professioni sono in linea con gli interessi ed il percorso di studi scelto per raggiungerli: i ragazzi dello scientifico propendono per un lavoro di tipo subordinato e manageriale, mentre quelli del pedagogico aspirano ad attività di tipo psicologico o educativo e quelli del classico aspirano ad intraprendere carriere di avvocati, diplomatici, medici. Vanno registrate tuttavia, a fronte di un numero consistente di “non so” (22%), scelte molto precise come quelle che si riferiscono all’attività di mediatore culturale (corrispondente ad indirizzo di studi da poco presente in un certo numero di atenei italiani), attività di volontariato e di logopedista. Orientamento e scuola La maggior parte dichiara di voler continuare gli studi fino alla laurea (percentuale che cresce notevolmente al liceo classico), ma una parte cospicua (14-26%) intende la laurea triennale (che nel questionario era indicata come diploma universitario, poiché il questionario era antecedente la riforma in atto nelle università italiane),2 ed un 13 % vorrebbe inserirsi subito dopo il diploma nel mondo del lavoro.3 In sintesi, la volontà di fermarsi dopo il diploma cresce al Pedagogico e diminuisce al Classico. I ragazzi dichiarano che le loro scel- te corrispondono alle attese dei genitori; pochi (11-14%) dichiarano che il consiglio dei genitori è diverso. Il disaccordo cresce al classico. In generale, i genitori manifestano il desiderio che i figli continuino a studiare fino alla laurea quinquennale (l’11% alla triennale) e desiderano per i figli un’occupazione sicura. Al Pedagogico desiderano che seguano l’attività di famiglia (ma non conosco il background sociale delle famiglie, quindi il dato è poco significativo). 2) I ragazzi dichiarano di trascorrere il tempo libero dedicandosi alla visione di film (20%), (sono molto attive a Pordenone le iniziative cinematografiche), all’attività sportiva (18%), alla lettura (16%), alla TV e computer (13%). Allo Scientifico molti dichiarano che trascorrono il tempo libero “facendo” ed ascoltando musica, mentre al Classico e al Pedagogico preferiscono stare con gli amici. In generale, frequentano gruppi sportivi e religiosi. 3) Le valutazioni riportate alla scuola media si attestano su voti alti per i ragazzi che frequentano lo Scientifico e il Classico (ottimo: Virgilio Tramontin, Villa Baglior, acquaforte-acquatinta. ■27 QUADERNI DI ORIENTAMENTO 57 I FATTORI DECISIONALI NELL’ORIENTAMENTO 33%, distinto: 47%), meno buoni per quelli che frequentano il Pedagogico (buono: 37% e sufficiente: 31%). Le ripetenze più numerose a livello di scuola secondaria, si registrano tra i ragazzi del Classico. Le valutazioni più basse allo scientifico si registrano nelle materie scientifiche, buoni voti si ottengono in scienze e disegno, in una delle due classi, voti decisamente buoni si registrano nelle materie umanistiche. Al Pedagogico i voti più alti sono in storia, lingua straniera e filosofia. Al Classico nelle materie umanistiche, matematica, fisica e lingua straniera. Al di fuori della scuola sono state acquisite competenze nelle espressioni artistiche, informatica, lingue straniere, disegno, musica e recitazione (sono attività che organizza la scuola in orario extrascolastico), ma i ragazzi dichiarano che si sono formati al di fuori dell’orario scolastico anche nelle materie umanistiche, (probabilmente ci si riferisce ad iniziative offerte dal territorio, ma che vedono coinvolti anche docenti della scuola). 4) Si dichiarano molto disponibili a fare nuove esperienze, pronti a collaborare ed interessati ad acquisire nuove conoscenze. Gli alunni dello Scientifico individuano i propri punti di forza nella determinazione, serietà, rapidità e in generale nell’autostima e nella sicurezza, quelli del Pedagogico considerano propri punti di forza la fiducia in se stessi, il senso della musicalità e, quelli del Classico, la mentalità aperta, la gioia di vivere e la sensibilità. Punti di debolezza sono in genere la timidezza e l’incostanza; l’insicurezza aumenta tra gli alunni dello Scientifico e l’ansia caratterizza quelli del Pedagogico. 5) Nei confronti della scuola i ragaz- 58 zi in genere dichiarano poca soddisfazione, o nulla, segnalabili apprezzamenti positivi provengono dagli alunni del Classico (33%), una metà degli alunni dello Scientifico dichiara che avrebbe preferito seguire un altro indirizzo di studi e il Pedagogico manifesta la sua spiccata predilezione per il Classico, che considera un’occasione mancata. Nell’ambiente scolastico gli alunni hanno trovato l’opportunità di fare amicizie, ma hanno anche acquisito strumenti e capacità di ragionare. Il rapporto con gli insegnanti è vissuto per lo più come problematico, ed a questa difficoltà di relazione viene anche attribuita la causa di un rendimento scolastico poco soddisfacente; i ragazzi lamentano di avere poco tempo libero. Ritengono di avere regole scolastiche troppo rigide e manifestano in generale scarso interesse per le attività scolastiche. Ritengono che la formazione scolastica incida poco nelle scelte future: solo una classe del Classico ritiene che sia importante. I fattori dell’insuccesso scolastico vengono individuati nello scarso impegno, ma anche nelle difficoltà insite in alcune discipline; allo studio vengono dedicate due-tre ore allo Scientifico, più di tre al Pedagogico e al Classico. Una classe (3^ D) dichiara di dedicare poco tempo allo studio pomeridiano. La maggior parte degli alunni intervistati dichiara che le attività di orientamento organizzate dalla scuola, (stages e percorsi formativi) sono state apprezzate, ma non sono servite come guida alla scelta postdiploma. 6) Gli studenti ritengono che il lavoro favorisca la realizzazione personale, considerano un fattore importante la sicurezza del posto. Il QUADERNI DI ORIENTAMENTO ■ 27 lavoro dovrebbe essere anche socialmente utile e non imporre troppi sacrifici. È importante la carriera e fondamentale l’assunzione delle responsabilità in ordine alla gestione e all’organizzazione, tuttavia il lavoro dovrebbe lasciare anche tempo da dedicare ad altre attività ed ai rapporti interpersonali. CONCLUSIONI Dall’analisi delle risposte del questionario emerge chiaramente che i ragazzi dell’ultimo anno della scuola secondaria,4 nel caso specifico, liceo Classico, liceo Scientifico e liceo Psico-socio-pedagogico, a parte alcune differenze di non sostanziale rilevanza, (collegabili ad una sorta di preselezione che avviene fin dal momento della scelta dell’indirizzo di studi liceali), sono fondamentalmente molto incerti sul loro futuro, sia che esso riguardi la formazione post diploma sia, in generale, per quel che riguarda l’ambito lavorativo in cui si proiettano. Lo si deduce da una serie di risposte che sottolineano la difficoltà di prendere una decisione, l’incertezza e l’insicurezza nei confronti del futuro e il desiderio di ancorarsi ad un posto di lavoro sicuro (mentalità che non appartiene più al nostro tempo, ma che evidentemente rappresenta ancora un’aspirazione molto forte). Segnalabile è, peraltro, la componente “umana” e relazionale che gli alunni vorrebbero vedere realizzata nella professione futura (va detto però che tre classi su cinque appartengono ad indirizzi umanistici) e l’importanza che viene attribuita al tempo libero. Si va affermando dunque una mentalità nuova, che si allontana dal cliché friulano e del Nord Est in generale, Orientamento e scuola tutto proteso alla carriera e al lavoro. I dati vanno tuttavia riferiti ad un’età e ad un ambiente scolastico, la realtà liceale, in cui i contatti con il mondo del lavoro sono assai rari. Ma se vogliamo soffermarci ad analizzare il dato significativo che attribuisce ai giovani un notevole stato di insicurezza (che è poi l’assunto principale della ricerca), nella scelta del futuro, ritengo che le cause siano imputabili sia alla particolare contingenza del momento storicopolitico della società italiana, (simile da questo punto di vista a quella di molti altri Paesi europei), sia ad una tendenza a procrastinare il momento della scelta, che corrisponde ad un atteggiamento di evitamento della decisone da prendere, atteggiamento sempre riconducibile ad una situazione di incertezza. Ci sono anche altre ragioni, evidentemente, che si possono far risalire sia all’ambito familiare, che all’eccesso di offerta formativa proveniente dall’Università (alludo alla struttura della laurea triennale e della specialistica), sia ad un problema di autovalutazione e di conoscenza di sé. Se questo è il fine dell’orientamento, a cui si dà sempre più importanza, al punto che sono stati istituiti corsi universitari e master per preparare orientatori (sono sorte numerose associazioni di professionisti di orientamento, di consulenti etc.,) ovvero aiutare i ragazzi a leggere dentro se stessi per imparare a decidere il loro futuro e per saper fronteggiare ogni transizione importante della loro vita, dobbiamo capire che cosa non funziona nell’orientamento e quali comportamenti è necessario assumere. È opportuno, prima di tutto, distinguere le buone pratiche da quelle negative, perché in questi anni abbiamo assistito al consolidarsi di abi- tudini che non corrispondono ai principi che ci prefiggiamo di raggiungere e che a mio avviso sortiscono l’effetto contrario, con il risultato di creare disaffezione per le iniziative di orientamento e insicurezza. Mi riferisco, quando sottolineo che si tratta di pratiche negative, per esempio, alle iniziative note come “saloni di orientamento” dove si mettono insieme, come negli stand di una fiera, le più svariate offerte formative presenti nel territorio, oppure alle conferenze organizzate dalle università o da associazioni di ambiti lavorativi d’élite che sembrano organizzazioni più volte a operare preselezioni, utili a coloro che assumono e non a coloro che entrano nel mondo del lavoro) che a fornire un valido aiuto ai giovani. Senza considerare che il maggior rischio che si corre è quello dell’autoreferenzialità.5 Un eccesso di informazioni, non filtrate da un vaglio critico e non accompagnate da una riflessione, porta ad un accrescimento di insicurezza, come d’altra parte la modalità della conferenza, rivolta a gruppi troppo ampi di persone, non si rivela efficace; meglio un gruppo ristretto, meglio a volte un colloquio individuale, meglio partire dai bisogni dell’orientando, meglio fornire un servizio di consulenza, attraverso un colloquio, un’attività di counselling e poi erogare le informazioni che si richiedono, mirate a focalizzare pochi aspetti, in uno spettro di variabili che si è già criticamente ristretto. Finalità dell’orientamento, nella società attuale, è più che informazione, costruzione di competenze trasversali, relazionali, la capacità di gestire situazioni complesse, approcci culturali diversi, di progettare, coordinare e integrarsi, per acquisire il senso di una partecipazione attiva ad una ■27 QUADERNI DI società allargata, verso la consapevolezza dei problemi collettivi e di una cittadinanza comune.6 Se ragioniamo poi sui meccanismi che conducono alla decisione, troviamo le strategie del problem solving e della riflessione critica, che muovono dalla conoscenza di sé, dall’autovalutazione, e dalla riflessione sui processi di apprendimento. Importante è allora adottare un didattica orientativa fondata sulla soluzione dei problemi e sul gusto della scoperta. Evidentemente sono molte le azioni che si raggruppano in un’azione orientativa, fatta di informazione-formazione e consulenza. Per aiutare a scegliere dobbiamo essere consapevoli che scegliere significa prima di tutto razionalizzare, analizzando i dati di un problema, scartando le opzioni che non si correlano alla propria natura, vagliando interessi, motivazioni, desideri capacità e attitudini, semplificando le alternative possibili. Tra le scelte che gli adolescenti sono chiamati a compiere, quella relativa al loro futuro è sicuramente una delle più impegnative. Decidere in quale ambito lavorativo collocarsi è molto difficile, individuare di conseguenza il percorso universitario più consono alle proprie esigenze e attitudini è arduo, (senza considerare che in alcune facoltà c‘è il numero chiuso e questo può comportare la necessità di invertire la rotta, nel caso di un insuccesso alle prove di selezione). Bisognerebbe imparare a scegliere i percorsi che aiutano la realizzazione di sé, che permettono una crescita personale, la costruzione di un progetto autentico di crescita e di autovalorizzazione, eliminando impulsività ed emotività. Il supporto a questo processo deve servire ad individuare questi aspetti superando i pro- ORIENTAMENTO 59 I FATTORI DECISIONALI NELL’ORIENTAMENTO blemi che nascono da una sfuocata coscienza di sé. La scuola può fare molto, sia nell’ambito di una didattica orientativa, che significa far acquisire all’alunno metodo e strumenti per fronteggiare le situazioni problematiche della vita (long life learning) e, al tempo stesso, saper valutare le proprie risorse e le proprie capacità,7 sia attraverso le figure degli orientatori, che sono insegnanti esperti, formati in questo senso che si avvalgono spesso dell’aiuto degli psicologi. Nella nostra scuola sono stati introdotti i cosiddetti “percorsi formativi”, che comportano la sospensione dell’attività didattica per una settimana e mirano a fornire agli allievi del penultimo anno di scuola informazioni e conoscenze, in situazione, delle offerte formative post-diploma. I ragazzi scelgono tra due opzioni possibili e nell’arco della settimana hanno la possibilità di conoscere e vivere da vicino in ambienti di studio e lavorativi quelle che sono le realtà Virgilio Tramontin, Torcello, acquaforte. 60 QUADERNI DI ORIENTAMENTO ■ 27 sociali in vista delle quali sceglieranno il proprio percorso formativo. Si tratta di un progetto ambizioso e coraggioso, condiviso dalla gran parte degli insegnanti e fortemente voluto dal Dirigente scolastico. Tuttavia, e ciò si evince anche dalle riposte del questionario, vi sono degli aspetti modificabili nel progetto e delle lacune. A mio parere, per esempio, manca la componente dei genitori, che considero fondamentale nella costruzione delle scelte dell’adolescente e un valido supporto di counselling individuale, che dia spessore alle iniziative di informazione e favorisca la riflessione individuale. I genitori potrebbero essere coinvolti nella fase di conoscenza degli ambienti lavorativi, ma anche partecipare ai colloqui d’orientamento che si dovrebbero promuovere tutto l’anno (ma anche in tutto l’arco degli studi liceali) gestiti dall’orientatore, in una relazione a tre parti (alunno, genitori e orientatore esperto). Indispensabile è anche, a mio avviso, la consulenza dello psicologo, che completa l’intervento dell’orientatore fornendogli i supporti teorici e pratici (es. questionari-test attitudinali etc. e una preziosa consulenza scientifica) necessari per una completa azione di orientamento formativo. Ovviamente debbono essere coinvolti i docenti, attraverso una relazione sulle attività e gli esiti dei colloqui e l’istituzione di percorsi di formazione e aggiornamento sui processi sottesi all’orientamento Si deve avviare, cioè, una collaborazione proficua fra quanti sono impegnati nella formazione dell’adolescente, che resta comunque l’attore principale. A volte l’alunno più deciso rivela per es. forti condizionamenti provenienti dall’ambiente familiare e credendo di essere solo a deci- Orientamento e scuola dere, è in realtà condotto da meccanismi che lo forzano in una direzione ben precisa, quella voluta dalla famiglia, e questo può essere comune proprio in un ambito come quello degli studi liceali e in un territorio tutto sommato ricco di opportunità e dominato da forti aspettative come quello del NordEst italiano, come abbiamo visto nell’analisi dei dati del questionario. Un’attività di supporto al ragazzo che frequenta la secondaria si precisa, quindi, attraverso un’attività di counselling, come aiuto alla costruzione di un progetto personale in cui è fondamentale:8 • individuare i valori e gli obiettivi importanti; • vagliare una serie di opzioni che permettano di perseguire i propri obiettivi; • condurre una ricerca accurata di informazioni; • valutare le informazioni senza pregiudizi e/o condizionamenti; • riesaminare tutte le informazioni in modo razionale, ponderando le conseguenze positive o negative che possono derivare da ciascuna alternativa individuata; • scegliere e implementare quanto deciso pianificando la propria attività.9 Si confida che questa iniziativa possa veramente aiutare i giovani eliminando il pesante alone di insicurezza, che frena la loro iniziativa10 ed è in questo momento che diventa importante il supporto al processo di decison making del counsellor. NOTE 1) A. M. Di Fabio, Psicologia dell’orientamento, Problemi, metodi e stru- menti; Giunti, 1998, pp. 198 et seg. 2) Mi riferisco alle decisioni perse al congresso di Bologna, che hanno istituito la laurea triennale e la laurea specialistica. Recentemente è stata riconosciuto anche alla triennale il titolo di “dottore”, mentre la laurea quinquennale è denominata “magistrale”. 3) La realtà territoriale in cui è stata condotta la ricerca, comunemente nota come Nord-Est, offre buone opportunità di lavoro, se paragonata al resto d’Italia: questo per molti anni è stato chiamato “effetto sirena” per i giovani che ottengono un diploma, nel senso che prospettive anche allentanti di realizzazione personale e di guadagno hanno rappresentato un notevole richiamo per far concludere gli studi. 4) I dati si riferiscono al Liceo Leopardi-Majorana di Pordenone, ma lo spettro delle risposte è abbastanza ampio per poter essere allargato ad una realtà molto più vasta. Evidentemente è necessario rapportare i dati al territorio e al particolare momento storico, che vede numerosi processi di trasformazione della società e della scuola. 5) Cfr. A. Messeri, “Alcune cattive pratiche dell’orientamento”, in Milano, Anno VI, aprile 2005, pp. 1 et seg.. 6) Messeri parla di competenze che possono essere “universalizzabili”, ovvero applicabili in contesti ampi, come per esempio il riferimento alla “cittadinanza europea”. 7) Mi riferisco per esempio al portfolio e al bilancio di competenze, come strumenti proiettivi della conoscenza di sé. 8) V. Nota-Soresi, Scelte scolasticoprofessionali e autoefficacia, Psicologia e scuola, 1998, pp. 151-164. L’indecisione scolastico-professionale, in Psicologia e scuola, 95, pp. 191200, Soresi-Nota-Mann Friedman, ■27 QUADERNI DI Come decidono gli esseri umani, in Scelte e decisioni scolastico-profesionali, ITER Firenze, 2202. 9) L’adolescente impara a ragionare, nel senso che diviene capace, con lo sviluppo del pensiero formativo, di affrontare ragionamenti complessi prima inaccessibili. E impara a decidere perché giunge a dominare le variabili che sono in gioco nelle decisioni, soprattutto quando sono di larga portata e riguardano il suo futuro. Vedi G. Petter, L’adolescente impara a ragionare e a decidere, Giunti, Manuali e monografie di psicologia, Firenze, 2002. 10) Questo spiega forse anche perché la maggior parte dei giovani italiani resta a lungo in famiglia e non trova il coraggio di trasferirsi in ambienti diversi e lontani da quello d’origine. Si tratta, a volte, di non coltivare in sé quello spirito d’iniziativa e quel desiderio di sperimentarsi al di fuori del proprio ambiente, che caratterizza invece molti giovani europei. Franca Ometto Insegnante di lettere al liceo Leopardi-Majorana Pordenone supervisore di tirocinio alla Scuola Interateneo di Specializzazione delle Università del Veneto ORIENTAMENTO 61 Spazio aperto CAMBIARE L’EDUCAZIONE PER CAMBIARE IL MONDO sando la formazione emozionale, intellettuale ed esistenziale degli insegnanti e degli educatori, alla luce delle nuove scoperte sulla persona umana sviluppate in ambito culturale, filosofico e psicoterapeutico 1. Nelle successive due giornate C. Naranjo, assieme al suo team, ha coordinato dei seminari teorico-pratici al fine di favorire la crescita delle competenze emotive ed esistenziali. Poter rivolgere a Claudio Naranjo la LA TRASFORMAZIONE DELL’EDUCAZIONE È IL NOSTRO PONTE PER UN FUTURO MIGLIORE INTERVISTA A CLAUDIO NARANJO Fornire un’educazione umanizzante che contrasti la tendenza all’alienazione, all’assenza di contatto e relazione con se stessi e gli altri, che miri ad una più profonda consapevolezza e spiritualità, può considerarsi il nucleo della rivoluzione pedagogica proposta dallo studioso cileno Claudio Naranjo uno dei massimi esponenti dell’integrazione fra psicoterapia e tradizioni spirituali. Da queste basi si sono sviluppate le riflessioni e le discussioni che hanno caratterizzato il Convegno Internazionale tenutosi dal 27 al 29 ottobre 2005 presso l’aula magna dell’ateneo udinese. Il convegno dal titolo “Cambiare l’educazione per cambiare il mondo”, è stato organizzato su iniziativa congiunta dell’Università degli Studi di Udine, Facoltà di Scienze della Formazione e dell’Istituto Gestalt di Trieste. La prima giornata, è stata dedicata ad una riflessione critica delle proposte avanzate da Claudio Naranjo riguardanti la necessità profonda di cambiare l’educazione ripen- 62 Claudio Naranjo è nato a Valparaiso (Cile) nel 1932. Ha studiato medicina, musica e filosofia. Si è specializzato in psichiatria. Ha insegnato religioni comparate, psicologia dell’arte, psichiatria sociale e psicologia umanistica presso numerose università americane. La ricerca sui caratteri della personalità lo ha portato alla elaborazione dell’”Enneagramma dei tipi psicologici”, una sorta di ponte tra oriente ed occidente nella concezione umana. Ha fondato il SAT Institute, una scuola integrativa psicospirituale. Il suo percorso si caratterizza per l’approfondimento delle tradizioni “psicoiniziatiche” e dei movimenti contemporanei della “nuova coscienza” nella ricerca di una sintesi intellettuale e di metodi educativi e terapeutici integrati. Attualmente il suo impegno maggiore è nel campo della psicologia transpersonale e dell’educazione in vari paesi del Sud America e dell’Europa. È autore di numerosi saggi e libri tra cui: “Carattere e nevrosi” (1998), “La via del silenzio, la via delle parole” (2000), ed. Astrolabio, “Cambiar la educaciòn para cambiar el mundo” (La Llave2004). QUADERNI DI ORIENTAMENTO ■ 27 seguente intervista è stato per me fonte di profonda ispirazione. QUAL È LA TUA VISIONE DELLA SOCIETÀ E DI COSA HA BISOGNO, OGGI? Secondo la mia visione, il problema più grande della società non è la violenza, non è il mercantilismo, non è nessuna di quelle cose che comunemente si considerano tanto gravi, anche se poi lo sono molto. Credo però che la radice più profonda di tutto sia la condizione patriarcale della società e questo è intrinseco alla vita civilizzata. In tal senso mi reputo nemico della civilizzazione. La civilizzazione è l’inizio della rivoluzione maschile ed è basata sull’istituzione del Pater Familias. Questo è considerato simbolicamente come un “dono” per la moglie, mentre i figli diventano una sua proprietà, utilizzati per il lavoro o cresciuti per diventare “carne da macello” nelle guerre. Credo quindi che la condizione civilizzata sia stata idealizzata perché è parsa come un progresso in contrasto con la condizione primaria della vita del Neolitico a cultura “matristica”. In particolare io identifico tre fasi storiche: - una fase primaria pre-sedentaria, pre-neolitica caratterizzata dalla condizione istintiva, animale dell’uomo e da una anarchia competitiva come descritta da Darwin a proposito della selezione naturale ; - una seconda fase a condizione “matristica”2 che inizia nel Neolitico con il passaggio dalla vita nomade a sedentaria resa possibile grazie alla coltivazione dei vegetali. Spesso se ne parla come rivoluzione agricola. In questa fase tuttavia non nasce solo l’agricoltura ma nasce anche la cultura, nasce lo spirito religioso e nasce Spazio aperto l’arte. Anche se non c’è unanimità tra gli studiosi, sembra che la sedentarietà e la rivoluzione agricola siano state iniziative femminili. Questa fase si identifica con valori quali la solidarietà tribale, la reverenza per la vita, la sacralità della procreazione ed il potere del gruppo; - una terza fase in cui predomina l’autorità centrale patriarcale. Questa ha inizio dopo il ritiro delle acque seguito all’epoca dello scioglimento dei ghiacciai. La terra cominciò a seccarsi ed i popoli si riunirono attorno ai grandi fiumi (Tigri, Eufrate, Nilo, Yangtse, Gange) istituendo una struttura sociale di tipo gerarchico. All’inizio tale autorità era legata alla sapienza sacerdotale (i re sacerdoti) che non potevano possedere terre. Nel corso del tempo, poiché, come dice Lord Acton “l’autorità corrompe e l’autorità assoluta porta alla corruzione” si passò da una autorità benigna ad un autoritarismo slegato dal senso del bene comune ed ancorato alla sete di potere. Mi sembra che tutte queste forme siano state reazioni ad un trauma storico originario. La vita umana è iniziata nel periodo glaciale caratterizzata da grande freddo, grande fame, necessità cannibalistica, necessità di ammazzare. Questo ci ha reso maggiormente insensibili e credo che continuiamo a vivere (sotto certi aspetti) in una forma di cripto-cannibalismo. Tale atteggiamento si rivela nello sfruttamento violento caratteristico della nostra storia e si fa sentire nell’attuale brama sterminatrice dell’impero globale capitalista che rade al suolo la natura, i diseredati, i valori umani. Nello sfruttamento della natura non c’é equilibrio tra ciò che produciamo e quanto consumia- mo, non c’é equilibrio tra collaborazione e competizione, tra l’aspetto femminile di tenerezza e quello maschile di aggressività. L’aggressività maschile prevale sulla tenerezza femminile. Credo che la civilizzazione sia stata un progresso transitorio ma adesso, l’atteggiamento egemonico dominante, di conquistare tutto, non serve più, è obsoleto. Da questo punto di vista posso rispondere alla tua domanda. Di cosa ha bisogno la società oggi? Ha bisogno di esseri umani completi. Questo equilibrio è necessario nella società come nella mente umana dell’individuo. Siamo interiormente tri-cerebrati, abbiamo cioè tre cervelli: quello istintivo, legato all’immagine del fanciullo interiore, quello emozionale, legato all’immagine materna che abbiamo ereditato dai mammiferi e quello razionale corrispondente al padre interiore. La voce della madre, che è la voce dell’amore e quella del bambino interiore, dell’istinto, sono spesso dominate, represse dall’autorità maschile, l’autorità della disciplina. Il più grande bisogno dell’umanità è però il vero sviluppo umano. Questo sviluppo è bloccato, l’educazione che dovrebbe essere per lo sviluppo in realtà risulta essere una falsificazione. Non si educa. Anche se la parola etimologicamente significa tirare dentro, il modello dell’educazione è solo centrato sul dare informazioni per poi testare, esaminare al fine di verificare se l’informazione è stata ricevuta. Tutto ciò rende l’educazione simile ad un biglietto d’ingresso al mondo del lavoro. Non si educa per la comprensione, né per lo sviluppo, ma per dare questo biglietto che alla fine non risulta essere neanche utile al lavoro, perché la correlazione tra l’efficienza del lavoro e gli studi in realtà non è così ■27 QUADERNI DI visibile. Questa correlazione è un mito. IN CHE MODO LA GLOBALIZZAZIONE CONTRIBUISCE A FAR EMERGERE TALI PROBLEMATICHE? C’era un presidente in Cile che diceva: “Governare è educare”. In questa frase egli riprendeva l’idea platonica per cui governare, nel suo significato più alto, è educare nella virtù. Oggi si vede quanto questo sia vero. Anche una costituzione buona e ben intenzionata come quella nord americana, non funziona se le persone non sono virtuose. La legge funziona solo con le buone persone. La globalizzazione ha creato un impero del denaro in cui anche i paesi più potenti risultano essere governati da fantocci. Non sono persone all’altezza di avere tanto potere come al tempo degli stati sovrani. Le pressioni finanziarie sono troppo grandi e la tendenza del mondo globale è sempre più legata al denaro e a questa macchina di produzione. L’interesse dell’autorità suprema è sempre più distante, opposta all’umanizzazione. Manca la capacità di credere nel valore dell’umanità. COSA MANCA ALL’EDUCAZIONE, OGGI? Oggi, manca la capacità di dare importanza e coltivare il cuore, l’amore, diciamo la virtù nella forma classica. Essere buone persone. Educare il carattere ed educare ai buoni rapporti umani. Oggi non è molto di moda parlare d’amore e questo è già sintomatico. Cristo aveva ragione quando diceva che la cosa più importante è amare il prossimo come te stesso. Ciò risulta più difficile, meno possibile nel mondo di oggi. È un mondo molto egoista e nel fondo le persone non amano né il prossimo né se stesse. L’egoismo non è un ORIENTAMENTO 63 Spazio aperto amore per se stessi; in realtà più simile ad una compensazione, è un volere di più per riempire un vuoto perché la persona non ha un vero amore verso il suo bambino interiore (o neonato interiore). A volte si parla dell’educazione emancipatoria (si pensi ad Horkheimer e Adorno). Mi chiedo cos’è la libertà se non la libertà dell’iniziativa e dei desideri. Oggi il desiderio è spesso criminalizzato nella vita civilizzata. C’è molta inibizione della spontaneità. In tal modo la nostra educazione si trasforma in un addomesticamento carico di frasi tipo: “Non fare questo; non fare quello; tutto no, no!” Queste modalità inibitorie si ritrovano sia a casa che a scuola e in questa maniera trasmettiamo il nostro modo di essere. Questo processo di replicazione diviene al contempo trasmissione della nostra patologia, delle nostre piaghe. Credo sia molto importante fermarsi e dire: “abbiamo bisogno di una educazione per l’evoluzione” senza continuare a voler essere uguali come se dovessimo fare un calco di noi stessi o riprodurci identici come i cromosomi. Ma educare per andare oltre il conosciuto. Questo è molto legato ad una educazione che guarda al bambino in senso profondo, ovvero al bambino interiore di ognuno. Ciò significa educare per la felicità. Ognuno vuole la felicità ma l’educazione attuale è molto inibitoria e criminalizza il piacere. Il piacere è un valore di cui non si parla. Già nella Genesi si mette il piede sulla testa del serpente che rappresenta l’istintività, la vita naturale. In tal senso la civilizzazione risulta essere contro la natura, la vuole dominare. Questa sete di dominio si rivolge sia verso la natura esterna all’individuo ma anche verso quella interna anche se di ciò non si parla. Solo Nietzsche affronta questo tema quando afferma che la salvezza sta nello spi- 64 rito dionisiaco che è lo spirito di libertà e di fede naturale. SI PUÒ TROVARE UNA DIMENSIONE IN CUI IL PROCESSO DI SOCIALIZZAZIONE VADA DI PARI PASSO CON QUELLO DI INDIVIDUAZIONE? COME SI PUÒ AGIRE AFFINCHÉ NELL’EDUCAZIONE CI SIA UNA CRESCITA DELL’INDIVIDUO NELL’INCONTRO CON L’ALTRO? Perché si verifichi questa possibilità di trasmettere valori senza togliere l’individualità, è importante l’atteggiamento non autoritario. Questo è però un elemento poco presente, poco visibile, perché anche in paesi dotati di una costituzione che dà agli adulti il diritto alla libertà di espressione non avviene lo stesso per i bambini. La scuola è più autoritaria come se in questo caso il dispotismo fosse giustificato. Ma il dispotismo nei confronti di chi è nel processo di sviluppo è ancora più grave. Non dico che l’autorità non sia importante, l’autorità è importante ma lo è anche l’atteggiamento della scuola attiva come per esempio la scuola Montessori o altre tendenze che danno valore alla scelta del bambino, al suo interesse favorendo elementi di autogestione e il lavoro di cooperazione in gruppi. A volte l’autoritarismo scolastico non fa che alimentare quello che c’è in casa il quale è già patologico. PRIMA, HAI CITATO LO SQUILIBRIO ESISTENTE TRA L’ASPETTO DELLA COLLABORAZIONE E QUELLO DELLA COMPETIZIONE. NELLA MIA ESPERIENZA D’INSEGNAMENTO AVVERTO IN MODO MOLTO FORTE TALE SQUILIBRIO. PUOI DIRMI QUALCOSA DI PIÙ AL RIGUARDO? Credo che questo sia in realtà un sintomo dello squilibrio esistente tra QUADERNI DI ORIENTAMENTO ■ 27 l’aspetto maschile ed il femminile. L’aspetto amorevole della donna è da ricondurre alla maternità. La maternità non può esistere senza amore. È come una vocazione spontanea. L’educazione dovrebbe essere materna nel senso che le persone che scelgono di educare, in genere lo fanno attraverso un’idea di aiuto simile ad un’ispirazione maternale, ma si vedono prese in un sistema maschile, burocratico, politico in cui non c’è molto spazio per la creatività degli educatori. Gli educatori sono vittime di un sistema patriarcale politico-economico che non li mette nella condizione di servire veramente. Come se l’idea di servire allo sviluppo dell’altro fosse viziata perché il sistema non favorisce questa attività ma favorisce piuttosto l’informazione, le nude nozioni. È come dare da mangiare sabbia ai bambini invece di vero cibo. E quando non vogliono questa educazione e non vogliono mangiare la sabbia, non si capisce che in realtà loro vedono di più, hanno più chiarezza sul fatto che quanto viene dato loro non è rilevante. Allora si dice che i bambini hanno problemi ma in effetti il problema è nel sistema che non vede se stesso. SPESSO MI RENDO CONTO DELLA DEMOTIVAZIONE DI MOLTI INSEGNANTI I QUALI PERDONO LA VOGLIA DI ASCOLTARE GLI ALUNNI, DI IMPARARE DAGLI ALUNNI E PERDONO IL SENSO DI VALORE DEL PROPRIO LAVORO È una situazione triste quella degli insegnanti perché solo un insegnante eroico può rimanere umano. È forte la pressione di lavorare per sopravvivere anche se questo comporta di agire attraverso un’autorità che non serve l’interesse umano. L’educazione che abbiamo risale a ciò che è stato inventato con l’era industriale. Spazio aperto SPESSO GLI INSEGNANTI LAMENTANO DI NON ESSERE RICONOSCIUTI A LIVELLO SOCIALE. SE NEL MONDO CONTA IL DENARO, IN QUANTO A STIPENDI GLI INSEGNANTI NON OCCUPANO UNA POSIZIONE RILEVANTE E, NEL “MONDO ALLA ROVESCIA”, L’EDUCAZIONE, CHE DOVREBBE ESSERE FONDAMENTALE VIENE RELEGATA AD UN RUOLO PIUTTOSTO MARGINALE Il lavoro dell’insegnante, dell’educatore, dovrebbe essere di importanza fondamentale, ma se questo diviene un ingranaggio del sistema anche il suo lavoro effettivamente diviene marginale, non fondamentale. Certo ha una potenzialità. Credo sia molto importante che gli insegnanti comincino a capire come, senza saperlo, hanno servito gli interessi industriali e militari del mondo. È come se l’educazione fosse diventata il socio invisibile, il partner nascosto del sistema militare industriale. Gli interessi politici rendono invisibile l’educazione. Gli educatori e gli insegnanti forse non si rendono conto di quanto il denaro li condizioni. Virgilio Tramontin, Acacie, acquaforte. Si educa in fondo per ottenere forza lavoro, per formare persone obbedienti, che fanno cose ripetitive senza protesta. È molto robotizzante e idiotizzante. Tutto ciò toglie l’interesse di sapere. Quando un bambino è molto curioso, spesso l’educazione frustra questa voglia di sapere dando in cambio qualcos’altro, dando forme di apprendimento del tipo ricompensa/punizione. L’insegnante si trova in questa situazione difficile nella quale è facile perdersi e smarrire il senso della vita (burn-out). Per avere senso nella vita è necessario non solo avere tempo per sé, un contatto con se stesso e uno spazio di sviluppo, ma anche un lavoro che ha senso, un lavoro che non sia alienante. L’educazione alienante (priva di contatto con l’Altro) toglie alla persona la possibilità di crescere con il suo lavoro facendole così perdere il significato del suo esistere. Ci sono molti sintomi di questo. L’aspetto più profondo è che senza saperlo il sistema educativo funziona in una situazione di non senso. ■27 QUADERNI DI ULTIMAMENTE SI DISCUTE MOLTO, A SEGUITO DELLA LEGGE FRANCESE, SUL TOGLIERE O MENO I SIMBOLI RELIGIOSI DAGLI SPAZI PUBBLICI E DUNQUE ANCHE DALLE CLASSI. A ME SEMBRA DI INTRAVVEDERE IN QUESTO UNA INCAPACITÀ DI STARE ED AFFRONTARE I CONFLITTI DERIVANTI DALL’INCONTRO CON L’ALTRO. TU COSA NE PENSI? Penso che il conflitto più diffuso sia tra secolarizzazione e spiritualità. Al mercato conviene la secolarizzazione. Il mondo del denaro non ammette che altri valori interferiscano con le decisioni economiche. Una multinazionale, un’azienda, funzio- ORIENTAMENTO 65 Spazio aperto nano come uno psicopatico. Interessa solo il denaro. Una persona a cui interessa solo il denaro può agire in una forma che va contro l’interesse di molte altre persone. Ciò è criminale, per cui questa persona viene chiamata psicopatica. Ma un’azienda funziona proprio così, per essa è perfettamente legittimo curarsi esclusivamente del proprio denaro. Per il denaro è dunque disposta anche a distruggere la natura, a distruggere culture e persone. Per tale motivo al mercato non conviene l’interferenza di nessuna autorità religiosa. Nell’educazione e nel mondo occidentale il conflitto si propone soprattutto tra monoculturalismo e multiculturalismo in quanto è esclusa a priori la possibilità di trasmettere valori transculturali. Manca la capacità di riconoscere l’esistenza di una eredità comune. Soprattutto nel campo religioso. In effetti, se si parla di arte non c’è dubbio che bisogna insegnare la storia dell’arte dell’umanità intera. Non ha senso essere nazionalista e per esempio mostrare esclusivamente l’arte europea e non mostrare l’arte asiatica. Per la religione dovrebbe essere lo stesso. Ci sono persone, profeti, geni nel campo religioso, che hanno esperienze mistiche. Ciò di cui abbiamo bisogno è un insegnamento religioso che presenti l’essenza degli insegnamenti spirituali del mondo intero; in cui si sottolinei l’esperienza universale comune che questi simbolizzano, interpretano e coltivano in modi diversi. Sarebbe come creare un senso comune in cui educare significa dare una cultura nella quale tutti i bambini sanno chi è stato non solo Gesù ma anche Buddha, Maometto, Lao Tze. Com’è possibile rimuovere dall’educazione, dalla conoscenza questi grandi ispirati che hanno creato culture? Come è possibile che l’educazione serva così tanto il nazionalismo e il parrocchiali- 66 smo, che non danno un’educazione interculturale nell’ambito della spiritualità? Anche se l’educazione dovesse limitarsi a trasmettere esclusivamente informazioni, queste dovrebbero essere date. Come si propone una poesia di un buon poeta o un libro di lettura, sarebbe normale leggere una pagina del Tao te Ching o dei grandi libri ispirati. Manca in sostanza un’educazione che non imponga una supremazia culturale dell’occidente o di una religione data. Lo stile campanilistico è troppo vecchio, obsoleto per la società attuale. Abbiamo visto per troppo tempo gli eccessi del fanatismo. Non è più il tempo. Un Vescovo della California dice: “La nostra non è una situazione storica in cui ci si può permettere di insegnare una sola cultura. Abbiamo un’eredità comune e la storia richiede una cultura più completa per agire in forma più sana. Il minimo che possiamo permetterci è di diventare eredi del patrimonio culturale completo dell’umanità”. IL TUO ULTIMO LIBRO, CHE PRESTO SARÀ TRADOTTO INTEGRALMENTE IN LINGUA ITALIANA, SI INTITOLA “CAMBIARE L’EDUCAZIONE PER CAMBIARE IL MONDO”. IN CHE MODO L’EDUCAZIONE PUÒ REALIZZARE UNA COSÌ PROFONDA TRASFORMAZIONE? Il mondo in cui viviamo è così terribile perché abbiamo un’educazione terribile. L’educazione è molto importante e responsabile di ciò che avviene. Quella attuale è una “maleducazione” cattiva e perversa. Il risultato è questo mondo perverso. Stiamo vivendo una crisi nell’umanità. L’umanità o cambia o non sopravvive. Non abbiamo un’economia sostenibile, stiamo divorando l’ambiente. Per fare diversamente ci vuole una generazione con una coscienza diversa. Non si possono ri- QUADERNI DI ORIENTAMENTO ■ 27 solvere i problemi solo esteriormente così come potrebbero fare un ingegnere o un economista. Il cambiamento deve iniziare dall’interno. Come dice la frase biblica “Curati del Regno di Dio ed il resto viene da solo”. Questo significa aver cura del mondo interiore, della coscienza, della mente. L’elemento principale è avere dei discendenti con maggiore saggezza e con più amore. Solo loro potranno trovare una forma migliore di vita e migliori istituzioni. Questo perché la mente che ha creato i problemi non è in grado di risolvere tali problemi. SI PUÒ DIRE CHE NELLA NOSTRA EPOCA CI SONO MOLTI INSEGNANTI, PROFESSORI, MA MANCANO I MAESTRI? Si, in effetti gli insegnanti devono imparare da persone che non appartengono al mondo dell’educazione. Io credo che ci sono tre sfere della conoscenza che si sono troppo scisse nella civiltà: - La sfera della terapia o guarigione. - La sfera dello sviluppo o educazione. - La sfera religiosa o dello sviluppo superiore o maturazione spirituale. L’educazione si è separata sia dall’elemento terapeutico che da quello religioso. Questo è comprensibile in quanto ha rappresentato da un lato una buona difesa nei riguardi dell’eccessivo autoritarismo della Chiesa e dall’altro una reazione all’invadenza prematura della psicoanalisi. Nel primo caso si è finiti con il “gettare il bambino con l’acqua sporca” nel senso di aver estromesso, con l’invadenza ecclesiale, anche l’aspetto spirituale nel suo insieme, identificandolo con le antiche lezioni di religione. Nel secondo caso, la dimensione analitico-tera- Spazio aperto peutica derivante dalla psicanalisi classica, nel suo aspetto eccessivamente interpretativo e assolutistico, si è rivelata arrogante come se dovesse dare una soluzione a tutto. All’inizio la psicoanalisi, come una tipica scienza moderna, si è spinta molto avanti nelle sue pretese. È stata formulata dogmaticamente e, in retrospettiva, possiamo notare che il mondo della società moderna di massa ha voluto credere ingenuamente a questo dogmatismo, ma successivamente ne è rimasto deluso. Questa delusione ha creato una sorta di reazione allergica da parte delle istituzioni le quali ancora oggi si rendono immuni da tale interferenza. Ora però abbiamo risorse migliori, mezzi migliori, che ancora non sono giunti agli educatori e neanche nelle università. Ora non si può più educare senza educare il cuore. Non si può evitare di occuparsi della condizione spesso patologica dei bambini. Molti di essi sono danneggiati psicologicamente e togliere l’elemento spirituale significherebbe perpetuare ed ampliare il danno. Si può togliere l’influenza di un’autorità religiosa, ma non si può togliere all’educazione il compito di occuparsi della profondità della mente. Il senso della vita non si può scoprire attraverso il pensiero razionale, neanche tramite l’amore inteso nel senso ordinario del termine: le persone sono spesso infelici nelle loro relazioni. Non si può trovare nemmeno il senso solo nell’istinto. Il senso della vita è la scoperta del Sé profondo. Questo messaggio non viene trasmesso dall’attuale sistema educativo, lo si può solo imparare attraverso la vita spirituale di persone che sono maestri veri. Se ci fossero governi illuminati, si potrebbero convocare personalità sagge di diverse culture per contribuire con le loro opinioni. Ho saputo da poco che Edgard Morin, perso- na di profonda saggezza, ha avuto l’incarico di riformare l’educazione francese ma dopo un anno o due ha rinunciato. Ha detto che non poteva portare a termine il lavoro perché la burocrazia è troppo forte ed il sistema è molto arrogante. Il sistema ha la sua inerzia. C’è bisogno di un metodo per la rieducazione dei professori finalizzato ad offrire loro qualcosa che il mondo accademico non gli ha dato. Un nutrimento, un aiuto allo sviluppo personale. L’autoconoscenza non è forse parte dell’educazione, ma è parte della vita. Si rendono molti omaggi a Socrate, ma non si pone in essere ciò che lui affermava. L’educazione implica che gli educatori conoscano se stessi. Se qualcuno vuole la trasformazione dell’educazione per trasformare il mondo deve incominciare con la trasformazione di alcuni educatori perché diventino un lievito, un fermento. La trasformazione non può avvenire solo da una ridefinizione curriculare, anche se è molto importante ridefinire, affinché non ci si riduca solo ad imparare a fare ma anche imparare ad imparare, imparare a convivere, imparare ad essere. Il metodo che ho elaborato, pur lavorando in un altro campo, credo possa contribuire, senza un eccessivo impiego di risorse in termini di tempo e denaro, sostanzialmente ad una riforma di questo tipo. Ritornando alla tua domanda iniziale: “Cosa richiede la società attuale?” La società attuale ha bisogno di umanizzarsi, di andare contro la tendenza a disumanizzare, ad alienarsi. I problemi sociali derivano essenzialmente dalla disumanizzazione o comunque si aggravano a causa di essa. L’umanizzazione, per come io la intendo, offre una capacità creativa che risolve cose che non si possono risolvere in altre forme. ■27 QUADERNI DI NOTE 1) Tale confronto, introdotto dal Preside di Scienze della formazione e referente scientifico della scuola di psicoterapia “Gestalt” di Trieste Franco Fabbro e dal Presidente dell’Associazione “Don Gilberto Pressacco” e Preside della Facoltà di Agraria, Angelo Vianello, ha visto la partecipazione di: Giuseppe Longo: Professore ordinario di Teoria dell’Informazione alla facoltà d’ingegneria di Trieste; Luciano Galliani: Professore ordinario di Pedagogia sperimentale presso l’Università di Padova, Presidente della Facoltà di Scienze della Formazione presso la stessa Università e Presidente della Conferenza dei Presidi di Scienze della Formazione; Paolo Baiocchi: medico psichiatra e psicoterapeuta della Gestalt, direttore dell’Istituto Gestalt Trieste, Ginetta Pacella: psicologa e psicoterapeuta della Gestalt, direttore del “Centro Gestalt per lo studio della personalità”di Bologna; Roberto Albarea: Professore straordinario di Pedagogia generale presso la facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Udine. 2) Termine usato da M. Gimbutas in riferimento al dominio culturale dei valori femminili e non alla supposta superiorità delle donne implicito nel termine matriarcale Elisabetta Damianis Università di Teramo ORIENTAMENTO 67 Informa IL LIBRETTO FORMATIVO DEL CITTADINO UNO STRUMENTO PER MIGLIORARE L’OCCUPABILITÀ DELLE PERSONE NELL’OTTICA DELLE POLITICHE EUROPEE DI LIFELONG E LIFEWIDE LEARNING Nell’ambito del processo attuativo della legge Biagi è stato istituito il “Libretto formativo del cittadino”, che raccoglie informazioni, dati ed attestazioni riguardanti le esperienze di tipo educativo, formativo e lavorativo, effettuate anche in ambito sociale, ricreativo o familiare da ogni individuo. La previsione della realizzazione di un “libretto formativo” era già contenuta in vari provvedimenti normativi nazionali a partire dall’Accordo Stato-Regioni del 18 febbraio 2000 che, nell’allegato B, individuava in tale dispositivo lo strumento per “documentare il curriculum formativo e le competenze acquisite” dalle persone. Il DM 174/2001 ribadiva, invece, che nel libretto formativo dovessero essere riportate le certificazioni delle competenze effettuate: a) al termine di un percorso di formazione professionale di norma finalizzato all’acquisizione di una qualifica; b) in esito a percorsi di formazione parziale ovvero in caso di abbandono precoce del percorso formativo o in percorsi che non 68 conducono all’acquisizione di qualifica; c) a seguito di esperienze di lavoro e di autoformazione su richiesta degli interessati. Il D.Lgs. 276/2003, attuativo della L. 30/2003 (Legge Biagi), integra quanto previsto dall’Accordo del 2000 e dal DM 174/2001, prevedendo che: - la definizione del libretto avvenga di concerto tra il MLPS ed il MIUR, previa intesa con la Conferenza Unificata Stato-Regioni e sentite le parti sociali; - in esso siano registrate “le competenze acquisite durante la formazione in apprendistato, la formazione in contratto di inserimento, la formazione specialistica e la formazione continua svolta durante l’arco della vita lavorativa ed effettuata da soggetti accreditati dalle Regioni, nonché le competenze acquisite in modo non formale ed informale secondo gli indirizzi dell’Unione Europea in materia di apprendimento permanente, purché riconosciute e certificate”. A seguito di quanto previsto dall’art. 2 del citato D.Lgs., il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha costituito un gruppo di lavoro (costituito dai rappresentanti, oltre che dei due Ministeri coinvolti - MLPS e MIUR -, delle Regioni e Province autonome, delle Parti sociali e dell’ISFOL, quale organismo di assistenza tecnica) con il compito di: - individuare gli elementi costitutivi di una proposta di libretto formativo inteso come strumento per la messa in trasparenza delle competenze, tenendo conto: a) dei vincoli e dei limiti attualmente costituiti dallo stato ancora non definito del confronto a livello nazionale sul tema degli standard minimi, del riconoscimento QUADERNI DI ORIENTAMENTO ■ 27 e della certificazione delle competenze; b) delle indicazioni comunitarie in materia di trasparenza delle qualifiche e dei titoli (in particolare della Decisione del 15/12/2004 “Quadro comunitario unico per la trasparenza delle qualifiche e delle competenze - Europass”); c) di quanto già sviluppato in contesti specifici in tema di messa in trasparenza delle competenze (in particolare rispetto ad esperienze regionali); - delineare e definire nel dettaglio la proposta di libretto, unitamente a quella relativa ad una sua prima sperimentazione nelle Regioni e Province Autonome. Pertanto, il lavoro svolto dal gruppo tecnico: a) tiene conto dei diversi provvedimenti che affrontano il tema del libretto formativo con angolature diverse, ma intendendolo sempre come strumento di registrazione unitaria. Mentre, infatti, l’Accordo del 2000 ed il DM 174/2001 guardano al libretto soprattutto dalla prospettiva del sistema di formazione professionale, il D.Lgs 276/2003 adotta un approccio dal versante del sistema del lavoro, individuando in esso lo strumento per la raccolta e la registrazione delle competenze del cittadino-lavoratore comunque acquisite “purché riconosciute e certificate”, secondo le procedure in vigore presso le amministrazioni regionali dai diversi organismi preposti. Il libretto si configura, quindi, come una delle misure per l’attuazione delle politiche di lifelong e lifewide learning promosse dall’Unione Europea, poiché punta ad una maggiore trasparenza delle qualifiche in funzione della garanzia per ogni individuo di vedersi riconosciuto il proprio patri- Informa Virgilio Tramontin, Torcello: cucitrici di reti, acquaforte. ■27 QUADERNI DI ORIENTAMENTO 69 Informa monio di competenze, soprattutto in situazioni di mobilità formativa o lavorativa. b) Ha una natura trasversale, poiché riguarda diversi contesti e sistemi che l’individuo si trova ad “attraversare” nel suo percorso di apprendimento permanente. Coerentemente, pertanto, non può che essere frutto di una cooperazione istituzionale (tra Regioni/Province autonome e tra queste ed i Ministeri) e di concertazione (con le forze sociali). c) Non può costituire un’operazione “chiusa” nel tempo: dovendo il libretto accogliere le registrazioni delle competenze “riconosciute e certificate”, la sua definizione deve necessariamente configurarsi come percorso raccordato a quello in atto per l’individuazione degli standard di riconoscimento e certificazione. Scopo principale del Libretto è aiutare la persona, costituendo un ausilio per il cittadino-lavoratore che voglia rendere riconoscibili, trasparenti e utilizzabili le competenze acquisite, soprattutto in “situazioni di transito” e cambiamento nel contesto di lavoro o di formazione. Non avrà, pertanto, una “valenza burocratica”, ma l’intento di far emergere tale patrimonio nella sua integrità, rispettando l’unicità della persona e sarà uno strumento in progress, dal momento che dovrà essere adeguato ed integrato man mano che si andranno definendo le caratteristiche di un sistema condiviso di standard minimi a livello nazionale per la riconoscibilità e certificabilità delle competenze, ossia di quegli standard minimi nazionali che restano la priorità assoluta rispetto alla quale le Regioni e le Province autonome devono agire per l’attuazione delle politiche di lifelong learning. 70 È importante non confonderlo con altri strumenti di raccolta dati sui percorsi formativi compiuti, come ad esempio il CVE, la scheda anagrafico-professionale, il portfolio perché, sebbene siano tutti centrati sul cittadino al fine di consentire la spendibilità delle sue competenze, ciascuno di essi si focalizza su aspetti diversi e su differenti supporti alla compilazione e tutti risultano più “statici” e frammentati. Il Libretto tende, invece, all’individuazione di un format minimo comune e di procedure condivise di compilazione assistita, per ottenere uno strumento che: - risponda alla funzionalità primaria di documentazione trasparente delle acquisizioni in termini di competenza a supporto delle transizioni in ambito formativo e lavorativo; - costituisca, in seconda battuta, anche un momento di riflessione della persona sul proprio percorso al fine di renderla consapevole (o maggiormente consapevole) delle proprie potenzialità; - permetta l’avvio di percorsi di “accertamento”, in modo da rendere maggiormente spendibili le competenze possedute, consentire l’inserimento della persona in percorsi formativi al fine di completare la formazione posseduta e formalizzare ulteriori acquisizioni. Le Regioni e le Province autonome sono i soggetti titolari del rilascio del libretto formativo. Ciascuna Regione e Provincia autonoma dovrà individuare le tipologie di soggetti preposti a supportare la persona, almeno nella fase, di introduzione e sperimentazione, nella compilazione ed aggiornamento del libretto formativo, garantendone, mediante idonee misure di controllo, l’effettiva capa- QUADERNI DI ORIENTAMENTO ■ 27 cità e competenza a svolgere il servizio. In particolare, esse dovranno garantire i seguenti requisiti minimi: - che nell’attivazione del libretto i soggetti autorizzati ad assistere i singoli individui abbiano le competenze professionali necessarie per instaurare una corretta relazione con gli stessi; - che rispettino il carattere volontario dello strumento e, quindi, delle scelte che la persona opera rispetto a ciò che intende mettere in trasparenza; - che mantengano costantemente centrale la prospettiva di valorizzazione dell’individuo, anche al fine di orientarlo nei progetti professionali e nelle scelte di vita, o indirizzarlo in percorsi per la successiva validazione delle competenze non ancora certificate. Le Regioni e le Province autonome dovranno, inoltre, in coerenza con il piano di attivazione ed implementazione dello strumento (definito congiuntamente agli altri attori istituzionali e non), garantire la massima diffusione ed informazione circa le caratteristiche dello stesso presso i potenziali utilizzatori. Il singolo individuo, unico titolare del libretto, sarà responsabile dell’aggiornamento dei contenuti. Volendo, in sintesi, enucleare i vantaggi derivanti dall’attuazione di tale dispositivo, si può affermare che esso offra: all’individuo la possibilità di rendere riconoscibili e trasparenti le competenze acquisite e le potenzialità professionali; alle imprese un modo per facilitare l’individuazione di professionalità e competenze personali all’interno di un processo di inserimento e mobilità lavorativa; alle Istituzioni l’occasione per valorizzare i modelli di certificazione e riconosci- Informa CENTRO RISORSE NAZIONALE PER L’ORIENTAMENTO Il Centro Risorse Nazionale per l’Orientamento è promosso dalla Commissione Europea (Direzione Generale Istruzione e Cultura), dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (Direzione Generale per le Politiche per l’Orientamento e la Formazione) e dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (Dipartimento per l’Istruzione, Direzione Generale per gli Affari internazionali dell’Istruzione scolastica). È collocato dal 2004 all’interno dell’Agenzia Leonardo da Vinci, situata presso l’Isfol, e si propone di supportare e favorire la mobilità per motivi di studio e di lavoro all’interno dell’Unione Europea attraverso le seguenti attività: • elaborazione di materiali informativi su tematiche legate alle opportunità di studio, formazione e lavoro a livello nazionale e transnazionale; • diffusione dell’informazione sui servizi di orientamento all’interno dei Paesi dell’Unione Europea e di quelli di nuovo ingresso; • esperienze innovative e sperimentazione di modelli nel campo dell’orientamento scolastico e professionale; • formazione degli operatori di orientamento; • ricerca e monitoraggio nell’ambito delle metodologie e dei sistemi informativi per l’orientamento. L’attività del Centro Risorse è rivolta in particolare ad operatori dei servizi per l’orientamento, la formazione ed il lavoro, nonché agli insegnanti ed ai formatori. A livello nazionale, esso coordina la Rete Nazionale di Diffusione che raccoglie strutture ed esperti per diffondere in modo capillare l’informazione sulla mobilità europea. A livello transnazionale, il Centro Risorse Nazionale per l’Orientamento italiano è membro della rete Euroguidance, la rete che riunisce i Centri Risorse europei. I Centri, promossi dalla Commissione Europea e dalle competenti autorità nazionali, lavorano in rete tra loro, favorendo e promuovendo la raccolta, la produzione e la circolazione di informazioni in materia di istruzione e formazione, opportunità di mobilità, qualifiche e diplomi, sistemi di orientamento. Contribuiscono, inoltre, all’implementazione del portale europeo sulle opportunità formative: http://europa.eu.int/ploteus ■27 QUADERNI DI mento in atto nei sistemi dell’istruzione e della formazione professionale e per garantire la visibilità delle esperienze maturate dagli individui in una logica di mobilità geografica e professionale e di apprendimento durante tutto l’arco della vita. In senso più ampio si può affermare, dunque, che il libretto supporterà l’occupabilità delle persone e diventerà progressivamente uno strumento sempre più funzionale rispetto alle esigenze di mobilità e trasparenza poste dalla società europea. Esso sarà, inoltre, allegato alla scheda anagrafico-professionale del lavoratore nell’ambito della Borsa Continua Nazionale del Lavoro e costituirà, dunque, un elemento ulteriore per far conoscere le proprie conoscenze e progettare percorsi mirati e personalizzati. Il libretto è visionabile, al momento, sul sito del Governo italiano, alla pagina: www.governo.it/governoinforma/d ossier/librettoformativo2005 e sul sito del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, alla pagina: www.welfare.gov.it/europalavoro/n ovita/news/librettoformativo Andrea Rocchi Direttore Centro Risorse Nazionale per l’orientamento ORIENTAMENTO 71 Informa IL MANAGER DIDATTICO re professionali possiedano conoscenze ed abilità afferenti a diversi settori che ben si integrino e si potenzino, dall’altro esse sviluppino ed eventualmente acquisiscano quelle competenze trasversali (Life skills) fondamentali per attuare l’auspicato lavoro di rete. Una professione che ben esemplifica l’adeguamento individuale alle regole del recente mercato è quella del Manager Didattico: essa è stata approfondita grazie all’intervista rivolta al dott. Salvatore Fadda della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli studi di Sassari. INTERVISTA A SALVATORE FADDA DELL’UNIVERSITÀ DI SASSARI La conoscenza dell’odierno mercato del lavoro rappresenta una competenza di base che tutti dovrebbero possedere: essa si sviluppa a partire da una riflessione sul moderno concetto di carriera lavorativa che vede alternarsi ciclicamente fasi di ingresso/uscita nelle diverse realtà professionali. Conseguentemente all’evoluzione del termine, non più ancorato al tradizionale percorso lineare di addestramento-lavoropensionamento, si sono modificate le richieste del mondo lavorativo a coloro che si preparano ad entrarvi. Innanzitutto, si rende necessario prolungare il tempo dedicato alla formazione nel corso della propria vita (Long Life Learning), secondariamente si richiede una certa apertura mentale per fronteggiare l’attuale flessibilità contrattuale successiva al D. Lgs 10/9/2003 n. 276, comunemente conosciuta come “Riforma Biagi”. Lo scenario che funge da sfondo al mercato lavorativo si caratterizza per un continuo affacciarsi di professionalità multidisciplinari e interdisciplinari: in termini concreti ciò implica che, da un lato tali nuove figu- 72 COME SI INSERISCE IL RUOLO DEL MANAGER DIDATTICO NEL CONTESTO DELL’ATTUALE RIFORMA UNIVERSITARIA? È molto importante introdurre, al fianco dei docenti, persone con nuove competenze che facilitino la concreta possibilità di riformare la vita universitaria e il pieno accoglimento della centralità dell’apprendimento, della qualità dei servizi, delle relazioni con il mondo esterno. Persone che consentano ai docenti di svolgere al meglio la docenza e la ricerca, senza doversi occupare anche della loro organizzazione e gestione. I Manager Didattici hanno il principale obiettivo di facilitare i rapporti tra i vari soggetti coinvolti nel processo formativo. COME SI COLLOCA LA FIGURA DEL MANAGER DIDATTICO ALL’INTERNO DEL SISTEMA UNIVERSITARIO? QUALI SONO I PRINCIPALI ATTORI CON I QUALI INTERAGISCE? Il Management Didattico riguarda azioni che sono riconducibili a tre principali aree: - supporto agli studenti; QUADERNI DI ORIENTAMENTO ■ 27 - supporto tecnico alla direzione dei Corsi di studio e alle Presidenze di facoltà; - rapporti con il territorio. Le Università decidono in autonomia se istituire, al fianco dei Manager Didattici di Corso di laurea (o di un insieme di essi, magari raggruppabili per classe) o di Facoltà, la figura del Manager Didattico di Ateneo e, inoltre, decidono quali attività tra le seguenti privilegiare: LA COMUNICAZIONE • Interna: fornire agli studenti informazioni di carattere generale sull’organizzazione e sui programmi dei corsi di insegnamento, sui servizi didattici disponibili in facoltà e in ateneo, sui servizi di tutorato e di supporto alla didattica, sui servizi di segreteria (certificazioni possibili, es. diploma supplement). Inoltre, controllare che le comunicazioni fornite dai docenti agli studenti siano sufficientemente chiare e tempestive curando un opportuno sito web. • Esterna: fornire informazioni ai soggetti interessati, pubblici e privati, sul corso di laurea, descrivendo in modo sintetico l’ordinamento degli studi, gli eventi/seminari e le possibili collaborazioni didattiche (docenza esterna, stage, tesi applicative). ORIENTAMENTO E ASSISTENZA DEGLI STUDENTI • Assistere gli studenti durante tutto il percorso formativo, anche predisponendo e coordinando Servizi di Accoglienza e Servizi di Consulenza. • Curare una migliore comprensione dei manifesti degli studi con riferimento al sistema dei crediti e alle attività formative diverse dai normali corsi di insegnamento. • Fornire informazioni sugli obiettivi e sugli sbocchi occupazionali del Informa corso di studio, svolgendo attività di consulenza, anche attraverso incontri individuali, per la formulazione dei piani di studio (attività didattiche integrative, esperienze professionali, crediti). ASPETTI ORGANIZZATIVI DELLA DIDATTICA • Fornire indicazioni utili ad una eventuale riprogettazione e ridefinizione degli obiettivi formativi del corso di laurea. • Collaborare con il Presidente del corso nella pianificazione delle attività didattiche. • Monitorare periodicamente la dinamica delle risorse disponibili del corso di studio, verificandone l’efficienza e l’efficacia, rispetto agli obiettivi dichiarati. • Coadiuvare e assistere i docenti del corso di laurea, in particolare i docenti extra-accademici, per questioni di gestione operativa che coinvolgono l’amministrazione, gli spazi didattici, la segreteria studenti e in generale le funzioni svolte dai servizi didattici della Facoltà. • Curare i rapporti con i responsabili delle azioni di ateneo: centri linguistici e informatici. • Monitorare e verifica la rispondenza ai requisiti progettuali CampusOne da parte del corso di studio. STAGE E NUOVE ATTIVITÀ FORMATIVE: COLLEGAMENTO CON IL MONDO DEL LAVORO • Collaborare con il Presidente del corso di laurea nella pianificazione e organizzazione delle attività formative introdotte dalla riforma, con particolare riguardo a quelle esterne. • Realizzare, attraverso la collaborazione della struttura di ateneo preposta ai rapporti internazionali, una tempestiva attività di comunicazione relativamente alle occasioni di formazione in campo internazionale. • Fornire utili indicazioni sulle attività integrative che completano la costruzione del percorso formativo. • Curare gli eventuali rapporti con gli enti di formazione, le aziende e le istituzioni interessate a contribuire alle attività formative (tramite l’ufficio Tirocini e Stage). CONTROLLO, QUALITÀ, MONITORAGGIO • Svolgere un controllo delle carriere degli studenti avvalendosi di strumenti informatici, quali semplici sistemi informativi di rilevazione, possibilmente in collaborazione con il Centro di Elaborazione Dati di ateneo e le segreterie studenti. • Individuare situazioni di sofferenza o di scarso rendimento di studenti sulla base di parametri oggettivi (numero esami, voto medio) e proporre eventuali interventi correttivi. progettazione dei corsi e delle modalità di autovalutazione e valutazione degli stessi. QUALI SONO LE COMPETENZE TRASVERSALI CHE TALE FIGURA PROFESSIONALE DEVE POSSEDERE? Essendo il Manager Didattico una figura professionale innovativa in grado di interagire con attori diversi (docenti, amministrativi, studenti) per migliorare il raccordo tra i soggetti interni all’Università e intensificare l’integrazione tra Sistema Universitario e Società, dovrebbe possedere le seguenti capacità: - di relazione e comunicazione interpersonale; - di analisi dei flussi decisionali e dei problemi organizzativi; - di rapido inserimento in contesti lavorativi. Infine, deve sviluppare un buon livello di assertività e continuare a formarsi per migliorare tali abilità. L’ITER FORMATIVO PER ACCEDERE A TALE PROFESSIONE È DEFINITO? Alcuni Atenei hanno attivato dei Master finalizzati alla formazione di tale figura, ma non vi è ancora una chiara definizione dell’iter formativo. In proposito, si rende necessario verificare quanto e in che modo gli Atenei assorbiranno il Progetto CampusOne e le relative indicazioni sul Management Didattico. QUALI PERCORSI SONO DA LEI CONSIGLIATI? Credo che sia molto importante che un Manager Didattico possieda una formazione post lauream soprattutto inerente alle tematiche dell’Orientamento formativo, della ■27 QUADERNI DI Sara Vizin Psicologa ORIENTAMENTO 73 Informa LA SCUOLA PER TUTORI INTERVISTA AL PUBBLICO TUTORE DEI MINORI FRANCESCO MILANESE È NATA IN FRIULI VENEZIA GIULIA LA PRIMA “SCUOLA PER TUTORI LEGALI VOLONTARI PER MINORI ”CHIEDIAMO AL DR. FRANCESCO MILANESE, TUTORE PUBBLICO DEI MINORI DELLA REGIONE DI SPIEGARCI LO SCOPO DELL’INIZIATIVA Uno dei principali compiti assegnati all’ Ufficio del Tutore pubblico dei minori, dalla legge istitutiva, è quello di “individuare e preparare persone disponibili a svolgere attività di tutela e curatela, assicurando la consulenza e il sostegno ai tutori o ai curatori nominati”; (art.21 - L.R.n.49/1993 succ. modifiche L.R.n.16/96). Per tale motivo nel piano delle attività promosse dal mio Istituto di Garanzia per l’anno in corso, è stato inserito il progetto di istituzione di una “Scuola per Tutori Legali Volontari per Minori ”. Ai giorni nostri il compito di tutelare un minore, non corrisponde più al farsi carico dei suoi problemi e sostituirsi a lui, ma mira ad instaurare con lui uno stretto rapporto educativo, per favorire la sua gra- 74 duale crescita, sostenendo lo sviluppo della sua autonomia, per portarlo ad essere egli stesso protagonista un domani dell’esercizio dei suoi diritti. Diviene quindi necessario preparare gli operatori/volontari che si offrono a favore della rappresentazione degli interessi del bambino, esercitando l’azione tutoria, ad un’adeguata cultura dell’infanzia anche per promuovere l’attuazione della legislazione internazionale sulla tutela dei minori, allo scopo di aiutare il bambino ad essere soggetto dei suoi diritti A CHI È RIVOLTA LA SCUOLA E QUALI SONO I REQUISITI PER LA FREQUENZA? I soggetti invitati a svolgere le funzioni di tutela devono per legge essere al di fuori della rete parentale del minore. Ma in primo luogo devono essere, secondo me, persone sensibili, disponibili e fortemente motivate ad assumere la tutela legale di un minore, privo dei genitori o che, pur avendoli, non siano in grado per un periodo più o meno lungo di esercitare, per una pluralità di cause, la potestà sul figlio. Viene inoltre consigliata una certa esperienza nel campo minorile, magari maturata attraverso attività di volontariato. QUANDO E COME VERRÀ REALIZZATA L’ IMPORTANTE INIZIATIVA? DI ORIENTAMENTO Il corso è già stato avviato ai primi di ottobre con una giornata seminariale alla presenza delle Autorità regionali e locali. Successivamente c’è stata la lezione introduttiva dedicata a: I diritti dei minori e responsabilità degli adulti tenuta dal Tutore Pubblico dei Minori. In seguito, la dott.ssa Fabia Melina Bares, docente di diritto minorile all’Università degli studi di Trieste e Udine, coordinatrice del corso di formazione, ha presentato il profilo culturale e didattico del programma formativo. CI PUÒ BREVEMENTE ILLUSTRARE LE CARATTERISTICHE DEL CORSO DI FORMAZIONE? Il progetto che definirei sperimentale, ma che verrà riproposto nei prossimi anni, è realizzato in collaborazione all’Istituto Regionale per gli Studi di Servizio Sociale di Trieste (IRSSES) che vanta notevole esperienza nei processi formativi degli operatori sociali. La presentazione ufficiale del corso si è QUADERNI svolta presso la sala Auditorium dell’Ufficio di rappresentanza della Regione a Udine. All’incontro sono stati invitati i Direttori Generali delle Aziende Sanitarie, i Responsabili del Servizi Sociali dei Comuni. I Segretari Comunali degli Enti Gestori del Servizi Sociali dei Comuni ed associazioni di Volontariato. Sono state invitate anche alcune persone che in anni precedenti avevano seguito un’iniziativa formativa di tutela per i minori, realizzata con l’ANCI. La scuola è stata promossa per mezzo di interviste della Rai e di altre emittenti televisive. È stata proposta anche attraverso: - sito internet dell’ Ufficio del Tutore pubblico dei minori; - sito internet dell’IRSSES; - editoriale dell’ Anci. ■ 27 La scuola,completamente gratuita, è articolata in 200 ore suddivise in una prima parte a carattere teorico (140 ore) con lezioni frontali in classe e lavori per piccoli gruppi; e da una seconda parte con carattere esperienziale (60 ore) dove i corsisti organizzati in Informa ALLA FINE DEL PERCORSO QUALI SARANNO LE RICADUTE NELLA PRATICA QUOTIDIANA? È prevista la definizione di un elenco o “registro” di tutori legali volontari motivati e preparati che verrà messo a disposizione dei Giudici Tutelari o del Tribunale per i minorenni per un eventuale conferimento dell’incarico. Virgilio Tramontin, Alberi, acquaforte. gruppi-classe si muoveranno sul territorio. Le discipline proposte riguardano, per la parte teorica, diritto di famiglia e minorile, organizzazione di servizi, psicologia dell’età evolutiva e della comunicazione. La parte formativa connessa all’esperenzialità porterà i corsisti a conoscere e confrontarsi con alcune tra le più rappresentative realtà educativo/assistenziali e ad incontrare alcuni “ testimoni chiave ” impegnati, a diverso titolo, nella problematica minorile. Inizialmente, ai partecipanti sono stati somministrati alcuni test d’ingresso per ogni disciplina trattata, per capire le loro motivazioni e competenze. Alla fine è previsto un test o colloquio finale per la verifica dell’acquisizione dei contenuti formativi proposti. QUALI SONO LE MODALITÀ DI ISCRIZIONE ALLA SCUOLA PER COLORO CHE FOSSERO INTERESSATI A FREQUENTARE UN CORSO COSÌ INTERESSANTE E SIGNIFICATIVO PER LA TUTELA DEI BAMBINI E ADOLESCENTI IN DIFFICOLTÀ? Quest’anno i soggetti interessati alla formazione si sono iscritti entro la fine del mese dello scorso luglio, compilando una scheda di adesione e sostenendo una preselezione da parte dei Sindaci, unitamente ai responsabili territoriali del Servizio Sociale dei Comuni. Le persone ammesse sono state una quarantina e provengono da tutta la regione. Per facilitare la frequenza anche alle persone che lavorano, il corso è stato concentrato nel fine settimana, il venerdì pomeriggio ed il sabato mattina. Inoltre per agevolare i corsisti provenienti da varie province è stata individuata una sede a Udine. Penso che le stesse modalità verranno riproposte il prossimo anno anche perché è nostra intenzione, con questa iniziativa, avviare una reale e concreta promozione della tutela di bambini ed adolescenti come indicato dalla Convenzione europea sull’esercizio dei diritti del fanciullo approvata a Strasburgo il 25 gennaio 1996 e ratificata dal Parlamento Italiano con legge 20 marzo 2003, n.77. ■27 QUADERNI DI Luigina D’Orlando Psicologa Per informazione rivolgersi a: IRSSES, Via Combi, 13 34143 - Trieste – tel. 040 309968 - fax 040 308952 www.irsses.it ORIENTAMENTO 75 Libri • la recensione Carla Berto, Matteo Cornacchia LO STAFF DEL DIRIGENTE Carocci Faber, 2005 pp.111 € 10,00 La piena realizzazione dell’Autonomia Scolastica prevede che la scuola diventi una realtà dinamica e organizzata in cui, da una parte il dirigente “facilitatore e gestore dell’apprendimento” motivi e coordini il personale della scuola (docente e non) nella transizione dal vecchio al nuovo modello organizzativo, dall’altra che il docente abbandoni l’idea di un insegnamento solitario ed egocentrico per aprirsi al dialogo e alla condivisione di idee e progetti lavorativi all’interno di una dimensione nuova collaborativa-partecipativa, che è quella dello staff. Da ciò si ricava che, la nuova figura del dirigente, risponda all’assunzione di competenze di un elevato spessore che comprendano l’area giuridicoamministrativa e quelle di natura più specificatamente psicologica e didattica. Nello stesso tempo, l’insegnante riconosce l’importanza delle relazioni all’interno dello staff individuando in questo fattore l’elemento basilare per rispondere al bisogno di autorealizzazione e di stima sociale. Inol- 76 tre, affinché si instauri un clima di lavoro piacevole che favorisca produttività e coesione tra i membri, devono necessariamente entrare in campo l’intelligenza sociale e le qualità personali che riconducano al concetto di adultità. Questo libro si rivolge a tutti coloro che si trovano a vivere tale cambiamento e vuole essere un supporto psicologico ma anche una guida sostanzialmente utile a promuovere l’assunzione di atteggiamenti e comportamenti adatti ad un modo nuovo di “fare scuola”. Inoltre, l’esposizione chiara e ordinata dei contenuti salienti, ne permette una lettura vivace, motivando anche il lettore ad una riflessione personale differita nel tempo. Il volume, infatti, individua ed espone i punti critici della tematica che vuole analizzare, organizzando gli elementi chiave o“idee-madri” in schemi sintetici, su cui focalizzare l’attenzione, sia durante la lettura del testo, sia una volta ultimata. Questa modalità risulta essere funzionale per il lettore a livello cognitivo, dato che rende efficace sia la comprensione sia la memorizzazione dei contenuti più importanti. Alla luce dell’importanza metodologica dello “Studio dei Casi,” il testo espone tre storie di accadimenti tipici ovvero “astrazioni verosimili e pertinenti riguardanti situazioni di vita paradigmatiche”. Partendo dalla visione concreta dei problemi, descritti in questi racconti, il lettore comprende in modo corretto le competenze che deve possedere un buon insegnante e nello stesso tempo un buon dirigente, per il superamento dei conflitti e il mantenimento di un clima adeguato e positivo all’interno dello staff. Il volume chiarisce il concetto di “pluriappartenenza”, nel senso che il docente ha il duplice ruolo di insegnare quando è in classe e anche di lavo- QUADERNI DI ORIENTAMENTO ■ 27 rare all’interno dello staff rapportandosi con altri insegnanti. Inoltre si descrivono le linee guida affinché senso di appartenenza, di condivisione, e atteggiamenti collaborativi possano svilupparsi per il raggiungimento degli obiettivi specifici della mission. Risulta essere altrettanto funzionale e utile per la conoscenza e la comprensione della rivoluzione pedagogica avvenuta con l’Autonomia, leggere che i primi germogli in senso “autonomistico” si possono trovare già in un documento programmatico “Il progetto 80” nel quale si sollecitava il decentramento dei poteri decisionali a favore di una valorizzazione delle autonomie locali. Ufficialmente fino alla legge 59/1997, le scuole dovevano solo eseguire le linee programmatiche decise dal provveditorato degli Studi. Esistevano però moltissime realtà che senza un controllo effettivo agivano autonomamente. In altre parole, si è sentita l’esigenza di regolarizzare qualcosa che già avveniva per dare la possibilità alle scuole di progettare e realizzare azioni formative mirate. L’Autonomia Scolastica ha cancellato il vecchio modello gerarchico funzionale, a favore di una nuova cultura organizzativa. Da ciò si evince che la transizione è basata sul passaggio “dalla cultura dell’adempimento a quella del servizio”, e viene da sé che si passi “dal principio del comando al diventare attori responsabili del processo formativo”. Gli autori, analizzando il contesto storico-culturale che ha dato avvio all’Autonomia Scolastica, colgono un filo conduttore tra il presente, il passato e il futuro delle istituzioni scolastiche complesse, dandone una visione globale, anche dal punto di vista storico, del cammino verso l’Autonomia. Sonia Gazzola Libri • la recensione 16. Virgilio Tramontin, Mattino di neve, acquaforte. ■27 QUADERNI DI ORIENTAMENTO 77 Libri • la recensione Leonardo Evangelista PROFESSIONE ORIENTAMENTO UNA GUIDA PER INSERIRSI NEL SETTORE Edizioni Sonda, 2005 pp. 139 € 12,00 Questo libro vuole essere una guida rivolta a quanti desiderano inserirsi nel settore dell’orientamento ed a quanti vi sono già inseriti, ma desiderano comunque migliorare la propria professionalità. Nelle varie sezioni, infatti, si possono ricavare utili indicazioni su cosa occorre conoscere per formarsi e lavorare nel settore. All’inizio, l’autore descrive le caratteristiche e l’aiuto offerto dall’orientamento; passando in rassegna le numerose definizioni (termine, dice, che attualmente ha troppi significati), ne propone una delimitazione rispetto ad altre attività collegate, ma di natura diversa: “fare orientamento significa aiutare le persone (qualunque sia la loro età) ad individuare e costruire percorsi pienamente soddisfacenti in ambito formativo e professionale”. L’orientamento aiuta cioè a fare scelte in ambito formativo e professionale ed a metterle in atto. Ma in cosa consiste l’aiuto dell’orientamento? Nel fornire informazioni orientative, nell’aiutare le persone ad approfondire la 78 conoscenza delle proprie caratteristiche personali, ad operare scelte professionali o formative, nonché a mettere in opera l’obiettivo individuato. Ognuno di questi punti viene approfondito esaurientemente. Questa parte si conclude con un’elencazione dei luoghi in cui vengono svolte attività di orientamento in Italia, come ad esempio scuole, Università, Centri per l’impiego, sportelli aperti al pubblico, agenzie di lavoro interinale. Mette anche in evidenza uno dei possibili rischi dell’orientamento in azienda: le attività di orientamento (la cui caratteristica fondamentale è la centratura sul cliente) possono essere confuse con quelle di gestione delle risorse umane (svolte in azienda o in collegamento con le aziende). Conseguentemente, i risultati dell’attività rimangono al cliente e non possono essere utilizzati per fini che possano penalizzarlo; se questa condizione non è assicurata, non è possibile instaurare quella relazione di aiuto indispensabile per il buon svolgimento delle attività di consulenza orientativa. La seconda parte è dedicata ai principali servizi dell’orientamento, che negli ultimi anni stanno conoscendo un’ampia diffusione ed alle ragioni del loro sviluppo, in Italia. Partendo da una breve storia (il primo Centro di orientamento in Italia risale al 1918), vengono illustrati i motivi del loro sviluppo, dovuto fondamentalmente alla nuova politica europea sull’occupazione, alla riforma dei servizi per l’impiego e alla normativa sull’obbligo formativo e la loro evoluzione; viene presentata inoltre una sistematica classificazione dei servizi di accoglienza ed informazione, di consulenza (bilancio orientativo e counselling orientativo) e di orientamento formativo. QUADERNI DI ORIENTAMENTO ■ 27 Il testo prosegue con una parte dedicata al governo ed alla regolamentazione del settore dell’orientamento, in particolare alle strutture di organizzazione dei servizi e alle normative sull’orientamento in Italia, nonché alle diverse ipotesi di regolamentazione delle figure professionali. L’orientamento sembra essere una disciplina trasversale ai sistemi educativo e produttivo, che rientra nelle competenze sia dello Stato che delle Regioni; nella sua gestione risultano quindi coinvolti soggetti istituzionali diversi (Ministero del Lavoro, Ministero dell’Istruzione e dell’Università, Regioni) e molteplici figure professionali. Tutto ciò tendenzialmente porta ad una difficoltà di gestione del sistema e ad una conseguente necessità di coordinamento dello stesso (si pensi che ogni Regione o Provincia ha normative diverse). In questa sede viene spiegato cosa si è fatto finora e come si stia faticosamente cercando di arrivare ad un coordinamento fra le politiche di tutti i soggetti coinvolti e quali sono gli organismi tecnici di supporto: viene ipotizzata, ad esempio, anche la costituzione di un Centro risorse nazionale per l’orientamento e di Centri risorse regionali (quest’ultimo già presente nella nostra regione dal 2002). Un tema molto dibattuto è quello delle figure professionali dell’orientamento: se cioè esistano effettivamente figure “esclusive” per l’orientamento o se le attività di orientamento sono o debbano essere un’aggiunta alle attività di figure professionali già esistenti. Un altro tema collegato è quello dei requisiti minimi di legge per svolgere attività di orientamento, e di come questi requisiti vadano verificati. In questa terza parte del volume sono presentate le ipotesi più ac- Libri • la recensione Virgilio Tramontin, dal ciclo “Ortolani di laguna”, acquaforte. creditate (anche se in alcuni casi molto distanti tra loro), nonché i percorsi di accesso alla professione per quanto concerne la situazione attuale ed i possibili sviluppi futuri. L’ultima parte chiarisce alcuni percorsi inerenti la formazione necessaria per lavorare nel settore, come abilitarsi (si è in attesa di una regolamentazione di legge delle figure professionali), con chi e come avviare attività di collaborazione, quali regole seguire nello svol- gimento della propria attività e come inquadrarla fiscalmente; oggi, tre sono le possibilità: prestazione occasionale; lavori a progetto; attività libero professionale con partita IVA. Poiché il settore dell’orientamento in Italia è in rapido cambiamento, l’autore precisa che le indicazioni contenute in questo capitolo sono soggette ad aggiornamenti continui. Si parte da alcuni cenni di deontologia professionale, per passare poi ad una dettagliata descri- ■27 QUADERNI DI zione di quali siano i possibili e potenziali committenti delle attività di orientamento; segue una nutrita serie di strategie per formarsi ed inserirsi nel settore, acquisire competenze e muoversi per cercare questo tipo di lavoro. Rossanna Tami ORIENTAMENTO 79 La distribuzione della rivista semestrale “Quaderni di Orientamento”, è gratuita per operatori scolastici e di orientamento della regione Friuli-Venezia Giulia previa richiesta scritta all’Ufficio di coordinamento della Struttura regionale di orientamento. Nel caso il materiale fosse disponibile, potrebbero essere prese in considerazione anche richieste provenienti da Strutture pubbliche di orientamento, operanti sul territorio nazionale. La rivista è comunque disponibile in formato elettronico PDF, all’interno delle pagine Internet della Struttura di orientamento della regione Friuli-Venezia Giulia, al seguente indirizzo: www.regione.fvg.it Selezionare la voce tematica ORIENTAMENTO. Per nuovi abbonamenti, richieste di numeri arretrati, o cambiamento di indirizzo, si prega di utilizzare l’apposito form, disponibile nella sezione “Materiale e guide” del suddetto sito, oppure di compilare la seguente richiesta (da inoltrarsi via fax). Al SERVIZIO DI ORIENTAMENTO Scala dei Cappuccini, 1 – 34131 Trieste Fax 040 3772856 Rivista “Quaderni di Orientamento” (nuovo abbonamento) Rivista “Quaderni di Orientamento” (cambio di indirizzo) Eventuali numeri arretrati (se disponibili) Nome Cognome Scuola/Ente Indirizzo Personale Scuola/Ente Cap Città Provincia Telefono NB: Barrare l’indirizzo prescelto. 80 QUADERNI DI ORIENTAMENTO ■ 27