anno 19 | numero 10 | 13 MARZO 2013 |  2,00
Poste italiane spa - spedizione in a. p. D.L. 353/03 (conv. L. 46/04) art. 1 comma 1, NE/VR
settimanale diretto da luigi amicone
La Lombardia
(almeno) c’è
Mentre a Roma inseguono i guru Grillo e Casaleggio,
a Milano il governo Maroni è già in rampa di lancio
EDITORIALI
UN GOVERNO (LIMITATO) DI SICUREZZA NAZIONALE
Gli impegni che devono assumersi
i partiti prima di tornare a votare
C’
è un governo, il governo Monti. E non ce ne sarà un altro finché i tanto dileggiati
partiti (che, non dimentichiamolo mai, sono la condizione senza la quale non
esistono più una repubblica e una democrazia) non si assumeranno il peso e la
responsabilità di formare uno nuovo esecutivo di sicurezza nazionale. Un governo che
riformi la legge elettorale. Garantisca una certa stabilità e coordinamento dei poteri dello Stato davanti alle emergenze “à la carte” (fabbriche che chiudono, ordine pubblico,
impegni finanziari, aste di Bot e Cct, Europa, politica estera eccetera). E faccia quel paio
di cosucce (taglio dei parlamentari e nuove regole di finanziamento della politica) che
il populismo mediatico-giudiziario ha imposto in agenda. Fatte queste cose (compresa
l’elezione del nuovo presidente della Repubblica, ma anche no, Napolitano potrebbe rimanere fino allo sbroglio della folle matassa), tutti a casa e nuove elezioni. In una data (massimo autunno 2013) che sarebbe bene i partiti fissassero nello stesso documento
programmatico in cui si dovrebbe annunciare agli italiani che una maggioranza parlamentare trasversale di legittimi rappresentanti del popolo guiderà il paese per un limitato e preciso periodo. Questo è tutto. E così andrà a finire se a Roma non vorranno incartarsi. E, per viltà, codineria, stupidità, farsi possedere dagli ingrillati. Quanto ai vari
Curzio Maltese, non scolaretti che fanno “oooh!”, ma gente che scrive da quarant’anni, di Quanto ai COLLEGHI di belle
belle carriere e di bel pelo lungo che adesso licarriere che adesso lisciaNO
scia il pelo ai grillini (vedi Repubblica del 5
il pelo ai grillini, speriamo
marzo), speriamo di dover ricordardi dover ricordarne solo
ne, da qui a un mese, solo il tratto
tipico dell’opportunismo d’antan.
il tratto DELL’opportunisMO
RATZINGER E «LA MINACCIA PIÙ SERIA» PER LA DEMOCRAZIA
«Attenti a chi non sa fare amicizia
con l’imperfezione delle cose umane»
C
aro direttore, i risultati elettorali e la grottesca rincorsa a Grillo stanno rendendo
balbettanti intellettuali e commentatori di grandi testate. Per schiarirsi le idee,
sarebbe utile che riflettessero su queste considerazioni (del 1986) di J. Ratzinger.
Alla domanda, che si pone, «che cosa minaccia oggi la democrazia?» risponde: «C’è innanzitutto la incapacità di fare amicizia con l’imperfezione delle cose umane: il desiderio di assoluto nella storia è il nemico del bene che è nella storia. L’idea che la storia
passata sia stata una storia di non libertà si afferma sempre di più; e che finalmente ora,
o tra poco, si potrà o si dovrà costituire la società giusta. (…) Io penso che noi oggi dobbiamo con ogni decisione chiarirci che né la ragione né la fede promettono, a nessuno
di noi, che un giorno ci sarà un mondo perfetto. Esso non esiste. La sua continua aspettativa, il gioco con la sua possibilità e prossimità, è la minaccia più seria che incombe
sulla nostra politica e sulla nostra società, perché di qui insorge fatalmente l’onirismo
anarchico. Per la consistenza futura della democrazia pluralistica e per lo sviluppo di
una misura umanamente possibile è necessario riapprendere il coraggio di ammettere
l’imperfezione ed il continuo stato di pericolo delle cose umane. Sono morali solo quei
programmi politici che suscitano questo coraggio. Immorale è al contrario quell’apparente moralismo che mira ad accontentarsi
«Immorale è IL moralismo solo del perfetto. Sarà quindi necessario anche un esame di coscienza nella predicazioche SI accontenta solo
ne morale della Chiesa o vicina alla Chiesa,
del perfetto. IL Desiderio
le cui ipertese esigenze e speranze spingono
di assoluto NELLA STORIA
alla fuga dal piano morale a quello utopico».
È nemico del Bene che c’è»
Nicola Guiso
FOGLIETTO
Il buco burocratico.
Così risorse e appalti
si perdono nei cassetti
dei funzionari pubblici.
Più efficienza, grazie
M
illequattrocento e venti. Chi
avrà l’onere di governare –
non si sa ancora chi – non
potrà ignorare questi due numeri. Di
che si tratta? Da tempo il mondo delle
imprese, soprattutto quelle impegnate
per le grandi opere, reclama criteri di
certezza nei rapporti con i fornitori e/o
i subappaltatori: per non trovarsi coinvolte in tentativi di penetrazione mafiosa negli appalti, e comunque per sapere
di chi fidarsi. Con non poca fatica la
legislatura che si è chiusa ha introdotto
un sistema di white e di black list: poco
organico, ma meglio di nulla. Peccato
che non funziona; per esempio, per la
ricostruzione nei comuni colpiti dal terremoto in Emilia finora l’iscrizione nelle
white list è stata riconosciuta solo a
20 imprese, a fronte di 1.400 richieste.
E non perché le altre 1.380 siano della
’ndrangheta, ma perché la burocrazia
non adempie a quanto le compete:
circolari tardive e confuse, uffici non
formati né attrezzati, personale ridotto
dove è necessario e sovrabbondante
dove c’è poco da fare, sono alcuni degli
ingredienti del fallimento. Vogliamo
parlare dell’utilizzo delle risorse per le
infrastrutture? Nessuno prima del voto
si è chiesto per quale ragione dei 358
milioni di euro stanziati nel 2010 per la
realizzazione del primo piano stralcio
riguardante gli edifici scolastici ne siano
stati erogati appena 27. Adesso però
dovrebbe diventare prioritario per il
governo – di qualsiasi colore sia – dare
alla burocrazia un assetto di efficienza,
che individui non persone che facciano
i servi dei politici, ma funzionari preparati, in grado di assumere le responsabilità che loro competono e di garantire
l’applicazione delle scelte del parlamento e delle assemblee regionali. Giusto
per non vivere il paradosso di cercare
nuove risorse, magari con manovre
aggiuntive, e non provare a utilizzare
quelle che sono disponibili, e da anni.
Alfredo Mantovano
|
| 13 marzo 2013 |
3
SOMMARIO
06 PRIMALINEA TUTTA LA VERITÀ SU UNA GUERRA SPIETATA | CASADEI
NUMERO
anno 19 | numero 10 | 13 marZo 2013 |  2,00
Poste italiane spa - spedizione in a. p. d.l. 353/03 (conv. l. 46/04) art. 1 comma 1, ne/Vr
settimanale diretto da luigi amicone
10
La Lombardia
(almeno) c’è
Mentre a Roma inseguono i guru Grillo e Casaleggio,
a Milano il governo Maroni è già in rampa di lancio
Mentre a Roma inseguono
i guru Grillo e Casaleggio,
a Milano il governo Maroni
è già in rampa di lancio
LA SETTIMANA
14 INTERNI IL PROGETTO DI UNO STRANO LEGHISTA | AMICONE
Foglietto
Alfredo Mantovano...........3
Solo per i vostri occhi
Lodovico Festa........................ 13
Le nuove lettere di
Berlicche................................................33
Presa d’aria
Paolo Togni.................................... 40
Mamma Oca
Annalena Valenti................41
Post Apocalypto
Aldo Trento.................................. 46
20 INTERVISTA IL PERSEGUITATO
BLACK | FERRARESI
Sport über alles
Fred Perri.......................................... 48
Cartolina dal Paradiso
Pippo Corigliano................. 49
Diario
Marina Corradi......................50
RUBRICHE
28 CULTURA NOVECENTO | BONA CASTELLOTTI
34 CHIESA AGENDA BXVI | CASOTTO, PRIGNANO
Stili di vita.......................................... 40
Per Piacere........................................ 43
Mobilità 2000............................45
Lettere al direttore.......... 48
Foto: Ansa; Contrasto/Eyevine
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
settimanale di cronaca, giudizio,
libera circolazione di idee
Anno 19 – N. 10 dal 7 al 13 marzo 2013
DIRETTORE RESPONSABILE:
LUIGI AMICONE
REDAZIONE: Emanuele Boffi, Laura Borselli,
Mariapia Bruno, Rodolfo Casadei (inviato
speciale), Benedetta Frigerio, Massimo Giardina,
Caterina Giojelli, Daniele Guarneri, Elisabetta Longo,
Pietro Piccinini, Chiara Rizzo, Chiara Sirianni
SEGRETERIA DI REDAZIONE:
Elisabetta Iuliano
DIRETTORE EDITORIALE: Samuele Sanvito
PROGETTO GRAFICO:
Enrico Bagnoli, Francesco Camagna
UFFICIO GRAFICO:
Matteo Cattaneo (Art Director), Davide Viganò
IN COPERTINA: Foto Emmevi/Milestone
FOTOLITO E STAMPA: Roto2000 S.p.A., Via L. da Vinci, 18/20, Casarile (MI)
DISTRIBUZIONE a cura della Press Di Srl
GESTIONE ABBONAMENTI:
Tempi, Corso Sempione 4 • 20154 Milano, dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 13
tel. 02/31923730, fax 02/34538074
[email protected]
EDITORE: Tempi Società Cooperativa, Corso Sempione 4, Milano
La testata fruisce dei contributi statali diretti di cui
alla legge 7 agosto 1990, n. 250
SEDE REDAZIONE: Corso Sempione 4, Milano, tel.
02/31923727, fax 02/34538074, [email protected], www.tempi.it
CONCESSIONARIA PER LA PUBBLICITà:
Editoriale Tempi Duri Srl
tel. 02/3192371, fax 02/31923799
GARANZIA DI RISERVATEZZA
PER GLI ABBONATI: L’Editore garantisce la massima
riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione scrivendo a: Tempi Società Cooperativa, Corso
Sempione, 4 20154 Milano. Le informazioni custodite
nell’archivio elettronico di Tempi Società Cooperativa
verranno utilizzate al solo scopo di inviare agli abbonati
la testata e gli allegati, anche pubblicitari, di interesse
pubblico (D.LEG. 196/2003 tutela dati personali).
Negli ultimi mesi i cecchini,
appartenenti a qualcuno dei
numerosi gruppi antigovernativi
che si sono infiltrati nel campo
profughi alle porte di Damasco,
hanno cominciato a sparare
anche a donne e bambini.
In poche settimane quattro
ragazzini sono morti, falciati
da armi di precisione, e altri
trenta minorenni sono rimasti
feriti nello stesso modo
(foto: AP/LaPresse)
reportage
|
DA DAMASCO RODOLFO CASADEI
I nemici
della Siria
Con la pretesa ipocrita di separare i “buoni” dai
“cattivi” i paesi alleati dei rivoluzionari sono solo
un altro ostacolo alla pace. I cecchini dei ribelli che
sparano su donne e bambini non sono meno crudeli
dei bombardamenti a pioggia del regime di Assad.
Tutta la verità su una guerra sempre più spietata
|
| 13 marzo 2013 |
7
8
| 13 marzo 2013 |
|
pagni per imboccare la strada verso casa
sua, lasciandosi sulla destra il checkpoint
dell’esercito. Sono partiti una serie di
colpi dall’arma di un cecchino nascosto da qualche parte frontalmente a lui.
Tre lo hanno trafitto all’addome. Miracolosamente è sopravvissuto, e ora cerca di riprendersi nel reparto di chirurgia dell’ospedale Mushthaid di Damasco. Omar racconta che negli ultimi tre
mesi i cecchini, appartenenti a qualcuno
dei numerosi gruppi antigovernativi che
si sono infiltrati nel campo (i campi pro-
fughi palestinesi in Siria sono veri e propri quartieri urbani), hanno cominciato
a sparare anche alle donne e ai bambini.
Omar ha perso in poche settimane quattro amici, suoi coetanei, falciati da armi
di precisione, mentre altri 30 minorenni sono rimasti feriti nello stesso modo.
Fra loro anche un bambino di 9 anni al
quale i medici hanno dovuto amputare una gamba. «All’inizio sparavano solo
agli uomini, poi hanno cominciato a tirare anche alle donne e ai ragazzi», racconta. Luminosi occhi neri, labbra tumide
Foto: AP/LaPresse
N
il suo vero
nome, né mostrarvi il suo
volto incantevole. Perché
troppa pubblicità sulla
sua storia attirerebbe l’attenzione dei ribelli, alcuni dei quali sicuramente minaccerebbero di morte lui e la sua famiglia. Omar,
chiamiamolo così, è un ragazzo palestinese di 15 anni del campo profughi di Yarmuk, alle porte di Damasco. Un pomeriggio tornava dalla moschea dopo la preghiera, si è separato dal gruppo dei comon possiamo dirvi
REPORTAGE PRIMALINEA
La popolazione siriana è
innanzitutto esausta dopo
venti mesi di combattimenti
che hanno prodotto lutti,
distruzioni, 800 mila profughi
all’estero e 2 milioni di sfollati
interni. Accetterebbe
qualunque cosa pur di tornare
a vivere normalmente
Foto: AP/LaPresse
crimine contro l’umanità, “cecchinare”
ripetutamente donne e bambini solo perché risiedono nella parte “sbagliata” del
quartiere, che cos’è?
ancor più grandi per contrasto a un corpo
dagli arti lunghi e sottili, una grazia quasi femminea, Omar sembra l’incarnazione della delicatezza e della bellezza che
non abbandonano l’umanità nemmeno
nell’ora dei crimini più atroci.
Il suo volto e la sua storia ci sono
venuti in mente settimana scorsa, quando abbiamo letto il comunicato stampa trionfalistico con cui la Farnesina ha
dato conto dei risultati della riunione a
Roma dei cosiddetti “Amici della Siria”,
che sarebbero poi i paesi che appoggiano,
alcuni politicamente e altri anche militarmente, i ribelli della Coalizione nazionale siriana. Fra le dichiarazioni che i
ministri degli Esteri degli undici paesi
partecipanti hanno sottoscritto, c’è quella
secondo cui «Il regime deve porre un termine immediato ai bombardamenti indiscriminati contro le aree popolate perché si tratta di crimini contro l’umanità e
non possono rimanere impuniti». Se sparare colpi di artiglieria contro quartieri
infestati di ribelli senza preoccuparsi della presenza dei civili che li abitano è un
Mentire sulla fede per vivere
Le atrocità nella guerra civile siriana non
stanno tutte da una parte sola. Cercare di
farlo credere da parte del nostro e di altri
governi equivale a manipolare l’opinione
pubblica e a offendere l’intelligenza dei
cittadini. Fatti come il massacro di donne
e bambini a Houla da parte di forze paramilitari, l’eccidio di persone in fila al forno di Hama, l’arresto e la detenzione in
condizioni tremende di migliaia di oppositori veri o presunti, l’uso dell’artiglieria, dei cacciabombardieri e di missili terra-terra in condizioni nelle quali la sicurezza dei civili presenti nelle aree interessate dalle operazioni militari non viene presa minimamente in considerazione, sono atti e decisioni che pesano come
macigni sulla coscienza e sulla credibilità delle forze governative. Ma immaginare che dall’altra parte della barricata viga
un grande senso di umanità, è la fantasia
di qualcuno che o ci è, o ci fa. In Occidente ha avuto molta eco il filmato in cui si
vedono soldati dell’esercito siriano tagliare le orecchie ai cadaveri dei ribelli caduti
in combattimento e mostrarle a una telecamera; meno nota è la storia di una battaglia nella regione dell’Idlib, terminata
con la cattura di alcune decine di soldati da parte di ribelli salafiti; questi ultimi,
prima di passare i loro prigionieri per le
armi, hanno provveduto a mozzare loro
le orecchie da vivi. In questo momento
all’ospedale di Qamishli, nel nord-est della Siria, sono ricoverati soldati che hanno
avuto la vita risparmiata dopo essere stati catturati dai ribelli, i quali però prima
di liberarli hanno inflitto loro crudeli tormenti: hanno tagliato dita delle mani e
orecchie, perché non siano più in grado
di combattere.
|
| 13 marzo 2013 |
9
10
| 13 marzo 2013 |
|
mani sunniti, come i loro aguzzini. Dopo
tre minuti di suppliche il combattente scarica il suo kalashnikov sui prigionieri sdraiati, e non si sentono più voci. Naturalmente si possono trovare anche filmati di
forze pro regime che compiono atti di brutalità simili. La verità essendo che la guerra in Siria diventa ogni giorno più spietata
e gli uomini sempre più crudeli.
Attentati e rapimenti
La parzialità di fronte ai crimini di guerra e alle sofferenze dei civili non è l’unica cosa da rimproverare agli “Amici della
Siria”. Una dichiarazione come quella rilasciata a Roma da Moaz al-Khatib, il presidente della Coalizione nazionale siriana,
non può essere passata sotto un silenzio
complice: «Guardate al sangue dei bambini siriani, che ora è mescolato al pane
dei forni bombardati, invece che alla lunghezza della barba dei combattenti ribelli». Il problema che al-Khatib snobba eccessivamente sono le cattive abitudini dei
«combattenti dalla barba lunga». I quali
non si limitano a passare per le armi i prigionieri disarmati. Ma si ingegnano di far
esplodere autobombe in zone densamente abitate, addirittura col rinforzo di una
seconda autobomba destinata a rendere più raccapricciante la strage, che giunge sul luogo della prima esplosione quando si è raccolto un assembramento di soccorritori: è quello che è successo a Jaramana (novembre 2012, 50 morti) e che non
è successo per un soffio a Damasco il 21
febbraio scorso (52 morti comunque). E si
dedicano pure a rapimenti effettuati sulla base della fede religiosa, sequestrando
sacerdoti cristiani e altro personale ecclesiastico per il cui rilascio pretendono poi
esosi riscatti. Le parole di al-Khatib non
sono quelle di un leader all’altezza della
situazione: possono scivolare come acqua
sui sassi alle orecchie degli occidentali,
ma sono causa di sconforto e prostrazione per una quota importante della popolazione siriana, che conosce sulla propria
pelle quotidianamente le controindicazioni del contatto con le milizie jihadiste e
salafite, non compensate a sufficienza dalle distribuzioni gratuite di alimenti per
accattivarsi la simpatia popolare. E nemmeno dal pagamento di veri e propri stipendi ai siriani che si arruolano a combattere con loro (non ce lo inventiamo noi, lo
ammette persino al-Arabiya, tivù saudita
che fa il tifo per i ribelli).
Foto: AP/LaPresse
Chi avesse letto il reportage che Le
Monde dedicò qualche tempo fa alla presa
dell’accademia militare di Aleppo da parte dei ribelli, troverà senz’altro la cronaca
della disintegrazione confessionale e settaria dell’iniziale unità fra ufficiali e cadetti, provenienti da tutte le etnie e religioni della Siria, man mano che l’esito infausto dell’assedio si approssimava. Ma troverà anche la storia dei genitori e parenti di
un ribelle caduto nell’assalto che si recano
in auto al campo dei soldati fatti prigionieri, si fanno consegnare un cadetto alawita scelto a caso e lo trasportano legato
dentro al bagagliaio della loro auto. Giunti a casa lo estraggono dal vano e, per compiere la loro vendetta, a turno sparano sul
loro ostaggio inerme, finchè muore. Molte
immagini di prigionieri delle forze armate siriane uccisi a sangue freddo dai ribelli, in particolare da quelli di Jasbat Nusra
ma non solo, si trovano in video caricati
su Youtube. Per esempio nel video intitolato “Syria: Jihadists torture, kill prisoners
in Ras Al Ayn” si vede un guerrigliero che
tiene sotto la minaccia della sua arma dieci uomini sdraiati ventre a terra, fra i quali
dei feriti. Alcuni di essi implorano di aver
salva la vita dichiarando di essere musul-
REPORTAGE PRIMALINEA
Foto: AP/LaPresse
A sinistra, in grande,
militari dell’esercito
regolare siriano.
In piccolo la città di Deir
Ez Zor completamente
distrutta. A scopo
di bottino sono stati
trafugati tutti gli arredi
sacri delle chiese della città
ma a partito unico che per
cinquant’anni ha retto il
paese e che ha alimentato l’immunità di pubblici ufficiali civili e militari
che hanno abusato del loro
potere incontrastato; può
contare anche sul fatto che
il 60 per cento dei siriani
è costituito da musulmani sunniti arabi, mentre la
presidenza della repubblica, gli alti gradi delle forze
armate e i gangli chiave dei
servizi di sicurezza sono
appannaggio della minoranza alawita (l’11 per cento della popolazione).
Ma quest’ultimo argoPUNTARE SULLA VITTORIA MILITARE
mento
conta solo fino a un
DEI RIBELLI, ALLEATI CON GRUPPI
certo punto ed è a doppio
JIHADISTI, COME FANNO GLI “AMICI
taglio. Conta solo fino a un
DELLA SIRIA” è PURA INCOSCIENZA,
certo punto perché il regiOPPURE VERO E PROPRIO CINISMO
me ha sì collocato esponenti alawiti in posizione egeQui si introduce un altro tema deli- monica nelle forze armate e nei servizi di
cato e poco compreso, quello delle lealtà sicurezza, ma in tutti gli altri ruoli della
politiche dei siriani. I risultati delle elezio- funzione pubblica ha praticato una polini organizzate in passato dal regime sono tica di unità nazionale che fa sì che inseevidentemente inattendibili: nessuno può gnanti, impiegati statali, addetti alla sanicredere che Bashar el-Assad goda del 97 tà pubblica, eccetera, provengano da tutte
per cento dei consensi, come attestaro- le religioni ed etnie del paese senza discrino le elezioni presidenziali del 2007. Ma minazione alcuna; delle riforme liberiche oggi la maggioranza dei siriani gli sia ste dell’economia attuate dopo il 2000 da
contraria, è tutto da dimostrare. La popo- Bashar el-Assad, subentrato al padre Hafez,
lazione è innanzitutto esausta, dopo ven- hanno beneficiato soprattutto i ceti urbati mesi di combattimenti che hanno pro- ni commerciali e imprenditoriali, entro i
dotto lutti, distruzioni, 800 mila profughi quali i sunniti sono ampiamente rappreall’estero e 2 milioni di sfollati interni. In sentati. Non è un caso che nei centri goverun certo senso, accetterebbe qualunque nativi per l’assistenza ai profughi che fugsoluzione pur di tornare a vivere normal- gono i combattimenti i sunniti siano parmente. Se fosse chiamata alle urne doma- ticolarmente numerosi.
ni mattina probabilmente si spaccherebÈ a doppio taglio perché il revanscibe a metà, ma concedendo ancora un leg- smo sunnita che molti percepiscono nelgero vantaggio al presidente uscente. L’op- la Coalizione nazionale siriana – che pure
posizione può contare su tutti coloro che si presenta come un fronte di unità naziohanno patito ingiustizie a causa del siste- nale – e che appare in filigrana nei pro-
grammi di Fratelli Musulmani, salafiti e
jihadisti avversari dell’attuale governo,
è forse il più potente fattore di coesione
del fronte filo-governativo. Alawiti e sciiti (insieme il 13 per cento della popolazione) combattono spalle al muro, nella
certezza che in caso di sconfitta per loro
non ci sarà alcuna pietà; cristiani e drusi (un altro 13 per cento della popolazione) meditano la fuga dal paese, temendo
che un nuovo governo di tendenza più
o meno islamista non garantirà loro la
dignità e il rispetto di cui finora hanno
goduto; i curdi (9 per cento della popolazione) sia in caso di sopravvivenza del
regime sia della sua caduta non accetteranno un sistema in cui la loro autonomia non sia finalmente riconosciuta.
Dove inizia la salvezza
In una situazione del genere, puntare sulla vittoria militare della Coalizione nazionale siriana che non può avvenire senza
l’indispensabile supporto dei combattenti jihadisti internazionalisti come soluzione alla crisi, come stanno facendo
gli “Amici della Siria”, è pura incoscienza, oppure è cinismo travestito di ideali democratici. La salvezza per la Siria sta
soltanto in un vero negoziato fra le parti, e questo può avvenire solo riprendendo i tentativi di mediazione che in passato sono stati condotti da Kofi Annan e da
Lakhdar Brahimi. Bisogna convincere la
Coalizione nazionale siriana a rinunciare
alla sua richiesta che il presidente Assad
non si presenti alle elezioni previste per
il 2014 e convincere il presidente Assad
ad accettare che le elezioni siano organizzate e supervisionate dalla comunità
internazionale. Ma prima di tutto questo,
è necessaria e indispensabile una tregua
che permetta ai siriani di ritornare a sperare e a vivere secondo un sembiante di
normalità. Solo un po’ di pace adesso può
permettere di sperare in una pace reale a
medio termine. n
|
| 13 marzo 2013 |
11
SOLO PER
I VOSTRI OCCHI
di Lodovico Festa
L
non è tanto economica COME FERMARE LA DISGREGAZIONE
quanto crisi dello Stato ed è esplosiva
a causa degli instabili equilibri internazionali: politici (per le difficoltà dell’amministrazione Obama e per la fragilità del governo Merkel in vista del voto di settembre)
e finanziari (non vi è una chiara rotta per affrontare elementi centrali dell’assetto economico globale: dal quadro valutario alle regole
sulla finanza). Da qui le tendenze a voler semplificare la governance dell’Italia.
Crisi dello Stato e incertezza internazionale si intrecciano poi con un malessere sociale che al di là delle cause materiali è cresciuto perché il “governo tecnico” ha fatto
sentire privi di rappresentanza interi settori della popolazione. Inoltre la disgregazione
za di forze politiche adeguate è uno dei grandi buchi neri della
della società di cui è espressione Beppe GrilSeconda Repubblica, determinato innanzitutto da ampi settori
lo è spesso usata come arma da vari sistemi di
dell’establishment pur di orientamento conservatore che per arinfluenza nazionali e stranieri per proteggeticolati motivi e interessi si sono sottratti dall’esercitare una funre i propri ambiti di potere: la polemica conzione nazionale se non quando potevano godere di un potere
tro la casta, ad esempio, è stata concretamenche si sottraesse al vaglio democratico. Responsabili della crisi sote ispirata dai settori dell’establishment che,
no anche le residue forze costituenti di sinistra ancora influenti
dopo avere appoggiato il fallimentare goversu scala nazionale, eredi di Pci e dossettismo, che hanno disertano Prodi, cercarono una via per coprirsi la rito dall’onere di rivedere un patto costituzionale ormai inadeguatirata. Il sovversivismo delle
SUPERARE l’emergenza, to, per mantenere le proprie posizioni di rendita.
classi dirigenti di cui scriveva Antonio Gramsci è ancoricostruire IL PAESE
ra modo diffuso di funzioe consolidare un Le colpe dei moderati
nare della nostra società.
centrodestra che sia E certo vi sono forti responsabilità del centrodestra, dove l’idea
Naturalmente elemendi una discussione istituzionale è stata sostanzialmente ricomunità politica e stessa
to della crisi è anche l’inamossa. L’esigenza di reggere l’aggressione mediatico-giudiziaria
non solo moltitudine semplificando al massimo i messaggi corrispondeva alle capacideguatezza del centrodeE propaganda. non tà di Berlusconi ed è diventata inevitabile quando chi era dotastra, al di là dell’incredibile
esiste via di uscita to di una cultura politica più raffinata non è stato capace di offricapacità di Silvio Berlusconi di capire parti essenziali
se non si CONIUGANO re un’alternativa. Forse solo Giulio Tremonti per una fase, con un
dell’elettorato. Comunque
questi tre fattori ponte fra movimentismo leghista e berlusconiano, ha cercato di
non è illegittimo distinguecostruire un’ipotesi di riformismo conservatore articolata, ma poi
re chi resiste sia pure in modo goffo, con troppi interessi perso- ha ceduto alla corte degli ambienti elitistici che lo volevano utinali e comportamenti disdicevoli, da chi nella disgregazione si lizzare in funzione antiberlusconiana e si è perso in una sorta di
tuffa per difendere il proprio particulare.
autismo. Per il resto, a parte poche eccezioni, alla semplificazioIn questo quadro i problemi sono tre: sopravvivere all’emer- ne berlusconiana si sono solo contrapposte le miserie di certe nogenza, ricostruire lo Stato (e insieme un’Unione Europea non menklature ex Dc ed ex Msi, l’idea bislacca di partiti come puri
bottegaia) e consolidare un centrodestra che sia comunità poli- comitati elettorali, i movimentismi mitomaniaci ispirati alla putica e non solo moltitudine intorno a una propaganda. E non esi- rezza liberista, i pasticci del mondo produttivo egemonizzato dal
ste oggi via di uscita se non si tengono insieme questi tre fattori. montepaschismo del sistema bancario. Tutto ciò è arrivato al caNon è possibile affrontare la riforma dello Stato se non si gover- polinea con l’ultima galoppata berlusconiana, in parte inevitabina l’emergenza: ma le basi sociali per affrontare l’emergenza si le per le ultime meschinità casiniane e la vanesia arroganza di Mapossono organizzare solo se ai cittadini si offre un serio orizzon- rio Monti, che ha tenuto aperto ancora uno spiraglio politico ma
te alla loro partecipazione nella conduzione della cosa comune.
è insidiata dalla definitiva disgregazione della società. Questo è lo
E la costruzione di forze politiche capaci di collegare socie- scenario che ci sta di fronte: lo deve avere ben presente chi si astà e politica anche in un sistema maggioritario – come probabil- sume responsabilità politiche in prima persona. Mentre chi vuole
mente resterà quello italiano perché le grandi nazioni si possono limitarsi a contribuire a una responsabile ricostruzione dello Stagovernare democraticamente solo con sistemi binari – diventa to e alla gestione dell’emergenza, dovrebbe svolgere innanzitutto
tanto importante quanto l’affrontare l’emergenza e porsi l’obiet- un ruolo da background culturale per un’area moderata-consertivo di una ricostruzione dello Stato. In questo senso la mancan- vatrice così fragile rispetto all’esorbitante egemonia della sinistra.
a crisi italiana
Non si esce dalla crisi
dello Stato senza un saldo
pilastro conservatore
|
| 13 marzo 2013 |
13
INTERNI
COPERTINA
L’arcitaliano
lumbard
Nessun settarismo. Assetto istituzionale. Vera apertura
agli alleati (e forse qualcosa di più). Da via Bellerio
s’avanza uno strano leghista. Con un progetto per
«una nuova Italia e una nuova Europa» a partire dal
Nord. Così Roberto Maroni comincia a fare sul serio
|
14
| 13 marzo 2013 |
DI LUIGI AMICONE
| Foto: Ansa
|
| 13 marzo 2013 |
15
INTERNI COPERTINA
P
«E ragazzi, non
voglio lazzaroni. Altrimenti
la porta è quella». Venerdì
1 marzo, nella sede leghista
di via Bellerio, Milano, del
venerdì di magro non rimane niente. Festa grande nella sala riunioni.
Seguirà, domenica 3, l’happening sotto lo
skyline di corso Como. Con tanto di palco
rockettaro in piazza XXV Aprile e bandiere crociate in rosso mescolate alle azzurre
Pdl. Ma intanto nella roccaforte padana,
venerdì 1 erano tutti in grisaglia, giacca
e cravatta col verde ormai meticciato nei
variegati colori del nuovo partito sognato dal neo governatore della Lombardia.
Non più ideologico-etnicista. Da riti del Po
e barbe celtiche. La prima avvisaglia della compagine interclassista, modello Csu
bavarese, si coglie qui. Tra quella che sembra essere una compagnia convenuta per
festeggiare un tale col pulloverino a girocollo. Un tale che innalza il calice allo
spritz e taglia la torta col ritratto del vincitore in glassa. Non si sposa nessuno. C’è
solo il raduno degli eletti. E quando Bobo
Maroni impugna il microfono come una
rivoltella spianata davanti all’uditorio dei
promossi nelle liste regionali, Camera e
Senato, scatta l’ovazione liberatoria.
Quanto è lontana Milano dal teatro
dello psicodramma nazionale in cui si
tenta di trovare un governo inseguendo il
famoso comico e il suo guru Casaleggio.
Ma se a Roma devono fare i conti con una
marea di stelline che puntano al “cambiamento del mondo”, chi avrebbe mai detto che, proprio sul crinale storico-elettorale più basso per la Lega, il suo segretario
federale si prendesse la Lombardia e, da
Torino a Trieste, unisse sotto lo scettro verde un territorio che vale il 50 per cento del
Pil nazionale? Chi poteva immaginare che
17 anni di governo di centrodestra potessero sopravvivere, e bene, mantenendo alla
debita distanza di quasi cinque punti percentuali centrosinistra e grillini (che in
16
ronti, via.
| 13 marzo 2013 |
|
«RISPETTIAMO I TEMPI DI LEGGE, MA siamo ANCHE di rito
ambrosiano, Perciò il giorno dopo la mia proclamazione
i lombardi conosceranno tutti i nomi degli assessori»
Lombardia hanno conseguito uno dei loro
risultati peggiori, poco più del 13 per cento), dopo una campagna elettorale «sotto
le bombe», come dice Formigoni, iniziata
nel 2011 con il tintinnar di manette sulla sanità, proseguita nel 2012 con raffiche
di avvisi di garanzia che hanno coperto
d’infamia l’intera giunta regionale e messo sul conto del centrodestra ogni nefandezza? Chi poteva pensare che lo scontro
fratricida e la conseguente caduta della
giunta Formigoni per mano di Maroni si
risolvesse con il rinsaldarsi di un’alleanza
ormai quasi ventennale e vincente?
Spiega a Tempi il vincitore: «Ho sempre saputo distinguere le vittorie elettorali da quelle politiche. Pirro e Stalingrado. Nel 1996 abbiamo fatto il pieno di voti
ma siamo risultati politicamente irrilevanti. Viceversa, nel 2001, siamo andati al
governo con Berlusconi nel punto più basso della nostra parabola elettorale. Quin-
LA PROMESSA DI UNA «TRINCEA FISCALE»
Al governo per tutti con quel tormentone
«Tratterremo qui il 75 per cento delle tasse»
Quali saranno le prime mosse del governo Maroni? «Dobbiamo mantenere
le promesse fatte in campagna elettorale. Non ai nostri elettori, ma a tutti i cittadini lombardi. Perché io sono il presidente di tutti i lombardi, non solo della parte
che mi ha eletto. In cima a tutto c’è l’emergenza lavoro e, in particolare, lavoro per
i giovani. Poi scuola, servizi, sanità secondo il nostro modello privato-pubblico e
sussidiario. Dobbiamo mantenere e migliorare il nostro sistema virtuoso. Non vedo
nessuno in Italia davanti alla Lombardia. Chiaro che per fare occorrono risorse.
Perciò la nostra prima iniziativa sarà pressare il governo perché onori i debiti che
ha contratto col Nord. Saremo nel pieno dell’operatività giusto nel periodo della
dichiarazione dei redditi. La Lombardia andrà subito in trincea fiscale. Come da
programma di coalizione, il 75 per cento del gettito dei lombardi deve rimanere
qui». Il neo governatore è deciso. Ma è proprio su quel 75 per cento di tasse che
Maroni vuole trattenere in Lombardia che si attestano dubbi e perplessità che
nemmeno il successo elettorale ha il potere di diradare. Possibile che Luca Antonini,
presidente della Commissione tecnica per l’attuazione del federalismo fiscale, sia
in errore nel sospettare che la promessa maroniana non possa essere mantenuta
se non a patto di una riforma della Costituzione? Sul punto, Maroni assicura: «Non
capisco perché il professor Luca Antonini si sia fatto irretire dal Corriere della Sera.
Lui sa meglio di me che il 75 per cento può restare in Lombardia senza nessuna
riforma costituzionale. È chiaro che quella cifra non è relativa soltanto alle funzioni
della Regione, ma comprende anche le spese dello Stato centrale territorializzabili
(per esempio, scuola pubblica e forze dell’ordine). Il 25 per cento è la cifra idonea
per il pagamento degli interessi del debito pubblico nazionale, del fondo perequativo per le Regioni e delle spese statali non territorializzabili (ad esempio, politica
estera e difesa). D’altra parte, come abbiamo ricordato più volte, ci sono regioni che
trattengono sul loro territorio ben oltre il 75 per cento del gettito. Come il Trentino,
che si tiene circa il 90, e la Sicilia, il 100 per cento, e nemmeno le basta».
di, meglio vittorie politiche che i consensi che poi non sai come utilizzare. Pensa
a Roma. Un casino». E come non illuminarsi davanti all’onore delle armi reso dal
Corriere della Sera? Maroni aveva parlato
di “terrorismo” a proposito delle illazioni riservategli dal quotidiano di via Solferino negli articoli sul caso Finmeccanica. Non solo. La direzione aveva mobilitato ottime persone per paventare, in caso
di vittoria dell’ex ministro dell’Interno,
l’incubo di una «Repubblica di Salò» (Piero Bassetti) e della «secessione dall’Italia
e dall’Europa» (Antonio Polito). «Nessun
rancore», se la ride adesso il neo governatore. «Anzi, sono felicemente sorpreso che la mia elezione sia stata festeggiata con un titolo in prima, a tutta pagina.
Mi ricorda la fine della guerra in Iraq. Da
incorniciare. Grazie, direttore».
Dal fondo del salone di via Bellerio un
neoletto interrompe i saluti del vincitore
della guerra. «Ehi, calma presidente, non
puoi metterci subito al lavoro. Ci vogliono ancora dieci-venti giorni prima della
tua ufficializzazione. Poi le Corti d’appello dovranno proclamare a uno a uno gli
80 consiglieri e ne occorreranno altri dieci, di giorni, per la formazione della giunta. Aggiungi un’altra settimana per la prima seduta del Consiglio regionale e, se va
bene, siamo in sella dopo Pasqua. Mi spiace, così dice la legge…». Maroni non lo
lascia finire. «La legge? Vuol dire che cambieremo la legge». Risate. «D’accordo –
riprende il capo – noi siamo rispettosi della legalità. Però siamo anche di rito ambrosiano. Perciò il giorno dopo la mia proclamazione i lombardi conosceranno tutti
i nomi degli assessori. Erano 16 con Formigoni, 12 in questi mesi propedeutici al
voto. Preferirei una via di mezzo. Meno di
16, più di 12. Deciderò con i nostri alleati».
Una nuova offerta politica
A proposito di alleati. Maroni ha un progetto. E un metodo per conseguirlo. «L’ho
annunciato in campagna elettorale e il
successo della Lista Maroni mi conferma
fortemente in quel mio annuncio. Basta
leggere i dati. La Lega ha preso alle regionali gli stessi voti delle politiche. Il 13 per
cento. Significa che il 10 per cento della Lista Maroni Presidente viene da chi
alle politiche non ha votato Lega. Que|
| 13 marzo 2013 |
17
INTERNI COPERTINA
sto dato, letto insieme al risultato della Lega e del Pdl che ha sottoscritto interamente il mio programma, mi spinge a
dare immediata attuazione a un governo che da una parte supporti il piano istituzionale della macroregione, dall’altra
favorisca la nascita di una nuova offerta
politica. Sia chiaro, io non voglio lanciare
un’Opa della Lega sul Pdl. Voglio un contenitore che tenga insieme Lega, Pdl, grillini di ritorno, elettori che non sono andati a votare perché nauseati dalla cattiva
politica. Voglio che io, Cota, Zaia e Tondo, attuali governatori del Nord, costituiamo un livello di rappresentanza di interessi comuni. E che, contemporaneamente,
questa formidabile comunità economica
e politica si doti di un partito rappresenta-
siglio dei ministri decida altrimenti, a me
sta bene Formigoni commissario».
Abbandono di ogni settarismo. Massima attenzione nella scelta della squadra di governo. E ascolto serio, non tatticista, degli alleati. Così ragiona il nuovo
leader. I nomi dei suoi assessori? «Ho letto molti toto-nomine sui giornali. La verità è che gli esami dei candidati andranno
avanti fino al 10 marzo. Di sicuro saranno
in squadra il canoista olimpionico Antonio Rossi, assessore allo sport; e Massimo
Garavaglia, al quale ho chiesto di dimettersi da senatore e venire a darci una
mano come assessore al bilancio». Altri
nomi? «Il Pdl mi indicherà i suoi. Salvini quelli della Lega». Al consiglio federale
dell’11 marzo Maroni presenterà le dimis-
PER I SINDACI DI VARESE E DI MERAte «Prima si votava il
marchio LEGA, Adesso l’uomo. MARONI Ha fatto bene il
ministro dell’Interno, farà bene anche il presidente»
tivo delle istanze territoriali. Per realizzare questi due obbiettivi mi sono dato due
anni. Roma viene dopo». In tutto questo
la Lombardia che ruolo ha? «La Lombardia è la cerniera strategica di questo progetto di nuova Italia e di nuova Europa.
Noi non siamo secessionisti e non siamo
antieuropei. Siamo per l’Italia e l’Europa
delle macroregioni. Per questo ho bisogno
di uomini e donne onesti e che sappiano unire piuttosto che dividere». Naturalmente la politica è fatta anche di divisioni. Sull’Expo, per esempio. Guerricciola a
cui Maroni non pare intenzionato a tener
bordone. «Per me l’importante è andare
avanti e non danneggiare un evento cruciale per il sistema lombardo». E Roberto Formigoni, governatore uscente e neosenatore che il sindaco di Milano Giuliano Pisapia (leggi: comitato elettorale dello sconfitto Umberto Ambrosoli) vedrebbe
bene disarcionato da commissario dell’Expo? «Come ho già detto, a meno che il Con18
| 13 marzo 2013 |
|
sioni da segretario della Lega. «Perché,
come ho promesso, voglio occuparmi della Lombardia al 100 per cento».
Dopo di che, come si fa a coniugare
leadership nel partito e governo regionale? Maroni oppone il riserbo. «Deciderà il
consiglio federale». Ma nei corridoi di via
Bellerio tutti ti assicurano che le dimissioni verranno respinte e che il governatore
continuerà a guidare il partito per tramite dei “proconsoli” Matteo Salvini in Lombardia e Flavio Tosi in Veneto.
Il peso della lista civica
Intanto, volti nuovi si affacciano sulla
scena politica lombarda. Non a caso provenienti dal bacino della Lista Maroni.
Che per lo scorno delle attese dell’establishment del partito non farà gruppo unico con la Lega nel nuovo Consiglio, bensì gruppo a sé. «E per due semplicissime
ragioni», spiega il neo presidente. «Primo, perché la lista civica non è costitui-
ta da leghisti. Secondo, perché i suoi eletti rappresentano il nucleo di quel progetto politico che ho in testa». Stefano Candiani, neo senatore e granitico coordinatore regionale della lista presidenziale, ne è
un esempio. Imprenditore, sindaco di Tradate da dieci anni, è stato uno dei protagonisti dell’impresa lista civica. Che avendo raccolto quasi l’11 per cento di consensi non solo è risultata decisiva per la vittoria del segretario. Ma ha letteralmente
salvato il centrodestra (con una Lega ferma sotto il 13 per cento e il Pdl sotto il 17,
entrambi con voti praticamente dimezzati) da una disfatta di portata storica (visto
che mai la sinistra ha conquistato alle
urne la Lombardia). Ecco cosa non ha capito il consueto saccente editoriale domenicale di Eugenio Scalfari, autoincensatosi
buon profeta in tutto (compreso del “botto Grillo”) ma non del risultato lombardo
che ha «soprattutto sorpreso» il Fondatore. In effetti, anche il pratico Candiani ha
un aneddoto sorprendente: «Ma se ti dico
che hanno chiamato uno degli eletti e
“ascolta, domani passa in sede per le questioni tecniche”, e quello risponde “ma
te se matt, mi duman gu de ’ndà a laurà (“sei matto, domani devo andare a lavorare”, ndr), mi credi? Capisci che la differenza l’ha fatta Maroni. Ecco la novità.
Non più le alchimie politiche. Ma le persone». Stesse riflessioni vengono da leghisti doc come il primo cittadino di Varese
Attilio Fontana o il giovane Andrea Robbiani, sindaco di Merate. «Prima si votava
il marchio. Adesso l’uomo». «Ha fatto bene
il ministro dell’Interno, farà bene anche il
presidente».
Insomma, c’è aria nuova in casa padana. Prova ne sia che anche un politico navigato come Roberto Calderoli, sopraggiunto
in via Bellerio per istruire i neo consiglieri, capisce l’antifona («Noi, rappresentanti istituzionali di serie B eletti a Roma…») e
ripiega in simpatica ritirata («Vabbè, scusate, la riunione è aggiornata»). n
L’INTERVISTA
CONTRO LA “DITTATURA DEI PROCURATORI”
Conrad
Black
Dimenticatevi l’epica dei legal drama
hollywoodiani. La giustizia è marcia anche in
America. E i media sono i suoi servi sciocchi.
L’atto d’accusa di un grande perseguitato
dopo otto anni di immeritata pena
di godersi
in silenzio il bottino della propria vendetta. Non è sfuggito a
un calvario giudiziario di otto anni per starsene in pantofole
nella sua magione di Toronto a leggere i discorsi di Machiavelli che occhieggiano sul tavolino da caffè. Negli occhi di quello che una volta era il titolare del terzo impero mediatico del
mondo brilla il disprezzo per la vita tranquilla, la voglia di un nuovo inizio.
Il 4 maggio del 2012 è uscito da una prigione di Miami, le guardie lo hanno
scortato all’aeroporto e lo hanno sorvegliato finché il suo aereo non si è staccato da terra alla volta del Canada, la sua Heimat. Quella è stata l’ultima volta
che ha toccato il suolo degli Stati Uniti, il paese che ha amato profondamente, che ha osservato con trasporto nella sua attività di storico ma che gli ha
mozzato le mani con foga persecutoria quando ha tentato di fare affari nella
“land of the free”. Da quel paese è stato bandito per trent’anni, un mandato
pressoché definitivo per un uomo di sessantotto.
Nella sua galassia mediatica, la Hollinger International, c’erano il Daily
Telegraph, il Sidney Morning Herald, il Jerusalem Post, il canadese National
Post e infine il Chicago Sun-Times, quotidiano di «quella tetra città», come la
chiamava Saul Bellow, che è stata per lui palcoscenico e patibolo. A Chicago è iniziata la fine di Conrad Black, Barone di Crossharbour, membro del-
20
| 13 marzo 2013 |
|
|
DA TORONTO MATTIA FERRARESI
Figlio di aristocratici canadesi,
Lord Black ha perso per mano
giudiziaria la titolarità di
Hollinger International, terzo
impero mediatico mondiale
la Camera dei Lord, figlio di una famiglia aristocratica di Montreal, “public servant” sopra ogni cosa, come
recita il suo profilo Twitter, storico, scrittore, capitalista, biografo di presidenti americani, uomo di mondo, ex membro del direttivo del Club Bilderberg, tiepido protestante convertito cattolico nel rapporto con il
cardinale Gerald Carter, titolare di una lingua inglese
ormai perduta, amico di Margaret Thatcher e Gianni
Agnelli, intimo di Henry Kissinger e fierissimo avversario di Rupert Murdoch. Il travaglio è cominciato con
Foto: Contrasto/Eyevine
C
onrad Black non ha l’aria di un uomo che s’accontenta
|
| 13 marzo 2013 |
21
Foto: Contrasto/Eyevine
L’INTERVISTA CONRAD BLACK
«La mia cauzione era di 38 milioni. Il mio
calvario è andato avanti per 8 anni.
Alla fine ho vinto. Ma se non avessi
avuto beni qui in Canada avrebbero
emesso mandati fasulli per SEQUESTRARE
TUTTO e impedirmi di pagare Gli avvocati»
A MATTER
OF PRINCIPLE
C. Black
Autore
Editore McClelland
& Stewart
Pagine
592
37 dollari
Prezzo
22
| 13 marzo 2013 |
una congiura all’interno del board aziendale, una
faida di potere che si è trasferita nelle aule di una procura guidata dal più forcaiolo dei magistrati americani, Patrick Fitzgerald, quello che ha trascinato sulla
graticola il capo di gabinetto di Dick Cheney, Scooter
Libby, per il caso dell’agente Valerie Plame, sapendo
benissimo che la fonte che per vendetta aveva spifferato ai giornali il nome dell’agente della Cia sotto copertura era un’altra. Ad alimentare la sete di condanne di
Fitzgerald c’era il commissario speciale nominato per
il caso, Richard Breeden, ex capo della Sec (l’autorità
che controlla la borsa). Nel suo libro A Matter of Principle, Black descrive così il primo incontro con Breeden:
«Non mi ricordava altro che un funzionario provinciale di Beria, con la freddezza senza sangue propria di
chi detiene un potere che eccede di molto la sua intelligenza. Non ero ottimista sul fatto che le apparenze ingannassero». In un clima giudiziario reso incandescente dallo scandalo Enron, i procuratori di tutta America sembravano baccanti invasate alla ricerca
di un altro ricco da appendere a testa in giù, un altro
trionfo della giustizia sulla corruzione. Black era il
candidato perfetto per l’ennesima punizione esemplare. L’accusa di frode era quasi ovvia per un tycoon che
spostava centinaia di milioni di dollari e Black è stato sottoposto a un iter giudiziario ormai codificato: il
processo mediatico, la riduzione allo status di impresentabile, il blocco dei beni, la moralizzazione pubblica, le pressioni su amici e parenti per indurre testimonianze spontanee che guarda caso confermavano
i teoremi dell’accusa. Frode, appropriazione indebita,
ostruzione della giustizia; diciassette imputazioni e
una condanna a 6 anni e mezzo di prigione e al pagamento di 6,1 milioni di dollari alla sua ormai ex azienda. Di anni in carcere ne ha passati più di tre, mentre
le corti d’appello, questa volta nel silenzio mediatico,
smontavano pezzo per pezzo l’impianto accusatorio.
Gli ultimi quattro capi d’imputazione sono stati liquidati dalla Corte suprema, che ha strappato dalla prassi legale un cavillo, introdotto negli anni Ottanta, a
tal punto vago che i procuratori alle costole dei colletti bianchi vi si aggrappavano a priori. Trovare un giudice corrivo non era mai un problema.
Seduto nel suo studio, Black parla a briglia sciolta:
i magistrati, il ritorno sulla scena, la fede, la rinuncia
del Papa, il carcere, il declino americano, il talk show
che presto condurrà per la tv canadese, gli amici e gli
|
avversari. Spiega che il gusto della sua vittoria è bilanciato dal disgusto per un sistema giudiziario gravemente malato. La chiama “prosecutocracy”, la dittatura dei procuratori, ed è una misera consolazione per
lui sapere che la tendenza non è soltanto americana.
Almeno l’onore è stato vendicato?
Qui in Canada, quando si è capito che le accuse
contro di me erano montate ad arte, la gente ha iniziato a stare dalla mia parte. Negli Stati Uniti quelli che
seguono il caso tendono a dire che i magistrati hanno
perso. Strano perché di solito l’accusa vince sempre.
Non le dico cosa succede in Italia…
Almeno quella ragazza di Seattle è stata dichiarata innocente, negli Stati Uniti nessuno viene scagionato. Guardi cos’hanno fatto a New York con Dominique
Strauss-Kahn: un giudice americano ha condannato i
francesi a essere governati da Hollande. Una disgrazia.
Perché è impossibile mettere un limite alla “prosecutocracy”?
Gli Stati Uniti hanno avuto una tradizione nella
riabilitazione dei detenuti e nella riforma del sistema
carcerario che è durata fino agli anni Sessanta, quando sono successe due cose: la sommossa dei neri a San
Quentin, che ha generato la paura che ogni riforma,
ogni apertura potesse essere dirottata e sfruttata dalle organizzazioni degli estremisti afroamericani. Poi il
movimento femminista è riuscito a far passare l’idea
che le pene per gli stupratori fossero troppo leggere.
Così la giustizia è diventata una questione politica.
Di una fazione in particolare?
Destra e sinistra, senza distinzioni. Nelson Rockefeller, il governatore di New York, era un conservatore moderato, un liberale, ma si è trovato con migliaia
di detenuti ad Attica che avevano occupato la prigione e avevano preso ostaggi fra i secondini, ed è stato
costretto a usare la forza. Bobby Kennedy non è stato
più leggero di Nixon e Reagan. Nessuno, né a destra
né a sinistra, si è fermato e ha detto: “Ehi, questa tendenza può portare a commettere un sacco di ingiustizie”. E chi ci ha provato è stato accusato di essere un
complice dei criminali.
Com’è possibile che i politici americani non si mettano d’accordo su nulla ma su questo si sia trovato
il compromesso perfetto?
Hanno creato un sistema. Dopo la National Rifle
Association, la più efficace lobby degli Stati Uniti è la
National Correctional Employees Union, il sindacato
Foto: Reuters
CONTRATTACCO
delle guardie carcerarie. Sono lavoratori non qualificati, non hanno le competenze per fare altri lavori nel
carcere se non andare avanti e indietro con un mazzo di chiavi in mano. Sono fortemente sindacalizzati
proprio perché hanno paura di perdere il posto. Sono
tanti e molto attivi. Intervengono nel processo politico con cospicue donazioni e fanno pressione su altri
sindacati per unirsi alle loro battaglie. A questo va unita la privatizzazione delle carceri. Costruire nuove prigioni è una politica popolare, ma fare debito non lo è
affatto, allora gli stati fanno accordi con i privati: voi
costruite le prigioni, noi garantiamo che almeno il
95 per cento dei posti sia occupato. Così gli enti locali
evitano di fare altro debito, ma il risultato finisce per
essere immensamente più costoso per i cittadini.
Come si garantisce un certo numero di condanne?
Gli azionisti delle prigioni fanno una pressione
pazzesca sui loro rappresentanti a Washington per
avere condanne più lunghe, per criminalizzare qualunque attività, per spronare magistrati e poliziotti
a perseguire i criminali con maggiore zelo. Il risultato è che la popolazione degli Stati Uniti è il 5 per cento di quella mondiale e la popolazione carceraria rappresenta il 25 per cento di quella mondiale. E il 50
per cento degli avvocati del mondo è negli Stati Uniti. La professione legale in America è un cartello enorme che muove il 10 per cento del Pil. È uno scandalo.
Foto: Reuters
Questa dinamica non è la negazione perfetta delle libertà individuali che sono alla base degli Stati Uniti?
Qui si arriva a un’altra questione: il fallimento dei
media. Un disastro clamoroso, scioccante. Due componenti fondamentali di una democrazia avanzata sono
l’indipendenza del potere giudiziario e la libertà di
stampa. Ma il sistema legale è oppressivo e la magistratura alimenta questo meccanismo corrotto. I media
hanno fallito, perché non sono in grado o non vogliono raccontare questo scandalo. Ci sono decine di storie di procuratori che inquinano le prove, che fanno
inchieste a tesi, ma i magistrati sono sempre immuni. Non importa cosa fanno. E l’opinione pubblica è
accondiscendente. C’è una contraddizione in America: ambiziosi, ottimisti e tenaci come sono, gli americani hanno anche un’altra faccia stranamente condiscendente, corriva. Sono grandi lavoratori rispetto
agli europei, ma non hanno la minima idea di quanto
sia marcio il loro paese e vivono nel mito del faro della libertà che illumina tutte le nazioni.
Com’è che dalla lotta al crimine comune si è passati
alla caccia ai colletti bianchi?
A un certo punto l’approccio “law and order” è
andato totalmente fuori controllo. Non ha alcun senso mandare le persone non violente in prigione. Se
hanno commesso crimini, dalla frode alla corruzione,
devono essere accusati, condannati e puniti, ma cosa
credono di ottenere mandandoli in prigione? Sono stato in prigione, dovrebbe vedere che razza di ridicola e
mostruosa perdita di tempo. Capisco che chi rappresenta un pericolo per la società deve essere rinchiuso,
la gente va protetta, ma qui siamo alla follia.
Il caso Black è
iniziato come una
faida aziendale
per finire nelle mani
del più forcaiolo
dei magistrati
americani, Patrick
Fitzgerald (al centro
della foto con la sua
squadra), lo stesso
che trascinò sulla
graticola il capo di
gabinetto di Dick
Cheney per il caso
dell’agente Cia
Valerie Plame, pur
sapendo che non era
stato lui a rivelarne
l’identità ai giornali
E qualcuno viene riabilitato in carcere?
Il carcere è diventato uno sgabuzzino. Trentacinque anni fa negli Stati Uniti c’erano 750 mila persone nei manicomi e negli ospedali psichiatrici. Ora ce
ne sono 50 mila. Non è perché la situazione mentale
degli americani è migliorata, ma perché li hanno messi tutti in prigione.
Lei ha detto che in America i magistrati di fatto
estorcono confessioni di reati mai commessi.
Il patteggiamento è semplicemente l’estorsione di
una confessione falsa in cambio di una riduzione
|
| 13 marzo 2013 |
23
L’INTERVISTA CONRAD BLACK
«HOLDER, IL PROCURATORE GENERALE DI OBAMA, Ha
condotto le indagini su Arthur Andersen, che
hanno portato al licenziamento di migliaia
di innocenti soltanto perché lui sospettava
di alcuni manager che sono stati poi assolti»
Perché la democrazia
americana è così speciale e come è possibile che nella patria
di tutti gli eccessi del
capitalismo il voto
della povera gente
possa cambiare le
sorti di un’elezione e
di un intero continente? A queste domande sugli Stati Uniti
dopo la riconferma
di Barack Obama
rispondono Giulio
Sapelli e Lodovico
Festa in questo
e-book. Gli autori non
si fanno prendere
da quella specie di
“sindrome da mitologia” che contagia gli
osservatori di casa
nostra quando si
parla di cose americane e risalgono alle
fondamenta della
democrazia americana, alla vitalità delle
sue plurisecolari istituzioni e in particolare alla funzione che vi
esercitano i partiti.
Obama, l’AmericA
e il partito
moderno
Autore
Festa
Sapelli
Editore
GoWare
Pagine
176
Prezzo
2,99 euro
24
| 13 marzo 2013 |
della pena o dell’immunità. Quando entri nel mirino di una procura, vanno dalle dieci persone che ti
conoscono meglio e dicono: “Sono sicuro che si ricorda benissimo che il signor x faceva y”. Gli amici e i
parenti dicono che no, non si ricordano affatto, che
lui è una persona onesta. A quel punto dicono che
sarà meglio che si facciano tornare la memoria in fretta, altrimenti potrebbero essere accusati anche loro di
cospirare con il colpevole. E tutti cedono.
Anche nel suo caso hanno ceduto?
Certo. La presidentessa del Moma, Marie-Josée Kravis, che conosco da tanti anni, l’ex governatore dell’Illinois e Richard Burt, ex ambasciatore degli Stati Uniti a Berlino e negoziatore per la riduzione degli arsenali, hanno testimoniato contro di me. Sapevano che stavano dicendo cose non vere, i giurati hanno detto che
non credevano a una sola delle loro parole, erano tutte
balle, ma gli avevano garantito l’immunità dall’accusa
di falsa testimonianza e hanno detto quello che avevano detto loro di dire. È un sistema diabolico.
Quello che racconta non sembra compatibile con i
diritti costituzionali.
Il quinto, sesto e ottavo emendamento alla Costituzione garantiscono il giusto processo, nessun sequestro illegittimo di beni senza un adeguato compenso,
il gran giurì come forma di tutela dai processi fatti
per capriccio o malizia, giustizia in tempi rapidi, una
giuria imparziale, l’accesso a un legale e una cauzione
ragionevole: non ho goduto di nessuno di questi diritti. Nessuno. La mia cauzione era di 38 milioni di dollari. Le sembra ragionevole? Il mio calvario è andato
avanti per 8 anni. Questo le sembra ragionevole? Alla
fine ho vinto. Ma se non avessi avuto la maggior parte dei miei beni qui in Canada avrebbero sequestrato
tutto, avrebbero emesso mandati fasulli per bloccare
tutti i beni e impedirmi di pagare i miei difensori. Gli
avvocati mi sono costati 30 milioni di dollari.
L’avvocato Alan Dershowitz, a proposito del caso
Scooter Libby, ha detto che è «la prova che il problema del sistema giudiziario sono i procuratori nominati dalla politica». È d’accordo?
Sia Dershowitz che Libby sono miei amici e hanno ragione. È stato anche più scandaloso il caso di Ted
Stevens (ex senatore dell’Alaska morto in un incidente
aereo nel 2010, ndr), che poi ha perso le elezioni per
via del processo: i magistrati hanno deliberatamente nascosto le prove della sua innocenza. Uno di loro,
|
e mi dispiace metterla in questi termini, ha avuto la
decenza di suicidarsi. Mentre la corte ha pesantemente criticato l’accusa, ma non ha incriminato nessuno.
Perché la magistratura è intoccabile? Tutti, dal presidente all’ultimo funzionario locale, devono rendere conto di quello che fanno, ma per i magistrati la
regola non vale.
Luigi XIV diceva dei protestanti che sono «uno
stato dentro lo stato», ed è un po’ la stessa cosa per
i magistrati. Negli anni, quando hanno condannato
senza prove Scooter Libby, poi Ted Stevens e via dicendo, l’amministrazione e il Congresso si sono resi conto che era arrivato il momento di mettere un freno ai
procuratori. Robespierre tenta di uccidere Fouché, ma
alla fine Fouché riesce a convincere i giacobini che se
Robespierre poteva ucciderlo, poteva uccidere anche
tutti gli altri, e l’hanno fatto fuori. Dopo l’esecuzione
di Robespierre hanno sospeso l’uso della ghigliottina.
Sta dicendo che la situazione non durerà a lungo?
Faccio una previsione che spero non si avveri, perché sono intimamente contrario alla violenza. I procuratori sadici e ingiusti hanno rovinato la vita a così
tanti americani che vedremo diffondersi il fenomeno dei cittadini che uccidono i procuratori. Sarebbe
in linea con il fatto che in America tutto si risolve con
la violenza. Il movimento per i diritti civili è arrivato
a una svolta con l’assassinio di Martin Luther King, e
quello gay ha preso forza quando hanno ammazzato
Harvey Milk: è così che funziona l’America.
Qual è il ruolo dell’amministrazione Obama in tutto
questo?
Non penso che sia una buona amministrazione.
Non mi è mai piaciuto Holder (il procuratore generale, ndr). Ha condotto le indagini su Arthur Andersen,
che hanno portato al licenziamento di migliaia di persone innocenti soltanto perché lui sospettava di alcuni manager che sono stati poi assolti. Ha minacciato
le aziende, ha garantito l’immunità a chi accusava i
manager che lui indagava. Si chiama intimidazione.
Qual è oggi il suo giudizio sull’America?
Una delusione terribile. Una grande nazione che
rischia di atrofizzarsi. Ammiro molto della sua storia,
è un paese formidabile e il fatto che mi abbia indagato ingiustamente per otto anni non significa che non
è una grande nazione. Ma la suprema ironia dei tempi
moderni è che dobbiamo agli Stati Uniti la diffusione
globale della democrazia e del mercato, ma al momen-
Foto: P. Souza/White House
L’ANALISI
to la democrazia americana non funziona. È un sistema corrotto per gli
standard dei paesi avanzati.
Faccia qualche esempio.
Non ha, in termini relativi, un
sistema educativo competitivo. Il sistema sanitario va bene per due terzi della popolazione, mentre è pessimo per
gli altri cento milioni. Il sistema giudiziario è ridicolo, una disgrazia. Una banda di avvocati
che mungono il paese. Il 97 per cento delle indagini si
concludono con un patteggiamento prima ancora che
venga celebrato il processo. È un riflesso scandaloso
della qualità del sistema. Il 2,5 per cento sono verdetti di colpevolezza. Gli Stati Uniti hanno fra 6 e 12 volte
il numero di prigionieri rispetto a Australia, Canada,
Inghilterra, Germania, Francia e Giappone.
Siamo al declino dell’impero?
Gli Stati Uniti oggi sono un paese seriamente in
declino. E i migliori uomini di questo paese non si
candidano per guidarlo. Nel 1968, l’anno disgraziato
dell’assassinio di Martin Luther King e Bob Kennedy,
con 550 mila coscritti mandati in Vietnam, fra i 200
e i 400 che tornavano morti ogni settimana, sommosse ovunque, proteste contro la guerra, un anno orribile insomma, c’erano Lyndon Johnson, Hubert Humphrey, Robert Kennedy, Nelson Rockefeller, Richard
Nixon e Ronald Reagan nella corsa per la Casa Bianca. Tutti erano qualificati per la presidenza, qualunque cosa si pensi di loro. Guardi le ultime elezioni: dei
migliori, tipo Jeb Bush, Mitch Daniels e Chris Christie,
Marco Rubio, nessuno si è candidato. Chi c’era nella
corsa? Herman Cain. Newt Gingrich. Su, siamo seri.
C’è un’involuzione in atto, ed è un male per il mondo,
perché crea un vuoto.
E il vuoto tende a essere riempito.
Quando l’Europa si è persa gli Stati Uniti ne hanno
preso il posto. Ma se gli Stati Uniti retrocedono le alternative a disposizione sono francamente inaccettabili.
Foto: P. Souza/White House
Ha mai avuto in questi anni la tentazione di arrendersi?
Mai.
Cosa l’ha sostenuta?
Varie cose. Innanzitutto la coscienza di non avere
infranto la legge. Non ho mai perso la speranza di ottenere giustizia. Per quanto gli Stati Uniti siano corrotti, non sono un paese fascista. La maggior parte degli
americani sono persone perbene, e ce ne sono anche
fra i giudici. Quando uno è perseguitato in quel modo
ed è colpevole di qualcosa sa benissimo che con una
semplice confessione può risparmiarsi molte sofferenze e spese; ma dato che io sapevo di non aver commesso nessun crimine ho deciso di continuare a lottare.
E alla fine ho sostanzialmente vinto, l’impianto accusatorio fondamentale è stato frantumato e le restanti accuse sono state riesumate da un giudice demente
della corte d’appello (Richard Posner, ndr) che recentemente il giudice della Corte suprema Antonin Scalia
ha chiamato un «bugiardo». Poi è stato fondamentale
tenere presente che il giudizio di queste persone non
sarebbe stato il mio epitaffio.
Una parte l’ha avuta anche la fede?
Credo in Dio e sono sempre stato certo che ci fosse uno scopo anche in tutta questa sofferenza. In prigione ho incontrato molte persone religiose. Alcune
erano baciapile un po’ eccessivi per la mia sensibilità,
ma altre erano persone profonde e serie che affrontavano con grande umanità prove ben più dolorose delle mie. Il loro esempio è stato commovente. Non sono
il tipo che ha visioni mistiche, ma ci sono stati alcuni momenti in cui ero certo che avrei avuto un infarto per la pressione troppo alta, oppure che sarei caduto in una depressione cronica, e non è mai successo.
Per Conrad Black il
declino americano
ha il suo riflesso
più scandaloso nel
degrado del sistema
giudiziario, «una
banda di avvocati
che mungono il
paese. Il 97 per
cento delle indagini
si concludono con
un patteggiamento
prima ancora che
venga celebrato il
processo. Il 2,5 per
cento sono verdetti
di colpevolezza.
Gli Stati Uniti hanno
fra 6 e 12 volte il
numero di detenuti
di Australia,
Canada, Inghilterra,
Germania, Francia
e Giappone»
Cosa farà ora?
Sto ricostruendo la mia fortuna nel settore privato,
ma non ho motivo di parlarne perché non si tratta di
aziende quotate. Scrivo editoriali che hanno 4 milioni
di lettori fra Stati Uniti, Inghilterra e Canada. Ho pubblicato un libro sulla mia storia giudiziaria nel giorno
in cui mi hanno rimandato in prigione per dimostrare
che quel processo era illegittimo e per mandare al diavolo questo assurdo sistema carcerario. Dopo, ho voltato pagina. Non voglio diventare quello che gli inglesi
chiamano un “pub bore”, gli ubriaconi che se ne stanno al bancone e raccontano sempre la stessa storia.
|
| 13 marzo 2013 |
25
L’INTERVISTA CONRAD BLACK
Ha qualche libro in cantiere?
Ne pubblicherò uno nel giro di un paio di mesi. È
una storia strategica degli Stati Uniti, un libro molto
filoamericano, perché nessuno nella storia umana ha
fatto quello che hanno fatto i coloni negli Stati Uniti.
Poi c’è anche il nuovo programma qui in Canada.
Sarà un talk show con una anchorwoman, un’ora
alla settimana su temi d’attualità. Ci sarà prima un
mio breve editoriale poi alcune interviste fatte da
entrambi. Ho ancora qualche buon contatto in giro.
Chi sarà il suo primo ospite?
Magari Donald Trump o Henry Kissinger, chi lo sa.
Nel libro parla molto dei suoi amici, quelli rimasti
fedeli e quelli che l’hanno abbandonata. Ha scritto
soprattutto di Kissinger. In che rapporti siete ora?
Abitavo a New York quando la Corte suprema ha
dato l’ordine di scarcerazione. Erano usciti da poco
vecchi documenti di Nixon e la stampa stava cercan-
«MURDOCH? io non l’ho attaccato quando
lui era in difficoltà. Pensavo avrebbe
ricambiato il favore, invece HA DATO
ORDINE AI SUOI GIORNALISTI di colpirmi
senza pietà. HO SCRITTO CHE È MALVAGIO»
do di usarli per attribuire a Kissinger la colpa di avere abbandonato Israele. Ho scritto che quelle accuse
erano spazzatura, niente di più. Mi ha scritto una lettera di ringraziamento e quando mi hanno scarcerato ci siamo rivisti a una cena con centinaia di invitati,
quelle cose che si fanno a New York in cui uno paga 20
mila dollari per avere un tavolo e guardare per tutta la
sera un tizio che dà un premio idiota a qualcun altro.
Ero seduto vicino a lui. Gli ho detto: «Lasciamo perdere i dettagli di quello che è successo, sarebbe doloroso
per entrambi e inutile a questo punto». Ma avevo con
me le sbobinature dei suoi interrogatori con l’Fbi, che
non avrei dovuto fargli vedere, ma non me ne fregava nulla, e gli ho detto che non credevo a una parola
di quello che c’era scritto, perché non fanno altro che
mentire. Gli ho detto che volevo che sapesse quello che
i federali gli avevano messo in bocca, che gli avevano
fatto dire che ero colpevole. Gli ho detto anche che,
vista la sua autorevolezza, un suo intervento in mia
26
| 13 marzo 2013 |
|
difesa avrebbe potuto cambiare le cose, ed ero deluso
dal fatto che lui non mi avesse difeso. Gli ho spiegato,
infine, che volevo ancora essere suo amico, ma avrei
accettato di riparare il nostro rapporto soltanto se lui
era convinto davvero che io fossi innocente. Immediatamente ha detto: «Non ho mai creduto che fossi colpevole». Fine della storia. Adesso ci parliamo ogni due
settimane e ogni tanto viene a trovarmi.
E com’è il suo rapporto con Rupert Murdoch?
Quello è più complicato. Non siamo mai stati particolarmente amici, soltanto competitor in Australia e
Inghilterra. Lui è un businessman tosto, e anch’io un
capitalista. Quando mi ha fatto la guerra abbassando
i prezzi dei giornali non mi ha dato fastidio, è parte
del gioco. Un gioco duro, ma aveva il diritto di farlo.
E alla fine ha perso. Prima del processo non ci siamo
mai insultati tramite i nostri giornali, c’era una specie di accordo fra gentiluomini, e io non l’ho attaccato
quando lui era in difficoltà. Pensavo avrebbe ricambiato il favore, invece no. Quando sono finito sotto accusa
tutti i giornalisti nell’impero di Murdoch hanno avuto l’ordine, da lui in persona, di colpirmi senza pietà. Ho scritto che era uno psicopatico, un uomo malvagio. Tutti in Inghilterra sapevano in che modo lavorano i suoi, le intercettazioni e tutto il resto, e la cosa
scandalosa non sono i suoi modi spietati ma l’ipocrisia di un establishment che gli ha lisciato il pelo per
quarant’anni e tutto a un tratto si è scandalizzato per
i suoi metodi. Lui non è un ipocrita, è soltanto l’uomo
più cattivo che abbia mai conosciuto.
Da cattolico, cosa pensa della scelta di Benedetto
XVI di rinunciare al papato?
È stato un gesto ammirabile. Ne parlavo con mia
moglie, che non è cattolica, e le sembrava strano che il
Papa potesse lasciare il suo posto così, ma credo che in
un’epoca di continua esposizione mediatica avere un
pontefice che non ha il vigore fisico necessario per guidare la Chiesa può essere un grave problema.
Cosa si augura per il futuro della Chiesa?
Credo che la Chiesa debba preservare le verità fondamentali della fede, ma ripensare alcune cose non
fondamentali. Certo, i media raccontano la solita storia che la Chiesa è in crisi, non ci sono vocazioni, i
fedeli scappano, ma a me sembra che il cristianesimo
sia vivo. È un’organizzazione decrepita solo nella testa
degli opinionisti à la page. Mi dica: quale organizzazione secolare può dirsi solida come la Chiesa? n
cultura
|
TRA LE DUE GUERRE
dI MARCO BONA CASTELLOTTI
Coinvolgente
come l’arte
popolare
Al netto della retorica e della propaganda, il merito
di “Novecento” fu il ritorno alla purificazione delle
forme. Così questo pseudo-movimento entra di
diritto tra le glorie della cultura italiana moderna
N
Madonne rinascimentali e ad altrettanella sua perfezione mammaria Maternità di Gino Severini è l’emblema te del periodo della controriforma, mesdi “Novecento”, movimento dell’ar- se in campo per fronteggiare le invente italiano compreso fra le due guerre, cui zioni tendenziose e capziose del manieè dedicata una folta mostra a Forlì (sino rismo al declino. Al contrario Maternial 16 giugno, catalogo Silvana Editoriale). tà è un’immagine semplice, accattivanNel XX secolo non vi è nulla di più turgi- te e come tale popolare. In “Novecento”
do, tornito e classico del seno della bella ne troviamo altre consimili, ma nessue giovane signora senza nome che presta na al pari di essa fragrante di affettuosa
il proprio volto alla maternità, allattando umanità. Dalle sculture di marmo incail suo piccolo. Sebbene il soggetto si guar- stonate nei monumenti di travertino, ai
di bene dall’apparire devoto, è come se lo manifesti pubblicitari dai colori sgargianfosse, per la manifestazioti le opere di “Novecenne dell’armonia dei sentito” ottemperano al prinLA RASSEGNA
menti, della tenerezza e –
cipio teorizzato da MassiIl “Novecento”
per usare un termine caro
mo Bontempelli, suo menin mostra a Forlì
a Zeri – per la sua atempotore, il quale raccomandaA Forlì, fino al 16
giugno, una mostra
ralità. Maternità è un’icova che “l’arte novecentiesalta il “Novecento”,
sta” dovesse «tendere a farna fondamentalmente senmovimento d’arte
si popolare, ad avvincere il
za tempo, adatta a ogni
italiano compreso
pubblico». Ciò che lo conricorrenza, sacra o civile
tra le due guerre.
sentiva era sostanzialmensia, che rimanda a tante
28
| 13 marzo 2013 |
|
Sotto, Gino Severini,
Maternità (1916).
Sebbene il soggetto
non appare devoto,
è come se lo fosse,
per la manifestazione
dell’armonia di
sentimenti e tenerezza.
È un’immagine
semplice, accattivante
e come tale popolare
A sinistra,
Baccio Maria Bacci,
Pomeriggio a Fiesole
(1929). L’ambiente
ricorda quello dei
purissimi affreschi
del Beato Angelico
in San Marco a Firenze;
anche il colore
è giocato sui grigi
dell’Angelico
te un ritorno all’ordine, traduzione del
Rappel à l’ordre coniato da Jean Cocteau
qualche anno prima e adattabile al regime fascista che s’era preoccupato di spingere sul concetto della libertà espressiva
e di non imbrigliare l’arte entro troppo
rigide regole.
Il bambinello che prende il latte nella
Maternità è fasciato con meticolosa cura;
pare un bozzolino fratello dei Gesù infanti che troviamo in pittura dal Trecento al
Seicento. È sospeso fra il Gesù dormiente che Maria tiene in braccio nel Riposo in Egitto di Caravaggio e quello della
Madonna della divina provvidenza di Scipione da Gaeta, icona miracolosa e copiatissima. Però Maternità non è un’immagine di devozione. A dire il vero in “Novecento” non manca un’arte di destinazione religiosa, ma gli organizzatori della
mostra hanno pensato bene di sorvolare
sull’argomento, tranne che su Manzù
|
| 13 marzo 2013 |
29
cultura TRA LE DUE GUERRE
(un ritardatario); peccato perché in fondo l’arte sacra degli anni Venti e Trenta
non è peggiore di certe produzioni artistiche profane, così squadrate e metalliche
– si vedano certe mascelle – da sembrare
prodotte nelle officine Falk.
Il recupero della tradizione
Pur basandosi su una impalcatura teorica, impostata da Bontempelli ed enfatizzata dall’intraprendente Margherita Sarfatti amica di Mussolini, “Novecento” non
ebbe la struttura né il carattere di un vero
movimento unitario; tuttavia lo fu, nel
suo unanime (o quasi) affermare il ritorno alla purificazione delle forme, il recupero della tradizione pittorica, specialmente del Quattrocento, da Paolo Uccello a Beato Angelico a Piero della Francesca, il rifiuto di spericolati sperimentalismi, il solido inserimento delle figure nello spazio (Sironi), portato talvolta al parossismo plastico e volumetrico di un’essenzialità tale che figure e forme sono avvolte dal vuoto, isolate da profili vergati con
contorni severi, dal che una loro monumentale astrazione. Dice Bontempelli: «Il
compito primo e fondamentale del poeta è inventare miti, favole, storie che
poi si allontanino da lui
fino a perdere ogni legame
È nell’ambito dell’illustrazione novecentista che spiccano
con la sua persona e in tal
modo diventino patrimo- artisti di norma poco considerati, ma che hanno dato vita
nio comune degli uomi- a quadri evocativi e semplici come pomeriggio a fiesole
ni e quasi cose della natura». Retorica a palate. Nonostante le diret- fiata a dovere, poteva diventare un poten- dri immediatamente comprensibili, evotive teoriche, il merito maggiore di “Nove- te strumento di propaganda, e trattenuta, cativi e coinvolgenti. Osserviamo Pomecento” fu la varietà dei temi e della manie- suscitare una singolare attrattiva.
riggio a Fiesole di Baccio Bacci, un nome
È lampante come nell’arte novecen- che più fiorentino di così non si può. Vi
ra di trattarli, dalla purezza ideale al realismo, sì che possiamo annoverare que- tista sia la straordinaria premura grafi- si vedono due coppie di giovani borghesto pseudo-movimento tra le glorie della ca a definire ogni forma. Ed è nell’ambito si stanchi intorno a una tavola alla fine di
cultura italiana moderna. Tuttavia trova- dell’illustrazione che spiccano artisti con- un pranzo. Dietro di loro si spalanca una
re un denominatore che accomuni i vari siderati di norma minori rispetto – per finestra e l’ambiente ricorda subito quello
pittori, scultori, architetti, grafici, è diffi- fare un esempio illustre – a Sironi. Parlo dei purissimi affreschi del Beato Angelico
cile per non dire impossibile. Credo che si di Baccio Maria Bacci, di Cagnaccio di San in San Marco a Firenze; anche il colore è
possa comunque tentare di identificarlo Pietro, di Sciltian (attenzione: solo quello giocato sui grigi dell’Angelico. Il quadro è
nell’eloquenza illustrativa, la quale, gon- degli anni Trenta). Hanno dato vita a qua- databile nel 1929, stesso anno degli Indif30
| 13 marzo 2013 |
|
In alto,
Felice Casorati,
Conversazione
platonica (1925).
A sinistra,
Sciltian, Bacco
all’osteria (1936).
In grande,
Baccio Maria
Bacci, Riposo dei
cavatori sul monte
Ceceri (1925)
ferenti di Moravia. Anche dalle due coppie
fiesolane traspare una certa indifferenza che si mescola a un silenzio semi conventuale punteggiato da quattro note di
chitarra. La miscela denuncia la sua indicibile fatuità. Quando poi il Bacci si lancia in soggetti a contenuto sociale come
il Riposo dei cavatori sul monte Ceceri
(1925) si scopre incapace di raggiungere
i toni drammatici che forse vorrebbe. In
Bacco all’osteria di Sciltian (1936) è palese il ritorno a Caravaggio e Velázquez. Ma
anche qui il tentativo di apparire realista
è svuotato da un eccesso di bravura accademica che gli nuoce.
Queste opere hanno ben poco da condividere con quelle del più grande di tut-
ti: Felice Casorati. Si osservi la sua Conversazione platonica del 1925. Nel muto
riflettere di quel signore senza volto sul
corpo ignudo di una donna vi è qualcosa di molto più forte e conturbante delle
svaccate e mal dipinte provocazioni sociali del mitizzato Courbet. Il novarese Casorati è il solo pittore veramente internazionale di “Novecento”. Dimostra un controllo formale filtrato attraverso una visione intellettuale che annulla nell’artificio
l’impressione di naturalezza e così apre
al mistero. A differenza di Bacci, di Sciltian e di molti altri, Casorati vola troppo alto per essere soltanto un illustratore. Non illustra niente, descrive con rara
facoltà di percezione situazioni psicologi-
che turbate. Non so se sia fra gli artisti italiani moderni più amati; non credo. Vi è
in lui una mestizia metafisica che respinge. Fa venire in mente una Torino fosca,
niente affatto solare. Altro che Trieste, i
cartelloni di Dudovich, i rifacimenti seicenteschi di Sciltian, la tiepida denuncia di Bacci, le retoriche rivoluzioni di
Nomellini. Alla fine arriva Renato Guttuso che nel 1940 dipinge Fuga dall’Etna.
Vi riversa il suo eccellente talento, ancora una volta da illustratore, traendo ispirazione da una riproduzione di Guernica di Picasso che era solito tenere sempre
con sé; una specie di viatico ideologico
che l’avrebbe reso ricco. Ciò non di meno
Renato Guttuso è un grande. n
|
| 13 marzo 2013 |
31
LE NUOVE LETTERE
DI BERLICCHE
UN ELOGIO AL PONTEFICE EMERITO
Berlicche rende l’onore delle armi
al suo nemico numero uno
M
io caro Malacoda, adesso che se n’è
andato, possiamo concedere l’onore delle armi a Benedetto XVI. Dobbiamo ammetterlo: è stato un gran nemico. Spero con questa nostra ammissione, se
gli arriverà nel nascondiglio in cui si è chiuso, di provocare in lui almeno la tentazione
del compiacimento, se non proprio della vanità. Lo disse d’altronde già padre Gabriele
Amorth, esorcista della diocesi di Roma: «Il
demonio un giorno mi disse che Giovanni
Paolo II era pessimo, ma il Papa attuale era peggio. Le parole si SCAGLIAVA «Contro questa cultura in cui la
del demonio furono un elogio menzogna si presenta nella veste della verità
per Benedetto XVI». Concorda- e dell’informazione». Ci aveva sgamati in pieno
va con lui monsignor Andrea
Gemma, emerito di Isernia, uno dei pochi ve- cerca la verità ma l’effetto, la sensazione, e,
scovi esorcisti, il quale riferì le parole di una sotto il pretesto della verità, in realtà, si didonna da noi posseduta: «È una tragedia: Be- struggono uomini, si vuole distruggere e crenedetto XVI è ancora più forte, è ancora peg- are solo se stessi come vincitori. Quindi, questa rinuncia era molto reale: era la rinuncia a
gio di Giovanni Paolo II».
L’inimicizia profonda di Benedetto XVI un tipo di cultura che è un’anti-cultura, connei nostri confronti si condensa in un pun- tro Cristo e contro Dio. Si decideva contro
to strategico della sua predicazione: il battesi- una cultura che, nel Vangelo di Giovanni, è
mo. Vatti a rileggere tutte le omelie della not- chiamata “questo mondo”. (…) Non la Creazione di Dio, dell’uomo come tale, ma una
te di Pasqua e vedrai se non ho ragione.
Come sai nel battesimo ci si impegna a certa creatura che è dominante e si impone
rinunciare «alle seduzioni del male». La sua come se fosse questo il mondo, e come se fosriduzione sociologica a una sorta di rito di se questo il modo di vivere (…). Essere battez“ingresso in società” aveva convinto molti zati significa emanciparsi, liberarsi da quecristiani della nostra inesistenza. Senti, inve- sta cultura. Conosciamo anche oggi un tipo
di cultura in cui non conta la verità; anche
ce, che cosa diceva l’ex Papa.
«Che cosa sono queste seduzioni del ma- se apparentemente si vuol fare apparire tutle? Nella Chiesa antica c’era l’espressione: ta la verità, conta solo la sensazione e lo spi“Rinunciate alla pompa del diavolo?”. La rito di calunnia e di distruzione. Una cultura
pompa del diavolo erano soprattutto i gran- che non cerca il bene, il cui moralismo è, in
di spettacoli cruenti, in cui la crudeltà diven- realtà, una maschera per confondere, creare
ta divertimento, in cui uccidere uomini di- confusione e distruzione. Contro questa culventa una cosa spettacolare: spettacolo, la tura, in cui la menzogna si presenta nella vevita e la morte di un uomo. Questi spettaco- ste della verità e dell’informazione (…) diciali cruenti, questo divertimento del male è la mo no». Ci aveva sgamati in pieno.
L’ha ridetto anche nell’ultimo discorso ai
pompa del diavolo, dove appare con apparente bellezza e, in realtà, appare con tutta cardinali, parlando della Chiesa: «Essa è nel
la sua crudeltà. Ma oltre a questo significa- mondo, ma non è del mondo». Caro nipote,
to immediato della parola “pompa del diavo- possiamo permetterci il peccato di orgoglio,
lo”, si voleva parlare di un tipo di cultura, di parlava di noi!
Al prossimo Papa (che arriverà presto).
una way of life, di un modo di vivere, nel quale non conta la verità ma l’apparenza, non si
Tuo affezionatissimo zio Berlicche
|
| 13 marzo 2013 |
33
chiesa
nel mondo ma non del mondo
Agenda BXVI per
il papa che sarà
Non può esserci la purificazione morale senza quella della
conoscenza. Per questo il pontificato di Ratzinger ha già
individuato il problema centrale per i cristiani. La fede
| ubaldo casotto
chiesa nel mondo ma non del mondo
36
| 13 marzo 2013 |
|
il libro
Mario Prignano, giornalista del Tg1, ha
ricostruito le vicende
che hanno portato
all’elezione nel 1378
(quando il conclave
tornava a riunirsi a
Roma dopo 75 anni
e diversi papi avignonesi) di Urbano VI,
suo avo, vescovo di
Bari e neppure cardinale. Un racconto
appassionante che
aiuta a leggere anche
la storia di oggi. E in
cui non c’è niente di
inventato.
URBANO VI.
Il papa che
non doveva
essere eletto
Autore M. Prignano
Editore
Marietti
Pagine
288
Prezzo
22 euro
mondo, ma la coscienza che la Chiesa ha
di sé stessa («Essa è nel mondo, ma non è
del mondo» ha ricordato ai cardinali). Nel
libro-intervista con Peter Seewald Benedetto XVI, alla domanda sulla pretestuosità
degli attacchi dei media e di alcuni centri di potere, risponde non misconoscendo questo fattore, ma quasi presentandolo come l’occasione per un serio esame di
coscienza della Chiesa.
Benedetto XVI sembra aver fatto suo il
dilemma posto da Thomas S. Eliot nel secolo scorso: «È l’umanità che ha abbandonato la Chiesa, o è la Chiesa che ha abbandonato l’umanità?». Ora lascia in eredità al
suo successore la lucidità con la quale ha
indicato ai cristiani e al mondo il proble-
Nelle pagine precedenti foto: Reuters
E
Una parola usata più volte da Benedeturopeo? Asiatico? Africano?
Sudamericano?
Curiale? to XVI durante il suo pontificato suggerisce
Pastorale? Giovane? Ultra- una direzione e un criterio di una riforma
ottantenne (è stata lanciata che non potrà limitarsi agli uffici vaticani
anche questa)? A ognuna di ma che dovrà necessariamente coinvolgequeste qualificazioni nel toto- re gli episcopati e soprattutto i luoghi di
papa vengono associati uno o più nomi, formazione del clero, seminari diocesani e
in alcuni casi ci si sbilancia anche su un congregazioni religiose. La parola è “purifiticket di governo della Chiesa: papa suda- cazione”. Il pensiero corre immediatamente allo scandalo della pedofilia, alle semmericano segretario di Stato italiano.
Indubbiamente chi scrive ha le sue pre sospettate casse dello Ior e ai misteriosi
(più o meno interessate, più o meno veri- contenuti del dossier Vatileaks consegnato
tiere) fonti, rigorosamente anonime. Il pre- dai tre cardinali ispettori a Benedetto XVI.
conclave vive di retroscena. Ma succede Ma anche queste gravi situazioni (quelle
qualcosa anche sulla scena. A cercare sem- dimostrate e quelle supposte) non sono il
pre qualcosa “dietro” si rischia di perder- cuore del problema individuato da Benesi ciò che sta davanti a tutti, e sul quale è detto XVI come “il” problema della Chiesa
forse più utile fissare lo sguardo. Un pontificato parte inevi«Spesso – disse ratzinger –
tabilmente dal problema evidenziato dal pontificato prececi preoccupiamo delle
dente. Certo, c’è un problema
conseguenze sociali,
di governance nella Chiesa –
come si usa dire – e quindi di
culturali e politiche della
riforma della Curia vaticana, il
fede, dando per scontato
fatto è innegabile. I soliti bene
informati dicono che privache ci sia, cosa purtroppo
tamente Benedetto XVI abbia
confessato questo suo cruccio:
sempre meno realista»
non sono riuscito a riformare la Curia. Ma non era questo il compito oggi e del suo immediato futuro, sono solo
che si era prefisso. E poi una riforma non è conseguenze, dolorose quanto moralmenfine a se stessa, neanche basta a giustificar- te clamorose, ma conseguenze.
Molti ecclesiastici e non, soprattutto
la il buon funzionamento di una macchinel campo cosiddetto conservatore, sullo
na amministrativa.
Nella sua ultima udienza Benedetto scandalo dei preti pedofili hanno denunXVI ha detto una frase significativa del suo ciato una debolezza strategica del pontifiapproccio al problema: «Qui si può toccare cato, che avrebbe ritirato la Chiesa in una
con mano che cosa sia Chiesa – non un’or- posizione di difesa e non di attacco al monganizzazione, un’associazione per fini reli- do che la assedia. Benedetto XVI ha mostragiosi o umanitari, ma un corpo vivo». Con- to di essere ben cosciente di questo attaccetto che ha ribadito congedandosi e citan- co portato da una «cultura in cui non condo Romano Guardini: la Chiesa «non è ta la verità» il cui «moralismo è, in realtà,
un’istituzione escogitata e costruita a tavo- una maschera per confondere, creare conlino (…), ma una realtà vivente(…). Essa vive fusione e distruzione», ma non ha cercalungo il corso del tempo, in divenire, come to alibi. Questa guerra è la stessa degli inizi del cristianesimo. Il problema non è il
ogni essere vivente, trasformandosi».
un conclave scalmanato
L’elezione agitata di Urbano VI
e la caparbietà dello Spirito
Nelle pagine precedenti foto: Reuters
Retroscena, analisi dotte, “rivelazioni”, dossier sempre,
immancabilmente “scottanti” e soprattutto tantissimi consigli
su come dovrà essere il nuovo papa, in cosa e perché dovrà
distinguersi da quello che ha appena rinunciato, se davvero
vorrà “salvare” la Chiesa “devastata dagli scandali”.
La decisione di Benedetto XVI e l’imminente conclave non si
può dire che non stiano attirando l’attenzione della stampa.
Eppure nessuno (o quasi) tra i più eminenti commentatori
sembra essersi accorto finora di quanto la realtà della Chiesa
sia “altra” rispetto a quella di un qualunque Stato sovrano
che sta per eleggere il suo vertice, con i suoi grandi elettori, i
riti e le inevitabili trattative sopra o sottobanco. Nessuno ha
rilevato quella sensazione di altissima vertigine che prende
quando ci si accosti alle vicende della Chiesa nella sua dimensione di realtà unica e bimillenaria, portatrice di un messaggio
di salvezza che travalica i confini della Storia (figuriamoci i
retroscena di un giornale) eppure affidato alle mani di uomini
calati nelle loro storie quotidiane, imperfette come quelle
di chiunque. Ecco. Per i credenti, il conclave è il momento in
cui la Storia (la Storia della salvezza, e lo Spirito Santo che
la anima) incontra le storie degli uomini e, misteriosamente,
le illumina. Misteriosamente, cioè senza nascondere paure,
debolezze, piccoli sotterfugi. Basta scorrere le cronache di una
qualunque elezione pontificia per rendersene conto. Quella del
1378, tra innumerevoli altre, ha molto da insegnare.
La scena si svolge nel palazzo apostolico. Appena sedici
cardinali, quasi tutti francesi, e un problema enorme: evitare
di essere fatti a pezzi dai romani, contrari a qualunque
ma: la fede. La cosa sembra ovvia, se non
banale. Ma tale non è. Dialogo, inculturazione, promozione umana, scelta preferenziale per i poveri, apertura, aggiornamento, profezia, impegno, condivisione,
accoglienza, moralità della politica, onestà… anche legalità… sono state queste le
parole d’ordine dell’ecclesialese degli ultimi decenni. Tutti valori di fronte ai quali la sudditanza nei confronti del relativismo dominante e l’inadeguatezza dei singoli e delle comunità sono emerse drammaticamente.
Benedetto XVI ha attraversato questa
confusione richiamando la Chiesa a una
purificazione della conoscenza da cui solo
può prender senso ed energia quella mora-
papa che non sia “romano o almanco italiano”. Mentre i più
scalmanati già prendono a colpi d’ascia le porte del conclave
(e vengono in mente certe pressioni della stampa oggi...)
in alcuni all’interno balena l’idea: fingiamo di avere eletto
l’unico romano tra noi e diamolo in pasto ai suoi concittadini.
La messinscena sacrilega funziona solo perché il poveretto
è vecchio, pieno di acciacchi e del tutto incapace di opporsi.
Ma non dura. Il giorno dopo i romani riassaltano il palazzo
più inviperiti di prima. La scelta dei cardinali cade quindi su
un semplice arcivescovo, napoletano di nascita, che decide di chiamarsi Urbano VI. Soddisfatto il popolino, però, i
porporati si accorgono di avere fatto male i conti su tutto il
resto: tra i piedi si ritrovano un papa per nulla acquiescente,
a tal punto diverso da come l’hanno immaginato, da sentirsi
in diritto di deporlo ed eleggerne un altro. Dove sia finito
lo Spirito Santo e chi sia il vero Vicario di Cristo nessuno
sa dirlo. Tranne una donnicciola appena trentenne, analfabeta, figlia di un tintore. Costei osa l’inosabile: apostrofa i
cardinali «matti», perché con l’elezione di Urbano hanno dato
al mondo la «verità» mentre per se stessi vogliono «gustare
la menzogna». Arriva a definirli «adoratori del membro del
diavolo», convinta com’è che lo Spirito Santo soffia dove
vuole, perfino quando sembra costretto nelle circostanze di
un conclave drammatico e violento come quello che ha eletto
Urbano. È santa Caterina da Siena.
Riguardata oggi, in fondo, la sua lezione non pare dissimile da
quella che Ratzinger ha consegnato a Peter Seewald nel libro
Luce del mondo, laddove osserva che «se dipendesse solo
dagli uomini, la Chiesa sarebbe già affondata da un pezzo».
Magari il prossimo conclave sarà un’occasione per ricordarlo.
Mario Prignano
le: «Spesso ci preoccupiamo affannosamente delle conseguenze sociali, culturali
e politiche della fede, dando per scontato
che questa fede ci sia, ciò che purtroppo è
sempre meno realista. Si è messa una fiducia forse eccessiva nelle strutture e nei programmi ecclesiali, nella distribuzione di
poteri e funzioni; ma cosa accadrà se il sale
diventa insipido?» ha detto a Lisbona l’11
maggio 2010. E ha ripetuto, convocando
l’Anno della fede e sottolineando la voluta
coincidenza con il cinquantesimo del Concilio Vaticano II: «Capita ormai non di rado
che i cristiani si diano maggior preoccupazione per le conseguenze sociali, culturali
e politiche del loro impegno, continuando
a pensare alla fede come un presupposto
ovvio del vivere comune. In effetti, questo
presupposto non solo non è più tale, ma
spesso viene perfino negato. Mentre nel
passato era possibile riconoscere un tessuto culturale unitario, largamente accolto
nel suo richiamo ai contenuti della fede e
ai valori da essa ispirati, oggi non sembra
più essere così in grandi settori della società, a motivo di una profonda crisi di fede
che ha toccato molte persone».
Benedetto XVI è stato accusato di eurocentrismo perché ha colto nella secolarizzazione il vero pericolo per la fede cattolica e nella riproposizione della fede come
assenso libero razionale la via della nuova
evangelizzazione e del dialogo con la cultura contemporanea. A Regensburg, par|
| 13 marzo 2013 |
37
chiesa nel mondo ma non del mondo
lando della «sintesi con l’ellenismo compiutasi nella Chiesa antica», disse che, «certamente ci sono elementi nel processo formativo della Chiesa antica che non devono essere integrati in tutte le culture. Ma le
decisioni di fondo che, appunto, riguardano il rapporto della fede con la ricerca della ragione umana, queste decisioni di fondo fanno parte della fede stessa e ne sono
gli sviluppi, conformi alla sua natura».
La lezione dell’Est europeo
La secolarizzazione, in un mondo globale,
non è solo la realtà del vecchio continente ma il rischio incombente sulle culture
dei paesi emergenti dove pure il numero
dei cattolici è in crescita e i seminari sono
pieni come in Italia nel dopoguerra. Lo
dicono cardinali che non hanno nessun
preconcetto per un pontefice non europeo ma che non abbracciano la tesi dello spostamento geo-culturale dell’assemblea ecclesiale. Come dimostra la storia
38
| 13 marzo 2013 |
|
dei paesi dell’Est europeo dopo la caduta
del muro, la semplice liberazione dal regime comunista non ha fatto di per sé rinascere una concezione religiosa della vita;
esperienze di Chiesa che hanno resistito a
settant’anni di ateismo di Stato sono ora
di fronte alla prova di un laicismo suadente e libertario ma non meno ateo.
L’attacco al fenomeno religioso,
soprattutto alla sua dimensione pubblica,
ha varie facce: in Occidente passa attraverso la legislazione (vedi riforma sanitaria di Obama) e la giurisprudenza (vedi
sentenze delle corti europee) che cerca di
escluderlo dal dibattito pubblico in nome
di una presunta neutralità dello Stato, in
Africa è la tragica contabilità delle stragi nelle chiese cristiane, in Medio Oriente è l’emarginazione quotidiana e continua a cui si aggiungono episodi di persecuzione violenta che porta i cristiani
all’emigrazione, in India avviene lo stesso ma per opera dell’induismo radicale,
L’appello di Scola
Lo denunciava senza mezzi termini il cardinale Angelo Scola nel suo discorso alla
città di Milano per la festa di Sant’Ambrogio dello scorso dicembre. Lo stesso
arcivescovo rispondeva alla necessità di
una presenza viva della Chiesa nel mondo d’oggi, con queste parole, pronunciate
in Duomo in occasione dell’ottavo anniversario della morte di don Luigi Giussani: «Chiediamoci: nella rapida trasformazione oggi in atto quali sono gli ambienti dell’umana esistenza in cui portare Cristo? Io credo che quelli delle stanche chiese di Europa e dei provati paesi in cui
esse vivono siano ambienti decisivi degli
uomini del terzo millennio. Mi permetto di dire che in essi i cristiani, assecondando il disegno di Dio, sono chiamati
a testimoniare la logica dell’incarnazione. Dentro le situazioni vocazionali quotidiane quali la scuola, il lavoro, i quartieri,
la società, l’economia, la politica, ma con
largo respiro, documentate quindi la bellezza della fede. Alla crisi della fede europea, che secondo Benedetto XVI può condurre al “tedio dell’essere”, testimoniate,
rischiando di persona, che il cristianesimo è l’“umanesimo veramente umano”.
Questo compito già vi vede all’opera. Lo
Spirito non mancherà, se necessario, di
suggerire nuovi passi». n
Foto: Ansa
la secolarizzazione, in un mondo
globale, non è solo la realtà del
vecchio continente ma il rischio
incombente sulle culture dei paesi
emergenti, dove il numero dei cattolici
è in crescita e i seminari sono pieni.
come in Italia nel dopoguerra
in Cina siamo ancora al goffo ma brutale tentativo dello Stato di costruirsi una
Chiesa a sua immagine e somiglianza, in
alcuni paesi del Sudamerica le tensioni
Stato-Chiesa per la legislazione sui “nuovi diritti” non sono minori che in Europa. In generale viene contestata ai cristiani non tanto la libertà di coscienza, ma la
libertà di associazione e di presenza pubblica, culturale e politica, in nome del
loro essere cristiani. Se c’è un’emergenza
di cui una fede matura deve avere piena
cognizione, questa oggi ha un nome preciso: libertà religiosa.
STILI DI VITA
CINEMA
CONSIDERAZIONI POST ELETTORALI
I Verdi sono rimasti fuori, bene
PRESA D’ARIA
di Paolo Togni
Q
ualche considerazione su ambiente e politica a elezioni passate. La prima notizia è positiva: sono rimasti fuori dal Parlamento i verdi, corresponsabili
del fallimento di Ingroia. Basta quindi con le buffonate para ambientaliste
inventate a esclusivo vantaggio dei promotori, alla fastidiosa e assai interessata
attività di lobbying nei luoghi istituzionali, alla ipocrita e untuosa presunzione
di costoro di muoversi per il bene comune; queste attività non spariranno, ma
dopo una bella scrematura verranno declassate a livelli inferiori in ragione della perdita di peso dei promotori.
La seconda considerazione, però, è negativa: l’ambiente non è stato tra i temi della campagna elettorale. È comprensibile che in tempi di grave crisi economica i temi ambientali non siano quelli che appassionano di più i cittadini, ma
un disinteresse così completo è grave.
E pensare che alcuni dei problemi più gravi dell’ambiente potrebbero essere risolti in un tempo ragionevole e con costi relativi per lo Stato. Per esempio,
la bonifica dei siti inquinati, per i quali lo stanziamento di centinaia di milioni
di euro pubblici senza applicare la norma “chi inquina paga” costituisce un vero e proprio crimine; l’assetto del territorio, che può essere messo in sicurezza
in dieci anni con costi relativi
Gli AMBIENTALISTI NON SONO
eliminando sprechi e malversazioni; la gestione dei rifiuti,
ENTRATI, MA LA COSA NEGATIVA
che come in tutto il mondo poè CHE CERTI TEMI NON SONO
trebbe funzionare bene se afSTATI AFFRONTATI IN CAMPAGNA fidata a soggetti distinti dagli
ELETTORALE. E NON MI PARE CHE
enti locali, in presenza di un
I NUOVI POLITICI POSSANO
controllo serio da parte dell’affidante pubblico.
MIGLIORARE LA SITUAZIONE
Direte: facile a dirsi, ma
a farsi? Tutte le persone in buona fede e minimamente esperte sanno come e
quando quello che è necessario si può fare: non c’è spazio per spiegarlo qui, ma
chi è interessato mi scriva, e avrà risposte e chiarimenti.
Se finora non è stato fatto nulla di quanto è più necessario, le cause ci sono
eccome. Dai sindaci che pagano gli straordinari o comprano l’auto nuova con i
fondi stanziati per la difesa del suolo, alle aziende che non mantengono gli impegni a bonificare i propri terreni inquinati, ai partiti e agli amministratori che
succhiano risorse e benefit dalle municipalizzate dei rifiuti.
Questi problemi si potranno finalmente risolvere quando a proporre soluzioni sarà una classe politica colta, preparata e capace di amministrare: in questo
senso non mi pare che le recenti elezioni abbiano dato segnali molto positivi.
[email protected]
HUMUS IN FABULA
milano
Liscia o gassata, via
alle Case dell’Acqua
Parco Formentano, parco Chiesa Rossa, via Morgagni, parco
Savarino e giardino Cassina de’
Pomm’: è in questi cinque luoghi di Milano che da inizio marzo sono attive le Case dell’Acqua. Cinque impianti, finanziati
dal Comune con un contributo
regionale, progettati e realizzati
da Metropolitana Milanese Spa,
40
| 13 marzo 2013 |
|
che erogano la stessa acqua
che sgorga dai rubinetti di casa,
ma con la possibilità di scegliere tra liscia e gassata.
Grazie al servizio, attivabile con
la Carta regionale dei Servizi,
possono essere prelevati gratuitamente fino a 6 litri d’acqua al
giorno a persona.
sicurezza
Incidenti in calo con
“Adotta una strada”
Pontebbana, Pontina, Jonica, Padana Inferiore (da Alessandria a
Cremona) e Adriatica (da Rimi-
Il lato positivo,
di David O. Russell
Da soli non ci
si salva
Dopo otto mesi passati in
una clinica psichiatrica, un
giovanotto in crisi cerca di
rimettersi in sesto.
Bella storia d’amore diretta e sceneggiata dal regi-
sta di The Fighter. La vicenda è sempre quella: Pat
(Bradley Cooper, nella migliore interpretazione della carriera) è un pazzoide
per motivi vari, non ultimo il tradimento della moglie. Dopo mesi di riabilitazione se la deve vedere con
una famiglia che gli vuole
bene ma è un po’ scombiccherata e con una fanciulla
HOME VIDEO
Di nuovo in gioco,
di Robert Lorenz
Il tempo che passa
Un vecchio scout di baseball
ha problemi che lo costringono a chiedere aiuto alla figlia.
Sembra un film anni Ottanta,
di quelli che faceva pure Clint
Eastwood come regista, tipo
Bronco Billy o Honkytonk Man.
Storia semplice e ottimista anche se i colpi di scena non sono
proprio tanti. Gli attori girano
bene, soprattutto Timberlake,
che si conferma non solo belloccio. E Clint, molto invecchiato, mette la faccia su un film
malinconico che parla del tempo che passa, inesorabile.
ni a Pescara): sono le statali interessate dalla seconda edizione
di “Adotta una strada”, il progetto di sensibilizzazione ai comportamenti di guida responsabili promosso da Fondazione Ania
con la collaborazione dell’Arma.
Da novembre a gennaio, infatti,
su queste strade – tra le più pericolose d’Italia, dove nel 2011
hanno perso la vita 1.778 persone, il 46,1 per cento del totale nazionale – i carabinieri hanno intensificato i pattugliamenti,
distribuito 50 mila etilometri
monouso e oltre 2 mila volantini con le regole di trasporto dei
bambini in auto. I risultati? Una
netta diminuzione dell’incidentalità rispetto a quanto rilevato dall’Istat sulle stesse tratte
durante l’anno. Sulla Pontebbana da 1,13 incidenti (valore medio giornaliero) si è scesi a 0,08,
sulla Jonica da 0,90 a 0,33, sulla Pontina da 0,90 a 0,03, sulla
Padana inferiore da 0,58 a 0,24
e sull’Adriatica da 1,61 a 0,33.
Su 2.591 infrazioni contestate,
quelle relative alla guida in stato
di ebrezza sono meno del 7 per
cento. Diverso l’approccio con le
cinture di sicurezza e il trasporto
dei bambini: quasi un quinto delle sanzioni è dovuto al mancato
uso di tali sistemi.
LEZIONI DI VITA
più schizzata di lui. Film gridato e turbolento come era
stato The Fighter, solo che
qui non ci si prende solo a
pugni, ma ci si rincorre, si litiga, si balla. L’idea è che ce
la puoi fare solo in forza di
un abbraccio grande.
E Russell lo racconta, questo
abbraccio, con il suo stile non proprio classico, una
regia un po’ caotica, salti
di sceneggiatura: non tutto
scorre liscio ma il film vive
di momenti molto forti soprattutto quando racconta i
sentimenti.
visti da Simone Fortunato
In famiglia si
impara a lottare
di Annalena Valenti
T
ra il 2002 e il 2005, alcuni ricercatori dell’Università della California hanno monitorato la vita di 32 famiglie della middle class di
Los Angeles. Chiamato dal New York
Times «lo studio antropologico più voyeuristico mai condotto», dopo più di 9
milioni di euro e 1.540 ore di registrazioni della vita e delle dinamiche di
queste famiglie, i risultati dello studio
appaiono ora nel libro Fast-Forward Family dell’antropologa Elinor Ochs, ben
presentato, per chi volesse conoscere
i problemi delle famiglie americane,
e un po’ più in generale anche nostri,
dal sito della rivista The Atlantic. Ma
ci sono alcuni aspetti un po’ secondari della ricerca, emersi sia sul NYT, sia
nelle recensioni del libro, ma molto illuminanti per chi avesse ancora la ventura di far famiglia. Un ricercatore che
filmava dichiarò che l’assistere alla vita di una famiglia era la forma migliore di controllo delle nascite mai concepita. Mai farò un figlio. (Il ricercatore e
la moglie hanno appena avuto il secondo figlio). La vita è sempre più forte delle statistiche. Ed ecco alcune delle parole che appaiono più frequentemente
nel libro e nelle recensioni, associate a famiglia. Trincea, combattimento, negoziati in corso, rinegoziare le
responsabilità, risentimento, accordo
reciprocamente soddisfacente, stress,
conflitto, attuare strategie efficaci, alleati, ostinazione, pazienza. La vita è
una lotta e in famiglia la si impara.
mammaoca.wordpress.com
COMUNICANDO
UN NUOVO FORMAT
Note di Consenso,
liberi di esprimersi
Considerazioni, cenni, messaggi… nasce Note di Consenso
(www.consensoeu.com) un format di eventi a invito, innovativo
e di forte attualità, proposto da
Consenso, società che ha fatto
del suo core business la comunicazione strategica e i public affairs. «Con Note di Consenso si
intende favorire una conversa-
MAMMA OCA
Il regista Russell
zione aperta e informale tra stakeholder attentamente selezionati che si confrontano, di volta
in volta, con i decision maker di
riferimento sul tema oggetto
delle Note – racconta Mauro Luchetti, co-fondatore di Consenso –. Gli ospiti, in Note di Consenso, sono liberi di discutere i
propri temi di interesse offrendo
spunti di analisi sull’attualità politica e socio-economica». Il management della società, da sempre impegnato nel campo delle
relazioni istituzionali, vuole contribuire alla crescita del paese,
cercando di introdurvi un nuovo
modello di relazioni che guardi
all’Europa. «In una nazione alle
prese con cambiamenti politici e
sociali epocali, fortemente condizionati dall’avanzare dei processi di integrazione europea, è
fondamentale conoscere quali
attori interpretano questi cambiamenti», continua Mauro Luchetti. «Il format proposto vuole proprio essere un momento di
condivisione degli scenari e delle
prospettive di crescita, un’occasione di scambio di informazioni, di idee e di approfondimento
delle relazioni tra soggetti impegnati nello stesso ambito operativo». In questo contesto le sinergie create si sviluppano e si
consolidano, unite dalla trasparenza dei momenti di confronto, e si pongono quale elemento
strategico per lo sviluppo delle
relazioni dei partecipanti. [ls]
|
| 13 marzo 2013 |
41
PER PIACERE
CAMANA VEGLIA, LIVIGNO (SO)
Ricette estrose e intriganti
per uno stile pieno di guizzi
IN BOCCA ALL’ESPERTO
AMICI MIEI
LIBRI/1
Benedetto XVI
e l’entusiasmante
amicizia con Gesù
«Mi sostiene e mi illumina la
certezza che la Chiesa è di Cristo, il Quale non le farà mai
mancare la sua guida e la sua
cura». Così il papa emerito si
era rivolto ai fedeli presenti
all’udienza generale di mercoledì 13 febbraio. «Ho fatto questo in piena libertà per il bene
della Chiesa, dopo aver pregato a lungo ed aver esaminato
davanti a Dio la mia coscienza, ben consapevole della gravità di tale atto, ma altrettanto
consapevole di non essere più
in grado di svolgere il ministero
petrino con quella forza che esso richiede». La rinuncia di Benedetto XVI ha stupito tutti,
fedeli e non. Questo atto di libertà senza paragoni dimostra
ancora una volta quanto Joseph Ratzinger abbia a cuore il
bene della Chiesa, e quindi di
ciascuno di noi. Il libretto per
bambini Amico di Gesù. Il pontificato di Benedetto XVI: uomo afferrato da Cristo (Piccola casa editrice, 36 pagine con
illustrazioni, 5 euro) ripercorre, attraverso testi, illustrazioni e fotografie, gli otto anni di
pontificato di papa Benedetto
XVI. Il racconto dei suoi viaggi,
dei suoi discorsi e dei suoi incontri con personalità e fedeli
di tutto il mondo, si accompagna a una selezione di brani di
interventi che il papa emerito
ha rivolto in questi anni a tutti,
e in particolare modo ai bambini. Questo libro è un tentativo
di mostrare la testimonianza di
grande umanità che Benedetto XVI ha dato – e continuerà
a dare con la sua vita – durante il suo pontificato, mostrando
a tutti che la cosa più bella ed
entusiasmante nella vita è essere amici di Gesù.
di Tommaso Farina
Z
ona extradoganale, praticamente irraggiungibile per molti anni, Livigno (Sondrio) s’è ben meritata il soprannome di “piccolo Tibet”. Pochi paesini italiani sono tutt’uno con la montagna che li ospita. A Livigno si viene per sciare, per passeggiare
e per fare shopping, che grazie ai vantaggi dell’extradoganalità
è particolarmente conveniente. Naturale che poi si debba anche
mangiare. Tra i ristoranti consigliabili, c’è il Camana Veglia, collegato all’albergo che porta il medesimo nome, che significa “casa vecchia”, in dialetto locale. Vi metterete a sedere in un ambientino tutto legno, caldo e intimo, atmosferico al massimo. I gentili
ragazzi del servizio vi porteranno il menù e una carta dei vini
non sterminata ma ricca di buone bottiglie, tra l’altro servite con
una correttezza estrema dallo staff.
Qui si gusta la cucina di Mattia Mottini, portabandiera di uno
stile montanaro non privo di guizzi e non solo limitato ai piatti
locali. È intrigante, ad esempio, l’abbinamento tra aringa affumicata, radicchio brasato e aceto balsamico tradizionale di Modena
(quello vero, versato davanti ai vostri occhi), per un antipasto decisamente stuzzicante. E la scaloppa di foie gras con fichi secchi e
gelatina di birra artigianale? E la bresaola di casa con il vero Bitto della Val Gerola?
Di primo, i tradizionalisti godranno dei sapidi pizzoccheri,
molto tradizionali, impreziositi dalla “pesteda”, un trito di aglio,
sale ed erba achillea. I “montanari” estrosi, proveranno il risotto
al brodo di pino mugo e miele mantecato al Bagoss. I nostalgici
di pesce, le pappardelle con l’accostamento di cappesante e funghi porcini. Come piatto forte, ecco il maialino da latte cotto a
bassa temperatura con miele e rosmarino, e la guancia di vitello
al ginepro. Tra i dolci, meritevole la crème brûlée aromatizzata
al bombardino, il locale mix di liquore all’uovo e rum (o brandy).
Calcolate circa 50 euro di spesa a testa. Se trovate posto, consigliamo di pernottare all’albergo, delizioso ed elegante.
Per informazioni
Camana Veglia
http://www.camanaveglia.com
Via Ostaria, 583 – Livigno (So)
Tel. 0342996310
Chiuso a pranzo il martedì e il giovedì
TURISMO
Le strategie di Parigi
per rimanere grande
A Parigi sulle orme dei pittori impressionisti. È un grande
classico francese il tema scelto per il 2013 dal comitato regionale del turismo di Parigi
per promuovere la regione della Francia settentrionale in cui
si trova la capitale. Ile-de-France, con 22,7 milioni di arrivi
all’anno, si conferma la regione turistica più popolare della Francia. Diversi gli itinerari
proposti: dal quartiere di Montmartre, all’appena restaurato
musèe d’Orsay ed anche il musée de l’Orangerie che conserva
le celebri ninfee dipinte da Monet. Interessante la gita fuori
porta ad Auvers-sur-Oise, la località dove Van Gogh visse gli
ultimi giorni della sua vita. Gli
italiani, e in genere tutti i turisti, conoscono le principali attrazioni di Parigi. L’obiettivo
del programma del comitato
Paris Ile-de-France è di far conoscere loro quello che c’è fuori dalla città. La proposta potrebbe piacere agli oltre 900
mila italiani che vengono a Parigi e che spesso hanno già visitato i siti più noti. Quest’anno
sarà ricco di novità: nel corso dell’estate, dopo i lavori di
ammodernamento, riapriranno i battenti sia il musée National Picasso sia il Galliéra, il
museo della moda parigino. A
breve è attesa l’inaugurazione
dello spazio al primo piano della Tour Eiffel: una piazza pubblica a 57 metri di altezza, riqualificata per accogliere un
volume di visitatori in crescita
costante (7 milioni nel 2011, in
aumento del 5,6 per cento rispetto al 2010). Nel 2011 sono
stati 945 mila i turisti italiani che hanno visitato la regione, ma l’obiettivo di Versailles è
quello di attrarre altri visitatori
italiani. Il tour della reggia può
essere affiancato alla visita del
vicino orto di Luigi XIV e della “Corte degli odori”, il museo
dedicato alla tradizione dell’arte profumiera francese. In genere i turisti si limitano a visitare il Louvre, la Tour Eiffel, il
centro città. Ma grazie alle politiche dei trasporti adottate da
Parigi, la reggia di Versailles si
può raggiungere comodamente
in meno di venti minuti di treno, con partenza da qualsiasi
stazione della capitale.
Walter Abbondanti
|
| 13 marzo 2013 |
43
MOBILITÀ 2000
DI NESTORE MOROSINI
iCONA SPORTIVA PER LA MEDIA VOLKSWAGEN
Golf GTI, prestazioni
e grande guidabilità
A
l salone di Ginevra, in corso in que-
sti giorni, una delle grandi novità è la Volkswagen GTI, variante
sportiva della vettura, giunta alla settima
generazione, che ha conquistato il titolo di auto dell’anno. Da oltre trent’anni,
con la sigla GTI la Volkswagen identifica
vetture dalle grandi prestazioni e dalla
eccellente guidabilità.
L’icona sportiva della gamma Golf viene proposta per la prima volta con due livelli di potenza: 220 cavalli oppure 230
se si sceglie la GTI Performance. La prima
accelera da 0 a 100 km/h in 6,5 secondi e
raggiunge 246 km/h, mentre
per la Performance i valori diventano rispettivamente 6,4
secondi e 250 km/h.
In entrambi i casi il motore
è un TSI 2 litri turbo con iniezione diretta di benzina già oggi in linea con la normativa
Euro 6 (che entrerà in vigore
nel 2014) e consuma soltanto
6 litri/100 chilometri con emissioni di Co2 di 139 g/km (dati
riferiti alle versioni con cambio manuale
a 6 rapporti). Rispetto alla precedente GTI,
i consumi sono stati abbattuti del 18 per
cento. In abbinamento al cambio DSG a 6
rapporti, i valori diventano
6,4 l/100 chilometri (220
cavalli) e 6,5 l/100 chilometri (230 cavalli) con rispettive emissioni di Co2 di 148
e 150 g/km.
Il carattere sportivo
della Volkswagen Golf GTI
è messo in evidenza dalle
pinze dei freni verniciate in rosso, dai due terminali di scarico cromati ai
lati del paraurti e dall’assetto abbassato. Al look
contribuiscono anche cerchi Brooklyn da 17 pollici
La Golf GTI è la variante
con pneumatici 225/45 e il
sportiva della compatta
diffusore nel paraurti poche ha conquistato il
steriore.
titolo di Auto dell’anno
All’interno si ritrova il
classico tessuto a scacchi scozzese come
elemento caratterizzante dei sedili sportivi, il rivestimento nero per il tetto e la
luce ambiente rossa. Inoltre ci sono volante sportivo e pedaliera in alluminio.
Per quel che riguarda i colori è possibile
scegliere fra rosso, nero e bianco.
|
| 13 marzo 2013 |
45
POST
APOCALYPTO
IMPARARE IMITANDO
L’esempio viene prima
della predica. Così ci
educhiamo a vicenda
L
Padre Paramas, gesuita delle Riduzioni, nel suo libro La repubblica di Platone e i guaraní afferma che questo paese non si è sviluppato attraverso teorie astratte e teoriche bensì per “imitazione”. Cioè, guardare alla realtà obbedendole. Questo processo di cambiamento è avvenuto seguendo una persona che
sapeva mostrare e realizzare davanti ai loro occhi stupiti, qualcosa di interessante, di affascinante, “imitandola”. Durante questi anni in Paraguay ho potuto constatarlo nella mia esperienza di ogni giorno, a livello teorico e pratico. A livello teorico ecco cosa accade: se pongo una domanda a un mio ragazzo, lui mi risponde sempre con un esempio esplicito.
A livello pratico: se io voglio educarlo a pulire il pavimento è sufficiente che afferri una scopa e
la persona che mi vede dice: «Padre, per favore, lasci stare, faccio io». Se un prete non capisce
che è questo il metodo e non lo pratica, le sue omelie sono puro “flatus vocis”, cioè una perdita di tempo. Lo documentano le migliaia di esortazioni e richiami che negli anni scorsi abbiamo
ascoltato a Caacupé contro la corruzione. Quale è stato l’esito? Hanno cambiato qualcosa concretamente nella vita? Assolutamente no. Invece questa modalità che i padri gesuiti avevano
percepito già alcuni secoli fa, personalmente l’ho trovata molto interessante, sia dal punto di vista delle relazioni che da quello pedagogico.
Dal punto di vista delle relazioni. Alcuni giorni fa ho avuto una discussione con un amico che riguardava il luogo più idoneo dove sistemare la spazzatura. Gli ho detto: «Perché invece di creare nuovi depositi, non mettiamo i sacchi della spazzatura proprio lì, dove passano i camion della municipalità? Così facendo verifichiamo se davvero li portano via oppure li lasciano lì e poi
decidiamo come comportarci». Il giorno dopo incontro il nostro giardiniere che aveva appunto questo problema: «Padre, che faccio con le foglie degli alberi che ho raccolto?». «Amico, una
cosa molto semplice: portali sul marciapiede dove passa il netturbino ogni martedì, giovedì e
sabato». E lui ha eseguito. La domenica mattina, quando mi sono alzato, i sacchi non c’erano
più. Un miracolo? No, semplicemente quelli della municipalità avevano fatto il loro dovere.
Dal punto di vista pedagogico. Questa è una
questione molto interessante non solo per i
QUANDO SONO ARRIVATO
bambini ma anche per gli adulti. Quando ho
IN PARAGUAY MI SONO
visto questa modalità di procedere nei miei
parrocchiani, ho cominciato a cambiare il moSPAVENTATO VEDENDO IL
do di fare la predica alla Messa dei bambiDISORDINE CHE REGNAVA
ni della domenica mattina. Invece della solita
“minestra” lunga e teorica di prima, ho coOVUNQUE. L’UNICO MODO
minciato, partendo della liturgia, a mostrare
PER INSEGNARE LA
come la fede avesse concretamente a che vedere con la vita. In maniera molto semplice.
BELLEZZA DELL’ORDINE è
Una domenica ho portato in chiesa, davanSTATO PRENDERE IN MANO
ti all’altare, un letto. Ho chiesto ai bambini:
«Quanti di voi qui presenti rimettono in ordiPER PRIMO RAMAZZA E
ne il letto alla mattina?». Poche mani si sono
PALETTA. HANNO VISTO
alzate, soprattutto quelle delle bambine. Così da quella mattina ho iniziato a spiegar loE MI HANNO COPIATO
46
e “prediche” e le teorie non servono per educare.
| 13 marzo 2013 |
|
I bambini che
frequentano
la scuola della
parrocchia San
Rafael, Asunción
ro l’importanza che ha il letto, mostrando come si prepara, perché c’è il materasso, le due
lenzuola, e la coperta che si usa quando fa
freddo; infine ho spiegato anche il valore della trapunta come copriletto. La domenica seguente, dopo aver brevemente commentato la liturgia eucaristica, ho fatto la verifica
chiedendo ai bambini di mostrarmi di aver
capito e praticato quello che avevo insegnato
loro. La sorpresa fu grande perché tutti erano riusciti a fare quello che esattamente avevano visto. Alla fine del mese tutti i bambini, sia maschi sia femmine, avevano imparato
l’importanza e il valore di rifare il letto e di sistemarlo come si deve.
Affascinati dai pavimenti
La catechesi attuata con questo metodo l’ho
applicata fino a quando ho avuto il ruolo di
parroco e i risultati sono ancor oggi ben visibili, non solo nella bellezza della parrocchia e
in generale di tutta la fondazione San Rafael,
ma anche nelle famiglie che hanno condiviso
questa strada educativa. Tutto quello che esiste nella nostra realtà parrocchiale, lo abbiamo realizzato insieme, io con i parrocchiani.
Ma senza testimoniare con l’esempio, tutto
di Aldo Trento
questo non sarebbe stato possibile. Se la fede
non mostra la sua capacità educativa di cambiare la vita, a cosa serve? Se un sacerdote
non trasforma il suo sermone in catechesi di
vita, a che servono le sue parole?
Che bello quando nella parrocchia si fa una
festa che termina molto tardi e il giorno dopo
non ti rendi neanche conto che c’è stata, perché prima di andare a letto gli amici hanno
messo ogni cosa in ordine! O anche osservare
durante tutto il corso della giornata lo spettacolo della pulizia dei pavimenti: non ci sono carte o sigarette per terra. Tuttavia, senza una posizione educativa chiara, paziente e
continua da parte dei sacerdoti e dei parrocchiani, tutto questo non sarebbe avvenuto.
Un ultimo esempio. Ogni anno i bambini della nostra scuola (quest’anno sono 300) fanno una gita. Questo è l’ottavo anno che viene
organizzata ed è inevitabile il ripetersi dello stesso luogo e dello stesso hotel. Ci colpisce che alla fine della piccola vacanza, quando stiamo per lasciare l’hotel, i camerieri
rivolgendosi alla nostra direttrice esclamino:
«Si vede subito quando abbiamo come ospiti ragazzi del San Rafael, perché lasciano tutto ben ordinato. Non solo, ma non hanno mai
creato nessun problema durante la loro permanenza». Il primato del “gesto” rispetto alla
“parola” implica l’esempio dell’educatore. Un
gesto è educativo quando nell’adulto la parola e l’azione camminano insieme. Per questo
motivo si chiama “gesto”. Il suo contrario è
solo la confusione. La realtà della Chiesa esiste per mostrare a tutti la bellezza della fede
che rende umana la vita.
Il disordine quotidiano
Il Servo di Dio, don Luigi Giussani nel suo libro Il rischio educativo afferma che l’educazione è l’introduzione del bambino alla conoscenza della realtà nella totalità dei suoi
fattori. Ricordo che quando sono arrivato in Paraguay mi sono spaventato vedendo il disordine che regnava ovunque, tanto
nel mondo civile quanto in quello ecclesiastico. Trovare una chiesa o una casa sporca
era la normalità. Davanti a questa situazione mi sono domandato cosa significasse educare, come fare a introdurre il bambino alla conoscenza della realtà nella sua totalità.
Gli anni vissuti con don Giussani avevano trasformato il mio modo di vivere tutto. Ricordo che un giorno il famoso pittore brasiliano
Claudio Pastro mi raccontò questo aneddoto:
«Ero a San Paolo dove ho un’amica direttrice di una grande scuola per bambine. Era disperata perché la scuola non riusciva a offrire e a proporre nessuna esperienza educativa
valida. Così mi ha chiesto aiuto e le ho risposto: “Sorella, il problema è semplice, al 50 per
cento ci posso pensare io l’altra parte dipende dai professori. Io posso ristrutturare completamente l’edificio scolastico affinché sia
bello e accogliente. Voi dovrete offrire una
proposta di vita piena di significato e di fascino”. Dopo alcuni anni la direttrice della scuola
mi ha detto: “Professore, aveva ragione, ora
sì che stiamo educando davvero, i ragazzi sono cambiati completamente”».
Oggi, ciò che caratterizza quell’opera è l’imponenza e la bellezza della struttura. Un
fattore che trascina i ragazzi, ovviamente sempre accompagnati dall’entusiasmo dei
professori. Come si potrebbe iniziare a educare in una favela dove non c’è nemmeno un bagno decente? Solo offrendo qualcosa di bello
i ragazzi imparano. E si comincia sempre dalle cose più piccole ed umili (come un bagno)
per poi arrivare alle questioni più grandi.
[email protected]
|
| 13 marzo 2013 |
47
LETTERE
AL DIRETTORE
Bravi ragazzi montiani
e la doppia maledizione
che paralizza Bersani
N
on sono abituato,
probabilmente per l’esperienza lavorativa fatta in alcuni paesi dai sistemi democratici a dir poco traballanti, a sottovalutare o, addirittura, deligittimare, qualsiasi tentativo politico prima di averne
avuto delle ragioni solide come una montagna. Per questo,
nella conclusa campagna elettorale, anche seguendo l’invito fatto dalla Compagnia delle Opere di Bernhard Scholz, ho
accettato di confrontarmi all’interno di assemblee pubbliche
organizzate in varie province d’Italia sul tema dei bisogni di
chi nella scuola, nell’impresa e nel sistema di welfare si ostina a costruire
risposte e servizi per tutti. Sono direttore generale di una impresa not-forprofit di 2.100 dipendenti accreditata in sette regioni italiane nel settore
del welfare. Lavoro quindi con interlocutori politici di vari orientamenti, partendo dalle regole e dalla programmazione sanitaria che costoro hanno
implementato all’interno della propria
delega istituzionale. Ho, naturalmente, anche una mia idea su chi, in questi anni, ha costruito un sistema sanitario regionale più adeguato di altri in
termini di sussidiarietà reale, di sostenibilità compatibile, di certezza nei pagamenti, di valorizzazione delle competenze tecniche, di integrazione con il
sistema universitario e della formazione professionale, eccetera. Credo, per
questa mia esperienza specifica, di saper leggere l’affidabilità e la attuabilità
di un programma elettorale ma, come
dicevo, non mi spaventa chi, in forme
anche originali, riesce ad accreditarsi presso un numero considerevole di
elettori, in un modo discutibile ma legittimo. (Ho trattato con ministri africani che, fino al giorno prima, erano ufficiali guerriglieri, immaginatevi se mi
preoccupa la relazione con un eventuale assessore regionale a cinque stelle…). Eppure, anche dalle righe del vostro settimanale, che – ed è per questo
che mi rivolgo a lei – considero una zona liberata da schemi e pregiudizi, non
mi sembra che sia stata apprezzata la
differenza tra quello che è accaduto in
Lombardia e quello che è accaduto a
livello nazionale. In Lombardia, al di là
del modo imbarazzante in cui si sono
venuti a consolidare gli schieramenti
(si sono alleati tra loro coloro che si sono fatti a pezzi qualche mese prima), si
è discusso di sistemi, ci si è paragonati
tra orientamenti pratici. Si è lasciata a
casa la contrapposizione ideologica e,
almeno nella maggioranza dei casi, ci
si è scontrati sulle cose da fare, le cose
da salvare o da rinnovare. In una parola si è fatta più politica e meno demagogia. Non è un caso che la lista di chi
vuole chiudere l’Expo o il sistema delle scuole e dei servizi alla persona paritari abbia preso il minimo dei voti se
paragonati alle altre aree geografiche,
mentre sono state apprezzate le liste di coloro (Maroni e Ambrosoli) che
hanno puntato tutto sulla responsabilità nel mantenere la Lombardia nella sua vocazione di regione-guida. A livello nazionale c’è stato, viceversa, il
trionfo di coloro che vogliono mandare a casa tutti, che puntano sul tanto
peggio tanto meglio, che non apprezzano sufficientemente l’intelligenza degli italiani nel saper costruire sistemi
sostenibili in grado di guardare alla realtà delle cose da fare senza dimenti-
care che l’interdipendenza tra soggetti economici (anche chi fa welfare lo
è) e sistemi nazionali è un dato incontrovertibile. La vocazione al sano realismo di Tempi credo che possa contribuire a cogliere questa differenza
(vedi il grandioso Taz&Bao di Giancarlo Cesana di qualche settimana fa). Marco Sala
Associazione La Nostra Famiglia
In effetti non ci eravamo ancora arrivati ad apprezzare la differenza di
campagna elettorale (e di risultati)
tra Lombardia e resto d’Italia. Ma
la sua analisi, gentile Sala, non solo
colma la nostra lacuna, ma è la dimostrazione di come i lettori siano
fondamentali per fare un giornale
con un po’ di sale in zucca. Grazie.
2
Abbiamo letto l’articolo di Antonio Simone intitolato “Cari votanti montiani, come avete fatto a non capire che
il Prof ci avrebbe comunque portato
in Grecia?”, giudicandolo fuorviante.
L’attuale presidente del Consiglio, con
la sua discesa in politica, ha compiuto una scelta indubbiamente imparziale ma dovuta, una scelta che lui stesso
ha spiegato più volte dicendosi consapevole dell’impossibilità di una vittoria ma desideroso allo stesso tempo di un ruolo importante fra gli attori
del futuro Parlamento. (…) Per questo
una voce diversa, e diversa anche da
chi urla e predica l’antipolitica, può essere un elemento prezioso (per chiunque) soprattutto se, forte dell’aver
spento un incendio finanziario e impostato l’inizio di un percorso, intende ora spingere, senza suadenti prodi Fred Perri
MANCO CON I RIGORI REGALATI
M
O meglio, le
auto-proclamate persone normali. Mi terrorizza la “società civile”, anzi la auto-proclamata “società civile”. Il nuovo parlamento ne è pieno,
di persone normali e di società civile, e quindi perché
si lagnano se qualche vecchio squalo sguazza ancora tra quei nuovi bivacchi di manipoli? Perbacco, nel
48
i spaventano le persone normali.
| 13 marzo 2013 |
|
mondo è in atto una campagna per la salvezza dei pescecani, qualcuno è utile per riequilibrare l’ecosistema. Sarà uno spettacolo divertente, il prossimo Parlamento, se dura, anche perché attaccato alla cadrega,
forte di una maggioranza scarsa di voti reali, c’è Pier
Luigi Bersani. Bersani mi sta simpatico, sarei pure favorevole a vedere l’effetto che fa, come premier. Però è
Foto: AP/LaPresse
Che pena che fa il Pd alla Mazzarri
È sempre lì lì per vincere e alla fine niente
[email protected]
messe, per le riforme necessarie alla
ripresa. Rispetto alla proposta avanzata da Berlusconi al presidente Monti di diventare il federatore dei moderati, ci sembra evidente che entrambi
abbiano valutato che non fosse il caso di schierarsi l’uno con l’altro: uno
ha risposto picche e l’altro ha mutato
la sua idea in soli due giorni. Berlusconi ha voluto prendere le distanze dal
governo tecnico e, al contempo, Monti non ha cercato simpatia solo nel Pdl
ma anche nel Pd, perseguendo l’obiettivo di una forza trasversale per un
progetto che, occorre dirlo, suonava
interessantissimo (…).
Un gruppo di studenti universitari
(non dello stesso colore politico):
Giovanni Pizzamiglio, Andrea
Pesenti, Giacomo Perletti, Federico
Romagnoli, Emanuele Palumbo,
Paolo Sabatini, Antonio Giornelli,
Francesca Pirazzi, Carlo Pascucci,
Paolo Debenedettis, Alessandro
Monteurro, Filippo Villani
Ehi, ragazzi “non dello stesso colore
politico”, diamoci un taglio. Avete
visto Crozza? Che ruolo ha Monti,
politicamente parlando, sulla scena dove tre si sparano e il quarto è
morto? Vabbè, dopo la chiamata dei
tre a Palazzo Chigi magari è risorto.
2
L’attuale guazzabuglio di ingiurie e calunnie è stato causato dalla perdita
della dimensione della realtà, che sta
rendendo Bersani schiavo della maledizione dell’accanimento antiterapeutico verso Berlusconi, che peraltro è stato premiato per ben cinque volte dai
voti realistici del popolo italiano. Ma al-
VIVERE COME I SANTI
Senza di Lui non possiamo fare nulla
Il grande insegnamento ratzingeriano
CARTOLINA DAL PARADISO
di Pippo Corigliano
È
in noi il seme dell’insegnamento di Papa Ratzinger. La
sua umiltà e la sua fede riguardano anche noi. Viviamo immersi nella cultura
dell’uomo che si fa da sé. Fin da bambini ci è stato insegnato che essere cristiani significava comportarsi bene. «Ma come – ci hanno detto – hai fatto la Comunione
e ti comporti così!». Ratzinger ci ha fatto capire che il cristiano non è un superuomo
ma è un pover’uomo che “si appoggia” in Dio. L’atteggiamento di chi dipende da Dio,
di chi trova in Gesù le sue forze: questo è l’atteggiamento cristiano. «Senza di me non
potete fare nulla». Questo è il punto da cui partire per risolvere le nostre crisi: la crisi culturale, economica, politica, sociale, familiare, personale. «Imparate da me che
sono mite e umile di cuore» ha detto Gesù e Ratzinger lo ha ripetuto con l’esempio.
L’umiltà è la porta delle virtù e della felicità. Essere cristiani non è una casacca, una
stirpe, un partito, un gruppo, una corrente culturale: è vivere di fede. «Il giusto vive
di fede» ha detto san Paolo e Ratzinger lo sta facendo: la sua rinuncia non è sua, è una
“chiamata”. Devo essere consapevole che se non mi appoggio in Dio sono un animale
poco razionale, pigro, sensuale, inaffidabile: è Gesù che ogni giorno mi sostiene e mi
traccia la strada. Perciò ho bisogno della preghiera, di confessarmi, di comunicarmi,
di leggere il Vangelo, di studiare il messaggio cristiano. Allora sarò un eroe cristiano,
un santo, come lo è stato Ratzinger.
tempo di far fruttificare
lora perché non fa un passo indietro,
lasciando il comando a qualcuno più
realistico e tornando a fare il mozzo?
A ben vedere, le primarie sono state un
fattore interno al Pd, che non può ora
condizionare la vita di tutta la nazione.
Giuseppe Zola Milano
È quello che pensiamo un po’ tutti ma pochi (specie nel Pd) hanno il coraggio di dirlo. Il pur bravo
e cireneo Pier Luigi Bersani è pa-
ralizzato da una doppia maledizione a sfondo razzistico (e da Repubblica): la maledizione per cui non
si deve parlare con il centrodestra
(come se gli elettori di centrodestra fossero popolo di serie B). La
maledizione per cui se si va di nuovo a elezioni quelli delle 5 stelle
raddoppiano i voti (come se, dopo
il grottesco visto nella discesa degli adepti e dei guru a Roma, il popolo sia cieco e cretino).
Foto: AP/LaPresse
SPORT ÜBER ALLES
come Walter Mazzarri, tecnico del Napoli. Dopo ogni
partita sembra sempre che la sua squadra abbia vinto, invece ogni tanto pareggia e talvolta perde. Contro la Juventus, alla fine del primo tempo poteva stare sotto 0-3, è migliorata nel secondo ma senza mai
dare l’impressione di dominare l’avversario. Il segretario del Pd aveva un vantaggio enorme a dicembre.
È bastato one man show Berlusca e per poco il Pd non
perdeva, again. In Lombardia non è riuscito a piazzare alla Regione il suo candidato. E pensare che, ancora
una volta, la campagna elettorale gliel’ha fatta la magistratura. Sarebbe come se un arbitro ti desse un rigore via l’altro e tu li sbagliassi tutti.
|
| 13 marzo 2013 |
49
DIARIO
LA CLAUSURA DI BENEDETTO
Oltre il muro
apparente
di Marina Corradi
M
4 marzo – Confesso che quando le pale dell’elicottero hanno cominciato a girare, prima lente e poi sempre più veloci, e le ruote dolcemente
si sono staccate dal suolo, ho avvertito una ferita aprirsi – come quando
si prende cognizione di un dolore.
E quando poi l’elicottero si è alzato, pesante eppure agile, nel cielo di Roma,
e ha compiuto un giro su san Pietro, mi è sembrato che non potesse esser vero, e
di stare guardando uno di quei kolossal americani che raccontano un improbabile apocalittico futuro. E alle otto della sera a Castelgandolfo il lento inesorabile richiudersi del grande portone, e il suo serrarsi, in uno sferragliare di chiavistelli,
pure mi ha turbato: quell’andarsene di Benedetto XVI in una clausura e il mondo,
cioè noi, restare fuori. E quest’ombra l’ho ancora addosso – come un senso di abbandono. Razionalmente penso che dovrei scrollarmela via, ma non riesco. Non è
poi umano subire un lutto, per un padre che se ne va? Vedo che tutti plaudono al
coraggio della scelta ardita. Ed è vero, e però io continuo a sentire un dolore.
Forse si sente così chi vede una figlia entrare, monaca, in clausura? E per quanta fede abbia avverte in sé, immagino, il
tonfo di quel portone che si chiude, co- Non è poi umano subire un lutto, per un
me un muro che d’ora in poi fisicamen- padre che se ne va? tutti plaudono al
coraggio della scelta ardita. Ed è vero,
te per sempre divide.
È che, mi dico, bisognerebbe aver fe- e però io continuo a sentire un dolore
de, molta di più della mia. Solo così si
potrebbe con nettezza vedere come quel muro è in verità una apparenza. E come una realtà molto più grande tracima dai muri di ogni monastero, in una comunione fra cielo e terra, fra peccatori e santi, che permea il mondo, e intercede
per i nostri destini. È come se Benedetto XVI con questo sottrarsi al “nostro” mondo ci sfidasse a un gran salto (affidarsi come bambini nelle braccia di Dio, ha detto nell’ultima udienza). C’è un filo fra quel portone che serra i suoi battenti, e quel
salto. Oltre il portone all’apparenza, ai nostri occhi, c’è solo silenzio, e una solitudine che spaventa, come un luogo del nulla. Benedetto si è tuffato, come a dirci: vedete? Nel salto, le braccia di Dio mi hanno accolto.
Il punto è avere fede abbastanza; aderire, o restarcene esitanti, come quando,
d’estate, su uno scoglio, c’è chi osa il tuffo e chi si attarda – paventando quanto alto è il salto, e quanto freddo il mare. Oppure dirsi: certo, salterò anche io un giorno, ma non ora; adesso ho troppe cose da fare.
Una parte di me è rimasta orfana, l’altro giorno, a guardare l’elicottero allontanarsi. Quel portone serrato invece mi resta negli occhi come una radicale domanda: credi tu abbastanza da essere certa che oltre questa soglia c’è l’attesa fedele di
una vita più grande, e in verità più “reale” della nostra? E io, sul mio scoglio, traccheggio. Vorrei potere restare davanti a quel portone chiuso, in una tenace domanda. Mendicante di una certezza che non posso afferrarmi da me, come le cose del
“nostro” mondo. Mendicante, di ciò che si può solo domandare.
50
| 13 marzo 2013 |
|
ilano,
Scarica

Scarica il PDF - Settimanale Tempi