di Ferramonti di Tarsia (provincia di Cosenza) colà deportati dalle loro residenze italiane, situate nelle grandi città come Milano dove risiedevano già
da alcuni anni mentre altri vi si erano rifugiati più recentemente, fuggendo dalla Polonia o dalla Germania a seguito della crescente persecuzione
nazista. Una famiglia proveniva da Isola del Gran Sasso (provincia di Teramo). Altri isolati, dalla Dalmazia.
In altri paesi del Vicentino furono internati ebrei stranieri provenienti
dall’Albania e dalla Libia.
Nel 1941, con l’Italia già in guerra dall’anno precedente, troviamo il
paese di Camisano Vicentino con alle spalle realizzazioni di opere importanti come l’acquedotto, le scuole rurali, nuove strade, il consolidamento
dei ponti e la ristrutturazione del Municipio. In ambito sanitario si erano
attuate le campagne di vaccinazioni facendo diminuire sensibilmente la
mortalità infantile e quelle antitubercolari e pro Croce Rossa. Numerosi
famiglie avevano aderito alle colonie estive per i loro fanciulli. Il mondo
agricolo era in progresso grazie alle innovazioni tecniche, l’uso di sementi elette, dei concimi chimici e ai premi come quelli della battaglia del grano. Erano sorte molte piccole aziende agricole, acquistate sia pur con grandi sacrifici da molti braccianti. La disoccupazione restava però una piaga
e l’emigrazione era sempre stata una via di fuga dalla miseria, anche per
Camisano. Con il conflitto, l’unica nazione che offriva lavoro era la nostra
alleata Germania e verso questa, un nutrito gruppo di Camisanesi si rivolse, nonostante l’incognita della guerra in corso. Alcune famiglie raggiunsero le campagne di Lipsia ove furono impiegate nel lavoro dei campi fino alla fine della guerra. I ricordi di un’emigrata, Assunta Lorenzon,
sono quelli di tanto lavoro, dall’alba al tramonto e di molte kartoffen (patate). In pratica reclusi, gli emigranti camisanesi poterono tornare a casa
nel 1945, dopo settimane di viaggio in carro bestiame, con pochi marchi
di carta straccia in mano.
A Camisano sostavano spesso unità militari o paramilitari: il comando
Centuria M.V.S.N. (Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale) poi il
comando del IV Gruppo Battaglioni, tre compagnie G.I.L. (Gioventù Italiana del Littorio) e dopo la conquista dell’Impero si era costituito il Battaglione Giovani Fascisti intitolato ad Umberto Sinico, ex podestà deceduto, a campagna conclusa, all’Asmara. Unico rammarico per l’amministrazione di allora: la mancata costruzione della «Casa del Fascio» per mancanza
di fondi. Segretario del Partito fu negli anni Trenta Desiderio Casarotto e
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Il vecchio acquedotto nel centro del paese (1940)
Sotto la meridiana la scritta del Duce: La pace riposa sulle nostre forze armate (1940)
nei primi anni Quaranta Alessandro Stella, vice Augusto Marcolin. Podestà a quel tempo era il cav. Mario Beggiato, sostituito poi da Antonio Casonato, Silvio Bartolomei era segretario comunale. Completava il gruppo
dei maggiorenti di Camisano il presidente della «Società di Mutuo Soccorso» Pietro Piacentini (farmacista), il benemerito fondatore dello stesso soldalizio Giovanni Casonato, il medico veterinario Narciso Melloni che nel
1941 cessava la professione sostituito dal dottor Franco Cavedon, mentre
la Stazione dei reali carabinieri era comandata dal Maresciallo Maggiore
Giovanni Turrini. Personalità infine di grande rilievo l’Abate Giuseppe Girardi, a Camisano già dal 1907.
Gli Albanesi a Camisano Vicentino
Dal censimento del 1921 risultava che nelle vecchie province annesse all’Italia a seguito della Grande Guerra, erano presenti delle minoranze ben
strutturate, composte da francesi, sloveni, greci, catalani, tedeschi, croati e
anche albanesi. Dopo l’occupazione italiana dell’Albania nel 1939 e le conseguenti proteste jugoslave, si intensificò il controllo della vigilanza poliziesca su tutta la popolazione allogena albanese. Nel giugno del 1940, con
l’entrata in guerra dell’Italia, furono effettuali numerosi arresti di albanesi
che furono sottoposti ad internamento.
Camisano Vicentino fu tra i paesi destinati ad «ospitare» gli albanesi, una
ventina di persone, tutte di sesso maschile, che restarono in paese però solo
pochi mesi, dalla primavera all’autunno del 1941, periodo alla fine del quale furono sostituiti da internati ebrei tedeschi, austriaci, polacchi e croati.
Gli Albanesi erano raggruppati nel grande cortile della famiglia Busatta
in via XX Settembre, ma si potevano muovere liberamente entro i confini
del paese. Adiacente alla corte c’era un fienile e sul tavolato erano state stese delle brande fornite dal municipio, dove gli albanesi dormivano mentre
il vitto era preparato dalla stessa famiglia Busatta, le cui spese erano rimborsate dall’amministrazione comunale.
Gli albanesi lavoravano nella campagna limitrofa aiutando i contadini
in cambio di qualche soldo o generi di conforto. Agli stessi spettava comunque un piccolo sussidio a cura della regia Prefettura di Vicenza. I carabinieri erano incaricati della sorveglianza.
Non risultano siano accaduti avvenimenti di particolare rilievo durante
la loro permanenza. La signora Bruna Busatta, una bella signorina di quel
tempo, ricorda ancora oggi i nomi dei due ultimi albanesi che lasciarono il
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Il centro di Camisano in una cartolina del 1940
Scuole Elementari e Monumento ai Caduti in una cartolina del 1940
paese: Christoff e Thomà ed azzarda anche il cognome di uno di loro che
dovrebbe esser stato Panariot. Li ricorda particolarmente perché assieme al
fratello Natalino, essi avevano eseguito una bella decorazione murale all’interno della corte.
Il primo ordine della regia Questura di Vicenza al Podestà di Camisano
Vicentino, emesso con circolare N. 0360 di gabinetto del 3 aprile 1941 XIX
E.F., riguardava pertanto provvedimenti per internati albanesi. Ne trascriviamo gli indirizzi tali e quali come appaiono sulla circolare, peraltro indirizzata a tutti i Podestà di:
Albettone, Brendola, Breganze, Camisano Vicentino, Caltrano, Cismon
del Grappa, Chiampo, Crespadoro, Enego, Lusiana , Lastebasse, Lonigo, Malo, Marostica, Montebello Vicentino Montecchio Maggiore,
Noventa Vicentina, Posina, Roana, Rosà, Rossano Veneto, San Nazario, San Pietro Valdastico, Sossano, Tezze, Valli del Pasubio.
La stessa circolare era pure indirizzata ai Comandi Stazione RR.CC. di:
Albettone, Brendola, Breganze, Camisano Vicentino, Caltrano, Carpanè, Cismon del Grappa, Chiampo, Crespadoro, Enego, Lusiana, Lastebasse, Lonigo, Malo, Marostica, Montebello Vic., Montecchio Maggiore, Noventa Vicentina, Posina, Roana, Rosà, Rossano Veneto, S. Pietro Valdastico, Sossano, Valli del Pasubio.
E per conoscenza:
All’Eccellenza il PREFETTO VICENZA
Al Comando Gruppo CC.RR. VICENZA
Al Comando della Compagnia RR.CC. Interna ed Esterna Vicenza
Al Comando Tenenza CC.RR. Bassano Gr. - Schio - Valdagno
Al Comando Sezione RR.CC. Asiago - Lonigo - Thiene.
In essa erano riportate le seguenti disposizioni (che citiamo al completo
perché le stesse saranno applicate, qualche mese dopo, agli internati ebrei):
Gli internati albanesi che saranno avviati a codesto Comune saranno
sottoposti alle seguenti prescrizioni:
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1. Divieto di tenere presso di loro passaporti o documenti equipollenti e documenti militari. Tali documenti devono essere ritirati e
trattenuti in codesto Municipio.
2. Divieto di posseder denaro a meno che non si tratti di piccole somme non eccedenti le cento lire. Le somme eccedenti dovranno essere depositate presso le banche od Uffici Postali, su libretti nominativi che saranno da Voi custoditi. Qualora gli internati abbiano
necessità di effettuare prelevamenti, dovranno chiedere di volta
in volta l’autorizzazione a Voi, autorizzazione che sarà concessa
se la richiesta apparirà giustificata per una somma non superiore
a quella consentita. Prelevamenti di somme maggiori dovranno
essere autorizzati dal Ministero.
3. Divieto di detenere gioielli di valore rilevante o titoli. Tanto i gioielli che i titoli dovranno essere depositati, a spese dell’interessato,
in cassette di sicurezza presso la banca più vicina, dove l’internato sarà fatto accompagnare per tale operazione. La chiave della cassetta sarà tenuta dall’interessato, mentre il libretto di riconoscimento sarà conservato da Voi.
4. Divieto di detenere armi o strumenti atti ad offendere.
5. Divieto di occuparsi di politica.
6. Agli internati può essere consentita,in linea di massima, soltanto
la lettura di giornali italiani; per la lettura di libri e giornali in lingua straniera deve essere chiesta l’autorizzazione al Ministero.
7. La corrispondenza e i pacchi di qualsiasi genere, sia in arrivo che
in partenza, devono essere sempre revisionati, prima della consegna e della spedizione, da Voi o da un Vostro incaricato.
8. Divieto di detenere apparecchi radio.
9. Le visite di famigliari agli internati e del pari la convivenza con
gl’internati di famigliari, devono essere autorizzate dal Ministero, al quale devono essere inoltrate le relative istanze per tramite di questo ufficio.
10. Agl’internati inoltre dovrà essere:
a) stabilito il perimetro entro il quale possono circolare.
b) Imposto, senza però rilasciare loro speciali ore di permanenza,
l’obbligo di non allontanarsi da detto perimetro. Per giustificati motivi, potrà da Voi essere concessa l’autorizzazione a recarsi in determinate località dell’abitato. Il permesso di allontanarsi dall’abitato potrà essere concesso, invece, solo previa autorizzazione del Ministero dell’Interno.
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c) Imposto un orario, con divieto, salvo giustificati motivi o speciali autorizzazioni di uscire prima dell’alba e di rincasare dopo
l’Ave Maria.
11. Giornalmente dovrà essere accertata la presenza dei confinati e,
in caso di constatata assenza, dovrà darsene telegrafico avviso a
questo Ufficio.
12. Gl’internati potranno consumare i pasti in esercizi o presso famiglie private del luogo, dietro Vostra autorizzazione.
13. Gl’internati hanno l’obbligo di serbare buona condotta non dar
luogo a sospetti e mantenere contegno disciplinato. I trasgressori saranno puniti a termini di Legge o trasferiti in colonie insulari.
Si resta in attesa di assicurazione dell’adempimento.
firmato (Il Questore)
Il mese successivo la R. Prefettura di Vicenza, con nota di Gabinetto N.
02712 dell’8 maggio 1941 A. XXI recepiva la difficoltà di qualche Comune circa la revisione della corrispondenza degli internati albanesi, scritta in
varie lingue, causa la mancanza di personale idoneo alla traduzione.
Per ovviare a questo inconveniente si disponeva che fosse permessa soltanto la corrispondenza scritta in lingua francese, inglese e tedesca, beninteso oltre la lingua italiana. Qualora comunque non si fosse in grado di revisionare la corrispondenza, i Comuni dovevano inoltrarla, con ogni sollecitudine, alla Commissione provinciale della censura postale che aveva giurisdizione sui Comuni stessi.
Un’ulteriore circolare, la 00620 Gab. P.S. del 6 ottobre 1941 XXI E.F.
riguardava il trasferimento dalla Libia di trecento stranieri (nemici) da «internare» in paesi della nostra provincia ai quali dovevano essere applicate le
disposizioni della Nota N. 0360.
Non risulta tuttavia che a Camisano Vicentino, fino ad allora, fossero
arrivati libici e neanche ex-jugoslavi pure questi ultimi, soggetti alle norme
d’internamento. Nelle circolari non era ancora stato fatto cenno specifico
agli ebrei che invece arrivarono qua prima che il Podestà ne ricevesse comunicazione dalla Prefettura. Come si è accennato, alcuni provenienti dai
campi del sud, altri dalla ex-Jugoslavia, tutti di varie nazionalità.
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L’accoglienza degli Ebrei stranieri a Camisano Vicentino
Il primo arrivo riguardò una coppia di sposi ebrei di nazionalità tedesca;
era il 21 settembre 1941. I loro nomi: Michael Seidmann e Zisla Bleich. Erano piuttosto giovani (36 anni lui, 30 lei) e nonostante le ristrettezze dei tempi concepiranno a Camisano, l’anno successivo (1942), un maschietto a cui
sarà dato il nome di Piero. Erano già in Italia dal 7 novembre 1940 fuggiti da
Vienna a causa della deportazione in atto in Austria da parte dei nazisti. Le
autorità italiane li avevano internati nel campo di Ferramonti di Tarsia (Cosenza) ove rimasero fino al settembre dell’anno successivo quando, per le note disposizioni ministeriali, furono destinati al campo di internamento libero
di Camisano Vicentino; sappiamo che così erano definiti i paesi della nostra
provincia che «ospitavano» ebrei stranieri anche se poi la posta che arrivò qua
riportava la dicitura Campo di concentramento di Camisano Vicentino.
È dai fogli di via obbligatori che sono stati rintracciati e dalle successive
lettere di accompagnamento che è confermato che la famiglia Seidmann,
era arrivata in Italia da Vienna ed era stata internata nel campo di Ferramonti dal 7 novembre 1940 al 17 settembre 1941. I fogli di via riportavano anche l’ultima residenza ufficiale, che poteva essere Vienna, Berlino, Milano o altre perché agli stessi fogli erano allegate delle piccole note con le
generalità essenziali e le residenze originarie.
I Seidmann erano arrivati in treno a Vicenza via Mongrassano, Potenza,
Foggia, Ferrara, con tutto quello che avevano potuto portarsi appresso in
capaci valige e alcuni pacchi. Il viaggio, durato quattro giorni, era stato una
piccola odissea con lunghe soste e frequenti cambi di convoglio. Durante
uno di questi (a Padova) si erano accorti della mancanza di una valigia contenente indumenti, presumibilmente smarrita durante un precedente cambio alla stazione di Ferrara.
Si presentarono in Municipio e con una certa difficoltà di pronuncia
esposero la loro situazione, vale a dire quella di profughi ebrei già da qualche tempo in Italia e inviati a Camisano per disposizione della Questura
di Vicenza. Consegnarono il foglio di via obbligatorio declinando le proprie generalità. Già in questi primi dati anagrafici il segretario comunale
incorse in errori nella stesura di qualche consonante. Il Podestà non aspettava ebrei perché fino a quel momento non aveva ricevuto nessuna nota
informativa specifica in merito. Seguirono telefonate concitate con Vicenza
che non sortirono effetto alcuno. Il Podestà si risolse di scrivere allora (in
data 22 settembre) alla R. Prefettura informandola dell’arrivo dei coniugi
Seidmann e dichiarando che:
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non essendo giunte disposizioni circa il trattamento da usarsi alle
suddette due persone straniere, né preavviso alcuno della loro venuta, questa Amministrazione ha provveduto pertanto ad alloggiare i
suddetti coniugi presso una famiglia privata.
Il giorno dopo, 23 settembre 1941, la R. Questura informava allora che
per disposizione Ministeriale i coniugi, ebrei germanici, Seidmann
erano stati internati in questa Provincia e destinati in cotesto Comune [e ordinando] che i suddetti siano sottoposti alle prescrizioni stabilite per gli internati con la circolare N. 0360 del 3 aprile scorso, in
occasione dell’internamento di sudditi albanesi, e disporre per l’osservanza delle disposizioni stesse, d’intesa con l’Arma dei RR.CC.
IL Comando Compagnia Interna CC.RR. di Vicenza è pregato di disporre sul conto degli internati di cui trattasi la debita vigilanza, segnalando qualsiasi eventuale risultanza.
L’arrivo dei primi ebrei precedette dunque l’informativa della R. Questura nonché la nota Div. Rag. S.A. N. 17457 dell’8 ottobre 1941 A. XIX
della R. Prefettura cui s’informava il Podestà di aver inviato nel Comune,
ebrei di nazionalità straniera che dovevano sottostare alle restrizioni già note per albanesi, libici ed ex-jugoslavi e ai quali doveva essere corrisposto
trattamento economico comunicato dal predetto ufficio invitando codesto Comune al pagamento mensile delle competenze che saranno
rimborsate da questa Prefettura alla presentazione del rendiconto, in
duplice copia, debitamente quietanzato dai percipienti.
Il trattamento economico confermato con nota Div. Gab. N. 09713 del
13 ottobre 1941 A. XIX, in occasione dell’arrivo di una seconda famiglia,
anch’essa dal campo di Ferramonti, stabiliva per il capo famiglia il sussidio
giornaliero di £. 8, per il coniuge £. 4, per ogni figlio £. 3, per l’affitto £.
50 al nucleo familiare. Secondo gli internati queste cifre erano insufficienti al loro sostentamento e inferiori a quelle praticate nel campo. I figli maggiorenni poi percepivano 4 lire anziché 8. Ciò darà luogo a una serie di richieste di aumento che esamineremo più avanti.
Gli ebrei si portavano appresso tutto quello che potevano ma alcune famiglie, prima di partire per Camisano, si erano premunite di far spedire a
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La prima nota ricevuta da Camisano V. circa l’arrivo degli ebrei (1941)
mezzo ferrovia qualche grosso baule dal campo dove si trovavano, come attestano alcuni bollettini di consegna della Stazione ferroviaria di Grisignano di Zocco. Ciò fa pensare che la destinazione fosse già stata decisa prima
della loro partenza e gli internati ne erano a conoscenza, mentre la burocrazia aveva tempi più lunghi e Vicenza (e Camisano) ne venivano a conoscenza solo successivamente.
Un telegramma del Questore Ferrara in data 26 ottobre, informava il Podestà che sarebbero giunti:
costà un alto numero di ebrei stranieri internati in cotesto Comune
punto. Pregando di provvedere loro sistemazione senza alcuna eccezione punto.
Un’altra nota, la n. 010646 Gab. del 22 novembre 1941 XX, informava che:
A mezzo di agenti di p.s. vengono tradotti costà e presentati a Voi n.
8 ebrei stranieri, profughi dalla ex-Jugoslavia, che provenienti dalla
Dalmazia, per disposizione Ministeriale sono stati internati in questa
provincia e destinati a cotesto Comune.
Vi prego di curare che, con verbale del quale non dovrà essere loro
consegnata copia, siano subito sottoposti alle prescrizioni stabilite
per gli internati, già note in occasione dell’internamento di sudditi albanesi e di disporre poi, d’intesa con l’Arma dei CC.RR., per l’osservanza delle prescrizioni stesse.
Intanto Seidmann non si dava pace per la perdita della valigia. Se n’era
accorto a Padova e durante la sosta aveva telegrafato alla stazione di Ferrara per avere notizie in merito pregando il locale capo stazione di inviare la
valigia, una volta recuperata, presso la Questura di Vicenza. Poiché erano
passati 20 giorni senza ricevere notizia alcuna, sollecitò l’intervento del Podestà, che in data 10 ottobre chiese il permesso al Questore:
non essendo a tutt’oggi giunta notizia alcuna in merito, il suddetto
interessato chiede di avere un permesso onde potersi recare a Ferrara per indagare personalmente dell’oggetto smarrito.
La pratica «valigia» sembra concludersi l’8 giugno 1942 quando il bagaglio viene rintracciato a Genova presso «l’Italia Navigazione». Non risulta
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Foglio di via obbligatorio
Suppellettili della famiglia Stein (Ferramonti-Vicenza-Grisignano) trasferite a
Camisano Vicentino a mezzo della ditta G. Reniero, 1941
(La spesa per il trasporto - lire 720 - sarà pagata da Osias Stein nel 1943, grazie alla Delasem)
che i permessi di andare, prima a Ferrara e poi a Genova, gli siano stati accordati, né sappiamo se la valigia sia più stata resa al Seidmann.
Dopo la coppia Seidmann, il 13 ottobre arrivò una famiglia di nazionalità polacca: Schoeps, marito moglie, due figli e suocera che era apolide.
Anch’essi provenivano da Ferramonti dov’erano stati internati il 29 settembre 1940 e avevano lasciato il campo il 9 ottobre. Anche la signora
Schoeps rimase incinta partorendo nell’agosto dell’anno dopo una bambina di nome Uldiana.
Da Ferramonti partì in data 9 ottobre 1941 anche la coppia Fleisig con
destinazione Camisano dove arrivarono il giorno 14. Erano due coniugi anziani, tedeschi, David e la moglie Mandel Chaja Sara ed avevano una figlia
che si era sposata a Vienna, Herma chiamata anche Hermine, che era fuggita a Lubiana occupata dagli italiani. Il cognome del marito era Merznik
e mentre questo «scomparve», lei fu arrestata l’11 aprile 1941 e inviata (fortunatamente) a Ferramonti di Tarsia con altri 106 ebrei, dove poté abbracciare i genitori. Tutti e tre furono poi destinati a Camisano.
Nello stesso giorno arrivò anche la famiglia Holzer, il marito con la moglie Maria Schleikorn, le figlie Cilli e Edith e un ragazzo di nome Achim.
Questa famiglia aveva precedentemente fatto spedire dalla stazione di Mongrassano verso Vicenza una cesta, due valige, una grande e una piccola, materiale poi dirottato alla stazione di Grisignano di Zocco.
Il 18 ottobre arrivò la famiglia Stein: Osias Herschel e la moglie Stefania Gottlieb, due figlie, Hennj e Clara (sposata), di nazionalità rumena,
partiti da Ferramonti il 15 ottobre 1941. Anche gli Stein avevano fatto spedire degli effetti personali, biancheria, coperte ed una macchina per cucire, a mezzo ferrovia fino a Grisignano di Zocco. Da qui la merce era giunta a Camisano tramite lo spedizioniere «Reniero». Per pagare tale trasporto, lo Stein fu costretto a contrarre un debito di settecentoventi lire.
Con il 26 ottobre si conclusero gli arrivi del mese: giunsero gli Schapira, padre e figlio, apolidi.
Nel mese di Novembre arrivarono infine gli isolati:
Joseph Rokach, apolide
Leopold Luftig, polacco
Rosa Moerschel, polacca
Markus Weiss, germanico
Karl Nasch, germanico
Martin Cevic, croato
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Avviso della R. Questura di Vicenza al Podestà di Camisano V.
circa l’arrivo della famiglia ebrea Holzer (1941)
Telegramma del Questore di Vicenza che annuncia l’arrivo «costà»
di un alto numero di ebrei stranieri (26 novembre 1941)
Questo gruppo concluse gli arrivi del 1941. Nei primi mesi del 1942 arrivò la famiglia Jassem, la moglie in febbraio, il marito in marzo, entrambi
germanici.
L’aggettivo germanico anziché tedesco usato per gli ebrei nati in Germania è preferito dai funzionari fascisti estensori dei vari documenti forse per
non sentirsi «in colpa» verso gli alleati «tedeschi» oppure, al contrario, per
nascondere un po’ di antipatia che la maggioranza degli italiani ha spesso
avuto verso i tedeschi.
La comunità ebraica di Camisano Vicentino (1941-1943)
Misto di curiosità e perplessità ci fu per l’arrivo degli internati ma in sostanza i paesani furono sempre ben disposti verso di loro e ancor oggi li ricordano come brava gente, corretta e tranquilla. Ben presto si allacciarono
relazioni amicali; la differenza della lingua fu ben presto superata, anche
perché sappiamo che alcuni erano milanesi. I ragazzi poi impararono ben
presto a dialogare anche in dialetto veneto. Certo che a complicare tutto
questo c’erano le numerose circolari della Questura e della Prefettura che
vietava ogni rapporto con la cittadinanza.
Le circolari o le singole note o telegrammi della Questura e della Prefettura riportavano un numero progressivo della Divisione di Gabinetto di
competenza. Lo stesso numero poteva apparire anche su note successive se
l’argomento era lo stesso. Però molte volte diversi argomenti erano trattati
nella medesima circolare.
Il Podestà cercò di interpretare in ogni caso sempre con un po’ di buon
senso le disposizioni nonostante i moniti minacciosi contenuti nelle circolari e grazie a questo, ci furono pochi casi di intolleranza di cui diremo, peraltro nell’estate del 1943, quando ormai stava per calare il sipario sulla permanenza degli ebrei a Camisano.
L’arrivo quasi improvviso di ebrei stranieri aveva creato qualche difficoltà
al Comune, vista l’incombenza di trovare da un giorno all’altro camere ammobiliate e organizzare un nuovo modus vivendi per diverse persone. Comunque il Comune fronteggiò la situazione provvedendo ad acquistare delle brande e alcune indispensabili suppellettili di cucina.
Quando poi il Podestà cercò di farsi rimborsare dalla R. Prefettura, la risposta arrivò dalla R. Questura la quale affermò che tali spese erano vietate e, quand’anche fossero state permesse, si doveva aver chiesto preventiva
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autorizzazione scritta (Gab. n. 03828 P.S. 1° giugno 1942). La R. Prefettura aveva quindi invitato il podestà (circolare n. 03828 Gab. P.S. dell’11
giugno 1942 XX) a far alloggiare gli internati in camere arredate in modo
da non dover procedere anche all’acquisto di mobilio la cui spesa, ripeteva,
doveva essere comunque autorizzata.
Le cinque famiglie più numerose trovarono alloggio presso la casa Romio (l’ex villa Melloni) in via XX settembre nei pressi del ponte sul Poina
a ridosso del vecchio acquedotto. Quest’ultimo era formato da una massiccia torre cilindrica che sosteneva un ampio serbatoio pure cilindrico. Nella nuova casa gli ebrei appesero le cetre e il torrente vicino fu per loro come un fiume di Babilonia e l’acquedotto una piccola torre di Babele date
le molte lingue che si parlavano. Altri internati furono sistemati presso la
Colombara, qualcuno in canonica dall’abate Girardi e un altro persino in
un locale di cui era proprietario il Podestà. Per quanto si trattasse di stanze
piuttosto ampie, la promiscuità regnava sovrana, soprattutto in casa Romio. In quell’ambiente si verificarono casi di scabbia e poi di tbc. Il Podestà fu costretto ad inviare, qualche tempo dopo, all’ospedale civile di Vicenza una mamma e due bambini perché colpiti da scabbia. Qualche mese dopo un’anziana sarà trovata affetta da tbc ma le sarà negato, come vedremo, la richiesta d’internamento in un paese montano.
Nell’attesa di ricevere il primo sussidio, dopo aver speso tutte le loro riserve, molte famiglie rimasero senza soldi e così ricorsero al buon cuore della gente e a prestiti personali. Sono state trovate note varie di questi prestiti, come
ad esempio quella di Maria Ceroni per 350 lire: £. 200 per generi alimentari,
oltre a £. 75 per la biancheria e £. 75 per il pagamento della stanza (mentre la
famiglia ne riceverà poi, come sussidio d’affitto, solo cinquanta).
Ancora due anni dopo, come avremo modo di vedere, la Ceroni vanterà
davanti al Commissario Prefettizio tale credito, quando saranno sequestrati i beni di tutti gli ebrei di Camisano.
Il 24 febbraio 1942 la R. Questura informava (Gab. N. 0472 ) che era
in arrivo Geiger Laye, residente a Vienna, ebrea germanica. Alla predetta
non doveva essere corrisposto alcun sussidio perché in grado di mantenersi. Raccomandava infine il Comando Compagnia Interna dei CC.RR, che
leggeva per conoscenza,
di disporre debita vigilanza sull’internata segnalando qualsiasi eventuale risultanza.
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A destra la casa Melloni che ospitava cinque famiglie ebree.
A sinistra la trattoria “Leon d’Oro” con stallo. In fondo il Monumento ai Caduti
Il Podestà ne confermava in data 26 febbraio l’arrivo e faceva presente
che la Gajger ha espresso il desiderio di sollecitare telegraficamente
presso il Ministero, il trasferimento del marito Josef Jassem, internato
nell’Isola Gran Sasso (Teramo) albergo S. Gabriele, in questo Comune.
Dal «Campo di Concentramento Internati - Isola del Gran Sasso» (così la
carta intestata) datata 24 marzo 1942 - XX E.F., arrivò a Camisano una velina con oggetto: «Jassem Joseph di Schmukler, ebreo germanico, internato trasferito», per conoscenza Regia Questura e Regia Prefettura di Vicenza.
Si informava che l’internato in oggetto, munito del foglio di via, era trasferito per disposizione ministeriale a Camisano ed era un individuo di buona condotta e considerato, ai fini del sussidio giornaliero, indigente.
Faceva seguito una raccomandata della R. Prefettura di Teramo (P.S. N.
0889b del 27 marzo 1942 A. XX) con le stesse informazioni pregando il
Podestà di confermare l’arrivo e avvisando di aver rimesso alla Prefettura di
Vicenza, il passaporto tedesco n. 83119 dello Jassem.
Appena arrivato (25 marzo) Joseph Jassem presentò al Podestà una serie
di richieste di rimborso per spese di viaggio che quest’ultimo girò subito alla Questura e alla Prefettura. La risposta arrivò il 6 aprile 1942 XX dicendo che la questione sarebbe stata esaminata.
La Questura fece infatti seguito in data 2 maggio (Gab. N. 0555) affermando che:
dovevano essere rimborsate le spese non essendo state anticipate
dal campo di concentramento di Isola del Gran Sasso e si allega il passaporto tedesco n. 83119 dello Jassem perché sia conservato in codesti atti, con preghiera di un cenno di ricevuta.
Si può notare un certo sottile privilegio per questo Jassem che forse aveva qualche entratura nelle alte sfere fasciste perché tutti i suoi desiderata furono sempre assolti al contrario di tutti gli altri ebrei le cui richieste, come
vedremo, saranno tutte respinte.
Ad un certo momento inoltre, il Podestà farà sgomberare le stanze occupate dalle figlie delle famiglie Schoeps ed Holzer per far posto ai coniugi Jassem che già occupavano una casa però a loro non gradita.
Nel riassumere ora l’elenco degli Ebrei a Camisano Vicentino, occorre
informare che il segretario comunale scrisse i nominativi dei nuovi arrivati
a mano, copiandoli dai certificati della Questura o dai fogli di via dove i
nomi erano scritti pure a mano.
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Non disponendo delle copie dei passaporti sono stati riportati dunque
così come appaiono sui vari documenti ufficiali ma sono evidenti degli errori causati dall’etimologia straniera. In alcuni documenti alcuni nominativi appaiono con consonanti diverse: Morschel o Moersel, Nash o Nasch,
Rocah o Rocack, Schops con o senza dieresi, quindi anche Schoeps, Cevics
sempre così indicato in quasi tutti i documenti era in realtà Cevic senza esse finale come confermerà lui stesso più tardi. Questo per i cognomi, mentre per i nomi furono, dove possibile, arbitrariamente italianizzati e così Michael diventò Michele, Paul Paolo, Leopold Leopoldo, Lazer Lazzaro, Carolina scritta con la lettera iniziale «C» anziché con la «K» originale, Ida al
posto di Jda, Herma o Hermine tradotta in Erminia, Bena o Bernhard in
Bernardo. Ancora Martin Cevic che in un documento ufficiale è Mose, in
un altro è Mosc mentre egli conferma invece di essere Mosa (e così si firma) ma si fa chiamare Martino e si firma anche Maurizio e con quest’ultimo nome fu sempre conosciuto a Camisano. Agli ebrei, date le circostanze, non dispiaceva che il loro nome fosse «italianizzato» e non dispiaceva
neanche che fosse confuso dato che erano sempre dei ricercati. Discordanze sono state trovate anche per i nomi dei genitori, spesso già defunti, in altri viventi, così pure per qualche data di nascita diversa. La difficoltà di comprendere infine le dichiarazioni degli ebrei, per la pronuncia straniera, complicava ulteriormente le cose e ciò portò talvolta a qualche difficoltà di individuazione certa, almeno nei documenti.
La R. Questura di Vicenza con nota Gab. N. 03541 del 25 maggio 1942
XX E.F., scriveva al Podestà di Camisano che un ebreo apolide, internato
a Ferramonti, Goldfinger Mayer fu Nuchem, aveva fatto domanda (che
accludeva)
di essere trasferito a Camisano Vicentino ove trovansi internate famiglie di sua conoscenza.
In calce alla lettera è segnato un deciso «no» a penna. Infatti il Podestà
rispose in data 15 giugno con queste due righe:
Si restituisce l’unita istanza, informando che l’interessato non può trovare costì conveniente sistemazione.
Una lettera in controtendenza a questo suo scritto e steso nello stesso periodo, alla richiesta di un certo Domberger Izk fu Josef (21 aprile 1942) che
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desiderava trasferirsi a Camisano presso un internato suo cugino (Michele
Seidmann), scriveva alla Questura (25 maggio) affermando che non aveva
nulla in contrario. Il Podestà conosceva già bene Michele Seidmann come
una brava persona che garantiva per il cugino. Risulta però che il Domberger non giunse mai a Camisano.
Completati gli arrivi il 25 marzo 1942 (erano iniziati il 22 Settembre
1941), la comunità ebraica di Camisano Vicentino comprendeva le seguenti famiglie:
Seidmann (3 persone, marito, moglie e un figlio):
Seidmann Michael di Jsako e di Weiss Nessi, nato a Vienna il 6 luglio
1905, coniugato, nazionalità germanica, fotografo.
Zisla Bleich (chiamata anche Sara o Bila), fu Jsako e di Lea Bleich, nata
a Kapoczinze (Polonia), il 15 maggio 1911, coniugata Seidmann, nazionalità germanica, sarta.
Dalla coppia nacque a Padova il figlio di nome «Piero» (19 luglio 1942).
Schoeps (6 persone, marito, moglie, 3 figli, 1 suocera):
Schoeps Aron di Mosè e fu Adele Schoeps, nato a Roswadow (Polonia)
il 21 maggio 1902, domiciliato a Vienna ma di nazionalità polacca, coniugato, commerciante.
Bergner Amalia in Schoeps, fu Marko e di Bergner Reisla nata a Leopoli (Polonia) il 6 luglio 1903, nazionalità polacca, casalinga.
Schoeps Ruth di Aron e di Amalia Bergner, nata a Vienna il 4 maggio
1933, figlia, nazionalità polacca, scolara.
Shoeps Umberto di Aron e di Amalia Bergner, nato a Milano il 3 febbraio 1940, figlio, nazionalità polacca.
Dalla coppia nacque a Padova la figlia di nome «Uldiana» (3 agosto 1942).
Bergner Reisla, vedova Bergner (suocera di Aron), fu Marco e fu Sara Bergner, nata a Misthowitze (Polonia) il 2 ottobre 1880, apolide, casalinga.
Fleisig (3 persone, marito, moglie, una figlia):
Fleisig David Mates Israel fu Israel e fu Wisner Braudel, nato a Kulikow
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(Polonia) il 25 maggio 1880, domiciliato a Vienna, nazionalità germanica,
coniugato, fabbricante di berretti.
Mandel Chaia Sara in Fleisig fu Hersch e di Zitronenblatt Beile nata a
Zolkiew (Polonia) il 20 ottobre 1884, domiciliata a Vienna, nazionalità germanica, casalinga.
Fleisig Hermine in Merznik, nata a Vienna il 23 marzo 1909, nazionalità germanica, casalinga.
Holzer (5 persone, marito, moglie, tre figli):
Holzer Herman, fu Hirsch e fu Birn Lieba, nato a Leschenschina (Polonia), il 17 dicembre 1895, coniugato, apolide, commerciante.
Schleichkorn Maria in Holzer di Ides e di Kempler Frimeta, nata a Mlymne (Polonia) il 24 dicembre 1895, apolide, casalinga.
Holzer Cilli, figlia nata il 24 giugno 1920 a Berlino, apolide, istitutrice.
Holzer Edith, figlia nata il 13 marzo 1927 a Berlino, apolide, studentessa.
Holzer Achim, figlio nato il 16 ottobre 1931, apolide, scolaro.
Stein (4 persone, marito, moglie, due figlie, di cui una sposata):
Stein Herschel Osias di Chaim e Henny Birnbaun, nato a Wiznitz (Bocowina) il 12 gennaio 1892, nazionalità romena, domiciliato a Milano, coniugato, vetrinista e negoziante di confezioni.
Gottlieb Stefania fu Lieb e fu Lehr Chje Rosa, nata a Sagadora (Bocowina) il 2 dicembre 1885, coniugata Stein, nazionalità romena, casalinga.
Stein Hennj, figlia nata a Berlino il 6 agosto 1926, nazionalità romena,
nubile, studentessa.
Stein Clara, figlia sposata Haut, nata a Cernauti (Romania) il 4 ottobre
1918, nazionalità germanica (per matrimonio), disegnatrice di modelli femminili.
Schapira (2 persone, padre e figlio):
Schapira Paolo di Enrico di Pick Rika, nato a Bielitz (Austria) il 22 aprile 1894, apolide, separato, installatore elettricista.
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Schapira Leopold di Paolo e di Baldauf Karolina, figlio nato a Vienna il
15 novembre 1921, celibe, apolide, elettricista.
Coniugi Jassem (2 persone, marito e moglie):
Jassem Josef di Schmukler Leib, ebreo germanico.
Geiger Laye in Jassem, fu Samuel e fu Chaje Geiger, nata il 10.12.1892
a Domaratz Vienna, ivi residente, ebrea germanica.
E gli isolati:
Luftig Leopold di Bena e Betser Fanni, nato a Ciesyn (Polonia) il 27 ottobre 1903, nazionalità polacca, celibe, sarto.
Moersel Rosa di David e di Fingerhut Maria, nata a Orlan (Schlesen) il 27
dicembre 1909, nazionalità polacca, nubile, sarta.
Rokach Josef di Lazzaro e di Epstein Ester, nato a Czorstkow (Polonia) il
13 gennaio 1902, apolide, separato, calzolaio.
Nasch Karl di Filippo e di Ehrenhart Julia, nato a Vienna il 24 maggio
1897, tedesco, celibe, commerciante, di nazionalità germanica.
Weiss Markus fu Salomon e di Tschenkel Ida, nato a Skole (Polonia) il 18
giugno 1892, di nazionalità tedesca, celibe, pellettaio.
Cevic Martin di Haim e di Levi Ventura, nato a Nisch (Jugoslavia) il 23
giugno 1916, croato, autista.
Nove ebrei erano di nazionalità germanica, sette polacchi, dodici apolidi, un croato, ai quali si aggiungeranno i due infanti che nasceranno in luglio e agosto 1942. Si trattava di un fotografo, tre commercianti, un fabbricante di berretti, un vetrinista, una disegnatrice di modelli, due elettricisti, un sarto e due sarte, un calzolaio, un pellettaio, un autista, cinque casalinghe, un’anziana e otto tra ragazze e bambini. Solo i coniugi Jassem erano all’apparenza benestanti.
Una comunità composta alla fine da 31 (trentuno) persone che furono
confinate nel territorio comunale entro il quale si muovevano in libertà sia
pure con le restrizioni che vedremo subito. Per Camisano è più giusto dire
comunque ospitate e assistite dal Comune che trovò per loro una discreta
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La famiglia di Aron Schoeps, ritratta nella primavera del 1943,
sul ponte del Poina, di fronte alla casa Romio, in via XX Settembre
sistemazione a cominciare dalle abitazioni e fornendo suppellettili, legna e
facendo da tramite con la Prefettura per il disbrigo, piuttosto oneroso, delle pratiche relative ai sussidi previsti o straordinari.
Il trattamento dunque, anche se non proprio familiare, non fu affatto da
campo di concentramento (indirizzo così riportato come si è detto nella posta in arrivo a Camisano) ma di una abbastanza serena e civile convivenza.
Ancor oggi i concittadini, testimoni di quel tempo, rammentano la comunità ebraica come gente buona e corretta, così come i superstiti ebrei hanno riconosciuto la gente di Camisano essere stata onesta e gentile. Ciò è
provato da una parte, dalle continue diffide della Questura che non gradiva affatto tale affratellamento da parte dei concittadini con gli ebrei e dall’altra, dal ritorno dei superstiti ebrei a guerra finita, a Camisano per ringraziare chi li aveva accettati e assistiti durante quei tristi anni.
In un rapporto che vedremo, il Maresciallo maggiore dei carabinieri lamentava che gli ebrei internati avevano un trattamento oltremodo comodo,
come alloggio, sussidi, libertà (abbastanza e diceva non per colpa sua) e gli stessi trovavano anche ricetto, aiuti, comodità in tutti i ceti della popolazione.
Disposizioni restrittive
Con circolare N. 04843 Gab. del 22 luglio 1942 XX, la R. Questura si
diceva
a conoscenza che molti ebrei specie dalla Dalmazia e dalla Croazia, internati nel Regno, dopo aver dichiarato in un primo momento di possedere somme talvolta anche rilevanti, sufficienti per il loro sostentamento, hanno poco dopo richiesto la corresponsione del sussidio giornaliero dichiarando di aver consumato il denaro di cui erano in possesso.
Il Ministro ha anche notato che si verifica pure, per quanto riguarda alcuni nuclei familiari di ebrei internati, che vengono corrisposti sussidi
giornalieri di £. 8 e l’indennità di alloggio di £. 50 mensili non solo ai capi famiglia ma anche alla moglie e ai figli maggiorenni conviventi.
Premesso quanto sopra, Vi prego disporre che siano approfonditi con
ogni cura gli accertamenti, sulle condizioni economiche di detti ebrei.
[Il Questore chiariva alla fine che] agli effetti delle suindicate disposizioni [verifica del trattamento] non dovevano essere considerati come sudditi nemici gli ex-juogoslavi e i greci.
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A Camisano, mentre il Podestà cominciava ad essere assillato da roboanti
circolari della Questura e della Prefettura, gli ebrei andarono incontro, oltre
alle limitazioni sancite con la circolare N. 0360 di gabinetto del 3 aprile 1941,
XIX E.F. (per gli Albanesi), ad altre limitazioni come quella postale, la continua declinazione delle generalità per accertarne la presenza e per l’invio degli elenchi periodicamente richiesti da Vicenza e il divieto di avere rapporti
con la popolazione locale. La Questura avvisava che anche ai Camisanesi non
era consentito avvicinare gli internati e mantenere rapporti con loro e vietava la partecipazione mista a trattenimenti anche presso famiglie private. Gli
ebrei infine non potevano ricevere visite di congiunti e allontanarsi dal Comune e dovevano firmare, attestando la loro presenza, su di un apposito registro presso la locale Stazione dei Carabinieri (prima del tramonto).
Queste norme erano dettate dalla circolare N. 010514 Gab. P.S. della R.
Questura di Vicenza, in data 28 novembre 1941 XIX.
Per inciso, sia nelle circolari sia in tutta l’altra corrispondenza, compresa quella spedita da Camisano, spesso gli estensori non azzeccavano l’esatto anno in mumeri romani dell’Era Fascista.
La posta
Particolare attenzione fu rivolta alla corrispondenza, sia in arrivo sia in
partenza e la ricezione e la spedizione di pacchi, così per l’uso del telefono
e con l’interdizione di ascoltare la radio, tutto insomma ciò che riguardava
la comunicazione. Gli impiegati della Telve (l’allora società telefonica) erano stati sollecitati a scoprire e ad intercettare eventuali telefonate. La Questura pensava forse che tra gli internati poteva esserci qualche spia. Nell’assillo costante per il controllo delle comunicazioni, non risulta che la Questura abbia pensato ai piccioni viaggiatori, il cui allevamento ed eventuale
utilizzo era vietato a tutti gli ebrei.
Nella circolare citata si dichiarava che gli internati potevano tenere corrispondenza soltanto con i congiunti (sottolineato). Però a parziale modifica di questa nota, il Questore chiariva dopo oltre tre mesi (N. 017J Gab.
P.S. del 10 marzo 1942 XX) che i congiunti erano solo i connazionali che
potevano trovarsi nei campi di concentramento o in località d’internamento
e avvertiva:
Si richiamano ancora le disposizioni impartite circa l’obbligo degl’interessati, indistintamente, di consegnare tutta la corrispondenza spe-
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dita all’Autorità di p.s. preposta alla loro sorveglianza, poiché risulta
che vari internati cercano di sottrarsi a tale obbligo, impostando direttamente la corrispondenza od anche consegnandola a terze persone. A carico dei trasgressori saranno adottati provvedimenti disciplinari, tra i quali il trasferimento in campi di concentramento.
Prima della circolare del 10 marzo 1942, a Camisano era arrivata la circolare n. 0202 Gab. del 9 gennaio 1942 che ribadiva che non sarebbe stato dato corso alla corrispondenza che non fosse diretta ai soli congiunti e il
Questore disponeva:
che d’ora innanzi vi darete cura di rimettere tutta la corrispondenza stessa al locale Ufficio Postale che provvederà ad inviarla alla Direzione Prov.le
delle Poste, non solo quella da Voi revisionata, ma anche quella scritta
in lingue straniere e che non è possibile revisionare in luogo... dopo averla timbrata per l’inoltro al Capo Ufficio Postale di Vicenza Ferrovia, il quale ultimo curerà di rimetterla alla Commissione prov. di Censura.
Nella stessa circolare si comunicava che il Ministero delle Comunicazioni elevava
il limite di £. 600 a £. 1000 mensili, la somma che gli internati isolati
sudditi di Stati nemici potevano ricevere mediante vaglia. Ferme restavano però le disposizioni delle note precedenti, in particolare quella relativa alle prescrizioni cui erano sottoposti gli internati, circa il
divieto di tenere somme eccedenti le 100 lire.
Gli eventuali vaglia ricevuti dovevano quindi essere depositati in libretti di risparmio.
Il 9 febbraio 1942 Camisano riceveva la nota n. 0638 Gab., sempre dalla Questura, per ribadire unicamente quanto già noto con le precedenti circolari circa la corrispondenza:
è bene avvertire ancora gli internati che qualsiasi tentativo di evasione dell’obbligo della consegna della corrispondenza da essi spedita, sarà rigorosamente represso con provvedimenti disciplinari, non
escluso il trasferimento in campi di concentramento.
Infine, a parziale modifica delle disposizioni precedentemente impartite, si avvertiva che:
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... il Ministero dell’Interno ritiene superflua la revisione del Podestà
della corrispondenza degli internati diretta all’estero, poiché tale revisione viene effettuata in modo totalitario da altri organi.
La circolare n. 03352 Gab. del 28 maggio 1942 XX della Questura richiamando le precedenti disposizioni precisava che gli internati «esibitori»
della posta da inviare all’estero dovevano essere identificati dagli stessi organi di polizia preposti alla loro vigilanza e comunicava inoltre che il Ministero dell’Interno aveva stabilito che:
gli internati potranno scrivere, in via di massima, una lettera ed una
cartolina alla settimana e che ogni lettera non può superare 12 righe
per foglio e cioè complessivamente 24 righe.
Precisava che nella parte anteriore della corrispondenza fosse apposta in
alto l’indicazione «Posta internati civili di guerra» e nella parte posteriore
della busta o nello spazio anteriore riservato alla corrispondenza, se cartoline, fosse apposto l’indirizzo del mittente, seguito dalla qualifica di «Internato civile di guerra».
La corrispondenza di tutti gli internati doveva essere consegnata agli Uffici Postali a cura del Podestà dei Comuni di internamento.
Nella circolare Gab. 03838 dell’1 giugno 1942 XX, la R. Questura prescriveva che
in relazione poi alle recenti disposizioni circa l’obbligo della presentazione della corrispondenza all’estero, per motivi di sicurezza,l’apposizione dei francobolli su detta corrispondenza deve essere eseguita dopo la revisione di codesto Ufficio.
I francobolli dovranno essere apposti sulla parte superiore destra delle buste contenenti corrispondenza.
Il Podestà di Camisano ricevette in data 30 luglio 1942 XX la nota n.
121.12.B. 9-2 a firma del comm. dott. A. Rodano presidente della «Commissione Provinciale Censura di Guerra di Vicenza». In essa si ribadivano
le disposizioni già note dalle circolari della Questura avvertendo che si era
verificato qualche caso in cui non tutta la corrispondenza degli internati sia
in arrivo che in partenza perveniva all’esame della Commissione provinciale di censura
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essendo indispensabile che nessuna lettera sfugga alla censura, prego prendere accordi con L’Ufficiale di Posta in codesto Comune acciocché tutte le istruzioni diramate in argomento abbiano precisa e
completa esecuzione.
Analoghi controlli dovevano essere fatti anche per eventuali telegrammi.
La circolare n. 05523 Gab. del 19 agosto 1942 XX (Questura) portava a
conoscenza che l’Amministrazione britannica, aveva fatto conoscere, tramite l’Amministrazione svizzera, che stava valutando la possibilità di ammettere i telegrammi degli internati civili. In attesa di tali valutazioni si disponeva che telegrammi per e dalla Gran Bretagna e dall’Impero britannico,
fossero «arrestati» dalla censura ovverosia dal Podestà.
Anche i pacchi non dovevano sfuggire alla censura e perciò la Questura
con nota n. 05974 Gab. del 12 settembre 1942 XX pregava trasmettere:
con cortese urgenza l’elenco dei pacchi postali individuali o collettivi
giunti in cotesto Comune ad internati civili di sudditi di Paesi nemici.
La R. Questura di Vicenza scriveva in data 7 novembre 1942, XXI al Podestà di
rispondere con tutta sollecitudine alla nota n. 0594 del 14 settembre
u.s. relativa alla trasmissione di un elenco di pacchi postali individuali
o collettivi giunti in codesto comune ad internati civili sudditi di paesi nemici [tale nota non è stata rintraccita].
Comunicava infine una «buona» notizia: a parziale modica della precedente circolare n. 03352 del 28 maggio:
gli internati civili sudditi di Paesi nemici che si rivolgono alla rappresentanza della Potenza protettrice per questioni attinenti alla loro qualità di internati, possono corrispondere con detta rappresentanza senza limitazioni di tempo o di spazio prescritte con la circolare richiamata.
Dopo alcuni mesi di silenzio, intanto era trascorso il 1942 e parte del
1943, la Questura si fece viva con la nota n. 05969 Gab. del 10 giugno
1943 XXI. Informava che
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parecchi profughi fermati nelle stazioni della Venezia Giulia, provenienti da Cairo Montenotte (Savona), Fraschette di Alatri (Frosinone)
e di altre località dove funzionano campi di concentramento, sono stati trovati in possesso di lettere, denaro, viveri e corrispondenza, che
gli internati avevano consegnato loro per recapitarle ai familiari.
Poiché l’invio per posta od il recapito di pacchi viveri e di denaro agli
internati allogeni ha assunto nella Venezia Giulia la forma di una vera manifestazione di solidarietà della popolazione in favore degli internati, alimentata abilmente dalla propaganda e dai mezzi forniti dal
partito comunista, si prega disporre perché tali invii siano assolutamente vietati.
L’ultimo documento disponibile in fatto di posta, e siamo già al 26 agosto 1943 (un mese dopo la caduta del Fascismo), in una modesta circolare
di mezza paginetta, la n. 08558 Gab., la Regia Questura, constatando che
la posta aerea era trattata come quella di «terra» con dispendio di lavoro per
la cernita, affermava:
Allo scopo di eliminare tale inconveniente, che non consente di dare
la precedenza, nell’inoltro, alla corrispondenza aerea, si prega di disporre che la corrispondenza aerea spedita dagli internati civili ed avviata all’U.P.P.S. di Roma, venga separata da quella non aerea, indicando sul piego che trattasi di posta aerea.
La reiterata richiesta delle generalità
Un altro chiodo fisso della Questura fu la ripetuta richiesta al Podestà
dell’elenco degli ebrei qui residenti. La Questura pregava di fare particolare attenzione a quelli di nazionalità polacca. Si cominciò con la richiesta del
13 marzo 1942, Gab. N. 01524 a cui il Podestà non rispose. La Questura
con altra nota urgente di Gabinetto recante lo stesso numero ma con data
8 aprile, si rivolgeva al Podestà così:
Vi prego rispondere con cortese urgenza alla mia nota p.n. del 13 marzo u.s. relativi a sudditi polacchi e di altre nazionalità di razza ebraica che, trovandosi nel Regno al momento dell’inizio delle ostilità con
l’Inghilterra e non potendo proseguire il loro viaggio verso la Palestina, ove erano diretti, vennero internati.
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Il Podestà predispose allora uno stampato con l’elenco degli internati che
dovevano rispondere se erano nella condizione richiesta della Questura. Tutti, di proprio pugno, scrissero a fianco del proprio nome la parola «NO»,
così egli poté rispondere in data 14 aprile che:
nessun suddito polacco o di altra nazionalità di razza ebraica che, trovandosi, al momento delle ostilità con l’Inghilterra, nel Regno, non
poté proseguire il viaggio verso la Palestina ove era diretto, perché
internato. In tal senso è stato risposto da singolo internato residente
in questo Comune.
Ancora in data 29 maggio 1942 il Podestà ricevette un telegramma che
si richiamava alla nota n. 05797 Gab. per avere l’elenco entro il 5 giugno
degli ebrei polacchi internati nel Comune. Il segretario annotò in calce i
nominativi Shoeps, Luftig e Morschel. Nella risposta del Podestà datata 4
giugno l’elenco comprendeva tutta la famiglia Schoeps con le generalità dei
componenti (cinque persone) e i nomi appunto di Luftig e Moerschel concludendo che:
Tutte le suddette persone sono internate, nessun suddito polacco –
libero -.
IL PODESTA’
Il 17 agosto 1942 la Questura richiese, con nota Gab. N. 09353, ancora una volta il numero e la nazionalità di tutti gli internati.
Non è stato rintracciato il documento di risposta, forse superato, poiché
in data 10 settembre, stavolta da parte della R. Prefettura con nota Gab. N.
1894 avente per oggetto «Revisione censimento ebrei» si richiedeva nuovamente i loro nominativi. La nota portava in allegato due modelli, abbastanza complicati con colonne numerate, in cui si chiedeva tra l’altro,
[nel modello A]: nominativi degli ebrei e dei nati da matrimonio misto
considerati di appartenenza alla razza ebraica per decisione del Ministero dell’Interno o per dichiarazione di appartenenza alla razza ebraica resa dagli interessati ai sensi dell’art. 9 del R.D.L. 17 novembre 1938
N. 1728.
[nel modello B]: nominativi dei nati da matrimonio misto considerati non appartenenti alla razza ebraica per decisione ministeriale o la
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cui posizione razziale non sia stata ancora definita dal suddetto Ministero.
Diamo qualche esempio su come dovevano essere compilati i modelli:
Nel Modello A.
colonna 2 riservata alle donne coniugate o vedove: dovrà scriversi il
solo cognome da nubile.
In colonna 7, ove il coniuge od i figli della persona iscritta nella colonna 2 siano compresi nei modelli A e B, indicare i modelli e i numeri
d’ordine in cui sono elencati nel proprio (es.: coniuge A 85; figlio B 48).
La colonna 10 va lasciata in bianco.
Nel Modello B.
Colonne 2 e 7, come per la col. 2 e 7 del mod. A.
Colonna 8, ove la posizione razziale non sia stata ancora definita dal
Ministero dell’Interno non dovrà esservi alcuna annotazione.
Colonna 9, Come per la colonna 10 del mod. A.
Detti modelli dovranno essere compilati in stretto ordine alfabetico
ed inviati a questa Prefettura entro il 20 corrente.
Le variazioni che verranno a verificarsi tra la popolazione di razza ebrea
o mista residente dovranno essere comunicate immancabilmente a questa Prefettura, anche se negativo, entro il 30 di ciascun mese, tenute presenti le disposizioni di cui le precedenti circolari N. 1448 Gab. in data 9
giugno 1941 XIX e N. 1726 Gab. in data 31 luglio 1942 XX.
Dopo qualche giorno il Podestà, presumibilmente sbuffando, rispediva al
mittente (22 sett. XX) i modelli in bianco scrivendo in calce che nel Comune
non esistono persone di razza ebraica considerati tali per decisione
del Ministero dell’Interno o per posizione ancora da definire.
Un telegramma del Prefetto Trinchero, emesso lo stesso giorno della nota della Questura (n. 1894 Gab del 7.11.42) ordinava di:
trasmettere subito anche se negativo elenco variazione popolazione
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razza ebraica aut mista residente codesto comune richiesto ultima
parte circolare prefettizia 10 settembre scorso stop
In calce al telegramma c’è una nota che dice: negativo, 30.11.942.
Anche stavolta il Podestà se l’era presa comoda.
Ulteriore richiesta di un elenco nominativo di internati civili stranieri fu
fatta ancora dalla Regia Questura nel 1943 (N. 03151 Gab. del 10 marzo
XXI). Il segretario comunale annotò in calce:
16/3/43 spediti elenco di tutti e trenta gli ebrei.
Un telegramma del Questore Ferrara (n. 1362 del 29 maggio 1943) riferendosi alla nota n. 05974 Gab. recitava:
pregasi trasmettere entro cinque giugno p.v. elenco completo sudditi
polacchi residenti codesto comune distinti tra internati et liberi punto
I polacchi erano particolarmente tenuti di mira dalla Questura di Vicenza che ogni tanto chiedeva l’aggiornamento dell’elenco, invitando il Podestà di Camisano ad assicurarsi che nessun suddito polacco fosse «libero».
Le norme di comportamento
La R. Questura di Vicenza, con nota di Gab. N. 010514 del 6 dicembre
1941 XX E.F., facendo seguito ad una pari nota del 28 novembre già citata
per altri argomenti, dettava norme di comportamento per gli internati e avvertiva che non era consentito a chiunque di avvicinare e mantenere rapporti
con gli internati ebrei e che questi ultimi non potevano partecipare a intrattenimenti di nessun genere presso famiglie private e proseguiva:
A parte ogni considerazione sulla opportunità di un simile atteggiamento, occorre rendersi conto dei pericoli di indole morale e politica
che ne potrebbero derivare
e concludeva:
Mentre pertanto rinnovo le disposizioni di cui sopra, prego intervenire con massima energia perché infrazioni del genere non abbiano
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a ripetersi, diffidando gli internati a verbale di cui non dovrà essere
rilasciata alcuna copia, con comminatoria che in caso di ulteriore inadempienza saranno adottati a loro carico provvedimenti più gravi,
sia avvertendo i cittadini che vogliono mantenere tali rapporti da ritenere senz’altro di siffatto deprecabile atteggiamento, a scanso di
provvedimenti anche a loro carico.
(Firmato Il Questore)
Sul comportamento degli ebrei internati arrivò anche la nota N. 01071
Gab. P.S. del 10 marzo 1942 E.F. XX, nella quale si affermava che:
E’ stato rilevato che vari internati, alloggiati in alberghi, restano fino
a tarda sera nelle sale di mensa o di trattenimento, frequenterebbero esercizi pubblici senza alcuna limitazione di orario e condurrebbero un tenore di vita da turisti, suscitando così sfavorevole impressione nella popolazione.
Si rende quindi necessario l’intensificazione della vigilanza nei confronti degli internati, ribadendo l’obbligo che essi hanno di condurre
un tenore di vita ritirato, conforme al loro stato di sottoposti a provvedimenti restrittivi, di non frequentare abitualmente esercizi pubblici o comunque di non intrattenervisi oltre il necessario e di non provocare col loro comportamento reclami da parte della popolazione,
con comminatoria, in tal caso di inottemperanza, del trasferimento in
campi di concentramento o in colonie insulari.
Ad ovviare agli inconvenienti lamentati, sarebbe necessario che gli
internati alloggiassero in camere mobiliate e non in alberghi. Dove
naturalmente ciò non è possibile per mancanza di alloggi, la vigilanza da parte dell’Autorità locale di P.S. e dell’Arma dei RR.CC. dev’essere più assidua ed efficace per la rigorosa osservanza delle prescrizioni di cui sopra da parte degli internati.
Si resta in attesa di assicurazione.
(Firmato Il Questore)
In controtendenza alle precedenti circolari, la N. Gab.04843 del 22 luglio 1942 XX E.F. il Questore comunicava che non aveva nulla in contrario che gli internati ebrei, potessero a richiesta, essere autorizzati a lavorare
purché ciò non avesse danneggiato la mano d’opera locale e precisava:
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Gli internati ebrei potranno naturalmente essere autorizzati ad occuparsi soltanto di lavori per i quali per le disposizioni vigenti non sussista divieto. Essi pertanto non potranno esercitare attività professionali vietate agli appartenenti alla razza ebraica e non potranno ricevere, tra sussidio giornaliero e salario, più di quanto percepisce la
mano d’opera locale.
In data 25 ottobre 1942 (nota n. 07064 Gab.) il Questore tornò sulle
norme di comportamento e precisò:
Risulta a questo Ufficio che gli ebrei stranieri internati in questa Provincia hanno troppo dimestichezza con la popolazione e che persone
del luogo, ove i medesimi sono internati, si accompagnano con loro a
passeggio, usando un trattamento non consono alla loro situazione di
internati. Di già questo Ufficio, con diverse circolari, ha richiamata la
Vostra attenzione su tale inconveniente e prego di voler disporre che,
coloro i quali si affiancano agli ebrei internati, siano diffidati ad astenersi da un siffatto atteggiamento, riferendo i nomi di coloro i quali si
ostinassero nella inadempienza, per altri provvedimenti a loro carico.
Con l’occasione, si prega evitare siano concessi, nelle ore serali, permessi agli ebrei costà internati di frequentare cinema o altri locali di
pubblico ritrovo, senza aver chiesto ed ottenuto, di volta in volta, la
preventiva autorizzazione di questo ufficio.
Pregasi assicurare.
(firmato il Questore)
Il Podestà sottopose questo documento all’Abate Girardi e pretese la sua
firma in calce per conoscenza. Era noto che l’Abate, oltre a prodigarsi in favore degli ebrei con beni di sostentamento, aveva «assunto» come aiuto operatore Leopold Schapira, presso il cinema parrocchiale «Lux».
Anche nel 1943 il Prefetto tornò sul medesimo argomento per condannare il comportamento sia degli internati sia dei Camisanesi (Nota Gab.
04485 del 20 aprile) e si diceva:
a conoscenza che gli ebrei internati non serbano un contegno aderente
al loro stato. Essi, infatti godono di eccessiva libertà, tengono rapporti di dimestichezza con la popolazione, accompagnandosi anche a passeggio con persone del luogo, frequentando cinema ed altri locali di
pubblico ritrovo e, molti di essi, occupano comode abitazioni e persi-
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Circolare sull’eccessiva dimestichezza della popolazione con gli ebrei
fatta firmare dal Podestà all’Abate Giuseppe Girardi (1942)
no ville private, mentre sfollati dalle città colpite dall’offesa aerea nemica non riescono a trovare un modesto alloggio per sistemarsi.
La circolare fissava poi quattro punti di scrupolosa osservanza:
1. Nessun permesso, [e ripeteva] «dicesi nessuno», compresi quelli
serali, dovevano essere concessi senza autorizzazione.
2. Tutte le persone che mantenevano rapporti di dimestichezza con
gli internati dovevano essere diffidate a farlo.
3. Provvedere ad alloggiare gli internati in un unico locale, in maniera da evitare rapporti di familiarità con la popolazione locale.
4. Far osservare agli ebrei la scrupolosa osservanza delle prescrizioni. In caso di inadempienza gli stessi sarebbero stati arrestati e
deportati in campi di concentramento.
Il Prefetto si preoccupava anche gli ebrei non commerciassero in generi
alimentari, che tra loro ci fossero persone abbienti e che alcuni avessero domestici al loro servizio. Concludeva con una lunga serie di minacce per ulteriori gravi provvedimenti e invitava il comando di Gruppo dei Carabinieri di impartire a loro volta categoriche e precise disposizioni ai comandi dipendenti. E concludeva:
Avverto che disporrò con mezzi a mia diretta disposizione accertamenti diretti a stabilire se le norme emanate e più volte ripetute in
materia trovino riscontro nella pratica attuazione, non potendo più oltre tollerare inadempienze da parte degli internati ebrei e accondiscendenze o pietismi da parte delle Autorità preposte alla loro sorveglianza.
(Firmato il Prefetto Neos Dinale)
E ancora una volta la «pietra dello scandalo» fu individuato nella figura
dell’abate Girardi, oggetto di denuncia da parte dell’Ufficio Politico Investigativo che con lettera N°122/B-2 prot. del 26 giugno 1943-XXI lo si accusava di ricevere nella sua canonica degli ebrei e di offrire a loro farina e
vino. Inoltre egli permetteva ad un ebreo di prestare la sua opera come operatore cinematografico, ammetteva gli stessi ebrei ad assistere alle proiezioni che settimanalmente si davano nel locale Lux, di proprietà reale del monsignore, ma intestato alla Casa Domus. Per di più riceveva spesso in canonica un ebreo fotografo.
- 92 -
Stampa della lettera di denuncia a carico dell’abate Giuseppe Girardi
(Fonte: mostra fotografico-documentaria a cura dell’Ass. Lunanuova, 2006)
L’abate Giuseppe Girardi (1943)
Per tutte queste «colpe» fu dunque denunciato alla Questura di Vicenza, al
Comando M.V.S.N. - Servizio Politico di Roma e al Comando della V Zona
CC.NN. - Ufficio Politico di Bolzano per i provvedimenti di competenza.
Non ci risulta comunque che siano stati presi «drastici» provvedimenti
a carico dell’Abate. Forse si stavano preparando le solite diffide ma sappiamo che appena un mese dopo, sarebbe caduto il fascismo e i vari uffici politici avrebbero avuto ben altro cui pensare.
Sussidi e rendiconti
Il trattamento economico degli internati ebrei fu stabilito dalla circolare
Gab. n. 010646 P.S. della R. Questura di Vicenza, in data 28 novembre 1941
XX E.F. Essa stabiliva che a tutti quelli che risultavano sprovvisti di mezzi, doveva essere concesso il sussidio giornaliero di £. 8 (otto) e l’indennità di alloggio di £. 50 (cinquanta) mensili, mentre, per i gruppi familiari, l’indennità di
alloggio s’intendeva corrisposta per tutta la famiglia e non per ogni singolo
componente. Il sussidio giornaliero andava corrisposto nella misura di £. 8
(otto) al capo famiglia, di £. 4 (quattro) alla moglie e di £. 3 (tre) per ciascun
figlio. Il Comune doveva accertarsi dello stato d’indigenza o meno di ogni internato, in osservanza anche della precedente circolare N. 0360 del 3 aprile
(controllo dei depositi). Doveva poi far seguire l’elenco dei nuovi arrivati con
le esatte generalità di ogni internato (con scrittura chiara) con l’indicazione
dello stato civile, della nazionalità, della professione, indicando se era stato ammesso alla concessione del sussidio, specificando i componenti familiari e indicando per le donne coniugate anche il cognome originario.
C’è ancora una circolare, prima della fine del 1941, quella della R. Prefettura, Div. Rag. N. 1745 del 9 dicembre in cui sono stabilite le norme per la
compilazione dei rendiconti mensili: generalità, date del periodo, importi, nonché eventuali spese extra per medicine per le quali si dovevano allegare le fatture e specificando che l’imposta generale sull’entrata doveva essere a carico
del fornitore. Si pregava infine di scrivere tutto questo in maniera leggibile.
Con l’occasione si ribadiva il divieto agli internati di detenere somme
superiori a £. 100. Si informava infine che la tipografia Zola e Fuga di Vicenza aveva predisposto un apposito modello di stampato per i rendiconti
visto che Camisano usava vecchi stampati con la dicitura per Albanesi e intestati ECA (Ente comunale di assistenza).
L’applicazione delle norme relative ai sussidi fu oggetto, nei primi tempi, di confusione.
- 94 -
Il primo rendiconto per i sussidi agli Ebrei, ottobre 1941.
Lo stampato è ancora quello predisposto per gli Albanesi
L’erogazione dei sussidi iniziò il 18 dicembre 1941 e alla fine del mese
fu liquidata a favore dei coniugi Seidmann la somma di £. 303,30.
Il rendiconto specificava:
per Michele Seidmann £. 8: dal 18 al 30 settembre 1941 - giorni 13 - £. 104
Per Sara Zisla
£. 8: dal 18 al 30 settembre 1941 - giorni 13 - £. 156
Per quest’ultima ci sono due errori, una di calcolo poiché 13 x 8 fa 104
e non 156 e poi alla moglie spettavano £. 4 e non 8.
Si arriva alla somma di £. 303,30 sommando £. 104 + 156 + 43,30 per
fitto. Anche la cifra per quest’ultimo è errata poiché sarebbero spettate £.
21,65 essendo la quota fissata di £. 50 il mese (per 13 giorni: £. 21,65). Tali errori si ripeterono anche il mese successivo e con cifre diverse e allora la
Prefettura scrisse al Podestà di Camisano in data 12 dicembre 1941, che
aveva «tirato i conti da settembre a ottobre» e aveva rilevato che ai Seidnann
era stato corrisposto in pratica il sussidio di £. 20 giornaliere, mentre doveva essere di £. 12 e cioè £. 8 per il capo famiglia e £. 4 per la moglie; in
più era stata corrisposta l’indennità di alloggio nella misura di £. 100 mensile mentre doveva essere di £. 50.
S’intimò subito al Seidmann di restituire i soldi ma vista vana tale possibilità, il Podestà rispose alla Prefettura, in data 26 dicembre
che il recupero della somma di £. 861,65 avuta dalla moglie del Seidmann è impossibile realizzare a meno che non si sospenda la suddetta dal sussidio per il tempo necessario alla estinzione del debito.
L’8 gennaio 1942 la R. Prefettura, con lettera diretta solo al Podestà di
Camisano e per conoscenza alla Questura, riepilogava le norme per l’invio
dei rendiconti. In sostanza questi dovevano essere redatti mensilmente, le
spese extra per gli internati, prima di essere inserite nei rendiconti, dovevano essere autorizzate e approvate dal Ministro dell’Interno.
Tutte le fatture dovevano avere il bollo. Se superavano l’importo di £.
100 dovevano essere munite di visto di liquidazione congruità dei prezzi
dell’Ufficio Tecnico Erariale. Dovevano poi essere munite della dichiarazione di nulla osta al pagamento da parte della R. Questura. Si doveva elencare con scrittura leggibile i nominativi degli internati, corredati da tutte le
generalità segnalando giorni di presenza e periodo di riferimento. Le fatture per vestiario, medicine e spedalità dovevano essere vistate dal Medico
provinciale. Infine si faceva osservare che la marca da bollo per le quietanze degli internati, non era dovuta.
- 96 -
Lettera della R. Questura che invita il Podestà di Camisano V.
a rettificare gli importi dei sussidi a favore degli ebrei
La liquidazione avveniva ogni 15 giorni. Certi resoconti inviati dal comune di Camisano, furono respinti dalla Prefettura di Vicenza perché non
debitamente quietanzati dai percettori.
Sempre in tema di rendiconti e sussidi, la circolare N. 02670 del 28 maggio 1942 XX precisava che il Ministero dell’Interno fissava il sussidio di £.
4 per i figli maggiorenni ed altri congiunti (suoceri, generi, nuore, zii, ecc.)
purché indigenti e senza lavoro. Restavano fisse le altre quote per la moglie
e i figli minorenni, rispettivamente in £. 4 e £. 3, sempre che autorizzati a
vivere con il capo famiglia. Il Ministero si riservava anche di esaminare singolarmente i casi che gli fossero prospettati per un’eventuale misura da fissare a favore delle famiglie effettivamente numerose.
La circolare avvertiva infine che:
agli internati ricoverati per malattia negli ospedali o nelle infermerie
o detenuti in carcere, durante la degenza in detti luoghi, non dovrà
essere corrisposto il sussidio.
Con i nuovi arrivati nel mese di ottobre (dal giorno 9 la famiglia Holzer, 5 persone; dal giorno 10 le famiglia Schoeps, 5 persone e la famiglia
Fleisig, 3 persone; dal giorno 16 la famiglia Stein, 4 persone e con la famiglia Seidmann già presente il mese prima), l’importo salì a £. 2.227 più £.
250 per fitti per un totale di £. 2.477.
Il 26 novembre arrivarono la famiglia Schapira (padre e figlio) e gli isolati, Markus Weiss, Joseph, Leopold Luftig, Morschel Rosa, Karl Nasch e
Martin Cevic e furono erogate £. 4.743.
Riepilogando il rendiconto del 1941, troviamo conferma sul numero degli internati a Camisano (27 ebrei). Nel 1942 arrivarono i due Jassem e nacquero due bambini. Quindi il numero salì a trentuno. Poi ne sparì uno, il
croato Cevic (delle cui vicende diremo) perciò nel 1943 gli ebrei stranieri
a Camisano erano trenta.
Le erogazioni del 1942 ammontarono a £. 65.676,95, così divise per
mese:
gennaio
febbraio
marzo
aprile
maggio
giugno
£. 5.393
4.934
5.480,65
5.530
5.738,30
5.530
- 98 -
luglio
agosto
settembre
ottobre
novembre
dicembre
5.627
5.446
5.420
5.579
5.420
5.579
mentre quelle del 1943 furono di £. 45.938, così divise per mese:
gennaio
febbraio
marzo
aprile
maggio
giugno
luglio
agosto
settembre
£. 5.579
5.102
5.579
5.420
5.579
5.420
5.579
6.540
1.140
L’aumento del mese di agosto deriva dalla disposizione della Questura
che con nota N. 08167 Gab. del 27 luglio 1943 disponeva che il sussidio
fosse aumentato nella seguente misura:
da £. 8 a £. 9
da £. 4 a £. 5
da £. 3 a £. 4
al giorno al capo famiglia
per le mogli e gli altri congiunti maggiorenni
per i figli e gli altri congiunti minorenni.
La nota gettò subito nel dubbio l’amministrazione comunale perché il
Podestà chiese a Vicenza se i figli maggiorenni sposati e separati per forza
maggiore dall’altro coniuge, costituenti nucleo familiare con i genitori, si
dovessero considerare come congiunti maggiorenni e quindi con il sussidio
di £. 5 giornaliere oppure come figli con il sussidio di £. 4. La Questura rispose che a questi soggetti spettava il sussidio di £. 5 (Div. Gab. N. 08520
del 10 agosto 1943) ma già dall’importo che fu erogato in settembre si capisce che agli ebrei non importava più l’aumento perché le famiglie avevano già lasciato Camisano e i rimanenti isolati stavano per farlo.
Negli ultimi mesi del 1942 con l’intensificarsi dei bombardamenti sulle città del nord, molta gente lasciò le proprie abitazioni e si rifugiò in cam- 99 -
pagna. Era l’esercito degli sfollati e anche Camisano ne ospitò diversi. Molti trovarono locali in affitto ma altri erano indigenti per cui, anche per costoro, come era stato fatto per gli ebrei, il Podestà si adoperò a trovare locali di fortuna e a dotarli di suppellettili varie, batterie da cucina e letti. Per
loro fu messa in moto anche la procedura dei sussidi.
È stata rintracciata una nota relativa all’ultimo trimestre del 1942, stilata nel gennaio 1943, per sussidi e spese a favore degli sfollati (compresi gli
ebrei) che riportiamo:
Sussidi:
Ebrei, mese di dicembre
5.579
Sfollati:
651
A familiari che non inviano più rimesse perché internati all’Estero 248
Sfollati da luoghi colpiti da incursioni nemiche, mese di novembre 434
Per gli stessi, mese di dicembre
1.267
Sussidi straordinari mese di novembre
1.726
tot. (*) £. 8.204
Prospetto riassuntivo IV trimestre 1942 con relativi rendiconti
quindicinali per sussidi a connazionali rimpatriati
tot. £. 12.852
(*) il totale non corrisponde
Spese:
Rendiconto per il rimborso delle spese per acquisto
effetti «letterecci» (brande) e indumenti personali:
a) Sfollati Africa settentrionale
b) Connazionali rimpatriati dall’Estero
c) Sfollati da luoghi colpiti da incursioni aeree
4.563
2.178
1.060
tot. £. 7.801
Nei rendiconti per sussidi agli ebrei non appare mai il nome di Gayger
Laye moglie di Joseph Jassem perché la stessa si dichiarò autonoma economicamente al momento dell’internamento a Isola del Gran Sasso. Tuttavia
dopo un anno e mezzo di permanenza a Camisano (agosto 1943) inviò domanda alla R. Questura di Vicenza per chiedere il sussidio giornaliero essendosi trovata in difficoltà economiche avendo esaurito i propri mezzi.
- 100 -
Il Commissario prefettizio, rag. Simone Portoso, che aveva sostituito il
dimissionario Podestà Antonio Casonato dopo la caduta del fascismo il 25
luglio 1943, espresse parere favorevole.
In precedenza la signora aveva richiesto (23 ottobre 1942) un permesso
per recarsi a Milano allo scopo di recuperare un bagaglio di indumenti ed
oggetti (di un certo valore) di sua proprietà. Il tutto era stato lasciato in custodia ad un altro ebreo, Robert Adler, in via Paleocopa, 3. Il parere del podestà era stato allora favorevole ma non è stato rintracciato il benestare della Questura e forse anche per questo, non disponendo della sua roba, la signora aveva richiesto il sussidio.
Ma ormai con il precipitare degli avvenimenti, a partire dall’8 settembre
gli ebrei cominciarono a pensare a lasciare in fretta Camisano piuttosto che
ai sussidi e alla roba lasciata a Milano. Mentre ad Agosto risultavano ancora tutti e trenta presenti, alla fine della prima decade di settembre ufficialmente (secondo i rendiconti) c’erano solo le famiglie Schoeps e Schapira
(padre e figlio) e gli isolati Markus Weiss, Carlo Nasch e Joseph Rochac, in
tutto undici persone. Il nucleo Schoeps raggiunse poi la compagnia delle
famiglie che erano partite qualche giorno prima mentre gli Schapira e gli
altri isolati indugiarono qualche giorno, in attesa forse di un mezzo di locomozione come quello usufruito dai primi partenti (messo a disposizione, come vedremo dal Podestà). L’aver prolungato la loro permanenza a Camisano fu fatale per alcuni componenti di quest’ultimo gruppo, come lo
fu pure per una giovane ebrea di nome Ruth Ulman e di sua madre, non
internate ma semplicemente sfollate a Camisano e che non erano riuscite a
fuggire in tempo. Seguiremo più avanti queste vicende.
Ad ottobre non risulta essere stato emesso alcun rendiconto (per gli ebrei).
Richieste e permessi
Già a partire da ottobre 1941 le famiglie ebree con figli a carico richiesero un aumento del sussidio giornaliero trovandosi le stesse in stato di indigenza. La prima domanda fu collettiva e stesa già il 20 ottobre 1941 XIX
E.F. a cura del Podestà che la inoltrò direttamente al Ministero dell’interno a Roma. In essa si faceva presente che le famiglie Stein, Fleisig, Holzer,
Schoeps e Seidmann percepivano a Camisano un trattamento economico
giornaliero che non corrispondeva a quello riconosciuto durante la loro permanenza al campo di Ferramonti di Tarsia, essendo ora stato dimezzato per
quanto riguardava le indennità spettanti alle mogli, suocere, figli maggiori
- 101 -
di 18 anni e figli sposati (£. 4 anziché di £. 8). La stessa misura dell’alloggio era a Tarsia di £. 100 e qui era £. 50.
La Prefettura di Vicenza chiarì al Podestà che le famiglie dovevano fare singola domanda esponendo solo il caso specifico del familiare interessato, che
sarebbe stata poi inoltrata nuovamente al Ministero dell’Interno a Roma.
Il Podestà aiutò gli internati a compilare le ulteriori domande e che si
susseguirono anche nei mesi successivi. E così Hermine Fleissig figlia di Davide, sposata ma sola, di anni 33, si diceva non convivente con i genitori e
quindi doveva pagare un affitto per il quale non riceveva contributo e aveva un sussidio di £. 4 che avrebbe dovuto essere invece di £. 8. La stessa per
di più aveva perso tutte le sue valige contenenti indumenti personali.
Anche Herman Holzer chiedeva per la moglie £. 8 godute in precedenza
e un sussidio maggiore anche per la figlia Cilli che contava ora 21 anni;
così Osias Stein che a Tarsia godeva di £. 27 per la sua famiglia, a Camisano ne percepiva £. 9 in meno (sia alla moglie sia alla figlia sposata erano state ridotte le indennità). Egli lamentava anche che doveva provvedere a rimborsare £. 720 di spese per il trasporto ferroviario di un baule di
vestiario del quale era rimasto privo per circa un mese. Per tali spese fece
domanda specifica il 22 dicembre 1941 come l’amico Herman Holzer. Anche Clara Stein di 24 anni, che era sposata con il marito però all’estero, affermava che il contributo ai genitori per l’affitto era insufficiente. Inoltre
lei percepiva solo £. 3 giornaliere mentre il sussidio doveva essere di £. 4.
Dello stesso tenore anche le domande di altri singoli internati. La suocera di David Schoeps che era stata internata nel mese di agosto 1940 ad Acri
(Cosenza), diceva di avere una salute molto cagionevole in seguito a tre interventi chirurgici. Anche la nuora Amalia Bergner (rimasta da poco incinta, della cui circostanza però non fa menzione) inviò un’accorata lettera che merita forse di essere ricordata:
AL MINISTERO DELL’INTERNO
ROMA
La sottoscritta SCHOEPS AMALIA, di nazionalità polacca, internata
il 22 febbraio 1941 al campo di concentramento di Ferramonti (Cosenza) coniugata e madre di due figli, riceveva un sussidio di £. 8 per
sé e £. 3 per ciascuno dei figli, mentre dall’ottobre c.a. in cui venne
trasferita in Camisano Vicentino (Vicenza) non percepisce che £. 4
giornaliere. L’affitto poi è determinato per l’intera famiglia in £. 50
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mensili e cioè in misura assai esigua qualora si voglia tener conto dei
canoni di affitto che sono in questo paese molto elevati.
Ciò premesso ed in considerazione delle immense difficoltà della vita al giorno d’oggi, si permette far domanda per un congruo aumento delle indennità giornaliere che possano almeno bastare per il più
modesto tenore di vita.
Con la fiducia di essere esaudita porge i suoi deferenti saluti e ringraziamenti.
Camisano Vicentino, 10 dicembre 1941 - XX
La richiedente Shoeps Amalia
Le lettere di risposta del Questore che ripetevano quanto espresso dal
Ministero, erano tutte dello stesso tenore come ad esempio, quella Div. Gab.
N. 09353 in data 22 dicembre 1941 XX, e così poi tutte le successive del
1942 e 1943, in cui si comunicava al Podestà:
Pregasi V.S. informare gli ebrei indicati in oggetto (Famiglie Stein ed
altre ebree internate a Camisano Vicentino) che il Ministero dell’Interno ha comunicato che la domanda per aumento di sussidio, presentata dagli stessi non può essere accolta.
Anche le domanda dei singoli subiva la stessa sorte ( Div. Gab. N. 09985
del 27 gennaio 1942 XX):
La domanda fatta pervenire dalla persona in oggetto, tendente ad ottenere l’aumento del sussidio giornaliero, non può essere accolta.
Pregasi renderne edotta l’interessato.
(firmato il Questore)
Bisognava aspettare qualche mese tra un’istanza e la relativa risposta. Già
tra Vicenza e Camisano si perdeva tempo, finché si capì che le domande
dovevano essere mandate a Vicenza ma indirizzate al Ministero a Roma. Poi
il Ministero, tramite le Prefetture, faceva avviare un’indagine dalla Legione
Territoriale dei Carabinieri Reali di Verona (Stazione di Camisano) sullo
stato patrimoniale dei richiedenti. Non era raro che la stessa Legione rispondesse poi: ignorasi le condizioni economiche e patrimoniali della famiglia in oggetto.
Nel settembre del 1942, la suocera di Shoeps, Bergner Reisla, chiese l’autorizzazione di recarsi a Milano chiamata da una figlia, per far visita al ge- 103 -
nero gravemente ammalato. Il 3 ottobre la R. Questura informò che la domanda doveva essere prodotta al Ministero dell’Interno con un parere in
merito del Podestà. Nonostante il parere favorevole di quest’ultimo, il permesso fu negato dal prefetto di Milano
perché la città è di grande rilevanza militare.
Poco tempo dopo fu la stessa signora ad ammalarsi gravemente ed il Podestà diede parere favorevole al trasferimento chiesto dalla stessa nel comune collinare di Albino (BG) dove avrebbe potuto raggiungere un’altra
figlia, colà internata. Il Podestà allegò alla domanda certificato medico del
dott. Pietro Feriani, medico chirurgo di Camisano, che confermava la necessità del clima montano per la donna.
Anche in questo caso la R. Questura con nota Div. Gab. N. 09604 del
25 maggio 1943 XXI invitava a produrre istanza diretta al Ministero dell’Interno. Il Podestà, in una nota di sollecito (30 giugno 1943) ripeteva che
il locale medico condotto aveva dichiarato l’urgente bisogno di cure, data
la gravità del male e allegava nuovo certificato medico. La R. Questura rispose in data 9 luglio (Div. Gab. n. 09605) che era ancora in attesa delle
decisioni del Ministero a Roma, decisioni che furono rese note con lettera
della R. Questura, pari nota, del 23 luglio 1943 che diceva:
AL PODESTA’ di CAMISANO VICENTINO
L’istanza dell’internata in oggetto, intesa ad ottenere l’autorizzazione di trasferirsi ad Albino, non può essere accolta.
Si prega di rendere edotta l’interessata.
(Firmato il Questore)
A Michele Seidmann fu permesso di recarsi a Vicenza per una visita oculistica. La Questura con lettera Div. Gab. 09090 del 9 settembre 1942 lo
autorizzò: purché la visita si svolgesse limitatamente ad un giorno solo ed a proprie spese, mentre un suo mal di denti costò una bella lavata di capo al Podestà.Una domanda, fatta da Michele e intesa ad ottenere un permesso per
recarsi a Vicenza da un dentista, non fu accolta dalla R. Questura (Div. Gab.
09090 del 5 giugno 1942) ribadita con pari nota dieci giorni dopo.
Il 5 luglio Michele Seidmann fu fermato a Vicenza dalla polizia e riferì
che il Podestà gli aveva concesso il permesso verbale di allontanarsi dal Comune per urgenti cure dentarie ed esibì anche un foglio di viaggio su linee
- 104 -
automobilistiche vistato dallo stesso Podestà. La R. Questura chiese lumi a
Camisano ed il Podestà confermò la versione di Michele Seidmann assumendosene la responsabilità personale dicendosi che era d’accordo con il
Comandante locale della Stazione RR.CC (lettera del 5 luglio).
La Questura ne informò la Prefettura. Questa la lettera del prefetto Neos
Dinale, Divisione Gab. N. 09090 del 9 luglio 1943 XXI:
PERSONALE
Al PODESTA’ di Camisano Vicentino
Preso atto di quanto comunicato con lettera del 5 corrente n. 1601, e cioè
che l’ebreo straniero indicato in oggetto è stato inviato a Vicenza il giorno tre corrente dietro vostra autorizzazione personale, devo senz’altro
farvi rilevare che l’autorizzazione di cui sopra contrasta con le precise
rigorose disposizioni più volte impartite dalla locale Questura e per ultima da mia circolare 20 aprile u.s., n. 04485 Gab., che fanno assoluto divieto ai Podestà di concedere permessi, compresi quelli serali, agli ebrei
internati senza aver prima chiesto ed ottenuto la autorizzazione della R.
Questura, cui deve essere rivolta caso per caso la richiesta.
La infrazione alle tassative norme di cui sopra assume anche una maggiore gravità in considerazione che all’internato in oggetto la locale
Questura aveva in precedenza ripetutamente negato il permesso di
recarsi in questa città per sottoporsi a cure dentarie potendo egli benissimo ricorrere ad un medico dentista esistente in sito.
Ciò premesso, mentre non posso che deplorare vivamente il fatto, prego fornirmi chiarimenti in merito.
(firmato il Questore Neos Dinale)
Non si conosce se il Podestà abbia risposto oppure abbia voluto ponderare una risposta che di lì a quindici giorni avrebbe avuto una valenza diversa dato il fatto storico del 25 luglio 1943 e che lo avrebbe visto, il mese
successivo dare le dimissioni.
Michele Seidmann intanto aveva chiesto di essere trasferito in altro comune ma il 24 luglio la Questura rispose di non poter accogliere la sua istanza. Così come non accolse la sua domanda di potersi recare a Padova, ogni
settimana, per frequentare il Conservatorio.
Una domanda per trasferimento ad altro comune fu fatta anche da Leopold Luftig ma la Questura, con lettera Div. Gab. N. 03541 del 7 luglio
1942 A. XXI negò tale trasferimento.
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Permesso concesso a Osias Stein di Chaim per mandare la figlia a scuola,
presso la Comunità ebraica di Padova.
(Uno dei pochi permessi tra le tante richieste a vario titolo presentate dagli ebrei alla Questura)
Alla domanda che Osias Stein fece, affinché la figlia potesse recarsi a Padova per frequentare la locale scuola ebraica, fu dato invece parere favorevole dalla R. Questura (Div. Gab. N. 0332 del 31 dicembre 1942 A.XXI)
purché a proprie spese. In tale nota la Questura incorre in errori sui nomi,
indica il padre di Stein con fu Chain mentre era di Chaim e la figlia si chiama Henny e non Hennry.
Lo stesso Osias Stein fu citato a comparire come testimone in una causa civile che si dibatteva a Milano il 24 gennaio 1942 alle ore 9.30. Non è
dato conoscere il motivo del contendere ma si sapeva che lo Stein era un
commerciante e la causa era sorta tra due ditte della città lombarda, dove
egli aveva abitato e operato negli anni precedenti. Ottenuta l’autorizzazione dalla Questura di Vicenza egli si presentò prima alla Questura di Milano e poi si recò in Pretura ma il dibattimento fu spostato a nuova data. La
Questura di Milano, nel rimandare a Camisano, con foglio di via, lo Stein,
scrisse alla Questura di Vicenza, in maniera piuttosto seccata, pregandola,
per l’avvenire di chiedere preventiva autorizzazione alla Questura milanese
prima di concedere a stranieri a poter qui recarsi.
Cosa che Vicenza fece allorché Stein Osias dovette comparire per la seconda volta a Milano, il 20 febbraio alle ore 11 (dibattimento spostato) e
poi il 27 marzo, sempre alle ore 11 (dibattimento spostato) e poi alle 11 del
1° maggio (dibattimento spostato). La Questura di Vicenza informava il
Podestà che
con l’attuazione del nuovo codice di procedura civile la causa per la
quale è stato citato lo straniero in oggetto dovrà essere reintegrata
con le nuove norme e sarà fissata altra udienza.
Di tale causa non è stato rintracciato più alcun documento.
Infine, le amiche Clara Stein e Cilli Holzer chiesero di essere ricevute dal
Podestà in data 16 giugno 1943 per chiedere il permesso di lavorare. La prima era disegnatrice di modelli per signora, la seconda si proponeva come
maestra avendo il diploma di ‘Istitutrice’ e poteva insegnare anche la lingua tedesca. In entrambi i casi, dopo le solite procedure, la risposta fu negativa. A Clara Stein fu permesso recarsi a Padova per frequentare la comunità israelitica di quella città, ma il Prefetto di Padova annullò tale autorizzazione e anche questa domanda, come tutte le altre, andò a vuoto.
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di Ferramonti di Tarsia (provincia di Cosenza) colà deportati dalle