Convegno Caritas della Zona Pastorale V Monza “Il Valore Sociale della Famiglia. Genitori e figli per sempre” Programma Ore 9.00 Ore 10.50 ACCOGLIENZA POESIA E MUSICA DAL LIBRO DI Dott. Piero Torricelli RUTH Caritas decanale di Cantù Gruppo Ibuka Amizero Ore 9.10 Ore 11.15 PREGHIERA E INTRODUZIONE PRESENTAZIONE Mons. Armando Cattaneo “PROGETTO INCONTRO”: Vicario Episcopale Zona Pastorale V Monza UN ESEMPIO DI ASSISTENZA FAMILIARE Caritas Decanale di Monza Ore 9.30 IL VALORE SOCIALE Ore 11.45 DELLA FAMIGLIA DIBATTITO Prof. Mario Mozzanica Università Cattolica di Milano Ore 12.30 CONCLUSIONI ORE 10.45 Luciano Gualzetti PREMIAZIONE DISEGNI Vice Ragazzi dell’iniziazione cristiana Ambrosiana (Unità pastorale di Cantù) Direttore Caritas Convegno Caritas della Zona Pastorale V Monza “Il Valore Sociale della Famiglia. Genitori e figli per sempre” Un contributo al Cammino Pastorale sulla Famiglia Saluto di Monsignor Armando Cattaneo, Vicario Episcopale della Zona Pastorale V di Monza Nell’intervento di apertura, Mons. Armando Cattaneo, Vicario Episcopale della Zona V, ha esordito ricordando il cammino compiuto dalla Chiesa Ambrosiana sulla Famiglia, e le sfide del prossimo futuro. In particolare, don Armando ha invitato ad interrogarsi sul tema che sarà al centro della riflessione dei prossimi mesi, e cioè quale modello di famiglia desidera proporre la Chiesa alle sue comunità, ai suoi fedeli, alla società. La proposta Caritas non potrà che offrire una famiglia solidale, i cui membri aderiscano ad uno stile di vita sobrio fondato sull’unità e sulla solidarietà. Una famiglia solidale capace di promuovere relazioni e valori sociali che vadano oltre il focolare domestico, una famiglia che cammina con altre famiglie per essere sempre più comunità, sempre più “famiglia di famiglie”. Convegno Caritas della Zona Pastorale V Monza “Il Valore Sociale della Famiglia. Genitori e figli per sempre” Introduzione: Le Ragioni di un Convegno sulla Famiglia A cura di Fabrizio Annaro (Segreteria Caritas Zona Pastorale V Monza) Il convegno di oggi prosegue lungo il sentiero di riflessioni già avviato con altre iniziative, in particolare con il convegno Caritas di Triuggio. Oggi vogliamo sottolineare con maggior decisone il ruolo sociale della famiglia, anzi, proprio come titola il convegno, il valore sociale. E se parliamo di valore, è inevitabile il collegamento con l’ambito culturale. E’ davvero difficile guardare alla famiglia, ai progetti di sostegno e aiuto, senza allargare lo sguardo ai valori, perché è proprio qui che giocheremo la sfida più importante del prossimo futuro. Fra gli obiettivi del convegno, è indubbio che dobbiamo tentare di evidenziare gli aspetti culturali, valoriali, etici ed evangelici dell’agire sociale e delle azioni caritative. E’ un modo forte, concreto e valido per tentare di arginare la cultura dominante che è alla base delle difficoltà e della crisi della famiglia attuale, e che spinge individui e gruppi ad uno sfrenato ed irrazionale consumismo, ad una competizione del tutti contro tutti che si articola in ciascun ambito della vita sociale, compresa la famiglia. Il passaggio da una società agricola a quella industriale ha significato un profondo indebolimento della tradizione cristiana e della famiglia. Saremo presto spettatori di altre impegnative transizioni. Nell’era della globalizzazione non possiamo dimenticare che interventi, progetti, azioni di solidarietà e sostegno della persona e della famiglia sono occasioni di riflessione capaci di invertire e di spostare i centri dell’attenzione, per evitare il rischio che il procedere della vita quotidiana avanzi sempre più verso i limiti dell’INSOSTENIBILITA’ (economica, sociale, famigliare, personale). Il valore sociale della famiglia consiste anche nel proporre una dimensione più umana, che realizza dinamiche e relazioni entro i confini di ciò che è sostenibile. Qui, nel cuore della terra della laboriosità, possiamo proporre “azioni sostenibili”, offrendo il nostro contributo di pensiero, che consiste nel promuovere e consolidare il metodo dell’agire insieme, privato sociale ed istituzioni, affiancato al criterio che desidera coniugare le tecniche, le competenze specifiche, le conoscenze indispensabili all’intervento sociale, a quel mondo affascinate che è il tesoro della conoscenza, anticamera della verità, alveo dell’etica e dei valori più alti. Dalla concretezza brianzola e dalla laboriosità milanese dobbiamo far emergere e sottolineare la forza motrice che sta alla base dell’azione sociale e di sostegno alla famiglia: sono i valori di un nuovo umanesimo per alcuni e della speranza cristiana per la Chiesa. E’ proprio questa la direzione scelta dal convegno di oggi: accanto ai contributi accademici che daranno qualche luce sulle complessità e sulle competenze specifiche che si intrecciano alla dinamica sociale, si è voluto riprendere contenuti del nostro passato, senza nostalgie, ma in grado di aiutarci a leggere i nostri tempi. Ecco perché, con un linguaggio diverso come quello teatrale, è proposta l’interpretazione di un brano biblico che guarda alle trasformazioni del nostro tempo: alla donna, alle migrazioni, ai mutamenti culturali ed interreligiosi. E poi la presentazione di un progetto innovativo che ha al centro l’anziano, senza dimenticare la famiglia ed anche le implicazioni socioculturali legate all’assistenza domiciliare. Non rimane che augurare un buon lavoro. Convegno Caritas della Zona Pastorale V Monza “Il Valore Sociale della Famiglia. Genitori e figli per sempre” GENITORI E FIGLI PER SEMPRE! Il valore sociale della famiglia A cura di Carlo Mario Mozzanica Premessa La riflessione parte dalla disamina delle fatiche e del disagio attuale della famiglia, nel complesso e articolato scenario socioculturale postmoderno, per verificare le possibilità della famiglia contemporanea. Con una mirata attenzione pastorale ed educativa, è possibile enucleare sia le prospettive sociali di sviluppo che i valori sociali che la famiglia può testimoniare: la famiglia che si associa e diventa famiglia di famiglie, nella prospettiva di essere casa accanto alle case. 1. Le fatiche sociali della famiglia Per parlare dei valori sociali della famiglia, è necessario individuare le fatiche sociali e i disagi ricorrenti della famiglia oggi. La fenomenologia della famiglia si annuncia, anzitutto, con l’individuazione e la rubricazione dei suoi disagi, cercando di com-prendere la difficoltà, di ap-prendere i bisogni (non scontati) della famiglia, di lasciarsi sor-prendere dai desideri più profondi che una vita familiare, seppure ferita, evoca ed invoca. I disagi segnalati dicono l’area delle conseguenti assunzioni di responsabilità: personali, sociali e istituzionali e preludono alla volontà, non mai sufficientemente acquisita e consolidata, di apprendere la capacità di rispondere ai bisogni; di una famiglia che chiede una grammatica ed una sintassi nuova per capire e farsi capire. Il disagio culturale: il disagio, la malattia, la fatica esistenziale sono voci censurate e rimosse dal e nel vivere quotidiano. La vita è “come se” queste dimensioni non esistessero; quando capitano, ci si consegna alla rassegnazione o alla disperazione; appare impossibile la strada della consolazione, quando il cammino chiama alla desolazione. Il disagio personale: la difficoltà di riconciliarsi con se stessi e con la vita, quando essa ti assegna la fatica, ma insieme il dono; le categorie dell’efficienza, della produttività, dell’apparire, dell’arrivare primi segnalano la loro fragilità educativa. Il disagio motivazionale: cresce in un contesto sociale di conclamata enfasi del come, di disfasia del dove e di afasia del perché. Il disagio relazionale: appare come valorizzazione delle “relazioni brevi”, di relazioni senza luogo e senza tempo. Il disagio comunicazionale: è coltivato all’interno delle relazioni familiari. Solo la crescita di autentiche comunità, ove ci si senta accolti e riconosciuti (in una comune umanità) diventa garanzia e barriera per quella deriva annunciata. Il disagio esistenziale: è iscritto nell’ipertrofia dei bisogni (con il conseguente accanimento nella ricerca di una risposta) e ascritto all’atrofia dei desideri (e nella conseguente attesa di relazione, di ascolto, di comprensione, di valorizzazione). Il disagio generazionale: che si annuncia con la crescita, soprattutto nel nostro paese, della denatalità; consegna solo paure per il futuro. Vi è poi il disagio temporale, che l’imperativo postmoderno riassume nel “tutto e subito”. Ma un figlio dice “attesa”, dice la gioia dei piccoli passi, segnala il benessere esistenziale e la possibile felicità di un legame affermato e gioiosamente custodito. Cresce il disagio abitativo, non solo per la fatica di trovare, per i giovani, casa, ma per i crescenti rischi di convivenza sempre più condominiale. Aumenta il disagio istituzionale, in logiche sempre più neoliberiste, anche nella dinamica dei diritti sociali; la famiglia si sente abbandonata quando non ha più referenti e garanti della propria condizione personale e familiare. 2. Le possibilità sociali della famiglia La famiglia non appare certamente rinchiusa e murata nei suoi disagi e nelle sue fatiche. Essa appare carica di possibilità e di opportunità, che chiedono condizioni culturali, istituzionali e sociali per poter fiorire e dunque esplicitarsi in pienezza. Agli inizi della famiglia sta un incontro, che se si consolida, nel riconoscimento della reciprocità accolta, propizia il cammino del “fidarsi” (l’uno/a dell’altra/o) e dell’“affidarsi” (l’uno/a all’altra/o): non si chiama(va) questo il tempo del “fidanzamento”? Potremmo dire la stagione della fede. Del resto il fidanzamento, generando e propiziando fedeltà, porta a scambiare, come segno e simbolo dell’impegno, appunto, la fede (nuziale). Il secondo stadio evolutivo genera la “promessa” di coloro che, davanti alla comunità, si promettono fedeltà. Per questo giova ricordare come “sposo/a” venga dal verbo latino spondeo, che significa, appunto, “prometto”. È questa la stagione della speranza. Vi è, infine, il tempo in cui il rapporto di genere si fa gener-azione e la famiglia si arricchisce del dono dei figli. La logica del donare e del donarsi è espressione conseguente del fidarsi/affidarsi e del prometter-e/si (fedeltà). È questa la stagione del compimento. L’amore diventa traboccante in coloro cui si fa dono della propria vita; potremmo dire: la stagione della carità. Allora il rapporto famiglia-carità dice un cammino, un processo, un itinerario. La visione cristiana della realtà sa dare nome all’umano, riconoscendolo e valorizzandolo, in qualche modo dandogli compimento. Si tratta non solo di conoscere, ma di riconoscere, non solo di capire, ma di significare, dentro la propria esperienza, la consegna dell’amore: quali sono le parole fondamentali del suo vocabolario, come dirle, come valorizzarle, come custodirle, come propiziarle, come averne cura, come assicurare ad esse futuro? Per questo si tratta di riscoprire i linguaggi quotidiani, non superficiali, ma profondi, espressi non dall’attimo che fugge e che sfugge, ma consegnati all’intimo di una interiorità, che si radica nella fiducia. Dentro l’umiltà della parola di Dio e contro l’arroganza e la prepotenza di teorie, più o meno scientifiche, ci mettiamo sulla strada della ricerca e della riproposizione critica dei grandi saperi esistenziali, coscienti che la propria storia di vita è sempre il più grande libro di pedagogia, quando è letto e interpretato dalla parola di Dio. Affido l’ascolto a quattro profili descrittivi, indicatori dell’essere coppia e del farsi famiglia. 1. Guardarsi nel volto, negli occhi, in faccia, davanti. Questo atteggiamento, così comune nelle persone che si amano, significa ed esprime il riconoscimento della propria identità e insieme assume e accoglie la differenza (sessuale, anzitutto) dell’altro/a. Nella relazione tra maschio e femmina, tra uomo e donna, l’altro appare come diverso, differente e dunque non assimilabile a sé, irriducibile e indisponibile a processi di identificazione. Dunque il valore dello sguardo: accogliente, riconoscente, buono, disponibile. Ricerca del volto, non della maschera; scoperta del volto, non lettura di una sigla o di un numero di matricola della serie; accarezzamento1 del volto, non adulazione cortigiana e possessiva di un ruolo; profondità dello sguardo, scrigno di tenerezze e di paure, di solitudini e di speranze. Lo sguardo che non prende, non cattura, non manipola. Processo e cammino non semplici. Nella relazione di coppia l’altro non è mai residuo, scarto, esito delle proprie identificazioni e proiezioni. L’altro è riconosciuto, accolto, interiorizzato come “altro” (e dunque radicalmente diverso da me), quale persona unica e irrepetibile, imprendibile e imprevedibile e dunque “in attesa”, che apre alla gratitudine, alla meraviglia e al paradosso della differenza di chi è originariamente sconosciuto. L’essere coppia e il farsi matrimonio custodiscono e ospitano, come luogo, spazio e infine come dimora della reciprocità, questa radicale differenza. Guardarsi in faccia significa dunque “accogliere sé, accogliendo l’altro” e, reciprocamente, “accogliere l’altro, accogliendo sé”. “Essere coppia”, esprime questi significati: costruzione della coppia, che si misura non sulla sincronia esteriore degli orologi, ma sui tempi interiori della reciprocità; relazione di genere, come accoglienza e celebrazione del maschile e del femminile, declinate nella reciprocità; valore dell’intimità, che radica nella propria identità la comunione con l’identità dell’altro. 2. Tenersi per mano. Un gesto semplice, così caro a chi è innamorato, così congeniale nel rapporto con i bambini e con i figli, abituale anche per quei vecchi, che ancora credono al valore del camminare insieme, verso un comune destino. 1 Mi piace ricordare come la parola carezza, dal greco charis, evochi appunto la carità. E’ un passo ulteriore del cammino di coppia; significa ed esprime un guardare avanti, un camminare verso, un essere insieme in attesa: il segno e la consegna di una promessa. Tenersi per mano indica “guardare a” e “guardare verso” un comune destino: occorre partire, tenendosi per mano; e il matrimonio chiede e consente partenze e separazioni per avventure vitali sempre più impegnative. Tenersi per mano, cioè “essere famiglia”, esprime questi significati: scoperta di una promessa (il significato etimologico di “sposo”); relazione di generazione, perché la promessa è consegnata, ai figli; valore dell’affidarsi, non più e non solo l’uno/a all’altra/o, ma insieme, l’uno/a con l’altra/o, al progetto di Dio; è il camminare insieme verso la terra promessa, conoscendo le strade della meraviglia, della fatica, della riconoscenza e della riconciliazione. 3. Matrimonio, come dono della madre (da matris munus) La dimensione del femminile è iscritta anzitutto nella differenza corporea: lo spazio del corpo, atto a portare, contenere, accogliere la vita, a custodire il senso (del dolore e della gioia del nascere), a nutrire e dunque a prendersi cura del bambino, trascrive nella coppia e nel matrimonio la capacità del dare la vita, del dare vita: non solo fisicamente, ma come “vivibilità”. Oggi il baluardo della vivibilità non è tanto e solo protezione dai pericoli fisici, quanto protezione dalle difficoltà, dal disagio e dalla sofferenza psichica, dalla paura, dall’angoscia, da ciò che toglie il respiro e soffoca l’anima. Vivibilità come prendersi cura, oltre le forme del curare; l’ospitare e il custodire, oltre il ricevere, il riconoscere e la riconoscenza, oltre il conoscere e la conoscenza. Lo spazio del prendersi cura è il “farsi cibo per l’altro”: mentre allatta, la mamma crea un legame. Sono questi i doni, che la donna, nello spazio relazionale che le è dato, quale espressione di femminilità e di maternità, consegna a sé e a tutti i membri della famiglia. E’ compito urgente ed insieme ineludibile l’accompagnare alla ricerca del “matri-monio”, come dono della madre: da scoprire, da radicare, da custodire, da consegnare nella promessa sponsale. Luogo della carità. 4. Patrimonio, come dono del padre (da patris munus) Il dono del padre non è solo riferibile alla garanzia dei beni spendibili, delle cose necessarie al vivere materiale, come evoca immediatamente la parola “patrimonio”. Dono del padre è offerta e garanzia di una patria; è l’avere patria, come corpo psichico e spirituale; è garanzia di confini, affinché le frontiere non siano minacciose. Senza patria, senza confini, senza limiti, senza regole, siamo tutti senza appartenenza, siamo emarginati, mancanti, difettosi, esclusi. Il dono del padre, dunque, come dono dell’appartenenza, come consegna del nome e del cognome; appartenenza come essere parte, sentirsi parte, far parte per poter fare la propria parte. Appartenenza come funzione che esprime la capacità di proteggere, di provvedere, di assumere responsabilità, di farsi carico dei problemi. L’indebolirsi della funzione paterna, con tutte le ambiguità segnalate dalla cultura contemporanea e, in particolare dalle scienze umane, rischia di impoverire il vissuto familiare e di far mancare la promessa di una vita degna, buona, vivibile, promettente e sorprendente ai figli. Questi i doni, che l’uomo, nello spazio relazionale che gli è dato, quale espressione del maschile e del paterno, consegna a sé e a tutti i membri della famiglia. E’ compito urgente ed insieme ineludibile l’accompagnare alla ricerca del “patri-monio”, come dono del padre: da scoprire, da radicare, da custodire, da consegnare nella promessa sponsale. Luogo della carità. 3. Le prospettive sociali della famiglia 1. La famiglia ri-definita: richiede quale nome darle oggi, al di là della nomenclatura sociologica. Si tratta di una famiglia che vuole essere accolta e riconosciuta compiutamente. 2. La famiglia svelata: dalle lunghe stagioni del silenzio, della censura, della rimozione e della clandestinità; è, dunque, il tempo della verità sulla famiglia. 3. La famiglia ri-cordata: non più dimenticata e abbandonata, perché luogo dell’insignificanza. Luogo certo degli affetti, ma soprattutto dei legami e dei significati esistenziali, quelli che sostituiscono lo scambio con il dono, il prezzo con la gratuità, la desolazione con la consolazione. 4. La famiglia identificata: non basta dare nome e cognome alla famiglia; occorre riconoscerle volto, voce, parola, gesto e intenzionalità. 5. La famiglia ri-scoperta: soprattutto nelle sue funzioni, soprattutto in quello che si offre come il luogo ancora migliore per imparare a nascere, a vivere, a gioire e a soffrire, e dunque a morire. Le funzioni antiche della famiglia non sono, attualmente, per nulla dismesse: la funzione economica (si pensi al risparmio familiare), socioculturale e simbolica. 6. La famiglia annunciata: la famiglia è sempre, per chi vuole ascoltarla, buona notizia, anche quando esibisce il volto severo della fragilità. C’è un vangelo (una buona notizia) nelle relazioni, nelle aspettative, nel ringraziamento che le famiglie sanno spesso offrire a tutti. 7. La famiglia ri-trovata: soprattutto accompagnata nel ritrovare i nodi e gli snodi critici dell’arco esistenziale. 8. La famiglia rin-novata: il dono sta scritto nella reciprocità, nella gratuità e nella riconoscenza. 9. La famiglia ri-visitata: dalle parole che le tengono sempre compagnia nella vita. Sono parole che non si vendono e non si comprano nei supermercati della modernità; si donano, si accolgono, si scoprono e si riconoscono dentro la mappa dei legami. 10. La famiglia ri-conosciuta: l’intenzionalità dice che questa “conoscenza” scoperta e riscoperta, visitata e rivisitata, trovata e ritrovata, si fa, nel tempo, “riconoscenza” e il suo ritorno dice gratitudine e meraviglia. 4. I valori sociali della famiglia La famiglia vera chiede di essere riconosciuta, chiede di essere soggetto di promozione sociale, vuole essere accolta, anzitutto come risorsa (anche quando si fa problema); desidera essere ascoltata, nel racconto dei suoi bisogni, delle sue aspettative, dei suoi desideri. Dunque la famiglia non vuole essere né demonizzata, né esorcizzata. Riaffermare che la famiglia è carità, significa riconoscere che la famiglia è soggetto capace di una carità propria; solo per questo è in grado di accettare, in alcuni tempi della sua esistenza, di farsi soggetto della carità altrui. Nella prospettiva di una promozione della carità nella e per la famiglia, non dimenticando la dimensione della giustizia, anche costituzionalmente riconosciuta per la famiglia, si possono indicare alcuni itinerari dei valori sociali che la famiglia oggi custodisce. 1. È necessario custodire, anche a livello di un riconoscimento da affidare alla cultura pubblica, la persona, nella sua dimensione di unicità e di irripetibilità, contro tutte le derive riduzionistiche: quando la persona si fa individuo, cittadino, cliente, utente, consumatore, elettore… Nella stessa prospettiva occorre custodire e propiziare la famiglia, perché non la si riconosca solo come “contratto” o come “problema”; ma se ne riscoprano tutte le funzioni. Ed infine, contestualmente, occorre custodire la comunità: come luogo ove si dà la possibilità di riconoscersi e di essere riconosciuti nell’orizzonte dell’umano-che-è-comune (comune umanità, dunque). Custodire la persona e la comunità è condizione per riconoscere la stessa famiglia. 2. È necessario favorire l’incontro tra famiglie: non necessariamente per condividere una difficoltà, un problema o un evento critico, quanto per creare opportunità, da parte delle famiglie, di dirsi, di raccontarsi, di anticiparsi. Si tratta di incontrare altre famiglie, nella logica non solo del bisogno, quanto del desiderio. È la prospettiva del favorire il costituirsi di “famiglia di famiglie”2(e non solo di famiglie per l’affido, per l’adozione, per la disabilità, per la sofferenza psichica ecc.). 3. È necessario accompagnare i compiti di sviluppo, sia relazionali che organizzativi, del ciclo di vita familiare. La biografia della famiglia segnala differenziate fasi del suo evolversi; segnala eventi critici, esige compiti di sviluppo, sia relazionali che organizzativi. Le fasi del ciclo vitale sono identificabili: nella formazione della coppia; nella famiglia con bambini; nella famiglia con adolescenti; nella famiglia trampolino (con l’uscita dei figli e la sindrome del nido vuoto, come evento critico); nella famiglia in tarda età. Mi pare importante ricordare come i compiti di sviluppo relazionale possano essere supportati dal costituirsi di “famiglia di famiglie”, mentre i compiti di sviluppo organizzativo possano essere supportati da competenti servizi per la famiglia (dal consultorio familiare a servizi di empowerment-community). I compiti di sviluppo relazionale ed organizzativi assumono particolare rilievo, quando la famiglia è attraversata dalle fragilità della disabilità, della sofferenza psichica, della tossicodipendenza, dell’alcoldipendenza, della non autosufficienza, della malattia – 2 Mi piace qui ricordare l’esperienza di: VOLPI ENRICA e BRUNO, Un’alternativa possibile. Le comunità di famiglie, Monti Saronno 2002. Ho voluto evocare, nello stesso testo, i tratti fondamentali di quell’esperienza. Cf MOZZANICA C.M., Un segno per la società, pp. 97-108 soprattutto se cronica ed irreversibile -. I compiti di sviluppo debbono seguire due prospettive decisive per l’assunzione dell’ottica familiare: la prevenzione, l’accompagnamento, il sostegno, l’eventuale sostituzione della famiglia. 4. È necessario promuovere tutte le forme espressive del terzo e soprattutto del quarto settore, valorizzando, per la famiglia, tutte le risorse, espressive di un welfare non solo prestazionale, bensì relazionale. L’amministratore di sostegno potrebbe essere indicato come una sorta di “io ausiliario” della persona fragile (anche in parziale opposizione a quell’io alternativo e sostitutivo, che era ed è la figura del “tutore” e del “curatore”): peraltro l’etimo appare suggestivo: ausiliare (da augeo) significa far crescere, accompagnare (ad-cum-pane: nel senso dello stare vicino, mentre “dividi il pane”), custodire, sostenere (tenerti su), prestare aiuto, garantire attenzione: dunque una figura che integra rispettando, che propizia valorizzando, che accompagna non sostituendosi, che sta vicino, non pesa e non appesantisce. Mi piace anche alludere alla dimensione umile (minus), ministeriale (ad-ministrare) del sostegno, a fronte della dimensione sostitutiva (magis), magisteriale del tutore. Se dovessi assumere un’immagine, anche con riferimento ai primi commenti della legge, parlerei di un possibile “angelo custode” della persona fragile. Ci siamo, così, introdotti nell’icona. L’icona, con cui si può alludere all’amministratore di sostegno, è tratta da un “midrash”, molto suggestivo: è il libretto di Tobia. Il vecchio Tobi, ormai cieco, sfiduciato, cerca un aiuto per il figlio Tobia, che invia da Gabael, a Rage in Media, a ritirare i suoi 350 chili d’argento, perché i tempi che si vivono sono grevi e pesanti; sono tempi grami, anche per un vecchio religioso come Tobi. “Cercati dunque, o figlio, un uomo di fiducia che ti faccia da guida” (Tb. 5,3). Raffaele, incontrato da Tobia, entra in casa e Tobi lo saluta per primo. Egli dice: “Ti auguro di poter essere davvero felice e contento” (Tb. 5, 10). E alla fine Tobia si preparò per il viaggio, e uscito, per mettersi in cammino, baciò il padre e la madre. E Tobi gli disse: “Fa buon viaggio!” Allora la madre si mise a piangere e disse a Tobi: “Perché hai voluto che mio figlio partisse? Non è lui il bastone della nostra mano, lui, la guida dei nostri passi?” Le disse: “Non stare in pensiero: nostro figlio farà buon viaggio e tornerà in buona salute da noi. I tuoi occhi lo vedranno il giorno in cui tornerà sano e salvo da te. Non stare in pensiero, non temere per loro, sorella! Un buon angelo infatti lo accompagnerà, riuscirà bene il suo viaggio e tornerà sano e salvo. Ed essa cessò di piangere” (Tb. 5, 18-23). Solo sinteticamente vorrei richiamare qualche passaggio significativo, che ci aiuti a contestualizzare le riflessioni, che cercherò di fare, evocando qualche profilo della L. 6/2004, ove viene esaltata la soggettualità della persona fragile. “La presente legge ha la finalità di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, per persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente” (art. 1). “La persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nell’impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi…”3. “Il giudice tutelare deve sentire personalmente la persona… e deve tener conto, compatibilmente con gli interessi e le esigenze di protezione della persona, dei bisogni e delle richieste di questa”4. “La scelta dell’amministratore di sostegno 3 4 art. 3, – modifica del titolo XII del libro primo del C.C. - art. 404 art. 3, – modifica del titolo XII del libro primo del C.C. - art. 407 avviene con esclusivo riguardo alla cura e agli interessi della persona del beneficiario”5. “Il beneficiario dell’amministrazione di sostegno può in ogni caso compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana”6 .“Nello svolgimento dei suoi compiti l’amministratore di sostegno deve tener conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario”7. Le sintetiche citazioni sembrano quasi inusuali in un testo di legge, che è diventato parte del codice civile. Esso si iscrive dunque nell’ambito del progetto personalizzato per la persona fragile e diventa dunque supporto, aiuto e sostegno nel bilancio familiare, quando esso incontra al proprio interno la sfida della fragilità o della non autosufficienza. È, dunque, nell’orizzonte della carità familiare, l’espressione di una prossimità esigente e competente. 5. È necessario riscoprire i verbi ausiliari della famiglia: quelli intrafamiliari e quelli extrafamiliari. Si tratta di (ri)evocare, tra i verbi ausiliari intrafamiliari, la capacità di ascoltare (la voce, le parole, il silenzio, in silenzio), di accogliere (di continuare a fare spazio all’altro dentro di sé), di accorgersi (di avvicinarsi al cuore, etimologicamente, con il linguaggio degli affetti e dei sentimenti, dell’intuizione dello sguardo), di animare (nel senso di dare respiro, soffio, vita alle dinamiche familiari), di accompagnare (nel significato etimologico dello stare accanto, mentre si divide il pane; in una eucaristia del quotidiano e dell’ordinario; perché questa è famiglia). L’enumerazione potrebbe continuare. Ogni famiglia può riscoprire i verbi ausiliari del proprio lessico, della propria grammatica e della propria sintassi. Per quanto attiene ai verbi ausiliari extrafamiliari mi pare interessante l’ermeneutica di 5 art. 3, – modifica del titolo XII del libro primo del C.C. - art. 408 art. 3, – modifica del titolo XII del libro primo del C.C. - art. 409 7 art. 3, – modifica del titolo XII del libro primo del C.C. - art. 410 6 una grammatica che cerca sempre di coniugare i verbi con il “cum” (che dice insieme, reciprocità e relazionalità condivisa: dunque il correre si fa con-correre, il porre com-porre, il vincere con-vincere, il nascere co-noscere, il cedere con-cedere, il giungere con-giungere, il rispondere cor- rispondere il sentire consentire…). 6. È necessario (r)accogliere la sfida dell’educare. Si pone la questione urgente e complessiva di una riscoperta del valore dell’educazione: assunta ed intesa come anticipazione di senso; come immissione di significato nel freddo vocabolario della scienza e della tecnica; educare come capacità di significare, di alludere, di indicare e – forse – di propiziare il senso promettente e sorprendente della vita. La sfida educativa, come ricomprensione dell’orizzonte di senso della vita, appare compito prioritario, da riassegnare alla famiglia; compito che deve aiutare la famiglia ad una difficile e complessa riappropriazione. 7. È necessario rivisitare le linee di politica sociale, sia a livello nazionale che a livello regionale, per cogliere i paradigmi di una mancata giustizia della e per la famiglia. Per quanto attiene alla Regione Lombardia, oltre la Legge Regionale 23/99, che promuove e sostiene l’associazionismo familiare, abbiamo oggi la nuova legge di riordino dei servizi alla persona8, che attiene al governo delle reti sociosanitarie e socio-assistenziali. 8. È necessario pensare, per la Regione Lombardia, al di là della pregevole legge n. 34/2004, relativa ai minori, alla possibilità di proporre un Testo Unico, che abbia al centro la persona (e non l’individuo), la famiglia (e non le reti d’offerta); le formazioni sociali (e non un testo sinottico sul terzo settore): quale sfida alla 8 Legge regionale 12 marzo 2008 – n. 3 “Governo della rete degli interventi e dei servizi alla persona in ambito sociale e sociosanitario” 1° Suppl. Ordinario al n. 12 del 17.3.2008 ricomposizione del vivere civile, in termini di diritti sociali di cittadinanza, nell’ottica della community care. 9. È necessario ipotizzare, per quanto attiene il complesso orizzonte dei servizi alla persona, interventi coerenti, a partire dalla famiglia. Non deve essere la competenza a determinare l’orizzonte dell’intervento. 10. È necessario indicare alcune linee di indirizzo per un’autentica politica familiare: senza particolare presunzione, ma con l’umiltà di una semplice proposta, che nascendo dall’orizzonte esigente della prossimità e della carità, possa caratterizzare l’orizzonte del bene comune, ripensato in termini non individuali, ma familiari. Lo sguardo alla famiglia appare certamente complesso e deve essere pluridimensionale, anche nelle politiche di promozione, supporto, sostegno, accompagnamento ed eventuale sostituzione (nel caso di una famiglia che viene meno). Appare decisivo individuare il criterio con il quale si assumono le politiche socioassistenziali per la famiglia: autosufficienza ed autonomia della famiglia possono venire meno (o per ragioni strutturali o per ragioni funzionali). È fondamentale la costituzione di un’équipe pedagogico-sociale-relazionale (da affiancarsi al consultorio familiare), per accompagnare le funzioni di coppia, il ruolo genitoriale e gli snodi (problematici) di sviluppo della condizione familiare. È la “presa in carico” dell’evento famiglia. Appaiono condizioni decisive, per un supporto socio-assistenziale. Si tratta di monitorare i possibili insulti familiari, legati o all’insufficienza di reddito (reddito di cittadinanza) o alla presenza di persone non autosufficienti (fondo per la non autosufficienza), con la valutazione ISEE secondo il D.Lgsl. 130/2000, che assuma solo la condizione della persona non autosufficiente (per evitare che venga espulsa dal circuito familiare), per il sovraccarico della contribuzione assistenziale dovuta alla famiglia. Si indicano, in estrema sintesi, gli interventi prioritari per garantire l’esplicitazione dei valori sociali della famiglia: a) Si tratta di individuare le condizioni essenziali, per cui una famiglia possa vivere dignitosamente, soprattutto in situazioni di difficoltà; di prevedere interventi di prevenzione (atipica/promozionale; tipica: primaria, secondaria e terziaria), di sostegno (ai diversi livelli), di sostituzione (nel caso di famiglia in difficoltà o assente - attraverso l’accoglienza, l’affido consensuale e/o non, l’adozione nazionale e internazionale). La modalità dell’intervento si attua tramite: servizi, presidi, interventi, supporti attraverso bonus e voucher sociali; dal punto di vista associativo: favorire il sorgere di “famiglia di famiglie”, non solo orientate alla risposta a bisogni singoli o specifici, ma al sostegno reciproco, attraverso il confronto, l’aiuto, l’accompagnamento, delle funzioni genitoriali. b) Équipe pedagogico-sociale per l’accompagnamento dell’arco materno-infantile, a livello dei piani di zona. Si tratta di un servizio che monitorizza l’arco esistenziale dello svolgersi familiare (in parallelo al consultorio familiare). È il riferimento costante per l’accompagnamento familiare nei passaggi critici, che implicano, accanto ai compiti di sviluppo, garantiti dai LIVEAF, compiti di supporto relazionale (nascita del figlio, sostegno da 0-3 anni, adolescenza, età adulta e sindrome del nido vuoto; presenza di persone anziane non autosufficienti). È il servizio di riferimento per l’asilo nido (e per tutte le forme complementari: micro-nido, nido familiare, punto giochi ecc.), l’ADM (assistenza domiciliare per minori, erogazione di titoli sociali, quali bonus e voucher ecc.). Altre forme sono correlate a momenti di supporto relazionale alla condizione adolescenziale e giovanile (centri di aggregazione, centri diurni, punto giovani, consultorio giovani e adolescenti, progetti giovani ecc.) c) Fondo nazionale/regionale per la non autosufficienza. La famiglia è spesso sconvolta dal repentino (o lento) apparire, al proprio interno, di forme di non autosufficienza (disabilità improvvisa, malattia cronica, non autosufficienza sia fisica che psichica di persone anziane). Si tratta di coprire l’esigenza di long-term care, nel caso in cui in famiglia si verifichi la presenza di una persona non autosufficiente. Il Fondo per non autosufficienti può assumere forme differenziate (dall’addizionale IRPEF, alla tassa di scopo o altro…). È un intervento che copre la componente assistenziale della cura; per ciò che attiene invece alla competenza sanitaria, sociosanitaria e riabilitativa occorre rinviare (e dare supporto ulteriore) ai LEA (di cui al DPCM 29.11.2001, al DPCM 28.11.2003 e al DPCM 5.3.2007) d) ISEE, secondo le indicazioni del D.Lgsl. 130/2000. Si tratta di valutare, per l’ISEE, nel caso di un disabile e/o di un anziano non autosufficiente, il solo reddito della persona portatrice di non autosufficienza, risolvendo, con un intervento normativo, i residuali dubbi riferiti all’interpretazione del D.Lgsl. 130/2000, che modifica il D. Lgsl. 109/1998. e) Reddito di cittadinanza, o Reddito Minimo di Inserimento. Si tratta di garantire il nucleo familiare, quando viene meno la possibilità di un reddito stabile (per differenziate ragioni). Il reddito di cittadinanza (come peraltro previsto in tutti i Paesi dell’Europa) può essere assimilato al RMI, ormai pressoché abbandonato (dopo la sperimentazione dal 1998). Per evitare il rischio dell’assistenzialismo può essere correlato ad un qualche impegno contrattuale del nucleo familiare. Potrebbe diventare anche parte, eventualmente, dei LIVEAF. Convegno Caritas della Zona Pastorale V Monza “Il Valore Sociale della Famiglia. Genitori e figli per sempre” Poesia e Musica dal Libro di Ruth A cura del Gruppo Ibuka Amizero Il Convegno prosegue con un linguaggio inedito, per un assise spesso abituata a parole e a interventi. E’ la forza del teatro, con l’interpretazione del libro biblico di Ruth, a cura del gruppo IBUKA AMIZERO, ad introdurre temi che guardano alle trasformazioni del nostro tempo: alla donna, alle migrazioni, ai mutamenti culturali ed interreligiosi. Convegno Caritas della Zona Pastorale V Monza “Il Valore Sociale della Famiglia. Genitori e figli per sempre” Il “Progetto Incontro” Un’idea in aiuto alla famiglia e alle assistenti famigliari. Un progetto realizzato in collaborazione con il Comune di Monza A cura di Don Augusto Panzeri, Responsabile Caritas Zona Pastorale V Monza e Lucia Mariani, Responsabile Area Famiglie della Cooperativa Sociale Novo Millennio e collaboratrice della Caritas di Monza Nel 2005, in occasione della beatificazione di don Talamoni, la Caritas Decanale di Monza aveva chiamato le comunità parrocchiali a sostenere un progetto, chiamato PROGETTO INCONTRO, in appoggio agli anziani in difficoltà e alle loro famiglie. In realtà, una prima sperimentazione del progetto era nata già undici anni fa, quando don Augusto e la Caritas pensarono di istituire un luogo altro dal Centro di Ascolto, per fare incontrare le richieste delle famiglie, con alcune donne (all’inizio soprattutto sudamericane) in cerca di lavoro e di una vita migliore. Il primo PROGETTO INCONTRO quindi si sviluppò utilizzando alcuni fondi europei che le istituzioni non sapevano come impiegare, durò un anno e impegnò i Comuni di Monza e Seregno. PROGETTO INCONTRO nasce dalla riflessione della Caritas, che ha conosciuto le problematiche dell’assistenza domiciliare attraverso i Centri di Ascolto. Grazie ai numerosi colloqui, che i volontari e gli operatori dei Centri di Ascolto hanno fatto con famiglie italiane e con donne in prevalenza straniere, si sono potuti osservare e focalizzare due “bisogni” paralleli, ma strettamente connessi: quello delle famiglie, con il problema dell’assistenza all’anziano, e quello delle assistenti familiari, più comunemente chiamate badanti, con il problema della ricerca di un lavoro. Da qui la nascita del PROGETTO INCONTRO, condiviso e sperimentato con il Comune di Monza, che propone da un lato un sostegno alla famiglia e dall’altro un orientamento alla ricerca del lavoro nell’ambito dell’assistenza famigliare. In Italia le assistenti famigliari, oltre il 90% straniere, non risultano sempre in possesso di esperienze specifiche, anche se molte di loro possiedono spesso un buon livello di istruzione. Il PROGETTO INCONTRO annovera tra i suoi interventi anche la preparazione delle assistenti familiari e il monitoraggio delle loro attività, così da garantire un buon livello di risposta alle necessità assistenziali dell’anziano, qualificando l’attività e le prestazioni domiciliari che devono avere al centro del servizio la persona. Elena Monza, Assistente Sociale referente del PROGETTO INCONTRO per la Caritas, dopo il primo contatto con il Centro di Ascolto a cui le famiglie e le assistenti familiari spesso si rivolgono, si reca a casa dell’anziano dove incontra anche i famigliari. La visita domiciliare è un metodo di lavoro tipico del Servizio Sociale, che permette di rendersi conto con più chiarezza della situazione famigliare, delle risorse e delle difficoltà, e di quale persona potrebbe essere più adatta a prendersi cura di quell’anziano. La presenza dell’assistente sociale è anche l’occasione per informare la famiglia sulla rete dei servizi presenti sul territorio, per orientarla circa le Agenzie del Lavoro cui rivolgersi e circa le procedure da seguire per una corretta assunzione lavorativa dell’assistente familiare. Il PROGETTO INCONTRO, inoltre, promuove interventi a supporto delle assistenti familiari, attraverso incontri periodici in gruppi di “mutuo-aiuto”, condotti da personale preparato. In questi momenti di gruppo vengono discussi i problemi legati all’assistenza all’anziano, ai disagi e alle difficoltà di questo tipo di lavoro, al senso di lasciare la propria famiglia d’origine e vivere il paradosso di assistere una persona mentre i propri genitori o figli vivono lontano. Contestualmente sono previsti gruppi di incontro con i famigliari degli anziani, spesso provati e in difficoltà nell’accogliere e nel non lasciarsi sopraffare dal dolore della grave situazione del proprio congiunto. In questi gruppi, condotti dalla Psicologa dr.ssa Giovanna Perucci, molti figli si interrogano sul proprio ruolo e soprattutto riflettono sulle nuove circostanze che spesso inducono ad un capovolgimento dei ruoli: perché adesso è il figlio ad occuparsi del padre o della madre. Questo rende difficilissimo capire e accettare i propri sentimenti, che talvolta sono anche di ostilità. Non è facile accettare che la propria madre o il proprio padre, a causa dell’Alzheimer o di altre patologie, non riconosca più i figli oppure manifesti atteggiamenti di aggressività verbale o di grande disorientamento psicologico. Il poter parlare di tutto ciò in un gruppo di persone che vivono situazioni analoghe, risulta davvero importante: tutti ascoltano e si confrontano e molti sono pronti a offrire suggerimenti e aiuti. Questo porta ad un ridimensionamento dei problemi e fa percepire come meno “pesanti” le incombenze quotidiane, aiutando anche i familiari a riscoprire la dimensione affettiva del legame con il proprio genitore anziano: tale legame, infatti, rischia di rimanere soffocato dalle fatiche della gestione quotidiana e segnato unicamente dal dolore, dalla rabbia e dalla quasi impossibile accettazione reciproca. L’assistenza domiciliare di un anziano ha certamente dei costi dei quali il PROGETTO INCONTRO è in grado di fornire un’indicazione. Ad esempio: un’assistente famigliare assunta notte e giorno con stipendio netto di 800 euro mensili costa circa (fra tredicesima, ferie, TFR) 14.000 euro annui. Accade spesso che anche il peso economico ricada sulla famiglia, oltre al dolore, alle tensioni, al doversi giostrare fra l’essere datore di lavoro (esperienza inusuale per molte famiglie, che vanno a questo guidate ed informate adeguatamente) e il desiderio di offrire il meglio ai propri genitori. C’è eventualmente la possibilità di avere l’assegno di accompagnamento, che comunque richiede tempi spesso lunghi; è possibile ottenere un recupero fiscale sui contributi versati, ma è poca cosa rispetto ai costi complessivi: in ogni caso il peso è davvero “importante”. Un aiuto può arrivare dal Comune, che eroga contributi economici (buoni sociali) in base al reddito dell’anziano, ma che va certamente stimolato a sostenere di più l’onere economico delle famiglie, soprattutto di quelle dal reddito medio-basso, che a volte devono provvedere ai propri anziani per periodi molto lunghi. La sollecitazione ad una efficace presa in considerazione della necessità e dell’urgenza di individuare forme più concrete di sostegno alle famiglie va rivolta pertanto a tutti gli organi istituzionali, politici e sindacali, affinché studino e realizzino al più presto forme idonee alla soluzione del problema dei costi dell’assistenza domiciliare all’anziano, dato anche il prevedibile ampliarsi del problema nei prossimi anni. Analizzando i dati raccolti dalla Caritas, emerge che il 60% delle famiglie mostra il bisogno di un’assistenza domiciliare sulle 24 ore, mentre solo il 25% delle assistenti familiari è disponibile su questo orario. Probabilmente il gap di richieste viene colmato dal lavoro sommerso e dall’irregolarità, ma questo è un fenomeno che acuisce i problemi dell’assistenza domiciliare e che non dà alcuna garanzia sul piano della qualità del servizio svolto, della continuità e delle responsabilità che l’assistente familiare e la famiglia si assumono. Gli operatori del Progetto INCONTRO, nel 2007, hanno effettuato 110 contatti con famiglie che hanno chiesto la valutazione della situazione e un orientamento nell’individuazione dell’assistente familiare più adatta alle proprie specificità. A questi occorre aggiungere gli incontri di verifica e monitoraggio delle situazioni già seguite da un’assistente domiciliare, e la rivalutazione dei casi in cui si sono modificate le condizioni dell’anziano, della famiglia o dell’assistente familiare. L’idea di meglio qualificare l’intervento a domicilio delle assistenti familiari, ha trovato immediata attenzione nell’Amministrazione Comunale ed in particolare nell’Assessorato alla Famiglia. La partnership con il Comune di Monza ha consentito, infatti, di esprimere un’ulteriore attenzione alla qualità degli interventi, perché attualmente possiamo contare sul supporto di una Equipe multidisciplinare nella quale, oltre agli operatori sociali di base, sono presenti uno psicologo ed un geriatra. La sinergia tra pubblico (il Comune) e privato (la Caritas) ha consentito un’azione culturale sulle istituzioni, per far sì che il bisogno non fosse letto solo in chiave economica o di dovere dell’assistenza, ma focalizzasse l’interesse sui problemi delle famiglie e delle assistenti a domicilio. È di fondamentale importanza accompagnare le badanti, insegnando loro la lingua, dando la possibilità di una professionalizzazione, che potranno poi reimpiegare in altri ambiti, anche tornando un giorno nel loro paese d’origine per prendersi cura della propria famiglia. In conclusione, Lucia Mariani racconta quanto sia difficile per una famiglia, soprattutto in Brianza, rivolgersi al Comune per chiedere la “carità”, per chiedere aiuto nel momento della necessità. L’intervento di Caritas, in questo senso, consente un avvicinamento graduale alle istituzioni, che a volte spaventano o sono viste con sospetto. Ad oggi consideriamo positiva e ampliabile l’esperienza, anche se è all’attenzione del PROGETTO INCONTRO il problema di garantire tempi più brevi di soluzione della necessità delle famiglie di dover provvedere improvvisamente all’accudimento dell’anziano, che diviene non autosufficiente. Pensiamo che debbano essere semplificati i passaggi, ma non a scapito dell’accoglienza del bisogno di supporto delle famiglie e delle assistenti familiari. È possibile incontrare l’Assistente Sociale del Progetto Incontro della Caritas chiedendo un appuntamento, chiamando il numero telefonico 335 8752422, oppure chiedendo informazioni al Centro di Ascolto Caritas della propria zona. Convegno Caritas della Zona Pastorale V Monza “Il Valore Sociale della Famiglia. Genitori e figli per sempre” Dibattito Il dibattito è stato inaugurato da Riccardo, sindacalista, che ha sottolineato un ritardo da parte della politica, sulle questioni legate alla malattia mentale: i percorsi sono tortuosi, manca la standardizzazione, se non ci fosse la Caritas saremmo in alto mare. Le famiglie colpite da questa problematica sono lasciate da sole, manca una cultura del controllo e della vicinanza, mentre la presenza fra le mura di casa di un malato di Alzheimer è pesante, fa impressione, mette in difficoltà, non si è mai pronti a gestirla. I famigliari ne sono sconvolti, i loro ritmi di vita devono piegarsi al cambiamento. Anche il ruolo delle badanti va rivalutato, troppo spesso sono viste solo dal lato della loro professione, invece sono madri e mogli che lasciano i loro cari nel paese di origine e vivono un precario equilibrio sentimentale, a causa di questa lontananza: anche qui manca una cultura del dirigersi al cuore del problema. Francesco, del decanato di Carate, ha spinto affinchè si faccia un documento del convegno da distribuire nelle parrocchie per favorire la discussione, così che le famiglie si sentano sollevate e si dia impulso all'autentica carità cristiana. È lo stesso tema sollevato da Armanda, di Lissone: le parrocchie devono rilanciare dei percorsi che portino a costruire di nuovo la comunità e la solidarietà. La famiglia si muove, troppo spesso, solo nei casi di emergenza, punta a togliersi il fastidio scaricandolo su badanti assunte in nero per non avere fastidi: questo è il succo dell'intervento di Angelo, di Vimercate. Fiorenzo, presidente dell'Associazione Comasca del Volontariato, fa riferimento alle citazioni su Ermanno Olmi, ai suoi film sul tema della famiglia. La legge regionale sul problema dei malati psichici è una scintilla iniziale dalla quale prendere le mosse. Sara, della parrocchia S. Famiglia di Monza, sottolinea invece la difficoltà di creare la relazione, necessità primaria dell'anziano o del malato. Le collaboratrici domestiche non risolvono questo bisogno, che non è solo fisico, mentre i Comuni sono latitanti sul versante del servizio di prossimità e quindi bisogna affidarsi sempre al volontariato. Anna Maria, della parrocchia di Cristo Re di Monza, parla del concetto di “famiglia di famiglie”: per non sentirsi soli, è fondamentale mischiare famiglie sane a nuclei con problemi, per accettarsi reciprocamente ed aiutarsi. La riflessione sul tenersi per mano guida l'intervento di Anna Maria. Le è tornato alla mente quando in gioventù, da fidanzati, suo marito le regalò un libretto: “Amore è tenersi per mano e andare a spasso”. La vita l'ha portata ad applicare questa filosofia, dovendo confrontarsi con la malattia mentale prima del marito, poi della figlia. Nello sconvolgimento portato dalla perdita della salute, il tenersi per mano è la forza che unisce. Con un malato psichico, non si può pretendere che sia lui a cambiare, dobbiamo farlo noi, è uno sforzo di avvicinamento che ci mette alla prova duramente. Anna Maria racconta anche del problema della collaboratrice domestica: finchè era in nero ce la si faceva, ma una volta messa in regola i costi sono lievitati ed è stato impossibile sostenerli, viste le tante spese mediche di cui i famigliari malati necessitavano. Ed ecco quindi che ci si ritrova a dover sopportare anche il peso fisico, non più solo psicologico, della malattia dei propri cari. Il rilancio dei valori della famiglia è fondamentale: la forza del rapporto parentale, l'unione nell'amore e l'accettazione della disabilità sono necessarie per alleviare la pesantezza di questa condizione. E così facendo si apre un mondo tutto nuovo, come è successo ad Anna Maria, che racconta gli stati d'animo attraverso cui è passata. Dalla vergogna, dalla paura, dalla sofferenza, da un isolamento quasi volontario e automatico, si passa ad un superamento, ad una apertura verso altre persone, che instaurano un buon rapporto con la famiglia. L'accettazione e la comprensione da parte di altri, che non giudicano negativamente, ma accolgono e aiutano a portare il peso di questa condizione di disagio, sono i sentimenti che Anna Maria e tutti quelli che si trovano nella sua condizione vanno cercando. La paura ci blocca, ci rinchiude, ci fa provare sensazioni ingiustificate facendoci camminare a testa bassa e diffidare del mondo, verso cui proviamo rabbia e frustrazione. La paura va superata e messa da parte, perchè non siamo soli. Dopo l'intervento di Anna Maria sul “tenersi per mano”, don Augusto Panzeri spezza una lancia in favore del Progetto Incontro. Nei centri di ascolto non si presentano solo poveri materiali, ma sempre più spesso persone afflitte da povertà spirituali, sentimentali, affettive: è il volto della nuova povertà, del disagio che rimane spesso rinchiuso fra le mura di casa. Ad un malato, prosegue don Augusto, si può offrire di più che le semplici cure corporali, ed egli può diventare un'occasione per i famigliari, per riscoprirsi uniti nell'amore e non solo nel bisogno. La Caritas, che rilancia il discorso della centralità dell'ambiente familiare, è indispensabile in riferimento alle problematiche legate ai minori, agli anziani, ai malati. Il professor Mozzanica conclude dicendo che alla mentalità individualista e proprietaria di oggi, si contrappone il personalismo cristiano, per il quale l'identità si dà solo in rapporto alla differenza. La solitudine, quando c'è, va abitata e la Chiesa deve riconoscersi dalla necessità dell'amore, dal desiderio di stare insieme, per poter sintomatizzare il bisogno e superarlo, accoglierlo. Il relatore riprende infine le parole di Anna Maria: dobbiamo donare quando non c'è il bisogno, altrimenti il dono si tramuta in diritto/dovere. L'autentica carità è il desiderio del dono libero, questo è il cristianesimo. Convegno Caritas della Zona Pastorale V Monza “Il Valore Sociale della Famiglia. Genitori e figli per sempre” Conclusioni A cura di Luciano Gualzetti, Vice Direttore Caritas Ambrosiana Luciano Gualzetti ha ricordato che il Decanato di Cantù assolve un ruolo importante e spesso di cerniera fra la realtà ambrosiana e quella lariana, e che alcune iniziative ed esperienze, come ad esempio quella del Centro di Ascolto di Cantù, sono state valorizzate e considerate punto di riferimento per la storia milanese. Inoltre, parlando del convegno, Gualzetti ha ringraziato i relatori, elogiato gli organizzatori e ha sottolineato il clima positivo nel quale si è svolta l’assise. Infine ha ricordato che anche le altre zone della diocesi hanno ospitato convegni simili a questo, in continuità con il lavoro aperto a Triuggio. Atti del convegno a cura di Fabrizio Annaro e Lorenzo Perego Segreteria Caritas Zona Pastorale V Monza