Convegno Caritas della Zona Pastorale V Monza
“Il Valore Sociale della Famiglia. Genitori e figli per sempre”
Programma
Ore 9.00
Ore 10.50
ACCOGLIENZA
POESIA E MUSICA DAL LIBRO DI
Dott. Piero Torricelli
RUTH
Caritas decanale di Cantù
Gruppo Ibuka Amizero
Ore 9.10
Ore 11.15
PREGHIERA E INTRODUZIONE
PRESENTAZIONE
Mons. Armando Cattaneo
“PROGETTO INCONTRO”:
Vicario
Episcopale
Zona
Pastorale V Monza
UN ESEMPIO DI ASSISTENZA
FAMILIARE
Caritas Decanale di Monza
Ore 9.30
IL VALORE SOCIALE
Ore 11.45
DELLA FAMIGLIA
DIBATTITO
Prof. Mario Mozzanica
Università Cattolica di Milano
Ore 12.30
CONCLUSIONI
ORE 10.45
Luciano Gualzetti
PREMIAZIONE DISEGNI
Vice
Ragazzi dell’iniziazione cristiana
Ambrosiana
(Unità pastorale di Cantù)
Direttore
Caritas
Convegno Caritas della Zona Pastorale V Monza
“Il Valore Sociale della Famiglia. Genitori e figli per sempre”
Un contributo al Cammino Pastorale sulla Famiglia
Saluto di Monsignor Armando Cattaneo,
Vicario Episcopale della Zona Pastorale V di Monza
Nell’intervento di apertura, Mons. Armando Cattaneo, Vicario Episcopale
della Zona V, ha esordito ricordando il cammino compiuto dalla Chiesa
Ambrosiana sulla Famiglia, e le sfide del prossimo futuro. In particolare, don
Armando ha invitato ad interrogarsi
sul tema che sarà al centro della
riflessione dei prossimi mesi, e cioè
quale modello di famiglia desidera
proporre la Chiesa alle sue comunità, ai suoi fedeli, alla società. La
proposta Caritas non potrà che offrire una famiglia solidale, i cui membri
aderiscano ad uno stile di vita sobrio fondato sull’unità e sulla solidarietà. Una
famiglia solidale capace di promuovere relazioni e valori sociali che vadano
oltre il focolare domestico, una famiglia che cammina con altre famiglie per
essere sempre più comunità, sempre più “famiglia di famiglie”.
Convegno Caritas della Zona Pastorale V Monza
“Il Valore Sociale della Famiglia. Genitori e figli per sempre”
Introduzione:
Le Ragioni di un Convegno sulla Famiglia
A cura di Fabrizio Annaro
(Segreteria Caritas Zona Pastorale V Monza)
Il convegno di oggi prosegue lungo il sentiero di riflessioni già avviato con
altre iniziative, in particolare con il convegno Caritas di Triuggio. Oggi
vogliamo sottolineare con maggior decisone il ruolo sociale della famiglia,
anzi, proprio come titola il convegno, il valore sociale. E se parliamo di
valore, è inevitabile il collegamento con l’ambito culturale. E’ davvero difficile
guardare alla famiglia, ai progetti di sostegno e aiuto, senza allargare lo
sguardo ai valori, perché è proprio qui che giocheremo
la sfida
più
importante del prossimo futuro. Fra gli obiettivi del convegno, è indubbio che
dobbiamo tentare di evidenziare gli aspetti culturali, valoriali, etici ed
evangelici dell’agire sociale e delle azioni caritative. E’ un modo forte,
concreto e valido per tentare di arginare la cultura dominante che è alla base
delle difficoltà e della crisi della famiglia attuale, e che spinge individui e
gruppi ad uno sfrenato ed irrazionale consumismo, ad una competizione del
tutti contro tutti che si articola in ciascun ambito della vita sociale, compresa
la famiglia. Il passaggio da una società agricola a quella industriale ha
significato un profondo indebolimento della tradizione
cristiana e della
famiglia. Saremo presto spettatori di altre impegnative transizioni. Nell’era
della globalizzazione non possiamo dimenticare che interventi, progetti,
azioni di solidarietà e sostegno della persona e della famiglia sono occasioni
di riflessione capaci di invertire e di spostare i centri dell’attenzione, per
evitare il rischio che il procedere della vita quotidiana avanzi sempre più
verso i limiti dell’INSOSTENIBILITA’
(economica, sociale, famigliare,
personale). Il valore sociale della famiglia consiste anche nel proporre una
dimensione più umana, che realizza
dinamiche e relazioni entro i confini di
ciò che è sostenibile.
Qui, nel cuore della terra della laboriosità, possiamo proporre “azioni
sostenibili”, offrendo il nostro contributo di pensiero, che consiste nel
promuovere e consolidare il metodo dell’agire insieme, privato sociale ed
istituzioni, affiancato al criterio che desidera coniugare le tecniche, le
competenze specifiche, le conoscenze indispensabili all’intervento sociale, a
quel mondo affascinate che è il tesoro della conoscenza, anticamera della
verità, alveo dell’etica e dei valori più alti. Dalla concretezza brianzola e dalla
laboriosità milanese dobbiamo far emergere e sottolineare la forza motrice
che sta alla base dell’azione sociale e di sostegno alla famiglia: sono i valori
di un nuovo umanesimo per alcuni e della speranza cristiana per la Chiesa.
E’ proprio questa la direzione scelta dal
convegno di oggi:
accanto ai
contributi accademici che daranno qualche luce sulle complessità e sulle
competenze specifiche che si intrecciano alla dinamica sociale, si è voluto
riprendere contenuti del nostro passato, senza nostalgie, ma in grado di
aiutarci a leggere i nostri tempi. Ecco perché, con un linguaggio diverso come
quello teatrale, è proposta l’interpretazione di un brano biblico che guarda
alle trasformazioni del nostro tempo: alla donna, alle migrazioni, ai mutamenti
culturali ed interreligiosi. E poi la presentazione di un progetto innovativo che
ha al centro l’anziano, senza dimenticare la famiglia ed anche le implicazioni
socioculturali legate all’assistenza domiciliare.
Non rimane che augurare un buon lavoro.
Convegno Caritas della Zona Pastorale V Monza
“Il Valore Sociale della Famiglia. Genitori e figli per sempre”
GENITORI E FIGLI PER SEMPRE!
Il valore sociale della famiglia
A cura di Carlo Mario Mozzanica
Premessa
La riflessione parte dalla disamina delle fatiche e del disagio attuale della
famiglia, nel complesso e articolato scenario socioculturale postmoderno, per
verificare le possibilità della famiglia contemporanea. Con una mirata
attenzione pastorale ed educativa, è possibile enucleare sia le prospettive
sociali di sviluppo che i valori sociali che la famiglia può testimoniare: la
famiglia che si associa e diventa famiglia di famiglie, nella prospettiva di
essere casa accanto alle case.
1. Le fatiche sociali della famiglia
Per parlare dei valori sociali della famiglia, è necessario individuare le fatiche
sociali e i disagi ricorrenti della famiglia oggi. La fenomenologia della famiglia
si annuncia, anzitutto, con l’individuazione e la rubricazione dei suoi disagi,
cercando di com-prendere la difficoltà, di ap-prendere i bisogni (non scontati)
della famiglia, di lasciarsi sor-prendere dai desideri più profondi che una vita
familiare, seppure ferita, evoca ed invoca. I disagi segnalati dicono l’area
delle conseguenti assunzioni di responsabilità: personali, sociali e istituzionali
e preludono alla volontà, non mai sufficientemente acquisita e consolidata, di
apprendere la capacità di rispondere ai bisogni; di una famiglia che chiede
una grammatica ed una sintassi nuova per capire e farsi capire.
Il disagio culturale: il disagio, la malattia, la fatica esistenziale sono voci
censurate e rimosse dal e nel vivere quotidiano. La vita è “come se” queste
dimensioni non esistessero; quando capitano, ci si consegna alla
rassegnazione o alla disperazione; appare impossibile la strada della
consolazione, quando il cammino chiama alla desolazione.
Il disagio personale: la difficoltà di riconciliarsi con se stessi e con la vita,
quando essa ti assegna la fatica, ma insieme il dono; le categorie
dell’efficienza, della produttività, dell’apparire, dell’arrivare primi segnalano la
loro fragilità educativa.
Il disagio motivazionale: cresce in un contesto sociale di conclamata enfasi
del come, di disfasia del dove e di afasia del perché.
Il disagio relazionale: appare come valorizzazione delle “relazioni brevi”, di
relazioni senza luogo e senza tempo.
Il disagio comunicazionale: è coltivato all’interno delle relazioni familiari. Solo
la crescita di autentiche comunità, ove ci si senta accolti e riconosciuti (in una
comune umanità) diventa garanzia e barriera per quella deriva annunciata.
Il disagio esistenziale: è iscritto nell’ipertrofia dei bisogni (con il conseguente
accanimento nella ricerca di una risposta) e ascritto all’atrofia dei desideri (e
nella conseguente attesa di relazione, di ascolto, di comprensione, di
valorizzazione).
Il disagio generazionale: che si annuncia con la crescita, soprattutto nel
nostro paese, della denatalità; consegna solo paure per il futuro.
Vi è poi il disagio temporale, che l’imperativo postmoderno riassume nel “tutto
e subito”. Ma un figlio dice “attesa”, dice la gioia dei piccoli passi, segnala il
benessere esistenziale e la possibile felicità di un legame affermato e
gioiosamente custodito. Cresce il disagio abitativo, non solo per la fatica di
trovare, per i giovani, casa, ma per i crescenti rischi di convivenza sempre più
condominiale.
Aumenta il disagio istituzionale, in logiche sempre più neoliberiste, anche
nella dinamica dei diritti sociali; la famiglia si sente abbandonata quando non
ha più referenti e garanti della propria condizione personale e familiare.
2. Le possibilità sociali della famiglia
La famiglia non appare certamente rinchiusa e murata nei suoi disagi e nelle
sue fatiche. Essa appare carica di possibilità e di opportunità, che chiedono
condizioni culturali, istituzionali e sociali per poter fiorire e dunque esplicitarsi
in pienezza. Agli inizi della famiglia sta un incontro, che se si consolida, nel
riconoscimento della reciprocità accolta, propizia il cammino del “fidarsi”
(l’uno/a dell’altra/o) e dell’“affidarsi” (l’uno/a all’altra/o): non si chiama(va)
questo il tempo del “fidanzamento”? Potremmo dire la stagione della fede.
Del resto il fidanzamento, generando e propiziando fedeltà, porta a
scambiare, come segno e simbolo dell’impegno, appunto, la fede (nuziale). Il
secondo stadio evolutivo genera la “promessa” di coloro che, davanti alla
comunità, si promettono fedeltà. Per questo giova ricordare come “sposo/a”
venga dal verbo latino spondeo, che significa, appunto, “prometto”. È questa
la stagione della speranza. Vi è, infine, il tempo in cui il rapporto di genere si
fa gener-azione e la famiglia si arricchisce del dono dei figli. La logica del
donare e del donarsi è espressione conseguente del fidarsi/affidarsi e del
prometter-e/si (fedeltà). È questa la stagione del compimento. L’amore
diventa traboccante in coloro cui si fa dono della propria vita; potremmo dire:
la stagione della carità. Allora il rapporto famiglia-carità dice un cammino, un
processo, un itinerario. La visione cristiana della realtà sa dare nome
all’umano, riconoscendolo e valorizzandolo, in qualche modo dandogli
compimento.
Si tratta non solo di conoscere, ma di riconoscere, non solo di capire, ma di
significare, dentro la propria esperienza, la consegna dell’amore: quali sono
le parole fondamentali del suo vocabolario, come dirle, come valorizzarle,
come custodirle, come propiziarle, come averne cura, come assicurare ad
esse futuro? Per questo si tratta di riscoprire i linguaggi quotidiani, non
superficiali, ma profondi, espressi non dall’attimo che fugge e che sfugge, ma
consegnati all’intimo di una interiorità, che si radica nella fiducia. Dentro
l’umiltà della parola di Dio e contro l’arroganza e la prepotenza di teorie, più
o meno scientifiche, ci mettiamo sulla strada della ricerca e della
riproposizione critica dei grandi saperi esistenziali, coscienti che la propria
storia di vita è sempre il più grande libro di pedagogia, quando è letto e
interpretato dalla parola di Dio. Affido l’ascolto a quattro profili descrittivi,
indicatori dell’essere coppia e del farsi famiglia.
1. Guardarsi nel volto, negli occhi, in faccia, davanti.
Questo atteggiamento, così comune nelle persone che si amano, significa ed
esprime il riconoscimento della propria identità e insieme assume e accoglie
la differenza (sessuale, anzitutto) dell’altro/a. Nella relazione tra maschio e
femmina, tra uomo e donna, l’altro appare come diverso, differente e dunque
non assimilabile a sé, irriducibile e indisponibile a processi di identificazione.
Dunque il valore
dello sguardo: accogliente, riconoscente, buono,
disponibile. Ricerca del volto, non della maschera; scoperta del volto, non
lettura di una sigla o di un numero di matricola della serie; accarezzamento1
del volto, non adulazione cortigiana e possessiva di un ruolo; profondità dello
sguardo, scrigno di tenerezze e di paure, di solitudini e di speranze. Lo
sguardo che non prende, non cattura, non manipola. Processo e cammino
non semplici. Nella relazione di coppia l’altro non è mai residuo, scarto, esito
delle proprie identificazioni e proiezioni. L’altro è riconosciuto, accolto,
interiorizzato come “altro” (e dunque radicalmente diverso da me), quale
persona unica e irrepetibile, imprendibile e imprevedibile e dunque “in attesa”,
che apre alla gratitudine, alla meraviglia e al paradosso della differenza di chi
è originariamente sconosciuto. L’essere coppia e il farsi matrimonio
custodiscono e ospitano, come luogo, spazio e infine come dimora della
reciprocità, questa radicale differenza. Guardarsi in faccia significa dunque
“accogliere sé, accogliendo l’altro” e, reciprocamente, “accogliere l’altro,
accogliendo sé”. “Essere coppia”, esprime questi significati: costruzione della
coppia, che si misura non sulla sincronia esteriore degli orologi, ma sui tempi
interiori della reciprocità; relazione di genere, come accoglienza e
celebrazione del maschile e del femminile, declinate nella reciprocità; valore
dell’intimità, che radica nella propria identità la comunione con l’identità
dell’altro.
2.
Tenersi per mano.
Un gesto semplice, così caro a chi è innamorato, così congeniale nel
rapporto con i bambini e con i figli, abituale anche per quei vecchi, che
ancora credono al valore del camminare insieme, verso un comune destino.
1
Mi piace ricordare come la parola carezza, dal greco charis, evochi appunto la carità.
E’ un passo ulteriore del cammino di coppia; significa ed esprime un guardare
avanti, un camminare verso, un essere insieme in attesa: il segno e la
consegna di una promessa. Tenersi per mano indica “guardare a”
e
“guardare verso” un comune destino: occorre partire, tenendosi per mano; e il
matrimonio chiede e consente partenze e separazioni per avventure vitali
sempre più impegnative. Tenersi per mano, cioè “essere famiglia”, esprime
questi significati: scoperta di una promessa (il significato etimologico di
“sposo”); relazione di generazione, perché la promessa è consegnata, ai figli;
valore dell’affidarsi, non più e non solo l’uno/a all’altra/o, ma insieme, l’uno/a
con l’altra/o, al progetto di Dio; è il camminare insieme verso la terra
promessa, conoscendo le strade della meraviglia, della fatica, della
riconoscenza e della riconciliazione.
3.
Matrimonio, come dono della madre (da matris munus)
La dimensione del femminile è iscritta anzitutto nella differenza corporea: lo
spazio del corpo, atto a portare, contenere, accogliere la vita, a custodire il
senso (del dolore e della gioia del nascere), a nutrire e dunque a prendersi
cura del bambino, trascrive nella coppia e nel matrimonio la capacità del dare
la vita, del dare vita: non solo fisicamente, ma come “vivibilità”. Oggi il
baluardo della vivibilità non è tanto e solo protezione dai pericoli fisici, quanto
protezione dalle difficoltà, dal disagio e dalla sofferenza psichica, dalla paura,
dall’angoscia, da ciò che toglie il respiro e soffoca l’anima. Vivibilità come
prendersi cura, oltre le forme del curare; l’ospitare e il custodire, oltre il
ricevere, il riconoscere e la riconoscenza, oltre il conoscere e la conoscenza.
Lo spazio del prendersi cura è il “farsi cibo per l’altro”: mentre allatta, la
mamma crea un legame. Sono questi i doni, che la donna, nello spazio
relazionale che le è dato, quale espressione di femminilità e di maternità,
consegna a sé e a tutti i membri della famiglia. E’ compito urgente ed insieme
ineludibile l’accompagnare alla ricerca del “matri-monio”, come dono della
madre: da scoprire, da radicare, da custodire, da consegnare nella promessa
sponsale. Luogo della carità.
4.
Patrimonio, come dono del padre (da patris munus)
Il dono del padre non è solo riferibile alla garanzia dei beni spendibili, delle
cose necessarie al vivere materiale, come evoca immediatamente la parola
“patrimonio”. Dono del padre è offerta e garanzia di una patria; è l’avere
patria, come corpo psichico e spirituale; è garanzia di confini, affinché le
frontiere non siano minacciose. Senza patria, senza confini, senza limiti,
senza regole, siamo tutti senza appartenenza, siamo emarginati, mancanti,
difettosi, esclusi. Il dono del padre, dunque, come dono dell’appartenenza,
come consegna del nome e del cognome; appartenenza come essere parte,
sentirsi parte, far parte per poter fare la propria parte. Appartenenza come
funzione che esprime la capacità di proteggere, di provvedere, di assumere
responsabilità, di farsi carico dei problemi. L’indebolirsi della funzione
paterna, con tutte le ambiguità segnalate dalla cultura contemporanea e, in
particolare dalle scienze umane, rischia di impoverire il vissuto familiare e di
far mancare la promessa di una vita degna, buona, vivibile, promettente e
sorprendente ai figli. Questi i doni, che l’uomo, nello spazio relazionale che gli
è dato, quale espressione del maschile e del paterno, consegna a sé e a tutti
i membri della famiglia. E’ compito urgente ed insieme ineludibile
l’accompagnare alla ricerca del “patri-monio”, come dono del padre: da
scoprire, da radicare, da custodire, da consegnare nella promessa sponsale.
Luogo della carità.
3. Le prospettive sociali della famiglia
1. La famiglia ri-definita: richiede quale nome darle oggi, al di là della
nomenclatura sociologica. Si tratta di una famiglia che vuole essere
accolta e riconosciuta compiutamente.
2. La famiglia svelata: dalle lunghe stagioni del silenzio, della censura,
della rimozione e della clandestinità; è, dunque, il tempo della verità
sulla famiglia.
3. La famiglia ri-cordata:
non più dimenticata e abbandonata, perché
luogo dell’insignificanza. Luogo certo degli affetti, ma soprattutto dei
legami e dei significati esistenziali, quelli che sostituiscono lo scambio
con il dono, il prezzo con la gratuità, la
desolazione
con la
consolazione.
4. La famiglia identificata: non basta dare nome e cognome alla famiglia;
occorre riconoscerle volto, voce, parola, gesto e intenzionalità.
5. La famiglia ri-scoperta: soprattutto nelle sue funzioni, soprattutto in
quello che si offre come il luogo ancora migliore per imparare a
nascere, a vivere, a gioire e a soffrire, e dunque a morire. Le funzioni
antiche della famiglia non sono, attualmente, per nulla dismesse: la
funzione economica (si pensi al risparmio familiare), socioculturale e
simbolica.
6. La famiglia annunciata: la famiglia è sempre, per chi vuole ascoltarla,
buona notizia, anche quando esibisce il volto severo della fragilità. C’è
un vangelo (una buona notizia) nelle relazioni, nelle aspettative, nel
ringraziamento che le famiglie sanno spesso offrire a tutti.
7. La famiglia ri-trovata: soprattutto accompagnata nel ritrovare i nodi e gli
snodi critici dell’arco esistenziale.
8. La famiglia rin-novata: il dono sta scritto nella reciprocità, nella gratuità
e nella riconoscenza.
9. La famiglia ri-visitata: dalle parole che le tengono sempre compagnia
nella vita. Sono parole che non si vendono e non si comprano nei
supermercati della modernità; si donano, si accolgono, si scoprono e si
riconoscono dentro la mappa dei legami.
10.
La
famiglia
ri-conosciuta:
l’intenzionalità
dice
che
questa
“conoscenza” scoperta e riscoperta, visitata e rivisitata, trovata
e
ritrovata, si fa, nel tempo, “riconoscenza” e il suo ritorno dice gratitudine
e meraviglia.
4. I valori sociali della famiglia
La famiglia vera chiede di essere riconosciuta, chiede di essere soggetto di
promozione sociale, vuole essere accolta, anzitutto come risorsa (anche
quando si fa problema); desidera essere ascoltata, nel racconto dei suoi
bisogni, delle sue aspettative, dei suoi desideri. Dunque la famiglia non vuole
essere né demonizzata, né esorcizzata. Riaffermare che la famiglia è carità,
significa riconoscere che la famiglia è soggetto capace di una carità propria;
solo per questo è in grado di accettare, in alcuni tempi della sua esistenza, di
farsi soggetto della carità altrui. Nella prospettiva di una promozione della
carità nella e per la famiglia, non dimenticando la dimensione della giustizia,
anche costituzionalmente riconosciuta per la famiglia, si possono indicare
alcuni itinerari dei valori sociali che la famiglia oggi custodisce.
1.
È necessario custodire, anche a livello di un riconoscimento da
affidare alla cultura pubblica, la persona, nella sua dimensione di
unicità e di irripetibilità, contro tutte le derive riduzionistiche:
quando la persona si fa individuo, cittadino, cliente, utente,
consumatore,
elettore…
Nella
stessa
prospettiva
occorre
custodire e propiziare la famiglia, perché non la si riconosca solo
come “contratto” o come “problema”; ma se ne riscoprano tutte le
funzioni. Ed infine, contestualmente, occorre custodire la
comunità: come luogo ove si dà la possibilità di riconoscersi e di
essere
riconosciuti
nell’orizzonte
dell’umano-che-è-comune
(comune umanità, dunque). Custodire la persona e la comunità è
condizione per riconoscere la stessa famiglia.
2.
È necessario favorire l’incontro tra famiglie: non necessariamente
per condividere una difficoltà, un problema o un evento critico,
quanto per creare opportunità, da parte delle famiglie, di dirsi, di
raccontarsi, di anticiparsi. Si tratta di incontrare altre famiglie,
nella logica non solo del bisogno, quanto del desiderio. È la
prospettiva del favorire il costituirsi di “famiglia di famiglie”2(e non
solo di famiglie per l’affido, per l’adozione, per la disabilità, per la
sofferenza psichica ecc.).
3.
È necessario accompagnare i compiti di sviluppo, sia relazionali
che organizzativi, del ciclo di vita familiare. La biografia della
famiglia segnala differenziate fasi del suo evolversi; segnala
eventi critici, esige compiti di sviluppo, sia relazionali che
organizzativi. Le fasi del ciclo vitale sono identificabili: nella
formazione della coppia; nella famiglia con bambini; nella famiglia
con adolescenti; nella famiglia trampolino (con l’uscita dei figli e la
sindrome del nido vuoto, come evento critico); nella famiglia in
tarda età. Mi pare importante ricordare come i compiti di sviluppo
relazionale possano essere supportati dal costituirsi di “famiglia di
famiglie”, mentre i compiti di sviluppo organizzativo possano
essere supportati da competenti servizi per la famiglia (dal
consultorio familiare a servizi di empowerment-community). I
compiti di sviluppo relazionale ed organizzativi assumono
particolare rilievo, quando la famiglia è attraversata dalle fragilità
della disabilità, della sofferenza psichica, della tossicodipendenza,
dell’alcoldipendenza, della non autosufficienza, della malattia –
2
Mi piace qui ricordare l’esperienza di: VOLPI ENRICA e BRUNO, Un’alternativa possibile. Le comunità di
famiglie, Monti Saronno 2002. Ho voluto evocare, nello stesso testo, i tratti fondamentali di quell’esperienza. Cf
MOZZANICA C.M., Un segno per la società, pp. 97-108
soprattutto se cronica ed irreversibile -. I compiti di sviluppo
debbono seguire due
prospettive decisive per l’assunzione
dell’ottica familiare: la prevenzione, l’accompagnamento, il
sostegno, l’eventuale sostituzione della famiglia.
4.
È necessario promuovere tutte le forme espressive del terzo e
soprattutto del quarto settore, valorizzando, per la famiglia, tutte le
risorse, espressive di un welfare non solo prestazionale, bensì
relazionale.
L’amministratore
di
sostegno
potrebbe essere
indicato come una sorta di “io ausiliario” della persona fragile
(anche in parziale opposizione a quell’io alternativo e sostitutivo,
che era ed è la figura del “tutore” e del “curatore”): peraltro l’etimo
appare suggestivo: ausiliare (da augeo) significa far crescere,
accompagnare (ad-cum-pane: nel senso dello stare vicino,
mentre “dividi il pane”), custodire, sostenere (tenerti su), prestare
aiuto, garantire attenzione: dunque una figura che integra
rispettando, che propizia valorizzando, che accompagna non
sostituendosi, che sta vicino, non pesa e non appesantisce. Mi
piace anche alludere alla dimensione umile (minus), ministeriale
(ad-ministrare) del sostegno, a fronte della dimensione sostitutiva
(magis),
magisteriale
del
tutore.
Se
dovessi
assumere
un’immagine, anche con riferimento ai primi commenti della
legge, parlerei di un possibile “angelo custode” della persona
fragile. Ci siamo, così, introdotti nell’icona. L’icona, con cui si può
alludere all’amministratore di sostegno, è tratta da un “midrash”,
molto suggestivo: è il libretto di Tobia. Il vecchio Tobi, ormai
cieco, sfiduciato, cerca un aiuto per il figlio Tobia, che invia da
Gabael, a Rage in Media, a ritirare i suoi 350 chili d’argento,
perché i tempi che si vivono sono grevi e pesanti; sono tempi
grami, anche per un vecchio religioso come Tobi. “Cercati
dunque, o figlio, un uomo di fiducia che ti faccia da guida” (Tb.
5,3). Raffaele, incontrato da Tobia, entra in casa e Tobi lo saluta
per primo. Egli dice: “Ti auguro di poter essere davvero felice e
contento” (Tb. 5, 10). E alla fine Tobia si preparò per il viaggio, e
uscito, per mettersi in cammino, baciò il padre e la madre. E Tobi
gli disse: “Fa buon viaggio!” Allora la madre si mise a piangere e
disse a Tobi: “Perché hai voluto che mio figlio partisse? Non è lui
il bastone della nostra mano, lui, la guida dei nostri passi?” Le
disse: “Non stare in pensiero: nostro figlio farà buon viaggio e
tornerà in buona salute da noi. I tuoi occhi lo vedranno il giorno in
cui tornerà sano e salvo da te. Non stare in pensiero, non temere
per loro, sorella! Un buon angelo infatti lo accompagnerà, riuscirà
bene il suo viaggio e tornerà sano e salvo. Ed essa cessò di
piangere” (Tb. 5, 18-23). Solo sinteticamente vorrei richiamare
qualche passaggio significativo, che ci aiuti a contestualizzare le
riflessioni, che cercherò di fare, evocando qualche profilo della L.
6/2004, ove viene esaltata la soggettualità della persona fragile.
“La presente legge ha la finalità di tutelare, con la minore
limitazione possibile della capacità di agire, per persone prive in
tutto o in parte di autonomia nell’espletamento della vita
quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o
permanente” (art. 1). “La persona che, per effetto di una infermità
ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova
nell’impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai
propri interessi…”3. “Il giudice tutelare deve sentire personalmente
la persona… e deve tener conto, compatibilmente con gli interessi
e le esigenze di protezione della persona, dei bisogni e delle
richieste di questa”4. “La scelta dell’amministratore di sostegno
3
4
art. 3, – modifica del titolo XII del libro primo del C.C. - art. 404
art. 3, – modifica del titolo XII del libro primo del C.C. - art. 407
avviene con esclusivo riguardo alla cura e agli interessi della
persona del beneficiario”5. “Il beneficiario dell’amministrazione di
sostegno può in ogni caso compiere gli atti necessari a soddisfare
le esigenze della propria vita quotidiana”6 .“Nello svolgimento dei
suoi compiti l’amministratore di sostegno deve tener conto dei
bisogni e delle aspirazioni del beneficiario”7. Le sintetiche citazioni
sembrano quasi inusuali in un testo di legge, che è diventato
parte del codice civile. Esso si iscrive dunque nell’ambito del
progetto personalizzato per la persona fragile e diventa dunque
supporto, aiuto e sostegno nel bilancio familiare, quando esso
incontra al proprio interno la sfida della fragilità o della non
autosufficienza. È, dunque, nell’orizzonte della carità familiare,
l’espressione di una prossimità esigente e competente.
5.
È necessario riscoprire i verbi ausiliari della famiglia: quelli
intrafamiliari e quelli extrafamiliari. Si tratta di (ri)evocare, tra i
verbi ausiliari intrafamiliari, la capacità di ascoltare (la voce, le
parole, il silenzio, in silenzio), di accogliere (di continuare a fare
spazio all’altro dentro di sé), di accorgersi (di avvicinarsi al cuore,
etimologicamente, con il linguaggio degli affetti e dei sentimenti,
dell’intuizione dello sguardo), di animare (nel senso di dare
respiro, soffio, vita alle dinamiche familiari), di accompagnare (nel
significato etimologico dello stare accanto, mentre si divide il
pane; in una eucaristia del quotidiano e dell’ordinario; perché
questa è famiglia). L’enumerazione potrebbe continuare. Ogni
famiglia può riscoprire i verbi ausiliari del proprio lessico, della
propria grammatica e della propria sintassi. Per quanto attiene ai
verbi ausiliari extrafamiliari mi pare interessante l’ermeneutica di
5
art. 3, – modifica del titolo XII del libro primo del C.C. - art. 408
art. 3, – modifica del titolo XII del libro primo del C.C. - art. 409
7
art. 3, – modifica del titolo XII del libro primo del C.C. - art. 410
6
una grammatica che cerca sempre di coniugare i verbi con il
“cum” (che dice insieme, reciprocità e relazionalità condivisa:
dunque il correre si fa con-correre, il porre com-porre, il vincere
con-vincere, il nascere co-noscere, il cedere con-cedere, il
giungere con-giungere, il rispondere cor- rispondere il sentire consentire…).
6.
È necessario (r)accogliere la sfida dell’educare. Si pone la
questione urgente e complessiva di una riscoperta del valore
dell’educazione: assunta ed intesa come anticipazione di senso;
come immissione di significato nel freddo vocabolario della
scienza e della tecnica; educare come capacità di significare, di
alludere, di indicare e – forse – di propiziare il senso promettente
e
sorprendente
della
vita.
La
sfida
educativa,
come
ricomprensione dell’orizzonte di senso della vita, appare compito
prioritario, da riassegnare alla famiglia; compito che deve aiutare
la famiglia ad una difficile e complessa riappropriazione.
7.
È necessario rivisitare le linee di politica sociale, sia a livello
nazionale che a livello regionale, per cogliere i paradigmi di una
mancata giustizia della e per la famiglia. Per quanto attiene alla
Regione Lombardia, oltre la Legge Regionale 23/99, che
promuove e sostiene l’associazionismo familiare, abbiamo oggi la
nuova legge di riordino dei servizi alla persona8, che attiene al
governo delle reti sociosanitarie e socio-assistenziali.
8.
È necessario pensare, per la Regione Lombardia, al di là della
pregevole legge n. 34/2004, relativa ai minori, alla possibilità di
proporre un Testo Unico, che abbia al centro la persona (e non
l’individuo), la famiglia (e non le reti d’offerta); le formazioni sociali
(e non un testo sinottico sul terzo settore): quale sfida alla
8
Legge regionale 12 marzo 2008 – n. 3 “Governo della rete degli interventi e dei servizi alla persona in ambito
sociale e sociosanitario” 1° Suppl. Ordinario al n. 12 del 17.3.2008
ricomposizione del vivere civile, in termini di diritti sociali di
cittadinanza, nell’ottica della community care.
9.
È necessario ipotizzare, per quanto attiene il complesso orizzonte
dei servizi alla persona, interventi coerenti, a partire dalla famiglia.
Non deve essere la competenza
a determinare l’orizzonte
dell’intervento.
10.
È necessario indicare alcune linee di indirizzo per un’autentica
politica familiare: senza particolare presunzione, ma con l’umiltà
di una semplice proposta, che nascendo dall’orizzonte esigente
della prossimità e della carità, possa caratterizzare l’orizzonte del
bene comune, ripensato in termini non individuali, ma familiari. Lo
sguardo alla famiglia appare certamente complesso e deve
essere pluridimensionale, anche nelle politiche di promozione,
supporto, sostegno, accompagnamento ed eventuale sostituzione
(nel caso di una famiglia che viene meno). Appare decisivo
individuare il criterio con il quale si assumono le politiche socioassistenziali per la famiglia: autosufficienza ed autonomia della
famiglia possono venire meno (o per ragioni strutturali o per
ragioni funzionali). È fondamentale la costituzione di un’équipe
pedagogico-sociale-relazionale (da affiancarsi al consultorio
familiare), per accompagnare le funzioni di coppia, il ruolo
genitoriale e gli snodi (problematici) di sviluppo della condizione
familiare. È la “presa in carico” dell’evento famiglia. Appaiono
condizioni decisive, per un supporto socio-assistenziale. Si tratta
di monitorare i possibili insulti familiari, legati o all’insufficienza di
reddito (reddito di cittadinanza) o alla presenza di persone non
autosufficienti (fondo per la non autosufficienza), con la
valutazione ISEE secondo il D.Lgsl. 130/2000, che assuma solo
la condizione della persona non autosufficiente (per evitare che
venga espulsa dal circuito familiare), per il sovraccarico della
contribuzione assistenziale dovuta alla famiglia.
Si indicano, in estrema sintesi, gli interventi prioritari per garantire
l’esplicitazione dei valori sociali della famiglia:
a)
Si tratta di individuare le condizioni essenziali, per cui una
famiglia possa vivere dignitosamente, soprattutto in situazioni di
difficoltà; di prevedere interventi di prevenzione (atipica/promozionale;
tipica: primaria, secondaria e terziaria), di sostegno (ai diversi livelli), di
sostituzione (nel caso di famiglia in difficoltà o assente - attraverso
l’accoglienza, l’affido consensuale e/o non, l’adozione nazionale e
internazionale). La modalità dell’intervento si attua tramite: servizi,
presidi, interventi, supporti attraverso bonus e voucher sociali; dal punto
di vista associativo: favorire il sorgere di “famiglia di famiglie”, non solo
orientate alla
risposta a bisogni singoli o specifici, ma al sostegno
reciproco, attraverso il confronto, l’aiuto, l’accompagnamento, delle
funzioni genitoriali.
b)
Équipe pedagogico-sociale per l’accompagnamento dell’arco
materno-infantile, a livello dei piani di zona. Si tratta di un servizio che
monitorizza l’arco esistenziale dello svolgersi familiare (in parallelo al
consultorio familiare). È il riferimento costante per l’accompagnamento
familiare nei passaggi critici, che implicano, accanto ai compiti di
sviluppo, garantiti dai LIVEAF, compiti di supporto relazionale (nascita
del figlio, sostegno da 0-3 anni, adolescenza, età adulta e sindrome del
nido vuoto; presenza di persone anziane non autosufficienti). È il
servizio di riferimento per l’asilo nido (e per tutte le forme
complementari: micro-nido, nido familiare, punto giochi ecc.), l’ADM
(assistenza domiciliare per minori, erogazione di titoli sociali, quali
bonus e voucher ecc.). Altre forme sono correlate a momenti di
supporto relazionale alla condizione adolescenziale e giovanile (centri
di aggregazione, centri diurni, punto giovani, consultorio giovani e
adolescenti, progetti giovani ecc.)
c)
Fondo nazionale/regionale per la non autosufficienza. La
famiglia è spesso sconvolta dal repentino (o lento) apparire, al proprio
interno, di forme di non autosufficienza (disabilità improvvisa, malattia
cronica, non autosufficienza sia fisica che psichica di persone anziane).
Si tratta di coprire l’esigenza di long-term care, nel caso in cui in
famiglia si verifichi la presenza di una persona non autosufficiente. Il
Fondo per non autosufficienti può assumere forme differenziate
(dall’addizionale IRPEF, alla tassa di scopo o altro…). È un intervento
che copre la componente assistenziale della cura; per ciò che attiene
invece alla competenza sanitaria, sociosanitaria e riabilitativa occorre
rinviare (e dare supporto ulteriore) ai LEA (di cui al DPCM 29.11.2001,
al DPCM 28.11.2003 e al DPCM 5.3.2007)
d)
ISEE, secondo le indicazioni del D.Lgsl. 130/2000. Si tratta di
valutare, per l’ISEE, nel caso di un disabile e/o di un anziano non
autosufficiente, il solo reddito della persona portatrice di non
autosufficienza, risolvendo, con un intervento normativo, i residuali
dubbi riferiti all’interpretazione del D.Lgsl. 130/2000, che modifica il D.
Lgsl. 109/1998.
e)
Reddito di cittadinanza, o Reddito Minimo di Inserimento. Si
tratta di garantire il nucleo familiare, quando viene meno la possibilità
di un reddito stabile (per differenziate ragioni). Il reddito di cittadinanza
(come peraltro previsto in tutti i Paesi dell’Europa) può essere
assimilato
al
RMI,
ormai
pressoché
abbandonato
(dopo
la
sperimentazione dal 1998). Per evitare il rischio dell’assistenzialismo
può essere correlato ad un qualche impegno contrattuale del nucleo
familiare. Potrebbe diventare anche parte, eventualmente, dei LIVEAF.
Convegno Caritas della Zona Pastorale V Monza
“Il Valore Sociale della Famiglia. Genitori e figli per sempre”
Poesia e Musica dal Libro di Ruth
A cura del Gruppo Ibuka Amizero
Il Convegno prosegue con un linguaggio inedito, per un assise spesso
abituata a parole e a interventi. E’ la forza del teatro, con l’interpretazione del
libro biblico di Ruth, a cura del gruppo IBUKA AMIZERO, ad introdurre temi
che guardano alle trasformazioni del nostro tempo: alla donna, alle
migrazioni, ai mutamenti culturali ed interreligiosi.
Convegno Caritas della Zona Pastorale V Monza
“Il Valore Sociale della Famiglia. Genitori e figli per sempre”
Il “Progetto Incontro”
Un’idea in aiuto alla famiglia e alle assistenti famigliari.
Un progetto realizzato
in collaborazione con il Comune di Monza
A cura di Don Augusto Panzeri,
Responsabile Caritas Zona Pastorale V Monza
e Lucia Mariani,
Responsabile Area Famiglie della Cooperativa Sociale Novo
Millennio e collaboratrice della Caritas di Monza
Nel 2005, in occasione della beatificazione di don Talamoni, la Caritas
Decanale di Monza aveva chiamato le comunità parrocchiali a sostenere un
progetto, chiamato PROGETTO INCONTRO, in appoggio agli anziani in
difficoltà e alle
loro famiglie. In realtà, una prima sperimentazione del
progetto era nata già undici anni fa, quando don Augusto e la Caritas
pensarono di istituire un luogo altro dal Centro di Ascolto, per fare incontrare
le
richieste
delle
famiglie,
con
alcune
donne
(all’inizio
soprattutto
sudamericane) in cerca di lavoro e di una vita migliore. Il primo PROGETTO
INCONTRO quindi si sviluppò utilizzando alcuni fondi europei che le
istituzioni non sapevano come impiegare, durò un anno e impegnò i Comuni
di Monza e Seregno.
PROGETTO INCONTRO nasce dalla riflessione della Caritas, che ha
conosciuto le problematiche dell’assistenza domiciliare attraverso i Centri di
Ascolto. Grazie ai numerosi colloqui, che i volontari e gli operatori dei Centri
di Ascolto hanno fatto con famiglie
italiane e con donne
in prevalenza
straniere, si sono potuti osservare e focalizzare due “bisogni” paralleli, ma
strettamente connessi: quello delle famiglie, con il problema dell’assistenza
all’anziano, e quello delle assistenti familiari, più comunemente chiamate
badanti, con il problema della ricerca di un lavoro. Da qui la nascita del
PROGETTO INCONTRO, condiviso e sperimentato con il Comune di Monza,
che propone da un lato un sostegno alla famiglia e dall’altro un orientamento
alla ricerca del lavoro nell’ambito dell’assistenza famigliare.
In Italia le assistenti famigliari, oltre il 90% straniere, non
risultano
sempre in possesso di esperienze specifiche, anche se molte di loro
possiedono spesso un buon livello di istruzione. Il PROGETTO INCONTRO
annovera tra i suoi interventi anche la preparazione delle assistenti familiari e
il monitoraggio delle loro attività, così da garantire un buon livello di risposta
alle necessità assistenziali dell’anziano, qualificando l’attività e le prestazioni
domiciliari che devono avere al centro del servizio la persona.
Elena
Monza,
Assistente
Sociale
referente
del
PROGETTO
INCONTRO per la Caritas, dopo il primo contatto con il Centro di Ascolto a
cui le famiglie e le assistenti familiari spesso si rivolgono, si reca a casa
dell’anziano dove incontra anche i famigliari. La visita domiciliare è un
metodo di lavoro tipico del Servizio Sociale, che permette di rendersi conto
con più chiarezza della situazione famigliare, delle risorse e delle difficoltà, e
di quale persona potrebbe essere più adatta a prendersi cura di
quell’anziano. La presenza dell’assistente sociale è anche l’occasione per
informare la famiglia sulla rete dei servizi presenti sul territorio, per orientarla
circa le Agenzie del Lavoro cui rivolgersi e circa le procedure da seguire per
una corretta assunzione lavorativa dell’assistente familiare.
Il PROGETTO INCONTRO, inoltre, promuove interventi a supporto delle
assistenti familiari, attraverso incontri periodici in gruppi di “mutuo-aiuto”,
condotti da personale preparato. In questi momenti di gruppo vengono
discussi i problemi legati all’assistenza all’anziano, ai disagi e alle difficoltà di
questo tipo di lavoro, al senso di lasciare la propria famiglia d’origine e vivere
il paradosso di assistere una persona mentre i propri genitori o figli vivono
lontano.
Contestualmente sono previsti gruppi di incontro con i famigliari degli anziani,
spesso provati e in difficoltà nell’accogliere e nel non lasciarsi sopraffare dal
dolore della grave situazione del proprio congiunto. In questi gruppi, condotti
dalla Psicologa dr.ssa Giovanna Perucci, molti figli si interrogano sul proprio
ruolo e soprattutto riflettono sulle nuove circostanze che spesso inducono ad
un capovolgimento dei ruoli: perché adesso è il figlio ad occuparsi del padre o
della madre. Questo rende difficilissimo capire e accettare i propri sentimenti,
che talvolta sono anche di ostilità. Non è facile accettare che la propria
madre o il proprio padre, a causa dell’Alzheimer o di altre patologie, non
riconosca più i figli oppure manifesti atteggiamenti di aggressività verbale o di
grande disorientamento psicologico. Il poter parlare di tutto ciò in un gruppo
di persone che vivono situazioni analoghe, risulta davvero importante: tutti
ascoltano e si confrontano e molti sono pronti a offrire suggerimenti e aiuti.
Questo porta ad un ridimensionamento dei problemi e fa percepire come
meno “pesanti” le incombenze quotidiane, aiutando anche i familiari a
riscoprire la dimensione affettiva del legame con il proprio genitore anziano:
tale legame, infatti, rischia di rimanere soffocato dalle fatiche della gestione
quotidiana e segnato unicamente dal dolore, dalla rabbia e dalla quasi
impossibile accettazione reciproca.
L’assistenza domiciliare di un anziano ha certamente dei costi dei quali
il PROGETTO INCONTRO è in grado di fornire un’indicazione. Ad esempio:
un’assistente famigliare assunta notte e giorno con stipendio netto di 800
euro mensili costa circa (fra tredicesima, ferie, TFR) 14.000 euro annui.
Accade spesso che anche il peso economico ricada sulla famiglia, oltre al
dolore, alle tensioni, al doversi giostrare fra l’essere datore di lavoro
(esperienza inusuale per molte famiglie, che vanno a questo guidate ed
informate adeguatamente) e il desiderio di offrire il meglio ai propri genitori.
C’è eventualmente la possibilità di avere l’assegno di accompagnamento, che
comunque richiede tempi spesso lunghi; è possibile ottenere un recupero
fiscale sui contributi versati, ma è poca cosa rispetto ai costi complessivi: in
ogni caso il peso è davvero “importante”. Un aiuto può arrivare dal Comune,
che eroga contributi economici (buoni sociali) in base al reddito dell’anziano,
ma che va certamente stimolato a sostenere di più l’onere economico delle
famiglie, soprattutto di quelle dal reddito medio-basso, che a volte devono
provvedere ai propri anziani per periodi molto lunghi. La sollecitazione ad una
efficace presa in considerazione della necessità e dell’urgenza di individuare
forme più concrete di sostegno alle famiglie va rivolta pertanto a tutti gli
organi istituzionali, politici e sindacali, affinché studino e realizzino al più
presto forme idonee alla soluzione del problema dei costi dell’assistenza
domiciliare all’anziano, dato anche il prevedibile ampliarsi del problema nei
prossimi anni.
Analizzando i dati raccolti dalla Caritas, emerge che il 60% delle
famiglie mostra il bisogno di un’assistenza domiciliare sulle 24 ore, mentre
solo il 25% delle assistenti familiari è disponibile su questo orario.
Probabilmente il gap di richieste viene colmato dal lavoro sommerso e
dall’irregolarità, ma questo è un fenomeno che acuisce i problemi
dell’assistenza domiciliare e che non dà alcuna garanzia sul piano della
qualità del servizio svolto, della continuità e delle responsabilità che
l’assistente familiare e la famiglia si assumono.
Gli operatori del Progetto INCONTRO, nel 2007, hanno effettuato 110
contatti con famiglie che hanno chiesto la valutazione della situazione e un
orientamento nell’individuazione dell’assistente familiare più adatta alle
proprie specificità. A questi occorre aggiungere gli incontri di verifica e
monitoraggio delle situazioni già seguite da un’assistente domiciliare, e la
rivalutazione dei casi in cui si sono modificate le condizioni dell’anziano, della
famiglia o dell’assistente familiare.
L’idea di meglio qualificare l’intervento a domicilio delle assistenti
familiari, ha trovato immediata attenzione nell’Amministrazione Comunale ed
in particolare nell’Assessorato alla Famiglia. La partnership con il Comune di
Monza ha consentito, infatti, di esprimere un’ulteriore attenzione alla qualità
degli interventi, perché attualmente possiamo contare sul supporto di una
Equipe multidisciplinare nella quale, oltre agli operatori sociali di base, sono
presenti uno psicologo ed un geriatra. La sinergia tra pubblico (il Comune) e
privato (la Caritas) ha consentito un’azione culturale sulle istituzioni, per far sì
che il bisogno non fosse letto solo in chiave economica o di dovere
dell’assistenza, ma focalizzasse l’interesse sui problemi delle famiglie e delle
assistenti a domicilio. È di fondamentale importanza accompagnare le
badanti,
insegnando
loro
la
lingua,
dando
la
possibilità
di
una
professionalizzazione, che potranno poi reimpiegare in altri ambiti, anche
tornando un giorno nel loro paese d’origine per prendersi cura della propria
famiglia.
In conclusione, Lucia Mariani racconta quanto sia difficile per una
famiglia, soprattutto in Brianza, rivolgersi al Comune per chiedere la “carità”,
per chiedere aiuto nel momento della necessità. L’intervento di Caritas, in
questo senso, consente un avvicinamento graduale alle istituzioni, che a volte
spaventano o sono viste con sospetto.
Ad oggi consideriamo positiva e ampliabile l’esperienza, anche se è
all’attenzione del PROGETTO INCONTRO il problema di garantire tempi più
brevi di soluzione della necessità delle famiglie di dover provvedere
improvvisamente
all’accudimento
dell’anziano,
che
diviene
non
autosufficiente. Pensiamo che debbano essere semplificati i passaggi, ma
non a scapito dell’accoglienza del bisogno di supporto delle famiglie e delle
assistenti familiari.
È possibile incontrare l’Assistente Sociale del Progetto Incontro della
Caritas chiedendo un appuntamento, chiamando il numero telefonico 335
8752422, oppure chiedendo informazioni al Centro di Ascolto Caritas della
propria zona.
Convegno Caritas della Zona Pastorale V Monza
“Il Valore Sociale della Famiglia. Genitori e figli per sempre”
Dibattito
Il dibattito è stato inaugurato da Riccardo, sindacalista, che ha sottolineato
un ritardo da parte della politica, sulle questioni legate alla malattia mentale: i
percorsi sono tortuosi, manca la standardizzazione, se non ci fosse la Caritas
saremmo in alto mare.
Le famiglie colpite da questa problematica sono lasciate da sole, manca una
cultura del controllo e della vicinanza, mentre la presenza fra le mura di casa
di un malato di Alzheimer è pesante, fa impressione, mette in difficoltà, non si
è mai pronti a gestirla. I famigliari ne sono sconvolti, i loro ritmi di vita devono
piegarsi al cambiamento.
Anche il ruolo delle badanti va rivalutato, troppo spesso sono viste solo dal
lato della loro professione, invece sono madri e mogli che lasciano i loro cari
nel paese di origine e vivono un precario equilibrio sentimentale, a causa di
questa lontananza: anche qui manca una cultura del dirigersi al cuore del
problema.
Francesco, del decanato di Carate, ha spinto affinchè si faccia un
documento del convegno da distribuire nelle parrocchie per favorire la
discussione, così che le famiglie si sentano sollevate e si dia impulso
all'autentica carità cristiana. È lo stesso tema sollevato da Armanda, di
Lissone: le parrocchie devono rilanciare dei percorsi che portino a costruire di
nuovo la comunità e la solidarietà.
La famiglia si muove, troppo spesso, solo nei casi di emergenza, punta a
togliersi il fastidio scaricandolo su badanti assunte in nero per non avere
fastidi: questo è il succo dell'intervento di Angelo, di Vimercate.
Fiorenzo, presidente dell'Associazione Comasca del Volontariato, fa
riferimento alle citazioni su Ermanno Olmi, ai suoi film sul tema della famiglia.
La legge regionale sul problema dei malati psichici è una scintilla iniziale dalla
quale prendere le mosse.
Sara, della parrocchia S. Famiglia di Monza, sottolinea invece la difficoltà di
creare la relazione, necessità primaria dell'anziano o del malato. Le
collaboratrici domestiche non risolvono questo bisogno, che non è solo fisico,
mentre i Comuni sono latitanti sul versante del servizio di prossimità e quindi
bisogna affidarsi sempre al volontariato.
Anna Maria, della parrocchia di Cristo Re di Monza, parla del concetto di
“famiglia di famiglie”: per non sentirsi soli, è fondamentale mischiare famiglie
sane a nuclei con problemi, per accettarsi reciprocamente ed aiutarsi.
La riflessione sul tenersi per mano guida l'intervento di Anna Maria. Le è
tornato alla mente quando in gioventù, da fidanzati, suo marito le regalò un
libretto: “Amore è tenersi per mano e andare a spasso”. La vita l'ha portata ad
applicare questa filosofia, dovendo confrontarsi con la malattia mentale prima
del marito, poi della figlia.
Nello sconvolgimento portato dalla perdita della salute, il tenersi per mano è
la forza che unisce. Con un malato psichico, non si può pretendere che sia lui
a cambiare, dobbiamo farlo noi, è uno sforzo di avvicinamento che ci mette
alla prova duramente.
Anna Maria racconta anche del problema della collaboratrice domestica:
finchè era in nero ce la si faceva, ma una volta messa in regola i costi sono
lievitati ed è stato impossibile sostenerli, viste le tante spese mediche di cui i
famigliari malati necessitavano. Ed ecco quindi che ci si ritrova a dover
sopportare anche il peso fisico, non più solo psicologico, della malattia dei
propri cari.
Il rilancio dei valori della famiglia è fondamentale: la forza del rapporto
parentale, l'unione nell'amore e l'accettazione della disabilità sono necessarie
per alleviare la pesantezza di questa condizione. E così facendo si apre un
mondo tutto nuovo, come è successo ad Anna Maria, che racconta gli stati
d'animo attraverso cui è passata.
Dalla vergogna, dalla paura, dalla sofferenza, da un isolamento quasi
volontario e automatico, si passa ad un superamento, ad una apertura verso
altre persone, che instaurano un buon rapporto con la famiglia.
L'accettazione e la comprensione da parte di altri, che non giudicano
negativamente, ma accolgono e aiutano a portare il peso di questa
condizione di disagio, sono i sentimenti che Anna Maria e tutti quelli che si
trovano nella sua condizione vanno cercando.
La paura ci blocca, ci rinchiude, ci fa provare sensazioni ingiustificate
facendoci camminare a testa bassa e diffidare del mondo, verso cui proviamo
rabbia e frustrazione. La paura va superata e messa da parte, perchè non
siamo soli.
Dopo l'intervento di Anna Maria sul “tenersi per mano”, don Augusto
Panzeri spezza una lancia in favore del Progetto Incontro. Nei centri di
ascolto non si presentano solo poveri materiali, ma sempre più spesso
persone afflitte da povertà spirituali, sentimentali, affettive: è il volto della
nuova povertà, del disagio che rimane spesso rinchiuso fra le mura di casa.
Ad un malato, prosegue don Augusto, si può offrire di più che le semplici cure
corporali, ed egli può diventare un'occasione per i famigliari, per riscoprirsi
uniti nell'amore e non solo nel bisogno.
La Caritas, che rilancia il discorso della centralità dell'ambiente familiare, è
indispensabile in riferimento alle problematiche legate ai minori, agli anziani,
ai malati.
Il professor Mozzanica conclude dicendo che alla mentalità individualista e
proprietaria di oggi, si contrappone il personalismo cristiano, per il quale
l'identità si dà solo in rapporto alla differenza.
La solitudine, quando c'è, va abitata e la Chiesa deve riconoscersi dalla
necessità dell'amore, dal desiderio di stare insieme, per poter sintomatizzare
il bisogno e superarlo, accoglierlo.
Il relatore riprende infine le parole di Anna Maria: dobbiamo donare quando
non c'è il bisogno, altrimenti il dono si tramuta in diritto/dovere. L'autentica
carità è il desiderio del dono libero, questo è il cristianesimo.
Convegno Caritas della Zona Pastorale V Monza
“Il Valore Sociale della Famiglia. Genitori e figli per sempre”
Conclusioni
A cura di Luciano Gualzetti,
Vice Direttore Caritas Ambrosiana
Luciano Gualzetti ha ricordato che il Decanato di Cantù assolve un
ruolo importante e spesso di cerniera fra la realtà ambrosiana e quella
lariana, e che alcune iniziative ed esperienze, come ad esempio quella del
Centro di Ascolto di Cantù, sono state valorizzate e considerate punto di
riferimento per la storia milanese. Inoltre, parlando del convegno, Gualzetti ha
ringraziato i relatori, elogiato gli organizzatori e ha sottolineato il clima
positivo nel quale si è svolta l’assise. Infine ha ricordato che anche le altre
zone della diocesi hanno ospitato convegni simili a questo, in continuità con il
lavoro aperto a Triuggio.
Atti del convegno a cura di
Fabrizio Annaro e Lorenzo Perego
Segreteria Caritas Zona Pastorale V Monza
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Il Valore Sociale della Famiglia. Genitori e figli per