EDITORIALE
Poi, lo spazzolino da denti e il rasoio, per non rinunciare alle buone abitudini.
Anche i medicinali, per ogni esigenza di cura e di
soccorso; e, con gli indumenti, le maglie per sopportare
il freddo della notte. Infine quel poco denaro racimolato, che certamente non basterà per molto tempo.
Poi, anche un libretto e un rosario per pregare e affidare la propria vita alla volontà di Dio.
Anche i bambini hanno il loro zainetto, con dentro
un pupazzo, un cappellino e, magari, un pacchetto di
biscotti, per rendere meno amaro il lungo viaggio.
Certamente, tanta speranza in quegli zaini!
i ritengo davvero fortunata. Ho avuto
un’infanzia felice, ho frequentato le
scuole, ho avuto un lavoro, ho vissuto in
serenità con la mia famiglia e nella mia casa.
M
Non ho mai sussultato di paura per il fragore delle
bombe, non ho mai tremato nel sentire bussare alla
porta di casa, terrorizzata dal pensiero che venissero a
prendere e portar via me o i miei cari, costringendomi
a non rivederli più.
Non ho mai attraversato furtivamente la strada per
andare a comprare il pane, cercando di sottrarmi alla
vista di spietati cecchini appostati alle finestre.
Non ho mai percorso chilometri a piedi nell’impervia savana per raggiungere una sorgente d’acqua, con
la paura di essere assalita da bestie feroci o minacciata
da uomini violenti.
Quando ne ho avuto bisogno sono sempre stata curata, in ospedale o a casa.
Ho sempre potuto esprimere le mie opinioni.
Soprattutto non ho mai dovuto abbandonare la mia
casa e fuggire portando con me soltanto uno zaino, affrontando ansimante un lungo estenuante cammino, in
mezzo a tanti pericoli e col rischio di trovare alla fine
ogni varco sbarrato da muri o da onde di filo spinato,
ogni tentativo di passaggio contrastato o impedito da
violenti getti d’acqua o da asfissianti ed urticanti spray
al peperoncino.
In un’omelia ascoltata durante le vacanze, il sacerdote ha così interpretato il segno della croce:
«Nel nome del Padre e segno la mente, del Figlio e
segno il cuore, e dello Spirito Santo e tocco le spalle.
Sì, proprio le spalle! Le spalle che reggono gli zaini
con dentro tutto quello che fa parte della nostra vita.
E noi invochiamo lo Spirito Santo perché ci aiuti a
sopportarne il peso».
Tutto ciò che accade - e specialmente gli eventi tragici di questi tempi – ci devono indurre ad interrogarci
e a cercare delle risposte. Enzo Bianchi, durante una Lectio Magistralis nell’ambito di Torino Spiritualità 2014, ha
affermato che le domande generano in ciascuno di noi
un terreno complesso e diverso ed è proprio in questo
terreno che la nostra personale volontà può decidere il
bene o il male, può scegliere se impegnarsi in una risposta o rifiutarsi di darla.
È il nostro “cammino di umanizzazione”, da cui dipende se vivere in una logica di bene comune o cedere
all’egoismo di chi vive senza gli altri o addirittura contro gli altri, o rimanere nell’indifferenza.
Quando io preparo uno zaino è perché ho intenzione di partire per un’escursione in montagna.
Chi parte per una piacevole avventura del genere
deve soltanto avere l’avvertenza di limitare all’essenziale il contenuto dello zaino per evitare che esso pesi
troppo. E soprattutto sa che al termine tornerà tranquillamente a casa e ritroverà tutte le sue cose.
Chi, invece, parte per fuggire lontano dalla miseria,
dalle persecuzioni, dalla guerra sente che il viaggio sarà
drammatico e che a casa molto probabilmente non tornerà più. Nello zaino, quindi, cercherà di sistemare, insieme con viveri e indumenti, anche tutto ciò che può
rappresentare i suoi affetti e mantenere vivi i suoi ricordi: porterà in fondo se stesso, i suoi desideri e le sue
speranze, la sua voglia di vivere, la volontà di proiettarsi oltre lo sventurato momento attuale, di alimentare perfino la vaghezza di un progetto per il futuro.
Le immagini pubblicate su La Stampa del 9 settembre u. s., con il contenuto degli zaini di coloro che fuggono dalla guerra, mi hanno veramente commossa.
Ho cercato di immaginare, per ciascun oggetto, i
pensieri e le preoccupazioni di quei poveri fuggiaschi:
i cellulari, con carica-batterie e pile, perché, senza contatti e notizie sulle strade da percorrere, si è perduti.
E, nelle buste di cellophane, le foto delle persone
care che non sono riuscite a partire, per non dimenticarne il viso, gli sguardi, il sorriso.
Il mio cuore è inondato da tante domande; e vorrei
concludere proprio con una di quelle che più mi interpellano: «Dove mi sta conducendo il mio cammino di umanizzazione?».
A tutti i lettori un caro saluto e auguri di ogni bene.
Buona Festa Patronale!
Eugenia Berardo
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