Mercoledì 17 Novembre 2010
Anno 12 n. 6
Unione italiana
lavori agroalimentari
Unione italiana
lavori agroalimentari
EDITORIALE
La Corte Ue boccia la riforma Ocm zucchero
L’ennesima occasione persa
DI
STEFANO MANTEGAZZA
L’agenda politica dei prossimi giorni sembra ormai definita: prima
si approverà la legge di stabilità (con l’emendamento deciso dal
governo dopo essere stato battuto in commissione bilancio) poi il
“premier” chiederà la fiducia alle camere.
Tra qualche settimana sapremo se questo esecutivo, paralizzato
nella sua azione da oltre sei mesi, continuerà in qualche modo a
governare o se si tornerà a votare. I nostri dubbi sono anche quelli
dei mercati finanziari che, a fronte dell’instabilità politica, iniziano a chiedere interessi crescenti sui titoli di stato che il ministero
del tesoro deve settimanalmente collocare per finanziare il debito
pubblico.
Al sindacato interessa un esecutivo in grado di decidere e dunque
occorre subito verificare se esista ancora una maggioranza di governo; se, invece, fosse necessario un nuovo passaggio elettorale,
anche questo dovrà avvenire al più presto. Non possiamo aspettarci regali dai mercati finanziari, pronti a speculare su ritardi e
indecisioni. La scelta di far precedere l’approvazione della legge di
stabilità al dibattito sulla fiducia va comunque apprezzata; è un
atto di responsabilità che consentirà al paese di chiudere in ordine
i conti dell’anno.
La decisione del governo di anticipare il decreto competitività (o sviluppo) in un emendamento alla legge di stabilità 2011 (erede della
vecchia finanziaria), accelera il passo di una serie di provvedimenti
molto attesi, alcuni dei quali ci interessano da vicino.
Nel 2011 continueremo a pagare meno tasse sulla parte di salario
legata a produttività, straordinari, lavoro notturno e in turni. La
platea dei beneficiari è destinata ad allargarsi perché il tetto di
reddito entro cui si applicherà sale a 40.000 euro. La detassazione
costerà 850 milioni di euro. Speriamo di riuscire a utilizzarli tutti
implementando la contrattazione di 2° livello e verificando che le
aziende applichino con puntualità la detassazione a favore dei lavoratori. Viene poi rifinanziato anche il sistema degli ammortizzatori
sociali, garantendo così ai lavoratori “in cassa” (o destinati purtroppo
ad andarci) le tutele minime necessarie. La norma prevede inoltre,
come chiesto dal sindacato, che non si applichino le nuove regole
sulle pensioni (uscita per finestre mobili) per i lavoratori già in
mobilità.
Di rifinanziare gli ammortizzatori sociali c’era un gran bisogno, visto
che nel 2010 la cassa ha sfondato il muro del miliardo di ore e la
richiesta continua a salire. Per l’agricoltura arriva la conferma degli
sgravi previdenziali, una vera boccata d’ossigeno indispensabile per
un settore stremato dalla crisi. Trovata anche qualche risorsa per
l’università e per i comuni. Aspetti positivi questi tutti importanti
ma assolutamente marginali rispetto al contesto economico più
complessivo.
Manca, purtroppo, in questa manovra quello che questo governo non
ha mai voluto concedere: le risorse necessarie a far ripartire lo sviluppo. Noi condividiamo la tesi del ministro del tesoro che sostiene
che non è più possibile finanziare lo sviluppo con i debiti (ne abbiamo
già troppi). Crediamo però che ci siano altre voci di spesa da poter
tagliare (anche drasticamente) e altre possibili fonti di entrate da
cercare perché è necessario e importante investire sul futuro. Questo
è stato forse il più grande limite di questo governo: immaginare che
fosse sufficiente tagliare orizzontalmente la spesa per far ripartire
lo sviluppo. Non è andata così, come più volte abbiamo denunciato
e oggi i consumi ristagnano perché le famiglie, in particolare quelle di lavoratori e pensionati, non hanno soldi da spendere (le 13°
quest’anno saranno mediamente uguali a quelle del 2009).
Al nostro paese, per ripartire, serve invece il contributo della domanda interna, occorre investire per lo sviluppo e per rilanciare la
competitività del sistema Italia dopo aver gestito con accortezza i
conti pubblici per due anni e mezzo. Ma tutto ciò, come ha detto il
governatore della banca d’Italia “è frutto di azioni e decisioni prese
guardando al futuro”, cosa che questo governo non è mai stato in
grado di fare.
Il pronunciamento della corte dei conti dell’Unione
europea sugli effetti della riforma dell’organizzazione comune del mercato dello zucchero del 2006
è netto: la riforma non è servita a raggiungere gli
obbiettivi che si era prefissata e, inoltre, ha provocato solo dei danni. La corte conferma il giudizio
che a più riprese il sindacato aveva espresso a suo
tempo, denunciando la troppa e inspiegabile fretta
con la quale il nostro paese accettò un accordo che
ci condannava a perdere ricchezza e occupazione.
Un pronunciamento che arriva troppo tardi per
il settore perché la dura condanna della corte europea non servirà a recuperare i buoni posti di
lavoro bruciati dalla follia di quattro politicanti che
hanno obbligato tante comunità locali a rinunciare
a produzioni che facevano parte della loro storia e
della loro tradizione.
Dice la corte nel suo rapporto che, sebbene lo
scopo della riforma fosse di incentivare i produttori di zucchero meno competitivi a rinunciare
alle quote, la stessa scelta è stata fatta anche
dai produttori più competitivi. La corte, inoltre,
rileva che oggi c’è una crescente dipendenza dalle importazioni e che non sembra che del calo
dei prezzi abbiano beneficiato i consumatori. La
corte denuncia infine come vi siano ritardi nella attuazione delle misure di diversificazione ed
ambientali e ci sia un rischio crescente di deloca-
FUORIGIOCO
Nostalgia
del femminismo
Una quarantina di anni
or sono il femminismo
irruppe alla ribalta
mondiale, urlando parole
d’ordine, bruciando
reggiseni, evocando il
ritorno delle streghe.
Non tutti, forse pochi,
trovavano simpatico quel
femminismo tanto
strillato e gradevoli quelle
femministe così arrabbiate. Le cronache del tempo
ci misero del loro, amplificando le urla dell’uno,
esasperando la rabbia delle altre, volentieri tacendo
di quanto all’uno e alle
altre debbono tuttora
entrambi le metà del cielo.
I cronisti di oggi, invece,
trattano generosamente di
“escort” e di “veline”, di ex
belle figliole e di ragazzine
per ora avvenenti, di
mogli accantonate e delle
loro sostitute in servizio
attivo. Quasi a farne le
femministe di successo del
terzo millennio. Speriamo
di no, non vorremmo
dover rimpiangere quelle
del secolo passato.
lizzazione degli impianti produttivi.
Si prova tanta rabbia nel veder confermate da
una così autorevole fonte tutte le nostre denunce. Resta, tuttavia, una speranza, perché la corte
non si limita a bacchettare la commissione ma le
raccomanda di introdurre misure per rimuovere
le rigidità dell’attuale sistema di quote che hanno un impatto negativo sulla competitività dei
produttori agricoli e delle industrie.
La corte suggerisce anche che per qualsiasi ulteriore adeguamento della produzione interna, che
fosse ritenuto necessario, dovranno essere definiti
strumenti e misure che assicurino la coerenza
complessiva dell’operazione.
Infine, secondo la corte, la commissione europea e
gli stati membri devono assumere misure urgenti
per fare in modo che le misure di diversificazione
siano rapidamente operative e producano l’impatto previsto.
Per il sindacato, quindi, ora è il momento di insistere con ancora maggiore determinazione per
cercare di portare a compimento i programmi di
riconversione del settore e soprattutto utilizzare
queste indicazioni per tutte le trattative a cui
saremo chiamati a partecipare per evitare che
una follia come quella che abbiamo vissuto per
lo zucchero possa ripetersi per altre produzioni
agricole.
Federalimentare cosa fai?
Anche le relazioni migliori vivono alti e bassi e quelle con
Federalimentare sembrano avviate a non fare eccezione.
Dopo un ottimo contratto e una cassa vita avviata con slancio
(150.000 lavoratori iscritti) i rapporti sembrano volgere al
brutto. Da oltre sei mesi rincorriamo Federalimentare per
definire la stesura del contratto (rinnovato più di un anno
fa) e costituire il fondo sanitario e l’ente bilaterale di settore
(che dovrebbero garantire le loro prestazioni dal 1 gennaio
2011). I motivi dei ritardi sono artificiosi. Si adducono necessari approfondimenti sulla natura dei fondi e sulle prestazioni
da erogare. Tutte chiacchiere perché, ad oggi, questi approfondimenti non hanno portato ad alcuna proposta.
Il sindacato ha prodotto una ipotesi di statuto per il fondo
sanitario, una proposta di prestazioni integrative e il testo di
stesura del contratto; il tutto a dimostrazione che le difficoltà
addotte non dipendono dalla nostra cattiva volontà.
I lavoratori per finanziare le prestazioni della bilateralità
hanno rinunciato a 12 € di salario mensile. Noi non siamo
disposti a far perdere loro neanche un euro e vogliamo che
Federalimentare rispetti gli impegni.
Anche gli ultimi tentativi da noi fatti con buon senso e responsabilità non hanno sortito effetto. A questo punto dovremo
mettere in piedi le iniziative necessarie a far valere i diritti
di chi rappresentiamo.
Ma a chi serve seminare zizzania? Il sistema delle imprese,
alla vigilia dei rinnovi di 2° livello, pensa di alimentare la tensione negli stabilimenti al solo scopo di tirarla un po più alla
lunga?
Se è così a noi non resta che “suonare le nostre campane”. Assemblee, blocco di straordinari e flessibilità, manifestazioni:
sembra di tornare a quando il nostro sistema di relazioni funzionava a stento e solo in occasione dei rinnovi contrattuali.
I tempi però sono cambiati il sindacato è unito e compatto; i
vecchi film di accordi fatti e non mantenuti non possono più
essere messi in onda o saranno pagati a caro prezzo.
RIFORMA PAC
INTERVISTA
PANIFICAZIONE
PESCA
ALIMENTARE
Documento unitario
di Fai, Flai e Uila
chiede di valorizzare
il lavoro dipendente
Guglielmo Loy,
segretario Uil,
interviene sul tema
del collegato lavoro
Con la firma
di Assipan
unificati i Ccnl
del settore
Camera dei deputati
approva 5 mozioni
sulla cooperazione
nel Mediterraneo
Fai-Flai-Uila:
le linee guida
per i rinnovi
di 2° livello
a pagina 2
a pagina 3
a pagina 5
a pagina 6
a pagina 8
2
Mercoledì 17 Novembre 2010
Documento unitario Fai-Flai-Uila oggetto del confronto con istituzioni e organizzazioni agricole
Il lavoro al centro della nuova Pac
Il 2 dicembre incontro con il presidente Paolo De Castro
L
e segreterie nazionali FaiFlai-Uila hanno definito
un documento congiunto
sul futuro della Pac con il
quale intendono sensibilizzare
il mondo agricolo e le istituzioni
italiane ed europee sulla necessità che la futura politica agricola
europea tenga in maggior conto il
lavoro dipendente. Il documento
è stato presentato, il 3 novembre,
alla commissione agricoltura del
senato, presieduta dal senatore
Paolo Scarpa Bonazza, e successivamente discusso con le organizzazioni datoriali del mondo agricolo nell’intento di costruire una
posizione condivisa da portare in
Europa. Il documento sarà discusso il prossimo 2 dicembre a Roma
con il presidente della commissione agricoltura del parlamento Ue
Paolo De Castro. Pubblichiamo di
seguito il testo del documento.
• Premessa. Sin dalle sue
origini, nel 1958, e in tutte le sue
successive modifiche, la Pac non
ha mai tenuto conto del fattore
lavoro sebbene, a seguito delle decisioni assunte dall’Ue in materia
agricola, milioni di lavoratori abbiano perso reddito e occupazione.
Fai-Flai-Uila credono sia arriva-
to il momento di voltare pagina e
chiedono, quindi, che la nuova Pac
inserisca il lavoro tra i criteri di
condizionalità nella concessione
dei futuri contributi comunitari
alle aziende, associando gli aiuti al
mantenimento della occupazione
e alla creazione di posti di lavoro
duraturi, escludendo dai pagamenti dei premi Pac le aziende che
violino le leggi o non rispettino i
contratti di lavoro.
Fai-Flai-Uila ritengono che
un’Europa agricola che proponga di inserire il lavoro nella sua
quantità e qualità tra le condizionalità della Pac possa anche avere
maggiori consensi tra i cittadini
e le carte in regola per chiedere
reciprocità di comportamenti ai
paesi extra Ue.
Fai-Flai-Uila vogliono anche
contribuire a definire una posizione condivisa del mondo agroalimentare italiano, affinché si possa
costruire una “posizione paese” da
portare in Europa, nel confronto
con commissione e parlamento e
con gli altri stati membri dell’Ue.
Fai-Flai-Uila sono convinte, infatti, che solo con una posizione
forte e condivisa si possa mirare
ad ottenere il massimo dei van-
Maglia nera in Europea e dietro al Ghana
taggi possibili nell’ambito di un
quadro generale che vede il nostro
paese di fronte al concreto rischio
di perdere una ingente quota di
aiuti comunitari dalla prossima
Pac. Fai-Flai-Uila sono altresì
impegnate, attraverso l’Effat, a
far sentire con più forza alle istituzioni europee la voce di oltre 7
milioni di operai agricoli che partecipano attivamente ai sistemi
produttivi nazionali.
• La Pac verso il 2020. Per
queste ragioni Fai-Flai-Uila sono
convinte che:
1) La Pac debba rimanere una
politica fortemente comune finalizzata, in primo luogo, ad accrescere la produzione agricola europea per garantire la sicurezza
alimentare del continente in un
quadro coerente di contrasto agli
sprechi alimentari e alla fame
nel mondo, assicurando il diritto
al cibo quale Obiettivo primario di
sviluppo, per dimezzare il numero di persone che soffrono la fame
entro il 2020;
2) La nuova Pac dovrà, nel
favorire questa crescita produttiva, continuare ad assicurare il
proprio sostegno al settore agricolo e al mondo rurale al fine di
perseguire gli obiettivi, fissati 50
anni fa con la conferenza di Stresa
e ribaditi del trattato di Lisbona
(incremento della produttività,
miglioramento del reddito degli
agricoltori, sicurezza degli approvvigionamenti, stabilizzazione dei
mercati, prezzi ragionevoli per i
consumatori).
3) La nuova Pac debba preservare un’agricoltura multifunzionale,
competitiva, in grado di proteggere l’economia delle regioni rurali
vitali e assicurare, a livello globale, alti livelli occupazionali, sicurezza e qualità alimentari, tutela
dell’ambiente e della montagna,
della natura e degli animali.
4) Per tutti questi motivi è importante mantenere, nel processo
di revisione delle regole per la formazione e la gestione del bilancio
comune, l’attuale budget destinato alle politiche agroalimentari e
di tutela del territorio.
• Le proposte di Fai-FlaiUila sul lavoro. 1) Commisurare
i pagamenti Pac alle aziende che
beneficiano di somme superiori al
pagamento di base, anche ai livelli
di occupazione reale. Le sovvenzioni agricole dovranno quindi essere associate non alle variazioni
Presentato il XX dossier Caritas/Migrantes PARLAMENTO UE
Pari opportunità, I nuovi italiani
Italia al 74° posto sono 5 milioni
L
’Italia è al 74° posto su
134 paesi nella classifica mondiale delle pari
opportunità tra uomini
e donne, ultima in Europa e, tra
i paesi avanzati, solo il Giappone è più indietro, mentre viene
preceduta da nazioni come Repubblica Domenicana, Vietnam,
Ghana, Malawi, Romania e Tanzania. Questi i dati che emergono dall’ultimo Global gender gap
report 2010 del World Economic
Forum.
Nella graduatoria di quest’anno l’Italia ha perso due posizioni
rispetto al 2009. I primi quattro
posti sono tutti dei paesi nordici, Islanda, Norvegia, Finlandia
e Svezia nell’ordine mentre in
fondo alla classifica troviamo
Mali, Pakistan, Ciad e Yemen.
In particolare ci penalizza l’accesso e le pari opportunità nel
mondo del lavoro. In questo ambito l’Italia scende addirittura
al 95° posto. La differenza più
rilevante è nella partecipazione
alla forza lavoro che vede, secondo i dati del World Economic Forum, le donne impegnate al 52%
mentre gli uomini al 74%. Non
solo, la presenza femminile nelle
posizioni di comando è pari a circa un terzo del totale (33%). Un
divario particolarmente pesante
sopravvive anche a livello di salari: le donne italiane guadagnano in media il 50% degli uomini
con stime che nel report indicano
circa 20 mila euro annui per le
retribuzioni “rosa” e circa 40 mila
euro per le buste paga “azzurre”.
Nel quadro politico l’Italia non fa
meglio, ma in questo è in buona
compagnia tanto che sale al 54°
posto della classifica nonostante
la presenza delle donne in parlamento sia limitata al 21% e fra i
ministri al 22%. Inoltre l’Italia è
penalizzata dal fatto di non aver
mai avuto un Capo di Stato donna. Fiore all’occhiello del paese
è invece l’accesso delle donne
all’educazione. In questo caso
l’Italia si posiziona al 49° posto
della classifica grazie a percentuali vicine al 100% per l’istruzione primaria e secondaria. Per
l’istruzione superiore, invece, le
ragazze superano di gran lunga i
ragazzi con il 79% contro il 56%.
A livello mondiale esce ancora
vincente il modello dell’Europa
del Nord, con in testa l’Islanda,
che proprio nel momento di crisi, affidò il risanamento delle
prime due banche nazionali a
due manager donna. Segue la
Norvegia, primo paese ad aver
introdotto le quote rosa nella
composizione dei cda. Terza
la Finlandia che può vantare
un’occupazione femminile al
68,2%. Da segnalare la discesa al 46° posto della Francia a
causa della diminuzione delle
donne nel governo Sarkozy
di superficie (ettari per azienda),
ma ad una serie di fattori tra cui
la quantità di occupazione, la produttività, le professionalità occupate e la promozione non episodica di progetti per la formazione e
la riqualificazione dei lavoratori e
dei titolari delle aziende.
2) Prevedere l’esclusione delle
aziende dai pagamenti Pac in caso
di mancato rispetto dei contratti
di lavoro, delle leggi sociali.
3) Introdurre incentivi per nuove opportunità di sviluppo e occupazione con particolare attenzione
a quelle misure che comportino effetti diretti a favore dell’associazionismo e della cooperazione, sul
miglioramento del benessere dei
lavoratori (dipendenti e imprenditori) e delle popolazioni rurali,
quali la tutela della biodiversità,
la prevenzione dei rischi sul lavoro, il miglioramento della qualità
e stabilità occupazionali, il miglioramento dei servizi sociali.
4) Prevedere che i lavoratori che
perdono il loro posto di lavoro per
diretta conseguenza dell’attuazione delle riforme Pac ricevano dei
sussidi. Le compensazioni debbono sostenere tutti gli attori della
intrapresa.
DI
A
ALICE MOCCI
ll’inizio del 2010 sono
poco meno di 5 milioni
gli immigrati regolari
presenti in Italia, uno
ogni 12 residenti, il 51,3% è rappresentato da donne. Sono questi i
dati del 20° rapporto 2010 sull’immigrazione curato dalla Caritas
e dalla Fondazione Migrantes.
Negli ultimi dieci anni l’aumento
degli immigrati residenti è stato
di circa 3 milioni mentre nell’ultimo biennio di quasi un milione.
La comunità più numerosa si
conferma quella romena (21%),
seguono l’albanese (11%) e la marocchina (10,2%). Gli immigrati,
rileva ancora il rapporto, assicurano allo sviluppo dell’economia
italiana un contributo notevole:
sono circa il 10% degli occupati
come lavoratori dipendenti, sono
titolari del 3,5% delle imprese, incidono per l’11,1% sul Pil, pagano
7,5 miliardi di euro di contributi
previdenziali, dichiarano al fisco
un imponibile di oltre 33 miliardi
di euro. In particolare i lavoratori
stranieri contribuiscono in modo
determinante all’economia agricola del paese e rappresentano una
componente indispensabile per
garantire la produzione agroalimentare italiana. Il rapporto stima che in agricoltura siano stati
instaurati 95.584 rapporti di lavoro con soggetti non comunitari, di
cui 14.182 a tempo indeterminato, 69.672 a tempo determinato e
11.730 stagionali. Le nazionalità
più rappresentate sono quella
albanese, marocchina, indiana e
tunisina che raggiungono oltre
il 50% dei rapporti instaurati.
Rispetto all’anno precedente si
è assistito ad un incremento dei
lavoratori marocchini (+4.238
unità), indiani (+2.900 unità)
e macedoni (+1.444 unità). Per
quanto riguarda i lavoratori nati
all’estero e occupati in Italia nel
settore agricolo, il rapporto riporta i dati dell’Inail che stima che a
fine 2009 questi lavoratori erano
266.025. Una cifra importante ma
va considerato che non tutti nati
all’estero sono stranieri e che la
cifra include tutte le persone che
hanno lavorato in Italia per almeno un giorno. Comunque la maggior parte dei nati all’estero ha
lavorato nel Nord Italia (94.709
nel Nord Est e 38.115 nel Nord
Ovest). Il Sud non è da meno,
con 63.836 occupati, seguito dal
centro (47.513). Le province con
il maggior numero di occupati
stranieri agricoli sono: Bolzano
(21.789), Verona (15.730), Foggia
(14,733), Trento (13.808), Ragusa (9.348), Cuneo (9.223), Latina
(8.857), Cosenza (7.620), Salerno
(6.517), Ravenna (5.733), Roma
(5.278), Bari (5.198), Ferrara
(4.520), Perugia (4429), Brescia
(4408) e Forlì (4.282).
Congedi
al padre per
nascita figlio
I lavoratori padri potranno fruire, alla nascita del figlio, di 2
settimane di congedo retribuito.
Il Parlamento Ue ha votato il 20
ottobre, a larga maggioranza, le
modifiche alla direttiva sul congedo minimo di maternità. Il
provvedimento passa ora al vaglio del consiglio europeo. I padri
potranno beneficare di questo
periodo durante il congedo obbligatorio per maternità, che dovrà
aumentare da 14 a 20 settimane
(in Italia è già di 5 mesi). L’Italia
dovrà, però, adeguare il trattamento economico di maternità
alla nuova direttiva, che prevede
20 settimane integralmente retribuite (attualmente l’indennità è pari all’80%, salvo migliori
condizioni).
Previsti inoltre: il divieto di licenziare le lavoratrici dall’inizio della gravidanza ad almeno
6 mesi dal termine del congedo
di maternità (l’Italia già vieta il
licenziamento fino a un anno di
vita del bambino); il diritto della
lavoratrice madre di ritrovare,
al rientro in azienda, un posto
di lavoro equivalente (identico
al precedente o corrispondente a
qualifiche e retribuzione precedenti); il divieto di chiedere prestazioni di lavoro notturno nelle
10 settimane prima del parto e
durante l’allattamento al seno
(in Italia fino a un anno di età
del bambino).
Mercoledì 17 Novembre 2010
3
Guglielmo Loy, segretario confederale Uil, interviene sul provvedimento approvato dalla camera
Collegato lavoro, oramai è legge
Il sindacato sia parte attiva nell’attuazione dei cambiamenti
DI
FABRIZIO DE PASCALE
opo ben sette passaggi
parlamentari e un rinvio alla camere da parte
del presidente della repubblica, confortato da un avviso
comune sottoscritto da tutte le
parti sociali ad eccezione della
Cgil, lo scorso 19 ottobre il “collegato lavoro” è divenuto legge
dello stato. Un provvedimento
che conta ben 50 articoli, alcuni
dei quali riguardano sia il lavoro
pubblico, sia quello privato, altri
esclusivamente diverse categorie di pubblici dipendenti, altri
ancora disciplinano aspetti più
e meno particolari del rapporto e
del mercato del lavoro, per lo più
integrando o modificando la precedente legislazione in materia.
Ne parliamo con Guglielmo Loy
segretario confederale della Uil.
Domanda. Il Sindacato ritiene che le numerose novità
introdotte dal collegato lavoro fossero effettivamente urgenti e necessarie?
Risposta. È bene sottolineare
che siamo davanti a un testo normativo molto eterogeneo, all’interno del quale compare un mix
di novità che toccano molti aspetti
del mercato del lavoro, pubblico
e privato, ma che si sbizzarrisce
anche su aspetti legati alla sicurezza, alla previdenza, alle pari
opportunità, etc. Il testo soffre,
ricordando anche le annotazioni
del presidente della repubblica,
del fatto che è stato individuato
lo strumento della legge per affrontare temi molto eterogenei e
di non aver scelto la strada che
più volte abbiamo suggerito: affidare alle parti sociali il tentativo
di indicare soluzioni condivise
preliminarmente all’avvio della
discussione parlamentare. Ci stiamo battendo, ora, affinché questo
errore non si ripeta. Riteniamo
che l’impianto abbia colto la necessità di innovare aspetti che
da troppo tempo non trovavano
soluzione, ma su alcuni aspetti
abbiamo formulato delle nostre
osservazioni.
D. Quale è la più importante
novità all’interno di un testo
ritenuto da alcuni una “controriforma” del diritto del
lavoro?
R. La vera novità è rappresentata dalla clausola compromissoria, un istituto attraverso il quale
le parti manifestano la volontà di
devolvere ad arbitri, piuttosto che
al giudice, le eventuali controversie nascenti dal rapporto di lavoro. Tale innovazione, ha destato
molte perplessità ed ha acceso un
forte dibattito sia all’interno che
D
all’esterno dell’aula parlamentare tra chi sosteneva un potenziale indebolimento di diritti della
parte più debole del rapporto di
lavoro (tra cui il sindacato) e chi,
al contrario, non ravvisava tale
rischio. La grandissima maggioranza delle forze sociali, con un
avviso comune, ha regolato l’oggetto dell’istituto, escludendone
i licenziamenti e prevedendo la
certificazione della clausola compromissoria solo dopo un congruo
periodo dalla stipulazione del contratto. In tal modo si è evitato che
la volontà del lavoratore di devolvere i contenziosi a degli arbitri,
potesse avvenire nel momento
di maggior debolezza della parte
debole del rapporto di lavoro, cioè
prima dell’assunzione. Tutto ciò
è diventato parte integrante del
collegato lavoro, ristabilendo un
equilibrio tra le parti.
D. Il ruolo delle forze sociali è stato determinante,
attraverso l’avviso comune,
per ristabilire un equilibrio
tra le parti di un rapporto
di lavoro. Ritiene che in altre disposizioni del collegato
lavoro si possa presagire un
indebolimento della parte più
debole? Se si, quali proposte
ha avanzato il sindacato per
rimuovere tale pericolo?
R. Altra importante novità, non
del tutto positiva, è stata quella
di conferire un ruolo nuovo e rilevante all’istituto della certificazione dei contratti. Non solo diventa,
fondamentale per la validità della
clausola compromissoria, ma viene estesa la valenza dell’istituto
a tutto il contenuto del contratto,
comprese le eventuali “tipizzazioni di giusta causa e giustificato
motivo” (per le quali il legislatore non rinvia alla contrattazione
collettiva, potendo quindi essere
discrezonali!). Il mancato rinvio
alla contrattazione collettiva delle materie che saranno oggetto
di certificazione, pone, ad avviso
della Uil, non pochi problemi in
tema di tutele per il lavoratore,
poiché, allo stato attuale, manca
un sistema di regole che riesca a
bilanciare gli interessi delle parti
contraenti. A ciò si aggiunge un
elemento soggettivo: tra i soggetti
certificatori, compaiono i consulenti del lavoro che non presentano,
a nostro avviso, quel requisito di
“terzietà” che dovrebbe contraddistinguere chi svolge tale compito.
Per garantire un equilibrio tra le
parti, abbiamo quindi proposto, in
sede di audizione parlamentare,
di indicare come prioritarie sedi
di certificazione gli enti bilaterali
e le direzioni del lavoro. Ulteriore
innovazione è quella sul contratto
Guglielmo Loy
a tempo determinato, sulla quale
abbiamo chiesto al legislatore di
colmare un dubbio interpretativo
che, se non risolto, avrebbe potuto
indorre molte imprese a violare
le norme che disciplinano la materia, incorrendo in una semplice
sanzione economica. Abbiamo,
quindi, rivendicato il diritto alla
conversione del contratto di lavo-
ro per tutti
quei lavoratori che, ricorrendo contro
l’illegittima
apposizione
del termine
al loro contratto (situazione alla
base delle
innumerevoli
controversie
e sentenze su
tale tipologia
contrattuale), non solo
avranno
diritto alla
sanzione
economica,
ma anche al
reintegro in
azienda con
un contratto a tempo indeterminato.
L’elencazione delle novità introdotte dal collegato lavoro, per la
parte più prettamente lavoristica,
si estende anche alle collaborazioni a progetto e al lavoro sommerso, in merito al quale le nuove
disposizioni non ci convincono
poiché potrebbero costituire una
“ancora di salvezza” per molti datori di lavoro senza incorrere nella
maxi sanzione da lavoro nero.
D. Per concludere, ritiene
che le novità introdotte limitino il ruolo del sindacato a
una mera presa d’atto, o ritiene, invece, che oggi più di
ieri il ruolo del sindacato sia
determinante per garantire i
diritti dei lavoratori?
R. È lecito dire che, indubbiamente, dei cambiamenti, più o
meno condivisibili, questo testo
li porterà nel momento della sua
entrata in vigore, ma alcuni di
questi vanno di pari passo con i
cambiamenti già insiti nella nostra società e nel nostro mercato
del lavoro. È importante che il
sindacato corra alla stessa velocità di questi mutamenti assicurando, ad esempio, che sulle novità ed i nuovi istituti introdotti
dal collegato lavoro, la fase applicativa, sia preceduta da una fase
di regolamentazione che veda
il sindacato come parte attiva
fondamentale, affinchè, anche a
fronte di modifiche legislative, la
tutela del lavoratore sia ancorata al rispetto della contrattazione
collettiva, sia essa nazionale che
decentrata.
100.000 persone a Roma con Uil e Cisl
Oltre 100mila persone, e tra queste tanti lavoratori, delegati e quadri della Uila,
hanno partecipato a Roma il 9 ottobre alla manifestazione indetta da Uil e Cisl per chiedere
al governo a riforma del fisco e concrete politiche per il rilancio dell’occupazione
4
Mercoledì 17 Novembre 2010
Il «collegato-lavoro» alla manovra di finanza pubblica 2009-2013
DI
GIAMPIERO SAMBUCINI
Il “collegato-lavoro” affronta una grande varietà di argomenti, spesso eterogenei tra loro, tra i
quali spiccano tre argomenti – la certificazione dei
contratti, la conciliazione delle controversie individuali di lavoro e la loro devoluzione al giudizio
arbitrale – che, non a caso, hanno ben più di altri
animato le discussioni e le polemiche sul “collegato-lavoro” e ne hanno tormentato il lungo “iter
parlamentare”.
La conciliazione delle controversie
individuali di lavoro
Il “collegato-lavoro”, innanzitutto, dispone che il
“tentativo di conciliazione” non è più “obbligatorio”, ma soltanto “facoltativo” e che le Commissioni
di Conciliazione sono istituite presso le Direzioni
Provinciali di Lavoro, sono presiedute dal rispettivo
Direttore o da un suo delegato, ovvero da un magistrato a riposo, e sono formate da quattro rappresentanti effettivi e quattro supplenti dei lavoratori
e dei datori di lavoro, designati “in via permanente”
dalle rispettive Organizzazioni Sindacali maggiormente rappresentative nell’ambito del territorio
della Provincia.
Ciascuna parte può proporre e respingere il tentativo di conciliazione, che deve in ogni caso concludersi
entro 40 giorni, nel cui svolgimento il lavoratore –
può farsi assistere dal rappresentante dell’Organizzazione Sindacale cui conferisca mandato.
Se il tentativo riesce, la Commissione redige e sottoscrive il Verbale di avvenuta conciliazione che il
Giudice, a richiesta della parte interessata, rende
esecutivo con proprio decreto.
Se, invece, il tentativo non ha successo, la Commissione propone alle parti una “bonaria composizione” della controversia che, se accettata, conclude
la procedura.
Ove, viceversa, le parti o una tra loro respingano tale
proposta, la Commissione riassume nel Verbale di
“mancata conciliazione” i termini della controversia,
le valutazioni ed il comportamento delle parti e le
ragioni per cui hanno accettato o respinto il tentativo di conciliazione.
La parte che intende chiedere al Giudice la decisione
della controversia “non conciliata”, deve allegare al
suo ricorso il verbale e la documentazione dell’avvenuto e non riuscito tentativo di conciliazione, ivi
comprese le valutazioni della Commissione sul comportamento delle parti, sulle ragioni del mancato
accordo e sui motivi per cui l’una e/o l’altra parte
abbiano respinto la proposta di “bonaria composizione” della controversia formulata dalla Commissione
stessa.
Il Giudice, nel decidere la controversia, deve tener
conto di questa documentazione e in particolar modo
proprio delle ragioni per cui l’una e/o l’altra parte
hanno rifiutato la “bonaria composizione” proposta.
Perciò, la parte che rifiuti il tentativo di conciliazione senza solidi motivi, ovvero che ne ostacoli senza
buone ragioni il successo, si espone al serio rischio
di vedersi dar torto nel successivo giudizio eventualmente proposto dalla controparte, soprattutto ove
quest’ultima avesse dimostrato alla Commissione
una maggiore “disponibilità conciliativa”.
È probabile, perciò, che, venuta meno “l’obbligatorietà” del tentativo di conciliazione, un certo numero di controversie di lavoro, quasi per definizione più
alto che in passato, arriverà direttamente alle Aule
di Giustizia, senza alcuna preventiva “mediazione
in via conciliativa”.
Ma è anche probabile che un forse addirittura più
consistente numero di lavoratori e datori di lavoro –
invece di sbrigare in fretta la formalità del tentativo
obbligatorio di conciliazione e di rivolgersi subito al
Giudice – davvero decida di affidarsi alle Commissioni di Conciliazione, la cui procedura è rapida e
poco o pochissimo costosa e le cui decisioni – che,
comunque, ciascuna parte resta libera di accettare
o di respingere – una volta rese esecutive dal Giudice, assumono la stessa efficacia sostanziale delle
sentenze.
L’arbitrato delle controversie individuali di lavoro
Il collegato-lavoro ha radicalmente innovato, più di
quanto abbia fatto in tema di conciliazione, la disciplina della soluzione arbitrale delle controversie di
lavoro.
In primo luogo consentendo alle parti che hanno promosso ed accettato il tentativo di conciliazione di
concordare, in qualunque fase della procedura conciliativa o al suo termine in caso di insuccesso, l’affidamento alla stessa Commissione di Conciliazione
dell’incarico di decidere in via arbitrale ed entro 60
giorni la controversia, eventualmente consentendole
di deciderla “secondo equità”.
In tal caso, conferiscono alla Commissione non più
l’incarico di formulare una proposta conciliativa o di
“bonaria composizione” della vertenza, proposta che
ciascuna parte può liberamente accettare o respingere, bensì il mandato a formulare un “lodo”, se del
caso secondo equità, che tra le parti ha valore di contratto, che ciascuna parte deve per tale rispettare e
può impugnare innanzi al Giudice soltanto per ragioni
essenzialmente procedurali.
Le parti del rapporto di lavoro possono devolvere la
decisione delle controversie tra loro insorte anche a
collegi arbitrali “irrituali” costituiti “in sede sindacale”, secondo le modalità stabilite dalla contrattazione
collettiva.
Le parti, infine, possono affidare la decisione delle
loro controversie di lavoro ad un Collegio di Conciliazione ed Arbitrato formato da tre componenti, due
designati dalle parti in causa ed il terzo presieduto da
un terzo componente scelto di comune accordo.
Fin qui il lavoratore è libero di “devolvere o meno”
ad arbitri la soluzione di una controversia già effettivamente insorta col suo datore di lavoro.
Il collegato-lavoro prevede i modi ed i limiti in cui le
parti possono reciprocamente obbligarsi a sottoporre
alla decisione degli arbitri, magari “secondo equità”,
anziché all’accertamento del Giudice del Lavoro, le
loro future, eventuali controversie.
Non a caso è questo il punto dell’intero collegatolavoro attorno al quale, dentro e fuori il Parlamento,
s’è più discusso e polemizzato.
Ove, infatti, datore di lavoro e lavoratore sottoscrivano una “clausola compromissoria” non sono più liberi,
nel momento in cui tra loro insorga una controversia,
di rivolgersi al Giudice, ma sono contrattualmente
obbligati a sottoporre alla decisione arbitrale – se
previsto, anche secondo equità – la decisione della
controversia stessa.
Il collegato-lavoro disciplina e sotto diversi profili
limita – in accoglimento sia dell’avviso comune sottoscritto sull’argomento da tutte le parti sociali, “autoesclusa” la sola Cgil, sia dei rilievi formulati dal Presidente della Repubblica – le condizioni e le modalità nel
cui rispetto il datore di lavoro ed il lavoratore possono
validamente stipulare la “clausola compromissoria”,
disponendo che tale clausola può essere validamente
sottoscritta dalle parti del rapporto di lavoro “solo ove
ciò sia previsto da accordi interconfederali o contratti
collettivi stipulati dalle Organizzazioni Sindacali dei
datori di lavoro e dei lavoratori maggiormente rappresentative sul piano nazionale”.
Perciò, se nessun accordo interconfederale o contratto collettivo lo consente, i singoli lavoratori e datori
di lavoro non possono stipulare alcuna “clausola compromissoria” che riguardi le loro future controversie,
pur se gli uni e gli altri restano naturalmente liberi
di decidere – individualmente e nel momento in cui
una controversia tra loro effettivamente insorga – se
chiederne la decisione all’autorità giudiziaria, ovvero
“devolverla” al giudizio arbitrale, se credono anche
“secondo equità”.
Il “collegato-lavoro” anche prevede che la clausola
compromissoria è nulla, ove non sia debitamente e
validamente “certificata” dalle apposite Commissioni,
istituite e disciplinate dalla “legge Biagi” di settembre
2003.
La certificazione dei contratti individuali
e collettivi di lavoro
La “certificazione” ha lo scopo di accertare la natura del contratto, individuale di lavoro, la rispondenza delle sue clausole, alle disposizioni inderogabili
di legge, dei contratti collettivi ed alla “effettiva
volontà delle parti”.
Il collegato-lavoro ha ancor più valorizzato il ruolo
ed esteso l’ambito di efficacia della “certificazione
dei contratti”, disponendo che il Giudice sia vincolato sia alla qualificazione del rapporto di lavoro
ed alla interpretazione delle clausole contrattuali
“certificate”, sia alle “fattispecie tipiche” di giusta
causa e di giustificato motivo previste nelle specifiche clausole dei contratti collettivi “certificati”,
ovvero dei contratti individuali di lavoro stipulati
con l’assistenza delle Commissioni di Certificazio-
ne, anche per quanto riguarda le conseguenze del
licenziamento illegittimo.
Il collegato-lavoro, soprattutto, dispone che le Commissioni di Certificazione debbono accertare, nel
momento stesso della sottoscrizione della clausola
compromissoria ed a pena di nullità della stessa
clausola, che le parti individuali del rapporti di lavoro effettivamente vogliano devolvere ad arbitri,
anziché al Giudice del Lavoro, la decisione delle
loro future ed eventuali controversie “di lavoro”.
Aggiunge, inoltre, che la clausola compromissoria
non può in nessun caso riguardare la risoluzione del
rapporto di lavoro – e, quindi, l’intera materia del
licenziamento – che tale clausola “non può essere
pattuita e sottoscritta” durante il periodo di prova
del lavoratore, ovvero, se il periodo di prova non è
previsto, prima che siano trascorsi almeno 30 giorni
dalla sua assunzione e che le parti possono farsi
assistere nel procedimento innanzi alle Commissioni di Certificazione da un legale di fiducia o da un
rappresentante dell’organizzazione sindacale o professionale alle quali abbiano conferito mandato.
“L’atto di certificazione”, quindi, non è sorta di
“interpretazione estranea” dei contratti, indipendentemente ed al caso difforme dalla volontà delle
parti che li hanno stipulati e sottoscritti.
Al contrario, è e soltanto può essere l’obiettivo
accertamento della volontà delle parti contraenti, della rispondenza dei contratti collettivi alle
disposizioni inderogabili di legge, della “corretta
interpretazione” delle relative clausole per come
le parti hanno pattuite e formulate, della coerenza del contratto individuale alle norme vincolanti
di legge e degli accordi collettivi a quel contratto
applicabili.
Ciò chiarito, l’intera questione si può così semplicemente riassumere:
1)la contrattazione collettiva o interconfederale
può prevedere e disciplinare, l’introduzione nei
contratti individuali di lavoro di una “clausola
compromissoria” che reciprocamente obblighi le
parti a devolvere ad arbitri, anziché sottoporle al
Giudice del Lavoro, le loro future ed eventuali controversie;
2)le parti individuali del rapporto di lavoro che intendano stipulare una “clausola compromissoria”,
debbono di comune accordo chiederne, a pena di
nullità, la “certificazione” ad una delle Commissioni autorizzate a renderla;
3)la Commissione, ove accerti la regolarità della
“clausola compromissoria”, ne “certifica” l’efficacia, in caso contrario ne dichiara nullità, di conseguenza impedendo alle parti del rapporto di lavoro
di obbligarsi a devolvere ad arbitri le loro future
controversie.
Conclusioni
In conclusione, i contratti collettivi e gli accordi
interconfederali ben possono prevedere, autorizzare
e disciplinare l’introduzione nei contratti individuali
di lavoro della “clausola compromissoria”.
Non per questo, tuttavia, le parti individuali del rapporto di lavoro sono obbligate ad inserirla nel contratto tra loro intercorrente.
Infatti, la certificazione dei contratti, e della stessa
“clausola compromissoria” è per legge “volontaria”
e può essere chiesta soltanto di comune accordo tra
le parti interessate.
Pertanto è certamente dubbio che il lavoratore possa
essere costretto a stipulare la “clausola compromissoria”, ma, allo stato della legislazione, è certo che non
può essere obbligato a chiederne la certificazione.
E, senza certificazione, la “clausola compromissoria”
è per legge nulla.
Quindi ed oltre ogni polemica, sembrano davvero angusti i limiti in cui il lavoratore può essere “di fatto”
obbligato a rinunciare alla tutela giurisdizionale ed
a devolvere ad arbitri la decisione delle controversie
che dovessero in futuro insorgere col suo datore di
lavoro.
Tuttavia, la più celere decisione arbitrale può essere
anche per il lavoratore “più conveniente”, rispetto al
lungo percorso giudiziario, naturalmente a condizione
che l’arbitrato non comprometta la effettiva tutela
dei suoi fondamentali diritti.
La certificazione della clausola compromissoria, può
essere a tal fine importantissima, nell’accertare e
“certificare” che le modalità, le condizioni ed i limiti
della pronuncia arbitrale rispettino il generale principio della “maggior tutela” del lavoratore, “parte
debole” del rapporto di lavoro.
Mercoledì 17 Novembre 2010
5
Assipan-Confcommercio firma il Ccnl Il contratto è scaduto a dicembre 2009
FORESTALI/UTB
Panificazione, Forestali, ritardi
contratti unificati su rinnovo Ccnl
Mipaaf e Cfs:
nuove risorse
per il rinnovo
DI
BARBARA CAMMARATA
È
stato firmato il 10 novembre il protocollo d’intesa
tra Fai, Flai, Uila e Assipan-Confcommercio con
cui quest’ultima ha sottoscritto
l’accordo di rinnovo del Ccnl del
comparto panificazione stipulato
con Fiesa-Confesercenti e FippaFederpanificatori il 1 dicembre
2009. Dopo un lungo periodo di
difficili trattative, si è finalmente
giunti a completare il processo di
semplificazione e riunificazione
contrattuale avviato più di tre
anni fa presso il ministero del
lavoro tra Fai-Flai-Uila e le tre
associazioni datoriali. Infatti, Assipan, all’inizio di tale percorso,
si dichiarava disponibile ad avviare la trattativa di rinnovo del
contratto 19 luglio 2005 insieme
alle altre organizzazioni imprenditoriali e sottoscriveva, sempre
nel 2007, il rinnovo biennale della
parte economica, insieme a Fippa
e Fiesa, concordando che il processo di armonizzazione dei tre Ccnl
avrebbe dovuto completarsi nel
2008. Successivamente però Assipan decise di non firmare il Ccnl
unico di settore, interrompendo
BARILLA
Cassa mutua
estesa a tutti
i lavoratori
Fai, Flai e Uila hanno raggiunto un importante accordo per
estendere il fondo sanitario
a tutti i lavoratori del gruppo
Barilla, compresi quelli assunti
a tempo determinato. Fino ad
oggi, infatti, solo i lavoratori degli stabilimenti di Parma
e Ascoli potevano accedere
ai benefici previsti da questo
istituto. I circa 4.000 dipendenti di Barilla otterranno così il
rimborso delle spese mediche,
odontoiatriche e di grandi interventi secondo le regole stabilite dagli organi del fondo che
sono eletti dai lavoratori. L’accordo prevede che i lavoratori
che aderiscono al fondo verseranno l’1% del salario mensile
mentre l’azienda l’1,4%. “Viene
così data pratica attuazione a
una parte del precedente accordo di gruppo che prevedeva
questa opportunità, finalmente ora messa in pratica” ha dichiarato il segretario generale
della Uila Stefano Mantegazza.
“L’iscrizione alla cassa Barilla
è volontaria e l’impresa è impegnata a iscrivere al fondo
sanitario nazionale tutti quei
lavoratori che non opteranno
per la scelta aziendale. Si conferma così, per l’ennesima volta, l’attenzione di Barilla verso
la tutela dei propri lavoratori
nella vita quotidiana, dentro e
fuori l’azienda”.
così il processo di unificazione
già avviato. Dopo quasi un anno,
l’associazione di Confcommercio
ha sottoscritto il rinnovo del Ccnl
consentendo l’estensione del contratto anche ai lavoratori delle
aziende associate ad Assipan. La
stessa ha accettato tutte le disposizioni del vigente contratto e si è
dichiarata disponibile ad avviare,
insieme a Fippa e Fiesa, la fase di
stesura di un testo contrattuale
unico per tutte le aziende del settore. Per quanto riguarda la parte
economica, essendo stato siglato
in questi giorni l’accordo, i minimi
saranno incrementati in maniera identica rispetto al Ccnl del 1
dicembre 2009 così come identica sarà l’una tantum. Inoltre,
le aziende associate ad Assipan
pagheranno per intero gli arretrati (€ 50,00 per 13 mensilità) in
quattro tranche da corrispondere
entro settembre 2011.
La Uila esprime grande soddisfazione in quanto la firma di
tale protocollo rappresenta una
conquista per l’intero settore garantendo a tutti i lavoratori una
certezza ed un’ uniformità sia nella parte economica che in quella
normativa.
DI
PIERLUIGI TALAMO
N
ell’ottobre 2009, gli attivi
unitari di Fai Flai e Uila
approvarono la piattaforma di rinnovo del
contratto dei lavoratori idraulicoforestali, con l’aspettativa di poter
iniziare un confronto che portasse
in tempi certi alla conclusione della trattativa.
Purtroppo così non è stato e il
contratto, a quasi un anno dalla
sua scadenza, non è ancora stato
rinnovato a causa di alcune difficoltà sorte nel corso del negoziato,
in particolar modo legate all’incertezza nel reperimento delle risorse
economiche necessarie a coprire i
futuri aumenti. Com’è noto, infatti, gli ultimi provvedimenti di finanza pubblica hanno imposto pesantissimi tagli alle risorse degli
enti locali che hanno determinato
un forte impatto negativo anche
sul nostro settore. Abbiamo avuto
però la capacità, anche grazie ad
alcune significative iniziative sui
territori decise prima dell’estate
da Fai Flai e Uila, di togliere dal
tavolo una pregiudiziale che non
avrebbe consentito di proseguire
la trattativa e abbiamo ripreso il
In Italia crescono la miseria e il disagio
confronto subito dopo la pausa
estiva. Ad oggi abbiamo stabilito
di accelerare il più possibile la
trattativa con l’intento di chiudere, auspicabilmente, entro i
primi di dicembre. Nel merito del
confronto abbiamo già consolidato
un percorso di condivisione con le
controparti su alcuni aspetti importanti della piattaforma che
riguardano: la durata triennale,
in linea con i rinnovi già firmati,
il rafforzamento della bilateralità,
la gestione degli appalti, una futura revisione del sistema classificatorio. Resta naturalmente da
definire l’aspetto economico. La richiesta fatta è senza dubbio molto
onerosa e siamo consapevoli che il
percorso che ci porterà a definire
il punto di caduta sarà pieno di
ostacoli, ma nello stesso tempo
siamo convinti che Fai Flai e Uila
saranno in grado di costruire un
aumento economico soddisfacente
e in linea con gli indicatori economici al fine di garantire a tutti
non solo la copertura dell’inflazione del periodo ma anche un
giusto riconoscimento relativo
al troppo tempo trascorso dal
momento della scadenza del
contratto.
Si è svolto il 4 ottobre, presso il
Mipaaf, un incontro tra Fai-FlaiUila, il capo di gabinetto Mipaaf
e i vertici del corpo forestale dello stato, sulla vertenza dei 1700
lavoratori forestali degli Uffici
Territoriali della Biodiversità
(Utb) che attendono da 4 anni
il rinnovo del contratto di lavoro. Mipaaf e CFS si sono resi disponibili a individuare possibili
risorse da destinare al rinnovo
del Protocollo aggiuntivo, adempiendo così agli obblighi previsti
per la contrattazione di 2° livello. Questa disponibilità, mai
emersa finora, è stata valutata
positivamente dalle organizzazioni sindacali. Ma il risultato
più importante è la decisione del
Mipaaf di presentare un emendamento al disegno di legge finanziaria, avendo individuato i
fondi da cui attingere le risorse
necessarie per concludere positivamente la vertenza. Dopo un
lungo periodo di indifferenza da
parte dell’amministrazione questo impegno rappresenta una
prima risposta ai lavoratori che
da anni attendono il rinnovo di
un contratto che rappresenta
un loro diritto.
Iniziativa di De Castro al parlamento Ue
Caritas: i poveri 2011 anno contro
sono oltre 8 mln sprechi alimentari
S
ono 8 milioni 370mila i
poveri presenti in Italia
nel 2009, il 3,7% in più
rispetto all’anno precedente. Il dato emerge dal 10°
rapporto su povertà ed esclusione sociale in Italia, realizzato e
presentato dalla Caritas Italiana
e dalla Fondazione Zancan. In
particolare, ai 7 milioni e 810mila
poveri calcolati dall’Istat, Caritas
e Fondazione Zancan aggiungono
circa 560mila persone povere relative in più rispetto al 2008. Per
povertà relativa si intende l’incapacità di spendere cifre equivalenti o superiori alla spesa media
mensile calcolata.
Ma i poveri non vivono tutti
allo stesso livello di disagio. Esistono infatti coloro che vivono in
condizioni di povertà assoluta,
considerata come l’incapacità ad
accedere ai beni essenziali che
consentano uno standard di vita
accettabile. Secondo il rapporto,
nel 2009, erano 1162 le famiglie
considerate povere assolute (il 4%
delle famiglie residenti), per un
totale di oltre 3 milioni di persone (pari al 5,2% dell’intera popolazione). Mettendo in relazione
i poveri in senso assoluto con
quelli in senso relativo, emerge
che un terzo del totale dei poveri
appartiene alla fascia di povertà
assoluta, esattamente il 35,8%. A
questa ampia fascia di popolazione, si aggiunge un 20% di impo-
veriti colpiti dall’aumento della
disoccupazione e della cassa integrazione, dal calo del potere reale
d’acquisto e dalla disuguaglianza
dei redditi. Un fenomeno, quello
dell’impoverimento, confermato
nel 2009 dal calo dell’11% del
credito al consumo e del 13% dei
prestiti personali e dal contemporaneo aumento dell’8% della
cessione del quinto.
La povertà registrata da Caritas e Fondazione Zancan si traduce, nella vita di tutti i giorni
in difficoltà a pagare la spesa, il
mutuo e le cambiali, evidenziata
nel 2009 dal 14% di persone in
più rispetto al 2008. Contrariamente ad altri paesi europei, in
Italia più alto è il numero di figli
maggiore è il rischio di povertà.
Il rapporto sottolinea anche un
forte squilibrio nelle percentuali
di spesa tradotte in servizi piuttosto che in contributi economici
veri e propri.
Dei 49 miliardi di euro che lo
Stato spende ogni anno, infatti,
solo il 14% viene investito per
attivare servizi duraturi mentre
il restante 86% consiste in contributi economici. Nonostante
la profonda diversità tra Nord e
Sud, in termini di somme spese
per l’assistenza sociale, tutto il
paese è accomunato dalla possibilità di migliorare i servizi
spendendo meno rispetto ad
oggi.
I
l 2010 è stato l’anno europeo della povertà, il 2011
sarà l’anno europeo contro
lo spreco alimentare. È
la sfida lanciata a Bruxelles il
28 ottobre dal presidente della
commissione agricoltura del
parlamento europeo, Paolo De
Castro al termine della Conferenza “Trasforming food waste
into a resource” (trasformare lo
spreco alimentare in risorsa),
organizzata da Last Minute
Market, spin-off dell’Università di Bologna. Portavoce della
proposta sarà l’eurodeputato
Salvatore Caronna a nome del
gruppo socialista e democratico
della commissione agricoltura.
Il “libro nero” sullo spreco alimentare presentato a Bruxelles da Andrea Segré, professore
a Bologna e fondatore di Last
Minute Market, rivela che dal
1974 ad oggi lo spreco nel mondo
è aumentato del 50%. Negli Usa
un quarto degli alimenti finisce
in discarica. Nell’Ue, si buttano
179 kg di cibo l’anno a testa: solo
in Gran Bretagna 18 milioni di
tonnellate (pari a 10 miliardi di
sterline); in Svezia ogni famiglia
spreca il 25% del cibo acquistato. Una famiglia italiana in un
anno butta 515 euro in alimenti
che non consumerà, sprecando
circa il 10% della spesa mensile.
Non vengono utilizzate 20 milioni di tonnellate di alimenti per
un valore di 37 miliardi di euro,
circa il 3% del Pil italiano. Ogni
giorno finisce buttato il 19% del
pane, il 4% della pasta, il 39%
dei prodotti freschi (latticini,
uova, carne e preparati) e il
17% di frutta e verdura. Inoltre
ogni anno 240.000 tonnellate di
cibo ancora consumabile viene
eliminato dalla vendita e gestito
come rifiuto. Recuperando il cibo
non utilizzato, secondo Segré, si
potrebbe dare da mangiare a 44
milioni di persone.
“Non c’è una risposta unica
allo spreco” ha dichiarato De
Castro intervenendo alla conferenza “se non aumentare la
consapevolezza. Tutti devono
avere la percezione dell’impatto delle proprie scelte personali”. Il confronto al Parlamento
europeo è stata l’occasione per
sottoscrivere una dichiarazione di intenti, lanciata da Last
Minute Market, che si prefigge
di arrivare entro il 2025 ad una
riduzione di almeno il 50% degli sprechi alimentari. In Italia
l’organizzazione ha già attivato
numerosi progetti tra cui l’iniziativa di raccolta da parte delle
cooperative sociali di quello che
resta nei campi senza il ricorso
a strumenti agricoli. Secondo
Segré il 3% della produzione di
frutta resta nei campi e potrebbe trasformarsi in 48 milioni di
porzioni di frutta giornaliere.
6
Mercoledì 17 Novembre 2010
A Parigi riunione per fissare le quote pesca per il 2011 Iniziative a favore del settore pesca
Tonno, l’Iccat decide
Camera approva
L’Ue verso la richiesta di riduzione cinque mozioni
I
l tonno rosso torna alla
ribalta dell’attenzione
internazionale e nazionale: dal 17 al 27 novembre
prossimi si riunirà infatti a
Parigi l’Iccat (la commissione
internazionale per la conservazione dei tonni dell’Atlantico, composta da 47 stati
più l’Ue in rappresentanza di
Francia, Spagna, Portogallo,
Regno Unito, Italia, Cipro e
Malta) per decidere le quote
pesca 2011.
In vista di tale appuntamento, la commissione europea, su
iniziativa della commissaria
alla pesca Maria Damanaki,
ha proposto il 10 novembre agli
stati membri di conferirgli un
mandato per negoziare in sede
Iccat “una riduzione globale delle quote di pesca”, non meglio
specificata. Una proposta che
riceverà il via libera definitivo
dal consiglio europeo nelle ore
immediatamente antecedenti
l’apertura del vertice Iccat.
Contrari alla posizione proposta dalla Damanaki si erano
espressi, lo scorso 26 ottobre, i
ministri della pesca di Italia,
Francia, Spagna e Malta ed
anche il presidente portoghese
della commissione Ue, Manuel
Barroso aveva espresso delle
perplessità. In particolare il
ministro italiano Giancarlo
Galan aveva dichiarato: “non
sono favorevole ad ulteriori riduzioni della quota per il tonno
rosso, che non siano suffragate
da dati scientifici. I pareri di
autorevoli istituzioni come il
comitato scientifico Iccat vanno
rispettati”.
Il comitato scientifico Iccat,
senza avanzare richieste di
riduzione di quote (così come
avvenuto in precedenza), ha
semplicemente sostenuto (nel
rapporto pubblicato a metà ottobre) che se la quota di pesca
restasse ferma a 13.500 tonnellate (come nel 2010) ci sarebbe
una probabilità del 60% che lo
stock di tonno rosso potrà ricostituirsi entro il 2022. Soddisfatte della posizione assunta
dalla commissaria europea sono
le associazioni ambientaliste
(Wwf e Greenpeace) che chiedono una riduzione della quota
di pesca fino a 6.000 tonnellate
e di definire delle zone protette
in prossimità delle sei aree di
GUARDIA COSTIERA
INIZIATIVA UE
riproduzione del tonno rosso nel
Mediterraneo, identificate dal
comitato scientifico Iccat. Una
di queste zone, in particolare,
si trova nelle acque del Mar
Tirreno meridionale, tra la Calabria e la Sicilia. Sull’ipotesi di
creare queste zone protette si è
espresso favorevolmente il ministro Galan, secondo il quale
“i santuari sono una modalità
assolutamente interessante
per la tutela ecologica delle risorse marine viventi. Tuttavia,
va approfondita sotto il profilo
scientifico la loro effettiva praticabilità in Mediterraneo per
una specie altamente migratoria come il tonno”. Per quanto
riguarda le catture 2009 nel
Mediteraneo, secondo l’Iccat
sono state pari a 13.527 tonnellate, di cui 9.468 con il sistema
circuizione. In particolare, per
singoli paesi, le catture sbarcate sono state (in tonnellate):
Francia 3.087, Italia 2.735, Tunisia 1.932, Spagna 1.769, Libia 1.082, Croazia 767, Turchia
665, Grecia 373, Marocco 369,
Malta 263, Algeria 262, Korea
Rep. 102, Albania 50, Siria 50,
Giappone 18, Cipro 2.
L
a camera dei deputati ha
approvato all’unanimità
cinque mozioni di maggioranza e di opposizione
relative a iniziative a favore del
settore della pesca, con particolare riferimento alla cooperazione tra i paesi del Mediterraneo.
I testi approvati impegnano, il
governo, tra l’altro: “ad intervenire presso gli organi competenti
dell’Unione europea affinché la
stessa affronti la questione della pesca mediterranea tenendo
conto delle esigenze dei paesi
rivieraschi, in linea con le conclusioni della conferenza ministeriale di Venezia tenutasi nel
2003; ad operare presso le sedi
comunitarie perché l’Italia possa
ottenere la possibilità di trattare
bilateralmente con i paesi rivieraschi su questioni riguardanti
il settore pesca, senza che ciò
comporti atti in contrasto con lo
spirito delle direttive comunitarie in materia di pesca; a farsi
promotore di una conferenza
internazionale sulla pesca mediterranea, con la partecipazione
di tutti i paesi che si affacciano
sul canale di Sicilia e che hanno
interesse a forme di cooperazio-
MAZARA DEL VALLO EXPORT PRODOTTI
ne in tale comparto”.
Il governo viene, inoltre, impegnato: “a muovere ogni passo
utile affinché la Libia, nello spirito di collaborazione riaffermato
con le recenti intese italo-libiche,
possa riconsiderare la decisione
di estendere il controllo delle acque sino a 72 miglia dalla propria costa, al fine di consentire
l’esercizio della pesca in acque
internazionali; ad affidare ad
istituti di ricerca e ad università
specializzate il compito di procedere alla redazione di un dettagliato studio sulle conseguenze
economiche sul settore della pesca derivanti dall’applicazione
delle direttive comunitarie; ad
operare in sede Ue affinché si
proceda all’ammodernamento
della flotta peschereccia italiana, attualmente tra le più vetuste d’Europa; ad avviare uno
studio dettagliato sullo stato dei
porti adibiti alla pesca, con specifico riferimento alla sicurezza
ed ai servizi forniti alle imprese
operanti nel settore della pesca;
ad operare a sostegno di quegli
istituti scolastici che assicurano
la formazione e la professionalità della gente di mare”.
CC UILAPESCA
Controlli
in tutta Italia
sulla pesca
Costituito
Migliorare
la sorveglianza il consorzio
Lib-Ital
dei mari
L’Africa
si adegua
a norme Ue
Convocato
il 2 dicembre
a Roma
Sono stati 7.558 i controlli effettuati su tutto il territorio
nazionale nell’ambito di una
vasta operazione che ha portato al sequestro di 39 tonnellate
di prodotto ittico e alla notificazione di 623 sanzioni amministrative per oltre un milione
e centomila euro. Questi alcuni
dei risultati di questa prima
fase dell’operazione, denominata “Talasso”, che ha visto
impegnati dal 18 al 24 ottobre
ben 4.000 uomini e donne della guardia costiera in controlli
all’intera filiera della pesca nei
punti di sbarco, grossisti, mercati ittici, pescherie, ristoranti
e magazzini di grande distribuzione e altro. Le violazioni
accertate sono state 843 di cui
400 riguardanti la mancanza di
tracciabilità del pescato; 119 il
cattivo stato di conservazione
del prodotto ittico; 74 le frodi alimentari; 57 le violazioni
contestate per pesca illegale e
56 per pescato sotto la taglia
minima.
Tra gli episodi particolarmente
significativi: un impianto abusivo di mitilicoltura sequestrato a Taranto con la successiva
distruzione di 9 tonnellate di
cozze e 130 esemplari di tonno rosso sottomisura scoperti
dalla capitaneria di Brindisi a
bordo di due pescherecci della
marineria di Riposto.
La commissione europea ha
presentato il 21 ottobre un’iniziativa per migliorare l’efficienza e la solidità economica della
sorveglianza dei mari europei.
In una tabella di marcia, la
commissione spiega come riunire le autorità competenti per
tutti i settori marittimi degli
stati membri interessati per
consentire lo scambio di dati
relativi alla sorveglianza marittima, oggi in possesso di varie
autorità come le guardie costiere, le autorità per il controllo del
traffico, i controlli ambientali, la
prevenzione dell’inquinamento,
la pesca, il controllo delle frontiere, le autorità fiscali e di
polizia. Un tale miglioramento
permetterebbe di affrontare in
modo più efficiente e immediato
le emergenze che si verificano
in mare. La tabella di marcia
per la creazione di un sistema
comune per la condivisione
delle informazioni (Cise) ai fini
della sorveglianza del settore
marittimo dell’Ue costituisce
un’iniziativa nell’ambito della
politica marittima integrata
Ue. Lo scambio elettronico di
informazioni marittime tra
settori e paesi avverrà grazie
a un sistema digitale di scambio di dati basato su strumenti
moderni e sicuri di telecomunicazione.
Sette paesi dell’Africa
dell’Ovest (Mauritania, Senegal, Gambia, Guinea Bissau,
Guinea, Sierra Leone e Capo
Verde) si sono riuniti per mettere a punto un nuovo regolamento per migliorare la qualità
dei prodotti delle pesca e tutti
gli operatori del settore sono
stati informati delle disposizioni e delle misure da prendere affinché i prodotti possano
arrivare sul mercato europeo.
Questi paesi, inoltre, stanno
cercando di armonizzare le loro
norme, viste le differenze ancora esistenti tra stato e stato. Ne
da notizia l’agenzia Agi-afro che
spiega come il settore della pesca rappresenti un settore strategico per i paesi della regione
e come l’Unione europea sia il
principale mercato di esportazione. Esistono, tuttavia, delle
norme sanitarie Ue che debbono essere rispettate. Per questo gli Stati dell’area stanno
mettendo a punto riforme per
adeguarsi alle norme sanitarie
europee. I paesi stanno anche
cercando di rafforzare le loro
capacità amministrativa al fine
di rendere le esportazioni dei
prodotti della pesca rispondenti alle norme Ue. In Mauritania,
ad esempio, la pesca contribuisce per il 30% al budget dello
stato e assicura il 50% delle
esportazioni.
È stata convocata nei giorni di
giovedì 2 e venerdì 3 dicembre
prossimi la riunione del comitato centrale della Uilapesca. La
riunione si svolgerà a Roma e
sarà l’occasione per discutere
numerosi argomenti e i diversi
problemi che riguardano attualmente il settore, oltre che per
fare il punto sullo stato e sulle
prospettive dell’organizzazione
che continua a crescere in tutto
il paese. I lavori saranno aperti,
nel pomeriggio del 2 dicembre,
dalla relazione del segretario
generale Guido Majrone cui
seguirà il dibattito. Il dibattito
proseguirà il giorno successivo e
sarà integrato da una comunicazione della segreteria nazionale
sulle attività internazionali e di
ricerca della Uilapesca. Seguirà
la replica del segretario generale con la quale si chiuderanno
i lavori. Data l’importanza dei
temi trattati e la delicatezza
dell’attuale fase politico-economica si raccomanda a tutti i
membri del comitato centrale la
massima puntualità.
Si è costituito il 12 ottobre a
Mazara del Vallo, su iniziativa di Federpesca, il consorzio
Lib-Ital per lo sviluppo dell’economia ittica libica. Ne fanno
parte, oltre a Federpesca, 4
organizzazioni di produttori riconosciute e operanti a Trapani, Mazara del Vallo, Marsala e
Porticello che annoverano circa
300 navi da pesca. Il Consorzio,
che resta aperto all’adesione di
tutte le imprese del comparto
pesca, siciliane e non, si prefigge di valorizzare la pesca nella
sua dimensione economica e
sociale, favorendo le relazioni
tra Italia e Libia e sviluppando
un progetto di integrazione attraverso il reciproco coinvolgimento nella gestione di stock
ittici condivisi e la messa in
campo di iniziative comuni.
“Crediamo sia la strada giusta
per creare occasioni di sviluppo per le nostre imprese e per
quelle dei nostri amici libici”
ha dichiarato Luigi Giannini direttore Federpesca che è stato
nominato amministratore unico del consorzio “in modo che
le cronache non debbano occuparsi solo di incresciosi episodi
in mare tra pescherecci italiani
e motovedette libiche, ma possano testimoniare dello spirito
imprenditoriale e dell’amicizia
tra due popoli, uniti e non divisi
dal mare”.
Pagina realizzata
con il contributo
del Ministero
per le politiche
agricole, alimentari
e forestali
Mercoledì 17 Novembre 2010
7
L’impianto di Lecce sarà riconvertito verso altre attività Nuove prospettive per Solagrital coop
Bat, garantito il lavoro Il gruppo Arena
Ma il tabacco italiano finirà all’estero
DI
PIETRO PELLEGRINI
C
hi poteva immaginare che
un giorno non si sarebbero più prodotte sigarette
in Italia? Purtroppo, invece, lo stabilimento Bat di Lecce,
l’ultimo ex Aams, smetterà di produrre sigarette e, così, salvo la manifattura di Chiaravalle, nessuno
farà più sigarette in Italia. Dal 1
settembre, le segreterie nazionali
Fai-Flai-Uila con il coordinamento nazionale delle Rsu, hanno
più volte incontrato la dirigenza
aziendale, senza successo. Il tavolo
di confronto con il governo, chiesto e ottenuto presso il ministero
dello sviluppo economico, è stato
l’ultimo tentativo di far recedere
l’azienda dalla decisione presa.
In ogni sede, la multinazionale
ha ribadito la scelta di cessare la
produzione di sigarette, sostenendo che i suoi stabilimenti europei
hanno una capacità produttiva in
eccesso di 40 mln Kg, che il mercato italiano ha registrato nell’ultimo triennio un calo di volumi
pari a 15 mln di kg, e che i costi di
produzione di Lecce sono superiori
del 25% rispetto alle altre manifatture europee del gruppo.
A niente è servito l’intervento del governo presso la Bat di
Londra che ha confermato la sua
decisione e la piena fiducia nei
confronti del management italiano che si sta adoperando per la
riconversione industriale del sito
leccese. L’azienda ha presentato al
ministero un piano di riconversione industriale, garantendo piena
occupazione per i 272 dipendenti diretti e per le 125 unità non
dipendenti Bat che operano nello
stabilimento con trasformazione,
per tutti, dei contratti da tempo
determinato a indeterminato.
Il ministero, oltre alla verifica
internazionale sopra descritta, si
era anche impegnato a incontrare
le società interessate a rilevare il
sito, verificare il progetto industriale e le compatibilità finanziarie ed esprimere un giudizio di
merito che è stato positivo.
Le aziende in questione sono:
Jacobucci HF (componentistica
aerea) e la “Korus” (profilati di
alluminio). Si tratta di aziende
leader nei propri settori di competenza ma che intendono puntare sul Sud e investendo tra i 5
e 10 mln di € per avviare nuove
attività. Le società riassumeranno
Un settore vitale con oltre 40.000 addetti
Acque minerali,
guerra dannosa
DI
I
RAFFAELLA SETTE
l settore delle acque minerali
continua ad essere soggetto
ad attacchi mediatici per disincentivarne il consumo. Negli ultimi mesi sono state, infatti,
diffuse informazioni ingannevoli
per il cittadino consumatore sulle
caratteristiche e le proprietà delle
acque minerali che vengono impropriamente e strumentalmente
paragonate con l’acqua potabile.
Oggi, siamo arrivati ad un autolesionismo disperato che mette
a rischio un settore già duramente provato dalla crisi economica
e che rischia di creare nuovi disoccupati. Nel nostro paese sono
circa 40.000 gli addetti al settore
che, da un giorno all’altro, vedono
il proprio posto di lavoro compromesso da qualcuno che ha iniziato
a remargli contro.
L’acqua minerale è una importante risorsa economica ed occupazionale per il nostro paese. Considerando che ogni italiano beve in
media all’anno 193 litri di acqua
minerale, l’Italia risulta essere
il primo consumatore in Europa
e terzo nel mondo. Ma le nostre
acque minerali sono, inoltre, un
segno forte e distintivo del Made
in Italy visto che ne esportiamo
all’estero più di 1 miliardo di litri.
Perdere tutto questo sarebbe più
che traumatico e la Uila si è da
subito impegnata fortemente per
contrastare certe scelte scellerate.
Nessuno vuole mettere le mani in
tasca ai consumatori, ma con una
corretta informazione ognuno è in
grado di scegliere e spendere quel
che vuole.
Il paragone dell’acqua minerale con quella del rubinetto è assolutamente impropria: l’acqua a
“chilometri zero” sarà pure buona
ma non altrettanto sicura. I rubinetti spesso rilasciano sostanze
chimiche anche pericolose, mentre l’acqua minerale è sottoposta
a controlli tali per cui è sempre
pura dal punto di vista batteriologico.
Per la Uila non c’è dubbio. Si
tratta di una battaglia che non
ha senso. E allora, se l’intento è
risvegliare nei cittadini italiani
quel dimenticato senso etico di
sostenibilità ambientale, sarebbe
più opportuno fare ben altro tipo
di campagna promozionale. Se
vogliamo acqua a chilometri zero
allora facciamo si che in ogni territorio venga valorizzata l’acqua
locale.
Il nostro paese è ricco di fonti,
grandi e piccole da cui si imbottigliano 300 marche diverse, importanti e sconosciute. Impariamo
allora a consumare l’acqua del
nostro territorio, anche se a qualcuno può risultare sconosciuta.
Così beviamo sicuro, difendiamo
l’ambiente e sosteniamo pure
l’economia locale.
tutto il personale dipendente da
Bat che sarà interessato da una
formazione professionale mirata
al nuovo tipo di lavoro che dovranno svolgere. I lavoratori interinali
e degli appalti saranno, invece, ricollocati a tempo indeterminato in
nuovi appalti o in un call-center, la
società “Call-Gest”, che già gestisce cinque centri di call-center in
Italia (clienti Enel, Telecom, Wind,
Sky). Il ministero ha espresso parere positivo alla riconversione
che, dal punto di vista occupazionale, garantisce che nessun posto
di lavoro verrà perso.
In un prossimo incontro al
ministero, Fai-Flai-Uila e il coordinamento nazionale Rsu incontreranno i nuovi imprenditori per
verificare il piano industriale che
verrà presentato e la sostenibilità
a lungo termine dell’investimento. Siamo certi che troveremo le
soluzioni occupazionali per tutti,
ed è la cosa che ci interessa prioritariamente, ma resta comunque l’amaro in bocca nel vedere
il patrimonio ex Aams del tutto
sgretolato e nel pensare che da
domani l’Italia produrrà tabacco
e lo manderà all’estero per essere
lavorato.
cambia proprietà
DI
MARIA LAURENZA
D
urante l’incontro, richiesto dalle segreterie
nazionali di Fai, Flai
e Uila, che si è tenuto
presso la regione Molise il giorno 2 novembre è stato annunciato ufficialmente il passaggio
di proprietà del gruppo Arena,
storica azienda molisana, leader
nei settori surgelati e carne fresca e proprietaria di importanti
marchi, come pollo Arena e Arena surgelati, con stabilimenti
produttivi in diverse regioni italiane e diversi paesi europei. Con
l’addio dell’imprenditore Dante
Di Dario che lascia dopo 15 anni
di attività, la proprietà del gruppo Arena passa a una cordata di
imprenditori del nord, tra i quali
spicca uno dei protagonisti della
new economy italiana Adrio De
Carolis, attualmente presidente
della DMail. Dopo tutte le iniziative prese negli ultimi anni con
l’obiettivo di garantire la continuità e la stabilità produttiva, l’ingresso della nuova proprietà potrebbe rappresentare una svolta
importante anche per Solagrital,
cooperativa molisana di alleva-
tori di pollame fornitori di Arena, con sede a Bojano. Nel corso
degli ultimi anni, infatti, questa
realtà industriale, molto importante per il territorio molisano,
ha vissuto una situazione di crisi
come riflesso della crisi generale
del gruppo Arena. La storia della
cooperativa è stata segnata dalla
presentazione e condivisione del
piano industriale nel dicembre
2008 e da una serie di incontri
istituzionali, che hanno teso a
portare al consolidamento di
questa realtà industriale e alla
normalizzazione del sito.
Nel corso dell’incontro, la
regione Molise ha riaffermato
con forza la propria volontà di
continuare a garantire il proprio
appoggio al sito sostenendo che
ognuna delle parti coinvolte
deve intervenire per la propria
parte di competenza, per scongiurare preoccupanti ripercussioni sull’occupazione. I prossimi
mesi saranno utili per capire se
il nuovo assetto può davvero
mettere la parola fine ad un periodo difficile e se si potrà guardare davvero positivamente al
futuro, attraverso un effettivo
rilancio del sito di Bojano.
8
Mercoledì 17 Novembre 2010
I direttivi Fai-Flai-Uila approvano “linee guida” sui rinnovi di 2° livello nell’industria alimentare
Piattaforme unitarie entro dicembre
Serve coinvolgere i lavoratori e un grande sforzo negoziale
rosegue l’attività di
Fai, Flai e Uila in vista dell’apertura della
stagione dei rinnovi
contrattuali di secondo livello nel settore dell’industria
alimentare. Dopo l’assemblea
nazionale dei delegati Uila
del settore (svoltasi a Milano il 28-29 settembre ed alla
quale hanno partecipato oltre
500 tra quadri, delegati e dirigenti nazionali e provinciali
dell’organizzazione), lo scorso
18 ottobre a Roma si sono riuniti i direttivi unitari di Fai,
Flai e Uila che hanno discusso e approvato un documento
unitario contenente delle “linee guida” verso cui si dovrà
orientare il lavoro decentrato
delle federazioni territoriali,
in vista della presentazione
delle piattaforme di rinnovo.
Pubblichiamo di seguito il
testo integrale del documento
approvato.
sotto il profilo dei contenuti
normativi e dei sistemi salariali incentivanti, legati
a parametri di variabilità o
ad elementi di produttività
e di efficienza produttiva,.
sia sotto quello del negoziato a livello di Coordinamento
Nazionale e di singole unità
produttive, estendendo questo modello contrattuale ai
gruppi d’impresa di nuova e
meno nuova costituzione che
ne sono tuttora privi.
FAI, FLAI e UILA assumono il CCNL unitariamente
sottoscritto il 22 settembre
2009 come “punto cardine di
riferimento” per i prossimi
rinnovi di Gruppo e per l’intera contrattazione di secondo
livello dell’industria alimentare e sono, di conseguenza,
impegnate:
SISTEMA
DI RELAZIONI
Il passaggio ad una contrattazione più partecipativa, richiede un salto di qualità in termini
di avvicinamento del processo
contrattuale al processo decisionale dell’impresa, secondo
un sistema di relazioni e contrattuale continuativo.
La relazione continua è finalizzata alla condivisione di una
maggiore conoscenza e trasparenza ed alla possibilità di
individuare obiettivi comuni e
condivisi, al cui conseguimento
finalizzare gli atti contrattuali.
Occorre migliorare quindi
l’efficienza dei “sistemi di informazione e di consultazione”
di Gruppo, per sperimentare
forme di “confronto preventivo” sulle strategie industriali
e finanziarie, per arricchire ed
approfondire l’interlocuzione
tra i Coordinamenti Nazionali
ed i responsabili dell’impresa,
per fornire ai Coordinamenti
Nazionali specifiche informazioni sull’attività dei CAE.
Va data attenzione alla questione ambientale che porta con
sé scelte per l’uso sempre più
efficiente delle risorse energetiche, delle materie prime impiegate e del rapporto azienda
– territorio che rappresentano
ormai le variabili decisive della
competizione economica ed industriale del prossimo futuro.
Il tema della responsabilità
sociale d’impresa è importante
anche per noi, in quanto connesso con lo sviluppo sostenibile e
perciò non va lasciato all’unilateralità delle imprese, ma deve
essere recuperato tra le materie
di informazione e consultazione
preventiva, poi condiviso e verificato rispetto alla sua realizzazione effettiva.
Quello dello sviluppo sostenibile è l’asse intorno al quale
coniugare sempre di più crescita economica, ambiente e
lavoro.
P
1) in applicazione della
Nota all’art. 5 del CCNL, a
diffondere la contrattazione
integrativa alle aziende ed
alle realtà produttive che ne
sono ancora prive, ad estenderla ai luoghi di lavoro, al
territorio, ai distretti ed ai
settori produttivi, presentando in tutte le realtà specifiche
piattaforme che, assieme alle
richieste salariali, valorizzino
il ruolo degli Enti Bilaterali
territoriali, previsti dal contratto, rafforzino le misure
per la sicurezza del lavoro,
estendano gli interventi a sostegno della professionalità
dei lavoratori;
2) ad elaborare un progetto
unitario per la preparazione e
la negoziazione, almeno in alcune aree territoriali, di piattaforme di distretto e di sito
in comparti specifici, come ad
esempio la trasformazione del
pomodoro, la lavorazione delle
carni ed altre sperimentazioni
che potranno essere attivate;
3) a valorizzare la “qualità
sociale” della contrattazione integrativa, rafforzando
gli istituti ed ampliando gli
interventi del “welfare contrattuale” regolato dal CCNL
e basato sull’Ente Bilaterale
di Settore, sul Fondo Sanitario Integrativo Nazionale,
sulla Cassa Rischio Vita e su
Alifond;
4) a confermare la validità
ed a rafforzare la struttura
degli Accordi di Gruppo, sia
FAI, FLAI e UILA valutano
positivamente gli esiti qualitativi e quantitativi dei precedenti rinnovi di Gruppo e ritengono che tali esiti possano
e debbano essere ulteriormente sviluppati, indicano quindi
in questo documento gli ambiti e le materie sulle quali
dare vita alle piattaforme per
il rinnovo dei contratti di 2°
livello.
Esso va declinato attraverso l’efficienza ambientale dei processi produttivi e
dei prodotti puntando alla
diminuzione delle emissioni
di CO2, all’efficienza energetica, all’eco efficienza dei
materiali e delle costruzioni, a nuove infrastrutture
di servizi ambientali nella
gestione di acqua e rifiuti e
di reti energetiche rinnovate
tecnologicamente. Sono questi nuovi capitoli che possono
valorizzare l’azione sindacale
nelle relazioni aziendali e territoriali.
OCCUPAZIONE
Rendere più organiche ed
efficienti le tutele contrattuali delle “figure e posizioni
deboli” del lavoro alimentare,
in primo luogo dei lavoratori stagionali ed a vario titolo precari, e consolidando la
struttura dell’occupazione,
tramite l’estensione del sistema delle cosiddette “vasche
comunicanti” tra rapporti di
lavoro stagionali, a termine,
a tempo parziale ed a tempo
pieno ed indeterminato.
Una via nuova è l’uso consapevole delle risorse negoziali
in funzione dell’occupabilità,
intesa come attitudine alla ricollocazione e mobilità delle
persone nel mercato del lavoro
interno ed esterno all’azienda
e al miglioramento delle competenze dei lavoratori.
È questo un terreno particolarmente fertile, in quanto il
consolidamento e l’estensione
dei Fondi Interprofessionali rendono possibili accordi
aziendali senza oneri particolari per le aziende. Non è una
negoziazione semplice, ma può
offrire risposte ed interessare
tutti i lavoratori, dalle fasce
più professionalizzate alle persone con qualifiche non elevate e meno giovani, dotando i
lavoratori di un “libretto individuale della professionalità
acquisita”.
È una via che necessariamente s’intreccia con le politiche delle Regioni nella formazione e mercato del lavoro, ed
offre ruolo e sinergie all’azione
sindacale.
SVILUPPO
PROFESSIONALE
Diffondere gli accordi sullo
“sviluppo professionale” fondati su meccanismi concordati
di miglioramento della professionalità per “steps retributivi”, assieme agli interventi
formativi, anche “continui” e
destinati ai singoli lavoratori,
direttamente collegati all’innovazione delle tecnologie e
dell’organizzazione del lavoro.
WELFARE
CONTRATTUALE
È necessario, anche nell’ambito dei negoziati di “armonizzazione o confluenza” dei
Fondi Sanitari aziendali esistenti, ribadire e verificare il
rispetto da parte delle imprese dell’obbligo di iscrivere al
Fondo Sanitario Nazionale ed
alla Cassa Rischio Vita, versando la corrispondente contribuzione, tutti i dipendenti
che ne abbiano diritto secondo
il CCNL.
LAVORATORI
MIGRANTI
In presenza di lavoratori
migranti vanno previsti corsi
di apprendimento della lingua
italiana e dovrà essere verificata l’applicazione delle norme relative ai riposi, ai congedi, alle ferie per facilitare il
ritorno nei paesi di origine.
SICUREZZA
Occorre inserire nelle piattaforme l’obiettivo di “infortuni e malattie professionali
zero”, mirando a realizzare
il miglioramento continuo
della salubrità dei luoghi di
lavoro, armonizzando al meglio le risorse e le condizioni
in essere nei diversi contesti
lavorativi.
In attuazione di quanto previsto dall’articolo 2, comma
1. lettera O) del Testo Unico,
occorre prevedere sedi ed occasioni di confronto non solo
sui dati infortunistici, ma soprattutto sulle condizioni di
sicurezza del lavoro e sulle
relazioni tra procedure antinfortunistiche, organizzazione
del lavoro e carichi di lavoro.
Occorre promuovere, sostenere e stimolare sul territorio e nelle realtà lavorative
gli RLS e RLST, creando momenti di crescita culturale sul
tema e favorendo l’attività di
scambio e relazione continua
tra loro, facendoli sentire parte integrante dell’agire sindacale. Un protagonismo nuovo
deve chiamare le strutture
sindacali sul territorio ad
avviare e stabilire rapporti
costanti di confronto,
dialogo e azione congiunta
con le istituzioni prioritariamente impegnate sul tema
come l’Inail, le Asl, gli Ispettorati del lavoro e le Regioni.
La rappresentanza e, non ultima, la formazione (non solo
quale strumento di sviluppo
di conoscenza, ma di competenza efficace e rafforzamento
delle responsabilità a tutti i
livelli, dall’alta direzione ai
lavoratori/ici,) devono quindi
ritrovare un’attenzione centrale e costante nelle priorità
d’azione negoziale nei luoghi di lavoro e sul territorio,
convenendo con le imprese
l’estensione delle competenze
degli RLS alle problematiche
ambientali e dello sviluppo
sostenibile.
PARI OPPORTUNITA’
Devono essere rafforzati ed
estesi i percorsi formativi finalizzati al reinserimento al
lavoro delle lavoratrici e dei
lavoratori che rientrano dai
periodi di congedo parentale
o dall’astensione dal lavoro
per maternità, prevedendo
specifiche forme di flessibilità nell’orario di entrata e di
uscita per i genitori di bambini fino a tre anni di età e
verificando la possibilità di
istituire asili nido aziendali.
SALARIO
DI 2° LIVELLO
Le richieste salariali devono essere modulate a seconda delle particolari condizioni
dei diversi Gruppi, elevando
gli importi del “Premio ad
Obiettivi” relativamente più
bassi, privilegiando gli indicatori gestionali di sito, più controllabili da parte delle RSU,
rispetto a quelli economici e
di redditività di Gruppo, valorizzando le voci e gli istituti
della retribuzione contrattata
in azienda e sul territorio e
perciò, “assoggettabili” alla
tassazione agevolata con vantaggi fiscali e contributivi.
La costruzione dei Premi ad
Obiettivi, oltre ad incentivare
l’acquisizione di ulteriori nuovi risultati, deve riconoscere e
valorizzare i risultati stabilmente acquisiti.
CONCLUSIONI
La contemporanea scadenza
a fine anno di molti ed importanti Accordi di Gruppo, i cui
rinnovi avranno durata triennale e non più quadriennale,
impone a tutte le strutture
sindacali, dalle Segreterie
Nazionali e Territoriali fino
alle RSU, uno “sforzo negoziale” praticamente senza
precedenti, il cui successo dipende dal continuo e convinto
coinvolgimento dei lavoratori
nella formazione delle piattaforme e nella gestione delle
trattative, la cui “credibilità”
sarà
largamente misurata dalla
capacità di FAI, FLAI e UILA
di riuscire a presentare entro
la fine del 2010 tutte le piattaforme per il rinnovo degli
Accordi di Gruppo in scadenza al prossimo 31 dicembre, di
condurre unitariamente e di
concludere tempestivamente i relativi negoziati, la cui
sede fondamentale è e resta
il Coordinamento Nazionale
di ciascun Gruppo ed i cui
esiti devono essere discussi,
valutati ed approvati dalle
assemblee dei lavoratori interessati.
Scarica

Numero 6 - UilaUmbria