Mercoledì 17 Novembre 2010 Anno 12 n. 6 Unione italiana lavori agroalimentari Unione italiana lavori agroalimentari EDITORIALE La Corte Ue boccia la riforma Ocm zucchero L’ennesima occasione persa DI STEFANO MANTEGAZZA L’agenda politica dei prossimi giorni sembra ormai definita: prima si approverà la legge di stabilità (con l’emendamento deciso dal governo dopo essere stato battuto in commissione bilancio) poi il “premier” chiederà la fiducia alle camere. Tra qualche settimana sapremo se questo esecutivo, paralizzato nella sua azione da oltre sei mesi, continuerà in qualche modo a governare o se si tornerà a votare. I nostri dubbi sono anche quelli dei mercati finanziari che, a fronte dell’instabilità politica, iniziano a chiedere interessi crescenti sui titoli di stato che il ministero del tesoro deve settimanalmente collocare per finanziare il debito pubblico. Al sindacato interessa un esecutivo in grado di decidere e dunque occorre subito verificare se esista ancora una maggioranza di governo; se, invece, fosse necessario un nuovo passaggio elettorale, anche questo dovrà avvenire al più presto. Non possiamo aspettarci regali dai mercati finanziari, pronti a speculare su ritardi e indecisioni. La scelta di far precedere l’approvazione della legge di stabilità al dibattito sulla fiducia va comunque apprezzata; è un atto di responsabilità che consentirà al paese di chiudere in ordine i conti dell’anno. La decisione del governo di anticipare il decreto competitività (o sviluppo) in un emendamento alla legge di stabilità 2011 (erede della vecchia finanziaria), accelera il passo di una serie di provvedimenti molto attesi, alcuni dei quali ci interessano da vicino. Nel 2011 continueremo a pagare meno tasse sulla parte di salario legata a produttività, straordinari, lavoro notturno e in turni. La platea dei beneficiari è destinata ad allargarsi perché il tetto di reddito entro cui si applicherà sale a 40.000 euro. La detassazione costerà 850 milioni di euro. Speriamo di riuscire a utilizzarli tutti implementando la contrattazione di 2° livello e verificando che le aziende applichino con puntualità la detassazione a favore dei lavoratori. Viene poi rifinanziato anche il sistema degli ammortizzatori sociali, garantendo così ai lavoratori “in cassa” (o destinati purtroppo ad andarci) le tutele minime necessarie. La norma prevede inoltre, come chiesto dal sindacato, che non si applichino le nuove regole sulle pensioni (uscita per finestre mobili) per i lavoratori già in mobilità. Di rifinanziare gli ammortizzatori sociali c’era un gran bisogno, visto che nel 2010 la cassa ha sfondato il muro del miliardo di ore e la richiesta continua a salire. Per l’agricoltura arriva la conferma degli sgravi previdenziali, una vera boccata d’ossigeno indispensabile per un settore stremato dalla crisi. Trovata anche qualche risorsa per l’università e per i comuni. Aspetti positivi questi tutti importanti ma assolutamente marginali rispetto al contesto economico più complessivo. Manca, purtroppo, in questa manovra quello che questo governo non ha mai voluto concedere: le risorse necessarie a far ripartire lo sviluppo. Noi condividiamo la tesi del ministro del tesoro che sostiene che non è più possibile finanziare lo sviluppo con i debiti (ne abbiamo già troppi). Crediamo però che ci siano altre voci di spesa da poter tagliare (anche drasticamente) e altre possibili fonti di entrate da cercare perché è necessario e importante investire sul futuro. Questo è stato forse il più grande limite di questo governo: immaginare che fosse sufficiente tagliare orizzontalmente la spesa per far ripartire lo sviluppo. Non è andata così, come più volte abbiamo denunciato e oggi i consumi ristagnano perché le famiglie, in particolare quelle di lavoratori e pensionati, non hanno soldi da spendere (le 13° quest’anno saranno mediamente uguali a quelle del 2009). Al nostro paese, per ripartire, serve invece il contributo della domanda interna, occorre investire per lo sviluppo e per rilanciare la competitività del sistema Italia dopo aver gestito con accortezza i conti pubblici per due anni e mezzo. Ma tutto ciò, come ha detto il governatore della banca d’Italia “è frutto di azioni e decisioni prese guardando al futuro”, cosa che questo governo non è mai stato in grado di fare. Il pronunciamento della corte dei conti dell’Unione europea sugli effetti della riforma dell’organizzazione comune del mercato dello zucchero del 2006 è netto: la riforma non è servita a raggiungere gli obbiettivi che si era prefissata e, inoltre, ha provocato solo dei danni. La corte conferma il giudizio che a più riprese il sindacato aveva espresso a suo tempo, denunciando la troppa e inspiegabile fretta con la quale il nostro paese accettò un accordo che ci condannava a perdere ricchezza e occupazione. Un pronunciamento che arriva troppo tardi per il settore perché la dura condanna della corte europea non servirà a recuperare i buoni posti di lavoro bruciati dalla follia di quattro politicanti che hanno obbligato tante comunità locali a rinunciare a produzioni che facevano parte della loro storia e della loro tradizione. Dice la corte nel suo rapporto che, sebbene lo scopo della riforma fosse di incentivare i produttori di zucchero meno competitivi a rinunciare alle quote, la stessa scelta è stata fatta anche dai produttori più competitivi. La corte, inoltre, rileva che oggi c’è una crescente dipendenza dalle importazioni e che non sembra che del calo dei prezzi abbiano beneficiato i consumatori. La corte denuncia infine come vi siano ritardi nella attuazione delle misure di diversificazione ed ambientali e ci sia un rischio crescente di deloca- FUORIGIOCO Nostalgia del femminismo Una quarantina di anni or sono il femminismo irruppe alla ribalta mondiale, urlando parole d’ordine, bruciando reggiseni, evocando il ritorno delle streghe. Non tutti, forse pochi, trovavano simpatico quel femminismo tanto strillato e gradevoli quelle femministe così arrabbiate. Le cronache del tempo ci misero del loro, amplificando le urla dell’uno, esasperando la rabbia delle altre, volentieri tacendo di quanto all’uno e alle altre debbono tuttora entrambi le metà del cielo. I cronisti di oggi, invece, trattano generosamente di “escort” e di “veline”, di ex belle figliole e di ragazzine per ora avvenenti, di mogli accantonate e delle loro sostitute in servizio attivo. Quasi a farne le femministe di successo del terzo millennio. Speriamo di no, non vorremmo dover rimpiangere quelle del secolo passato. lizzazione degli impianti produttivi. Si prova tanta rabbia nel veder confermate da una così autorevole fonte tutte le nostre denunce. Resta, tuttavia, una speranza, perché la corte non si limita a bacchettare la commissione ma le raccomanda di introdurre misure per rimuovere le rigidità dell’attuale sistema di quote che hanno un impatto negativo sulla competitività dei produttori agricoli e delle industrie. La corte suggerisce anche che per qualsiasi ulteriore adeguamento della produzione interna, che fosse ritenuto necessario, dovranno essere definiti strumenti e misure che assicurino la coerenza complessiva dell’operazione. Infine, secondo la corte, la commissione europea e gli stati membri devono assumere misure urgenti per fare in modo che le misure di diversificazione siano rapidamente operative e producano l’impatto previsto. Per il sindacato, quindi, ora è il momento di insistere con ancora maggiore determinazione per cercare di portare a compimento i programmi di riconversione del settore e soprattutto utilizzare queste indicazioni per tutte le trattative a cui saremo chiamati a partecipare per evitare che una follia come quella che abbiamo vissuto per lo zucchero possa ripetersi per altre produzioni agricole. Federalimentare cosa fai? Anche le relazioni migliori vivono alti e bassi e quelle con Federalimentare sembrano avviate a non fare eccezione. Dopo un ottimo contratto e una cassa vita avviata con slancio (150.000 lavoratori iscritti) i rapporti sembrano volgere al brutto. Da oltre sei mesi rincorriamo Federalimentare per definire la stesura del contratto (rinnovato più di un anno fa) e costituire il fondo sanitario e l’ente bilaterale di settore (che dovrebbero garantire le loro prestazioni dal 1 gennaio 2011). I motivi dei ritardi sono artificiosi. Si adducono necessari approfondimenti sulla natura dei fondi e sulle prestazioni da erogare. Tutte chiacchiere perché, ad oggi, questi approfondimenti non hanno portato ad alcuna proposta. Il sindacato ha prodotto una ipotesi di statuto per il fondo sanitario, una proposta di prestazioni integrative e il testo di stesura del contratto; il tutto a dimostrazione che le difficoltà addotte non dipendono dalla nostra cattiva volontà. I lavoratori per finanziare le prestazioni della bilateralità hanno rinunciato a 12 € di salario mensile. Noi non siamo disposti a far perdere loro neanche un euro e vogliamo che Federalimentare rispetti gli impegni. Anche gli ultimi tentativi da noi fatti con buon senso e responsabilità non hanno sortito effetto. A questo punto dovremo mettere in piedi le iniziative necessarie a far valere i diritti di chi rappresentiamo. Ma a chi serve seminare zizzania? Il sistema delle imprese, alla vigilia dei rinnovi di 2° livello, pensa di alimentare la tensione negli stabilimenti al solo scopo di tirarla un po più alla lunga? Se è così a noi non resta che “suonare le nostre campane”. Assemblee, blocco di straordinari e flessibilità, manifestazioni: sembra di tornare a quando il nostro sistema di relazioni funzionava a stento e solo in occasione dei rinnovi contrattuali. I tempi però sono cambiati il sindacato è unito e compatto; i vecchi film di accordi fatti e non mantenuti non possono più essere messi in onda o saranno pagati a caro prezzo. RIFORMA PAC INTERVISTA PANIFICAZIONE PESCA ALIMENTARE Documento unitario di Fai, Flai e Uila chiede di valorizzare il lavoro dipendente Guglielmo Loy, segretario Uil, interviene sul tema del collegato lavoro Con la firma di Assipan unificati i Ccnl del settore Camera dei deputati approva 5 mozioni sulla cooperazione nel Mediterraneo Fai-Flai-Uila: le linee guida per i rinnovi di 2° livello a pagina 2 a pagina 3 a pagina 5 a pagina 6 a pagina 8 2 Mercoledì 17 Novembre 2010 Documento unitario Fai-Flai-Uila oggetto del confronto con istituzioni e organizzazioni agricole Il lavoro al centro della nuova Pac Il 2 dicembre incontro con il presidente Paolo De Castro L e segreterie nazionali FaiFlai-Uila hanno definito un documento congiunto sul futuro della Pac con il quale intendono sensibilizzare il mondo agricolo e le istituzioni italiane ed europee sulla necessità che la futura politica agricola europea tenga in maggior conto il lavoro dipendente. Il documento è stato presentato, il 3 novembre, alla commissione agricoltura del senato, presieduta dal senatore Paolo Scarpa Bonazza, e successivamente discusso con le organizzazioni datoriali del mondo agricolo nell’intento di costruire una posizione condivisa da portare in Europa. Il documento sarà discusso il prossimo 2 dicembre a Roma con il presidente della commissione agricoltura del parlamento Ue Paolo De Castro. Pubblichiamo di seguito il testo del documento. • Premessa. Sin dalle sue origini, nel 1958, e in tutte le sue successive modifiche, la Pac non ha mai tenuto conto del fattore lavoro sebbene, a seguito delle decisioni assunte dall’Ue in materia agricola, milioni di lavoratori abbiano perso reddito e occupazione. Fai-Flai-Uila credono sia arriva- to il momento di voltare pagina e chiedono, quindi, che la nuova Pac inserisca il lavoro tra i criteri di condizionalità nella concessione dei futuri contributi comunitari alle aziende, associando gli aiuti al mantenimento della occupazione e alla creazione di posti di lavoro duraturi, escludendo dai pagamenti dei premi Pac le aziende che violino le leggi o non rispettino i contratti di lavoro. Fai-Flai-Uila ritengono che un’Europa agricola che proponga di inserire il lavoro nella sua quantità e qualità tra le condizionalità della Pac possa anche avere maggiori consensi tra i cittadini e le carte in regola per chiedere reciprocità di comportamenti ai paesi extra Ue. Fai-Flai-Uila vogliono anche contribuire a definire una posizione condivisa del mondo agroalimentare italiano, affinché si possa costruire una “posizione paese” da portare in Europa, nel confronto con commissione e parlamento e con gli altri stati membri dell’Ue. Fai-Flai-Uila sono convinte, infatti, che solo con una posizione forte e condivisa si possa mirare ad ottenere il massimo dei van- Maglia nera in Europea e dietro al Ghana taggi possibili nell’ambito di un quadro generale che vede il nostro paese di fronte al concreto rischio di perdere una ingente quota di aiuti comunitari dalla prossima Pac. Fai-Flai-Uila sono altresì impegnate, attraverso l’Effat, a far sentire con più forza alle istituzioni europee la voce di oltre 7 milioni di operai agricoli che partecipano attivamente ai sistemi produttivi nazionali. • La Pac verso il 2020. Per queste ragioni Fai-Flai-Uila sono convinte che: 1) La Pac debba rimanere una politica fortemente comune finalizzata, in primo luogo, ad accrescere la produzione agricola europea per garantire la sicurezza alimentare del continente in un quadro coerente di contrasto agli sprechi alimentari e alla fame nel mondo, assicurando il diritto al cibo quale Obiettivo primario di sviluppo, per dimezzare il numero di persone che soffrono la fame entro il 2020; 2) La nuova Pac dovrà, nel favorire questa crescita produttiva, continuare ad assicurare il proprio sostegno al settore agricolo e al mondo rurale al fine di perseguire gli obiettivi, fissati 50 anni fa con la conferenza di Stresa e ribaditi del trattato di Lisbona (incremento della produttività, miglioramento del reddito degli agricoltori, sicurezza degli approvvigionamenti, stabilizzazione dei mercati, prezzi ragionevoli per i consumatori). 3) La nuova Pac debba preservare un’agricoltura multifunzionale, competitiva, in grado di proteggere l’economia delle regioni rurali vitali e assicurare, a livello globale, alti livelli occupazionali, sicurezza e qualità alimentari, tutela dell’ambiente e della montagna, della natura e degli animali. 4) Per tutti questi motivi è importante mantenere, nel processo di revisione delle regole per la formazione e la gestione del bilancio comune, l’attuale budget destinato alle politiche agroalimentari e di tutela del territorio. • Le proposte di Fai-FlaiUila sul lavoro. 1) Commisurare i pagamenti Pac alle aziende che beneficiano di somme superiori al pagamento di base, anche ai livelli di occupazione reale. Le sovvenzioni agricole dovranno quindi essere associate non alle variazioni Presentato il XX dossier Caritas/Migrantes PARLAMENTO UE Pari opportunità, I nuovi italiani Italia al 74° posto sono 5 milioni L ’Italia è al 74° posto su 134 paesi nella classifica mondiale delle pari opportunità tra uomini e donne, ultima in Europa e, tra i paesi avanzati, solo il Giappone è più indietro, mentre viene preceduta da nazioni come Repubblica Domenicana, Vietnam, Ghana, Malawi, Romania e Tanzania. Questi i dati che emergono dall’ultimo Global gender gap report 2010 del World Economic Forum. Nella graduatoria di quest’anno l’Italia ha perso due posizioni rispetto al 2009. I primi quattro posti sono tutti dei paesi nordici, Islanda, Norvegia, Finlandia e Svezia nell’ordine mentre in fondo alla classifica troviamo Mali, Pakistan, Ciad e Yemen. In particolare ci penalizza l’accesso e le pari opportunità nel mondo del lavoro. In questo ambito l’Italia scende addirittura al 95° posto. La differenza più rilevante è nella partecipazione alla forza lavoro che vede, secondo i dati del World Economic Forum, le donne impegnate al 52% mentre gli uomini al 74%. Non solo, la presenza femminile nelle posizioni di comando è pari a circa un terzo del totale (33%). Un divario particolarmente pesante sopravvive anche a livello di salari: le donne italiane guadagnano in media il 50% degli uomini con stime che nel report indicano circa 20 mila euro annui per le retribuzioni “rosa” e circa 40 mila euro per le buste paga “azzurre”. Nel quadro politico l’Italia non fa meglio, ma in questo è in buona compagnia tanto che sale al 54° posto della classifica nonostante la presenza delle donne in parlamento sia limitata al 21% e fra i ministri al 22%. Inoltre l’Italia è penalizzata dal fatto di non aver mai avuto un Capo di Stato donna. Fiore all’occhiello del paese è invece l’accesso delle donne all’educazione. In questo caso l’Italia si posiziona al 49° posto della classifica grazie a percentuali vicine al 100% per l’istruzione primaria e secondaria. Per l’istruzione superiore, invece, le ragazze superano di gran lunga i ragazzi con il 79% contro il 56%. A livello mondiale esce ancora vincente il modello dell’Europa del Nord, con in testa l’Islanda, che proprio nel momento di crisi, affidò il risanamento delle prime due banche nazionali a due manager donna. Segue la Norvegia, primo paese ad aver introdotto le quote rosa nella composizione dei cda. Terza la Finlandia che può vantare un’occupazione femminile al 68,2%. Da segnalare la discesa al 46° posto della Francia a causa della diminuzione delle donne nel governo Sarkozy di superficie (ettari per azienda), ma ad una serie di fattori tra cui la quantità di occupazione, la produttività, le professionalità occupate e la promozione non episodica di progetti per la formazione e la riqualificazione dei lavoratori e dei titolari delle aziende. 2) Prevedere l’esclusione delle aziende dai pagamenti Pac in caso di mancato rispetto dei contratti di lavoro, delle leggi sociali. 3) Introdurre incentivi per nuove opportunità di sviluppo e occupazione con particolare attenzione a quelle misure che comportino effetti diretti a favore dell’associazionismo e della cooperazione, sul miglioramento del benessere dei lavoratori (dipendenti e imprenditori) e delle popolazioni rurali, quali la tutela della biodiversità, la prevenzione dei rischi sul lavoro, il miglioramento della qualità e stabilità occupazionali, il miglioramento dei servizi sociali. 4) Prevedere che i lavoratori che perdono il loro posto di lavoro per diretta conseguenza dell’attuazione delle riforme Pac ricevano dei sussidi. Le compensazioni debbono sostenere tutti gli attori della intrapresa. DI A ALICE MOCCI ll’inizio del 2010 sono poco meno di 5 milioni gli immigrati regolari presenti in Italia, uno ogni 12 residenti, il 51,3% è rappresentato da donne. Sono questi i dati del 20° rapporto 2010 sull’immigrazione curato dalla Caritas e dalla Fondazione Migrantes. Negli ultimi dieci anni l’aumento degli immigrati residenti è stato di circa 3 milioni mentre nell’ultimo biennio di quasi un milione. La comunità più numerosa si conferma quella romena (21%), seguono l’albanese (11%) e la marocchina (10,2%). Gli immigrati, rileva ancora il rapporto, assicurano allo sviluppo dell’economia italiana un contributo notevole: sono circa il 10% degli occupati come lavoratori dipendenti, sono titolari del 3,5% delle imprese, incidono per l’11,1% sul Pil, pagano 7,5 miliardi di euro di contributi previdenziali, dichiarano al fisco un imponibile di oltre 33 miliardi di euro. In particolare i lavoratori stranieri contribuiscono in modo determinante all’economia agricola del paese e rappresentano una componente indispensabile per garantire la produzione agroalimentare italiana. Il rapporto stima che in agricoltura siano stati instaurati 95.584 rapporti di lavoro con soggetti non comunitari, di cui 14.182 a tempo indeterminato, 69.672 a tempo determinato e 11.730 stagionali. Le nazionalità più rappresentate sono quella albanese, marocchina, indiana e tunisina che raggiungono oltre il 50% dei rapporti instaurati. Rispetto all’anno precedente si è assistito ad un incremento dei lavoratori marocchini (+4.238 unità), indiani (+2.900 unità) e macedoni (+1.444 unità). Per quanto riguarda i lavoratori nati all’estero e occupati in Italia nel settore agricolo, il rapporto riporta i dati dell’Inail che stima che a fine 2009 questi lavoratori erano 266.025. Una cifra importante ma va considerato che non tutti nati all’estero sono stranieri e che la cifra include tutte le persone che hanno lavorato in Italia per almeno un giorno. Comunque la maggior parte dei nati all’estero ha lavorato nel Nord Italia (94.709 nel Nord Est e 38.115 nel Nord Ovest). Il Sud non è da meno, con 63.836 occupati, seguito dal centro (47.513). Le province con il maggior numero di occupati stranieri agricoli sono: Bolzano (21.789), Verona (15.730), Foggia (14,733), Trento (13.808), Ragusa (9.348), Cuneo (9.223), Latina (8.857), Cosenza (7.620), Salerno (6.517), Ravenna (5.733), Roma (5.278), Bari (5.198), Ferrara (4.520), Perugia (4429), Brescia (4408) e Forlì (4.282). Congedi al padre per nascita figlio I lavoratori padri potranno fruire, alla nascita del figlio, di 2 settimane di congedo retribuito. Il Parlamento Ue ha votato il 20 ottobre, a larga maggioranza, le modifiche alla direttiva sul congedo minimo di maternità. Il provvedimento passa ora al vaglio del consiglio europeo. I padri potranno beneficare di questo periodo durante il congedo obbligatorio per maternità, che dovrà aumentare da 14 a 20 settimane (in Italia è già di 5 mesi). L’Italia dovrà, però, adeguare il trattamento economico di maternità alla nuova direttiva, che prevede 20 settimane integralmente retribuite (attualmente l’indennità è pari all’80%, salvo migliori condizioni). Previsti inoltre: il divieto di licenziare le lavoratrici dall’inizio della gravidanza ad almeno 6 mesi dal termine del congedo di maternità (l’Italia già vieta il licenziamento fino a un anno di vita del bambino); il diritto della lavoratrice madre di ritrovare, al rientro in azienda, un posto di lavoro equivalente (identico al precedente o corrispondente a qualifiche e retribuzione precedenti); il divieto di chiedere prestazioni di lavoro notturno nelle 10 settimane prima del parto e durante l’allattamento al seno (in Italia fino a un anno di età del bambino). Mercoledì 17 Novembre 2010 3 Guglielmo Loy, segretario confederale Uil, interviene sul provvedimento approvato dalla camera Collegato lavoro, oramai è legge Il sindacato sia parte attiva nell’attuazione dei cambiamenti DI FABRIZIO DE PASCALE opo ben sette passaggi parlamentari e un rinvio alla camere da parte del presidente della repubblica, confortato da un avviso comune sottoscritto da tutte le parti sociali ad eccezione della Cgil, lo scorso 19 ottobre il “collegato lavoro” è divenuto legge dello stato. Un provvedimento che conta ben 50 articoli, alcuni dei quali riguardano sia il lavoro pubblico, sia quello privato, altri esclusivamente diverse categorie di pubblici dipendenti, altri ancora disciplinano aspetti più e meno particolari del rapporto e del mercato del lavoro, per lo più integrando o modificando la precedente legislazione in materia. Ne parliamo con Guglielmo Loy segretario confederale della Uil. Domanda. Il Sindacato ritiene che le numerose novità introdotte dal collegato lavoro fossero effettivamente urgenti e necessarie? Risposta. È bene sottolineare che siamo davanti a un testo normativo molto eterogeneo, all’interno del quale compare un mix di novità che toccano molti aspetti del mercato del lavoro, pubblico e privato, ma che si sbizzarrisce anche su aspetti legati alla sicurezza, alla previdenza, alle pari opportunità, etc. Il testo soffre, ricordando anche le annotazioni del presidente della repubblica, del fatto che è stato individuato lo strumento della legge per affrontare temi molto eterogenei e di non aver scelto la strada che più volte abbiamo suggerito: affidare alle parti sociali il tentativo di indicare soluzioni condivise preliminarmente all’avvio della discussione parlamentare. Ci stiamo battendo, ora, affinché questo errore non si ripeta. Riteniamo che l’impianto abbia colto la necessità di innovare aspetti che da troppo tempo non trovavano soluzione, ma su alcuni aspetti abbiamo formulato delle nostre osservazioni. D. Quale è la più importante novità all’interno di un testo ritenuto da alcuni una “controriforma” del diritto del lavoro? R. La vera novità è rappresentata dalla clausola compromissoria, un istituto attraverso il quale le parti manifestano la volontà di devolvere ad arbitri, piuttosto che al giudice, le eventuali controversie nascenti dal rapporto di lavoro. Tale innovazione, ha destato molte perplessità ed ha acceso un forte dibattito sia all’interno che D all’esterno dell’aula parlamentare tra chi sosteneva un potenziale indebolimento di diritti della parte più debole del rapporto di lavoro (tra cui il sindacato) e chi, al contrario, non ravvisava tale rischio. La grandissima maggioranza delle forze sociali, con un avviso comune, ha regolato l’oggetto dell’istituto, escludendone i licenziamenti e prevedendo la certificazione della clausola compromissoria solo dopo un congruo periodo dalla stipulazione del contratto. In tal modo si è evitato che la volontà del lavoratore di devolvere i contenziosi a degli arbitri, potesse avvenire nel momento di maggior debolezza della parte debole del rapporto di lavoro, cioè prima dell’assunzione. Tutto ciò è diventato parte integrante del collegato lavoro, ristabilendo un equilibrio tra le parti. D. Il ruolo delle forze sociali è stato determinante, attraverso l’avviso comune, per ristabilire un equilibrio tra le parti di un rapporto di lavoro. Ritiene che in altre disposizioni del collegato lavoro si possa presagire un indebolimento della parte più debole? Se si, quali proposte ha avanzato il sindacato per rimuovere tale pericolo? R. Altra importante novità, non del tutto positiva, è stata quella di conferire un ruolo nuovo e rilevante all’istituto della certificazione dei contratti. Non solo diventa, fondamentale per la validità della clausola compromissoria, ma viene estesa la valenza dell’istituto a tutto il contenuto del contratto, comprese le eventuali “tipizzazioni di giusta causa e giustificato motivo” (per le quali il legislatore non rinvia alla contrattazione collettiva, potendo quindi essere discrezonali!). Il mancato rinvio alla contrattazione collettiva delle materie che saranno oggetto di certificazione, pone, ad avviso della Uil, non pochi problemi in tema di tutele per il lavoratore, poiché, allo stato attuale, manca un sistema di regole che riesca a bilanciare gli interessi delle parti contraenti. A ciò si aggiunge un elemento soggettivo: tra i soggetti certificatori, compaiono i consulenti del lavoro che non presentano, a nostro avviso, quel requisito di “terzietà” che dovrebbe contraddistinguere chi svolge tale compito. Per garantire un equilibrio tra le parti, abbiamo quindi proposto, in sede di audizione parlamentare, di indicare come prioritarie sedi di certificazione gli enti bilaterali e le direzioni del lavoro. Ulteriore innovazione è quella sul contratto Guglielmo Loy a tempo determinato, sulla quale abbiamo chiesto al legislatore di colmare un dubbio interpretativo che, se non risolto, avrebbe potuto indorre molte imprese a violare le norme che disciplinano la materia, incorrendo in una semplice sanzione economica. Abbiamo, quindi, rivendicato il diritto alla conversione del contratto di lavo- ro per tutti quei lavoratori che, ricorrendo contro l’illegittima apposizione del termine al loro contratto (situazione alla base delle innumerevoli controversie e sentenze su tale tipologia contrattuale), non solo avranno diritto alla sanzione economica, ma anche al reintegro in azienda con un contratto a tempo indeterminato. L’elencazione delle novità introdotte dal collegato lavoro, per la parte più prettamente lavoristica, si estende anche alle collaborazioni a progetto e al lavoro sommerso, in merito al quale le nuove disposizioni non ci convincono poiché potrebbero costituire una “ancora di salvezza” per molti datori di lavoro senza incorrere nella maxi sanzione da lavoro nero. D. Per concludere, ritiene che le novità introdotte limitino il ruolo del sindacato a una mera presa d’atto, o ritiene, invece, che oggi più di ieri il ruolo del sindacato sia determinante per garantire i diritti dei lavoratori? R. È lecito dire che, indubbiamente, dei cambiamenti, più o meno condivisibili, questo testo li porterà nel momento della sua entrata in vigore, ma alcuni di questi vanno di pari passo con i cambiamenti già insiti nella nostra società e nel nostro mercato del lavoro. È importante che il sindacato corra alla stessa velocità di questi mutamenti assicurando, ad esempio, che sulle novità ed i nuovi istituti introdotti dal collegato lavoro, la fase applicativa, sia preceduta da una fase di regolamentazione che veda il sindacato come parte attiva fondamentale, affinchè, anche a fronte di modifiche legislative, la tutela del lavoratore sia ancorata al rispetto della contrattazione collettiva, sia essa nazionale che decentrata. 100.000 persone a Roma con Uil e Cisl Oltre 100mila persone, e tra queste tanti lavoratori, delegati e quadri della Uila, hanno partecipato a Roma il 9 ottobre alla manifestazione indetta da Uil e Cisl per chiedere al governo a riforma del fisco e concrete politiche per il rilancio dell’occupazione 4 Mercoledì 17 Novembre 2010 Il «collegato-lavoro» alla manovra di finanza pubblica 2009-2013 DI GIAMPIERO SAMBUCINI Il “collegato-lavoro” affronta una grande varietà di argomenti, spesso eterogenei tra loro, tra i quali spiccano tre argomenti – la certificazione dei contratti, la conciliazione delle controversie individuali di lavoro e la loro devoluzione al giudizio arbitrale – che, non a caso, hanno ben più di altri animato le discussioni e le polemiche sul “collegato-lavoro” e ne hanno tormentato il lungo “iter parlamentare”. La conciliazione delle controversie individuali di lavoro Il “collegato-lavoro”, innanzitutto, dispone che il “tentativo di conciliazione” non è più “obbligatorio”, ma soltanto “facoltativo” e che le Commissioni di Conciliazione sono istituite presso le Direzioni Provinciali di Lavoro, sono presiedute dal rispettivo Direttore o da un suo delegato, ovvero da un magistrato a riposo, e sono formate da quattro rappresentanti effettivi e quattro supplenti dei lavoratori e dei datori di lavoro, designati “in via permanente” dalle rispettive Organizzazioni Sindacali maggiormente rappresentative nell’ambito del territorio della Provincia. Ciascuna parte può proporre e respingere il tentativo di conciliazione, che deve in ogni caso concludersi entro 40 giorni, nel cui svolgimento il lavoratore – può farsi assistere dal rappresentante dell’Organizzazione Sindacale cui conferisca mandato. Se il tentativo riesce, la Commissione redige e sottoscrive il Verbale di avvenuta conciliazione che il Giudice, a richiesta della parte interessata, rende esecutivo con proprio decreto. Se, invece, il tentativo non ha successo, la Commissione propone alle parti una “bonaria composizione” della controversia che, se accettata, conclude la procedura. Ove, viceversa, le parti o una tra loro respingano tale proposta, la Commissione riassume nel Verbale di “mancata conciliazione” i termini della controversia, le valutazioni ed il comportamento delle parti e le ragioni per cui hanno accettato o respinto il tentativo di conciliazione. La parte che intende chiedere al Giudice la decisione della controversia “non conciliata”, deve allegare al suo ricorso il verbale e la documentazione dell’avvenuto e non riuscito tentativo di conciliazione, ivi comprese le valutazioni della Commissione sul comportamento delle parti, sulle ragioni del mancato accordo e sui motivi per cui l’una e/o l’altra parte abbiano respinto la proposta di “bonaria composizione” della controversia formulata dalla Commissione stessa. Il Giudice, nel decidere la controversia, deve tener conto di questa documentazione e in particolar modo proprio delle ragioni per cui l’una e/o l’altra parte hanno rifiutato la “bonaria composizione” proposta. Perciò, la parte che rifiuti il tentativo di conciliazione senza solidi motivi, ovvero che ne ostacoli senza buone ragioni il successo, si espone al serio rischio di vedersi dar torto nel successivo giudizio eventualmente proposto dalla controparte, soprattutto ove quest’ultima avesse dimostrato alla Commissione una maggiore “disponibilità conciliativa”. È probabile, perciò, che, venuta meno “l’obbligatorietà” del tentativo di conciliazione, un certo numero di controversie di lavoro, quasi per definizione più alto che in passato, arriverà direttamente alle Aule di Giustizia, senza alcuna preventiva “mediazione in via conciliativa”. Ma è anche probabile che un forse addirittura più consistente numero di lavoratori e datori di lavoro – invece di sbrigare in fretta la formalità del tentativo obbligatorio di conciliazione e di rivolgersi subito al Giudice – davvero decida di affidarsi alle Commissioni di Conciliazione, la cui procedura è rapida e poco o pochissimo costosa e le cui decisioni – che, comunque, ciascuna parte resta libera di accettare o di respingere – una volta rese esecutive dal Giudice, assumono la stessa efficacia sostanziale delle sentenze. L’arbitrato delle controversie individuali di lavoro Il collegato-lavoro ha radicalmente innovato, più di quanto abbia fatto in tema di conciliazione, la disciplina della soluzione arbitrale delle controversie di lavoro. In primo luogo consentendo alle parti che hanno promosso ed accettato il tentativo di conciliazione di concordare, in qualunque fase della procedura conciliativa o al suo termine in caso di insuccesso, l’affidamento alla stessa Commissione di Conciliazione dell’incarico di decidere in via arbitrale ed entro 60 giorni la controversia, eventualmente consentendole di deciderla “secondo equità”. In tal caso, conferiscono alla Commissione non più l’incarico di formulare una proposta conciliativa o di “bonaria composizione” della vertenza, proposta che ciascuna parte può liberamente accettare o respingere, bensì il mandato a formulare un “lodo”, se del caso secondo equità, che tra le parti ha valore di contratto, che ciascuna parte deve per tale rispettare e può impugnare innanzi al Giudice soltanto per ragioni essenzialmente procedurali. Le parti del rapporto di lavoro possono devolvere la decisione delle controversie tra loro insorte anche a collegi arbitrali “irrituali” costituiti “in sede sindacale”, secondo le modalità stabilite dalla contrattazione collettiva. Le parti, infine, possono affidare la decisione delle loro controversie di lavoro ad un Collegio di Conciliazione ed Arbitrato formato da tre componenti, due designati dalle parti in causa ed il terzo presieduto da un terzo componente scelto di comune accordo. Fin qui il lavoratore è libero di “devolvere o meno” ad arbitri la soluzione di una controversia già effettivamente insorta col suo datore di lavoro. Il collegato-lavoro prevede i modi ed i limiti in cui le parti possono reciprocamente obbligarsi a sottoporre alla decisione degli arbitri, magari “secondo equità”, anziché all’accertamento del Giudice del Lavoro, le loro future, eventuali controversie. Non a caso è questo il punto dell’intero collegatolavoro attorno al quale, dentro e fuori il Parlamento, s’è più discusso e polemizzato. Ove, infatti, datore di lavoro e lavoratore sottoscrivano una “clausola compromissoria” non sono più liberi, nel momento in cui tra loro insorga una controversia, di rivolgersi al Giudice, ma sono contrattualmente obbligati a sottoporre alla decisione arbitrale – se previsto, anche secondo equità – la decisione della controversia stessa. Il collegato-lavoro disciplina e sotto diversi profili limita – in accoglimento sia dell’avviso comune sottoscritto sull’argomento da tutte le parti sociali, “autoesclusa” la sola Cgil, sia dei rilievi formulati dal Presidente della Repubblica – le condizioni e le modalità nel cui rispetto il datore di lavoro ed il lavoratore possono validamente stipulare la “clausola compromissoria”, disponendo che tale clausola può essere validamente sottoscritta dalle parti del rapporto di lavoro “solo ove ciò sia previsto da accordi interconfederali o contratti collettivi stipulati dalle Organizzazioni Sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori maggiormente rappresentative sul piano nazionale”. Perciò, se nessun accordo interconfederale o contratto collettivo lo consente, i singoli lavoratori e datori di lavoro non possono stipulare alcuna “clausola compromissoria” che riguardi le loro future controversie, pur se gli uni e gli altri restano naturalmente liberi di decidere – individualmente e nel momento in cui una controversia tra loro effettivamente insorga – se chiederne la decisione all’autorità giudiziaria, ovvero “devolverla” al giudizio arbitrale, se credono anche “secondo equità”. Il “collegato-lavoro” anche prevede che la clausola compromissoria è nulla, ove non sia debitamente e validamente “certificata” dalle apposite Commissioni, istituite e disciplinate dalla “legge Biagi” di settembre 2003. La certificazione dei contratti individuali e collettivi di lavoro La “certificazione” ha lo scopo di accertare la natura del contratto, individuale di lavoro, la rispondenza delle sue clausole, alle disposizioni inderogabili di legge, dei contratti collettivi ed alla “effettiva volontà delle parti”. Il collegato-lavoro ha ancor più valorizzato il ruolo ed esteso l’ambito di efficacia della “certificazione dei contratti”, disponendo che il Giudice sia vincolato sia alla qualificazione del rapporto di lavoro ed alla interpretazione delle clausole contrattuali “certificate”, sia alle “fattispecie tipiche” di giusta causa e di giustificato motivo previste nelle specifiche clausole dei contratti collettivi “certificati”, ovvero dei contratti individuali di lavoro stipulati con l’assistenza delle Commissioni di Certificazio- ne, anche per quanto riguarda le conseguenze del licenziamento illegittimo. Il collegato-lavoro, soprattutto, dispone che le Commissioni di Certificazione debbono accertare, nel momento stesso della sottoscrizione della clausola compromissoria ed a pena di nullità della stessa clausola, che le parti individuali del rapporti di lavoro effettivamente vogliano devolvere ad arbitri, anziché al Giudice del Lavoro, la decisione delle loro future ed eventuali controversie “di lavoro”. Aggiunge, inoltre, che la clausola compromissoria non può in nessun caso riguardare la risoluzione del rapporto di lavoro – e, quindi, l’intera materia del licenziamento – che tale clausola “non può essere pattuita e sottoscritta” durante il periodo di prova del lavoratore, ovvero, se il periodo di prova non è previsto, prima che siano trascorsi almeno 30 giorni dalla sua assunzione e che le parti possono farsi assistere nel procedimento innanzi alle Commissioni di Certificazione da un legale di fiducia o da un rappresentante dell’organizzazione sindacale o professionale alle quali abbiano conferito mandato. “L’atto di certificazione”, quindi, non è sorta di “interpretazione estranea” dei contratti, indipendentemente ed al caso difforme dalla volontà delle parti che li hanno stipulati e sottoscritti. Al contrario, è e soltanto può essere l’obiettivo accertamento della volontà delle parti contraenti, della rispondenza dei contratti collettivi alle disposizioni inderogabili di legge, della “corretta interpretazione” delle relative clausole per come le parti hanno pattuite e formulate, della coerenza del contratto individuale alle norme vincolanti di legge e degli accordi collettivi a quel contratto applicabili. Ciò chiarito, l’intera questione si può così semplicemente riassumere: 1)la contrattazione collettiva o interconfederale può prevedere e disciplinare, l’introduzione nei contratti individuali di lavoro di una “clausola compromissoria” che reciprocamente obblighi le parti a devolvere ad arbitri, anziché sottoporle al Giudice del Lavoro, le loro future ed eventuali controversie; 2)le parti individuali del rapporto di lavoro che intendano stipulare una “clausola compromissoria”, debbono di comune accordo chiederne, a pena di nullità, la “certificazione” ad una delle Commissioni autorizzate a renderla; 3)la Commissione, ove accerti la regolarità della “clausola compromissoria”, ne “certifica” l’efficacia, in caso contrario ne dichiara nullità, di conseguenza impedendo alle parti del rapporto di lavoro di obbligarsi a devolvere ad arbitri le loro future controversie. Conclusioni In conclusione, i contratti collettivi e gli accordi interconfederali ben possono prevedere, autorizzare e disciplinare l’introduzione nei contratti individuali di lavoro della “clausola compromissoria”. Non per questo, tuttavia, le parti individuali del rapporto di lavoro sono obbligate ad inserirla nel contratto tra loro intercorrente. Infatti, la certificazione dei contratti, e della stessa “clausola compromissoria” è per legge “volontaria” e può essere chiesta soltanto di comune accordo tra le parti interessate. Pertanto è certamente dubbio che il lavoratore possa essere costretto a stipulare la “clausola compromissoria”, ma, allo stato della legislazione, è certo che non può essere obbligato a chiederne la certificazione. E, senza certificazione, la “clausola compromissoria” è per legge nulla. Quindi ed oltre ogni polemica, sembrano davvero angusti i limiti in cui il lavoratore può essere “di fatto” obbligato a rinunciare alla tutela giurisdizionale ed a devolvere ad arbitri la decisione delle controversie che dovessero in futuro insorgere col suo datore di lavoro. Tuttavia, la più celere decisione arbitrale può essere anche per il lavoratore “più conveniente”, rispetto al lungo percorso giudiziario, naturalmente a condizione che l’arbitrato non comprometta la effettiva tutela dei suoi fondamentali diritti. La certificazione della clausola compromissoria, può essere a tal fine importantissima, nell’accertare e “certificare” che le modalità, le condizioni ed i limiti della pronuncia arbitrale rispettino il generale principio della “maggior tutela” del lavoratore, “parte debole” del rapporto di lavoro. Mercoledì 17 Novembre 2010 5 Assipan-Confcommercio firma il Ccnl Il contratto è scaduto a dicembre 2009 FORESTALI/UTB Panificazione, Forestali, ritardi contratti unificati su rinnovo Ccnl Mipaaf e Cfs: nuove risorse per il rinnovo DI BARBARA CAMMARATA È stato firmato il 10 novembre il protocollo d’intesa tra Fai, Flai, Uila e Assipan-Confcommercio con cui quest’ultima ha sottoscritto l’accordo di rinnovo del Ccnl del comparto panificazione stipulato con Fiesa-Confesercenti e FippaFederpanificatori il 1 dicembre 2009. Dopo un lungo periodo di difficili trattative, si è finalmente giunti a completare il processo di semplificazione e riunificazione contrattuale avviato più di tre anni fa presso il ministero del lavoro tra Fai-Flai-Uila e le tre associazioni datoriali. Infatti, Assipan, all’inizio di tale percorso, si dichiarava disponibile ad avviare la trattativa di rinnovo del contratto 19 luglio 2005 insieme alle altre organizzazioni imprenditoriali e sottoscriveva, sempre nel 2007, il rinnovo biennale della parte economica, insieme a Fippa e Fiesa, concordando che il processo di armonizzazione dei tre Ccnl avrebbe dovuto completarsi nel 2008. Successivamente però Assipan decise di non firmare il Ccnl unico di settore, interrompendo BARILLA Cassa mutua estesa a tutti i lavoratori Fai, Flai e Uila hanno raggiunto un importante accordo per estendere il fondo sanitario a tutti i lavoratori del gruppo Barilla, compresi quelli assunti a tempo determinato. Fino ad oggi, infatti, solo i lavoratori degli stabilimenti di Parma e Ascoli potevano accedere ai benefici previsti da questo istituto. I circa 4.000 dipendenti di Barilla otterranno così il rimborso delle spese mediche, odontoiatriche e di grandi interventi secondo le regole stabilite dagli organi del fondo che sono eletti dai lavoratori. L’accordo prevede che i lavoratori che aderiscono al fondo verseranno l’1% del salario mensile mentre l’azienda l’1,4%. “Viene così data pratica attuazione a una parte del precedente accordo di gruppo che prevedeva questa opportunità, finalmente ora messa in pratica” ha dichiarato il segretario generale della Uila Stefano Mantegazza. “L’iscrizione alla cassa Barilla è volontaria e l’impresa è impegnata a iscrivere al fondo sanitario nazionale tutti quei lavoratori che non opteranno per la scelta aziendale. Si conferma così, per l’ennesima volta, l’attenzione di Barilla verso la tutela dei propri lavoratori nella vita quotidiana, dentro e fuori l’azienda”. così il processo di unificazione già avviato. Dopo quasi un anno, l’associazione di Confcommercio ha sottoscritto il rinnovo del Ccnl consentendo l’estensione del contratto anche ai lavoratori delle aziende associate ad Assipan. La stessa ha accettato tutte le disposizioni del vigente contratto e si è dichiarata disponibile ad avviare, insieme a Fippa e Fiesa, la fase di stesura di un testo contrattuale unico per tutte le aziende del settore. Per quanto riguarda la parte economica, essendo stato siglato in questi giorni l’accordo, i minimi saranno incrementati in maniera identica rispetto al Ccnl del 1 dicembre 2009 così come identica sarà l’una tantum. Inoltre, le aziende associate ad Assipan pagheranno per intero gli arretrati (€ 50,00 per 13 mensilità) in quattro tranche da corrispondere entro settembre 2011. La Uila esprime grande soddisfazione in quanto la firma di tale protocollo rappresenta una conquista per l’intero settore garantendo a tutti i lavoratori una certezza ed un’ uniformità sia nella parte economica che in quella normativa. DI PIERLUIGI TALAMO N ell’ottobre 2009, gli attivi unitari di Fai Flai e Uila approvarono la piattaforma di rinnovo del contratto dei lavoratori idraulicoforestali, con l’aspettativa di poter iniziare un confronto che portasse in tempi certi alla conclusione della trattativa. Purtroppo così non è stato e il contratto, a quasi un anno dalla sua scadenza, non è ancora stato rinnovato a causa di alcune difficoltà sorte nel corso del negoziato, in particolar modo legate all’incertezza nel reperimento delle risorse economiche necessarie a coprire i futuri aumenti. Com’è noto, infatti, gli ultimi provvedimenti di finanza pubblica hanno imposto pesantissimi tagli alle risorse degli enti locali che hanno determinato un forte impatto negativo anche sul nostro settore. Abbiamo avuto però la capacità, anche grazie ad alcune significative iniziative sui territori decise prima dell’estate da Fai Flai e Uila, di togliere dal tavolo una pregiudiziale che non avrebbe consentito di proseguire la trattativa e abbiamo ripreso il In Italia crescono la miseria e il disagio confronto subito dopo la pausa estiva. Ad oggi abbiamo stabilito di accelerare il più possibile la trattativa con l’intento di chiudere, auspicabilmente, entro i primi di dicembre. Nel merito del confronto abbiamo già consolidato un percorso di condivisione con le controparti su alcuni aspetti importanti della piattaforma che riguardano: la durata triennale, in linea con i rinnovi già firmati, il rafforzamento della bilateralità, la gestione degli appalti, una futura revisione del sistema classificatorio. Resta naturalmente da definire l’aspetto economico. La richiesta fatta è senza dubbio molto onerosa e siamo consapevoli che il percorso che ci porterà a definire il punto di caduta sarà pieno di ostacoli, ma nello stesso tempo siamo convinti che Fai Flai e Uila saranno in grado di costruire un aumento economico soddisfacente e in linea con gli indicatori economici al fine di garantire a tutti non solo la copertura dell’inflazione del periodo ma anche un giusto riconoscimento relativo al troppo tempo trascorso dal momento della scadenza del contratto. Si è svolto il 4 ottobre, presso il Mipaaf, un incontro tra Fai-FlaiUila, il capo di gabinetto Mipaaf e i vertici del corpo forestale dello stato, sulla vertenza dei 1700 lavoratori forestali degli Uffici Territoriali della Biodiversità (Utb) che attendono da 4 anni il rinnovo del contratto di lavoro. Mipaaf e CFS si sono resi disponibili a individuare possibili risorse da destinare al rinnovo del Protocollo aggiuntivo, adempiendo così agli obblighi previsti per la contrattazione di 2° livello. Questa disponibilità, mai emersa finora, è stata valutata positivamente dalle organizzazioni sindacali. Ma il risultato più importante è la decisione del Mipaaf di presentare un emendamento al disegno di legge finanziaria, avendo individuato i fondi da cui attingere le risorse necessarie per concludere positivamente la vertenza. Dopo un lungo periodo di indifferenza da parte dell’amministrazione questo impegno rappresenta una prima risposta ai lavoratori che da anni attendono il rinnovo di un contratto che rappresenta un loro diritto. Iniziativa di De Castro al parlamento Ue Caritas: i poveri 2011 anno contro sono oltre 8 mln sprechi alimentari S ono 8 milioni 370mila i poveri presenti in Italia nel 2009, il 3,7% in più rispetto all’anno precedente. Il dato emerge dal 10° rapporto su povertà ed esclusione sociale in Italia, realizzato e presentato dalla Caritas Italiana e dalla Fondazione Zancan. In particolare, ai 7 milioni e 810mila poveri calcolati dall’Istat, Caritas e Fondazione Zancan aggiungono circa 560mila persone povere relative in più rispetto al 2008. Per povertà relativa si intende l’incapacità di spendere cifre equivalenti o superiori alla spesa media mensile calcolata. Ma i poveri non vivono tutti allo stesso livello di disagio. Esistono infatti coloro che vivono in condizioni di povertà assoluta, considerata come l’incapacità ad accedere ai beni essenziali che consentano uno standard di vita accettabile. Secondo il rapporto, nel 2009, erano 1162 le famiglie considerate povere assolute (il 4% delle famiglie residenti), per un totale di oltre 3 milioni di persone (pari al 5,2% dell’intera popolazione). Mettendo in relazione i poveri in senso assoluto con quelli in senso relativo, emerge che un terzo del totale dei poveri appartiene alla fascia di povertà assoluta, esattamente il 35,8%. A questa ampia fascia di popolazione, si aggiunge un 20% di impo- veriti colpiti dall’aumento della disoccupazione e della cassa integrazione, dal calo del potere reale d’acquisto e dalla disuguaglianza dei redditi. Un fenomeno, quello dell’impoverimento, confermato nel 2009 dal calo dell’11% del credito al consumo e del 13% dei prestiti personali e dal contemporaneo aumento dell’8% della cessione del quinto. La povertà registrata da Caritas e Fondazione Zancan si traduce, nella vita di tutti i giorni in difficoltà a pagare la spesa, il mutuo e le cambiali, evidenziata nel 2009 dal 14% di persone in più rispetto al 2008. Contrariamente ad altri paesi europei, in Italia più alto è il numero di figli maggiore è il rischio di povertà. Il rapporto sottolinea anche un forte squilibrio nelle percentuali di spesa tradotte in servizi piuttosto che in contributi economici veri e propri. Dei 49 miliardi di euro che lo Stato spende ogni anno, infatti, solo il 14% viene investito per attivare servizi duraturi mentre il restante 86% consiste in contributi economici. Nonostante la profonda diversità tra Nord e Sud, in termini di somme spese per l’assistenza sociale, tutto il paese è accomunato dalla possibilità di migliorare i servizi spendendo meno rispetto ad oggi. I l 2010 è stato l’anno europeo della povertà, il 2011 sarà l’anno europeo contro lo spreco alimentare. È la sfida lanciata a Bruxelles il 28 ottobre dal presidente della commissione agricoltura del parlamento europeo, Paolo De Castro al termine della Conferenza “Trasforming food waste into a resource” (trasformare lo spreco alimentare in risorsa), organizzata da Last Minute Market, spin-off dell’Università di Bologna. Portavoce della proposta sarà l’eurodeputato Salvatore Caronna a nome del gruppo socialista e democratico della commissione agricoltura. Il “libro nero” sullo spreco alimentare presentato a Bruxelles da Andrea Segré, professore a Bologna e fondatore di Last Minute Market, rivela che dal 1974 ad oggi lo spreco nel mondo è aumentato del 50%. Negli Usa un quarto degli alimenti finisce in discarica. Nell’Ue, si buttano 179 kg di cibo l’anno a testa: solo in Gran Bretagna 18 milioni di tonnellate (pari a 10 miliardi di sterline); in Svezia ogni famiglia spreca il 25% del cibo acquistato. Una famiglia italiana in un anno butta 515 euro in alimenti che non consumerà, sprecando circa il 10% della spesa mensile. Non vengono utilizzate 20 milioni di tonnellate di alimenti per un valore di 37 miliardi di euro, circa il 3% del Pil italiano. Ogni giorno finisce buttato il 19% del pane, il 4% della pasta, il 39% dei prodotti freschi (latticini, uova, carne e preparati) e il 17% di frutta e verdura. Inoltre ogni anno 240.000 tonnellate di cibo ancora consumabile viene eliminato dalla vendita e gestito come rifiuto. Recuperando il cibo non utilizzato, secondo Segré, si potrebbe dare da mangiare a 44 milioni di persone. “Non c’è una risposta unica allo spreco” ha dichiarato De Castro intervenendo alla conferenza “se non aumentare la consapevolezza. Tutti devono avere la percezione dell’impatto delle proprie scelte personali”. Il confronto al Parlamento europeo è stata l’occasione per sottoscrivere una dichiarazione di intenti, lanciata da Last Minute Market, che si prefigge di arrivare entro il 2025 ad una riduzione di almeno il 50% degli sprechi alimentari. In Italia l’organizzazione ha già attivato numerosi progetti tra cui l’iniziativa di raccolta da parte delle cooperative sociali di quello che resta nei campi senza il ricorso a strumenti agricoli. Secondo Segré il 3% della produzione di frutta resta nei campi e potrebbe trasformarsi in 48 milioni di porzioni di frutta giornaliere. 6 Mercoledì 17 Novembre 2010 A Parigi riunione per fissare le quote pesca per il 2011 Iniziative a favore del settore pesca Tonno, l’Iccat decide Camera approva L’Ue verso la richiesta di riduzione cinque mozioni I l tonno rosso torna alla ribalta dell’attenzione internazionale e nazionale: dal 17 al 27 novembre prossimi si riunirà infatti a Parigi l’Iccat (la commissione internazionale per la conservazione dei tonni dell’Atlantico, composta da 47 stati più l’Ue in rappresentanza di Francia, Spagna, Portogallo, Regno Unito, Italia, Cipro e Malta) per decidere le quote pesca 2011. In vista di tale appuntamento, la commissione europea, su iniziativa della commissaria alla pesca Maria Damanaki, ha proposto il 10 novembre agli stati membri di conferirgli un mandato per negoziare in sede Iccat “una riduzione globale delle quote di pesca”, non meglio specificata. Una proposta che riceverà il via libera definitivo dal consiglio europeo nelle ore immediatamente antecedenti l’apertura del vertice Iccat. Contrari alla posizione proposta dalla Damanaki si erano espressi, lo scorso 26 ottobre, i ministri della pesca di Italia, Francia, Spagna e Malta ed anche il presidente portoghese della commissione Ue, Manuel Barroso aveva espresso delle perplessità. In particolare il ministro italiano Giancarlo Galan aveva dichiarato: “non sono favorevole ad ulteriori riduzioni della quota per il tonno rosso, che non siano suffragate da dati scientifici. I pareri di autorevoli istituzioni come il comitato scientifico Iccat vanno rispettati”. Il comitato scientifico Iccat, senza avanzare richieste di riduzione di quote (così come avvenuto in precedenza), ha semplicemente sostenuto (nel rapporto pubblicato a metà ottobre) che se la quota di pesca restasse ferma a 13.500 tonnellate (come nel 2010) ci sarebbe una probabilità del 60% che lo stock di tonno rosso potrà ricostituirsi entro il 2022. Soddisfatte della posizione assunta dalla commissaria europea sono le associazioni ambientaliste (Wwf e Greenpeace) che chiedono una riduzione della quota di pesca fino a 6.000 tonnellate e di definire delle zone protette in prossimità delle sei aree di GUARDIA COSTIERA INIZIATIVA UE riproduzione del tonno rosso nel Mediterraneo, identificate dal comitato scientifico Iccat. Una di queste zone, in particolare, si trova nelle acque del Mar Tirreno meridionale, tra la Calabria e la Sicilia. Sull’ipotesi di creare queste zone protette si è espresso favorevolmente il ministro Galan, secondo il quale “i santuari sono una modalità assolutamente interessante per la tutela ecologica delle risorse marine viventi. Tuttavia, va approfondita sotto il profilo scientifico la loro effettiva praticabilità in Mediterraneo per una specie altamente migratoria come il tonno”. Per quanto riguarda le catture 2009 nel Mediteraneo, secondo l’Iccat sono state pari a 13.527 tonnellate, di cui 9.468 con il sistema circuizione. In particolare, per singoli paesi, le catture sbarcate sono state (in tonnellate): Francia 3.087, Italia 2.735, Tunisia 1.932, Spagna 1.769, Libia 1.082, Croazia 767, Turchia 665, Grecia 373, Marocco 369, Malta 263, Algeria 262, Korea Rep. 102, Albania 50, Siria 50, Giappone 18, Cipro 2. L a camera dei deputati ha approvato all’unanimità cinque mozioni di maggioranza e di opposizione relative a iniziative a favore del settore della pesca, con particolare riferimento alla cooperazione tra i paesi del Mediterraneo. I testi approvati impegnano, il governo, tra l’altro: “ad intervenire presso gli organi competenti dell’Unione europea affinché la stessa affronti la questione della pesca mediterranea tenendo conto delle esigenze dei paesi rivieraschi, in linea con le conclusioni della conferenza ministeriale di Venezia tenutasi nel 2003; ad operare presso le sedi comunitarie perché l’Italia possa ottenere la possibilità di trattare bilateralmente con i paesi rivieraschi su questioni riguardanti il settore pesca, senza che ciò comporti atti in contrasto con lo spirito delle direttive comunitarie in materia di pesca; a farsi promotore di una conferenza internazionale sulla pesca mediterranea, con la partecipazione di tutti i paesi che si affacciano sul canale di Sicilia e che hanno interesse a forme di cooperazio- MAZARA DEL VALLO EXPORT PRODOTTI ne in tale comparto”. Il governo viene, inoltre, impegnato: “a muovere ogni passo utile affinché la Libia, nello spirito di collaborazione riaffermato con le recenti intese italo-libiche, possa riconsiderare la decisione di estendere il controllo delle acque sino a 72 miglia dalla propria costa, al fine di consentire l’esercizio della pesca in acque internazionali; ad affidare ad istituti di ricerca e ad università specializzate il compito di procedere alla redazione di un dettagliato studio sulle conseguenze economiche sul settore della pesca derivanti dall’applicazione delle direttive comunitarie; ad operare in sede Ue affinché si proceda all’ammodernamento della flotta peschereccia italiana, attualmente tra le più vetuste d’Europa; ad avviare uno studio dettagliato sullo stato dei porti adibiti alla pesca, con specifico riferimento alla sicurezza ed ai servizi forniti alle imprese operanti nel settore della pesca; ad operare a sostegno di quegli istituti scolastici che assicurano la formazione e la professionalità della gente di mare”. CC UILAPESCA Controlli in tutta Italia sulla pesca Costituito Migliorare la sorveglianza il consorzio Lib-Ital dei mari L’Africa si adegua a norme Ue Convocato il 2 dicembre a Roma Sono stati 7.558 i controlli effettuati su tutto il territorio nazionale nell’ambito di una vasta operazione che ha portato al sequestro di 39 tonnellate di prodotto ittico e alla notificazione di 623 sanzioni amministrative per oltre un milione e centomila euro. Questi alcuni dei risultati di questa prima fase dell’operazione, denominata “Talasso”, che ha visto impegnati dal 18 al 24 ottobre ben 4.000 uomini e donne della guardia costiera in controlli all’intera filiera della pesca nei punti di sbarco, grossisti, mercati ittici, pescherie, ristoranti e magazzini di grande distribuzione e altro. Le violazioni accertate sono state 843 di cui 400 riguardanti la mancanza di tracciabilità del pescato; 119 il cattivo stato di conservazione del prodotto ittico; 74 le frodi alimentari; 57 le violazioni contestate per pesca illegale e 56 per pescato sotto la taglia minima. Tra gli episodi particolarmente significativi: un impianto abusivo di mitilicoltura sequestrato a Taranto con la successiva distruzione di 9 tonnellate di cozze e 130 esemplari di tonno rosso sottomisura scoperti dalla capitaneria di Brindisi a bordo di due pescherecci della marineria di Riposto. La commissione europea ha presentato il 21 ottobre un’iniziativa per migliorare l’efficienza e la solidità economica della sorveglianza dei mari europei. In una tabella di marcia, la commissione spiega come riunire le autorità competenti per tutti i settori marittimi degli stati membri interessati per consentire lo scambio di dati relativi alla sorveglianza marittima, oggi in possesso di varie autorità come le guardie costiere, le autorità per il controllo del traffico, i controlli ambientali, la prevenzione dell’inquinamento, la pesca, il controllo delle frontiere, le autorità fiscali e di polizia. Un tale miglioramento permetterebbe di affrontare in modo più efficiente e immediato le emergenze che si verificano in mare. La tabella di marcia per la creazione di un sistema comune per la condivisione delle informazioni (Cise) ai fini della sorveglianza del settore marittimo dell’Ue costituisce un’iniziativa nell’ambito della politica marittima integrata Ue. Lo scambio elettronico di informazioni marittime tra settori e paesi avverrà grazie a un sistema digitale di scambio di dati basato su strumenti moderni e sicuri di telecomunicazione. Sette paesi dell’Africa dell’Ovest (Mauritania, Senegal, Gambia, Guinea Bissau, Guinea, Sierra Leone e Capo Verde) si sono riuniti per mettere a punto un nuovo regolamento per migliorare la qualità dei prodotti delle pesca e tutti gli operatori del settore sono stati informati delle disposizioni e delle misure da prendere affinché i prodotti possano arrivare sul mercato europeo. Questi paesi, inoltre, stanno cercando di armonizzare le loro norme, viste le differenze ancora esistenti tra stato e stato. Ne da notizia l’agenzia Agi-afro che spiega come il settore della pesca rappresenti un settore strategico per i paesi della regione e come l’Unione europea sia il principale mercato di esportazione. Esistono, tuttavia, delle norme sanitarie Ue che debbono essere rispettate. Per questo gli Stati dell’area stanno mettendo a punto riforme per adeguarsi alle norme sanitarie europee. I paesi stanno anche cercando di rafforzare le loro capacità amministrativa al fine di rendere le esportazioni dei prodotti della pesca rispondenti alle norme Ue. In Mauritania, ad esempio, la pesca contribuisce per il 30% al budget dello stato e assicura il 50% delle esportazioni. È stata convocata nei giorni di giovedì 2 e venerdì 3 dicembre prossimi la riunione del comitato centrale della Uilapesca. La riunione si svolgerà a Roma e sarà l’occasione per discutere numerosi argomenti e i diversi problemi che riguardano attualmente il settore, oltre che per fare il punto sullo stato e sulle prospettive dell’organizzazione che continua a crescere in tutto il paese. I lavori saranno aperti, nel pomeriggio del 2 dicembre, dalla relazione del segretario generale Guido Majrone cui seguirà il dibattito. Il dibattito proseguirà il giorno successivo e sarà integrato da una comunicazione della segreteria nazionale sulle attività internazionali e di ricerca della Uilapesca. Seguirà la replica del segretario generale con la quale si chiuderanno i lavori. Data l’importanza dei temi trattati e la delicatezza dell’attuale fase politico-economica si raccomanda a tutti i membri del comitato centrale la massima puntualità. Si è costituito il 12 ottobre a Mazara del Vallo, su iniziativa di Federpesca, il consorzio Lib-Ital per lo sviluppo dell’economia ittica libica. Ne fanno parte, oltre a Federpesca, 4 organizzazioni di produttori riconosciute e operanti a Trapani, Mazara del Vallo, Marsala e Porticello che annoverano circa 300 navi da pesca. Il Consorzio, che resta aperto all’adesione di tutte le imprese del comparto pesca, siciliane e non, si prefigge di valorizzare la pesca nella sua dimensione economica e sociale, favorendo le relazioni tra Italia e Libia e sviluppando un progetto di integrazione attraverso il reciproco coinvolgimento nella gestione di stock ittici condivisi e la messa in campo di iniziative comuni. “Crediamo sia la strada giusta per creare occasioni di sviluppo per le nostre imprese e per quelle dei nostri amici libici” ha dichiarato Luigi Giannini direttore Federpesca che è stato nominato amministratore unico del consorzio “in modo che le cronache non debbano occuparsi solo di incresciosi episodi in mare tra pescherecci italiani e motovedette libiche, ma possano testimoniare dello spirito imprenditoriale e dell’amicizia tra due popoli, uniti e non divisi dal mare”. Pagina realizzata con il contributo del Ministero per le politiche agricole, alimentari e forestali Mercoledì 17 Novembre 2010 7 L’impianto di Lecce sarà riconvertito verso altre attività Nuove prospettive per Solagrital coop Bat, garantito il lavoro Il gruppo Arena Ma il tabacco italiano finirà all’estero DI PIETRO PELLEGRINI C hi poteva immaginare che un giorno non si sarebbero più prodotte sigarette in Italia? Purtroppo, invece, lo stabilimento Bat di Lecce, l’ultimo ex Aams, smetterà di produrre sigarette e, così, salvo la manifattura di Chiaravalle, nessuno farà più sigarette in Italia. Dal 1 settembre, le segreterie nazionali Fai-Flai-Uila con il coordinamento nazionale delle Rsu, hanno più volte incontrato la dirigenza aziendale, senza successo. Il tavolo di confronto con il governo, chiesto e ottenuto presso il ministero dello sviluppo economico, è stato l’ultimo tentativo di far recedere l’azienda dalla decisione presa. In ogni sede, la multinazionale ha ribadito la scelta di cessare la produzione di sigarette, sostenendo che i suoi stabilimenti europei hanno una capacità produttiva in eccesso di 40 mln Kg, che il mercato italiano ha registrato nell’ultimo triennio un calo di volumi pari a 15 mln di kg, e che i costi di produzione di Lecce sono superiori del 25% rispetto alle altre manifatture europee del gruppo. A niente è servito l’intervento del governo presso la Bat di Londra che ha confermato la sua decisione e la piena fiducia nei confronti del management italiano che si sta adoperando per la riconversione industriale del sito leccese. L’azienda ha presentato al ministero un piano di riconversione industriale, garantendo piena occupazione per i 272 dipendenti diretti e per le 125 unità non dipendenti Bat che operano nello stabilimento con trasformazione, per tutti, dei contratti da tempo determinato a indeterminato. Il ministero, oltre alla verifica internazionale sopra descritta, si era anche impegnato a incontrare le società interessate a rilevare il sito, verificare il progetto industriale e le compatibilità finanziarie ed esprimere un giudizio di merito che è stato positivo. Le aziende in questione sono: Jacobucci HF (componentistica aerea) e la “Korus” (profilati di alluminio). Si tratta di aziende leader nei propri settori di competenza ma che intendono puntare sul Sud e investendo tra i 5 e 10 mln di € per avviare nuove attività. Le società riassumeranno Un settore vitale con oltre 40.000 addetti Acque minerali, guerra dannosa DI I RAFFAELLA SETTE l settore delle acque minerali continua ad essere soggetto ad attacchi mediatici per disincentivarne il consumo. Negli ultimi mesi sono state, infatti, diffuse informazioni ingannevoli per il cittadino consumatore sulle caratteristiche e le proprietà delle acque minerali che vengono impropriamente e strumentalmente paragonate con l’acqua potabile. Oggi, siamo arrivati ad un autolesionismo disperato che mette a rischio un settore già duramente provato dalla crisi economica e che rischia di creare nuovi disoccupati. Nel nostro paese sono circa 40.000 gli addetti al settore che, da un giorno all’altro, vedono il proprio posto di lavoro compromesso da qualcuno che ha iniziato a remargli contro. L’acqua minerale è una importante risorsa economica ed occupazionale per il nostro paese. Considerando che ogni italiano beve in media all’anno 193 litri di acqua minerale, l’Italia risulta essere il primo consumatore in Europa e terzo nel mondo. Ma le nostre acque minerali sono, inoltre, un segno forte e distintivo del Made in Italy visto che ne esportiamo all’estero più di 1 miliardo di litri. Perdere tutto questo sarebbe più che traumatico e la Uila si è da subito impegnata fortemente per contrastare certe scelte scellerate. Nessuno vuole mettere le mani in tasca ai consumatori, ma con una corretta informazione ognuno è in grado di scegliere e spendere quel che vuole. Il paragone dell’acqua minerale con quella del rubinetto è assolutamente impropria: l’acqua a “chilometri zero” sarà pure buona ma non altrettanto sicura. I rubinetti spesso rilasciano sostanze chimiche anche pericolose, mentre l’acqua minerale è sottoposta a controlli tali per cui è sempre pura dal punto di vista batteriologico. Per la Uila non c’è dubbio. Si tratta di una battaglia che non ha senso. E allora, se l’intento è risvegliare nei cittadini italiani quel dimenticato senso etico di sostenibilità ambientale, sarebbe più opportuno fare ben altro tipo di campagna promozionale. Se vogliamo acqua a chilometri zero allora facciamo si che in ogni territorio venga valorizzata l’acqua locale. Il nostro paese è ricco di fonti, grandi e piccole da cui si imbottigliano 300 marche diverse, importanti e sconosciute. Impariamo allora a consumare l’acqua del nostro territorio, anche se a qualcuno può risultare sconosciuta. Così beviamo sicuro, difendiamo l’ambiente e sosteniamo pure l’economia locale. tutto il personale dipendente da Bat che sarà interessato da una formazione professionale mirata al nuovo tipo di lavoro che dovranno svolgere. I lavoratori interinali e degli appalti saranno, invece, ricollocati a tempo indeterminato in nuovi appalti o in un call-center, la società “Call-Gest”, che già gestisce cinque centri di call-center in Italia (clienti Enel, Telecom, Wind, Sky). Il ministero ha espresso parere positivo alla riconversione che, dal punto di vista occupazionale, garantisce che nessun posto di lavoro verrà perso. In un prossimo incontro al ministero, Fai-Flai-Uila e il coordinamento nazionale Rsu incontreranno i nuovi imprenditori per verificare il piano industriale che verrà presentato e la sostenibilità a lungo termine dell’investimento. Siamo certi che troveremo le soluzioni occupazionali per tutti, ed è la cosa che ci interessa prioritariamente, ma resta comunque l’amaro in bocca nel vedere il patrimonio ex Aams del tutto sgretolato e nel pensare che da domani l’Italia produrrà tabacco e lo manderà all’estero per essere lavorato. cambia proprietà DI MARIA LAURENZA D urante l’incontro, richiesto dalle segreterie nazionali di Fai, Flai e Uila, che si è tenuto presso la regione Molise il giorno 2 novembre è stato annunciato ufficialmente il passaggio di proprietà del gruppo Arena, storica azienda molisana, leader nei settori surgelati e carne fresca e proprietaria di importanti marchi, come pollo Arena e Arena surgelati, con stabilimenti produttivi in diverse regioni italiane e diversi paesi europei. Con l’addio dell’imprenditore Dante Di Dario che lascia dopo 15 anni di attività, la proprietà del gruppo Arena passa a una cordata di imprenditori del nord, tra i quali spicca uno dei protagonisti della new economy italiana Adrio De Carolis, attualmente presidente della DMail. Dopo tutte le iniziative prese negli ultimi anni con l’obiettivo di garantire la continuità e la stabilità produttiva, l’ingresso della nuova proprietà potrebbe rappresentare una svolta importante anche per Solagrital, cooperativa molisana di alleva- tori di pollame fornitori di Arena, con sede a Bojano. Nel corso degli ultimi anni, infatti, questa realtà industriale, molto importante per il territorio molisano, ha vissuto una situazione di crisi come riflesso della crisi generale del gruppo Arena. La storia della cooperativa è stata segnata dalla presentazione e condivisione del piano industriale nel dicembre 2008 e da una serie di incontri istituzionali, che hanno teso a portare al consolidamento di questa realtà industriale e alla normalizzazione del sito. Nel corso dell’incontro, la regione Molise ha riaffermato con forza la propria volontà di continuare a garantire il proprio appoggio al sito sostenendo che ognuna delle parti coinvolte deve intervenire per la propria parte di competenza, per scongiurare preoccupanti ripercussioni sull’occupazione. I prossimi mesi saranno utili per capire se il nuovo assetto può davvero mettere la parola fine ad un periodo difficile e se si potrà guardare davvero positivamente al futuro, attraverso un effettivo rilancio del sito di Bojano. 8 Mercoledì 17 Novembre 2010 I direttivi Fai-Flai-Uila approvano “linee guida” sui rinnovi di 2° livello nell’industria alimentare Piattaforme unitarie entro dicembre Serve coinvolgere i lavoratori e un grande sforzo negoziale rosegue l’attività di Fai, Flai e Uila in vista dell’apertura della stagione dei rinnovi contrattuali di secondo livello nel settore dell’industria alimentare. Dopo l’assemblea nazionale dei delegati Uila del settore (svoltasi a Milano il 28-29 settembre ed alla quale hanno partecipato oltre 500 tra quadri, delegati e dirigenti nazionali e provinciali dell’organizzazione), lo scorso 18 ottobre a Roma si sono riuniti i direttivi unitari di Fai, Flai e Uila che hanno discusso e approvato un documento unitario contenente delle “linee guida” verso cui si dovrà orientare il lavoro decentrato delle federazioni territoriali, in vista della presentazione delle piattaforme di rinnovo. Pubblichiamo di seguito il testo integrale del documento approvato. sotto il profilo dei contenuti normativi e dei sistemi salariali incentivanti, legati a parametri di variabilità o ad elementi di produttività e di efficienza produttiva,. sia sotto quello del negoziato a livello di Coordinamento Nazionale e di singole unità produttive, estendendo questo modello contrattuale ai gruppi d’impresa di nuova e meno nuova costituzione che ne sono tuttora privi. FAI, FLAI e UILA assumono il CCNL unitariamente sottoscritto il 22 settembre 2009 come “punto cardine di riferimento” per i prossimi rinnovi di Gruppo e per l’intera contrattazione di secondo livello dell’industria alimentare e sono, di conseguenza, impegnate: SISTEMA DI RELAZIONI Il passaggio ad una contrattazione più partecipativa, richiede un salto di qualità in termini di avvicinamento del processo contrattuale al processo decisionale dell’impresa, secondo un sistema di relazioni e contrattuale continuativo. La relazione continua è finalizzata alla condivisione di una maggiore conoscenza e trasparenza ed alla possibilità di individuare obiettivi comuni e condivisi, al cui conseguimento finalizzare gli atti contrattuali. Occorre migliorare quindi l’efficienza dei “sistemi di informazione e di consultazione” di Gruppo, per sperimentare forme di “confronto preventivo” sulle strategie industriali e finanziarie, per arricchire ed approfondire l’interlocuzione tra i Coordinamenti Nazionali ed i responsabili dell’impresa, per fornire ai Coordinamenti Nazionali specifiche informazioni sull’attività dei CAE. Va data attenzione alla questione ambientale che porta con sé scelte per l’uso sempre più efficiente delle risorse energetiche, delle materie prime impiegate e del rapporto azienda – territorio che rappresentano ormai le variabili decisive della competizione economica ed industriale del prossimo futuro. Il tema della responsabilità sociale d’impresa è importante anche per noi, in quanto connesso con lo sviluppo sostenibile e perciò non va lasciato all’unilateralità delle imprese, ma deve essere recuperato tra le materie di informazione e consultazione preventiva, poi condiviso e verificato rispetto alla sua realizzazione effettiva. Quello dello sviluppo sostenibile è l’asse intorno al quale coniugare sempre di più crescita economica, ambiente e lavoro. P 1) in applicazione della Nota all’art. 5 del CCNL, a diffondere la contrattazione integrativa alle aziende ed alle realtà produttive che ne sono ancora prive, ad estenderla ai luoghi di lavoro, al territorio, ai distretti ed ai settori produttivi, presentando in tutte le realtà specifiche piattaforme che, assieme alle richieste salariali, valorizzino il ruolo degli Enti Bilaterali territoriali, previsti dal contratto, rafforzino le misure per la sicurezza del lavoro, estendano gli interventi a sostegno della professionalità dei lavoratori; 2) ad elaborare un progetto unitario per la preparazione e la negoziazione, almeno in alcune aree territoriali, di piattaforme di distretto e di sito in comparti specifici, come ad esempio la trasformazione del pomodoro, la lavorazione delle carni ed altre sperimentazioni che potranno essere attivate; 3) a valorizzare la “qualità sociale” della contrattazione integrativa, rafforzando gli istituti ed ampliando gli interventi del “welfare contrattuale” regolato dal CCNL e basato sull’Ente Bilaterale di Settore, sul Fondo Sanitario Integrativo Nazionale, sulla Cassa Rischio Vita e su Alifond; 4) a confermare la validità ed a rafforzare la struttura degli Accordi di Gruppo, sia FAI, FLAI e UILA valutano positivamente gli esiti qualitativi e quantitativi dei precedenti rinnovi di Gruppo e ritengono che tali esiti possano e debbano essere ulteriormente sviluppati, indicano quindi in questo documento gli ambiti e le materie sulle quali dare vita alle piattaforme per il rinnovo dei contratti di 2° livello. Esso va declinato attraverso l’efficienza ambientale dei processi produttivi e dei prodotti puntando alla diminuzione delle emissioni di CO2, all’efficienza energetica, all’eco efficienza dei materiali e delle costruzioni, a nuove infrastrutture di servizi ambientali nella gestione di acqua e rifiuti e di reti energetiche rinnovate tecnologicamente. Sono questi nuovi capitoli che possono valorizzare l’azione sindacale nelle relazioni aziendali e territoriali. OCCUPAZIONE Rendere più organiche ed efficienti le tutele contrattuali delle “figure e posizioni deboli” del lavoro alimentare, in primo luogo dei lavoratori stagionali ed a vario titolo precari, e consolidando la struttura dell’occupazione, tramite l’estensione del sistema delle cosiddette “vasche comunicanti” tra rapporti di lavoro stagionali, a termine, a tempo parziale ed a tempo pieno ed indeterminato. Una via nuova è l’uso consapevole delle risorse negoziali in funzione dell’occupabilità, intesa come attitudine alla ricollocazione e mobilità delle persone nel mercato del lavoro interno ed esterno all’azienda e al miglioramento delle competenze dei lavoratori. È questo un terreno particolarmente fertile, in quanto il consolidamento e l’estensione dei Fondi Interprofessionali rendono possibili accordi aziendali senza oneri particolari per le aziende. Non è una negoziazione semplice, ma può offrire risposte ed interessare tutti i lavoratori, dalle fasce più professionalizzate alle persone con qualifiche non elevate e meno giovani, dotando i lavoratori di un “libretto individuale della professionalità acquisita”. È una via che necessariamente s’intreccia con le politiche delle Regioni nella formazione e mercato del lavoro, ed offre ruolo e sinergie all’azione sindacale. SVILUPPO PROFESSIONALE Diffondere gli accordi sullo “sviluppo professionale” fondati su meccanismi concordati di miglioramento della professionalità per “steps retributivi”, assieme agli interventi formativi, anche “continui” e destinati ai singoli lavoratori, direttamente collegati all’innovazione delle tecnologie e dell’organizzazione del lavoro. WELFARE CONTRATTUALE È necessario, anche nell’ambito dei negoziati di “armonizzazione o confluenza” dei Fondi Sanitari aziendali esistenti, ribadire e verificare il rispetto da parte delle imprese dell’obbligo di iscrivere al Fondo Sanitario Nazionale ed alla Cassa Rischio Vita, versando la corrispondente contribuzione, tutti i dipendenti che ne abbiano diritto secondo il CCNL. LAVORATORI MIGRANTI In presenza di lavoratori migranti vanno previsti corsi di apprendimento della lingua italiana e dovrà essere verificata l’applicazione delle norme relative ai riposi, ai congedi, alle ferie per facilitare il ritorno nei paesi di origine. SICUREZZA Occorre inserire nelle piattaforme l’obiettivo di “infortuni e malattie professionali zero”, mirando a realizzare il miglioramento continuo della salubrità dei luoghi di lavoro, armonizzando al meglio le risorse e le condizioni in essere nei diversi contesti lavorativi. In attuazione di quanto previsto dall’articolo 2, comma 1. lettera O) del Testo Unico, occorre prevedere sedi ed occasioni di confronto non solo sui dati infortunistici, ma soprattutto sulle condizioni di sicurezza del lavoro e sulle relazioni tra procedure antinfortunistiche, organizzazione del lavoro e carichi di lavoro. Occorre promuovere, sostenere e stimolare sul territorio e nelle realtà lavorative gli RLS e RLST, creando momenti di crescita culturale sul tema e favorendo l’attività di scambio e relazione continua tra loro, facendoli sentire parte integrante dell’agire sindacale. Un protagonismo nuovo deve chiamare le strutture sindacali sul territorio ad avviare e stabilire rapporti costanti di confronto, dialogo e azione congiunta con le istituzioni prioritariamente impegnate sul tema come l’Inail, le Asl, gli Ispettorati del lavoro e le Regioni. La rappresentanza e, non ultima, la formazione (non solo quale strumento di sviluppo di conoscenza, ma di competenza efficace e rafforzamento delle responsabilità a tutti i livelli, dall’alta direzione ai lavoratori/ici,) devono quindi ritrovare un’attenzione centrale e costante nelle priorità d’azione negoziale nei luoghi di lavoro e sul territorio, convenendo con le imprese l’estensione delle competenze degli RLS alle problematiche ambientali e dello sviluppo sostenibile. PARI OPPORTUNITA’ Devono essere rafforzati ed estesi i percorsi formativi finalizzati al reinserimento al lavoro delle lavoratrici e dei lavoratori che rientrano dai periodi di congedo parentale o dall’astensione dal lavoro per maternità, prevedendo specifiche forme di flessibilità nell’orario di entrata e di uscita per i genitori di bambini fino a tre anni di età e verificando la possibilità di istituire asili nido aziendali. SALARIO DI 2° LIVELLO Le richieste salariali devono essere modulate a seconda delle particolari condizioni dei diversi Gruppi, elevando gli importi del “Premio ad Obiettivi” relativamente più bassi, privilegiando gli indicatori gestionali di sito, più controllabili da parte delle RSU, rispetto a quelli economici e di redditività di Gruppo, valorizzando le voci e gli istituti della retribuzione contrattata in azienda e sul territorio e perciò, “assoggettabili” alla tassazione agevolata con vantaggi fiscali e contributivi. La costruzione dei Premi ad Obiettivi, oltre ad incentivare l’acquisizione di ulteriori nuovi risultati, deve riconoscere e valorizzare i risultati stabilmente acquisiti. CONCLUSIONI La contemporanea scadenza a fine anno di molti ed importanti Accordi di Gruppo, i cui rinnovi avranno durata triennale e non più quadriennale, impone a tutte le strutture sindacali, dalle Segreterie Nazionali e Territoriali fino alle RSU, uno “sforzo negoziale” praticamente senza precedenti, il cui successo dipende dal continuo e convinto coinvolgimento dei lavoratori nella formazione delle piattaforme e nella gestione delle trattative, la cui “credibilità” sarà largamente misurata dalla capacità di FAI, FLAI e UILA di riuscire a presentare entro la fine del 2010 tutte le piattaforme per il rinnovo degli Accordi di Gruppo in scadenza al prossimo 31 dicembre, di condurre unitariamente e di concludere tempestivamente i relativi negoziati, la cui sede fondamentale è e resta il Coordinamento Nazionale di ciascun Gruppo ed i cui esiti devono essere discussi, valutati ed approvati dalle assemblee dei lavoratori interessati.