Da giovedì 14 a domenica 17 novembre 2013
SUGAR
A QUALCUNO PIACE CALDO
di Billy Wilder e I. A. L. Diamond
tratto da una storia di Robert Theoren
con JUSTINE MATTERA,
CHRISTIAN GINEPRO, PIETRO PIGNATELLI
musiche Jule Styn, liriche di Bob Merrill, libretto di Peter Stone
regia Federico Bellone
La versione “musical” del celebre film del 1959 diretto da Billy Wilder “A qualcuno piace caldo” rappresenta
uno dei titoli più esilaranti del genere teatrale, pur non essendo nato direttamente per il palcoscenico. La
sceneggiatura, che si presta in modo particolare a un adattamento teatrale, ed il riferimento alla musica
jazz (infatti da una battuta del film si evince che l’aggettivo “caldo” del titolo è proprio dedicato a questa
tipologia melodica), sfociano spontaneamente in quella che è una commedia musicale dalla struttura
impeccabile. Questa nuova versione italiana dello spettacolo vuole riportare in primo piano i dialoghi e le
situazioni irresistibilmente comiche del film e la sensualità leggendaria del mito di Marilyn Monroe, anche
grazie alla celebre canzone “I Want To Be Loved By You”, come se il tutto provenisse direttamente dal film
in bianco e nero e che, come per magia, diventasse realtà. L’espediente sarà infatti una particolare tecnica
illusionistica, nota nel passato in Italia con il nome di Fregoligraph, in onore del famoso trasformista italiano
Leopoldo Fregoli, che permette a interpreti in carne ed ossa di passare dalla proiezione su uno schermo alla
realtà in palcoscenico e viceversa. La scenografia, quindi, avrà una connotazione di bianco-nero-grigio
elegante e nostalgica, “rituffando” il pubblico come all’interno della pellicola. Per i costumi, invece, in onore
al genere “musical” stesso e alla volontà iniziale del regista Billy Wilder e dell’attrice Marilyn Monroe di
girare “A qualcuno piace caldo” a colori, saranno appunto coloratissimi e luccicanti. Le luci strizzeranno
l’occhio allora anche alla fotografia delle pellicole anni ’50, e la fonica non vorrà dimenticare quindi gli
effetti sonori propri del cinema. Infine coreografie “ruffiane”, comiche e sexy sul trascinante ritmo dei
ruggenti anni ‘20 vorranno completare il quadro di una commedia dai toni esilaranti, facendo sì che il
pubblico, all’uscita del teatro, oltre a un grande sorriso e a qualche postumo ridanciano, batta anche il
tempo e fischietti qualche melodia di un irresistibile “Caldo” Jazz. Justine Mattera, che ha debuttato nel
mondo dello spettacolo italiano grazie alla sua particolare somiglianza con Marilyn Monroe, e date le sue
molteplici esperienze nel mondo del musical, ci è subito sembrata l’interprete ideale per la dolce e ingenua
Sugar Kane, Zucchero Candito.
Mentre Christian Ginepro e Pietro Pignatelli, due veterani del teatro musicale italiano, reduci da
straordinari successi come “Grease”, “Sette spose per sette fratelli”, “Pinocchio”, “Vacanze Romane”,
“Peter Pan” e “Il giorno della tartaruga” di Garinei e Giovannini, ci assicurano una verve e una
professionalità nel canto, nella recitazione e nella danza, per dar vita rispettivamente a un Jack Lemmon e a
un Tony Curtis italiani travolgenti. Le ballerine-cantanti-attrici sono state selezionate tramite una severa
audizione, che, oltre a tenere conto delle qualità tersicoree, liriche e drammatiche, ha premiato la bellezza,
perché anche l’occhio vuole la sua parte; così come il resto degli interpreti sono stati scritturati puntando
alla qualità. Pertanto sedetevi sulle poltrone di questo “cinema” magico, perché un grande film sta per
attraversare lo schermo e diventare realtà davanti ai vostri occhi sulle note di canzoni famose, per regalarvi,
speriamo, una serata di grandi risate e belle emozioni.
Da giovedì 28 novembre a domenica 1 dicembre 2013
VARIAZIONI ENIGMATICHE
di Éric Emmanuel Schmitt
con SAVERIO MARCONI e GIAN PAOLO VALENTINI
traduzione Saverio Marconi, Gabriela Eleonori
regia Gabriella Eleonori
Saverio Marconi torna in scena come attore e sceglie Schmitt - con cui ha collaborato per l'edizione
francese del musical "Nine" diretta alle Folies Berge're - e le sue "Variazioni enigmatiche", già straordinario
successo di pubblico e di critica in Europa (in Francia e' stata interpretata da Alain Delon, in Inghilterra da
Donald Sutherland).
Il titolo dell'opera fa riferimento a Enigma Variations, composizione del musicista inglese Edward Elgar,
quattordici variazioni su una melodia che sembra impossibile da riconoscere, così come Schmitt sembra
concepire il rapporto tra gli esseri umani come qualcosa che possiamo solo intuire. Un testo mai
prevedibile, che alterna sentimenti con drammatici colpi di scena, in cui l'ironia più tagliente si trasforma in
commozione, la tenerezza in folle crudeltà.
È la storia del confronto disperato fra due uomini, Abel Znorko - misantropo, Nobel per la letteratura che si
e' ritirato a vivere da eremita in un'isola sperduta del mare della Norvergia, vicino al Polo Nord (ma
conserva un intenso rapporto epistolare con la donna amata) - e Erik Larsen, sconosciuto giornalista cui lo
scrittore concede un'intervista. L'incontro, tra ferocia e compassione, si trasforma in una sconvolgente
scoperta di verità taciute e dell'illusione in cui i due si sono calati.
La scenografia, curata da Carla Accoramboni, segue l’idea di una scena sospesa, una casa che ha pareti ma
non ne ha, come l’isola dove si svolge la storia, il cui disvelamento graduale è un capolavoro di letteratura
teatrale. Anche il disegno luci, firmato da Valerio Tiberi, giocherà un ruolo fondamentale, ricreando
all’interno un ambiente intimo e caldo ed evocando invece il gelido crepuscolo artico che filtra dall’esterno.
La scelta di affidare a Gabriela Eleonori la regia nasce dalla volontà di una prospettiva femminile nella
lettura di una storia in cui una donna, con la sua assenza, è comunque protagonista.
“Dopo anni, ho ricevuto centinaia di lettere che ponevano tutte la stessa domanda: cosa succede dopo
l’ultima battuta!
1) non lo so altrimenti avrei continuato la storia.
2) ho scritto questa storia affinché mi venga posta questa precisa domanda ed io possa non rispondere.
Credo che un testo non si limiti al piacere e al momento della rappresentazione. Deve disturbare,
sollecitare lo spettatore con questioni e domande sulla rappresentazione e sul testo. Spesso gli spettatori
mi hanno raccontato il seguito di Variazioni Enigmatiche: in realtà non raccontavano una storia, ma se
stessi. Mi trasmettevano le loro umane sensazioni su questa strana storia d’amore. E solo questo era il mio
fine.” Éric-Emmanuel Schmitt
Da giovedì 12 a domenica 15 dicembre 2013
IL DISCORSO DEL RE
di David Seidler
con LUCA BARBARESCHI, FILIPPO DINI
regia Luca Barbareschi
“Il discorso del re” per me si inserisce nel filone nel quale il teatro resta soprattutto un inno alla voce e
all’importanza delle parole. La vicenda è ambientata nel XX secolo quando i mezzi di comunicazione di
massa assumevano un’importanza capitale per il vivere quotidiano del cittadino, quando poche parole del
Re via radio potevano donare un briciolo di rassicurazione alla povera gente, specie durante i conflitti
bellici.
Tutta la vicenda è costituita da una incessante partitura dialettica che ricorda la necessità di adoperare le
giuste parole da parte del potere, e forse proprio in questa epoca storica è una lezione che andrebbe
ripetuta sovente, anche perché una storia acquista maggior valore se tramandata ai posteri attraverso un
persuasivo impianto oratorio.
La commedia è ambientata in una Londra surreale, a cavallo tra gli anni 20 e 30, ed è centrata sulle vicende
di Albert, secondogenito balbuziente del Re Giorgio V. Si parte dai fatti storici per addentrarsi in un dramma
personale, senza abbandonare mai la Storia, che non è fondale sottofondo ma è presenza imprescindibile di
ogni istante della commedia al fianco dei protagonisti.
Recentemente ne è stato fatto un film di grande successo pluripremiato con gli oscar ma in origine nasce
come testo teatrale. Il discorso del Re sfrutta l’aspetto psicofisico della disarticolazione verbale per
raccontare il rapporto tra il Paese colono e l’Impero per cui sacrifica i propri figli in guerra e dimostra come
aneddoti nascosti nelle pieghe della Storia possano elevarsi alla potenza dell’epica, se narrati con perizia e
ritmo. Il merito è dello sceneggiatore David Seidler (Tucker. Un uomo e il suo sogno di Francis Ford
Coppola), che nella sua vita ha sofferto di balbuzie. Una commedia umana, sempre in perfetto equilibrio
tra toni drammatici e leggerezze, ricca di ironia ma soffusa di malinconia, a tratti molto commovente, ma
capace anche di far ridere. Non di risate grasse o prevedibili, ma di risate che nascono dal cervello e si
trasmettono al cuore. Così come le lacrime non nascono da un intento ricattatorio ma dall’empatia, da una
condivisione sentimentale di difficoltà umane.
E’ una bellissima storia sul senso di responsabilità e sulla dignità del ruolo, anche quando tale ruolo non è
atteso né desiderato, sulla solidarietà familiare e sulla forza di volontà che permette di superare ostacoli
apparentemente insormontabili. Albert, è il minore dei figli di Giorgio V e soffre di una pronunciata
balbuzie, che è il lascito di un’infanzia poco amata, trascorsa nelle mani di una bambinaia che lo detesta,
mortificata dall’imposizione di apparecchi ortopedici e dalla correzione del mancinismo. La balbuzie lo
rende poco adatto al suo ruolo istituzionale in un’epoca in cui la radio comincia a modificare i rapporti fra il
potere ed il popolo comune. Forse perché la famiglia reale gli è sempre apparsa piuttosto una “ditta”, dopo
una gioventù dissipata al traino del fratello maggiore brillante e gaudente, si è formato una famiglia basata
sull’amore e la solidarietà con una donna che non aspira alle luci della ribalta, ma che sarà perfettamente in
grado di sostenerlo nei momenti difficili e di assumersi lei stessa responsabilità più grandi del previsto.
Eccellente, preciso, determinante il peso che ha ciascun personaggio della commedia che oltre ai due
protagonisti (Albert e Logue) riesce a rappresentare sapientemente il risvolto umano, psicologico, storico di
tutti gli altri personaggi, la cura e la massima attenzione ai costumi ed alla scenografia renderanno a pieno
la ricostruzione di tempi, ambienti ed atmosfere.
Da giovedì 9 a domenica 12 gennaio 2014
EVA CONTRO EVA
di Mary Orr
con PAMELA VILLORESI e ROMINA MONDELLO
e con Luigi Diberti, Massimiliano Franciosa,
Maurizio Panici, Silvia Budri Da Maren, Giulia Weber
regia Maurizio Panici
Per la seconda stagione torna in scena, nell’edizione prodotta da Associazione Teatrale Pistoiese/Artè
Teatro Stabile d’Innovazione in collaborazione con Fondazione La Versiliana, “Eva contro Eva” di Mary Orr,
titolo cult del ‘cinema sul teatro’, nella versione italiana di Maurizio Panici e Marzia G. Lea Pacella. Film
celeberrimo (con Bette Davis e Anne Baxter, protagoniste femminili, e George Sanders nel ruolo maschile),
alla sua uscita nel 1950 ottenne 14 nomination agli Oscar, vincendone ben sei, tra cui quello a Mankiewicz
per la miglior regia.
Nel cast dello spettacolo, diretto da Maurizio Panici, l’inedita, intrigante coppia composta da Pamela
Villoresi e Romina Mondello (nei ruoli di Margo Channing e Eva Harrington) con Luigi Diberti (Addison
DeWitt) e Massimiliano Franciosa (Bill Sampson). Nel cast anche Maurizio Panici (Lloyd Richards), Silvia
Budri Da Maren (Karen Richards) e Giulia Weber (Birdie). La produzione si avvale delle scene di Giorgio Gori
e dei costumi di Lucia Mariani. Le musiche sono di Stefano Saletti, le luci di Emiliano Pona e i video di
Andrea Giansanti. “Eva contro Eva” rappresenta l’ulteriore tappa del progetto produttivo in atto da alcuni
anni tra Associazione Teatrale Pistoiese e Artè che ha dato vita a spettacoli di grande successo tra i quali
Marlene, Appuntamento a Londra, Medea.
Il mondo del teatro come rappresentazione del mondo.
Una piccola e agguerrita comunità che è specchio della società, con le sue piccolezze, le sue ossessioni, il
desiderio di arrivare a conquistare una posizione sociale riconosciuta e rispettata. Classi sociali diverse, che
si riflettono, si evitano e si scontrano. Ma soprattutto esseri umani in lotta per una posizione dominante
nella società. Quanto di più attuale, oggi, potrebbe essere oggetto di scrittura se non questo acido e
caustico affresco di uomini e donne che si affannano disperatamente alla ricerca di in attimo di celebrità:
così Eva contro Eva si offre come sintesi di un quadro così a noi vicino, dove l’apparire è massima
aspirazione per sentirsi “vivi “, per poter esistere.
Alla fine di questa estenuante battaglia, Margo Channing capirà che la vita vale la pena di essere vissuta e
cederà volentieri il passo alla nuova arrivata, già minacciata a sua volta dall’arrivo della prossima Eva. Così,
in una realtà dove sempre più velocemente si consumano fragili miti, la decisione della protagonista Margo,
si fa scelta consapevole e controcorrente rispetto alla vacuità con cui le nuove arrivate si affacciano
sorridenti sulla scena del mondo.
In un momento storico dove tutti si specchiano negli occhi di chi guarda, sottrarsi alla scena, scomparire, si
fa atto consapevole e profondo, rispettoso del sé.
Da giovedì 16 a domenica 19 gennaio 2014
FRANKENSTEIN JUNIOR
di Mel Brooks e Thomas Meehan, basato sul film di Gene Wilder
con GIAMPIERO INGRASSIA
e con Giulia Ottonello, Mauro Simone, Altea Russo,
Valentina Gullace, Fabrizio Corucci, Felice Casciano
regia Saverio Marconi, regia associata Marco Iacomelli
La versione italiana, diretta da Saverio Marconi è una trasposizione fedele della realtà cinematografica,
dove le scenografie in bianco nero dalle atmosfere gotiche si contrappongono ai coloratissimi costumi e
fanno da sfondo ai tantissimi momenti di irresistibile comicità. Considerato una delle migliori cento
commedie americane di tutti i tempi, girato nel 1975 con uno stile ispirato agli anni ‘20 (omaggio ai classici
horror della Universal), Frankenstein Junior è una parodia del celebre Frankenstein di J. Whale e delle
numerose pellicole dedicate alla creatura di Mary Shelley.
Per la Compagnia della Rancia è un ritorno alla comicità in musical di Mel Brooks: “Quando abbiamo
ottenuto i diritti di “The Producers” – dice Marconi – Mel Brooks ha supervisionato ogni dettaglio della
produzione, fino all’ultimo dei bozzetti dei costumi. Questa volta abbiamo avuto carta bianca: la fiducia che
ci è stata data è un grande incoraggiamento per noi per questa edizione originale tutta italiana”. Tradotto
in italiano da Franco Travaglio, “Frankenstein Junior” porterà anche a teatro la comicità del film,
sottolineata dalle musiche originali composte dallo stesso Mel Brooks. L’atmosfera del castello di Victor
Von Frankenstein, del laboratorio e degli altri ambienti è ricreata dalle scenografie disegnate da Gabriele
Moreschi. Le coreografie di Gillian Bruce, che spaziano dal tip-tap all’energia del travolgente quadro
“Transilvania Magica”, esaltano il ritmo dei numeri musicali e ripropongono, in un mix perfetto di tecnica,
virtuosismi e interpretazione, la comicità che accompagna gli spettatori in due ore di spettacolo. Gli artisti
italiani si trasformeranno nei famosissimi personaggi grazie ai trucchi e alle parrucche ideate da Antonella
Marinuzzi e ai costumi di Carla Accoramboni e canteranno preparati dalla vocal coach Lena Biolcati; il
disegno luci è firmato da Valerio Tiberi e il disegno fonico da Enrico Porcelli.
È Giampiero Ingrassia a vestire i panni del brillante e stimato dottor Frederick “Frankenst-I-n” (al cinema fu
Gene Wilder), il protagonista di Frankenstein Junior. Oltre a quasi 30 anni di carriera tra prosa e tv, tra
Ingrassia - diplomato al Laboratorio Teatrale di Gigi Proietti - e il musical esiste un amore di lunga data (dal
1989).
Sul palco, al fianco di Ingrassia, Giulia Ottonello, dalle straordinarie capacità vocali unite a un naturale
talento comico, interpreta Elizabeth, viziata ed egocentrica fidanzata di Frederick. Igor è interpretato da
Mauro Simone, servo fedele al Castello e disinvoltamente incurante della propria gobba, la sinistra e
misteriosa Frau Blücher, il cui nome incute terrore persino ai cavalli, governante al castello e detentrice dei
segreti di Victor Von Frankenstein ha il volto di Altea Russo, mentre Valentina Gullace è l’esplosiva Inga,
giovane transilvana assistente devota di Frederick, incurante della propria straordinaria e sensuale bellezza.
Il baritono Fabrizio Corucci è il Mostro, l’imponente creatura riportata in vita grazie agli esperimenti del
Dottor Frankenstein. Completano un cast pieno di energia e talento Felice Casciano nei panni dell’ispettore
Kemp, capo della polizia locale dedito al mantenimento dell'ordine; Davide Nebbia nel ruolo dell’eremita
cieco che abita nei boschi e desideroso di compagnia (che nel film era interpretato da un quasi
irriconoscibile Gene Hackman); Roberto Colombo è Victor Von Frankenstein, famigerato nonno di
Frederick, impaziente che il nipote segua le sue orme; Michele Renzullo è Ziggy, il più bizzarro tra gli
abitanti del villaggio transilvano.
Da mercoledì 12 a domenica 16 febbraio 2014
LA LOCANDIERA
di Carlo Goldoni
con NANCY BRILLI
e con Fabio Bussotti, Claudio Castrogiovanni, Maximilian Nisi,
Fabio Fusco, Andrea Paolotti
regia Giuseppe Marini
“La Locandiera”, capolavoro goldoniano scritto nel 1750, non ha mancato di esercitare nel tempo,
proprio come la sua protagonista, una certa misteriosa malia incantatrice. Mirandolina è infatti il
primo personaggio femminile del teatro occidentale recante i caratteri della modernità. Un
prototipo di donna «moderna» con la sua freddezza, la sua facoltà calcolatrice, la sua mancanza di
bontà che mette in scena una spietata e modernissima lotta fra i sessi in cui il narcisismo, da
sempre, sembra trovare terreno fertile. In un perverso, quanto sterile, gioco di relazioni
pericolose, in cui l’Amore è sostituito dalla finzione.
Come si sa, nella commedia l’azione si mette in moto quando Mirandolina, abituata a civettare
amabilmente con i suoi clienti, dai quali è apprezzata e corteggiatissima, si trova alle prese con un
Cavaliere rustico e misogino, che deride costoro per le loro svenevolezze e che tratta lei stessa in
maniera secca e sgarbata. Mirandolina, nel suo infinito narcisismo, capisce che il suo fascino
irresistibile con costui non funziona e il suo orgoglio mortificato esige vendetta. Armata di una
strategia seduttiva fredda e precisa, farà capitolare il Cavaliere ai suoi piedi per poi deridere
ironicamente la sua debolezza. La sua non deve essere però una semplice vittoria, ma un trionfo. E
quando, infine, vede partire il Cavaliere deluso e ferito, non mostra il benché minimo rimorso.
Subito dopo, davanti a tutti, annuncia bruscamente il proprio fidanzamento con il servitore
Fabrizio.
Giuseppe Marini, regista abituato alle sfide e alle riletture critiche dei grandi classici, ha incontrato
per il ruolo della protagonista Nancy Brilli, attrice dotata di grande simpatia, ma anche di
intelligenza scenica e di abilità da vera “commediante”. Un’interprete ideale per “La Locandiera”
dove si consuma la spietata, calcolatrice e narcisistica strategia di rivalsa di una donna nei
confronti del “maschio” sempre più in crisi.
Da giovedì 27 a domenica 30 marzo 2014
LA COSCIENZA DI ZENO
di Tullio Kezich dal romanzo di Italo Svevo
con GIUSEPPE PAMBIERI
e con Enzo Turrin, Giancarlo Condè, Francesco Wolf, Raffaele Sinkovic, Anna Paola
Vellaccio, Antonia Renzella, Guenda Goria, Livia Cascarano, Silvia Altrui, Marta Ossoli
regia Maurizio Scaparro
Dopo l’applauditissimo debutto nazionale al Teatro Carcano di Milano il 16 gennaio 2013 e una tournée che
ha toccato, tra le altre, le piazze di Bolzano, Savona, Arezzo, Grosseto, Treviso, Thiene, Rimini, Asti, Sassari,
Roma, lo spettacolo verrà ripreso nella stagione 2013-14.
Protagonista nel ruolo di Zeno Cosini Giuseppe Pambieri, attore tra i più versatili del nostro teatro, che
tratteggia il suo personaggio con tocchi insieme ironici e meditativi. La regia, nitida e elegante, è firmata da
uno dei maestri del teatro italiano e internazionale, Maurizio Scaparro, che vince in scioltezza la non facile
scommessa di portare sulla scena il capolavoro sveviano, non catalogabile come romanzo d’azione o
d’intreccio, bensì libro d’iniziazione e introspezione. Scaparro fa proprio lo storico adattamento che Tullio
Kezich realizzò per il teatro nel 1964, primo interprete, nello stesso anno, Alberto Lionello, seguito nel
1987 da Giulio Bosetti con la regia di Egisto Marcucci e nel 2002 da Massimo Dapporto con la regia di Piero
Maccarinelli.
Sullo sfondo di una Trieste cosmopolita e mercantile ma anche crogiolo culturale della mitteleuropa tra la
fine della Belle Epoque e la Prima guerra mondiale, si svolge la vicenda di Zeno Cosini, che, partendo da una
seduta psicanalitica, evoca i momenti salienti della sua vita (la morte del padre, l’amore non ricambiato per
una fanciulla, il matrimonio di ripiego con una sorella di lei, la rivalità con il cognato Guido – che muore
suicida – la relazione extraconiugale con Carla).
Fragile e inadeguato di fronte ai cambiamenti della società, pieno di tic e di nevrosi, si dichiara “malato”,
ma la sua malattia è tutta di origine psicologica. Di fronte alla vita Zeno riesce però sempre a mantenere un
atteggiamento ironico e distaccato (“La vita non è né brutta né bella, ma è originale”) che gli permetterà di
capirla meglio e , quindi, di crescere; uomo nuovo in cerca di un modo di essere plausibile in un mondo che
sembra sfuggirgli. Sarà lui a dire il bellissimo, inquietante monologo finale sulla ferocia e l’inutilità di quella
guerra che di lì a poco avrebbe rivoluzionato tutto.
Pubblicato nel 1923, La coscienza di Zeno abbandona il modulo romantico ottocentesco e, come nel caso di
Musil o del pirandelliano Mattia Pascal, di Joyce o di Proust, ai quali pure è stato accostato, introduce
l’aspetto tutto novecentesco dell’introspezione. Dal romanzo narrato da una voce anonima ed estranea al
piano della vicenda si passa a una narrazione in prima persona che non presenta gli avvenimenti nella loro
successione cronologica lineare, ma inseriti in un tempo tutto soggettivo che mescola piani e distanze.
Nella sua opera più conosciuta Svevo affronta un viaggio nella mente umana, un percorso nella malattia e
nella cura; ci parla dell’insoddisfazione e dell’inquietudine dell’uomo che si percepisce come corpo
estraneo della società, fornendo il ritratto di un’epoca e, insieme, quello di un’umanità senza tempo.
Da giovedì 10 a domenica 13 aprile 2014
L’IMPORTANZA
DI CHIAMARSI ERNESTO
di Oscar Wilde
con GEPPY GLEIJESES e MARIANELLA BARGILLI
e con Lucia Poli
regia Geppy Gleijeses
“L'importanza di chiamarsi Ernesto' di Oscar Wilde e' stato lo spettacolo che ha totalizzato il record di
pubblico del Teatro Stabile di Calabria, messo in scena nel 2000/2001 e ripreso nel 2000/2001 e' tuttora lo
spettacolo più visto di sempre in teatri come La Pergola di Firenze, il Goldoni di Venezia, il Franco Parenti di
Milano e tanti altri. A più di dieci anni da quello strepitoso successo Geppy Gleijeses con Lucia Poli e con
l'inserimento di Marianella Bargilli riprendono, in un nuovo allestimento in scena dal febbraio 2014,
'L'importanza' non a caso definita la più bella commedia di tutti i tempi, mai messa in scena dal 2002 in
un'edizione importante.
'The importance of Being Earnest' debuttò al St. James's Theatre di Londra il 14 febbraio 1895 a cura
dell'actor - manager. George Alexander, che vi sosteneva la parte di John Worthing. Allan Aynesworth era
Algernon Moncrieff, Irene Vanbrugh era Gwendolen Fairfax e Evelyn Hilliard era Cecily Cardew. Malgrado lo
strepitoso successo riportato alla prima - 'in cinquantatre' anni di palcoscenico non ricordo un trionfo
maggiore', avrebbe ricordato Allan Aynesworth molti anni dopo: 'il pubblico si alzò tutto in piedi e non
cessava di acclamare' - fu smontata dopo appena 6 repliche, come conseguenza dello scandalo in cui Wilde
si era andato a cacciare querelando per diffamazione Lord Queensberry che lo aveva pubblicamente
tacciato di sodomia.
Ultimo lavoro teatrale di Wilde e diversissimo dai precedenti, The importance ha provocato molte
congetture sul corso che l’evoluzione del drammaturgo e di conseguenza forse, di tutto il teatro inglese
avrebbe potuto prendere senza l’intervento della magistratura.
L’eterea verbalità di The importance, dove tutti – non solo il cinico di turno – si esprimono mediante
paradossi squisiti, si accompagna, non dimentichiamolo, a un senso visivo di teatralissima efficacia. Benchè
più rare che nei lavori precedenti, le didascalie sono molto suggestive dell’esecuzione ideale e l’apparizione
di Jack Worthing in lutto stretto per la morte dell’immaginario fratello Ernest è un colpo di scena
giustamente rimasto famoso. Dalle didascalie si capisce anche lo stile di recitazione che Wilde desiderava e
che gli attori del primo allestimento, un pò imbarazzati dalla novità, non raggiunsero che in parte: uno stile
cioè assolutamente non farsesco e nemmeno, d’altro canto, realistico. I personaggi debbono cioè
scambiarsi le battute con perfetta naturalezza, senza mostrare di ritenerle spiritose e senza tentare di
giustificarle caratterizzandosi come eccentrici. Evidentemente The importance vive anche avulsa dal
contesto storico che la produsse. Prendiamo il caso della formidabile Lady Bracknell, vittoriana quanto più
non si potrebbe ma al contempo eterna e universale come Falstaff. Di lei osserviamo anche, en passant,
l’ambivalenza mostrata dall’autore nei suoi confronti: Wilde appare affascinato dal mostro che ha evocato
e, del resto, la sua stessa carriera mondana conferma come si adoperò per essere ricevuto e coccolato da
quella società che sfidava. Dopo lo scandalo, esule a Parigi, soleva affermare con un sospiro che la Regina
Vittoria restava la sola donna che avrebbe adorato sposare.
The importance è stata definita “la più bella commedia di tutti i tempi”.
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sugar a qualcuno piace caldo