L’illuminazione pubblica a Pescia tra Otto e Novecento Il Ponte del Duomo e i suoi lampioni a cura di Claudia Massi Esprimo il mio ringraziamento e quello dell’Amministrazione Comunale all’associazione “Quelli con Pescia nel cuore” che tanto si presta per rendere più bella ed accogliente la Città. Nel contempo rivolgo il mio apprezzamento agli sponsor, che hanno reso possibile la valorizzazione di quella che rappresenta la zona centrale e di collegamento fra le parti storiche di Pescia. Grazie ai nuovi lampioni in stile ottocentesco, il centro storico cittadino può vantare un’illuminazione omogenea, tale da fare invidia a realtà urbane più importanti della nostra. Mi auguro che la collaborazione fra l’Amministrazione Comunale, “Quelli con Pescia nel cuore"”e i privati possa proseguire fattivamente per ulteriori passi verso la realizzazione di un nuovo volto della Città. Roberta Marchi Sindaco di Pescia Coloro che seguono più da vicino la nostra attività avranno sicuramente notato come da diversi anni le nostre iniziative siano sempre più numerose e variegate. Si va da quelle ricorrenti, come il Carnevale dei Bambini, Il Palio a Tavola, la Festa dell’Albero e la cura delle fioriere al Ponte di San Francesco, a quelle occasionali, come i concerti, gli spettacoli di prosa, le mostre ecc. Poi ci sono gli interventi più importanti per complessità, impegno economico e soprattutto perché agiscono sui beni della comunità particolarmente di pregio. Ogni anno, in genere, ne viene effettuato uno. L’installazione dei nuovi lampioni in ghisa al Ponte del Duomo fa parte di questo terzo gruppo. Oltre all’onere per la sostituzione materiale dei lampioni, di competenza dell’Amministrazione Comunale, all’Associazione, quale promotrice dell'intervento, spettava l’acquisto dei nuovi lampioni, per una spesa che avrebbe impegnato le sue casse per più di un anno. Per fortuna, alcuni sponsor si sono fatti avanti per acquistare i cinque lampioni che, insieme al nostro, oggi possiamo vedere sul ponte più importante di Pescia. Mi corre l’obbligo, quindi, di ringraziare tutti coloro che si sono adoperati direttamente o indirettamente per la riuscita dell’iniziativa, facendo un ulteriore atto di presenza e di amore verso la propria Città. Concludo con una frase che va bene al caso nostro, affermando che, grazie ai nuovi lampioni, possiamo da oggi guardare il Ponte del Duomo veramente “sotto un’altra luce”! Lando Silvestrini Presidente “Quelli con Pescia nel cuore” Dalla penombra dei lampioni a petrolio al chiarore della luce elettrica Claudia Massi Anche per Pescia, come per molte città italiane, la seconda metà dell’Ottocento rappresenta un’epoca di scelte relative all’illuminazione pubblica di strade e piazze. Nata nel Settecento come un fatto volontario (venivano apposte lanterne davanti all’ingresso delle abitazioni), la prassi di rischiarare la notte in città diviene, per le amministrazioni civiche, un segno che attesta un progresso conquistato, una testimonianza di buon governo locale. D’altra parte illuminare il paesaggio urbano presuppone una serie di non indifferenti problemi e di non facili valutazioni. All’epoca, di fronte alle acquisizioni tecnico-scientifiche della modernità, spesso si rimaneva indecisi sulla strada da percorrere e sulla fonte energetica da impiegare per realizzare impianti di illuminazione efficienti, ma si restava interdetti anche sulle soluzioni da adottare in base soprattutto a considerazioni d’ordine economico. Ed è per questo motivo che, nelle diverse realtà urbane, non venivano a mancare polemiche e lamentele, l’eco delle quali si ritrovava sulla stampa locale, ove posizioni diverse sulla scelta dei sistemi da mettere in opera, sulla loro rispondenza, sui relativi costi, facevano di frequente slittare ogni decisione in proposito. A Pescia, tuttavia, il sistema più moderno di illuminazione pubblica, quello che avrebbe nel giro di pochi anni prevalso in ogni luogo, la ‘luce elettrica’, sarebbe stato accolto precocemente, prima che nei vicini centri della Valdinievole, grazie alla lungimiranza degli amministratori e all’impegno di influenti personaggi della società civile, a seguito anche di un felice esperimento voluto nel 1895 da Ulisse Sainati. Ma nei decenni precedenti in fatto di illuminazione pubblica non si era stati probabilmente al passo con i tempi. È del 1846 la notizia che all’amministrazione comunale viene fatta richiesta, da tale Ronchi, di installare sotto il lastricato un sistema di conduzioni “per il gaz”, come allora si diceva. Nella lettera, datata 8 giugno, si fa presente che La Providence, “compagnia reale per l’illuminazione a gas delle principali città francesi tedesche e italiane”, si impegna a fare i lavori gratuitamente e a mettere in opera i lampioni nelle strade, purché le venga accordata una concessione della durata di 30 anni, dopo la quale la ditta francese sarebbe entrata in possesso di tutti gli investimenti comunque fatti. “Immensi sarebbero stati i vantaggi per Pescia – stando ai proponenti – e grande l’abbellimento del centro urbano”. 1 Lampade ad arco voltaico Lampione a gas Alcuni tipi di lampade elettriche 2 Se l’erogazione del gas per l’illuminazione era gratuita, il comune avrebbe dovuto dare la concessione per costruire l’officina ove si sarebbe prodotto il gas. La richiesta tuttavia non fu accolta dal consiglio comunale, “(…) non essendo (Pescia, ndr) una città in cui possa convenire di adottare l’offerta illuminazione a gaz”, come si volle precisare in risposta al Ronchi. Pescia è all’epoca illuminata a petrolio, con pochi lampioni in funzione. Proprio nel 1846 otto cittadini residenti in via del Giuggiolo chiedono ufficialmente all’amministrazione comunale l’installazione di un nuovo lampione, per il motivo che la loro strada “ebbenché sia una delle più popolate e frequentate della città, può a ragione considerarsi come la più oscura”, un problema questo che viene sanato abbastanza celermente. Nell’anno successivo, la ditta Gualandri di Prato viene incaricata di mettere in opera un nuovo punto luce a petrolio in via del Giuggiolo, in grado di illuminare due strade: via del Pozzetto e via dell’Alloro (le odierne via dei Forni e via Santo Stefano), mentre altri due fanali vengono montati, l’uno in via dei Vetturali l’altro sul prato di San Francesco. Certo è che il potenziamento non rende chiare le notti pesciatine, anche perché talvolta si anticipa lo spegnimento delle luci pubbliche per lucrare sul petrolio. La stampa locale, fin dal suo avvento nel 1870, diviene cassa di risonanza alle quotidiane lamentele degli abitanti, per cui riporta più volte le osservazioni dei cittadini in fatto di illuminazione. “Una volta i nostri lampioni lucciole venivano dagli Piazza San Francesco con i fili della luce elettrica in una cartolina del 1911 3 addetti spenti alla mezzanotte” – si legge su L’Eco di Valdinievole –, mentre l’attuale spegnimento, anticipato di un’ora, lascia “nel massimo buiore la gente”, e ciò per una “sciocca lesinatura”. Un’ulteriore rimostranza al proposito si legge sullo stesso giornale il 7 luglio 1894: i lampioni vengono spenti alle 11 invece che a mezzanotte come si sarebbe dovuto fare. E il 23 marzo 1895, si deplora l’insufficiente illuminazione della città, ritenendola “uno sconcio intollerabile”. Si richiede perciò all’accollatario di usare petrolio nella qualità e quantità necessarie al bisogno e agli accenditori di aver cura che i lampioni siano tenuti in efficienza, per consentire ai cittadini di vedere “almeno dove mettono i piedi”. Il 30 marzo 1895, sempre su L’eco di Valdinievole si ribadisce il fatto “vergognoso di anticipare lo spegnimento di La fabbrica del ghiaccio artificiale in una cartolina molti lampioni”, a volte anche prima delle del 1901 22. Ancora il 16 ottobre sul medesimo foglio locale si recrimina sul buio completo di viale Garibaldi e sull’insufficiente illuminazione generale, a causa, secondo Luigi Mochi, dell’obsoleto sistema in atto. Sala delle macchine nella fabbrica del ghiaccio in una cartolina del 1901 4 5 Finalmente il 23 ottobre 1895 appare una notizia incoraggiante: grande successo ha avuto il tentativo di illuminare con le lampade ad arco piazza Grande, grazie a una prova predisposta dal cavalier Ulisse Sainati, noto industriale pesciatino, il quale ha usato allo scopo una turbina andante ad acqua operante nel suo stabilimento in località Sant’Ilario presso Calamari. Ma in piazza Grande, ben ventinove anni prima la luce elettrica per l’illuminazione aveva fatto la sua prima comparsa, sia pure come esperimento, come fatto stupefacente, come pura meraviglia. Infatti tra le attrazione previste per le Feste di Maggio del 1866, c’è anche quella proposta e realizzata da un tale Pierucci dell’Università di Pisa: l’accensione di alcune lampade ad arco sui merli del palazzo del Vicario, che crea “un bagliore” capace di illuminare “più di un chiarissimo lume di luna tutta la Piazza, a segno che alla metà di essa si poteva benissimo leggere una lettera”. L’episodio suscita scalpore al pari di uno spettacolo pirotecnico, senza che forse se ne intuisca una futura conveniente applicazione, per la quale sarebbero occorsi quasi trent’anni. Tra l’esperimento del Sainati dell’ottobre 1895 e la proposta innovativa di allestire l’illuminazione pubblica con l’energia elettrica, sia pure destinata a una parte della città, si inserisce un dibattito acceso, sui modi e sulle tecniche da adottare, nonché sui costi che il sistema presuppone. Nelle grandi realtà urbane italiane e straniere, si erano fino ad allora adottati due tipi di lampade elettriche, l’una ad arco voltaico e l’altra a incandescenza. Nel primo caso, si otteneva un’emissione luminosa molto intensa e bianca, piuttosto instabile e ricca di raggi ultravioletti, nel secondo caso, la luce, prodotta dal riscaldamento di un filamento di tungsteno a opera della corrente elettrica, era meno forte, ma preferibile per diversi 6 motivi, tanto da potersi universalmente affermare negli anni a seguire, per giungere grazie ad alcuni perfezionamenti fino ai nostri giorni. Anche a Pescia ci si pone di fronte a scelte tecniche, ma le maggiori perplessità sono certamente riferibili al problema dei costi. “L’impianto elettrico che ha disponibile un’incostante forza motrice idraulica, è doppiamente costoso – si legge sulla stampa –, ed anche se la forza fosse di 20-30 cavalli, sarebbe sempre opportuno impiantare una forza a vapore. Cioè collocare due caldaie a vapore (una attiva, l’altra di riserva, della forza cad. di 25 cavalli), e acquistare una o due motrici a vapore di forza corrispondente. Sono necessarie almeno tre dinamo e tanti altri marchingegni per arrivare a una spesa non indifferente di sessanta-settanta mila lire”. Si fa inoltre presente che dove viene adottata l’illuminazione con le lampade a incandescenza, come a Firenze e a Milano, si è visto che la spesa è superiore a quella relativa alle lampade a petrolio e ci si chiede se a Pescia ci potrà essere un imprenditore capace di rischiare sul nuovo sistema. L’illuminazione della piazza con tre lampade ad arco di 6 ampere verrebbe a costare 6,30 lire giornaliere per 5 ore per sera, il triplo di quella attuale. “Chi pagherà le spese generali, gli impianti (…)? Quale imprenditore è tanto coraggioso?”– si domanda il cronista a firma Elo.Watt –, il quale pessimisticamente dà un appuntamento al 1920, “(per le nozze d’oro di Roma) perché questa luce fin de siécle ritorni ad illuminare Pescia”. Come risposta Augusto Sainati, figlio di Ulisse, il 18 aprile del 1896 – “con atto di energia notevolissima” – acquista il terreno occorrente per la costruzione del fabbricato in cui si dovrà produrre la forza motrice che avrebbe assicurato la luce elettrica alla città. Subito iniziano i lavori in quello che era l’orto di proprietà 7 Pacini, prospiciente l’allora via Bolognese, precisamente di fianco alla chiesa di San Francesco. Viene garantito che l’impianto entrerà in funzione ai primi del 1897. Per la posa in opera dei “fili della luce” si dà l’incarico all’ingegner Giuseppe Nardi (per inciso, quei fili avrebbero decretato la scomparsa di un storico passatempo pesciatino, il gioco del pallone col bracciale, in quanto sarebbe stato impossibile battere con sicurezza la sfera sulla facciata del convento). Comunque sia, il progetto viene già ampliato in corso d’opera: è del 18 luglio del 1896 la notizia che in piazza Grande, invece di 5 lampade ad arco, ne verranno installate 10, oltre a quelle a incandescenza, senza ulteriori spese per il comune, grazie “al Sainati che lavora alacremente per il bene e per il decoro del paese”. Il 5 dicembre 1896, viene collocata la prima caldaia nell’officina, il 31 gennaio 1897 si inaugura la “luce elettrica” e si festeggia. “Dal preadamitico lampione a petrolio, dalle penombre discrete si entra nei luminosi regni dell’elettricità” si legge finalmente sul giornale La Valdinievole. Presenti il fiorentino Francesco Guicciardini, ministro del Commercio, industria e agricoltura, e l’onorevole Martini, viene celebrato l’avvenimento in municipio. Fa seguito la premiazione degli alunni delle scuole pesciatine al teatro Pacini, con il discorso del sindaco Mochi, e il banchetto alle Stanze Regie, in Ruga degli Orlandi, ove si inneggia all’indirizzo del cavalier Ulisse Sainati, consegnandogli una pergamena firmata da molti industriali del paese. Alla sera, tre bande musicali “rallegrano il popolo con scelte sinfonie”, come riporta L’Aurora del 6 febbraio 1897. Che si sia fatta una scelta giusta, quella di affidarsi ai Sainati, è attestato anche da una notizia apparsa il 17 aprile 1897: all’officina di Augusto Sainati hanno deciso di rivolgersi i comuni di Montecatini e di Monsummano per rifornirsi di energia elettrica destinata all’illuminazione pubblica. A Pescia, la ‘luce a petrolio’ non avrebbe però lasciato libero il campo, almeno per alcuni anni a seguire. Ciò si comprende anche dalla lettura del Capitolato per l’illuminazione elettrica, stampato nella Tipografia Nucci. Sottoscritto dal comune di Pescia, sindaco Luigi Mochi, e stipulato con il dottor Augusto Sainati il 30 maggio 1898, il capitolato sancisce una concessione all’appaltatore, cioè all’impresa, per 20 anni a decorrere dal 1 febbraio 1897. “L’appaltatore si obbliga di provvedere e installare a suo rischio, pericolo e spese, tutto il macchinario ed accessori occorrenti” per l’installazione dell’impianto a energia elettrica, mentre “il Comune dal canto suo si obbliga di concedere all’appaltatore tutto il materiale attualmente adibito a scopo d’illuminazione a petrolio senza aver diritto a compenso e lasciando piena facoltà al concessionario di adattare, rimuovere e trasformare il detto materiale come crederà più conveniente in modo però che sia sempre servibile per illuminazione a petrolio. Tale materiale sarà dal Comune consegnato in buono stato di manutenzione ed il concessionario si obbliga di mantenerlo e riconsegnarlo in buono stato, tenuto conto del deperimento derivante dall’uso e dal tempo.” Si precisa inoltre che quando “per qualsiasi guasto 8 Il ponte del Duomo in una cartolina del 1902 (coll. Pallini) il concessionario non potrà dare l’illuminazione elettrica, sarà tenuto ad illuminare col petrolio” e che “al cessare dell’appalto per la decorrenza del termini il Municipio avrà diritto di tornare in possesso di tutto il materiale relativo alla illuminazione a petrolio (…). I lampioni a petrolio in N. di 87 non potranno essere remossi dai Piazza Ducci in una cartolina del 1915 (coll. Pallini) 9 luoghi in cui sono collocati; ed a cura e spese dell’Impresa dovranno esser mantenuti in buono stato. Qualora non possa aver luogo l’illuminazione elettrica per qualsiasi causa ancorché di forza maggiore, l’Impresa dovrà illuminare a proprie spese la città e le frazioni a petrolio nel modo che meglio si possa con le lampade appartenenti al Comune; e dovrà ripristinare la illuminazione elettrica, entro il più breve tempo possibile e, salvo il caso di forza maggiore, non mai al di là di otto giorni, riservati sempre nel Municipio i diritti di ogni specie contro l’Impresa per cotesta interruzione qualora non derivi da forza maggiore (…). L’Impresa qualora trascuri di fare la illuminazione a petrolio (nel caso di avaria all’impianto elettrico, ndr) sarà tenuta a pagare una multa di lire sessanta per la prima sera e di lire cento per le sere consecutive. Qualora la surrogazione della luce a petrolio non avvenga entro un’ora dallo spengimento della luce elettrica se avanti le 24 e entro due ore nelle altre della notte, l’Impresa sarà tenuta a pagare una multa di lire venti”. L’impresario si impegna comunque a fare un impianto a regola d’arte, con una rete di cavi aerei, secondo un piano approvato dall’amministrazione comunale, con motrici a vapore e caldaie di ottima marca, italiana o straniera. “Il concessionario si obbliga di mettere a disposizione del Comune e ove meglio crederà di ordinare, cinque lampade ad arco dell’intensità luminosa di mille candele, nonché settanta lampade ad incandescenza dell’intensità luminosa di sedici candele”. Si consideri che parte di queste ultime sarebbero andate sui lampioni esistenti nelle varie frazioni sul territorio comunale. “La durata media dell’illuminazione pubblica giornaliera non sarà superiore alle cinque ore ma trenta lampade ad incandescenza staranno accese tutta la notte. L’orario sarà fissato dal Comune”. Si stabilisce poi l’illuminazione dal municipio a spese dell’impresa, la quale “s’impegna di fornire a proprie spese le lampade e gli apparecchi di utilizzazione della corrente elettrica i più perfezionati e di rinnovarli ogni qualvolta abbiano perduta anche in tenue misura la loro potenza luminosa e la loro efficacia.” Con l’impianto costruito sul territorio si potrà fornire energia elettrica anche ai privati “in tutta la città ed anco lungo le linee elettriche della illuminazione pubblica nel suburbio”. L’imprenditore si impegna a migliorare l’impianto nel corso degli anni; d’altra parte “il Comune approva la maggiore quantità di lampade che l’Impresa, nel desiderio di contentare il pubblico e fare opera completa, impianta spontaneamente e senza scopo di lucro (…); mentre l’orario sarà deliberato dalla Giunta Municipale anno per anno (…). Nella stazione elettrica dovrà trovarsi costantemente persona responsabile ed idonea a rappresentare la Impresa per le notificazioni e provvedimenti relativi al servizio, che in qualsiasi momento possano occorrere (…). L’Impresa e tenuta a provvedere colla massima cura ed a proprie spese alla rinnuovazione ed al mantenimento dei macchinari e degli apparecchi inservienti all’esercizio della illuminazione da, essa assunta (compreso i fili, i cavi, le 10 lampade e i loro sostegni o imbasamenti) sia che i guasti e le avarie provengano da cause ordinane, sia che provengano da cause straordinarie e di forza maggiore o dalla malevolenza delle persone”. Viene infine stabilito che “la concessione è esclusiva, ha la durata del contratto e il Comune si obbliga di non accordare altrui il diritto di passaggio dei fili od altri conduttori aerei o sotterranei (…); il municipio si obbliga di non adottare altro sistema d'illuminazione fissa all'infuori della luce elettrica fornita dal concessionario, in tutti gli uffici, istituti e scuole dipendenti ed in qualsiasi luogo ove l’illuminazione stia a carico del comune entro la città (…), mentre si obbliga di pagare per compenso di questo servizio pubblico il canone annuo di Lire seimila in rate mensili anticipate”. L’officina entra in funzione nei tempi previsti, produce energia elettrica per Pescia, Montecatini e Monsummano e diviene anche una moderna fabbrica del ghiaccio, raffigurata su una delle prime serie di cartoline postali, edita nel 1901 da Elvira Magnani. Quanto ai lampioni, alle loro caratteristiche costruttive e alla loro estetica, nulla traspare dai documenti a stampa consultati. Sulle cartoline illustrate stampate nei primi anni del Novecento, si intravedono talvolta lampioni probabilmente a petrolio, come nel caso del ponte del Duomo, lampioni sobri, privi di inutili decorazioni, inseriti sulle spallette. In cartoline edite intorno al 1920, l’illuminazione pubblica, sempre per il ponte del Duomo, sembra limitarsi a pochissime lampadine elettriche inserite su sostegni privi di qualsiasi forma che rimandi all’idea di lampione. Il Ponte del Duomo in una cartolina del 1956 (coll. Pallini) 11 12 Nel Secondo dopoguerra, al momento della ricostruzione del ponte secondo il concetto “dove era, come era” non si prevede nel relativo progetto l’inserimento di lampioni per l’illuminazione. Questi vengono collocati soltanto agli inizi degli anni Sessanta in numero sufficiente ad assicurare un’illuminazione pubblica dignitosa. Alla fine degli anni Settanta si procede alla loro sostituzione, insieme a quelli del ponte di San Francesco, adottando oggetti che poco si accordano con la struttura architettonica del ponte volutamente rivolta a richiamare l’antico manufatto. È ormai giunta l’ora di sostituirli. Nella pagina accanto: i lampioni in fase di montaggio. Sopra: il disegno esecutivo e il lampione attuale 13 Il Ponte del Duomo Giugno 1945 Il ponte dalla linea geniale, che ha unito già le sponde del torrente e servendo un’arteria capitale scambi vitali e attività consente, Il ponte bello come un santo altare, che l’ira bieca e la disperazione dei Lanzi lurchi fecero saltare tre giorni avanti la liberazione, un progettista ameno ch’è maestro di scuola e architetto debuttante a cinque archi or lo vuol, cogliendo il destro, per oscurar la fama del Bramante. Un altro chiacchierone impenitente, lo vorrebbe più corto per creare sulla mancina una gran lungotorrente, che costerà un miliardo a risparmiare. Un terzo poi (o che c’entra e donde viene?) di restringere il letto anch’ei s’intende, non pensando di certo a quel che avviene quando la Pescia si riveste a festa. E mentre ognuno si palleggia e ostenta l’asserito consenso sindacale e con ciarle studiate imporre tenta la propria idea bislacca e originale, il ponte indispensabile alla vita, della nostra città e la cui mancanza è tanto gravemente risentita è ancor da fare a un anno di distanza! Ond’è che i cittadini derelitti rivolgono con mesto e chiaro accento ai Padri come dicesi coscritti una domanda e un incitamento Perché con fole e vacui progetti di pesciatini spuri e forestieri si spreca il tempo? Valgano gli affetti e i vantaggi di tutti, quelli veri! Risorga il ponte, il caro monumento, risorga la posto dov’è sempre stato, Dio ci guardi da un nuovo sventramento, hanno troppo i tedeschi già sventrato! 14 Come tutti lo videro e lo sanno, risorga, è troppo triste la macia e ancor più triste se si pensa al danno prodotto alla nostrana economia. Risorga presto, è inutile il pontone d San Francesco, dalle basi frolle, e il ponte dei Marchi all’acquazzone primiero se n’andrà al padule in molle. Risorga con la linee sue vive, tutto in pietra e a tre luci, saldo e ardito purché risulti un poco meno acclive, servirà come ha sempre e ben servito. Perché l’esempio e il fa non imitare di Lucca che ha già in ricostruzione com’eran prima i ponti? E calpestare sentimenti, interessi e tradizione? Sprecare è da colpevoli e da sciocchi milioni in nuove pile, ed è impresa pazza, spostarlo a monte, rovinar gli sbocchi ed impedirgli di servir la Piazza. Risorga, tutto il popolo ne invita, sui vetusti piloni quasi intatti; o vien rifatto – salvo la salita – dove e com’era o siamo tutti matti! Piscensis Il Ponte del Duomo in una cartolina del 1909 (coll. Magnani) 15 20 Finito di stampare dalla “Casa della Penna” nel mese di luglio del 2011