Tornano a Milano le «Lezioni di Storia»: il via con la Ronchey Enard vince il premio «Goncourt», la de Vigan il «Renaudot» Tornano a Milano, da oggi al 25 novembre, ogni mercoledì alle ore 21, le «Lezioni di Storia» nella cornice della Basilica di Santa Maria delle Grazie. Il nuovo ciclo, dal titolo «Islam e Occidente», nasce dall’intenzione di raccontare un confronto millenario di culture. Stasera Silvia Ronchey nella lezione «Immagini contro Dio» illustrerà una delle più feroci lotte contro la rappresentazione del sacro a opera dei condottieri cattolici ai tempi della Quarta Crociata. Il Prix Goncourt è stato assegnato a Mathias Enard, 43 anni, per il romanzo Boussole, pubblicato da Actes Sud, in cui si racconta la storia di un giovane musicologo viennese, Franz Ritter, che soffre d’insonnia, scosso dai suoi ricordi di un viaggio in Oriente, accompagnato dalla misteriosa Sarah. Battuti Tobie Nathan e Hédi Kaddour. Il Prix Renaudot, invece, è stato vinto da Delphine de Vigan, 49 anni, per D’après une histoire vraie (Lattes). GIACOMO MATTEOTTI Economista folle e politico parolaio La realtà oltre il santino del martire Tiozzo sfata il mito del deputato socialista ucciso dai fascisti: accusava tutti senza mai una prova e le sue proposte avrebbero portato l’Italia alla rovina Pubblichiamo ampi stralci dell’articolo «Matteotti fuori dall’agiografia» di Enrico Tiozzo, tratto dal numero 120 del mensile Storia in Rete (diretto da Fabio Andriola) attualmente nelle edicole. Tiozzo, docente di Lingua e letteratura italiana presso l’Università di Göteborg, traduttore dallo svedese e già autore de La giacca di Matteotti e il processo Pallavicini. Una rilettura critica del delitto, ha appena mandato in libreria il saggio Matteotti senza aureola. Volume primo: il politico (Aracne, pp. 384, euro 22, con prefazione di Aldo A. Mola). tale, verrebbe immancabilmente bollato come espres■■■ Tra il 2014, in occasio- sione dibieche simpatie fascine del novantesimo anniver- ste. sario della morte, e la prima Per trovare un giudizio metà del 2015 sono stati pub- non agiografico su Matteotti, blicati in Italia sei nuovi libri pronunciato da un personagsu Giacomo Matteotti e sono gio che lo conosceva bene ed stati riproposti in nuove edi- era sicuramente al di sopra di zioni alcuni studi classici sul- ogniaccusa difascismo, si del’argomento (Gobetti, Arfè, ve ricorrere ad un’intervista Canali) a riprova del fatto che con Giovanni Amendola l’interesse per il segretario (1882-1926), pubblicata sul del PSU, vittima della violen- quotidiano svedese Göteborza fascista il 10 giugno del gs Handels-och Sjöfartstid1924, non conosce flessioni. ning (...) il 1˚ agosto 1924 e riÈ ragionevole aspettarsi che lasciata da Amendola al giorentro il centenario dalla mor- nalista svedese il 1˚ luglio del te usciranno una cinquanti- 1924, dunque quando era già na di nuovi titoli. La totalità assodato che Matteotti era degli studi disponibili fino ad stato ucciso dai fascisti. Così oggi è contraddistinta da una si esprime Amendola: «Per caratteristica poco comune quanto riguarda Matteotti, nel campo della ricerca stori- egli era a malapena un uomo ca, vale a dire quella di un at- così grande come adesso voteggiamento volutamente gliono farlo apparire gli oppoacritico e pieno d’incondizio- sitori del Fascismo. Dal punnata ammirazione, se non to di vista politico egli era solspesso di aperta venerazio- tanto un dirigente di seconne, nei confronti del perso- do piano nel partito socialinaggio studiato, della sua vi- sta, ed era soltanto a proposicenda umana e del suo per- to di alcune questioni di ecocorso politico. nomia che aveva autorità. In casi molto rari (pensia- Durante la guerra era pressomo per esempio al libro del ché comunista e, in una situa2004 di Giuseppe Tamburra- zione, offese violentemente no, Giacomo Matteotti. Sto- l’esercito quando esso doveria di un doppio assassinio, va combattere delle difficili UTET) si apre un minimo spi- battaglie. Sebbene fosse un raglio, non già di critica ma di milionario non aveva mai dolievissima riserva, e soltanto nato nemmeno un soldo al su alcuni aspetti strettamen- partito. E dall’essere stato un te privati e caratteriali dell’uo- comunista puro si trasformò mo (...), mentre il tono gene- in un socialista più moderato rale del libro rimane apologe- solo per potersi fare strada. tico. (...). Era uno che polemizzava È inevitabile constatare co- molto ma era malvagio, romme, negli ultimi 70 anni, sia peva spesso le trattative e in stata tolta dalla circolazione generale era una persona in Italia ogni pagina davvero sgradevole». critica nei confronti di MatteLe parole di Amendola otti, studiato soltanto come aprono la strada ad una diun puro eroe e un martire del- scussione sulla vera azione la libertà e sollevato quindi al politica di Matteotti, un tema di sopra di ogni possibile giu- però sorprendentemente cadizio negativo che, in quanto rente di ricerche e presentato MERA COMPARSA DELLA CAMERA Un’immagine del giornalista e politico Giacomo Matteotti (1885-1924) in Aula, tratta dalla copertina del saggio di Enrico Tiozzo «Matteotti senza aureola» pubblicato da Aracne. Il volume demolisce soprattutto l’attività politica del “martire” antifascista. A sinistra, Benito Mussolini (1883-1945), considerato da molti storici il mandante, almeno morale, del delitto Matteotti, anche se alcuni tirano in ballo direttamente il re Vittorio Emanuele di ENRICO TIOZZO soltanto di scorcio e nei consueti toni agiografici daglistudiosi quando si parla del delitto o quando si rievoca la figura dell’eroe (...). La versione ufficiale, tuttora circolante e universalmente accettata, è che Matteotti fosse un politico abilissimo ed eccezionalmente preparato, soprattutto nel campo economico-finanziario, un maestro nel dibattito parlamentare («Nessuno l’ha mai battuto in un contraddittorio» scrive Gobetti), un imparziale accusatore sempre documentatissimo ed inesorabile nei conf r o n t i dell’attività politica inefficiente e ignobilmente corrotta di Mussolini, di cui seppe denunciare alla Camera tutte le carenze e tutti gli abusi fino al celeberrimo discorso del 30 maggio 1924 che gli costò la vita. Senza contare che, quando venne ucciso, aveva con sé (si narra) documenti esplosivi – repertati in Inghilterra – che avrebbero trascinato nello scandalo Mussolini e il Re d’I- talia quando egli li avesse potuti presentare alla Camera il giorno seguente. Qui l’analisi (o la pseudoanalisi) dell’attività politica di Matteotti fino al 10 giugno del 1924 si fonde di colpo con ildelitto, ne diventa la spiegazione e viene, per ciò stesso, travalicata e trasfigurata creando un groviglio inestricabile, su cui 70 anni di ricerche e decine e decine di volumi nonsonoancora riusciti a fare chiarezza (o hanno deliberatamente evitato di volerla fare). Ma Matteotti fu veramente il politico che la vulgata ci ha tramandato? (...). Non si rispondere se non tracciando una netta linea di demarcazione tra tutto ciò che Matteotti realizzò politicamente fino al 10 giugno 1924 e tutto ciò che divenne leggenda, mito e agiografia dall’11 giugno 1924 ai giorni nostri. I risultati di un tale lavoro di ricerca, basato principalmente sull’edizione completa dei Discorsi parlamentari di Giacomo Matteotti, editi dalla Camera dei deputatiin tre volumi per 1.645 pagine totali nel 1970, sull’edizione originale di Un anno di dominazione fascista, pubblicata nel 1923, e sui documenti inediti riguardanti le vicende inglesi di Matteotti, principalmente conservati nell’Archivio dell’Istituto Internazionale di Storia Sociale di Amsterdam, riserva delle straordinarie sorprese. Giacomo Matteotti entrò nella Camera dei deputati dopo le elezioni del 16 novembre 1919, in cui il suo partito (Partito Socialista Italiano), con il 32% dei voti e 156 seggi, era risultato di gran lunga il primo partito (...). Nelle successive elezioni del 1921 il suo partito scese al 24% e a 123 seggi (...). Nella tornata elettorale del 1924 i socialisti (...) arrivarono solo al 15% e a 46 seggi (...). Fin dal suo primo intervento in Aula nel 1919 Matteotti dimostrò la sua aggressività verbale contro tutti gli oppositori e la sua irrinunciabile chiusura a priori ad ogni possibile collaborazione con gli altri partiti (i cattolici, i liberali ecc.), tenendo quindi una linea politica, che non avrebbe mai abbandonato nei successivi quattro anni e mezzo, del tutto improduttiva per ogni possibile progresso del Paese. Come primo atto, nella tornata del 21 dicembre 1919, egli accusò Nitti di aver truccato le elezioni appena svoltesi procurandosi i voti in modo truffaldino (...). In quella prima tornata (a cui nessuno mai accenna) Matteotti fece dunque esattamente quello che avrebbe fatto nei successivi quattro anni e mezzo della sua attività parlamentare e anche nel discorso del 30 maggio 1924: senza avere mai in mano alcuna prova documentale offese tutti i deputati non socialisti accusandoli di essere degli imbroglioni e dei truffatori, attaccò violentemente il governo liberale (...), ma non fece alcuna controproposta concreta e costruttiva (...). Negli interventi degli anni successivi(...) Matteotti avrebbe continuato ad accusare, con ugual livore, tutti i governi (Nitti come Giolitti, Bonomi come Facta e Mussolini) di essere corrotti, inefficienti e incompetenti in materia economica e finanziaria perché non riuscivano a raggiungere immediatamente il pareggio nel bilancio dello Stato e a ripagare il debito pubblico accumulato. Come sua ricetta per risolvere il problema propose poi, a più riprese, l’e- 25 CULTURA __Mercoledì 4 novembre 2015__ @ commenta su www.liberoquotidiano.it Giallo archeologico Reperti da Atlantide per riconoscere il futuro della Terra La necessità di credere nel mito attraversa tutte le letterature, affascinando scrittori e poeti. Ora la napoletana Oretta De Marianis ha dedicato un romanzo (Il settimo raggio, Homo scrivens, pp. 186, euro 14) alla leggenda di Atlantide, il continente perduto descritto per la prima volta da Platone nel dialogo Crizia. Un giornalista, Tiziano, e la sua fidanzata Viola, ricercatrice universitaria, inseguono,viaggiando fra Napoli, Dresda e San Pie- troburgo, il sogno, alla fine coronato dal successo, di studiare i reperti provenienti da questa gigantesca isola oceanica inabissatasi millenni fa per uno spaventoso cataclisma: una lettera lasciata al nipote Paul dal grande archeologo tedesco Heinrich Schliemann e ritrovata nelle tasche di un clochard morto in circostanze poco chiare, li pone sulle tracce di due tavolette d’argilla e di un medaglione composto d’un metallo sconosciuto che contengono il segreto del futuro del pianeta Terra: la parola «anima», ripetuta tre volte consecutivamente, è infatti un invito anche all’uomo di oggi a guardare dentro se stesso. Così, sulla scia di una narrazione che ricorda certi racconti di Italo Calvino, la De Marianis dipana un giallo, non semplicemente esoterico, in cui la speranza viene dai Paesi dell’Est, dalla natura della Russia. V. GEN. Il vizietto di PPP Basta con le ipocrisie Pasolini era un pedofilo I verbali della polizia dimostrano che già nel 1949 in Friuli aveva adescato degli adolescenti. La verità sulla morte sta qui ::: segue dalla prima GIANLUCA VENEZIANI spropriazione del capitale privato, una tassa di successione che trasferisse direttamente allo Stato le eredità al di sopra di una cifra minima e,nella tornata del 18 febbraio 1921 con il governo Bonomi, una patrimoniale secca pari a «un ventesimo della ricchezza nazionale complessiva», che era allora intorno ai trecento miliardi di lire. Per capire l’enormità della proposta del sedicente esperto di economia Matteotti, basti dire che, ai giorni nostri, si tratterebbe di una patrimoniale secca di circa 400 miliardi di euro, su circa 8.000 miliardi di euro di ricchezza nazionale complessiva,vale a dire oltre il 24% del PIL annuo italiano che è di 1.500 miliardi di euro, nonché il 20% dell’intero debito pubblico italiano di oggi che è di oltre 2.000 miliardi di euro. Queste proposte - come in generale tutte quelle avanzate da Matteotti negli anni della sua attività parlamentare – venivano immancabilmente respinte e accolte spesso dall’ilarità generale. (...). Le ricette del deputato socialista, se mai fossero state prese sul serio, avrebbero provocato la catastrofe economica in Italia. Su problemi di fondamentale importan- za, in quel delicato momento storico, come il prezzo politico del pane e le tasse da applicare sugli alcolici, le proposte di Matteotti sfioravano l’assurdo. (...). Nel caso del pane raccomandava un sistema discriminatorio,per italiani e turisti stranieri, che avrebbe richiesto la presentazione del passaporto e della dichiarazione dei redditi per acquistare un semplice panino (...). Abituato ad offendere e a provocare, anche sul piano personale, tutti i suoi avversari in Aula, Matteotti attaccò sempre Giolitti, per esempio nella tornata del 27 giugno 1920 dandogli del vecchio riciclato (...) e attaccò Benedetto Croce, nella tornata del 7 dicembre 1920, dandogli dell’incapace e del rimbambito (...). Matteotti però non produsse mai un semplice documento. Si riferiva unicamente a quanto aveva letto la mattina su giornali come Il Corriere del Polesine, che vendeva tremila copie, o La Giustizia, che era l’organo del suo partito e che lui sostanzialmente dirigeva (...). I documenti ancora inediti presenti nell’Archivio di Amsterdam dimostrano in modo inequivocabile come Matteotti, nel suo breve viaggio a Londra nell’aprile del 1924 , si occupò solo della possibilità di far tradurre in inglese Un anno di dominazione fascista e soprattutto come i laburisti inglesi, in quel momento al governo, fossero completamente disinteressati tanto del testo matteottiano, che liquidarono come «un libretto di propaganda antifascista» rifiutandosi di finanziarlo anche con un solo scellino, quanto di Matteotti stesso, che infatti ripartì dalla capitale inglese dopo qualche giorno e senza aver avuto alcun contatto importante. (...). Il libello in realtà è solo un centone di statistiche, reperibili anche altrove nelle fonti dell’epoca, e dispezzoni di articoli su vari episodi di violenza fascista, estrapolati esclusivamente da La Giustizia. (...). Nel libello viene rimproverato al primo governo Mussolini di non avere risolto (in un anno!) i problemi che da un secolo affliggono l’Italia e che nessun governo, dagli anni di Matteotti fino ad oggi, è mai stato capace di risolvere: il pareggio del bilancio (in effetti Mussolinipoi ciriuscì), l’azzeramento del debito pubblico, il buon funzionamento della scuola, lo snellimento della burocrazia, e via di questo passo. (...). (...) meno banale la sua fine. Non gettate su di lui fiumi di melassa, ricoprendone e insozzandone il cadavere già sporco di sangue e fango a 40 anni dalla scomparsa, come hanno fatto domenica in diretta tv Fabio Fazio e il suo coro monotono di ospiti, da Dacia Maraini, che ricorda il Pier Paolo buon amico e collega perbene, a GianniMorandi, che ne rievoca i fasti di giocatore promettente sui campi polverosi di periferia, fino al premier Renzi che in un tweet, con un aforisma preso verosimilmente da Wikipedia, cita il suo invito a «non lasciarsi tentare dai campioni dell’infelicità e della serietà ignorante». È questa l’immagine idealizzata del Pasolini tramutato in un Che Guevara della letteratura, come l’ha definito Emilio Russo su L’Intraprendente: un volto sempre solare, sorridente, disponibile, una persona semplice anche se grande, un uomo vicino agli ultimi... E insieme a questa materia zuccherosa si sparge sul suo corpo e sulla sua memoria un po’ di benzina, o meglio di petrolio, per sostenere improbabili congetture complottiste, che vanno dall’uccisione perché scrittore scomodo ai poteri forti - in primis Cefis, l’allora capo della Montedison di cui PPP avrebbe scritto, e male, nel romanzo incompiuto Petrolio - alla sua epurazione perché voce di denuncia della strategia della tensione (versione sostenuta, senza fondamento alcuno, anche da Walter Veltroni), fino alla leggenda metropolitana secondo cui nella sua esecuzione avrebbe avuto un ruolo la Banda della Magliana (che però il 2 novembre 1975 non era ancora nata), solo perché, come ha scritto Giovanni Bianconi sul Corriere della Sera, «la mattina dopo la sua morte, tra la folla di curiosi radunata attorno al suo cadavere sembra spuntare il volto di Maurizio Abbatino, che di lì a un paio d’anni avrebbe contribuito alla nascita della gang». E invece la verità, sulla sua vita e la sua morte, è molto più palese, meno retorica, meno romantica e romanzata. PPP muore perché pretende di seviziare sessualmente con un bastone di legno Pino Pelosi, ragazzo di vita 17enne, adescato poco prima alla Stazione Termini. E il suo epilogo è coerente con la vita, la conclusione è l’esi- to lineare di un’esistenza vissuta volutamente e violentemente borderline,ai margini della morale pubblica e delle leggi sul pudore oltreché alle periferie delle città, tra borgate e ragazzini disadattati e disponibili. Una parabola che comincia molto prima delle frequentazioni all’Idroscalo di Ostia o nei quartieri degradati della Capitale, ma ha inizio in Friuli, nei pressi della sua amata Casarsa, per l’esattezza a Ramuscello. Come attesta una lettera del professor Alberto Alberti pubblicata su Dagospia,riprendendo i verbali di polizia pubblicati nel libro di Barth David Schwartz Pasolini Requiem (Marsilio), già il 30 settembre 1949, in una sagra di paese, Pasolini circuisce con la promessa di dolciumi quattro adolescenti, di età compresa tra i 14 e i 16 anni. Li porta con sé nei campi, fuori paese, e qui prima «li comincia a baciare, mettendogli la lingua in bocca e palpandogli le carni» e poi, «sbottonandosi i pantaloni e scacciando fuori il suo membro», «si fa masturbare fino a lussuria soddisfatta», pagando ciascun ragazzo 10 lire. È per questa ragione, per questi rapporti che oggi verrebbero definiti pedofili e condannati penalmente, e non per una congiura democristiana (toh, ancora la teoria del complotto) o per le ipocrisie di una società puritana, che Pasolini si guadagna l’accusa di «corruzione di minori» e «atti osceni in luogo pubblico». Ed è per la stessa ragione che viene prima sospeso dall’insegnamento e poi espulso dal Pci per «indegnità morale», con tanto di invito implicito di Togliatti a occuparsi da quel momento in poi non di politica ma di pederastia, di cui era specialista. E sebbene Pasolini abbia poiprovato ad assolversi (e poi in effetti lo fu, nel 1953) dalle accuse, sostenendo che il suo era un esperimento letterario che voleva rievocare un’esperienza raccontata in un romanzo da André Gide, non si può a oltre 65 anni dai fatti e a 40 dalla morte - continuare a scambiare la sua vita per un’opera d’arte, cui ogni perversione è consentita, perché di natura squisitamente estetica. Bisognerebbe semmai, per onestà intellettuale, rileggere le sue opere e capire quanto di lui parla ancora alle nostre teste (anziché scaldare i nostri cuori o sollecitare le nostre fantasie, sessuali e complottiste). Ma dubitiamo che Fazio, Morandi o Renzi abbiano mai preso tra le mani un suo libro...