STAGIONE 2011/2012 28 - 31 marzo 2012 · ore 20.45 · PROSA LA COMMEDIA DI ORLANDO liberamente tratto da “Orlando” di Virginia Woolf regia e drammaturgia di Emanuela Giordano musiche originali, eseguite dal vivo, della Bubbez Orchestra con Isabella Ragonese e Sarah Biacchi produzione: Compagnia Enfi Teatro 2 aprile 2012 · ore 20.45 CROSSOVER 3 aprile 2012 · ore 10.30 replica per le scuole ITIS GALILEO di Francesco Niccolini e Marco Paolini con Marco Paolini produzione: Michela Signori, Jolefilm 4 aprile 2012 · ore 20.45 · MUSICA FVG Mitteleuropa Orchestra Emilio Pomarico direttore Nicola Benedetti violino Schubert “Rosamunde” D797, Musiche di scena nn. 2, 5 e 9 Bruch Concerto per violino n. 1 op. 26 Schumann Sinfonia n. 1 op. 38 “Primavera” produzione: Teatro Nuovo Giovanni da Udine in collaborazione con Fondazione Bon 12 aprile 2012 · ore 20.45 · DANZA Ballet de L’Opéra National de Bordeaux direttore artistico Charles Jude SOIRÉE BALANCHINE 14 aprile 2012 · ore 20.45 · MUSICA Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino Zubin Mehta direttore Verdi “I Vespri siciliani” Sinfonia Mozart Sinfonia n. 41 KV 551 “Jupiter” Dvořák Sinfonia n. 9 op. 95 “Dal nuovo mondo” 16 - 19 aprile 2012 · ore 20.45 · PROSA IL VENTAGLIO di Carlo Goldoni regia di Damiano Michieletto produzione: Teatro Stabile del Veneto Teatri e Umanesimo Latino S.p.A. 20 - 28 aprile 2012 · ore 20.45 · TEATRO& C.E.C. Centro Espressioni Cinematografiche UDINE FAR EAST FILM Il più grande festival di cinema popolare asiatico - 14ª edizione 8 maggio 2012 · ore 20.00 · LIRICA Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste LA BOHÈME libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica musica di Giacomo Puccini direttore Donato Renzetti regia di Elisabetta Brusa Orchestra, Coro e Tecnici della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste musiche di Igor Stravinskij e George Gershwin coreografie di George Balanchine Fondazione Teatro Nuovo Giovanni da Udine Via Trento, 4 - 33100 Udine Tel. 0432248411 [email protected] www.teatroudine.it Biglietteria online [email protected] www.teatroudine.it www.vivaticket.it Segui il Teatro © Studio Novajra · print: Grafiche Filacorda La grande carriera internazionale di Barry Douglas ha avuto inizio nel 1986, con la vittoria della medaglia d’oro al Concorso Internazionale Čaikovskij di Mosca. Da allora Barry Douglas si è esibito con tutte le principali orchestre internazionali e ha collaborato con direttori quali Vladimir Ashkenazy, Colin Davis, Lawrence Foster, Valery Gergiev, Marek Janowski, Mariss Jansons, Lorin Maazel, Kurt Masur, André Previn, Mstistlav Rostropovich, Kurt Sanderling, Leonard Slatkin, Yvegeny Svetlanov, Yuri Temirkanov, Michael Tilson - Thomas, Neemi Jarvi, Krjstian e Paavo Jarvi. Douglas, inoltre, è impegnato regolarmente in recital in Francia, Irlanda, Regno Unito, Stati Uniti, Spagna e Sud America. Come solista ricordiamo solo i suoi più recenti impegni: nella stagione 2010/11 si è esibito con la London Symphony Orchestra, la City of Birmingham Symphony Orchestra, la Cincinnati Symphony, la Singapore Symphony, la Filarmonica di Duisburg, RSB Berlin e Ulster Orchestra. In estate è apparso ai BBC Proms (di cui è stato più volte ospite) con la BBC Symphony Orchestra, eseguendo l’anteprima mondiale di un nuovo concerto scritto per lui da Kevin Volans per festeggiare il suo 50° compleanno. Durante il corso della sua carriera Barry Douglas ha registrato moltissimi CD, tra i quali spiccano quelli dedicati a tutti i Concerti di Beethoven con la Camerata Ireland, orchestra da camera da lui stesso fondata nel 1999. Nel 2008 Sony / BMG ha pubblicato la sua registrazione dei Concerti n. 1 e n. 3 di Rachmaninov con la Russian National Orchestra e Evgeny Svetlanov ed è stato proprio con un film documentario per la BBC dedicato al Concerto n.2 di Rachmaninov, presentato da Dudley Moore e la London Symphony Orchestra diretta da Michael Tilson - Tomas che Barry Douglas ha raggiunto la grande popolarità presso il pubblico internazionale. 25 marzo 2012 · ore 20.45 Barry Douglas pianoforte MUSICA Barry Douglas pianoforte Ludwig van Beethoven (1770-1827) Sonata in si bemolle magg. op. 106 “Hammerklavier” Allegro Scherzo - Assai vivace Adagio sostenuto Largo - Allegro risoluto **** Johannes Brahms (1833-1897) Capriccio in re min. op. 116 n. 1 Intermezzo in mi bemolle magg. op. 117 n. 1 Capriccio in sol min. op. 116 n. 3 Intermezzo in mi magg. op. 116 n. 4 Capriccio in re min. op. 116 n. 7 Ludwig van Beethoven (1770-1827) Sonata in do magg. op. 53 n. 21 “Waldstein” Allegro con brio Introduzione - Adagio molto Rondò - Allegretto moderato - Prestissimo Ludwig van Beethoven Johannes Brahms Ludwig van Beethoven «Eccovi una sonata che darà del filo da torcere ai pianisti, quando la suoneranno tra cinquant’anni». Con queste parole - secondo una tradizione risalente a Henri Mortier de Fontaine, che della sonata fu, insieme a Clara Schumann e Franz Liszt, uno dei primi grandi interpreti - Beethoven avrebbe presentato l’op. 106 all’editore Artaria. La testimonianza non è la più inverosimile di quante tramandate dalla disinvolta aneddotica ottocentesca, ma certo l’epistolario beethoveniano ci rende un quadro psicologico assai meno euforico: «La sonata è stata scritta in circostanze avverse, dal momento che è duro comporre pressati, o quasi, dalle necessità più impellenti: a tanto sono ora arrivato» (lettera a Ferdinand Ries, Vienna, 19 aprile 1819). La composizione dell’op. 106 si trascinò a lungo, dal novembre 1817 a tutto il 1818, parallelamente al «Kyrie» della Missa Solemnis e ai primi abbozzi della Nona Sinfonia; e ancora nel marzo 1819 Beethoven tornava sul terzo movimento per aggiungervi la celebre battuta iniziale, un ampio gesto in levare che introduce solennemente il tema dell’«Adagio sostenuto». La prima edizione apparve nel settembre dello stesso anno, accompagnata da quel ridondante sottotitolo («für das Hammerklavier», per il pianoforte a martelletti) da cui l’opera, inspiegabilmente, non si sarebbe mai più separata. A dispetto delle «circostanze avverse» lamentate nella lettera a Ries, nessuna altra composizione aveva impegnato Beethoven così a lungo nei cinque anni precedenti; né le bizzarre istruzioni contenute nella stessa lettera perché la sonata potesse trovare una vantaggiosa collocazione nel mercato londinese valgono a mascherare come lavoro di circostanza un’opera dall’eccezionalità manifesta («Oppure lei potrebbe anche omettere il Largo e cominciare direttamente dalla Fuga che costituisce l’ultimo tempo; oppure potrebbe usare il primo tempo e poi l’Adagio e quindi lo Scherzo per il terzo tempo, omettendo interamente il n. 4 con il Largo e l’Allegro risoluto. O ancora, potrebbe prendere semplicemente il primo tempo e lo Scherzo che formerebbero così l’intera sonata»; il passo è generalmente citato secondo la lezione, diversa e gravemente corrotta, riportata dallo stesso Ries nelle Biographische Notizen über Ludwig van Beethoven del 1838). Già le proporzioni colossali - poco meno di milleduecento battute, circa tre quarti d’ora di durata - dovevano rappresentare un’autentica aberrazione, all’epoca, anche per l’ascoltatore più scaltrito; né ci si poteva aspettare maggiore indulgenza da un’intera generazione di esecutori chiamata inaspettatamente a cimentarsi con difficoltà tecniche proibitive. Ma più allarmanti delle fattezze esteriori erano il radicalismo della concezione formale, la sovrumana capacità d’astrazione, il vigore barbarico della condotta contrappuntistica («fuga a tre voci, con alcune licenze», si premurò ingenuamente di precisare l’autore). A ben vedere, l’op. 106 non rappresenta una sfida vera e propria alla capacità di concentrazione di un pubblico che essa, piuttosto, pare ostentatamente ignorare. Certo il compositore fu buon profeta quando presagì per la propria sonata cinquant’anni di oblio: Berlioz ne parlava come di un «lavoro ancora incompreso», che, nonostante l’apostolato di Liszt e pochi altri, sarebbe rimasto di rarissima esecuzione fino al ventesimo secolo. Chi osservi l’acquarello in cui Wilhelm Nowak ritrasse la sala di musica nell’abitazione di Brahms (Vienna, Historisches Museum der Stadt Wien) noterà un imponente busto di Beethoven appeso alla parete sopra il pianoforte, come ad osservare, da dietro, chi siede allo strumento. Brahms trascorse almeno venticinque anni della propria esistenza sottoponendo tacitamente i propri tentativi alla tastiera al giudizio di quel simulacro; e, in generale, la sua intera carriera compositiva si svolse all’insegna del confronto con un così ingombrante predecessore. Nell’economia creativa brahmsiana, però, la musica per pianoforte svolse una funzione ben diversa da quella di Beethoven, le cui sonate furono il laboratorio in cui sperimentare senza sosta nuovi ritrovati, da sviluppare poi in generi come la sinfonia o il quartetto d’archi. Per questo le sonate per pianoforte scandiscono l’intera produzione di Beethoven con scrupolosa puntualità, dalle Kurfürstensonaten di un compositore non ancora tredicenne fino alle estreme propaggini dell’op. 111, apparsa quattro anni prima della morte. La musica per pianoforte solo di Brahms, al contrario, si colloca in fasi precisamente circoscritte del suo iter artistico e procede per balzi repentini, compiuti a distanza di anni. Alle tre sonate per pianoforte, risalenti, come l’ipertrofico Scherzo op. 4, agli anni 1851-53, segue una serie di variazioni che culmina nel 1861-63 con i grandi cicli su temi di Händel e Paganini; poi, dopo il trasferimento a Vienna, quasi più nulla fino a due gruppi di Klavierstücke, variamente intitolati fantasie, rapsodie, intermezzi, e concentrati negli anni 1878-79 (op. 76, 79) e 189293 (op. 116, 117, 118, 119). Dopo il precoce abbandono della sonata, maturato all’ombra di Schumann, e lo studio approfondito della variazione ciclica, Brahms si volse dunque alla composizione di nitide miniature pianistiche, per lo più organizzate secondo un’alternanza di «capricci» e «intermezzi»; definizioni apparentemente aliene da smanie classificatorie, se l’archetipo di tali raccolte, l’op. 76, fu spedito all’editore Simrock con questa preghiera: «Puoi pensare tu ad un titolo?». Il carattere dei singoli brani appare il solo criterio al servizio di una classificazione volutamente approssimativa: i brani più animati e carichi di pathos sono detti capricci; intermezzi quelli graziosi o meditativi, in tempo lento o moderato. Le ultime quattro raccolte (op. 116-119) rappresentano, non solo cronologicamente, il vertice della produzione pianistica brahmsiana. Composta durante la villeggiatura estiva a Bad Ischl nel 1892, l’op. 116 riunisce tre capricci e quattro intermezzi sotto il titolo cumulativo di «Fantasie». La struttura è insolitamente omogenea, con due capricci in re minore ad incorniciare l’intera raccolta e un nucleo centrale di intermezzi, tonalmente tripartito (mi maggiore-mi minore - mi maggiore). Il che non significa che i sette brani rappresentino altrettanti movimenti di un opus conclusum; prevale pur sempre lo spirito del Klavierstuck, tant’è che, quando i singoli brani furono eseguiti in pubblico per la prima volta, ciò avvenne separatamente: i nn. 1-3 a Vienna il 30 gennaio 1893, il n. 7 il 18 febbraio, e via dicendo. Risalgono al 1892 anche i tre incantevoli intermezzi dell’op. 117, privi di relazioni tonali. Così come il numero d’opera precedente e i due successivi, la raccolta fu presentata al pubblico in forma frammentaria (i nn. 1-2 a Londra il 30 gennaio 1893, il n. 3 ad Amburgo il 27 novembre dello stesso anno). Composta nel 1803-1804, la Sonata op. 53 apparve a stampa nel 1805 con una dedica al mai dimenticato benefattore degli anni di Bonn, il conte Ferdinand Ernst von Waldstein. Come l’op. 106 rappresenta una pietra miliare dell’evoluzione stilistica beethoveniana, che traghetta il suo autore, e con lui l’intero Ottocento, dalle Sinfonie nn. 7 e 8 alla Nona, e dall’op. 95 agli ultimi quartetti, così l’op. 53 svolge, nell’ambito della sonata per pianoforte, la stessa funzione dell’Eroica rispetto alle sinfonie precedenti. A distanza di duecento anni, l’ascoltatore moderno stenterà ad immaginare quanto sorprendente potesse apparire, all’epoca, la successione di dominanti e sottodominanti secondarie con cui si apre il primo movimento: l’accordo iniziale di do maggiore non è percepito come tonica, ma come sottodominante dell’accordo di sol maggiore, che si afferma fin dalla terza battuta come (apparente) tonalità d’impianto; ma il fascino segreto di questa pagina consiste soprattutto nell’accortezza con cui ogni spinta centrifuga, ogni potenziale fattore di crisi è impercettibilmente bilanciato da un intervento di segno opposto, all’interno di una rete di relazioni dalla complessità insospettabile. Con più immediata evidenza, la sonata documenta anche l’adozione di procedimenti di matrice sinfonica all’interno del repertorio cameristico, quale si ravvisa anche nei contemporanei Quartetti Razumovsky. Non stupisce, pertanto, che essa ostenti sonorità quasi orchestrali, con fitti grappoli di note, lunghi crescendo e violenti sforzando. Un’annotazione sulla prima pagina dell’autografo, assente nella prima edizione e generalmente omessa nelle edizioni moderne, prescrive l’uso del pedale di risonanza: «N.B. Dove c’è [l’indicazione] Ped[ale] l’intero [apparato] smorzatore deve essere sollevato sia nel basso sia nell’acuto. [Il segno] O indica di abbassarlo di nuovo». La stessa scrittura pianistica è esemplata su modelli orchestrali, dispiegando tutte le risorse peculiari del concerto, come lunghi trilli, cadenze e scale che percorrono la tastiera da un estremo all’altro. Fa una singolare impressione collocare idealmente in un simile contesto il celebre «Andante favori», in origine concepito come tempo lento della sonata e quanto mai opportunamente rimpiazzato dalla attuale introduzione («Adagio molto») al rondò conclusivo. È l’andante dedicato a Josephine von Brunswick, la «amata immortale» su cui sono stati versati fiumi di inchiostro, e nel pudore di questo retroscena amoroso l’aneddotica ottocentesca ha preteso di scorgere il segreto motivo della sostituzione. Ma anche senza invocare le testimonianze coeve di Ries e Czerny, è assai più facile e sensato postulare che l’accostamento di due ampi rondò consecutivi, come l’«Andante favori» e l’«Allegretto moderato», rappresentasse una soluzione formale ben poco felice. Sonata op. 106 “Hammerklavier” Capricci e Intermezzo da op. 116 e 117 Sonata op. 53 “Waldstein” Testi di Alessandro Lattanzi