2 Sommario ...per la storta della moda Luigi Pruneti 22 3 Il cavaliero nel cratere inabissò Michela Torcellan Il poeta patrio Anna Giacomini 4 26 Un 2007 allinsegna della continuità 44 Dimore San Giovanni o.n.l.u.s. 46 Convegno Giosue Carducci 47 Celebrazioni Giuseppe Garibaldi 48 in biblioteca 72 Fregi di Loggia I Seminari Marco Materassi Luigi Danesin 8 14 30 Il dolce paese di Carducci Fabrizio Del Re Luigi Pruneti Giosue Carducci: il Gran Maestro dellitala gente da le molte vite 34 Pianto antico Sui passi di Giosue 38 Il mosaico di Otranto Aldo Alessandro Mola 20 Il valore della laicità nel corso della storia Pietra Leoni Silvia Braschi Francesco Corona - Spigolature - Carducci e le vicende... - Tempi di strofe vigile e balzante - La belle dame... - Giovanni Ghinazzi - Recensioni 1 Luigi Pruneti . . . per la storta della moda uesta volta ho deciso di non disturbare Amleto. Lho lasciato insieme al fido Orazio nel suo inquietante castello di Elsinore che domina possente le piagge di Danimarca, soffuse di nebbia e di malinconia. Ritornerà, forse a Giugno e già si ripromette di svelarci misteri e segreti, sembra, infatti, che nei sotterranei della fortezza abbia scovato un vecchio scrigno colmo di documenti singolari Staremo a vedere. La momentanea latitanza del Principe mi consente così di spendere due parole su Giosue Carducci, il nostro celebre Fratello al quale è dedicato il presente numero di Officinae. Sono particolarmente affezionato 2 al vecchio Lione di Maremma fin da quando il grembiule lo portavo nero insieme alla goletta bianca e al fiocco azzurro. Allora la maestra mi chiamava Lucignolo perché ero secco e smorto come la cera delle candele. In quegli anni, al pari dei miei coetanei, studiavo le poesie a memoria molte delle quali erano del Nostro. Mi commuovevo leggendo Pianto antico, percepivo lautunno nei versi di San Martino e fremevo davanti allepica figura Uguccione che, chiuso nellacciaio della corazza, saccingeva a guidare la masnada pisana contro la pantera druda. Schegge di un tempo che fu, ora Giosue Carducci e la sua opera sembrano essere volutamente dimenticate. Cosimo Ceccuti ricorda che qualcuno non salverebbe più di dieci componimenti del Poeta e che altri gli rimproverano la conversione alla monarchia, quasi un colpo di fulmine, per leterno femminino regale della Regina Margherita. Fa eco allo Storico Claudio Marabini, sottolineando la malcelata ostilità contemporanea nei confronti del Toscano. Infine Emilio Pasquini imputa il suo declino al Ventennio fascista che avrebbe esageratamente insistito sul Carducci più retorico, più enfatico. Al di là delle imperscrutabili ragioni letterarie, dettate soprattutto dalle regole dellumore, penso che allorigine delloblio vi sia anche lesprit du temps. I nostri anni non riescono a digerire luomo Carducci, lo considerano un corpo estraneo per quella sua assoluta indipendenza ideologica e politica, lo sentono lontano per essere stato condizionato solo dalla propria coscienza. Carducci, nonostante le contumelie di Rapisardi, fu un antilecchino, insensibile alla moda, allopportunismo, alle tendenze del momento. Non fu un monarchico convertito o un repubblicano pentito, ma un Italiano interessato al bene del Paese. Come poteva e può essere accettato costui, nel piatto panorama culturale attuale? Dagli anni Cinquanta in poi, nella Penisola, letteratura ed arte sono state sottoposte ad un accurato vaglio ideologico, stabilendo a priori ciò che era correttamente orientato e quello che non rispondeva alle necessità del momento. In virtù di questo metro fu boicottato un capolavoro come Il gattopardo, accusato Tolkien di essere un autore reazionario, dannato alla dimenticanza un lirico raffinato quale Lucio Piccolo. Infine si è giunti ad osannare le letture dantesche di un comico e ad incensare lopera letteraria di un cabarettista, assurto, fra la commozione generale, agli allori del Nobel. Per forza di cose Carducci, uomo che seppe aderire ad unidea senza restarne succube [ ], impegnarsi politicamente conservando indipendenza critica [ ], demistificare tutti gli idoli, anche i propri, risulta inattuale. Ritornerà ad essere ricordato, studiato, amato, quando il coraggio, il rigore morale della scelta, lindipendenza di pensiero riprenderanno a lumeggiare, costringendo i miasmi del conformismo cortigiano a ritirarsi nei sottoscala di un compiacente, indeterminato potere dal quale furono generati. Anna Giacomini Il poeta patrio priamo come sempre con larticolo del Sovrano Gran Commendatore Gran Maestro Luigi Danesin, denso di fondamentali informazioni sulle iniziative che competono alla sua altissima Carica. Oltre ai trionfi sul fronte delle relazioni con lEstero Egli ci ragguaglia sui complessi rapporti con la Chiesa Cattolica che, nonostante qualche limitato quanto gratuito attacco che sembrerebbe riportarci indietro di molti anni, annovera tra le sue file un massonologo di gran vaglia quale P.Rosario Esposito, autore di numerosi libri e collaboratore della nostra rivista, oggi anche Fratello Onorario della nostra Obbedienza. Sul fronte delleditoria la stampa del volume Massoneria Liberale, si aggiunge ai costanti progressi che la Gran Loggia dItalia consegue in termini di divulgazione della propria immagine e dei principi che da sempre la ispirano. Mentre Case Editrici di tutto rispetto la affiancano nel suo impegno culturale, dal quale nasceranno altre prossime pubblicazioni. Per il concetto di continuità, fondamentale nelle scelte di chi amministra lIstituzione, il Gran Maestro si affida allopera di Luigi Pruneti sul Sovrano Gran Commendatore Gran Maestro Giovanni Ghinazzi (la cui personalità nobile e liberale ben figura accanto a quella del grande poeta cui è dedicato il primo numero di Officinae per lanno 2007. Celebriamo infatti lopera e le scelte di un uomo di grande statura, amato ed osannato, principe nelle lettere e fiero nelle passioni politiche: Giosue Carducci (1835-1907). La militanza in massoneria, la fede laica e repubblicana, labilità straordinaria nel verseggiare su qualunque metro della poesia italiana e tante altre caratteristiche ne fecero una sorta di icona, sacra fino ad un certo momento e poi, per i disguidi del pensiero umano, una stravaganza da dimenticare. Noi oggi abbiamo il compito di scoprirne la verità, la mente sgombra di pregiudizi, e riprendere quanto di lui ci è rimasto di au- tenticamente creativo e appassionato, per rendergli un dovuto tributo di fratellanza. Il massone lascia ai letterati il compito di un recupero critico della sua opera, lascia allo storico la ricollocazione corretta del pensiero nella sua matrice, e forse lascia anche allo psicologo il compito di ricostruire una personalità a volte contraddittoria. Il massone oggi può a giusto diritto, finalmente libero di dirlo, dichiarare che Giosue Carducci fu un illustre fratello, giunto al 33° grado del Rito Scozzese Antico ed Accettato, che ebbe unamicizia profonda per il Gran Maestro Adriano Lemmi, e per Francesco Crispi e che credette appassionatamente nella dignità e nel diritto alla libertà dei popoli. Forse quanto attualmente può essere accettato senza discussione dalle opposte tendenze critiche, luna contro laltra armate, sembra proprio un indiscusso e vibrante amore di patria unito ad fortissimo legame per la sua terra. Una Patria da riconoscere nel luogo dove la propria umanità configge le radici, e che quindi è madre dei suoi uomini e non certo il monumento atteggiato, caro al manierismo nazionalistico. Così rivisitato Carducci può riservare molte sorprese. Tra i molti componimenti poetici marcati da un rimare incalzante ed esasperato emergono brani limpidi e pura liricità spesso legati a descrizioni di paesaggio. Tra gli strali profusi contro tiranni offensori delle libertà e quelli datati contro un clero intransigente, si fanno strada accorati accenti di celebrazione dei combattenti per la libertà di ogni luogo e di ogni tempo ed una maschia sofferenza per i dolori privati. In questo numero di Officinae abbiamo cercato di toccare alcuni importanti temi che mirassero appunto a rendere massonica giustizia alla verità di Carducci. Luigi Pruneti e Aldo A.Mola ne hanno inquadrata la figura letteraria e storica. Mentre varie considerazioni sul piano ermeneutico scaturiscono dalle indagini degli altri redattori. Per quanto è stato possibile abbiamo concentrato nella rubrica In biblioteca alcune significative testimonianze originali che speriamo saranno ben accolte, quali assaggi invitanti ad una rilettura attenta del maestoso e ruggente poeta patrio. Il Direttore 3 4 iamo giunti al 2007. Anno che si presenta ricco anzi dovizioso di importanti appuntamenti con la storia. Possiamo affermare che proprio nel corso dei prossimi mesi potremo confrontarci più volte con il nostro illustre passato e derivarne qualche temporaneo bilancio, utile per dare impulsi rinnovati alla nostra Obbedienza. Giosue Carducci e Giuseppe Garibaldi Nel 2007 ci prepariamo a rievocare lopera e il pensiero di un grande letterato, Giosue Carducci morto il 16 febbraio 1907, e quindi la figura di un Sovrano Gran Commendatore che fa parte della sfera eletta dei simboli incarnati: Giuseppe Garibaldi nato il 4 luglio 1807. Nei cento anni che corrono dalla nascita delluno alla morte dellaltro si compì lepopea risorgimentale, lItalia divenne una, si diffusero alfabetizzazione e civiltà, la Massoneria ebbe modo di delineare le sue due tendenze: lo schema liberale adogmatico e per contro laltro, quello dogmatico. Tutto un fluire di eventi fondamentali per mettere ben a fuoco la nostra identità collega idealmente le due date e ci invita ad alcune riflessioni. Rapporti con la Chiesa cattolica In primo luogo possiamo considerare un aspetto, che sebbene ancora non completamente risolto, rivela chiaramente lindirizzo verso cui desideriamo puntare le nostre azioni. Un ottocento ribollente di sentimenti anticlericali diretti al potere temporale dei successori di Pietro, più attenti alle convenienze politiche che alla missione di pastori di anime, ha compiuto il suo ciclo storico. Nato in data non precisabile, scoppiato con le istanze risorgimentali, lanticlericalismo ha concluso la sua ragion dessere con la fine del potere temporale dei papi. In quella ormai lontana temperie trovarono luogo estreme esternazioni come lInno a Satana carducciano o qualche colorita invettiva verbale dellEroe dei due mondi. Oggi tutto questo appare come un pittoresco lascito di un momento culturale datato e conchiuso, verso il quale manifestare solo un interesse di tipo storico senza alcun altro coinvolgimento. Tantè che è in atto presso la Gran Loggia dItalia degli A.L.A.M., Obbedienza di piazza del Gesù, Palazzo Vitelleschi un avvicinamento franco ed ampiamente tollerante, cui corrisponde una risposta libera e civile, verso personaggi di spicco come lo storico P.Rosario Esposito che, pur facendo parte del clero cattolico, ha accettato con commozione di essere insignito del grado di Maestro Onorario della Gran Loggia dItalia. Si tratta di un evento che sancisce con chiarezza la posizione della nostra Obbedienza nei confronti delle Chiese, posizione di assoluto rispetto e di serena accoglienza verso quei loro componenti che abbiano ben compreso come tra noi viga la più completa tolleranza per la fede di ogni uomo. Fede che, ricordiamo, è requisito richiesto 5 per poter entrare a far parte della Massonica Istituzione. Purtroppo ancora qualche zona dombra, dove non è giunto il raggio della ragione illuminante, produce episodi come le recenti arbitrarie affermazioni del Vescovo di Trapani Mons. Francesco Miccichè cui, peraltro, abbiamo prontamente risposto. Si tratta oramai di casi isolati generati più da ignoranza della nostra vera essenza o forse da confusioni prodotte da una sorta di provincialismo culturale. Relazioni estere La realtà della Gran Loggia dItalia degli A.L.A.M., Obbedienza di piazza del Gesù, Palazzo Vitelleschi è proiettata verso il mondo, la ricerca della Tradizione su cui infiggiamo le nostre radici ci conduce a vivere una condizione di sintonia estesa a tutti coloro che credono nei principi di libertà, uguaglianza e fratellanza, senza distinzioni di razza, di linguaggio o di religione. Lo dimostrano apertamente le nostre Logge in Orienti esteri dove nel corso dei lavori mas- 6 sonici convivono nellarmonia più totale fratelli che praticano i culti più diversi. Verso lEstero stiamo lavorando con grande impegno nellambito dellUnione delle Potenze Massoniche del Mediterraneo. Non possiamo dimenticare che la strada venne indicata dallo stesso Garibaldi come obiettivo politico e con lui Carducci, che fu pronto a chiamare fratelli i caduti per la patria di tutti i continenti, gridando allo spirito del poeta inglese morto per lindipendenza greca: tu dove sei poeta del liberato mondo? Iniziative editoriali massoniche Per ottimizzare la diffusione dei nostri princìpi riteniamo giusto favorire la produzione di opere che quei princìpi esaltino e che, con la capacità che ha la carta stampata di penetrare nei bacini di utenza più impensati, offrano i risultati dellimpegno professionale di studiosi della nostra materia ad un mondo profano sempre più distratto e confuso. Nasce così la silloge di Massoneria Liberale frutto composito di vari autori che hanno dato corpo ad un lavoro di ampie dimensioni per le molte tematiche affrontate. Curato dal Sovrano Gran Commendatore Gran Maestro (nella Nostra Persona) rappresenta la quintessenza del pensiero della Gran Loggia dItalia ed un punto fermo nella storia della nostra produzione editoriale, che si è valsa della casa editrice Atanor, di remota e prestigiosa ascendenza. Per acquisire una sempre maggior certezza della nostra identità sono necessarie opere che, come questa, mirino a fissare la nostra regolarità e forniscano, con più contributi, tutti gli elementi atti ad informare i lettori sulla vasta realtà della Massoneria Liberale. Così come essenziale per stabilire la nostra regolarità è lo studio di coloro che hanno dettato le regole e dunque la ripresa critica di personaggi iconici quali Garibaldi e Carducci, ma anche Gran Maestri come Giovanni Ghinazzi. La monografia di questultimo, uscita nel 2006, costituisce un altro punto fermo per un approccio lucido alla nostra Obbedienza. Luigi Pruneti, lautore, è riuscito, scavando nei documenti, negli epistolari inediti, nei fatti della storia maggiore, a consegnare ai lettori unimmagine utile a definire il coraggio la chiarezza e la nobiltà che devono contraddistinguere Colui che è chiamato a guidare la nostra Obbedienza. Lopera è stata divulgata da un editore anchesso storico, Giuseppe Laterza (si ricorda che lantica casa editrice Laterza era quella delle opere di Benedetto Croce, Rudolf Steiner, ecc.), che in questi anni ha immesso sul mercato molte opere di ispirazione massonica, e segnatamente prodotte da autori legati alla Gran Loggia dItalia degli A.L.A.M., Obbedienza di piazza del Gesù, Palazzo Vitelleschi. Così come storica è la casa editrice Atanor, che attualmente collabora con noi, e che, fin dagli inizi del novecento (fu fondata nel 1916), quando la sua sede era a Todi, ha prediletto e sostenuto argomenti di frontiera per i tempi, quali: esoterismo, occultismo, magia, simbolismo, tantrismo, parap- sicologia e massoneria. Una tale collaborazione costituisce un nuovo importante obiettivo raggiunto. Altre opere seguiranno la linea che abbiamo tracciato con Massoneria Liberale. Continuità Possiamo perciò concludere che limpegno alla ininterrotta continuità si sta ben articolando su vari fronti, le vie sono segnate, gli esempi illustri confortano la nostra appartenenza, ciò che è regola è sempre presente nella nostra operatività e non poniamo limiti alla nostra crescita culturale. Particolare attenzione intendiamo rivolgere alla presenza femminile nella nostra Obbedienza con il sostegno di iniziative che mirino a mettere in luce lapporto della donna nella vita iniziatica. Ci accingiamo con grande serenità ad affrontare un anno di convegni e di celebrazioni, ma anche di bilanci e di lavoro finalizzato al sempre maggior rafforzamento del ruolo che le Massonerie Adogmatiche affidano alla Gran Loggia dItalia degli A.L.A.M. Obbedienza di piazza del Gesù, Palazzo Vitelleschi, che è quello di portabandiera dello schema liberale. A far capo inoltre da questo numero, siamo lieti di poter comunicare che la rivista Officinae viene inviata con spedizione singola nominale a tutti i Fratelli e e le Sorelle della Gran Loggia d'Italia Palazzo Vitelleschi. Si tratta di una iniziativa mirante a raggiungere nella forma più capillare possibile tutta lObbedienza con questa nostra splendida pubblicazione periodica ufficiale e che intende configurarsi non solamente come una ulteriore novità operativa, ma anche come un ulteriore impegno teso a migliorare tutta la struttura culturale della Gran Loggia dItalia. Siamo certi, con questo intendimento, che tale arricchimento globale dellObbedienza non potrà che riverberarsi su tutti noi con frutti belli e copiosi. P.4-5: Dettaglio e vista della Biblioteca-Salone della GLDI a Roma; p.7: Il SGCGM Luigi Danesin nello studio della GLDI, Roma. 7 8 olce paese, onde portai conforme / Labito fiero e lo sdegnoso canto / E il petto ovodio e amor mai non saddorme, / Pur ti riveggo, e il cuor mi balza in tanto. Ben riconosco in te le usate forme / Con gli occhi incerti tra l sorriso e il pianto, / E in quelle seguo de miei sogni lorme / Erranti dietro il giovanile incanto1 . Pochi sono i versi che, come quelli di Traversando la Maremma toscana, hanno la capacità di esprimere attaccamento ad una terra, rimpianto e affetto, orgoglio di appartenenza e affinità elettiva. Strofe queste di Carducci che fecero scuola, tanto che anche Pascoli chiamò in Myricae dolce terra la sua Romagna2. Continui furono i richiami nellopera poetica del Nostro al Sud della Toscana da lui reputata la vera patria3. In Idillio maremmano ne ricorda la grande Estate4, il mare sparso di vele5, il bufolo disperso che [ ] salta e guata6, il cinghiale ferito a morte. In altre composizione la descrizione simpregna di vitalismo panico, diventa un canto sotteso da una forza gioiosa, un inno antico alla natura colta nella propria pienezza: i colli sereni e le on- deggianti / Messi tra i boschi ed i vigneti bionde. / E fin lorrida macchia ed il roveto / E la palude livida, pareano / Godere eterna gioventù nel sole7. In taluni casi lalma mater prende voce e, rivolgendosi al poeta, lo invita a fermarsi: - Ben torni ormai / Bisbigliaron ver me co l capo chino - / Perché non scendi? Perché non ristai? / Fresca è la sera e a te noto il cammino8. In quel paesaggio amniotico il ricordo spesso diventa immagine ed ecco affiorare figure dolcissime, seppur velate da unindicibile tristezza: Di cima al poggio allor, dal cimitero, / Giù de cipressi per la dolce via, / Alta, solenne, vestita di nero / Parvemi veder nonna Lucia: / La signora Lucia, da la cui bocca, Tra londeggiar de i candidi capelli, / La favella toscana [ ] / Canora discendea, co l mesto accento / De la Versilia che ne nel cuor mi sta, / Come da un serventese del trecento, / Piena di forza e di soavità9. Altre volte la rimembranza si sofferma sul dato morfologico: le colline10 con le loro infinite varietà cromatiche, esaltate da quel cielo raseno: infinito e profondo, ora carico di azzurro ora livido e rabbuffato, nel momento della tempesta. Vi sono poi gli uomini: contadini, braccianti, butteri, sono colti a sera, durante la veglia, al canto del fuoco mentre narrano storie bellissime11, o scorti per le viuzze dei borghi, ravvolti nei tabarri, per proteggersi dalla furia del maestrale, alle cui folate urla e biancheggia il mar12. Maremma terra capace di catturare chi la percorre, ignaro della sua violenta, ammaliante beltà. Al pari di Carducci ne furono stregati scrittori, intellettuali, artisti, attratti a Sud dai riti agrari o dallofferta venatoria del forteto e della palude. Fra questi ultimi, immobili alle poste o intenti alla tesa vi furono Eugenio Piccolini, Mario Puccioni e Ferdinando Paolieri che ne descrisse linquietante solitudine: Attorno a me era la solitudine più selvaggia; non un segno delluomo, una capanna, una staccionata, un palo... Nulla! In fondo allorizzonte, una linea dritta come quella del mare, con il cielo che incupiva dalla parte opposta al tramonto, brillava, ricordo, una stella di straordinario splendore, pur nella luce tuttora diurna [ ] Rimasi fisso, come smemorato, ascoltando, senza pensare13. Lo stesso autore ne narrò i pericoli, le storie drammatiche che avevano per protagonisti i signori della macchia: le bufale e i briganti14, col viso giallastro per la malaria, la barba ispida e incolta [ ] la cacciatora di fustagno, tutta toppe e sbrendoli; i gambali di pelle di capra, alti fin sopra 9 le cosce15. Un altro verista, Renato Fucini, novellò, con pagine suggestive, storie ambientate nella Maremma di fine secolo, nei bozzetti de Le veglie di Neri emergono così i montanini, disgraziati che nellinverno emigrano dalla montagna, snidati dal rigore della stagione e dalla fame16. Insieme a loro i pastori, affetti dalle febbri e dal mal di povero, assillati dalla lunga, vorace strada, predatrice di ogni residua energia: Si asciugavano il sudore della faccia senza che fosse caldo, sospiravano forte, e barattando fra loro occhiate dolorose e pochi monosillabi, non levavano un momento gli occhi dalla vetrata, 10 per guardare attenti sulla via che per quattro buoni tiri di schioppo si stendeva bianca e polverosa davanti alla porta17. Innamorato di questa terra fu Guelfo Civini, scrittore e giornalista del Corriere della Sera, scomparso a Roma nel 1954. Egli, sebbene di origine livornese, fu definito da Indro Montanelli vero sangue di buttero. Nei suoi scritti18 parlò di leggende e di epici drammi, ma descrisse anche la triste Grosseto e la povera gente fulminata dalla perniciosa, sotto la statua del Granduca19. Il pittore della caccia fu Eugenio Cecconi20, nato nel 1842, autore di quadri come: Colpo di grazia al cinghiale ferito, La tela alle folaghe, Partenza per la caccia dalla porta di Capalbio21. Un altro celebre ritrattista della Maremma, fu Giovanni Fattori che, a partire dallo 82, venne ospitato dal principe Tommaso Corsini alla Marsiliana, dove dipinse Marcatura di puledri, Tre butteri con mandrie di bovini, Mandrie maremmane, Il salto delle pecore ed altri capolavori della pittura italiana del secondo Ottocento22. Fra i tanti ospiti del Grossetano va ricordato pure Giacomo Puccini che acquistò, ad Ansedonia, la torre della Tagliata. Ricordava Giuseppe Adami, il librettista de La Rondine, Il Tabarro e La Turandot23: Non ho mai capito se il Maestro amasse o detestasse quel posto che sera comprato per un capriccio di caccia e dove si rifugiava di tanto in tanto per periodi che si riprometteva lunghi e viceversa erano brevi24. Puccini era un altro seguace di Diana e il 3 Luglio 1896 scriveva alleditore Giulio Ricordi, da Torre del Lago: Caccia poca ma a giorni torno in Maremma a farne una scorpacciata25. Alcune volte padellava, tanto da essere chiamato Omo palla. Narrava Giuseppe Brizzi che una volta, alle Gessaie, sparò a vuoto tredici volte di seguito, salvando la vita a cinghiali, martore, volpi e caprioli26. Alla Torre della Tagliata Adami, gli portò il libretto della Turandot, che al Lucchese non piacque. Solo dopo una notte insonne, passata a tagliare e correggere, si decise a musicarla. Fu invece un maremmano puro sangue il pittore Pietro Aldi27, nato a Manciano il 26 Luglio 1852 e morto ancor giovane, nel 1888. E ricordato per le tele celebrative di episodi storici, fra le quali rammento: Ghino di Tacco che giura sui Vangeli lo sterminio degli uccisori del padre suo28, Le ultime ore della libertà senese, LIncontro di Teano29. Sempre a Manciano nacque, nel 1866, Paride Pascucci30 che, a differenza di Aldi visse a lungo31. La sua pittura fu influenzata dalle esperienze artistiche di fine secolo e soprattutto dai Macchiaioli, cosicché, trasse spesso ispirazione dalla realtà della propria provincia32. Un altro innamorato della Maremma fu il semidimenticato33 fotografo Adolfo Denci34, fu un grande nel suo settore e fissò sulle lastre le ultime immagini di una terra destinata col Novecento a scomparire per trasformarsi in mito. Tutti costoro furono dunque, per un verso o per laltro, legati a questa terra ma ben pochi come Carducci se ne sentirono figli, legati ad essa da un cordone ombelicale che il tempo non riuscì a recidere. Quando gli fu offerta la presidenza onoraria della Società operaia di Castagneto, accettò con entusiasmo e da Piano dArta scrisse ad Antonio Albinelli: Quando sarò caduto, voi certo, o buoni e forti, mi ricorderete sulle vostre belle colline in cospetto al mare. Ciò mi è dolce pensare e vi amo35. Quattro anni più tardi Agostino Bertani lo invitò a presentarsi alle elezioni politiche per il rinnovo della Camera. Il Poeta in un primo tempo si mostrò incerto e solo alla fine accettò, annotando: obbedisco alla voce che mi suona in riva al mio mare36. Si candidò nella circoscrizione di Pisa ove la concorrenza sannunciava agguerrita, pertanto era abbastanza pessimista: Io credo mandò a dire ad Averardo Borsi che non riusciremo, specialmente in Pisa e per Pisa. Mi tieni che sono tranquillo e rimarrò contento lo stesso, e grato sempre a voi. Mi basta fare un atto di onestà politica e dare un segno damore specialmente alla Maremma37. Carducci dunque un po come Ettore Socci, il Cavaliere solitario dei paria del latifondo, desideroso di redimerne la povertà e labbandono38. Questo legame non venne mai meno e sembrò segnare la vita del Poeta. Il 18 Marzo del 1885, quando per la prima volta fu colto da una leggera paresi, stava ancora una volta lavorando ad alcune strofe su quella terra lontana. Il cuore era gonfio di ricordi e la mano vergava i versi: Ma de la Gherardesca da monti in circuito foschi / di verde selva su le ferrigne crete / venivan venivan turchine poi nere le nubi, / triste il libeccio urlando sopra il piano di Vada. / Il mare sì come un gregge di pecore matte spingeva / londe frangenti a tumuli di rena. / Contro insorgeva il vento che di salse aspergini i visi / flagellava ai passanti...39 Allimprovviso la mano sintorpidì, sembrò ribellarsi, ...abbandonò la matita sulla pagina. I medici gli consigliarono una dieta appropriata, una maggiore attenzione alla salute e soprattutto di eliminare gli stravizi. Reagì invece a modo suo, recandosi alla Torre di Donoratico per una rimpatriata insieme agli amici, mangiarono e tracannarono vino di giorno e di notte, alla faccia dei dottori e dellipertensione40. Vi ritornò 26 Settembre 1885. Con lui vi erano Averardo Borsi41 e Leopoldo Barboni, letterato e amante della buona tavola. Fu questo ultimo a descrivere quella ribotta pantagruelica: sopraccappellini cotti nel brodo di quaglia (una minestra che avrebbe fatto peccar di gola perfino San Macario). Poi i convitati attaccarono con ferocia crescente una vassoiata [ ] di cervello fritto con contorno di prezzemolino croccante. Seguirono quindi altre specialità maremmane, ma losanna vero sgorgò dai cuori e sfondò il soffitto della vecchia sala al comparire delle vassoiate di tordi. Saranno stati trecento, tre piramidi di cento luna, grassi come priori [ ] E poi le ballotte fumanti e fragranti che diedero la stura ai brindisi, uno dei quali così suonava: Ecce, icce, occi ucci, beviamo alla salute delleccellente signor Carducci!42. Fino a quando gli acciacchi glielo consentirono Giosue ritornò in Maremma per passare ore felici e spensierate, parentesi sempre più rare nella sua vita che singrigiva di momento in momento. Poi la situazione precipitò, si ridusse su una sedia, la mano impedita, pensieri e problemi di ogni genere in attesa, ...in attesa della morte. Si spense il 16 Febbraio del 1907, tre giorni più tardi fu tumulato alla Certosa di Bologna, ma lo spirito, ne siamo certi, sinvolò nella sua Maremma dove il grano è oro, il mare sorride alla macchia e il cielo infinito, rorido di luce, insegna anche al più rassegnato degli uomini cosa sia la libertà. _________________ Bibliografia G. Batini, O la borsa o la vita! Storie e leggende dei briganti toscani, Firenze 1975. G. Batini, Toscanissima, viaggio tra segreti, misteri e curiosità di una terra straordinaria, Firenze 1991. L. Bezzini, Sparate al Carducci! I Carducci a Bolgheri tra cipressetti e fucilate. Biografia di Michele Carducci, padre, 11 medico rivoluzionario, Pontedera 1999. A. M. Comanducci, I pittori italiani dellOttocento, Milano 1934. Carducci tutte le poesie, a.c. di P. 3, Roma 2006. E. Diana, In viaggio col Granduca, itinerari nella Toscana dei Lorena, Firenze 1994. R. Fucini, Le veglie di Neri, in Renato Fucini, tutti gli scritti, Milano s.d. La Toscana paese per paese, vol. I, Firenze 1980. Lavoro e industria in Toscana fra Ottocento e Novecento, a.c. di L. Tommassini, Firenze 1997. A. A. Mola, Giosue Carducci. Scrittore, politico, massone, Milano 2006. F. Paolieri, La galoppata, in Novelle toscane, Firenze 2001 G. Pascoli, Myricae, Milano 1967. L. Pruneti, La Maremma nelletà di Carducci, in Giosué Carducci, luomo, il poeta, il massone, Roma 2001. L. Pruneti, La Toscana dei misteri. Leggende e curiosità su castelli e borghi toscani, Firenze 2004. L. Pruneti, Povertà, speranza e miti nella Maremma di fine secolo, in Ettore Socci. Luomo, il politico... Roma 2002. A. Sbardellati, Ettore Socci, in Ettore Socci. Luomo, il politico, il massone, Roma 2002. Toskanische Impressionen, Der Beitrag der Macchiaioli zum europaischen Realismus, München 1976. Note 1 G. Carducci, Rime Nuove, Traversando la Maremma toscana, vv. 1-8, in Carducci tutte le poesie, a.c. di P. Gibellini, Roma 2006, p. 351 2 Romagna solatia, dolce paese, / cui regnarono Guidi e Malatesta / cui tenne pure il Passator cortese, / re della strada, re della foresta. G. Pascoli, Romagna, in Myricae, Milano 1967, p. 34. 3 Rime Nuove, Nostalgia, v. 30, cit p. 360. 4 Rime Nuove, Idillio maremmano, v. 25, cit , p. 388. 5 Ibidem, vv., 49 50, cit p. 388. 12 6 Ibidem, vv, 34 35, cit p. 388. 7 Rime Nuove, Rimembranze di scuola, vv. 30 35, cit , pp. 384 385. 8 Rime nuove, Davanti a San Guido, vv. 5 - 8, cit ..., p. 393. 9 Ibidem, vv. 77 85, p. 395. 10 Odi barbare, Colli toscani, v. 6, cit , p. 510. 11 Rime Nuove, Idillio maremmano, vv., 54 57, cit pp. 388 - 389. 12 Rime Nuove, San Martino, v. 4, cit , p. 370. 13 F.Paolieri,Lagaloppata,inNovelletoscane,Firenze2001,p.138. 14 Sul brigantaggio cfr. G. Batini, O la borsa e la vita! Storie e leggende di briganti italiani, Firenze 1975; L. Pruneti, La Toscana dei misteri. Leggende e curiosità su castelli e borghi toscani, Firenze 2004, pp. 91 97. 15 F. Paolieri, Il brigante malato, in Novelle toscane cit, p. 98. 16 R. Fucini, Vanno in Maremma, in Renato Fucini, tutti gli scritti, Milano s.d., p. 63. 17 R. Fucini, Tornan di Maremma cit, p. 83. 18 Odor derbe buone e Gesummorto. 19 A. Cavoli, Maremma amara, Valentano (VT) 1989, p. 126. 20 Su Cecconi cfr. Momenti della pittura toscana dal neoclassicismo ai postmacchiaioli, Firenze 1977, tav. 44 ed anche Toskanische Impressionen, Der Beitrag der Macchiaioli zum europaischen Realismus, München 1976. 21 A. Cavoli, Maremma cit., p. 129. 22 Ibidem, p. 125. 23 Il libretto fu scritto in collaborazione con Renato Simoni. 24 L. Pruneti, Povertà, speranze e miti nella Maremma di fine secolo, in Ettore Socci: luomo, il politico, il massone, Roma 2002, p. 22. 25 A. Cavoli, Maremma cit., p. 121. 26 Ibidem, p. 48. 27 A. M. Comanducci, I pittori italiani dellOttocento, Milano 1934, pp. 9-10. 28 Lopera si trova nella sede del comune di Manciano. 29 L. Pruneti, Povertà, speranze e miti nella Maremma di fine secolo cit, p. 23 30 A. M. Comanducci, I pittori cit., p. 506. 31 Morì, infatti, a Manciano nel 1954. L. Pruneti, Povertà, speranze e miti nella Maremma di fine secolo cit, p. 23 32 Ricordo: Gli Apostoli, Ora di riposo, Gesù morto, Il Venerdì Santo, Festa in famiglia, Baldoria carnevalesca. L. Pruneti, Povertà, speranze e miti nella Maremma di fine secolo cit, p. 23. 33 A lui il Comune di Grosseto dedicò una retrospettiva e fu pubblicato un volume Maremma comera con le sue immagini più belle. A. Cavoli, Quando linferno era in Maremma, Pistoia 1979, p. 51. 34 Morto a Pitigliano il 17 Giugno 1944, durante un bombardamento aereo. L. Pruneti, Povertà, speranze e miti nella Maremma di fine secolo cit, p. 23. 35 A. A. Mola, Giosue Carducci. Scrittore, politico, massone, Milano 2006, p. 244. 36 Ibidem, p. 246. 37 Ibidem, p. 248. 38 A. Sbardellati, Ettore Socci, in Ettore Socci. Luomo, il politico, il massone, Roma 2002, p. 34. 39 Appendice III, Idillio di San Giuseppe, cit , vv. 5 12, pp. 840 841. 40 A. A. Mola, Giosue Carducci cit, p. 244. 41 Averardo Borsi, giornalista e poeta, divenne, dal 1879, lorganizzatore delle rimpatriate di Carducci. L. Bezzini, Sparate al Carducci cit., p. 35. 42 La Toscana paese per paese, vol. I, Firenze 1980, p. 262. P.8: I cipressi di Bolgheri (part.); p.9: Cavallo bianco, Giovanni Fattori, 1903, Galleria d'Arte Moderna, Palazzo Pitti, Firenze; p.10: Una delle sorelle Bandini, Silvestro Lega (1826-1895), olio su tela, collez. priv; p.11: Donna anziana, olio su tela, Silvestro Lega, 1872-73, collez. priv; p.12: Lapide sul monumento a Carducci, loc. San Guido; p.13: I cipressi di Bolgheri, veduta (8, 12 e 13: foto Paolo Del Freo). 13 14 iosue Carducci è tra i pochi veri giganti della nostra storia. La sua grandezza fa tuttuno con la fondazione e la costruzione della Nuova Italia: due epoche distinte e diverse, per principi e per contenuti. Il Risorgimento fu età di alti ideali, generose speranze, martirii... Lunificazione tirò le somme, tradusse le attese in realtà. Il periodo postunitario fu però solo di pragmatismo? Di politichetta spicciola? La prosa soffocò la poesia? Per molti si. Per altri no. Alcuni continuarono a vivere in funzione di principi insopprimibili; benché in numero esiguo, essi bastarono a tener viva la missione dellItalia: unidea universale che congiungeva lo Stato sorto nel 1859-61 da un canto con letà di Comuni e Signorie, con lUmanesimo e, più addietro nel tempo, con le civiltà latina e greca e l Oriente dal quale il Mediterraneo era stato fecondato; dallaltro poneva lItalia al centro del processo di ascesa dei popoli oppressi verso lindipendenza e la libera cooperazione nellambito della comunità internazionale e allinsegna della pace. Tra i profeti della Nuova italia Carducci fece parte della ristretta cerchia dei profeti della Nuova Italia: con lungimiranza ma anche con contraddizioni irrisolte. Perciò egli rimane e sarà attuale sin quando, pur esile e quasi invisibile, rimarrà teso il filo che unisce lItalia odierna allAlma Mater, alle civiltà precristiane e alla convinzione che l itala gente da le molte vite abbia un ruolo fondamentale da svolgere proprio mentre lUnione Europea allarga i confini e il rapporto tra le sponde del Mediterraneo diviene questione cruciale per il futuro dellumanità. Carducci assomma in sé bagliori e abbagli. Prendiamo atto degli uni e degli altri: con gratitudine per quanto egli apprese e insegnò e doverosa pietas verso i suoi drammi personali e i limiti che, a un secolo dalla sua morte, sono più evidenti ma vanno spiegati alla luce della storia, nella consapevolezza che altrettanto accadrà fra centanni a chi oggi pare allavanguardia dei tempi ma, lo voglia o meno, serba in sé residui del passato e prima o poi risulterà quindi crepuscolare, superato: come sempre è accaduto e accadrà. I rapporti con la Massoneria La Massoneria ha motivi speciali per rivisitare con rispetto vita e opera di Giosue Carducci. Essa è ancora lontanissima dallavere non diciamo colmato ma almeno iniziato a saldare il grande debito morale nei confronti di chi dal Risorgimento alla Grande Guerra arducci non fu solo il grande poeta di Pianto antico, Davanti San Guido, Piemonte..., fu il maestro della terza Italia dal Risorgimento alla grande guerra, che egli cercò di scongiurare allinsegna della pace e della comprensione tra le nazioni. Dette voce a un ideale universale e insegnò la via dellimpegno politico quale dovere civico. Aldo A. Mola è autore di Giosue Carducci: scrittore, politico, massone (Milano, Tascabili Bompiani, pp.576, 2006, già in seconda edizione) con presentazione di Aimone di Savoia. insegnò ai liberi muratori italiani i fondamenti della loro identità e, non sempre ascoltato (come poco oltre ricordiamo), additò loro la via per essere a tutti gli effetti uomini liberi. Deve farlo perché a centanni dal conferimento del premio Nobel per la letteratura (10 dicembre 1906) e della sua morte, convegni, mostre e articoli ripropongono la figura e lopera di Giosue Carducci (Valdicastello, Pietrasanta, 27 luglio 1835 Bologna, 16 febbraio 1907): ma in modo occasionale, frammentario, quasi per dovere dufficio, senza sottrarlo al cono dombra nel quale da tempo venne relegato. Il cono dombra Per comprendere quale compito attenda, constatiamo in via preliminare che Carducci sempre meno viene insegnato. Tanti docenti non se ne sono mai occupati nel corso dei loro studi, non lhanno in simpatia (purtroppo lofferta formativa oggi passa attraverso gusti, capricci e... ignoranza dei docenti) e quindi non ne parlano mai. Come non fosse mai esistito. Dicono che i giovani lo sentono estraneo al loro mondo. Ma a chi tocca farne cogliere lattualità? Altrettanto del resto avviene per Dante, Machiavelli, Manzoni e persino Leopardi: voci di un passato remoto da riconquistare ogni giorno con fatica. Quando si spegneranno gli ultimi 15 fuochi celebrativi del 2007 anche Carducci tornerà a precipitare nelloblio in cui giace da decenni? Per liberarlo dalla polvere e restituirlo a unattenzione meno occasionale, occorre cogliere lessenza della sua opera, andare oltre limmagine che egli stesso volle lasciare di sé e intendere appieno la missione che si assegnò. Un vero protagonista Egli si volle e fu il forgiatore della coscienza civile di popoli fortunosamente giunti allunificazione politica e capace quindi di fare da modello per le tante altre nazioni senza Stato dentro e fuori Europa. In presenza di una Unione Europea di 25 Stati e mentre altri Paesi picchiano alluscio, Carducci rivela la sua statura di protagonista della storia generale 16 dellOtto-Novecento in una prospettiva che può farne volano del Terzo Millennio se si vuole andare oltre la riduzione della società a mera somma di scambi economici, a mercificazione. Carducci esercitò grande influenza, diretta e indiretta, nella formazione degli italiani dallunificazione alla seconda guerra mondiale. Nel febbraio 1907 il maggiore statista italiano dalla proclamazione del regno a oggi, Giovanni Giolitti, sempre pacato e misurato, chiese alle Camere di erigergli un monumento nazionale in Roma perché era degno di star vicino a Vittorio Emanuele II ed a Garibaldi: giudizio, questo, che va molto oltre lapprezzamento per tante famose poesie (Pianto antico, Davanti San Guido, Parlamento, Piemonte...) e celebri prose e investe la sua personalità complessiva. Quali meriti ebbe Carducci per essere considerato uno dei tre massimi forgiatori dellunificazione italiana? Secondo Giolitti egli aveva insegnato agli italiani che nulla vi è di più alto che il sentimento della libertà, quando è congiunto allamore della Patria. I tempi Era letà in cui, prima di varcare la soglia dei Templi, gliniziandi dovevano spiegare che cosa dovessero (o ritenessero di dovere) a Dio, alla Patria e a sé stessi. Re Vittorio divenne il primo re dItalia facendo leva sullo Stato: Corona, forze armate, diplomazia, burocrazia, ..., e consenso internazionale. Dal canto suo Giuseppe Garibaldi si pose alla guida di un movimento di popolo bisognoso di un uomo-simbolo. Marinaio esperto, egli fece del suo meglio per cavalcare le onde, ma talora fu travolto e rischiò di rimanerne sommerso. Entrambi si valsero dunque di forze preesistenti. E Carducci? Di condizioni poverissime, con studio matto e disperatissimo (come di sé aveva scritto Giacomo Leopardi) egli si formò per divenire educatore. Fece propri gli exempla dei grandi per ergersi a sua volta a modello. Dai classici apprese a essere giusto e perfetto: nella parola, nel gesto, nel sentimento della ricerca. Per Carducci, però, perfetto non significa insuperabile: sta per compiuto, terminato, punto di arrivo di un lungo processo di crescita e di dirozzamento, eroico cammino per gradi attraverso i quali l artiere dalla pietra grezza ricava quella levigata, sapendo che altri poi verrà e unirà la sua alla propria a formare ledificio perennemente in corso costruzione: cantiere aperto, dunque, e termine di confronto con quanto era prima e con ciò che seguirà. La vita Alla morte, appena cinquantenne, suo padre gli lasciò in eredità qualche libro e i ferri di chirurgo. Giosue conservò i primi, sacri, e vendette i secondi. Ne cavò dieci paoli. Una miseria. Prese con sé a Firenze la madre e il fratello minore, Valfredo. Lanno dopo sposò Elvira Menicucci (1835-1917), coetanea e cugina (ma non consanguinea), che tra il 1859 e il 1872 gli dette tre figlie e due maschi1. Laureato in lettere allUniversità Normale di Pisa, insegnante al ginnasio di San Miniato al Tedesco (ove ebbe tre soli allievi, incluso Valfredo), docente al liceo di Pistoia dal 1859, il 23 agosto 1860 Carducci accettò la nomina a docente di eloquenza italiana allUniversità di Bologna. Allesordio aveva due allievi. Quando andò in pensione, nel 1904, i carducciani erano migliaia: in cattedra (dalle Università ai licei), nei giornali, nelle redazioni di case editrici, negli uffici pubblici (Ministero della Pubblica istruzione, Provveditorati), nelle Forze Armate. Tuttinsieme essi formavano, appunto, la Terza Italia. Alla realizzazione di quella gigantesca impresa civile Carducci sacrificò tutto, vivendo con esemplare sobrietà. Una medesima lucerna a candele venne adattata nel corso del tempo dapprima quale lampada a petrolio poi alla luce elettrica. Quando il barone Carlo Bildt, ambasciatore del re di Svezia, si recò a conferirgli ufficialmente il premio Nobel, per far figurare bene lItalia Carducci noleggiò lampadari sfavillanti, spenti e restituiti a festa finita. Unico suo lusso furono i libri, tanti libri, anche rari e preziosi, bene ordinati in scaffali collocati ovunque, inclusa la camera da letto: erano la passione suprema della sua vita di studioso infaticabile. Nel 1902, quandormai sulla sua famiglia incombeva lo spettro della povertà (aveva preso con sé Bice, rimasta vedova, e i suoi cinque figli), Margherita di Savoia, regina madre dopo lassassinio di suo marito, Umberto I, ne acquistò per 40.000 lire la biblioteca e gliela lasciò in uso vita natural durante. Nel 1905 la regina comperò anche la casa affittata dal poeta in via del Piombo (o di Mura Mazzini) e il 22 febbraio 1907 la donò al comune di Bologna col vincolo che tutto rimanesse comera e fosse messa a disposizione degli studiosi. Oggi è Casa Carducci: con tanti documenti inediti in attesa di essere indagati e pubblicati. Lesempio La Casa-Museo non doveva essere ripostiglio ma fucina, quale laveva voluta e vissuta egli stesso: docente severo, anzitutto con sé medesimo, consigliere comunale e provinciale di Bologna, eletto deputato alla Camera nel 1876, altre due volte candidato, senatore del regno dal 1890, membro della deputazione di storia patria delle province dellEmilia e poi suo presidente, componente del Consiglio superiore della Pubblica istruzione, accademico della Crusca, accademico dei Lincei, infaticabile curatore delle edizioni di classici (Leopardi, Antonio Ludovico Muratori...), autore di antologie concepite quali breviari della Terza Italia. Fu il caso delle Letture del Risorgimento italiano: frutto di decenni di ricerca e selezione. Carducci fu dunque il geniale stratega della vita culturale della Terza Italia: ideale cui dedicò la sua esistenza. Tra i motivi fondamentali della sua attualità basti la sua concezione della lingua: un tema di cui si è discusso e si tornerà a dibattere molto, anche in connessione con la discutibile proposta di legge volta a dichiarare litaliano2 lingua ufficiale della Repubblica. Classicista di statura superiore e maestro di filologia, Carducci si schierò con Dante Alighieri contro la riduzione della lingua a feticcio immobile, a un fiorentino artefatto e lezioso: al manzonismo degli stenterelli, insomma, duramente sferzato in Davanti san Guido, egli contrappose la lingua viva. Per Carducci, originario della Versilia, cresciuto in Maremma, vissuto a Bologna e perennemente vagante per lItalia, da Piemonte e Valle dAosta alla Valtellina, dallUmbria alla Napoli di Matilde Serao, Scarfoglio e Benedetto Croce, dalla Genova di Giuseppe Verdi a Roma (sua terza patria, dopo la Toscana e Bolo- gna), la lingua non è un fossile: si rinnova e si arricchisce ogni giorno, sia con apporti dalle diverse parlate regionali sia dagli scambi con le letterature e le lingue delle altre genti. Perciò egli cantò luniversalità di Roma: quella del Carme secolare, libera da tentazioni nazionalistiche. Lo comprese bene la Reale Accademia di Svezia, come hanno documentato Kjell Espmark ed Enrico Tiozzo in studi innovatori sulle motivazioni profonde delle designazioni dei premi Nobel3. Il centenario del conferimento del premio Nobel e della morte è dunque la grande occasione per recuperare il Carducci vero. Egli fu, si, grande scrittore, ma anche e soprattutto politico, interprete della politica alta, non del piccolo cabotaggio quotidiano, come scrisse nella 17 lettera ad Adriano Lemmi, di rifiuto della Cattedra Dantesca: una lezione di coerenza culturale e di rigore etico. Carducci tra squadra e compasso Meno di altri i massoni potranno lasciar cadere lopportunità offerta dal centenario. La Libera Muratoria ha infatti un grande debito nei confronti di Carducci. Come è noto, il 22 febbraio 1866 si fece associare ai Fratelli nella Felsinea di Bologna e fu fatto Massone e segretario provvisorio: egli compreso, la loggia contava sette membri, parte militari, parte docenti universitari. Non si sa se Giosue avesse avuto una precedente iniziazione in unofficina regolare o in una delle tante logge selvagge della Toscana granducale. Sappiamo invece che, giunta a contare 36 affiliati, la Felsinea venne demolita dal Grande Oriente dItalia e, per loro perpetua vergogna, i nomi dei suoi dignitari furono pubblicati da Ludovico Frapolli nel Bollettino dellassociazione. Su sollecitazione di Adriano Lemmi, il 20 aprile 1886 Carducci accettò di tornare fra le colonne, nella loggia Propaganda massonica4. Legato al Gran Maestro e al Presidente del Consiglio, Francesco Crispi, da profonda amicizia, Carducci non accettò mai direttive o inviti contrari al suo concetto di libertà e di rigore culturale. Non condivise lesaltazione di Giordano Bruno, teologo e metafisico, quale campione del libero pensiero; respinse linterpretazione esoterica di Dante Alighieri, poi cara a Giovanni Pascoli; rifiutò lidentificazione (già allepoca prevalente in Italia) 18 della massoneria con materialismo o scientismo positivistico. In effetti, che cosa vera in comune tra lautore di Presso una Certosa e unorganizzazione massonica tra le cui logge una imponeva ad affiliati e visitatori il triplice giuramento antimonarchico, antimilitare e antireligioso? Elevato da Lemmi al 33° grado del Rito Scozzese Antico e Accettato, Carducci non venne mai meno ai doveri massonici. Lo si vide quando fece parte del giurì che difese lonore del Gran Maestro da accuse infamanti. Nel marzo 1896 rifiutò anche di dare il calcio dellasino al massone Crispi, dimissionario da Presidente del Consiglio dei Ministri dopo la sconfitta di Adua. Mentre tutti abbandonavano lo statista siciliano, Giosue andò ad abbracciarlo in Senato. Nel settembre 1894 erano stati fianco a fianco contro anarchici, rivoluzionari e cattolici decisi ad abbattere lo Stato sorto dal Risorgimento e garante della laicità. Un vecchio gufo tra i ricordi Più volte colpito negli affetti, vulnerato nel corpo da un ictus nel 1885 e nel 1899 dal secondo (che ne compromise luso della mano destra e gli rese difficoltosa la favella), Carducci visse gli ultimi anni chiuso nella folla dei ricordi: Garibaldi, Alberto e Jessie Mario, Teza, Gandino, Severino Ferrari, Adriano Lemmi... tante foglie che via via si staccarono dallacacia e lo lasciarono solo, vecchio gufo che mai non muore come esclamò alla notizia dellennesimo suicidio in casa Menicucci, la famiglia di Elvira. Divenne unicona, e così fu sveltamente imbal- samato da chi aveva fretta di intirizzirne la memoria, sottraendola al flusso della vita qual egli laveva invece voluta: anche volendo a fianco, con disarmante candore, Lina Cristofori Piva e poi Annie Vivanti, ispiratrici della sua musa e del suo impegno politico e di stratega della cultura. Giuseppe Chiarini e tanti altri fratelli quando ancora Giosue era vivo e soprattutto dopo la sua morte, ne irrigidirono opere e giorni riducendolo a un santino laico, perennemente imbronciato, condannato a risultare fastidioso, inattuale, una bisbetica suocera della Terza Italia anziché il suo più energico ideatore. Lo capirono molto meglio allAccademia di Svezia quando gli conferirono il Nobel per la letteratura perché non si era limitato a limare versi ma aveva incarnato un ideale civile di valore universale. Un patriota e un poeta per la memoria Quando il vero Carducci cominciò ad affiorare dallepistolario e da morto risultò scomodo qual era stato da vivo, rapidamente venne spinto ai margini dellattenzione. Dimenticato. Tuttintero. Il massone, il politico e, infine, lo scrittore. Né si può dire che in tempi recenti siano stati compiuti molti sforzi per rimediare al malfatto. Nellinsieme di scritti da Gian Mario Cazzaniga raccolti sotto il titolo di La Massoneria5 Carducci compare appena e per un unico aspetto della sua ricca e complessa biografia. Il Maestro della Terza Italia non può certo attendersi molto da scuole ispirate da ideologie totalitarie. La Casa Editrice Zanichelli, le cui fortune tanto debbono a Carducci, ha espunto il suo nome dal catalogo. Nei Meridiani - che nondimeno dànno spazio a scrittori anche di seconda fila, italiani e stranieri - a differenza di Pascoli e dAnnunzio il leone di Maremma non figura e, passato il centenario, ne rimarrà escluso per chissà quanto. Nelle antologie scolastiche il numero di pagine riservategli sassottiglia di anno in anno. Forse Giosue presentì lartificioso oblio cui sarebbe stato condannato, quando aprì Presso una Certosa con i versi famosi: Da quel verde, mestamente pertinace tra le foglie / Gialle e rosse de lacacia, senza vento una si toglie: / e con fremito leggero per che passi unanima6. Bisogna allora rassegnarsi e cedere ancora una volta Carducci ai nazionalisti (che non capirono e ne abusarono), a certi militanti, che lo strumentalizzarono come poi fecero con leffigie di Garibaldi, o ai cattolici che osservò pungente La Civiltà Cattolica alla sua morte - sebbene da lui non mai carezzati, lo trattarono sempre assai meglio che molti suoi correligionari, repubblicani e massoni? No di certo. Ma, appunto, occorre passare dai buoni propositi ai fatti: andare oltre le pure e semplici celebrazioni e restituire Carducci alla scuola, cui egli dedicò mezzo secolo di vita, tutta lopera sua. ________________ Note 1 Il sito web di Casa Carducci continua a ripetere, come si legge in tutte le storie delle letterature, che egli ebbe tre femmine (Beatrice, Bice; Laura, Lauretta, e Libertà, Tittì) e un maschio, Dante. Del primo maschio, Francesco, non una parola, come non sia esistito. Chi dice che la sua breve vita sia stata del tutto ininfluente in Carducci? chi dice che la morte di Dante, a soli tre anni ma quando già recitava lInno A Satana, non sia stata così straziante per il padre, proprio perché seguì la sua? Nel centenario confidiamo che anche quel sito venga aggiornato. 2 Vè il rischio che litaliano ufficiale venga codificato sulla base di quello in uso da parte di veline e vallette, presentatori televisivi, pubblicitari e... ministri della Repubblica che non sempre ci azzeccano (specie coi congiuntivi). 3 Di cui v. Il premio Nobel per la letteratura. Cento anni con lincarico di Nobel, Catania, La Cantinella, 2002. Include il bel saggio di E. Tiozzo, Il premio Nobel e la letteratura italiana. 4 Pubblichiamo lelenco completo degli affiliati alla Propaganda massonica dalla fondazione al 1925 in appendice a Giosue Carducci: scrittore, politico, massone, Milano, Bompiani, 2006. 5 Torino, Einaudi, 2006. Lopera costituisce un notevole passo indietro dopo le acquisizioni storiografiche degli Anni Ottanta-Novanta. Di Carducci parla solo Tullia Catalan in un saggio sulle società segrete irredentiste e la massoneria italiana. Del resto non vi compaiono Francesco De Sanctis, Salvatore Quasimodo e molti altri scrittori massoni o massoni scrittori. Invano si cercherebbe il nome di Carducci in Marco Novarino, Grande Oriente dItalia. Due secoli di presenza liberomuratoria, Roma, Erasmo, 2006. Altrettanto inutile per conoscere il rapporto tra Carducci e la Massoneria risulta Fulvio Conti, Storia della massoneria italiana. Dal Risorgimento al fascismo, Bologna, il Mulino, 2003. Del resto anche per Conti Francesco de Sanctis è nome che suona a vuoto. Daltronde Conti afferma che dopo lunificazione nazionale il milieu intellettuale non considerò più la massoneria un luogo di aggregazione privilegiato e le logge si riempirono di borghesia delle professioni e del pubblico impiego: affermazioni prive di basi documentarie e contrarie alla verità dei fatti. 6 In un troppo celebrato saggio scritto nel cinquantenario della morte (Linea e momenti della poesia carducciana, ripreso da Luigi Baldacci per introduzione a Poesie scelte (Milano, Mondadori, 1983) Walter Binni citò questi versi, ma cancellò lultimo. Svista? Parossismo laicistico? Che cosa mai vi è da temerne? P.14: Lungo il viale di Bolgheri, part. p.15: Monumento bronzeo a G. Carducci; p.16: Lo studio nella casa di Castagneto Carducci (LI); p.17: Il cimitero di Nonna Lucia, Castagneto Carducci; p.18 in alto: Steppa maremmana, Giovanni Fattori, olio su tela, 1864-65, Collez. priv; p.18 in basso: Maremma, Giovanni Fattori 1865, olio su tela, Collez. priv; p.19: L'arrivo dei barrocci, Giovanni Fattori, olio su tela, 1881, Collez. priv; (14, 15, 16 e 17: foto Paolo Del Freo). 19 20 caso. Girovagando per una delle storiche città dItalia dove il poeta versiliano passò qualche tempo della sua vita, può capitare di leggere una lapide di questo genere. Lì per lì ci si compiace di aver trovato uninteressante segnalazione dellillustre passaggio. Poi varie considerazioni nascono dallosservazione ragionata. Per primo viene fatto di considerare come lospitalità fosse in generale considerata un privilegio, soprattutto se rivolta a personaggi meritevoli di incondizionato rispetto. Il concetto dellospitare e dellessere ospitato si riferiva ad unantica usanza quasi religiosa derivante da un culto latino ben precisato. Ancora agli inizi dello scorso secolo era evidentemente praticato con affettuoso orgoglio, oggi è appannaggio solo di certi aristocratici milieux. La traccia che la persona lasciava nellintimità di una famiglia, quando questa si prestava a far fronte alle sue prime necessità, era tale da entrare nella memoria e da costituire un elemento fondamentale nelle storie intrecciate al suo albero genealogico. Il nonno che ospitò Carducci, il bisnonno che dette da bere a Garibaldi, vanno a formare in chi tramanda il ricordo, una sorta di nobiltà acquisita, autoreferenziata da un bel gesto, anche se modesto. In particolare il condividere il proprio habitat, che si offre come una delle massime risorse del gruppo antropologico che lo configura, dimostra amore e buona disposizione verso chi è diretto. Non stupisce che coloro che tradivano tale rapporto rivoltandosi contro gli ospitanti o viceversa, fossero considerati felloni nel medioevo, indegni o infami in altre epoche. Compartire il pane ha un profondo valore simbolico e tradire in questi casi vuol significare che non solo non si è compreso questo valore, ma che gli si antepongono ben più miserevoli considerazioni. Pertanto si capisce ancor meglio come gli ambienti in cui si attua la fratellanza iniziatica spesso si valgano del banchetto come momento topico delle pratiche rituali. Si tratta quindi di un fenomeno culturale che appartiene non solo alla tradizione ebraico-cristiana ma praticamente a tutte le tradizioni antropologiche. Va, a questo punto, formulata una seconda considerazione. Sulla lapide letta per caso si rileva un particolare che rappresenta un non trascurabile dettaglio. La data di installazione allude allera fascista che, come è noto, spesso sostituiva in quegli anni la scansione del calendario gregoriano. Curiosa cosa se si abbina alla considerazione di come la fortuna di Giosue Carducci poeta e filologo sia molto sfiorita da cinquantanni a questa parte, proprio dalla caduta del regime fascista. Rileggendo lopera carducciana attentamente e ricollocandola nel suo tempo per comprenderne meglio il coraggio e la modernità, ci si rende conto che lignoranza da cui oggi è avvolta sembra frutto di una dolorosa ingiustizia storica. Viene da pensare che quando di un personaggio si impossessa una retorica databile, quel personaggio sia destinato ad inabissarsi miseramente nelloblio dei lettori, al consumarsi di certi eventi storici. Ogni ideologia ha per forza di cose le sue retoriche e quindi qui non si fanno delle considerazioni di merito, si osserva solo come per farsi bandiera di un poeta o di un letterato i regimi sacrifichino sullaltare della convenienza politica il valore intrinseco di un messaggio e dei princìpi che trasmette. Per abbellirsi con le piume del poeta e del patriota, il regime demolisce lautonomia artistica di un creatore che con i suoi versi e le sue prose desidera esprimere la battaglia dei sentimenti e la forza delle nobili passioni. In sostanza valori che i regimi, di qualunque razza siano, sono pronti a sacrificare per il vantaggio di ideologie costruite a tavolino. Per il caso Carducci vien fatto di pensare che, purtroppo, unintera generazione di lettori entusiasti abbia decretato la sfortuna di un personaggio che meritava ancora attenzione, molta attenzione. Oggi con la serenità del tempo trascorso, vecchi di centocinquantanni di unità politica, forti di una alfabetizzazione ormai quasi totale, ci studiamo di rendere a Carducci una corretta collocazione. La massoneria lo celebra limpidamente come fratello illustre e poiché la massoneria non è unideologia possiamo essere certi che questa celebrazione sarà utile al poeta, al creatore di ritmi perfetti, al bravo filologo, allappassionato patriota. Forse ora al massone è affidato un atto di giustizia nel riprendere in mano lopera carducciana. Atto che consiste nel riconsegnare allarte certe insuperabili bellezze da guardare solo nella loro originalità poetica e letteraria. Perché diciamo che il massone è deputato a farlo? Perché il massone per suo costume deve rigettare ogni pregiudizio, rispettare la creatività pura del genio umano, ricercare il vero, e non strumentalizzare lopera altrui, non occupandosi né di politica né di religione e praticando la vera fratellanza. P.20: Aratura, G.Fattori, 1881, olio su tela, Galleria Arte Moderna, Roma. 21 22 eodorico di Verona, dove vai così di fretta? E uno dei versi che più affiorano dalle memorie scolastiche. Per Giosue Carducci il personaggio del re ostrogoto fa parte di un museo medievale in versi che annovera anche Alberto da Giussano, Alarico, Jaufré Rudel e Melisenda, oltre a cittadini di comuni rustici, combattenti di Marengo, caduti a Roncisvalle e quantaltro. Singolare è nel poeta la considerazione per il Medioevo, rara nella cultura italiana ottocentesca, con leccezione di alcuni romanzi. Gli eruditi italiani, classicisti per tradizione, avevano da sempre guardato ai barbari con repulsione, come se si trattasse di corpi estranei nella nostra storia e questo atteggiamento non era molto cambiato nemmeno in epoca romantica. Il filologo Carducci appare quindi originale in questa predilezione, soprattutto tenendo conto che egli era un raffinato classicista, propenso anche a vedere la sua cultura come strumento ideologico anticristiano. Perciò tutto ci si sarebbe potuto aspettare da lui tranne che fosse, come e anche di più degli odiati romantici, amante del Medioevo, soprattutto del più esecrato: quello barbarico. Ma il tema in realtà si inserisce in un disegno unitario. La leggenda di Teodorico fa parte, come la maggior parte delle poesie storiche, della raccolta Rime nuove comprendente, in ben 8 libri, tutta la produzione poetica tra il 1861 e il 1887, anni cruciali della nascita e crescita nazionale. In questa raccolta il suo classicismo di sempre si alterna con motivi idilliaci, letterari, nostalgici, storici, autobiografici. Alcune delle poesie storiche sono in realtà traduzioni da autori tedeschi, come August von Platten, Wolfgang Goethe, Heinrich Heine, e si nota come il poeta, mettendo la sua eccelsa tecnica di verseggiatore a servizio di tematiche altrui, sappia produrre splendidi risultati. Carducci appare infatti piuttosto forzato nelle sue prese di posizione. Sognava un mondo di valori eroici, convinto che la modernità li avesse abbandonati, detestava lItalia post-risorgimentale, che si era in fretta scordata delle gloriose lotte unitarie per rifugiarsi in una realtà mediocre basata sul profitto e sul conformismo, intendeva proporre una storia fatta di esempi, in polemica con la viltà dei suoi contemporanei. Ma, paradossalmente, erano proprio questi contemporanei imbolsiti a costituire il suo pubblico e a decretare a gran voce i suoi successi. Il Teodorico di Carducci Gli eroi vagheggiati dal poeta, tragici o ribelli, vengono comunque proposti come modelli; se muoiono poco importa, ci pensa il poeta a eternarli a futura memoria, spesso ribaltando il giudizio di una storiografia convenzionale. In questa visione si inserisce anche il re degli Ostrogoti, artefice nel VI secolo di una politica di pacifica convivenza multiculturale e multirazziale, talmente audace per quei tempi da andare incontro a sicuro fallimento. Gli storici altomedievali vedevano in Teodorico un sovrano saggio e illuminato ed è con queste caratteristiche che passa nelle leggende europee, come nel famoso Nibelungenlied, al quale si ispirò anche Wagner. Questo fuori dItalia. Nel nostro Paese invece Teodorico era protagonista di una leggenda nera formatasi in ambiente cattolico. A determinare questo giudizio erano stati gli ultimi tre anni del suo regno (523-526) segnati dal fallimento della politica di convivenza tra Goti e Romani, dalle tragedie famigliari, e da una mania di persecuzione di cui fanno le spese prima il filosofo Boezio (giustiziato nel 524 a Pavia dopo un processo celebrato a Roma in sua assenza), poi il papa Giovanni I (imprigionato al ritorno dalla sua fallimentare missione diplomatica a Bisanzio nel 525 e lasciato morire di stenti), infine nel 526 il patrizio Simmaco, suocero di Boezio. Di lì a poco anche Teodorico sarebbe morto improvvisamente (30 agosto 526). Tre anni di malgoverno e di intemperanze senili in confronto a 30 anni di pace e prosperità sono decisamente pochi per una condanna storica, ma nella leggenda circolata, già poco dopo la sua morte, giocarono altri fattori che non potevano che interessare Carducci. Ariano e infernale Teodorico infatti era eretico avendo aderito 23 al cristianesimo ariano sconfessato dalla Chiesa fin dal 314. Ario sosteneva che Cristo era uomo, non figlio di Dio, vanificando perciò il culto della Vergine. Tuttavia gli ariani avevano fatto proseliti, soprattutto presso le popolazioni barbariche che affollavano lest europeo. Così i Goti, stanziati lungo il basso Danubio in quella che poi divenne la Romania, si convertirono al cristianesimo ariano e tali rimasero per tutto il periodo italiano. Ne rimane traccia a Ravenna, dove è conservato il Battistero degli Ariani. Nelle città occupavano quartieri diversi dai cattolici, gli stessi dove più tardi subentrarono i Longobardi, ariani anche loro. Ma oltre allinconciliabile opinione religiosa sulla natura di Cristo, a dividere i Goti dai Romani erano anche le rispettive tradizioni: guerriere le prime, civili le seconde. Teodorico tentò la politica della convivenza impossibile e fu marchiato dalla storia. Già Procopio da Cesarea, storico bizantino al seguito delle truppe di Giustiniano durante la successiva guerra greco-gotica (535553), a proposito degli ultimi giorni di Teodorico, annotava: Pochi giorni dopo a tavola gli fu servita la testa di un grande pesce. Parve a Teodorico di scorgere in quella la testa di Simmaco testé trucidato... Atterrito da così grande prodigio e colto da brividi fortissimi si ritirò correndo nel suo letto... Poscia narrando ogni cosa al medico Elpidio rimpianse lerrore commesso contro Simmaco e Boezio. E alto piangendo e spasimando non molto dopo venne a morte, avendo commesso verso i suoi sudditi questo primo e unico torto perché, contro il suo solito, aveva condannato quei due senza fare inchiesta sullaccusa (Guerra Gotica, Libro I). La testimonianza di Procopio attesta, già a pochi anni dalla scomparsa di Teodorico, la diceria di una morte accompagnata da oscuri presagi, quasi horror, a espiazione di quel primo e unico torto, come gli viene riconosciuto da uno storico di parte avversa. E Gregorio Magno a fornire la testimonianza successiva tra il 593 e il 594. Il papa riferisce quanto gli era stato riportato da un amico: il padre di suo suocero si era fermato con la nave a Lipari proprio nei giorni successivi alla morte di Teodorico. Sentito dire che sullisola viveva un santo eremita, un drappello di viaggiatori era andato a raggiungerlo e arrivati che furono, leremita li accolse benevolmente e nel conversare disse: Sapete che il re Teodo- 24 rico è morto? E quelli: Non voglia Dio che sia vero! Lo lasciammo vivo e sano, né ci è arrivata una nuova del genere. Allora il servo di Dio: Eppure è morto. Infatti ieri allora nona lo vidi tra papa Giovanni e il patrizio Simmaco: discinto, scalzo e con le mani legate, veniva buttato nel cratere del vulcano che è qui vicino(Dialoghi). In questo straordinario racconto compare già formata la leggenda della punizione divina che avrebbe trascinato Teodorico allinferno attraverso la bocca di un vulcano, segnatamente quello che conosciamo sotto il nome di Vulcano nellisola omonima, ritenuto nellantichità sede della fucina dellulteriormente omonimo dio. La punizione sarebbe addirittura stata vista, anche se dagli occhi di un eletto. Manca in ogni caso il cavallo in cui si sarebbe materializzato lo spirito diabolico incaricato di fare da conduttore delle anime dannate. Ma il diavolo cè e lo attesta unaltra fonte, il cosiddetto Anonimo Valesano, vago pseudonimo con cui si indicano due autori attivi in tempi diversi, comunque nel corso dello stesso VI secolo. Riguardo alla fine di Teodorico è detto Di qui il diavolo trovò modo di far suo un personaggio che pur, fino allora, aveva amministrato lo stato senza suscitare dissensi (Theodoriciana, cap.27). Filosemita dal sogno impossibile Lo stesso autore si rammarica del fatto che Teodorico avesse dato ragione agli Ebrei, che si erano rivolti a lui dopo uno dei primi pogrom attestati dalla storiografia cristiana. A Ravenna alcuni cattolici fanatici avevano incendiato la sinagoga ed episodi simili erano avvenuti in altre città. Andati a Verona a protestare dal re, gli Ebrei avevano trovato ascolto da parte del ciambellano goto Trivane, il quale: da quelleretico protettore di giudei che era, diede al re una versione dei fatti sfavorevole ai cristiani. Il re sentenziando in merito ordinò che tutto il popolo dei romani provvedesse a restaurare a denaro contante le sinagoghe incendiate (cap.26). La sentenza di Teodorico, ineccepibile ai giorni nostri, è qui vista come indizio di empietà contribuendo allimmagine di un Teodorico dannato anche nei suoi momenti migliori e fornendo un contributo alla demolizione del personaggio. La leggenda è quindi precoce e si sviluppa soprattutto nellambiente romano dal quale provenivano le vittime dellultimo nefasto triennio del regno di Teodorico. Gli storici ritengono che a fomentarla sia stato anche il sogno impossibile di una società composita, perseguito da Teodorico ed ereditato da sua figlia Amalasunta, fino alla tragedia finale di una guerra durata 18 anni, con le truppe bizantine occupanti e il genocidio del popolo ostrogoto attuato dal generale Narsete, forse per ordine di Giustiniano. Tutto ciò precipitò lItalia nel periodo più cupo della sua storia, con attestazioni anche di fenomeni di cannibalismo. La leggenda di Teodorico attraversa comunque i secoli di ferro dellalto Medioevo italiano, sopravvive allapogeo e alla caduta di un altro popolo di religione ariana, i Longobardi, sopraffatti da unalleanza tra il papa e i Franchi (da cui scaturisce il Sacro Romano Impero), passa indenne tra i sogni di effimeri re stranieri e resiste al tentativo di germanizzazione degli imperatori sassoni e salici. La si doveva di certo raccontare, se uno scultore la mette per immagini sulla facciata di una chiesa, proprio a Verona, una delle residenze preferite del re ostrogoto: lantica chiesa di San Zeno più volte ricostruita. Si tratta di due rilievi con una sola scena la cui attribuzione e datazione sono molto contestate a causa della loro difficile lettura, dato che per secoli i bambini di Verona usavano prendere a sassate il re Teodorico. Siamo tra il 1117 e il 1138 quando Mastro Niccolò, un allievo del grande Wiligelmo, scolpisce (o rimette in opera?) questa scena di pietra che rappresenta da un lato la caccia infernale di Teodorico con lignaro re a cavallo che suona il corno, mentre un cane gli cammina accanto, dallaltro un cane che azzanna un grande cervo mentre una figura umana ma con fattezze mostruose (il demonio o un suo servo) sta davanti a un arco sormontato da fiamme, probabile allusione alla porta dellinferno. La lunga iscrizione latina che accompagna le due immagini si riferisce al bagno dove si sarebbe trovato il re e alla sua intenzione di inseguire il cervo in groppa al cavallo che lo avrebbe invece condotto allinferno. Rigore filologico nei versi carducciani Ritornando a questo punto a Carducci e rileggendo La Leggenda di Teodorico, datata al marzo 1884, non si può fare a meno di notare che le fonti sono ben note al poeta, del resto valente filologo. Ci sono riferimenti a Gregorio Magno, al Nibelungenlied, alle sculture di Verona, ci sono i cani, il cervo, il bagno, il corno da caccia e vi è la coincidenza che Severino Boezio era proclamato santo proprio nel dicembre 1883. Non vi è dubbio che la leggenda nera creata dalla tradizione cattolica doveva piacere molto al maturo poeta anticlericale, autore negli anni giovanili di discussi e discutibili sproloqui come l Inno a Satana. Doveva piacergli il re ostrogoto, ma non tenta affatto di riabilitarlo, anzi lo rappresenta eternamente dannato, e lo fa con compiacimento, quasi con voluttà. Leroe non è infatti solo quello del mito solare, non è sempre giovane e bello con i riccioli biondi, non vive soltanto nelleterna Arcadia dei poemi giovanili. Può essere anche lanziano condottiero pronto a espiare le sue colpe, in un giorno qualsiasi di unestate veronese, durante una battuta di caccia. Limportate è che non sia banale e conformista. Magari dannato, ma sempre diverso dallItalietta odiata e al tempo stesso plaudente. Ecco così che, nel ritmo incalzante dellottonario a rime alterne, il poeta ci consegna un affresco storico indimenticabile pieno di immagini, di colori, di suoni, di luce e di totale mancanza di pentimento, perché a un dannato vero ciò non è concesso. E, primo tra i pochissimi estimatori italiani, anzi in questo vero pioniere, ci lascia la celebrazione di unepoca che, perfino in anni più recenti, è stata sommariamente giustiziata sotto letichetta di secoli bui, quasi che i barbari, -come i latini e gli arabi, i greci e gli etruschi- non siano parte delle nostre molteplici e arzigogolate radici. P.22: Stromboli, eruzione notturna; p.23: Cavaliere romano tardo-imperiale; p.24: Spada alto-medievale da parata o da mostra, Aarburg museum. Teodorico di Verona, dove vai così di fretta? u l castello di Verona Batte il sole a mezzogiorno, Da la Chiusa al pian rintrona Solitario un suon di corno, Mormorando per laprico Verde il grande Adige va; Ed il re Teodorico Vecchio e triste al bagno sta. Pensa il dì che a Tulna ei venne Di Crimilde nel conspetto E il cozzar di mille antenne Ne la sala del banchetto, Quando il ferro d'Ildebrando Su la donna si calò E dal funere nefando Egli solo ritornò. Guarda il sole sfolgorante E il chiaro Adige che corre, Guarda un falco roteante Sovra i merli de la torre; Guarda i monti da cui scese La sua forte gioventù, Ed il bel verde paese Che da lui conquiso fu. Il gridar d'un damigello Risonò fuor de la chiostra: "Sire, un cervo mai sì bello Non si vide a l'età nostra. Egli ha i piè d'acciaro a smalto, Ha le corna tutte d'òr". Fuor de l'acque diede un salto Il vegliardo cacciator. "I miei cani, il mio morello, Il mio spiedo" egli chiedea; E il lenzuol quasi un mantello A le membra si avvolgea. I donzelli ivano. In tanto Il bel cervo disparí, E d'un tratto al re da canto Un corsier nero nitrì. Nero come un corbo vecchio, E ne gli occhi avea carboni. Era pronto l'apparecchio, Ed il re balzò in arcioni. Ma i suoi veltri ebber timore E si misero a guair, E guardarono il signore E no 'l vollero seguir. In quel mezzo il caval nero Spiccò via come uno strale E lontan d'ogni sentiero Ora scende e ora sale: Via e via e via e via, Valli e monti esso varcò. Il re scendere vorrìa, Ma staccar non se ne può. Il più vecchio ed il più fido Lo seguìa de' suoi scudieri, E mettea d'angoscia un grido Per gl'incogniti sentieri: "O gentil re de gli Amali, Ti seguii ne' tuoi be' dì, Ti seguii tra lance e strali, Ma non corsi mai così. Teodorico di Verona, Dove vai tanto di fretta? Tornerem, sacra corona, A la casa che ci aspetta?". "Mala bestia è questa mia, Mal cavallo mi toccò: Sol la Vergine Maria Sa quand'io ritornerò". Altre cure su nel cielo Ha la Vergine Maria: Sotto il grande azzurro velo Ella i martiri covrìa, Ella i martiri accoglieva De la patria e de la fé; E terribile scendeva Dio su 'l capo al goto re. Via e via su balzi e grotte Va il cavallo al fren ribelle: Ei s'immerge ne la notte, Ei s'aderge in vèr' le stelle. Ecco, il dorso d'Appennino Fra le tenebre scompar, E nel pallido mattino Mugghia a basso il tosco mar. Ecco Lipari, la reggia Di Vulcano ardua che fuma E tra i bòmbiti lampeggia De l'ardor che la consuma: Quivi giunto il caval nero Contro il ciel forte springò Annitrendo; e il cavaliero Nel cratere inabissò. Ma dal calabro confine Che mai sorge in vetta al monte? Non è il sole, è un bianco crine; Non è il sole, è un'ampia fronte Sanguinosa, in un sorriso Di martirio e di splendor: Di Boezio è il santo viso, Del romano senator. 25 26 al mosaico delle costituzioni gotiche si possono estrarre alcune linee portanti che andranno poi a costituire lossatura degli ordinamenti massonici moderni, a partire dalle Constitutions of the FreeMasons del 1723: - leggenda delle origini: comune alle varie formulazioni è lintento di dimostrare lantica e nobile discendenza dellArte Reale muratoria, nonché il suo decoro intellettuale connesso alla conoscenza teorica e allapplicazione pratica delle artes liberali fondate sulla Geometria. Se inizialmente questi racconti mirano fondamentalmente ad emancipare il lavoro muratorio dal rango minore delle arti manuali, dal tardo Cinquecento essi si connoteranno di implicazioni politico-religiose volte a ottenere consensi e benevolenze dai regnanti e dalla Chiesa (i riferimenti ai re biblici David e Salomone, a santi e sovrani come protettori e membri dei Crafts). In alcuni casi (come per la Carta di Colonia) la ricompilazione della genesi massonica può essere strumentale a polemiche di natura ideologica; - ammissione e giuramento di appartenenza: quasi tutte le costituzioni gotiche prevedono, in termini più o meno espliciti, atti formali per lingresso nelle compagnie di nuovi soci. Nella maggior parte dei casi si tratta di formule cerimoniali la cui struttura è già delineata nel Poema Regius e consiste con ogni probabilità nella presentazione al candidato della storia delle origini e nellelencazione dei doveri che egli è chiamato ad assumere, compreso il vincolo del silenzio su quanto viene fatto e detto nella compagnia. Latto è suggellato dalla prestazione di un giuramento da parte del candidato, al quale vengono prospettati i severi castighi previsti per gli spergiuri. Nei catechismi massonici settecenteschi, orientati in senso filosofico più che ai contenuti di mestiere, latto di ricevimento acquisisce più specifici connotati simbolico-rituali. Con la leggenda delle origini al neofita vengono comunicate le istruzioni, per lo più in forma di dialogo, la Masons Word (la Parola), le posizioni dordine, segni di riconoscimento e toccamenti (Grips, letteramente prese di mano). Si formalizza così, in un complesso di simboli verbali e gestuali, la trasmissione essa stessa traditio di un retaggio tradizionale il cui esercizio è riservato agli ammessi ai lavori, quale che sia loperatività cui il lavoro si riferisce. In questa prassi sono già contenuti tutti gli elementi base del rito di iniziazione massonica che attraverso successive elaborazioni assumerà le modalità tuttora correnti. Un abbozzo di procedura rituale è delineato nel Ms. di Shaw (1598). Da notare, in fine del passo citato, il riferimento a una qualche forma di tegolatura che deve precedere lammissione: Nessun maestro o compagno del mestiere sarà ricevuto o ammesso, se non alla presenza di sei maestri e di due apprendisti introdotti, il sorvegliante della loggia essendo uno dei sei; il giorno della ricezione di detto compagno del mestiere o maestro sarà debitamente registrato, e il suo nome e il suo marchio saranno iscritti nel libro coi nomi dei sei che lhanno ammesso e quelli degli apprendisti introdotti; i nomi degli istruttori che si devono scegliere per ciascun recipiendario saranno ugualmente iscritti nel libro. Tutto ciò a condizione che nessun uomo sia ammesso senza che si sia esaminata e sufficientemente provata la sua abilità e il suo valore nel mestiere al quale è chiamato. Con il tempo latto dammissione assume una consistenza rituale sempre più definita e dato di notevole importanza con modalità distinte per Apprendisti e Compagni / Maestri, come appare nel Ms. Kevan: lApprendista, dopo aver prestato il giuramento in nome di Dio e San Giovanni, su Squadra, Compasso e Regolo, viene allontanato dalla Compagnia dal Massone più giovane, e dopo che è stato adeguatamente spaventato con una quantità di smorfie e gesti, egli deve imparare dal suddetto Massone il modo di mettersi allordine, che sono i Segni, le Posture e le Parole della sua ammissione Quindi tutti i Massoni presenti sussurrano la Parola tra di loro cominciando dal più giovane fino a che giunga al Maestro Massone, il quale dà la Parola allApprendista ammesso. Nel documento si precisa poi che tutti i Segni e le Parole di cui si è appena detto sono le sole che competono agli Apprendisti ammessi, ma per essere un Maestro Massone o Compagno dArte cè altro da compiere. Per prima cosa, tutti gli Apprendisti devono uscire dallAssemblea e solo ai Maestri è consentito rimanere. Poi, si fa nuovamente inginocchiare colui che deve essere ricevuto come membro della Corporazione, e gli si fa rinnovare il Giuramento. In seguito egli deve uscire dallAs- 27 semblea con il più giovane Maestro per imparare la Parola e i Segni della Corporazione; quindi entra di nuovo e dà i Segni di Maestro della Corporazione e pronuncia le stesse Parole di ammissione come ha fatto lApprendista tralasciando solo il riferimento al Regolo. Quindi i Maestri sussurrano la Parola fra loro cominciando dal più giovane come prima. In seguito il giovane Massone avanza e si pone nella posizione in cui deve ricevere la Parola e dice loro: I rispettabili Massoni e lonorevole Compagnia da cui provengo vi porgono i migliori saluti, vi porgono i migliori saluti, vi porgono i migliori saluti. - libero e di buoni costumi: le normative delle costituzioni gotiche definiscono fin dal Poema Regius lattitudine al lavoro muratorio anche in termini di idoneità fisica, ma il requisito più importante è concordemente individuato nello stato di uomo libero per nascita e condizione in cui deve trovarsi il neofita. Con tutta probabilità tale prescrizione fa originariamente capo allintento di dare della Mu- 28 ratorìa limmagine di arte non servile, come per altro ribadiscono con tutta evidenza i ricorrenti richiami, nelle leggende delle origini, al fatto che lArte ebbe inizio da figli di grandi signori nati in libertà (Ms. di Cooke). Ampie parti dei manoscritti delle origini, a partire dal Poema Regius, sono dedicate poi alle norme eticomorali, descritte nei vari elenchi dei Doveri (Charges) e relative alla religione, alla fedeltà al re, al comportamento sul lavoro e verso gli associati, alla solidarietà. Con la leggenda delle origini, i Doveri fanno parte integrante del cerimoniale (rituale) di ricevimento da leggersi a voce alta come prescrive il Ms. Grand Lodge n. 1; - sistema dei gradi: nella muratoria di mestiere vige un ordine gerarchico che assegna mansioni e responsabilità in base alle qualifiche delle maestranze (Statuto di Strasburgo). Ai vari gradi di competenza corrispondono salari diversi e sono previsti passaggi alla classe superiore in ragione del livello distruzione raggiunto (Poema Regius). Dalle classi di mestiere questo principio gerarchico si trasferirà al sistema dei gradi simbolici, con i relativi aumenti di paga, elaborato dalla massoneria di accettazione. Nelle costituzioni gotiche appare ben individuata la figura dellApprendista, che secondo gli ordinamenti corporativi ogni maestro può assumere in piena autonomia, ferme restando alcune prescrizioni comuni come la condizione sociale del discepolo, il suo diritto al salario, il periodo dellapprendistato (dai 3 ai 7 anni), il numero massimo di apprendisti che il maestro può tenere presso di sé. Inizialmente lApprendista non è inquadrato nei ranghi della corporazione, non gode delle prerogative degli ammessi a pieno titolo, né può essere investito di uffici o dignità. Con levolversi degli assetti organizzativi di mestiere, fra i secoli XV e XVI, la classe degli Apprendisti ottiene un diverso inquadramento e nel Ms. di Shaw (1598) si definisce la figura dellEntered Apprentice (Apprendista ammesso), dotato di uno status giuridico che tra laltro gli concede sia pur limitata autonomia nellesercizio del mestiere (gli è permesso di assumere in proprio qualche opera purché dimporto non superiore alle dieci lire). Inoltre, come sè visto, la presenza di due Apprendisti è prescritta nel cerimoniale di ricevimento dei Maestri o Compagni, a conferma della nuova dignità che la classe ha assunto. Passo successivo sarà lintroduzione di forme distinte dammissione per Apprendisti e Compagni dArte, definendosi per ciascuna gli specifici gradi di conoscenza e ambiti operativi. Queste due classi costituiscono il sistema prevalente negli ordinamenti di mestiere, dove i termini Maestro e Compagno darte (Socio) sono impiegati in modo spesso ambiguo, per lo più come sinonimi. Una più precisa distinzione fra le due qualifiche appare in alcuni catechismi del primo Settecento: nel Ms. Sloane 3329 (ca. 1700), dove vengono descritti due diversi segni di riconoscimento (Grips) per Compagni e Maestri, e nel Ms. Trinity (1711) che riporta a sua volta segni distinti per Apprendisti, Compagni e Maestri, e alla domanda Cosa rende una loggia giusta e perfetta? dà la risposta Tre maestri, tre Compagni uomini d'arte e tre Apprendisti iniziati. In una situazione quantomeno fluida qual è quella della muratorìa britannica a inizio secolo XVIII, per la crescente presenza di accettati, è possibile che alcune logge si siano trasformate in laboratori dove accanto ai nuovi indirizzi ideologici si sperimentano anche nuovi modelli organizzativi di un lavoro ormai in larga parte simbolico. Pur non essendo del tutto da escludere che da qualche parte sia stato imbastito, magari già prima del Settecento, uno specifico apparato simbolico-rituale per il grado di Maestro, è in ogni caso prematuro pensare a un sistema a tre gradi già definito e operante, con i relativi rituali, così in anticipo rispetto alla generalizzata adozione del 3° grado nella Massoneria europea, databile solo alla seconda metà del Settecento. Di fatto quella di Maestro, più che una classe operativa, nella tradizione di mestiere è una funzione direttiva spettante a chi ha ricevuto la commessa dellopera o a un Socio eletto fra le maestranze. Analogamente, nei catechismi settecenteschi la funzione del Maestro è in sostanza quella di capo della loggia. Così recita un passo del catechismo nel Dumfries n. 4: Quante luci nella Loggia? - Tre. - Quali? - Il maestro, i compagni ed il sorvegliante. - In quale maniera sono disposte le luci? Una a oriente e una a occidente, ed una in mezzo. Per chi è quella a Oriente? - È per il maestro, quella ad occidente per i compagni darte e quella di mezzo per il sorvegliante. Nello stesso documento sono poi presentati in elenchi distinti i Doveri dei Maestri e Compagni dArte e i Doveri dellApprendista. Il Ms. Grand Lodge n.1 (1583), fonte principale delle costituzioni massoniche successive, richiamandosi ai Doveri dettati da Euclide ai figli dei grandi signori cui insegnava la Geometria, prescrive che Maestro dei lavori deve essere nominato il più saggio fra di loro, non per amicizia, né per il suo lignaggio o ricchezza, né per favoritismo... e il direttore dei lavori dovrà essere chiamato Maestro per tutto il tempo che essi lavoreranno con lui. Questo Dovere è ripreso presso che alla lettera nei documenti e catechismi successivi, dallInigo Jones (?1605) allo Holywell (1748). Negli Old Charges di Anderson riappare in questa forma, ai Titoli IV e V: Tutte le preferenze fra i Muratori sono fondate soltanto sul reale valore e sul merito personale, di modo che i committenti siano ben serviti, che i Fratelli non debbano vergognarsi, né che lArte Reale venga disprezzata. Pertanto nessun Maestro o Sorvegliante sia scelto per anzianità, ma per il suo merito Il più esperto dei Compagni dArte deve essere scelto e nominato Maestro, o sovrintendente del lavoro del committente, e deve essere chiamato Maestro da coloro che lavorano sotto di lui. Anche la prima Grand Lodge di accettazione (1717) si allinea dunque alla tradizione di mestiere adottando il sistema a due gradi simbolici, Apprendista e Compagno dArte, mentre il titolo di Maestro coincide in sostanza con lattuale Maestro Venerabile, nella quale si traspone la figura del sovrintendente dei lavori, o commissionario dellopera. Fra la prima e seconda redazione delle Costitutions intervengono però alcuni fatti che determineranno una correzione di rotta. La loggia londinese Queens Head, un organismo di mestiere accolto allobbedienza della Grand Lodge, fonda l8 febbraio 1725 una società di mutuo soccorso per veri amanti della Musica e dellArchitettura denominata Philo-Musicae et Architecturae Societas Apollini; in pratica una loggia di accettazione nella quale in un biennio entrano 39 membri (fra questi il musicista Francesco Geminiani che, iniziato alla Queens Head il 1° febbraio 1725, risulta essere il primo italiano in assoluto affiliato alla Massoneria). Nella nuova loggia si conferisce anche il grado di Maestro, e su questa scia presto si pongono diverse altre logge indipendenti, come lantica e autorevole Loggia di York. La reazione della Grand Lodge a queste iniziative di organismi massonici concorrenti (la Queens Head viene sciolta nel 1727) si manifesta con la seconda edizione (1738) delle Costitutions, dove il termine Master Mason appare come denominazione alternativa del secondo grado (Fellow Craft). È il primo passo verso la definizione del 3° grado (Maestro Libero Muratore) i cui contenuti specifici, con relativo apparato simbolico e rituale di iniziazione, verranno compiutamente elaborati soltanto nei decenni successivi. P.26: Bianco e Nero, P. Del Freo, coll. privata; p.27: SATOR nel Tempio delle Pietre Sapienti, Roma; p.2829: Poliedri complessi in legno, coll. privata. 29 30 Roma il 4 dicembre 2006 nella Sala del Refettorio della Camera dei Deputati si è tenuto il Convegno su Il valore condiviso della laicità dello stato. Hanno partecipato i Relatori: Alessandro Diotallevi, Valerio Morgia, Gerardo Bianco, On.Valdo Spini, On. Emanuele Fiano, On. Khaled Fouad Allam, Luigi Pruneti, Paolo Garuti, Paolo Ricca, Stefano Ceccanti, Vincenzo Ribet. Nella sua relazione, Dalla tolleranza allo Stato etico: nascita del concetto di laicità, lo storico Luigi Pruneti ha posto laccento sulla formazione del concetto di tolleranza. Le sue parole sono state trascritte dalla traccia registrata nellintervento pronunciato in quella occasione. Nellantichità Fin dalle origini, il concetto di tolleranza si presenta in forma esplicita come il problema della tolleranza religiosa. Secondo alcuni studiosi, la questione connessa alla tolleranza affonda le sue radici addirittura nelletà classica. Fu allora, infatti, che si impose il dibattito sul dissenso religioso, con gli esempi di Socrate e Alcibiade. Il primo, accusato di ateismo nel 399 a.C., subì il processo e la condanna a morte; il secondo, sospettato di aver partecipato al sacrilegio delle erme e alla parodia dei misteri dEleusi, dovette riparare in terra lacedemone. In ogni modo, è sempre nel mondo classico che si registrano, per merito di alcuni monarchi, i primi provvedimenti rivolti a garantire la convivenza tra posizioni religiose diverse. Celeberrimo è il caso di Ashoka il Grande (III secolo a.C.), sovrano indiano della dinastia Maurya del Magadha, figlio di Bindusara, al quale successe nel 272. Egli eresse i cosiddetti sette Pilastri della Saggezza, il più antico monumento linguistico dellindoario, in cui si presentavano precetti morali e editti ispirati ai dettami del buddismo. Parimenti, nella nostra sfera culturale, taluni monarchi ellenistici, come Antioco II di Siria (286246 a.C.) e Tolomeo II Filadelfo (308-246 a.C.), promuovono provvedimenti di tal genere. Il problema della separazione dellautorità politica dal potere religioso, da cui scaturirà il concetto di laicità (da laikòs, del popolo), emergerà invece solo più tardi. Il Medioevo Alcuni ne ravvisano i primi presupposti nel pensiero del pontefice Gelasio I, che successe a Felice III nel 492. Egli scrisse una missiva allimperatore dOriente, in cui tentò di distinguere in maniera estremamente precisa le sfere dinteresse tra religione e politica, tra potere papale e imperiale. La storia successiva dellEtà di Mezzo, al contrario, imboccò la direzione opposta, registrando un aspro antagonismo tra questi due poteri. Tale stato di conflitto, però, non fu sempre deleterio: secondo lo studioso Guido de Ruggiero (1888-1948), gli attriti tra impero e papato furono salutari per lOccidente, poiché lo vaccinarono contro la stagnante teocrazia dOriente. Sicuramente, secondo lo storico Gaetano Salvemini (1873-1957), ai primi lumi di laicismo concorsero anche i Liberi Comuni, assetati dindipendenza e autonomia. E certo, comunque, che le prime considerazioni sulla separazione tra potere religioso e politico risalgono al periodo medievale: si pensi al De Monarchia di Dante o al Defensor Pacis di Marsilio da Padova. Sempre al Medioevo risale la prima presa di posizione, netta e precisa, nei confronti della tolleranza: il filosofo e teologo inglese Guglielmo dOccam (12801349), autore del De imperatorum et pon- tificum potestate, prendendo spunto dalla condanna rivolta ad alcune posizioni espresse da S. Tommaso dAquino, difende lautonomia della filosofia e della scienza dalla fede e da qualsiasi altra ingerenza. Linflusso del pensiero di Occam sarà determinante per gli autori del secolo XIV ed ispirerà il cosiddetto occamismo, corrente filosofica, teologica e politica improntata sulla netta distinzione fra lambito della fede e il campo dazione della ragione, fra teologia e scienza, fra potere laico ed ecclesiastico. Le idee di Occam, quindi, rappresentarono il tratto dunione tra la cultura medievale e il pensiero moderno. Dal Rinascimento alla Riforma protestante Un contributo notevole in questo senso lo portò anche il Rinascimento, con la riscoperta della civiltà classica, rivisitata alla luce di un ideale di perfezione umana, tutta terrena. Da ciò scaturì lidealizzazione di un mondo che non conosceva sinergie né opposizioni tra religione e politica. Lindagine di Pruneti si è poi concentrata sul pensiero di Erasmo da Rotterdam (1466-1536), umanista di grande fama, che sulla scorta della devotio moderna attua 31 una rilettura in chiave storica e morale della figura di Cristo, mostrando il suo scetticismo nei confronti di un irrigidimento dogmatico dellesperienza religiosa. Tuttavia, il problema devastante del dissenso religioso emergerà con la Riforma protestante, allinterno di Paesi che dovevano fare i conti con considerevoli minoranze religiose. La questione religiosa, quindi, assunse caratteri squisitamente politici. Di qui i primi atti di tolleranza: ad esempio, il 13 agosto 1598, data fondamentale, Enrico IV di Borbone promulga leditto di Nantes, che sancisce la libertà di culto, di coscienza e di garanzie territoriali agli Ugonotti. Siamo nel XVII secolo, periodo delle guerre di religione e dei primi imprenditori di morte del pianeta, ma anche momento storico segnato da un 32 gran fermento didee. Galileo Galilei (15641642), ad esempio, riprende il pensiero di Occam traslandolo sul piano della scienza: la ricerca scientifica non deve subire invasioni di campo. NellOlanda di Spinoza Poco dopo, il filosofo olandese Baruch Spinoza (1632-1677) rivendica analogamente la libertas del pensiero filosofico, pubblicando anonimamente nel 1670 il Tractatus theologico-politicus, che è subito esecrato come empio tanto dai cattolici quanto dai protestanti. Si tratta di unopera basilare, in cui si afferma che il pensiero è frutto della coscienza di ciascun uomo, quindi per sua natura incoercibile. E dunque non solo ingiusto, ma addirittura folle e assurdo cercare di sopprimerlo. La tutela della libertà di coscienza richiede pertanto una totale laicità dello stato. Ci troviamo in Olanda, nei Paesi Bassi, e il Tractatus riceve lunanime disapprovazione; però in questo Paese si assiste anche ad una sorta di convivenza pacifica tra confessioni religiose diverse. In Olanda, infatti, vivevano luno accanto allaltro, cattolici, ortodossi, riformati, luterani e persino arminiani. Nasce così il mito di unOlanda come terra di libertà; tantè vero, che lo storico e filosofo Pietro Giannone (16761748), languendo in carcere, penserà alloasi felice dell Olanda, come Paese simbolo della tolleranza che ancora nella Penisola non si conosce. Il latitudinarismo Nel 1689 avvenne un altro importante evento: latto di tolleranza inglese. Esso, in pratica, non sancì la libertà religiosa, ma depenalizzò i dissenzienti. Fu un notevole passo in avanti, determinato in larga misura da una corrente di pensiero maturata allinterno della Chiesa anglicana: il latitudinarismo. I latitudinari, infatti, consideravano legittima la molteplicità delle dottrine teologiche delle diverse confessioni protestanti. Essi rappresentarono la Broad Church che, in opposizione alla High Church tradizionalista, promosse una pacificazione religiosa fondata sulla concordanza sostanziale tra tutti i cristiani. Per i latitudinari, in breve, la tolleranza reciproca rappresentava il corollario della stessa fratellanza cristiana. J. Locke e lEpistola sulla tolleranza Molto vicino a tale impostazione fu anche il filosofo inglese John Locke (1632-1704), che nel 1689, rifugiatosi in Olanda a causa della definitiva sconfitta del conte di Shaftesbury, pubblicò lEpistula de tolerantia, vero e proprio caposaldo lungo questo processo. La posizione di Locke è molto complessa e articolata: egli afferma che il pensiero fa parte della coscienza e questultima non si può reprimere in alcun modo. Ne consegue che la violenza fisica, verbale o giuridica non serve a ricondurre sulla via della vera fede colui che devia. Il solo modo per agire sulla coscienza va ricercato nella forza delle idee, non nella brutalità della repressione. In ciò vi è anche un aspetto pratico: il dissenso religioso è innocuo nei confronti del potere politico, ma se subisce la repressione può facilmente trasformarsi in opposizione e in fondamentalismo, divenendo un pericolo per tutto il sistema sociale. Egli, al pari dei latitudinari, afferma che la tolleranza è un corollario del dovere di fratellanza tipico del cristianesimo. Il rispetto della coscienza religiosa del singolo, quindi, emerge da una concezione spirituale, anziché temporale, della religione: di qui la necessità di separare nettamente le chiese dallo stato. Locke è un fautore della tolleranza per tutti, fuorché per gli atei e i cattolici. I primi sono addirittura giudicati un pericolo per lequilibrio sociale: Infatti egli sostiene nellEpistola né una promessa, né un patto, né un giuramento, tutte cose che costituiscono i legami della società, di un ateo possono costituire qualcosa di stabile o di sacro; eliminato Dio, anche solo con il pensiero, tutte queste cose si dissolvono. I secondi, invece, rientrano nelle confessioni intolleranti, dunque immeritevoli a loro volta di tolleranza, giacché professano principi pericolosi per la convivenza sociale. Nel suo An essay concerning toleration, Locke esplicitamente dichiara: Per quel che riguarda i papisti, è certo che di molte delle loro pericolose opinioni, che sono completamente distruttive di tutti i governi, eccetto il governo del papa, non deve essere tollerata la propagazione. Poco più avanti, egli riprende il discorso affermando: I papisti non devono godere del beneficio della tolleranza, perché, dove essi hanno il potere, si ritengono obbligati a negare la tolleranza agli altri. Su questo punto, Pruneti ha particolarmente sottolineato la necessità di cogliere nel suo contesto storico laffermazione di Locke, ricordando che in Inghilterra i cattolici ottennero una completa emancipazione solo nel 1829. Il contrattualismo e il giusnaturalismo Locke è un esponente di quel filone di pensiero filosofico e giuridico denominato contrattualismo, secondo cui listituzione della società e dello stato poggia su un contratto stipulato dagli individui che ne fanno parte. Non a caso, nei suoi due Trattati sul governo civile del 1690, egli critica lassolutismo biblico/patriarcale di Robert Filmer ed elabora una teoria liberale dello stato, sostenendo che la funzione di un governo consiste nellassicurare i diritti fondamentali delluomo, il primo dei quali è il diritto alla vita, seguito dalla libertà e dalla proprietà. Da parte sua, il singolo ha il dovere di rinunciare ad un solo diritto naturale, quello di farsi giustizia da sé, delegandolo al potere legislativo. Ciò indica che il pensiero di Locke confluisce in parte anche nel giusnaturalismo, una dottrina filosofico/giuridica che prende le mosse dal De jure belli ac pacis di Ugo Grozio, opera scritta nel 1625. Il giusnaturalismo laicizza lidea di stato, sostenendo lesistenza di norme di diritto naturali che vincolano lattività del legislatore; se ciò non avviene, la legge degenera in arbitrio. La fisiocrazia Tutte queste correnti di pensiero saranno alimentate da quel gran periodo di circolazione didee che sarà il Settecento, in cui prenderà impulso, a partire dalla Francia, unimportante dottrina economica e sociale tendente al liberalismo assoluto: la fisiocrazia (da physis, natura, e kratein, dominare). Secondo i fisiocratici, nessun intervento normativo deve alterare la dinamica naturale delleconomia, giacché lordine del libero commercio è un meccanismo capace di regolarsi autonomamente. I fisiocratici ebbero un nemico fondamentale: ciò che rimaneva del feudalesimo, ritenuto il principale ostacolo al processo di sviluppo della nuova economia, che si fondava sulla totale libertà dellimprenditoria umana. Per questo, essi saranno favorevoli anche a regimi fortemente autoritari (come la monarchia assoluta ed ereditaria), purché capaci di abbattere i residui del potere feudale e garantire la prosperità economica. P.30: Montecitorio, Roma; p.31: Il L.S.G.C.G.M.A.V. Luigi Pruneti; p.32: Francois Marius Granet, J.A.D.Ingres, olio su tela, Louvre, Parigi; 1. p.33: Marcotte dArgenteuil, J.A.D.Ingres, olio su tela, Louvre, Parigi; (30 e 31: foto Paolo Del Freo). 33 34 albero a cui tendevi/ la pargoletta mano,/ il verde melograno/ dabei vermigli fior,/ .../. Così inizia Pianto antico, una breve ode che il Carducci scrisse nel giugno del 1871, nel terzo anniversario della nascita del figlio, il piccolo Dante, morto pochi mesi prima. E una delle liriche più note e commoventi del Poeta, di grande semplicità stilistica e di purezza contenutistica. Nasce da una profonda meditazione letteraria, frutto di una faticosa opera di rifinitura del testo testimoniata dallo studio delle modifiche e delle correzioni. E immagine pura, è immediatezza emotiva, dove le parole, scelte con minuziosa attenzione, si prestano a sapienti giochi simbolici. E infatti mirabile constatare come il dato biografico e le memorie letterarie si dissolvano in un ambito simbolico universalmente rappresentativo. Mito e simbolo si fondono. La poesia ripropone un tema generalmente presente nelle immagini funerarie del Carducci: l antitesi tra vita e morte, tra luce e buio, tra la forza vitale dell esistenza e la reale fisicità della morte, in un gioco di opposti e polarità, proprio del simbolo. Lalbero è la prima figura evocata; lalbero è il melograno, quello che campeggiava nel giardinetto della casa dove egli abitò a Bologna. Già in queste prime righe il contenuto simbolico è altissimo. Ora, nel cuore del Poeta, il melograno non è più una semplice pianta, ma un ricordo, metafora inconsapevole della nostalgia di ciò che fu rispetto a ciò che è. Il presente è limmagine dellalbero che rifiorisce e della vita che ritorna nei primi tepori estivi e che riporta alla mente, per contrasto, unaltra vita che non ritorna. Nella rappresentazione del fanciullo che tende la mano a cogliere i pomi vermigli, cè il richiamo ad una doppia valenza simbolica, quella dellalbero e quella del melograno con i suoi frutti. Lalbero, in quasi tutte le tradizioni è lalbero cosmico, inteso come axis mundi, e che spesso assume anche il significato di albero della vita e dellimmortalità. Tale prerogativa è suggellata proprio dallatto del bimbo di allungare la piccola mano. Ciò ricorda, infatti, certe raffigurazioni pittoriche, come per esempio un affresco dellipogeo di Thutmes III a Tebe della fine del XIV secolo a. C. dove un albero rigoglioso, raffigurato con una mammella ed un pos- sente braccio che fuoriesce dalla chioma, è nellatto di nutrire con la sua linfa il faraone. Questultimo, per sottolineare la forza rigeneratrice dellalbero, afferra con le mani il grande braccio. Lalbero cosmico è diventato anche albero della vita: i suoi frutti, così narra la tradizione egizia, mantengono eternamente giovani e sapienti gli dei e le anime dei morti. Dello stesso tenore è un rilievo presente nella Camera delle offerte di Wou Yong (Cina 168 d.C.) dove viene raffigurato un personaggio che, sceso dal suo carro, tocca con la mano un grande albero tra le cui fronde si vedono appollaiati alcuni uccelli: è un microcosmo pieno di vita. Lalbero, dunque, con la sua crescita verticale alla continua ricerca della luce, con il suo rinverdirsi ad ogni primavera, è simbolo delleterna rigenerazione, ma è anche limmagine dellincessante vittoria sulla morte. E l espressione assoluta del mistero della vita che rappresenta la reale sacralità del cosmo. Sin qui lalbero sensu latu. Ma nella poesia del Carducci lalbero è un melograno, e ciò rende ancora più evocativo di antichi miti il teso poetico! 35 Benché complessa ed articolata sia la simbologia in questione, se ne può rintracciare agevolmente quella valenza che fa capo ai miti più arcaici di origine mediterranea, per esempio di derivazione greca, quale il mito di Dioniso, dalle cui gocce di sangue nacque la prima pianta, oppure il mito di due fanciulle, Rhoió e Síde il cui nome significa, appunto, melograno. Tutti si riferiscono, simbolicamente, al ciclo morte/rinascita che si attua tramite un sacrificio. E comunque il mito di Demetra e CorePersefone che rende la melagrana attributo della Grande Madre, sovrana del cosmo, nella sua doppia funzione di colei che dà e che toglie la vita. NellInno a Demetra (Inni omerici, Milano 1975) Omero narra la struggente storia di una figlia strappata allaffetto della propria madre, per volere e con la complicità degli dei. Tutti cono- 36 sciamo questo mito,tanto che è superfluo ricordarlo nella sua interezza. Mi soffermo solo su quella parte del racconto che in modo mirabile descrive il ratto di Persefone da parte di Ade, dio degli Inferi, per averla sua sposa. Lira di Demetra è terribile: ella non lascerà più germogliare alcun frutto sino a quando la figlia non sia tornata a lei. Il signore dei morti è costretto a liberare la fanciulla, non prima di averle dato da mangiare... il melograno dolce come il miele - furtivamente guardandosi attorno - affinché ella non rimanesse per sempre lassù con la veneranda Demetra dallo scuro peplo (vv. 370-374). Ade conduce Persefone al tempio di Eleusi dove lattende la madre. Il ricongiungimento è felicemente compiuto, ma Persefone ha ormai assaggiato il cibo dellAde e per questo dovrà trascorrere, dora in- nanzi, una parte dellanno nel mondo dei morti. E solo dopo aver compiuto questo sacrificio che... ogni volta che la terra si coprirà dei fiori odorosi, multicolori della primavera, allora dalla tenebra densa tu sorgerai di nuovo, meraviglioso prodigio per gli dei e gli uomini mortali (vv. 401-403). Le implicazioni simboliche del mito sono molte ed interessanti, ma non sono qui da valutare. Quello che ci interessa è evidenziare che, in tale contesto, la melagrana diventa simbolo del rinnovarsi e del rigenerarsi della vita, processo che si attua attraverso il perenne ciclo vita/morte/vita. È questa sostanzialità che veniva evocata e celebrata nei Misteri Eleusini,... i misteri solenni, venerandi, che in nessun modo è lecito profanare, indagare o palesare... Felice tra gli uomini che vivono sulla terra colui che è stato ammesso al rito! (vv.476 e seg.). Morte che ghermisce per rendere a nuova vita. In Carducci non vi è certo alcuna evidente allusione a un simile linguaggio simbolico benché, forse, potrebbe non essere del tutto casuale il riferimento al melograno, per un uomo di fede massonica come lui. Inoltre, la tristissima morte del figlio lo spinge alla ripresa di una tematica a lui cara e tradizionalmente presente in molte sue liriche e che egli sottolinea con luso di termini contrapposti, quali luce e calor/terra fredda, terra negra, così che la delicata semplicità di questi versi rende il ricordo doloroso quasi pacificato dalla constatazione dellineluttabilità del destino. La composizione assume allora i toni accorati di certe nenie popolari, in cui labbandono al sentimento del dolore diventa più tollerabile. Per questo, la rievocazione del tragico evento non è fine a se stessa, non è detta per prolungare ciò che appartiene al passato o per abbandonarsi alla nostalgia di ciò che non è più nella realtà, ma è il recupero di un particolare momento di vita, un momento felice che si contrappone, ora, ad un altro particolare momento di infelicità. E in tale contrappunto che lanimo del Carducci si dibatte, come egli stesso ebbe a dire in una lettera scritta nel 1877: ...Nello spazio di venti anni sono tre i giovani della mia famiglia ... che io ho dovuto sentire da lontano essere uccisi ... Poveri miei giovani, i miei belli, i miei cari morti! Il mio cuore è con i morti. ... Addio. Tutto è nulla, e nulla è tutto! Forse è proprio questa istintiva capacità di conciliazione degli opposti, vita/morte, gioia/dolore, ieri/oggi, che rende certe liriche carducciane, quali Funere mersit acerbo, Nostalgia, Rimembranze di scuola, Brindisi funebre, velate di semplicità ed immediatezza e, quindi, popolari. Non so se davvero fu così, se davvero il Poeta, a metà strada fra il suo passato e il suo presente, raggiunse quellequilibrio e quella consapevolezza del vivere cui ogni uomo aspira. Così parrebbe, a giudicare da alcune poesie scritte nel periodo finale della sua vita artistica, la sua ultima stagione. Dalla rappresentazione di un dolore che appare senza conforto, dalla condizione di inquietudine e smarrimento che emergono da Mors e Una sera di San Pietro, Carducci passa alla tranquilla atmosfera dei versi di Nevicata, quasi un canto elegiaco, dove il Mezzogiorno alpino e el gran cerchio de lalpi, su l granito squallido e scialbo, su ghiacciai candenti, regna sereno intenso ed infinito nel suo grande silenzio il mezzodì. Pini ed abeti senza aura di venti si drizzano nel sol che gli penètra, sola garrisce in picciol suon di cetra lacqua che tenue tra i sassi fluì. senso della morte e del distacco dalla vita è pur sempre presente: ... In breve, o cari, in breve - tu calmati, indomito cuore - giù al silenzio verrò, ne lombra riposerò. E benché taluna critica ritenga che questo anelito ad una pace più duratura sia da intendersi come la sua conclusione estrema, amara e rassegnata che nasce dalla constatazione della precarietà e transitorietà delle cose del mondo, nel bello, bellissimo idillio Mezzogiorno alpino, si intuisce un animo pacato, trasparente agli occhi del lettore, tanto che vi si può scorgere quella quiete interiore di chi percepisce serenamente il trascorrere del tempo e della vita verso leternità. P.34-35: Melograno; p.36: Il faraone si nutre da una mammella fuoriuscita da un albero, ipogeo di Thutmes III, fine XIV sec. a.C., Tebe, Egitto; p.37: Melograno, gioiello, coll. privata (34, 35 e 37: foto Paolo Del Freo). 37 38 refazione Il mosaico pavimentale della cattedrale dellAnnunziata di Otranto è il più grande dEuropa, fu realizzato nel periodo medioevale che va dal 1163 al 1166, in piena età normanna, dalla scuola darte dei monaci basiliani dellabbazia di San Nicola di Casole a pochi chilometri a sud di Otranto, la città pugliese più orientale dItalia. La scuola artistica del monastero era allepoca presieduta dallo ieromonaco1 Pantaleone, preside della facoltà pittorica del monastero. Il monastero, attualmente ridotto ad un rudere, rappresentò nel medioevo uno dei più fiorenti centri di cultura cosmopolita del mediterraneo; significativa testimonianza di questa importanza sono i numerosi palinsesti, di rara fattura, sparsi per le più importanti biblioteche dEuropa, ed il capolavoro per eccellenza, limmenso mosaico pavimentale di Otranto. Labbazia di San Nicola di Casole, gettò le basi sulle quali sorse il Rinascimento italiano, anticipando infatti di più di un secolo le città del nord Europa, già dal 1160 il monastero operava come una vera università alla quale era associata una accademia di scienze talmudiche, una ricca biblioteca, ed un assai conosciuto Scriptorium equivalente ad una vera e propria casa editrice dellepoca. Dai riferimenti espliciti del mosaico di Otranto, Opus Insigne (1163-1166), come lo definisce lo stesso ideatore Pantaleone, si possono agevolmente dedurre le caratteristiche cosmopolite del messaggio culturale della scuola del monastero basiliano, aperta ad una Sapienza Globale, per la quale, concettualmente, le conoscenze della storia delluomo con i suoi miti ed i suoi più reconditi misteri, confluivano in una unica visione tradizionale unitaria. Il mosaico resta dunque la più vivida testimonianza della grandezza delloperato dei monaci basiliani ed ha come tema principale lAlbero della Vita della tradizione ebraico-cristiana, tuttavia presenta un linguaggio simbolico non facilmente interpretabili dalluomo moderno, almeno per ciò che concerne una visione dinsieme pura- mente storico-mitologica, tale linguaggio racchiude al suo interno un messaggio per luomo universale, egli diviene il vero protagonista delle scene musive interagendo a più riprese con il divino, in una dimensione che enfatizza quegli aspetti tipici della mistica medioevale propri delle accademie talmudiche e che trascina con se tutta leredità passata delle metafisiche ebraica ed orientale. Questo punto è fondamentale per comprendere come uno studio sul mosaico basato esclusivamente sulla filologia e sulla paleologia dei simboli visti puramente nel contesto storico di riferimento dellopera non è sufficiente. Molti studiosi trovano indecifrabile il tessuto linguistico/espressivo del mosaico negando spesso levidenza dei fatti (ad esempio i riferimenti ai simboli tantrici induisti o le esplicite simbologie graaliche etichettando queste ultime come contaminatio medievalis) ma ciò che in realtà viene ignorato dalla scienza ufficiale è il fatto che tali componenti di linguaggio fanno parte di un contesto esegetico legato ad una tradizione soteriologia che Frithjof Schoum definiva lunità trascendente di tutte le religioni e che ci riconduce a quel tempo prediluviano in cui si parlava una unica lingua ed esisteva una unica espressione dei riti religiosi. In realtà Pantaleone muove da un unico piano ontologico tutto incentrato su misticismo ebraico del Sefer Yetzirah2 pertanto lasse principale del mosaico è costituito dallAlbero della Vita biblico equivalente, come riferimenti posizionali e simbolici allAlbero della Vita cabalistico in un rapporto di scambio energetico tra microcosmo uomo e macrocosmo universo. Il modello energetico proposto dallAlbero della Vita di Pantaleone riprende un antico filone di conoscenze oramai frammentarie, note agli antichi Indù ed ai maestri ebrei che interpretavano il Talmud nel metodo denominato haggadah alla base della cabala ebraica così come la conosciamo oggi. Tale metodo, che ritroviamo nel simbolismo del mosaico come strato esegetico estraibile dalle scene bibliche, segue una percorribilità dellalto verso il basso per raggiungere lunificazione delle coscienze, e succes- 39 sivamente dal basso verso lalto per seguire il sentiero dell ascesi mistica. Per ciò che concerne i simboli cavallereschi e la Cerca del Graal, il mosaico offre una originale visione che parte da antichi riferimenti veterotestamentari legati alla Coppa dOro di Babilonia come emblema di virtù per i Giusti o Puri di Cuore, tale coppa custodita dal Giusto (uomo nudo con bastone) nelle scene musive dellabside, diviene nel presbiterio larchetipo della coppia edenica intesa come ricongiungimento androginico degli opposti eterici, i cui corpi fisici, prossimi all espulsione, sono sottoposti allimpulso del serpente, ovvero al guasto o degradazione delleros secondo la corrente della brama per aver mangiato dallalbero della conoscenza del bene e del male e aver precluso così la via allAlbero della Vita. Da ciò il sentimento eroicocavalleresco del ricordo di un mondo edenico perduto, espressione precisa delle simbologie poste in cima allalbero della navata centrale del mosaico come le scene di Re Artù a cavallo di un caprone ed in pugno la Sacra Lancia e le scene di Parsifal nudo. Il sentiero di crescita ed intuizione 40 cavalleresca di questo mondo perduto però parte da lontano, osserveremo come le simbologie della navata centrale seguono i canoni del misticismo ebraico della cabala come via verso la virtù, verso un equilibrio di forze contrapposte che agiscono alla base dellalbero (Malkuth) , ovvero alla base della colonna vertebrale in un rapporto efficiente micro-macro cosmico. Risulta interessante osservare come le simbologie della cabala e le sefirot oltre a sovrapporsi alle simbologie dellalbero della Vita del mosaico, equivalgano in modo comparativo ad esplicite simbologie induiste riferite al sistema dei chakra o centri energetici del corpo umano e che Pantaleone a volutamente inserire sia nella navata centrale sia nel presbiterio. Segnaliamo inoltre la possibile presenza di una tomba templare allineata con lasse del mosaico posta allaltezza delle scene di Re Artù e Parsifal, situata allingresso della cripta sotto il presbiterio. Ho personalmente assistito allo scavo alla fine degli anni settanta e allatto del rinvenimento la tomba presentava una croce patente di color porpora al centro dellasse laterale (ora non più visibile forse volutamente rimossa). Che ci fosse una attività templare ad Otranto, come porto mercantile, è fuori discussione ed è documentato da numerose testimonianze non abbiamo però riferimenti espliciti sullutilizzo della basilica di Otranto per capitoli templari sappiamo tuttavia che il vescovo che commissionò il mosaico ai monaci basiliani era sul libro paga dei monaci templari di Otranto è percepì nel 1190 una somma ingente pari a 270 malachinos doro. Quindi è presumibile, ma è solo una ipotesi, che la basilica, e quindi il mosaico, fossero utilizzati anche per riti templari a mezzo di compensi in monete doro. Torniamo adesso al mosaico procedendo nella trattazione nei successivi paragrafi con una analisi dei simboli cavallereschi secondo lo schema tracciato. Il Graal vetero-testamentario del mosaico di Otranto Il corpo centrale del mosaico (abside, presbitero e navata centrale), è di particolare interesse soprattutto per i temi cavallereschi. Partendo dallabside infatti Pantaleone pone alla destra del cavaliere impegnato nella caccia al cinghiale un saggio che ha ricevuto insegnamenti da un maestro con verga iniziatica a forma di tau. La scena di caccia e la figura del Drago-Serpente alato3 che stringe il cervo, hanno un riscontro oggettivo nelle mitologie nordiche. La ferita prodotta dal drago è inguaribile, il cervo nelle spire del serpente viene spesso riferito allessenza cristica strangolata dalle brame e dalle pulsioni che solo lazione angelica dellarcangelo Michael può liberata come unico vincitore nella lotta contro il Drago. Pantaleone fornisce inoltre i riferimenti alla via per la restituzione, nel centro del cuore del giusto, delloriginaria beatitudine ovvero la restituzione dellAlbero della Vita come impresa ultima del Graal o via di Michael. Quindi attraverso riferimenti biblici e mitologici, Pantaleone vuole comunicarci che alla chiamata di Dio non ci si può sottrarre (Giona) è necessario lottare contro i leoni (Sansone) con spirito eroico pur di raggiungere Dio. Pertanto viene presentata una via sapienziale, la via dei saggi iniziati come Mosè che si tramandano i misteri e che hanno per discepoli uomini qualificati, perfetti eroi solari. Questo tema è in rapporto con la visione globale del mosaico e con le successive scene della Cosmogenesi del presbiterio. Difatti, nelle scene dellabside possiamo notare ancora Sansone che lotta contro il leone4, due scimmie che mangiano frutta simbolo delle tentazioni demoniache, un asino5 simbolo di energie non qualificate e caotiche, un uomo nudo con in mano una coppa6 ed un bastone, ed infine altri due uomini nudi in ginocchio. Nelle libro delle Lamentazioni vi è un esplicito riferimento alla nudità simbolo di purezza ed al calice che presto arriverà anche per la figlia di Edom. E un chiaro riferimento ad una iniziazione che ha origini vetero-testamentarie, prerogativa dei giusti che non verranno sopraffatti dalla luce Divina. Tale prerogativa si ripeterà poi con il calice dellultima cena benedetto da Gesù Cristo. Nella tradizione occidentale sarà la stessa coppa che darà origine alla mitica ricerca del San Graal. La coppa nelle mani del giusto è doro7, ciò può essere spiegato con lallegoria biblica alla Babilonia prima della perdizione: la coppa nelle mani del Signore che inebriava tutta la terra prima che le genti divenissero folli. Affianco alla figura delluomo puro troviamo uomini nudi inginocchiati poiché incapaci di resistere allambrosia divina. Luomo puro sostiene la coppa aiutandosi con il bastone dei saggi e quindi osserviamo qui il legame esplicito di origine biblica tra nudità, purezza e saggezza che ritroveremo poi nella navata centrale con le scene di Re Artù. 41 Pertanto le scene dellabside vogliono marcare il fatto che dopo aver ricevuto la chiamata del Signore, aver lottato e resistito a tutte le tentazioni, vi è ancora un pericolo, quello di non essere in grado di resistere allambrosia divina contenuta nella coppa doro e dispensata per i giusti. Alcuni di essi potranno soccombere sotto il suo peso travolgente. Questa interpretazione è in linea con linterpretazione energetica dellalbero della Vita, con la Cabala Ebraica i suoi riferimenti espliciti nel mosaico, nonché con il sistema Indù dei chakras e le scene di Re Artù e Parsifal. Le scene dellabside fungono quindi da preambolo, da introduzione sintetica allo svolgimento dellOpus musivo ed in particolare alle scene della Cosmogenesi. Larchetipo del Graal nel presbiterio del mosaico di Otranto Le forze androginiche del Logos che, mediante letere del suono, ordinano lelemento infero della terra ossia la luna, provocano una passaggio dalle acque inferiori (pesci) a quelle superiori (volatili). Le figure del presbiterio, poste in un quadrato di 4x4=16 cerchi8, riassumono la totalità dei principi o archetipi cosmogonici chiamati ASTHAROT e rappresentati, nel Pantheon delle divinità caldaico-babilonesi, con il simbolo di un asino eretto. Nel mosaico lasino eretto è posto da Pantaleone al centro del presbiterio e suona una musica celestiale attraverso la lira a sette corde9. Gli strumenti musicali nel presbiterio sono proprio il flauto e la lira. Viene subito da pensare alla disputa tra il flauto di Mursia e la lira dApollo del mito ellenico. Il flauto è lo strumento incantatore del serpente che mette in moto una ghirlanda di lettere ebraiche intorno alla sirena dalla doppia coda. La lira invece richiama larmonia delle sfere celesti ed il principio dellordine cosmico del quale a poco a poco le due polarità positive e negative si separano per dare origine alla coppia primordiale edenica. Nelle scene musive del presbiterio troviamo chiari i principi del Sacro Amore espressi dalle immagini di Re Salomone e dalla Regina di Saba minacciati dalla sirena dalla doppia coda Isthar-Astarte che per analogia corrisponde ad una altro principio quello della Donna Celeste l Iside-Ecate con ai piedi i simboli del sole e della luna. Una figura 42 femminile fondamentale per ritrovare laccordo eterico perduto. Il tema della donna interiore o dellamore celeste, della sposa originaria ritrovata è fondamentale per leroe solare poiché portatore del contenuto ineffabile del Graal. La chiave di questo accordo è la connessione occulta con un sistema di equilibri cosmici10 di cui la luna è supporto e simbolo. La donna sulla terra continua a mantenere un antico rapporto con la luna poiché detentrice del principio che compenetra è domina la materia inferiore e che rappresenta un elemento costitutivo della sua anima. Tale struttura è sensibilmente illusoria ma è parimente simbolo di restituzione di un mondo superiore perduto, ecco perchè luomo virtuoso nel guardare la donna sente affiorare la speranza della resurrezione di un grado di beatitudine e di purità di cui lesistenza attuale è privazione. Il sistema di simboli cosmogonici presenta una inversione simmetrica dei corpi che ricorda unonda di canalizzazione delle due forze originarie, positivo e negativo, convergenti verso la coppia primordiali: Adamo ed Eva. Anche qui possiamo porre alcune interessanti considerazioni.La coppa del Graal veterotestamentaria che inebriava le genti ovvero lenergia del Logos associata allaccordo originario edenico, ora si separa per lazione del Serpente ed agisce esclusivamente sui corpi eterici (cerchi) di Adamo ed Eva e non su quelli fisici preda delle brame. Laccordo originario è immancabilmente perduto ma ugualmente recuperabile attraverso due azioni distinte: dapprima il dominio del potere serpentino come dominio della Kundalini11, successivamente dal recupero della sonorità originaria del Verbo nellarmonia delle sfere e che solo la percezione dei corpo eterici (in sanscrito Anandamaya Kosa), non ancora corrotti può ridonare. Volendo chiarire meglio diciamo che il Serpe simboleggia la degradazione della forza originaria secondo la corrente della brama e il livello dal quale questa deve risorgere. La gioia sessuale dei corpi fisici fornirà una parvenza del ritrovamento di un bene originario ma puntualmente delusa. La riascesa delluomo al suo rango originario ha quindi come barriera gli strati della degradazione delleros che dovranno es- sere alchemicamente superati. Il compito delleroe del Graal, così come lo propone Pantaleone, affiancando nel mosaico simbologie tantriche a riferimenti posizionali cabalistici, non è quello di un totale distacco ascetico o di un dominio di forze a lui trascendenti secondo un incipit rituale, bensì un procedere mediante alchimia interiore alla risoluzione graduale di ogni strato. Da una attenta analisi delle simbologie nei cerchi della coppia edenica possiamo dedurre che: - Yoni e Lingam: uniti sotto un effetto di vibrazione energetica che nel ripetere il mantra corrisponde alla nasalità di AUM - Simboli ellenistici: ( ( I due cerchi di Eva ed Adamo presentano degli ornamenti che ricordano rispettivamente lalfa e lomega ellenistici ( (. La trasposizione dei due simboli corrisponde alla sacra sillaba indù OM12 formata dallunione dei simboli della yoni e del lingam (organo genitali femminile e maschile). La ghirlanda di lettere associata ai due cerchi costituisce il corpo eterico che circonda il corpo fisico dei due esseri primordiali di polarità opposta rispetto ai due sessi. Per Eva sarà lAlfa o il giglio per Adamo sarà una Omega. Risulta interessante notare come ruotando di 90° la sillaba sanscrita OM ovvero ruotando di un arco pari al percorso che la terra effettua giornalmente rispetto al sole sino alla massima elevazioni di questultimo, si ottiene una figura che ricorda quella di un calice o una coppa. _______________ Bibliografia: F.Corona, La Triplice Via del fuoco nel mosaico di Otranto, Roma, 2005 G.Stemberg, Ermeneutica ebraica della Bibbia, Brescia, 1996 Gershom Sholem, La Cabala, Roma, 1992 Giovanni Damasceno, La fede ortodossa, Roma, 1998 Giulio Busi, La Qabbalah, Bari, 1998 Mircea Eliade, Lo Yoga immortalità e libertà, BUR, 1999 Massimo Scaligero, L'uomo Interiore, Roma, 1989 Arthur Avalon, Il mondo come potenza vol I, II, Roma, 1973 Arthur Avalon, Tantra della grande liberazione, Roma, 1996 Arthur Avalon, Shakti e Shakta, Roma, 1995 Arthur Avalon, Il Potere del Serpente, Roma, 1994 Bruno Cerchio, L'ermetismo di Dante, Roma, 1988 C.A. Willersen, L'enigma di Otranto, Lecce, 1980 Grazio Gianfreda, Il Mosaico di Otranto - Biblioteca di Immagini medioevali, Lecce, 2000 Grazio Gianfreda, Il Monachesimo italo-greco in Otranto, Lecce, 1999 Note: 1 Monaco presbitero ovvero abilitato alle funzioni sacerdotali. 2 3 Presumibilmente riferito al volo del drago dello Zhoar dopo la tentazione di EVA. Ricordiamo e lo descriveremo più avanti che il volo del drago equivale anche ad una precisa operazione alchemica. 4 Giudici 14:5: Sansone scese con il padre e con la madre a Timna; quando furono giunti alle vigne di Timna, ecco un leone venirgli incontro ruggendo. Giudici 14:6: Lo spirito del Signore lo investì e, senza niente in mano, squarciò il leone come si squarcia un capretto. Ma di ciò che aveva fatto non disse nulla al padre né alla madre. 5 Secondo il Gianfreda L'Asino di Apuleio. Il Mosaico di Otranto, Edizioni del grifo, Lecce, pag.143 6 Lamentazioni 4:21: Esulta pure, gioisci, figlia di Edom, che abiti nella terra di Uz; anche a te arriverà il calice, ti inebrierai ed esporrai la tua nudità. 7 Geremia 51:7- Babilonia era una coppa d'oro in mano del Signore, con la quale egli inebriava tutta la terra; del suo vino hanno bevuto i popoli, perciò sono divenuti pazzi (Traduzione CEI). 8 E' a tutti gli effetti un quadrato magico o enneadico sul quale può applicarsi la regola di spostamento nota come regola di Giove. 9 Le corde sono curve e ricordano le orbite dei sette pianeti in uno schema archeometrico simile a quello proposta da Alexandre Saint-Yves d'Aveidre ripreso poi dal Guenon - l'Archeometra Atanor, Roma. 10 Ben evidenti nella scena taurina del presbiterio che descrive le energie creative nella sfera sublunare e quindi nel sistema Terra-Luna 11 Kundalini nello stato potenziale giace arrotolata nelle sue tre spire e mezzo. Nel mosaico il serpente Kundalini è ritto e sono evidenti le tre spire e mezzo. 12 Pronunciata AUM P.38: Otranto, P. Del Freo, coll. privata; p. 39 e seguenti: Vista totale e particolari del mosaico di Otranto. 43 44 l giorno 15 dicembre 2006 un primo significativo mattone è stato posato per un progetto di solidarietà destinato a coinvolgere indistintamente, tutti coloro che sono sensibili ad un problema di grande attualità, ciascuno per le proprie possibilità. LAssociazione dal nome Dimore San Giovanni O.N.L. U.S. ha compiuto il primo passo verso la realizzazione del suo scopo sociale, inaugurando in Torino la prima unità abitativa approntata per dare sollievo alle famiglie impegnate nellassistenza di bambini malati e lungodegenti. Lidea è nata tra persone unite fra loro da principi universali e da una comune sensibilità verso la beneficenza intesa come solidarietà. I casi umani Sempre più spesso assistiamo a situazioni in cui il bisogno, la precarietà e lavidità di alcuni speculatori danno luogo a situazioni insostenibili per le famiglie poco abbienti, che abbiano necessità di seguire personalmente i propri figli bisognosi di cure nei nosocomi. Lassistenza ai bambini malati per alcuni genitori è addirittura proibitiva e richiede sacrifici ai limiti dellimpossibile. Si è quindi pensato di offrire la nostra solidarietà con la creazione dell Associazione Dimore San Giovanni O.N.L.U.S che si adopera per mettere gratuitamente a disposizione di queste famiglie una casa in cui trascorrere il tempo del ricovero dei loro figli presso i reparti degli Ospedali infantili, con la speranza di ridurre almeno una parte del loro disagio. Coagulare gli sforzi Il progetto è nato nellintento di non disperdere la solidarietà in minuscoli rivoli, sicuramente utili, ma non quanto potrebbe esserlo se convogliata in una direzione precisa, con una organizzazione snella ma strutturata sul territorio e soprattutto forte di una larga base associativa costituita da persone pronte a contribuire alla sua gestione. Per questo uomini e donne che condividono tali principi, si sono impegnati, hanno lavorato insieme traendo forza e vigore dal sentire comune ed hanno prodotto, mattone dopo mattone, un progetto di sicura utilità sociale, gestito in prima persona. La Gran Loggia dItalia A riprova che lamore per il prossimo e per chi soffre funge da collante e supera pregiudizi di ogni sorta, hanno dato vita allAssociazione le realtà economiche e sociali più diverse. Artigiani, operai, professionisti, commercianti, imprese, società si sono unite nellimpresa, Come sostenerla e farne parte titolo personale, per divenire soci è sufficiente compilare in ogni sua parte la scheda di adesione (prelevabile dal sito), inviandola alla sede dellAssociazione e versare la quota associativa annuale, non detraibile dalle imposte, pari ad 150,00euro, nei modi indicati sempre nello stesso modulo, per la quale verrà rilasciata regolare ricevuta. Sempre a titolo personale è possibile effettuare donazioni, compilando in ogni sua parte lapposito modulo (prelevabile dal sito ) inviandolo alla sede dellAssociazione. Per il relativo importo verrà rilasciata una ricevuta; sarà possibile detrarre limporto donato dalla dichiarazione dei redditi (si veda modulo allegato - facsimile donazioni Persone Fisiche). Le donazioni dovranno essere versate solo a mezzo assegno bancario o circolare o bonifico, non sono ammesse donazioni in contanti. E pure possibile effettuare delle donazioni da parte di Enti, Società, od Associazioni non riconosciute (come i vari Centri Sociologici Italiani periferici), sempre compilando in ogni sua parte lapposito modulo (prelevabile dal sito) inviandolo alla sede dellAssociazione. Solo per Enti e Società limporto donato si configurerà come un onere deducibile dal reddito dimpresa. Nella prossima annualità sarà possibile destinare il 5/000 del proprio modello UNICO alla Dimore San Giovanni ONLUS, sempreché rimangano invariate le attuali disposizioni di legge; inoltre chiunque proponga iniziative finalizzate alla promozione del progetto ed alla raccolta di fondi, nella propria sfera sociale, troverà la collaborazione concreta del Consiglio Direttivo. Lo statuto dellassociazione e liberamente scaricabile dal sito www.dimoresangiovanni.org cui partecipa in primo piano la Gran Loggia dItalia degli A.L.A.M. Obbedienza di piazza del Gesù Palazzo Vitelleschi, che, contribuendo concretamente alla sua realizzazione ha onorato uno dei suoi principali scopi statutari: la beneficenza. Laiuto Dunque i nuclei che saranno sostenuti da tale iniziativa troveranno una casa completamente attrezzata e fruibile gratuitamente, completa di quanto necessario per trascorrervi il periodo richiesto (stoviglie, lenzuola, biancheria, ecc.). La gestione dei periodi di ospi- talità, ad evitare problemi circa la stesura di liste di priorità, verrà demandata alle segreterie dei reparti ospedalieri cui si farà riferimento. La segreteria di reparto chiederà allAssociazione la disponibilità dellalloggio, indicando il presunto periodo di ricovero. In questo modo si eviteranno eventuali squilibri nella stesura di liste di priorità che potrebbero rendere meno equa la gestione dellospitalità. Ma il tratto distintivo, al di là del sostegno economico, sta nel fatto che ogni famiglia ospitata verrà accolta da uno o due Associati che provvederanno a introdurla nel reparto ospedaliero di competenza, e che la condurranno nellalloggio, dando le prime indicazioni e fornendo un cestino con generi di prima necessità. Durante il periodo di ospitalità, gli stessi volontari si metteranno a disposizione di chi si trovasse nella necessità di avere consigli, indirizzi ed aiuti in una città sconosciuta. Va da sé che si dovranno organizzare dei turni per affrontare in modo equilibrato limpegno preso. Scopi e modalità Uno degli scopi è quello di contribuire a trasmettere un po daffetto a queste famiglie e di farle sentire protette in momenti sicuramente difficili e segnati dal dolore. Questa O.N.L.U.S., è unassociazione profana ispirata dai principi universali massonici ed apre le porte a quanti vogliano farne parte, semplicemente attraverso l'iscrizione. Naturalmente lo stesso potrà valere per quanto riguarda la partecipazione alla gestione operativa. La forma giuridica e lorganizzazione della Dimore San Giovanni O.N.L.U.S. consente poi, a coloro che volessero realizzare sul proprio territorio unanaloga iniziativa, di utilizzare semplicemente la struttura esistente ed estendere così il servizio ad altre città e ad altri centri Ospedalieri. Verrebbero così evitati ulteriori aggravi di spesa ed ogni risorsa potrebbe essere subito proficuamente convogliata verso lobbiettivo. La Dimore San Giovanni ONLUS è regolarmente costituita con scrittura privata recante autenticazione notarile delle firme e regolarmente registrata. LAssociazione ha acquisito per atto pubblico, il giorno 15 maggio 2006, la proprietà di un alloggio in Torino Via Barbaresco n° 10. Per chi desiderasse ulteriori informazioni è possibile consultare il sito web www.dimoresangiovanni.org ovvero telefonare al numero 011-5616255 od anche scrivere a Dimore San Giovanni O.N.L.U.S. - C.so Stati Uniti, 53 10129 TORINO. P.44: La Mole Antonelliana (1863, arch. A.Antonelli) 45 46 celebrazioni per il 200° anniversario della nascita 25 gennaio 2007, ROMA Gran Loggia dItalia di Piazza del Gesù Palazzo Vitelleschi, ore 11,30 Conferenza Stampa condotta dal Sovrano Gran Commendatore Gran Maestro Luigi Danesin. 9 10 febbraio 2007, NAPOLI Convegno su: Giuseppe Garibaldi oltre lUnità dItalia 10 marzo 2007, BERGAMO Convegno su: La laicità delle Istituzioni pubbliche. Giuseppe Garibaldi e il suo rapporto con le Istituzioni pubbliche 27 28 aprile 2007, GENOVA Convegno su: Garibaldi primo Massone dItalia 7 luglio 2007, VENEZIA Deposizione nei Giardini Napoleonici di una corona dalloro al monumento di Giuseppe Garibaldi. luglio 2007, FRANCIA Celebrazioni organizzate congiuntamente con il Grande Oriente di Francia. luglio 2007, PORTO GARIBALDI - Cesenatico Il Museo Garibaldino di Modigliana (Forlì). 21 22 settembre 2007, CAGLIARI Isola di Caprera La casa di Giuseppe Garibaldi. 17 18 novembre 2007, PALERMO Calatafimi Il ricordo del Conferimento del 33° ed ultimo grado a Giuseppe Garibaldi. 6 ottobre 2 dicembre 2007, ROMA Cimeli garibaldini, Gran Loggia dItalia di Piazza del Gesù Palazzo Vitelleschi. 47 Spigolature dalla stampa contemporanea alla morte del Poeta ntologia Antologia non dedica nessun numero doccasione per la morte di Carducci, quando levento sopraggiunse, così motivando: Nessun numero doccasione per Carducci ora, che sarebbe unoffesa, essendo la morte di Lui un incidente nella perennità della sua gloria, già incominciata assai prima che la presenza sua ci fosse definitivamente tolta. Peccato però che, in seguito, ritroviamo nei successivi numeri della importante pubblicazione solo qualche sporadico articolo dedicato ad argomenti marginali quali la sua vecchiaia o il processo del padre. Alla sua corposa opera nessun redattore dedicò più di qualche sporadica pagina. Il Giornale dItalia Il Giornale dItalia pubblicò una lettera 48 che Carducci malato scrisse a Giuseppe Chiarini (Arezzo 1833- Roma 1907) negli ultimi tempi della sua vita. ...Lessi in due giorni il tuo Leopardi: la seconda parte la lessi in una notte insonne, e finii la mesta lettura la mattina di una bella primavera di maggio: E la dolcezza ancor dentro mi suona; e voglio tornare a leggerla, quando il mio spirito si trovi meglio disposto. Perché ora tanto del fisico che del morale sono proprio affranto: la macchina è forte e potente, ma la malattia ha ripetuto i colpi e sempre li rinnova. Sarà quel che Dio vuole. Auguro a te con tutto il cuore miglior condizione di vita che non sia la mia. Ripenso con dolcissimo desiderio a te ed alla nostra gioventù. Credevo di incontrare il mio fine sereno e senza contrasti: ma ohimè! La fine è e più vuol essere amara per me e per quelli che sono parte migliore di me. Ricordami ai tuoi figli, a tua moglie con moltissimo affetto e tu ricordati del tuo povero ma fedele amico. Direi che nulla mi manca, che gli amici e i buoni han cercato di circondare dogni cura la mia vecchiezza. Ma mi sento mancare il meglio. Ahimè Il tuo Carducci <autografo> Strano vedere apparire in questo testo una rassegnazione al volere di Dio che è più che un manierismo epistolare. Antologia La più opportuna e la meglio accolta delle proposte per la tomba di Carducci fu quella di Cesare Pascarella. Leggiamo sempre su Antologia: La salma sia collocata nel piccolo giardino della tranquilla casa abitata dal poeta. Il dono della regina Madre, della casa e della biblioteca, alla città di Bologna rende facile il progetto. Nella sistemazione delle vie adiacenti lantica strada di circonvallazione (la casa del Carducci è posta lungo le antiche mura) sarà ampliata: essa conduce da un lato a porta Mazzini, dallaltro ai giardini Margherita e pare quasi predestinata a portare il nome di Giosue Carducci. La casa e il giardino costituiranno un vero memorial degno del poeta, luogo di pellegrinaggio degli ammiratori italiani e stranieri. La Giustizia Sulla Giustizia di Reggio Emilia viene pubblicata in occasione della morte del poeta una sua pagina inedita che possiamo inserire tra le sue più belle prose. Casa Bevilacqua, Lucca, campagna di San Quirico, 30 agosto 1881 La sera senza luna, è meravigliosamente quieta: i grilli cantano in terra, le stelle scintillano in cielo: non altro suono, non altro lume. Se Castruccio non avesse preso le febbri nelloppugnazione di Pistoia, o meglio, se egli non avesse gittato opera e tempo con quellavventuriere brigante di Cesare bavarese: o meglio ancora, se egli avesse giocato di tutti contro Firenze nel 1326; che sarebbe ora questa solitaria tacita collina? Che sarebbe Lucca e Firenze? Che sarebbe lItalia? Perché senza dubbio laffermarsi di una forte e militar signoria improntata al genio di Castruccio nel mezzo della penisola sul principio del secolo decimoquarto, avrebbe dato altri avviamenti e altre sorti alla storia dItalia. Certo lo svolgimento democratico del comune di Firenze sarebbe mancato alla storia del mondo: ma chi sa a che sarebbe riuscita la democrazia toscana regolata a unità da una signoria toscana e ghibellina? Forse il Rinascimento non sarebbe fiorito così libero, così fecondo; ma neanche forse le compagnie di ventura avrebbero fatto strazio del paese, del sentimento e del costume repubblicano. La larva dellimpero sarebbesi ella dileguata, anzi che divenire fantasma pauroso e vampiro estenuante. E la Chiesa? Intanto i grilli seguitano a cantare; sotto le stelle brillanti nella notte cupa azzurra a pena si disegnano immobili le masse degli ulivi. Il colle è nella grande oscurità; laggiù in fondo luccica la città etrusca-ligure che fu cara a Matilde e patria di Castruccio: la pia, la forte, la industre, la credente città del Burlamacchi e del Diodati. E tutto questo, dinanzi alla via lattea, che distende nel cielo le sue liste piene di mondi, è assai meno che innanzi al mio pensiero, questi grilli cantanti. E il mio pensiero, che è egli stesso dinanzi a questa notte, allinfinito? Non affatichiamoci a pensare. Guardiamo e ascoltiamo. Giosue Carducci P.48: Caricatura di Carducci, intorno al 1930; p.49: Valdicastello Carducci (LU), casa natale di Giosue Carducci. 49 50 ncora dalla prestigiosa rivista della cultura italiana, un articolo apparso nel 1905 relativo al caso CarducciNobel, risoltosi nel 1906 con lassegnazione dellambìto premio al nostro Giosue. LAccademia Svedese nel corso del 1905 aveva inviato in Italia, come osservatore critico, lo scrittore Holger Nyblom con lo scopo preciso di riferire più notizie possibili sul poeta italiano. Sembra che Nyblom in quelloccasione fosse stato ricevuto con molto calore, soprattutto a Roma. Tanta affabilità lo indusse a pensare che forse, nella speranza dellassegnazione del premio, gli italiani sostenitori di Giosue Carducci si ingegnassero di rabbonirlo. Senza troppi scrupoli lo scrittore svedese, che era anche membro effettivo della commissione per lattribuzione del premio, tornato in patria, con stile molto diretto, riferì le sue impressioni poco lusinghiere, tanto che da parte della cultura italiana ci fu un certo risentimento. Per placare gli animi, che aveva infiammato oltre le sue intenzioni con la sua pretesa polemica, Nyblom scrisse un articolo, subito pubblicato per intero nella rivista svedese Nordisk Tidsskrift, organo di cultura della massima importanza. Anche Antologia volle dare spazio ad un estratto di quel testo, nellintenzione di sostenere apertamente e con tutti i mezzi possibili la candidatura carducciana. Ne riportiamo la versione ivi pubblicata. (A.G.) Relazione su Carducci Holger Nyblom Malgrado lesagerato culto dellantichità principalmente negli anni giovanili, ad onta del suo linguaggio duna franchezza sdegnosa, ad onta del rancore e delle invettive sue contro il cattolicesimo e contro la religione in generale, il poeta ha acquistato grazie alla sua originalità e alla sua forza e collaiuto dei critici italiani, una celebrità che senza dubbio sopravviverà. Oggi si trovano in Italia in tutte le classi, ammiratori di lui, persino tra i clericali, dei quali molti ebbero occasione di trovarsi malcontenti di gran parte dei suoi lavori poetici, ma che però in lui dovettero ammirare il maestro della lingua italiana, sia in versi che in prosa, il patriota infiammato di amore e di sdegno, lentusiasta lottante per tutto ciò che è oppresso e spregiato, lonesto e sincero indagator della verità. Ciò che di buon ora distinse il Carducci come scrittore fu la sua forza nella espressione e maestria nella forma, in cui è emulato da pochi autori italiani; egli tratta con eguale abilità sì i metri classici, come quelli italiani, tra i quali vien data la preferenza al sonetto, che è perfetto presso di lui. Tra questi ultimi ne troviamo già in Juvenilia una quantità di eccellenti, come quelli alle Rondini, al Fratello morto, Santa croce, a Goldoni, nei quali egli si libera dal- limitazione dellantico, cosa che generalmente non riesce a fare. Uno dei migliori scolari di Carducci, Guido Mazzoni, dice che egli è più classico che pagano e lo si crede più nemico del cristianesimo di quello che egli sia veramente; e leggendo le sue poesie si domanda con Etienne se egli è cattolico, cristiano o libero pensatore. Ma un vero libero pensatore non commetterebbe mai lincongruenza di rendere un omaggio a Satana, il principe delle tenebre e del male, ed in verità sarebbe errore il credere che proprio a lui egli abbia diretto la sua ode. Nella personificazione di Satana il Carducci ha messo in contrasto tutte le idee ed i pensieri moderni, richiamandosi alluomo nellera classica, con la fede ereditata, con tutto ciò che è superstizione ed ipocrisia nel sentimento religioso, con tutte le esagerazioni cattoliche. Egli lha rappresentato come il difensore della libertà di pensiero, come ispiratore di Savonarola, di Lutero, di Witcleff. Egli saluta Satana come suscitatore di ribellione e di rivoluzione, come colui che eccita al progresso, alla scoperta scientifica ed alla ricerca del nuovo, colui che mette a prova il pensiero umano ed il genio. E naturale che questa poesia per il titolo solo dovesse recare grande scandalo, e Carducci passò durante lungo tempo per un mal avventurato lodatore di Satana. Il risultato della pubblicazione dellode fu che lautore venne studiato e considerato con molto 51 maggior interesse di prima, ed ogni anno venne fatta per un certo periodo una nuova edizione del tanto discusso Inno a Satana. Etienne lo caratterizza une folie relevée de bel esprit. Giambi ed Epodi furono scritti poco dopo che Carducci venne sospeso dalla cattedra per ragioni politiche, essendo stato obbligato a lasciare Bologna. Sono pieni di ira di sdegno, eccitato come egli era dalla sua espulsione. Essi risentono della lettura degli Chatiments di Victor Hugo e di Giovenale. Mettono in ridicolo e colpiscono diversi vizi della società; sono spesso diretti contro lo Stato e contro il Papato e non sono immuni da attacchi personali. Taluni sono alquanto esagerati e non rendono pienamente limpressione voluta dal poeta, vanno oltre il segno e lasciano piuttosto limpressione di una violenza di parole che non di vero dolore del cuore. Tra le migliori di queste poesie deve ascriversi In morte di Giovanni Cairoli, ove al suo disdegno per certi aspetti dellItalia nuova si mescono le lamentazioni per il giovane che morì in 52 seguito alle ferite riportate nella campagna di Roma; ed egli invia parole di conforto e di coraggio alla madre, la vera Romana che mandò cinque figli alla morte per la patria. Il Canto dellamore chiude la raccolta. Questa poesia è forse la principale creazione del poeta per la meravigliosa descrizione del paesaggio, per lentusiasmo e per la concentrazione. E la potenza dellamore che egli dipinge qui, fondendo le deità antiche e le cristiane; è un inno a questa forza che tutto può ed il suo entusiasmo sale fino ad esclamare: il mondo è bello e santo lavvenir. Cè qualche cosa di grandioso e di potente, di liberatore in questo canto che rapisce. E felice la chiusa, quando egli invita il papa Pio IX - al quale più volte ha imprecato, ma che adesso bonariamente chiama col nome di cittadino: il cittadino Mastai - affinché discenda dalla sua prigione per vuotare un bicchiere alla libertà con lui. Il Carducci ha, come fu detto, raggiunto il suo culmine nelle Rime nuove e nelle Odi barbare, che sono ambedue del 1880-90. La sostanza è adesso maturata, i versi sono pieni di potenti pensieri poetici, la forma è chiara, semplice e più concentrata. Le Rime nuove cominciano colla ode Alla rima, che doveva propriamente esser messa alla fine delle Odi barbare per mostrare che lautore non ha abbandonato il tradizionale amore italiano alla rima, da lui bandita nelle suddette odi. Qui Carducci si è divertito a trovare belle e sonore rime ed ha fatto sfoggio, con limpetuosità del ritmo e lagilità che corre a traverso tutto il componimento, di una grazia ammirabile. E una storia della rima dalle sue origini in Provenza al suo sviluppo in Italia che finisce collinneggiare alla dominatrice. Nei trentotto sonetti che si susseguono, lautore si mostra, come sempre in questa forma, vero maestro. Molti di essi sono veri gioielli di poesia lirica, quali si son trovati di rado finora nellautore: per menzionarne alcuni, citerò il Colloquio con gli alberi colla sua austerità cupa, il Bove uno dei sonetti più conosciuti dellautore, semplice come Omero nello stile, Virgilio, Dante, quello scritto in morte del suo giovane figlio, commoventissimo, Sole ed amore, estremamente bello e felice, Qui regna amore, appassionato ma pieno di misura e fino, La Stampa e la Riforma, forte ed orgoglioso nella sua invettiva. In una parte delle Rime nuove si trova quasi soltanto una descrizione della natura con le Pimavere elleniche ed Autunno romantico, e tra questi componimenti è da annoverarsi il Pianto antico, eccellente. Fra i migliori citerò Lungi, lungi e Passa la nave mia. Indi viene una parte ove si ritrova il grande ammiratore dellantichità, Primavere elleniche, in metro eolico, dorico ed alessandrino. Sono versi pieni di ammirazione per la bellezza antica e per lamore eterno. Seguono alcune poesie fra le più belle della raccolta. Nelle Rimembranze di scuola il poeta evoca i sentimenti primaverili di un giovane che, seduto sul banco, guarda per la finestra gli alberi in fiore e sente il canto degli uccelli, meditando melanconicamente sulla instabilità della vita e le fine nella tomba. Il contrasto tra il principio della vita nella natura e la morte è rappresentato in modo splendido. NellIdillio maremmano egli sogna della sua giovinezza. Ora i suoi sogni vanno verso i luoghi cupi della Maremma, ove i suoi sentimenti si svegliarono per la prima volta verso una creatura femminile. La bionda Maria sta davanti al suo pensiero ed egli si domanda che cosa ella sia diventata e se non avrebbe egli stesso dovuto rimanersene calmo accanto a lei lavorando la terra invece di perseguire, come fa ora, i miserabili dItalia con la sua satira. La descrizione della campagna è splendida. Altro canto di simile carattere fresco e melanconico, ma molto sentito e bello, è Davanti San Guido. Nella stessa serie si trova Classicismo e romanticismo, ove il classicismo vien lodato a preferenza del romanticismo, ed il sonetto Da la qual par chuna stella si mova, ispirato da un verso di Guido Cavalcanti, è di altissimo sentimento poetico. Sui campi di Marengo, ove egli narra la marcia di Federico Barbarossa in testa allarmata verso lItalia, prova i sentimenti ghibellini; e lodio verso il papato ed il suo potere vien espresso con forza nella canzone della culla di Carlo V: La ninna nanna di Carlo V. Lultima parte delle Rime Nuove si compone di versioni dalle lingue estere, per lo più dal tedesco, ma anche dallantico francese, dal casigliano e dal portoghese, tutte rivestite di una bella forma italiana. Come prefazione di questa parte figurano dodici sonetti, Ça ira, i quali sono un omaggio entusiastico alla rivoluzione francese, che il poeta caldamente descrive. In seguito a questi sonetti il Carducci venne considerato rivoluzionario, ma questi sembrano piuttosto espressione di una calda fantasia poetica, come di uno che sia entusiasta dellidea di rivoluzione, più che una esortazione per i suoi compatrioti a seguire lesempio dei Francesi nel 1792. Le prime Odi barbare destarono le stesse discussioni come già lInno a Satana. Ma questa volta si trattava più che del contenuto della forma delle poesie. Carducci aveva tentato di riadattare gli antichi metri senza rima in forma saffica, alcaica, asclepiadea, archilochea ed elegiaca. Soltanto deboli tentativi di questo genere erano stati effettuati nella letteratura italiana dal Chiabrera, dal Tommaseo, ma senza seguito. Nel secondo libro delle Odi barbare è da notarsi dapprima Mors, scritta in forma elegiaca, ove egli dipinge la strage della morte durante una epidemia, Per le nozze di mia figlia e sopra ogni altra Alla stazione in una mattina dautunno e Su Monte Mario. Nella prima di queste ultime Carducci è riuscito a rendere profondamente la melanconia che incombe su un congedo dellamata in una mattina piovosa dellautunno nella stazione ferroviaria. In questa elegia, che è uno dei più belli e perfetti componimenti che il poeta abbia scritto, sono uniti un realismo acuto ad un sentimento finissimo di poeta. Lode Su Monte Mario contiene una contemplazione poetica della vita sulla instabilità di essa e sulla necessità di non piangere e sognare troppo, ma piuttosto goderne per tempo. Non è una filosofia dionisiaca che si predica qui; vi predomina invece un senso pieno di gravità e di tristezza che a quando a quando abbandona il poeta per dar luogo ad una ammirazione entusiastica della vita e della madre terra. * * * Lo scritto di Nyblom ebbe il merito di non cadere nellenfasi encomiastica e forse anche per tale motivo costituì un buon viatico per il premio Nobel. Questo fu consegnato al poeta malato nello studio della sua abitazione dal barone Carlo De Bildt, mentre in Svezia aveva luogo la cerimonia ufficiale, con motivazione letta dal Segretario dellAccademia Svedese alla presenza del re. De Bildt a Bologna aveva però il compito di rendere quanto più solenne potesse la consegna del massimo riconoscimento e quindi pronunciò un discorso in italiano che Carducci ascoltò con grande attenzione, circondato dai suoi intimi e dalle autorità amministrative della sua città delezione. Ne riportiamo uno stralcio: Il testamento di Nobel prescrive che il premio di letteratura debba essere conferito a quello fra gli scrittori moderni che abbia compiuto lopera la più grande e la più bella in senso idealistico; tutta lopera vostra, illustre maestro, è improntata al culto dei più alti ideali che sono sulla terra, gli ideali della patria, della libertà e della giustizia. E lamor di patria che vi ha ispirato fin dalla vostra prima giovinezza; della patria, come lha fatta ricca di bellezze la natura; della patria, come la sognarono e la fecero i forti antenati; della patria come la conquistarono e la riedificarono i vostri contemporanei con le loro battaglie e le loro vittorie, le loro sofferenze e le lotte, i loro martiri e trionfi. E sempre la patria che domina il vostro pensiero, sia che cantiate le gesta gloriose dei fieri eroi delle antiche repubbliche, sia che vi passi davanti agli occhi il dolce sorriso della prima regina dItalia. Dopo altri passaggi concludeva: La severità morale delle vostre liriche, la candida purezza nella quale sorge il vostro canto verso le alte cime, tutta laustera semplicità della vostra vita sono pregi elevatissimi, davanti ai quali cinchiniamo tutti, a qualunque religione e partito noi apparteniamo; sono doni di Dio, che sotto qualunque forma apparisce, è sempre lo stesso e da cui imploriamo che continui a far discendere sul vostro venerando capo la santa benedizione che si chiama amore. Carducci parve voler rispondere, ma la paresi e lemozione glielo impedirono, poté solo stringere a lungo le mani del barone De Bildt. Due mesi dopo, la mattina del 16 febbraio 1907 moriva. (ndr) P.50: La lettura, Silvestro Lega, olio su tela, 1888, collez. priv; p.51: Il carro rosso, Giovanni Fattori, olio su tela, 1885, Pinacoteca Civica, Forlì; p.52: La camera da letto nella casa di Castagneto Carducci; p.53: Veduta della Maremma, G.Fattori. 1882, olio su tela, coll. priv. (52: foto Paolo Del Freo). 53 54 econda metà dellottocento. Curtatone e Montanara, Custoza e Pastrengo, Magenta e Mentana, Solferino e Milazzo, Calatafimi ..sono già lontani... Luoghi e nomi di battaglie memorabili dove un pugno di volontari coraggiosi e fortemente motivati, le truppe regolari piemontesi, i Mille di Garibaldi e molti altri ancora si battono fino al sacrificio supremo per ideali di Patria e di Libertà. Si era creduto che il desiderio imperativo, lardore delle convinzioni, il sacrificio della propria vita bastassero a far risorgere la Patria e a ridarle la libertà. È il momento degli apostoli dellidea, delle insurrezioni, dei poeti soldati, dei martiri. Un periodo di sogni nobilissimi. Si scrivono qui ed ora le pagine del Risorgimento italiano con atti di valore degni dei veterani di cento battaglie. il popolo dei morti sorse cantando a chiedere la guerra Non tornare a casa se non onorato; tutto sacrifica alla Patria. (Guido Re, 1848) A Curtatone e Montanara ci sono i Toscani, Battaglione Universitario Toscano, professori e discepoli affratellati in un unico slancio di fede e di passione contro Radetzky. I Martiri di Belfiore impiccati come sovversivi... e tanti tanti altri... infiniti altri, anche se un solo caduto è sempre un sacrificio estremo, troppo grande per ottenere diritti sanciti da unetica universale. Si combatte per riscattare un onore ed una dignità calpestate e fatte segno di ludibrio: ...Da che le mal vietate Alpi e lalterna Onnipotenza delle umane sorti Armi e sostanze tinvadeano ed are E patria e, tranne la memoria, tutto. (Foscolo da I Sepolcri vv. 180 185) Lo spirito è eroico ed il terreno è già stato preparato nel tempo. Ogni occasione è buona per infiammare gli animi, per alimentare un fuoco che cova sordo e che va mantenuto vivo per farlo divampare in tutta la sua potenza e furore. I versi del Foscolo ne I sepolcri rievocano atti di gloria e di sacrificio senza pari. Ma dopo il 48 ci si rese conto che era stato più facile morire per la Patria che restituirle lindipendenza e che il problema non si poteva risolvere con i sacrifici eroici e con gli entusiasmi ardenti. Dallapostolato del Mazzini si passa alle solide mani di Cavour, dai sognatori ai politici, dalla poesia e dalloratoria patriottica ai piani diplomatici e militari, agli eserciti ed ai loro cannoni. Dio, creando l'Italia, sorrise sovr'essa e le assegnò per confine le due più sublimi cose ch'ei ponesse in Europa, simboli dell'Eterna Forza e dell'Eterno Moto: le Alpi e i Mari. Sia tre volte maledetto, da voi e da quanti verranno dopo di voi qualunque presumesse di assegnarle confini diversi. Dalla cerchia immensa delle Alpi, simile alla colonna vertebrale che costituisce l'unità della forma umana, scende una catena mirabile di continue giogaie che stende sin dove il mare le bagna, e più oltre nella divelta Sicilia. E il mare la recinge quasi d'abbraccio amoroso ovunque le Alpi non la recingono; quel mare che i padri dei padri chiamavano Mare nostro. E come gemme cadute dal suo diadema stanno disseminate intorno ad essa Corsica Sardegna, Sicilia ed altre minori isole, dove natura di suolo e ossatura di monti e palpito d'animo parlan d'Italia. Così scriveva Giuseppe Mazzini e così Giosue Carducci, il professore/poeta, eternava la sua figura Giuseppe Mazzini Qual da gli aridi scogli erma su 'l mare Genova sta, marmoreo gigante, Tal, surto in bassi dì, su 'l fluttuante Secolo, ei grande, austero, immoto appare. Da quelli scogli, onde Colombo infante Nuovi pe 'l mar vedea mondi spuntare, Egli vide nel ciel crepuscolare Co 'l cuor di Gracco ed il pensier di Dante La terza Italia; e con le luci fise A lei trasse per mezzo un cimitero, E un popol morto dietro a lui si mise. Esule antico, al ciel mite e severo Leva ora il volto che giammai non rise, Tu sol pensando o ideal, sei vero. Alle dottrine di Hegel, in Francia si passa a quelle di Augusto Comte, in Italia a quelle di Roberto Ardigò. Le passioni sono imbrigliate dal robusto freno della ragione. Il 18 febbraio1861 a Torino si apre con i rappresentanti di tutte le nuove province il nuovo Parlamento Italiano che come primo atto approverà la legge sanzionata dal Re il 17 marzo 1861 per la quale Vittorio Emanuele II assumeva per sé e per i suoi successori il titolo di Re dItalia. Ma... lunità dItalia è solo sulla carta. Occorre risolvere assillanti problemi economici e sociali come tracciare strade, creare ferrovie, potenziare lagricoltura, lindustria, i commerci, diffondere listruzione, pressoché inesistente, ed una lingua che è sconosciuta alla stragrande maggioranza dei cittadini del nuovo regno, poiché lItalia è una foresta di dialetti. I nostri Vati rispecchiano in pieno la grave mediocrità della cultura del momento. La società postunitaria è retoricamente impegnata nel recupero dei valori risorgimentali e classico-romani a rinforzo di un nazionalismo povero di contenuti. La cultura del secondo 800 raccoglie il disagio degli intellettuali di fronte ad una situazione reale che smorza gli entusiasmi delle generazioni precedenti. Giosuè Carducci, nato nel 1835, fu leducatore, la guida ideale di vasti strati della borghesia italiana nellultimo periodo dell800, egli riassume e rappresenta unintera epoca della nostra storia. Lasciamo a Lui la parola per dirci sue passioni. P.54: La fucilazione del 3 maggio 1808, Francisco Goya, olio su tela, 1814, Museo del Prado, Madrid; p.55: Soldati, G.Fattori, 1878, olio su tela, coll. priv. 55 urge nel chiaro inverno la fosca turrita Bologna, e il colle sopra bianco di neve ride. È lora soave che il sol morituro saluta le torri e l tempio, divo Petronio, tuo; le torri i cui merli tantala di secolo lambe, e del solenne tempio la solitaria cima. Il cielo in freddo fulgore adamàntino brilla; e laër come velo dargento giace su l fòro, lieve sfumando a torno le moli che levò cupe il braccio clipeato de gli avi. Su gli alti fastigi sindugia il sole guardando con un sorriso languido di vïola, che ne la bigia pietra nel fosco vermiglio mattone par che risvegli lanima de i secoli, e un desio mesto pe l rigido aëre sveglia di rossi maggi, di calde aulenti sere, quando le donne gentili danzavano in piazza e co i re vinti i consoli tornavano. Tale la musa ride fuggente al verso in cui trema un desiderio vano de la bellezza antica. 56 dio lusata poesia: concede comoda al vulgo i flosci fianchi e senza palpiti sotto i consueti amplessi stendesi e dorme. A me la strofe vigile, balzante co l plauso e l piede ritmico ne cori: per l'ala a volo io còlgola, si volge ella e repugna. Tal fra le strette damator silvano torcesi unevia su l nevoso Edone: piú belli i vezzi del fiorente petto saltan compressi, e baci e strilli su laccesa bocca mesconsi: ride la marmorea fronte al sole, effuse in lunga onda le chiome fremono a venti. 57 atto a la chiusa imposta con un ramicello di fiori glauchi ed azzurri, come i tuoi occhi, o Annie. Vedi: il sole co l riso d'un tremulo raggio ha baciato la nube, e ha detto - Nuvola bianca, tapri. Senti: il vento de lalpe con fresco susurro saluta la vela, e dice - Candida vela, vai. Mira: laugel discende da lumido cielo su l pésco in fiore, e trilla - Vermiglia pianta, odora. Scende da miei pensieri leterna dea poesia su l cuore, e grida - O vecchio cuore, batti. E docile il cuore ne tuoi grandi occhi di fata saffisa, e chiama - Dolce fanciulla, canta. 58 62 Luigi Pruneti pubblica la biografia di un protagonista della Massoneria universale ellambito delle opere sulla Massoneria, il volume di Luigi Pruneti Giovanni Ghinazzi. La vita e il pensiero di un Gran Maestro1 è destinato a segnare una svolta profonda. In primo luogo non vi si concede nulla alla retorica, allapologia né allautocensura. Già in precedenti saggi lAutore aveva mostrato di non lasciarsi intimidire nella ricerca della verità. Alcune sue pagine su Il Rito scozzese antico ed accettato e la Gran Loggia dItalia, scritte per il bicentenario della fondazione in Parigi del Supremo consiglio scozzesista dItalia2, avevano affrontato senza timidezze, anzi con molti dettagli pittoreschi, le burrascose vicende che nel 1961-62 segnarono il passaggio del supremo maglietto da Tito Ceccherini a Giovanni Ghinazzi, in quella sede lumeggiato da Arnaldo Francia3. Nel nuovo volume Pruneti va oltre. Attraverso lopera e il pensiero di un Sovrano Gran Commendatore e Gran Maestro offre il quadro veridico di anni fondamentali per la massoneria in Italia e della massoneria italiana: due aspetti non sempre coincidenti della Libera Muratoria, ove si ricordi, come qui si fa, che essa è universale, sicché ogni sua organizzazione vive di relazioni che vanno al di là dei confini politici dello Stato in cui sorge e cresce. Nei decenni dalla riorganizzazione in poi (1943 e seguenti) non tutte le logge attive in Italia furono allobbedienza di poteri (o denominazioni) locali e quasi tutte le comunità liberomuratòrie sorte nei confini dello Stato italiano ebbero relazioni con comunioni esteri, con sicuro beneficio per la dimensione non meramente nazionale dei fratelli dItalia. Ripercorsi, documenti alla mano, glinizi di Giovanni Ghinazzi alla ricerca della Parola Perduta e la sua rapida ascesa ai vertici della Gran Loggia dItalia, lAutore individua con mano ferma i momenti distintivi dellopera da lui realizzata sin da quando fu chiamato a reggere in via provvisoria il supremo maglietto. Erano trascorsi appena dieci anni dalla fine della guerra. In Italia la Massoneria rimaneva stretta nella tenaglia del consociativismo ideologico-dottrinario-normativo sintetizzato dallarticolo 7 della costituzione repubblicana. Benché inclusa nellalleanza politicomilitare segnata dalla Nato e dallAlleanza Atlantica, garanti di mezzo secolo di pace armata e di europeismo militante, lordi- namento pubblico conservava in Italia pesanti condizionamenti ai danni delle libertà: la massoneria vi era appena tollerata, mai formalmente riconosciuta, appena appena conosciuta, spesso anzi indagata e talora esposta a devastanti offensive scandalistiche e persecuzioni giudiziarie, come lo stesso Pruneti ha ricordato in La sinagoga di Satana. Storia dellantimassoneria, 172520024. In quel contesto si sviluppò lopera di Ghinazzi, che nella vita della Gran Loggia dItalia recò limpronta della sua personalità. Con giovanile dinamismo e il piglio militare che senpre lo contraddistinse, egli coniugò attivismo infaticabile e granitica solidità dei principi ispiratori, come ha ricordato Paolo Ciannella nel discorso funebre molto opportunamente da Pruneti inserito nella ricca appendice documentaria. Saldamente alla guida di una Comunione dagli ormai folti e fitti legami internazionali, sulla fine degli Anni Sessanta Ghinazzi non si sottrasse alla sfida ricorrente: la riunificazione dei massoni dItalia in una sola organizzazione nazionale. Allo scopo scrisse a Giordano Gamberini, Gran Maestro del Grande Oriente dItalia, auspicando una fusione o almeno, una fraterna intesa sullesempio dei rapporti da tempo esistenti fra Grande Oriente di Francia e Gran Loggia di Francia. La risposta non fu affatto incoraggiante. Appellandolo Colonnello, quasi per mònito ed erudizione, lantico vescovo della chiesa gnostica gli mandò copie delle Costituzioni del GodI. Mentre la Gran Loggia, ormai adulta, faceva parte di un solido circuito massonico internazionale, il Grande Oriente mirava a ottenere lo scambio dei garanti damicizia con la Gran Loggia Unita dInghilterra, allepoca (e poi lungamente) ritenuta depositaria e dispensatrice di legittimità e regolarità. In tale ottica non vera quindi prospettiva alcuna di unificazione, se non nella forma di assorbimento, previo patto leonino, come avvenne per la Serenissima Gran Loggia Nazionale Italiana di Piazza del Gesù guidata da Franco Bellantonio. Il tramonto del sogno di una vera fusione tra pari logorò anche, senza quasi lasciare residui, lo spirito di fratellanza che avrebbe dovuto animare le relazioni (esteriori e riservate) tra istituzioni che avevano (e hanno) fondamenti affini e, soprattutto, tanti, troppi nemici comuni, come bene si vide quando si scatenò lartificiosa tempesta del cosiddetto scandalo P2 e una commissione parlamentare dinchiesta, forte dei poteri di tribunale ordinario, convocò ed escusse minacciosamente i dirigenti di tutte le organizzazioni massoniche nazionali, confondendo riserbo con segreto: equivoci terminologici preludenti a una successiva inchiesta giudiziaria per motivi cronologici rimasta ai margini del 63 presente volume.Ghinazzi aveva dunque avuto ragione quando aveva messo in guardia da forze politiche e sociali che si ispiravano a ideologie autoritarie e totalitarie, incluso il cosiddetto euro-comunismo. Tre capitoli densi di citazioni tratte dalla Rassegna massonica e da documenti qui indagati e pubblicati per la prima volta in un disegno organico illustrano gli ideali massonici additati da Ghinazzi e il contesto sociale entro i quali essi trovarono attuazione, le finalità della Libera Muratoria nella elaborazione della Gran Loggia e la vexata quaestio dell unione in una sola persona dei poteri di Sovrano Gran Commendatore del Rito e di Gran Maestro dellOrdine. Rieletto nel 1980 alla guida della Gran Loggia (ed era la settima volta), Ghinazzi ebbe la fortuna di avere a fianco un Luogotenente di grande valore, Mario Bogliolo, che si era formato a fianco di Enrico Martini (Mauri) nella lotta di liberazione. Il suo profilo meritava di essere riscoperto e proposto. Il volume, arricchito da una informatissima cronologia e dallelenco delle visite rese da Ghinazzi in veste ufficiale (novantasei viaggi tra Italia ed estero nei soli anni 1984-85), delle Officine fondate, riemerse o regolarizzate durante il suo Sovranato, si completa con documenti che dànno la misura della lunga ricerca compiuta dallAutore. Utilissimo, il repertorio dei più stretti collaboratori del Sovrano e Gran maestro (Alessandro Lagi, Vincenzo Milone, Antonio Ragonese, il già citato Mario Bogliolo, Enrico Fedeli, Enrico Califano, Alfredo Morelli, Giuseppe Papini, Vincenzo Duratorre, Renzo Canova (Grande Oratore e 64 primo successore di Ghinazzi), Aldo Vitali (che recò in dote la CAMEA, fonte di molteplici complicazioni) costituisce una sorta di promemoria per tante possibili future biografie. Auspichiamo vengano poste in cantiere, giacché la Massoneria è frutto, si, di principi antichi e perpetui, ma questi si incarnano in uomini e donne, prendono i colori del tempo e divengono storia. Poco prima di transitare allOriente Eterno il generale ebbe la soddisfazione di passare in rassegna le delegazioni delle della Commissione parlamentare dinchiesta sulla P2 forniscono anzi una imponente documentazione interna sulla consistenza della Gran Loggia, cui va anche riconosciuto di aver affrontato e risolto il secolare dubbio sulliniziazione femminile, in linea con una antropologia da Terzo Millennio, basata sulla constatazione che una cosa sono i capisaldi a-temporali della Libera Muratoria, unaltra le mutevoli costituzioni, gli assetti amministrativi che nel corso del tempo e nei diversi Paesi si sono dati i massoni. Il volume di Pruneti mostra come un alto dignitario massonico possa scrivere di Libera Muratoria e di suoi protagonisti col la distaccata oggettività dello storico. Aldo A.Mola __________ Note: 1 logge italiani e le 42 rappresentanze di Istituzioni massoniche dOltralpe affluite a Roma per il seminario nazionale su La Massoneria e il mondo di oggi. Il successo non stava solo nei numeri. La Gran Loggia dItalia degli A.L.A.M. era una realtà iniziatica e morale capace di reggere al vento di personalismi, polemiche e secessioni che nelle organizzazioni umane non mancano mai. Era e sarebbe del tutto improprio parlarne come di un mero gruppo di Ghinazzi5. Proprio gli Atti Introduzione di Luigi Danesin, Sovrano Gran Commendatore Gran Maestro della Gran Loggia dItalia Palazzo Vitelleschi, Bari, Giuseppe Laterza ed., 2006, pp.298 euro 25. 2 ora in La Massoneria Liberale, a cura di Luigi Danesin, Roma, Atanòr, 2006, pp. 41-68. 3 ivi, pp.251-62. 4 Bari, Giuseppe Laterza ed., 2002. 5 E il termine, davvero riduttivo, usato da Fabio Martelli in La massoneria italiana in periodo repubblicano ( AA. VV., La massoneria, a cura di G.M. Cazzaniga, Torino, Einaudi, p. 729). In quella stessa opera collettanea F. Vigni parla di gruppo maschile denominato Gran Loggia dItalia degli Antichi ed Accettati Muratori (ALAM), conosciuta anche con la denominazione di Gran Loggia dItalia di Palazzo Vitelleschi(p.791) e di gruppo massonico di Ghinazzi (p.730): terminologia inadeguata alla realtà. Daltronde in tale opera Ghinazzi figura appena tre volte, mentre i Sovrani e Grandi Maestri Canova, Franci e Danesin non vi compaiono mai. Davvero troppo poco per una Comunione del rilievo della Gran Loggia dItalia. P.62: Busto bronzeo di G. Ghinazzi, GLDI, Roma; p.64: Collare da G.M. di G.Ghinazzi, GLDI, Roma; p.65: Tempio Nazionale, veduta, GLDI, Roma (62, 64 e 65: foto Paolo Del Freo). 65 Giosue Carducci, scrittore, politico, massone Aldo A.Mola, Edizione Bompiani, Milano 2006, pp.571 uando prendo tra le mani un volume licenziato da Aldo A.Mola, si genera sempre in me la sensazione di impossessarmi di un premio, una sorta di completo panorama in cui saranno ritrovate le risposte alle molte domande che nel tempo si sono rincorse su quel certo argomento di cui tratta lopera. Generate da vecchie letture, da studi superati, da approcci dovuti, certe tematiche storiche, o come in questo caso storico-letterarie, ricoperte di una coltre massiccia di domande alle quali non si è trovata mai una risposta definitiva, si fanno avanti, riemergono, portando con sè lidea che ora troveranno soddisfazione. Per Giosue Carducci scrittore, politico, massone è stato lo stesso. Autore letto e riletto, imparato a memoria, mal sopportato e mal inteso, è uno di quei punti dolenti sui quali si sa di non aver mai lavorato con giusta disposizione. Di chi la colpa? Non è questa la domanda che possa aiutare a ricostruirci una purezza critica nei confronti del poeta toscano: riandare a tradimenti e dimenticanze può solo costituire un inizio per risolvere il problema della corretta lettura. E necessario cambiare atteggiamento. Lo studio profondo e interdisciplinare con la storia e con la politica della prima Italia, che ne ha fatto Aldo A.Mola, costituisce il più premiante modo di affrontare largomento. Ed è anche un modo onesto limpido e documentato, utile per riappropriarci di un brano negletto di letteratura patria. Tale compito può essere svolto, sicuramente nella maniera migliore, dallo storico che ricolloca con ampiezza di vedute e con conoscenza di cause una figura ed unopera nel suo tempo. Con originale agilità, Aldo A.Mola indirizza dunque la sua penna vigile e balzante (per mutuare dallo steso Carducci una felicissima definizione) verso lopera poetica, la vita politica e la militanza 66 massonica di un grande troppo dimenticato. Inutile pretendere di scoprire nei versi perfetti del consumato filologo finezze estetizzanti che non gli competono. Utile invece riandare ai dolori familiari, alle passioni pubbliche, al rapporto irrisolto con il femminile, tutto collocato nel più vasto panorama storico del momento. Luci ed ombre, bagliori e abbagli ma soprattutto verità. Con una disinibita impostazione diacronica Mola sfonda lo schema consueto della consecutio temporum biografica, che normalmente segna lo svolgersi delle monografie. Il libro inizia dal conferimento del premio Nobel e termina ritornando a quei momenti, quasi un anello in cui con tremenda ciclicità si siano incastonate le vicende, spesso terribili, di una vita ricca di passioni. Usando uno stile nervoso, molto attuale, fatto di una punteggiatura ritmica che rende il testo molto simile ad uno spartito musicale, lo storico riesce a rendere vivace ogni vicenda e mostrare i sentimenti e spesso la concitazione affettiva che accompagnò il poeta nel corso della sua vita. Prendono corpo le sue scelte politiche come espressioni di un intenso sentimento di amor patrio. Lessere massone, a sua volta, ci appare come una scelta di rigore morale e di coerenza nei princìpi oltre che di sincera e profonda amicizia per certi fratelli eccellenti. La gloriosa triade Carducci Lemmi Crispi è oggetto di attento esame in tutto il suo significato, unita nellazione, nella persecuzione e nella sventura. Conforta molto la considerazione che nella massoneria il poeta abbia voluto vedere anche un modo per esprimere la convinzione che siano possibili il dialogo ed il rispetto tra le culture. Apparenti incoerenze come quella che da repubblicano gli fece apprezzare il ruolo della monarchia, sono puntualmente annotate e risolte in chiave storica. Poi in pagine ricche di informazioni tratte da carteggi esclusivi, Mola ricostruisce il vario esprimersi del senso amoroso di Carducci. Attratto fortemente dal femminile, ne predilesse anche gli aspetti meno limpidi accettando le sue espressioni più torbide, ma sempre esprimendo verso i soggetti amati ammirazione e rispetto. Molto altro si potrebbe dire dellopera di rivalutazione che compie Aldo A. Mola nei confronti di Carducci, ma dobbiamo rimandare allattenta lettura del saggio. Su un punto però vorrei ancora soffermarmi. Nel libro emerge quale astante in eventi forse troppo grandi per lui, linquietante figura di un osannato contemporaneo: Giovanni Pascoli. Allievo, ma anche in qualche modo concorrente del nostro poeta, si presenta con tali ombre nella sua personalità, assai ben tratteggiata, da agire come una sorta di cartina al tornasole. In una ideale reazione chimica tra Carducci e la storia, quella incerta personalità fa sì che lelemento trionfante sia senza dubbio alcuno il nostro maschio Giosue, coraggioso e tuonante poeta, professore di intere generazioni, e patriota appassionato. Pregevole e sapiente la silloge di liriche a conclusione del volume. (A.G.) P.67: Lasino, P.Del Freo, 1989, coll. priv. cipressi che a Bòlgheri alti e schietti Van da San Guido in duplice filar, Quasi in corsa giganti giovinetti Mi balzarono incontro e mi guardar. Mi riconobbero, e Ben torni omai Bisbigliaron vèr me co l capo chino Perché non scendi? Perché non ristai? Fresca è la sera e a te noto il cammino. Oh sièditi a le nostre ombre odorate Ove soffia dal mare il maestrale: Ira non ti serbiam de le sassate Tue duna volta: oh non facean già male! Nidi portiamo ancor di rusignoli: Deh perché fuggi rapido così? Le passere la sera intreccian voli A noi dintorno ancora. Oh resta qui! Bei cipressetti, cipressetti miei, Fedeli amici dun tempo migliore, Oh di che cuor con voi mi resterei Guardando lor rispondeva, oh di che cuore! Ma, cipressetti miei, lasciatemire: Or non è più quel tempo e quelletà. Se voi sapeste!... Via, non fo per dire, Ma oggi sono una celebrità. E so legger di greco e di latino, E scrivo e scrivo, e ho molte altre virtù: Non son più, cipressetti, un birichino, E sassi in specie non ne tiro più. E massime a le piante. Un mormorio Pe dubitanti vertici ondeggiò E il dì cadente con un ghigno pio Tra i verdi cupi roseo brillò. Intesi allora che i cipressi e il sole Una gentil pietade avean di me, E presto il mormorio si fe parole: Ben lo sappiamo: un pover uom tu se. Ben lo sappiamo, e il vento ce lo disse Che rapisce de gli uomini i sospir, Come dentro al tuo petto eterne risse Ardon che tu né sai né puoi lenir. A le querce ed a noi qui puoi contare Lumana tua tristezza e il vostro duol. Vedi come pacato e azzurro è il mare, Come ridente a lui discende il sol! E come questo occaso è pien di voli, Comè allegro de passeri il garrire! A notte canteranno i rusignoli: Rimanti, e i rei fantasmi oh non seguire; I rei fantasmi che da fondi neri De i cuor vostri battuti dal pensier Guizzan come da i vostri cimiteri Putride fiamme innanzi al passegger. Rimanti; e noi, dimani, a mezzo il giorno, Che de le grandi querce a lombra stan Ammusando i cavalli e intorno intorno Tutto è silenzio ne lardente pian, Ti canteremo noi cipressi i cori Che vanno eterni fra la terra e il cielo: Da quegli olmi le ninfe usciran fuori Te ventilando co l lor bianco velo; E Pan leterno che su lerme alture A quellora e ne i pian solingo va Il dissidio, o mortal, de le tue cure Ne la diva armonia sommergerà. Ed io: Lontano, oltre Apennin, maspetta La Tittì rispondea; Lasciatemire. È la Tittì come una passeretta, Ma non ha penne per il suo vestire. E mangia altro che bacche di cipresso; Né io sono per anche un manzoniano Che tiri quattro paghe per il lesso. Addio, cipressi! addio, dolce mio piano!. Che vuoi che diciam dunque al cimitero Dove la nonna tua sepolta sta? E fuggìano, e pareano un corteo nero Che brontolando in fretta in fretta va. Di cima al poggio allor, dal cimitero, Giù de cipressi per la verde via, Alta, solenne, vestita di nero Parvemi riveder nonna Lucia: La signora Lucia, da la cui bocca, Tra londeggiar de i candidi capelli, La favella toscana, chè sì sciocca Nel manzonismo de gli stenterelli, Canora discendea, co l mesto accento De la Versilia che nel cuor mi sta, Come da un sirventese del trecento, Piena di forza e di soavità. O nonna, o nonna! Deh comera bella Quandero bimbo! Ditemela ancor, Ditela a questuom savio la novella Di lei che cerca il suo perduto amor! Sette paia di scarpe ho consumate Di tutto ferro per te ritrovare: Sette verghe di ferro ho logorate Per appoggiarmi nel fatale andare: Sette fiasche di lacrime ho colmate, Sette lunghi anni, di lacrime amare: Tu dormi a le mie grida disperate, E il gallo canta, e non ti vuoi svegliare. Deh come bella, o nonna, e come vera È la novella ancor! Proprio così. E quello che cercai mattina e sera Tanti e tanti anni in vano, è forse qui, Sotto questi cipressi, ove non spero, Ove non penso di posarmi più: Forse, nonna, è nel vostro cimitero Tra quegli altri cipressi ermo là su. Ansimando fuggìa la vaporiera Mentrio così piangeva entro il mio cuore; E di polledri una leggiadra schiera Annitrendo correa lieta al rumore. Ma un asin bigio, rosicchiando un cardo Rosso e turchino, non si scomodò: Tutto quel chiasso ei non degnò dun guardo E a brucar serio e lento seguitò. 67 La Massoneria Liberale, AA.VV., edizioni Atanor, Roma 2006. pp.330 nno 1805: si costituisce il Supremo Consiglio dItalia del R.S.A.A il quale, dal 1° al 33° grado, forma una unica entità dove ogni tappa iniziatica prepara la successiva. Da allora sono trascorsi due secoli e la pubblicazione che mi accingo a recensire narra le vicende dei suoi 200 anni di vita, fonde insieme storia ed attualità, riti e rapporti con le Istituzioni, raggiungendo lo scopo di costituire memoria del passato e guida per il futuro. I contenuti vengono analizzati dagli autori con rigore sia storico che filosofico, non trascurando le origini leggendarie della massoneria, le cui tracce hanno influito sui Riti di tutto il mondo. Vengono poi evidenziati i rapporti con lo Stato, con le religioni, con altri riti massonici, tutti componenti essenziali della vita e della vitalità della nostra Obbedienza. La prima parte ci narra le vicende storiche del Rito Scozzese Antico ed Accettato, da quelle più antiche, come il discorso del cavalier Ramsay, al trattato di Losanna (1875) ed alla dichiarazione di Ginevra (2005). Il discorso del cavalier Ramsay, che non è certo sia stato tenuto realmente nella data tramandataci, ipotizza lorigine nobile e cavalleresca della Massoneria che si fonderà poi, come vedremo, con la tradizione dei tagliatori di pietre e costruttori di cattedrali. Il trattato di Losanna adegua il testo delle Grandi Costituzioni al periodo storico corrente, mentre la dichiarazione di Ginevra le Giurisdizioni degli Alti Gradi Scozzesi stigmatizzano come la loro tradizione, fondata su un metodo massonico che passa attraverso il simbolismo, affermi la necessità della libertà di coscienza. La storia del Rito Scozzese Antico ed Accettato è la storia della Massoneria italiana e sarà, a partire dalla costituzione della Serenissima Gran Loggia (oggi Gran Loggia dItalia degli Antichi Liberi Accettati Muratori, Obbedienza di 68 piazza del Gesù, Palazzo Vitelleschi) la storia della nostra Obbedienza. Essa volle fin da allora mantenere vive la tradizione e la ritualità contro coloro che, pochi anni prima, avrebbero voluto realizzare la completa politicizzazione dellObbedienza svuotando così i rituali dei loro contenuti simbolici, per arrivare a considerarli alla stregua di un orpello inutile e controproducente. È qui che si è manifestata ancora una volta la saggezza della Massoneria. Ci sono ancora filoni da scoprire nelle già tanto esplorate miniere del Rito Scozzese Antico ed Accettato? Crediamo di sì quando leggiamo dei rapporti che hanno legato e legano la massoneria alla politica e di come non sempre sia stata rispettata la regola che recita al neofita: Qui, Voi non introdurrete alcuna delle Vostre dottrine, Voi non offenderete nessuno e nessuno Vi farà offesa. Crediamo di sì quando leggiamo dei rapporti che la Massoneria ha avuto con le religioni, e quando e quante volte essa stessa sia stata considerata, a torto, una religione. Anche se la massoneria non è né un partito né una setta, essa è stata più volte tacciata di eresia per il solo fatto di ammettere nel suo seno cattolici e non cattolici fino addirittura ad essere considerata società che macchina contro la Chiesa ed i legittimi poteri civili. Conclude la seconda parte del libro un sentito ringraziamento a Giovanni Ghinazzi il cui ingresso in Massoneria nel 1945 è stato unanimemente riconosciuto come basilare non solo per lObbedienza di piazza del Gesù, da lui ricostruita e riconsacrata, ma per lintera massoneria italiana e per tante Obbedienze europee. La maestranza di Ghinazzi fece si che lObbedienza rientrasse nella tradizione che era stata alla base dellimpostazione ideologica ed operativa di Saverio Fera. Sono trascorsi due secoli, ed oggi noi li abbiamo rivissuti insieme ai loro protagonisti grazie agli autori di questo libro che, oltre a celebrare il bicentenario, celebra la Massoneria. Oggi ci rendiamo conto che luomo non soltanto è oppresso ma anche a rischio di perdere il senso della vita. Oggi, come ieri, la funzione del Rito Scozzese Antico ed Accettato si mostra in tutta la sua forza e diviene strumento per il bene ed il progresso di tutti gli uomini. Dopo lera artigianale e quella industriale noi stiamo vivendo lera scientifica. Appare dunque naturale e logico che i massoni vorrebbero conoscere meglio il processo di evoluzione che si realizza con il metodo iniziatico utilizzato dal Rito Scozzese Antico ed Accettato. Tale processo si realizza come una verità maieutica, che nella filosofia socratica è larte di far scoprire allinterlocutore le verità che egli porta dentro di sé. Tutto questo e tanto altro ancora viene offerto dalle quattro parti in cui è suddiviso il volume. Per dare unidea della sua struttura è bene riassumerne qui limpianto. Dopo la presentazione del Sovrano Gran Commendatore Gran Maestro Luigi Danesin, che è anche il curatore dellopera, si passa ad Alain de Keghel, lautore della prefazione. Parte Prima: I Riti e il Rito Scozzese Antico ed Accettato. Comprende i contributi di Aldo A.Mola, Sergio Ciannella, Luigi Pruneti, Arnaldo Francia, Ernesto Enrico Tauber, Paolo Musto. Parte seconda: Massoneria e Società. Raccoglie gli scritti di: Aldo A.Mola, Josè Antonio Ferrer Benimeli S.J., Antonio Binni, Rosario F.Esposito S.S.P., André Combes, Gian Pietro Calabrò, Arnaldo Francia. Parte terza: Pianeta Massoneria. Vi hanno contribuito Paolo Alvigini, Barbara de Munari, Dario Pavesio, Anna Giacomini, Giovanni Rabbia. La quinta parte contiene le conclusioni che si articolano in due scritti. Il primo è un intervento di Aldo A. Mola assai interessante sotto il profilo filologico, che incide in modo significativo nella conoscenza della verità storica. Officinae a suo tempo aveva già dato spazio al frutto della ricerca del massonologo. Il volume si chiude con la commossa lettera, ambientata letterariamente in una dimensione atemporale, indirizzata ad un Neofita da Barbara de Munari. Con aggraziato entusiasmo ed accenti poetici tocca corde che vibrano sulle note dellAssoluto e dei Massimi Sistemi. Non è facile dare il meritato rilievo ai singoli in una silloge di Autori Vari perché molti sono gli interventi, tutti di alto livello e dunque rimandiamo alla lettura attenta e meditata. Solo esercitando la capacità di analisi e di ragionamento criticamente impostato è possibile una crescita culturale non solo massonica ma anche umanistica e questo volume vuole proprio raggiungere questo scopo. Grazie al Sovrano Gran Commendatore Gran Maestro Luigi Danesin, grazie al Luogotenente Sovrano Gran Commendatore Gran Maestro Aggiunto Vicario Luigi Pruneti ed a tutti gli autori per aver dato lopportunità a noi iniziati ed a tutti i profani che fossero interessati, la possibilità di rivivere lessenza della Massoneria liberale nonché la storia del Rito Scozzese Antico ed Accettato, il quale è, e sarà sempre, fonte della conoscenza dei segreti di unantica sapienza perduta. Ad maiora Gran Loggia dItalia degli Antichi Liberi Accettati Muratori. (M.G.O.) P.69: Allegoria della Fama, affresco, XVIII sec, palazzo Roffia, Firenze (foto Paolo Del Freo). 69 Il segreto di San Miniato R.Manetti, Edizioni Polistampa, Firenze 2006, pp. 403 el 1915 veniva pubblicato un romanzo destinato ad avere un notevole successo nel tempo: Golem di Gustav Meyrink. Ambientato nel ghetto di Praga il racconto era incentrato sul misterioso sapere degli alchimisti, sulla lotta tra i due principi del bene e del male che si estrinsecava, tra laltro, in percezioni extrasensoriali e sul concetto di unione indissolubile tra il maschile ed il femminile. Questi temi, e non solo questi, erano trattati con uno stile febbrile e delirante, una sorta di espressionismo di effetto truculento che ha dato frutti tardivi in tutta una serie di mode letterarie. La lettura dellopera oggi riconduce ad una condizione storica ben individuabile, dove ogni particolare è datato, ma contemporaneamente offre concetti iniziatici purtroppo espressi con lo scopo di fare sensazione, di meravigliare. Non importava se la meraviglia fosse spesso intrisa di angoscia malata, di nausea, di sporcizia e quindi destinata ad affossare lopera nella categoria del feuilleton. Peccato, potremmo dire, perchè qualche tratto sfiorava lintuizione illuminata, certi concetti erano il frutto di una conoscenza esoterica di nobilissima ascendenza. Da quel momento in poi, a precipizio, il filone del romanzo iniziatico scivolò sui viscidi percorsi della fantascienza o della fantastoria, fino a quel patinato oggetto da supermarket che è Il Codice da Vinci dove si tratta di tutto senza trattare di niente. Riscatta completamente questo genere letterario il romanzo di Renzo Manetti Il segreto di San 70 Miniato. Limpianto, sostanziato dalle medievali vicende di un ebreo fiorentino dallinfanzia alla morte, è quello della crescita iniziatica che prevede tutti gli atti del percorso. Vi si parla infatti dellunione archetipica del maschile con il femminile (anche qui una Miriam come il femminino di Meyrink), della fede nel Dio unico sovrareligioso, della lotta del bene contro il male, della percezione ultranormale fatta di veggenze, dello studio alchemico, del Graal e di altro, molto altro. La differenza profonda, con quanto leditoria ha fino ad ora prodotto, sta nella conoscenza ampia e matura dellautore nei confronti della materia trattata con raffinata capacità comunicativa, senza alcuna indulgenza verso il fumoso sensazionalismo. Per questo suo impegno lo scrittore riesce a parlare dell indescrivibile, spesso ricorrendo ad accenti di pura poesia. Il fatto è che crede profondamente in ciò di cui romanza, non solo, ma conosce molto bene e tuttaltro che affrettatamente la storia maggiore in cui cala gli eventi. Va anche detto che parlare di storia semplicemente è riduttivo in questo caso, perchè la storia cui Manetti si riferisce non è quella di un popolo o di un luogo, ma tutta la storia delloccidente cristiano e delle sue fondamentali propaggini nelloriente della Terra Santa. Piacevole è il ritrovare personaggi conosciuti per aver lasciato tracce significative di sé nelle cronache, nellarte o nella letteratura. Resi umani ed appassionati da una penna che crede nella vittoria del bene sul male e nel kalòs kai agathòs, popolano le oltre quattrocento pagine con personalità ben distinte e nettamente delineate. Viaggiano, combattono, si incontrano, si lasciano, amano e muoiono creando un ampio affresco diacronico, in cui gli eventi sembrano intercettati miracolosamente da un osservatore capace di sfondare la barriera del tempo passato. Le pagine dedicate allarchitettura e alla geometria sono esempi di straordinario amore per la materia ed illuminano con i bagliori di un sapere originale, ricco di riferimenti alla filosofia neoplatonica e di consumato studio analitico, certamente costruito sul campo. Nella limpida spiegazione del procedimento per ottenere la quadratura del cerchio, la semplicità delle cose vere scioglie con naturalezza ogni antico retaggio misterico. Mentre dominano i fatti come protagoniste occulte e sempre risolutive, le mistiche armonie della basilica di San Miniato, vero grande amore dello scrittore. Il crescendo di toni che marca il procedere del romanzo, alla fine conduce il lettore ad una pacificata catarsi. (A.G.) I grandi iniziati del nostro tempo Paola Giovetti, Edizioni Mediterranee, Roma 2006, pp.225 e si chiede ad un libraio attento cosa legge la gente al giorno doggi, ci si sente rispondere in modo sorprendente. Intanto dirà, al contrario di ciò che si può pensare, che la lettura è molto più diffusa di qualche anno fa, che il libro non è in crisi nonostante venga consegnato in allegato a quotidiani e periodici con laggiunta di pochi euro e che oggi si solennizza il trionfo della manualistica. Sorprendente. A occhio e croce ci si fa lidea che tra televisione ed internet stiamo per celebrare il funerale del vecchio caro libro, orgoglio di biblioteche che da sole rappresentavano lo status simbol di una famiglia di cento anni or sono, per dire. Invece scopriamo con gioia che quello del libro è un settore in crescita. Ma in quale direzione? Dice il libraio, si va verso la manualistica. Dunque vien fatto di concludere che oggi, nella dispersione e nella confusione di un momento privo di quei begli scrittori che resero ricco il nostro dopoguerra (da Calvino a Tomasi di Lampedusa, Moravia ) il lettore sia interessato a fare ordine nelle sue nozioni, a catalogare e ad imparare luso di ciò che senza una spiegazione potrebbe restare abbandonato a se stesso. Il lettore cerca il libro per leggere altri libri. Infatti molte case editrici si stanno proprio indirizzando verso collane dedicate a riassumere in poche pagine, accorpati per famiglie, gli argomenti dello scibile, onde creare specifiche panoramiche utili ad un approccio globale della materia. Poi, guardato il panorama, il lettore planerà sicuro verso i singoli dettagli che in questo caso sono i singoli autori o le singole discipline. Lultimo libro di Paola Giovetti sembra inserirsi proprio in questo schema. I Grandi Iniziati del nostro tempo è una collazione costituta da 18 brevi biografie di personaggi che necessitavano di una classificazione. Muoversi nel pericoloso labirinto della letteratura esoterica con agile sicurezza, non è facile. Chi lo sa fare, e Paola Giovetti è maestra, è necessario che fornisca delle indicazioni, che dia chiarimenti. Per scrivere un libro di questa fatta bisogna aver letto lopera dei 18 autori, averla soppesata ed offrirne il pregiato succo a chi ricerca una via di indagine. Il compito richiede perciò sicurezza di giudizio e molta conoscenza di tutta linsidiosa materia. Sul percorso inaugurato da Edouard Schurè con il suo celebre I grandi iniziati (1899) lautrice colloca coloro che ad un sereno quanto esperto vaglio si sono distinti nei nostri anni per aver mostrato alluomo dimensioni nuove, aperto più ampi orizzonti. La grande novità di questopera è costituita dallo spazio lasciato alla psicologia dei personaggi, fattore importantissimo per comprendere il portato della loro dottrina. Nulla come lilluminazione cognitiva è in tanto stretto rapporto con la psiche di chi formula un pensiero frutto di un tale metodo. Quindi alle pregevoli sintesi del pensiero dei suoi protagonisti, Paola Giovetti unisce notizie biografiche spesso assai utili per capire meglio i loro percorsi iniziatici. Ad esempio, per citarne uno, linquietante Madame Blavatsky soggetto dalle eccezionali potenzialità paranormali, capace di dominare le esperienze più estreme, si scopre che nel 1863, dopo un periodo di relativa calma, intraprese un viaggio in Italia. Conosciuto Garibaldi si aggregò alle sue truppe combattendo a Mentana contro lesercito pontificio. In quelloccasione fu anche ferita. Ecco che apprendiamo come la scuola teosofica, di cui Helena Petrovna Blavatsky fu la musa, non fosse ignota a Garibaldi. Non possiamo dire di più per rispetto dei lettori che non mancheranno di apprezzare la vastità delle informazioni a volte anche inedite che lautrice assembla intorno ad ogni personaggio. Possiamo solo riaffermare che, per coloro che cercano la loro via anche tra le complicazioni delle esperienze di frontiera, lo scritto di Paola Giovetti può rappresentare una sorta di preziosa galleria degli antenati in cui ricercare spunti, similitudini e confronto. 71 Fregi di Loggia R.L. Clara Vallis, Or. di Como Il nome Clara Vallis richiama alla mente la Chiara Valle del san Bernardo cristiano, un luogo luminoso e di pace dove Bernardo di Chiaravalle fondò il suo primo monastero. Vuole essere un buon auspicio e contemporaneamente uno stimolo alla ricerca per arrivare ad illuminare lantro oscuro della coscienza umana combattendone lignoranza e la debolezza con quella luce che da sempre è simbolo di saggezza e di verità. Il gioiello è formato da un cerchio esterno con la scritta Quando in tua domo nigri corvi parturient albas columbas,tunc vocaberis sapiens, iscrizione incisa sulla porta alchemica di Roma, con chiara allusione alla Grande Opera; allinterno si trova il sigillo di Salomone, simbolo della conjunctio oppositorum. Sovrapposto a questo vi è un cerchio crociato: il globo del mondo. ad oggi lelenco delle Logge già pubblicato... R\L\1349 R\L\1442 R\L\1216 R\L\1116 R\L\1228 R\L\1413 R\L\1363 R\L\1498 R\L\1250 R\L\1187 R\L\1392 R\L\1493 R\L\1500 R\L\1167 R\L\1122 R\L\1507 R\L\1455 R\L\1501 R\L\1203 R\L\1482 R\L\1164 R\L\1148 R\L\1495 R\L\1184 R\L\1462 R\L\1181 R\L\1485 R\L\1323 Cartesio O\di Firenze Nino Bixio O\di Trieste Scaligera O\di Verona Minerva O\di Torino Sile O\di Treviso Luigi Spadini O\di Macerata Enrico Fermi O\di Milano Kipling O\di Firenze Iter Virtutis O\di Pisa Venetia O\di Venezia La Fenice O\di Forlì Goldoni O\di Londra Horus O\di R.Calabria Pisacane O\di Udine Mozart O\di Roma Prometeo O\di Lecce Salomone O\di Catanzaro Teodorico O\di Bologna Fargnoli O\di Viterbo Minerva O\di Cosenza Federico II O\di Jesi Giovanni Pascoli O\di Forlì Triplice Alleanza O\di Roma Garibaldi O\di Castiglione Astrolabio O\di Grosseto Augusta O\di Torino Voltaire O\di Torino Zenith O\di Cosenza R\L\1136 R\L\1154 R\L\1284 R\L\1330 R\L\1511 R\L\1383 R\L\1227 R\L\1296 R\L\1353 R\L\1472 R\L\1329 R\L\1334 R\L\1526 R\L\1450 R\L\1486 R\L\1375 R\L\1477 R\L\1529 R\L\1506 R\L\1209 R\L\1452 R\L\1308 R\L\1473 R\L\ 567 R\L\1518 R\L\1195 R\L\1239 R\L\1447 Audere Semper O\di Firenze Justitiam O\di Lucca Horus O\di Pinerolo Jakin e Boaz O\di Milano Petrarca O\di Abano Terme Eleuteria O\di Pietra Ligure Risorgimento O\di Milano Fidelitas O\di Firenze Athanor O\di Cosenza Ermete O\di Bologna Monviso O\di Torino Cosmo O\di Albinia Trilussa O\di Bordighera Logos O\di Milano Valli di Susa O\di Susa Cattaneo O\di Firenze Mozart O\di Genova Carlo Faiani O\di Ancona Aetruria Nova O\di Versilia Giordano Bruno O\di Firenze Magistri Comacini O\di Como Libertà e Progresso O\di Livorno Uroborus O\di Milano Ugo Bassi O\di Bologna Ravenna O\di Ravenna Hiram O\di Sanremo Cavour O\di Vercelli Concordia O\di Asti R\L\1124 Per Aspera ad Astra O\di Lucca R\L\1364 Dei Trecento O\di Treviso R\L\1411 La Fenice O\di Livorno R\L\1316 Aristotele II O\di Bologna R\L\1292 La Prealpina O\di Torino R\L\1274 Erasmo O\di Torino R\L\ 612 Hiram O\di Bologna R\L\1457 Garibaldi O\di Toronto R\L\ 903 Sagittario O\di Prato R\L\1179 Giustizia e Libertà O\di Roma R\L\1417 Le Melagrane O\di Padova R\L\1431 Luigi Alberotanza O\di Bari R\L\1430 Antares O\di Firenze R\L\1318 Cidnea O\di Brescia R\L\1286 Fratelli Cairoli O\di Pavia R\L\ 582 Nazario Sauro O\di Piombino R\L\1479 Antropos O\di Forlì R\L\1108 Internazionale O\di Sanremo R\L\1530 Giordano Bruno O\di Catanzaro R\L\1458 Federico II O\di Firenze R\L\1574 Pietro Micca O\di Torino R\L\1222 Athanor O\di Brescia R\L\D. 6886 Chevaliers dOrient O\di Beirut R\L\1120 Giosuè Carducci O\di Follonica R\L\1534 Orione O\di Torino R\L\1268 Atlantide O\di Pinerolo R\L\1384 Falesia O\di Piombino R\L\1516 Alma Mater O\di Arezzo R\L\1593 R\L\1178 R\L\1336 R\L\1516 R\L\1382 R\L\1285 R\L\1540 R\L\1405 R\L\1456 R\L\1383 R\L\2683 R\L\1545 R\L\1582 R\L\1567 R\L\1600 R\L\1551 R\L\1550 R\L\1602 R\L\1521 R\L\1570 R\L\1620 R\L\1390 R\L\1622 R\L\1271 R\L\ 109 R\L\1293 R\L\1669 R\L\1547 R\L\1675 Cavour O\di Arezzo G.Biancheri O\di Ventimiglia Sibelius O\di Vercelli C.Rosenkreutz O\di Siena Virgilio O\di Mantova Mozart O\di Torino Ausonia O\di Siena Vincenzo Sessa O\di Lecce Manfredi O\di Taranto Cavour O\di Prato Liguria O\di Ospedaletti S.Friscia O\di Sciacca Atanor O\di Pinerolo Ulisse O\di Forlì 14 juillet O\di Savona Pitagora O\di Cosenza Alef O\di Viareggio Ibis O\di Torino Melagrana O\di Torino Aurora O\di Genova Silentium... O\di Val Bormida Polaris O\di Reggio Calabria Athanor O\di Rovigo G. Mazzini O\di Parma Palermo O\di Palermo XX Settembre O\di Torino La Silenceuse O\di Cuneo Corona Ferrea O\di Monza Clara Vallis O\di Como