Il ruolo delle serie
nello sviluppo
del calcolo infinitesimale
A cura di
•Silvia Ferrari
•Rachele Loffredo
•Enrico Manfucci
•Micaela Sarbu
E’ noto che il precursore del calcolo
infinitesimale è Zenone di Elea (V sec. a.C.)
Paradosso di Achille e la tartaruga:
“ Achille gareggia con una tartaruga che parte in posizione
avvantaggiata. Per quanto Achille possa essere veloce
non potrà mai superare la tartaruga ,
per quanto essa possa essere lenta.
Quando Achille raggiungerà la posizione iniziale della
tartaruga, questa sarà andata avanti coprendo una certa
breve distanza; e quando Achille avrà attraversato
questa breve distanza, la tartaruga si sarà spostata
un po’ più in avanti; e così via il processo continua
indefinitamente, con il risultato che il veloce Achille
non potrà mai superare la lenta tartaruga.”
Sappiamo che oggi Achille raggiungerà la tartaruga
quando avrà percorso la somma degli infiniti tratti
di strada e che tale somma è un numero finito,
cioè: 100 + 10 + 1 + 0,1 + 0,01 + 0,001
+ 0,0001 + …=111,1111
Nell’argomentazione di Zenone
c’è l’implicita presenza della serie geometrica
(con q<1 e quindi convergente).
Zenone, tuttavia, non è in grado di calcolarne
la somma: il suo argomento è erroneo proprio
perché non considera che una somma
di infiniti addendi può essere,
sotto alcune ipotesi, finita
Problemi fondamentali
della tradizione geometrica:
1. Calcolo di aree e volumi di figure piane e solide
2. Quadratura del cerchio e della parabola
Per risolvere il primo problema si utilizzava spesso
il METODO DI ESAUSTIONE,
già noto ad Eudosso (408-053 a.C.) ed Euclide
(300-? a.C.), che raggiunse la massima fioritura
con ARCHIMEDE (287-212 a.C.).
Archimede calcola l’area del segmento parabolico
dimostrando che è i 4/3 del triangolo inscritto
avente la stessa base e la stessa altezza
del segmento parabolico.
4
3
Noi sappiamo che si può costruire la serie
quindi

1
S  hT
h 0 4
1
1 n
n 1
1
4 T  4T
S  lim  h T  lim
n
n 
1
3
h0 4
1
4
Archimede, che aristotelicamente evita l’infinito in atto,
considera un numero finito di termini della serie,
un numero però alto a piacere,
n1
così che
T
T T
T
T
 T   2  3  ...  n1

h
4 4
4
4
h 0 4
possa differire da S di poco quanto si vuole.
Archimede dice che addizionando a questa
il termine
1 T
3 4 n 1
si ottiene
4
T
3
Ben presto il metodo di esaustione mostrò i suoi
LIMITI, soprattutto perchè esso è un metodo di
dimostrazione più che di scoperta.
Consente di dimostrare rigorosamente
ciò che è stato, in qualche modo, intuito.
Ma come arrivare a prevedere tale conclusione?
Nacque così la necessità di una trovare una
scorciatoia che consentisse di evitare le prolisse
dimostrazioni basate sul procedimento di esaustione.
Sotto questa spinta cominciarono ad entrare in
geometria CONSIDERAZIONI INFINITESIMALI.
Il primo ad adottare questo nuovo punto di vista fu :
JOHANNES KEPLER (1571- 1630).
Nell’ Astronomia Nova del 1609,
erano presenti le sue prime leggi planetarie:
1. i pianeti si muovono attorno al Sole in orbite
ellittiche di cui il Sole occupa uno dei fuochi
2. il raggio vettore che congiunge un pianeta con il
Sole copre aree uguali in tempi uguali
Egli trattava i problemi relativi all’ area come se essa fosse
formata da triangoli infinitamente piccoli con un
vertice nel Sole e gli altri due vertici in punti
infinitamente vicini giacenti sull’orbita.
Per calcolare l’area di un cerchio si osserva che :
le altezze dei triangoli infinitamente sottili
sono uguali al raggio
e la somma delle infinite basi,
infinitamente piccole, è uguale alla circonferenza.
Si indicano con :
r le altezze
b1,b 2 ,..., bn ,... le basi
Allora, si ha che l’AREA DEL CECHIO è :
1
1
1
1
1
b1r  b 2r  ...  b nr  ...  r(b1  b 2  ...  b n  ...)  rC
2
2
2
2
2
In modo analogo considerava il volume di una sfera
come la somma dei volumi dei piccoli coni
con vertice nel centro della sfera e base sulla superficie.
Dimostrava, poi, che:
il volume della sfera è uguale
ad un terzo del raggio per l’area della superficie.
L’essenza del ragionamento di Keplero è
l’identificazione delle aree curvilinee e dei volumi con
la somma di un numero infinito di elementi
infinitesimi della stessa dimensione
Successivamente FERMAT (1601-1665),
elaborò un sistema per il calcolo dell’area
sottesa ad una curva che faceva uso di una
somma infinita di aree di rettangoli.
• Data la curva ,
y  xn
con n naturale,
si voglia
trovare l’area sottesa alla curva nell’intervallo fra x=0 e
x=a.
• Fermat suddivideva l’intervallo compreso fra x=0 e
x=a in un numero infinito di sottointervalli ,
prendendo i punti aventi le ascisse a,
aE,
dove E era una quantità minore di uno.
aE,2 aE,3 …
Da questi punti tracciava le ordinate alla curva e
quindi otteneva un’approssimazione dell’area
compresa sotto la curva per mezzo di rettangoli.
Le aree dei successivi rettangoli circoscritti, a
cominciare dal più grande, erano date dai termini
della progressione geometrica
n n
2
n 2n
2
3
a
E
(
aE

aE
)
a
E
(
aE

aE
), …
a (a  aE),
,
n
La somma all’infinito di questi termini è:
n1
n1
a (1  E)
a
a E (aE  aE ) 


n1
2
n
1

E
1

E

E

...

E
i 0

n
in
i
i1
Con il tendere di E ad 1, i rettangoli diventano sempre
più sottili, di conseguenza la somma delle aree dei
rettangoli si avvicina all’area sottesa dalla curva.
In particolare per E=1 otteniamo che la somma della
serie è
a n 1
n 1
Fermat estendeva
questo procedimento
anche per n frazionario
e per n negativo
(escluso n=-1).
che è proprio l’area cercata
A risolvere il problema di Fermat, che non
riusciva ad estendere il suo procedimento ad
n=-1, ci pensò GREGORIO DI SAN VINCENZO
(1584-1667) nell’opera “Opus Geometriche
quadraturae circuli et sectionum coni”
(1647).
In quest’opera pose le basi della connessione
tra l’iperbole equilatera e
la funzione logaritmica.
Con il metodo di esaustione, dimostrò che se lungo l’asse delle
x si segnava a partire da x=a una serie di punti in modo che
gli intervalli compresi fra di essi crescessero in proporzione
geometrica, e se da questi punti si tracciavano le ordinate
all’iperbole,
1
y
allora le aree delimitate dalla curva e
x
dalle ordinate successive erano uguali . l’equivalente del
nostro:
b
1
a x dx  ln b  ln a
BLAISE PASCAL (1623-1662) ottenne lo stesso
risultato di Fermat relativo all’area sottesa dalla
curva di equazione
y  x n, partendo però da un
problema differente: “la somma delle m-esime
potenze dei primi n interi consecutivi”.
La formula che trovò Pascal fu quella che oggi
scriveremmo:
Cm1,1  im  Cm1,2  im1  ...  Cm1,m  i  (n  1)m1  (n  1)
dove le somme si intendono prese per valori di i
che vanno da 1 a n.
Da questa formula Pascal trovò appunto il
risultato di Fermat:
n 1
a
n
x
0 dx  n  1
a
Il primo matematico che diede un’impostazione
generale alla teoria degli indivisibili fu il frate
BONAVENTURA CAVALIERI (1598-1647), discepolo e
corrispondente di Galileo. La "Geometria" di Cavalieri
segna un nuovo punto di partenza e dà nuovo slancio
al problema delle quadrature.
Tra i risultati più interessanti vi è il noto “principio
di Cavalieri”, che afferma: “se due figure solide A e B ,
comprese tra due piani paralleli, sono tali che ogni
piano parallelo a questi tagli su esse sezioni che
stanno sempre in un dato rapporto, allora anche i
volumi di A e B stanno in questo rapporto”.
Il metodo di Cavalieri suscita reazioni
contrastanti: alcuni lo rifiutano in nome degli
antichi, altri lo accettano e cercano anche di
migliorarlo.
PIETRO MENGOLI (1625-1686), discepolo di
Cavalieri, nel 1672 affrontò il “Problema della
quadratura del circolo”, in cui continuava gli
studi sul metodo degli indivisibili e sulle aree
sottese dalle iperboli.
In particolare imparò a trattare tali problemi
servendosi delle serie infinite.
JOHN WALLIS (1617-1703) tentò di generalizzare la teoria
cavalieriana .
Nell’ Arithmetica infinitorum del 1655, affrontò il metodo
degli indivisibili di Cavalieri, tipicamente geometrico, da
un altro punto di vista totalmente aritmetico.
Confrontando i quadrati degli indivisibili di un triangolo
con quelli di un parallelogramma, si prende la lunghezza
del primo indivisibile del triangolo uguale a zero, quella
del secondo uguale a uno, quella del terzo uguale a tre e
così via, fino ad n-1 se gli indivisibili sono n. Mentre la
lunghezza degli indivisibili del parallelogramma sono
tutti uguali ad n.
Se gli indivisibili sono n+1 il rapporto dei loro
quadrati è allora
Per
n
 (i  1)
2
(
i

1
)

i1
(n  1)  n 2
2
2
2
2
2
0

1

2

...

n
1 1
i1

 
2
2
2
2
3 6n
(n  1)  n
n  n  ...  n
si ha che
n 1
quindi
n1
1
0
6n
n


1
3
questo equivaleva a dire che
1
1
0 x dx  3
2
Wallis fu criticato dai matematici del suo tempo, tra cui
Fermat, per la mancanza di rigore del suo metodo
JAMES GREGORY (1638-1675) studiò dal 1664 al
1668 in Italia con Stefano Degli Angeli (1623-
1697), qui grazie ai lavori sulle quadrature di
spirali, parabole e iperboli generalizzate di
Degli Angeli e ai lavori di Mengoli, si rese conto
delle grandi potenzialità degli sviluppi in serie
delle funzioni e di processi infiniti.
Estese l’algoritmo archimedeo alla quadratura
di ellissi e di iperboli.
Considerò un triangolo inscritto di area
un quadrilatero circoscritto di area
a0
e
A0;
raddoppiando successivamente il numero dei lati
di queste figure formò la serie
a 0 , A0 , a1 ,
A1, a2 , A2,
…
e mostrò che era la media geometrica dei due termini
immediatamente precedenti e la media armonica.
Ottenne così due serie,
quella delle aree inscritte e quella delle aree circoscritte,
entrambe convergenti verso l’area della conica.
Di queste due serie fece uso per ottenere buone
approssimazioni di settori ellittici ed iperbolici.
In Italia aveva appreso che: “l’area sottostante alla
1
curva y 
delimitata da x=0 a x=x era data
2
1 x
da arctan x; una semplice divisione trasformava
1
1 x 2
in
1 x 2  x 4  x 6  ... ”
Era dunque immediatamente evidente dalla
formula di Cavalieri che
x
dx
x3 x5 x7
0 1 x 2  arctan x  x  3  5  7  ...
Questo risultato è noto ancor oggi come
“serie di Gregory”.
La teoria degli indivisibili servì a risolvere
definitivamente il 1° problema della tradizione
geometrica, quello del calcolo
delle aree e dei volumi.
Ora l’attenzione si rivolse nuovamente alla
ricerca della soluzione del 2° problema, quello
della quadratura del cerchio e dell’iperbole.
QUADRATURA DEL CERCHIO
Inizialmente si cercavano delle approssimazioni sempre
più esatte:
•VAN EYCKE (Simon du Chesne) diede a π prima il valore
(39 / 22) 2e poi il valore
300  8 (entrambi errati).
• LUDOLPH VAN CEULEN (1540- 1610) applicò il metodo di
Archimede ad un poligono di
2
62
valore di π con 35 decimali esatti.
lati ed ottenne un
•JOHN WALLIS ricavò il prodotto finito

3  3  5  5  7  7...

4 2  4  4  6  6  8...
•CHRISTIAAN HUYGENS (1629-1703)dimostrò le
disuguaglianze
dove
4
1
1
i2 n  in    in  cn
3
3
3
ik = area del poligono di k lati
inscritto al cerchio unitario
ck= area del poligono di k lati
circoscritto al cerchio unitario
•GREGORY ottenne l’area del cerchio come limite delle
successioni precedenti { ik } e { ck }, cioè
Area Cerchio = lim { ik }= lim { ck}
utilizzando le seguenti relazioni
i2 n  in cn
i
1 1 1 
   
c2 n 2  cn i2 n 
•GOTTFRIED W. LEIBNIZ (1646-1716) sviluppo in serie

1 1 1
 1     ...
4
3 5 7
In quest’occasione dimostrò il “criterio di convergenza
della serie a segni alterni”
QUADRATURA DELL’IPERBOLE
•NICOLAUS MERCATOR (1620- 1687) determina l'area
della porzione di spazio iperbolico I delimitata da :
- l'iperbole equilatera
y
- l’asse delle ordinate x = 0
1
1 x
- la retta x = A con A>0
Sfruttando la serie geometrica nota fin dall’ antichità
Dividiamo l'intervallo [0,A] in innumerevoli parti
uguali, che indichiamo con a , e siano
a, 2a, ..., A
i punti di suddivisione, ai quali corrispondono gli
infiniti segmenti, che riempiono lo spazio iperbolico I,
di lunghezze
1 ,
1 a
1 , …, 1
1  2a
1 A
Essendo nota la somma di una progressione geometrica si ha:
1
 1  a  a 2  a 3  ...
1 a
1
 1  2a  4a 2  8a 3  ...
1  2a
1
 1  A  A2  A3  ...
1 A
Da cui, sommando per colonne e utilizzando il simbolo
di integrale (chiaramente non utilizzato da Mercator)
si può scrivere:
A
A
A
A
1
2

1
dx

xdx

x
0 1  x 0
0
0 dx  ...
2
Allora
3
4
A
A A
area ( I )  log( 1  A)  A 


 ...
2
3
4
Questo risultato è stato possibile grazie alla RELAZIONE
TRA LOGARITMI E LA QUADRATURA DELL’IPERBOLE
ottenuta da Gregorio Da San Vincenzo
A porre fine al problema della quadratura
delle curve ci pensò ISAAC NEWTON (1642-1727)
con il suo METODO DELLE QUADRATURE
Il metodo è basato sul TRE REGOLE:
1° regola: Se
y  ax
m
n
(CURVA SEMPLICE), dove a è una
costante positiva e n ed m sono interi, allora
an mn n
area ( I ) 
x
mn
2° regola: Se y = somma di un numero di curve semplici,
allora area (I)= somma finita delle aree di ciascuna curva.
3° regola: Generalizzazione della seconda, in essa si hanno
infiniti termini generati o da divisioni, o da estrazioni di
radici, ecc …
LEIBNIZ
Nella mode dei risultati ottenuti per mezzo del calcolo
si cominciano ad avvertire delle debolezze, in
particolare per quel che concerne il RAPPORTO TRA
SERIE DI FUNZIONI E CONTINUITA’
Nasce quindi la necessità di risistemare tutti i risultati
ottenuti fino ad allora, basandoli sul concetto di
LIMITE.
Il primo e ardente fautore di questa necessità è
sicuramente JEAN BAPTISTE LEROND d’ALAMBERT
(1717-1783), ma il primo e vero tentativo in questa
direzione è da attribuire a GIUSEPPE LUIGI LAGRANGE
(1736-1813)
ABEL (1802-1829) si sofferma sulle serie infinite,
considerandole uno strumento essenziale in analisi.
Egli si oppone a Lagrange, sostenendo che “non è
lecito, per derivare una funzione data mediante
una serie, derivare termine a termine, pensando
così di ottenere proprio la derivata della
funzione di partenza”.
L’interprete più coerente della rigorosa teoria
abeliana fu AUGUSTIN L. CAUCHY (1789-1857).
La definitiva sistemazione dei fondamenti
dell’analisi è da attribuirsi ai due
matematici BERNARDO BOLZANO (17911848) e a CAUCHY.
Il primo rimase, però, in ombra, soprattutto perché la sua
opera fu pubblicata con tale ritardo da non riuscire ad
influenzare lo sviluppo successivo dell’analisi.
Al contrario la teoria di Cauchy segnò un punto di
svolta nel calcolo infinitesimale.
Attraverso la teoria dei limiti egli riesce a definire la
continuità di una funzione, la derivata, l’integrale, la
convergenza di una serie e la sua somma.
Inoltre, per dimostrare la convergenza di una serie più
complessa, come la serie di Fourier, passa a studiare
una serie più facile attraverso un criterio di
convergenza che si può enunciare così:
“Se la serie
generale

n   n
allora la serie
è convergente e il termine
n

per
n
n  ,
è convergente”.
Con un controesempio GUSTAVO PIETRO LEJEUNE
DIRICHLET (1805-1859) smentisce il criterio di Cauchy.
Propone infatti la serie
(1) n
 n che è convergente
(1) n  (1) n 
1 
che è divergente
la serie 
n 
n 
E mostra che, tuttavia, che il rapporto dei loro termini
1
generici 1
è convergente ad 1 quando
n
n  .
La lacuna di Cauchy era nella differenza tra
continuità ed uniforme continuità, Dirichlet la
colma dimostrando che in un intervallo chiuso e
limitato le due proprietà sono equivalenti.
Dopo che Cauchy, ha riformulato tutta l’analisi in
funzione dei limiti, il nuovo obiettivo che gli analisti si
proponevano, era quello di “determinare la più ampia
classe di funzioni di cui si possa dare una
rappresentazione analitica”.
A risolvere questo problema ci pensò
CARLO WEIERSTRASS (1815-1897)
Dimostrò che “è possibile rappresentare le funzioni
continue, mediante una serie di uniformemente
convergente di polinomi”
Un esempio sono le serie di TAYLOR e MAC LAURIN
L’autore che conclude e riorganizza tutta la teoria
analitica è BERNHARD RIEMANN (1826-1866).
I suoi obiettivi sono:
1. Introdurre l’immaginario nella teoria di altre
funzioni trascendenti, come era già avvenuto per le
funzioni algebriche, esponenziali, circolari, ellittiche
abeliane.
2. Presentare i nuovi metodi per l’integrazione di
equazioni differenziali a derivate parziali, che ha già
applicato con successo a modelli fisici.
3. Elaborare una nuova concezione delle leggi naturali
note, per mezzo della quale sia possibile utilizzare i
dati sperimentali sull’interazione tra calore, luce,
magnetismo, elettricità e sottolinearne le connessioni.
A Riemann è dovuta la rappresentazione di una
funzione mediante le serie trigonometriche .
Egli afferma che ogni funzione periodica di
periodo 2π che:
1. Sia in generale suscettibile d’integrazione
2. Non abbia un numero infinito di massimi e
di minimi
3. Nel caso che il suo valore vari bruscamente,
prenda il valore medio tra i valori limite
assunti da una parte e dall’altra della
discontinuità.
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Il ruolo delle serie nel calcolo infinitesimale