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Opera, Recensioni
«Armide» a Nancy, la lezione di Christophe Rousset
Francesco Lora il 7 luglio 2015 / Commenti chiusi
Il capolavoro di Lully, in scena al Théâtre National de Lorraine, ha una nuova lettura di riferimento grazie al direttore francese e a una compagnia di canto dove svettano Henry, Prégardien, Wanroij, Chappuis e Mauillon
di Francesco Lora
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HRISTOPHE ROUSSET È OGGI il più esperto e assiduo concertatore delle tragédies lyriques di Jean-Baptiste Lully. Constatazione di fatti: anche in Francia, l’idolatrato artefi-
ce secentesco dell’opera nazionale gode di rappresentazioni sporadiche e di poche incisioni discografiche; la controtendenza è quasi tutta nel merito di Rousset che, ugualmente ferrato nel
repertorio italiano settecentesco, ha pian piano messo a punto la propria indagine, la propria
lettura e il proprio esempio anche sul versante francese secentesco. A ben vedere, negli ultimi
quindici anni il suo percorso lulliano è stato una cauta ma caparbia ascesa: Cadmus et Hermione, Persée, Roland, Bellérophon e Phaëton, tutti eseguiti dal vivo e fissati in cd o dvd, si confermano oggi come avvicinamenti graduali a quello che è tradizionalmente ritenuto il capolavoro
massimo di Lully, Armide (Parigi 1686). A quest’ultimo titolo Rousset ha voluto riservare il colmo della maturità artistica, con cinque recite dal 21 al 30 giugno a Nancy, nel Théâtre National
de Lorraine.
A cosa si assiste, in definitiva? A un malriuscito tentativo di
attuare il teatro nel teatro in un testo che non predispone
strutture drammaturgiche adeguate
L’indirizzo poetico e l’esito interpretativo sono tanto esatti e nitidi da poter essere riferiti in poche parole di lode. Il Lully di Rousset si è via via fatto più asciutto e rigoroso, con più tratto di
disegno che gioco di colore: ciò rinvigorisce la parola in seno al canto, evitando di gingillarsi madrigalisticamente con il suo significato e restituendo invece la psicologia teatrale dalla quale
essa procede. L’ornamentazione scritta è svolta con tutta la sapienza filologica del caso e, nelle
repliche, la frase già ascoltata è sempre dotata di variazioni sopraffine. Ciascun cantante è reso
cosciente dello stile fino alla più riposta minuzia, indi sorretto amorevolmente dal podio in corso di recita. Una lettura dotta e castigata non mette tuttavia in discussione il suono di vetro soffiato dell’orchestra di strumenti originali Les Talens Lyriques, né il divampare della fierezza dell’esecutore e dell’emozione dell’ascoltatore nelle pagine-chiave dell’opera, vedi soprattutto la
monumentale passacaglia dell’atto V, qui staccata voluttuosa e trascinante come mai prima.
Non di pari livello all’orchestra è il coro del teatro nancieiense: impegnato lungo tutta l’opera,
mostra limiti tecnici e azzardi stilistici. La ripresa in forma di concerto al Festival di Beaune, il 3
luglio, nonché l’incisione discografica ufficiale e le repliche concertistiche programmate alla Cité
de la Musique di Parigi e al Theater an der Wien, i prossimi 10 e 18 dicembre, contemplano non
a caso in suo luogo il Chœur de Chambre de Namur, oggi la compagine di riferimento per questo repertorio. Parte dei difetti del coro residente è tuttavia imputabile alle pretese dello spettacolo, firmato da David Hermann per la regìa, Petter Jacobsson e Thomas Caley per la coreografia, Jo Schramm per scene e video, Patrick Dutertre per i costumi e Fabrice Kebour per le luci.
L’allestimento ha momenti felici ogni volta che segua il criterio della ricostruzione storica: la stilizzata enfasi gestuale, il taglio meraviglioso dei costumi e l’effetto delle quinte mobili e delle fughe prospettiche, tanto più se filtrati attraverso una misurata ironia, vantano un’eterna primavera.
Altrimenti, lo spettacolo ricade negli errori esegetici tipici della regìa d’opera contemporanea,
così attenta al torbidume dell’acqua sporca da non accorgersi della freschezza del bambino. Hermann tenta di imbastire uno spettacolo a doppio capo, l’uno rivolto alla ricostruzione storica del
Grand Siècle e l’altro a far vedere le prove in corso dello spettacolo stesso; secondo il suo punto
di vista, Armide troverebbe nella tensione verso il mondo contemporaneo l’affrancamento dalle
proprie angosce, mentre Renaud vi mirerebbe a sua volta salvo poi riconsegnarsi al mondo secentesco. In verità, il libretto di Philippe Quinault – il più bel libretto della storia dell’opera
francese – pone sul tappeto tutt’altri argomenti e situazioni, tanto attuali da non potersene sbarazzare a cuor leggero: cause, tappe e crisi del rapporto amoroso, suoi compromessi, sua vittoria
o sconfitta rispetto alle voci del successo e del dovere. Va da sé che seguire il poeta lungo questo
cammino chiama a ben altre sfide.
A cosa si assiste, in definitiva? A un malriuscito tentativo di attuare il teatro nel teatro in un testo che non predispone strutture drammaturgiche adeguate, e che finisce in tal modo disintegrato a vantaggio di nessuno. A un lungo prologo noiosamente cantato per intero dietro uno
schermo dove si proietta un documentario sulle insegne del potere monarchico nella Place Stanislas di Nancy. A divertissements (i quadri decorativi cantati e danzati) scorporati dall’azione
che invece li invoca e motiva, e ridotti a rappresentazione dell’ordinario squallore odierno. A solisti e coro finemente istruiti da Rousset per esibire sfumature ricercate, ma poi incaricati dal
regista di sbracciarsi volgarmente e di urlare a nervi tesi sopra la musica. A improvvisi cali di
fantasia registica in un spettacolo senza bussola, dove numerose scelte teatrali originali sono
trasportate di sana pianta – ma fuori contesto – dall’indimenticato spettacolo di Robert Carsen
per il Théâtre des Champs-Élysées di Parigi (2008).
Non tutta ideale, la compagnia di canto è però la migliore radunata da che l’Armide ha documentazione fonografica. Protagonista è Marie-Adeline Henry, soprano di considerevole smalto e
risonanza, affine in timbro e piglio alla veterana Guillemette Laurens, temperamentosa fino a
mettere in gioco il buon gusto: un’interprete di ottime risorse, dunque, in una parte che tuttavia
pretenderebbe ancor di più. Renaud è invece l’eccellente Julian Prégardien, che regge l’acutissima tessitura da haute-contre senza mai perdere la rotonda, giovanile, radiosa bellezza timbrica,
né l’ispirazione dell’involo eroico o sognante. Judith van Wanroij e Marie-Claude Chappuis, incisivo soprano la prima e vellutato mezzosoprano la seconda, assortiscono in modo ideale, tra
omogeneità d’intenti artistici e contrasto di natura vocale, le coppie di Gloria e Saggezza, Phénice e Sidonie, Mélisse e Lucinde. Con schietta voce tenorile anziché baritonale, Marc Mauillon
provvede a una personificazione dell’Odio più viscida e insinuante che rabbiosa e tremenda.
Funzionali le parti di fianco. Come Hidraot, Andrew Schroeder palesa segni di affaticamento vocale e ripiega su una caratterizzazione comica poco calzante. Come Artémidore e Ubalde, Patrick Kabongo e Julien Véronèse tengono le rispettive parti con correttezza e simpatia. Altrettanto corretto e simpatico è Fernando Guimarães come Chevalier Danois, ma la sua linea di canto ha avvenenza troppo modesta per ben onorare le frasi dell’Amante fortunato nella citata passacaglia. Incantevole è invece il soprano Hasnaa Bennani, che intona con maliosa eleganza le
frasi della Naiade nello struggente divertissement dell’atto II. Pubblico folto e successo trionfale. Finché si attende l’uscita dell’incisione discografica, l’esecuzione sarà di nuovo in cartellone
– come si diceva, e con una compagnia di canto un poco diversa – a Parigi e Vienna: in forma di
concerto, nell’ascolto della lezione di Rousset e senza distrazioni di cattivo teatro per i suoi musicisti, la gioia del nuovo ascolto si preannuncia massima.
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L'autore: Francesco Lora
È laureato con lode in Discipline dell’Arte, della Musica e dello Spettacolo, ed è dottore di ricerca in Musicologia e Beni musicali (Università di Bologna). Con Elisabetta Pasquini ha fondato e cura la collana «Tesori
musicali emiliani» (Bologna, Ut Orpheus) e vi pubblica in edizione critica partiture sacre e oratoriali del SeiSettecento (G. A. Perti, Integrale della musica sacra per Ferdinando de’ Medici, 2 voll.; G. P. Colonna, L’Assalonne, Il Mosè legato di Dio e La profezia d’Eliseo); con Pasquini ha inoltre curato l’edizione critica dell’opera La rappresaglia di Mercadante, programmata da Riccardo Muti al Teatro Real di Madrid; un suo intervento di argomento filologico è di recente apparso nel «Saggiatore musicale» (XVIII, 2011); attende attualmente all’edizione critica di tre opere del repertorio di Farinelli: Idaspe di Broschi, Medo di Vinci e Siroe, re
di Persia di Hasse. Ha insegnato Drammaturgia musicale nel Conservatorio “G. B. Martini” di Bologna e tenuto corsi di canto gregoriano. Ha collaborato alla compilazione della Cambridge Handel Encyclopedia e
collabora tuttora a quella del Dizionario biografico degli Italiani e del Grove Music Online. Dal 2003 è critico musicale per testate giornalistiche specializzate, inviato nelle principali istituzioni di spettacolo in Italia,
Austria, Belgio, Francia, Germania e Svizzera. Collabora con il «Corriere musicale» dal 2013
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