Merk+Nuovo Verbum Regno:Layout 1 29 12 2010 15.27 16:00 Pagina 1 REGATT 04-2011 cop:REGATT 02-2010 cop.qxd 25/02/2011 Pagina 4 Dalla nuova traduzione della Bibbia quindicinale di attualità e documenti 2011 a cura di A go st in o Mer k e Gi us epp e Ba r bag li o NUOVO TESTAMENTO greco e italiano 4 Attualità pp. 1800 - € 48,00 NUOVO VERBUM la Bibbia di Gerusalemme 73 76 85 94 126 Finanze: la riforma vaticana La donna nel futuro della Chiesa Vento di rivolta nel mondo arabo Indocina: una Chiesa popolare Studio del Mese La Chiesa, Israele e le nazioni Una riflessione sulla Lettera ai Romani (9-11) DVD con libretto - € 19,80 EDB Edizioni Dehoniane Bologna www.dehoniane.it - www.labibbiadigerusalemme.it Anno LVI - N. 1095 - 15 febbraio 2011 - IL REGNO - Via Nosadella 6 - 40100 Bologna - Tel. 051/3392611 - ISSN 0034-3498 - Il mittente chiede la restituzione e s’impegna a pagare la tassa dovuta - Tariffa ROC: “Poste Italiane spa - Sped. in A.P. - DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bologna” Merk+Nuovo Verbum Regno:Layout 1 29 12 2010 15.27 16:00 Pagina 1 REGATT 04-2011 cop:REGATT 02-2010 cop.qxd 25/02/2011 Pagina 4 Dalla nuova traduzione della Bibbia quindicinale di attualità e documenti 2011 a cura di A go st in o Mer k e Gi us epp e Ba r bag li o NUOVO TESTAMENTO greco e italiano 4 Attualità pp. 1800 - € 48,00 NUOVO VERBUM la Bibbia di Gerusalemme 73 76 85 94 126 Finanze: la riforma vaticana La donna nel futuro della Chiesa Vento di rivolta nel mondo arabo Indocina: una Chiesa popolare Studio del Mese La Chiesa, Israele e le nazioni Una riflessione sulla Lettera ai Romani (9-11) DVD con libretto - € 19,80 EDB Edizioni Dehoniane Bologna www.dehoniane.it - www.labibbiadigerusalemme.it Anno LVI - N. 1095 - 15 febbraio 2011 - IL REGNO - Via Nosadella 6 - 40100 Bologna - Tel. 051/3392611 - ISSN 0034-3498 - Il mittente chiede la restituzione e s’impegna a pagare la tassa dovuta - Tariffa ROC: “Poste Italiane spa - Sped. in A.P. - DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bologna” REGATT 04-2011 cop:REGATT 02-2010 cop.qxd 25/02/2011 15.27 Pagina 2 A CHRISTOPH THEOBALD ttualità quindicinale di attualità e documenti 15.2.2011 - n. 4 (1095) Caro lettore, 73 (C. Cardia) se le chiediamo ancora una volta di farsi parte con noi per promuovere la nostra rivista e aumentarne i lettori è perché siamo certi che condividiamo gli stessi valori. Ma forse c’è un dato ulteriore, a partire dal quale le chiediamo un impegno personale. Servono ancora le riflessioni delle riviste specializzate come la nostra? O la grande informazione è di per sé sufficiente? Ha mai provato a immaginare cosa saprebbe dei credenti in Cristo e della vita della Chiesa nel mondo contemporaneo se si limitasse a guardare i telegiornali e a sfogliare i grandi quotidiani? Consigliare a un amico di leggere o tornare a leggere Il Regno può essere importante. Siamo una rivista di informazione religiosa completa, la costruiamo sulla base di materiali provenienti da tutto il mondo; parliamo degli avvenimenti ecclesiali e civili di maggior respiro (non solo di quelli che «fanno notizia»); proponiamo integralmente e con cura i documenti imprescindibili della vita della Chiesa; consigliamo i libri che val la pena leggere. Da 55 anni, Il Regno ha raccontato la Chiesa e il mondo con professionalità e con rigore, con ricchezza di fonti e analisi fuori dal coro. Oggi continua a farlo. Anche attraverso le nuove forme della comunicazione. La newsletter e il sito web www.ilregno.it offrono anche gli strumenti (anticipazioni, indici, possibilità di commentare gli articoli) per poter godere dei pregi della carta stampata senza patirne i limiti. R Benedetto XVI - Una piccola rivoluzione { Le nuove norme vaticane in materia finanziaria } 76 (J. Moingt) Francia - Nel futuro della Chiesa { Joseph Moingt sul ruolo delle donne } Segnalazioni 116 (S. Di Mico) P. SCANDALETTI, M. SORICE (A CURA DI), Yes, credibility C. YANNARAS, Ontologia della relazione 117 (L. Prezzi) E. BERSELLI, L’economia giusta 118 (A. Sena) 82 (L. Prezzi) 119 (F. Strazzari) Cina - Dialogare ancora { Il rischio di tornare «molto» indietro } Germania - Ultima chiamata? { Un manifesto dei teologi } 84 (L. Pr.) Europa - Libertà religiosa Passi avanti e resistenze 85 (G. Brunelli, M.E. Gandolfi) Mondo arabo - Cronologia di un futuro incerto { La protesta ai tempi di Facebook } Chiesa cattolica e islam: all’ombra della rivolta (M.E. G.) 89 (M. Amaladoss) India - Unità o uniformità { La promessa incompiuta dell’inculturazione nell’esperienza delle Chiese asiatiche } A confronto con Roma (D. S.) 94 (F. Strazzari) Vietnam - Di popolo { Il prestigio della Chiesa in una società demoralizzata } I diritti sono diritti (a cura di F. Strazzari) 96 (F. Strazzari) Cambogia - Rinata sotto la croce { Il volto cambogiano della Chiesa } 97 (F. Strazzari) Laos - Ancora persecuzioni { L’ordinazione dei preti è un caso } Libri del mese 99 (A. Deoriti) Del mutare dei tempi { Marisa Rodano: speranze e responsabilità della mia generazione } Bibbia, teologia e pratiche di lettura 116 (R. Castagnetti) 80 (L. Prezzi, M. Bernardoni) Italia - Eucaristia, Chiesa e storia { Intervista a mons. Menichelli sul Congresso eucaristico nazionale } «Seguendo le orme...» della Dei Verbum A. CARFORA, I cristiani al leone 121 (M. Faggioli) USA - Chiesa cattolica Nuova traduzione del Messale 122 (M. Castagnaro) Ecuador - Vescovi Successione problematica 123 (M. C.) Messico - Mons. Ruiz Ha vissuto il Vangelo «NUOVI SAGGI TEOLOGICI » pp. 176 - € 16,00 124 (D. Sala) Diario ecumenico 125 (L. Accattoli) Agenda vaticana Studio del mese { La Chiesa, Israele e le nazioni } 126 (E. Pinot) Destino singolare, elezione comune Infedeltà e salvezza (P. Stefani) 138 (P. Stefani) Parole delle religioni Sulla tradizione 140 I lettori ci scrivono 143 (L. Accattoli) Io non mi vergogno del Vangelo La nostra società accoglie il cristianesimo? " ! ! !! !! !! !! !! !! ! ! ! !!! !! !! !!!!!!!! !!! !!!! !!! DELLO STESSO AUTORE Trasmettere un Vangelo di libertà pp.160 - € 15,80 106 Schede (M.E. Gandolfi) Colophon a p. 142 www.dehoniane.it EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.50 Pagina 73 Finanze della Chiesa BENEDETTO XVI u na piccola rivoluzione Le nuove nor me vaticane in materia finanziaria C on la lettera apostolica motu proprio del 30 dicembre 2010 Benedetto XVI ha approvato quattro leggi in materia finanziaria e monetaria valide territorialmente per lo Stato della Città del Vaticano, e per altri soggetti interessati (cf. Regnodoc. 3,2011,74ss). La prima Legge, su cui mi soffermo in modo particolare, riguarda la trasparenza della movimentazione di denaro, in particolare la prevenzione e il contrasto del riciclaggio dei proventi delle attività criminose e del finanziamento del terrorismo. Le altre leggi riguardano diversi aspetti della questione monetaria. Per comprendere l’ascendenza più diretta della nuova normativa occorre ricordare che il 17 dicembre 2009 era stata stipulata la Convenzione monetaria tra lo Stato della Città del Vaticano e l’Unione Europea, con intermediazione dell’Italia, che prevedeva appunto, tra l’altro, l’adeguamento dell’ordinamento vaticano alla disciplina europea e internazionale sugli strumenti finanziari e la circolazione monetaria. A dife s a dell’autonomia vaticana Però, per individuare le ragioni più importanti delle innovazioni legislative, si deve tener presente che lo Stato della Città del Vaticano è uno stato con caratteri particolari, in quanto non ha nella propria disponibilità tutti quegli elementi che qualunque altro stato possiede. In primo luogo ha una dimensione lillipuziana (44 ettari circa) e ha un territorio che non può essere aumentato, né diminuito (se non con un accordo con l’Italia), in quanto è finalizzato essenzialmen- te a garantire l’indipendenza e la piena libertà della Santa Sede. Questa finalità è di fatto esclusiva al punto che se, per ipotesi astratta, il papa si trasferisse stabilmente altrove, la Città del Vaticano cesserebbe automaticamente di esistere e il territorio tornerebbe a essere incorporato in quello italiano. Anche per queste ragioni, il Vaticano non è uno stato-nazione, essendo privo di una popolazione stabile (la cittadinanza vaticana, concessa a poche centinaia di persone, è temporanea, perché legata alla funzione o all’incarico delle persone stesse, e cessa con il venir meno della funzione o dell’incarico). Non è uno stato con una propria economia e capacità produttiva tale da poter entrare in rapporti economici o commerciali con altri stati, tranne per aspetti limitatissimi e poco rilevanti. Tutto ciò spiega un apparente paradosso. Lo stato del papa, che per ascendenza storica è all’origine della formazione dell’Europa, della sua spiritualità e cultura, non fa parte delle istituzioni politiche europee, non ha partecipato alla formazione della Comunità Europea, trasformatasi poi nell’Unione Europea. L’impossibilità a farne parte deriva appunto dal fatto che il Vaticano non ha una conformazione statuale classica; inoltre esso non accetterebbe di essere sottoposto alle istituzioni europee, alle loro normative, ai loro organi giurisdizionali, perché ciò intaccherebbe la piena indipendenza della Santa Sede e del papa. Ciò non vuol dire che non esistono rapporti con queste istituzioni, e con l’Unione Europea in particolare, dal momento che, laddove è necessario, l’Italia funge da intermediario per convenzioni che disciplinino alcune attività specifiche. Così è avvenuto per l’introduzione dell’euro, che ha sostituito in Vaticano (come in Italia) la lira, ed è avvenuto con la citata Convenzione che ha reso opportuna e necessaria la nuova normativa in materia finanziaria e monetaria. La piena autonomia del Vaticano, nel senso appena precisato, ha creato in passato dei problemi in materia di gestione finanziaria, non tanto per i motivi che certa letteratura ama ripetere, legati a oscuri maneggi di denaro, o a disegni più o meno truffaldini, ma per il fatto che dei soggetti vaticani che gestiscono danaro si trovano oggi a operare in totale autonomia in un’epoca nella quale gli strumenti finanziari si sono moltiplicati all’infinito, e perché la tecnologia sempre più avanzata permette una movimentazione monetaria e finanziaria che può sfuggire ai controlli: tutto ciò provoca incertezza, può essere causa di comportamenti ingenui in ambienti ecclesiastici abituati a una gestione «domestica» del denaro, può causare l’inserimento di soggetti tutt’altro che ingenui e determinare situazioni di sofferenza, o di vero e proprio scandalo. La condizione giuridica dell’Istituto per le opere di religione (IOR) conferma questa situazione di sostanziale estraneità del Vaticano rispetto alla normativa e alle prassi internazionali che impongono rigorosi oneri agli stati, e alle autorità finanziarie nazionali, per favorire il controllo integrato di fenomeni patologici sempre più diffusi. Lo IOR, infatti, istituito con chirografo di Pio XII, ha avuto tra l’altro due modifiche normative, la prima il 24 gennaio 1944 a opera dello stesso Pio XII, la seconda il 1° marzo IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 73 REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.50 Pagina 1999 a opera di Giovanni Paolo II, che hanno riformato l’Istituto fornendolo anche di uno Statuto abbastanza dettagliato. Di fatto, però, anche lo IOR, come altre istituzioni vaticane, ha continuato a godere di un’autonomia ampia, senza essere sottoposto alla normativa internazionale, e ciò ha provocato incertezze e situazioni di sofferenza quando determinate operazioni di movimentazione di denaro non seguivano la prassi internazionale, che ormai è la norma per la maggior parte delle autorità nazionali. Da ricordare, infine, che scopo dello IOR è di provvedere alla custodia e all’amministrazione dei beni mobili e immobili trasferiti o affidati all’Istituto medesimo da persone fisiche o giuridiche e destinati a opere di religione o di carità. Un altro importante ufficio della Santa Sede è l’Amministrazione del patrimonio della sede apostolica (APSA), che ha il compito di amministrare i beni di proprietà della Santa Sede, per garantire i fondi necessari all’adempimento delle funzioni della curia romana. Trasparenza esterna e controllo interno La premessa consente di chiarire che la normativa introdotta da Benedetto XVI è in primo luogo diretta a tutelare il Vaticano e la Santa Sede che hanno tutto da guadagnare dalla trasparenza che viene introdotta in materia finanziaria. In effetti, per passare ai contenuti della nuova legislazione, è bene segnalare che essa riguarda tutti i soggetti, senza alcuna esclusione, «compresi i dicasteri della curia romana e tutti gli organismi ed enti dipendenti dalla Santa Sede ove essi svolgano le attività di cui all’articolo 2 della medesima legge» (quella sulla prevenzione e il contrasto del riciclaggio dei proventi di attività criminose e del finanziamento del terrorismo, di cui ci occupiamo). A sua volta, la lettura dell’articolo 2 conferma l’ampiezza delle attività poste sotto osservazione, le quali riguardano: depositi o altri fondi rimborsabili dal pubblico e concessione di crediti per proprio conto; intermediazione assicurativa; assunzione di partecipazioni; raccolta di depositi o altri fondi rimborsabili; compimento operazioni di prestito; svolgimento servizi di pagamento; emissione e gestione di mezzi di pagamento; rilascio di garanzie e impegni di firma; locazione cassette di sicurezza; svolgi- 74 IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 74 mento di operazioni in cambi per proprio conto o per conto della clientela; acquisto e vendita o mediazione di beni immobili o imprese; gestione di denaro e di strumenti finanziari; apertura o gestione di conti o depositi bancari, libretti di risparmio o depositi di titoli; costituzione, gestione o amministrazione di trust, società o strutture analoghe nonché la prestazione di servizi relativi a società o trust; svolgimento di servizi di investimento aventi a oggetto strumenti finanziari; esercizio della professione di notaio e di legale quando prestano la loro opera partecipando in nome e per conto del cliente a una qualsiasi operazione finanziaria o immobiliare o assistendo i loro clienti nella progettazione o nella realizzazione di specifiche operazioni; la negoziazione di beni, quando il pagamento è effettuato in contanti per un importo pari o superiore a 15.000 euro. L’elencazione delle attività, come si vede, è lunga e articolata, e riguarda un po’ tutte le operazioni di movimentazione di denaro, attivazione di strumenti finanziari, amministrazione di beni e se ne coglie l’importanza se la si riferisce ai soggetti che sono coinvolti dentro e fuori il Vaticano. In effetti, ogni soggetto (compresi IOR e APSA) che opera in Vaticano e in nome e per conto della Santa Sede è tenuto al rispetto delle norme approvate il 30 dicembre 2010 in relazione a qualsiasi operazione finanziaria, immobiliare, di gestione e di beni e servizi. Inoltre, questi soggetti non hanno più quell’autonomia di cui fruivano un tempo, per due fondamentali ragioni: perché sono sottoposti alla vigilanza di un organismo appositamente creato, l’Autorità d’informazione finanziaria (AIF), e sottostanno a una disciplina molto simile a quella che vige negli altri stati e di cui parlerò tra breve. Ciò sta a significare che viene meno l’autonomia di cui godevano gli stessi soggetti in precedenza e che essi sono inseriti nell’operazione trasparenza e controllo che viene posta in essere in esecuzione della Convenzione finanziaria già citata. Ancor più complessa appare, per chi non conosce la problematica finanziaria, la normativa di merito che realizza la finalità della trasparenza. Ma possiamo renderci conto della sua importanza anche solo citando alcuni tra i doveri più importanti imposti ai diversi soggetti. Ad esempio, l’Autorità d’informazione finanziaria congela i fondi e le ri- sorse economiche detenuti da persone fisiche, giuridiche, gruppi o entità, designati secondo i principi e le regole vigenti nell’ordinamento europeo (cf. art. 24, n. 1); stabilisce collegamenti con gli organismi che svolgono funzioni similari negli altri paesi al fine di contribuire al necessario coordinamento internazionale. Il congelamento comporta, tra l’altro, che i fondi non possono essere oggetto di alcun atto di trasferimento, disposizione o utilizzo, ed eventuali atti contrastanti con il congelamento sono nulli (cf. art. 25). Quando viene disposto il congelamento, i soggetti competenti devono comunicare all’AIF le misure applicate nonché i destinatari degli stessi, l’ammontare e la natura dei fondi e delle risorse economiche coinvolte. Un capitolo importante della legge riguarda gli obblighi di adeguata verifica che i soggetti di cui all’articolo 2 devono porre in essere: quando instaurano un rapporto continuativo o d’affari; quando eseguono operazioni occasionali il cui importo sia pari o superiore a 15.000 euro, realizzate con operazione unica o diverse operazioni collegate; per le prestazioni professionali di valore indeterminato e nei casi di costituzione, gestione o amministrazione di società, enti, trust o soggetti giuridici analoghi; quando vi è il sospetto di riciclaggi o di finanziamento del terrorismo, a prescindere da deroghe, soglie o esenzioni applicabili; quando vi sono dubbi sulla veridicità o adeguatezza dei dati relativi all’identificazione del soggetto con cui s’instaura il rapporto (cf. art. 28). La verifica da effettuare consiste nell’identificazione del soggetto che instaura il rapporto continuativo o d’affari, e dell’eventuale titolare effettivo; nell’acquisizione di informazioni sullo scopo e natura del rapporto; nel controllo costante dello stesso rapporto o relazione d’affari. Se non si è in grado di effettuare la verifica (per difficoltà oggettive, per inadeguatezza degli strumenti di controllo) non può essere instaurato il rapporto continuativo o d’affari, e se questo è già instaurato viene chiuso (cf. art. 29). Un altro importante obbligo di carattere generale è quello previsto dall’articolo 32, per il quale tutta la documentazione relativa ai rapporti instaurati e alle operazioni eseguite è conservata per cinque anni affinché possa essere utilizzata per eventuali indagini o analisi su eventuali operazioni di riciclaggio o di finan- REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.50 Pagina ziamento del terrorismo, e su di essa si deve poter rispondere pienamente e rapidamente a qualsiasi richiesta d’informazione proveniente dall’AIF. Per l’articolo 34 i soggetti di cui all’articolo 2 sono tenuti a informare prontamente l’AIF (di propria iniziativa o su richiesta) quando siano a conoscenza, sospettino o abbiano motivi ragionevoli di sospettare che siano in corso, o siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio, di autoriciclaggio o di finanziamento del terrorismo. Il sospetto è desunto, sulla base della capacità economica e dell’attività svolta dal soggetto, dalle caratteristiche di entità e natura dell’operazione o da qualsivoglia altra circostanza conosciuta in ragione delle funzioni esercitate. Il contrasto d e l le m alve r s a z i o n i La legge opera poi in altre direzioni per rafforzare il nuovo corso di resistenza e contrasto nei confronti delle malversazioni finanziarie e monetarie. In primo luogo rafforza la repressione a livello penale prevedendo nuove fattispecie di reato, e pene pesanti, in materia finanziaria. Basterà ricordare che per l’articolo 3 della legge, chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da un reato grave, ovvero compie in relazione a essi altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa, ovvero impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti da un reato grave, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da 1.000 a 15.000 euro. La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell’esercizio di un’attività professionale. La fattispecie delittuosa sussiste anche se le attività che hanno generato il denaro, i beni, o le altre utilità da riciclare si sono svolte nel territorio di un altro stato. La parte penalistica prosegue occupandosi delle attività in qualunque modo collegate a finalità di terrorismo ed eversione (cf. artt. 4-8), delle malversazioni a danno dello stato (cf. art. 9), truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (cf. art. 10), indebita percezione di erogazioni a danno dello stato (cf. art. 11), di abuso di informazioni privilegiate (cf. art. 12), manipolazione del mercato (cf. art. 13), tratta di persone (cf. art. 14), contrabbando (cf. art. 17), tutela dell’ambiente (cf. art. 18), attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (cf. art. 75 19), produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope (cf. art. 20). Si tratta di un allineamento importante agli altri ordinamenti, perché impegna gli organismi vaticani nell’ambito delle indagini che possono portare alla punizione degli autori dei delitti. Altre innovazioni dovrebbero far superare problemi presentatisi in passato, perché da un lato implicano la limitazione dell’autonomia interna dei soggetti di cui all’art. 2 (dicasteri, IOR ecc.), dall’altro esigono che si instauri un rapporto di collaborazione e di scambio tra autorità vaticane (in particolare l’AIF) e autorità a livello internazionale. Per quanto riguarda la prima questione, si è già accennato agli obblighi imposti ai soggetti interessati quasi sempre in relazione all’AIF. Si può aggiungere che questa Autorità è dotata della massima autonomia in relazione a controlli e capacità di comando sui soggetti stessi, questione che non era affatto scontata se si considera l’autonomia di cui godono i singoli dicasteri nell’ordinamento canonico. È il caso di aggiungere che l’AIF, oltre a esercitare le proprie funzioni in piena indipendenza, ha accesso, anche direttamente, alle informazioni finanziarie, amministrative, investigative e giudiziarie necessarie per assolvere i propri compiti di contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo. Essa ha il potere di effettuare verifiche presso i soggetti di cui all’articolo 2 e di irrogare, nei casi previsti dalla legge, sanzioni amministrative pecuniarie nei confronti dei responsabili. L’Autorità esegue l’analisi finanziaria delle segnalazioni esaminando e approfondendo gli elementi costitutivi e le modalità di svolgimento delle operazioni sospette, avvalendosi di informazioni comunque in proprio possesso o acquisite da altri soggetti e organi dello stato, e comunica al promotore di giustizia presso il tribunale i fatti che integrino possibili fattispecie di riciclaggio, autoriciclaggio o di finanziamento del terrorismo. Ancora, essa emana e aggiorna indicatori di anomalia per agevolare l’individuazione delle operazioni sospette; riceve le segnalazioni di operazioni sospette ed effettua i necessari approfondimenti ai fini dell’eventuale denuncia al promotore di giustizia presso il tribunale; valuta l’efficacia dei sistemi adottati dai soggetti obbligati per combattere il riciclaggio e il finanziamento e, nel caso, suggerisce le modifi- che o integrazioni da apportare ai sistemi medesimi; trasmette al segretario di stato, entro il 30 settembre di ogni anno, un rapporto sull’attività svolta; cura i rapporti con gli organismi internazionali e comunitari incaricati di definire politiche e standard in materia di prevenzione e contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo (cf. art. 33). Infine, oltre quanto già accennato, l’articolo 41 della legge apre il Vaticano alla collaborazione con le autorità che operano nel settore finanziario e monetario a livello europeo e internazionale. Esso prevede che l’AIF vaticana scambi a condizioni di reciprocità e, di norma, sulla base di memorandum d’intesa, informazioni in materia di operazioni sospette e collabori con le autorità di altri stati che perseguono le stesse finalità di prevenzione e contrasto dei reati e delle malversazioni più volte citati. E aggiunge, significativamente, che il segreto d’ufficio e le eventuali restrizioni alla comunicazione di informazioni provenienti da obblighi contrattuali o da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative non ostacolano l’adempimento degli obblighi di cui al comma che precede. L’AIF, conformemente a quanto previsto dalla Decisione 2000/642/GAI e da altre fonti internazionali, disciplina gli ambiti di utilizzo delle informazioni ricevute dall’Unità di informazione finanziaria (FIU) di altri stati. Si può, quindi, parlare di una piccola rivoluzione nella disciplina della questione finanziaria che agisce a diversi livelli. In primo luogo viene meno l’isolamento nel quale si trovava lo Stato della Città del Vaticano nei confronti della normativa europea, internazionale e dei rapporti di collaborazione (che comportano scambi di informazioni, obblighi reciproci d’intervento, trasparenza anche all’esterno del complesso delle operazioni finanziarie) che devono instaurarsi con autorità finanziarie di altri paesi. Si aggiunga che alcuni riferimenti della legge vaticana a fonti del diritto internazionali comporteranno l’adeguamento automatico al cambiamento di queste fonti. Con la conseguenza che il Vaticano vedrà maturare un processo d’integrazione (almeno pro parte) con l’Unione Europea che potrebbe raggiungere in futuro ulteriori traguardi e far crescere il prestigio del Vaticano a livello europeo e internazionale. Carlo Cardia IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 75 REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.50 Pagina 76 Chiesa e questione femminile FRANCIA n el futuro della Chiesa Jo s e p h M o i n g t s u l r u o l o d e l l e d o n n e U no dei tratti maggiori dell’evoluzione della civiltà occidentale all’alba del XXI secolo – sicuramente il più significativo dopo millenni – riguarda la condizione della donna, che, dopo aver acquisito i suoi diritti civili ed essersi emancipata dalla tutela paterna e maritale nella seconda metà del secolo scorso, sta conquistando – perché la lotta è tutt’altro che finita – l’uguaglianza nel trattamento professionale con gli uomini e sta aprendosi un accesso equo ai più alti posti di responsabilità in tutti gli ambiti, economico, culturale e politico, della vita sociale. Un altro tratto di tale evoluzione tra i più considerevoli, apparso nello stesso tempo e nello stesso spazio culturale, è il declino della Chiesa cattolica, il cui numero di fedeli è diminuito tanto rapidamente quanto quello dei suoi quadri pastorali, che sta perdendo il poco che le resta dell’influenza esercitata da duemila anni sulla società e sugli individui, al punto che il suo futuro prossimo pone questioni angosciose. Vi è una correlazione tra questi due aspetti dell’evoluzione che viviamo, e, in caso affermativo, quale dovrebbe essere la condizione della donna nella Chiesa per interrompere il suo declino e ridarle speranza nel futuro? Sarà questo l’oggetto della presente riflessione. Il conf lit to s u l te r re n o d e i cos t u m i La Chiesa si vanta d’aver essa stessa insegnato il rispetto della donna al mondo pagano o barbaro, d’averla sempre difesa e sostenuta e di professare l’emi- 76 IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 nente dignità della donna, chiamata alla stessa santità dell’uomo. A riprova di questo fatto ha elevato un gran numero di donne agli onori degli altari e ne ha persino dichiarato diverse dottori della Chiesa universale allo stesso titolo di vescovi e teologi illustri. Tale dignità è legata, ai suoi occhi, a ciò che definisce la condizione della donna nello stato coniugale secondo la legge del Creatore: la castità, che esclude le relazioni sessuali prima e fuori dal matrimonio, e la maternità, che vota la donna alla procreazione, all’educazione dei bambini, al sostegno di suo marito, all’unione delle famiglie e alla buona tenuta della casa. La Chiesa ne offre come modello Maria, madre di Gesù, che ha conciliato in sé, in grado sovreminente, castità e maternità, e il cui destino ha mostrato la dignità che il cristianesimo riserva alla condizione femminile. Ora, questa condizione è la stessa che veniva riservata alla donna dai costumi delle società patriarcali e tradizionali nelle quali il popolo della Bibbia aveva meditato e ritrascritto la legge del Creatore e in cui la Chiesa era nata, e poi si era sviluppata, senza cercare di trasformarla se non impegnandosi sempre – è giusto riconoscerlo – nella difesa delle donne contro i maltrattamenti che le minacciavano, nella protezione delle famiglie, nel favorire l’istruzione delle giovani e perfino, più di recente, il loro ingresso nella vita professionale e civile. Ciò non toglie che una tale condizione limitasse strettamente il loro orizzonte di vita e le loro ambizioni più legittime e le mantenesse in una netta situazione d’inferiorità rispetto agli uomini. Ma la donna dei tempi moderni ha finito per emanciparsi da una tale condizione approfittando dell’evoluzione della cultura, delle scienze e delle tecniche, e in particolare con l’aiuto – o al prezzo? – della «rivoluzione sessuale» e del controllo delle nascite. È su questo punto che l’emancipazione della donna si è scontrata con la forte resistenza della Chiesa cattolica, la quale ha moltiplicato gli appelli alla legge naturale e divina, che lega – a suo giudizio – l’atto sessuale alla procreazione, e le condanne di ogni utilizzo del preservativo e dei metodi anticoncezionali. Sentendosi incomprese, disprezzate o attaccate da essa, molte donne hanno cominciato e continuano in maniera sempre più decisa a lasciare la Chiesa, mentre la fiducia di quelle che le restavano fedeli, pur indirizzando la loro vita sessuale secondo la propria coscienza, era e resta considerevolmente scossa. Dopo aver perduto gran parte del mondo operaio, e in seguito buona parte del mondo intellettuale, la Chiesa perdeva, sul terreno dei costumi, ampie fasce di quel mondo femminile che aveva fornito la maggior parte delle sue truppe nel secolo scorso. Da quando si era stabilita la regola di battezzare i bambini fin dalla nascita, era compito della donna di risvegliarli alla fede e alla pietà, poi di educarli nell’obbedienza alle regole della morale e alle pratiche della religione. Al posto del prete, che istruiva i catecumeni adulti nei secoli precedenti, erano le donne ormai che assicuravano la crescita della Chiesa nella società attraverso il flusso delle generazioni. Ma ecco che la donna dei tempi moderni, emancipata dalle strutture in cui la imprigionavano le società tradizionali, si sottrae alla vocazione di generare dei piccoli cristiani REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.50 Pagina assegnatale dalla tradizione ecclesiale. La Chiesa tende dunque a opporsi il più possibile all’emancipazione della donna e quest’ultima ha finito per vedere nella Chiesa il maggiore ostacolo alla sua promozione sociale: una tale ostilità reciproca compromette gravemente il futuro del cattolicesimo.1 Le donne non erano e non sono soltanto le più numerose tra i fedeli, erano anche, e sono più che mai, le più attive in tutti gli ambiti in cui si edifica la città di Dio in mezzo agli uomini. C’erano tra loro molte religiose, ce ne sono ancora, ma sempre di meno, visto il calo delle vocazioni alla vita consacrata, cosicché le donne laiche sono oggi di gran lunga le principali collaboratrici del clero. Occupano posti di responsabilità nella maggior parte dei campi della vita della Chiesa: catechesi e catecumenato, movimenti di Azione cattolica e di spiritualità, insegnamento religioso e anche teologico, opere missionarie, servizi pastorali di animazione liturgica, di preparazione al battesimo, al matrimonio, alle esequie; in molti luoghi esse sono anche, vista la lontananza e la scarsità dei preti, l’unico sostegno della vita parrocchiale. Sono? Mi affretto a correggermi: erano, non sono più «responsabili» di niente; anche se tutto continua a poggiare in larga misura su di loro. Sullo slancio del Vaticano II, non si era esitato ad affidare alle donne delle responsabilità a tutti i livelli: parrocchiale, diocesano, regionale, nazionale. Conosco perfino un caso (ma ce ne furono altri senza dubbio) in cui una donna (qualificata sul piano teologico) era stata debitamente incaricata dal suo vescovo di assicurare l’omelia e l’animazione dell’eucaristia domenicale. Ma un capovolgimento ha avuto luogo fin dagli anni Ottanta e non ha fatto che accentuarsi da allora. Certo, si conta sempre e più che mai sull’aiuto delle donne: come si potrebbe farne a meno? Ma che restino al loro posto di serve docili, ben inquadrate in équipe «pastorali» sotto la responsabilità «sacerdotale». Un po’ ovunque e in tutti i settori esse sono state allontanate e, ancora una volta, non tanto dalle attività che erano state loro affidate, ma dalla loro animazione, direzione e orientamento. Da quanto ho potuto leggere e sentito dire, il motivo era la volontà di restaurare «l’identità» dei preti, perturbata, si pensava, dalla perdita di funzioni loro riservate fino ad 77 allora e della considerazione che vi era collegata, una perdita d’identità con la quale si riteneva di poter spiegare anche la tragica diminuzione delle vocazioni allo stato presbiterale. In tutte le diocesi si sono così moltiplicati gli appelli al «diaconato permanente» con l’intenzione di ricondurre sotto l’obbedienza e la specificità del sacramento dell’ordine il maggior numero possibile di responsabilità che erano cadute nell’ambito del laicato. Tale motivazione riguardava tanto gli uomini quanto le donne, ma queste ultime risultavano maggiormente colpite, poiché erano più numerose nel servizio della Chiesa. Cit tadinanza a pieno titolo La volontà della gerarchia di allontanare le donne si manifestò, in particolare, in tutto ciò che riguarda il servizio dell’altare e dei sacramenti, al punto, persino risibile, di proibire la scelta dei chierichetti tra le bambine. Il motivo, chiaro quando non espressamente riconosciuto, era il timore d’incoraggiare in loro il desiderio del sacerdozio. Alcune ordinazioni di donne al presbiterato, in effetti, erano avvenute in modo ufficiale in diverse Chiese anglicane che si vantavano, in precedenza, di restare fedeli al rito romano, e anche alcune donne cattoliche erano riuscite a farsi ordinare preti in maniera «selvaggia» in diversi paesi; la questione preoccupava l’opinione pubblica cattolica e alcuni seri teologi sostenevano la possibilità di procedere a tali ordinazioni. Papa Giovanni Paolo II pensò di chiudere il dibattito con un rifiuto «definitivo»,2 cosa che il suo successore ha recentemente ricordato a riprova del fatto che il dibattito non è effettivamente chiuso.3 La maggior parte delle donne impegnate nella Chiesa sono ben lontane dall’ambire al presbiterato o dal rivendicare il potere; ciò non toglie che si sentano ferite dalla diffidenza di cui si sentono oggetto, tanto che la stampa, intervenendo in questo dibattito, rimprovera frequentemente al papato una discriminazione tra i sessi contraria ai diritti umani. Queste donne, che hanno ricoperto o che ancora ricoprono ruoli di responsabilità tanto nella vita civile quanto in quella professionale, vedono bene che la Chiesa non è disposta a concedere loro diritti e competenze equivalenti a quelli che esse hanno acquisito nella società. Molte, scoraggiate, se ne vanno; tante al- tre, che frequentavano la Chiesa senza essersi messe al suo servizio, umiliate dalle proibizioni e dalle esclusioni che colpiscono il loro sesso, la abbandonano e il suo rifiuto di riconoscere alle donne piena «cittadinanza» non fa che accrescere l’emorragia di cui la Chiesa rischia di morire. Ci si stupirà di un atteggiamento «suicida», che priva la Chiesa dell’unico sostegno attivo a sua disposizione, dissuade le donne dall’occuparsi dell’educazione religiosa dei figli come nel passato e rovina la sua credibilità nei confronti di una società «definitivamente» convinta della promozione femminile. A tutto questo la Chiesa oppone la sua tradizione immemorabile che le impedisce di adattarsi ai costumi e alle evoluzioni del mondo contrari alla legge di Dio. Ma vi è motivo d’identificare i due aspetti? Sul piano della morale, la Chiesa collega l’esercizio della sessualità al matrimonio legittimo e alla procreazione in virtù di una legge naturale che ha Dio per autore e di cui essa è custode. Ma gli antropologi sanno bene che le regole matrimoniali sono questione di convenzioni sociali e che variano secondo i tempi e i luoghi; ciò che i moralisti antichi consideravano come «legge naturale» non era indenne dai costumi sanzionati dalla legge civile; e quando si fa appello alla «natura», ci si pone sotto il regime della ragione comune. Certo, quest’ultima è soggetta a variazioni e all’errare, ma nemmeno la morale della Chiesa ne è esente, ed è spesso con sapienza che essa ha saputo tener conto delle evoluzioni dei costumi. Oggi, ad esempio, benché si professi che le giovani coppie non sposate «vivono nel peccato», le si accoglie con bontà per prepararle al matrimonio sacramentale o per battezzare i loro figli; un numero sempre crescente di voci autorizzate preconizza un’accoglienza simile nelle comunità cristiane a beneficio dei divorziati risposati. La Chiesa dovrebbe accettare un libero dibattito sulle questioni etiche che interessano tutte le società ed entrarvi essa stessa, senza arrogarsi un diritto esclusivo e assoluto d’insegnamento. La condanna dell’utilizzo dei preservativi, unico mezzo unanimemente riconosciuto capace di contenere la propagazione dell’AIDS, ha fortemente intaccato il suo credito presso gli organismi internazionali che si preoccupano di questo flagello;4 tristi reati sessuali commessi da preti IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 77 REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.50 Pagina e «coperti» dalla sua gerarchia dovrebbero incitarla a maggiore prudenza. Che essa non voglia dibattere con un’opinione pubblica ostile a ogni regola morale, lo si capisce; ma perché non dare fiducia ai suoi teologi e ai fedeli istruiti anch’essi dallo Spirito Santo, e particolarmente alle donne, le prime a essere coinvolte, la cui coscienza ed esperienza meriterebbero di essere ascoltate prima che si decida su di loro da parte di maschi celibi? La Chiesa avrebbe paura di perdere potere consultando i suoi fedeli? L’alternativa è di perdere i fedeli. È ancora una questione di potere che trattiene la Chiesa dal fare spazio nei suoi organismi dirigenti alle donne che lavorano per essa. Se la sua tradizione se n’era astenuta è per la stessa ragione di altre società, che hanno impiegato molto tempo a liberarsi dal loro spirito patriarcale, feudale o corporativo. Non si tratta qui solo dell’ordinazione delle donne al presbiterato. Senza esservi totalmente ostile, non l’ho mai sostenuta, come neppure l’ordinazione di uomini sposati o la revoca della legge del celibato sacerdotale, per la sola e semplice ragione che il potere della Chiesa è legato al sacro e che l’interesse della fede non è di estendere l’ambito del sacro, ma di temperare il potere e, per questo, di condividerlo al di fuori del sacro. In effetti, nel nostro mondo laicizzato e secolarizzato, ovvero democratico, la fede può solo deperire se viene privata della libertà a cui Cristo chiama tutti i cristiani secondo le parole stesse di san Paolo,5 il quale ricordava senza dubbio che Gesù aveva parlato una sola volta di potere per proibire ai suoi apostoli di usarlo alla maniera dei potenti, i quali amano imporre il loro dominio e farlo vedere e sentire.6 Ecco perché il rimedio al declino della Chiesa nel tempo presente mi sembra essere la risoluta decisione di mettere in atto le raccomandazioni del Vaticano II, anziché guardarle con sospetto e andare nel senso contrario:7 lasciare maggior libertà d’iniziativa e di sperimentazione alle Chiese locali; preoccuparsi meno di rafforzare le strutture amministrative dell’istituzione e più di far vivere le comunità di cristiani, per quanto piccole, là dove risiedono; chiamare i fedeli ad assumersi la responsabilità del loro esser-cristiani e del loro vivere nella Chiesa, non individualmente, né tra loro soli, ma in comune e in dialogo con l’autorità episcopale; affidarsi maggiormente a una libertà creativa piuttosto che all’obbedien- 78 IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 78 za passiva; far entrare dei laici, debitamente delegati dalle loro comunità, nei luoghi dove si prendono le decisioni pastorali, a tutti i livelli, e a parità con il clero, e non solo in gruppi di semplice consultazione; lasciar entrare le donne in questi luoghi di decisione a parità con gli uomini. Perché a parità? Per non erigere la Chiesa a simbolo di una contro-cultura. Per aprirsi, dunque, allo spirito del mondo malgrado san Paolo esorti i cristiani a non conformarsi «a questo mondo»?8 No, ma per favorire l’apertura del mondo alla penetrazione dello spirito evangelico. Non è più il tempo in cui la Chiesa istruiva dei popoli barbari o delle popolazioni incolte e illetterate; essa si rivolge adesso a un mondo «maggiorenne», non può più ammaestrarlo dall’alto della cattedra, deve riconoscerne i valori per far ascoltare la sua parola. Si tratta, allora, di adattarsi ai «valori» di un mondo secolarizzato? Non esattamente, perché molti di quei valori sono il frutto di semi evangelici che la Chiesa ha gettato nel mondo nel corso della loro vita comune, prime fra tutte quelle idee di libertà e di uguaglianza da cui si è sviluppata l’emancipazione della condizione femminile; tali idee hanno potuto subire deviazioni dal loro senso originale e produrre frutti snaturati, ma ciò non toglie che la Chiesa potrà nuovamente indirizzarle e rigenerarle solo riconoscendo la loro provenienza evangelica, e questo non sarà possibile se non lasciando che tali idee producano i loro frutti nel suo seno, fuori dal quale le aveva respinte. Rileggere i Vangeli al femminile plurale È così che il riconoscimento effettivo dell’emancipazione della donna, nella Chiesa come nel mondo, è divenuto la condizione di possibilità dell’evangelizzazione del mondo; e, poiché la missione evangelica è la ragione d’essere della Chiesa, la nuova accoglienza che essa riserverà alla donna sarà il «simbolo» operante della sua presenza evangelica al mondo di oggi, il pegno della sua sopravvivenza. La donna non porta più corsetti: la Chiesa deve essa stessa emanciparsi dalla tradizione che la lega alle società patriarcali del passato per darsi, attraverso lo spazio che saprà fare alle donne, il diritto di sopravvivere in questo mondo nuovo.9 È consuetudine della Chiesa interpretare le Scritture facendo appello alla sua tradizione. A rigore teologico, ha maggiore legittimità il contrario e quando la tradizione non ha risposte a problemi nuovi, e rifiuta quelle che si propongono, il ricorso alle Scritture si impone con pieno diritto. È quanto ha fatto Giovanni Paolo II volendo risolvere la questione dell’ordinazione delle donne: ha notato che Gesù, volendo costituire il suo collegio apostolico al termine di una notte di preghiera, non fece appello alla più degna delle creature, sua madre, e da questo ha dedotto che le donne erano state deliberatamente scartate dal sacerdozio.10 Ma Gesù non nutriva alcun progetto di stabilire la sua Chiesa nella durata del tempo, lui che non la considerava che in termini di regno di Dio, e non aveva dato ai suoi apostoli alcuna istruzione di tipo istituzionale, poiché questi, la sera della sua ascensione, davano per scontato il suo prossimo ritorno per restaurare la regalità d’Israele.11 Il papa aveva anche notato che Gesù, rompendo su questo punto con la consuetudine del suo tempo e del suo paese, si circondava volentieri di compagnia femminile: tale osservazione merita di esser presa in considerazione, ma in senso opposto alle conclusioni negative che egli ne traeva. Gli incontri di Gesù con alcune donne non hanno, infatti, nulla di anodino, e sono stati raccontati per la nostra istruzione. Egli manifesta la sua gloria per la prima volta a Cana su preghiera di sua madre; a più riprese erige delle donne a modello di fede e compie delle guarigioni che imputa alla loro fede; dell’unzione ricevuta da una donna alla vigilia della sua morte fa un memoriale della sua passione e prescrive che sia trasmesso alle generazioni future; accredita due sorelle sue amiche, Marta e Maria, come autentiche discepole, ricevendo dall’una la migliore testimonianza della sua divinità: «Tu sei la Risurrezione e la Vita», e presentando l’altra come il perfetto ricettacolo della sua Parola: «Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta»; infine, è a un’altra donna, un’altra amica, Maria di Magdala, a cui appare per primo all’uscita dalla tomba, che affida il messaggio della sua risurrezione affinché sia lei a comunicarne la buona novella ai suoi apostoli.12 Da questi esempi, per quanto eloquenti essi siano (ma altri sarebbero senza dubbio da cercare), mi guarderei dal trarre argomenti a favore dell’ordinazione delle donne, poiché Gesù non ha mai pronunciato la parola sacerdozio; ma ri- REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.50 Pagina 79 cevo la chiara indicazione che egli ha creduto in loro, che si è affidato a loro, che ha affidato a loro il suo Vangelo, come ai suoi apostoli; in modo diverso, forse: egli non le invia a percorrere il mondo; ma non meno autentico: le destina alla stessa missione ricevuta dal Padre di diffondere la Vita nel mondo. Invitava così la sua Chiesa a fare delle donne una risorsa per continuare la sua opera. In breve, non si può trarre alcun principio di esclusione dalle parole o dagli esempi di Gesù, null’altro che una pressante esortazione a non aver timore d’incaricare del ministero del Vangelo chiunque, uomo o donna, abbia abbastanza fede in lui per offrirsi a questo compito: perché lui solo dà la forza di portarlo e lui fa portare frutto. San Paolo, non volendo più conoscere Cristo «secondo la carne» e consapevole che lui aveva rinnovato la vecchia umanità con la sua morte e la sua risurrezione, ne ha tratto il solo principio fondatore del cristianesimo, l’esclusione di qualsiasi esclusivismo: «Non c’è giudeo né greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù».13 Non voleva dire che non c’è più differenza tra i due termini di ogni coppia, ma che nessuna di queste differenze poteva essere, nel corpo di Cristo che è la Chiesa, fonte di divisione o di esclusione. Anche se non ha potuto o saputo trarne tutte le conseguenze,14 Paolo aveva così enunciato il principio fondatore delle società aperte, liberate dalle divisioni delle società antiche, principio che ha permesso alla don- na dei tempi moderni di liberarsi dall’oppressione dell’uomo e di rivendicare l’uguaglianza con lui. L’istituzione ecclesiale non ha altra legge organica. * L’articolo è apparso su Études 155(2011) 1, gennaio 2011. La versione italiana è il frutto di una nostra revisione della traduzione pubblicata sul sito web www.finesettimana.org. 1 La rivista Esprit nel febbraio 2010 ha pubblicato due articoli di grande interesse su «Le déclin du catholicisme européen» che si interessano particolarmente al rapporto della Chiesa con le donne. Lo storico C. LANGLOIS, «Sexe, modernité et catholicisme. Les origines oubliées», analizza l’evoluzione delle Congregazioni romane dal 1820, passando da una «comprensione pastorale» verso le pratiche sessuali al «rigorismo» attuale (110.121). La sociologa C. GRÉMION, «La décision dans l’Église. Contraception, procréation assistée, avortement: trois moments clés», mostra la tragica ricaduta delle decisioni degli ultimi tre papi in questa materia sull’esodo crescente dei fedeli fuori dalla Chiesa (122-133). 2 Con la lettera Ordinatio sacerdotalis del 1994 che richiede l’assenso «in modo definitivo» (n. 4; EV 14/1348) alla dottrina che esclude la donna dal sacerdozio, per dei motivi che espongo più avanti. Avevo analizzato la portata di questo documento in un editoriale intitolato «Sur un débat clos» (Su un dibattito chiuso) del- la rivista Recherches de Science religieuse, 82(1993) 3, 321-333. 3 La Croix del 14.7.2010 presenta un documento della Congregazione per la dottrina della fede, pubblicato in quei giorni, che definisce ogni tentativo di ordinare una donna come «delitto grave contro la fede» in quanto «offesa all’ordine sacro» (l’autore allude qui alle nuove Normae de gravioribus delictis; Regno-doc. 15,2010,457ss; ndr). 4 Un recente libro di papa Benedetto XVI, Luce del mondo, sembra annunciare un leggero cambiamento della posizione della Chiesa su questo punto. 5 «Cristo ci ha liberati per la libertà!» (Gal 5,1). 6 «I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno potere su di esse sono chiamati benefattori. Voi però non fate così» (Lc 22,25-26). 7 Cf. cc. II, «Il popolo di Dio» e IV, «I laici», della costituzione dogmatica sulla Chiesa (CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, cost. dogm. Lumen gentium sulla Chiesa, nn. 9-17.30-38; EV 1/308-327.361-386). 8 Rm 12,2. 9 Leggo in un’intervista del sociologo Alain I l « se ss o d e b o le » La sola appartenenza al «sesso debole», come lo definisce una tradizione orgogliosamente «maschilista», può essere motivo di discriminazione e di eliminazione in una Chiesa che pone il suo orgoglio e la sua forza nella debolezza della croce? Gesù stesso ha cercato immagini abbastanza umili, abbastanza commoventi, per parlare del suo Regno: i fiori dei campi, il granello di senape, una monetina perduta, la pecora smarrita, il padrone di casa in abiti di servizio... Egli non mancava di qualità generalmente attribuite al sesso femminile: intuizione, sensibilità, compassione, l’arte di attirare le confidenze, e neanche della debolezza: cedeva talvolta a sua madre, pur sottraendosi ai suoi inseguimenti; gli capitava di esplodere di gioia, di collera o di scoppiare in lacrime; sapeva soffrire, attendere, sopportare come pochi uomini ne sono capaci. Introdurre nella Chiesa un po’ di femminilità, a condizione di darle uno spazio in cui possa risplendere, sarà versarvi quella parte di umanità ancora troppo ridotta o mascherata da un potere esclusivamente maschile e sacro, ovvero intollerante. Lo ripeto, il primo problema non è dare potere alle donne. Non culliamoci in immagini idilliache: non sarebbe difficile trovare diverse donne entusiaste all’idea di entrare nel personaggio del pre- te, apportandovi una dose di seduzione che, lo sappiamo, renderebbe il potere più pericoloso. Si tratta, prima di tutto, di rinnovare il terreno delle comunità cristiane, di instaurarvi libertà, alterità, uguaglianza, corresponsabilità, cogestione, di lasciarvi penetrare le preoccupazioni del mondo esterno, di rendere le sue celebrazioni più conviviali, a immagine dei primi pasti eucaristici in cui si condivideva il pane e i viveri sotto la presidenza benevola di un padre di famiglia; tutto ciò senza dimenticare il principio paolino di escludere tutto quanto esclude. Dentro una tale atmosfera rinnovata la condivisione del potere si presenterà sotto una nuova luce. Ci si ricorderà che il «presbiterato» dei primi secoli, il cui nome è stato reintrodotto, non aveva granché di sacerdotale, essendo allora il sacerdozio riservato al vescovo, e si sarà capaci di reinventarlo sciogliendo il tremendo rapporto tra potere, sesso maschile e sacro. Non si rischierà così di sconvolgere il potere monarchico sul quale la tradizione ha costruito l’organizzazione dell’istituzione ecclesiastica? Può darsi, ma perché averne timore in anticipo? Non è forse a proposito di una donna e per bocca di lei che fu profetizzato: «Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili»?15 Non si tratta di rovesciare alcunché, ma d’innalzare ciò che è ingiustamente abbassato. La donna e il futuro della Chiesa? La donna è e sarà il futuro della Chiesa. Joseph Moingt* Touraine pubblicata su Le Monde il 5.9.2010: «Ci sono due supporti al cambiamento già operanti. Il primo è l’ecologia (…). Il secondo è che stiamo passando da un mondo di uomini a un mondo di donne. Le donne, essendo state dalla parte del polo freddo di cui parlava Lévi-Strauss, vogliono passare dalla parte calda per rimettere tutto insieme, il corpo e lo spirito, l’uomo e la donna, gli esseri umani e la natura ecc. Tutto ciò esplode in questo momento, anche se non è molto sentito dal pubblico». 10 Il nucleo essenziale dell’argomentazione di Giovanni Paolo II deriva da un intervento di Paolo VI del 1975 (nota 2; cf. EV 14/1340-1341) e da una dichiarazione della Congregazione per la dottrina della fede approvata nel 1976 (EV 5/2110ss). 11 Cf. At 1,6. 12 Cf. Gv 2,1; Mt 9,22; Mc 14,3-9; Gv 11,27 e Lc 10,38-43; Gv 20,11.18. 13 Gal 3,28. 14 Non ha condannato la schiavitù, né respinto la sottomissione della moglie al marito: era uomo del suo tempo. Ma escludeva queste diseguaglianze dalla Chiesa, ed è così che ha fatto cambiare i costumi. 15 Lc 1,52. IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 79 REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.50 Pagina 80 Congresso eucaristico nazionale I TA L I A e ucaristia, Chiesa e storia Intervista a mons. Edoardo Menichelli S i celebrerà ad Ancona in settembre (3-11) il XXV Congresso eucaristico nazionale. Ne parliamo con mons. Edoardo Menichelli, arcivescovo di Ancona-Osimo e presidente del comitato organizzatore. «Onorare e celebrare l’eucaristia oggi significa anzitutto prendere atto di dove siamo e come siamo. Il titolo del Congresso eucaristico nazionale “Signore da chi andremo?” vuole riassumere la sofferenza, il disagio, l’inquietudine dell’umanità di oggi. Ma dare voce anche al grido di dolore della Chiesa che si trova a vivere in un tempo dove sembra incapace di incidere, di trovare strade percorribili, di farsi ascoltare dagli uomini in una società che si sta costruendo non tanto contro Dio, ma senza di lui. È una citazione dal capitolo sesto del Vangelo di Giovanni in cui l’esperienza della fame (del popolo) e della paura (dei discepoli) viene superata da Gesù che si propone come pane di salvezza e figura di riferimento». – Quali sono le caratteristiche dell’evento ecclesiale? «Una prima caratteristica è di essere un appuntamento locale e nazionale assieme. Per le nostre diocesi è un’occasione di grazia che impedisce il rischio di far scivolare ciò che è essenziale (l’eucaristia) in qualcosa di semplicemente abitudinario. Ed è un evento nazionale perché voluto dalla Conferenza episcopale italiana. È indicativo che nel recente Convegno nazionale dei delegati diocesani (Ancona, 26-28.1.2011) siano arrivati 220 delegati per altret- 80 IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 tante diocesi (in tutto sono 226). Una risposta corale piuttosto rara. Essa mostra un’attenzione e un interesse ben maggiori di quelli che si riservano ad appuntamenti ormai consolidati. Una seconda caratteristica è la territorialità. È la prima volta che un congresso eucaristico si spalma sull’intero territorio della metropolia (oltre ad Mons. Edoardo Menichelli, vescovo di Ancona-Osimo. Ancona-Osimo, Fabriano-Matelica, Jesi, Loreto e Senigallia). Una diocesi di media grandezza come la nostra non sarebbe stata capace di portare da sola la responsabilità dell’appuntamento. Del resto è frutto dell’eucaristia l’avvio di una rete di rapporti e conoscenze che la normale appartenenza diocesana non garantisce. REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.50 Pagina Negli ambiti del quotidiano La terza caratteristica è il tema del congresso. Il titolo completo suona infatti: “Signore da chi andremo? L’eucaristia per la vita quotidiana”. Abbiamo preso sul serio la conversione pastorale suggerita dal Convegno ecclesiale di Verona (2006), il passaggio cioè da una pastorale riferita alla comunità e ai gruppi specifici che la formano, all’attenzione diretta alla persona e al suo vissuto. La sottolineatura degli ambiti della fragilità, degli affetti, del lavoro e della festa, della tradizione e della vita sociale vuole mostrare la pertinenza della fede nelle normali sfaccettature della vita di tutti. Come si dice nel messaggio del Consiglio episcopale permanente che si è tenuto qui ad Ancona il 24-27 gennaio: “Siamo consapevoli e preoccupati del fatto che oggi si sperimenti una distanza culturale tra la fede cristiana e la mentalità contemporanea in tanti ambiti della vita quotidiana. Tuttavia, abbiamo compreso che questa distanza non deve essere considerata con fatalismo, ma al contrario come sollecitazione per scelte incisive nel nostro modo di essere cristiani”. Santità di popolo Una quarta caratteristica è la popolarità. Non significa una soluzione di basso profilo, ma una scelta di fede che si fa presente sul territorio, che è attenta alle esigenze della città, che è pronta a orientare le forme della coscienza civile. L’eucaristia non è un privilegio di pochi, non è dominio né proprietà del prete, non è sentimentale accostamento al Signore. È il sacramento che ci fonda come Chiesa, che ci dà vita. È l’idea di una santità di popolo che si manifesta non solo in alcune figure di grande rilievo, ma anche nella vitalità del costume cristiano. Assistiamo con timore allo sgretolarsi di un’intelaiatura che era imbevuta di Vangelo: solidarietà, rispetto dell’altro, non indecenza pubblica di quanti rappresentano le istituzioni. Anche i battezzati sono frastornati e hanno assimilato un dualismo improprio fra ciò che si compie nella Chiesa e ciò che si vive nella vita. La sfida potrebbe aprire un’altra stagione per il Vangelo». – Quante stagioni ci sono state nella lunga storia dei congressi eucaristici? 81 «Di solito si distinguono tre grandi tappe. La prima è quella della stagione nascente, tra fine Ottocento e inizio Novecento. Il congresso si presentò come strumento per rivalutare e incrementare quelle che allora erano chiamate “opere eucaristiche” dedicate al culto eucaristico e alle varie forme di adorazione. Una visibilizzazione pubblica dell’adorazione che portava con sé il disagio dei cattolici rispetto alla vita politica e civile oltre che l’esigenza di riproporre la pratica eucaristica al popolo cristiano. La seconda stagione è quella fra le due guerre, dagli anni Venti agli anni Quaranta in cui il congresso servì per affermare la regalità sociale di Gesù eucaristia. Emerse allora l’esigenza che il culto eucaristico alimentasse la consapevolezza delle implicazioni pratiche nella ricostruzione di una società che faceva i conti con le macerie concrete, ma anche morali e spirituali della guerra. Una terza stagione inizia sostanzialmente con il Concilio. Ma si potrebbe datare col Congresso eucaristico internazionale di Monaco di Baviera del 1960. L’appuntamento comincia a perdere la prevalente fisionomia di una lunga e fervente visita al santissimo Sacramento per assumere il volto di una celebrazione eucaristica di popolo in cui l’adorazione è secondaria rispetto al mistero celebrato e ne rappresenta il prolungamento. Insomma una sorta di statio orbis secondo la pratica del pontefice romano di celebrare con il clero e il popolo in alcuni giorni dell’anno un’unica solenne eucaristia. Il dinamismo del sacrificio e del banchetto comunitario si è progressivamente imposto alla semplice statica della pura adorazione». Sogno un congre sso per l’unità del pae se – Vede anche qualche pericolo? «Che venga poca gente (sorride; ndr), anche se in merito la convinzione che registro nelle diocesi e a livello locale ci fa sperare bene. In realtà la sua domanda riguarda altro. Vi è il pericolo di una spettacolarizzazione indebita del mistero cristiano in un contesto civile e culturale che fa dello spettacolo la cifra complessiva del vivere. Ma credo che si debba temere anche una ri- duzione a cenacoli d’iniziati delle nostre comunità. La Chiesa è visibile e “di popolo” e così deve restare. Un secondo pericolo sarebbe legato a un semplice ritorno alla pura statica dell’adorazione, a una devozione separata dall’eucaristia. Le infezioni possono esserci sempre. Ma non mi sembra particolarmente urgente. Vi è il compito di alimentare e motivare l’atteggiamento spiritualmente fondato della devozione. Ne abbiamo bisogno tutti». – Come si svolgerà la settimana conclusiva (3-11 settembre) e quali potrebbero essere i tratti originali che permarranno? «La struttura della settimana è praticamente definita. Alle celebrazioni iniziali con il legato pontificio seguiranno le giornate scandite sui cinque ambiti di vita a cui ho già accennato. Tutte le forze ecclesiali potranno partecipare, trovando anche momenti specifici per sé. Il tutto si concluderà con l’eucaristia celebrata da Benedetto XVI. Gli eventi collaterali sono in via di definizione. Per quanto riguarda i tratti di originalità coltivo personalmente alcuni sogni. Uno sul versante pastorale. Sarebbe quello di ottenere nel congresso il riconoscimento spirituale specifico per alcune stagioni della vita. In particolare per i nonni e per i fidanzati. I primi sono ormai decisivi riguardo alla formazione dei bambini e alla trasmissione della fede. I secondi esprimono la forza e la suggestione del Vangelo della famiglia in un contesto non favorevole. Un secondo sogno è sul versante storico e civile. Il primo Congresso eucaristico italiano si è celebrato a Napoli nel 1891 col titolo “Difesa dell’eucaristia e del suo culto”. Il primo gesto collettivo dei cattolici italiani dopo il travagliato processo unitario è stato il Congresso eucaristico. A 120 anni di distanza mi piacerebbe che il Congresso eucaristico fosse capace di esprimere la speranza e la visione dei cattolici per l’Italia in un passaggio delicato e complesso della sua forma istituzionale. Eucaristia, vita e storia si richiamano sempre». a cura di Lorenzo Prezzi, Marco Bernardoni IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 81 REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.50 Pagina 82 Stagione del dialogo GERMANIA u ltima chiamata? Un manifesto dei teologi C redere nell’insegnamento della Chiesa non significa tacere sui suoi conflitti interni e riferire di questi dibattiti non significa schierarsi», in particolare raccontando le vicende della Chiesa tedesca in cui «verità della Chiesa e libertà di espressione, come anche controversie e unità, sono realmente viste come contraddizioni». Le parole di Ludwig Ring-Eifel (cf. Regno-att. 18,2010,642), direttore dell’agenzia di stampa Katholische Nachrichtenagentur (KNA) possono introdurre il racconto delle recenti tensioni che hanno interessato la Chiesa in Germania. Una lettera clamorosa di alcuni dei massimi esponenti dell’Unione cristiano-democratica (CDU) sull’ordinazione dei viri probati (21.1.2011), la successiva polemica fra due cardinali, il neonominato Walter Brandmüller e il prestigioso Karl Lehmann, la scoperta di un memorandum del 1970, firmato anche dall’allora teologo Joseph Ratzinger, in cui si chiedeva ai vescovi il riesame della legge sul celibato dei preti (Süddeutsche Zeitung 28.1.2011), il manifesto di oltre 220 teologi su alcune delle tematiche più scottanti della vita ecclesiale odierna (4.2.2011): sono i passaggi più evidenti di un confronto diretto fra le anime della Chiesa locale. In un quadro in cui l’intenzionalità esplicita dei vescovi per una stagione nuova di dialogo dentro le comunità ecclesiali si è manifestata nei colloqui fra vescovi e Comitato centrale dei cattolici (luogo di rappresentanza di tutte le associazioni), avviati dal settembre scor- 82 IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 so, e nell’attesa lettera della Conferenza episcopale sulla vicenda delle violenze del personale ecclesiastico ai danni di minori. Volontà di confronto aperto che nasce dalle drammatiche ricadute dello scandalo delle violenze (cf. Regnoatt. 4,2010,83; 6,2010,166; Regno-doc. 15,2010,503; 17,2010,567). Il crollo verticale della credibilità dell’istituzione ecclesiale che le memorie delle vittime hanno prodotto si è riversato in un flusso impressionante di uscite dalla Chiesa. Il sociologo delle religioni dell’Università di Freiburg, Michael Ebertz, ha stimato che nel 2010 quanti sono usciti dal sistema della tassa per la Chiesa sono fra le 200.000 e le 250.000 persone. Con un aumento dell’80% e un superamento, che avviene per la prima volta, rispetto alle uscite registrate dalle Chiese protestanti. Il quadro si completa con la prevista visita in Germania di Benedetto XVI per il prossimo settembre. Oltre la paralisi d e g l i sca n d al i Tutto ha inizio con la volontà dei vescovi di aprire una nuova stagione di dialogo che durerà due anni, a quarant’anni dalla celebrazione del Sinodo delle diocesi tedesche (1971-1975) e nell’imminenza dei cinquant’anni dall’apertura del Vaticano II (1962). Ne ha parlato l’arcivescovo di Freiburg, Robert Zollitsch, presidente della Conferenza episcopale tedesca, nell’assemblea del settembre scorso, invocando «un processo di dialogo comunitario e mirato», in vista di una Chiesa «pellegrina, capace di ascoltare e di servire». La drastica revisione delle strutture pastorali, il rinnovamento dell’intero comparto della pastorale missionaria (con evidente centralità della nuova evangelizzazione), la percezione della distanza crescente fra messaggio cristiano e stili di vita della popolazione hanno convinto i vescovi ad aprire un’interlocuzione con l’insieme del popolo di Dio. Essi hanno incaricato tre vescovi di proporre iniziative e documenti: Franz-Josef Bode (Osnabrück), Reinhard Marx (Monaco), Franz-Josef Overbeck (Essen). Un primo confronto fra vescovi e Comitato centrale è avvenuto all’inizio di novembre e ha dato avvio a due progetti. Il primo svilupperà il tema del lavoro comune fra preti e laici nella Chiesa. Il secondo sarà invece dedicato alla presenza della Chiesa nella società e nello stato (cf. Herder Korrespondenz 65[2011] 1, 7). Sia nel dialogo diretto coi vescovi, sia in quello fra Comitato centrale e Assemblea generale dei laici si è registrato un clima buono di ascolto e non vi sono state censure preventive su singoli problemi. Otto politici si schierano per i viri probati. «Noi – come gruppo di cattolici impegnati in politica e che da 30 anni ci siamo esposti nella discussione pubblica su temi politici ed ecclesiali di fondo – riteniamo che sia assolutamente necessario, alla luce del preoccupante aumento della carenza di preti, che i vescovi tedeschi facciano propria la richiesta di ammettere al sacerdozio anche i viri probati e in comunione con i vescovi del mondo la facciano presente a Roma. Eventualmente, sarebbe op- REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.50 Pagina portuno prendere in attento esame una deroga territoriale per la Germania». La situazione è ormai all’emergenza: «Molti credenti sono privati del loro diritto della messa domenicale o il loro desiderio è gravato da ostacoli insormontabili». Una condizione che il Sinodo delle diocesi tedesche del 19711975 aveva già previsto e che lo stesso Joseph Ratzinger in uno scritto del 1969 aveva condiviso: «Appariranno nuove forme di ministero e potranno essere ordinati al sacerdozio cristiani provati e con una propria vita professionale». I firmatari, esponenti di spicco della CDU, appartengono o sono appartenuti al Comitato centrale dei cattolici; Norbert Lammert è l’attuale presidente del Parlamento; Bernhard Vogel, Erwin Teufel e Dieter Althaus sono stati ministri-presidenti di alcuni Land tedeschi (regioni); Annette Schavan, teologa di formazione, è ministro dell’Istruzione; Hermann Kues è segretario di stato per la famiglia e Friedrich Kronenberg è un ex segretario generale del Comitato centrale dei cattolici. Il memorandum d e l 1 970 L’intervento ha prodotto un vivace confronto e i vescovi, pur ritenendo legittima la discussione, hanno escluso che il tema entrasse come contenuto di confronto nella visita prossima del papa. «Che cosa vi legittima come politici a intervenire su un tema strettamente ecclesiale, visto che voi né partecipate al ministero né siete personalmente implicati?»: la domanda diretta del neo-cardinale Walter Brandmüller è accompagnata da osservazioni piuttosto grevi. La discussione sul celibato suona come una «diffamazione personale» per l’interessato e per la stragrande maggioranza dei preti, un primo passo «per una Chiesa del tutto diversa», «prossima allo scisma e a una Chiesa nazionale». Il card. Karl Lehmann risponde lamentando da un lato le voci che ritengono la Chiesa del tutto incapace di riforma e dall’altro quanti, fra cui Brandmüller, non hanno rispetto degli interlocutori né misura nelle parole: «Non è questo lo stile con cui nel nostro paese si affronta la discussione fra posizioni diverse». A pochi giorni di distanza l’Aktionskreis Regensburg, un gruppo di catto- 83 lici critici, passa ai giornali un memorandum sulla discussione relativa al celibato, finora ignoto. Scritto nel 1970, il testo era uno strumento di lavoro offerto ai vescovi tedeschi. Tra i firmatari vi erano nove teologi, tutti di rilievo. Fra essi: Walter Kasper, Karl Lehmann, Karl Rahner, Joseph Ratzinger, Rudolf Schnackenburg, Otto Semmelroth. Diviso in cinque punti, rappresentava una sostanziale difesa della disciplina del celibato, ma anche un coraggioso invito a riconsiderarne l’assolutezza nella Chiesa latina in ragione dei profondi cambiamenti ecclesiali e sociali avvenuti. «Le nostre riflessioni riguardano la necessità di un attento esame e di una complessa valutazione della legge del celibato per la Chiesa latina in Germania e nel mondo». «La direzione dell’esame comune va solo nel senso di considerare se l’attuale modalità in cui si realizza l’esistenza sacerdotale oggi nella Chiesa latina debba essere e rimanere l’unica forma di vita». Ricordando la diversa disciplina delle Chiese orientali i vescovi erano invitati a non delegare solo al papa la responsabilità di un indirizzo in merito (cf., a riguardo, in questo numero a p. 138). Questo infatti rappresenterebbe una rinuncia al proprio compito e una corresponsabilità per le forme insane che la questione potrebbe assumere nel dibattito alla base cristiana: prese di posizione pubbliche pregiudizievoli per l’autorità, fenomeni di disobbedienza collettivi, fughe massicce dal presbiterato. E se è vero che non vi è rapporto diretto fra celibato e scarsità dei preti, «è parimenti falso che le due cose non abbiano nulla a che vedere fra loro». «Se senza la modifica della legge del celibato non è prevedibile una sufficiente crescita dei preti (…) la Chiesa ha comunque il dovere di mettere mano a qualche cambiamento». «Una nuova riflessione sulla questione del celibato compete anzitutto ai vescovi», ma essi «hanno il diritto e, a nostro parere, il dovere» di sottoporre la questione a Paolo VI. Nel limite di un parere di teologi essi suggerivano alla Conferenza episcopale «di avviare una nuova iniziativa sulla questione del celibato, senza farsi dispensare né dall’attuale prassi, né da una dichiarazione del papa». I teologi e il rinnovamento i n d i s p e n s a b i le Il 4 febbraio è stata resa pubblica una presa di posizione dei teologi tedeschi. 143 le prime firme, ora avviate oltre le 220. Rappresentano circa un terzo dell’intero corpo accademico delle facoltà teologiche nell’ambito tedesco. Porta il titolo Chiesa 2011: un rinnovamento indispensabile e dopo un’ampia premessa sintetizza le emergenze ecclesiali da risolvere in sei punti: le strutture di partecipazione; le comunità parrocchiali; una cultura del diritto; la libertà di coscienza; la riconciliazione; il culto. Parte dal riconoscimento della crisi senza precedenti in cui la Chiesa tedesca è caduta per i gravi episodi di violenze, dalla domanda diffusa di profonde riforme, dall’invito al dialogo da parte dei vescovi: «Si va forse per attendismo e minimizzazione della crisi verso la rimozione di quella che potrebbe essere forse l’ultima opportunità di reagire alla paralisi e alla rassegnazione? Un dialogo senza tabù non è gradito a tutti, in particolare in preparazione di una visita papale. Ma l’alternativa è un silenzio di morte che non può essere accettato in conseguenza dell’annientamento di tutte le speranze». Il 2011 sarà l’anno della ripresa e della speranza se la Chiesa legge i segni dei tempi al suo interno e nell’ambito della società. «Vogliamo afferrare i segni di rinnovamento e di dialogo che alcuni vescovi ci hanno fatto pervenire negli ultimi mesi attraverso i loro discorsi, omelie e interviste». «In tutti i campi della vita ecclesiale la partecipazione dei fedeli è la pietra di paragone per la credibilità del libero annuncio del Vangelo. L’antico principio del diritto “ciò che riguarda tutti è deciso da tutti” ha bisogno di un di più di strutture sinodali a tutti i livelli della Chiesa. I credenti devono partecipare all’indicazione dei ministeri maggiori (vescovo e parroco)». L’attuale, drastica ristrutturazione delle parrocchie mette in questione la prossimità e l’appartenenza, penalizzando sia la figura del prete sia la corresponsabilità dei laici. «Il ministero ecclesiale deve servire la vita della parrocchia, e non l’inverso. La Chiesa ha bisogno anche di preti sposati e di donne nei ministeri ordinati della Chiesa». IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 83 REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.50 Pagina Il riconoscimento della dignità e della libertà di ciascuno richiede una nuova cultura del diritto nella Chiesa. «La garanzia e la cultura del diritto devono essere decisamente migliorate nella Chiesa: un primo passo in merito è la costituzione di un sistema giurisdizionale amministrativo». La libertà di coscienza si manifesta in particolare nel rispetto davanti alle scelte di vita delle persone. «L’alta valorizzazione ecclesiale del matrimonio non è in questione. Ma questo non impone l’esclusione di coloro che vivono in maniera responsabile l’amore, la fedeltà e l’attenzione reciproca in una coppia dello stesso sesso o di divorziati risposati». Il rigorismo morale perentorio non si addice alla Chiesa, che conosce le debolezze altrui e proprie. «La Chiesa non può predicare la riconciliazione con Dio se essa non crea le condizioni di una riconciliazione con coloro rispetto ai quali essa è colpevole: per violenze, mancate concessioni di diritti o il Europa Libertà religiosa Passi avanti e resistenze M ons. Aldo Giordano, osservatore permanente per la Santa Sede presso il Consiglio d’Europa ha parlato di una nuova attenzione del continente alla libertà religiosa: «In questo momento costato una nuova sensibilità sul tema cristiano in Europa, e più in generale sulla questione della libertà religiosa». Una percezione verificata dall’approvazione del Parlamento europeo di una mozione a favore dei cristiani perseguitati in Medio Oriente (20.1.2011), seguita da un’analoga decisione dell’assemblea del Consiglio d’Europa il 27 gennaio e da una conclusione del Consiglio dell’Unione Europea del 21 febbraio. Ma il 31 gennaio il Consiglio dei ministri degli Esteri dell’Unione Europea non ap- 84 IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 84 rovesciamento del messaggio liberatore biblico in una morale rigorosa senza misericordia». Rispetto al culto si sostiene la partecipazione attiva dei fedeli. «Il culto non deve fissarsi nel tradizionalismo» e la diversità cultuale non deve essere soffocata dal centralismo uniformante. L’invito finale è quello di uscire da una paralisi che potrebbe essere mortale. In fedeltà all’invito di Gesù a Pietro e ai discepoli: «Perché avete paura, gente di poca fede?» (Mt 8,26). La reazione ha conosciuto una grande diversità di accenti, fino a forme offensive come quella del giornalista Peter Seewald (autore del libro-intervista col papa Luce del mondo) che ha parlato di un’«azione concertata di forze neoliberali», con l’intento di «distruggere la Chiesa nella sua stessa essenza», «fanfaroni» che perseguono una «sorta di stalinismo teologico». Mentre quella dei vescovi è stata improntata alla moderazione. Il segretario della Conferenza episcopale, Hans Langendörfer, rileva che le questioni sollevate si collocano su territori teologicamente discussi ed ecclesialmente divisivi e, pur apprezzando la volontà di dialogo, nota l’insufficienza della contrapposizione sistematica ai vescovi rispetto al compito di trovare soluzioni condivise per la Chiesa del paese. Più critico il card. Walter Kasper, che si dichiara «profondamente deluso»: nel testo i temi non essenziali della struttura ecclesiale prevalgono sulla questione di fondo circa l’eclissi di Dio, la richiesta di ordinazione per i viri probati non tiene conto delle risoluzioni di tre sinodi recenti mentre l’apertura al ministero femminile e al matrimonio omosessuale dimentica le gravi crisi delle Chiese cristiane che hanno già adottato queste misure. Il dialogo si è aperto e si annuncia difficile. Ma la situazione permette una soluzione diversa? prova una dichiarazione a difesa delle minoranze religiose e cristiane in specie. Una battuta d’arresto in via di superamento dopo la decisione del Consiglio dell’Unione. Non è la prima volta che le istituzioni europee prendono a cuore la difesa della libertà religiosa: il 21 gennaio 2010 è ancora il Parlamento che prende posizione sulle persecuzioni dei cristiani in Egitto e Malesia. A favore delle minoranze religiose in difficoltà si erano espressi l’anno precedente (2009) sia il Parlamento sia il Consiglio dei ministri degli Esteri. E nel 2007 l’assemblea parlamentare aveva chiesto ai paesi arabi la reciprocità dei comportamenti istituzionali nei confronti delle fedi. Ancora nel 2009 l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) aveva stigmatizzato la «cristianofobia» in atto in diverse nazioni nel mondo (cf. Regno-att. 4,2010,94). Nonostante le resistenze e le distrazioni, si sta profilando e sta emergendo un filone sulla libertà religiosa delle istituzioni europee a cui porre attenzione. Trainati da alcuni rappresentanti (fra cui Mario Mauro, Gianni Pittella, Elmar Brok, Hannes Swoboda, Nicole Kiil-Nielsen) l’assemblea parlamentare dell’Unione chiede la condanna degli atti terroristici contro i cristiani in Medio Oriente e contro le minoranze religiose in generale, ma anche atti a difesa delle minoranze, come il condizionare gli aiuti e la cooperazione economica al rispet- to della libertà religiosa, o la formazione di un sistema permanente di monitoraggio. Come nel Parlamento europeo anche l’assemblea del Consiglio d’Europa (formata da parlamentari di 47 paesi del continente) ha approvato a larga maggioranza una condanna delle violenze contro i cristiani in Medio Oriente. Più complessa e alla fine senza esito la discussione nel Consiglio dei ministri degli Esteri dell’Unione. Francia, Italia, Polonia e Ungheria avevano proposto una mozione di condanna degli attentati terroristici contro le minoranze religiose cristiane e altre del Medio Oriente e alcune proposte concrete per proteggerle in futuro. Ma la discussione fra i diplomatici dei paesi ha prodotto un testo in cui erano scomparsi i paesi cui fare riferimento, gli impegni da assumere e anche il termine cristiano per le minoranze interessate (cf. in questo numero a p. 124). Il ministro degli Esteri italiano Franco Frattini ha ritirato il testo chiedendo un rinvio. Disagio e delusione sono stati espressi dalla Commissione degli episcopati della Comunità Europea (COMECE), dal Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa (CCEE) e da alcuni esponenti della Santa Sede. La conclusione adottata dal Consiglio dell’Unione Europea il 21 febbraio permetterà al Consiglio dei ministri di riprendere la difesa della libertà religiosa e di tradurla in azioni concrete. L. Pr. Lorenzo Prezzi REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 MONDO 15.50 Pagina 85 Una nuova geopolitica ARABO c ronologia di un futuro incerto L a p r o t e s t a a l t e m p o d i Fa c e b o o k N on sappiamo ancora molto del vento di rivolta che soffia impetuosodal Maghreb all’Egitto fino allo Yemen. Anche la geografia è incerta. Non quali altri paesi possa ancora toccare, soprattutto se la rivolta vincerà in Libia; se, ad esempio, ne rimarranno esterni oppure no paesi come la Siria, il Libano, la Giordania, Gaza e i Territori palestinesi, l’Arabia Saudita e lo stesso Iran, il che naturalmente farebbe una gran differenza su tutto: dalla questione israeliana a quella energetica. Non quale esito politico, istituzionale e religioso avrà. Possiamo elencare alcuni elementi ed escluderne altri. Non di più. Quasi tutti questi paesi vivono un’emergenza generazionale che è già sociale. Più della metà dei 350 milioni di arabi ha meno di trent’anni e più della metà di questa popolazione giovanile è disoccupata, con scarse possibilità di poter realizzare un futuro dignitoso. È la generazione Facebook. Più colta, più capace di comunicazione anche attraverso l’uso della rete, più individualista, più pragmatica, più secolarizzata. Questa generazione imputa ai governi autoritari e alle dittature dei rispettivi paesi la responsabilità della propria condizione, come conseguenza di sistemi repressivi e corrotti. È presto per dire che è una generazione post-islamista. Di certo, sin qui, i simboli a cui l’insieme dei manifestanti ha fatto ricorso, sono quelli nazionali (le bandiere, il dialogo con l’esercito), molto meno quelli religiosi (in ogni caso spogliati di significato politico), non eclatanti quelli antioccidentali. Rimane aperto il problema religioso che sconta da un lato la posizione conservatrice delle gerarchie cristiane (quelle ortodosse in particolare) e dall’altro una situazione tutt’altro che pacificata tra cristiani e musulmani (come l’inquietante uccisione di Daoud Boutros, sacerdote copto ortodosso assassinato a Shob, nel sud dell’Egitto). I regimi autoritari (pur così diversi tra loro), hanno mostrato la loro natura predatoria nei confronti del loro stesso paese (Tunisia), o la perdita progressiva di ogni legittimazione, radicalizzando lo scontro politico (Egitto), o ancora la maschera folle e crudele di un satrapo invecchiato (Gheddafi). Le parole e le richieste richiamano genericamente una svolta «democratica», ma nessuno sa che cosa sia una democrazia autoctona in una cultura islamica. Le condizioni politiche variano da paese a paese. Il processo di radicalizzazione politica in atto per approdare a forme istituzionali riconducibili a qualche modello democratico ha bisogno di formazioni politiche, di movimenti organizzati che possano promuovere una nuova classe dirigente, di istituzioni garanti dello stato di diritto e di una base sociale di consenso il più possibile ampia. Una siffatta situazione avrebbe bisogno di un coinvolgimento dell’Unione Europea immediato ed economicamente rilevante, non solo per evitare il minacciato esodo di molti disperati, ma per incoraggiare lo sviluppo e la crescita di una classe media e per impedire ulteriori radicalizzazioni e vuoti di potere. In caso contrario potrebbe, sì, riprendere quota la deprecabile utopia di uno stato islamico. Purtroppo l’Europa ha preferito sin qui diffidare del cambiamento e delle parole di libertà e democrazia gridate dai manifestanti, concentrandosi con poca lungimiranza sui propri interessi. I l ve n to d e l la r i vo l t a Nella cronologia che segue abbiamo selezionato alcuni degli avvenimenti che a oggi hanno caratterizzato le rivolte, seguendo quattro criteri. Innanzitutto quello interreligioso, dal quale emerge che un oggettivo impasse nel dialogo ufficiale islamo-cristiano dei primi giorni del 2011 sia stato superato da fatti che hanno messo in qualche modo in secondo piano l’appartenenza religiosa. Poi il criterio delle radici di cui s’è detto sopra: scontento politico, economico, sociale legati in corda doppia a un’emergenza generazionale. Ancora, il criterio dei nuovi mezzi di comunicazione, in particolare i social network e di come la loro geografia globale abbia avuto un ruolo non secondario. E, infine, il criterio che individua le dichiarazioni o gli avvenimenti più significativi per gli scenari futuri: per la forma istituzionale che assumeranno questi stati, per il ruolo che avranno in esso i partiti politici e per il delicato equilibrio geopolitico dell’area che giace tra il Marocco e l’Iran. IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 85 REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.50 Pagina 17.12.2010 – Tunisia: Mohamed Bu’azizi, 26 anni e laurea in economia, si dà fuoco di fronte al municipio di Sidi Bouzid (cf. Regno-att. 2,2011,12). 1.1.2011 – Egitto: nella notte attentato ad Alessandria alla chiesa copta ortodossa Al-Qiddissine: 21 morti e 79 feriti. Ai funerali le 5.000 persone presenti contestano il telegramma di condoglianze inviato dal presidente Hosni Moubarak e letto dal vescovo Youanes, segretario di Shenouda III, il papa dei copti ortodossi. 2.1 – Città del Vaticano: il papa all’Angelus definisce l’attentato ad Alessandria un «vile gesto di morte, come quello di mettere bombe ora anche vicino alle case dei cristiani in Iraq per costringerli ad andarsene». – Egitto: l’imam di Al Azhar, Ahmad El Tayeb, afferma che «secondo la legge coranica [l’attentato è un] crimine odioso». Aggiunge poi che le parole di Benedetto sono «un intervento inaccettabile negli affari interni dell’Egitto». Il movimento dei Fratelli musulmani dichiara che dietro all’attentato vi è un «complotto» mirante a dividere cristiani e musulmani egiziani. 3.1 – Egitto: il nunzio della Santa Sede in Egitto, mons. Michael Fitzgerald riferisce di aver «manifestato a papa Shenouda III le condoglianze e il dolore per le vittime dell’attentato» e invita tutti a «lavorare per l’unità nazionale». – Città del Vaticano: p. Federico Lombardi afferma a Radio vaticana che la «condanna radicale della violenza» da parte del papa si affianca alla preoccupazione per la libertà religiosa di tutti, non solo dei cristiani». 6.1 – Algeria: scontri ad Algeri e in provincia tra polizia e giovani manifestanti. Proteste anche in Cabilia e a Orano. 5 i morti e 800 i feriti. 7.1 – Egitto: mons. Joannes Zakaria, vescovo dei copti cattolici di Luxor dichiara a Fides che «alla messa di mezzanotte (...) hanno partecipato diversi nostri fratelli musulmani, che hanno così voluto sottolineare la loro solidarietà nei confronti dei cristiani». 10.1 – Città del Vaticano: il papa incontra il corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede (cf. Regno-doc. 3,2011,65). – USA: il responsabile della sicurezza di Facebook, attiva dispositivi di protezione delle password degli utenti tuni- 86 IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 86 sini del social network violate dall’Agenzia tunisina per Internet. 11.1 – Egitto: il governo richiama in patria la propria ambasciatrice presso la Santa Sede, Lamia Aly Hamada Mekhemar, «per consultazioni», dopo il discorso di Benedetto XVI ai diplomatici. Un ufficiale di polizia in borghese affianca un treno e spara uccidendo un uomo (cristiano copto) e ferendone altri cinque. – Santa Sede: l’ambasciatore dell’Egitto presso la Santa Sede viene ricevuto in Vaticano da mons. Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli stati. 13.1 – Egitto: centinaia di cristiani manifestano alla periferia del Cairo, tirando pietre alla polizia e bloccando l’autostrada. – Tunisia: Ben Alì dichiara la fine della censura applicata a Internet. 14.1 – Giordania: manifestazione. Re Abdullah dimette il primo ministro. – Tunisia: Ben Alì fugge in Arabia Saudita; prende l’interim il primo ministro Mohammed Ghannouchi. I morti sinora accertati sono 78; 100 i feriti. L’esercito si schiera con i manifestanti. 15.1– Libia: Gheddafi è «addolorato» per la caduta di Ben Alì. – Algeria: 4 persone si danno fuoco. Uno morirà per le ustioni. Nei giorni seguenti saranno 8 i tentati suicidi di cui due conclusisi con la morte. 17.1 – Oman: nella capitale Mascate piccola (200) manifestazione contro il carovita. 19.1 – Egitto: Al Azhar dichiara che per la «sharia il suicidio è vietato qualsiasi sia la motivazione, sia come espressione di rabbia o di protesta». La dichiarazione dopo che 3 uomini si sono dati fuoco. 20.1 – Egitto: il Consiglio dei ricercatori di Al Azhar dichiara sospeso il dialogo con la Santa Sede. Summit della Lega araba a Sharm el-Sheikh. Per il segretario Amr Moussa la questione degli attacchi contro le comunità religiose del mondo arabo «andrebbe trattata indipendentemente da qualsiasi volontà d’intervento da parte di paesi stranieri». 21.1 – Sudan: 4.000 persone sfilano in varie città del paese contro disoccupazione e inflazione. – Giordania: manifestazioni di protesta contro il rincaro del pane. – Marocco: 4 uomini si danno fuoco. – Yemen: cortei di studenti sfilano da- vanti all’università della capitale, Sanaa; si confrontano quelli a favore del presidente Ali Abdallah Saleh, al potere da trent’anni, e quelli contro. 24.1 – Egitto: I cristiani e le altre minoranze religiose sono vittime di una «discriminazione generalizzata in Egitto» denuncia Human Rights Watch nel suo rapporto annuale. Sul sito Internet della rivista Yawm al-Sâbi (Il settimo giorno) appare il «Documento per il rinnovamento del discorso religioso». Firmato da 23 personalità di rilievo del mondo musulmano, delinea un sostanziale programma di riforma dell’islam. 25.1 – Egitto: lanciata attraverso Facebook, si tiene in diverse città (Il Cairo, Alessandria, Suez, Ismailia) la «giornata della rivolta contro la tortura, la povertà, la corruzione e la disoccupazione», poi chiamata anche «giornata dell’ira». Centro simbolico della protesta è piazza Tahrir al Cairo. 25.000 i partecipanti; 3 morti. 5 persone si danno fuoco. 26.1 – Egitto: la Casa Bianca chiede alle autorità egiziane di rispondere alle proteste «pacificamente» e di dare seguito «alle aspirazioni degli egiziani». 27.1 – Egitto: il card. Antonios Naguib, patriarca copto-cattolico di Alessandria d’Egitto dichiara al SIR che «una delegazione formata dai due vescovi ausiliari del patriarca di Alessandria, (…) ha incontrato l’imam di Al Azhar, riportandogli le parole esatte del pontefice. Il governo oscura Twitter. I Fratelli musulmani si uniscono al movimento di protesta, mentre il leader della comunità sufi, Gaber Kassem, chiede ai propri seguaci di rimanere nelle moschee, poiché le manifestazioni non sono autorizzate. Il premio Nobel per la pace e già responsabile per l’Agenzia internazionale dell’energia atomica (AIEA), Mohamed el Baradei arriva in Egitto. – Yemen: migliaia di persone chiedono le dimissioni del presidente. 3 persone si danno fuoco. 28.1 – Egitto: 8 leader dei Fratelli musulmani vengono arrestati. La polizia si ritira e l’esercito si unisce ai manifestanti. Bloccata la connessione a Internet. – Giordania: Manifestazione indetta dai Fratelli musulmani. 29.1 – Egitto: Moubarak nomina vicepresidente Omar Souleiman, 74 anni, capo dei servizi segreti, e primo ministro il generale Ahmad Chafik, 69 anni, capo di stato maggiore dell’aeronautica. REGATT 04-2011.qxd AFRICA 25/02/2011 DEL 15.50 Pagina NORD - CHIESA 87 C AT TO L I C A E I S L A M All’ombra della rivolta U na fortunata e casuale coincidenza di calendario ha fatto sì che la data da lungo tempo decisa per la consueta Assemblea della Conferenza dei vescovi dell’Africa del Nord (CERNA) cadesse tra il 29 gennaio e il 2 febbraio, proprio a ridosso dei giorni più caldi della sollevazione tunisina (cf. Regno-att. 2,2011,12), le cui rivendicazioni si sono diffuse a macchia di leopardo nel bacino del Mediterraneo e non solo (cf. qui sotto). Per questo la riunione dei presuli e le parole del comunicato finale – a firma dell’arcivescovo di Rabat e presidente della CERNA mons. Vincent Landel – hanno avuto un’eco inusuale. I vescovi dell’Africa del Nord «riconoscono negli avvenimenti che stanno sconvolgendo la Tunisia e l’Egitto… una rivendicazione di libertà e di dignità, in particolare da parte delle giovani generazioni della nostra regione, che si traduce nella volontà che tutti siano riconosciuti come cittadini e cittadini responsabili. Riprendendo il messaggio del santo padre in occasione del 1o gennaio 2011 Libertà religiosa via per la pace e illuminati da questo, i vescovi della CERNA riconoscono che la libertà religiosa è garanzia del rispetto completo e reciproco tra le persone. Essa si traduce innanzitutto in libertà di coscienza riconosciuta a ogni persona, la libertà di cercare la verità. Essa presuppone il rispetto dell’altro, della sua dignità, fondamento della legittimità morale di ogni norma sociale o giuridica. La libertà di coscienza e la cittadinanza saranno senza dubbio sempre più il nucleo dei dialoghi tra credenti musulmani e cristiani che abitano il Maghreb». Esclusa in maniera categorica la possibilità che i cristiani prendano posizione in questi avvenimenti che riguardano lo «sviluppo di un popolo» all’interno del quale i cristiani sono un «nulla» e per di più «di passaggio» – ha dichiarato mons. Landel alla vigilia dell’Assemblea. I 200.000 cattolici presenti nel Nord Africa sono per lo più (150.000) in Libia; in Marocco sono 25.000 su una popolazione di 35 milioni di persone. Ciò non significa che i cristiani rimangano alla finestra: «il ruolo dello straniero è quello di continuare a vivere in spirito d’incontro con i nostri amici musulmani, a parlare con loro, ma non a prendere il loro posto per quanto riguarda decisioni di ordine politico o addirittura sociale». Tuttavia, se «ci verrà chiesta una partecipazione nell’ambito dell’accompagnamento o d’associazione» si valuterà caso per caso, ha concluso Landel. E comunque le relazioni positive di scambio e di lavoro procederanno, continuando a manifestare la volontà d’essere «Chiesa a servizio. A servizio pastorale dei cristiani che vivono in questi paesi – ha ribadito il comunicato finale –, a volte emigrati da questi paesi, più spesso stranieri arrivati per qualche anno per lavoro, studio o ra- – Marocco: fino al 2 febbraio si tiene l’Assemblea dei vescovi della CERNA (cf. qui sopra). 30.1 – Tunisia: dopo vent’anni d’esilio rientra trionfalmente in patria Rachid Ghannouchi, leader del movimento islamico Ennhada. – Egitto: El Baradei viene nominato, con il consenso dei Fratelli musulmani, portavoce dell’opposizione. – Sudan: giornata di protesta, ripetuta il 2.2. 16 arresti. gioni di migrazione. La CERNA è preoccupata per la situazione spesso drammatica dei migranti clandestini; incoraggia gli sforzi di coloro che lottano contro le cause dell’emigrazione e dei cristiani che fanno il possibile per umanizzare le loro condizioni di vita». Le Chiese sono «a servizio degli abitanti essenzialmente musulmani dei paesi in cui vivono (...), del loro sviluppo e delle loro aspirazioni a una maggiore dignità. Esse sottolineano la qualità dei legami d’amicizia che sono intessuti con i cittadini di questi paesi e sono con gioia testimoni del fatto che le occasioni per alimentare questi legami sono sempre più numerose: sì, il dialogo islamo-cristiano è possibile, l’impegno comune a servizio delle persone più svantaggiate, l’impegno con le associazioni delle società civili dei paesi del Maghreb permettono d’imparare a conoscersi, non solo a tollerarsi, ma anche a rispettarsi e comprendersi nelle ricerca della volontà di Dio». All’ordine del giorno vi era anche la «difficile questione del futuro delle Chiese» e con «inquietudine» si è parlato della «mancanza di rinnovamento di preti, religiosi o religiose d’origine araba». Pur ritenendo un dono l’arrivo di nuove congregazioni, di preti fidei donum da tutti i continenti, in particolare dalle Chiese d’Africa e d’Asia, di membri di “nuove comunità”, di laici impegnati, i vescovi ritengono necessario «aiutare questi operatori pastorali a percepire il valore della gratuità della presenza della Chiesa in Maghreb». Infine, Tibhirine. «Con molta emozione, i membri della CERNA hanno visitato sotto la neve il monastero di Notre Dame di Tibhirine; hanno pregato nella cappella in cui i monaci hanno tanto cantato i Salmi e hanno cercato la volontà del Signore per il quale “nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici” (Gv 15,13); si sono raccolti in preghiera presso le tombe dei monaci e si sono rallegrati per il fatto che questo monastero stia diventando sempre più un luogo di raccoglimento». Il monastero non è solo testimonianza di un evento spirituale alto ma conserva e alimenta la memoria di un tratto ecclesiale, anche grazie all’inaspettato aiuto proveniente dal successo del recente film – conclude così il comunicato di mons. Landel – Uomini di Dio, che «permette a molti di percepire il senso di una presenza della Chiesa in Maghreb». Come ha detto l’ultimo dei monaci sopravvissuti, padre JeanPierre, oggi ottantottenne, intervistato da Jean-Marie Guénois (Le Figaro, 8.2.2011) «il film è un’icona» che offre uno squarcio su come «cristiani e musulmani possono diventare realmente e profondamente fratelli in una profonda comunione». 31.1 – Marocco: l’ambasciatore spagnolo viene convocato dal ministro degli Esteri, Taieb Fassi Firhi, che protesta contro la diffusione sui media spagnoli di «false notizie» su movimenti di truppe in rapporto a possibili manifestazioni. – Il Consiglio dei ministri degli Esteri dell’UE non trova l’accordo per un testo comune in tema di libertà religiosa. 1.2 – Egitto: marcia di protesta a cui partecipano 1 milione di persone ad Alessandria e al Cairo. Moubarak in se- M.E. G. rata alla TV dice che non si ricandiderà alle presidenziali di settembre ma che resterà al potere sino ad allora. Il nunzio, mons. Fitzgerald, dichiara a La Croix che «non si può guardare questi avvenimenti» come a uno «scontro tra religioni». – USA: il presidente Obama avverte Moubarak che «il tempo della transizione è arrivato e che questo tempo è adesso». – Yemen: la gente in piazza a Sanaa IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 87 REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.50 Pagina chiede le dimissioni del presidente Ali Abdallah Saleh, al potere dal 1978. Egli annuncia che a fine mandato (2013) lascerà il potere senza trasferirlo al figlio. – Giordania: re Abdallah II sostituisce il primo ministro, criticato dai manifestanti per la sua politica economica. – Turchia: il primo ministro Recep Tayyip Erdogan esorta il governo egiziano a «soddisfare senza esitazione la volontà di cambiamento» della gente e lancia un appello in favore di riforme democratiche in tutto il Medio Oriente. 2.2 – Egitto: nella notte tra il 2 e il 3 gruppi di sostenitori di Moubarak assalgono i manifestanti: 3 morti e più di 600 feriti. Numerosi arresti. – Yemen: il presidente Ali Abdallah Saleh convoca il Parlamento e il Consiglio consultivo alla vigilia di una manifestazione indetta dall’opposizione. – Sudan: proteste contro il caro prezzi a Khartoum. 30 arresti. 3.2 – UE: 5 capi di stato, Sarkozy, Merkel, Cameron, Berlusconi e Zapatero chiedono congiuntamente all’Egitto che il processo di transizione inizi subito. – Israele: il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahou afferma che in Egitto sono all’opera due forze: «quelle che vogliono portare a un cambiamento misurato» e quelle dell’islamismo radicale, sostenuto dall’Iran. 4.2 – Egitto: nuova manifestazione indetta in piazza Tahrir con 500.000 persone, cui partecipa anche il segretario della Lega araba. Shenouda chiede ai copti di non manifestare. – Mauritania: proteste nella capitale Nouackott. – Siria: indetta su Facebook la «prima giornata della collera del popolo siriano». – Iran: le rivolte in Tunisia e in Egitto costituiscono un «segno del risveglio islamico» nel mondo, afferma a Teheran la guida suprema d’Iran, Ali Khamenei. – Gibuti: manifestazioni studentesche. 6.2 – Germania: Monaco, 47a conferenza sulla sicurezza. «Visti gli sviluppi in Medio Oriente il Quartetto ritiene che ulteriori ritardi nella ripresa dei negoziati [israelo-palestinesi] siano dannosi alle prospettive della pace e della sicurezza regionale», si legge in una dichiarazione congiunta (a firma Clinton, Lavrov, Ashton, Ban Ki-moon). 7.2 – Egitto: viene rilasciato dopo 2 88 IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 88 settimane di prigionia il responsabile per il Medio Oriente del marketing di Google, Wael Ghonim, 30 anni. Secondo la TV Al-Arabiyya l’ex ministro degli Interni Habib Al-Adly, potrebbe essere il mandante dell’attentato contro i copti del 31 dicembre. 10.2 – Iraq: mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk, dichiara al SIR che vi sono in Egitto fondati «timori di un nuovo Iraq». 11.2 – Egitto: Moubarak lascia il Cairo. Il potere passa al Consiglio supremo dell’esercito, al cui vertice viene nominato Mohamed Hussein Tantawi, già ministro della difesa. Sciolto il Parlamento e sospesa la Costituzione per la riforma della quale viene nominata una commissione. 12.2 – Algeria: nella capitale manifestazione non autorizzata delle opposizioni. Partecipano in 2.000. Cortei anche a Orano, Ourgla e Annaba. – Italia: Il Consiglio dei ministri dichiara lo stato d’emergenza umanitaria per l’arrivo di migliaia di tunisini sulle coste di Lampedusa. – Yemen: A Sanaa migliaia di manifestanti chiedono le dimissioni di Saleh. Scontri con i suoi sostenitori. 13.2 – Libia: Gheddafi esorta i rifugiati palestinesi «a marciare sulla Palestina». 14.2 – Tunisia: L’UE metterà a disposizione 258 milioni di euro – di cui 17 subito – entro il 2013 per la transizione. 15.2 – Egitto: il consiglio della Chiesa copta si congratula per l’esito delle proteste; ringrazia l’esercito per aver difeso la popolazione e auspica elezioni parlamentari libere e trasparenti. – Iran: manifestazioni giovanili a Teheran. 16.2 – Libia: a Bengasi manifestazione anti-Gheddafi. 13 morti. – Egitto: Ahmad El Tayeb dice che se verrà toccato l’art. 2 della Costituzione che stabilisce che «l’islam è la religione di stato», sarà come sovvertire «le fondamenta» dello stato. Mons. K. William, vescovo copto cattolico di Assiut rivela a Fides (24.2) che «si è tenuto al Cairo un incontro della gerarchia cattolica» durante il quale è stato deciso che non verrà richiesta «mai un’abolizione dell’art. 2 perché ferirebbe i sentimenti dei musulmani»; semmai, tra qualche tempo, verrà chiesta qualche garanzia per le comunità non musul- mane». Dello stesso tenore alcune dichiarazioni di Shenouda. 17.2 – Bahrein: stato d’emergenza. A Manama nella «prima giornata della rabbia», dura repressione contro i manifestanti. Convocato il Consiglio dei ministri degli Esteri dei paesi del Golfo. Il paese ospita il comando della V flotta USA: il giorno dopo il presidente USA chiede per telefono al re Hamad bin Isa al Khalifa il rispetto dei diritti umani. – Libia: alla «giornata contro la corruzione e il nepotismo» partecipano alcune migliaia di persone. Gli oppositori s’impadroniscono di Bengasi, Tobruk, Derna, Cirene, Beida. Berlusconi, alla domanda se ha sentito Gheddafi, risponde: «la situazione è in evoluzione e quindi non mi permetto di disturbare nessuno». 85 i morti accertati. Le connessioni Internet vengono oscurate. – Giordania: scontri tra sostenitori e oppositori del re. L’esercito osserva. Abdallah chiede ai Fratelli musulmani d’entrare nel governo. 18.2 – Tunisia: viene trovato ucciso sgozzato don Marek Rybinski, sacerdote polacco salesiano che viveva dal 2007 in un sobborgo di Tunisi. – Egitto: manifestazione organizzata dalla Coalizione dei giovani della rivoluzione. Ritornato dall’esilio (1981), lo sceicco Qaradawi, leader dei Fratelli musulmani afferma di voler «liberare la Palestina». Il Comitato militare concede a due navi iraniane di passare da Suez: è la prima volta dal 1979. 19.2 – Algeria: un migliaio di persone manifesta ad Algeri. – Egitto: secondo il quotidiano AlAhram, un giovane papà ha chiamato la propria primogenita Facebook Jamal Ibrahim. 20.2 – Marocco: una ventina di associazioni aderisce all’appello a manifestare lanciato su Facebook dal gruppo «Libertà e democrazia ora». – Libia: con l’intervento dei mercenari (provenienti da Ciad, Mauritania, Zimbabwe) che sparano dai tetti sulla folla i morti accertati a Tripoli salgono a 100. A Benghasi 200. Il 23, il componente libico della Corte penale internazionale dichiarerà alla rete televisiva Al Arabiya che i morti sono 10.000 e i feriti 50.000. 20 febbraio 2011. Gianfranco Brunelli, Maria Elisabetta Gandolfi REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.50 Pagina 89 Te o l o g i a INDIA u nità o uniformità La promessa incompiuta dell’inculturazione nell’esperienza delle Chiese asiatiche I l termine «inculturazione» comincia a essere usato solo alla fine degli anni Settanta, anche in Asia.1 I vescovi asiatici, incontrandosi a Manila per accogliere Paolo VI nel 1971, parlarono dell’«inculturazione della vita e del messaggio del Vangelo in Asia».2 Ma le sfide dell’incontro tra Vangelo e cultura erano già state evocate durante il concilio Vaticano II. Chiesa multiforme Il decreto conciliare sull’attività missionaria dice ai cristiani: «Come Cristo stesso scrutò il cuore degli uomini e li portò alla luce divina attraverso un colloquio veramente umano, così i suoi discepoli, profondamente animati dallo Spirito di Cristo, conoscano gli uomini in mezzo ai quali vivono e intreccino relazioni con essi affinché con un dialogo sincero e paziente conoscano quali ricchezze Dio nella sua munificenza ha dato ai popoli; ma nello stesso tempo cerchino di illuminare queste ricchezze alla luce dell’Evangelo, di liberarle e di ricondurle al dominio di Dio salvatore» (Ad gentes, n. 11; EV 1/1112).3 La costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo riflette sul rapporto tra Vangelo e culture: «La Chiesa, vivendo nel corso dei secoli in condizioni diverse, si è servita delle differenti culture, per diffondere e spiegare il messaggio cristiano nella sua predicazione a tutte le genti, per studiarlo e approfondirlo, per meglio esprimerlo nella vita liturgica e nella vita della multiforme comunità IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 89 REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.50 Pagina dei fedeli. Ma, nello stesso tempo, inviata a tutti i popoli di qualsiasi tempo e di qualsiasi luogo, la Chiesa non si lega in modo esclusivo e indissolubile a nessuna stirpe o nazione, a nessun particolare modo di vivere, a nessuna consuetudine antica o recente. Fedele alla propria tradizione e nello stesso tempo cosciente della sua missione universale, è in grado di entrare in comunione con le diverse forme di cultura; tale comunione arricchisce sia la Chiesa stessa sia le varie culture» (Gaudium et spes, n. 58, corsivo mio; EV 1/1511s). La questione è inoltre affrontata dalla costituzione sulla sacra liturgia, nella quale si definiscono le fondamenta prima delle norme concrete: «La liturgia consta di una parte immutabile, perché d’istituzione divina, e di parti suscettibili di cambiamento, che nel corso dei tempi possono o anche devono variare, qualora in esse si fossero insinuati elementi meno rispondenti all’intima natura della stessa liturgia, o si fossero resi meno opportuni» (Sacrosanctum Concilium, n. 21; EV 1/32).4 Quindi sono chiaramente espressi l’obiettivo e il criterio della riforma: «In tale riforma, occorre ordinare i testi e i riti in modo che esprimano più chiaramente le sante realtà che significano, e il popolo cristiano, per quanto possibile, possa capire facilmente e parteciparvi con una celebrazione piena, attiva e comunitaria» (ivi). La costituzione prosegue evidenziando le aperture e i limiti: «Salva la sostanziale unità del rito romano, anche nella revisione dei libri liturgici, si lasci posto alle legittime diversità e ai legittimi adattamenti ai vari gruppi, regioni, popoli, soprattutto nelle missioni; e ciò sarà bene tener presente nella struttura dei riti e nell’ordinamento delle rubriche» (n. 38; EV 1/66). Questa apertura, poi, è ulteriormente ampliata andando al di là del rito romano, secondo quanto ritengono i commentatori. «In vari luoghi e in certe circostanze è urgente un più profondo adattamento della liturgia, che perciò è più difficile» (n. 40; EV 1/68). L’iniziativa è lasciata alle conferenze dei vescovi locali, aiutate da persone competenti e attraverso esperimenti presso alcuni gruppi appositi. 90 IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 90 Il fondamento di una tale apertura oltre il rito romano era stato esposto all’inizio della costituzione: «La santa madre Chiesa considera di uguale diritto e con pari onore tutti i riti legittimamente riconosciuti» (n. 4; EV 1/5). Un perito presente al Concilio, Pierre-Marie Gy, dice: «Nel testo preparatorio il Concilio ha semplicemente sostituito al n. 4 l’espressione “legittimamente esistenti” con “legittimamente riconosciuti”, che lascia aperta la porta allo sviluppo futuro di nuovi riti particolari».5 Vi sono sette famiglie di riti particolari nella comunione della Chiesa cattolica: il rito latino è stato imposto solo alle nuove Chiese che sono nate durante il periodo coloniale. Occorrerà tempo per lasciare sviluppare nuovi riti particolari nelle diverse e principali aree culturali del Sud e dell’Est.6 Il successivo testo importante per il nostro tema è la Evangelii nuntiandi di Paolo VI sull’evangelizzazione nel mondo contemporaneo, che evoca la rottura attuale tra Vangelo e culture e suggerisce: «Occorre evangelizzare (…) la cultura e le culture dell’uomo (…) partendo sempre dalla persona e tornando sempre ai rapporti delle persone tra loro e con Dio. Il Vangelo, e quindi l’evangelizzazione, non s’identificano certo con la cultura, e sono indipendenti rispetto a tutte le culture» (n. 20; EV 5/1612). Giovanni Paolo II ha scritto molto sull’inculturazione. Mi limiterò a due testi. Nella Ecclesia in Asia dice: «Le diverse culture, quando sono purificate e rinnovate alla luce del Vangelo, possono divenire espressioni vere dell’unica fede cristiana (…). È compito dei pastori, in virtù del carisma loro proprio, guidare questo dialogo con discernimento. Allo stesso modo, gli esperti in discipline sacre o secolari hanno ruoli importanti da svolgere nel processo d’inculturazione. Ma il processo stesso deve coinvolgere tutto il popolo di Dio, dato che la vita della Chiesa come tale deve rendere visibile la fede annunciata e fatta propria» (n. 21; EV 18/1847.1849). In realtà il ruolo del popolo di Dio è centrale, dal momento che i pastori e gli esperti sono al suo servizio. Nell’enciclica Fides et ratio di Giovanni Paolo II è ovviamente di parti- colare interesse per noi il riferimento all’India, ma vi sono contenuti molti altri spunti interessanti per la nostra riflessione. «L’annuncio del Vangelo nelle diverse culture, mentre esige dai singoli destinatari l’adesione della fede, non impedisce loro di conservare una propria identità culturale. Ciò non crea divisione alcuna, perché il popolo dei battezzati si distingue per un’universalità che sa accogliere ogni cultura, favorendo il progresso di ciò che in essa vi è d’implicito verso la sua piena esplicazione nella verità. Conseguenza di ciò è che una cultura non può mai diventare criterio di giudizio e ancor meno criterio ultimo di verità nei confronti della rivelazione di Dio» (n. 71; EV 17/1320s). «Il fatto che la missione evangelizzatrice abbia incontrato sulla sua strada per prima la filosofia greca, non costituisce indicazione in alcun modo preclusiva per altri approcci. (…) Un grande slancio spirituale porta il pensiero indiano alla ricerca di un’esperienza che, liberando lo spirito dai condizionamenti del tempo e dello spazio, abbia valore di assoluto» (n. 72; EV 17/1323). Le difficoltà d e l p ro ge t to i n c u l t u ra z i o n e A questo punto posso avviare la mia riflessione teologica. Il contesto della mia analisi è naturalmente l’India, che è un paese multiculturale e multireligioso. Benché il Vangelo vi sia stato portato dall’apostolo Tommaso, non ha avuto un grande impatto. Una delle ragioni ritengo sia stata il fatto che è rimasto in larga parte un impianto straniero, benché vi sia una fiorente religiosità popolare. Molti intellettuali come Brahmabandab Upadhyaya, Sadhu Sundar Singh, Pandita Ramabai, Chenchaiah, Swami Abhishiktananda e Raimon Panikkar sono rimasti cristiani indipendenti, tenendo a distanza la Chiesa istituzionale, mentre altri come Keshub Chandra Sen e il mahatma Gandhi sono rimasti discepoli di Cristo senza unirsi ad alcuna Chiesa. Anche oggi siamo politicamente emarginati come una minoranza «straniera». Il progetto dell’inculturazione è dunque per noi molto urgente e importante, ma dobbiamo affrontare diversi problemi. REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.50 Pagina 91 INDIA - CHIESA A confronto con Roma U n colloquio tra i vescovi e i teologi indiani1 e una delegazione della Santa Sede, guidata dal card. William Levada, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede (CDF), ha avuto luogo dal 16 al 22 gennaio a Bangalore, in India, presso la Saint John’s National Academy of Health Sciences. Erano presenti anche il segretario della CDF Luis F. Ladaria, gesuita, mons. Charles Scicluna, promotore di giustizia, e tre ufficiali della Congregazione tra cui don Dominic Veliath, salesiano, segretario della Commissione dottrinale della Conferenza dei vescovi cattolici dell’India (CBCI) e membro della Commissione teologica internazionale. Ha partecipato ai lavori anche l’arcivescovo Salvatore Pennacchio, nunzio apostolico in India.2 È stata la prima volta in cui la CDF nei suoi vertici ha incontrato una rappresentanza così estesa di esponenti della Chiesa cattolica indiana. Data al 1996 in India la tradizione degli incontri annuali tra vescovi e teologi, mentre nello stesso anno in un colloquio a Roma tra vescovi indiani e rappresentanti di diversi dicasteri vaticani si auspicava la partecipazione della CDF, così come ora si è realizzato. L’unicità di Cristo salvatore Il colloquio si è articolato in due momenti: dapprima un confronto tra vescovi, teologi e delegazione vaticana, e successivamente un altro solo tra vescovi e rappresentanti di Roma. Gli interventi dei teologi vertevano sul ruolo del teologo nella Chiesa, sulla metodologia teologica in Oriente e in Occidente, sull’inculturazione, su Gesù Cristo unico salvatore di tutti i popoli, sulla relazione tra la Chiesa di Cristo e le altre religioni, sul concetto cristiano dell’autentica liberazione umana, sul ruolo della comunità di fede e sulla specificità della preghiera e della spiritualità. A ogni intervento ha fatto seguito un animato dibattito. Il primo problema è che la visione dell’unità nel pluralismo presentata dal Concilio e dai papi non sembra essere stata fatta propria dalla Chiesa. Qualsiasi tipo di pluralismo teologico è sospettato di relativismo. Non è corretto confondere il pluralismo culturale e religioso con il pluralismo relativistico postmoderno della filosofia europea. Nella liturgia sembra realizzarsi un’assolutizzazione dell’unità del rito romano e una fissazione in un certo passato storico, in modo tale che vengono permesse solo traduzioni letterali, e si trattano i testi liturgici come se fossero più sacri della parola di Dio. Anche queste traduzioni letterali devono essere approvate da un’autorità centrale, che si presume libera da condizionamenti culturali. I vescovi giapponesi hanno protestato Nella parte del colloquio riservata ai vescovi lo scambio è avvenuto attorno a temi inerenti la loro specifica responsabilità ecclesiale, come il ruolo del vescovo come maestro della fede, il funzionamento della Commissione dottrinale della Conferenza episcopale, la formazione dei futuri sacerdoti e dei membri delle congregazioni religiose e la corretta valutazione dei delitti canonici più gravi. In India i cattolici sono una piccola minoranza – solo il 2,3% della popolazione –, ma in cifra assoluta rappresentano una comunità di 28 milioni di fedeli, immersi in un contesto religiosamente pluralistico. I tentativi di fare i conti con questa realtà, elaborando una teologia pluralistica delle religioni, hanno suscitato nella Santa Sede la preoccupazione che si arrivasse a negare l’unicità di Cristo come salvatore di tutti i popoli.3 Nel suo intervento il card. Gracias ha chiesto al Vaticano di apprezzare e incoraggiare l’impegno dei teologi a comunicare Cristo a coloro che «hanno una visione del mondo e delle convinzioni religiose e filosofiche diverse da quelle cristiane tradizionali». D. S. 1 I 28 vescovi appartenevano alle tre Chiese rituali sui iuris in India, sotto la guida del card. Oswald Gracias, arcivescovo di Bombay e presidente della Conferenza dei vescovi cattolici dell’India (CBCI). Hanno partecipato il card. Telesphore Toppo, arcivescovo di Ranchi e presidente della Conferenza dei vescovi di rito latino (CCBI); l’arcivescovo maggiore di Trivandrum dei siro-malankaresi, catholicos Baselios Cleemis Thottunkal, presidente del Santo Sinodo episcopale della Chiesa cattolica siro-malankarese; mons. George Punnakottil, vescovo di Kothamangalam dei siro-malabaresi e vice presidente della CBCI; mons. Joseph Kallarangatt, vescovo di Palai dei siro-malabaresi e presidente della Commissione dottrinale della CBCI. Anche i 26 teologi partecipanti sono stati scelti dalle suddette tre Chiese sui iuris. 2 Cf. L’Osservatore romano 24-25.1.2011, 3 Si veda in proposito la vicenda del teologo gesuita Jacques Dupuis, cf. Regno-att. 6,2001,148; 2,2005,64; Regno-doc. 5,2001,143. invano contro questo stato di cose nel Sinodo per l’Asia. Il ruolo delle conferenze episcopali è stato degradato e le sperimentazioni sono state proibite. A parte l’approvazione simbolica dei 12 punti di adattamento per l’India subito dopo il Concilio e una versione congolese del rito romano, non sono state permesse altre iniziative. Una preghiera eucaristica indiana proposta dalla Conferenza dei vescovi indiani non è neanche stata presa in considerazione. I nostri sforzi d’inculturazione nel passato sono stati frustranti. L’ecclesiologia sulla quale si basa questa pratica non proviene dal Concilio, che affermò con forza il principio della collegialità episcopale. Si potrebbe chiedere: quali sono le condizioni per l’esercizio dell’autorità in una Chiesa che è una comunione di Chiese locali? Sembra che l’uniformità sia considerata più importante dell’unità. L’unità della Chiesa qui non è basata su «un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo» (Ef 4,5) e su un solo Spirito che anima ogni cosa, ma su testi, riti e strutture, e alla fine un solo potere centrale. È un dato di fatto che tutto, tranne l’uso dell’acqua nel battesimo e il pasto comune nell’eucaristia, è cambiato nel corso della storia.7 Uno dei motivi di questo atteggiamento potrebbe essere il modo in cui è concepito il processo dell’incontro tra Vangelo e cultura. È vero che non vi è alcuna chiarezza sul progetto e il processo di quella che chiamiamo «inculturazione». Il termine è coniato sul modello di «incarnazione», ed evoca un bellissimo IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 91 REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.50 Pagina ideale teologico-spirituale, il quale suggerisce che come la parola di Dio si è incarnata nella cultura ebraica, si deve incarnare in ogni cultura. È stata una visione che ha avuto una buona accoglienza se paragonata ad altri processi come traduzione e adattamento. Tuttavia può suscitare tre tipi di problemi. Il primo è pensare al Vangelo come a una sorta di organismo che si trasforma nel regno di Dio scegliendo e integrando alcuni elementi validi dalle diverse culture che incontra. In questo caso l’identità delle culture e delle persone che le vivono non sono rispettate. Il secondo è che incarnazione può non essere la miglior immagine per descrivere come io vivo la mia cultura. Io posso solo dialogare con il Vangelo e rispondere nel linguaggio e nella cultura che mi sono propri. Terzo, alcuni tendono a identificare il Vangelo con una fede e con la sua espressione nei primi secoli cristiani, e di conseguenza a considerarne solo la fedele traduzione in altri linguaggi. Ma ciò che accade in realtà o che dovrebbe accadere è molto diverso. Come il Vange lo diventa vita Nel corso dell’evangelizzazione il missionario si accultura nella comunità locale, traduce il Vangelo nella lingua del luogo e racconta la storia di Gesù. Il popolo ascolta la chiamata di Gesù e si converte. Gli risponde attraverso la sua vita (spiritualità), attraverso il suo linguaggio, i suoi simboli e la sua cultura nell’arte, nel culto e nella sua contestuale riflessione teologica sulla vita. Guidato dai suoi leader, il popolo è l’attore di questa risposta. Ciò che invece è successo in passato, e in larga misura anche nel presente, è che anche la forma della risposta è stata importata e imposta al popolo. Pochissimi gruppi oggi possono affermare la loro libertà a livello di arte, spiritualità e teologia. Ma la liturgia è strettamente controllata. Lungo il processo la prassi religiosa viene alienata dalla situazione e dalla cultura locale. Il popolo compensa con la devozione popolare, che è tollerata e a volte anche incoraggiata in quanto conduce persone (e guadagni) alla Chiesa. Il Vangelo oggi arriva già incarnato in diverse forme culturali. Ci sono 92 IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 92 quattro Vangeli, per non parlare delle lettere degli apostoli, già influenzati dalle culture ebraica e greca vissute da diverse comunità. Il Vangelo poi è stato ulteriormente influenzato nei secoli dalle numerose culture euro-americane che hanno formato i missionari. Questo Vangelo incontra un popolo che vive la propria cultura. Si tratta quindi di un incontro interculturale. Per cogliere il Vangelo dunque il popolo deve dialogare ermeneuticamente con le culture attraverso cui esso gli giunge. È assolutamente inaccettabile che si tenti di rendere in qualche modo normative per popoli appartenenti ad altre culture le prime nelle quali il Vangelo ha trovato espressione. Sa di imperialismo culturale. Questi incontri inter-culturali hanno luogo anche attraverso contatti commerciali, invasioni, migrazioni, e spesso coinvolgono il potere politico e culturale. Un missionario in un contesto coloniale non fa semplicemente conoscere il Vangelo; può anche rappresentare, in pratica se non in teoria, una cultura sviluppata e dominante supportata da un potere politico e militare. La risposta allora non è puramente spirituale e spontanea, ma condizionata in vario modo. La gente con una cultura meno sviluppata può essere disponibile a sottomettersi alla cultura imposta, perché sembra più sviluppata. I gruppi subalterni possono essere bendisposti verso una cultura straniera in quanto appare liberatrice rispetto a culture locali avvertite come socialmente o religiosamente oppressive. Ma altre culture sviluppate, come quella indiana e cinese, possono dimostrare una certa resistenza. L’incontro tra Vangelo e cultura è quindi un processo inter-culturale con dimensioni sociali e politiche; di più, può avere implicazioni economiche, se il Vangelo arriva insieme a scuole, dispensari e aiuti allo sviluppo. La cultura e la religione sono collegate strettamente; entrambe sono alla ricerca di un senso, e la religione si concentra sulle domande ultime più profonde. Arrivando, con le sue particolari espressioni culturali, il Vangelo incontra una cultura animata da una o più religioni. L’incontro Vangelo- cultura diventa quindi anche un incontro interreligioso. Aloysius Pieris distingue tra religioni cosmiche e metacosmiche, e sostiene che quelle metacosmiche non sostituiscano le altre, ma che piuttosto si radichino in esse come una sorta di sovra-struttura.8 L’integrazione tra cosmico e metacosmico sembra evidente nella religiosità popolare, che sottolinea la dimensione cosmica. Un incontro tra due religioni metacosmiche può essere teso ma reciprocamente arricchente. A livello spirituale sembrano possibili le identità religiose duplici. Il processo dell’incontro tra Vangelo e cultura è perciò in sé dialogico. Le culture e le religioni non sono più considerate come semplici sforzi umani nei quali sono disseminati alcuni «semi della Parola». Giovanni Paolo II ha riconosciuto che lo Spirito di Dio è presente e attivo in tutte le culture e le religioni.9 Mentre la parola di Dio è piena e assoluta in sé, è un dato di fatto che l’esperienza ed espressione che la Chiesa ne fa sono limitate per effetto dei condizionamenti umani, storici e culturali: è per questo che il dialogo tra Vangelo e cultura può essere reciprocamente arricchente. Qui ritroviamo un pluralismo che non è relativistico. L’Ufficio per le questioni teologiche della Federazione delle conferenze episcopali d’Asia (FABC) ha detto: «Ciascuna cultura non solo ci offre un nuovo approccio all’umano, ma ci apre anche dei nuovi percorsi per comprendere il Vangelo e le sue ricchezze. Quando il Vangelo incontra la tradizione, l’esperienza e la cultura di un popolo, emergono delle virtualità che in esso finora non erano state scoperte; ricchezze e significati ancora nascosti vengono alla luce».10 Tali incontri tra Vangelo e cultura possono portare a quegli sviluppi dottrinali di cui spesso parlava il beato card. Newman. In questo dialogo il Vangelo non si libra al di sopra della cultura, cercandovi elementi da incorporare, bensì vive all’interno della comunità cristiana, la quale si sforza di comprendere, vivere e mettere in pratica il Vangelo nel contesto della sua specifica vita e cultura. Il dialogo è perciò un processo interno, che non può essere facilmente giudicato da un esterno. Il Vangelo a sua volta provo- REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.50 Pagina ca le culture al cambiamento nella sua luce. Questa dimensione profetica e trasformatrice non è stata sufficientemente evidenziata e vissuta Teologia cristiana indiana La teologia in India cerca di essere contestuale, partendo dall’esperienza di fede e passando attraverso un circolo teologico-pastorale di esperienza, analisi, interrogazione, collegamento con le fonti della nostra fede, riflessione e discernimento, che riporta nuovamente all’azione e all’esperienza. Il percorso circolare è in realtà una spirale. Una teologia di questo tipo è esperienziale e dinamica. Non è semplicemente una spiegazione intellettuale di un credo, ma vita di fede che cerca di operare una trasformazione attraverso la comprensione.11 Di fatto ogni teologia è contestuale, non esiste una teologia universale. Il contesto indiano è per di più culturalmente e religiosamente pluralistico. Secondo i teologi indiani il pensiero greco non è del tutto adeguato a comprendere il mistero del divino, poiché utilizza concetti universali astratti dalla realtà, collegati per via logica e oggettivati come reali, impoverendo in questo modo il reale. Il pensiero greco è dicotomico, separa lo spirito dal corpo, l’umano dal cosmo e il divino dall’umano; vede le distinzioni come separazioni. La tensione tra la Chiesa e il Regno è un esempio. L’approccio indiano alla realtà è più olistico e «advaitico», o non-duale.12 È simbolico e pluralistico, più adeguato 1 Come riferimenti generali cf. J. SALInculturation, St. Paul’s, Mumbai 1987; M. AMALADOSS, Beyond inculturation, ISPCK, Delhi 1998; L. LEGRAND, The Bible on culture. Belonging or dissenting, Orbis Press, Maryknoll 2000; E. FERNANDES, J KUNDURU (a cura di), Renewed efforts at inculturation for an Indian Church, Dharmaram, Bangalore 2002; E. MONTEIRO, Church and culture. Communion in pluralism, ISPCK, Delhi 2004; M. SATURNINO DIAS (a cura di), Rooting faith in Asia. Source book for inculturation, Claretian, Bangalore 2005. 2 G. ROSALES, C.G. AREVALO (a cura di), For all the peoples of Asia, vol. I, Claretian, Manila 1997, 6. 3 Non commenterò qui le implicazioni dell’affermazione secondo cui le ricchezze distribuite da Dio non siano sotto il suo dominio, né le dicotomie tra il sacro e il profano e tra i cristiani e gli altri. DANHA , 93 a cogliere – certo, sempre parzialmente – l’esperienza del mistero infinito di Dio, senza oggettivarlo. Va oltre la ragione astraente e oggettivante, che i filosofi contemporanei hanno dimostrato essere inadeguata anche a comprendere il mondo materiale. Alla fine, tutto ciò che possiamo dire è che l’Assoluto è neti, neti: né questo, né quello. La teologia indiana sarà anche interreligiosa e dialogica, poiché la Parola e lo Spirito di Dio ci parlano anche attraverso le altre culture e religioni. Il dialogo conduce verso il compimento escatologico. Vi sono in India molti ashram e individui che cercano di vivere una spiritualità indiana cristiana: ciò significa semplicità di vita, una certa esperienza della realtà advaitica o non-duale e pratiche indiane come i canti devozionali chiamati bhajan, lo yoga e la concentrazione mentale. Alcuni anni fa l’uso dei metodi asiatici di preghiera fu ufficialmente scoraggiato, naturalmente senza consultare le Chiese dell’Asia. La maggior parte dei cristiani è contenta delle sue pratiche devozionali popolari. Come la spiritualità, anche l’arte sembra rimanere la preoccupazione di alcuni gruppi d’élite. I cristiani che provengono da culture e tradizioni religiose subalterne sembrano condannare tutto ciò che ne è al di fuori come brahminico, atteggiamento che tradisce una certa ignoranza dei processi storici e culturali, e oltretutto qualsiasi tentativo di evangelizzare le culture e i popoli dell’India non può ignorare le culture dominanti. Nel momento stesso in cui dev’essere rispettato il pluralismo culturale che caratterizza il paese, nessuna cultura andrebbe trascurata. È un dato di fatto che in India i cristiani sono poco presenti all’interno dei movimenti culturali di spicco, e che sembrano piuttosto vivere ghettizzati e ai margini. La minoranza economicamente benestante può proporsi l’obiettivo di essere globale, moderna e separata, lieta di essere straniera nel proprio paese. Bisogna chiedersi però se questo può essere uno stile cristiano nei confronti della vita, della cultura e della comunità che deve convergere nella missione. Penso che il vero bisogno del momento sia rendere le Chiese locali libere di vivere creativamente e in modo significativo la loro vita cristiana nelle loro molteplici culture. Non possiamo preoccuparci dell’unità se un vero pluralismo – al di là di ritocchi cosmetici – non è consentito. In una situazione come questa una discussione sull’unità e l’uniformità è puramente accademica. Giovanni Paolo II invitò tutti i cristiani a riflettere su quali fossero le forme in cui il primato petrino potesse essere esercitato in modo significativo.13 Forse dovremmo unirci anche noi in tale riflessione alle Chiese orientali ed euro-americane, per far sì che tutti possiamo avanzare verso un’esperienza della Chiesa universale come comunione di Chiese locali. Michael Amaladoss 4 Su questo svolsi la mia tesi di dottorato: M. AMALADOSS, Do sacraments change? Variable and invariabile elements in sacramental rites, Theological publications in India, Bangalore 1979. 5 P.-M. GY, «Situation historique de la Constitution», in J.-P. JOSSUA, Y. CONGAR (a cura di), La liturgie après Vatican II, Cerf, Paris 1967, 116. Cf. anche A.G. MARTIMORT, «Adaptation liturgique», in Ephemerides liturgicae 79(1965) 7; J.-A. JUNGMANN, «Konstitution über die Heilige Liturgie: Einleitung und Kommentar”, in Lexikon für die Theologie und die Kirche, Das zweite vatikanische Konzil, Teil I, Freiburg 1966, 43. 6 Si veda il modello slavo esposto da Giovanni Paolo II nella Slavorum apostoli. 7 Riguardo la materia dell’eucaristia cf. R. LUNEAU, «Une eucharistie sans pain et sans vin?», in Spiritus 48(1972), 3-11; AMALADOSS, Do sacraments change?, 116-118; R. JAOUEN, L’eucharistie du mil. Langages d’un peuple, expressions de la foi, Karthala, Paris 1995. 8 Cf. A. PIERIS, An Asian theology of liberation, Orbis, Maryknoll 1988. 9 GIOVANNI PAOLO II, lett. enc. Redemptoris missio sulla permanente validità del mandato missionario, 7.12.1990, n. 28; EV 12/604s. 10 FEDERAZIONE DELLE CONFERENZE EPISCOPALI D’ASIA - UFFICIO PER LE QUESTIONI TEOLOGICHE , Theses on the local Church, «FABC Papers» 60, Hong Kong 1991, 20s. 11 Cf. F. WIJSEN, P. HENRIOT, R. MEJÍA (a cura di), The pastoral circle revisited. A critical quest for truth and transformation, Orbis, Maryknoll 2005. 12 Cf. M. AMALADOSS, «Is there an Asian way of doing theology?», in East Asian pastoral review 45(2008), 10-27. 13 Cf. GIOVANNI PAOLO II, lett. enc. Ut unum sint sull’impegno ecumenico, 25.5.1995, n. 95; EV 14/2868. IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 93 REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.50 Pagina 94 La Chiesa e il regime VIETNAM d i popolo Il prestigio della Chiesa in una società demoralizzata I Ho Chi Minh City (Saigon), gennaio 2011. n questi ultimi anni la fiducia del popolo vietnamita nei confronti del Partito comunista sembra venuta meno. La Costituzione dell’aprile 1992, pur rinunciando al marxismo-leninismo e accettando il principio della proprietà privata, ribadisce il ruolo guida del Partito comunista (Dang Cong San Viet Nam). La fiducia era alta al tempo dell’occupazione dei francesi prima e degli americani dopo. Nel 1975 le truppe americane furono costrette al ritiro e i guerriglieri vietcong (comunisti sudvietnamiti), con l’aiuto dei comunisti nordvietnamiti, appoggiati da Cina e URSS, liberarono Saigon. Nel luglio del 1976 il paese venne riunificato e si costituì la Repubblica socialista del Vietnam. Vi sono motivi precisi e noti per la crescente mancanza di fiducia, non soltanto tra le nuove generazioni, ma anche all’interno del partito stesso. C’è una vivace presa di coscienza dei valori democratici, cosicché l’unità, decantata nel passato, è ora indebolita. Partito unico o più partiti? È in gioco una questione importante, che viene dibattuta, anche se il partito unico è continuamente proclamato come l’unico dogma intoccabile, che deve essere salvaguardato a ogni costo. Cresce in molti campi la dipendenza del Partito comunista vietnamita dal Partito comunista cinese: dall’ideologia comunista, comune a entrambi, alla pianificazione economica. Il regime comunista vietnamita adotta un atteggiamento di concessione nei confronti della Cina in 94 IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 molte questioni: la linea di confine tra Cina e Vietnam; la sovranità sulle isole e le acque del mare settentrionale cinese; lo sfruttamento della bauxite e di altri minerali; la disuguale esportazione e importazione tra i due paesi. Per capire la resistenza popolare a tutto questo, si deve tener conto del millennio di inimicizia tra i due paesi. La corruzione è diffusa a tutti i livelli della vita sociale, politica ed economica. È una piaga che colpisce la Reportage dall’Indocina Il risveglio della Chiesa vietnamita (si costruiscono nuove chiese, aumentano le vocazioni, si consolidano le strutture ecclesiastiche) avviene in una condizione di minoranza e in un contesto che nonostante le aperture rimane autoritario e ostile. L’espressione del vescovo Olivier secondo cui la Chiesa cambogiana è rinata ai piedi della croce delinea un percorso di rinnovamento pastorale che ha nella testimonianza diretta dei cristiani la sua chiave di volta. Senza dimenticare un contesto di seduzione delle cuture straniere e di corruzione sociale. Più difficile la condizione della Chiesa nel Laos, dove il regime si ostina a ostacolare persino la costruzione di scuole materne e case religiose. Qui la Chiesa fatica a sopravvivere e le storie raccontate somigliano alle narrazioni dei martiri. nazione al cuore ed è causa di malcontento. Molte imprese e aziende pubbliche conoscono insuccessi e fallimenti e danneggiano gravemente il paese con l’inquinamento. L’inflazione crescente, l’abisso tra i ricchi (per lo più gente del partito) e i poveri, la scarsa legalità, gli inadeguati servizi per l’istruzione e la sanità sono alcuni dei motivi che rendono oggi precaria la situazione del paese. Il rallentamento della crescita economica e il calo delle esportazioni hanno spinto il governo ad avviare politiche espansionistiche con la svalutazione della moneta. La difficile situazione ha cambiato negli ultimi tempi il clima nel paese: minor controllo sul popolo, discussioni accese anche tra i membri del partito, pubblicazioni critiche e dibattiti sui programmi del governo. Anche le religioni risentono di un certo rilassamento dei controlli. Di fatto, molte delle restrizioni del passato sono state allentate, anche perché la gente non è particolarmente interessata all’ideologia; anzi, quasi per niente. È attratta dal far denaro e da condizioni di vita migliori. Storia e profezia La Chiesa cattolica in Vietnam (circa 7 milioni di fedeli, l’8% della popolazione) è considerata la migliore organizzazione fra tutte le istituzioni del paese. Spogliata di quasi tutti i beni con l’avvento dei comunisti, nel 1954 al Nord e nel 1975 al Sud, essa ha conosciuto la povertà, ma nello stesso tempo si è rinvigorita all’inter- REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.50 Pagina 95 V I N C E N Z O P H A M T R U N G -T H A N H I diritti sono diritti L e comunità e le parrocchie guidate dai redentoristi sono spesso molto esposte nelle manifestazioni pubbliche contro il governo (cf. Regno-att. 18,2008,634). P. Vincenzo PhamTrung-Thanh, lei sa bene, come provinciale, che non tutti apprezzano queste azioni. Mi sa dire perché? «Siamo chiamati a essere fedeli al nostro carisma, datoci da sant’Alfonso: portare la buona novella ai poveri. Abbiamo il dovere di dire e proclamare la verità e la giustizia. Costi quello che costi. Lo facciamo in tempi opportuni e non opportuni». – E questi non sono tempi opportuni. «È proprio così. La situazione socio-politica del paese sotto tutti gli aspetti dice che i tempi non sono opportuni. Per questo andiamo contro corrente nell’evangelizzazione. L’annuncio del Vangelo in questa società può procurarci anche la persecuzione e noi ne siamo consapevoli». – Che significa persecuzione? «Le porto due esempi. Alla fine di novembre sono stato convocato dagli ufficiali di polizia per essere interrogato. Il 28 dicembre scorso mi è stato negato di visitare i miei familiari, che si trovano in America, e un nostro benefattore nel Minnesota. Sono stato fermato all’aeroporto e mi è stato ritirato il passaporto. Rilasciato, non posso andare all’estero. Non mi è permesso di uscire dal paese e sono sotto stretta sorveglianza. Ho mandato una lettera alle autorità e finora non ho ricevuto risposta. Mi dicessero almeno i motivi… Anche altri due padri sono stati interrogati dalla polizia. Vede, i motivi sono in verità molto semplici: noi stiamo accanto ai poveri e a chi subisce ingiustizie. E sono tanti». – Padre provinciale, questa è la posizione sua o anche degli altri suoi confratelli? no. È stata costretta all’essenzialità. Si è avvicinata al popolo e ne ha vissuto la storia. Per questo gode oggi di prestigio morale ed è apprezzata per i suoi servizi caritativi. Nel 2010, guardando a ritroso la sua storia (350 anni dalla fondazione dei primi vicariati apostolici e 50 anni dalla costituzione della gerarchia locale), la Chiesa vietnamita va fiera della sua fede eroica, seguendo le tracce dei suoi martiri. Si costruiscono nuove chiese, aumentano le vocazioni sacerdotali e religiose, si consolidano le strutture ecclesiastiche, si aggiornano liturgia e devozioni popolari, si lanciano nuovi servizi nell’ambito sociale. In questo contesto ottimistico, la Chiesa ha celebrato solennemente l’anno giubilare; si è tenuto il Congresso del popolo di Dio (l’arcivescovo di Ho Chi Minh City parla di Assemblea più che di Congresso: è il primo evento del genere nella storia del paese), «È della congregazione redentorista in blocco. Battersi per la giustizia, questo è stato deciso nel nostro capitolo generale del 2009. E ciò non vale solo per il Vietnam, ma per tutti i luoghi dove operano i redentoristi. Il nostro impegno è chiaro: lotta per la verità, per la giustizia, per la salvaguardia dei diritti umani. In Vietnam, quindi, non siamo isolati, non siamo teste calde». – Ma non tutti i vescovi appoggiano quello che fate. «Sì, è vero, ma in modo confidenziale alcuni vescovi mi hanno detto di condividere la nostra azione. Siamo appoggiati da alcuni vescovi come, ad esempio, dal presidente e dal segretario generale della Conferenza episcopale. Ovviamente non si tratta di appoggi conclamati, ma dietro le quinte, perché i vescovi, per paura del regime, non possono esprimersi ufficialmente e apertamente». – Per non dire delle difficoltà che avete con il partito, il regime, il governo. «Vede, per me non conta tanto l’ideologia, ma la vita concreta della gente. Qui non c’è giustizia, non c’è difesa dei diritti umani. Siamo consapevoli del nostro dovere morale di essere la voce dei poveri e vogliamo esserlo fedelmente, anche a costo di persecuzioni e isolamento. All’ideologia comunista è subentrata l’ideologia comunista liberista. È imperante oggi da noi il comunismo dei capitalisti, il capitalismo rosso». – Un suo giudizio sul recente Congresso del popolo di Dio (cf. Regno-att. 22,2010,740). «Non vi vedo la Chiesa che s’impegna nei problemi morali più urgenti e concreti del nostro paese. Solo parole e discussioni. La Chiesa è altrove». a cura di Francesco Strazzari che è stato un successo e ha segnato la strada del futuro (cf. Regno-att. 16,2010,529; 22,2010,740). Ma – si osserva – potrebbe riaffiorare la vecchia tentazione di far bella mostra di sé (gerarchia e fedeli) sognando il potere e la gloria del passato. E sorgono interrogativi: che cosa impara la Chiesa locale dalla lezione del recente passato? Come si rende presente nella società vietnamita di oggi, dove è in minoranza, per essere evangelicamente più efficace? È convinta che la silenziosa e umile presenza di servizio, di cui ha gioito (e sofferto) negli anni difficili, sia un reale cammino dello Spirito Santo? Lo scopo del Congresso (o Assemblea) del popolo di Dio è stato posto con chiarezza: costruire una Chiesa che sia sempre più segno e strumento del Regno di Dio per tutti gli uomini. Molto si è scritto e discusso dal punto di vista teologico, ma poco è stato det- to su come costruire una Chiesa così. La vecchia tendenza trionfalistica è sempre in agguato. Per questo il come anima il dibattito. Per fortuna si sono alzate voci in proposito, timide nel Congresso, più consistenti al di fuori, da parte di diversi membri del popolo di Dio; ma come farle ascoltare e renderle efficaci nella vita ufficiale della Chiesa dei prossimi anni è ancora un significativo punto di domanda. L’impatto della celebrazione dell’anno giubilare non dovrebbe essere limitato ai soli cattolici, ma dovrebbe far sì che la presenza evangelica della Chiesa vietnamita nella società diventi più viva ed efficace. È stato ripetuto nel Congresso: la Chiesa deve essere la «luce del mondo». Ma come? È questo l’interrogativo che la Chiesa in Vietnam oggi si pone. Francesco Strazzari IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 95 REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.50 Pagina 96 Indicazioni pastorali CAMBOGIA r inata sotto la croce Il volto cambogiano della Chiesa I l vescovo vicario apostolico di Phnom Penh, Emile Destombes, ha lasciato il posto al giovane Olivier Schmitthaeusler, delle Missioni estere di Parigi, che il 24 dicembre 2009 è stato nominato suo successore e ha preso possesso del vicariato il 20 marzo 2010. A quarant’anni è il più giovane vescovo dell’Asia. È arrivato in Cambogia nel 1998 e ha subito incominciato a imparare la lingua khmer, che ora parla perfettamente. Dal 2002 ha lavorato nel centro pastorale di Takeo – Kampot, dal 2003 al 2005 ha insegnato storia della Chiesa nel seminario maggiore, dal 2007 è stato vicario generale di Phnom Penh. Originario di Strasburgo, ha studiato filosofia e teologia all’università della città. Dal 1991 al 1994 ha svolto servizio civile presso l’Università San Tommaso di Osaka, in Giappone. Era stato mons. Destombes a segnalarlo a Roma come suo successore. Il programma del vescovo Olivier Schmitthaeusler è chiaramente espresso in una lunga lettera pastorale indirizzata ai fedeli dal titolo: Cammino di vita, cammino di amore, cammino di fede, cammino di speranza. La Chiesa in Cambogia è nata 455 anni fa con il primo missionario portoghese che vi arrivò nel 1555. Per secoli fu legata al Vietnam: nel 1970 erano 60.000 i battezzati d’origine vietnamita, mentre i khmer erano appena 3.000. Quando i vietnamiti lasciarono la Cambogia negli anni dal 1970 al 1975, la Chiesa passò ai cambogiani. Appena tre giorni dopo l’ordinazione del primo vescovo cambogiano, mons. Giuseppe Chhmar Salas (14.4.1975), i khmer rossi iniziarono la loro spietata rivoluzione, che durerà fino al 1979, causando la morte di centinaia di migliaia di cambogiani tra i quali il giovane vescovo, numerosi cristiani, preti e religiosi. 96 IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 Mar tiri e testimoni È toccante tracciare, sia pur brevemente, il profilo degli ultimi vescovi della Chiesa in Cambogia. Il vescovo Yves Ramousse, ancora vivo, è nato nel 1923 in Francia, è entrato nelle Missioni estere di Parigi e ha fatto i suoi studi alla Gregoriana e all’Università cattolica di Parigi. Ordinato prete nel 1953, ha ricevuto l’ordinazione episcopale nel 1963 ed è divenuto vicario apostolico di Phnom Penh. È stato espulso dalla Cambogia dai khmer rossi nel 1975 e nel 1976 il suo posto è stato preso dal cambogiano G. Chhmar Salas. Nel 1992, dopo la tragedia, è tornato a ricoprire la carica di vicario apostolico di Phnom Penh, che ha lasciato nel 2001; dal 1992 al 2000 si è fatto carico anche della prefettura apostolica di Battambang. Il vescovo martire, Giuseppe Chhmar Salas, era nato nel 1940 a Phnom Penh. Studiò a Parigi e, ordinato prete, lavorò a Battambang come animatore dei catechisti. Consacrato vescovo il 4 aprile 1975 fu nominato coadiutore di Phnom Penh. Prima della sua ordinazione aveva vissuto in Francia e quando ricevette da mons. Ramousse la lettera che gli chiedeva di far ritorno in Cambogia obbedì. Era consapevole che i khmer rossi lo avrebbero presto eliminato, infatti morì di stenti nei campi di lavori forzati a Taing Kork, nella provincia di Kompong Thom, e oggi viene venerato come martire. L’altra figura di rilievo della Chiesa cambogiana è il vescovo Emile Destombes, nato nel 1935 in Francia. Entrato anche lui nel seminario delle Missioni estere di Parigi, ha studiato filosofia ed è stato caldamente pregato d’intraprendere la carriera universitaria. Ordinato prete nel 1961, ha raggiunto la Cambogia nel 1964. Nel 1975, all’arrivo dei khmer rossi, è stato costretto a lasciare la Cambogia, dove è rientrato nel 1989 come volontario di Caritas internationalis. Si è quindi messo alla ricerca delle comunità cristiane per incontrare i cristiani sopravvissuti al furore khmer. Il 14 aprile 1990 – data storica – ha celebrato la prima messa dopo molti anni, attorniato da migliaia di cattolici. Nell’ottobre 1997 è stato consacrato vescovo e nominato coadiutore del vescovo Yves Ramousse. A lui è stato affidato l’arduo e impegnativo compito di ricostruire la Chiesa in Cambogia, rinnovando i catechismi con l’aiuto di p. Ponchaud (il maggior esperto al mondo della cultura khmer), dando corso alla lettura della parola di Dio, con la ferma intenzione di acculturare il Vangelo negli usi e costumi khmer. Si è dedicato ai poveri e ha costruito scuole e dispensari nei villaggi più abbandonati. Ora abita ai bordi del Mekong insieme con la sorella del vescovo martire Salas, dedito – come mi ha confessato – alla preghiera e allo studio. Le sue memorie sarebbero fonte di edificazione cristiana. Quando Olivier Schmitthaeusler è stato consacrato vescovo, Emile Destombes ha fatto un caloroso discorso che riassume tutto il suo impegno: «La Chiesa non ha semplicemente la missione di riunire i cristiani in unità, ma anche di riunire tutti gli uomini. Vi domando di rispettare la religione buddhista che è la religione dello stato; prendete a cuore di collaborare con i buddhisti e condurre il popolo khmer a disciplinare le passioni, a moderare l’eccessiva avidità di ricchezze, a rifiutare il ricorso alla violenza e alla collera. Uniamoci per vincere l’ignoranza in tutti i campi». Da questi brevi cenni si capisce come la Chiesa in Cambogia «sia rinata ai piedi della croce», secondo l’espressione del vescovo Olivier. Vent’anni dopo la ricostruzione di Ramousse e Destombes, il vicariato apostolico di Phnom Penh conta 14.000 cattolici, ripartiti in 38 comunità, di cui una decina nuove, insediate soprattutto nei villaggi, con due preti cambogiani (ve ne sono cinque in tutta la Cambogia), due seminaristi (ce ne sono cinque in formazione per tutto il paese) e circa 140 operatori pastorali di una quindicina di nazionalità differenti. Sta emergendo REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.50 Pagina una nuova generazione di cristiani: sono giovani, non hanno conosciuto il regime di Pol Pot, scoprono la fede ed entrano con entusiasmo in una società che si evolve con sorprendente velocità. U n a n u ova ge n e ra z i o n e di cristiani Il paese è consapevole di avere sulle spalle trent’anni di ritardo nei confronti dei vicini thailandesi e vietnamiti. È un’esplosione di cantieri stradali, costruzioni e trasporti, spesso con una tecnologia molto avanzata. I giovani si lasciano sedurre dalle culture straniere mettendo a dura prova usi e costumi tradizionali. La nuova generazione di cristiani subisce il fascino dei modelli di una società nella quale la corruzione è a tutti i livelli. Contano l’apparenza e il prestigio; poco invece le capacità reali nell’assumere ruoli politici e sociali. In particolare, la nuova società cambogiana soffre dell’arresto della trasmissione culturale ed educativa. I genitori della nuova generazione sono 97 dei sopravvissuti. Osserva il vescovo Olivier: «Hanno imparato a sopravvivere, non a vivere; non hanno potuto trasmettere un patrimonio culturale ed educativo perché essi stessi non l’hanno ricevuto. Penso che la perversità del regime di Pol Pot produrrà i suoi veleni ancora a lungo nel cuore della società cambogiana. Non si interrompe senza danni la trasmissione della tradizione da una generazione all’altra e si paga a caro prezzo il rifiuto di costruire la memoria». Per il vescovo Olivier le sfide dei cristiani cambogiani sono dieci: dare un volto cambogiano alla Chiesa, con la formazione conseguente; farsi carico delle vocazioni sacerdotali e della formazione del clero; favorire l’unità tra i diversi operatori nella missione nel vicariato; costruire la Chiesa tenendo conto delle componenti cambogiane e vietnamite; accogliere i nuovi cristiani che vengono dalle campagne, dato il massiccio esodo verso i centri urbani; aprire nuovi areopaghi per la Minoranza cattolica LAOS a ncora persecuzioni L’ o r d i n a z i o n e d e i p r e t i è u n c a s o S comunicazione della fede: il mondo operaio, il terziario, le classi intellettuali...; sviluppare la testimonianza cristiana nel campo della sanità; dare spazio ai mezzi di comunicazione sociale e tentare di avere una voce propria nei dibattiti della società contemporanea; essere più presenti nella cultura cambogiana, soprattutto nella liturgia e nella trasmissione della fede; essere un luogo di dialogo con le altre religioni del paese. «Prego perché la nostra Chiesa sia accogliente e amante, semplice e misericordiosa, serva e vivente». Eloquente il motto del vescovo Olivier: «Caritas Christi urget nos» (la carità di Cristo ci incalza). Nel suo stemma, dalla croce partono quattro fiumi, che si congiungono a Phnom Penh: il Mekong, il Tonlé Sap, il Bassac e il Mekong inferiore. Terra e acqua esprimono la vita dei cambogiani. Dalla croce sgorga la fonte d’acqua viva per la Cambogia di oggi. Francesco Strazzari i è chiusa il 25 gennaio la riunione congiunta dei membri del governo della Repubblica democratica popolare del Laos, dei governatori di tutte le province e del sindaco della capitale. Due giorni per fare il punto sulla preparazione del IX Congresso del Partito rivoluzionario del popolo lao (PRPL) e sulla campagna di sensibilizzazione per il VI Piano quinquennale. Il problema di fondo non sta solo nei diritti umani sistematicamente violati, ma nella promozione degli investimenti internazionali, che hanno subito un calo dopo la crisi economica globale del 2008-2009. Le riforme varate dal governo per incoraggiare la libera impresa hanno consentito di mantenere alti i tassi di crescita. Sono in forte espansione le colture commerciali d’esportazione, soprattutto riso e caffè; è diffusa la coltivazione illegale di papavero da oppio; importanti sono le risorse forestali. Lo sfruttamento delle risorse del sottosuolo per lo più a opera di capitali stranieri è in crescita. Il regime, di fatto a partito unico, si appoggia in gran parte sul turismo. Gli ingressi vanno verso il milione e mezzo di visitatori all’anno. Sia il presidente della Repubblica, Choummaly Sayasone, sia il primo ministro, M. Thongsing Thammavong, non cessano di parlare di crescita continua dell’economia nazionale e di trasformazione dello stato in un paese industrializzato e moderno, ricorrendo a slogan tipici delle dittature: «Rivaleggiare in ardore per l’amore e per lo sviluppo del paese» (cf. Le Rénovateur [2011] 627). Chiesa fe conda Nei confronti della religione e delle varie confessioni religiose presenti nel paese, nonostante il dettato della Costituzione del 1991, il Partito continua ad avere una politica di discriminazione e talvolta di aperta sfida. In quest’ultimo periodo la libertà religiosa in Laos è molto limitata e gli interventi delle varie autorità locali sono vessatori: la minoranza cristiana è presa di mira e sorvegliata. Ad esempio, in occasione della prima ordinazione di un prete per il Nord IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 97 REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.50 Pagina 98 Thakehk, Laos: ordinazione presbiterale di Pierre Buntha Silaphet. del paese dopo quarant’anni, le autorità hanno cercato di boicottare l’evento in tutti i modi, surriscaldando il clima e deteriorando ulteriormente i già precari e difficili rapporti con la Chiesa cattolica. L’ordinazione di Pierre Buntha Silaphet, prevista per il 12 dicembre 2010 e molto attesa dalla piccola comunità cattolica laotiana (l’1,5% dei 6.368.000 abitanti), sarebbe stata la prima ad avere luogo nel vicariato di Luang Prabang in una quarantina d’anni. Annullata dalle autorità locali all’ultimo momento, è stata rimandata sine die. L’amministratore apostolico del vicariato di Luang Prabang, mons. Tito Banchong Thopanhong, aveva ottenuto tutti i permessi e dopo vari rinvii le autorità avevano deciso per il 12 dicembre. Il piccolo villaggio di Phom Van, terra d’origine del futuro prete (di etnia k’hmu, la più importante minoranza etnica del Laos, che occupa per lo più le zone montagnose del Nord), si era dato da fare perché la celebrazione avvenisse senza troppo rumore. A Luang Prabang il controllo del Partito è particolarmente stretto e onnipresente e ne risentono in particolar modo i catechisti, che si devono spostare da un villaggio all’altro. Nel vicariato di Luang Prabang ci sono sei parrocchie con 2.500 cattolici; la cattedrale non esiste più, ma sono rimaste solo delle cappelle e mons. Tito, 60 anni, è l’unico prete per tutta la comunità. Sorvegliato nella sua attività pastorale, è oggetto di derisione e di 98 IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 attacchi volgari. Grande la sua soddisfazione per l’ordinazione di Pierre, 30 anni, cresciuto al suo fianco. Due giorni prima della data fissata, le autorità locali gli hanno ritirato l’autorizzazione senza alcuna spiegazione ufficiale. È stata vietata la celebrazione a Luang Prabang, e gli è stato comunicato che forse sarebbe stata celebrata a Vientiane. Dopo una serie di ordini e contrordini fino al 29 gennaio 2011, le autorità locali hanno finalmente consentito che l’ordinazione fosse celebrata a Thakhek. Poiché mi è stato vietato di recarmi sul posto, ho seguito l’evento da Vientiane in contatto telefonico con alcuni partecipanti al rito. Toccanti le parole di mons. Jean Marie Vianney Prida Inthirath, vescovo titolare di Lemfocta e vicario apostolico di Savannakhet, rivolte al nuovo sacerdote: «Padre Pierre Buntha Silaphet! Figlio mio carissimo, caro fratello mio, sii forte! Conserva ciò che ti ho detto durante la tua formazione. Ricorda sempre che Maria, madre del nostro Salvatore, sarà sempre al tuo fianco. Oggi, la mia gioia è immensa nel vedere la diocesi di Luang Prabang partorire un figlio dopo lunghi anni di gestazione…». A queste parole ha fatto eco l’intervento di mons. Louis Marie Ling Mangkhanekhoun, vescovo di Paksé, celebrante principale: «Sii il buon pastore del gregge che il Signore ti affida, gregge che ti attende da così lungo tempo…». Mons. Tito di Luang Prabang non ha potuto trattenere le lacri- me abbracciando il suo futuro collaboratore. Numerosi i preti, i religiosi, le religiose presenti con oltre 1.200 fedeli. È stato vietato alla gente del villaggio di Pierre, ai suoi parenti e conoscenti di fare il viaggio fino a Thakhek, nel Sud del paese; per ragioni di sicurezza, a detta delle autorità locali. Più verosimilmente, perché il paese non se ne accorgesse e il fatto non finisse sui giornali. Il problema è ora sapere come e quando p. Pierre potrà visitare il suo villaggio natale e celebrare la sua prima messa. Le concessioni alle comunità cattoliche vengono date con il contagocce ed è comprensibile che la gente non resista: qualche prete lascia il sacerdozio e gli stessi vescovi faticano a programmare anche la minima attività pastorale. Il vescovo Khamsé di Vientiane ci sta rimettendo la salute e passa gran parte del tempo nel suo villaggio natale, facendo mancare la sua presenza nella cattedrale della capitale, che invece, fino a poco tempo fa, registrava una grande vitalità. Ci si aspetta molto dal nuovo vescovo di Savannakhet, mons. Jean Marie Prida Inthirath, 53 anni, che ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 10 aprile 2010 nella cattedrale di Thakhek, piacevole città sulle rive del Mekong. Sono più di 12.000 i cattolici ripartiti in 54 comunità, sei preti in attività e parecchie decine di religiose. Un avvenimento che renderà felice la Chiesa cattolica in Laos, perseguitata e martire, sarà la beatificazione di 17 martiri, tra i quali il religioso oblato trentino p. Mario Borzaga e il suo catechista hmong Paul Thoj Xyooj, il cui processo è iniziato due anni fa a Trento. Avvenimento che non farà certo piacere al regime, che si ostina a ostacolare la Chiesa cattolica, vietando persino alle case, scuole materne e asili retti dalle religiose, l’esposizione della croce. Non sono rari i casi di cattolici, soprattutto padri di famiglia, che, per poter lavorare, non si fanno più vedere in chiesa e non praticano. Si parla di apostasia, imposta da necessità di sopravvivenza. Ascoltare le loro storie è quanto di più toccante si possa provare. Il martirio della Chiesa laotiana continua. Francesco Strazzari REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.50 Pagina 99 L L ibri del mese Del mutare dei tempi Marisa Rodano: speranze e responsabilità della mia generazione tanti per capire che tipo di opera si abbia tra le mani. Considerazione generale, come una premessa: «La ricerca di un filo nel labirinto della memoria è un percorso accidentato; conduce verso vicoli ciechi: l’autoritratto, l’autobiografia, le confessioni, il cahier intime, l’evocazione proustiana, l’aneddotica, la divagazione saggistica... Difficile è scoprire cosa io voglia o possa scrivere, o più semplicemente cosa sia in grado di scrivere».3 L eggendo e qua e là rileggendo i due corposi volumi dei diari di Marisa Rodanol una prima osservazione impertinente che mi è venuta naturale concerne la denominazione «Diario minimo» preposta al titolo vero e proprio, Del mutare dei tempi, che riecheggia la Cronaca delle due città di Ottone di Frisinga. Non c’è nulla di minimo o di minimalista in queste pagine che scorrono ra- XXI pide e gonfie come un fiume in piena, sorrette da un interno, palpabile vigore, e sono quanto mai lontane dalla diffusa propensione intimistica e solipsistica di altri diari; anzi, l’«io narrante» appare decisamente refrattario alla tentazione del ripiegamento su di sé, più estroflesso che introflesso (benché non manchino guizzi vividi sulle zone interne),2 e del tutto convinto delle buone ragioni di tale atteggiamento. In proposito, il capitolo 9 offre una serie di considerazioni impor- Una donna protagonista Dopo aver richiamato il tema della soggettività della memoria, «meraviglioso strumento d’eliminazione e di trasformazione» dei vissuti individuali e collettivi, l’autrice passa dal piano generale a quello suo particolare, spiegando perché abbia a lungo recalcitrato all’idea di raccogliere le proprie memorie: «Ho sempre pensato che scrivere le proprie memorie sia un preoccupante segno di senilità: un indizio certo di ripiegamento sul passato. La mia ritrosia, forse, ancor più, una vera e propria reazione di rigetto verso questo genere letterario, nasce dall’impressione che nelle memorie, nei diari, nelle confidenze affidate alla carta vi sia un che di impudico; che sovente vi ristagni quel sottile, forse inconsapevole compiacimento vanitoso che sia Franco sia io abbiamo sempre avvertito con insopportabile fastidio: “Il passato è passato – diceva Franco – pietà l’è morta...”. In realtà abbiamo sempre provato fastidio per il garibaldinismo: l’essere quel che si è stati. Fin da giovanissimi vedevamo in quei vecchietti con le camicie rosse, chiamati a partecipare a sfilate e cerimonie, un fenomeno a un tempo patetico e ridicolo e, in definitiva, mortuario».4 Il brano si apre e si chiude con un riferimento alla senilità; quest’ultimo, perfino impietoso. Ma è una chiave impor- IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 99 REGATT 04-2011.qxd L 25/02/2011 15.50 Pagina ibri del mese tante di accesso all’opera, che si dichiara nata malgrado una serie di resistenze mentali – e non credo sia finzione retorica – all’esibizione dei propri vissuti che è intrinseca a questo genere di scritti; e, assieme a questo tratto di pudore, a questo freno contro scivolamenti narcisistici, colpisce la nettezza dell’ancoraggio al presente, il rifiuto di sopravvivere a sé stessi come ingessati e imprigionati in un’immagine: appunto, il rigetto del «garibaldinismo», sfilata di vecchie glorie che perdono smalto e non si arrendono al «mutare dei tempi», non si accorgono o non vogliono accorgersi di quanto siano diverse le emozioni suscitate negli astanti di ieri e di oggi, di quanto possa sembrare patetico perpetuare l’essere quel che «si è stati». E davvero, il diario di Marisa Rodano, redatto da una donna alle soglie dei novant’anni, lascia un’impressione assai viva di non-senilità, di non-ripiegamento sul passato. Certo, ci possono essere tocchi di nostalgia, come nel ricordo di cari amici scomparsi,5 ma nell’insieme e sostanzialmente questa è un’opera dettata o scritta con la rara capacità di riandare al passato e ripercorrerne tappe salienti senza restarne ingabbiati e senza coltivare quello sguardo all’indietro che svuota il presente di nuovi possibili sensi. E di vita. Questi diari appartengono a una cultura, e a una personalità, che ha vissuto intensamente il presente, ogni suo presente, nel tempo lungo di un’esistenza collocata in un «oggi» che, momento per momento, è stato il luogo di una convocazione e di un compito verso l’avvenire. Un’esistenza sicuramente non ordinaria, non fosse altro per la quantità e l’importanza delle frequentazioni che da subito si affacciano nel testo, dall’epoca dei ricordi d’infanzia in un’agiata e privilegiata famiglia ben introdotta nell’alta società romana6 al periodo intenso e cruciale della giovinezza e della maturazione della scelta antifascista, e poi della lotta clandestina, quando Marisa insieme a Franco Rodano e ad altri giovani amici assiste e partecipa assai da vicino, a contatto con grandi protagonisti del Comitato di liberazione nazionale (CLN) e dell’intellighenzia dissidente,7 per giungere fino agli anni non meno intensi del lungo dopoguerra,8 quando l’impegno politico esce dall’emergenza e gli incarichi istituzionali rendono più ovvio l’esser contornata da personaggi di primo piano. Elencare tutti i nomi di calibro che affollano le pagine del diario9 sarebbe 100 100 IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 un’operazione forse meccanica, ma non inutile a visualizzare il reticolo di rapporti che fanno di quest’opera un ricchissimo contenitore non solo di memorie, ma di «storia» nazionale, dei conflitti e dei traguardi, delle passioni e delle contraddizioni che l’hanno accompagnata. E allora perché «Diario minimo»? Ancora nel capitolo 9, sul quale tornerò anche in seguito perché denso di elementi esplicativi, si trova un breve passaggio che forse dà ragione di quell’aggettivo apparentemente incongruo: «Quando il soggetto narrante è una donna, tutto diventa più complicato, il bisogno e insieme l’impossibilità culturale e psicologica di dire “io” si intrecciano in modo inestricabile. Nella vita di una donna, pubblico e privato costituiscono un continuum, una matassa aggrovigliata che è impossibile sciogliere, un tessuto delicato che è arduo disfare, quasi gli avvenimenti della vita quotidiana, i dettagli minori avessero la stessa rilevanza dei grandi eventi…».10 È un punto di vista probabilmente non allineato con certo femminismo duro e puro che ormai sta alle nostre spalle, ma vicino al sentire di molte donne che, pur non rinunciando agli obiettivi di un’emancipazione costata tanto cara ad altre donne, nemmeno vogliono privarsi di una realizzazione personale, familiare, affettiva. L e b e l le co m p ag n e In tale difficile equilibrio di sfera pubblica e sfera privata, gestito peraltro da Marisa come da moltissime altre non senza fatica, ma con saggezza e perfino con disinvoltura,11 mi pare debba leggersi, sotto traccia, qualcosa di più ampio di un empirico progetto di vita capace di destreggiarsi fra le due sfere: un diverso modello, una diversa scala di giudizio, un’articolazione dissimile delle priorità. In definitiva, si tratta forse di un «giudizio politico» e non soltanto di una riflessione, tradizionale, sulla natura e la sensibilità femminili. Scrivere che, in quel continuum fra pubblico e privato che contraddistingue l’esperienza di tante donne come Marisa, non semplicemente prestate alla politica, ma realmente e in modo pieno militanti, i «dettagli minori» assumono «quasi» la stessa rilevanza dei «grandi eventi», è un’affermazione da prendere sul serio: vera e umanissima. A volte, sono tocchi di puro «colore», che però trasmettono vividamente l’atmosfera di un periodo o di una corrente politica, ben al di là di un’asettica descri- zione o di un giudizio astratto: restando nell’area del protagonismo politico delle donne, per cui Marisa, fra le altre, ha tanto lavorato,13 si veda l’attacco del capitolo 22, relativo al settembre 1944, quando iniziano i pourparler per la fondazione dell’Unione donne in Italia (UDI): «Anima dell’iniziativa era il Partito comunista italiano (PCI) e, per esso, Rita Montagnana, allora compagna di Togliatti. Rita sottolineava sempre quanto fosse difficile organizzare le donne e lo faceva con un’immagine pittoresca: “Le donne sono come la polenta, più la tiri su e più si affloscia sul tagliere; e poi sono tormentate dai bambini, che si attaccano alle loro gonne e non le vogliono far muovere...”».14 O, nel capitolo successivo, dedicato ai mesi febbrili – per l’Italia e per le sorti della guerra – tra il novembre 1944 e gli esordi del 1945, mentre si andava anche rafforzando l’accordo trasversale per richiedere il voto alle donne,15 il breve passaggio in cui l’estetica fa breccia nel ragionamento politico: l’autrice ricorda l’effetto galvanizzante del «vento del Nord» anche sull’UDI, che si sarebbe arricchita di nuove compagne dal solido retroterra militante, «operaie e lavoratrici di Milano, di Torino, di Bologna avevano avuto un ruolo decisivo nella Resistenza e nel moto insurrezionale»; inoltre, le dirigenti dei Gruppi di difesa della donna (GDD) occupavano già incarichi di responsabilità nella vita pubblica.16 Poi, all’interno di questo spaccato serio e stringente, ecco il ritratto di alcune compagne: Lucia Corti, nominata dal CLN dell’Alta Italia (CLNAI) alto commissario per l’assistenza ai reduci: «Lucia era bionda, bella e autorevole, ne ero affascinata»; e Gisa (Gisella Floreanini, nome di battaglia Valli, che era stata ministro nel governo della Repubblica partigiana della Val d’Ossola): «Un personaggio per me leggendario... anche lei bellissima». Ma più interessante è la notazione che segue: «Mi viene fatto di sottolineare la bellezza delle compagne forse perché già allora uno dei leitmotiv della campagna anticomunista era che le donne comuniste erano “brutte e baffute”. In questo tipo di campagna si era specializzato l’Uomo qualunque».17 Qui si ha la riprova che la precedente notazione circa l’avvenenza delle compagne non è soltanto una leggera pennellata femminile – dare risalto all’apparenza –, ma corrisponde a un retro-pensiero di carattere squisitamente politico e pole- XXII REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.50 Pagina mico nei riguardi di un diffuso pregiudizio che veniva gonfiato dalla propaganda delle destre: così come, in altri casi, si enfatizzava l’equivalenza fra donne partigiane e femmine di facili costumi,18 meno volgare ma ugualmente spregiativo è l’accostamento fra le donne comuniste (inquadrate, emancipate, battagliere) e un rozzo modello virile agli antipodi della femminilità; lo si ritrova ancora, avvolto da una comicità non troppo greve, in uno dei film della serie di Don Camillo. Ed è proprio a questo uso politico, a questa generalizzazione provocatoria che attribuisce alla parte avversa perfino il brutto capovolgimento della «natura» femminile, che Marisa reagisce: en passant, garbatamente: a lei, le compagne comuniste sono sembrate, anzi, davvero erano, molto belle, caso mai ciò abbia a che fare col lavoro politico e le tante cose urgenti di cui abbisogna un paese disastrato. Un’ultima postilla vorrei fare su questo alterno dosaggio di grandi questioni dell’assetto politico e del confronto/scontro sociale, di cui il diario è costellato, di notazioni minori, di osservazione del «dettaglio» curioso, apparentemente marginale, che affiora anche nel mezzo di discorsi seriosi. In più di un caso, una mescolanza che ricalca semplicemente la fluttuante corrente dei ricordi, ma in altri casi ne ho ricavato l’impressione di uno sguardo sul reale veramente stratificato, capace di connettere più elementi in una singolare arte combinatoria che, forse, ha a che fare con la predisposizione di Marisa alla pittura, coltivata fin dalla prima giovinezza con buoni risultati e valenti maestri.19 È uno sguardo che inoltre, in qualche modo, sembra richiamare la prospettiva manzoniana e cristiana di una storia dove gli umili pesano poco sulla bilancia del potere, ma non sono affatto comparse anonime ed evanescenti, tutt’altro: presso di loro è spesso deposto un tesoro immateriale di doti umane che, senza con ciò mitizzarli, può offrire gratuitamente una lezione di vita, tenacia, generosità, coraggio, a chiunque voglia usufruirne. Lezione di solito negletta, perché i «grandi» seguono la propria orbita divergente, e lo sguardo che volgono in basso è sovente dirigista, paternalistico, distratto. I grandi e i piccoli Nel diario «minimo» di Marisa – così pieno di persone di cultura e di potere che in notevole misura hanno segnato le sorti della nazione – si affollano anche fi- XXIII 101 gure di «piccoli» la cui dignità non è mai negletta e spesso buca la pagina in vividi fotogrammi. Per citarne solo alcune: la cameriera Assuntina, che faceva parte del personale domestico della famiglia d’origine di Marisa, toscana, di Poggibonsi, verosimilmente di famiglia socialista, molto compita nel servizio, si licenziò dopo un’accesa discussione con la padrona di casa: «Difendeva i suoi diritti, non si faceva certo mettere i piedi in testa»;20 il colono Zacchilli, «capoccia» di una grande famiglia mezzadrile che risiedeva in uno dei poderi del padre di Marisa e che, durante le lotte per il riparto dei prodotti fra mezzadri e padroni,21 praticamente tenne il padrone sotto sequestro e bloccò la battitura del grano fino a che non ebbe partita vinta: ma il tutto gestito con estrema gentilezza, evitando l’intervento della forza pubblica: «Fu cortesissimo, offrì il vino fresco di cantina, pregò il padrone di mettersi comodo nel luogo più ombroso e ventilato, ma fu irremovibile: “Signor padrone, non si trova bene qui? Noi siamo felici che lei resti, è un onore averla a casa nostra, ma qui la ‘battitura’ non continua e non si conclude finché non ci siamo messi d’accordo di dividere secondo la legge”». Poco sopra, così l’autrice aveva introdotto i1 soggetto: «Era persona di animo nobile, dotato di una singolare e non comune gentilezza innata; e per giunta aveva un’intelligenza politica acuta e una buona dose di astuzia».22 La galleria potrebbe continuare con le compagne di cella al carcere delle Mantellate, dove Marisa fu portata dopo l’arresto per attività sovversiva, nel maggio 1943: qui c’erano «legioni di meretrici», borsaneriste, detenute per procurato aborto o altri gravi reati. Per qualche tempo ella divide la cella con una ladra e una ricettatrice: «Popolane, un po’ sboccate, cordiali e protettive nei miei confronti, ricevevano pacchi con minestrone e meravigliose frittate di patate che, data la temperatura, dovevano essere consumate subito. Tutto veniva messo in comune e si imbandivano autentici festini».23 E ancora, con le reiterate scene della gente che si affolla nelle piazze dei paesi durante i comizi per i vari giri elettorali, che si stringe intorno agli oratori, che offre mazzi di fiori presi dai campi o dall’orto; ed ecco, in Abruzzo, le donne: «Tantissime donne, il capo coperto da fazzoletti scuri, i volti segnati dal lavoro e dalle intemperie, che ponendo la mano sulla mia pancia, ormai di sette mesi, pronunciavano in dialetto frasi misteriose, penso benedizioni all’indirizzo del nascituro».24 Un’Italia profonda, rurale, primitiva sotto molti aspetti, rispetto alla quale Marisa, al pari di altri politici «cittadini», appare una presenza aliena: eppure è gente che aspetta con pazienza per ore, talvolta, l’arrivo degli esponenti di partito e ne segue «appassionatamente» i discorsi; e in quel gesto antico, non ben decifrato, da donna a donna, si compie un rito di accoglienza, una propiziazione, un diverso e fisico contatto con quel popolo che il politico intende risvegliare e rappresentare. Dieci anni dopo, nel 1955, non è molto diversa la Sicilia dove Marisa si porta per una delle tante campagne elettorali, a Ciminna, «un borgo di braccianti poverissimi, dove mancava anche l’acqua»;25 pochi giorni prima, a Sciara, una località nei paraggi, è stato assassinato dalla mafia un capolega socialista. Il clima è teso, l’autista si rifiuta perfino di rientrare di notte a Palermo, per non attraversare quella zona pericolosa; anche qui, una scena che ha tratti arcaici e, al contempo, familiari: i «compagni braccianti» che scortano Marisa, non volendo lasciarla sola sulla strada; il desiderio e l’imbarazzo di offrire ospitalità, a lei e all’altra compagna, da parte di gente così povera che abitava «in tuguri di una sola stanza, privi di servizi igienici, con un solo letto in cui dormiva tutta la famiglia...». La cosa è risolta chiedendo al medico condotto, le cui sorelle allestiscono alla meglio un giaciglio rimediato in salotto. Ma questo non importa. Importa invece notare, in questa sorta di film senza parole, potente piccolo racconto dentro il racconto complessivo, la forza icastica di quell’immagine: «Attendemmo, io e un gruppo di compagni braccianti che non volevano lasciarmi sola di notte, camminando su e giù per la strada che usciva dal paese».26 Ai gradini più bassi della scala sociale, più miseri che solo poveri, ma non miserabili, questi uomini sembrano avvolgere Marisa, la «continentale», la politica di città, in una specie di abbraccio protettivo, in un’assunzione di responsabilità e di coraggio civile che – quale che fosse il rischio reale – si pone in antitesi con la supposta passività e rassegnazione della gente del Sud e dà il senso di un vincolo forte con quell’ospite occasionale che, co- IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 101 REGATT 04-2011.qxd L 25/02/2011 15.50 Pagina ibri del mese me è venuta, presto se ne andrà: un vincolo orizzontale, al di là della distanza fra il loro mondo e quello di lei, che transita simbolicamente attraverso la potente parola «compagno», «compagna». È questa la cifra di un mutuo riconoscimento, della stipula di un patto sociale, di un impegno comune verso l’eguaglianza che comincia col sentirsi eguali, «compagni», appunto: anche il linguaggio, che pure può contenere tante finzioni, è un’arma efficace per lo scardinamento delle differenze, per il recupero dell’umana dignità. Quantitativamente, il diario di Marisa Rodano è senz’altro occupato, per la maggior parte, dalla ricostruzione, ora analitica, ora più impressionistica, di avvenimenti, dibattiti, svolte che maturano a livelli «alti» della politica, sia dei partiti sia della nazione. Come già si è richiamato più volte, quello dell’autrice è un osservatorio privilegiato; per una serie di circostanze, talora anche fortuite, più spesso collegate a quel laboratorio operoso e appassionato, ma in fondo gravitante su circuiti ristretti, che fu la lotta clandestina, Marisa si trova proiettata molto precocemente a incarichi di notevole rilievo su scala nazionale,27 fino a divenire vicepresidente della Camera dei deputati. L’inevitabile scollamento dal lavoro «di base» non le impedisce però di conservare – ed è uno dei tratti più significativi dell’opera – una coscienza vigilante sul rischio mortale che tale scollamento può produrre nei professionisti della politica; e la nozione, starei per dire l’orgoglio, di essere stata parte di una tradizione politica – qui non si può non parlare al passato – che più di altre ha custodito a lungo l’idea di un nesso forte fra la base e il vertice, e la lezione che ne promana, a saperla vedere. Ancora un esempio: «Sulla via del ritorno passai per Teramo a salutare Vittorio Tranquilli e sua moglie Elisabetta Scudder che vivevano accampati nella sede della Federterra, in uno stanzone disadorno che serviva anche da deposito per le sementi e i concimi che l’organizzazione vendeva ai soci. A parte le condizioni di estremo disagio in cui dimoravano, facevano letteralmente la fame. E difatti di lì a poco si ammalarono gravemente. Ho spesso ripensato a quell’esperienza, a quella così palpabile e drammatica testimonianza dell’ardore rivoluzionario e del disinteresse che animava tanti compagni in quegli anni e che ha permesso di costruire un grande PCI».28 102 102 IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 La politica come fede e come testimonianza «Ardore», «disinteresse», «testimonianza»: chi legge vede attraverso gli occhi di Marisa – simpatetici ma non appannati – la differenza fra una politica fatta di parole, manifestazioni e proclami, e una politica fatta di cose e di persone che ne inverano gli obiettivi e le parole d’ordine nell’impegno quotidiano. Crescendo in esperienza e in età, Marisa si accorgerà anche delle astuzie della politica, capace di strumentalizzare ai propri fini l’ingenuo ardore dei neofiti e abitata non esclusivamente da cavalieri dell’ideale: «A posteriori, non posso escludere che qualcuno già allora facesse calcoli personali».29 Ma, soprattutto nella fase del transito difficile quanto esaltante verso lo stato democratico, ciò che si è iscritto nella memoria personale e non tollera di essere negato o svilito, è il sapere per certo che la grande illusione di costruire una società nuova, libera, eguale e giusta, venne perseguita dai più con autenticità e abnegazione, come un servizio: «Tutto si presentava in forme inedite e sentivamo di agire nel cuore di un processo di rottura di portata storica, rivoluzionario nel senso che Lenin dà al termine: una fase in cui milioni di uomini fanno politica».30 Una visione che si colloca all’opposto della politica come mestiere e carriera (anche se essa richiede un severo apprendistato e l’acquisizione di precisi strumenti).31 Chi fa politica attiva assomiglia per certi versi più a un «apostolo» che a un funzionario di partito, o a un gregario: specie se, come spesso accadeva, è stato «chiamato» all’opera più che averla scelta di sua iniziativa e se, per una attività che tende a farsi totalizzante, ha dovuto rinunciare a disporre del proprio tempo, e perfino di sé: «Di conseguenza, dove ti mettevano, stavi, quel che ti chiedevano, facevi; era impensabile brigare per essere in lista o rifiutare se si veniva indicati».32 Nasce spontaneo l’accostamento di questa concezione del lavoro politico a una missione, della politica stessa a una «fede»; è del resto trasparente in tante altre fonti, come negli scritti della Rodano, una terminologia mutuata dall’ambito religioso e chiesastico. Luogo comune, quello del «partitoChiesa», sul quale è facile oggi ironizzare e scrollare la testa; sul quale anche i due volumi tornano a più riprese, senza sconti, nemmeno troppo nascondendosi dietro gli eroici paraventi di un’epoca che fece della politica un’ideologia, e dell’ideo- logia una scelta di vita: pur essendo giovani, audaci al limite dell’incoscienza, convinti senza riserve che la lotta al fianco dei comunisti e in seguito l’iscrizione al Partito comunista fossero la scelta giusta, necessitata dalle pressioni della storia, Marisa, Franco e gli altri loro amici cattolici, che si affacciano nel diario, non appaiono affatto sprovveduti né acritici. Soprattutto Franco, con la sua precoce intelligenza, il suo rigore argomentativo, l’attitudine a spaccare il capello in quattro, accanto alla sua fede robusta e fervente, presto comprende e aiuta gli altri a comprendere «che la tensione “religiosa” intrinseca al marxismo e al pensiero di Marx, la “rapina dell’assoluto” (come egli si esprimeva) non potesse non portare a sbocchi totalitari e ad avvitamenti inevitabilmente catastrofici...».33 Eppure, proprio questa tensione religiosa, trasportata indebitamente nell’orizzonte dell’immanenza – la storia, la politica, il progetto della futura società – rappresenta l’elemento di maggiore somiglianza e di possibile sinergia fra i giovani antifascisti cattolici e i militanti legati al Partito comunista: ci furono delle circostanze – casuali, provvidenziali – che li fecero incontrare fra il 1939 e i primi mesi del 1940 in circuiti studenteschi di una Roma ancora intatta, splendida vetrina del regime fascista, fra le quali ricordo la venuta di Paolo Bufalini come supplente di filosofia al liceo Visconti nella classe di Marisa e Franco.34 Ma al di là delle occasioni che si trasformano in opportunità, colpisce nel racconto dell’autrice il dato di una precisa intenzionalità, di una «scelta» che non era l’unica possibile: anche solo a livello giovanile, pur se spesso piccoli e scollegati, fiorivano a Roma numerosi gruppi politici di diverso segno, critici o dissidenti nei confronti del regime. Nel PCI: dal la to lleranza al riconoscimento E merita sottolineare ancora che in quello che diventerà il Movimento dei cattolici comunisti35 appare ben chiara fin da subito la riserva verso la pregiudiziale antireligiosa del comunismo: di qui, non intendendo mettere fra parentesi la propria fede cristiana e cattolica, il mantenimento d’autonomia organizzativa anche durante la fase della lotta clandestina: l’identità rimane distinta, pur se la collaborazione s’intensifica via via.36 Per converso, anche da parte comunista si continua a rimarcare, fra attestazioni di stima esplicite per la «qualità e la combattività» dei XXIV REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.50 Pagina giovani cattolici, una netta linea di demarcazione: ricordando un’espressione di L. Lombardo Radice, scrive la Rodano che «li si considerava dei compagni, ma non li si accettava come comunisti».37 Posizione a più riprese riconfermata, malgrado le sollecitazioni e i sensati argomenti dei «compagni» cattolici affinché il Partito comunista lasciasse finalmente cadere i propri dogmatismi e le chiusure settarie, recependo senza sospetti l’adesione di quei credenti che ne condividevano la linea politica, ma non i postulati filosofici materialisti. Un tiro alla fune durato a lungo. Ripercorrerne le tappe lasciandosi guidare dalla narrazione sinuosa di Marisa, che movimenta l’asse cronologico con inclusioni per associazioni tematiche o mentali, e con rimandi alle sue carte private o a quelle di Franco, prenderebbe qui troppo spazio, ma è una vicenda quanto mai istruttiva e curiosa. Assomiglia a quella di un amore a tutta prova, testardo e non rassegnato dinanzi all’ottusità ideologica della struttura di partito: come quando Togliatti, oltre al resto un «amico», e senza dubbio più attento di altri del suo schieramento al problema dei cattolici, alla riunione del II Consiglio nazionale del PCI si limita a parlare di «tolleranza nei confronti della presenza dei cattolici dentro un partito di massa».38 Ma, se tale era la consapevolezza, ci si potrebbe chiedere perché questi giovani di matrice cattolica abbiano tenuto fede, nonostante tutto, all’opzione comunista. La cosa appare spiegabile nella fase più drammatica della resistenza al nazifascismo, quando si accorciano le distanze fra i gruppi di opposizione e, nello sforzo comune, l’audacia, lo spirito di sacrificio e l’efficiente organizzazione dei comunisti assegnano loro in molti casi un indiscutibile primato. Ma dopo? Semplificando, individuo tre fattori principali che, non senza dubbi e valutazioni critiche, assicurano in un primo tempo leale collaborazione, poi duratura partecipazione alla causa comunista, fino a dissolvere la Sinistra cristiana entro il PCI.39 Il tutto, nella cornice di quell’«ardore, disinteresse, testimonianza» sopra richiamati, cioè di un’«anima» della politica, un’etica della politica, che questi cattolici – né troppo ingenui né troppo smaliziati – ritrovano più chiara che altrove fra i compagni del PCI. Il primo è un fattore pragmatico: lo chiamerei la persistenza delle cose che XXV 103 stanno al principio di ciò che si è diventati. Il diario, con puntuali riferimenti al quadro militare, allo stato d’animo del paese in guerra, alle ingravescenti condizioni materiali, ci mette dinanzi agli occhi il cupo scenario dell’Europa schiacciata dalle vittorie del Reich e l’altalena di speranze e delusioni per l’andamento delle vicende belliche. In questo crogiolo, dove la scelta resistenziale, mano a mano che cresce la stretta repressiva, impone disciplina, senso del rischio e coraggio di affrontarlo, i ragazzi di questa cerchia scoprono la cogenza dell’azione, il primato dell’azione. Deposta la veste di intellettuali (o per lo meno, studenti o neolaureati) dissidenti – fino allora, in fondo, non troppo esposti – assumono per intero un ruolo operativo, nel quale è determinante l’incontro con i comunisti: «Il problema era passare dal proselitismo e dalla propaganda a una azione di lotta politica, capace di preparare il popolo italiano a prendere in mano il proprio destino, convinti che fosse un errore limitarsi ad attendere la sconfitta militare del regime».40 Ma a ciò viene aggiunta un’ulteriore motivazione. Non solo i comunisti appaiono i più attrezzati alla lotta, ma altre componenti del Comitato delle opposizioni, per lo meno nell’area di Roma, si mostrano irresolute fino alla paralisi. Il giornale clandestino dei Cattolici comunisti, Voce operaia, conduce allora «una polemica serrata nei confronti sia degli atteggiamenti di passività, di attendismo e di freno che la Democrazia cristiana (DC) sosteneva all’interno del CLN sia delle posizioni “equidistanti” di non pochi esponenti della gerarchia cattolica e del Vaticano».41 È dunque una valutazione politica, sia pure contingente, con la quale introduco il secondo elemento, di ordine teorico. Eccezion fatta per Ossicini e alcuni altri, il nucleo dei Cattolici comunisti, in primis lo stesso Franco Rodano, Marisa, Tonino Tatò,42 non proviene dalla tradizione del cattolicesimo politico e perciò non ne ha introiettato il radicato anticomunismo. In compenso, le letture, il rapporto con insegnanti antifascisti sia al liceo sia all’università, la frequentazione di settori particolarmente aperti dell’associazionismo ecclesiale (Congregazione mariana, AC e FUCI), stanno forse alla base di quella visione «antiborghese» e in senso lato «rivoluzionaria» che si riscontra in tanti ambienti intellettuali dell’epoca. Inoltre, la cattiva prova fornita dalla borghesia liberale e conservatrice dei paesi democratici – i tanti compromessi con Hitler, la politica del non-intervento che ha portato alla vittoria del franchismo – contribuiscono a distogliere i membri del Movimento, in rapida crescita numerica, dalla prospettiva astrattamente illuministica dei grandi principi liberali, spingendoli verso una più radicale: «Che avessimo poca fiducia nelle democrazie europee era comprensibile perché, come ha scritto Paolo Bufalini, urgeva la contraddizione tra la religione della libertà e la realtà di una tradizione liberal-democratica che non aveva saputo impedire la vittoria del fascismo o non sapeva indicare la via per abbatterlo».43 Condizionare il par tito, convincere la Chiesa In certo modo, si afferma di nuovo la precedenza della prassi, la necessità di assecondare la lezione della storia, schierandosi, da credenti e in quanto tali, contro la dittatura, la guerra, l’ingiustizia, a fianco delle classi oppresse. Il soggetto politico capace d’incanalare le energie e le speranze verso la costruzione di una società nuova, già esiste. Il patto d’unità d’azione con i socialisti44 e, ancor più, la flessibile strategia togliattiana; la parola d’ordine del «partito nuovo» che senza incrinare la fedeltà al «campo socialista» e all’«internazionalismo proletario», esordisce nell’Italia liberata come partito di governo e dell’arco costituzionale, sono processi che sembrano contenere la premessa di un’evoluzione nella linea auspicata da Franco Rodano e compagni: una grande formazione politica capace di farsi carico non solo degli interessi «di classe», ma delle sorti del paese, e di deporre via via i vecchi schemi ideologici e le ingiustificate chiusure verso la componente cattolica.45 A questa fiducia di poter incidere sul PCI contribuendo – come in parte è stato – alla correzione della sua linea, specialmente l’opzione ateistica, fa pendant il tenace, appassionato quanto inutile tentativo, da parte dei Cattolici comunisti, di far abbandonare alla Chiesa la pregiudiziale anticomunista. Questo terzo punto è, insieme, di ordine politico e «teologico», concernendo la questione del nesso fede-storia e ci porta nel cuore di una doppia, non simmetrica, appartenenza. Avvicinandosi e quindi interagendo strettamente con i «compagni» comunisti, Franco e gli altri – alcuni dei IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 103 REGATT 04-2011.qxd L 104 25/02/2011 15.50 Pagina 104 ibri del mese quali, poi, in realtà lasceranno il partito rifluendo nell’obbedienza ecclesiale46 – non intendono affatto rinunciare alla loro identità cattolica né alla loro sincera e intensa pratica religiosa.47 Anzi, la stessa denominazione di «comunismo cristiano», in seguito abbandonata per la sua venatura integralista, viene adottata dai nostri con la precisa intenzione di fare breccia negli ambienti cattolici, guadagnando anche lì proseliti alla causa antifascista e rivoluzionaria. Col candore di giovani poco più che ventenni, si diceva nel 1942: «La religione cattolica non è uno strumento della reazione, ma può essere fonte delle più estreme ed energiche iniziative rivoluzionarie».48 Facciamo – con Marisa stessa – la tara a questa e altre frasi che suonano datate e approssimative, come la famosa espressione usata nell’opuscolo «I cattolici e il comunismo» – testo a carattere divulgativo redatto da Lele d’Amico – che parlava di un «inveramento cristiano del marxismo».49 Ma il senso profondo della sollecitazione rodaniana, affinata nell’ela- borazione successiva, rimane forse attuale, malgrado il «mutare dei tempi», la fine del PCI vecchio modello e gli altri cambiamenti di scenario ecclesiale e politico – in primis la caduta del Muro di Berlino – che sono sopraggiunti. E l’attualità rispetto al punto specifico sopra indicato, mi pare consista nella domanda se l’essere cristiani comporti di necessità posizionarsi, in politica, nello schieramento moderato; se la Chiesa possa correre il rischio di apparire schiacciata su un’unica «parte»; se il credente non possa o non debba riaf- 1 M. RODANO, Del mutare dei tempi, vol. I, L’età dell’inconsapevolezza; il tempo della speranza 1921-1948; vol. II, L’ora dell’azione; la stagione del raccolto 1948-1968, Editrice Memori, Roma 2008, 381 e 395, € 18,00 e 18,00. In realtà la distribuzione dell’opera, almeno a Bologna, è stata piuttosto tardiva. 2 Segnalo appena la figura della madre che lungo il diario ritorna più volte come un’apparizione fugace, in momenti chiave della vita di Marisa, fino alla morte inaspettata (1955) che lascia alla figlia uno strascico di rimorsi (vol. II, 168). «Ho amato mia madre di un amore appassionato e sconfinato; sottrarmi alla sua influenza e al suo modo di pensare, oppormi alle sue decisioni è stato estremamente difficile e penoso ed è nella contrapposizione con lei che si è costruita la mia autonomia e formata la mia identità» (vol. I, 33-34). 3 Vol. I, 81. 4 Vol. I, 83. 5 Fra essi, G. PINTOR, «enfant prodige», come lo definisce Marisa, consulente dell’Einaudi, molto stimato benché giovanissimo sia come intellettuale sia come politico. Muore per lo scoppio di una mina, mentre dal Sud stava cercando di rientrare a Roma. Il primo figlio di Marisa e Franco prenderà il suo nome (vol. I, 203). 6 Marisa nasce il 21 gennaio 1921. L’ampia e colorita ricostruzione dell’ambiente familiare e delle ramificazioni parentali occupa parte dei primi 10 cc. del vol. I. La madre, cattolica ma di ascendenza ebraica, proviene da Mantova: la sua famiglia, benestante e raffinata, appare ancora avvolta da un’aura mitteleuropea. Il padre di Marisa, commendator Francesco («Checchino») Cinciari, industriale del porto e poi podestà di Civitavecchia, esce da una famiglia di grandi proprietari terrieri. Una di queste tenute, Monterado, nelle Marche, occupa un posto importante nella cronistoria domestica di Marisa e Franco e dei loro cinque figli. Lì è la tomba della madre, sepolta in terra all’uso ebraico: sulla stele, un’iscrizione composta da don Giuseppe De Luca. Lì, nel 1983, viene sepolto anche Franco. 7 Cf. vol. I, 148-200. Vi troviamo menzionati, fra gli altri, professori dell’Università come Natalino Sapegno e Guido Calogero; Paolo Bufalini, Mario Alicata, Antonio Amendola, Pietro Ingrao, Bruno Zevi, Bruno Sanguinetti (più anziano degli altri, già esule in Francia), Giacinto Cardona, Giuseppe Spataro (un popolare abruzzese), Giorgio Amendola, Pompeo Colajanni, Cecino (Felice) Balbo, Ennio Parrelli, Tonino Tatò, Lucio Lombardo Radice, Pietro Secchia e Guido Gonella. 8 «Cominciavano i problemi della pace», scrive Marisa sul finire del 1945. L’ultima, contrastata fase ciellenistica è percorsa a partire dal c. 23 del vol. I. Marisa dal dicembre 1945 è membro del Comitato direttivo dell’UDI, e vi lavora a tempo pieno (come volontaria e senza alcun rimborso spese, precisa: cf. vol. I, 315); nel novembre 1946, nato da qualche mese il secondo figlio, Giorgio, è candidata alle amministrative nella lista del «Blocco del popolo» e viene eletta in Consiglio comunale, dove sarà ripetutamente rieletta. Il 18 aprile del 1948 viene eletta alla Camera dei deputati, di cui sarà vicepresidente dal 1963 al 1968. 9 Accanto ai personaggi citati alla nota 7 e alla lunga teoria degli altri che riempiono il vol. II, dalla prima Legislatura della Repubblica fino alle soglie degli «anni di piombo», rimando ai quattro penetranti ritratti del c. 20 del vol. I: Raffaele Mattioli, Palmiro Togliatti, don Giuseppe De Luca, Filippo Sacconi, «uomini così radicalmente diversi per storia, collocazione e convinzioni» (vol. I, 236) che per gli strani casi della vita, nei tumultuosi mesi del 1944, poco dopo la liberazione di Roma, incrociano la strada di Franco e Marisa, ne frequentano la casa, ne segnano durevolmente, di lì in avanti, l’esistenza personale e l’esperienza intellettuale. (vol. I, 231-264). 10 Vol. I, 82. 11 Vedi, fra i numerosi esempi, la briosa descrizione del ménage domestico all’indomani della nascita di Giaime, tra le sette poppate giornaliere, la crosta lattea del bambino, la ricerca disperante di latte di mucca o di latte condensato al mercato nero, in combinata con il lavoro politico e le manifestazioni di protesta contro il governo Bonomi (cf. vol. I, 281-286). 12 Cf. le considerazioni sull’«indimenticabile 1956», anno in cui, per gli stessi militanti del PCI, si sgretola la visione di un mondo manicheo, «dove il bianco e il nero erano nettamente distinti, dove si sapeva – come nelle fiabe – chi erano i buoni e chi i cattivi» (vol. I, 171). Sugli avvenimenti di quell’anno, respingendo la «vulgata del revanchismo acritico», il diario riporta le aspre discussioni entro il partito, e le acute osservazioni di Rodano su un certo «rischio di avventurismo nella spregiudicata politica di Krusciov» (vol. II, 171-182 e 195-196). 13 Cf. vol. I, 172-173, relativo alla costruzione della rete di «ragazze» in appoggio alla rete clandestina, prima e durante l’occupazione nazista. Fra loro, l’amica del cuore Rita Pozzilli, Lola Berardelli (poi Lola Balbo), Marisa Musu, Rossana Banti. 14 Vol. I, 275. Il I Congresso dell’UDI si sarebbe tenuto a Firenze dal 20 al 23 ottobre 1945. 15 Mentre i contatti con la DC in vista della costituzione dell’UDI non ebbero esito favorevole (da parte democristiana sarebbe poi sorto il Centro italiano femminile [CIF]), il dialogo fra le esponenti dei partiti del CLN e l’appoggio dei due maggiori partiti all’ipotesi del suffragio universale produssero il risultato sperato (cf. vol. I, 278). 16 Vol. I, 289. 17 Vol. I, 290. 18 Nel diario della Rodano non ho trovato nessun accenno in tal senso, ma la cosa è risaputa. Scrive ad esempio Miriam Mafai, nel suo bel libro Pane nero, che alla sfilata del 1° maggio 1945, a Torino, i «compagni» impedirono alle donne delle formazioni garibaldine di marciare in mezzo a loro, per evitare insinuazioni. Una staffetta partigiana che voleva infilarsi nella manifestazione è bruscamente redarguita: «Tu non vieni, se no ti pigliamo a calci in culo! La gente non sa cosa hai fatto in mezzo a noi, e noi dobbiamo qualificarci con estrema serietà». Sentendo in seguito i commenti della gente al passaggio di formazioni autonome in mezzo alle quali c’erano anche delle donne, la staffetta commenta: «Mamma mia, per fortuna che non ero andata anch’io! La gente diceva che erano delle puttane» (M. MAFAI, Pane nero. Donne e vita quotidiana nella Seconda guerra mondiale, Arnoldo Mondadori editore, Milano 1987, 262). 19 Intorno ai 16 anni Marisa è mandata a scuola di pittura da Giacomo Balla che aveva ormai abbandonato la moda futurista, «uomo allegro e vitale... non era particolarmente fascista» (vol. I, 75-76); durante la Resistenza, frequentò invece lo studio di Renato Guttuso: più che altro, una copertura per riprodurre materiale clandestino su ciclostile (vol. I, 78). 20 Cf. vol. I, 39. 21 Il c. 7 parla estesamente delle lotte per la terra che seguirono i decreti Gullo, a norma dei quali terre incolte o in semi abbandono dovevano essere assegnate a contadini e braccianti. Molto attiva fu la Federterra che, forzando i tempi e l’interpretazione restrittiva della legge, organizzava l’occupazione dei terreni, con frequenti, relativi interventi della polizia. In questo stesso periodo, intorno agli anni 1946-1949, il lodo De Gasperi, per le zone di mezzadria classica, stabiliva l’attribuzione al mezzadro del 53% del prodotto (vol. I, 61-72). 22 Vol. I, 71-72. 23 Vol. I, 189. Una grossa «retata», complice un infiltrato, coinvolge l’intero gruppo dirigente dei comunisti cristiani, assieme ad altri IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 XXVI REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.50 Pagina 105 fermare la piena autonomia dell’agire politico – la laicità della politica – rispetto all’appartenenza ecclesiale.50 Molte pagine del «Diario minimo» sono dedicate a tratteggiare, con uno sguardo dall’interno – dall’interno della famiglia Rodano, dall’interno del gruppo della Sinistra cristiana, dall’interno di una Chiesa che non si è mai cessato di amare – il difficile rapporto dei Cattolici comunisti, e di Franco in prima persona, con l’istituzione ecclesiastica: è una storia nota, molte volte già descritta: le pri- me censure su L’Osservatore romano, l’interdetto a Franco, le tornate elettorali che si trasformano in scelta di religione e di civiltà, la «scomunica dei comunisti», ovvero il decreto del Sant’Uffizio del 15 luglio 1949 e ciò che ne segue, soprattutto per la fede dei semplici, fino al lento mutare del clima ecclesiale, anticipazione o eco del disgelo nella politica mondiale.51 Merita ripercorrerla, questa storia, sul filo della narrazione di Marisa, sempre vivace, garbatamente pugnace, dove i ripensamenti non sono pentimen- ti, dove la forza delle convinzioni non è opacizzata. Ma è un racconto senza astio, anche nei passaggi più dolorosi: «Noi distinguevamo tra la trasgressione alle regole o l’infrazione dell’ordinamento, e la rinuncia alla comunione di vita con Dio, che è l’essenza del peccato. Si può insomma trasgredire senza sentirsi peccatori; ciononostante si può ritener necessario accettare con umiltà la pena connessa con la trasgressione delle regole della comunità».52 Alessandra Deoriti comunisti: anche L. Lombardo Radice, da poco uscito dal carcere e arruolato come soldato semplice, torna in prigione. Franco e Marisa sono arrestati, ciascuno a casa sua, la mattina del 23 maggio. Il 23 luglio Marisa torna in libertà, mentre Franco è deferito al Tribunale speciale. Ma il 25 luglio cade Mussolini... La breve permanenza in carcere è per Marisa una cesura psicologica decisiva verso l’autonomia delle scelte: «Non ero più figlia di famiglia... Al vecchio mondo della mia adolescenza non appartenevo più» (cf vol. I, 18l-l92). 24 Vol. I, 331. 25 Vol. II, 165. 26 Vol. I, 331. 27 Oltre a quanto anticipato nella nota 8, dal 1947-1948 Marisa diviene responsabile dell’UDI provinciale di Roma. Nell’aprile 1956 subentra a M. Maddalena Rossi alla presidenza dell’UDI nazionale (cf. vol. II, 185l87). È ripetutamente rieletta nel Comitato centrale del PCI. 28 Vol. I, 331. 29 Vol. I, 338. Merita di essere riportata anche una constatazione più amara: «Ad anni di distanza ho potuto vedere come alle compagne “storiche” del carcere e dell’esilio (a Estella, a Rita, a Rina Picolato, a tante altre) sarebbe toccata in tempi ravvicinati l’esperienza dell’emarginazione: gli uomini se ne liberavano senza problemi» (vol. I, 339). 30 Vol. I, 266. 31 Si vedano le gustose pagine sull’impatto di Marisa, allora ventisettenne, con le regole, le consuetudini e il gergo parlamentare: «imbarazzi da principiante», rapidamente superati (vol. II, 35-41). 32 Vol. I, 338. 33 Vol. I, 103-104. 34 Vol. I, 122: «Franco, che aveva già sentito parlare di lui, mi disse subito che conoscerlo era importante. Bufalini era già da anni in contatto con antifascisti e comunisti e nel 1931 aveva partecipato all’organizzazione della fuga all’estero di Giorgio Amendola». Franco, scrive Marisa, era «molto più maturo intellettualmente di tutti noi»; «era indiscutibilmente non solo il più bravo della classe, ma un vero leader della nostra comunità scolastica» (vol. I, 124). Nato a Roma nel 1920 da una famiglia della piccola borghesia impiegatizia, negli anni del liceo e dell’università frequenta i padri gesuiti della «Scaletta», gli ambienti dell’Azione cattolica, la FUCI che dal 1943 sarà presieduta da Aldo Moro. L’amore tra Marisa e Franco si rivela nel corso della II liceo. 35 La denominazione cambia nel tempo, nella costante ricerca di trovare una piattaforma unificante: nel 1941, con Adriano Ossicini e Paolo Pecoraro, Franco lavora alla redazione del manifesto dei Cooperativisti sinarchici (cf. vol. I, 164), che nel 1942 diviene «Partito comunista cristiano» (cf. vol. I, 171) e, durante i nove mesi dell’occupazione nazista di Roma, Movimento dei cattolici comunisti (MCC), il cui organo è il foglio Voce operaia (cf. vol. I, 207-212, passim). Dopo la liberazione di Roma, il MCC assume il nome di Partito della sinistra cristiana. 36 Dalla primavera del 1942 Franco entra, assieme a Mario Alicata e Pietro Ingrao, nel cosiddetto «triumvirato», organo dirigente le due organizzazioni clandestine di comunisti e comunisti cristiani (vol. I, 17). 37 Vol. I, 174. 38 Vol. I, 307. Il passaggio dalla tolleranza alla possibilità di una piena cittadinanza si sarebbe prodotto solo nel 1946, durante il V Congresso del PCI, con quella formulazione dell’art. 2 dello Statuto «secondo la quale ci si poteva iscrivere al PCI indipendentemente dalle convinzioni filosofiche o religiose» (vol. I, 328-329). Un passo ancora molto cauto, tenuto conto che lo stesso Luigi Longo, promotore ufficiale della modifica statutaria, si affrettò a restringerne la portata (cf. vol. II, 127, n. 1). Comunque, un passo epocale, alla luce della storia del comunismo internazionale. 39 La mozione di auto-scioglimento del Partito della sinistra cristiana viene approvata a larga maggioranza il 9.12.1945, a conclusione del Congresso straordinario indetto a Roma per il 7 dicembre. Marisa riporta una sintesi degli argomenti dispiegati da Franco a sostegno di questa decisione (vol. I, 318-325). 40 Vol. I, 172. 41 Vol. I, 213. 42 La prima comparsa di questo amico fraterno con il quale si sarebbe stretto un sodalizio di lavoro politico e anche di vita (i Rodano condivisero per diverso tempo con Tonino e sua moglie anche lo stesso appartamento) risale alla fine del 1939. Figlio di un avvocato nittiano e antifascista, Tonino era un giovane «intelligente, bello (dicevamo scherzosamente che assomigliava a Gérard Philippe), entusiasta e appassionato». Dopo la fine dell’ esperienza della Sinistra cristiana, sceglie l’impegno in CGIL. Tramite lui, Franco e Marisa conosceranno un altro dei più grandi amici, Cecino Balbo (vol. I, 148-149). 43 Vol. I, 148. 44 Il patto d’unità d’azione con i socialisti nella fase resistenziale (vol. I, 200) venne discusso nel corso di un’importante riunione clandestina tenutasi nel luglio 1943 nella villa di via di Porta Latina, dove Marisa era tornata dopo la scarcerazione. Circa la discussione sulla fusione di comunisti e socialisti nel «partito unico» della classe operaia, il diario vi accenna a più riprese, nella fase della crisi del CLN (vol. I, 310). 45 Vol. I, 243 e 311-313. 46 Nell’aprile del 1951 L’Osservatore romano pubblica la discussa autocritica di alcuni membri della ex Sinistra cristiana confluiti nel PCI: Balbo, Motta, Fè d’Ostiani, Scassellati a Sebregondi (cf. vol. II, 80). Particolarmente penosa la rottura con Cecino Balbo (vol. II, 124). 47 Nella pagina in cui rievoca la mattina del suo arresto, Marisa parla dell’abitudine di trovarsi con Franco in ore antelucane: «Solevamo darci appuntamento in qualche chiesa... e ascoltare la messa. La messa e la comunione quotidiana erano pratiche che il pontificato di Pio XI aveva fortemente incentivato ed erano seguite specie dai giovani fucini e di Azione cattolica. Facevamo poi colazione insieme in qualche latteria...» (vol. I, 182). Il loro matrimonio religioso è celebrato il 13.2.1944. 48 Vol. I, 174. 49 Su questo testo e sull’autore, musicologo di mestiere e scrittore su Voce operaia, marito della più celebre Suso Cecchi D’Amico vedi vol. I, 213-14 e 268. 50 Per un approfondimento di queste e altre tematiche, la stessa Marisa Rodano rinvia a due saggi: l’ormai classico C.F. CASULA, Cattolici comunisti e Sinistra cristiana, Il Mulino, Bologna 1976 e M. MUSTÈ, Franco Rodano: critica delle ideologie e ricerca della laicità, Il Mulino, Bologna 1993. Si può consultare anche il più recente testo di G. CHIARANTE, Tra De Gasperi e Togliatti. Memorie degli anni Cinquanta, Carocci, Roma 2006. 51 Le posizioni della gerarchia intorno all’unità politica dei cattolici in seno alla DC non erano univoche, e lo mostra bene anche lo spaccato su don G. De Luca (vol. I, 250-259). Il diario riporta le critiche vaticane e i tentativi di risposta e patteggiamento dei Cattolici comunisti, fino a escludere dalla dirigenza i nomi più incriminati Franco e Lele D’Amico (vol. I, 266-273 e 306-307). L’interdetto comminato a Franco nel dicembre 1947 dalla Sacra congregazione del Concilio, a causa di due articoli pubblicati su Rinascita sulla perequazione dei beni del clero, che si attirarono le sanzioni previste dal can. 2344 del Codice di diritto canonico, viene rievocato puntualmente alle pp. 370374. Vent’anni dopo, nel 1967, il vento ancor giovane del Concilio propizia la fine della pena (vol. II, 315-321). Della scomunica ai comunisti Marisa ne parla sinteticamente (vol. II, 5051) e più ampiamente, anche con precisi riferimenti autobiografici, (vol. I, 90-100, passim). 52 Vol. I, 98. XXVII IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 105 REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.50 Pagina 106 L L ibri del mese / schede I Libri del mese si possono ordinare indicando il numero ISBN a 12 cifre: per telefono, chiamando lo 049.8805313; per fax, scrivendo allo 049.686168; per e-mail, all’indirizzo [email protected] per posta, scrivendo a Centro Editoriale Dehoniano, via Nosadella 6, 40123 Bologna. Sacra Scrittura, Teologia JOSSA G., Gesù. Storia di un uomo, Carocci, Roma 2010, pp. 163, € 16,80. 9788843057375 possibile scrivere una storia di un uomo vissuto più di 2.000 anni or sono in Palestina il cui nome era Gesù? Teologi del calibro di von Harnack lo ritenevano impossibile proprio perché le fonti che possediamo, i Vangeli innanzitutto, non lo permettono. Eppure questa sfida è stata raccolta dall’a., noto storico della Chiesa, che, a partire da snodi particolarmente significativi quali il distacco di Gesù da Giovanni Battista, l’annuncio del Regno in Galilea, o la decisione di salire a Gerusalemme, ricostruisce con linguaggio accessibile coniugato a un rigore scientifico la storia del Figlio di un carpentiere. Da leggere. È Giulio Cesareo Guerra e pace: la morale cristiana da Giovanni XXIII al Vaticano II, al nostro tempo Il contributo specifico italiano on stile chiaro ed essenziale, il volume presenta una riflessione sistematica su pace e guerra nel contesto teologicomorale italiano dell’ultimo cinquantennio. L’autore sottolinea la necessità condivisa di abbandonare il principio della guerra giusta, che può essere al limite sostituito dal diritto alla legittima difesa o dal principio dell’ingerenza umanitaria. C «Etica teologica oggi» pp. 176 - € 15,00 Sullo stesso tema: a cura di Carlo Bresciani, Luciano Eusebi Ha ancora senso parlare di guerra giusta? Le recenti elaborazioni della teologia morale pp. 160 - € 15,00 EDB Edizioni Dehoniane Bologna Servizio a cura di Maria Elisabetta Gandolfi MAZZEO M., La spiritualità del Nuovo Testamento. Ascolto e sequela, EDB, Bologna 2011, pp. 708, € 57,00. 9788810541234 ompito della teologia spirituale del Nuovo Testamento è domandarsi: come emerge la spiritualità di Gesù dai testi biblici? Qual è il nucleo centrale originante? Quali le linee di sviluppo? Che spiritualità emerge dagli scritti cristiani dal Vangelo di Matteo al libro dell’Apocalisse? Può essere di aiuto il processo vissuto dalle comunità cristiane delle origini per i cristiani di oggi? Il vol. s’inserisce nel panorama dell’attuale ricerca neotestamentaria, che mette in luce, fra le diverse teologie dei 27 scritti del NT, l’unità teologica all’interno di esso. C NELSON R.D., I e II Re. Edizione italiana a cura di F. Jourdan Comba, Claudiana, Torino 2010, pp. 328, € 32,00. 9788870168143 Libri dei Re narrano le vicende del popolo ebraico dalla morte di Davide alla distruzione di Gerusalemme fino alla successiva deportazione delle dodici tribù a Babilonia. L’a., esperto di teologia biblica, di istituzioni veterotestamentarie e della tradizione deuteronomistica, con questo suo commentario invita il lettore a leggere i due libri biblici come un esempio di letteratura teologica, vale a dire leggere tutti gli accadimenti narrati come una sorte di trama drammatica in rapporto all’annuncio della parola di Dio. I NIGRO C., L’uomo è cammino. Verso una sintesi teologica, Città nuova, Roma 2010, pp. 125, € 12,00. 9788831148085 L’ esperienza di vita è un cammino di gestazione sia dentro il cosmo e la storia sia dentro la benedizione del Dio-Trinità. L’esperienza drammatica del male morale denuncia tuttavia la volontà della creatura di dimenticare la sua fragilità. C’è necessità, per il riscatto, di rivolgersi a Dio nel segno della fiducia riconoscente, nel sentirsi accompagnati dalla condivisione di Gesù e cioè dalla misteriosa onnipotenza di Dio e dalla kenosi di amore dello Spirito manifestata sulla croce. Solo così si compie l’inabitazione di Dio-Trinità in noi e il nostro dimorare in lui. ONISZCZUK J., La passione del Signore secondo Giovanni. (Gv 18-19), EDB, Bologna 2011, pp. 254, € 21,00. 9788810251133 L’ a., gesuita e docente di Teologia biblica alla Gregoriana, affronta il racconto giovanneo servendosi dell’analisi retorica, un approccio esegetico che mette in luce l’architettura del testo biblico ai diversi livelli della sua organizzazione. La composizione apre la porta al senso e conduce il lettore a scoprire la ricchezza del racconto, non solo a livello di singole parole e frasi, ma anche nelle grandi sezioni dell’intero edificio letterario. Il vol. è strutturato secondo la composizione del racconto e guida il lettore attraverso le tre grandi sequenze della passione di Gesù: l’arresto, il processo e l’esecuzione. PAGANINI S., Qumran, le rovine della luna. Il monastero e gli esseni, una certezza o un’ipotesi?, EDB, Bologna 2011, pp. 223, € 21,00. 9788810410134 L a località di Qumran – in arabo «le rovine della luna» – divenne nota nel 1947 quando vennero ritrovati dei frammenti di antichi rotoli e il luogo venne identificato come centro della comunità religiosa degli esseni. Ma dopo un tempo in cui la questione sembrava ormai indiscussa, la comunità scientifica si è attestata attorno a due piste di ricerca contrastanti: da un lato l’ipotesi essena, dall’altra quella secondo cui Qumran sarebbe stata un’azienda agricola senza alcuna relazione coi manoscritti. L’a. apporta un contributo alla ricerca proponendo una nuova variante sul tema dell’insediamento qumranico e del suo rapporto con i manoscritti. Egli si rivolge non solo al pubblico specialistico, ma a tutti coloro che si sentono sollecitati e incuriositi anche da fantasiose teorie di complotti, cospirazioni e intrighi che ancora circondano l’argomento. PAROLIN G., Chiesa postconciliare e migrazioni. Quale teologia per la missione con i migranti, Editrice Pontificia università gregoriana, Roma 2010, pp. 549, € 35,00. 9788878391857 Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it 106 IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 XXVIII REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.50 Pagina 107 È una dissertazione di dottorato che affronta una lettura interdisciplinare della realtà delle migrazioni per evidenziare le convergenze fra scienze umane e scienze teologiche. Il carattere processuale e relazionale delle migrazioni, la dimensione aperta delle identità nazionali, etniche e culturali offrono alla teologia la possibilità di entrare nel fenomeno con categorie proprie. Si fonda così un nuovo paradigma della missione fra i migranti: non più una pastorale di conservazione ma dialogica e comunionale, fondata sul pieno riconoscimento dell’altro. RUSSELL L.M., CLARKSON J.S., Dizionario di teologie femministe. Edizione italiana a cura di G. Lettini e G. Gugliermetto, Claudiana, Torino 2010, pp. 545, € 47,00. 9788870165432 ompendio del pensiero femminista su un gran numero di questioni teologiche, questo Dizionario unico nel suo genere era già noto agli addetti ai lavori dal 1996, anno nel quale è stato pubblicato dalla Westminster John Knox Press. La pubblicazione in italiano ora, ne permette la diffusione tra un pubblico più largo. Scritto per la maggior parte da aa. protestanti di origine nordamericana, contempla gli argomenti tradizionali degli studi teologici cristiani, ma anche temi di altre religioni, importanti per il dialogo femminista tra diversi gruppi razziali, culturali e religiosi. Riflette anche le divergenze e posizioni conflittuali presenti all’interno della ricerca teologica femminista. A tracciare il percorso italiano è stata aggiunta una «Bibliografia introduttiva alla teologia femminista in Italia», a cura di Patrizia Ottone. C SARACINO F., La carne di Cristo, Marietti, Milano 2010, pp. 227, € 27,00. 9788821165207 L’ a., storico delle immagini religiose e teologo con competenze artistiche, prosegue la sua personale proposta interpretativa delle vicende dell’iconografia cristologica occidentale, evidenziandone le potenzialità in sede dogmatica e spirituale. La sua ricerca sonda i modi di presenza sensibile del Risorto nell’orizzonte estetico dei credenti attraverso la sua epifania nelle immagini esterne nella convinzione che la produzione iconografica della Chiesa si situi non solo a livello psicologico, sociologico e spirituale, ma «a un livello intermedio dischiuso dall’azione della grazia» e segnali «non solo i sintomi della terra ma anche i percorsi del cielo». SNYDER H.G., Maestri e testi del mondo antico. Filosofi, giudei e cristiani. Introduzione allo studio della Bibbia. Supplementi 45, Paideia, Brescia 2010, pp. 326, € 34,30. 9788839407825 o studio ha per oggetto i rapporti diversi e complessi che nel mondo antico legano libri, maestri, allievi, lettori e luoghi in cui i testi vengono messi in scena e si trovano a interagire con interpreti e pubblico. Nella ricostruzione di S., le pratiche sia della costituzione dei testi sia della loro esecuzione, sia la posizione in cui il maestro si mette in rapporto al testo o ai testi di cui si serve sono illustrate sulla base delle fonti e dei materiali antichi e sullo sfondo culturale e sociale in cui esse avevano luogo. Gli ambiti indagati – molto diversi tra loro – sono le scuole filosofiche di stoici, epicurei, peripatetici, platonici, i gruppi giudaici, quelli di Qumran, le prime Chiese cristiane. Così anche i testi della Scrittura rispondono anche all’esigenza di una parola autorevole, detta in ragione sia di chi la pronuncia e sia degli avversari che si trova a fronteggiare. L THEOBALD C., «Seguendo le orme...» della Dei Verbum. Bibbia, teologia e pratiche di lettura, EDB, Bologna 2011, pp. 172, € 16,00. 9788810405987 L a costituzione conciliare Dei verbum è uno dei testi più fecondi e decisivi per la vita della Chiesa di tutto il Vaticano II. Riprendendone i vari cc., il vol. ne sottolinea la forza o i punti che occorre approfondire e soprattutto si sofferma ad analizzare come le «pratiche di lettura» si siano modificate nel tempo che ci sepa- XXIX IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 107 ra dal Vaticano II. Da teologo sistematico, l’a. riflette sulla Scrittura quale norma della Chiesa e sul contesto culturale in cui essa viene necessariamente letta (cf. gli articoli apparsi a firma dell’a. in Regno-att. 22,2004,782; Regno-doc. 7,2005,22; e anche Regnoatt. 2,2010,50). RAVASI G., Il libro dei salmi. Quattro conferenze tenute al Centro culturale S. Fedele di Milano, EDB, Bologna 2010, CD, € 16,20. EAN 8033576840208 REGGI R., Samuele. Traduzione interlineare in italiano, EDB, Bologna 2011, pp. 154, € 15,00. 9788810820780 Pastorale, Catechesi, Liturgia BISI M., La vita affettiva della persona credente. Un itinerario di meditazione profonda, ADP - Apostolato della preghiera, Roma 2010, pp. 110, € 10,00. 9788873575078 rticolato in due parti, il libro illustra un percorso di costruzione della vita affettiva, analizzandone i diversi aspetti alla luce dell’orientamento a Dio. Nella I parte il vol. mostra le fondamenta su cui costruire l’affettività, a cominciare da una riflessione sull’amore di Dio per le sue creature, prosegue con l’analisi dei tipi di relazioni affettive fino all’amore come forza mutevole e, al tempo stesso, trasformante. Nella II offre indicazioni ed esercizi di pratica meditativa per prendersi cura del prossimo, valorizzando la fede personale e la preghiera come strumenti per questo cammino. A Francesco Saverio Trincia Freud e la filosofia pp. 272, € 20,00 Piero Di Vona Uno Spinoza diverso L’Ethica di Spinoza e dei suoi amici pp. 120, € 15,00 Mauro Pesce - Mara Rescio (eds.) La trasmissione delle parole di Gesù nei primi tre secoli pp. 280, € 18,50 Rudolf Otto Il sacro Sull’irrazionale nell’idea del divino e il suo rapporto con il razionale a cura di Aldo Natale Terrin pp. 256, € 20,00 Via G. Rosa 71 - 25121 Brescia - Tel. 03046451 - Fax 0302400605 www.morcelliana.com REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.51 Pagina 108 L ibri del mese / schede CHAUVET L.-M., L’umanità dei sacramenti, Qiqajon, Magnano (BI) 2010, pp. 345, € 25,00. 9788882273163 a celebrazione dei misteri è piena d’umanità non tanto perché viene vissuta da una comunità di umani quanto piuttosto perché «Dio si rivela come umano nella sua stessa divinità», è moralmente e ontologicamente più umano degli umani. L’approccio si fa sentire in tutti i saggi raccolti nel vol. nelle sue tre parti. Nella I prendono spazio categorie come il «gioco», il «corpo», le metafore, i simboli ecc. Nella II si raccolgono alcune fondamentali riflessioni teologiche in particolare sul tema dell’elasticità nella teologia sacramentaria e sull’importanza delle pratiche. La III è di taglio più pastorale e prende in considerazione le celebrazioni legate all’aldilà, il battesimo dei bambini, il matrimonio e la confermazione, la riconciliazione. L Gian an AAntonio ntonio DDei ei Tos Tos Il ddolore olore ossibile possibile pag. ag. 440 - € 29,00 FRIGERIO L., Caravaggio. La luce e le tenebre, Àncora, Milano 2010, pp. 288, € 29,00. 9788851407506 iaggio in 11 tappe attraverso altrettanti capolavori a soggetto sacro di Michelangelo Merisi, nato a Milano nel 1571 e morto neppure quarantenne su una spiaggia della Maremma nel 1610. L’a., giornalista nella sezione culturale dei media della diocesi di Milano, restituisce al lettore quell’inestricabile impasto di colore e di sangue, di cielo e di terra, di disperazione e speranza, di esuberante sensualità e di alta spiritualità che costituì l’ossatura essenziale della pittura del Caravaggio. V L’a utore si si propone propone di esplorare esplorare la ccomplessità omplessità del del L’autore ddolore olore ccon on un un app proccio pluridisciplinare pluridisciplinare pproponendo roponendo approccio uuna na ssorta orta di oorientamento rient n amento aall ssenso enso ddel el ddolore. olore. PPeter eter Antes Antes Religion Religioni aallo llo specchio specchio pag. pa g. 208 - € 20,00 GARGANO I., «Lectio divina» sui Vangeli della passione. Passione di Gesù secondo Matteo, EDB, Bologna 2011, pp. 154, € 13,50. 9788810719084 L’ a., monaco camaldolese impegnato da decenni nella lettura della Bibbia assieme al popolo credente, continua il suo percorso di lectio sul tema della Passione. Il vol. è una trascrizione da lui rivista della riflessione dedicata a Matteo, tenuta presso il Monastero di Camaldoli. GIAVINI G., Credere ai Vangeli? Perché? Pista per un orientamento tra i moderni dibattiti sui Vangeli, Elledici, Cascine Vica (TO) 2010, pp. 79, € 6,00. 978880104498 edicata a quanti – credenti o non credenti – sono interessati al «caso-Gesù e ne vogliono indagare seriamente il mistero», la riedizione ampliata di questo piccolo vol. a firma del biblista Giavini analizza la vicenda terrena di Gesù nei Vangeli. Nelle 4 brevi sezioni, l’a. fornisce gli elementi fondamentali per poter navigare all’interno della vasta ricerca storica sui testi evangelici anche in rapporto al dibattito contemporaneo. D GRÜN A., REEPEN M., I gesti della preghiera, Queriniana, Brescia 2010, pp. 109, € 9,50. 9788839922854 gesti e la postura del nostro corpo possono aiutare ad avvicinarsi a Dio. Infatti accompagnare la preghiera e il silenzio con determinati gesti, il silenzio e l’atmosfera adeguata sono le migliori condizioni per favorire un contatto diretto tra chi prega e Dio. Il libro propone alcuni spunti su diversi gesti da utilizzare a seconda delle situazioni. I Un compendio Un compendio di d storia storia delle delle religioni, reeliigionii, un un testo testo nuovo nuovo che ab braccia l’intera l’inttera storia storia ddelle elle rreligioni eligioni ddell’umanità, ell’uma m nità, che abbraccia dagli iinizi nizi ffino ino ai ttempi empi nnostri, ostri, iinn uunn uunico nico vvolume. olume. dagli MARTINELLI P., La vocazione francescana oggi nel mondo: sfide e risorse, EDB, Bologna 2011, pp. 198, € 16,50. 9788810541401 l vol. presenta i contributi offerti nell’annuale giornata di studio promossa dall’Istituto francescano di spiritualità della Pontificia università Antonianum (27.4.2010), cui deve il titolo. Le relazioni offerte mostrano la bellezza delle esperienze e la complessità delle condizioni in cui la vocazione francescana si trova a vivere oggi in Asia, America, Europa, Africa e Oceania. I MELINA L., ANDERSON C.A., L’olio sulle ferite. Una risposta alle piaghe dell’aborto e del divorzio, Cantagalli, Siena 2009, pp. 292, € 18,50. 9788882724672 www.edizionimessaggero.it 108 IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 XXX REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.51 Pagina 109 A tti dell’omonimo convegno promosso nel 2008 dal Pontificio istituto Giovanni Paolo II e dai Cavalieri di Colombo. Il convegno (e il testo) «è una risposta alla crescente consapevolezza che gli effetti personali, relazionali e sociali dell’aborto e del divorzio ci hanno condotto a un punto dove occorre fare qualcosa». Fra i temi dei cc.: la vita spirituale dei figli dei divorziati, genitori dopo il divorzio, gruppi di Parola per le famiglie divise, il lato oscuro della maternità, accogliere e accompagnare le persone che hanno abortito. MILITELLO G., Chi legge le letture? Introduzione al ministero del lettore, Effatà, Cantalupa (TO) 2009, pp. 77, € 8,00. 9788874024407 artendo dalla costatazione che spesso chi legge le letture nelle liturgie non è adeguatamente preparato, viene proposto un agile sussidio rivolto a chi svolge quest’attività nelle comunità parrocchiali che si basa su riflessioni sul ruolo storico di questo ministero e su alcuni approfondimenti biblici e liturgici. Lo stile è semplice e diretto, risultando così un buon vademecum per tutti coloro che sono chiamati a compiere un vero e proprio ministero. P OSTO G., Un pentagramma teologico. Musica e teologia nella Cantata 140 di Johann S. Bach, EMP - Edizioni Messaggero, Padova 2010, pp. 229, € 22,00. 9788825025620 «C he tipo d’approccio può dare alla riflessione teologica l’esperienza musicale nata e sviluppata all’interno del cristianesimo?». A partire da questo interrogativo l’a. sviluppa una minuziosa analisi di una celebre cantata sacra bachiana, conducendo il lettore all’interno dei complessi intrecci di significato che legano in essa la dimensione teologica e quella musicale. Non si tratta di una semplice operazione archeologica, ma di un raffinato esercizio di ermeneutica musicale il cui unico inconveniente è costituito dai numerosi refusi presenti negli esempi musicali inseriti nel testo. TESSAROLO A., Lezionario meditato 1-2-3-4. Tempo di Avvento e di Natale. Tempo ordinario. Tempo di Quaresima e Triduo pasquale. Tempo di Pasqua, EDB, Bologna 22010, pp. 639+835+826+696, € 21,00+27,00+27,00+21,00. 9788810204511 – 9788810204528 – 9788810204535 – 9788810204542 I n ogni tempo liturgico il Lezionario meditato – opera in 8 voll. – si propone di aiutare il lettore a trasformare la parola di Dio in quotidiano dialogo d’intensa preghiera. Ogni singolo brano del Lezionario, festivo e feriale, è introdotto da una breve nota esegetica, al fine di agevolare la comprensione del testo ed evidenziarne il messaggio essenziale. Per ogni giorno vengono poi riportate integralmente le letture bibliche, secondo la nuova traduzione della CEI. Le riflessioni che seguono i testi della Scrittura sono proposte quale semplice avvio alla meditazione personale o comunitaria, più brevi nei giorni feriali, più diffuse la domenica, affinché possano essere di spunto anche per la preparazione dell’omelia. GHIDELLI C., Gesù maestro. Pagine di vocazione nei Vangeli, Rogate, Roma 2010, pp. 130, s.i.p. 9788880753889 In cammino Pasqua 2011. Adulti. Bambini. Ragazzi, EDB, Bologna 2010, pp. 64+47+47, € 4,30+3,60+3,60. MANKOWSKI C., Che cosa significa essere cattolici oggi?, Elledici, Cascine Vica (TO) 2010, pp. 104, € 14,00. 9788801037258 MEN’ A., Omelie pasquali, Nova Millennium Romae, Roma 2009, pp. 135, € 15,00. 9788887117684 NDOUM J., Non possiamo vivere senza la messa. Riflessione teologicopastorale sul rito eucaristico, EMP - Edizioni Messaggero, Padova 2009, pp. 74, € 7,00. 9788825023053 XXXI IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 109 OROPALLO L., Il rosario, ADP - Apostolato della preghiera, Roma 2009, pp. 103, € 5,50. 9788873574828 SEMERARO D., Messa quotidiana/marzo 2011. Riflessioni di fratel MichaelDavide, EDB, Bologna 2010, pp. 279, € 3,80. SÖDING T., Venite a me! Il messaggio del Vangelo di Matteo, Queriniana, Brescia 2010, pp. 134, € 12,00. 9788839929112 ZEVINI G., BENEDETTINE DELL’ISOLA DI S. GIULIO, Lectio divina per la vita quotidiana/14. Il Vangelo di Giovanni. Con la nuova traduzione del testo biblico, Queriniana, Brescia 2009, pp. 394, € 18,50. 9788839920898 Spiritualità BELLET M., Il Dio selvaggio. Per una fede critica, Servitium, Sotto il Monte (BG) 2010, pp. 174, € 15,00. 9788881663132 L’ età della razionalità critica ha costretto il cristianesimo e il suo Dio sulla difensiva. Ma, in realtà, dalla scomposizione del postmoderno riemerge Dio non più come oggetto di critica ma come origine di ogni critica. Il sorprendente rovesciamento produce però i suoi effetti anche dentro la Chiesa e dentro il suo pensare teologico. «Il vero tempio è l’uomo: tutto l’uomo e l’intera umanità chiamata a riunirvisi. Se quindi nominate Dio, fatelo in questo tempio, dove si verifica la giusta relazione». L’a., docente emerito all’Institut catholique di Parigi, azzarda una proiezione del cristianesimo fuori dal cristianesimo (con qualche assonanza con Panikkar). REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.51 Pagina 110 L ibri del mese / schede Oscar Cullmann Il mistero della Redenzione nella storia CORIGLIANO P., Preferisco il Paradiso. La vita eterna com’è e come arrivarci, Mondadori, Milano 2010, pp. 153, € 18,00. 9788804604617 econdo l’a., portavoce ormai storico dell’Opus Dei in Italia, mentre di inferno e purgatorio si parla troppo, del paradiso si tace e sembra scomparso l’annuncio della vita eterna. Così, servendosi del riferimento ad alcuni artisti e scrittori, egli attraversa la Scrittura e gli eventi della vita alla ricerca di quei piccoli, ma fondamentali segnali ed esperienze di bene e di felicità che dicono la verità della vita eterna e che illuminano anche quella presente. S GIRARDI G., BONIFACIO G., Oltre la fragilità. Il dono prezioso della libertà. Saggio interdisciplinare, Il Segno dei Gabrielli, S. Pietro in Cariano (VR) 2010, pp. 198, € 14,00. 9788860991119 l libro, edito dall’Istituto superiore di scienze religiose di San Pietro in Cariano, attraverso i saggi di 10 studiosi esamina la questione della fragilità. Attraverso riferimenti filosofici, teologici e biblici analizza l’uomo occidentale come essere fragile per poi raffrontarlo alle figure bibliche di Giona e Pietro: in questo modo la fragilità si presenta quale «luogo di maturazione e testimonianza della gratuità e fedeltà dell’amore» di Dio (8). Gli ultimi due saggi analizzano la fragilità delle nuove generazioni e in particolare i fenomeni di bullismo. I Il Vangelo di Giovanni Paolo II, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2010, pp. 201, € 13,00. 9788821567698 ono i commenti a 45 brani del Vangelo contenuti in una serie di omelie a firma di Giovanni Paolo II, che verrà proclamato beato il prossimo 1o maggio. S MÜLLER J., L’arte del perdono. Come si possono guarire le ferite dell’anima, EMP - Edizioni Messaggero, Padova 2009, pp. 118, € 11,00. 9788825021806 S ubblicato per la prima volta nel 1965, lo studio offre una trattazione sistematica della storia della salvezza neotestamentaria: come se ne è formata la concezione, quale ne è la fenomenologia, quali le principali posizioni neotestamentarie. Le risultanze dell’analisi esegetica vengono poi applicate a problemi dogmatici fondamentali. Un ‘classico’ della teologia, ora riproposto in versione economica. P «Economica EDB» pp. 540 - € 25,00 ono osservazioni preziose quelle elaborate dall’a., prete tedesco che svolge l’attività di psicoterapeuta a Freising (Germania). In 17 brevi cc. affronta il tema delle ferite subite o inferte, i sensi di colpa o i risentimenti che queste comportano, la fatica e la gioia del perdono. Il vol. s’apre con il proverbio: «Vuoi essere felice per un istante? Vendicati! Vuoi essere felice per sempre? Perdona!». Il perdono è un arte difficile e un dono grande. Chi si dimostra pentito per il timore delle conseguenze della sua azione agisce in modo imperfetto. Chi si pente per amore di Dio agisce in modo perfetto. La magnanimità di Dio, infatti, non distingue: essa perdona in entrambi i casi. SQUIZZATO G., Il miracolo superfluo. (Perché possiamo essere cristiani). Il Vangelo di Gesù di Nazaret raccontato ai miei figli nell’età del nichilismo, Il Segno dei Gabrielli, S. Pietro in Cariano (VR) 2010, pp. 319, € 18,00. 9788860991027 L’ a. si rivolge ai suoi figli, che non ha voluto battezzare da piccoli, per provare a comunicare loro «l’intensità e la centralità di un evento che per me è stato decisivo: l’incontro con l’uomo della croce… non chiederei di meglio alla vita che qualche attimo del vostro tempo dedicato all’ascolto di questo mio viaggio alla ricerca del Cristo». Nel racconto si ritrova la consapevolezza dei territori attraversati da un’intera generazione nel postconcilio: i limiti delle istituzioni ecclesiali, la forza liberante della Scrittura, la suggestione della Chiesa dei poveri, la dimensione laicale della teologia... Emerge un vissuto di fede che offre indicazioni e suggestioni per un annuncio che prende sul serio la vita e le sue vicende. Dello stesso autore: Cristo e il tempo La concezione del tempo e della storia nel Cristianesimo primitivo pp. 368 - € 18,70 EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it TELÒ O., Con occhi di donna. Meditando gli incontri femminili di Gesù, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2010, pp. 138, € 10,00. 9788821569098 L etti con gli occhi di una donna – una credente, senza ulteriori qualifiche – gli incontri femminili di Gesù nei Vangeli restituiscono con semplicità e immediatezza una prospettiva particolare, che è profondamente e sensibilmente femminile senza mai tematizzare la 110 IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 XXXII REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.51 Pagina 111 questione di genere. Vederli raccolti tutti insieme colpisce: sono davvero tanti e significativi, un dato non ancora sufficientemente entrato nella carne e nel sangue della Chiesa. QUARANTA C., Marcello II Cervini (1501-1555). Riforma della Chiesa, concilio, Inquisizione, Il Mulino, Bologna 2010, pp. 496, € 37,50. BELLO T., Briciole di pane sapido. A cura di R. Brucoli e L. Ferraresso, Ed. Insieme, Terlizzi (BA) 2010, pp. 101, € 10,00. 9788876020513 S GIUSSANI L., Uomini senza patria (1982-1983), Rizzoli - RCS libri & grandi opere, Milano 2008, pp. 406, € 11,00. 9788817023580 IMPRUDENTE C., Lettere imprudenti sulla diversità. Conversazioni con i lettori del «Messaggero di sant’Antonio», Effatà, Cantalupa (TO) 2009, pp. 155, € 11,00. 9788874024872 MANCA L., Pastori per servire. Il contemplativo che diventa vescovo. L’esperienza di Agostino, Vivere in, Roma 2010, pp. 80, € 8,00. 9788815137258 i tratta di una biografia, storicamente fondata e costruita con ampia base documentaria, di Marcello Cervini, divenuto papa nel 1555 e poi morto dopo solo 22 giorni. Segretario e consigliere di Paolo II, culturalmente raffinato, presidente delle prime sedute del concilio di Trento e figura chiave della politica curiale, è passato alla storia come uomo di grande dirittura morale e di sincera volontà riformatrice. La biografia mostra inoltre l’acuta capacità del Cervini di guidare il Concilio e di erodere progressivamente la credibilità dell’ala più favorevole al dialogo con la nascente Riforma. La convinzione dell’ormai irriducibile distanza dai luterani e dell’opportunità di disciplinare il dissenso lo vedono come animatore e propugnatore della nascente Inquisizione. 9788872633519 Attualità ecclesiale SALVOLDI V., Un corpo a corpo con Dio. Lotta e contemplazione, EMP - Edizioni Messaggero, Padova 2009, pp. 142, € 12,00. 9788825024227 ALBANESE G., BECCEGATO P., CAIFFA P., L’era della consapevolezza. La responsabilità indiretta: un nuovo principio per cambiare il mondo, EMP - Edizioni Messaggero, Padova 2010, pp. 135, € 10,00. 9788825026207 L Storia della Chiesa CALLEGARI L., John Henry Newman. La ragionevolezza della fede, Ares, Milano 2010, pp. 422, € 23,00. 9788881555147 a figura di Newman (1801-1890) costituisce un esempio difficilmente uguagliabile di fedeltà alla ricerca intellettuale e di rigore teologico e spirituale. La sua conversione dall’anglicanesimo al cattolicesimo, avvenuta nel 1845, è il punto di svolta della sua vita, ma anche il coerente esito della sua ricerca. Il vol. racconta la sua coraggiosa e feconda testimonianza cristiana, caratterizzata dalla ricerca della verità, dalla centralità della coscienza, dalla critica al liberalismo e al nascente relativismo. L CASTILLO MARTÍNEZ P., Tommaso Moro. Il primato della coscienza, Paoline, Milano 2010, pp. 313, € 29,00. 9788831536752 ommaso Moro (1477-1535) muore sul patibolo per decisione di Enrico VIII. È stato canonizzato dalla Chiesa cattolica nel 1935 per la difesa della fede e dei diritti del papato, ma è considerato santo anche dalla Chiesa anglicana, alla cui creazione si era opposto, che lo venera come martire della coscienza. Il vol. racconta, spesso in prima persona, la storia della sua vita, i suoi interessi umanistici e teologici, la sapienza politica e amministrativa, il culto della giustizia e la formazione di una riflessione di fede che ne ha fatto uno degli esempi più efficaci nella comprensione e nella difesa della libertà di coscienza. T PIGHIN B.F., Chiesa e Stato in Cina. Dalle imprese di Costantini alle svolte attuali, Marcianum Press, Venezia 2010, pp. 294, € 35,00. 9788865120316 L a I parte del vol. è dedicata alla figura, non troppo nota ma importante, di mons. Celso Costantini (poi cardinale) che operò in Cina tra il 1920 e il 1930, perseguendo la decolonizzazione religiosa del paese asiatico, la formazione della gerarchia locale, l’inculturazione cristiana. La drammatica rottura della rivoluzione comunista (e successivamente della «rivoluzione culturale») non hanno azzerato una comunità cristiana minoritaria ma vitale. La II parte del vol. è invece dedicata ai temi recenti del dialogo e confronto tra Santa Sede e governo cinese (la libertà religiosa, l’organizzazione ecclesiale, le nomine episcopali, la religione e il partito). Il tono del vol. è per un’attesa positiva nello sviluppo delle relazioni, infranta con le recenti decisioni del governo e la celebrazione della VIII Assemblea dei cattolici in Cina (cf. Regno-att. 22,2010,737). XXXIII IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 111 a tesi del vol. «è tanto chiara quanto “rivoluzionaria” – afferma il direttore de La Civiltà cattolica p. Salvini nella prefazione –, almeno dal punto di vista culturale: l’interdipendenza dei fenomeni, nei diversi settori, crea nuove responsabilità indirette delle quali a prima vista non ci accorgiamo, ma che possono avere pesanti ricadute nella vita di persone, popoli, società». Gli aneddoti e i casi presentati sono un’esemplificazione di questo principio e al contempo vie possibili verso assunzioni di responsabilità concrete nella vita quotidiana anche delle Chiese. a cura di Paolo Martinelli La vocazione francescana oggi nel mondo: sfide e risorse alla città di Assisi la via di Francesco si è estesa a tutto il mondo. Il volume presenta i contributi offerti nell’annuale giornata di studio promossa dall’Istituto Francescano di Spiritualità della Pontificia Università Antonianum (27 aprile 2010), cui deve il titolo. Le relazioni mostrano la bellezza delle esperienze e la complessità delle condizioni in cui la vocazione francescana si trova a vivere oggi nei cinque continenti. D «Teologia spirituale» pp. 200 - € 16,50 Nella stessa collana: Francesco Neri, «Miei signori, figli e fratelli» San Francesco d’Assisi e i sacerdoti pp. 152 - € 13,60 EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it REGATT 04-2011.qxd L 25/02/2011 15.51 Pagina 112 ibri del mese / schede BATTAGLIA G., L’ortodossia in Italia. Le sfide di un incontro, EDB, Bologna 2011, pp. 378, € 29,00. 9788810401279 ttraverso i contributi di alcuni importanti studiosi della materia, il vol. presenta una visione d’insieme del retroterra storico e spirituale delle varie presenze ortodosse in Italia e una disamina dei principali nodi del dialogo tra Chiesa cattolica e Chiese ortodosse. Il testo si configura anche come il necessario approfondimento storicoteologico che motiva e sostiene le indicazioni contenute nel Vademe- A cum per la pastorale delle parrocchie cattoliche verso gli orientali non cattolici, pubblicato a cura dell’Ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso e dell’Ufficio nazionale per i problemi giuridici della CEI e riproposto in appendice (cf. Regno-doc. 7,2010,211). BELLIENI C., La carne e il cuore. Storie di donne, Cantagalli, Siena 2010, pp. 115, € 9,00. 9788882725204 e storie di 9 donne offrono uno spaccato sull’universo femminile a partire da tre temi: l’aborto, la scelta di una vita di clausura e il modello di donna veicolato alle bambine attraverso le bambole d’oggi. Storie diverse accomunate però da un disagio nei confronti di un’immagine del femminile schiacciato su modelli maschili. Storie che indicano un desiderio frustrato: quello d’essere se stesse, cioè semplicemente donne. L CASALE G., Per riformare la Chiesa. Appunti per una stagione conciliare, Edizioni la meridiana, Molfetta (BA) 2010, pp. 76, € 12,00. 9788861531468 L’ ormai emerito mons. Giuseppe Casale lancia ai suoi lettori molte provocazioni per il futuro della Chiesa e della fede e attraversa con grande libertà interiore i sentieri più discussi della nostra stagione. Dal rifiuto di legittimare un preteso complotto contro la Chiesa alla necessità di non sovrapporre la Chiesa e il Regno, dalla plausibilità pastorale dell’ordinazione di uomini sposati al rispetto Rhona Davies La Bibbia per ogni giorno Illustrazioni di Marcin Piwowarski 365 racconti illustrati, uno per ogni giorno dell’anno, presentano ai bambini dagli 8 ai 12 anni la storia della salvezza, dalla Genesi all’Apocalisse. Ciascuno propone il rimando al passo biblico di cui narra e ne riporta i versetti più significativi. Una sezione di approfondimento sulla civiltà del tempo aiuta i piccoli ad avvicinarsi al mondo della Bibbia. I «La Parola illustrata» pp. 352 - € 21,90 Nella stessa collana: Leena Lane La mia prima Bibbia Illustrazioni di Gillian Chapman pp. 256 - € 11,90 per l’eventuale legge civile sulle convivenze omosessuali, dal distacco verso una difesa urlata della vita all’apertura alle ragioni dei divorziati risposati, dalla stima ai poveri nella Chiesa all’opportunità che gli anziani possano sognare: in poche pagine si offre un segnale di grande libertà all’interno di un’appartenenza ecclesiale. CESAREO G., Guerra e pace: la morale cristiana da Giovanni XXIII al Vaticano II, al nostro tempo. Il contributo specifico italiano, EDB, Bologna 2011, pp. 175, € 15,00. 9788810406090 iflessione sistematica su pace e guerra nel contesto teologicomorale dell’ultimo cinquantennio, con una particolare attenzione all’Italia. La I parte espone una visione essenziale del pensiero biblico, della storia della teologia e del magistero di Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. La II è dedicata alla riflessione teologico-morale. Nelle sue conclusioni l’a. constata come gli studiosi ribadiscano la necessità di abbandonare il principio del bellum iustum sulla base di due ragioni principali: le esigenze del Vangelo, che non lasciano spazio alcuno alla violenza, e l’insegnamento tradizionale, che ne decreta la fine a causa delle capacità distruttive della guerra moderna. Tale principio può essere al massimo rimpiazzato da quello dell’ingerenza umanitaria o dal diritto alla legittima difesa. R COMITATO PER IL PROGETTO CULTURALE DELLA CEI, Dio oggi. Con lui o senza di lui cambia tutto. Con un messaggio di Benedetto XVI, Cantagalli, Siena 2010, pp. 236, € 15,50. 9788882725174 tti dell’evento internazionale organizzato dal Comitato per il progetto culturale della CEI nel dicembre del 2009 che ha analizzato la relazione tra Dio e il mondo contemporaneo. Suddiviso in quattro sessioni – «Il Dio della fede e della filosofia»; «Il Dio della cultura e della bellezza»; «Dio e le religioni»; «Dio e le scienze» –, ha affrontato il tema non solo attraverso lezioni magistrali, ma anche presentazioni di libri, esecuzioni di brani musicali, esposizioni d’opere d’arte, proiezioni cinematografiche e conversazioni, alle quali hanno partecipato personalità eminenti sia del cosiddetto mondo laico, sia di quello cattolico (cf. Regno-doc. 1,2010,32). A IMPAGLIAZZO M., Shock Wojtyla. L’inizio del pontificato, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2010, pp. 477, € 26,00. 9788821568985 ll’interno di un progetto di più ampie pretese sull’intero ciclo del pontificato di Giovanni Paolo II, il presente vol. indica e illustra solo il primo passo: l’elezione al soglio pontificio del cardinale polacco nel 1978. «Si può ormai dire con certezza che l’elezione di Karol Wojtyla, un papa non italiano dopo quattro secoli, e per di più proveniente da un paese appartenente al blocco comunista, fu una vera sorpresa a livello mondiale». Il testo racconta la sorpresa nei vari ambienti sia nazionali sia internazionali ed è concluso dalle tre testimonianze di Arrigo Levi, Andrea Riccardi, Camillo Ruini. A SCARVAGLIERI G., La fragilità vocazionale. Problemi e prospettive della perseveranza, Elledici, Cascine Vica (TO) 2010, pp. 207, € 14,90. 9788801044638 I l libro presenta i risultati di una ricerca effettuata dall’a. sul fenomeno degli abbandoni della vita religiosa. Il problema viene ampiamente documentato attraverso le testimonianze di un campione di rappresentanti di vari istituti presenti in Italia. Si tenta una spiegazione della crisi, della sua natura profonda e delle diverse modalità di manifestazione. Si suggeriscono alcune prospettive d’intervento affinché ogni istituto metta a disposizione il proprio bagaglio culturale e spirituale per formare religiosi adeguati alla loro missione. SILVESTRI A., La luce e la rete. Comunicare la fede nel web, Effatà, Cantalupa (TO) 2010, pp. 238, € 15,00. 9788874025701 l testo, basandosi su una ricerca universitaria del 2007-2008 sui siti web cattolici, offre agli insegnanti e alle parrocchie alcuni suggerimenti semplici per un’azione comunicativa della fede anche nell’universo digitale. Dopo un incipit introduttivo sull’evangelizzazione attraverso Internet, il libro offre al lettore le fondamenta semiotiche per la conoscenza della rete e, successivamente, alcuni esempi per I Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it ( junior) 112 IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 XXXIV REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.51 Pagina 113 esplorare le strategie comunicative dei siti al fine di valutarne i punti di forza e di debolezza. DALLA COSTA C., Maurice Zundel. Un mistico contemporaneo, Effatà, Cantalupa (TO) 2008, pp. 158, € 9,00. 9788874024186 GUARDI J., BEDENDO R., Teologhe, musulmane, femministe, Effatà, Cantalupa (TO) 2009, pp. 156, € 11,00. 9788874024995 MASCIARELLI M.G., La grande speranza. Commento organico all’enciclica Spe salvi di Benedetto XVI, Tau Editrice, Todi (PG) 2008, pp. 227, € 20,00. 9788862440233 SPALLANZANI R., La messa del consacrato a Maria. A cura di p. Carlo Dallari ofm, EDB, Bologna 2011, pp. 319, € 17,50. 9788810545072 Filosofia BARTH K., Filosofia e teologia, Morcelliana, Brescia 2010, pp. 75, € 10,00. 9788837224318 a costante di tutta l’esistenza del teologo Karl Barth è la riflessione sul rapporto che intercorre tra filosofia e teologia. Se con la Römerbrief si delinea un approccio filosofico della fede, pur evidenziando la sua contrapposizione alla saggezza del mondo, in questo lavoro del 1960, scritto in onore del 70o compleanno del fratello Heinrich, studioso di filosofia, il grande teologo riformato rivela come sin da subito si pose il problema della filosofia. Tra quest’ultima e la teologia c’è indubbiamente una differenza di metodo: la filosofia è una ricerca razionale del fondamento che permette di guardare al molteplice con occhi nuovi; la teologia, invece, muove i suoi passi senza mai prescindere dalla parola di Dio, la sola che permette di giustificare il finito nelle sue diverse articolazioni. Entrambe, però, hanno come momento centrale l’umanità e Dio, l’umanità di Dio. Testo prezioso per capire il paradigma barthiano. L La I parte affronta il problema dal punto di vista bioetico, la II da quello bio-giuridico. Fra gli aa.: M. Gensabella Furnari, F. Macioce, A. Andronico, S. Amato, L. d’Avack, S. Semplici. SEVERINO E., Istituzioni di filosofia, Morcelliana, Brescia 2010, pp. 227, € 18,00. 9788837224561 orso di filosofia che l’a. di Ritornare a Parmenide tenne nel 1968 all’Università cattolica di Milano, dalla quale, com’è noto, si allontanerà nel 1970 per insegnare a Venezia. Sono lezioni che ogni studioso di filosofia ha il dovere di leggere proprio in quanto istituzioni di un sapere, quello filosofico, spesso percorso da mode e da pseudo argomentazioni. Il rigore, l’attenzione al significato che di volta in volta acquistano le categorie filosofiche, i problemi costitutivi della filosofia come identità, realismo, dialettica o verità sono scandagliati in pagine magistrali che dimostrano come il filosofare per S. è saper declinare in modo riflessivo l’elenchos, ovvero la confutazione come base dell’argomentazione in quanto tale. Da acquistare e studiare. C TRINCIA F.S., Freud e la filosofia, Morcelliana, Brescia 2010, pp. 262, € 20,00. 9788837224530 l rapporto tra filosofia e psicoanalisi è una ricostruzione che in Italia non ha sinora trovato gli spazi necessari per svilupparsi come, invece, è successo ormai da decenni in paesi come la Francia o la Germania. La posta in gioco deve essere slegata dalla storia delle idee e inserita in un orizzonte in cui «filosofia e psicoanalisi possono pensarsi insieme, ossia fondere in un pensiero comune il riferimento ai grandi e permanenti temi della cultura occidentale». Per l’a., da anni impegnato in una feconda riflessione sui rapporti tra il padre della psicoanalisi e il Novecento filosofico, «tale progetto appare come il compito che s’impone» per pensare filosoficamente la psicoanalisi. I GOETHE J.W., SORET F., Conversazioni, Morcelliana, Brescia 2010, pp. 308, € 20,00. 9788837224097 fratel MichaelDavide «W eimar, 21 settembre 1822. Questa sera il signor Meyer mi ha portato dal celebre Goethe». È il primo di una serie di incontri raccontando i quali l’a. – che si trova a Weimar come precettore – disegna un ritratto del grande poeta tedesco senza nasconderne il tratto «più umano e fragile». La scienza e la politica sono i grandi temi affrontati nelle conversazioni dalle quali emerge, da un lato, il sincero interesse di Goethe per le scienze naturali insieme alle sue critiche al paradigma di Newton, e, dall’altro, l’importanza del concetto di «forma» capace di «dar conto del permanere di qualcosa di stabile nella varietà e nella mutevolezza delle forme» della realtà. LEVINAS E., Violenza del volto, Morcelliana, Brescia 2010, pp. 39, € 8,00. 9788837224653 a questione del «senso», il rapporto tra violenza e ragione, la «santità» come possibilità di nominare Dio e come vocazione dell’uomo, il valore della liturgia e della preghiera, sono alcuni dei temi toccati dall’a. in una breve intervista del 1985 ora pubblicata in versione riveduta e ampliata. Nel dialogo vengono ripercorsi i grandi luoghi della filosofia levinasiana centrata su un’idea di senso che non è tema, né rappresentazione, né essere, ma è traccia di una Parola espressa nella nudità del volto dell’altro, epifania dell’Infinito in cui risuona il comandamento etico alla responsabilità: l’altro è il valore al quale bisogna dedicarsi. L PALAZZANI L., Doveri e diritti alla fine della vita, Studium, Roma 2010, pp. 166, € 14,50. 9788838241192 a linea di confine fra dovere di cura, obbligo d’intervento e accanimento terapeutico o sproporzionata attività di cura per una morte ormai imminente è spesso molto sottile. Su questo nodo si svolge il vol. (n. 7 dei «Quaderni dell’Università LUMSA» di Roma). L XXXV IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 113 Seme è la Parola Invito alla lectio divina Prefazione di Anna Maria Cànopi l volumetto costituisce un vero invito alla lectio divina: l’autore la presenta come nutrimento dell’anima, dialogo con Dio intessuto di ascolto e di silenzio. Egli ripercorre, in quattro distinti capitoli, i quattro gradini della lectio divina, seguendo la «piccola scala» proposta nel XII secolo da Guigo il Certosino e ancora oggi valida guida per accostarsi alla Sacra Scrittura. I «Meditazioni» pp. 128 - € 8,50 Dello stesso autore: L’Altra Mensa: la Parola nella liturgia pp. 88 - € 6,80 EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it REGATT 04-2011.qxd L 25/02/2011 15.51 Pagina 114 ibri del mese / schede Storia, Saggistica ALLIEVI S., La guerra delle moschee. L’Europa e la sfida del pluralismo religioso, Marsilio Editrice, Venezia 2010, pp. 186, € 12,00. 9788831706773 S ulla base degli esiti di un’ampia ricerca comparativa, voluta dal Network of European Foundations nell’ambito del progetto «Religione e democrazia in Europa» (www.nef-europe.org), sulla presenza islamica in Europa, le moschee e i conflitti insorti attorno a esse, viene qui presentata da uno dei sociologi italiani che più si è occupato di islam, e che ha progettato e coordinato la ricerca, una panoramica delle peculiarità nazionali e delle tendenze in atto. Le indicazioni sono interessanti: il conflitto è meno intenso e frequente dove i musulmani godono di maggiori diritti; è viceversa più intenso e frequente dove in ambito politico sono presenti imprenditori dell’islamofobia; il fattore tempo gioca un ruolo importante. Una lettura utile per tutti, ma in particolare per i decisori politici a tutti i livelli. CASSESE S., Lo Stato fascista, Il Mulino, Bologna 2010, pp. 150, € 14,00. 9788815139498 o spunto che origina questo studio delle istituzioni del fascismo è duplice: storiografico, perché «nonostante la grande mole di studi sulla storia del fascismo vi è ancora una grande oscillazione nella valutazione della natura del relativo stato», cioè se fu o meno totalitario; e di attualità, perché ancora a 50 anni di distanza ogni proposta di rafforzamento del potere esecutivo suscita il timore dell’«uomo forte». L’analisi permette di fare giustizia del «mito storiografico» del totalitarismo fascista, mettendo accuratamente in luce i molti pa- L Aimone Gelardi Vizi vezzi virtù Una rivisitazione dei peccati capitali e cattive abitudini degli esseri umani periodicamente tornano ad attirare l’attenzione dei media: superbia, avarizia, invidia, ira, lussuria, golosità, accidia, in questo elenco le ha raccolte Gregorio Magno, ma il primo a elaborarne una dottrina fu Evagrio Pontico. Sulla scia dei precedenti, il volumetto offre agili e profonde riflessioni sui sette vizi capitali, toccando problematiche e necessità dell’uomo di oggi. L «Meditazioni» pp. 104 - € 7,90 Dello stesso autore: Beati voi Una rivisitazione delle Beatitudini pp. 96 - € 7,90 EDB Edizioni Dehoniane Bologna radossi su cui la dittatura del ventennio si costruì e si resse. Tra i molti elementi d’interesse c’è la novità metodologica di un approccio che abbina gli strumenti dell’analisi storiografica, delle scienze sociali e dell’ambito giuridico-istituzionale; e la diversa valutazione che oggi l’a. dà del corporativismo rispetto alle sue prime ricerche degli anni Cinquanta. FRAJESE V., Il processo a Galileo Galilei. Il falso e la sua prova, Morcelliana, Brescia 2010, pp. 111, € 12,50. 9788837224363 l vol. si caratterizza come argomentazione di un fatto molto semplice, quasi banale dichiarato dallo stesso a. nell’introduzione: «Non esiste e non è mai esistito alcun decreto di condanna dell’astronomia copernicana come dottrina eretica, contraria alla Scrittura, erronea nella fede o altro». Non è mai esistita pertanto una condanna di Copernico, né è mai esistito un decreto di censura teologica dell’eliocentrismo per il quale lo stesso Galileo subì la condanna. In tal modo il processo al fondatore della scienza moderna diventa un intreccio dove il falso e la sua prova fanno vittima proprio l’istituzione che mise in scena il falso stesso. Un equivoco che apre nuove piste da esplorare. Da leggere. I GUARDINI R., Nello specchio dell’anima, Morcelliana, Brescia 2010, pp. 184, € 14,00. 9788837224219 ubblicato nel 1932, il vol. era già pronto nel 1929. Raccoglie materiali molto diversi e vari: diari di viaggio, omelie per ricorrenze particolari, riflessioni e commenti occasionali, articoli e brevi saggi. La loro casualità non nasconde una tensione unitaria che li attraversa: «Si deve sgombrare lo spirito dalla ragionevolezza pratica e dall’apologetica capaci di dimostrare tutto, e tornare a far sì che il cristianesimo sia ciò che è: mistero e grazia che vanno al di là di ogni ragione. Al tempo stesso avere l’ampia umanità e l’amore grande e la beata libertà del Figlio di Dio, che è in grado di separare l’essenziale dall’inessenziale e sa che il piantare è di Paolo, l’innaffiare di Apollo, ma il crescere è Dio che lo dà». P PADOAN D. (a cura di), Il paradosso del testimone, Rosenberg & Sellier, Torino 2010, pp. 207, € 31,00. 9788878851122 l vol. è una monografia del quadrimestrale Rivista di estetica (direttore M. Ferraris) dedicata alla questione del testimone e della testimonianza della Shoah. La curatrice, con interviste e articoli (Appelfeld, Bauer, Leghissa, Kügler, Bensoussan e altri) solleva il doppio paradosso in cui la testimonianza dei sopravvissuti rischia d’imbattersi: la sacralizzazione di un ascolto che colloca i campi di concentramento in un oltre irreale; il testimone come immagine delle retoriche e dei cortocircuiti con cui l’ascoltatore d’oggi ne riceve il racconto. Su questo argomento cf. anche Regno-att. 8,2005,243. I POLTAWASKA W., E ho paura dei miei sogni. I miei giorni nel lager di Ravensbrück, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2010, pp. 254, € 16,00. 9788821569159 anda Poltawska è nota per la sua relazione d’amicizia con Giovanni Paolo II testimoniata nel vol. Diario di un’amicizia. Il presente testo apre l’oscuro e terrificante capitolo della prigionia e delle torture subite dalla P. nel lager di Ravensbrück. Dalle pagine scritte subito dopo il ritorno alla libertà nel 1945 per liberarsi dagli incubi notturni che la incatenavano a quelle esperienze – tenute nascoste fino alla loro pubblicazione negli anni Sessanta – emerge lo spaccato della violenza nazista verso tutti i prigionieri e, in particolare, il ruolo delle violente sperimentazioni mediche sui corpi indifesi delle donne. «Nessuno potrà capire, se non lo ha vissuto in prima persona; nessuno, tranne noi». W AYALA F.J., L’evoluzione. Lo sguardo della biologia, Jaca Book, Milano 2009, pp. 199, € 22,00. 9788816408579 ELIADE M., Diario portoghese. Edizione italiana a cura di R. Scagno, Jaca Book, Milano 2009, pp. XXXVI+328, € 34,00. 9788816408524 Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it 114 IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 XXXVI REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.51 Pagina 115 Simone Paganini Politica, Economia, Società Qumran le rovine della luna CARITAS ITALIANA, FONDAZIONE «E. ZANCAN», In caduta libera. Rapporto 2010 su povertà ed esclusione sociale in Italia, Il Mulino, Bologna 2010, pp. 349, € 24,00. 9788815146335 iunto alla 10a edizione, il Rapporto che annualmente la Caritas italiana e la Fondazione E. Zancan pubblicano – con ricerche originali e dati provenienti dai centri d’ascolto su tutto il territorio nazionale – evidenzia quest’anno come la famiglia risulti essere la principale vittima della povertà e dell’impoverimento. Il confronto con le scelte politiche di altre nazioni dell’Unione Europea, qui ampiamente illustrate, dimostra che dare «cittadinanza sociale» alle famiglie è possibile. L’indicazione forte alla politica è che la riforma federalista affronti il problema a livello regionale, poiché le risorse – come appare dai casi veneto e toscano qui esaminati – si possono trovare. G Il monastero e gli esseni, una certezza o un’ipotesi? ELEFANTI M., Non profit. Dalla buona volontà alla responsabilità economica, EDB, Bologna 2011, pp. 267, € 18,00. 9788810102732 rutto dell’incontro dell’unità di ricerca del Centro universitario cattolico su «L’accountability nelle aziende non profit» (Milano, 28.1.2009), i contributi raccolti nel vol. propongono, nel modo meno tecnico possibile, spunti pratici per il consolidamento dei sistemi di governo degli enti non profit. Si tratta di garantire la progressiva affermazione di meccanismi operativi e di controllo in grado di guidare le scelte e le decisioni aziendali, di diffondere schemi di gestione e soluzioni organizzative che valorizzino trasparenza e responsabilità dell’azione. F MORRA G., Antidizionario dell’Occidente. Stili di vita nella tarda modernità, Ares, Milano 2010, pp. 446, € 18,00. 9788881555024 ttantasette voci (da «agnello» a «voto») compongono un dizionario che, per l’a., «intende cogliere gli aspetti più evidenti dell’antioccidentalismo dell’Occidente», i segni cioè della sua decadenza e della sua volontà di autodistruggersi. Per questo si presenta anche come «antidizionario». Dopo «Europa invertebrata» quest’opera prosegue l’intento di risvegliare le coscienze davanti ai paradossi dell’attuale tarda modernità occidentale. Prevale un tono di denuncia, di conservazione e di distacco dalla tradizione conciliare. Basti consultare la voce «liberali cattolici» (un inno agli atei devoti) o «pedofilia» (ove si ignora totalmente il pesante scandalo della pedofilia del clero). O PASCUZZI G., Il diritto dell’era digitale, Il Mulino, Bologna 2010, pp. 326, € 24,00. 9788815138781 l diritto è costitutivamente connesso con le tecnologie (fin dall’antichità, con la scrittura), e dunque l’evoluzione tecnologica è utilizzata dal diritto e al tempo stesso ne provoca un’evoluzione. Nel momento in cui la sfida è rappresentata dalle tecnologie digitali, questo manuale – giunto ormai alla 3a edizione aggiornata – sostiene la tesi che esse stiano cambiando le regole giuridiche, e che all’emersione di nuove regole si stia accompagnando la nascita di un diritto con tratti caratteristici peculiari. Esaminati gli ambiti del diritto alla riservatezza, del concetto di documento e firma, del commercio e del pagamento, del diritto d’autore e le principali caratteristiche che governano il funzionamento della Rete, si avverte come rimanga aperto in questo nuovo frangente, in cui la comunità degli individui è ricomposta in funzione di paradigmi diversi dal territorio dello stato, il problema di ridefinire il significato di concetti come legittimazione del potere, procedure democratiche, diritti di cittadinanza. I Ristampe D al 1947, quando si rivelò la scoperta di antichi rotoli nella località di Qumran, in arabo “le rovine della luna”, il sito venne identificato come centro della comunità religiosa degli esseni. Ma oggi molti studiosi sostengono un’ipotesi diversa. Con rigore scientifico, l’autore fornisce la propria lettura, rivolgendosi non solo agli specialisti ma ai molti interessati all’argomento, ancora circondato da teorie di intrighi misteriosi. CULLMANN O., Il mistero della Redenzione nella storia, EDB, Bologna 2 2011, pp. 481, € 25,00. 9788810215142 GANDOLFO E., Lettera e Spirito. Lettura della Bibbia dalle origini cristiane ai nostri giorni, EDB, Bologna 22011, pp. 382, € 29,50. «Studi biblici» pp. 224 - € 21,00 9788810221518 XXXVII IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 115 EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.58 Pagina L 116 L ibri del mese / segnalazioni P. SCANDALETTI, M. SORICE (A CURA DI), YES, CREDIBILITY, La precaria credibilità del sistema dei media, UCSI, Roma 2010, pp. 320, € 21,00. 9788885343771 L’ inquinamento delle fonti primarie dell’informazione può manifestarsi con modalità, fasi, livelli diversi. (...) Può avvenire e avviene in pensieri, parole, opere, omissioni». È Vieri Poggiali ad affrontare lo scomodo tema dell’inquinamento delle fonti primarie dell’informazione, colmando un vuoto cruciale nella pubblicistica italiana sulle criticità del sistema dei media. Giornalista e docente di lungo corso a Milano, ha diretto per 11 anni le relazioni esterne della Montedison di Eugenio Cefis, inquinando per l’appunto all’occorrenza le proprie fonti in modi differenti. Il saggio di 20 corpose pagine è all’interno del volume Yes, credibility. La precaria credibilità del sistema dei media, terza e conclusiva tappa della ricerca sulle professioni dei comunicatori, iniziata tre anni fa alla LUISS «Guido Carli», con Paolo Scandaletti e il compianto preside di Facoltà, Massimo Baldini. Vieri Poggiali, con l’arguzia e l’ironica leggerezza che da sempre lo caratterizzano, racconta in che modo, nel nostro paese, i comunicatori inquinano le fonti primarie dell’informazione. Vengono evidenziate le conseguenti, enormi responsabilità della comunicazione e dell’informazione, tanto protesa al sensazionalismo e all’esasperata ricerca dell’attenzione. In questo saggio si chiamano per nome e cognome i fatti creati ad arte e gli inquinatori professionali di aziende, sindacati, partiti e gruppi di pressione. Fino ad arrivare al caso emblematico di Parmalat dove si agitano tutti gli elementi ora citati nell’attuazione della più cinica strategia di disinformazione, a danno dei clienti-cittadini risparmiatori. È necessario e urgente, quindi, che informazione e comunicazione ritrovino la loro legittimazione e la loro credibilità, mai come oggi tanto precaria e in discesa. Il volume Yes, credibility affronta da più punti di vista il tema della credibilità e dell’autorevolezza del sistema dei media. Nella prima parte del volume, con i saggi di Guido Gili, Michele Sorice, Emiliana De Blasio, Andrea Andrei e Paolo Peverini, viene approfondita la cornice teorica, analizzando quantitativamente e qualitativamente specifi- 116 IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 ci segmenti del pubblico fruitore della comunicazione. Nella seconda parte, invece, si mette mano alle responsabilità dei comunicatori indagando e comparando ruoli e professioni. La società civile richiede alle imprese una piena e completa assunzione di responsabilità sulle conseguenze delle proprie azioni, e ai comunicatori un impegno nella trasparenza degli interessi rappresentati. Tra comunicatori e giornalisti vi sono ruoli distinti e possibili collaborazioni, ma anche conflitti d’interesse divergenti. E per di più i due ruoli professionali si conoscono e distinguono ancora poco. Sabrina Speranza conduce un’indagine approfondita e aggiornata sul sistema dei media in generale, prendendo in considerazione le ricerche su TV, radio, editoria e pubblicità. Il panorama internazionale è invece approfondito da Rosa Maria Serrao. Il suo saggio sottolinea come la crisi dei gruppi editoriali sia dovuta, da un lato alla crisi generale del mercato, e dall’altro alla perdita di fiducia da parte dei lettori-utenti. Proprio per questo gli standard etico-deontologici sono ritenuti imperativi nella pratica giornalistica. Internet e citizen journalism possono aiutare, ma la vera differenza la fanno giornalisti colti, capaci e corretti. Furio Garbagnati, già presidente di Assorel, prende il toro per le corna esaminando le linee di tendenza delle relazioni pubbliche. Queste possono essere uno strumento di democrazia tanto quanto aumenterà la loro buona reputazione e la trasparenza nel rappresentare gli interessi di cui sono al servizio. Si riafferma, quindi, l’etica della professione e della responsabilità come punto di partenza dell’offerta formativa e nell’applicazione dei codici. A seguire il saggio di Mascia Ferri che prende in esame la riqualificazione dell’opinione pubblica. Oggi la notizia, prima compressa negli angusti spazi editoriali, trova nuovo respiro e vitalità dall’attivismo dei destinatari. Sta cambiando il modo di raccogliere e fruire delle notizie, cambiano e aumentano le conoscenze proprio nel processo di formazione ed espressione dell’opinione pubblica. In questo modo si favorisce anche la coscienza di chi fa informazione e comunicazione. Camilla Rumi torna poi a parlare delle lobby, che stentano a trovare un’adeguata regolamentazione nel nostro paese. Eppure l’attività di sostegno degli interessi privati leciti presso gli organi decisori è utile non solo ai proponenti direttamente interessati, ma anche ai rappresentanti delle istituzioni. Anche qui si reclamano un’appropriata formazione culturale e professionale e uno specifico codice deontologico, indispensabili, forse più che altrove, per la credibilità di questa raffinata attività di comunicazione verso le istituzioni. Gli organismi e le figure di garanzia nel rapporto tra media e cittadini-lettori, tanto ben funzionanti in molti paesi del mondo, ancora una volta in Italia vengono ignorati. Perché disturbano le presunte infallibilità e convenienze della parte fin qui più forte. In giro per il mondo, invece, gli editori hanno colto al balzo queste occasioni, trasformando i rischi in mezzi preziosi per verificare l’informazione, rimediare alle omissioni e agli errori e dare spazio alle opinioni. Garantire il lettore, dunque, visto non più come consumatore passivo da sfruttare, ma bensì come prezioso interlocutore. Press council e garante del lettore, molto sviluppati all’estero, non sono stati coltivati in Italia, a causa delle sorde resistenze del sistema dei media. I poteri forti mercanteggiano e premono, mentre quelli politici hanno scarsa tolleranza, decisi a orientare l’opinione pubblica. E i giornalisti sono troppo spesso arroccati a difendere organizzazioni e tutele ormai superate. Oggi in Italia il sistema dei media non è per il sistema paese, come sarebbe nella fisiologia di una moderna e compiuta democrazia. Possiamo augurarci un’adeguata presa di coscienza di queste gravi lacune e almeno un po’ di orgoglioso riscatto? Stefania Di Mico C. YANNARAS, ONTOLOGIA DELLA RELAZIONE, Città Aperta, Enna 2010, pp. 171, € 20,00. 9788881374311 S e sul finire del secolo scorso, dopo una lunga stagione di pensiero che aveva a più riprese decretato la fine della metafisica come un inconfutabile dato di fatto storico-filosofico, l’ontologia sembrava essere una disciplina ormai senza futuro, all’inizio del terzo millennio essa sembra conoscere una vera e propria rinascita che investe i più diversi ambiti disciplinari. In questo contesto s’inserisce anche la pubblicazione, a cura di Basilio Petrà, del saggio di Christos Yannaras, filosofo greco poco noto al pubblico italiano, che propone una riflessione sistematica sui concetti, apparentemente antitetici, di ontologia e relazione. Nel titolo ambizioso di Ontologia della relazione XXXVIII REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.51 Pagina sono infatti contenuti a un tempo il progetto e la posta in gioco su cui esso si regge, attraverso l’uso di un genitivo insieme oggettivo e soggettivo: non si tratta solo di un’indagine sulla relazione come «modalità dell’essere» e sulle sue strutture formali, ma di un tentativo di mettere in luce il suo statuto ontologico. Yannaras conduce il lettore sulla strada di un superamento della metafisica, ma non di una sua distruzione: la sua ontologia della relazione non si pone, infatti, in alternativa né come antagonista rispetto a un’ontologia della sostanza, ma piuttosto come un percorso di pensiero a essa complementare, così come complementari sono nell’uomo natura e libertà. Il punto in questione risiede nella domanda se «l’evento significato con la parola relazione (in alcune circostanze) può avere un contenuto ontologico». L’autore, criticando la visione individuocentrica della metafisica soggettivista, pone nell’evento relazionale il fondamento ontologico del soggetto. L’argomentazione, nella quale si riconosce una chiara impostazione personalista, vuole porre in luce una nuova figura della razionalità per la quale la verità non coincide con l’universale impersonale, ma con ciò che è condiviso. Non si tratta però di una professione di relativismo: la verità non appartiene all’individuo, ma può essere raggiunta «soltanto con l’esercizio delle relazioni secondo ragione». L’ipotesi di fondo del volume, e cioè che si possa parlare in senso proprio di un’ontologia della relazione, è convalidata dal riferimento incrociato alla teologia trinitaria e alla riflessione lacaniana: da un lato la semantica religiosa permette al linguaggio umano d’esprimere l’esperienza della relazione e l’affermazione giovannea che Dio è amore e permette di definire la relazione come spazio di autotrascendenza senza il quale il soggetto rimane schiacciato sul piano del determinismo naturale; dall’altro la psicologia clinica di Lacan attesta la presenza dell’alterità nella costituzione stessa della soggettività («il soggetto nasce al posto dell’Altro»). Dunque, secondo Yannaras, «il soggetto razionale oltrepassa la natura senza togliere la realtà della natura» proprio perché la relazione si differenzia esistenzialmente dalla natura, costituendo un differente modo di esistenza. A partire da questa ontologia fondamentale, viene poi sviluppata una riflessione sulla bellezza come chiamata alla relazione e sul male come mancanza qualitativa di relazione, per concludere con una reinterpretazione relazionale del tema dell’esistenza dopo la morte. Una sintesi interessante e ricca di spunti di motivi filosofici di area personalista con una stimolante parentesi ecclesiologica. Riccardo Castagnetti XXXIX 117 E. BERSELLI, L’ECONOMIA GIUSTA, Einaudi, Torino 2010, pp. 100, € 10,00. 9788806204396 N ell’ambito della crisi economica e finanziaria le osservazioni tecniche e puntuali degli economisti, come Paolo Onofri («Sul rallentamento della crescita mondiale nel 2011 il consenso sembra ora molto diffuso»; cf. Regno-att. 20,2010,657), sono accompagnate da considerazioni di più lunga scadenza, aperte all’aspetto politico, morale e culturale. È il caso del volume postumo di Edmondo Berselli L’economia giusta, in cui si affronta il prevedibile impoverimento delle società occidentali e, fra queste, di quella italiana. «La scelta è fra essere poveri nella consapevolezza della propria condizione storica, da un lato, e, dall’altro, essere poveri nell’assoluta inconsapevolezza di ciò che è avvenuto, nella sorpresa dell’indicibile, e quindi soggetti a tutte le frustrazioni possibili». «Dovremo adattarci ad avere meno risorse. Meno soldi in tasca. Essere più poveri. Ecco la parola maledetta: povertà. Se il mondo occidentale andrà più piano, anche noi tutti dovremo rallentare. Proviamoci con un po’ di storia alle spalle, con un po’ d’intelligenza e d’umanità davanti» (98s). Il fallimento del neoliberismo, del monetarismo, del turbocapitalismo è ormai davanti a tutti. Ma, dietro di sé non ha lasciato «una nozione generale e coerente in grado di sostituirlo» (28), cosicché permette alle forze neoconservatrici della destra di ottenere il consenso a una politica della paura e dell’affabulazione. Al fallimento dei regimi comunisti s’accompagna la crisi del socialismo europeo, pur erede di scelte coraggiose come quelle compiute dalla socialdemocrazia tedesca nel 1959. La sinistra non sa riscattarsi da sentimenti comprensibili ma inefficaci come la rabbia e l’indignazione. Anche il tentativo del laburista Tony Blair si è risolto di fatto in un thatcherismo minore, nella subalternità all’ideologia economica della destra. Come uscire dall’impasse? Anzitutto con la consapevolezza della propria originalità storica che il volume riconosce in particolare nel modello economico «renano» (centro-europeo) e nella tradizione della dottrina sociale cattolica. L’economia sociale di mercato, la co-gestione della aziende, il ruolo non decisivo della finanza e l’intreccio virtuoso fra azionisti, dipendenti, banche, istituzioni e territorio hanno permesso al capitalismo europeo di assumere una propria configurazione e una propria efficacia. Il mercato non è lasciato a soggetti anonimi, alla «mano invisibile (…). È piuttosto una comunità civica aperta, retta da ordinamenti formalizzati, un bene pubblico fondato sulla realtà della persona, del diritto di proprietà, e di funzionamenti reali, di scambi e di transizioni, permeate dalla legge naturale e dalle leges sottoscritte dagli operatori» (69). Un funzionamento che ha permesso all’economia tedesca di contenere la disoccupazione e di avviare prima degli altri paesi europei la ripresa. Persona, sussidiarietà, bene comune, critica all’ideologia sono alcune delle tradizionali e fondamentali concezioni della dottrina sociale cristiana che il volume ricorda in molti passaggi. Particolarmente suggestiva viene riconosciuta la sussidiarietà non solo verticale (fra le istituzioni), ma anche orizzontale (fra i veri protagonisti locali, dalla famiglia all’azienda, dai gruppi di interesse a quelli di volontariato). Come anche la capacità d’indicare con largo anticipo i limiti dei processi economici imperanti. Come quando Giovanni Paolo II scriveva al n. 42 della Centesimus annus: «Ma se con capitalismo s’intende un sistema in cui la libertà nel settore dell’economia non è inquadrata in un solido contesto giuridico che la metta al servizio della libertà umana integrale e la consideri come una particolare dimensione di questa libertà, il cui centro è etico e religioso, allora la risposta è decisamente negativa» (EV 13/210; 18). Ma è soprattutto la difesa di una concezione della dignità umana che non si piega agli interessi immediati e anima dall’interno opzioni economiche come il capitalismo renano a rendere prezioso il patrimonio del magistero cattolico. Tradizione socialdemocratica, capitalismo renano, dottrina sociale: un patrimonio di fondamentale importanza che tuttavia viene sollecitato a produrre nuovi pensieri e nuovi valori. «Di fronte alla globalizzazione oggi occorrerebbero sintesi di impressionante potenza intellettuale; mentre c’è la sensazione che le idee siano troppo piccole e parziali per investire e controllare il tutto che ci domina» (44). Il profondo rinnovamento culturale richiede anche una nuova sintesi umanistica perché i fenomeni sociali potrebbero indurre persino un nuovo processo antropologico. Come a dire: più pensiero, più umanesimo, più trascendenza. Lorenzo Prezzi IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 117 REGATT 04-2011.qxd L 25/02/2011 15.51 Pagina ibri del mese / segnalazioni A. CARFORA, I CRISTIANI AL LEONE. I martiri cristiani nel contesto mediatico dei giochi gladiatorii, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2009, pp. 162, € 18,00. 9788861241084 I l cinema, le illustrazioni popolari dei romanzi ottocenteschi, la pittura hanno impresso nell’immaginario collettivo, in forme spesso storicamente fantasiose, l’immagine di torme di cristiani abbandonate nelle arene a leoni famelici. Un esempio per tutti può essere il quadro di Gerome, del 1883, L’ultima preghiera dei martiri cristiani nell’arena, che vorrebbe raffigurare la persecuzione neroniana. Ma tutta la scena, con un maestoso leone in primo piano che esce da una botola in un’arena già del tipo del Colosseo (inaugurato 16 anni dopo e senza il complesso sistema di sotterranei costruito in seguito), è in contrasto con le fonti storiche (Tacito) e mostra come l’autore si sia attenuto a una tradizione oleografica e agiografica che è quella che sostanzialmente ancora permane nella mente di tanti occasionali visitatori del Colosseo o di altre arene, anche di provincia, dove probabilmente, per il loro alto costo, leoni e pantere non ci sono mai stati, e i cristiani, se c’erano, erano ridotti a gruppetti isolati e nascosti. Se cerchiamo di restituire concretezza storica al martirio cristiano nel contesto delle arene, ci rendiamo conto che in apparenza non molti sono i testi cristiani affidabili che ci restano mentre ricca è la documentazione, letteraria e archeologica, sulla gladiatura che può aiutarci a capire il significato delle esecuzioni di cristiani in quel contesto. E rileggendo in profondità i testi cristiani alla luce delle nostre conoscenze su questa cruenta forma di spettacolo del mondo romano, il martirio cristiano può assumere nuovi significati e nuove sfumature. È quanto ha cercato di fare Anna Carfora in questo saggio nel complesso lucido e organico, in cui una larga informazione sul mondo degli spettacoli gladiatorii si unisce felicemente a una conoscenza critica approfondita degli scritti cristiani. L’autrice si occupa da tempo del martirio cristiano e la sua ricerca ha già avuto esito in due contributi: Morte e presente nelle Meditazioni di Marco Aurelio e negli Atti dei martiri con- 118 118 IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 temporanei (Napoli 2001) e La Passione di Perpetua e Felicita. Donne e martirio nel cristianesimo delle origini (Palermo 2007), un denso saggio su uno dei testi martirologici più articolati e stimolanti, seguito da una scorrevole versione italiana della Passio. Il nucleo dell’analisi è di tipo comunicativo: «Se i giochi, e le esecuzioni all’interno di esse, non sono puro divertimento come la storiografia ha ormai diffusamente mostrato, allora si può parlare di un complesso paradigma dei giochi gladiatorii, nel quali i cristiani condannati a morte vengono inseriti e devono giocare un ruolo. Rispetto a questo paradigma, però, i martiri prendono, per così dire, una loro posizione. Non si limitano ad assumere su di sé un ruolo che viene loro assegnato, ma interagiscono con il paradigma introducendo in esso elementi di sovvertimento e ciò avviene secondo categorie e modalità di impatto mediatico» (70). Le conclusioni a cui giunge l’autrice sono interessanti: i cristiani si appropriano di moduli comunicativi dei giochi e ne sovvertono il senso. «Se si considera la questione sotto il profilo della ritualità che si attua nei giochi, il comportamento dei martiri che fa dell’umiliazione corporale il trionfo della corporeità spacca la ritualità stessa introducendo il dissenso, laddove “i rituali semplicemente funzionano per promuovere la solidarietà sociale. Non si concede spazio al conflitto e al dissenso” (Price)» (123). Ma il discorso, su questi stimoli, poteva essere spinto anche più avanti: il martirio cristiano è anche un’opera di mediazione culturale condotta da uomini di diversa estrazione sociale e intellettuale. I cristiani erano parte integrante di quella società da cui stavano imparando a distaccarsi in uno sforzo identitario che era tutto in divenire. Come i loro correligionari colti, i cosiddetti apologisti, proprio negli stessi decenni, cercavano di appropriarsi dei concetti della filosofia greca per rendere accessibili le loro verità ai pagani, così i condannati nell’arena utilizzavano gli stessi atteggiamenti che tante volte avevano visto o di cui avevano magari anche goduto per parlare ai loro concittadini in un linguaggio che non era quello della cultura ma del costume. Letto così, il martirio cristiano si rivela anche un altro aspetto del confronto tra cristiani e mondo circostante, al di là dei pronunciamenti intellettuali: gli spettacoli (ma non le condanne pubbliche a quanto risulta) erano già esplicitamente condannati, ma quando i cristiani scendevano nell’arena accettavano e ribaltavano quelle regole. Nell’ultimo capitolo l’autrice esamina le note testimonianze pagane di Epitteto, Luciano, Galeno, Marco Aurelio e Celso sulla morte cristiana ed è ovvio che ci si riferisce a una morte pubblica. La conclusione più immediata è che queste morti attiravano l’attenzione e ponevano problemi di natura filosofica e politica. Gli intellettuali pagani si chiedevano in fondo: perché vanno a morire così? Sulla base di quale motivazione teorica accettabile? E quali possono essere le conseguenze sullo stato di un tale atteggiamento (domanda specifica di Celso)? Viene confermato il valore eversivo della morte del martire e su questo piano siamo a una lettura sostanzialmente corrente. Le testimonianze pagane consentono all’autrice, dal suo punto di vista, di ribadire le linee portanti della sua analisi: i martiri sono la tipologia di cristiani forse meglio conosciuta dal cittadino romano e il loro comportamento nell’arena sovverte i correnti modelli di pensiero. Le loro virtù mostrate nell’arena anche attraverso il linguaggio del corpo rovesciano quelle tradizionali e fanno appello a facoltà diverse da quelle dell’uomo di cultura che privilegia la razionalità e l’austerità. Ma in un’epoca in cui il filosofo Peregrino, per un periodo anche cristiano, organizzava il suo spettacolare suicidio a Olimpia come coronamento della sua carriera, questo linguaggio era forse più efficace di quello dei filosofi. E Luciano che ne riporta con atteggiamento beffardo le vicende è, secondo l’autrice, l’autore pagano che forse meglio ha capito come la società stesse cambiando. Pur ridicolizzando i cristiani anche per la loro credenza nella risurrezione, è come se egli capisse che il mondo andava nel senso di tali follie. Le testimonianze pagane però poco ci spiegano come i cristiani andassero a morire, a parte parzialmente gli avverbi di Marco Aurelio; ci dicono piuttosto quali aporie le persone colte vedevano nella loro scelta, i punti deboli che scorgevano nella loro concezione della vita e della morte. Sotto questo aspetto esse non completano, ma contrastano il profilo del martire come l’autrice ha inteso delinearlo, non solo testimone di una spiritualità alternativa e di una passiva resistenza al supplizio, ma attivo interlocutore, anche nel momento supremo della morte, di una società nella quale era pienamente inserito e dalla quale tendeva a distaccarsi rielaborando i suoi stessi modelli. Forse un maggiore approfondimento di questo punto avrebbe giovato a un saggio stimolante che unisce un metodo rigoroso a una notevole capacità di informare in modo critico e contribuisce certamente a vedere un fenomeno come il martirio del II secolo con occhi meno moderni e nel reale contesto della sua epoca. Antonio Sena XL REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.51 Pagina 119 Santa Sede CINA d ialogare ancora Il rischio di tor nare «molto» indietro N Pechino, gennaio 2011. ella comunità cattolica cinese c’è smarrimento e paura per il futuro. L’atmosfera nei rapporti tra la Cina e la Santa Sede si è fatta pesante. È avvenuto in questi ultimi tempi quello che Roma paventava e alcuni a Pechino avevano tentato di evitare. I rapporti sono talmente deteriorati che qui circola persino la voce – non si sa da chi alimentata – che a Roma si stia pensando di ricorrere alla dichiarazione formale di scisma per quella parte della Chiesa cinese che non si sente e non opera in comunione con la Santa Sede. Di vero c’è che all’Amministrazione statale per gli affari religiosi non è piaciuto il comunicato che la Sala stampa della Santa Sede ha reso noto il 24 novembre 2010 in merito all’ordinazione episcopale a Chengde (Hebei) di Giuseppe Guo Jincai (cf. Regno-att. 22,2010,739). Le espressioni che hanno irritato maggiormente l’Amministrazione statale e, si dice, anche «più in alto», riguardano il punto 2 dove si afferma che «la Santa Sede si riserva di valutare approfonditamente l’accaduto, tra l’altro sotto il profilo della validità e per quanto riguarda la posizione canonica dei vescovi coinvolti». Al numero 3 il comunicato recita che in forza dell’ordinazione episcopale il rev.do Giuseppe Guo Jincai si trova «in una gravissima condizione canonica di fronte alla Chiesa in Cina e alla Chiesa universale, esponendosi anche alle pesanti sanzioni previste, in particolare, dal can. 1382 del Codice di diritto canoni- co». Al numero 4 dello stesso comunicato si dice espressamente che l’ordinazione episcopale del rev.do Giuseppe Guo Jincai mette i cattolici «in una condizione assai delicata e difficile, anche sotto il profilo canonico». Ci si avvia quindi verso la dichiarazione di uno scisma? È quello che si dice e si teme a Pechino ma non è facile capire da dove vengano le informazioni. Si parla con insistenza del «circolo» di Hong Kong e si tira indebitamente in campo il nuovo segretario della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, Savio Hon Tai-Fai, bravo docente di Teologia, un salesiano tutto d’un pezzo, ma non identificabile nelle posizioni del card. Zen. L’immagine ufficiale diffusa in occasione dell’ordinazione episcopale di Giuseppe Guo Jincai. Scisma: non det to, non dicibile Di scisma della comunità cattolica in Cina si è già parlato in passato. L’aveva evocato addirittura Giovanni XXIII, il 12 gennaio 1959, scrivendo al card. Micara perché sollecitasse i fedeli a pregare per il «gravissimo pericolo di un funesto scisma». Il 17 maggio dello stesso anno papa Roncalli riprese la parola «scisma» in un discorso ufficiale ma il 26 febbraio 1960, ricevendo in udienza privata mons. Carlo Van Melckebeke, già vescovo di Ningsia (Mongolia interiore) e dal 1953 visitatore apostolico per i cinesi all’estero, si sentì dire che «in Cina non c’è alcuno scisma». Il prelato si lamentò con il papa che i vescovi cinesi non avessero mai avuto la possibilità di spiegare al Vaticano la loro posizione e chiese con fermezza al papa che la parola «scisma» non venisse più usata nel caso in cui il Vaticano avesse dovuto disapprovare qualche dichiarazione o «atto» dei vescovi cinesi. Giovanni XXIII capì e lo promise. Dopo la pubblicazione della Lettera alla Chiesa cattolica nella Repubblica popolare cinese (cf. Regno-doc. 13,2007,385ss), da parte del governo di Pechino si insisterebbe, secondo alcune fonti, affinché in Vaticano fosse ricevuta una personalità di alto rango per spiegare ai vertici della Segreteria di stato i punti di disaccordo. La Santa Sede – si precisa da Pechino – ha sempre dato una risposta tiepida a questo invito. Nei vertici diplomatici vaticani è sembrata progressivamente prevalere la posizione intransigente. IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 119 REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.51 Pagina Sopra, Liu Bainian; sotto Ma Yinglin. Di conseguenza, si sono induriti i giudizi del governo cinese sui massimi rappresentanti della Segreteria di stato. Frutto di un clima surriscaldato e apparentemente senza via d’uscita. L’Amministrazione statale per gli affari religiosi, e in generale le autorità governative e di partito, non accettano che si dica e si scriva sui mass media che l’Assemblea dei cattolici cinesi (cf. Regno-att. 22,2010,737; Regno-doc. 1,2011,6) sia stata manipolata dal regime e che gli eletti abbiano avuto i voti di persone costrette nella loro volontà (cf. Regno-att. 2,2011,22). Lo ritengono una grave offesa. Tuttavia l’Assemblea si è svolta secondo i canoni classici imposti dal regime e gli eletti ai vertici erano sulla carta da un bel po’ di tempo. Era ovvio che il vecchio Liu Bainian, vicepresidente «storico» dell’Associazione patriottica, stesse preparando da tempo la sua successione. E puntualmente è arrivata l’elezione di Ma Yinglin, vescovo illegittimo di Kunming, che la Santa Sede non intende legittimare. È noto che il vescovo Ma è persona sulla quale gravano giudizi pesanti e severi in ordine a vari aspetti della sua vi- 120 IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 120 ta e attività. Colpiscono la sua testardaggine, la sua ambizione, il suo risentimento nei confronti di Roma, che rasenta l’odio. È arrivato dove voleva arrivare e dove il vecchio Liu voleva che arrivasse per continuare la sua opera. È vero che, pur presiedendo e coordinando il Consiglio dei vescovi, dovrà sempre fare i conti con l’Associazione patriottica alla cui presidenza – con un gioco di incastri tipicamente cinese – è stato eletto un vescovo legittimo, riconosciuto da Roma e dal governo, mons. John Fang Xingyao della diocesi di Linyi. Chi conosce il vescovo Ma dubita che egli si sottometterà facilmente al presidente dell’Associazione patriottica, dove peraltro l’astuto Liu Bainian ha collocato fidati e ossequiosi funzionari dipendenti dall’Amministrazione statale per gli affari religiosi. Lo stesso Liu non è certo uscito di scena e difficilmente si comporterà da semplice «presidente onorario». Conosce troppo bene la struttura del Partito comunista cinese. Negli ambienti vicini all’Amministrazione statale per gli affari religiosi si ritiene non veritiero quanto affermato nel punto 6 del comunicato della Sala stampa vaticana, là dove si afferma, ricordando la Lettera del papa, che la Santa Sede ha espresso disponibilità a un «dialogo rispettoso e costruttivo» con le autorità cinesi. Lo proverebbe la mancata risposta alla proposta di incontri di alto livello. Il richiamo che lo stesso testo fa alla normalizzazione dei rapporti tra la Santa Sede e le autorità cinesi diventa poi un grave punto di tensione nel partito come negli organismi che presiedono la vita ecclesiale. Il Consiglio dei vescovi diretto da Ma, ad esempio, non vorrebbe che tra Santa Sede e Cina si giungesse a rapporti diplomatici normali e stabili perché lo stesso Ma verrebbe scavalcato e perderebbe il suo peso. Infatti, i rapporti sarebbero gestiti direttamente dal governo e da un rappresentante del papa (come succede da qualche tempo in Vietnam) e Ma finirebbe ai margini delle decisioni. All’interno dell’Associazione patriottica, invece, benché diretta da un vescovo legittimo, le tensioni sorgerebbero perché sono in gioco grandi interessi e privilegi. Si sa che l’Associazione gestisce un patrimonio di notevole redditività. In questi ambienti la figura in assoluto più detestata è il card. Joseph Zen Ze-kiun (vescovo emerito di Hong Kong); il suo modo irruento e offensivo di intervenire non solo sconcerta, ma irrita. E l’accusa che si muove alla diplomazia pontificia è di aver ceduto alla linea di Zen. U n te m p o difficile e prezioso Sul versante decisivo della politica va notato che il presidente Hu Jintao non potrà più essere rieletto ed è già partita la corsa alla successione. Sarebbe questo un periodo a un tempo difficile e prezioso per riprendere i contatti, perché Jintao potrebbe essere ancora interessato a giungere ad alcuni accordi. Una cosa è certa: l’attuale impasse non fa che acuire le tensioni. Un diplomatico, che di cose cinesi se ne intende, commentando un titolo de Il Regno sulla questione cinese: «Si torna indietro» (Regno-att. 22,2010,737), ha aggiunto: «Si torna molto indietro». Il dialogo o riparte subito, o ci vorrà molto, molto tempo; la questione religiosa, e quella cattolica compresa, passeranno decisamente in secondo piano. Il dossier – osservano gli analisti – potrebbe finire in un cassetto e restarvi per anni. C’è un altro motivo che spinge a rilanciare il dialogo: sta venendo meno l’interesse della gente per la questione; un giovane prete «patriottico» la liquida così: «Perché preoccuparci della Santa Sede? Non comprende la Cina!». E non sembra un parere isolato. Lo sviluppo economico e i profondi cambiamenti nelle condizioni di vita, infatti, sono al momento più interessanti, per molti, dei temi religiosi. Che i cinesi siano pragmatici è risaputo. Che al loro pragmatismo si risponda con la minaccia di sanzioni canoniche finirebbe per essere un atto unilaterale. C’è chi sostiene che al loro pragmatismo politico si dovrebbe rispondere con un pragmatismo ecclesiale. Senza cedere né sui diritti religiosi, né sui diritti umani. Una strada non facile, ma che va trovata in tempi stretti. La pazienza del millenario e ritornante impero potrebbe travolgere la piccola comunità cattolica. Francesco Strazzari REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.51 Pagina 121 USA - Chiesa cattolica Nuova traduzione del Messale N on c’è pace per la nuova traduzione in lingua inglese del Messale, che la Chiesa cattolica negli Stati Uniti prevede di adottare la prima domenica di Avvento, il 27 novembre 2011. In una lettera indirizzata ai vescovi e pubblicata sul settimanale dei gesuiti America, il 14 febbraio scorso, il liturgista Anthony Ruff annunciava la sua intenzione di ritirarsi da qualsiasi iniziativa volta a diffondere il nuovo Messale: «Non posso promuovere la nuova traduzione del Messale in tutta sincerità. Sono sicuro che i vescovi vogliono una persona che possa porre il nuovo Messale in una luce positiva, e questo mi richiederebbe di dire cose che non penso (…); è stato un onore servire fino a poco tempo fa come presidente del Comitato per la musica della Commissione internazionale per la lingua inglese nella liturgia (International Commission on English in the Liturgy; ICEL) che ha preparato tutti i canti per il nuovo Messale. Ma la mia partecipazione a questo processo, come anche la mia valutazione del modo della Santa Sede di gestire lo scandalo, ha gradualmente aperto i miei occhi sui gravi problemi nella struttura di autorità della Chiesa (…). Se penso alla segretezza che ha avvolto i lavori, a quanto poco sono stati consultati i sacerdoti e i laici, a come la Santa Sede ha consentito a un piccolo gruppo di prendere in ostaggio la traduzione nelle sue fasi finali, alla qualità della traduzione nella sua stesura finale, a come essa sia stata imposta alle conferenze episcopali in violazione della loro legittima autorità di vescovi, a quanti inganni e danni ho visto perpetrati nel corso di questa procedura, e quando penso agli insegnamenti del Signore circa il servizio, l’amore e l’unità – mi viene da piangere».1 La presa di posizione di Ruff, monaco benedettino e docente di Liturgia e Canto gregoriano nell’importante centro liturgi- co dell’Università di Saint John (Collegeville, Minnesota), è solo la più recente nel corso degli ultimi anni. Lo «scandalo» a cui la lettera fa riferimento riguarda la gestione delle traduzioni dei testi liturgici nei paesi di lingua inglese da parte della Santa Sede, la storia del rapporto tra la ICEL e la Congregazione per il culto divino, e l’imposizione della nuova traduzione alla Chiesa americana da parte di Roma e del vertice della Conferenza episcopale. Un equilibrio delicato La Commissione ICEL (fondata dalle conferenze episcopali anglofone nel 1963 durante il Vaticano II) e la Congregazione per il culto divino riuscirono durante il periodo postconciliare a compensare le diverse sensibilità, specialmente rispetto alle questioni del «linguaggio inclusivo» e del «vernacolare sacrale» nella liturgia in lingua inglese (cf. Regno.att. 20,2004,344). L’equilibrio resse anche dopo la cesura del 1975, quando mons. Bugnini, uno dei massimi protagonisti della riforma liturgica del Concilio e segretario del Consilium ad exsequendam constitutionem de sacra liturgia (Consiglio per l’attuazione della costituzione sulla sacra liturgia), fu allontanato da Roma e «promosso» pro-nunzio a Teheran. Un primo elemento di rottura si ebbe tra il 1997 e il 1998, con la nomina del nuovo prefetto della Congregazione per il culto divino, card. Medina Estevez, e con l’arrivo di Francis George alla ICEL: l’appena promosso arcivescovo di Chicago, nuovo rappresentante americano presso la ICEL, sostenne le posizioni del card. Medina e rappresentò le istanze della Congregazione per il culto divino, mettendo sull’avviso la Commissione circa i cambiamenti desiderati da Roma. Ne risultò una riorganizzazione e un cambio di personale all’interno della ICEL.2 Al rigetto da parte di Roma del Salte- rio elaborato dalla ICEL nel 1997, seguì il rigetto della prima traduzione del Messale approvata dai vescovi delle conferenze episcopali anglofone nel 1998. L’istruzione della Congregazione per il culto divino Liturgiam authenticam (28.3.2001) inaugurava un nuovo canone per le traduzioni del Messale in lingua vernacolare, creando nuove linee-guida per i traduttori e in pratica prendendo il posto dell’istruzione Comme le prévoit, pubblicata il 25 gennaio 1969 dal Consilium ad exsequendam constitutionem de sacra liturgia.3 Nel luglio 2001 la Congregazione per il culto divino creava Vox clara, un comitato di vescovi anglofoni di varie parti del mondo, a cui passava la responsabilità della traduzione del Messale. All’interno della Chiesa americana è vivo da anni il dibattito tra quanti difendono la precedente traduzione e gli avvocati della nuova versione, per lungo tempo in fieri: anche perché i vescovi americani, e il card. George in particolare, hanno giocato un ruolo importante nella storia tormentata delle nuove traduzioni in lingua inglese. La partita, infatti, venne risolta nell’autunno del 2009 da un intervento diretto della curia romana e del card. George che, alla vigilia dell’Assemblea dei vescovi del novembre 2009 a Baltimora, scavalcarono il necessario consenso dell’episcopato e chiesero alla Conferenza episcopale di assumere la nuova traduzione, superando le norme del concilio Vaticano II (cf. Sacrosanctum Concilium, n. 36, 4; EV 1/64).4 Le coraggiose ma isolate obiezioni di mons. Trautman al colpo di mano vennero «sanate» a Baltimora da uno sbrigativo e plebiscitario voto dell’Assemblea dei vescovi che sanzionò il fatto compiuto, cioè la firma del card. George, all’insaputa della Conferenza episcopale, sul nuovo testo proveniente da Roma. Il plebiscito a favore del presidente della Conferenza fu accompagnato da inquietanti proposte avanzate da alcuni vescovi, come mons. Chaput (arcivescovo di Denver) che sollecitò la presidenza della Conferenza a studiare la possibilità di liberarsi con un artificio canonistico di tutto il quadro normativo previsto dalla costituzione del Vaticano II sulla liturgia. Critiche più di merito che di metodo La nuova traduzione inglese del Messale è stata presentata a papa Benedetto XVI il 28 aprile 2010. Ma è dall’Assemblea della Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti (USCCB) del novembre 2009 in IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 121 REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.51 Pagina 122 Ecuador Ve scov i poi che buona parte dei liturgisti americani cerca di rimettere in discussione il nuovo Messale: non tanto sulla base di considerazioni procedurali (per il precedente creato dal vulnus nei confronti dell’autorità della USCCB), quanto alla luce del risultato finale di quel vulnus, cioè la nuova traduzione.5 Tra i vari possibili esempi per valutare il nuovo testo, due sono particolarmente eloquenti: il cambiamento per tutte le preghiere eucaristiche da «for you and for all» («per voi e per tutti») a un più esclusivo «for you and for many» («per voi e per molti»; essendo il «for many» giustificato in maniera erronea come esatta traduzione del latino pro multis), e il cambiamento nella preghiera del Credo dalla locuzione «one in being with the Father» («uno nell’essere col Padre») all’aggettivo «consubstantial» («consustanziale», termine quanto mai difficile da comprendere per l’anglofono medio). Tali preoccupazioni sono state riprese dalla Conferenza dei liturgisti del North American Academy of Liturgy e dalla Catholic Academy of Liturgy, riunitesi a San Francisco dal 6 al 9 gennaio 2011. A pochi mesi dall’entrata in vigore della nuova traduzione, emergono due atteggiamenti tra i liturgisti americani: una minoranza, costituita da coloro che obiettano apertamente nella speranza di aprire un dibattito che vada oltre la sola questione liturgica; e la maggioranza silenziosa che, pur non nascondendo la preoccupazione per una traduzione giudicata inadeguata, tenta di limitare i danni e di preparare le proprie Chiese locali all’arrivo del nuovo Messale, ormai giudicato inevitabile. 20 febbraio 2011. Massimo Faggioli 1 A. RUFF, «An Open Letter to the US Catholic Bishops on the Forthcoming Missal», in America 14.2.2011 (reperibile sul sito web www.americamagazine.org). 2 Cf. J. WILKINS, «Lost in Translation. The Bishops, the Vatican & the English Liturgy», in Commonweal 2.12.2005; T. ROBERTS, «Cardinal George and the politics of liturgy» in National Catholic Reporter 18.11.2009. 3 Cf. J. BALDOVIN, Reforming the Liturgy. A Response to the Critics, Liturgical Press, Collegeville (Minnesota) 2008. 4 Cf. M. FAGGIOLI, «Andata e ritorno», in Regno-att. 16,2010,574s. 5 Cf. M. G. RYAN, «What If We Said, “Wait”?», in America 14.12.2009 e il gruppo omonimo www.whatifwejustsaidwait.org. Cf., di recente pubblicazione, P. ENDEAN, «Sense and sensitivities», in The Tablet 19.2.2011. 122 IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 Successione problematica C ome confermato nella recente visita apostolica (realizzata nel 2009 dall’arcivescovo di Petropolis, in Brasile, mons. Filippo Santoro, il cui esito non era mai stato reso noto; ndr), la visione pastorale da lei portata avanti non era sempre conforme all’esigenza pastorale della Chiesa. Per tale motivo il nuovo amministratore apostolico dovrà organizzare il vicariato e attuare tutto il lavoro pastorale in modo diverso». Sta in questo passaggio della lettera firmata dal card. Ivan Dias, prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, la radice delle tensioni create a fine ottobre dall’accettazione della rinuncia per limiti di età presentata nel 2008 da mons. Gonzalo Lopez Marañon, vescovo del vicariato apostolico di San Miguel de Sucumbios, nell’Amazzonia ecuadoriana. La Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, infatti, ha ordinato al carmelitano scalzo spagnolo naturalizzato ecuadoriano di abbandonare entro una settimana la circoscrizione ecclesiastica che serviva dal 1970 (raccomandandogli di «trasferirsi, se possibile, nel suo paese d’origine») per lasciare il posto al nuovo amministratore apostolico, p. Rafael Ibarguren, prete argentino della società di vita apostolica Virgo Flos Carmeli, ramo sacerdotale degli Araldi del Vangelo, un’associazione internazionale di fedeli di diritto pontificio cui ora è stata affidata la responsabilità del vicariato, dal 1937 attribuita ai carmelitani di Burgos. Al di là della forma della successione – definita «ingiusta e non dignitosa» da mons. Victor Corral, vescovo di Riobamba –, in gioco sembra esserci, come hanno ricordato gli operatori della pastorale, «il sogno della liberazione integrale di uomini e donne, a partire dai poveri, che negli ultimi quarant’ anni ha reso la nostra una Chiesa comunità ministeriale al servizio del Regno incarnata nei diversi popoli e nelle diverse culture». Nell’ultimo mezzo secolo, infatti, la regione nord-orientale dell’Ecuador, prima abitata solo da piccoli gruppi indigeni e isolata dal resto del paese, ha conosciuto una massiccia colonizzazione frutto dello sviluppo dell’industria petrolifera, con in testa la Texaco-Gulf, che ha provocato seri problemi ambientali e importanti conflitti agrari e sindacali; questa zona di frontiera ha inoltre patito i violenti strascichi del narcotraffico e degli scontri tra esercito e Forze armate rivoluzionarie della Colombia (FARC), con ripetuti sconfinamenti e migliaia di sfollati da oltreconfine. In questo contesto, alla luce del concilio Vaticano II e delle Conferenze generali dell’episcopato latinoamericano, il vicariato si è andato strutturando a partire dall’opzione per i poveri, con la creazione di comunità ecclesiali di base, attraverso la lettura popolare della Bibbia, la rivitalizzazione della liturgia e dei sacramenti, la valorizzazione della religiosità popolare e la formazione di nuovi ministeri laicali. Con una pastorale fondata sull’evangelizzazione e l’azione sociale (attraverso la promozione di organizzazioni di donne, indigeni, neri e contadini, la creazione di scuole e presidi sanitari, la difesa dei diritti umani e dell’ambiente, l’impulso a un’economia comunitaria autosufficiente, sostenibile e fondata sulla condivisione), la Chiesa di San Miguel de Sucumbios ha assunto un volto comunitario e partecipativo, basato sulla corresponsabilità tra laici, religiosi e clero, al fine di favorire «l’incontro personale e comunitario col Dio della vita». P. Ibarguren ha dichiarato di voler proseguire il lavoro del suo predecessore, ma gli Araldi del Vangelo hanno un orientamento tradizionalista e il loro fondatore, il brasiliano p. João Scognamiglio Clà Dias, è discepolo di Plinio Corrêa de Oliveira, leader della reazionaria Società brasiliana per la difesa di tradizione, famiglia e proprietà, sorta nel 1960 e sconfessata nel 1985 dalla Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile per «il suo carattere esoterico e il suo fanatismo religioso». A fine anno gli operatori della pastorale si sono lamentati di come i nuovi missionari «non paiano interessati a conoscere la realtà e il cammino della Chiesa locale, dimostrino inesperienza pastorale e atteggiamenti prepotenti, non rispettino l’iconografia locale, per esempio cambiando l’immagine della Madonna del Cigno con quella della Madonna di Fatima, trascurino le urgenze pastorali delle zone più lontane limitandosi a occupare le parrocchie urbane, si interessino delle questioni amministrative ed economiche a scapito delle preoccupazioni sociali e pastorali, affermino la propria autorità svalutando le comunità e i loro animatori, rompano le relazioni di fraternità con le donne che si dedicano ai servizi pastorali, diano segni di misoginia, razzismo e discriminazione etnica». Mauro Castagnaro REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.51 Pagina 123 Messico Mons. Ruiz Ha vissuto il Vangelo U n uomo che ha vissuto integralmente il Vangelo». Così mons. José Raúl Vera López, vescovo di Saltillo, che gli fu coadiutore dal 1995 al 1999, venendo poi inaspettatamente nominato alla guida di una diocesi posta all’altro capo del paese, ha definito lapidariamente, nell’omelia per il suo funerale, mons. Samuel Ruiz Garcia, vescovo emerito di San Cristobal de Las Casas, nello stato messicano del Chiapas, morto lo scorso 24 gennaio a 86 anni. A riassumerne il profilo è stata suor Socorro Martinez, religiosa del Sacro Cuore di Gesù e componente del Servizio di articolazione continentale delle comunità ecclesiali di base, indicandolo come «paladino dei popoli indigeni, difensore dei rifugiati guatemaltechi, pastore di una diocesi fedele ai poveri». Ma il commento più poetico è stato naturalmente quello di mons. Pedro Casaldáliga Plá, vescovo emerito di São Félix do Araguaja, in Brasile: «Il camminatore (letteralmente el caminante, com’è intitolata la biografia a lui dedicata dal giornalista Carlos Fazio, per quel suo instancabile andare su e giù per le montagne a visitare le comunità; ndr) vescovo del Chiapas è giunto al Grande villaggio nella pace e da lì continuerà a essere, ora con piena libertà, vero profeta nella società e nella Chiesa, in mezzo ai popoli della nostra Amerindia. Adesso sì, definitivamente, vinte molte battaglie contro l’impero, l’idolatria, il razzismo, e nonostante il fondamentalismo ecclesiastico, ed essendo Chiesa nell’opzione per i poveri, solidale con tutte le cause dei diritti indigeni e di una Chiesa inculturata e liberatrice, con il coraggio e la serenità del Vangelo dei poveri». Come un altro dei «grandi padri della Chiesa latinoamericana», mons. Óscar Romero, arcivescovo di San Salvador, anche mons. Ruiz era un «vescovo convertito dal popolo», in questo caso quello delle diverse etnie che abitavano la diocesi alla cui guida, a soli 35 anni, Giovanni XXIII lo aveva chiamato nel 1959. Le sue proverbiali doti di umiltà e pazienza gli permisero l’incontro con le comunità autoctone, nel contesto del Vaticano II, cui partecipò con impegno, e del rinnovamento postconcilia- Mons. Samuel Ruiz Garcia re, quando capì la necessità di un’evangelizzazione che valorizzasse le culture originarie e promuovesse il risveglio della coscienza indigena. Tra i relatori alla II Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano, svoltasi a Medellín, in Colombia, nel 1968, fu eletto presidente del Dipartimento missione e spiritualità del Consiglio episcopale latinoamericano (CELAM), mentre in Chiapas, approfittando dell’incarico affidatogli dal governo locale di organizzare le celebrazioni del 4° centenario della nascita di Bartolomé de Las Casas, convocò nel 1974 il I Congresso indigeno, che per la prima volta dopo secoli vide protagoniste le etnie native, grazie alla partecipazione di 2.000 delegati eletti dalle comunità. La sempre più decisa promozione dei loro diritti gli valse il titolo di «vescovo degli indios», che lo chiamavano affettuosamente «tatic (padre in lingua tzotzil; ndr) Samuel», e numerosi riconoscimenti internazionali, compresa la candidatura al premio Nobel per la pace, ma anche l’ostilità dell’oligarchia meticcia locale, che contro di lui ordì diversi attentati, e dei governi nazionali, che minacciarono in più occasioni di arrestarlo. Negli anni Ottanta, poi, diede riparo nella sua diocesi per oltre un decennio a 50.000 rifugiati guatemaltechi, vittime della guerra civile, evitandone, insieme agli altri vescovi del Sud del Messico, il rimpatrio voluto dalle autorità. Parallelamente avviò, secondo le indicazioni del decreto conciliare Ad Gentes (cf. n. 6), la costruzione di una «Chiesa autoctona» con «radici, cuore e volto propri», come recita il piano pastorale diocesano, cioè con una cultura, una liturgia, una teologia e ministeri propri (oltre che «liberatrice, evangelizzatrice, animata da spirito di servizio, in comunione e sotto la guida dello Spirito»). Proprio per questo lavoro, culminato nell’ordinazione di centinaia di diaconi permanenti indigeni e nella richiesta, sempre respinta da Roma, di poter aprire il presbiterato a persone sposate, mons. Ruiz patì forti «incomprensioni ecclesiali», tanto che la Congregazione per i vescovi lo accusò di «gravi errori pastorali, dottrinali e di governo» e mons. Sergio Méndez Arceo, vescovo di Cuernavaca – considerato insieme a lui «il simbolo più profetico della Chiesa messicana del XX secolo» dal filosofo Enrique Dussel – diceva: «Noi uniamo l’episcopato messicano. Tutti sono contro di noi!». Di fronte all’ipotesi della sua rimozione, mons. Ruiz era stato però difeso da diversi confratelli, anche se, pure in occasione della sua morte, il card. Juan Sandoval Iñiguez, arcivescovo di Guadalajara, che lo aveva accusato di essere un seguace del «tipo di teologia della liberazione ispirata dal marxismo», lo ha definito un vescovo «controverso». La sua autorevolezza ne fece il naturale candidato, dopo l’insurrezione dell’Esercito zapatista di liberazione nazionale scoppiata il 1° gennaio 1994, a fungere da mediatore tra il governo messicano e la guerriglia; una mediazione che egli interpretò non come «neutralità ed equidistanza dalle parti», ma come ricerca di un’intesa a partire dalle «giuste rivendicazioni indigene», favorendo nel 1996 la firma di quegli accordi di San Andrés Larráinzar che avrebbero riconosciuto il carattere plurietnico del Messico se il Congresso federale non si fosse rifiutato di ratificarli. Per questo il Consiglio di presidenza della Conferenza dell’episcopato messicano lo ha ricordato come «instancabile promotore della pace e voce chiara della giustizia» e gli stessi zapatisti hanno rotto un silenzio di due anni per onorarne la memoria, seguiti da un altro gruppo armato di estrema sinistra, l’Esercito popolare rivoluzionario, che ne ha riconosciuto l’opera svolta dal 2008 come mediatore col governo per far luce sulla scomparsa di due propri dirigenti. M. C. IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 123 REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 d 15.51 Pagina 124 d iario ecumenico GENNAIO Inghilterra – Primo ordinariato per ex anglicani. L’ordinariato personale di Nostra Signora di Walsingham, l’inedita istituzione «per i gruppi di anglicani e il loro pastori che desiderano entrare in piena comunione con la Chiesa cattolica», viene eretto nel territorio della Conferenza dei vescovi cattolici d’Inghilterra e Galles il 15 gennaio 2011 con decreto della Congregazione per la dottrina della fede. Cf. Regno-doc. 3,2011,117 e qui a p. 125. 124 scono in sessione straordinaria comune per decidere sulla definizione dei ministeri, sul nome della futura Chiesa unita e sul quadro giuridico della nuova istituzione. I testi approvati saranno sottoposti agli organismi decisionali delle due Chiese che si riuniranno rispettivamente in maggio e in giugno. Nel frattempo una ricerca commissionata dalla Federazione protestante di Francia e pubblicata dalla rivista Riforma il 21 gennaio rivela che la famiglia del protestantesimo francese è oggi composta da due rami ben distinti: quello luterano-riformato tuttora maggioritario (56%) e quello evangelicale, più recente e in costante aumento, al 30%. Francia – Unione tra riformati e luterani. Prosegue speditamente il processo di unione anche nelle strutture istituzionali tra le Chiese evangeliche di tradizione luterana e quelle che s’ispirano all’insegnamento di Calvino in Francia (la Concordia di Leuenberg già dal 1973 afferma la «piena comunione», cioè la comunione di pulpito e altare). Il 15 e il 16 gennaio i sinodi della Chiesa evangelica luterana di Francia e della Chiesa riformata di Francia si riuni- Esercito della salvezza. Il nuovo generale dell’Esercito della salvezza, movimento nato nel 1985 per «la promozione della religione cristiana (…), dell’educazione, del sollievo della povertà e altri obiettivi caritatevoli utili alla società o all’umanità nel suo insieme», è Linda Bond, 64 anni, canadese, terza donna a ricoprire l’incarico. Viene eletta il 21 gennaio dall’Alto consiglio a Sunbury-onThames (Gran Bretagna). Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. «Uniti nell’insegnamento degli apostoli, nella comunione, nello spezzare il pane, nella preghiera» (At 2,42) è quest’anno il riferimento biblico della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (18-25 gennaio), promossa annualmente dal Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani e dalla commissione Fede e costituzione del Consiglio ecumenico delle Chiese. Viene scelto dalle Chiese di Gerusalemme, che elaborano anche i testi di riflessione e le preghiere che accompagnano la Settimana sottolineando «il richiamo alle origini della prima Chiesa di Gerusalemme, che ispira al rinnovamento e al ritorno all’essenza della fede», una «chiamata a rivivere il tempo in cui la Chiesa era ancora unita». Durante la Settimana hanno luogo eventi significativi dal punto di vista ecumenico. Una nutrita delegazione della Chiesa evangelica luterana unita in Germania (VELKD), guidata dal vescovo Johannes Friedrich, il 22 gennaio pianta nel giardino della basilica di San Marco a Milano – dove secondo la tradizione Lutero soggiornò nel suo viaggio verso Roma nel 1510 – uno degli «alberi di Lutero», che si richiamano all’iniziativa paesaggistica ed ecumenica del «Giardino di Lutero» avviata nel 2009 a Wittenberg dalla Federazione luterana mondiale (cf. Regno-att. 22,2009,775). Un altro albero viene piantato a Roma durante una cerimonia ecumenica il 23 presso il Convento dei benedettini di San Paolo fuori le Mura. Il 24 la delegazione è ricevuta da Benedetto XVI, il quale afferma che «l’obbligo della Chiesa cattolica verso l’ecumenismo non è una strategia comunicativa in un mondo che cambia, bensì un impegno fondamentale della Chiesa che scaturisce dalla sua missione». «Condivido – afferma – la preoccupazione di molti cristiani, secondo cui i frutti del lavoro ecumenico, soprattutto in termini di comprensione della Chiesa, non vengono ancora recepiti in misura sufficiente dagli interlocutori ecumenici», e tuttavia «abbiamo fiducia nel fatto che, guidato dallo Spirito Santo, il dialogo ecumenico, in qualità di strumento importante nella vita della Chiesa, possa servire a superare questa contraddizione (…) tramite il dialogo teologico che deve contribuire alla comprensione nelle questioni aperte che rappresentano un ostacolo al cammino verso l’unità visibile e verso la celebrazione comune dell’eucaristia quale sacramento dell’unità tra i cristiani». Tullia Zevi e Maria Sbaffi Girardet. A poche ore di distanza l’una dall’altra, rispettivamente il 22 e il 24 gennaio, si spengono a Roma due figure storiche tra le minoranze religiose italiane: Tullia Zevi (92 anni) e Maria Sbaffi Girardet (84 anni). La prima, giornalista, fu la prima presidente donna dell’Unione delle comunità ebraiche italiane (UCEI), rappresentò l’anima laica dell’ebraismo del nostro paese e firmò nel 1987 l’Intesa che regola i rapporti tra l’UCEI e la Repubblica Italiana. Maria Sbaffi Girardet, metodista e moglie del pastore valdese Giorgio Girardet, svolse numerosi incarichi nell’Unione delle Chiese metodiste e valdesi e nella Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, e come presidente della Commissione sinodale per i matrimoni misti firmò nel 2000 insieme a mons. Alberto Ablondi il Testo applicativo sui matrimoni misti tra cattolici e valdesi o metodisti (cf. Regno-doc. 3,2001,108). IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 Comunione anglicana – Vertice dei primati. L’incontro dei primati (i «leader» delle 38 province) della Comunione anglicana che si svolge a Dublino dal 25 al 30 gennaio e che costituisce uno degli «strumenti di unità» delle Chiese anglicane, è pesantemente condizionato dall’assenza di sette vescovi per dissenso «sui recenti sviluppi in seno alla Chiesa episcopaliana» (ordinazione di vescovi omosessuali pubblicamente impegnati in relazioni stabili e benedizione di unioni omosessuali). I vescovi dissenzienti sono: Gerald James (Ian) Ernest (Oceano indiano), Mouneer Hanna Anis (Gerusalemme), Nicholas Dikeriehi Okoh (Nigeria), Henry Luke Orombi (Uganda), John Chew (Asia sudorientale), Hector Zavala (Cono Sud), Justice Ofei Akrofi (Africa occidentale). L’incontro ha come tema principale quello del primato del vescovo, su cui viene approvato un documento e stabilito di istituire un comitato permanente di coordinamento. Ma la proliferazione di luoghi di dialogo e la rassicurazione dei sette primati di sentirsi ancora parte della Comunione non riescono a nascondere l’impressione di un progressivo franamento dell’anglicanesimo. Germania – Evangelici e cattolici sul biotestamento. La Chiesa evangelica in Germania (EKD) e la Conferenza dei vescovi tedeschi (DBK) presentano il 26 gennaio a Colonia un documento congiunto e un formulario per permettere ai tedeschi che lo desiderano di lasciare il proprio «testamento biologico», dopo che le precedenti versioni (1999 e 2003; cf. Regno-doc. 19,1999,637) erano state superate dal mutato quadro legislativo. Daniela Sala a REGATT 04-2011.qxd a 25/02/2011 15.51 Pagina 125 agenda vaticana GENNAIO Papa annuncia «Assisi 4». «In questo anno 2011 ricorrerà il 25° anniversario della Giornata mondiale di preghiera per la pace che il venerabile Giovanni Paolo II convocò ad Assisi nel 1986. Per questo, nel prossimo mese di ottobre, mi recherò pellegrino nella città di san Francesco, invitando a unirsi a questo cammino i fratelli cristiani delle diverse confessioni, gli esponenti delle tradizioni religiose del mondo e, idealmente, tutti gli uomini di buona volontà, allo scopo di fare memoria di quel gesto storico voluto dal mio predecessore e di rinnovare solennemente l’impegno dei credenti di ogni religione a vivere la propria fede religiosa come servizio per la causa della pace. Chi è in cammino verso Dio non può non trasmettere pace, chi costruisce pace non può non avvicinarsi a Dio»: così il papa all’Angelus del 1° gennaio. João Braz de Aviz e Franc Rodé. Il 4 gennaio il papa nomina prefetto della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica João Braz de Aviz, 62 anni, arcivescovo di Brasília, che prende il posto del card. Franc Rodé, sloveno, 76 anni. Pakistan. Parlando il 10 gennaio al corpo diplomatico il papa chiede al Pakistan di abrogare la legge sulla blasfemia: «Tra le norme che ledono il diritto delle persone alla libertà religiosa, una menzione particolare dev’essere fatta sulla legge contro la blasfemia in Pakistan: incoraggio di nuovo le autorità di quel paese a compiere gli sforzi necessari per abrogarla, tanto più che è evidente che essa serve da pretesto per provocare ingiustizie e violenze contro le minoranze religiose. Il tragico assassinio del governatore del Punjab mostra quanto sia urgente procedere in tal senso: la venerazione nei riguardi di Dio promuove la fraternità e l’amore, non l’odio e la divisione» (Regno-doc. 3,2011,67; Regno-att. 2,2011,5). Due lodi al governo italiano. Parlando il 10 gennaio al corpo diplomatico, il papa fa due riferimenti elogiativi al governo italiano per la questione del crocifisso nelle scuole e per la difesa dei cristiani dalle persecuzioni: «L’anno scorso, alcuni paesi europei si sono associati al ricorso del governo italiano nella ben nota causa concernente l’esposizione del crocifisso nei luoghi pubblici. Desidero esprimere la mia gratitudine alle autorità di queste nazioni» (si tratta di Albania, Armenia, Bulgaria, Cipro, Grecia, Lituania, Malta, Moldavia, Monaco, Romania, Russia, San Marino, Serbia, Ucraina); «apprezzo l’attenzione per i diritti dei più deboli e la lungimiranza politica di cui hanno dato prova alcuni paesi d’Europa negli ultimi giorni, domandando una risposta concertata dell’Unione Europea affinché i cristiani siano difesi nel Medio Oriente» (qui il riferimento è a Francia, Italia, Polonia e Ungheria che il 7 gennaio – su iniziativa italiana – hanno sottoscritto un promemoria inviato alla responsabile della politica estera europea, Catherine Ashton, affinché vengano prese «misure concrete» a difesa dei cristiani). Cf. Regno-doc. 3,2011,66s e in questo numero a p. 85. Egitto. L’11 gennaio un comunicato del direttore della Sala stampa vaticana informa che «la signora Lamia Aly Hamada Mekhemar, ambasciatore della Repubblica araba d’Egitto» è stata ricevuta dall’arcivescovo Dominique Mamberti, segretario per i rapporti con gli stati, essendo stata richiamata «per consultazioni» dal suo governo in reazione agli appelli papali del 2 e del 10 gennaio perché vengano protetti da violenze i cristiani dell’Egitto, appelli motivati dalla strage di Capodanno ad Alessandria d’Egitto che ha provocato 21 morti e decine di feriti tra i fedeli copti all’uscita dalla messa di mezzanotte. «Nel corso dell’incontro – si legge nel comunicato – l’ambasciatore (...) ha fatto presenti le preoccupazioni del suo governo nel difficile momento attuale, e ha potuto ricevere le informazioni e raccogliere gli elementi utili per riferire adeguatamente sui recenti interventi del santo padre, in particolare sulla libertà religiosa e sulla protezione dei cristiani nel Medio Oriente. Sottolineando che la Santa Sede partecipa all’emozione dell’intero popolo egiziano, colpito dall’attentato di Alessandria, mons. Mamberti ha assicurato che essa condivide pienamente la preoccupazione del governo di “evitare l’escalation dello scontro e delle tensioni per motivazioni religiose”, e apprezza gli sforzi che esso fa in tale direzione». Wojtyla beato. Il 14 gennaio viene annunciato il riconoscimento di un miracolo attribuito all’intercessione di Giovanni Paolo II e viene fissata la beatificazione per il 1° maggio 2011. Una nota della Congregazione delle cause dei santi informa che «la causa, per dispensa pontificia, iniziò prima che fossero trascorsi i cinque anni dalla morte del servo di Dio» ma «per il resto furono osservate integralmente le comuni disposizioni canoniche». Primo ordinariato «anglicano». «In data 15 gennaio 2011, la Congregazione per la dottrina della fede, a norma della costituzione apostolica Anglicanorum coetibus, ha eretto l’ordinariato personale di Nostra Signora di Walsingham nel territorio della Conferenza episcopale d’Inghilterra e Galles. Nel contempo, il santo padre ha nominato primo ordinario il rev. Keith Newton»: così un comunicato del 15 gennaio. Un altro comunicato con la stessa data informa sull’ordinazione a sacerdoti cattolici – nella cattedrale di Westminster a Londra – di «tre ex vescovi anglicani», tra i quali appunto Keith Newton, che è sposato e ha tre figli. Cf. Regno-doc. 3,2011,117. Werner Arber. Il 16 gennaio Benedetto XVI nomina il riformato svizzero Werner Arber – ottant’anni, professore emerito di Microbiologia all’Università di Basilea, premio Nobel per la medicina nel 1978 – presidente della Pontificia accademia delle scienze: incarico mai affidato in precedenza a un non cattolico. Nicora. Il 19 gennaio il card. Attilio Nicora viene nominato presidente dell’Autorità di informazione finanziaria (AIF), mantenendo l’incarico, che ricopre dal 2002, di presidente dell’Amministrazione del patrimonio della sede apostolica. La creazione dell’AIF era stata annunciata il 30 dicembre contestualmente alla pubblicazione delle nuove norme in materia finanziaria, promulgate in applicazione a una convenzione europea per la trasparenza bancaria e contro riciclaggio e terrorismo. Cf. Regno-doc. 3,2011,74. Tesi di Lutero sulle indulgenze. Parlando il 24 gennaio a una delegazione della Chiesa evangelica luterana tedesca, Benedetto XVI annuncia che cattolici e luterani intendono preparare lungo i prossimi anni una dichiarazione comune per i 500 anni delle Novantacinque tesi di Lutero riguardanti le indulgenze: «Oggi il dialogo ecumenico non può più essere scisso dalla realtà e dalla vita nella fede nelle nostre Chiese senza recare loro danno. Quindi volgiamo insieme il nostro sguardo all’anno 2017, che ci ricorda l’affissione delle tesi di Martin Lutero sulle indulgenze 500 anni fa. In quell’occasione luterani e cattolici avranno l’opportunità di celebrare in tutto il mondo una comune commemorazione ecumenica, di lottare a livello mondiale per le questioni fondamentali, non sotto forma di una celebrazione trionfalistica, ma con una professione comune della nostra fede». Luigi Accattoli IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 125 REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 16.09 Pagina 126 S studio del mese La Chiesa, Israele e le nazioni Destino singolare, elezione comune Sulla comprensione dei propri rapporti con Israele e dei rispettivi ruoli nella storia della salvezza, è come se la Chiesa fosse ancora all’anno zero, nonostante la svolta decisiva avviata dal concilio Vaticano II e i gesti compiuti dai pontefici successivi a esso. Eppure si tratta di una questione che non riguarda il dialogo interreligioso, bensì il cuore stesso dell’identità della Chiesa di Gesù, l’idea che essa ha di se stessa, dell’inculturazione della fede presso ogni uomo e la sua comprensione della salvezza. È solo partendo dalla Scrittura che le resistenze sinora manifestate dalla coscienza cristiana possono essere superate, e nello specifico dal «nodo teologico» della Lettera ai Romani di Paolo, un ebreo credente in Cristo, che nei capitoli dal 9 all’11 espone il «mistero» della sorte di Israele. «Questo riconoscimento del dono gratuito al quale Israele non cessa di invitare vieta qualsiasi chiusura dell’ecclesiologia: la Chiesa è irriducibile nel suo mistero; la Chiesa viene da oltre se stessa». 126 IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.51 Pagina 127 Indubbiamente il concilio Vaticano II segna una svolta decisiva, che non dovrebbe essere considerata una risposta contingente in seguito al dramma della Shoah che ha visto la compromissione di un numero eccessivo di cristiani, da una parte, e dall’altra ha permesso anche esperienze di avvicinamento.4 Si tratta di una riscoperta, se non di una scoperta, di ciò che è fin dalle origini al centro della fede cristiana. Il card. Walter Kasper commenta i documenti conciliari – tutti sanno quanto la loro genesi sia stata difficile – parlando di un nuovo inizio, «l’inizio di un nuovo inizio».5 Effettivamente il Concilio ha sbloccato una sorgente che – c’è di che stupirsi – aveva quasi smesso di zampillare nella storia della Chiesa. Siamo appena all’inizio della recezione del Concilio: certo, da una parte oggi molti esegeti e teologi sono al lavoro per precisare vari punti, cercando la strada fra le posizioni estreme; ma, dall’altra, bisogna riconoscere umilmente le resistenze intraecclesiali. Personalmente faccio sempre più l’esperienza di queste resistenze nei miei diversi incontri: dalla tentazione marcionita sempre rinascente nei paesi di prima evangeicut locutus est ad patres nostros, Abraham et lizzazione alle teologie ancora ampiamente tributarie semini eius in saecula». Dal cantico del Ma- della dottrina della sostituzione. Se non c’è un «insegnagnificat alla Preghiera eucaristica I, dalla Li- mento del disprezzo» (Jules Isaac), c’è almeno un’indiffeturgia delle ore all’eucaristia, la liturgia cat- renza certa. Se c’è un interesse per la tradizione del potolica orienta continuamente i nostri sguar- polo d’Israele, spesso è alimentato da una concezione di e i nostri cuori verso il popolo d’Israele, «archeologica», poiché si considera Israele solo il testidal quale noi abbiamo ricevuto tutto, per- mone del passato e non un attore attuale sulla scena delché da esso è uscito il Salvatore ed esso ce lo ha trasmes- la storia della salvezza. D’altra parte è sintomatico che le relazioni cristianoso. In questo contesto, l’origine dell’antisemitismo nella coscienza cristiana resta un’interrogazione… La sua sto- ebraiche siano spesso considerate solo dal punto di vista ria e l’analisi delle sue possibili radici sono oggetto di nu- del dialogo interreligioso (ad extra) – cosa evidentemenmerose ricerche:1 la storia delle dolorose tensioni fra la te lodevole e necessaria –, ma più raramente dal punto Chiesa e la Sinagoga nei primi secoli a partire da quello di vista ecclesiologico (ad intra): quali pellegrini si stupiche alcuni hanno chiamato lo scisma originario (Ur-schi- scono veramente di venerare, davanti alle tombe degli apostoli Pietro e Paolo, sm);2 la tendenza inerendue portatori ebrei della te all’esegesi patristica e promessa fatta a Israele? medievale a svalutare «Non solo tra i giudei, ma anche tra i pagani» (Rm 9,24) Ritornerò più avanti sull’Antico Testamento no«Allora tutto Israele sarà salvato» (Rm 11,26) le ragioni più profonde nostante la sua valoriz«Di Sion si dirà: “Ogni uomo vi è nato”» (Sal 86,5) di queste resistenze. zazione della storia;3 le «Un uomo aveva due figli…» (Lc 15,11) In questo contesto di deviazioni dell’Oremus resistenze della coscienza pro conversionem Iudeocristiana e di un compito rum ecc. Ci si può interrogare su certe letture della Lettera ai di elaborazione dottrinale ancora da assolvere – lo testimoRomani negli ultimi secoli, benché dottori come san nia la quasi totale assenza di riferimenti a testi della TradiTommaso abbiano aperto la strada a un’interpretazione zione nei documenti conciliari che trattano di questo – è equilibrata. Perché l’immagine dell’ulivo usata da Paolo più che mai importante ritornare alla parola di Dio, che è e citata dalla Lumen gentium al n. 6 non ha avuto un un fondamento permanente e una fonte di rinnovamento maggiore impatto sull’ecclesiologia? E cosa ancor più della teologia: qui più che altrove lo studio della sacra grave, perché la «messa da parte» dei «rami tagliati» ha Scrittura deve essere per la teologia come la sua anima.6 In questo campo è decisiva una ricerca esegetica ripotuto essere compresa come un rifiuto da parte di Dio della casa d’Israele e una sua sostituzione con la Chiesa? gorosa sulle relazioni fra i due Testamenti e sui principaCome si sono potute ignorare le parole stesse dell’apo- li passi biblici dei rapporti fra Israele e le nazioni. Al ristolo Paolo, vero israelita: «Dio ha forse ripudiato il suo guardo, la sezione costituita dai capitoli 9-11 della Letpopolo? Impossibile!» (Rm 11,1); «Essi hanno l’adozio- tera ai Romani costituisce indubbiamente «un nodo teone a figli, la gloria, le alleanze» (Rm 9,4); i rami tagliati logico». Riguardo a quest’ultimo corpus, oggetto di nurestano «amati secondo l’elezione» (Rm 11,29), perché merosi studi da alcuni decenni, appare la difficoltà di la parte d’Israele che è inciampata su Gesù Cristo (cf. praticare un’esegesi scientifica rigorosa non influenzata da precomprensioni. Rm 9,32) non ha inciampato per cadere (Rm 11,11)? S IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 127 S tudio del mese REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.51 Pagina 128 Si trat ta anche del mistero della Chiesa «Non voglio infatti che ignoriate, fratelli, questo mistero, perché non siate presuntuosi: l’ostinazione di una parte d’Israele è in atto fino a quando non saranno entrate tutte quante le genti. Allora tutto Israele sarà salvato…» (Rm 11,25). Questo «mistero» della sorte d’Israele che Paolo espone alla comunità cristiana di Roma, rivolgendosi in particolare ai cristiani provenienti dal paganesimo, è stato posto dal concilio Vaticano II in relazione con il mistero della Chiesa: «Scrutando il mistero della Chiesa, questo sacro Concilio ricorda il vincolo con cui il popolo del Nuovo Testamento è spiritualmente legato con la stirpe di Abramo (stirpe Abrahae)» (Nostra aetate, n. 4; EV 1/861). Conviene leggere questo passo della dichiarazione specialmente alla luce di Lumen gentium n. 9.7 Quindi un legame unisce il popolo del Nuovo Testamento con la «stirpe di Abramo». Nonostante la tentazione marcionita sempre rinascente, per ogni cristiano che apre le Scritture con il Cristo risorto (cf. Lc 24,27.44-45), c’è un legame imperdibile che unisce la Chiesa a Israele, perché l’origine della Chiesa è esclusivamente israelitica. Ma il riconoscimento di questa relazione di origine non basta, perché il legame che unisce la Chiesa alla «stirpe di Abramo» non riguarda solo il passato, le generazioni (toledot) che hanno condotto la storia di Abramo fino a Cristo (cf. genealogia in Mt 1), ma anche il presente e l’avvenire, le generazioni fra la venuta di Cristo e la parusia: «Si tratta delle relazioni esistenti nel passato e nel presente fra la Chiesa e il popolo ebraico».8 Questo legame è detto «spirituale» non perché sarebbe inconsistente o incoerente, ma proprio perché, iscritto nel disegno divino della salvezza, non è solo storico, bensì storico e spirituale al tempo stesso, indissolubilmente. Come dicevano i padri, «i`storika. pneumatikw/j» e «pneumatika. i`storikw/j»!9 C’è fra il popolo ebraico e la Chiesa di Cristo un legame «per così dire ontologicamente storico e tale da presiedere essenzialmente, oggi come al primo giorno e per l’eternità, alla costituzione stessa della Chiesa».10 In altri termini, e questa convinzione è rafforzata dalla lettura della Lettera ai Romani, la questione delle relazioni fra Israele e la Chiesa non è solo una questione di dialogo interreligioso – quand’anche si precisasse che la religione d’Israele occupa un posto unico fra tutte le religioni non cristiane –, ma è propriamente parlando una questione ecclesiologica, e occorre precisarlo, una questione ecclesiologica centrale. La Chiesa non può comprendere se stessa né dire in verità il suo mistero senza contemplare Israele, ieri, oggi e domani. Una cristologia che non lasci tutto il suo posto alla questione d’Israele può essere solo mancante. Israe le: un «popolo» singolare fra tut ti i «popoli» Senza poter troppo sviluppare la riflessione in questa sede, vorrei semplicemente notare che molte ambiguità, se non errori, derivano da una mancanza di rigore nell’utilizzazione implicitamente analogica di certi termini. 128 IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 Prenderò qui un esempio importante: il concetto di «popolo», che viene applicato a realtà diverse; così la Lumen gentium parla di «popolo d’Israele», di Chiesa «popolo di Dio» e di «popoli».11 Il primo significato ovvio del termine «popolo» indica le nazioni del mondo, intese come unità nazionali con delle caratteristiche fondamentali che sono lo stato, la lingua, la terra, la base etnica. Ora non si dice che il «popolo d’Israele» è un «popolo», come si dice che le «nazioni» sono «popoli». Indubbiamente, nella sua storia ha avuto un’esistenza analoga agli altri, ma dalla diaspora in poi la sua identità risulta di ordine unicamente religioso. E quest’identità religiosa è singolare: Israele non comprende solo ebrei credenti – ortodossi o liberali –, ma anche persone che non hanno più la fede e persino degli atei. In realtà, la definizione del popolo ebraico trascende i criteri etnico-nazionali abituali: il popolo ebraico è una comunità indissolubilmente etnico-nazionale e religiosa, la cui unità non è costituita da nessuno dei caratteri che costituiscono l’unità di una nazione o di una comunità di credenti.12 «Ciò che costituisce l’ebreo, nella sua essenza più misteriosa, ma più indelebile, sfuggendo a ogni determinazione della scienza, ma determinante tutta la sua realtà, è sempre l’elezione originaria, perché i doni e la vocazione di Dio sono senza pentimento»13 (cf. Rm 9,4-5; 11,29): essi sono «secondo la carne», «kata. sa,rka» (Rm 9,3) o ancora, inseparabilmente, «secondo l’elezione», «kata. th.n evklogh,n» (Rm 11,28). E quest’unità del popolo ebraico è certamente ferita – Paolo esprime la sofferenza e il desiderio di essere «separato» (cf. Rm 9,1-3) –, ma poiché è «kata. sa,rka», non è eliminata dallo «scandalo» e dalla «separazione» prodotti dalla venuta di Cristo.14 In ultima analisi, il paradosso del popolo ebraico è iscritto nella sua misteriosa vocazione: in quanto popolo «kata. sa,rka» non può diventare universale, ma può solo essere testimone del Dio unico e vero davanti alle nazioni. Quando si parla della Chiesa come «popolo di Dio» si usa il termine «popolo» secondo un terzo significato distinto dai primi due. Da una parte, la Chiesa in quanto riunione nell’unità dei figli di Dio dispersi (cf. Gv 11,52) accoglie in sé uomini di tutte le razze, lingue, popoli e nazioni (cf. Ap 5,9); dall’altra, l’ingresso nella Chiesa avviene in base a un’elezione (cf. Rm 8,29-30) che non è più «secondo la carne». Bisogna essere rigorosi quando in uno stesso discorso si parla di «popolo ebraico» e della Chiesa «popolo di Dio»: appena si dimentica il carattere analogico dell’uso del termine «popolo» si finisce in un vicolo cieco. D’altronde, conviene fare anche un cenno sulle formulazioni a volte maldestre in un contesto nel quale la teologia della sostituzione non è del tutto scomparsa. L’espressione «nuovo popolo di Dio» non è biblica, ma bisogna anzitutto riconoscere che essa si trova nella scia di espressioni bibliche e tradizionali («nuova alleanza», «nuova nascita», «nuova creazione», «uomo nuovo» ecc.), alla quale non si può rinunciare senza travisare l’essenza del cristianesimo; tuttavia, ascoltata in un ambiente nel quale la relazione paradossale fra la conti- REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.51 Pagina 129 nuità e la discontinuità, fra la promessa e il compimento è spesso ridotta a una pura e semplice dialettica – cioè a una sostituzione –, essa non è forse molto felice. Il «kata. sa,rka»-«kata. th.n evklogh,n» vieta scorciatoie del genere! «Israe le» e «la Chiesa»: di che cos a si parla? Percorrendo la Lettera ai Romani e nel successivo lavoro di elaborazione teologica bisogna essere estremamente precisi, perché la tentazione principale è quella di proiettare sul testo paolino la nostra situazione attuale, provocando dei cortocircuiti con gravi conseguenze: possiamo essere tentati di assimilare Israele all’Israele non credente (avvpisti,a, Rm 11,20.23; cf. 4,20), omettendo la parte credente; di conseguenza, possiamo essere tentati di assimilare la Chiesa alla Ecclesia ex gentibus. Anzitutto, parlando d’Israele, molti commentatori commettono l’errore di assimilare la totalità d’Israele all’Israele (temporaneamente) ostinato. È inutile ricordare qui le litanie del tipo: «Israele non ha riconosciuto il Cristo…», «Israele è stato tagliato…», «l’indurimento d’Israele» ecc. Di che cosa si parla veramente? Che cosa dice veramente la lettera della Scrittura? L’insieme della sezione Rm 9-11 è compreso in quella che si potrebbe chiamare una doppia inclusione, un’inclusione «simpatetica»15 fra Rm 9,4-5 («essi sono Israeliti e hanno l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione…») e Rm 11,29 («infatti i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili»), da una parte, e un’inclusione «antitetica» fra Rm 9,6 e Rm 11,26 dall’altra. Fra l’inizio e la fine della sezione, l’argomentazione progredisce e Paolo è attento a distinguere fra il tutto e la doppia componente d’Israele di fronte a Cristo: «Infatti non tutti i discendenti d’Israele sono Israele (ouv ga.r pa,ntej oi` evx VIsrah.l ou-toi VIsrah,l)»; da una parte c’è «un resto, secondo una scelta fatta per grazia (lei/m/ ma katVevklogh.n ca,ritoj)» (11,5); dall’altra c’è la grande maggioranza del popolo, che per il momento misconosce Cristo, che Paolo con speranza e delicatezza sembra ridurre unicamente ad «alcuni rami (tinej tw/n kla,dwn)» (Rm 11,17), cercando, del resto, di salvarne «alcuni» (tina.j evx auvtw/n)» (Rm 11,14). Se c’è un’«ostinazione d’Israele»,16 bisogna parlare di un’«ostinazione di una parte d’Israele (pw,rwsij avpo. me,rouj tw/| vIsrah,l)» (11,25). Solo alla fine si tornerà a parlare d’Israele come un tutto, l’Israele riconciliato e salvato: «Allora tutto Israele (pa/j vIsrah,l) sarà salvato» (11,26). Per non rischiare di elaborare una teologia perversa (o perfida?) del disegno di misericordia, bisogna fare attenzione a non prendere la parte per il tutto (pars pro toto)… proprio perché nella logica dell’elezione per grazia è attraverso la parte che Dio raggiunge misteriosamente il tutto: è attraverso Israele che Dio raggiunge le nazioni e, in Israele, attraverso le «primizie» l’«impasto», attraverso la «radice» i «rami» (11,17). In secondo luogo, correlativamente, vari teologi si sbagliano confondendo la Chiesa con quella che in Paolo non è che l’Ecclesia ex gentibus, distinta dall’Ecclesia ex circumcisione (cf. Rm 9,24: «Egli ha chiamato non solo fra i giudei, ma anche fra i pagani [ouv mo,non evx VIou- dai,wn avlla. kai. evx evqnw/n]»). L’immagine dell’innesto dell’olivo, non esplicitando la situazione dei giudei che sono diventati credenti e rimangono sulla radice santa, dà luogo a interpretazioni che rivelano una determinata concezione della Chiesa: applicando, ad esempio, l’immagine, senza presa di distanza critica, al legame fra la «Chiesa» e «Israele». Al riguardo, nella lettura della Lettera ai Romani, bisogna prestare attenzione al gioco dei pronomi: «miei fratelli…» (9,3), «fratelli» (10,1), «per loro» (10,2), «io sono» (11,1), «a voi, gentili, io dico» (11,13), «tu dirai certamente» (11,19), «fratelli» (11,25) ecc. Paolo si rivolge a volte all’insieme della comunità cristiana di Roma costituita con la sua doppia origine, a volte ai soli cristiani provenienti dal paganesimo tentati di gloriarsi – è, del resto, uno degli scopi della lettera! –; egli ricorda, di volta in volta, a questi diversi interlocutori la situazione dei pagani diventati cristiani, dei giudei increduli e dei giudei diventati credenti. Bisogna anche dire che, per non fare naufragio nell’esegesi della Lettera e nell’elaborazione teologica, bisogna tenere fisso lo sguardo sul faro luminoso che è lo stesso apostolo Paolo. Egli, «l’apostolo dei gentili» (11,13), era e resta, «kata. th.n evklogh,n», «Israelita, della discendenza di Abramo, della tribù di Beniamino» (11,1). Guardando Paolo, non possiamo ritenere che Dio abbia rigettato il suo popolo (Rm 11,1-2): «Impossibile! Dio non ha ripudiato il suo popolo, che egli ha scelto fin da principio». Guardando Paolo, non possiamo comprendere la Chiesa come Ecclesia gentium sostituita a un Israele rigettato. I pregiudizi sono radicati, ed è possibile incontrare considerazioni che fanno implicitamente di Paolo un cristiano – nel senso di un cristiano proveniente dal paganesimo! – che comincia con l’evangelizzare invano dei giudei prima di rivolgersi finalmente con successo ai pagani. Strana amnesia! Tragica confusione. Paolo è il testimone vivente del «resto» santo (11,5) d’Israele che reca l’annuncio del Vangelo del suo Messia fino ai confini della terra (in Spagna!). Chiesa «ex circumcisione» e d « ex ge n t i b u s » Insomma bisogna essere rigorosi nell’esegesi e nel discorso teologico, tenendo sempre ben presente, secondo gli attori e i momenti della storia della salvezza, la correlazione originale fra la Chiesa e Israele. L’evoluzione dei rapporti fra la Chiesa cattolica (Ecclesia ex circumcisione et ex gentibus) e Israele (intendo la parte temporaneamente ostinata secondo il disegno della sapienza divina), le perturbazioni legate all’incastro fra sfera politica e sfera religiosa inducono a considerare cristiani ed ebrei «come se si trattasse di due comunità, non necessariamente antagoniste, ma comunque ben definite e distinte, benché o perché dello stesso carattere».17 Qui si trova il limite di molte istituzioni di dialogo cristiano-ebraico,18 che tendono a rinchiudere le identità dei partner in cornici sbagliate perché separate. Qui tocchiamo il dramma del carattere estremamente minoritario degli ebrei credenti in Cristo in seno alla Chiesa. Come non interrogarsi in particolare sulla IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 129 S tudio del mese REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.51 Pagina 130 scomparsa della Chiesa di Gerusalemme nei primi secoli della Chiesa, specialmente sotto la pressione di Bisanzio, poi della conquista musulmana, causa di una delle principali perdite per la coscienza cristiana?19 Tutto sommato, conviene riflettere su quella che Michel Sales ha chiamato «la costituzione israelitica della Chiesa apostolica»:20 «C’è un implicito vissuto nella coscienza cristiana che, se non viene esplicitamente conosciuto, tematizzato e riconosciuto, rischia di occultare il contenuto necessariamente israelitico della coscienza cristiana in quanto tale. Quest’implicito vissuto della coscienza cristiana è la sua fede, ricevuta da Israele e condivisa con la fede dello stesso Israele, secondo cui il Salvatore del mondo sarebbe uscito da Israele e da nessun altro popolo».21 Senza rifare qui l’esposizione della storia della promessa e del suo compimento in Gesù, Cristo d’Israele e Figlio di Dio, basterà ricordare che il riconoscimento di Gesù come Messia poteva essere fatto all’inizio solo dal popolo della Promessa. È ai dodici apostoli scelti da Gesù e simboleggianti la pienezza d’Israele che la Chiesa deve la fede che professa e annuncia a tutte le nazioni. L’essenza della Chiesa è intimamente legata alla giudaità di Gesù, dei dodici apostoli e di Paolo, della vergine Maria e dei primi discepoli. Fin dalla prima generazione, gli apostoli istituirono come loro successori non solo dei figli d’Israele, ma anche dei goyim. Questo perché, una volta che il collegio apostolico israelitico aveva ricevuto la rivelazione del compimento delle promesse per Israele e per le nazioni, poco importava che questa rivelazione fatta a Israele e di cui Israele portava in sé la realtà salvifica fosse ricevuta, LA CHIESA E assimilata e trasmessa anche per bocca e per mano di goyim,… purché la comprendessero e trasmettessero fedelmente.22 Ciò che in definitiva fonda la legittimità di una successione apostolica comprendente anche non ebrei alla testa della Chiesa e al posto degli apostoli è anche ciò che autorizza oggi il più indegno dei goyim ad annunciare non solo agli altri goyim, ma anche ai membri del popolo eletto il Vangelo del compimento. «Agendo in questo modo, il goy non fa che trasmettere a Israele ciò che ha ricevuto, e di cui non ha potuto ricevere la comprensione così come la realtà che dallo stesso Israele, nella sua “fede cattolica venuta dagli apostoli”».23 Solo dopo aver posto queste basi si può affrontare la questione infinitamente delicata dell’articolazione fra la dimensione universale della salvezza in Cristo e la permanenza della missione d’Israele; in altri termini, la questione della missione della Chiesa nei riguardi della Circoncisione. Infatti non è una questione di poco conto interrogarsi sulla legittimità che potrebbe avere un successore degli apostoli di provenienza pagana per annunciare Cristo a un figlio di Abramo secondo la carne. Le controversie attorno all’ultima formulazione dell’Oremus et pro iudaeis lo hanno dimostrato. Indubbiamente un goy può annunciare il Vangelo allo stesso titolo di un vero figlio d’Israele venuto a Cristo, se si è lasciato raggiungere dalla carità e dalla speranza di Paolo nei riguardi dei suoi fratelli. E se apparentemente un goy può farlo, non può certamente farlo allo stesso modo di Paolo: nessun cristiano proveniente dal paganesimo può far proprio, con il verbo alla prima persona singolare, il discorso di Paolo nella Lettera ai Romani! ISRAELE Infedeltà e salvezza P er comprendere la Lettera ai Romani occorre far tesoro di un paradosso: un individuo si rivolge a una piccola comunità e mentre fa ciò il suo sguardo abbraccia il mondo intero. I destinatari erano di sicuro molto pochi se confrontati con l’enorme popolazione dell’Urbe imperiale. Li accomunava la fede in Cristo, ma non l’origine. Vi erano degli ebrei e vi erano sicuramente anche dei gentili che, prima di accogliere l’Evangelo, si erano già accostati all’ebraismo entrando a far parte della categoria nota come «timorati di Dio». Difficile sapere se ci fossero altre provenienze. Impossibile conoscere chi per primo abbia fatto giungere il «buon annuncio» a Roma. Rispetto a questa mancanza d’informazione, la capitale dell’Impero è accomunata a Damasco, Antiochia e Alessandria. Di certo non si trattò di uno dei Dodici e tanto meno di Paolo, che dichiara apertamente di rivolgersi a una comunità non fondata da lui. Il contenitore è piccolo, anzi minuscolo. Il mittente è un singolo che ha davanti a sé un manipolo di nomi propri (cf. Rm 16,115). In termini attuali, verrebbe qualificato come un movimento allo stato nascente. Eppure il discorso condotto da Paolo è immenso: in queste pagine sono messe all’ordine del giorno tutte le relazioni tra Dio, la creazione e la storia. In Romani si parla del- 130 IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 le origini, di un mondo diviso tra ebrei e gentili, del peccato che tutti ci accomuna, della redenzione dell’umanità e del cosmo, della legge, degli imperscrutabili pensieri di Dio rispetto a Israele, del potere civile e della sua legittimità e si finisce salutando Prisca, Aquila, Epèneto, Maria, Andrònico e Giunia… La difficoltà di elaborare una teologia a partire da quelle pagine non può prescindere da questa originaria sproporzione. Resta incontrovertibile che, nel corso della storia cristiana, alcune svolte capitali sono state sollecitate da una rilettura di Romani. Basti pensare alla Riforma. Ma forse il riferimento per noi ancora più evocativo è costituito dal commento di Karl Barth, elaborato a seguito del trauma costituito dalla Prima guerra mondiale. Dopo la Seconda (il cui centro non fu più costituito dalla «guerra civile europea» avvenuta tra nazioni cristiane), l’attenzione, a valle del baratro della Shoah, si è diretta da un lato alla relazione tra cristiani ed ebrei, e dall’altro agli abissi costituiti dalla degenerazione totalitaria degli stati. In ogni caso, da allora, il destino dell’«Europa cristiana» è strettamente legato, in una maniera o nell’altra, al modo in cui si valuta la presenza ebraica. La percezione di ciò, però, non fu immediata. Per dir- REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.51 Pagina 131 A l la l u ce d e l d e s t i n o d ’ I s rae le Nella storia totale della salvezza c’è certamente un’asimmetria, ma anche una sorta d’interiorità reciproca fra Israele e la Chiesa. Da una parte la Chiesa è interna a Israele, come compimento e universalizzazione della promessa; dall’altra, come ho ricordato, la situazione d’Israele in questa storia totale è interna all’atto di Cristo e di conseguenza interna al mistero della Chiesa. Perciò la contemplazione e meditazione del mistero d’Israele non può non chiarire l’intelligenza del mistero della Chiesa. Se in negativo senza dubbio molte resistenze alla recezione del Concilio vengono da resistenze a cambiamenti teologici e identitari che indurrebbero necessariamente un’autentica apertura a Israele,24 in positivo l’approfondimento teologico del mistero d’Israele può portare solo frutti per l’ecclesiologia. Si potrebbero riprendere qui le diverse note della Chiesa ed esaminare in che cosa il mistero d’Israele le chiarisca. La santità della Chiesa? Essa si decifra certamente in profondità anche alla luce della doppia situazione dei giudei e dei pagani di fronte alla giustificazione, come testimoniano specialmente i primi capitoli della Lettera ai Romani. L’apostolicità? L’ho già evocata sopra, ricordando la costituzione israelitica della Chiesa. L’unità? La Lettera di Paolo alla comunità cristiana di Roma offre una carta singolare! La cattolicità? Se è vero che «cattolico» significa etimologicamente «secondo la totalità», «kaqVo[lon»,25 allora, riprendendo le categorie fondamentali della storia della salvezza, la Chiesa non può essere compresa se non come riunione nell’unità sia degli ebrei sia dei pagani, Ecclesia ex circumcisione ed ex la con Nietzsche, fulmine e tuono hanno bisogno di tempo. È infatti solo a partire dagli anni Sessanta-Settanta che la Shoah ha cominciato a essere percepita sempre più come uno spartiacque capace di stabilire un prima e un dopo.1 Comunanza e al terità Dal punto di vista della riflessione teologica, il processo ha trovato il proprio culmine negli ultimi tre decenni del XX secolo. In larga misura, nel mondo cattolico, esso ha quindi coinciso con il pontificato di Giovanni Paolo II e, in particolare, con la preparazione e lo svolgimento del Grande giubileo del 2000. Dopo l’11 settembre 2001 anche in quest’ambito sembra che sia intervenuto un mutamento. Esso ha condotto a prospettare una crescente identificazione della tradizione «giudaico-cristiana» (detta appunto in questo modo) con l’Occidente. Entro quest’ultimo scenario appare dunque illanguidirsi il momento topico (per non ricorrere alla troppo impegnativa qualifica di kairos) nel quale si era chiamati a riflettere sul nodo ChiesaIsraele a partire, prevalentemente, dall’evento della Shoah. Nel XXI secolo il discorso potrà, infatti, riaprirsi soltanto nella misura in cui, nel contesto del dialogo tra fedi e culture, si sarà in grado di recuperare un’effettiva «alterità ebraica». Ciò non potrà avvenire senza compiere un franco e libero confronto con una gentibus. È con gioia che ho trovato conferma ad alcune intuizioni nella riflessione di un seminario sulla Lettera ai Romani animato dai padri Jean Radermakers e JeanPierre Sonnet: «Di fronte alla Chiesa, Israele non è complementare a essa; ma, inserito all’interno dell’atto di Cristo, Israele ostinato e promesso alla salvezza viene come in soccorso dei cristiani, mettendoli davanti alla cattolicità della Chiesa».26 S’intravede l’impatto ecclesiologico di una vera recezione delle affermazioni bibliche e conciliari nel campo dell’ecumenismo, ma anche, e questo m’interessa personalmente, nel campo della missiologia (missione e inculturazione, universale e particolare, misericordia e conversione ecc.). Ispirandoci alle conclusioni del menzionato seminario, svoltosi all’Institut d’études theologiques di Bruxelles, possiamo meditare alcuni elementi, cominciando il nostro percorso dall’alterità. Mistero di al terità e di trascendenza Noi (cristiani provenienti dal paganesimo) facciamo fatica a riconoscerlo, ma la tentazione del cristiano proveniente dal paganesimo sarà sempre quella di spiegare la Chiesa a partire da se stesso (dalla propria conversione e opere successive, dalla storia della propria famiglia o della propria cultura, l’Occidente cristiano) e non dalla scelta libera di Dio e della grazia divina, che sempre lo precedono. Secondo l’espressione di Emmanuel Lévinas, la tentazione sarà sempre quella di «totalizzare a partire dall’identico», cioè di spiegare tutto a partire da sé e di assimilare tutto a sé. Ora Israele nella sua irriducibilità di fronte alla Chie- condizione ebraica ormai, di fatto, massicciamente coagulatasi attorno allo Stato d’Israele. Nel cruciale passaggio di fine millennio Romani 9-11, vale a dire la massima riflessione biblica relativa al rapporto ChiesaIsraele, sembrava poter assurgere a un ruolo paragonabile a quello affidato alla Lettera nel suo complesso nel caso della svolta barthiana. In quegli anni però non è stato scritto alcun volume capace di presentarsi come simbolo complessivo di un passaggio teologico epocale. Nella sua recezione ed elaborazione teologica ed ecclesiologica Romani 9-11 resta un paradigma incompiuto. Una delle ragioni di questo mancato compimento sta nel fatto che, negli ultimi decenni, il rapporto con gli ebrei è stato declinato soprattutto a partire dall’egemonia attribuita alla presenza di un ethos universale espresso in modo riassuntivo dai «dieci comandamenti». Il legame speciale tra cristiani ed ebrei è stato quindi evocato principalmente per additare l’universalità di una proposta etica comune. Tuttavia questa impostazione non riesce a esorcizzare fino in fondo il problema teologico della «salvezza» e degli influssi storici a esso connessi. Secondo la geografia pellegrinante fatta propria da Giovanni Paolo II nel 2000, si pensi alla successione: Sinai, Santo Sepolcro, Muro occidentale, Yad Vashem, Santo Sepolcro. La supposta presenza di IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 131 S tudio del mese REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.51 Pagina 132 sa (intesa qui de facto come Ecclesia ex gentibus) è l’altro che è il segno del totalmente Altro. Mi ricorda che «l’elezione ci precede sempre, ci viene da un Altro e che noi la ereditiamo da un altro, il popolo eletto».27 Per il cristiano proveniente dal paganesimo la vita cristiana è essenzialmente un «innesto» «contro natura» (Rm 11,24) e una partecipazione alla promessa fatta ad Abramo: è quindi un dono assolutamente gratuito, una «grazia» inaudita di Dio (cf. Rm 11,6). Perciò la permanenza d’Israele è un pungolo che porta la Chiesa a riconoscere questo dono: insieme alla vergine Maria, figlia di Sion e madre della Chiesa, essa si umilia e rende grazie. Del resto, è proprio dalla difficoltà a riconoscere la salvezza come una grazia che scaturisce in parte l’antisemitismo, come suggerisce l’esegeta Paul Beauchamp in alcune righe particolarmente profonde: «Infatti in due modi l’uomo conosce che la salvezza è una grazia: l’ebreo, perché ha dovuto farne parte a un altro, e il pagano, perché un altro l’ha ricevuta prima di lui. Questo è difficile da accettare: sia l’uno che l’altro resistono (…). Come l’ebreo rifiuta di diventare un’altra cosa, così il cristiano ricaduto nello stato di natura, cioè l’antisemita, rifiuta di essere stato un’altra cosa. Vuole una salvezza che non abbia né preparazioni né legami, perché proietta su di essa la sua propria autonomia».28 Questo riconoscimento del dono gratuito al quale Israele non cessa di invitare vieta qualsiasi chiusura dell’ecclesiologia: la Chiesa è irriducibile nel suo mistero; la Chiesa viene da oltre se stessa; «è il regno di Dio già presente in mistero» (LG 3; EV 1/286), ma non ne è ancora il compimento e resta ancora il «sacramento dell’inti- una comune etica sinaitica non è, dunque, in grado di risolvere in se stessa irriducibili differenze connesse alla «storia della salvezza». Pao lo, u n e b re o c re d e n te i n C r i s to Sulla base di Romani 9-11 è possibile costruire una riflessione teologica capace di affrontare la complessità di questi nodi? Alle fine del XX secolo si era orientati a rispondere con un sì. Quei capitoli furono, perciò, letti privilegiando il radicamento del messaggio cristiano nell’eredità d’Israele. La prospettiva fu anche presentata come un modo per stabilire l’unità dei due Testamenti (Giovanni Paolo II, Joseph Ratzinger) e quindi come una maniera per prendere le distanze dalla teologia della sostituzione (spesso, impropriamente, interpretata come se si trattasse di una specie di criptomarcionismo). Tuttavia questa impostazione è obbligata a porre tra parentesi una dato decisivo: Paolo scrisse la sua riflessione sull’azione di Dio nei confronti del popolo d’Israele a partire non già dal suo essere un «cristiano», bensì dal suo essere un ebreo credente in Cristo. Non si tratta di una pura contingenza storica; al contrario questo fatto costituisce il perno su cui ruota l’intero discorso. Dal punto di vista della riflessione teologica ed ecclesiologica, il ruolo svolto dal duplice «noi» di cui Paolo si dichiara partecipe è assolutamente imprescindibile. L’«apostolo delle genti» prende parte a un duplice 132 IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 ma unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (LG 1; EV 1/284). Le conseguenze di questa purificazione da riprendere continuamente – semper reformanda! – sono importanti per esempio nella pratica missionaria. Qui penso, senza giudicare le persone, alle confusioni sulle questioni di inculturazione da parte dei missionari europei… Poiché la Chiesa in Occidente sembra confondersi storicamente con l’Ecclesia ex gentibus, da quando l’Ecclesia ex circumcisione è scomparsa, essa è tentata di negare la particolarità del popolo d’Israele e, di conseguenza, è tentata anche di trascurare le diverse culture.29 Perciò la perennità visibile del popolo d’Israele è per la Chiesa un continuo appello all’umiltà, un appello che la preserva da una pretesa universale che non onorerebbe la profondità della storia nella quale opera lo Spirito di Cristo e che indurrebbe quindi effettivamente una concezione totalitaria del compimento. Parabola concreta d e l l ’ i n co m p i u te z z a d e l la s to r ia La permanenza d’Israele a fianco della Chiesa è anche la «parabola concreta dell’incompiutezza della storia»:30 con l’incarnazione noi siamo entrati nella «pienezza dei tempi» (Gal 4,4), ma c’è ancora un non compimento. Sulla croce, Cristo compie la promessa fatta a Israele; libera lo Spirito grazie al quale Israele è reso capace di compiere la Legge (cf. Ez 36; Ger 31; Rm 8) e la sua vocazione fra le nazioni. Ora, questo momento del compimento coincide con uno scisma originario! Il dolore «noi». Da un lato infatti afferma di essere pienamente e stabilmente partecipe al «noi» che caratterizza Israele «secondo la carne», con tutti i doni che gli sono peculiari (Rm 9,1-4), dall’altro afferma di avere parte, nella fede, a un «noi» di natura tutta diversa dalla precedente, si tratta cioè di un «noi» costituito dai chiamati dai giudei e dalle genti (Rm 9,24).2 In Cristo infatti non c’è né giudeo, né greco (Gal 3,28 ), pur continuando a esistere nella loro asimmetria giudei e greci. La contemporaneità psicologica del «noi diviso» di Paolo è fuori discussione (e non pochi, anche in sede filosofica se ne sono accorti), tuttavia va ribadito che essa è del tutto speculare alla sua «inattualità» teologica. Come avvenne al tempo di Lutero, anche oggi un’ermeneutica del testo (non necessariamente solo una sua esegesi storica) evidenzia una distanza tra il modo di articolare il discorso della fede all’epoca in cui avviene l’interpretazione e il punto di partenza con cui ci si confronta. Romani 9-11 misura, infatti, una distanza dall’origine non colmata dalla Tradizione. Quei capitoli vanno perciò letti anche sotto la categoria dell’infedeltà della Chiesa a se stessa. Proprio in virtù dell’affermazione, oggi universalmente ribadita, secondo cui l’alleanza con Israele non è mai stata revocata (Rm 11,29), ogni ermeneutica fedele al messaggio di Romani 9-11 si colloca, per forza di cose, nella distanza posta tra il soggetto interpretante, vale a dire un gentile credente, e il soggetto scrivente: un ebreo credente in Cristo. Non so- REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.51 Pagina 133 sperimentato dall’apostolo Paolo nella sua carne (cf. Rm 9,1-3) segna in qualche modo tutta la Chiesa. Nei capitoli 9-11 della Lettera, Paolo non può evocare questo strappo senza annunciare anche, in una successione di a fortiori (cf. Rm 11,12 «po,soj»; cf. 11,15), la reintegrazione e la salvezza finale di «tutto Israele». La chiave interpretativa va ricercata nella misericordia infinita di Dio, al quale non sfugge alcun avvenimento della storia delle libertà umane. Che cosa sarà quest’integrazione? Paolo usa un’espressione sorprendente: sarà «una vita a partire dai morti (zwh. evk nekrw/n)» (Rm 11,15). Alla luce della profezia di Ez 3731 noi comprendiamo che sarà la riunione di tutto Israele non come somma di individui, ma come popolo. La prospettiva è grandiosa: comunione nell’unità del «pleroma (plh,rwma) delle nazioni» e di «tutto Israele (pa/j VIsrah,l) salvato» (cf. Rm 11,25-26). Quando? Come? Al riguardo l’interpretazione della lettera è delicata. A mio avviso la prospettiva dell’Apostolo è escatologica,32 – il che non esclude una certa missione nei riguardi d’Israele –, ma la storia della teologia nel XX secolo dimostra che vari autori sostengono prospettive storiche,33 senza parlare delle tesi sviluppate dalle Chiese evangeliche.34 Bisogna constatare che le opzioni fondamentali dei sistemi teologici, la carica affettiva investita nelle relazioni cristiano-ebraiche dopo la Shoah, gli a priori culturali e politici costituiscono un ostacolo non trascurabile per una lettura della Scrittura rispettosa della sua lettera. Sia come sia, la Gerusalemme terrena dove essa è nata ricorda continuamente alla Chiesa che essa è in cammino verso la Gerusalemme celeste, verso il suo compi- no quindi consentiti facili recuperi. Tuttavia, proprio a causa della sua consapevole inadeguatezza, l’interprete si viene a trovare in una condizione paradossalmente affine a quella dell’«apostolo delle genti». Paolo, nell’atto di scrivere a un manipolo di credenti sperduti nella «grande città», si rapportava con il tema sommo dei rapporti iniziali, salvifici ed escatologici di Dio con il mondo; dal canto suo, oggi, ogni lettore dei capitoli 9-11 della Lettera ai Romani è chiamato a confrontarsi con il bimillenario e ampiamente infedele rapporto che è intercorso tra Chiesa e Israele: si tratta di un tema dotato, nella fede, di un valore salvifico ed escatologico senza uguali. Pur privi di risorse, si è costretti a pensare in grande. Un nodo ecclesiologico decisivo Il contributo di Emmanuel Pinot, presbitero parigino appartenente alla Communauté de l’Emmanuel, è nato come semplice esercitazione di esame a conclusione del corso «Un nodo teologico: Romani 9-11 nell’orizzonte del dialogo cristiano-ebraico», svolto dal sottoscritto nel primo semestre 2010-2011 presso il Centro card. Bea per gli studi giudaici della Pontificia università gregoriana. La qualità del lavoro, peraltro consapevolmente articolato in maniera provvisoria, ha indotto a una sua sollecita pubblicazione. Il testo di Pinot evidenzia infatti alcune questioni chiave troppo spesso trascurate: il ruolo dell’ermeneutica bi- mento totale. Così, paradossalmente, nella sua permanenza storica e spirituale Israele, lungi dall’orientare la Chiesa verso il passato, la pone davanti alla sua realtà ultima, verso il compimento della storia, la «consumazione». Qui si apre lo spazio per la speranza, la speranza alla scuola di Paolo.35 La distanza d’Israe le e la nostra distanza da Cristo Se la Chiesa è ancora in pellegrinaggio verso il suo compimento, se l’umanità non ha ancora raggiunto la sua statura perfetta (cf. Ef 4), se la Chiesa prega «maranatha», allora possiamo interrogarci sulle ragioni dell’attesa o del «ritardo». Dipenderebbe dal fatto che Israele (incredulo) si oppone all’evangelizzazione delle nazioni (cf. 1Ts 2,15-16)? Paolo ha potuto pensarlo e scriverlo, ma non è più vero! Dipenderebbe dal ritardo degli ebrei a uscire dalla loro incredulità, come sembrano pensare alcuni gruppi evangelicali, praticando una missione sistematica aggressiva? La lettura della Lettera ai Romani impone un’altra costatazione: tutti i figli di Adamo, ebrei e pagani, sono peccatori! «Dio ha rinchiuso tutti (gli uomini) nella disobbedienza, per essere misericordioso verso tutti» (Rm 11,32). La colpa del ritardo non è dell’altro! Al contrario, Paolo sembra addirittura sottolineare la necessaria conversione dei pagani, la realizzazione del «pleroma» delle nazioni (cf. Rm 11,25). Del resto, bisogna cominciare dal ricordare che l’elezione d’Israele rinvia tutta l’umanità al suo peccato. Infatti, l’elezione e la separazione d’Israele fra le nazioni è la risposta paradossale di Dio alla divisione dell’umanità blica nel pensare teologico, la portata ecclesiologica della riflessione paolina contenuta in Romani 9-11, la determinante funzione svolta dal nesso con Israele in relazione alla missione evangelizzatrice affidata alla Chiesa. Alcune sue affermazioni risulteranno difformi dagli attuali standard con cui si svolge il dialogo tra cristiani ed ebrei. Esse perciò suoneranno sgradite a non pochi orecchi ebraici. Lo stesso destino, del resto, toccò in sorte a qualche presa di posizione compiuta dal card. Lustiger, una figura giudicata problematica da alcune componenti ebraiche (ma non da altre). Si tratta di reazioni pienamente legittime; per tutti, però, è un bene misurarsi con nodi teologici che da un lato non hanno nulla da spartire con la «teologia della sostituzione», mentre dall’altro pongono al centro questioni di lungo periodo (peraltro troppo di frequente dimenticate o mal poste) decisive per il dirsi stesso della missione della Chiesa. Piero Stefani 1 Cf. A. FOA, Diaspora. Storia degli ebrei nel Novecento, Laterza, Roma-Bari 2009, 213ss. 2 Per l’esattezza in greco manca l’articolo determinativo. IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 133 S tudio del mese REGATT 04-2011.qxd 134 25/02/2011 15.51 Pagina 134 a causa del peccato (cf. Gen 3-11) e il luogo di una progressiva guarigione di tutte le altre divisioni, di cui la coppia Israele-nazioni è il simbolo: «Benedirò coloro che ti benediranno» (Gen 12,3). Al centro della storia della salvezza, la morte del Cristo d’Israele è la riunione nell’unità dei figli di Dio dispersi (Gv 11,52), la riunione dei giudei e dei pagani (Ef 2,14ss).36 Evocando la messa in disparte dei rami increduli, Paolo pone fortemente in guardia i cristiani provenienti dal paganesimo dalla tentazione che li minaccia (cf. Rm 11,17-23). Se rimproveriamo all’altro la sua ostinazione – «chi sei tu che giudichi?» (Rm 2,2.3) –, siamo nel peccato. In verità noi, ebrei e cristiani, siamo solidali in tutto ciò che ci impedisce di abbandonarci senza riserve al Cristo di Dio; nella nostra propria esperienza spirituale possiamo comprendere la distanza d’Israele dal suo Cristo.37 Perciò «la distanza d’Israele da Cristo corrisponde anche alla nostra propria ripugnanza alla conversione. Noi siamo all’interno dell’ostinazione dell’altro. (…) In questo senso, dobbiamo ricevere Israele come una grazia concessa a noi peccatori, perché ci rivela che il misconoscimento di Cristo non deriva dalla cultura (come può essere sempre il caso dei goyim), ma fondamentalmente dalla fede: solo Israele misconosce il Cristo in nome della fede in Dio che si rivela. La sua ostinazione di fronte a Cristo smaschera i nostri alibi culturali e ci riconduce all’unica battaglia che s’imponga davanti a Cristo. La battaglia spirituale».38 Se nella figura d’Israele io (cristiano proveniente dal paganesimo) posso guardare come in uno specchio la mia propria distanza da Cristo, non bisogna forse discernere nelle radici dell’antisemitismo cristiano una colpevolezza rimandata, il tentativo di eliminare quest’accusa? Attraverso la sua sola testimonianza, l’ebreo non svela nel mio essere di cristiano proveniente dal paganesimo gli idoli che non sono ancora convertiti a Cristo? cui «doni e (la cui) chiamata sono irrevocabili» (Rm 11,29). La speranza di fede d’Israele che attende la venuta del Messia39 non è senza legame con quella della Chiesa. E la Chiesa deve prendere sul serio la speranza d’Israele, che si basa sulla fedeltà del Dio dell’Alleanza verso il suo popolo «amato a causa dei padri» (Rm 11,28). Per il cristiano, la fedeltà di Dio è suggellata definitivamente nell’atto di Cristo, nel quale si compie la promessa fatta a Israele e, attraverso Israele, a tutte le nazioni. La fedeltà di Dio trascende tutte le nostre infedeltà (cf. Rm 3,3). Alle obiezioni addotte contro la giustizia di Dio o ai dubbi avanzati riguardo all’universalità della vittoria di Cristo, Paolo oppone la «misericordia» divina, che è una delle articolazioni di Rm 9,14-18 e Rm 11,30-32. La risposta al «passo falso» di una parte d’Israele (Rm 11,11), a causa dell’«elezione», rivela la misericordia divina. Certamente il passo falso d’Israele addolora Paolo ed esige da lui un atto di speranza nella reintegrazione. Ma c’è di più. La permanenza d’Israele come soggetto storico dimostra che l’opera compiuta nel Cristo non si estende a «molti», ma alla totalità del mondo e della storia, perché si estende sia a Israele sia alle nazioni. Perciò oggi Israele è il segno paradossale dell’universalità della misericordia. Così il passo falso d’Israele o piuttosto la sua successiva permanenza diventano un motivo paradossale di speranza! «Nulla potrà mai separarci…» (Rm 8,38s)! La misericordios a fedeltà d e l D i o d e l l ’A l lea n z a Nella figura d’Israele mi è dato di decifrare non solo la mia distanza da Cristo, ma anche la fedeltà di Dio i La sofferenza del servo-Israe le e la sofferenza di Cristo-servo È opportuno fare un’ultima osservazione. Tuttavia, non solo a causa dei limiti di spazio, ma anche della prossimità al cuore del mistero, posso solo balbettare parole inadeguate. Tutta la storia d’Israele, fin nel suo rifiuto e nella sua reintegrazione oggetto di speranza, è all’interno dell’atto di Cristo. D’altra parte, Cristo compie la missione sacerdotale d’Israele a favore delle nazioni: c’è quindi un’intimità massima fra la missione di Cristo-servo e la missione d’Israele-servo. Ora Cristo ha compiuto la sua 1 Penso, in particolare, al Simposio del 1997 in preparazione al giubileo del 2000 (AA. VV., Radici dell’antigiudaismo in ambiente cristiano. Colloquio intra-ecclesiale. Atti del Simposio teologico-storico, Città del Vaticano, 30.10-1.11.1997, Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano 2000). 2 Tensioni che si tratta di riconoscere senza mai esagerarle in modo polemico; penso qui a certe elaborazioni illegittime a partire dalla Birkat ha-minim. Bisogna reperire, inoltre, tutti i punti di contatto e di fecondazione reciproca in epoca patristica, ma anche, e forse soprattutto, in epoca medievale. 3 Cf., per esempio, H. DE LUBAC, Catholicisme. Les aspects sociaux du dogme (1938, 41947, 71952) 71983, Oeuvres complètes VII, Cerf, Paris 2003; ID., Histoire et Esprit. L’intelligence des Écritures d’après Origène, «Théologie» 16, Aubier-Montaigne, Paris 1950, ripreso in Oeuvres complètes XVI, Cerf, Paris 2002; ID., Exégèse médiévale, Les quatre sens de l’Ecriture, 4 tomes, «Théologie» 41, 42 e 59, Aubier-Montaigne, Paris 1959, 1961 e 1964. Si noterà la predilezione significativa del p. De Lubac per il «simbolo origeniano della trasfigurazione», che permette di esprimere in forma meno inadeguata la «dialettica» paradossale dell’uno e dell’altro Testamento. Tuttavia, nonostante questo, l’ermeneutica così proposta deve trovare un necessario correttivo, che io penso di poter scoprire nei lavori del p. Paul Beauchamp. Questo esegeta del Centre Sèvres (Paris), te- nendo conto dello spostamento della coppia tipo-antitipo – e quindi dell’azione dello Spirito – verso l’interno dell’Antico Testamento, propone un correttivo alle debolezze della tipologia. Ma, da parte sua, il p. Beauchamp riesce veramente a preservare la novità paradossale di Cristo da ogni riduzione? A mio avviso non è certo. È indubbiamente complicato affrontare la dialettica dell’uno e dell’altro Testamento; sarebbe certamente più vantaggioso tenere insieme l’uno e l’altro, Henri de Lubac e Paul Beauchamp… 4 Cf. C. JOURNET, Destinées d’Israël. A propos du Salut par les Juifs, LUF-Egloff, Paris 1945, 12-13, citato da G. COTTIER, «Sur la théologie d’Israël», in Nova et vetera (1985), 98-102, qui 99: «Ecco che un odio istintivo, cieco, sinistro, che investiva al tempo stesso la Chiesa e la Sinagoga per lo stesso motivo, cioè per il fatto che esse rappresentavano le due facce di luce e d’ombra di un unico mistero, quello del soprannaturale che penetra, checché si faccia, come una spina nella carne del mondo, e che si abbatte simultaneamente sugli ebrei e sui cristiani, sembrava volerli, in forza di una stessa crocifissione, riunire in vista di una qualche invisibile e futura riconciliazione». Stessa percezione in certi ebrei, come Maurice Samuel: «È di Cristo che i nazi-fascisti hanno paura. È nella sua onnipotenza che essi credono. È lui che sono decisi, nella loro rabbia, a eliminare. (…) Per questo gli antisemiti dirigono i loro assalti contro coloro che sono stati responsabili della nascita e della diffusione del cristianesimo. Essi cominciano con lo sputare sui giudei assassini di IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.51 Pagina 135 missione e la vocazione d’Israele assumendo la figura del Servo sofferente (cf. Is 52,13-53,12; cf. At 8,30ss), nella quale Israele comprendeva il suo proprio destino.40 Considerando con Paolo «la caduta» (h[tthma)» e il «rifiuto (avpobolh,)» (Rm 11,12.15), come non pensare alla passione di Cristo-servo, che assume il peccato di tutti gli uomini – anche quello d’Israele – «in una carne simile a quella del peccato» (Rm 8,3)? Il combattimento di tutto Israele e quello di Cristo non sono strettamente legati? Del resto, non è forse perché Cristo-servo ha assunto la resistenza di tutto Israele – in particolare quella dell’Israele ancora ostinato – che «la vita dai morti» per tutto il popolo può essere oggetto di speranza? Di più, è veramente folle (cf. Rm 11,33: «Quanto insondabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie!») pensare che la prova che subisce il popolo d’Israele (i rami accantonati) a partire da Cristo fino al suo culmine nella Shoah, è misteriosamente integrata nella prova del suo Cristo e trova lì il suo senso e la sua fecondità? Come il Cristo, per lui e in lui, «questo straordinario popolo (che) continua a portare dentro di sé i segni dell’elezione divina (…) ha pagato un alto prezzo per la sua “elezione”».41 Qui noi oltrepassiamo certamente la lettera della Lettera ai Romani… La Chiesa non può forse approfondire, nella figura d’Israele perseguitato, la sua missione di servizio verso le nazioni: un’umile missione al seguito del Servo, una missione che passa per la contraddizione e la croce, una missione animata da una speranza invincibile? Israele può insegnarci! L a co n ve r s i o n e d e l la C h i e s a A partire dalla Nostra aetate, che ha ricordato che Israele è «la radice dell’ulivo buono su cui sono stati innestati i rami dell’ulivo selvatico che sono i popoli pagani»,42 nonostante le numerose resistenze, scrutando il suo proprio mistero, la Chiesa sta rinnovando il suo sguardo sul popolo d’Israele. Ricordiamo la «formula di Magonza» pronunciata dal papa Giovanni Paolo II, il 17 novembre 1980, davanti a capi delle comunità ebraiche in Germania.43 Da allora si sono fatti molti passi. Nel 2005, Cristo [sic!] (Christ-killers), per poter sputare su altri ebrei, che donano Cristo (Christ-givers)»: citato ivi, 99. 5 W. KASPER, Non ho perduto nessuno. Comunione, dialogo ecumenico, evangelizzazione, EDB, Bologna 2006, 75-94. 6 Cf. CONCILIO VATICANO II, cost. dogm Dei Verbum sulla divina rivelazione, n. 24; EV 1/907; VATICANO II, decr. Optatam totius sulla formazione sacerdotale, n. 16; EV 1/805ss. Cf. più recentemente BENEDETTO XVI, esort. apost. postsinodale Verbum Domini sulla parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa; Regno-doc. 21,2010,649ss. 7 Cf. G. BAUM, «Les relations d’Israël et de l’Église», in G. BARAUNA (a cura di), Vatican II. L’Église de Vatican II. Etudes autour de la Constitution conciliaire sur l’Église, Tomo II, Commentaires, «Unam sanctam» 51b, Cerf, Paris 1966, 639-649. 8 A. BEA, L’Église et le peuple juif, Cerf, Paris 1967, 9. 9 DE LUBAC, Catholicisme, 133-134. 10 M. SALES, Le corps de l’Église. Suivi de “Pour introduire à la lecture de la Promesse” du cardinal Lustiger, «Communio», Parole et silence, Paris 22010. 11 A volte c’è la distinzione tra plebs, populus e gentes, ma vi sono delle esitazioni. Le ambiguità sono ancora maggiori in alcune lingue moderne, come ad esempio il francese, dove «popolo» traduce indifferentemente le tre parole indicate. 12 Cf. SALES, Le corps de l’Église, 17-19: «Essere ebreo è appartene- in una lettera indirizzata al card. Jean-Marie Lustiger, il papa Benedetto XVI evocava ciò che è «comune all’insieme del popolo di Dio, Chiesa con Israele», identificando così il popolo di Dio con Israele e la Chiesa.44 È certamente attraverso un potente lavoro esegetico ancora incompiuto che possiamo sperare di avanzare sulla strada di questo approfondimento cruciale del mistero della fede. Per molti Padri, dottori e teologi la Chiesa è ormai il popolo di Dio, ma bisogna certamente correggere in questo modo l’affermazione: dopo Cristo, il popolo ebraico non è più, da solo, il popolo di Dio… Prolungando la lettura della Lettera ai Romani con una «meditazione», noi intravediamo la profondità della relazione che unisce oggi la Chiesa alla parte d’Israele messa (temporaneamente) da parte. Sicuramente, «la religione ebraica non ci è “estrinseca”, ma in un certo qual modo, è “intrinseca” alla nostra religione».45 In forza del legame «spirituale» (cf. «spiritualiter» in Nostra aetate, n. 4), la Chiesa può comprendere la sua identità – unità, santità, cattolicità, apostolicità – e lavorare a corrispondervi realmente solo meditando il destino singolare del «popolo eletto» nella storia totale della salvezza. Qui lo sguardo sulla figura dell’apostolo Paolo e l’attenzione alla costituzione israelitica dell’apostolicità della Chiesa devono impedire di fidarsi esclusivamente delle apparenze, pensando cioè l’Ecclesia unicamente come Ecclesia ex gentibus! Israele è per la Chiesa uno stimolo che alimenta la sua memoria e la sua speranza, perché le rappresenta l’origine e la fine della salvezza. Riconosciamolo. Israele è anche per la Chiesa un pungiglione che invita a cambiamenti, se non a conversioni, nel modo di considerare la missione nel cuore del mondo. Non è forse questa la ragione delle nostre resistenze? L’elezione d’Israele è una Via crucis per la ragione umana in generale46 e per la coscienza cristiana in particolare. Bisogna sempre percorrerla per essere continuamente rinnovati. A tale titolo, Rm 9-11 è un nodo teologico decisivo perché la Chiesa possa conformarsi sempre più all’appello che le rivolge il suo Signore, il Messia d’Israele. Emmanuel Pinot re, per nascita carnale, a un popolo religioso per la sua origine e per la sua fine». 13 G. FESSARD, citato in SALES, Le corps de l’Église, 24. 14 Paolo sembra anzitutto escludere dall’unità d’Israele gli israeliti increduli (Rm 9,6), ma in un secondo tempo, con l’immagine dell’olivo, mostra che si tratta di un accantonamento solo temporaneo – si potrebbe dire contro natura – prima di essere nuovamente innestati sull’olivo al quale essi appartengono per natura (Rm 11,24). Paolo non nega l’appartenenza naturale degli israeliti non credenti all’olivo buono, ma li considera temporaneamente come rami tagliati dalla radice santa a causa della loro condizione di incredulità. 15 Cf. P. STEFANI, «L’olivo buono e quello selvatico. La Chiesa delle genti e il popolo d’Israele in Rm 9-11», in Regno-att. 22,2009,365s. 16 Si noterà che Paolo non usa gli stessi termini per parlare dell’ostinazione del faraone (Rm 9,18) e per parlare dell’ostinazione d’Israele (Rm 11,7.25), che non sono della stessa natura. 17 SALES, Le corps de l’Église, 15. 18 Cf. SALES, Le corps de l’Église, 15. Cf. P. STEFANI, «Postfazione» in F. CAPRETTI, La Chiesa italiana e gli ebrei. La recezione della Nostra aetate n. 4 dal Vaticano II a oggi, EMI, Bologna 2010. 19 Cf. J.-M. LUSTIGER, La Promesse. «Mes yeux ont devancé la fin de la nuit pour méditer sur ta promesse» (Psaume 119,148), «Essais de l’École Cathédrale», Parole et silence, Paris 2002, 17-18: «Perciò la Chiesa IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 135 S tudio del mese REGATT 04-2011.qxd 136 25/02/2011 15.51 Pagina 136 di Gerusalemme è, nella Chiesa cattolica, la permanenza della promessa fatta a Israele, la presenza del compimento, l’attestazione della grazia fatta ai pagani. Così la Chiesa è al tempo stesso quella degli ebrei e dei pagani. Questa Chiesa di Gerusalemme è sopravvissuta al massimo fino al VI secolo. È uno dei misteri della storia e forse un grande dramma spirituale incompiuto. Infatti non si può dire che sia una faccenda chiusa, come non lo è la separazione fra la Chiesa d’Oriente e la Chiesa d’Occidente. Questo fa parte di quelle ferite, di quei peccati che dobbiamo riconoscere, che ci giudicano e riguardo ai quali dobbiamo attendere da Dio che faccia qualcosa in sintonia con la sua promessa. Questa Chiesa di Gerusalemme è stata distrutta sotto la pressione di Bisanzio. Si tratta indubbiamente di una delle grandi perdite della coscienza dei cristiani. Così la memoria della grazia che era stata concessa venne praticamente rimossa, non dico da parte della Chiesa in quanto sposa di Cristo, dico da parte dei cristiani. Ecco per loro una causa di tentazione e una prova spirituale, una causa di infedeltà a Cristo; ecco uno dei grandi problemi del cristianesimo». 20 Cf. SALES, Le corps de l’Église, 13-144. 21 Cf. SALES, Le corps de l’Église, 28. Consentitemi di citare qui il poeta cattolico Léon Bloy: «Si dimentica, o piuttosto non si vuole sapere, che il nostro Dio fatto uomo è un ebreo, l’ebreo per eccellenza della natura, il Leone di Giuda; che sua madre è un’ebrea, il fiore della razza ebraica; che tutti i suoi antenati sono stati degli ebrei, che gli apostoli sono stati degli ebrei, come tutti i profeti; infine, che tutta la nostra sacra liturgia è attinta nei libri ebraici». 22 Cf. SALES, Le corps de l’Église, 57. 23 Ivi. 24 Cf. l’analisi di P. STEFANI, «Postfazione», sulla declinazione del cattolicesimo in chiave di religione civile dell’Italia rispetto all’apertura introdotta dal Concilio, laddove la Chiesa si dichiarava disposta anche a rinunciare a prerogative e privilegi pur di preservare la trasparenza della sua testimonianza (cf. Gaudium et spes, n. 76); oggi «l’unica sede in cui è recepibile il confronto con il popolo ebraico è perciò quella del dialogo tra un cattolicesimo identitario e un ebraismo italiano, nelle sue espressioni ufficiali altrettanto identitario». 25 Cf. H. DE LUBAC, «Pourquoi “Église catholique” et non “Église universelle”», nota inedita del 1959 redatta in vista di una consultazione teologica al momento della traduzione in francese dei due simboli di fede, nota ripresa in Catholicisme, in Oeuvres complètes, VII, Cerf, Paris 2003, 453-456. 26 J.-P. SONNET, J. RADERMAKERS, «Israël et l’Église», in Nouvelle Revue théologique 107(1985), 690. 27 Ivi. 28 P. BEAUCHAMP, «L’Église et le peuple juif», in Études 321(1964), 263. Riprendo qui tutto il passo: «Facendo eco, san Giovanni dirà che “la salvezza viene dai giudei”. Alla radice più profonda dell’antisemitismo c’è non solo il misconoscimento di questa verità, ma il rifiuto dell’atteggiamento che essa richiede. Infatti in due modi l’uomo conosce che la salvezza è una grazia: l’ebreo, perché ha dovuto farne parte a un altro e il gentile, perché un altro l’ha ricevuta prima di lui. Questo è duro da accettare: sia l’uno che l’altro resistono. Si potrà immaginare che è questa particolarità dell’ebreo a non piacere; noi lasceremo da parte queste reazioni puramente sociologiche per andare dritto a ciò che solo spiega la loro virulenza unica, purtroppo dimostrata dai fatti: se il popolo nel quale è nato il Salvatore fosse stato di un’altra razza, la reazione sarebbe sostanzialmente la stessa. Come abbiamo detto, noi siamo esistiti come popolo di Dio prima di Cristo e questa unità con altri diversi da noi è reale, perché può esservi un solo popolo di Dio. Ora questa forma precristiana non comportava il suo compimento in se stessa. Come l’ebreo rifiuta di diventare un’altra cosa, così il cristiano ricaduto nello stato di natura, cioè l’antisemita, rifiuta di essere stato un’altra cosa. Vuole una salvezza che non abbia avuto preparazioni né legami, perché proietta su di essa la sua propria autonomia. Al contrario, questa salvezza è la risposta a una storia orientata verso di lui, ma priva di lui, riempimento di una figura che, come dice Pascal, “comporta assenza e presenza”, e non si può riceverla senza ricevere al tempo stesso la conoscenza di ciò che si è, vuoto e vocazione: gli ebrei esistono per mostrarci questa assenza e questa vocazione, e gli ebrei che rifiutano Cristo esistono per mostrarci che né quest’assenza né questa vocazione hanno in loro stesse la loro fine. Ma questa conoscenza di sé ripugna. Attraverso il peso della natura, il cristiano viene continuamente tirato in una concezione che gli mostra tutto il suo essere e tutta la sua cultura, tutte le sue figure, come costituenti un unico blocco continuo con il cristianesimo, al quale egli sembra cimentato di diritto in un’unità naturale e non in quella del dono di Dio vivificante. Egli identifica immediatamente il suo ambiente, la sua arte, la sua cultura con la sua fede, che cessa allora di essere il principio di unità gratuito che viene liberamente dall’alto. In questa disposizione mentale, tutto ciò che è ebraico viene respinto, perché ci impedirebbe di captare e di annettere Cristo come volevano fare gli ebrei, pri- IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 ma della sua morte: infatti, ciò che è ebraico ci ricorda che non è questa cultura particolare alla quale io appartengo il luogo primo nel quale nacque il cristianesimo, quindi che un’altra cosa avrebbe potuto nascere dalla mia situazione, o ancora che in una situazione completamente diversa dalla mia il cristianesimo può fiorire. Allora ci sentiamo minacciati da un senso di spossessamento. Sentiamo il vuoto che separa la nostra condizione dal dono di Dio, vuoto necessario perché sia chiamato dono. Ci irrigidiamo contro chiunque ce lo fa sentire: se non si è solidali con l’ebreo che accetta la grazia, non si sfugge a essere solidale con l’altro. È per un cristianesimo giudaizzante che gli ebrei sono una minaccia, la quale si diversifica in molti modi: ad esempio, i cristiani che riducono la loro credenza al monoteismo e attendono la loro salvezza solo dall’osservanza di una legge, avendo di Cristo e della grazia solo un’idea rudimentale, sono tormentati dalla presenza degli ebrei, la cui religione appare loro con lo stesso contenuto, ma si stabilisce al di fuori della loro e può farne tranquillamente a meno. È per respingere questa somiglianza accusatrice che si moltiplicheranno le ragioni per agire e pensare diversamente, fino all’ostilità. Non è forse su questo sedimento, lasciato da un cristianesimo che si era ritirato, che sono germogliati il nazismo e le ideologie analoghe, in un mondo governato dalla Legge, senza grazia? Così l’antisemitismo è, da parte dei “cristiani” che ne soffrono, una ritorsione del peccato d’Israele e, per una necessaria conseguenza, ne è l’imitazione. Di fronte a questo, è salutare constatare che la dottrina paolina, nella quale tanti ebrei vedono la fonte di tutti i mali nel loro rapporto con la Chiesa, non può lasciarci alcun pretesto per essere antisemiti. La cellula generatrice da cui usciamo è quindi l’incontro fra l’ebreo e il non ebreo, che vanno l’uno verso l’altro in un gesto di forma diversa e di contenuto identico, e confessano di aver ricevuto il dono nell’atto di trasmetterlo o di riceverlo e condividerlo. Dio ha un solo figlio, perché il figlio che riceve e il figlio che è ricevuto formano un solo figlio e sono figli a patto che Cristo li riunisca in uno. L’universalità della Chiesa non livella né allinea, perché è una carità, nella quale l’incontro richiede da ciascuno dei chiamati un gesto diverso che li faccia incontrare. E questa differenza dura per sempre, come la carità». 29 Cf. P. BEAUCHAMP, «The role of the Old Testament in the process of building up local churches», in AA. VV., Bible and inculturation, PUG, Roma 1983, 16: «Incapace di onorare le loro origini e di rispettarli in un popolo reale (non solo in un libro) e in una cultura concreta, la Chiesa occidentale (comprensibilmente da un punto di vista logico) non è riuscita a mostrare il dovuto rispetto a culture che erano state chiamate al Vangelo dopo quella greca e quella latina. Con il mistero ebraico rimasto avvolto nell’oscurità, la relazione del Vangelo con le culture è stata concepita nei termini di una sola cultura dominante. Come reazione contro questa dominazione c’è una tentazione a esaltare le culture particolari dimenticando il modello biblico. Il modello biblico ricorda che Israele è stato eletto, e che nei suoi momenti migliori Israele è stato capace di dichiarare che non era solo e universale in se stesso». 30 Cf. SONNET, RADERMAKERS, «Israël et l’Église», 691. 31 Alcuni esegeti vedono qui un’allusione alla risurrezione finale; con Paul Beauchamp, io propendo piuttosto per un’eco intertestuale con la grande profezia di Ez 37, la visione delle ossa aride: è vero che il profeta non annuncia lì la risurrezione escatologica dei corpi, bensì la risurrezione di un nuovo Israele dopo l’esilio, mentre questa allusione acquista tutto il suo senso: tuttavia si tratta di corporeità nel senso di corpo sociale e ritorno o la conversione d’Israele si presenta come il cambiamento di un gruppo e non di una polvere di individui. A tale titolo, la visione annuncia un cambiamento nella stessa storia. Cf. P. BEAUCHAMP, «Israël et les nations hors et dans l’Église. Lecture de Rm 9-11», in Conférences. Une exégèse biblique, Editions facultés jésuites de Paris, Paris 2004, 133-161. 32 Così nei teologi Gaston Fessard (1897-1978) e, sembra nella scia di Karl Barth, Hans-Urs von Balthasar. Fra coloro che sostengono la prospettiva escatologica, alcuni tendono a difendere una teologia delle due vie tuttavia contraria al pensiero paolino: non è forse il caso, ad esempio, di Franz Müssner nel suo Traktat über die Juden? 33 Cf. Charles Journet, che si è fortemente opposto a G. FESSARD, Destinée d’Israël. A propos du salut par les juifs, LUF, Paris 1945, e al suo amico J. MARITAIN, Quelques pages sur Léon Bloy, Paris 1937. 34 Cf. M.-H. ROBERT, Israël dans la mission chrétienne. Lectures de Romains 9-11, «Lectio divina», Cerf, Paris 2010. 35 È certamente in questo orizzonte escatologico – di cui noi viviamo già in qualche modo in questi ultimi tempi –, che conviene collocare quella che può essere una preghiera per gli ebrei, il Venerdì santo. A mio avviso, nulla impedisce che Paolo preveda l’illuminazione futura della maggioranza d’Israele ancora ostinato e inviti al tempo stesso fin d’ora a convertirsi a Cristo i suoi fratelli che incontra. 36 I padri della Chiesa hanno magnificamente commentato questo passo, chiave della storia. «Cristo è l’ago che, dolorosamente confitto durante la sua passione, tira ormai tutto al suo seguito e ripara così la tuni- REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.51 Pagina 137 ca un tempo lacerata da Adamo, cucendo insieme i due popoli, quello dei giudei e quello dei gentili, e rendendoli uno per sempre» (citato in DE LUBAC, Catholicisme, 14). O ancora Ireneo di Lione: «Attraverso il legno della croce, l’opera del Verbo di Dio si è manifestata a tutti: su di esso le sue mani sono stese per radunare tutti gli uomini. Due mani stese, perché vi sono due popoli dispersi su tutta la terra. Una sola Testa al centro, perché c’è un solo Dio al di sopra di tutti, in mezzo a tutti e in tutti» (Adversus haereses V, 17, 4 citato in DE LUBAC, ivi, 324). 37 Il p. Gaston Fessard, nella sua dialettica – spesso mal compresa – dell’ebreo e del pagano mostra che alla contraddizione intima del popolo ebraico corrisponde il fatto che anche il cristiano non è perfetto e che i cristiani (provenienti dal paganesimo), nel loro complesso, restano dei pagani che devono convertirsi. 38 SONNET, RADERMAKERS, «Israël et l’Église», 692-693. 39 Al di là delle discussioni rabbiniche qui penso al 12° dei 13 articoli della fede redatti da Maimonide (cf. MAIMONIDE, Commentario sulla Mishna): «Io credo con fede piena nella venuta del Messia. E anche se tarda, io credo! Nonostante tutto, aspetterò ogni giorno la sua venuta». 40 Cf. M. REMAUD, Chrétiens devant Israël serviteur de Dieu, Cerf, Paris 1983, 34-35. 41 GIOVANNI PAOLO II, Varcare la soglia della speranza, Arnoldo Mondadori, Milano 1994, 112. Il papa continua: «Forse attraverso ciò è diventato più simile al Figlio dell’uomo, il quale, secondo la carne, era anche figlio d’Israele» (ivi). Notiamo che la figura di Edith Stein, uccisa come ebrea, ma morta come ebrea cristiana, ha rivelato in modo singolare «l’identificazione fatta da Dio stesso fra il popolo ebraico e il Messia crocifisso. È qui che il “mistero d’Israele” raggiunge il “mistero della croce”». Cf. Y. DE ANDIA, «Mystiques d’Orient et d’Occident», in Spiritualité orientale 62, Abbaye de Bellefontaine, Bégrolles-en-Mauges 1994, 430-431. 42 Cf. VATICANO II, decr. Nostra aetate sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane, n. 4; EV 1/862. 43 «L’incontro tra il popolo di Dio dell’Antica Alleanza, mai revocato da Dio (cf. Rm 11,29), e quello della Nuova Alleanza». Ci si potrà tuttavia interrogare sulla legittimità del rinvio a Rm 11,29. La discussione che ne è seguita evidenzia delle divergenze nell’interpretazione. Cf. A. VANHOYE, «Salut universel par le Christ et validité de l’Ancienne Alliance», in Nouvelle Revue théologique 116 (1994), 815-835. Cf. E. MAIN, «Ancienne et Nouvelle Alliances dans le dessein de Dieu. A propos d’un article récent», in Nouvelle Revue théologique 118 (1996), 34-58. Cf. M.R. MACINA, «Caducité ou irrévocabilité de la première Alliance dans le Nouveau Testament? A propos de la “formule de Mayence”», in Istina 41 (1996), 347-400, riprendendo uno studio effettuato all’Oxford Centre for Hebrew and Jewish Studies. 44 Si tratta di una lettera scritta da Benedetto XVI il 12 novembre 2005 al card. Lustiger per incoraggiare l’opera del p. Patrick Desbois, ossia la ricerca delle fosse comuni degli ebrei ucraini sterminati dalle pallottole dei nazisti. Il cardinale francese commentava queste parole alla sessione nazionale del Servizio dell’episcopato francese per le relazioni con l’ebraismo nel gennaio 2006: «La definizione della Chiesa deve comprendere nella nozione di popolo di Dio quell’alterità che è il popolo ebraico». E sottolineava, per marcare l’importanza di questo cambiamento teologico: «Lo afferma il magistero della Chiesa per l’insieme della Chiesa cattolica, non un gruppo isolato (…). Se non si ammette che l’elezione del popolo ebraico continua, non si può comprendere l’elezione del Messia così come la accetta il cristiano». Cf. B. TOSSERI, «La session nationale du Service pour les relations avec le judaïsme s’est tenue à Lyon samedi 28 et dimanche 29 janvier», in La Croix 31.1.2006. Cf. «Patrick Desbois, le juste», in www.un-echo-israel.net (la lettera del papa è citata in appendice). 45 GIOVANNI PAOLO II, «Allocuzione nella Sinagoga durante l’incontro con la comunità ebraica della città di Roma», in Insegnamenti di Giovanni Paolo II IX/1 (1986), 1027. Il papa continuava: «Voi siete i nostri fratelli prediletti e, in un certo modo, si potrebbe dire i nostri fratelli maggiori». 46 L’elezione d’Israele è chiaramente un paradosso rifiutato dalla ragione astratta, il che dimostra a suo modo l’antisemitismo di tipo voltairiano, come ricorda Jean-Marie Lustiger: si tratta di «un’intolleranza in rapporto al fatto ebraico nella sua sostanza, nella sua potenza di rivelazione (…) un rifiuto dell’elezione divina, l’odio di una singolarità religiosa originale, in quanto irrazionale, e quindi inaccettabile (…). Anche l’antisemitismo ufficiale sovietico è della stessa natura. Sono entrambi frutti del medesimo razionalismo… e troppi cristiani hanno ceduto a esso» (J.-M. LUSTIGER, La scelta di Dio. Intervista rilasciata a J.-L. Missika e D. Wolton, Longanesi, Milano 1987, 77s). a cura di Marco Elefanti Non profit: dalla buona volontà alla responsabilità economica n questi ultimi decenni la crescita delle organizzazioni della società civile è stata notevole, sia in termini quantitativi, sia per il ruolo fondamentale che esse ricoprono nei processi di governance. Anche le realtà non profit sono tenute all’accountability, ovvero a rendere conto delle proprie scelte agli stakeholder interni ed esterni. I contributi raccolti nel volume offrono spunti pratici per il governo degli enti non profit, al fine di valorizzare trasparenza e responsabilità dell’azione. I «Volontari perché» pp. 272 - € 18,00 A p. 126: REMBRANDT, San Paolo in prigione, 1627 (part.). Staatsgalerie, Stoccarda, Germania. IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 137 EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.51 Pagina 138 p p arole delle religioni Sulla tradizione Riti, celibato e qualche ipocrisia L e truppe ottomane avevano appena conquistata Costantinopoli quando Niccolò Cusano scrisse il suo De pace fidei (1453). L’opuscolo si apre con un sogno apocalittico. La scena iniziale, infatti, è una visione celeste. Da essa prende le mosse un dialogo in cui da una parte sono presenti i rappresentanti di vari gruppi religiosi o etnici, mentre dall’altra vi sono i veri protagonisti delle tre parti in cui è diviso il libro: rispettivamente il Verbo, Pietro e Paolo. Le prime due sezioni, poste sotto il predominio del Logos, esprimono la portata universale dei misteri cristiani della Trinità e dell’incarnazione. La terza è invece dominata dalla questione dei riti. Contiguità tra riti e tradizione Quando parla l’«apostolo delle genti» il discorso si fa più oscillante. Qui è più arduo proporre una reductio ad unum. Da un lato, Cusano sembra giudicare la pluralità di riti un bene perché aumenta il senso della devozione delle varie comunità, dall’altro egli ipotizza che, in alcune circostanze, sia la maggioranza a essere invitata a conformarsi a determinati usi della minoranza; non mancano infine neppure passi in cui si auspica, anche in questo campo, il raggiungimento di qualche forma di unità. All’interno di una comune aspirazione alla concordia, i riti costituiscono un ambito soggetto a modifiche ma, nello stesso tempo, si presentano come un terreno su cui è difficile intendersi. Nella sfera delle religioni il rito, se lo si guarda dall’interno, è la realtà legata, forse più d’ogni altra, alla dimensione della Tradizione; di contro, se lo si osserva dall’esterno, esso palesa un alto grado di convenzionalità. Si tratta di modalità di valutazione radicalmente diverse, esse però concordano su un aspetto: si mette in pratica un rito solo perché altri lo hanno fatto prima di noi. Per questo motivo, mentre lo si sta eseguendo, l’inizio storico di una prassi rituale non è mai preso in considerazione. Ci si comporta come se essa fosse sempre stata in vigore, anche se si è consapevoli che, dal punto di vista storico, le cose stanno in tutt’altro modo. Lo statuto particolare del rito fa sì che esso, di norma, venga giudicato dalla mentalità razionalista come un baluardo dell’intolleranza e del fanatismo. In quest’ottica l’agi- 138 IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 re rituale fa sì che i fedeli assumano come assoluto quanto, per sua natura, è invece convenzionale. Perciò quel tipo di manifestazione fa insorgere le più incomprensibili ostilità. A tal proposito risuonano ancora nelle orecchie le parole di Voltaire, che si rivolgono al Signore affinché coloro che coprono la veste di una tela bianca per dire che bisogna amare Dio non detestino coloro che dicono la stessa cosa coperti però da un telo nero. Da tempo non c’è più bisogno di dimostrare il ben noto carattere riduttivo dell’antropologia illuminista. Ai nostri giorni l’homo symbolicus ha giustamente rivendicato il proprio spazio. In ogni caso la ritualità costituisce un dato culturale e sociale così importante che, una volta scacciata dalla porta, rientra inevitabilmente dalla finestra. Tuttavia, il problema dello statuto non solo simbolico, ma anche parzialmente convenzionale del rito non è ancora del tutto esorcizzabile. Lo si vede bene quando avvengono dei mutamenti. Quando si modifica un rito all’interno di un sistema religioso, occorre, sempre, mettere in preventivo la presenza di gruppi che gridano al tradimento o, quantomeno, denunciano un supposto vulnus arrecato alla Tradizione. Per loro tutto deve rimanere come nel buon tempo antico; si finge, infatti, che fin dal principio si sia sempre fatto così. A partire dal Vaticano II, la Chiesa cattolica ha sperimentato più volte al suo interno questo stato di cose. Le vicende legate al Messale latino di Pio V sono, in proposito, solo l’esempio più ufficializzato. Tuttavia, in anni recenti, si assiste anche in Italia a una specie di disagio connesso a un’imprevista contiguità di riti dovuta al semplice snodarsi di vicende storiche. La pluralità è accolta senza difficoltà quando ognuno sta a casa propria o quando si dispiega all’interno di confini etnico-culturali ben distinti; suscita invece qualche sconcerto se si è spalla a spalla. Il ca so dei greco-cat tolici Nel nostro paese sta prendendo piede il piccolo caso dei preti greco-cattolici. A questo rito appartiene circa il 10% dei romeni presenti in Italia. Come si sa, in quest’ambito esistono «da sempre» presbiteri sposati. Ciò rende evidente il fatto che il celibato sacerdotale è questione rituale, non già REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.51 Pagina 139 etica. Un conto, però, è sapere che esistono greco-cattolici nella tradizionale enclave di Piana degli Albanesi, tutt’altra questione è vederli operare all’interno della propria parrocchia di rito latino.1 La loro presenza rende palpabile alla gente che ci sono preti cattolici legittimamente sposati. Ciò ha suscitato disagi pastorali. Si sono registrati casi imbarazzanti, uno dei quali per esempio è avvenuto, tempo addietro, nella diocesi di Ferrara-Comacchio. In essa un grecocattolico è stato collaboratore attivo dell’intera comunità finché era diacono, ma poi è stato sollecitamente allontanato una volta divenuto presbitero. La ragione di questo atto, inconcepibile sul piano del diritto, rivela un turbamento legato al fatto di rendere manifesta alla gente la convenzionalità di un rito che presenta il prete cattolico come se «da sempre» fosse obbligatoriamente celibe. Sul piano pratico, a livello mondiale, il celibato ecclesiastico è un terreno su cui l’inosservanza rivaleggia gagliardamente con l’osservanza. A tutti è noto che esistono aree del mondo in cui esso è culturalmente inconcepibile e quindi sistematicamente disatteso. Non si capisce, quindi, perché in esse lo si debba tenere fatidicamente fisso. Tuttavia anche alle nostre latitudini non c’è fedele che non sappia, a livello di voci, di qualche prete che abbia relazioni con donne e abbia figli più o meno riconosciuti. Né si tratta sempre di calunnie. Finché, però, tutto è tenuto nascosto, tutto può continuare a procedere, più o meno, normalmente. Questo confronto, uno solo dei molti possibili, rende scoperto il cuore del problema: l’inquietudine suscitata dalla contiguità di riti diversi pone sempre in luce la convenzionalità di quello che si sta praticando; tuttavia, a volte, questo dato di fatto evidenzia anche l’ipocrisia connessa alla regola a cui si sta disattendendo. I l d o n o d e l la ca s t i t à Il pastore Paolo Ricca ha chiuso il suo intervento, pronunciato nel corso del convegno ferrarese dedicato a «Scandalo e riconciliazione nelle Chiese»,2 con parole particolarmente forti: «Sulla pedofilia, il mea culpa della Chiesa dovrebbe anzitutto riguardare la legge crudele e disumana del celibato obbligatorio. Esso non spiega tutto, ma sicuramente molto. Finché questa legge non sarà abolita, la pedofilia non sarà debellata». Ci sono fondati motivi per dubitare della fondatezza di questa analisi legata alla violenza sui minori. Appare invece certo che decidersi a consacrare presbiteri uomini sposati ridurrebbe, sia pure in maniera minima, il tasso d’ipocrisia presente all’interno della Chiesa cattolica. Si è lontani dall’aver trovato una panacea, tuttavia questa scelta renderebbe meno contorti i rapporti con la sessualità da parte del clero ed evidenzierebbe allo stesso spirito clericale quanto, in molti casi, sia ardua la vita di famiglia che ora troppo spesso è, sulla base di principi astratti, sottoposta a giudizio da parte di coloro che non se ne sono mai assunti di persona il peso: «Legano infatti fardelli pesanti e insostenibili e li impongono sulle spalle della gente» (Mt 23,4). Altro è ovviamente il discorso per coloro che vivono concretamente la loro scelta celibataria sotto il primato del servizio. Assai raramente, però, questi uomini di Chiesa sono contrassegnati dallo spirito di giudizio. Proprio perché comprendono in loro la misericordia, la responsabilità e la IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 139 «santa semplicità» prevalgono sull’astrattezza dei principi e sull’alone d’ipocrisia che circonda la pretesa legata a un’applicazione, sedicente rigorosa, della legge. Un canone del Concilio di Trento, dopo essersi dilungato nell’aggrovigliato linguaggio proprio degli anatemi, conclude affermando: «Dio non nega questo dono (quello della castità; ndr) a chi glielo domanda con retta intenzione e non permette che noi siamo tentati al di sopra delle nostre forze».3 Non è facile immaginare che la moltitudine di presbiteri che negli ultimi quattro secoli e mezzo si è trovata tentata su questo terreno si sia riconosciuta in queste parole. Tanti avranno pregato sinceramente, ciononostante molti tra essi non hanno ricevuto su di loro quel dono. Quando poi quella mancanza dà origine a una vita umana, è obbligo dichiarare che il senso di accoglienza e di responsabilità diviene il valore massimo a cui tutto il resto va subordinato. Qui si tratta non di rito, ma di etica. Piero Stefani 1 «La convenienza di tutelare il celibato ecclesiastico e di prevenire il possibile sconcerto nei fedeli per l’accrescersi di presenze sacerdotali uxorate prevale infatti sulla pur legittima esigenza di garantire ai fedeli cattolici di rito orientale l’esercizio del culto da parte di ministri che parlano la loro stessa lingua e provengono dai loro stessi paesi». Così il card. Bagnasco ha scritto nella risposta negativa, inviata a nome della Conferenza episcopale italiana il 13.9.2010, al primate della Chiesa greco-cattolica romena, mons. Lucian Muresan, che aveva chiesto alla CEI la dispensa dalla norma che obbliga al celibato i preti delle Chiese cattoliche orientali che esercitano il ministero al di fuori dei territori canonici (cf. Regno-att. 12,2010,419; Adista 4.12.2010, n. 93, 7). 2 A. ZERBINI (a cura di), «Scandalo e riconciliazione nelle Chiese. Atti del XVII Convegno di teologia della pace», Casa Giorgio Cini, Ferrara 25.9.2010, in Quaderni n. 12, Cedoc SFR, Ferrara, 32. 3 CONCILIO DI TRENTO, Dottrina e canoni sul matrimonio, n. 9. Innocenzo Gargano «Lectio divina» sui Vangeli della Passione Passione di Gesù secondo Matteo capitoli 26 e 27 del Vangelo di Matteo narrano la Passione. Descrivendo i fenomeni straordinari che accompagnano la morte di Gesù, l’evangelista postula il verificarsi di un nuovo inizio attraverso due chiavi di lettura del racconto: Dio si manifesta (teofania) e il creato si rinnova (nuova creazione). Il volume offre non un’esegesi ma una lectio divina. Per meditare la Parola e trasformarla in preghiera. I «Conversazioni bibliche» pp. 160 - € 13,50 Dello stesso autore: «Lectio divina» su il Vangelo di Matteo/4 Il Battista, i Detti, le Parabole (cc. 11–13) pp. 128 - € 13,50 EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 i 15.51 Pagina 140 i lettori ci scrivono Chiesa, che fare? Caro direttore, mi sembra importante la decisione di «aprire un confronto sul futuro della nostra Chiesa», confronto iniziato con il bellissimo articolo di Severino Dianich (pubblicato su Regno-att. 20,2010,714). Sono grato a Dianich, tra l’altro, della distinzione tra vincere e convincere, distinzione che anche a me era capitato di fare in una lettera pubblicata da Il Regno nel 2005, al tempo del referendum (lettera che poneva questioni che sono rimaste senza risposta; cf. Regno-att. 12,2005,429). Dianich ha concentrato la sua attenzione soprattutto sulla «crisi dei rapporti con la società civile» e sul «dialogo con il mondo contemporaneo». Ma i problemi che sussistono nei rapporti ad extra della Chiesa sussistono anche nei rapporti ad intra. La difesa attenta della laicità dello stato e l’irritazione per ciò che suona come un’invadenza della Chiesa coinvolge anche parecchi credenti. Gli stessi elementi che fondano la crisi con la società civile fondano perciò anche la crisi con una parte significativa dei fedeli stessi, e pongono un’altra incognita sul futuro della Chiesa (incognita che si aggiunge a quelle esaminate da Dianich) e che tocca direttamente il modo di essere assieme, la comunione ecclesiale (tra pastori e fedeli, ma anche tra fedeli e fedeli, e tra pastori e pastori). Vorrei tentare di esaminare alcuni di questi elementi, parlando da semplice fedele che si rivolge ai suoi pastori (sine ira ma senza troppe reticenze). Democrazia, sinodalità. Noi tutti, anche i fedeli quindi, viviamo in democrazia e questo influisce anche sul modo di vivere la fede. Dianich afferma che «ci sono cattolici che danno l’impressione di non saper vivere in democrazia». Temo che questo atteggiamento sia piuttosto diffuso, anche tra i pastori, e soprattutto che ne sfuggano spesso le esigenze che l’annuncio della Parola pone tra i fedeli stessi. Le osservazioni che seguono si collocano più o meno tutte sul sottile crinale tra democrazia della società e sinodalità ecclesiale. Quando i miei pastori mi parlano, mi aspetto che mi annuncino il Vangelo. Ma se affrontano argomenti più incerti, come certi aspetti dell’etica, non basta affermare una cosa, deve essere credibile e non deve dar luogo a contraddizioni insanabili, ad esempio con la propria coscienza. Occorre argomentare, convincere gli altri, anche se questi altri sono i fedeli della diocesi di un vescovo o i fedeli di una Chiesa. E invece spesso chi ha autorità nella Chiesa si limita a enunciare, a emanare direttive. L’atteggiamento opposto fa parte della democrazia, del suo costume, ma fa parte anche, e questo è un punto cruciale, dello stile sinodale che caratterizza o dovrebbe caratterizzare la Chiesa, perché siamo tutti in un syn-odòs, un comune cammino di discepolato. I fedeli (almeno quelli che conosco io) credono al mistero della Chiesa, e conoscono il rispetto e l’assenso dovuto al magistero, ma non occorre abusare di questa fede. Affermare che la Chiesa non è una democrazia è un punto di partenza fondato, ma non esaurisce il problema e non può essere usato come alibi per uno stile autoritario nel reggere la Chiesa. Per due motivi: per quanto ho già detto sullo stile sinodale e poi perché, se si vuole veramente annunciare o riannunciare il Vangelo ai propri fedeli in Occidente, non si può prescindere da quanto è lì avvenuto dall’Illuminismo a Opera Madonnina del Grappa di Sestri Levante (GE) ESERCIZI SPIRITUALI DI QUARESIMA APERTI A TUTTI Dal 21 (pomeriggio) al 25 (mattina) marzo 2011: don Paolo Blasetti svolgerà il tema «La porterò nel deserto parlerò al suo cuore» (Os 2,16) Per informazioni: Rita De Micheli - Opera Madonnina del Grappa, p.zza P.E. Mauri, 1 - 16039 Sestri Levante (GE). Tel. 0185.457131 - Fax 0185.485403. 140 IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 oggi. Fa parte, per quanto possa sembrar strano, dell’inculturazione necessaria a un annuncio credibile, un annuncio che tenga conto della storia. Ma in realtà l’inculturazione della Chiesa nella civiltà delle democrazie occidentali non è affatto compiuta; il peso di una storia in cui la Chiesa è stata quasi sistematicamente dalla parte della reazione si fa sentire. Ci sono cose che fanno ormai parte dell’imprinting di chiunque in Occidente. La parte più cosciente (che spesso è anche quella più disposta a impegnarsi a fondo) dei fedeli accetterà sempre meno una normativa di cui non capisca il senso. E si è disposti all’ascolto di chi ti ascolta a sua volta, ma nessuno aderirà facilmente a chi dà anche solo l’impressione di non ascoltarti. E qui tocchiamo un altro punto dolente. Monodia o polifonia nella Chiesa. A cinque anni di distanza dal libro La differenza cristiana in cui Enzo Bianchi esortava a superare la «tentazione di non partecipare più al cammino ecclesiale» e auspicava uno «scambio dialogico tra i fedeli e l’autorità ecclesiastica», un dialogo autentico con i nostri pastori rimane difficile. Un solo esempio: nei due convegni di Firenze promossi da Giuseppe Ruggieri e Paolo Giannoni (maggio 2009 e febbraio 2010, i materiali sono sul sito web statusecclesiae.net; cf. Regno-att. 12,2009,375s e 6,2010,152), che radunavano cristiani provenienti da tutt’Italia, ci si è rivolti spesso ai nostri vescovi con domande e interpellazioni varie, ma non è mai arrivata, che io sappia, alcuna risposta pubblica o privata. Da parte dei vescovi non mancano azioni e prese di posizione evangelicamente incisive nell’ambito della propria diocesi (e basterebbe pensare al vescovo della mia città, il card. Tettamanzi), ma i singoli vescovi sembrano comportarsi spesso come se su alcune delle questioni che riguardano tutti non avessero una voce propria da far valere, da portare come contributo a un discernimento nella Chiesa. Mi domando: non è, questo, un impoverimento del loro carisma vescovile? Io ricordo lo sconforto, mio e di altri, quando anni fa voci insistenti dicevano che nelle assemblee della Conferenza episcopale italiana (CEI) non c’era spesso praticamente alcun dibattito. Assumersi la responsabilità di dire a voce alta il proprio pensiero (e di rispondere a voce alta alle domande dei fedeli) – oltre che una caratteristica irrinunciabile del dibattito pubblico all’interno delle società moderne (e qui torneremmo al discorso fatto sopra) – è anche un modo, nella Chiesa, per arrivare a soluzioni che siano frutto di un cammino comune, in cui ognuno porta ciò che a lui, e non ad altri, è donato dallo Spirito. Questo vale per i fedeli e vale a fortiori per i loro vescovi. Mi pare che esista un mito dell’unanimismo: si teme che una disparità di opinioni su certe questioni indebolisca l’annuncio. Ma la modernità ha rispetto per chi cerca con sincerità; non ne ha affatto per chi ostenta un’uniformità di facciata. E, dal punto di vista cristiano, questo atteggiamento segnala, credo, che manca la fede necessaria a riconoscere che una disparità di opinioni adeguatamente motivata è una risorsa – e non un danno – per la stessa unità della comunità ecclesiale, perché esaminare le opinioni diverse è un passaggio ineludibile per quel discernimento che conduce all’ascolto dell’unico Spirito («Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie. Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono», 1Ts 5,19-21) e per quella unità della Chiesa che si differenzia dall’uniformità. Su una questione nei tempi recenti si è sviluppato nella Chiesa italiana un dibattito ampio: il caso Englaro. Nonostante l’asprezza di certi toni, ritengo che questo dibattito sia stato un momento di crescita per la nostra Chiesa, proprio perché ha mostrato la possibilità di sostenere con buoni argomenti punti di vista diversi, e ha mostrato che non c’era affatto un consenso unanime nella Chiesa sulla tesi («è un assassinio») che alcuni sostenevano. In un testo dalla profonda spiritualità (cf. Regno-att. 6,2009,213), mons. Casale, arcivescovo emerito di Foggia-Bovino, difendendo la tesi dell’interruzione legittima di un accanimento terapeutico, espone il criterio ecclesiale che lo ha guidato: «Alcuni mi hanno accusato di aver svolto una parte extra chorum, cioè fuori della comunità. Ma, in coscienza, sento di esser stato sempre fedele alla mia missione di “pastore”, perché ho sostenuto le ragioni dell’amore... allo scopo di non far mancare la nota necessaria a rendere più armoniosa la voce della comunità». Penso che su queste frasi di mons. Casale la Chiesa italiana farebbe bene a riflettere a fondo. REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.51 Pagina 141 Tenere ai margini o accogliere. Parto da un esempio concreto. Si potevano seguire tempo fa, sul sito di Noi siamo Chiesa, le trattative piuttosto macchinose per un incontro tra la Presidenza della CEI e il responsabile per l’Italia di quel movimento ecclesiale. Posso anche capire le dovute cautele prima di ricevere qualcuno, comprendo che il tono dei testi di quel movimento possa non piacere, tuttavia credo occorrerebbe valutare che se qualcuno dei fedeli critica gli uomini di Chiesa questo significa che la Chiesa stessa gli sta a cuore (e questa non è forse, oggi, una merce rara e preziosa?). Un discorso analogo si potrebbe fare per quell’insieme di gruppi che va sotto il nome di Comunità di base. Non ho le competenze necessarie per dirimere torti e ragioni di una vicenda complessa. Mi limito a constatare che un pezzo di Chiesa viene tenuto ai margini. Questo significa che una parte della linfa che dalle radici sale al tronco va dispersa. Lasciando ai margini proprio quella parte dei suoi fedeli che è più attenta ai diritti civili nella nostra società, la Chiesa italiana non fa altro che porre le premesse di un proprio impoverimento, di una diminuzione della propria universalità e di un’ancora maggiore difficoltà a dialogare col mondo contemporaneo. Dianich ricorda che l’avversione alla Chiesa da parte della «società secolarizzata» non significa avversione al Vangelo, di cui viene chiaramente percepita la differenza rispetto al discorso condotto dalla Chiesa «solo ragionando sulla legge naturale» (Regno-att. 20,2010,720). È un’analisi che dà sollievo (anche se scoraggiante per altri versi), in qualche modo complementare alle tesi sostenute da un teologo come Christian Duquoc in un bel libro di dieci anni fa, «Credo la Chiesa», quando scriveva che certe autorità, «credendo di fondare la propria politica ecclesiastica sulla parola di Dio», sono guidate in realtà dall’«immagine idealizzata di una forma di Chiesa che ritengono immutabile perché di diritto divino» («Credo la Chiesa». Precarietà istituzionale e regno di Dio, Queriniana, Brescia 2001, 19), ma che di fatto è frutto soltanto di un certo quadro storico. La Chiesa è un dono di Dio. Pensare, da parte di fedeli, ma anche di pastori, che alcuni meritino di esser lasciati perennemente ai margini espone al rischio di farsi una Chiesa a propria immagine e somiglianza, invece che una Chiesa universale. I gesti profetici sono talvolta gesti minimi. C’era a Milano un gruppo che aveva un contenzioso con la Chiesa milanese. Si racconta che il card. Martini semplicemente si recò nella libreria che il gruppo gestiva e acquistò dei libri. Questo fu il passo iniziale di un cammino di riconciliazione. Ci sarà qualcuno nella Chiesa italiana capace di gesti profetici simili a questo? «La fede dei più deboli» e la nostra. Una speranza rattrappita? Ripartiamo dalla domanda cruciale sul futuro della Chiesa: Dianich si aspetta dal futuro (e noi lo speriamo con lui) una Chiesa purificata, «nella semplicità e nella povertà» (Regno-att. 20,2010,722), dalla perdita di consenso; però segnala che, nel presente, l’andamento delle cose «sta mettendo a rischio la fede dei più deboli» (Regno-att. 20,2010,717). Solo la fede dei più deboli? Certo, non è in gioco la fede nel Signore Gesù, ma qualcosa è mutato in quel punto della nostra professione di fede in cui diciamo «credo la Chiesa». Segnalo un paio di sensazioni che riguardano fedeli tra quelli presumibilmente più coscienti. A volte, nei partecipanti a quei grandi movimenti ecclesiali su cui i nostri pastori fanno molto conto, certi piccoli gesti segnalano che il sentimento di appartenenza al movimento stesso fa premio su quello di appartenenza alla Chiesa universale. È un fatto che andrebbe valutato attentamente, perché può avere un peso negativo su come la Chiesa evolverà nel futuro. L’altra osservazione riguarda me stesso e qualcuno dei miei amici più cari, quelli che mi sono sempre stati di edificazione sul piano della fede. Un tempo si cantava, sulle parole di una canzone del padre Duval: «Un peuple immense s’avance lentement, chants de joie, chants de peine, un peuple immense s’avance chantant. Ils n’ont pas de Père avec eux, mais leur mère, l’Eglise, les tient par la main» («Un popolo immenso avanza lentamente, canti di gioia, canti di dolore, un popolo immenso avanza cantando. Essi non hanno con loro un padre, ma la loro madre, la Chiesa che li tiene per mano»). Certo, era la fede schietta, un po’ ingenua dei giovani: la sensazione di un cammino che accomunava tutti. Oggi, quarant’anni di delusioni si fanno sentire: di fronte alla disattenzione che circonda i testi del Concilio nei comportamenti concreti della Chiesa, si pensa che l’istituzione in quanto tale sia irreformabile, e che si possa tentare di avvicinarsi al Vangelo solo in circoli ristretti. È una posizione impegnativa, che mette l’accento sulla conversione personale richiesta dal Vangelo di Gesù e forse meno sulla communio in bonis: e si potrebbe anche obiettare che Francesco dialogava con l’istituzione, e che papa Giovanni ne era a capo. Di fronte alle divisioni innegabili tra i fedeli, la prospettiva universalistica, alimentata un tempo da letture come quella di Vaste monde, ma paroisse di p. Congar, si è come infranta in mille rivoli, come uno specchio andato in pezzi. È come se la nostra speranza si fosse rattrappita, fosse diventata meno coraggiosa. È una mancanza di fede? Il p. Martini, oggi come tante altre volte, può darci una delle possibili risposte: «Un tempo avevo sogni sulla Chiesa. Una Chiesa che procede per la sua strada in povertà e umiltà... Oggi non ho più di questi sogni. Dopo i settantacinque anni ho deciso di pregare per la Chiesa. Guardo al futuro». (C.M. MARTINI, G. SPORSCHILL, Conversazioni notturne a Gerusalemme. Sul rischio della fede, Mondadori, Segrate [MI] 2008, 61s). Milano, gennaio 2011. Dario Maggi Alla ricerca di un dialogo Caro direttore, il card. Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio consiglio della cultura, ha parlato recentemente all’Accademia dei Lincei e qualche mese prima aveva convocato in Vaticano artisti, scrittori, registi cinematografici, uomini di spettacolo, a cui Benedetto XVI ha rivolto un discorso. Come responsabile del Pontificio consiglio il card. Ravasi opera per colmare lo iato tra Chiesa e mondo della cultura che in questi ultimi anni si è venuto accentuando. Il card. Ravasi è uomo colto (non solo in scienze bibliche) e affronta le questioni con signorilità e competenza. Ha sempre intrattenuto rapporti di amicizia con esponenti della cultura laica e ne conosce le movenze intellettuali, i dubbi, in qualche caso i tormenti, i sospetti, le diffidenze. Ama il colloquio paziente e rispettoso, fatto di amicizia e cordialità (cor ad cor loquitur, direbbe il grande Newman). Si muove, insomma, con finezza e rifugge dagli atteggiamenti gladiatori, non assenti in alcuni suoi colleghi della Roma curiale. Il mondo laico è sospettoso nei confronti della Chiesa: vecchi e nuovi sospetti che la Chiesa nella sua vicenda storica ha contribuito ad alimentaDopo la recente beatificazione di Karol Wojtyla, i Figli spirituali di Giovanni Paolo II organizzano il I CONCORSO GIOVANNI PAOLO II: «UNA LUCE DI SPERANZA NELLA CHIESA E NEL MONDO» Le iscrizioni devono pervenire entro il 15 marzo mentre la premiazione si terrà il 13 maggio ore 17,00. Il concorso è rivolto a tutti gli studenti e le classi degli istituti scolastici di Roma in occasione anche del 90° Anniversario della nascita del pontefice polacco. Per l’invio degli elaborati: Segreteria del Concorso, V.E. Florian n. 30, int. 3, 00173 Roma oppure Casella postale n. 4119 Roma Appio. Per informazioni: Tel./fax: 06.72671543 - Cell.: 329.10794416229532 - [email protected] - www.prayingwithkarol.org IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 141 REGATT 04-2011.qxd i 25/02/2011 15.51 Pagina 142 lettori ci scrivono re. Il mondo laico teme una Chiesa arrogante e dominatrice, autosufficiente e presuntuosa, che torni a imporsi sulla società, mettendo in crisi la laicità dello stato e l’assetto pluralista della società democratica. Un amico, di buona cultura, mi ricordava alcuni giorni fa la vicenda tormentata di Ernesto Buonaiuti, scomunicato vitando, contro il quale fu condotta da ambienti della curia romana una campagna durissima, volta a impedirgli l’insegnamento di Storia del cristianesimo all’Università «La Sapienza» di Roma. Non ritengo che l’amico pensasse che la vicenda di Buonaiuti, avvenuta molti anni fa, potesse ripetersi. Ma il fatto che me la evocasse rivelava in lui la presenza del sospetto. Un denso contributo del teologo Severino Dianich riflette su questi problemi e ci invita alla riflessione: «Il non credente dei paesi di antica tradizione cristiana, per aprirsi all’ascolto del messaggio evangelico, deve superare i sospetti che gli vengono dalla storia sulla natura della Chiesa, vecchie avversioni e avversioni nuove, provocate dalle sue prese di posizione su problematiche oggi molto sentite, dalle quali egli ricava l’idea che essa intenda tornare a imporsi alla società, minandone la struttura laica e l’assetto democratico» (Regno-att. 20,2010,719s). Si sta verificando così una situazione paradossale – nota con acutezza Dianich – per cui la Chiesa viene sospettata di mettere in pericolo alcuni valori, a causa dei quali alle sue origini essa veniva perseguitata. Se la Chiesa sta diventando per molti l’ostacolo principale alla sua proposta di fede, bisogna liberare la strada della comunicazione della fede dagli ostacoli che si frappongono. Il concilio Vaticano II ha indicato alcune linee di fondo: enunciare la verità con rispetto e amore che «deve estendersi pure a coloro che pensano od operano diversamente da noi nelle cose sociali, politiche e perfino religiose», sicuri che «con quanta maggiore umanità e amore penetreremo nei loro modi di sentire, tanto più facilmente potremo con loro iniziare un colloquio» (Gaudium et spes, n. 28; EV 1/1406). DIREZIONE E REDAZIONE Via Nosadella, 6 40123 Bologna tel. 051/3392611 - fax 051/331354 www.ilregno.it e-mail: [email protected] DIRETTORE RESPONSABILE p. Lorenzo Prezzi VICEDIRETTORE CAPOREDATTORE PER ATTUALITÀ Gianfranco Brunelli CAPOREDATTORE PER DOCUMENTI Guido Mocellin SEGRETARIA DI REDAZIONE Chiara Scesa ABBONAMENTI tel. 051/4290077 - fax 051/4290099 e-mail: [email protected] QUOTE DI ABBONAMENTO PER L’ANNO 2011 Il Regno - attualità + documenti + Annale 2011 - Italia € 61,00; Europa € 99,50; Resto del mondo € 111,50. REDAZIONE p. 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N. 2237 del 24.10.1957. 142 IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 Ha delineato parimenti l’immagine di una Chiesa non prigioniera di compromessi, di calcoli astuti, di diplomazie mondane, ma umile e povera, mite e misericordiosa, limpida icona delle beatitudini evangeliche. Una Chiesa desiderosa di avvicinare tutti, libera dall’ansia di scontrarsi con degli avversari, unicamente desiderosa di donare al mondo le parole del Vangelo. Cremona, 11 gennaio 2011. Massimo Marcocchi Breviario per Lambiasi Caro direttore, anzitutto i miei complimenti per l’aspetto signorile e raffinato che ha assunto la rivista (ma perché gli inchiostri sono spesso così pallidi? La mia vista un po’ deteriorata di ottantasettenne fa una certa fatica a leggere, specialmente gli scritti in corsivo). Ho dato una scorsa (e mi riprometto un esame più attento capitolo per capitolo) del bellissimo scritto di mons. Lambiasi (cf. Regno-doc. 1,2011,41): la qualifica di «lettera pastorale» è notevolmente riduttiva: non è certo una di quelle lettere che vengono periodicamente fatte leggere nelle chiese della diocesi, la cui lettura non dovrebbe durare più di 15 minuti, tempo medio della capacità di ascolto continuo da parte degli uditori: a una preziosa puntuale confessione sulla propria vita, segue un vero e proprio trattato che delinea la figura ideale del cristiano e non trascura nessun argomento o problema, dalla fede alla carità, dalla gioia al dolore (e al «dolore innocente»), dalla verginità al matrimonio, dal comportamento nella Chiesa a quello nella società civile ecc. A me però è venuto in mente lo stringato «breviario», che le espongo; se lo riterrà interessante o di un qualche valore e lo pubblicherà, ne sarò onorato; se no, lo butti tranquillamente nel cestino. «Come si forma un cristiano “adulto”? Coltivando il proprio battesimo. Il battesimo, infatti, non è soltanto il sacramento che immette un individuo nel popolo di Dio, ma, come ogni sacramento infonde nel battezzato i suoi specifici doni (altrimenti detti grazia sacramentale), doni preziosissimi, che investono tutta la potenziale personalità del battezzato: la regalità, la profezia, il sacerdozio. Certo, se questi doni vengono ignorati (come penso succeda per la maggior parte dei battezzati) o trascurati, non ne consegue alcuna crescita nella fede né alcun discernimento attivo sul proprio comportamento; il massimo che si possa sperare è una passiva ottemperanza a precetti assunti nel loro aspetto più formale ed estrinseco, quando non superstiziosamente egoistico… La regalità ha un duplice aspetto. Significa anzitutto per il battezzato, dignità, signoria su sé stesso, capacità di governarsi al di sopra dei propri istinti e delle proprie passioni (o anche delle proprie simpatie e preferenze) e di relazionarsi in modo ineccepibile nei rapporti con gli altri, riconoscendo la dignità e i valori altrui; significa saper ascoltare, dialogare e discernere e, all’occorrenza, saper ammonire e decidere. Tutto questo ovviamente non per scienza infusa, ma per progressiva presa di coscienza delle possibilità garantite dal dono battesimale. Il dono della profezia è forse il più difficile da intendere: se profezia vuol dire parlare a nome di Dio, l’esercizio di questa facoltà richiede l’ispirazione dello Spirito; senza escludere questa eccezionale possibilità, sia a livello personale sia collettivo (cf. il concilio Vaticano II), il dono profetico importa per il battezzato la possibilità di entrare profondamente nella verità del cristianesimo e di purificarla dai condizionamenti storici e dalle derive teologiche (come, ad esempio, quella esiziale del cruento «sacrificio cultuale» imposto dal Padre al Figlio in «riparazione» dei peccati degli uomini); nonché di accogliere, senza scandalo, gli approfondimenti e le chiarificazioni conseguenti appunto all’evoluzione del livello culturale tanto interno al mondo cristiano quanto esterno a esso. Infine il sacerdozio pone il cristiano alla presenza continua di Dio e gli consente di rendergli culto con tutto sé stesso, con i propri pensieri e con le proprie azioni, in un permanente cammino di santificazione». Genova, 9 febbraio 2011. Giuseppe Ricaldone REGATT 04-2011.qxd 25/02/2011 15.51 Pagina 143 La nostra società accoglie il cristianesimo? Solo a metà “ IO NON MI VERGOGNO DEL VANGELO “ M i chiamano a Padova a parlare di «segni di accoglienza» del cristianesimo nell’Italia di oggi e imprudentemente accetto. Il «corso» ha come titolo «Cristianesimo e società civile» e ci sono altre serate con Paola Binetti, Antonio Polito, Marcello Pera e Massimo Introvigne che indagano sull’influenza cristiana e sull’anticristianesimo nei nostri giorni. VIENE ACCOLTA LA CARITÀ MA VIENE RESPINTO IL RICHIAMO A DIO «Abbiamo pensato che lei era adatto per i segni di accoglienza» mi dice il gesuita Mario Ciman – dell’Associazione ex alunni Antonianum – che è tra gli organizzatori. Ringrazio. Mi piace andare controcorrente. Ma che fatica. Avessi dovuto trattare di «attacchi al papa» o di «Chiesa derisa» avevo i dossier pronti sugli scaffali. In uno di essi c’è il volumetto di Rosa Alberoni La cacciata di Cristo (Rizzoli, Milano 2006) che ho messo accanto a quello di Silvano Fausti Elogio del nostro tempo. Modernità, libertà e cristianesimo (Àncora, Milano 2006) nella speranza che si contaminino a vicenda. Rileggo gli appunti delle conferenze su modernità e cristianesimo che vado tenendo da quasi quarant’anni e formulo questo motto: il cristianesimo oggi in Italia è accolto per il servizio all’uomo, ma è respinto per il richiamo a Dio. La cultura postmoderna si sente amica del comandamento dell’amore, ma non intende o irride alla speranza della vita eterna. Giuliano Amato afferma che i cristiani «hanno una marcia in più» nella cura del prossimo, Piergiorgio Odifreddi giura che la fede in Dio è «incompatibile con la cultura moderna». A volte l’accoglienza di elementi originariamente cristiani – poniamo la distinzione tra ciò che è di Cesare e ciò che è di Dio, che è a fondamento della moderna laicità – è più ampia di quanto non percepisca una parte della società. Altre volte gli stessi cristiani non si avvedono del fermento evangelico che ha aiutato la società a maturare scelte che ora sono rivendicate in apparente o reale contrasto con la tradizione cristiana: poniamo la bandiera della parità tra uomo e donna che deriva dalle parole di Paolo: «Non c’è più maschio né femmina». È tanto diffuso l’apprezzamento per quanto fa la Chiesa nel servizio all’uomo, che si ascolta spesso l’appello ai cattolici perché concentrino su quel servizio le proprie energie, riconvertendo in tale direzione anche l’impegno che si ostinano a profondere nella predicazione della risurrezione dei morti e dei valori non negoziabili. Tanto che il card. Angelo Bagnasco più volte ha sentito il bisogno di rispondere a quelle sollecitazioni: «Aspettarsi che i cattolici si limitino al servizio della carità perché questo è un fronte che raccoglie consensi e facili intese, chiedendo invece l’afasia convinta o tattica su altri versanti ritenuti divisivi e quindi inopportuni, si- gnificherebbe tradire il Vangelo e quindi Dio e l’uomo» (ad apertura della XLVI Settimana sociale dei cattolici italiani il 14.10.2010 a Reggio Calabria). Il papa in un paio di occasioni ha descritto la partita doppia della moralità contemporanea, una parte della quale vede il consenso mentre l’altra sperimenta il conflitto con la predicazione della Chiesa. Ecco come ne parlò ai vescovi svizzeri il 9 novembre 2006: «Nella nostra epoca, la morale si è come divisa in due parti. La società moderna non è semplicemente senza morale, ma ha, per così dire, “scoperto” e rivendica una parte della morale che, nell’annuncio della Chiesa negli ultimi decenni e anche di più, forse non è stata abbastanza proposta. Sono i grandi temi della pace, della non violenza, della giustizia per tutti, della sollecitudine per i poveri e del rispetto della creazione (...). L’altra parte della morale riguarda la vita (…) cioè la sua difesa contro l’aborto, contro l’eutanasia, contro la manipolazione e contro l’autolegittimazione dell’uomo a disporre della vita. In questo contesto si pone poi anche la morale del matrimonio e della famiglia (…). E io penso che noi dobbiamo impegnarci per ricollegare queste due parti della moralità». CI SONO ANCHE TEMI CHE IL MONDO GUARDA CON FAVORE Nel volume Luce del mondo, alle pagine 39-40, il papa torna su questo tema della «moralità della modernità», osservando che oltre ai temi morali cristiani che provocano «contrasto con il mondo» ci sono anche temi «che il mondo accoglie con favore». Elenca diritti umani, pace, libertà, conservazione del creato: «La modernità (…) ha in sé grandi valori morali che vengono proprio anche dal cri- IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 143 25/02/2011 15.51 Pagina stianesimo, che solo grazie al cristianesimo sono entrati nella coscienza dell’umanità. Là dove essi sono difesi – e devono essere difesi dal papa – c’è adesione in aree molto vaste». Da giornalista osservo che se questi riconoscimenti – di una seria morale della modernità – fossero più diretti, o frequenti, forse ne risulterebbe ridotta l’incomprensione dei nostri contemporanei per gli altri temi, che provocano tanto contrasto. Potrebbe anche essere utile il riconoscimento – che è già in grandi testi magistrali, a partire dalla Gaudium et spes, ma che aiuterebbe se venisse proposto nella trattazione di questioni d’attualità – di quanto di buono la stessa Chiesa ha ricevuto dalla modernità, anche come aiuto alla comprensione dei temi morali. NON SI DICE MAI CHE I CRISTIANI IMPARANO DAGLI ALTRI Per quest’aspetto voglio richiamare un passaggio del «saluto» alla Settimana sociale dei cattolici italiani del 2007 portato dal vescovo ospitante, che era quello di Pisa, oggi emerito, Alessandro Plotti, di cui amo la libertà di parola fin da quando era ausiliare di Roma: «È importante per il mondo che esso riconosca la Chiesa quale realtà sociale della storia e suo fermento, ma è altrettanto importante che la Chiesa non ignori quanto abbia ricevuto e riceva dalla storia e dallo sviluppo umano». Proviamo ad applicare questo principio alla pedofilia e alle truffe finanziarie: le nuove leggi emanate lo scorso anno in queste due materie da Benedetto XVI sono tributarie del progresso compiuto in esse dalle moderne società secolari. Anche nell’affinamento dell’assistenza ai malati e della cura dei disabili, come di ogni altro aspetto del soccorso all’uomo, gli ambienti cristiani – che pure erano partiti per primi – hanno molto «ricevuto» da quelli secolari. Perché non dirlo? Ecco – sulla base della mia esperienza di giornalista che si applica ai segni cristiani nella nostra epoca – una breve descrizione per tipologie dei temi nei quali il cristianesimo trova oggi accoglienza diretta o indiretta. Diretta da coloro che l’abbraccia- 144 IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2011 144 no, indiretta da quanti apprezzano l’altrui accoglienza. Malati di AIDS che si convertono e prostitute, carcerati, drogati, ex banditi ed ex terroristi che fanno altrettanto, quando sperimentano un abbraccio fraterno, o qualcuno procura loro un libro dei Vangeli. Come al tempo di Gesù, anche oggi ai poveri è annunciata la buona novella. Beati i poveri. L’aiuto al terzo e quarto mondo. Il volontariato internazionale e quello nazionale. Il soccorso ai senzatetto. Le mense, le docce, i dispensari farmaceutici per quanti sono privi di ogni assistenza. La sollecitazione ai governi perché destinino una parte del nostro benessere ai popoli poveri. QUANDO IL PARLAMENTO FINANZIA LE MISSIONI DI PACE Beati quelli che sono nel pianto. Il volontariato ospedaliero. L’assistenza a domicilio. Il trattamento dei bambini negli ospedali. La clown-terapia: beati voi che piangete perché riderete. Beati i miti e beati gli operatori di pace. Gli obiettori di coscienza, il movimento per la pace, i pacifisti. Sì, anche loro. La dottrina e la pratica dell’ingerenza umanitaria. Il ruolo dei cristiani in questo impegno è ben evidente ed è generalmente apprezzato. Ed essi dovrebbero sentirsi in causa quando il Parlamento finanzia le missioni di pace. Beati i misericordiosi. Il perdono dato e accolto. Ci sono testimonianze laiche perfettamente simmetriche a quelle religiose. Chi si occupa dei carcerati. Le attestazioni di perdono “ IO NON MI VERGOGNO DEL VANGELO “ REGATT 04-2011.qxd delle famiglie Bachelet, Taliercio, Tobagi, Chinnici, Borsellino – e tante altre – hanno ricevuto una buona accoglienza nell’Italia secolare. Ed erano cristianesimo vissuto. Accettazione del diverso e aiuto ai disabili. La convenzione dell’ONU sui portatori di handicap non l’avremmo avuta senza il fermento cristiano, ma oggi anche tra i non cristiani vi sono forti sostenitori di questa impresa. Chi si adopera per la vicinanza ai ciechi. Conosco un movimento tutto laico che pratica esperienze di buio per accompagnarsi a chi non vede. Accoglienza dello straniero, immigrati e profughi. Mai così buona come oggi, pur tra tante contraddizioni. In nessun luogo così generosa come in nazioni a maggioranza cristiana, o già cristiane. SE LA NON DISCRIMINAZIONE DISCRIMINA LE CHIESE Non uccidere. La pena di morte. Certo incontriamo qui la contraddizione dell’aborto. Ma anche in contesti secolari si sperimentano forme nuove di accoglienza della vita: cito la possibilità per la madre di non riconoscere il bambino partorito. È un passo importante delle società postmoderne che recuperano per via legislativa il soccorso prestato in passato attraverso le istituzioni caritative delle «ruote» e degli «esposti». Lo recuperano e lo migliorano, io direi. Contro ogni discriminazione. Quando leggiamo di tribunali del lavoro che ingiungono a enti e aziende di risarcire dipendenti licenziati o retrocessi perché hanno una menomazione, o per anzianità: un’hostess non può avere le rughe. Qui abbiamo un caso nel quale un principio cristiano che finalmente trova concreta applicazione non viene più riconosciuto come cristiano – e neanche come originariamente cristiano – e anzi tende a essere usato contro le Chiese cristiane, quando queste escludono le donne dal sacerdozio e gli omosessuali dal matrimonio. Qui c’è molto da riflettere. E perciò mi fermo. Luigi Accattoli www.luigiaccattoli.it