RASSEGNA STAMPA CGIL FVG – martedì 12 gennaio 2016 (Gli articoli di questa rassegna, dedicata prevalentemente ad argomenti locali di carattere economico e sindacale, sono scaricati dal sito internet dei quotidiani indicati. La Cgil Fvg declina ogni responsabilità per i loro contenuti) ATTUALITÀ, ECONOMIA, REGIONE (pag. 2) Shopping free solo a Grado e Lignano (Piccolo) Dal Pd “fuoco amico” sul velo di Serracchiani (M. Veneto) La Regione passa l’esame sui fondi europei (Piccolo) Calano i nati in Fvg. San Daniele, l’ospedale va sotto quota mille (M. Veneto) Si riapre la gara per il trasporto pubblico (Piccolo) Crollo della fiducia. Tiene solo Cosolini (M. Veneto) Via al dopo Squinzi. Summit Fvg-Veneto: «Peserà il nostro voto» (M. Veneto) Ribaltone in Electrolux. Il flop Usa travolge McLoughlin (M. Veneto, 2 articoli) «Per i premi al personale siano i dirigenti a pagare» (M. Veneto) Hera, quattro acquisizioni per crescere ancora (Piccolo) CRONACHE LOCALI (pag. 12) Meno letti in ospedale e più cure sul territorio (M. Veneto Udine) Emergenza casa: più di mille famiglie senza alloggio Ater (M. Veneto Udine) Sintesi, rientro al lavoro senza stipendi (M. Veneto Pordenone) Negozi Bernardi sempre più vicini alla riapertura (M. Veneto Pordenone) Vigili del fuoco sempre più allo stremo (M. Veneto Pordenone) La rotta turca traina la ripresa del porto (Piccolo Trieste) «Tribunale ingestibile? Uniamoci a Trieste» (Piccolo Gorizia-Monfalcone) ATTUALITÀ, ECONOMIA, REGIONE Shopping free solo a Grado e Lignano (Piccolo) di Furio Baldassi TRIESTE Una sfida. No, meglio, la classica crepa che vuol far saltare la diga. Perchè la giunta di Debora Serracchiani, non ci piove, ci tiene al suo disegno di legge 129 riguardante il riordino e la semplificazione della normativa sul settore terziario. Quello che disciplina orari, aperture, regime degli outlet, turismo, ma soprattutto inserisce un sottile cuneo che, fuor di metafora, è quello riguardante le festività: la Regione impone la chiusura di tutti i negozi in nove giornate preparandosi alla “battaglia” con Roma. Per creare un precedente più che per vincere. Il disegno di legge non tocca le domeniche. Anzi, le direttive inserite nella famosa legge regionale 29/2005 (quella col massimo di 25 domeniche aperte, già cassata da Roma) non esistono più. Viene definitivamente abbandonato «il rispetto degli orari di apertura e di chiusura, l’obbligo della chiusura domenicale e festiva, nonché quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale dell’esercizio». Ma lo stesso disegno di legge introduce almeno nove chiusure totali nelle festività più popolari. Il testo le definisce indicando come date “obbligatorie” per le serrande abbassate il 1° gennaio, Pasqua e Lunedì dell’Angelo, 25 aprile, 1 maggio, 2 giugno, Ferragosto, 25 e 26 dicembre, e cioè Natale e Santo Stefano. Una botta sui denti per i teorici del liberalismo totale, ma tant’è. E c’è anche una data: quella del 1° ottobre 2016, in cui il provvedimento dovrebbe partire, Roma permettendo. La bozza crea un’enclave “protetta” a Grado e Lignano, le sole località turistiche riconosciute in Friuli Venezia Giulia, le uniche che manterranno il potere di “gestirsi” gli orari. E potranno derogare alle chiusure obbligatorie per legge. Il più diretto interessato, il vicepresidente Bolzonello, che porta avanti questa battaglia ideale, assicura peraltro che la bozza «è un’ossatura di base su cui verranno inseriti molti nuovi concetti a fine mese. Ci serviva avere adesso un’ipotesi di testo pronta per impegnare i fondi». Ma, regime delle aperture-chiusure a parte, non si può dire che il testo sia privo di novità. Figlie dirette di un comparto dove la scioltezza nei comportamenti è praticamente di casa. Prendiamo il regime degli outlet: una giungla. Tanto che l’esecutivo sente il bisogno, «a fini di tutela della concorrenza», di «evitare che la denominazione di outlet venga utilizzata in modo improprio, nei casi in cui l’esercizio non effettui la vendita di prodotti outlet ossia prodotti fuori produzione, di fine serie, in eccedenza di magazzino, prototipi o difettati». Che qualcuno ci marci? Certo che sì. Tanto che per raggiungere tale obiettivo si prevede che i prodotti outlet vengano tenuti separati dagli altri e che, secondo l’applicazione dei principi generali, «i prezzi vengano indicati facendo riferimento che si tratta di prodotti outlet e, in caso di vendite promozionali o straordinarie, vengano ulteriormente ribassati». Una maniera elegante di frenare certi malcostumi e lo smercio di fondi di magazzino. Puniti anche con una sanzione amministrativa pecuniaria, «sia nell’ipotesi in cui la denominazione di outlet venga usata dagli esercizi che non vengono prodotti outlet, sia nell’ipotesi in cui i prodotti outlet non siano tenuti separati, o nel caso in cui non vengano osservate per i prodotti outlet le norme in materia di prezzi e vendite straordinarie». Altra news: verranno riorganizzati i Centri di assistenza tecnica alle imprese (Cat), «nell’ottica di creare un referente unico per l’amministrazione regionale cui delegare in maniera unitaria, per tutto il territorio regionale, le funzioni pubbliche relative alla formazione professionale e alla concessione di contributi a favore delle imprese». Non sottovalutatelo: l’attività facoltativa di aggiornamento professionale svolta nei nuovi Catt Fvg può essere registrata su un apposito libretto. E la formazione facoltativa così registrata può dare diritto a “premi” nella concessione dei contributi gestiti dal Catt medesimo. Dal Pd “fuoco amico” sul velo di Serracchiani (M. Veneto) di Domenico Pecile UDINE Velo in italiano, hijab in arabo. Nella fattispecie - come lei stessa l’ha definita - era una leggera pasmina indossata come copricapo per rispetto del Paese ospitante, l’Iran. Un gesto che è diventato immediatamente un caso politico: altra benzina sul fuoco delle polemiche che investono mezza Europa soprattutto dopo i fatti di Colonia. E l’attacco più severo alla presidente Debora Seracchiani è fuoco amico: il senatore Lodovico Sonego del Pd spara infatti alzo zero, parlando di «immagine dolorosa, a maggior ragione dopo i fatti di Colonia. Ho sempre considerato un errore la prassi del capo coperto, anche in occasione di visite al sommo Pontefice». Per Sonego si tratta «di un’ostentazione della sottomissione della donna e della negazione dell’uguaglianza rispetto all’uomo. In altri termini la violazione del principio dell’uguaglianza tout court». Poi, l’affondo: «Quella sottomissione è ancor più inaccettabile se assentita da chi ricopre una rilevante carica istituzionale ed esercita un’importante funzione di leadership politica nazionale. Donne a capo coperto mai, innanzi a chiunque». Immediata la replica da Teheran. «La speciale attenzione del senatore Sonego verso i miei copricapi sarebbe degna di miglior causa, ma ancora una volta lo ringrazio del trattamento speciale. Un’attenzione critica che il senatore Sonego - ribatte Serracchiani - non ha esercitato sul velo indossato in occasione delle visite in Iran dell’alto rappresentante Ue per la sicurezza, Federica Mogherini, del ministro dell’Istruzione Stefania Giannini, del ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi, o dell’allora ministro degli Esteri, Emma Bonino». La presidente ricorda a Sonego che per andare in Iran «le donne devono indossare un velo, altrimenti si resta a casa e fuori da quel Paese. Io, che come donna non ho davvero alcun senso di inferiorità, preferisco mettere sul capo una leggera pashmina e aprire dialoghi e rapporti commerciali a livello governativo anziché escludere da tutto questo la mia Regione e il mio Paese». «Serracchiani e Sonego continuino pure a scambiarsi le loro diverse opinioni. Per quel che ci riguarda, qui non c’è un velo sì o no e nemmeno un prima o un dopo Colonia ma semplicemente si tratta di rispettare culture e tradizioni dei Paesi», dichiara il capogruppo di Fi in Regione, Riccardo Riccardi. Se per Serracchiani vale il rispetto dei Paesi dove si è ospiti - aggiunge - «ora mi aspetto che appena ritornata a casa utilizzi il suo ruolo istituzionale e tutto il peso politico per non far mancare in nessuna classe delle nostre scuole il crocifisso. E resto anche in attesa che scriva immediatamente al Garante dei diritti nominato dal Pd per spiegargli, come lei pare abbia fatto nella sua visita, come il rispetto delle culture non rappresentino prevaricazioni nei confronti di alcuno». E sul fronte dei “nemici” del velo della Serracchiani si pone anche Taher Djafarizad, che da 30 anni vive nel pordenonese. «Voglio ricordare che decine di donne iraniane sotto l’attuale presidente per non portare il velo sono state acidificate. Nonostante ciò, sempre più donne indossano un fazzoletto così piccolo che non copre nemmeno i capelli. Nel mio Paese le donne rappresentano il 53 per cento della popolazione e sono sempre di più quelle che combattono il velo. Io dico - afferma - che la Serracchiani non rischiava nulla e avrebbe dovuto pensare ai diritti e alle battaglie delle donne iraniane. Ma evidentemente è prevalso il business». A difesa della Serracchiani interviene il segretario udinese del Pd, Enrico Leoncini, il quale sottolinea che «la presidente si trova in Iran per importanti relazioni e accordi economici» e che «le donne devono indossare un velo per andare in Iran, in caso contrario, non è possibile entrare nel Paese». Insomma, «è vergognoso attaccare un “gesto” che altro non è che un segno di rispetto nel confronto di un Paese che ha una cultura differente dalla nostra». Il leader della Lega Matteo Salvini si affida a Facebook, posta un paio di foto della governatrice a colloquio con il vice ministro iraniano all’Industria e Commercio, Hossein Esfahbodi, corredato da un testo lapidario: «Ecco come la governatrice del Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani, si “vela” in viaggio in Iran... robe da matti!». Salvini, per sferrare un attacco più articolato, si affida al segretario regionale Massimiliano Fedriga. «Proprio in un momento come questo, dove i fatti di Colonia evidenziano il rischio pesantissimo che in Europa venga importata quella cultura che vede la donna come oggetto sottomesso e privo di dignità, Serracchiani va in Iran e, come se nulla fosse, si fa imporre il velo quale emblema della sottomissione della donna». Fedriga parla di «cultura debole, dove diritti conquistati con serie battaglie culturali vengono svenduti». Tutto questo, secondo l’esponente «fa capire quale sia la linea del Pd: farci imporre qualsiasi elemento estraneo alla nostra cultura e svendere la nostra gente e la nostra identità». E mentre la politica si divide tra colpevolisti e innocentisti, La Vita Cattolica sul suo sito, nel ricordare che in Iran lo hijab è obbligatorio, titola così l’articolo: «Serracchiani col velo islamico in Iran, scoppia una polemica sul nulla». Sul nulla perchè la governatrice si è semplicemente «adattata a una regola» ancorché ferrea e imposta coi metodi draconiani della polizia religiosa. Più che alla querelle sul velo che comunque a suo avviso dimostra che non esiste reciprocità nel rispetto delle regole dei Paesi, la parlamentare di Fi, Sandra Savino, si dice «maggiormente interessata a conoscere i costi della trasferta e quale reale beneficio in termini economici sarà in grado di generare per il Fvg». «L’onorevole Savino non perde occasione per sollevare inutili polemiche, anche quando ciò significa calpestare gli interessi delle nostra regione e delle nostre imprese» è la secca replica della segretaria del Pd del Fvg, Antonella Grim. Che nel difendere l’operato della Regione aggiunge che «oltre a evitare attacchi sterili è opportuno che davvero tutti si astengano dall’immaginare foschi retroscena o dall’elucubrare su questioni pseudo-religiose, magari collegandoli ai drammatici fatti di Colonia, che con questo nulla hanno a che fare». Infine, ieri sera a margine della presentazione del suo libro a Udine, anche Stefania Craxi, figlia dell’ex statista ha voluto commentare la vicenda del velo indossato dalla presidente del Fvg. «Se si va a un colloquio ufficiale, a rappresentare il proprio Paese - sono state le sue parole - il velo non si indossa. Se, invece, ci troviamo di fronte a un’autorità religiosa il velo si mette, così come facciamo noi donne di fronte al Papa. Anche nel caso si tratti di una forma di rispetto si può mettere, mentre di fronte a un’autorità civile e a una pretesa di sottomissione credo che si debba dire di no. È molto semplice». Poi, sorridendo, Stefania Craxi ha chiosato in questo modo: «Di mio, io sono per la libertà di foulard». La Regione passa l’esame sui fondi europei (Piccolo) TRIESTE Una Regione »soddisfacente» nella gestione dei Fondi europei. Lo pensa l’Osservatorio del “Sole 24 Ore gruppo Clas”, che ha esaminato i comportamenti più o meno virtuosi delle Regioni italiane a confronto con i target stabiliti dalla Ragioneria dello Stato. Che si preoccupa affinchè le risorse comunitarie non finiscano in cavalleria, in quanto le amministrazioni periferiche non sono in grado di spenderle. Secondo la graduatoria stilata dall’Osservatorio, il Friuli Venezia Giulia è promosso sia per quanto riguarda il Fondo sociale europeo (Fse) che il Fondo europeo sviluppo regionale (Fesr). Decisamente migliore la performance nel secondo rispetto al primo, come ci accingiamo a verificare. Infatti nel Fse la Regione Fvg si classifica al settimo posto nazionale, essendo “sotto” di un tollerato - 1,9% rispetto al target indicato dalla Ragioneria centrale relativamente a una spesa pari a 13,5 milioni. Le più virtuose sono Emilia Romagna (+5,4%), la Provincia autonoma di Trento (+3,2%), il Veneto (+2,4%), la Campania allo 0%. Oltre al Fvg, le altre “tollerate”, cioè con uno scostamento non patologico rispetto al target assegnato, sono Piemonte, Toscana, Calabria e Marche. Tutte le altre nel girone delle “reprobe”, comprese insospettabili come la Provincia di Bolzano, la Valle d’Aosta, la Lombardia. Adesso passiamo alla seconda fattispecie, il Fesr. Qui il raffronto tra spesa e target risulta molto più lusinghiero per la Regione Fvg, che si piazza al secondo posto nazionale battuta per virtù amministrativa dalla sola Puglia, che invece sul Fse è in zona retrocessione. Sul versante del Fondo vocato allo sviluppo regionale Trieste migliora addirittura del 6,4% il target assegnato da Roma, relativamente a una spesa di 4,6 milioni. Nel girone delle virtuose disco verde per Liguria (+6,2%), Valle d’Aosta (+5,4%), Emilia Romagna (+4,7%), Toscana (+1,3%), Lombardia (+0,7%). Tollerato il solo Molise, distante del 4% rispetto ai compiti impartiti dalla Ragioneria. Tutte le altre bocciate: anche in questo caso il criterio geografico non regge, perchè tra le meno pronte nello spendere gli eurodenari ci sono Veneto (il peggiore con un eclatante - 29,2%), Provincia di Trento (-17%), la recidiva Provincia di Bolzano (-8%). magr Calano i nati in Fvg. San Daniele, l’ospedale va sotto quota mille (M. Veneto) di Anna Buttazzoni UDINE Una tendenza negativa che prosegue e che conferma la necessità di decidere, e in fretta, quali Punti nascita chiudere. I dati sono provvisori e non certificati dalla Regione (mancano alcuni numeri e relativi flussi), ma l’andamento è consolidato e dice che in Friuli Venezia Giulia si fanno sempre meno figli. Al 31 dicembre 2015 i nati in regione sono stati poco più di 8 mila 800, contro i 9 mila 258 del 2014, oltre il 5 per cento in meno. Sospira l’assessore regionale alla Salute, Maria Sandra Telesca, che riconosce l’impossibilità a invertire il trend ma anche la necessità di scegliere in fretta quali Punti nascita della regione rafforzare per accorpare il servizio. E poi c’è da impegnarsi su welfare e politiche del Lavoro, per aiutare le famiglie e favorire una ripresa delle nascite. In Fvg sono operativi 10 Punti nascita e i dati provvisori svelano un calo dei parti in sette strutture, da Trieste a Udine, da Pordenone a San Vito fino a Tolmezzo. Non solo. Perché San Daniele, centro che nel 2014 superava ancora i mille nati l’anno, al 31 dicembre non ha raggiunto i 900, facendosi scavalcare dall’ospedale di Pordenone mentre un anno prima San Daniele aveva fatto registrare il sorpasso sulla struttura della Destra Tagliamento (dove è in funzione anche una struttura privata come Punto nascita, al policlinco San Giorgio). Sono tre invece i reparti dove i nati aumentano, Monfalcone, Palmanova e Latisana, ciascuno per motivazioni diverse. Monfalcone ha l’incremento più accentuato, perché a fine giugno 2015 la giunta regionale di Debora Serracchiani ha deciso di chiudere il Punto nascita di Gorizia, per i pochi parti in un anno, di gran lunga sotto quota 500 fissata dal ministero come soglia che garantisce la sicurezza di mamme e figli. Una quota destinata a salire a 1.000 parti l’anno e sulla quale il dibattito si è riacceso negli ultimi giorni a causa delle tragedie in Veneto, Lombardia e Piemonte, tragedie dal bilancio (pesantissimo) con cinque madri e tre bimbi morti. La giunta, in tempi brevissimi garantisce Telesca, comunicherà quale Punto nascita sarà chiuso tra Palmanova e Latisana. Nella città stellata i parti sono aumentati rispetto al 2014 (una quindicina i parti in più), una salita determinata soprattutto dalla chiusura del centro di Gorizia. Anche a Latisana salgono i parti (circa 40 in più) e l’incremento è stato determinato dalla temporanea chiusura del Punto nascita di Portogruaro. «C’è un problema generale di diminuzione delle nascite – commenta Telesca – e come giunta siamo impegnati a migliorare i servizi di welfare e lavoro per invertire il trend, impresa comunque difficile. E poi c’è il nodo di dove le mamme vanno a partorire e su questo fronte abbiamo il dovere di garantire la sicurezza di madri e bimbi e i dati, seppur provvisori, ci confermano che il servizio nascita e di pediatria va concentrato, chiudendo i centri che non garantiscono sicurezza. Quali Punti nascita chiudere e dove concentrare il servizio? Stiamo ancora valutando le soluzioni migliori ma decideremo in tempi brevi». Sul fronte economico, invece, Telesca ripete i provvedimenti messi in campo dalla Regione per il welfare, dalla misura di sostegno al reddito alla riduzione dei ticket sulle prestazioni sanitarie. «A quegli interventi, che stiamo mantenendo, vanno mescolati i servizi, come quello sugli asili nidi per i quali – aggiunge l’assessore – abbiamo aumentato le risorse e abbiamo anche anticipato l’erogazione dei contributi, una scelta che sta dando riscontri molto positivi. Perché le famiglie hanno bisogno di servizi di rete che le sorreggano anche sotto il profilo educativo». La giunta nella Legge di Stabilità 2016 ha poi stanziato un milione per i progetti portati avanti dalle associazioni familiari per supportare le famiglie, nella logica della rete. E poi tra gli strumenti da rafforzare c’è anche la Carta famiglia, confermata per quest’anno, ma Telesca è al lavoro per modificare il regolamento, perché nel 2015 è avanzato quasi un milione – che la giunta ha utilizzato per coprire il bonus bebè 2014 –, mentre la Carta famiglia non viene usata dalle fasce di reddito più alte. Si riapre la gara per il trasporto pubblico (Piccolo) di Marco Ballico TRIESTE Come da annuncio di fine anno di Mariagrazia Santoro la Regione riapre la gara per l’affidamento dei servizi di Tpl su gomma e marittimi per un decennio, base d’asta di 1,7 miliardi Iva esclusa. La nuova scadenza per la presentazione delle offerte è il 29 febbraio, mentre non cambiano i contenuti del bando, se non nell’unico punto ritenuto illegittimo dal Tar, quello dell’obbligo di acquisto del parco mezzi, un “pacchetto” il cui valore è stato riaggiornato in 155 milioni di euro. La questione aperta Dopo la “radiografia” dei giudici era rimasta infatti irrisolta una sola delle questioni aperte dai ricorrenti Busitalia e Autoguidovie Spa, costituite in associazione temporanea d’impresa. Preso atto che il Consiglio di Stato non si era pronunciato nel merito e, con argomentazioni di natura processuale, aveva ritenuto vincolanti le determinazioni dei giudici amministrativi, la giunta ha provveduto alla correzione del bando pubblicato a ottobre 2014 limitatamente all’introduzione della facoltà di acquisto, e dunque non più dell’obbligo, del parco rotabile utilizzato per lo svolgimento dei servizi di Tpl. Il paletto della qualità Un’unica modifica, dunque, rimarca Santoro. Perché tutte le altre scelte, dopo una trafila giudiziaria lunga un anno, vanno considerate valide. Tra l’altro, precisa l’assessore, passare dall’obbligo alla facoltà di acquisto, «non determinerà il venir meno della qualità e del rimodernamento del parco mezzi, in quanto al soggetto che decidesse di non avvalersene verrà comunque richiesto uno standard con almeno le medesime qualità, se non migliori, dell’attuale». Il valore del parco mezzi Con l’occasione sono stati inoltre aggiornati alcuni dati tra i quali quelli relativi al personale, alle tariffe in vigore e proprio ai mezzi oggetto di facoltà di acquisto. In particolare è stato attualizzato il valore complessivo (155 milioni) tenuto conto delle sostituzioni dei veicoli che avverranno nel corso del 2016, in vigenza degli obblighi contrattuali da parte degli attuali gestori anche sugli standard qualitativi, che porteranno l’età media a 5,5 anni circa. La fidejussione È stata inoltre introdotta la previsione di una garanzia, costituita da una fidejussione bancaria, a tutela del puntuale avvio dei servizi nelle date che saranno previste dagli offerenti, proprio a seguito della previsione di facoltà di acquisto dell’attuale parco rotabile, stante l’importanza per la Regione, sia in termini economici che qualitativi, di vedere in campo il nuovo gestore senza ritardi. Il valore della garanzia? La differenza tra il costo per la prosecuzione del servizio in proroga tecnica e quello offerto dall’aggiudicatario. Le proroghe Nel contesto della riapertura dei termini per la presentazione delle offerte, si è infine provveduto a restituire l’offerta già presentata da Tpl Fvg, la società consortile che unisce gli attuali gestori provinciali del servizio (Trieste Trasporti, Apt Gorizia, Saf Udine e Atap Pordenone), confermando però la continuità del servizio, e del rinnovo del parco rotabile, per il 2016. Il via libera della Cgil «L’auspicio è che le sentenze e le loro chiare determinazioni abbiano messo la parola fine alla fase di contenzioso e che ora chi intende partecipare lo faccia concretamente», rimarca Santoro. Un primo via libera arriva dalla Cgil che, con il segretario Filt Valentino Lorelli, dopo un incontro con la direttrice regionale Infrastrutture Magda Uliana, promuove la rimodulazione del precedente capitolato: «Sono salvaguardati i diritti dei lavoratori e la qualità del servizio». Crollo della fiducia. Tiene solo Cosolini (M. Veneto) di Mattia Pertoldi UDINE Roberto Cosolini è il sindaco più amato, tra quelli che guidano i quattro capoluoghi provinciali, del Friuli Venezia Giulia, davanti a Furio Honsell e alla coppia formata da Claudio Pedrotti ed Ettore Romoli. C’è di più, però, perchè l’attuale primo cittadino di Trieste aumenta notevolmente il proprio consenso che cresce di 5,2 punti percentuali in un anno – arrivando al 55,7% contro il precedente 50,5% – facendo pure registrare la terza miglior performance di tutta Italia dopo il sindaco di Macerata Romano Carancini e quello di Milano Giuliano Pisapia. Una classifica, questa, stilata da “Il Sole 24 Ore” in base all’indagine condotta per il quotidiano di Milano dall’istituto Spr secondo cui, inoltre, al secondo posto su scala regionale si piazza il sindaco di Udine Honsell che, però, è in calo di quattro punti rispetto al 2014 e del 2,2% se confrontato con il giorno delle elezioni. Una performance deludente, dunque, ma comunque migliore rispetto a quella registrata sia da Pedrotti, 6,5% sul 2014 e -3,5% confrontato con il 2011, che Romoli – con -9,6% in un anno e -1,5% paragonandolo all’elezione del 2012 – a chiudere la classifica dei capoluoghi di provincia. Tenendo sempre bene a mente il saggio concetto espresso dal generale Charles de Gaulle con il suo monito secondo cui «le statistiche sono come le minigonne, danno delle idee, ma nascondono l’essenziale», la graduatoria pubblicata da “Il Sole 24 Ore” – basata su un campione di 600 persone a città, con interviste realizzate tra il 3 novembre e il 20 dicembre e un margine di errore compreso in un range del 4% – ci permette anche di analizzare il trend dei quattro sindaci su scala nazionale. Cosolini, come accennato, non solo cresce, ma si piazza anche al 33º posto globale assieme ai colleghi di Belluno, Vercelli, Caltanissetta e Viterbo. «Non vale la pena deprimersi quando le cose vanno male – ha commentato – e non va bene esaltarsi nei momenti in cui, come questo, i sondaggi invece sorridono. Non faccio balzi di gioia, ma credo che, con ogni probabilità, i cittadini di Trieste abbiano recepito positivamente il lavoro svolto lo scorso anno. Un impegno amministrativo intenso, duro, ma che ci ha portato a cogliere risultati importanti per l’intero territorio». Detto questo, però, Cosolini che, di fatto, ha già aperto la caccia alla riconferma a Palazzo sa bene come la partita vera si giocherà fra qualche mese. «L’unico dato che conta – ha concluso – è quello che uscirà dalle urne il 12 e il 26 giugno». Le due date, cioè, in cui in Friuli Venezia Giulia si andrà rispettivamente al voto per il primo turno delle comunali e per l’eventuale ballottaggio. Il sindaco di Trieste è l’unico che viaggia a vele spiegate, stando a “Il Sole 24 Ore”, a differenza dei suoi colleghi degli altri capoluoghi di provincia. Furio Honsell, ad esempio, si piazza soltanto al 59º posto del ranking fermandosi al 52% del consenso complessivo contro il precedente 56%. Ma l’inquilino di palazzo D’Aronco giudica i numeri comunque positivi. «Non posso fare altro che essere lieto – ha spiegato – di come, seppur con un calo che, come ho sempre detto rientra nell'errore statistico del 4%, la fiducia dei cittadini continui comunque a essere positiva oltre il 50%. Questi sono stati anni particolarmente difficili e se viene confermato il consenso dei cittadini è perché abbiamo sempre saputo affrontare con franchezza i problemi senza mai nasconderci». E se Honsell incassa i complimenti anche del segretario udinese del Pd, Enrico Leoncini, che parla di «dato significativo», sorride pure il sindaco di Pordenone Claudio Pedrotti nonostante la 77ª piazza complessiva e una fiducia del 50% esatto, in calo di 6,5 punti percentuali. «Non mi interessavo a queste classifiche prima – ha commentato –, figuriamoci adesso che sono fuori dai giochi. Ma non posso fare a meno di notare come, nonostante tutto ciò che si è detto sul sottoscritto in questo periodo, a Pordenone un cittadino su due sarebbe disponibile a votarmi di nuovo». Pedrotti, dunque, è 77º su scala nazionale, esattamente come Ettore Romoli, anch’egli “fermo” al 50% dei consensi e con un margine negativo, rispetto al 2014, di 3,5 punti percentuali. «L’unico vero risultato che ha valore per un politico – ha replicato ai dati – è quello legato alle elezioni. Dati, questi, che dicono come il sottoscritto sia stato in grado di vincere per due volte al primo turno le comunali. Un particolare non da poco se teniamo in considerazione il panorama italiano dove, un risultato del genere, sono stati capaci di coglierlo davvero in pochi». E per quanto riguarda il sondaggio in sè, infine, Romoli invita a riflettere sulla considerazione di come «rifletta il momento in cui viene effettuato» non sia «oggettivo e aderenti alla realtà di un’amministrazione» e dipenda da «un’infinita di fattori e variabili locali che gli istituti di ricerca non tengono mai in considerazione». Via al dopo Squinzi. Summit Fvg-Veneto: «Peserà il nostro voto» (M. Veneto) di Maurizio Cescon UDINE Confindustria si appresta a vivere una svolta epocale. Il successore di Giorgio Squinzi, a maggio, sarà scelto per la prima volta non per cooptazione, ma con un’elezione diretta, dopo che i candidati-presidente avranno presentato programma e squadra. E in questo contesto in grande evoluzione il Friuli non vuole restare alla finestra. Giovedì a Mogliano si terrà infatti un summit con tutti i numeri uno delle Confindustria provinciali di Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia, oltre ai presidenti regionali Bono, Zuccato e Pan. Sarà solo un primo faccia a faccia, ma l’obiettivo è chiaro: fare sintesi per poter “pesare” in vista del voto decisivo sul futuro leader degli imprenditori. Un ruolo importantissimo, in un mondo politico, economico e sociale che cambia rapidamente. Dal profondo Nordest non dovrebbero emergere candidature, almeno così sembra. I veneti sono troppo divisi tra di loro, trentini e friulani non hanno sufficiente forza per esprimere un nome che possa mettere d’accordo industriali di tutto il Paese, da Torino a Palermo. Ma provare ad avere la regia dell’elezione, a fare i king makers questa è un’opzione alla quale il Nordest può ambire, a patto che trovi unità. «Vorremmo che il Triveneto parlasse con una voce sola - spiega il presidente di Unindustria Pordenone Michelangelo Agrusti -, un po’ come è accaduto per il Consiglio generale dell’associazione, dove siamo riusciti a esprimere numerose candidature e far eleggere diversi esponenti. Alla guida di Confindustria servirà un personaggio con un profilo autorevole, che possa affrontare i cambiamenti della politica, delle istituzioni, del mondo del lavoro. Dovrà esserci un interlocutore forte e una squadra di eccellenza in un contesto che si evolve in modo veloce. Nella riunione del 14 proveremo a fare un identikit del presidente che gradiremmo. Ma prima vengono metodo e programmi. Si discuterà, tra le altre cose, anche di rinnovi contrattuali». Cautela e prudenza sono le parole d’ordine di Matteo Tonon, numero uno di Confindustria Udine. «Non facciamo fughe in avanti per quanto riguarda la corsa alla successione di Giorgio Squinzi al vertice - afferma Tonon -. Abbiamo grande rispetto per la macchina di consultazione, il compito non è certamente semplice. C’è la necessità di coniugare le esigenze del mondo produttivo italiano rappresentate dal capitalismo che trae ancora origine e forza dal proprio carattere familiare, grande e piccolo, legate al sistema Paese di cui Confindustria è portavoce. La fase è delicata in quanto occorre trovare un presidente che con equilibrio possa coniugare le esigenze del sistema tutto e proseguire sul buon lavoro portato avanti dal presidente Squinzi, la cui candidatura è stata appoggiata dalla nostra associazione fin dal principio. Da parte di Confindustria Udine c’è la volontà di prestare molta attenzione nel rappresentare le necessità del territorio in una chiave condivisa a livello regionale». Ma quali sono i nomi in ballo? Mancano quattro mesi all’appuntamento decisivo, però c’è già chi, in un modo o nell’altro, si è fatto avanti. Sul tavolo, al momento, c’è la candidatura di Aurelio Regina, già presidente degli industriali di Roma e Lazio, che è stato vice di Squinzi nel primo biennio. L’imprenditore-manager romano sarebbe in campo all’insegna della discontinuità con l’era Squinzi e avrebbe già costituito un ticket con Vincenzo Boccia, imprenditore della grafica di Salerno. Il profilo di Regina però farebbe fatica a imporsi proprio tra Lombardia e Nordest, cuore produttivo italiano. Altre candidature potrebbero arrivare dall’Emilia Romagna, con Alberto Vacchi (capo di Bologna), Andrea Pontremoli (ex manager Ibm) e il presidente regionale Maurizio Marchesini. Entro febbraio il quadro sarà comunque meglio definito. Di sicuro cambierà metodo di scelta: tre saggi dovranno consultare l’organizzazione sul territorio, vagliare le candidature che saranno sottoposte al voto del Consiglio generale, ma solo quelle che avranno il 20% dei consensi assembleari. Quindi la designazione ufficiale il 17 marzo e l’investitura a maggio. Ribaltone in Electrolux. Il flop Usa travolge McLoughlin (M. Veneto) di Elena Del Giudice UDINE Nella nota con cui Electrolux, la multinazionale svedese leader dell’elettrodomestico, ha annunciato le dimissioni dell’attuale amministratore delegato Keith McLoughlin, non se ne fa cenno, ma in sede di conferenza stampa telefonica l’ex ceo ha parlato della vicenda General electric appliance. La mancata acquisizione, svanita ad accordo già sottoscritto a causa delle pressioni dei dipartimento di Giustizia statunitense che aveva bocciato l’operazione perché lesiva della concorrenza, ha pesato e non poco sull’addio del manager che da cinque anni guida il colosso svedese. Acquisizione che, oltre ad essere “svanita” per il dietrofront di Ge (che non ha voluto attendere l’esito del processo), è costata a Electrolux 175 milioni di dollari (già pagati) e la perdita di una quota rilevante di mercato Usa: quella della divisione elettrodomestici di Ge. L’operazione - la più grande di sempre per Electrolux - era stata annunciata con risalto nell’autunno 2014. Poi l’antitrust americana era scesa in campo per contrastare l’acquisizione che avrebbe determinato la nascita di una posizione dominante di Electrolux nel mercato americano, e un danno per i consumatori che avrebbero avuto minori opportunità di scelta, “compressi” tra gli svedesi e Whirlpool. Mentre Electrolux avrebbe visto non solo incrementate le proprie quote di mercato, ma si sarebbe ulteriormente consolidata come operatore globale, forte abbastanza per contrastare con maggiori possibilità di successo l’avanzata dei competitors del Far East, coreani e cinesi in primis. McLoughlin, americano laureatosi all’Accademia militare di West Point, aveva investito molto in quel progetto che si era concretizzato proprio per le ottime relazioni che il manager ha sempre mantenuto con il business Usa (avendo guidato la divisione americana della multinazionale svedese prima di diventare ceo), e la sconfitta deve essergli apparsa bruciante. «L’operazione Ge si è conclusa - ha dichiarato in conferenza stampa -, anche se non nel modo in cui avevamo sperato». Per cui è arrivato per lui il momento di dimettersi. Evitando peraltro l’imbarazzo di una sua possibile sostituzione in sede di assemblea, già convocata per aprile, in cui verrà eletto il nuovo consiglio di amministrazione e, al suo interno, presidente e ceo. «L’azienda è in una posizione di forza e ha un capace successore. Ora è il momento giusto per me di tornare alla mia famiglia negli Stati Uniti», ha dichiarato. Il cda del Gruppo ha preso atto delle dimissioni di McLoughlin e ha individuato il successore. E’ Jonas Samuelson, attualmente a capo di Electrolux major appliances per Europa, Medio Oriente e Africa (ovvero alla guida di tutto l’elettrodomestico di quest’area del globo, compresa l’Italia), e in precedenza direttore finanziario della società. Il presidente di Electrolux, Ronnie Leten, ha dichiarato che l’obiettivo di Samuelson «sarà quello di proseguire nell’attuazione della strategia che vuole Electrolux diventare sempre più una società orientata al consumatore, operante su scala globale. Con il suo background e i risultati comprovati che ha già raggiunto, sono certo che lui, di diritto, è il giusto nuovo leader per Electrolux». Samuelson, che assumerà l’incarico il primo febbraio, ha annunciato che il suo primo impegno, in qualità di Ceo, sarà quello di trovare il nuovo manager a cui affidare la responsabilità del settore di cui si occupava. Figura di non poco conto per il ramo italiano del Gruppo, oggetto di un accordo che andrà a verifica entro l’anno, dal quale dipenderanno le scelte di investimento, e di futuro, per le 4 fabbriche di Porcia, Susegana, Solaro e Forlì. «Ci aspettiamo che rispetti gli accordi» di Michela Zanutto UDINE Purché «gli accordi siano rispettati», i sindacati vedono di buon occhio il cambio al vertice di Electrolux. Il passaggio di testimone da Keith McLoughlin a Jonas Samuelson, effettivo dal primo febbraio, «non è necessariamente una brutta notizia» sintetizza Gianni Piccinin segretario generale della Fim Cisl di Pordenone. Attendista Roberto Zaami, responsabile della Uilm Pordenone: «Noi le persone le misuriamo sui fatti». L’ultima informativa di Electrolux che ricordi Piccinin risale a ottobre: «In quell’occasione nessuno aveva fatto capire che c’era un cambiamento ai vertici – sottolinea –. Anche se poco prima di Natale qualche voce circolava. In ogni modo, vedo di buon occhio un cambio perché probabilmente Samuelson è più bravo di McLoughlin». In altre parole i lavoratori «possono dormire sonni tranquilli – continua Piccinin – perché queste dinamiche contano poco nell’economia dei singoli stabilimenti. E poi un vento nuovo non necessariamente deve essere considerato un aspetto negativo. Se poi danno spazio a un giovane, ancora meglio, chissà che non porti idee innovative. Aspettiamo l’osservatorio di marzo per fare il punto della situazione, anche perché Electrolux Porcia ha ripreso a lavorare a sei ore dal 7 gennaio e Vallenoncello ha iniziato oggi (ieri per chi legge, ndr) ed è ancora presto per dire come sta andando». Zaami aspetta la nuova strategia del gruppo prima di sbottonarsi. Ma ricorda che si parte da un punto ben preciso, ovvero «gli impegni sottoscritti con l’azienda. Vogliamo che siano rispettati». A cominciare dall’accordo siglato il 15 maggio. Accordo che rilancia Porcia. «Quel documento prevede una missione produttiva per lo stabilimento indirizzata sul top di gamma e una gestione dell’eccedenza – ricorda Zaami –. Electrolux in questo caso riassorbirebbe 150 lavoratori. Un passaggio fondamentale, ecco perché attendiamo il rispetto degli impegni sottoscritti. Vorremmo anche maggiore attenzione sui siti italiani per sviluppare volumi di mercato che si stanno aprendo. È la stessa Electrolux a dire che siamo tra i più produttivi ed efficaci in tutto il mondo». Quanto al naufragio del progetto di acquisizione di General electric appliances che avrebbe determinato la fine dell’era McLoughlin, Zaami nicchia: «Questa è una vicenda che avrà risvolti all’interno del piano dirigenziale, ma sono cose che non sono date da sapere a noi. A noi interessa che una parte dell’attività produttiva di Solaro in provincia di Milano sia dedicata al mercato americano. Sbocco che vorremmo portare anche a Porcia. Inoltre, considerato che lo stabilimento polacco è ormai saturo, ci aspettiamo che un’eventuale crescita di volumi sia indirizzata a Porcia. Maggiori volumi per noi significa minore gestione dell’eccedenza. E minori costi sociali». «Per i premi al personale siano i dirigenti a pagare» (M. Veneto) UDINE «Non siano i lavoratori a pagare gli errori dei dirigenti»: è il messaggio che lancia il Nursind, il sindacato delle professioni sanitarie, in merito a quanto avvenuto alla ex Ass 2 Isontina. E annuncia anche un controllo sulle consulenze attraverso un eventuale esposto alla Corte dei Conti. Ieri la segreteria regionale del sindacato si è riunita per cominciare ad analizzare la situazione e decidere come agire. È emerso nei giorni scorsi, infatti, che per il 2014 sono stati erogati al personale medico e del comparto dell’azienda (infermieri e operatori) della ex Ass 2 Isontina incentivi di legge. Ma per l’erogazione mancava la condizione essenziale, ovvero che il bilancio chiudesse in utile o quantomeno in pareggio. Invece il documento finanziario ha chiuso un disavanzo di 3,1 milioni di euro. Bilancio che non avrebbe dovuto fare scattare gli incentivi ma nel frattempo i soldi sono stati erogati ugualmente ai lavoratori, con la necessità per i vertici della nuova Azienda sanitaria Bassa Friulana-Isontina (succeduta alla Ass 2) – Giovanni Pilati direttore generale e Alberto Poggiana, direttore amministrativo – di recuperare le risorse. «Non troviamo corretto – afferma il segretario regionale del Nursind, Gianluca Altavilla – che, per colpa di dirigenti che non sanno fare il proprio lavoro, o meglio non sanno fare i conti, ci rimettano gli infermieri o tutto il personale». Secondo Altavilla «il fatto più grave è che tutto passa dal nucleo di valutazione individuale e dai revisori dei conti, due organi fondamentali che devono verificare la corretta applicazione e copertura economica degli accordi decentrati, pagati profumatamente. I lavoratori non hanno colpa: questa è una sanzione disciplinare senza procedimento – aggiunge –. I lavoratori hanno pagato con la salute le mancate sostituzioni del personale». L’esponente sindacale indica anche una soluzione, invece, che richiedere i soldi ai lavoratori: andare a verificare le consulenze che l’ex Ass 2 ha erogato in due anni. «Se servono 659 mila euro, facciamo restituire le somme elargite ai consulenti – spiega ancora Altavilla –, tra l’altro vietati dalla legge 135 del 2012: nel 2014 sono stati pagati 565 mila 185 euro, mentre nel 2015 320 mila euro. Passeremo al vaglio tutte le consulenze per capire se sono appropriate: eventualmente presenteremo un esposto alla Corte dei Conti. Visto il risultato della grande professionalità di questa classe dirigente – conclude –, chiediamo che sia congelata la produttività 2015 dei direttori generale, amministrativo e sanitario, nonché restituita la produttività dei direttori che si sono susseguiti in questi anni nell’Isontino». (d.s.) Hera, quattro acquisizioni per crescere ancora (Piccolo) di Massimo Greco TRIESTE Il mercato finanziario risponde favorevolmente al piano quadriennale 2016-19 di Hera, approvato ieri mattina a Bologna dal consiglio di amministrazione del gruppo, che controlla l’utility nordestina AcegasApsAmga e dove siedono Riccardo Illy e Cesare Pillon: il titolo ha viaggiato a 2,47 euro in aumento del 2,2%. A favorire la positiva accoglienza da parte di Piazza Affari il messaggio rassicurante che la seconda multi-utility nazionale ha inteso trasmettere: messaggio di crescita in termini di ricavi e di marginalità, a garanzia - come ha sottolineato il presidente Tomaso Tommasi di Vignano - delle politiche di dividendo finora perseguite. Ecco i numeri-sintesi, raffrontati con gli ultimi “ufficiali” del 2014. Le previsioni al 2019 dicono che i ricavi saliranno di quasi un quarto da 4,7 a 5,8 miliardi, il margine operativo lordo (mol) incrementerà di circa un quinto da 868 a 1030 milioni, il rapporto tra indebitamento e mol scenderà da 3,04 a 2,9 volte. Attenzione: le cifre miglioreranno - argomenta il comunicato diffuso da Bologna - nonostante il calo della remunerazione sui servizi regolati, nonostante i minori incentivi, nonostante la ripresa economica sia ancora timida. Come farà Hera? Lavorerà su due direttrici di crescita. Migliorerà quella interna, puntando a contenere i costi per 72 milioni e ad ottenere 21 milioni di ulteriori sinergie dal “fronte Est”, alle voci AcegasAps, Amga, Isontina Reti Gas, Est Reti Elettriche. Al recupero di efficienza gestionale interno si aggiungerà l’ampliamento del perimetro aziendale all’esterno, dove vengono programmate quattro acquisizioni di medie dimensioni: la nota non dettaglia ovviamente il poker di obiettivi, ma, in considerazione del fatto che Hera ha finora perseguito un’espansione all’insegna della contiguità territoriale, è lecito ritenere che il Nordest rappresenterà ancora argomento di possibili aggregazioni. Dalle quattro operazioni Hera si attende un contributo di 110 milioni al margine operativo. I tre quarti degli investimenti, che ammontano nel quadriennio a 2,2 miliardi, sono destinati all’area reti e sono comprensivi delle gare gas (tra cui quelle in Friuli Venezia Giulia, dove Trieste è la più importante). L’efficienza delle infrastrutture (energia lettrica, gas, gestione delle acque) - spiega la nota - rappresenterà il 40% della crescita. Per il 2019 il gruppo emiliano-romagnolo-veneto-giuliano-friulano conta che il valore delle reti distributive sarà salito del 16-17% a 3,5 miliardi. In termini di marginalità Hera si attende un rilevante balzo in avanti dal settore ambiente, dove si stima un aumento di ben 60 milioni a quota 302. Comunque significativa anche la previsione relativa al settore energetico, dove la progressione del margine consentirà di passare da 188 a 214 milioni: Hera pensa di raggiungere nel 2019 i 2,3 milioni di contratti per quanto riguarda la vendita di gas e di energia elettrica. «Il piano è allineato alla nostra tradizione di crescita - ha commentato Tommasi - la crescita prospettata implicherà flussi finanziari sufficienti a coprire tutti gli investimenti previsti». Anche l’amministratore delegato Stefano Venier preme sul «rispetto degli equilibri finanziari che ci hanno caratterizzato». CRONACHE LOCALI Meno letti in ospedale e più cure sul territorio (M. Veneto Udine) di Alessandra Ceschia Meno posti letto in ospedale e più assistenza sul territorio. Questo il principio sul quale si incardina il piano attuativo integrato per il 2016 che l’Azienda per l’assistenza sanitaria 4 del Friuli centrale e l’Azienda ospedaliero universitaria Santa Maria della Misericordia hanno redatto in maniera congiunta. Acuti e day hospital Il programma prevede il potenziamento dell’assistenza primaria fuori dall’ospedale, la riduzione dei posti letto ospedalieri per acuti a 3 per mille abitanti e l’aumento dei posti letto ospedalieri di riabilitazione allo 0.3 ogni mille abitanti, tenendo conto della delibera della giunta regionale 2673 del dicembre 2014 che ha ridefinito gli standard, le funzioni dell’assistenza e le dotazioni massime di posti letto. Entro il 30 giugno l’Azienda dovrà dare completa attuazione a quanto previsto dal decreto in materia di posti letto ordinari ed entro il 30 settembre verrà effettuata anche la revisione dei posti letto diurni. Dovranno essere tagliati 16 posti letto per acuti e 55 per day hospital, in quanto eccedenti il limite fissato rispettivamente a 880 e 74 posti. Modifiche che, si stima, porteranno a una riduzione di costi connessi alle degenze per 1,1 milioni di euro. Gli investimenti «I punti salienti del documento – conferma il commissario straordinario Mauro Delendi – riguardano lo sviluppo delle linee attuative della riforma regionale, l’integrazione con il territorio e la realizzazione di strutture di continuità a livello distrettuale, il punto di approdo di questo percorso sarà l’Azienda integrata. Gli investimenti principali inseriti nel documento di previsione riguardano il completamento del 4^ lotto dell’ospedale, che contiamo di cantierare alla fine di quest’anno o all’inizio del prossimo, quindi l’avvio della gara per la riqualificazione dell’Ostetricia e della Ginecologia nel padiglione 7». I tagli Numerosi i tagli previsti dal documento, a partire dall’attribuzione delle risorse regionali, contratte dell’1,6 per cento rispetto al 2015 (5,2 milioni di euro in meno), una riduzione parzialmente compensata dalla maggiore valorizzazione della mobilità per ricoveri, dal separato riconoscimento della funzione di emergenza urgenza, quindi da un aumento a 4.393.000 euro dei fondi per la gestione delle linee di centralizzazione dell’elisoccorso e dei canoni per il ponte radio emergenza sanitaria 118. Il totale dei finanziamenti per il 2016 ammonta a 453.495.512, di cui 380.658.387 per l’Aas4. Il conto economico dell’Azienda ospedaliero universitaria pareggia a 383.266.299. Il contenimento della spesa riguarderà anche la farmaceutica, i dispositivi medici, le prestazioni aggiuntive e il personale. I servizi sul territorio La modifica della geografia dei servizi segue le linee per la gestione del servizio sanitario e sociosanitario regionale 2016 approvate dalla giunta nel novembre 2015. Il punto di approdo sarà l’incorporazione dell’Azienda ospedaliero universitaria di Udine (Aoud) con l’Azienda per l’assistenza sanitaria 4 del Friuli centrale e a creazione dell’Azienda sanitaria integrata di Udine a seguito della sottoscrizione dei protocolli d’intesa fra Regione e Università. Per potenziare l’offerta sanitaria territoriale e la continuità dell’assistenza sono già stati avviati alcuni progetti. È stato attivato un punto distrettuale all’interno dell’Azienda ospedaliero universitaria con la finalità della presa in carico diretta e integrata con il distretto di Udine e l’ambito socio-assistenziale dei pazienti nei reparti più critici, iniziando la sperimentazione con l’Ortopedia. Dal giugno scorso è stato attivato al distretto di Udine un ambulatorio urologico che copre 23 ore settimanali attraverso l’accesso di un medico dell’Aoud. Potenziata l’offerta territoriale, trasferendo un ambulatorio specialistico dell’Aoud al distretto di Udine per 29 ore settimanali. Da dicembre è inoltre iniziata l’attività di assistenza per patologie odontostomatologiche di odontoiatria e chirurgia maxillofacciale al Centro gravi e gravissimi a favore dei Servizi per l’handicap dell’Aas4 per due ore settimanali. Gli hospice Per la Geriatria è in fase di sperimentazione una procedura tra Distretto e la Medicina di Cividale per la presa in carico del paziente fragile. All’hospice di Cividale sono inoltre stati attivati 4 posti letto per l’assistenza alla terminalità dal marzo scorso. La riorganizzazione della funzione di hospice negli 8 posti letto disponibili a Udine ha permesso di integrare la struttura. A incrementare i servizi sul territorio hanno concorso progetti come quello dei referti online, il sistema Home tao e la prenotazione di visite ed esami nelle farmacie. Emergenza casa: più di mille famiglie senza alloggio Ater (M. Veneto Udine) di Giacomina Pellizzari Lo scorso anno, in Friuli, più di mille famiglie sono rimaste senza casa popolare. Impossibile soddisfare tutte le domande ricevute, il patrimonio esistente caratterizzato da 3 mila 497 alloggi di cui solo 97 sono sfitti, è insufficiente. A far emergere il dato, ieri sera, in sala Ajace, è stato l’assessore regionale alla Pianificazione territoriale, Mariagrazia Santoro, nel corso della presentazione della legge quadro che riordina le politiche sulla casa. L’obiettivo è aiutare chi non ce la fa, perché non ha un lavoro a tempo indeterminato, ad accedere ai mutui, chi non riesce a pagare l’affitto e chi recupera le case sfitte. La riforma fa leva proprio sui numeri che ogni commissione regionale dovrà affrontare per dare una risposta, tanto per citare un esempio, alle 1.680 famiglie che solo lo scorso anno avevano chiesto un aiuto per riuscire a pagare l’affitto. «Se riusciamo a dare una casa alle 1.023 famiglie rimaste senza alloggio Ater avremo solo 500 da sostenere con l’affitto» ha evidenziato l’assessore invitando la commissione ad analizzare tutti gli aspetti. «Questo livello di dettaglio può essere fatto solo sul territorio» ha aggiunto Santoro rivolgendosi a un sala semivuota dove erano seduti solo i rappresentanti di quattro comuni dell’Uti Friuli centrale. La riforma incamera il contributo sulle ristrutturazioni già previsto dalla legge sul riuso che quest’anno può contare sullo stanziamento di 10 milioni di euro. Il contributo è riservato alla prima casa situata in centro storico. Sarà rimodellato anche il contributo per l’ acquisto della prima casa «riservando - ha sottolineato Santoro - attenzione a chi acquista immobili ristrutturati e da ristruttura». Ma la riforma che individua gli strumenti necessari privandoli della rigidità finanziaria e rendendoli molto più flessibile, trasformerà il Piano di convergenza delle Ater che da maggio a ottobre ha consentito di risparmiare un milione di euro,in un sistema unico delle Ater. «Eliminato l’amministratore unico, il direttore generale diventerà come il direttore generale dell’Azienda ospedaliera» ha aggiunto l’assessore nell’assicurare che «i regolamenti attuativi della legge saranno discussi immediatamente a valle della legge che approderà in aula a fine mese». Oggi prende il via l’analisi in commissione. Il contenuto della riforma convince il sindaco Honsell anche se è stato proprio lui a fare un unico appunto sul modello di gestione delle Ater. «Con tutto rispetto spero che il direttore generale dell’Ater non diventi come il direttore generale dell’Azienda sanitaria perché, senza nulla togliere alla sanità, se diventa così si va verso un mondo autoreferenziale». Honsell ha suggerito di istituire una sorta di Consulta d’ambito dove tutti i sindaci hanno capacità di intervenire sulla pianificazione. «Dovendo prendere a riferimento un modello posso dire - ha ribadito il sindaco - che quello della Consulta d’Ambito funziona. È efficace». Immediata la replica dell’assessore convinta che l’Ater deve diventare uno strumento tecnico, puro. Sintesi, rientro al lavoro senza stipendi (M. Veneto Pordenone) di Guglielmo Zisa SPILIMBERGO Rientro al lavoro amaro ieri, dopo la sosta natalizia, per le maestranze della Sintesi di Spilimbergo. Quello che auspicavano fosse un semplice contrattempo nel giro di una manciata di minuti si è tramutato in beffa. «Ci è stato comunicato dalla proprietà che di soldi, per i nostri stipendi di dicembre, le tredicesime e, ovviamente, tutti gli arretrati, non ce ne sono», lamentano i lavoratori che, ricevuto il saldo dello stipendio di ottobre (il 40 per cento) a metà dicembre e ottenuto, intorno a Natale, metà dello stipendio di novembre, contrariamente alle promesse loro fatte dalla proprietà, la società di investimenti Ikf, che entro la fine dell’anno appena trascorso tutto si sarebbe risolto, sono rimasti a bocca asciutta. Una situazione che, oltre ai quattordici lavoratori ancora attivi nel sito produttivo della zona industriale del Cosa, riguarda anche gli altri sedici che dallo scorso marzo sono in cassa integrazione visto che, ricordano le maestranze, «stando a quanto concordato, sarebbe compito dell’azienda anticipare la cassa dovuta ai nostri colleghi. Peccato che anche a loro sia riservato lo stesso trattamento, così come a quei colleghi che, volontariamente, si sono licenziati mesi fa e ancora attendono il pagamento di trattamenti di fine rapporto e premi di anzianità maturati». Decisivo diventa a questo punto l’atteso tavolo di confronto fra azienda e sindacati in programma venerdì, a Pordenone. Incontro che si sarebbe già dovuto tenere prima di Natale, poi rinviato su richiesta di Ikf, impossibilitata a essere presente a causa di altri impegni. Posticipo mal digerito da lavoratori e parti sociali. «La situazione è drammatica», spiega Gianni Piccinin (Fim-Cils), rivelando che, stando ai rumors, sembrerebbe che la proprietà, proprio nei giorni scorsi, si sia attivata per aprire la procedura di mobilità per cessata attività. Il che significherebbe, come a più riprese ventilato, chiusura dello stabilimento di Spilimbergo e licenziamento dei lavoratori a fine marzo. «Se così fosse, all’incontro di venerdì, cui parteciperanno anche gli organi del concordato, Ikf deve dirci, una volta che ha deciso di licenziare i lavoratori, se è in grado di pagare le spettanze dovute, sia a quelli che stanno lavorando sia ai cassintegrati, così come a quelli che sono andati via e verso cui sono indietro coi pagamenti di una rata e mezzo», osserva Piccinin. Un problema, quello di liquidità dell’azienda, che si ripercuote ovviamente sulla produzione visto che, concludono le maestranze, «nonostante tutte le difficoltà del caso, il lavoro non è mai mancato e non mancherebbe: peccato che, non pagando i fornitori, non siamo in grado di lavorare e consegnare gli ordinativi che abbiamo. Per non parlare poi del fatto che, anche negli uffici, manca il riscaldamento e francamente di lavorare al freddo e senza vedere un quattrino non abbiamo alcuna voglia». Negozi Bernardi sempre più vicini alla riapertura (M. Veneto Pordenone) A breve i due negozi Bernardi in provincia di Pordenone (in città, in viale Cossetti, e a Villotta di Chions) riapriranno i battenti. La data non è ancora certa, ma la newco che si è aggiudicata l’acquisizione dei negozi della catena d’abbigliamento, la Erreci negozi srl di Pietragalla, in provincia di Potenza, ha dato come periodo di riferimento la metà di gennaio. Insomma, ci siamo: la prossima settimana si potrebbe sapere qualcosa di più del piano industriale per il rilancio dei punti vendita. Tutti i negozi che erano rimasti aperti saranno recuperati, mantenendo il marchio originario ancorchè sotto una nuova proprietà. Così accadrà anche ai negozi pordenonesi. Resta da capire quante potranno essere le assunzioni alla luce del fatto che molte commesse, alla chiusura, avevano cercato altre strade: in totale, quelle che hanno creduto fino alla fine nella riapertura sono state 50 in tutti i punti vendita. A Pordenone, circa la metà delle commesse hanno preso altre strade. «Il condizionale rimane d’obbligo – ha affermato Adriano Giacomazzi della Fisascat Cisl –. Finchè non vediamo le serrande alzarsi non diciamo l’ultima parola. Ma la riapertura dovrebbe avvenire a metà mese, anche se i tempi non sono molto chiari nel momento in cui non è ancora stata presentato il piano industriale». La chiusura del negozio di viale Cossetti era stato un fulmine a ciel sereno, anche se da tempo si sapeva che la situazione era precaria: erano ormai mesi che i negozi ancora aperti non acquistavano prodotti ma lavoravano con merce in conto vendita. Le commesse erano state avvisate all’ultimo: dopo aver lavorato fino a metà dicembre, di punto in bianco erano state avvisate di raccogliere tutto per la chiusura del punto vendita. All’indomani della chiusura, era apparso un laconico cartello che recitava “Chiuso per inventario”, ma tra le grate della serranda si notava l’aria di smantellamento. Ora la speranza per le dipendenti è di invertire la rotta e poter vedere scatoloni che si riaprono e vetrine di nuovo illuminate. Laura Venerus Vigili del fuoco sempre più allo stremo (M. Veneto Pordenone) di Chiara Benotti «L’autoscala e l’autogru hanno 20 anni, l’autopompa serbatoio Aps è in uso da 10: manca il rinnovo del parco macchine, ai vigili del fuoco a Pordenone». L’inventario in sofferenza è steso da Delfio Martin, sindacalista Fns-Cisl in via Interna. «Il 50% dei mezzi è parcheggiato sul piazzale della caserma perché mancano gli spazi nei garage – ha continuato Martin –. Le risorse del ministero sono state concentrate a Milano per l’Expo nel 2015 e, poi, a Roma per il Giubileo. Il comando di Pordenone, come a Udine e Trieste, non ha fondi né mezzi nuovi. I nostri camion inquinano come 10 auto l’aria cittadina. Oltretutto il comandante Doriano Minisini sarà promosso e ci lascerà a settembre». Carenza di mezzi, organici in sofferenza, salari bloccati per i vigili del fuoco, che salvano vite umane e sono sempre in prima linea. La mancanza di fondi per adeguare i mezzi in dotazione alla caserma, in città, è uno dei problemi che investono il comparto sicurezza. «La sede in affitto in via Interna ha costi stratosferici – è l’altro fattore indicato da Martin, circa un milione di euro l’anno –. Lo Stato avrebbe risparmiato se avesse investito, in passato, le risorse in una nuova caserma: quella attuale ha uffici stretti (in 10 metri quadri lavorano in due) come le camerate e manca la manutenzione. Se la caldaia va in tilt, restiamo senza acqua calda». La nuova caserma sarà all’ex Monti in Comina: 12 milioni di euro stanziati. «La prima copertura dell’opera di riatto è stata confermata dal ministero dell’Interno, nell’accordo di cessione con il Demanio – ha spiegato il sindacalista Cisl –, ma i tempi per l’appalto europeo e l’iter burocratico sul progetto possono allungare i tempi di trasferimento da via Interna in Comina anche al 2019. Intanto, lo Stato continuerà a pagare l’affitto per una sede che ha problemi». I vigili del fuoco sono in prima linea nelle emergenze con turni di 35 ore settimanali a testa. «Salario fermo a 1.350 euro mensili – ha segnalato David Bessega, pompiere distaccato a Milano da Pordenone fino a marzo –. Ogni trimestre arrivano i pagamenti di straordinari e ore notturne pari a 150 euro medi. Le buste paga “piangono”, rispetto al servizio di sicurezza che offriamo alla popolazione. “Chiediamo dignità salariale – ha concluso Bessega – e il rinnovo del parco macchine». La rotta turca traina la ripresa del porto (Piccolo Trieste) di Silvio Maranzana C’è solo un’autostrada che arriva a Trieste e che ha già aperto nuove corsie: è quella del mare con la Turchia su cui ogni settimana viaggiano 16 traghetti in un senso e altrettanti nell’altro e che sta trainando tutto lo scalo. È il dato più rilevante che emerge dal bilancio in porto sull’anno appena terminato se si vanno ad approfondire i dati generali diramati ieri dall’Autorità portuale. Trieste, rileva la nota, si conferma primo porto d’Italia nel 2015 per volumi complessivi. Nel corso dell’anno appena concluso, sono state movimentate 57.161.201 tonnellate di merce (+0,07 % rispetto al 2014). Si registra una leggera flessione delle rinfuse liquide, 41.286.761 tonnellate, (0,96%). Questo dato tiene conto della Siot, dove a causa dei lavori di manutenzione su un pontile vi è stato un lievissimo calo rispetto al record dell’anno scorso e le petroliere sono diminuite da 523 a 499 e della quota minimale che fa riferimento a Depositi costieri triestini. L’Authority evidenzia invece la forte crescita delle rinfuse secche (+106,85%). Rilevante anche l’aumento delle merci varie non containerizzate (+21,84%). Vi è stata una netta ripresa del traffico di container nella seconda metà dell’anno, tanto da assorbire completamente la diminuzione a due cifre, iniziata già alla fine del 2014 e durata fino al primo semestre del 2015. Con questa inversione di tendenza, il traffico è rimasto quasi invariato rispetto all’anno precedente, con una movimentazione complessiva nel 2015 di 501.276 teu, (0.94%). La cifra si riferisce a tutto lo scalo mentre per quanto riguarda il Molo Settimo i teu movimentati sono stati 443.882 con un calo del 6,8% rispetto ai 476.507 teu del 2014. I segnali più incoraggianti arrivano però dal comparto ro-ro che segna un + 1,49% con 301.144 semirimorchi movimentati. Per la maggior parte fanno riferimento alle linee con la Turchia anche se comprendono pure quelle con Grecia e Albania. Trieste si conferma sempre più porto leader per l’intermodalità, assieme a La Spezia il principale porto ferroviario d’Italia, e per far notare il rilievo che la quota del traffico intermodale sta assumendo nell’ambito dello scalo, il commissario dell’Authority Zeno D’Agostino ama fare un ragionamento complessivo anche in termini numerici, che integri la movimentazione dei container e quella dei ro-ro. Esprimendo in teu equivalenti anche tutte le unità di carico movimentate sui traghetti e sommandole ai container, si arriva a 1.178.783 teu lavorati nel 2015 (+0,44%). Nettamente positivi anche i numeri sul traffico ferroviario, che collocano Trieste ai vertici nazionali della movimentazione ferroviaria in ambito portuale. 5604 sono stati i treni - con destinazione prevalentemente internazionale - manovrati nel 2015 con un aumento del 12,71% sul 2014. «Ciò a conferma - sottolinea la nota del Porto - della bontà delle scelte strategiche compiute dell’Apt in materia di investimenti nel comparto ferroviario». I risultati sono considerati ottimi dal commissario D’Agostino. «Abbiamo superato vari record nel corso del 2015 - commenta - ma in realtà non ci interessa stilare classifiche, perché i numeri vanno letti e interpretati. Un porto è qualcosa di più che una posizione in una tabella che può variare di anno in anno. Intendo però far emergere che Trieste ha sempre più un carattere polivalente. Non si vive di solo container o di solo petrolio, nonostante le rinfuse liquide abbiano un peso primario per noi. Non vogliamo guardare solo a questi due settori, ma investire sulla diversificazione, vero valore aggiunto per uno scalo moderno». È l’occasione più propizia dunque per il commissario per focalizzare i settori strategici per il futuro: «Traffico intermodale e ferroviario - spiega - saranno le leve su cui puntare. Trieste deve crescere sempre di più guardando all’integrazione logistica terra-mare. Il superamento del milione di teu sommando container e rotabili, non è uno spot, ma la cifra che rappresenta la realtà del nostro porto». «Tribunale ingestibile? Uniamoci a Trieste» (Piccolo Gorizia-Monfalcone) di Francesco Fain La strategia per salvare e potenziare il Tribunale di Gorizia? Unirsi a Trieste e mettere insieme due dei Palazzi di giustizia più piccoli d’Italia. «È una bestemmia? Il servizio giustizia (e dunque gli interessi della gente) ne guadagnerebbe». A formulare la proposta-choc è il senatore Alessandro Maran al culmine di un lungo e articolato ragionamento. È consapevole che «si leveranno lamenti e grida per la spoliazione ulteriore del capoluogo. Ma cosa vogliamo? Vogliamo mantenere il simulacro di un servizio che non funziona (e che così non può funzionare), o vogliamo fare in modo che il servizio giustizia funzioni meglio?» Maran specifica la sua è solo un’opinione personale. «Anche perché - aggiunge - sul punto la posizione del Pd (e delle altre forze politiche) varia a seconda del territorio interessato». Il senatore afferma che il tribunale di Gorizia, in ogni caso, non corre il rischio di chiusura. «Com’è stato chiarito molte volte, da ultimo dalla senatrice Fasiolo, nessuno lo vuole chiudere. Semmai, il problema resta un altro: così com’è combinato, il Tribunale non funziona come dovrebbe. Perché? Perché è troppo piccolo, troppo periferico e non ci vuole venire nessuno. E non bastano neppure gli incentivi che hanno garantito ai magistrati, in quanto sede disagiata, uno stipendio maggiorato. Dunque, il problema è che il Tribunale deve “diventare più grande”». Non a caso c’era e c’è la proposta di allargamento a Palmanova e alla Bassa Friulana, «ma questo progetto - aggiunge il senatore - si scontra con l’avversione di tutti i soggetti istituzionali interessati, dal sindaco di Palmanova all’Ordine degli avvocati di Udine, dalla provincia di Udine alla Regione. Nessuno da quelle parti vuole venire con noi. E come si è visto, senza il consenso degli interessati, il Governo (delegato a rivedere la geografia giudiziaria) non muoverà un dito. Messe così le cose, l’allargamento a Palmanova è probabile che coincida con l’arrivo di... Godot». Ecco allora la proposta: andiamo con Trieste. «La distanza tra Trieste e Monfalcone è più o meno la stessa di quella che c’è tra Monfalcone e Gorizia. Se quel che ci sta a cuore è la giustizia intesa come servizio, converrebbe ragionarci su. Se quel che più conta invece è il rango della città, allora il problema è un altro. Resto dell’opinione che Gorizia debba fronteggiare ben altre sfide (a cominciare dal crollo demografico e dalla drammatica incapacità di attrarre capitali e investimenti privati: tutte cose che la ricerca recente dell’Ires ha illustrato e sulle quali sono tornato non molto tempo fa). E resto dell’opinione che la nostra piccola regione sia un “unico spazio metropolitano”, cioè un unico bacino di domanda e offerta per tutta una serie di servizi (università, ricerca, sanità, terziario avanzato). Proprio perché sono attaccato alla mia terra (anche se siedo in Parlamento per rappresentare delle idee e non una porzione di territorio: com’è noto, sono stato eletto, in quanto capolista, nella circoscrizione del Senato del Friuli Venezia Giulia), ritengo sia il caso di rifletterci su. Va da sè che se i colleghi che sono stati scelti in rappresentanza dell’Isontino e le istituzioni territoriali hanno un’idea migliore, sarò lieto di sostenerla e di battermi insieme a loro».