RASSEGNA STAMPA CGIL FVG – martedì 12 gennaio 2016
(Gli articoli di questa rassegna, dedicata prevalentemente ad argomenti locali di carattere economico e sindacale, sono
scaricati dal sito internet dei quotidiani indicati. La Cgil Fvg declina ogni responsabilità per i loro contenuti)
ATTUALITÀ, ECONOMIA, REGIONE (pag. 2)
Shopping free solo a Grado e Lignano (Piccolo)
Dal Pd “fuoco amico” sul velo di Serracchiani (M. Veneto)
La Regione passa l’esame sui fondi europei (Piccolo)
Calano i nati in Fvg. San Daniele, l’ospedale va sotto quota mille (M. Veneto)
Si riapre la gara per il trasporto pubblico (Piccolo)
Crollo della fiducia. Tiene solo Cosolini (M. Veneto)
Via al dopo Squinzi. Summit Fvg-Veneto: «Peserà il nostro voto» (M. Veneto)
Ribaltone in Electrolux. Il flop Usa travolge McLoughlin (M. Veneto, 2 articoli)
«Per i premi al personale siano i dirigenti a pagare» (M. Veneto)
Hera, quattro acquisizioni per crescere ancora (Piccolo)
CRONACHE LOCALI (pag. 12)
Meno letti in ospedale e più cure sul territorio (M. Veneto Udine)
Emergenza casa: più di mille famiglie senza alloggio Ater (M. Veneto Udine)
Sintesi, rientro al lavoro senza stipendi (M. Veneto Pordenone)
Negozi Bernardi sempre più vicini alla riapertura (M. Veneto Pordenone)
Vigili del fuoco sempre più allo stremo (M. Veneto Pordenone)
La rotta turca traina la ripresa del porto (Piccolo Trieste)
«Tribunale ingestibile? Uniamoci a Trieste» (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
ATTUALITÀ, ECONOMIA, REGIONE
Shopping free solo a Grado e Lignano (Piccolo)
di Furio Baldassi TRIESTE Una sfida. No, meglio, la classica crepa che vuol far saltare la diga. Perchè
la giunta di Debora Serracchiani, non ci piove, ci tiene al suo disegno di legge 129 riguardante il
riordino e la semplificazione della normativa sul settore terziario. Quello che disciplina orari, aperture,
regime degli outlet, turismo, ma soprattutto inserisce un sottile cuneo che, fuor di metafora, è quello
riguardante le festività: la Regione impone la chiusura di tutti i negozi in nove giornate preparandosi
alla “battaglia” con Roma. Per creare un precedente più che per vincere. Il disegno di legge non tocca
le domeniche. Anzi, le direttive inserite nella famosa legge regionale 29/2005 (quella col massimo di
25 domeniche aperte, già cassata da Roma) non esistono più. Viene definitivamente abbandonato «il
rispetto degli orari di apertura e di chiusura, l’obbligo della chiusura domenicale e festiva, nonché
quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale dell’esercizio». Ma lo stesso disegno di legge
introduce almeno nove chiusure totali nelle festività più popolari. Il testo le definisce indicando come
date “obbligatorie” per le serrande abbassate il 1° gennaio, Pasqua e Lunedì dell’Angelo, 25 aprile, 1
maggio, 2 giugno, Ferragosto, 25 e 26 dicembre, e cioè Natale e Santo Stefano. Una botta sui denti per
i teorici del liberalismo totale, ma tant’è. E c’è anche una data: quella del 1° ottobre 2016, in cui il
provvedimento dovrebbe partire, Roma permettendo. La bozza crea un’enclave “protetta” a Grado e
Lignano, le sole località turistiche riconosciute in Friuli Venezia Giulia, le uniche che manterranno il
potere di “gestirsi” gli orari. E potranno derogare alle chiusure obbligatorie per legge. Il più diretto
interessato, il vicepresidente Bolzonello, che porta avanti questa battaglia ideale, assicura peraltro che
la bozza «è un’ossatura di base su cui verranno inseriti molti nuovi concetti a fine mese. Ci serviva
avere adesso un’ipotesi di testo pronta per impegnare i fondi». Ma, regime delle aperture-chiusure a
parte, non si può dire che il testo sia privo di novità. Figlie dirette di un comparto dove la scioltezza nei
comportamenti è praticamente di casa. Prendiamo il regime degli outlet: una giungla. Tanto che
l’esecutivo sente il bisogno, «a fini di tutela della concorrenza», di «evitare che la denominazione di
outlet venga utilizzata in modo improprio, nei casi in cui l’esercizio non effettui la vendita di prodotti
outlet ossia prodotti fuori produzione, di fine serie, in eccedenza di magazzino, prototipi o difettati».
Che qualcuno ci marci? Certo che sì. Tanto che per raggiungere tale obiettivo si prevede che i prodotti
outlet vengano tenuti separati dagli altri e che, secondo l’applicazione dei principi generali, «i prezzi
vengano indicati facendo riferimento che si tratta di prodotti outlet e, in caso di vendite promozionali o
straordinarie, vengano ulteriormente ribassati». Una maniera elegante di frenare certi malcostumi e lo
smercio di fondi di magazzino. Puniti anche con una sanzione amministrativa pecuniaria, «sia
nell’ipotesi in cui la denominazione di outlet venga usata dagli esercizi che non vengono prodotti
outlet, sia nell’ipotesi in cui i prodotti outlet non siano tenuti separati, o nel caso in cui non vengano
osservate per i prodotti outlet le norme in materia di prezzi e vendite straordinarie». Altra news:
verranno riorganizzati i Centri di assistenza tecnica alle imprese (Cat), «nell’ottica di creare un
referente unico per l’amministrazione regionale cui delegare in maniera unitaria, per tutto il territorio
regionale, le funzioni pubbliche relative alla formazione professionale e alla concessione di contributi a
favore delle imprese». Non sottovalutatelo: l’attività facoltativa di aggiornamento professionale svolta
nei nuovi Catt Fvg può essere registrata su un apposito libretto. E la formazione facoltativa così
registrata può dare diritto a “premi” nella concessione dei contributi gestiti dal Catt medesimo.
Dal Pd “fuoco amico” sul velo di Serracchiani (M. Veneto)
di Domenico Pecile UDINE Velo in italiano, hijab in arabo. Nella fattispecie - come lei stessa l’ha
definita - era una leggera pasmina indossata come copricapo per rispetto del Paese ospitante, l’Iran. Un
gesto che è diventato immediatamente un caso politico: altra benzina sul fuoco delle polemiche che
investono mezza Europa soprattutto dopo i fatti di Colonia. E l’attacco più severo alla presidente
Debora Seracchiani è fuoco amico: il senatore Lodovico Sonego del Pd spara infatti alzo zero, parlando
di «immagine dolorosa, a maggior ragione dopo i fatti di Colonia. Ho sempre considerato un errore la
prassi del capo coperto, anche in occasione di visite al sommo Pontefice». Per Sonego si tratta «di
un’ostentazione della sottomissione della donna e della negazione dell’uguaglianza rispetto all’uomo.
In altri termini la violazione del principio dell’uguaglianza tout court». Poi, l’affondo: «Quella
sottomissione è ancor più inaccettabile se assentita da chi ricopre una rilevante carica istituzionale ed
esercita un’importante funzione di leadership politica nazionale. Donne a capo coperto mai, innanzi a
chiunque». Immediata la replica da Teheran. «La speciale attenzione del senatore Sonego verso i miei
copricapi sarebbe degna di miglior causa, ma ancora una volta lo ringrazio del trattamento speciale.
Un’attenzione critica che il senatore Sonego - ribatte Serracchiani - non ha esercitato sul velo indossato
in occasione delle visite in Iran dell’alto rappresentante Ue per la sicurezza, Federica Mogherini, del
ministro dell’Istruzione Stefania Giannini, del ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi, o
dell’allora ministro degli Esteri, Emma Bonino». La presidente ricorda a Sonego che per andare in Iran
«le donne devono indossare un velo, altrimenti si resta a casa e fuori da quel Paese. Io, che come donna
non ho davvero alcun senso di inferiorità, preferisco mettere sul capo una leggera pashmina e aprire
dialoghi e rapporti commerciali a livello governativo anziché escludere da tutto questo la mia Regione
e il mio Paese». «Serracchiani e Sonego continuino pure a scambiarsi le loro diverse opinioni. Per quel
che ci riguarda, qui non c’è un velo sì o no e nemmeno un prima o un dopo Colonia ma semplicemente
si tratta di rispettare culture e tradizioni dei Paesi», dichiara il capogruppo di Fi in Regione, Riccardo
Riccardi. Se per Serracchiani vale il rispetto dei Paesi dove si è ospiti - aggiunge - «ora mi aspetto che
appena ritornata a casa utilizzi il suo ruolo istituzionale e tutto il peso politico per non far mancare in
nessuna classe delle nostre scuole il crocifisso. E resto anche in attesa che scriva immediatamente al
Garante dei diritti nominato dal Pd per spiegargli, come lei pare abbia fatto nella sua visita, come il
rispetto delle culture non rappresentino prevaricazioni nei confronti di alcuno». E sul fronte dei
“nemici” del velo della Serracchiani si pone anche Taher Djafarizad, che da 30 anni vive nel
pordenonese. «Voglio ricordare che decine di donne iraniane sotto l’attuale presidente per non portare
il velo sono state acidificate. Nonostante ciò, sempre più donne indossano un fazzoletto così piccolo
che non copre nemmeno i capelli. Nel mio Paese le donne rappresentano il 53 per cento della
popolazione e sono sempre di più quelle che combattono il velo. Io dico - afferma - che la Serracchiani
non rischiava nulla e avrebbe dovuto pensare ai diritti e alle battaglie delle donne iraniane. Ma
evidentemente è prevalso il business». A difesa della Serracchiani interviene il segretario udinese del
Pd, Enrico Leoncini, il quale sottolinea che «la presidente si trova in Iran per importanti relazioni e
accordi economici» e che «le donne devono indossare un velo per andare in Iran, in caso contrario, non
è possibile entrare nel Paese». Insomma, «è vergognoso attaccare un “gesto” che altro non è che un
segno di rispetto nel confronto di un Paese che ha una cultura differente dalla nostra». Il leader della
Lega Matteo Salvini si affida a Facebook, posta un paio di foto della governatrice a colloquio con il
vice ministro iraniano all’Industria e Commercio, Hossein Esfahbodi, corredato da un testo lapidario:
«Ecco come la governatrice del Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani, si “vela” in viaggio in
Iran... robe da matti!». Salvini, per sferrare un attacco più articolato, si affida al segretario regionale
Massimiliano Fedriga. «Proprio in un momento come questo, dove i fatti di Colonia evidenziano il
rischio pesantissimo che in Europa venga importata quella cultura che vede la donna come oggetto
sottomesso e privo di dignità, Serracchiani va in Iran e, come se nulla fosse, si fa imporre il velo quale
emblema della sottomissione della donna». Fedriga parla di «cultura debole, dove diritti conquistati con
serie battaglie culturali vengono svenduti». Tutto questo, secondo l’esponente «fa capire quale sia la
linea del Pd: farci imporre qualsiasi elemento estraneo alla nostra cultura e svendere la nostra gente e la
nostra identità». E mentre la politica si divide tra colpevolisti e innocentisti, La Vita Cattolica sul suo
sito, nel ricordare che in Iran lo hijab è obbligatorio, titola così l’articolo: «Serracchiani col velo
islamico in Iran, scoppia una polemica sul nulla». Sul nulla perchè la governatrice si è semplicemente
«adattata a una regola» ancorché ferrea e imposta coi metodi draconiani della polizia religiosa. Più che
alla querelle sul velo che comunque a suo avviso dimostra che non esiste reciprocità nel rispetto delle
regole dei Paesi, la parlamentare di Fi, Sandra Savino, si dice «maggiormente interessata a conoscere i
costi della trasferta e quale reale beneficio in termini economici sarà in grado di generare per il Fvg».
«L’onorevole Savino non perde occasione per sollevare inutili polemiche, anche quando ciò significa
calpestare gli interessi delle nostra regione e delle nostre imprese» è la secca replica della segretaria del
Pd del Fvg, Antonella Grim. Che nel difendere l’operato della Regione aggiunge che «oltre a evitare
attacchi sterili è opportuno che davvero tutti si astengano dall’immaginare foschi retroscena o
dall’elucubrare su questioni pseudo-religiose, magari collegandoli ai drammatici fatti di Colonia, che
con questo nulla hanno a che fare». Infine, ieri sera a margine della presentazione del suo libro a Udine,
anche Stefania Craxi, figlia dell’ex statista ha voluto commentare la vicenda del velo indossato dalla
presidente del Fvg. «Se si va a un colloquio ufficiale, a rappresentare il proprio Paese - sono state le sue
parole - il velo non si indossa. Se, invece, ci troviamo di fronte a un’autorità religiosa il velo si mette,
così come facciamo noi donne di fronte al Papa. Anche nel caso si tratti di una forma di rispetto si può
mettere, mentre di fronte a un’autorità civile e a una pretesa di sottomissione credo che si debba dire di
no. È molto semplice». Poi, sorridendo, Stefania Craxi ha chiosato in questo modo: «Di mio, io sono
per la libertà di foulard».
La Regione passa l’esame sui fondi europei (Piccolo)
TRIESTE Una Regione »soddisfacente» nella gestione dei Fondi europei. Lo pensa l’Osservatorio del
“Sole 24 Ore gruppo Clas”, che ha esaminato i comportamenti più o meno virtuosi delle Regioni
italiane a confronto con i target stabiliti dalla Ragioneria dello Stato. Che si preoccupa affinchè le
risorse comunitarie non finiscano in cavalleria, in quanto le amministrazioni periferiche non sono in
grado di spenderle. Secondo la graduatoria stilata dall’Osservatorio, il Friuli Venezia Giulia è
promosso sia per quanto riguarda il Fondo sociale europeo (Fse) che il Fondo europeo sviluppo
regionale (Fesr). Decisamente migliore la performance nel secondo rispetto al primo, come ci
accingiamo a verificare. Infatti nel Fse la Regione Fvg si classifica al settimo posto nazionale, essendo
“sotto” di un tollerato - 1,9% rispetto al target indicato dalla Ragioneria centrale relativamente a una
spesa pari a 13,5 milioni. Le più virtuose sono Emilia Romagna (+5,4%), la Provincia autonoma di
Trento (+3,2%), il Veneto (+2,4%), la Campania allo 0%. Oltre al Fvg, le altre “tollerate”, cioè con uno
scostamento non patologico rispetto al target assegnato, sono Piemonte, Toscana, Calabria e Marche.
Tutte le altre nel girone delle “reprobe”, comprese insospettabili come la Provincia di Bolzano, la Valle
d’Aosta, la Lombardia. Adesso passiamo alla seconda fattispecie, il Fesr. Qui il raffronto tra spesa e
target risulta molto più lusinghiero per la Regione Fvg, che si piazza al secondo posto nazionale battuta
per virtù amministrativa dalla sola Puglia, che invece sul Fse è in zona retrocessione. Sul versante del
Fondo vocato allo sviluppo regionale Trieste migliora addirittura del 6,4% il target assegnato da Roma,
relativamente a una spesa di 4,6 milioni. Nel girone delle virtuose disco verde per Liguria (+6,2%),
Valle d’Aosta (+5,4%), Emilia Romagna (+4,7%), Toscana (+1,3%), Lombardia (+0,7%). Tollerato il
solo Molise, distante del 4% rispetto ai compiti impartiti dalla Ragioneria. Tutte le altre bocciate: anche
in questo caso il criterio geografico non regge, perchè tra le meno pronte nello spendere gli eurodenari
ci sono Veneto (il peggiore con un eclatante - 29,2%), Provincia di Trento (-17%), la recidiva Provincia
di Bolzano (-8%). magr
Calano i nati in Fvg. San Daniele, l’ospedale va sotto quota mille (M. Veneto)
di Anna Buttazzoni UDINE Una tendenza negativa che prosegue e che conferma la necessità di
decidere, e in fretta, quali Punti nascita chiudere. I dati sono provvisori e non certificati dalla Regione
(mancano alcuni numeri e relativi flussi), ma l’andamento è consolidato e dice che in Friuli Venezia
Giulia si fanno sempre meno figli. Al 31 dicembre 2015 i nati in regione sono stati poco più di 8 mila
800, contro i 9 mila 258 del 2014, oltre il 5 per cento in meno. Sospira l’assessore regionale alla Salute,
Maria Sandra Telesca, che riconosce l’impossibilità a invertire il trend ma anche la necessità di
scegliere in fretta quali Punti nascita della regione rafforzare per accorpare il servizio. E poi c’è da
impegnarsi su welfare e politiche del Lavoro, per aiutare le famiglie e favorire una ripresa delle nascite.
In Fvg sono operativi 10 Punti nascita e i dati provvisori svelano un calo dei parti in sette strutture, da
Trieste a Udine, da Pordenone a San Vito fino a Tolmezzo. Non solo. Perché San Daniele, centro che
nel 2014 superava ancora i mille nati l’anno, al 31 dicembre non ha raggiunto i 900, facendosi
scavalcare dall’ospedale di Pordenone mentre un anno prima San Daniele aveva fatto registrare il
sorpasso sulla struttura della Destra Tagliamento (dove è in funzione anche una struttura privata come
Punto nascita, al policlinco San Giorgio). Sono tre invece i reparti dove i nati aumentano, Monfalcone,
Palmanova e Latisana, ciascuno per motivazioni diverse. Monfalcone ha l’incremento più accentuato,
perché a fine giugno 2015 la giunta regionale di Debora Serracchiani ha deciso di chiudere il Punto
nascita di Gorizia, per i pochi parti in un anno, di gran lunga sotto quota 500 fissata dal ministero come
soglia che garantisce la sicurezza di mamme e figli. Una quota destinata a salire a 1.000 parti l’anno e
sulla quale il dibattito si è riacceso negli ultimi giorni a causa delle tragedie in Veneto, Lombardia e
Piemonte, tragedie dal bilancio (pesantissimo) con cinque madri e tre bimbi morti. La giunta, in tempi
brevissimi garantisce Telesca, comunicherà quale Punto nascita sarà chiuso tra Palmanova e Latisana.
Nella città stellata i parti sono aumentati rispetto al 2014 (una quindicina i parti in più), una salita
determinata soprattutto dalla chiusura del centro di Gorizia. Anche a Latisana salgono i parti (circa 40
in più) e l’incremento è stato determinato dalla temporanea chiusura del Punto nascita di Portogruaro.
«C’è un problema generale di diminuzione delle nascite – commenta Telesca – e come giunta siamo
impegnati a migliorare i servizi di welfare e lavoro per invertire il trend, impresa comunque difficile. E
poi c’è il nodo di dove le mamme vanno a partorire e su questo fronte abbiamo il dovere di garantire la
sicurezza di madri e bimbi e i dati, seppur provvisori, ci confermano che il servizio nascita e di
pediatria va concentrato, chiudendo i centri che non garantiscono sicurezza. Quali Punti nascita
chiudere e dove concentrare il servizio? Stiamo ancora valutando le soluzioni migliori ma decideremo
in tempi brevi». Sul fronte economico, invece, Telesca ripete i provvedimenti messi in campo dalla
Regione per il welfare, dalla misura di sostegno al reddito alla riduzione dei ticket sulle prestazioni
sanitarie. «A quegli interventi, che stiamo mantenendo, vanno mescolati i servizi, come quello sugli
asili nidi per i quali – aggiunge l’assessore – abbiamo aumentato le risorse e abbiamo anche anticipato
l’erogazione dei contributi, una scelta che sta dando riscontri molto positivi. Perché le famiglie hanno
bisogno di servizi di rete che le sorreggano anche sotto il profilo educativo». La giunta nella Legge di
Stabilità 2016 ha poi stanziato un milione per i progetti portati avanti dalle associazioni familiari per
supportare le famiglie, nella logica della rete. E poi tra gli strumenti da rafforzare c’è anche la Carta
famiglia, confermata per quest’anno, ma Telesca è al lavoro per modificare il regolamento, perché nel
2015 è avanzato quasi un milione – che la giunta ha utilizzato per coprire il bonus bebè 2014 –, mentre
la Carta famiglia non viene usata dalle fasce di reddito più alte.
Si riapre la gara per il trasporto pubblico (Piccolo)
di Marco Ballico TRIESTE Come da annuncio di fine anno di Mariagrazia Santoro la Regione riapre la
gara per l’affidamento dei servizi di Tpl su gomma e marittimi per un decennio, base d’asta di 1,7
miliardi Iva esclusa. La nuova scadenza per la presentazione delle offerte è il 29 febbraio, mentre non
cambiano i contenuti del bando, se non nell’unico punto ritenuto illegittimo dal Tar, quello dell’obbligo
di acquisto del parco mezzi, un “pacchetto” il cui valore è stato riaggiornato in 155 milioni di euro. La
questione aperta Dopo la “radiografia” dei giudici era rimasta infatti irrisolta una sola delle questioni
aperte dai ricorrenti Busitalia e Autoguidovie Spa, costituite in associazione temporanea d’impresa.
Preso atto che il Consiglio di Stato non si era pronunciato nel merito e, con argomentazioni di natura
processuale, aveva ritenuto vincolanti le determinazioni dei giudici amministrativi, la giunta ha
provveduto alla correzione del bando pubblicato a ottobre 2014 limitatamente all’introduzione della
facoltà di acquisto, e dunque non più dell’obbligo, del parco rotabile utilizzato per lo svolgimento dei
servizi di Tpl. Il paletto della qualità Un’unica modifica, dunque, rimarca Santoro. Perché tutte le altre
scelte, dopo una trafila giudiziaria lunga un anno, vanno considerate valide. Tra l’altro, precisa
l’assessore, passare dall’obbligo alla facoltà di acquisto, «non determinerà il venir meno della qualità e
del rimodernamento del parco mezzi, in quanto al soggetto che decidesse di non avvalersene verrà
comunque richiesto uno standard con almeno le medesime qualità, se non migliori, dell’attuale». Il
valore del parco mezzi Con l’occasione sono stati inoltre aggiornati alcuni dati tra i quali quelli relativi
al personale, alle tariffe in vigore e proprio ai mezzi oggetto di facoltà di acquisto. In particolare è stato
attualizzato il valore complessivo (155 milioni) tenuto conto delle sostituzioni dei veicoli che
avverranno nel corso del 2016, in vigenza degli obblighi contrattuali da parte degli attuali gestori anche
sugli standard qualitativi, che porteranno l’età media a 5,5 anni circa. La fidejussione È stata inoltre
introdotta la previsione di una garanzia, costituita da una fidejussione bancaria, a tutela del puntuale
avvio dei servizi nelle date che saranno previste dagli offerenti, proprio a seguito della previsione di
facoltà di acquisto dell’attuale parco rotabile, stante l’importanza per la Regione, sia in termini
economici che qualitativi, di vedere in campo il nuovo gestore senza ritardi. Il valore della garanzia? La
differenza tra il costo per la prosecuzione del servizio in proroga tecnica e quello offerto
dall’aggiudicatario. Le proroghe Nel contesto della riapertura dei termini per la presentazione delle
offerte, si è infine provveduto a restituire l’offerta già presentata da Tpl Fvg, la società consortile che
unisce gli attuali gestori provinciali del servizio (Trieste Trasporti, Apt Gorizia, Saf Udine e Atap
Pordenone), confermando però la continuità del servizio, e del rinnovo del parco rotabile, per il 2016. Il
via libera della Cgil «L’auspicio è che le sentenze e le loro chiare determinazioni abbiano messo la
parola fine alla fase di contenzioso e che ora chi intende partecipare lo faccia concretamente», rimarca
Santoro. Un primo via libera arriva dalla Cgil che, con il segretario Filt Valentino Lorelli, dopo un
incontro con la direttrice regionale Infrastrutture Magda Uliana, promuove la rimodulazione del
precedente capitolato: «Sono salvaguardati i diritti dei lavoratori e la qualità del servizio».
Crollo della fiducia. Tiene solo Cosolini (M. Veneto)
di Mattia Pertoldi UDINE Roberto Cosolini è il sindaco più amato, tra quelli che guidano i quattro
capoluoghi provinciali, del Friuli Venezia Giulia, davanti a Furio Honsell e alla coppia formata da
Claudio Pedrotti ed Ettore Romoli. C’è di più, però, perchè l’attuale primo cittadino di Trieste aumenta
notevolmente il proprio consenso che cresce di 5,2 punti percentuali in un anno – arrivando al 55,7%
contro il precedente 50,5% – facendo pure registrare la terza miglior performance di tutta Italia dopo il
sindaco di Macerata Romano Carancini e quello di Milano Giuliano Pisapia. Una classifica, questa,
stilata da “Il Sole 24 Ore” in base all’indagine condotta per il quotidiano di Milano dall’istituto Spr
secondo cui, inoltre, al secondo posto su scala regionale si piazza il sindaco di Udine Honsell che, però,
è in calo di quattro punti rispetto al 2014 e del 2,2% se confrontato con il giorno delle elezioni. Una
performance deludente, dunque, ma comunque migliore rispetto a quella registrata sia da Pedrotti, 6,5% sul 2014 e -3,5% confrontato con il 2011, che Romoli – con -9,6% in un anno e -1,5%
paragonandolo all’elezione del 2012 – a chiudere la classifica dei capoluoghi di provincia. Tenendo
sempre bene a mente il saggio concetto espresso dal generale Charles de Gaulle con il suo monito
secondo cui «le statistiche sono come le minigonne, danno delle idee, ma nascondono l’essenziale», la
graduatoria pubblicata da “Il Sole 24 Ore” – basata su un campione di 600 persone a città, con
interviste realizzate tra il 3 novembre e il 20 dicembre e un margine di errore compreso in un range del
4% – ci permette anche di analizzare il trend dei quattro sindaci su scala nazionale. Cosolini, come
accennato, non solo cresce, ma si piazza anche al 33º posto globale assieme ai colleghi di Belluno,
Vercelli, Caltanissetta e Viterbo. «Non vale la pena deprimersi quando le cose vanno male – ha
commentato – e non va bene esaltarsi nei momenti in cui, come questo, i sondaggi invece sorridono.
Non faccio balzi di gioia, ma credo che, con ogni probabilità, i cittadini di Trieste abbiano recepito
positivamente il lavoro svolto lo scorso anno. Un impegno amministrativo intenso, duro, ma che ci ha
portato a cogliere risultati importanti per l’intero territorio». Detto questo, però, Cosolini che, di fatto,
ha già aperto la caccia alla riconferma a Palazzo sa bene come la partita vera si giocherà fra qualche
mese. «L’unico dato che conta – ha concluso – è quello che uscirà dalle urne il 12 e il 26 giugno». Le
due date, cioè, in cui in Friuli Venezia Giulia si andrà rispettivamente al voto per il primo turno delle
comunali e per l’eventuale ballottaggio. Il sindaco di Trieste è l’unico che viaggia a vele spiegate,
stando a “Il Sole 24 Ore”, a differenza dei suoi colleghi degli altri capoluoghi di provincia. Furio
Honsell, ad esempio, si piazza soltanto al 59º posto del ranking fermandosi al 52% del consenso
complessivo contro il precedente 56%. Ma l’inquilino di palazzo D’Aronco giudica i numeri comunque
positivi. «Non posso fare altro che essere lieto – ha spiegato – di come, seppur con un calo che, come
ho sempre detto rientra nell'errore statistico del 4%, la fiducia dei cittadini continui comunque a essere
positiva oltre il 50%. Questi sono stati anni particolarmente difficili e se viene confermato il consenso
dei cittadini è perché abbiamo sempre saputo affrontare con franchezza i problemi senza mai
nasconderci». E se Honsell incassa i complimenti anche del segretario udinese del Pd, Enrico Leoncini,
che parla di «dato significativo», sorride pure il sindaco di Pordenone Claudio Pedrotti nonostante la
77ª piazza complessiva e una fiducia del 50% esatto, in calo di 6,5 punti percentuali. «Non mi
interessavo a queste classifiche prima – ha commentato –, figuriamoci adesso che sono fuori dai giochi.
Ma non posso fare a meno di notare come, nonostante tutto ciò che si è detto sul sottoscritto in questo
periodo, a Pordenone un cittadino su due sarebbe disponibile a votarmi di nuovo». Pedrotti, dunque, è
77º su scala nazionale, esattamente come Ettore Romoli, anch’egli “fermo” al 50% dei consensi e con
un margine negativo, rispetto al 2014, di 3,5 punti percentuali. «L’unico vero risultato che ha valore per
un politico – ha replicato ai dati – è quello legato alle elezioni. Dati, questi, che dicono come il
sottoscritto sia stato in grado di vincere per due volte al primo turno le comunali. Un particolare non da
poco se teniamo in considerazione il panorama italiano dove, un risultato del genere, sono stati capaci
di coglierlo davvero in pochi». E per quanto riguarda il sondaggio in sè, infine, Romoli invita a
riflettere sulla considerazione di come «rifletta il momento in cui viene effettuato» non sia «oggettivo e
aderenti alla realtà di un’amministrazione» e dipenda da «un’infinita di fattori e variabili locali che gli
istituti di ricerca non tengono mai in considerazione».
Via al dopo Squinzi. Summit Fvg-Veneto: «Peserà il nostro voto» (M. Veneto)
di Maurizio Cescon UDINE Confindustria si appresta a vivere una svolta epocale. Il successore di
Giorgio Squinzi, a maggio, sarà scelto per la prima volta non per cooptazione, ma con un’elezione
diretta, dopo che i candidati-presidente avranno presentato programma e squadra. E in questo contesto
in grande evoluzione il Friuli non vuole restare alla finestra. Giovedì a Mogliano si terrà infatti un
summit con tutti i numeri uno delle Confindustria provinciali di Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli
Venezia Giulia, oltre ai presidenti regionali Bono, Zuccato e Pan. Sarà solo un primo faccia a faccia,
ma l’obiettivo è chiaro: fare sintesi per poter “pesare” in vista del voto decisivo sul futuro leader degli
imprenditori. Un ruolo importantissimo, in un mondo politico, economico e sociale che cambia
rapidamente. Dal profondo Nordest non dovrebbero emergere candidature, almeno così sembra. I
veneti sono troppo divisi tra di loro, trentini e friulani non hanno sufficiente forza per esprimere un
nome che possa mettere d’accordo industriali di tutto il Paese, da Torino a Palermo. Ma provare ad
avere la regia dell’elezione, a fare i king makers questa è un’opzione alla quale il Nordest può ambire, a
patto che trovi unità. «Vorremmo che il Triveneto parlasse con una voce sola - spiega il presidente di
Unindustria Pordenone Michelangelo Agrusti -, un po’ come è accaduto per il Consiglio generale
dell’associazione, dove siamo riusciti a esprimere numerose candidature e far eleggere diversi
esponenti. Alla guida di Confindustria servirà un personaggio con un profilo autorevole, che possa
affrontare i cambiamenti della politica, delle istituzioni, del mondo del lavoro. Dovrà esserci un
interlocutore forte e una squadra di eccellenza in un contesto che si evolve in modo veloce. Nella
riunione del 14 proveremo a fare un identikit del presidente che gradiremmo. Ma prima vengono
metodo e programmi. Si discuterà, tra le altre cose, anche di rinnovi contrattuali». Cautela e prudenza
sono le parole d’ordine di Matteo Tonon, numero uno di Confindustria Udine. «Non facciamo fughe in
avanti per quanto riguarda la corsa alla successione di Giorgio Squinzi al vertice - afferma Tonon -.
Abbiamo grande rispetto per la macchina di consultazione, il compito non è certamente semplice. C’è
la necessità di coniugare le esigenze del mondo produttivo italiano rappresentate dal capitalismo che
trae ancora origine e forza dal proprio carattere familiare, grande e piccolo, legate al sistema Paese di
cui Confindustria è portavoce. La fase è delicata in quanto occorre trovare un presidente che con
equilibrio possa coniugare le esigenze del sistema tutto e proseguire sul buon lavoro portato avanti dal
presidente Squinzi, la cui candidatura è stata appoggiata dalla nostra associazione fin dal principio. Da
parte di Confindustria Udine c’è la volontà di prestare molta attenzione nel rappresentare le necessità
del territorio in una chiave condivisa a livello regionale». Ma quali sono i nomi in ballo? Mancano
quattro mesi all’appuntamento decisivo, però c’è già chi, in un modo o nell’altro, si è fatto avanti. Sul
tavolo, al momento, c’è la candidatura di Aurelio Regina, già presidente degli industriali di Roma e
Lazio, che è stato vice di Squinzi nel primo biennio. L’imprenditore-manager romano sarebbe in campo
all’insegna della discontinuità con l’era Squinzi e avrebbe già costituito un ticket con Vincenzo Boccia,
imprenditore della grafica di Salerno. Il profilo di Regina però farebbe fatica a imporsi proprio tra
Lombardia e Nordest, cuore produttivo italiano. Altre candidature potrebbero arrivare dall’Emilia
Romagna, con Alberto Vacchi (capo di Bologna), Andrea Pontremoli (ex manager Ibm) e il presidente
regionale Maurizio Marchesini. Entro febbraio il quadro sarà comunque meglio definito. Di sicuro
cambierà metodo di scelta: tre saggi dovranno consultare l’organizzazione sul territorio, vagliare le
candidature che saranno sottoposte al voto del Consiglio generale, ma solo quelle che avranno il 20%
dei consensi assembleari. Quindi la designazione ufficiale il 17 marzo e l’investitura a maggio.
Ribaltone in Electrolux. Il flop Usa travolge McLoughlin (M. Veneto)
di Elena Del Giudice UDINE Nella nota con cui Electrolux, la multinazionale svedese leader
dell’elettrodomestico, ha annunciato le dimissioni dell’attuale amministratore delegato Keith
McLoughlin, non se ne fa cenno, ma in sede di conferenza stampa telefonica l’ex ceo ha parlato della
vicenda General electric appliance. La mancata acquisizione, svanita ad accordo già sottoscritto a causa
delle pressioni dei dipartimento di Giustizia statunitense che aveva bocciato l’operazione perché lesiva
della concorrenza, ha pesato e non poco sull’addio del manager che da cinque anni guida il colosso
svedese. Acquisizione che, oltre ad essere “svanita” per il dietrofront di Ge (che non ha voluto
attendere l’esito del processo), è costata a Electrolux 175 milioni di dollari (già pagati) e la perdita di
una quota rilevante di mercato Usa: quella della divisione elettrodomestici di Ge. L’operazione - la più
grande di sempre per Electrolux - era stata annunciata con risalto nell’autunno 2014. Poi l’antitrust
americana era scesa in campo per contrastare l’acquisizione che avrebbe determinato la nascita di una
posizione dominante di Electrolux nel mercato americano, e un danno per i consumatori che avrebbero
avuto minori opportunità di scelta, “compressi” tra gli svedesi e Whirlpool. Mentre Electrolux avrebbe
visto non solo incrementate le proprie quote di mercato, ma si sarebbe ulteriormente consolidata come
operatore globale, forte abbastanza per contrastare con maggiori possibilità di successo l’avanzata dei
competitors del Far East, coreani e cinesi in primis. McLoughlin, americano laureatosi all’Accademia
militare di West Point, aveva investito molto in quel progetto che si era concretizzato proprio per le
ottime relazioni che il manager ha sempre mantenuto con il business Usa (avendo guidato la divisione
americana della multinazionale svedese prima di diventare ceo), e la sconfitta deve essergli apparsa
bruciante. «L’operazione Ge si è conclusa - ha dichiarato in conferenza stampa -, anche se non nel
modo in cui avevamo sperato». Per cui è arrivato per lui il momento di dimettersi. Evitando peraltro
l’imbarazzo di una sua possibile sostituzione in sede di assemblea, già convocata per aprile, in cui verrà
eletto il nuovo consiglio di amministrazione e, al suo interno, presidente e ceo. «L’azienda è in una
posizione di forza e ha un capace successore. Ora è il momento giusto per me di tornare alla mia
famiglia negli Stati Uniti», ha dichiarato. Il cda del Gruppo ha preso atto delle dimissioni di
McLoughlin e ha individuato il successore. E’ Jonas Samuelson, attualmente a capo di Electrolux
major appliances per Europa, Medio Oriente e Africa (ovvero alla guida di tutto l’elettrodomestico di
quest’area del globo, compresa l’Italia), e in precedenza direttore finanziario della società. Il presidente
di Electrolux, Ronnie Leten, ha dichiarato che l’obiettivo di Samuelson «sarà quello di proseguire
nell’attuazione della strategia che vuole Electrolux diventare sempre più una società orientata al
consumatore, operante su scala globale. Con il suo background e i risultati comprovati che ha già
raggiunto, sono certo che lui, di diritto, è il giusto nuovo leader per Electrolux». Samuelson, che
assumerà l’incarico il primo febbraio, ha annunciato che il suo primo impegno, in qualità di Ceo, sarà
quello di trovare il nuovo manager a cui affidare la responsabilità del settore di cui si occupava. Figura
di non poco conto per il ramo italiano del Gruppo, oggetto di un accordo che andrà a verifica entro
l’anno, dal quale dipenderanno le scelte di investimento, e di futuro, per le 4 fabbriche di Porcia,
Susegana, Solaro e Forlì.
«Ci aspettiamo che rispetti gli accordi»
di Michela Zanutto UDINE Purché «gli accordi siano rispettati», i sindacati vedono di buon occhio il
cambio al vertice di Electrolux. Il passaggio di testimone da Keith McLoughlin a Jonas Samuelson,
effettivo dal primo febbraio, «non è necessariamente una brutta notizia» sintetizza Gianni Piccinin
segretario generale della Fim Cisl di Pordenone. Attendista Roberto Zaami, responsabile della Uilm
Pordenone: «Noi le persone le misuriamo sui fatti». L’ultima informativa di Electrolux che ricordi
Piccinin risale a ottobre: «In quell’occasione nessuno aveva fatto capire che c’era un cambiamento ai
vertici – sottolinea –. Anche se poco prima di Natale qualche voce circolava. In ogni modo, vedo di
buon occhio un cambio perché probabilmente Samuelson è più bravo di McLoughlin». In altre parole i
lavoratori «possono dormire sonni tranquilli – continua Piccinin – perché queste dinamiche contano
poco nell’economia dei singoli stabilimenti. E poi un vento nuovo non necessariamente deve essere
considerato un aspetto negativo. Se poi danno spazio a un giovane, ancora meglio, chissà che non porti
idee innovative. Aspettiamo l’osservatorio di marzo per fare il punto della situazione, anche perché
Electrolux Porcia ha ripreso a lavorare a sei ore dal 7 gennaio e Vallenoncello ha iniziato oggi (ieri per
chi legge, ndr) ed è ancora presto per dire come sta andando». Zaami aspetta la nuova strategia del
gruppo prima di sbottonarsi. Ma ricorda che si parte da un punto ben preciso, ovvero «gli impegni
sottoscritti con l’azienda. Vogliamo che siano rispettati». A cominciare dall’accordo siglato il 15
maggio. Accordo che rilancia Porcia. «Quel documento prevede una missione produttiva per lo
stabilimento indirizzata sul top di gamma e una gestione dell’eccedenza – ricorda Zaami –. Electrolux
in questo caso riassorbirebbe 150 lavoratori. Un passaggio fondamentale, ecco perché attendiamo il
rispetto degli impegni sottoscritti. Vorremmo anche maggiore attenzione sui siti italiani per sviluppare
volumi di mercato che si stanno aprendo. È la stessa Electrolux a dire che siamo tra i più produttivi ed
efficaci in tutto il mondo». Quanto al naufragio del progetto di acquisizione di General electric
appliances che avrebbe determinato la fine dell’era McLoughlin, Zaami nicchia: «Questa è una vicenda
che avrà risvolti all’interno del piano dirigenziale, ma sono cose che non sono date da sapere a noi. A
noi interessa che una parte dell’attività produttiva di Solaro in provincia di Milano sia dedicata al
mercato americano. Sbocco che vorremmo portare anche a Porcia. Inoltre, considerato che lo
stabilimento polacco è ormai saturo, ci aspettiamo che un’eventuale crescita di volumi sia indirizzata a
Porcia. Maggiori volumi per noi significa minore gestione dell’eccedenza. E minori costi sociali».
«Per i premi al personale siano i dirigenti a pagare» (M. Veneto)
UDINE «Non siano i lavoratori a pagare gli errori dei dirigenti»: è il messaggio che lancia il Nursind, il
sindacato delle professioni sanitarie, in merito a quanto avvenuto alla ex Ass 2 Isontina. E annuncia
anche un controllo sulle consulenze attraverso un eventuale esposto alla Corte dei Conti. Ieri la
segreteria regionale del sindacato si è riunita per cominciare ad analizzare la situazione e decidere
come agire. È emerso nei giorni scorsi, infatti, che per il 2014 sono stati erogati al personale medico e
del comparto dell’azienda (infermieri e operatori) della ex Ass 2 Isontina incentivi di legge. Ma per
l’erogazione mancava la condizione essenziale, ovvero che il bilancio chiudesse in utile o quantomeno
in pareggio. Invece il documento finanziario ha chiuso un disavanzo di 3,1 milioni di euro. Bilancio
che non avrebbe dovuto fare scattare gli incentivi ma nel frattempo i soldi sono stati erogati ugualmente
ai lavoratori, con la necessità per i vertici della nuova Azienda sanitaria Bassa Friulana-Isontina
(succeduta alla Ass 2) – Giovanni Pilati direttore generale e Alberto Poggiana, direttore amministrativo
– di recuperare le risorse. «Non troviamo corretto – afferma il segretario regionale del Nursind,
Gianluca Altavilla – che, per colpa di dirigenti che non sanno fare il proprio lavoro, o meglio non sanno
fare i conti, ci rimettano gli infermieri o tutto il personale». Secondo Altavilla «il fatto più grave è che
tutto passa dal nucleo di valutazione individuale e dai revisori dei conti, due organi fondamentali che
devono verificare la corretta applicazione e copertura economica degli accordi decentrati, pagati
profumatamente. I lavoratori non hanno colpa: questa è una sanzione disciplinare senza procedimento –
aggiunge –. I lavoratori hanno pagato con la salute le mancate sostituzioni del personale». L’esponente
sindacale indica anche una soluzione, invece, che richiedere i soldi ai lavoratori: andare a verificare le
consulenze che l’ex Ass 2 ha erogato in due anni. «Se servono 659 mila euro, facciamo restituire le
somme elargite ai consulenti – spiega ancora Altavilla –, tra l’altro vietati dalla legge 135 del 2012: nel
2014 sono stati pagati 565 mila 185 euro, mentre nel 2015 320 mila euro. Passeremo al vaglio tutte le
consulenze per capire se sono appropriate: eventualmente presenteremo un esposto alla Corte dei Conti.
Visto il risultato della grande professionalità di questa classe dirigente – conclude –, chiediamo che sia
congelata la produttività 2015 dei direttori generale, amministrativo e sanitario, nonché restituita la
produttività dei direttori che si sono susseguiti in questi anni nell’Isontino». (d.s.)
Hera, quattro acquisizioni per crescere ancora (Piccolo)
di Massimo Greco TRIESTE Il mercato finanziario risponde favorevolmente al piano quadriennale
2016-19 di Hera, approvato ieri mattina a Bologna dal consiglio di amministrazione del gruppo, che
controlla l’utility nordestina AcegasApsAmga e dove siedono Riccardo Illy e Cesare Pillon: il titolo ha
viaggiato a 2,47 euro in aumento del 2,2%. A favorire la positiva accoglienza da parte di Piazza Affari
il messaggio rassicurante che la seconda multi-utility nazionale ha inteso trasmettere: messaggio di
crescita in termini di ricavi e di marginalità, a garanzia - come ha sottolineato il presidente Tomaso
Tommasi di Vignano - delle politiche di dividendo finora perseguite. Ecco i numeri-sintesi, raffrontati
con gli ultimi “ufficiali” del 2014. Le previsioni al 2019 dicono che i ricavi saliranno di quasi un quarto
da 4,7 a 5,8 miliardi, il margine operativo lordo (mol) incrementerà di circa un quinto da 868 a 1030
milioni, il rapporto tra indebitamento e mol scenderà da 3,04 a 2,9 volte. Attenzione: le cifre
miglioreranno - argomenta il comunicato diffuso da Bologna - nonostante il calo della remunerazione
sui servizi regolati, nonostante i minori incentivi, nonostante la ripresa economica sia ancora timida.
Come farà Hera? Lavorerà su due direttrici di crescita. Migliorerà quella interna, puntando a contenere
i costi per 72 milioni e ad ottenere 21 milioni di ulteriori sinergie dal “fronte Est”, alle voci AcegasAps,
Amga, Isontina Reti Gas, Est Reti Elettriche. Al recupero di efficienza gestionale interno si aggiungerà
l’ampliamento del perimetro aziendale all’esterno, dove vengono programmate quattro acquisizioni di
medie dimensioni: la nota non dettaglia ovviamente il poker di obiettivi, ma, in considerazione del fatto
che Hera ha finora perseguito un’espansione all’insegna della contiguità territoriale, è lecito ritenere
che il Nordest rappresenterà ancora argomento di possibili aggregazioni. Dalle quattro operazioni Hera
si attende un contributo di 110 milioni al margine operativo. I tre quarti degli investimenti, che
ammontano nel quadriennio a 2,2 miliardi, sono destinati all’area reti e sono comprensivi delle gare gas
(tra cui quelle in Friuli Venezia Giulia, dove Trieste è la più importante). L’efficienza delle
infrastrutture (energia lettrica, gas, gestione delle acque) - spiega la nota - rappresenterà il 40% della
crescita. Per il 2019 il gruppo emiliano-romagnolo-veneto-giuliano-friulano conta che il valore delle
reti distributive sarà salito del 16-17% a 3,5 miliardi. In termini di marginalità Hera si attende un
rilevante balzo in avanti dal settore ambiente, dove si stima un aumento di ben 60 milioni a quota 302.
Comunque significativa anche la previsione relativa al settore energetico, dove la progressione del
margine consentirà di passare da 188 a 214 milioni: Hera pensa di raggiungere nel 2019 i 2,3 milioni di
contratti per quanto riguarda la vendita di gas e di energia elettrica. «Il piano è allineato alla nostra
tradizione di crescita - ha commentato Tommasi - la crescita prospettata implicherà flussi finanziari
sufficienti a coprire tutti gli investimenti previsti». Anche l’amministratore delegato Stefano Venier
preme sul «rispetto degli equilibri finanziari che ci hanno caratterizzato».
CRONACHE LOCALI
Meno letti in ospedale e più cure sul territorio (M. Veneto Udine)
di Alessandra Ceschia Meno posti letto in ospedale e più assistenza sul territorio. Questo il principio
sul quale si incardina il piano attuativo integrato per il 2016 che l’Azienda per l’assistenza sanitaria 4
del Friuli centrale e l’Azienda ospedaliero universitaria Santa Maria della Misericordia hanno redatto in
maniera congiunta. Acuti e day hospital Il programma prevede il potenziamento dell’assistenza
primaria fuori dall’ospedale, la riduzione dei posti letto ospedalieri per acuti a 3 per mille abitanti e
l’aumento dei posti letto ospedalieri di riabilitazione allo 0.3 ogni mille abitanti, tenendo conto della
delibera della giunta regionale 2673 del dicembre 2014 che ha ridefinito gli standard, le funzioni
dell’assistenza e le dotazioni massime di posti letto. Entro il 30 giugno l’Azienda dovrà dare completa
attuazione a quanto previsto dal decreto in materia di posti letto ordinari ed entro il 30 settembre verrà
effettuata anche la revisione dei posti letto diurni. Dovranno essere tagliati 16 posti letto per acuti e 55
per day hospital, in quanto eccedenti il limite fissato rispettivamente a 880 e 74 posti. Modifiche che, si
stima, porteranno a una riduzione di costi connessi alle degenze per 1,1 milioni di euro. Gli
investimenti «I punti salienti del documento – conferma il commissario straordinario Mauro Delendi –
riguardano lo sviluppo delle linee attuative della riforma regionale, l’integrazione con il territorio e la
realizzazione di strutture di continuità a livello distrettuale, il punto di approdo di questo percorso sarà
l’Azienda integrata. Gli investimenti principali inseriti nel documento di previsione riguardano il
completamento del 4^ lotto dell’ospedale, che contiamo di cantierare alla fine di quest’anno o all’inizio
del prossimo, quindi l’avvio della gara per la riqualificazione dell’Ostetricia e della Ginecologia nel
padiglione 7». I tagli Numerosi i tagli previsti dal documento, a partire dall’attribuzione delle risorse
regionali, contratte dell’1,6 per cento rispetto al 2015 (5,2 milioni di euro in meno), una riduzione
parzialmente compensata dalla maggiore valorizzazione della mobilità per ricoveri, dal separato
riconoscimento della funzione di emergenza urgenza, quindi da un aumento a 4.393.000 euro dei fondi
per la gestione delle linee di centralizzazione dell’elisoccorso e dei canoni per il ponte radio emergenza
sanitaria 118. Il totale dei finanziamenti per il 2016 ammonta a 453.495.512, di cui 380.658.387 per
l’Aas4. Il conto economico dell’Azienda ospedaliero universitaria pareggia a 383.266.299. Il
contenimento della spesa riguarderà anche la farmaceutica, i dispositivi medici, le prestazioni
aggiuntive e il personale. I servizi sul territorio La modifica della geografia dei servizi segue le linee
per la gestione del servizio sanitario e sociosanitario regionale 2016 approvate dalla giunta nel
novembre 2015. Il punto di approdo sarà l’incorporazione dell’Azienda ospedaliero universitaria di
Udine (Aoud) con l’Azienda per l’assistenza sanitaria 4 del Friuli centrale e a creazione dell’Azienda
sanitaria integrata di Udine a seguito della sottoscrizione dei protocolli d’intesa fra Regione e
Università. Per potenziare l’offerta sanitaria territoriale e la continuità dell’assistenza sono già stati
avviati alcuni progetti. È stato attivato un punto distrettuale all’interno dell’Azienda ospedaliero
universitaria con la finalità della presa in carico diretta e integrata con il distretto di Udine e l’ambito
socio-assistenziale dei pazienti nei reparti più critici, iniziando la sperimentazione con l’Ortopedia. Dal
giugno scorso è stato attivato al distretto di Udine un ambulatorio urologico che copre 23 ore
settimanali attraverso l’accesso di un medico dell’Aoud. Potenziata l’offerta territoriale, trasferendo un
ambulatorio specialistico dell’Aoud al distretto di Udine per 29 ore settimanali. Da dicembre è inoltre
iniziata l’attività di assistenza per patologie odontostomatologiche di odontoiatria e chirurgia maxillofacciale al Centro gravi e gravissimi a favore dei Servizi per l’handicap dell’Aas4 per due ore
settimanali. Gli hospice Per la Geriatria è in fase di sperimentazione una procedura tra Distretto e la
Medicina di Cividale per la presa in carico del paziente fragile. All’hospice di Cividale sono inoltre
stati attivati 4 posti letto per l’assistenza alla terminalità dal marzo scorso. La riorganizzazione della
funzione di hospice negli 8 posti letto disponibili a Udine ha permesso di integrare la struttura. A
incrementare i servizi sul territorio hanno concorso progetti come quello dei referti online, il sistema
Home tao e la prenotazione di visite ed esami nelle farmacie.
Emergenza casa: più di mille famiglie senza alloggio Ater (M. Veneto Udine)
di Giacomina Pellizzari Lo scorso anno, in Friuli, più di mille famiglie sono rimaste senza casa
popolare. Impossibile soddisfare tutte le domande ricevute, il patrimonio esistente caratterizzato da 3
mila 497 alloggi di cui solo 97 sono sfitti, è insufficiente. A far emergere il dato, ieri sera, in sala
Ajace, è stato l’assessore regionale alla Pianificazione territoriale, Mariagrazia Santoro, nel corso della
presentazione della legge quadro che riordina le politiche sulla casa. L’obiettivo è aiutare chi non ce la
fa, perché non ha un lavoro a tempo indeterminato, ad accedere ai mutui, chi non riesce a pagare
l’affitto e chi recupera le case sfitte. La riforma fa leva proprio sui numeri che ogni commissione
regionale dovrà affrontare per dare una risposta, tanto per citare un esempio, alle 1.680 famiglie che
solo lo scorso anno avevano chiesto un aiuto per riuscire a pagare l’affitto. «Se riusciamo a dare una
casa alle 1.023 famiglie rimaste senza alloggio Ater avremo solo 500 da sostenere con l’affitto» ha
evidenziato l’assessore invitando la commissione ad analizzare tutti gli aspetti. «Questo livello di
dettaglio può essere fatto solo sul territorio» ha aggiunto Santoro rivolgendosi a un sala semivuota dove
erano seduti solo i rappresentanti di quattro comuni dell’Uti Friuli centrale. La riforma incamera il
contributo sulle ristrutturazioni già previsto dalla legge sul riuso che quest’anno può contare sullo
stanziamento di 10 milioni di euro. Il contributo è riservato alla prima casa situata in centro storico.
Sarà rimodellato anche il contributo per l’ acquisto della prima casa «riservando - ha sottolineato
Santoro - attenzione a chi acquista immobili ristrutturati e da ristruttura». Ma la riforma che individua
gli strumenti necessari privandoli della rigidità finanziaria e rendendoli molto più flessibile, trasformerà
il Piano di convergenza delle Ater che da maggio a ottobre ha consentito di risparmiare un milione di
euro,in un sistema unico delle Ater. «Eliminato l’amministratore unico, il direttore generale diventerà
come il direttore generale dell’Azienda ospedaliera» ha aggiunto l’assessore nell’assicurare che «i
regolamenti attuativi della legge saranno discussi immediatamente a valle della legge che approderà in
aula a fine mese». Oggi prende il via l’analisi in commissione. Il contenuto della riforma convince il
sindaco Honsell anche se è stato proprio lui a fare un unico appunto sul modello di gestione delle Ater.
«Con tutto rispetto spero che il direttore generale dell’Ater non diventi come il direttore generale
dell’Azienda sanitaria perché, senza nulla togliere alla sanità, se diventa così si va verso un mondo
autoreferenziale». Honsell ha suggerito di istituire una sorta di Consulta d’ambito dove tutti i sindaci
hanno capacità di intervenire sulla pianificazione. «Dovendo prendere a riferimento un modello posso
dire - ha ribadito il sindaco - che quello della Consulta d’Ambito funziona. È efficace». Immediata la
replica dell’assessore convinta che l’Ater deve diventare uno strumento tecnico, puro.
Sintesi, rientro al lavoro senza stipendi (M. Veneto Pordenone)
di Guglielmo Zisa SPILIMBERGO Rientro al lavoro amaro ieri, dopo la sosta natalizia, per le
maestranze della Sintesi di Spilimbergo. Quello che auspicavano fosse un semplice contrattempo nel
giro di una manciata di minuti si è tramutato in beffa. «Ci è stato comunicato dalla proprietà che di
soldi, per i nostri stipendi di dicembre, le tredicesime e, ovviamente, tutti gli arretrati, non ce ne sono»,
lamentano i lavoratori che, ricevuto il saldo dello stipendio di ottobre (il 40 per cento) a metà dicembre
e ottenuto, intorno a Natale, metà dello stipendio di novembre, contrariamente alle promesse loro fatte
dalla proprietà, la società di investimenti Ikf, che entro la fine dell’anno appena trascorso tutto si
sarebbe risolto, sono rimasti a bocca asciutta. Una situazione che, oltre ai quattordici lavoratori ancora
attivi nel sito produttivo della zona industriale del Cosa, riguarda anche gli altri sedici che dallo scorso
marzo sono in cassa integrazione visto che, ricordano le maestranze, «stando a quanto concordato,
sarebbe compito dell’azienda anticipare la cassa dovuta ai nostri colleghi. Peccato che anche a loro sia
riservato lo stesso trattamento, così come a quei colleghi che, volontariamente, si sono licenziati mesi
fa e ancora attendono il pagamento di trattamenti di fine rapporto e premi di anzianità maturati».
Decisivo diventa a questo punto l’atteso tavolo di confronto fra azienda e sindacati in programma
venerdì, a Pordenone. Incontro che si sarebbe già dovuto tenere prima di Natale, poi rinviato su
richiesta di Ikf, impossibilitata a essere presente a causa di altri impegni. Posticipo mal digerito da
lavoratori e parti sociali. «La situazione è drammatica», spiega Gianni Piccinin (Fim-Cils), rivelando
che, stando ai rumors, sembrerebbe che la proprietà, proprio nei giorni scorsi, si sia attivata per aprire
la procedura di mobilità per cessata attività. Il che significherebbe, come a più riprese ventilato,
chiusura dello stabilimento di Spilimbergo e licenziamento dei lavoratori a fine marzo. «Se così fosse,
all’incontro di venerdì, cui parteciperanno anche gli organi del concordato, Ikf deve dirci, una volta che
ha deciso di licenziare i lavoratori, se è in grado di pagare le spettanze dovute, sia a quelli che stanno
lavorando sia ai cassintegrati, così come a quelli che sono andati via e verso cui sono indietro coi
pagamenti di una rata e mezzo», osserva Piccinin. Un problema, quello di liquidità dell’azienda, che si
ripercuote ovviamente sulla produzione visto che, concludono le maestranze, «nonostante tutte le
difficoltà del caso, il lavoro non è mai mancato e non mancherebbe: peccato che, non pagando i
fornitori, non siamo in grado di lavorare e consegnare gli ordinativi che abbiamo. Per non parlare poi
del fatto che, anche negli uffici, manca il riscaldamento e francamente di lavorare al freddo e senza
vedere un quattrino non abbiamo alcuna voglia».
Negozi Bernardi sempre più vicini alla riapertura (M. Veneto Pordenone)
A breve i due negozi Bernardi in provincia di Pordenone (in città, in viale Cossetti, e a Villotta di
Chions) riapriranno i battenti. La data non è ancora certa, ma la newco che si è aggiudicata
l’acquisizione dei negozi della catena d’abbigliamento, la Erreci negozi srl di Pietragalla, in provincia
di Potenza, ha dato come periodo di riferimento la metà di gennaio. Insomma, ci siamo: la prossima
settimana si potrebbe sapere qualcosa di più del piano industriale per il rilancio dei punti vendita. Tutti
i negozi che erano rimasti aperti saranno recuperati, mantenendo il marchio originario ancorchè sotto
una nuova proprietà. Così accadrà anche ai negozi pordenonesi. Resta da capire quante potranno essere
le assunzioni alla luce del fatto che molte commesse, alla chiusura, avevano cercato altre strade: in
totale, quelle che hanno creduto fino alla fine nella riapertura sono state 50 in tutti i punti vendita. A
Pordenone, circa la metà delle commesse hanno preso altre strade. «Il condizionale rimane d’obbligo –
ha affermato Adriano Giacomazzi della Fisascat Cisl –. Finchè non vediamo le serrande alzarsi non
diciamo l’ultima parola. Ma la riapertura dovrebbe avvenire a metà mese, anche se i tempi non sono
molto chiari nel momento in cui non è ancora stata presentato il piano industriale». La chiusura del
negozio di viale Cossetti era stato un fulmine a ciel sereno, anche se da tempo si sapeva che la
situazione era precaria: erano ormai mesi che i negozi ancora aperti non acquistavano prodotti ma
lavoravano con merce in conto vendita. Le commesse erano state avvisate all’ultimo: dopo aver
lavorato fino a metà dicembre, di punto in bianco erano state avvisate di raccogliere tutto per la
chiusura del punto vendita. All’indomani della chiusura, era apparso un laconico cartello che recitava
“Chiuso per inventario”, ma tra le grate della serranda si notava l’aria di smantellamento. Ora la
speranza per le dipendenti è di invertire la rotta e poter vedere scatoloni che si riaprono e vetrine di
nuovo illuminate. Laura Venerus
Vigili del fuoco sempre più allo stremo (M. Veneto Pordenone)
di Chiara Benotti «L’autoscala e l’autogru hanno 20 anni, l’autopompa serbatoio Aps è in uso da 10:
manca il rinnovo del parco macchine, ai vigili del fuoco a Pordenone». L’inventario in sofferenza è
steso da Delfio Martin, sindacalista Fns-Cisl in via Interna. «Il 50% dei mezzi è parcheggiato sul
piazzale della caserma perché mancano gli spazi nei garage – ha continuato Martin –. Le risorse del
ministero sono state concentrate a Milano per l’Expo nel 2015 e, poi, a Roma per il Giubileo. Il
comando di Pordenone, come a Udine e Trieste, non ha fondi né mezzi nuovi. I nostri camion
inquinano come 10 auto l’aria cittadina. Oltretutto il comandante Doriano Minisini sarà promosso e ci
lascerà a settembre». Carenza di mezzi, organici in sofferenza, salari bloccati per i vigili del fuoco, che
salvano vite umane e sono sempre in prima linea. La mancanza di fondi per adeguare i mezzi in
dotazione alla caserma, in città, è uno dei problemi che investono il comparto sicurezza. «La sede in
affitto in via Interna ha costi stratosferici – è l’altro fattore indicato da Martin, circa un milione di euro
l’anno –. Lo Stato avrebbe risparmiato se avesse investito, in passato, le risorse in una nuova caserma:
quella attuale ha uffici stretti (in 10 metri quadri lavorano in due) come le camerate e manca la
manutenzione. Se la caldaia va in tilt, restiamo senza acqua calda». La nuova caserma sarà all’ex Monti
in Comina: 12 milioni di euro stanziati. «La prima copertura dell’opera di riatto è stata confermata dal
ministero dell’Interno, nell’accordo di cessione con il Demanio – ha spiegato il sindacalista Cisl –, ma i
tempi per l’appalto europeo e l’iter burocratico sul progetto possono allungare i tempi di trasferimento
da via Interna in Comina anche al 2019. Intanto, lo Stato continuerà a pagare l’affitto per una sede che
ha problemi». I vigili del fuoco sono in prima linea nelle emergenze con turni di 35 ore settimanali a
testa. «Salario fermo a 1.350 euro mensili – ha segnalato David Bessega, pompiere distaccato a Milano
da Pordenone fino a marzo –. Ogni trimestre arrivano i pagamenti di straordinari e ore notturne pari a
150 euro medi. Le buste paga “piangono”, rispetto al servizio di sicurezza che offriamo alla
popolazione. “Chiediamo dignità salariale – ha concluso Bessega – e il rinnovo del parco macchine».
La rotta turca traina la ripresa del porto (Piccolo Trieste)
di Silvio Maranzana C’è solo un’autostrada che arriva a Trieste e che ha già aperto nuove corsie: è
quella del mare con la Turchia su cui ogni settimana viaggiano 16 traghetti in un senso e altrettanti
nell’altro e che sta trainando tutto lo scalo. È il dato più rilevante che emerge dal bilancio in porto
sull’anno appena terminato se si vanno ad approfondire i dati generali diramati ieri dall’Autorità
portuale. Trieste, rileva la nota, si conferma primo porto d’Italia nel 2015 per volumi complessivi. Nel
corso dell’anno appena concluso, sono state movimentate 57.161.201 tonnellate di merce (+0,07 %
rispetto al 2014). Si registra una leggera flessione delle rinfuse liquide, 41.286.761 tonnellate, (0,96%). Questo dato tiene conto della Siot, dove a causa dei lavori di manutenzione su un pontile vi è
stato un lievissimo calo rispetto al record dell’anno scorso e le petroliere sono diminuite da 523 a 499 e
della quota minimale che fa riferimento a Depositi costieri triestini. L’Authority evidenzia invece la
forte crescita delle rinfuse secche (+106,85%). Rilevante anche l’aumento delle merci varie non
containerizzate (+21,84%). Vi è stata una netta ripresa del traffico di container nella seconda metà
dell’anno, tanto da assorbire completamente la diminuzione a due cifre, iniziata già alla fine del 2014 e
durata fino al primo semestre del 2015. Con questa inversione di tendenza, il traffico è rimasto quasi
invariato rispetto all’anno precedente, con una movimentazione complessiva nel 2015 di 501.276 teu, (0.94%). La cifra si riferisce a tutto lo scalo mentre per quanto riguarda il Molo Settimo i teu
movimentati sono stati 443.882 con un calo del 6,8% rispetto ai 476.507 teu del 2014. I segnali più
incoraggianti arrivano però dal comparto ro-ro che segna un + 1,49% con 301.144 semirimorchi
movimentati. Per la maggior parte fanno riferimento alle linee con la Turchia anche se comprendono
pure quelle con Grecia e Albania. Trieste si conferma sempre più porto leader per l’intermodalità,
assieme a La Spezia il principale porto ferroviario d’Italia, e per far notare il rilievo che la quota del
traffico intermodale sta assumendo nell’ambito dello scalo, il commissario dell’Authority Zeno
D’Agostino ama fare un ragionamento complessivo anche in termini numerici, che integri la
movimentazione dei container e quella dei ro-ro. Esprimendo in teu equivalenti anche tutte le unità di
carico movimentate sui traghetti e sommandole ai container, si arriva a 1.178.783 teu lavorati nel 2015
(+0,44%). Nettamente positivi anche i numeri sul traffico ferroviario, che collocano Trieste ai vertici
nazionali della movimentazione ferroviaria in ambito portuale. 5604 sono stati i treni - con destinazione
prevalentemente internazionale - manovrati nel 2015 con un aumento del 12,71% sul 2014. «Ciò a
conferma - sottolinea la nota del Porto - della bontà delle scelte strategiche compiute dell’Apt in
materia di investimenti nel comparto ferroviario». I risultati sono considerati ottimi dal commissario
D’Agostino. «Abbiamo superato vari record nel corso del 2015 - commenta - ma in realtà non ci
interessa stilare classifiche, perché i numeri vanno letti e interpretati. Un porto è qualcosa di più che
una posizione in una tabella che può variare di anno in anno. Intendo però far emergere che Trieste ha
sempre più un carattere polivalente. Non si vive di solo container o di solo petrolio, nonostante le
rinfuse liquide abbiano un peso primario per noi. Non vogliamo guardare solo a questi due settori, ma
investire sulla diversificazione, vero valore aggiunto per uno scalo moderno». È l’occasione più
propizia dunque per il commissario per focalizzare i settori strategici per il futuro: «Traffico
intermodale e ferroviario - spiega - saranno le leve su cui puntare. Trieste deve crescere sempre di più
guardando all’integrazione logistica terra-mare. Il superamento del milione di teu sommando container
e rotabili, non è uno spot, ma la cifra che rappresenta la realtà del nostro porto».
«Tribunale ingestibile? Uniamoci a Trieste» (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
di Francesco Fain La strategia per salvare e potenziare il Tribunale di Gorizia? Unirsi a Trieste e
mettere insieme due dei Palazzi di giustizia più piccoli d’Italia. «È una bestemmia? Il servizio giustizia
(e dunque gli interessi della gente) ne guadagnerebbe». A formulare la proposta-choc è il senatore
Alessandro Maran al culmine di un lungo e articolato ragionamento. È consapevole che «si leveranno
lamenti e grida per la spoliazione ulteriore del capoluogo. Ma cosa vogliamo? Vogliamo mantenere il
simulacro di un servizio che non funziona (e che così non può funzionare), o vogliamo fare in modo
che il servizio giustizia funzioni meglio?» Maran specifica la sua è solo un’opinione personale. «Anche
perché - aggiunge - sul punto la posizione del Pd (e delle altre forze politiche) varia a seconda del
territorio interessato». Il senatore afferma che il tribunale di Gorizia, in ogni caso, non corre il rischio
di chiusura. «Com’è stato chiarito molte volte, da ultimo dalla senatrice Fasiolo, nessuno lo vuole
chiudere. Semmai, il problema resta un altro: così com’è combinato, il Tribunale non funziona come
dovrebbe. Perché? Perché è troppo piccolo, troppo periferico e non ci vuole venire nessuno. E non
bastano neppure gli incentivi che hanno garantito ai magistrati, in quanto sede disagiata, uno stipendio
maggiorato. Dunque, il problema è che il Tribunale deve “diventare più grande”». Non a caso c’era e
c’è la proposta di allargamento a Palmanova e alla Bassa Friulana, «ma questo progetto - aggiunge il
senatore - si scontra con l’avversione di tutti i soggetti istituzionali interessati, dal sindaco di
Palmanova all’Ordine degli avvocati di Udine, dalla provincia di Udine alla Regione. Nessuno da
quelle parti vuole venire con noi. E come si è visto, senza il consenso degli interessati, il Governo
(delegato a rivedere la geografia giudiziaria) non muoverà un dito. Messe così le cose, l’allargamento a
Palmanova è probabile che coincida con l’arrivo di... Godot». Ecco allora la proposta: andiamo con
Trieste. «La distanza tra Trieste e Monfalcone è più o meno la stessa di quella che c’è tra Monfalcone e
Gorizia. Se quel che ci sta a cuore è la giustizia intesa come servizio, converrebbe ragionarci su. Se
quel che più conta invece è il rango della città, allora il problema è un altro. Resto dell’opinione che
Gorizia debba fronteggiare ben altre sfide (a cominciare dal crollo demografico e dalla drammatica
incapacità di attrarre capitali e investimenti privati: tutte cose che la ricerca recente dell’Ires ha
illustrato e sulle quali sono tornato non molto tempo fa). E resto dell’opinione che la nostra piccola
regione sia un “unico spazio metropolitano”, cioè un unico bacino di domanda e offerta per tutta una
serie di servizi (università, ricerca, sanità, terziario avanzato). Proprio perché sono attaccato alla mia
terra (anche se siedo in Parlamento per rappresentare delle idee e non una porzione di territorio: com’è
noto, sono stato eletto, in quanto capolista, nella circoscrizione del Senato del Friuli Venezia Giulia),
ritengo sia il caso di rifletterci su. Va da sè che se i colleghi che sono stati scelti in rappresentanza
dell’Isontino e le istituzioni territoriali hanno un’idea migliore, sarò lieto di sostenerla e di battermi
insieme a loro».
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