Melodramma A fianco: A.L. Roller, Valle tra rupi inaccessibili. Bozzetto per La forza del destino, atto IV, 2. San Pietroburgo, Gran Teatro Imperiale, 1862 In basso: Verdi in Russia (1862). Milano, coll. A. Mella Un’opera «essenzialmente scenica» Considerazioni sull’opera di San Pietroburgo di Giuseppe Verdi * di Michela Niccolai «N el teatro musicale vi sono tre sistemi di comunicazione che interagiscono simultaneamente, ciascuno attivo secondo la propria natura e le leggi che lo determinano. […] I ‘sistemi’ sono: a. l’azione drammatica, secondo la quale si succedono gli avvenimenti della vicenda; b. l’organizzazione verbale del dialogo, che si identifica con l’interazione dei personaggi sulla scena, e che nel teatro in musica per la maggior parte dei casi è strutturato in versi e strofe; c. la musica, con il quale termine non intendo soltanto il canto del testo poetico, ma anche la parte, o le parti strumentali che con questo si muovono. La funzione della musica è duplice: essa stabilisce la dimensione temporale degli eventi drammatici, e li caratterizza con i mezzi che le sono propri».1 Così si esprimeva Pierluigi Petrobelli all’inizio di un suo articolo sull’interazione dei tre ‘sistemi’ nell’opera di Verdi rappresentata a San Pietroburgo il 10 novembre 1862. A mio avviso, si possono riassumere i primi due parametri in un unico punto, in quanto l’azione drammatica viene percepita dallo spettatore attraverso la fruizione del testo poetico; non viene citato, invece, un terzo elemento fondamentale: l’aspetto visivo. Dall’avvento del grand-opéra francese, la componente visiva aveva rivestito sempre maggiore importanza nell’opera e le scene si apprestavano ad assumere una funzione strutturale all’interno di essa. All’analisi di testo e musica si deve aggiungere perciò quella della messinscena, che, nel caso in cui sia stata approntata direttamente dall’autore o con la sua compartecipazione, diventa un ulteriore strumento per comprendere l’intricato sistema comunicativo dell’opera. Per studiare questo aspetto ci si deve avvalere di una serie di materiali eterogenei che ricostruiscono un allestimento ‘ideale’, che veniva poi tramandato di teatro in teatro attraverso il noleggio da parte dell’editore della disposizione scenica (nel caso in cui fosse presente), dei bozzetti delle scene e dei figurini dei costumi. A questi elementi si possono poi aggiungere anche i commenti della stampa, le vignette satiriche, le memorie degli interpreti… che contribuiscono a chiarire, a distanza di molto tempo, il primigenio allestimento.2 Dopo la mise en scène curata da Louis Palianti per la prima parigina dei Vêpres siciliennes (1855), in Verdi si era risvegliato l’interesse per una messinscena curata nei minimi particolari e l’esigenza di riproporre sul mercato italiano il corrispondente dei livrets scéniques francesi.3 D’accordo con l’editore Ricordi vennero quindi approntate le disposizioni sceniche, documenti con valenza prescrittiva che tentano di codificare per scritto l’aspetto visivo, a quel tempo non documentabile diversamente.4 Così si legge in una missiva di Verdi: «P.S. Ti mando sotto fascia la descrizione della mise en scène dei Vespri. È bellissima e leggendo con attenzione quel fascicolo un ragazzo è buono da mettere in scena. Se i Vespri si cambiano in Gusman (sic) non hai che da cambiare i costumi. Ma la mise en scène deve restare».5 Dopo il primo ‘esperimento’ vennero approntate disposizioni che coinvolsero anche altri autori italiani, tra cui Ponchielli, Boito, fino a Puccini; per rimanere in ambito verdiano, la prima disposizione scenica approntata completamente in Italia fu quella per Un ballo in maschera, stilata da Giuseppe Cencetti, direttore del Teatro Apollo di Roma, in cui avvenne la prima dell’opera il 17 febbraio 1859.6 In questa prima fase i documenti presentano un numero ancora contenuto di pagine (38), una Nota del vestiario e una Nota degli attrezzi di scena e dei personaggi, oltre alle piantazioni delle scene e a diagrammi illustrativi che esemplificano i movimenti scenici dei personaggi. Man mano che le disposizioni diventano una consuetudine all’interno del sistema produttivo teatrale italiano, così come lo erano i livrets nell’ambito francese, la tipologia di questi documenti subisce dei mutamenti; da un tipo di informazioni esclusivamente ‘visive’, si passa anche a descrivere i Caratteri,7 fornendo indicazioni sull’età, le caratteristiche fisiche ed ‘emotive’ dei personaggi. A questo gruppo appartiene anche la ‘nostra’ disposizione, che per la prima volta sembra distaccarsi dalle altre due. Se nei primi due casi, infatti, abbiamo un documento che si riferisce a un allestimento effettivamente realizzato – all’Opera di Parigi per i Vêpres e al Teatro Apollo di * Sin dalla sua prima apparizione sulla scena l’opera di cui tratterò nel seguente articolo non ha mai goduto di ottima fama, ma si è sempre ritenuto che portasse sfortuna. Ho deciso di cimentarmi comunque nell’indagine dell’aspetto visivo di questo dramma sfidando la sorte avversa. Per evitare però incidenti di percorso ho preferito non menzionare l’opera in questione usando nel titolo e nel testo la parafrasi Opera di San Pietroburgo dal luogo dove avvenne la ‘prima’ e lasciando alla sagacia del lettore di decifrare l’inesprimibile. 44 HORTUS MUSICUS N° 15 LUGLIO-SETTEMBRE 2003 Melodramma Roma per Ballo –, in quest’ultimo è legittimo che sorgano dei dubbi sull’allestimento preso in considerazione nel documento.8 Le Ordinazioni e Disposizione scenica per l’opera in questione non presentano infatti alcun riferimento a una particolare realizzazione. Anche le indicazioni che si trovano all’interno del documento confermerebbero che si tratta di prescrizioni che possono essere adattate ai singoli teatri italiani, una sorta di disposizione ‘ideale’ che può essere plasmata in base alle diverse necessità. Così si legge a proposito degli Attrezzi pei personaggi: «negli attrezzi pelle masse coriste e comparse Soldati, Vivandiere, Questuanti, ecc., sono indicati sui figurini dal pittore, quanto alla forma. Circa la quantità sarà fissata da chi si occuperà della messa in iscena»9; e poco dopo, alla fine dei Figurini e ordinazione del vestiario: «la presente ordinazione serve per n. 24 coristi – 12 coriste – 6 Ragazzi cantanti – 4 ragazzi comparse – Un Corifeo – Una Corifea – 40 Comparse – 12 Coppie Ballerini – 4 servi di scena. Con queste proporzioni si accrescerà il numero a seconda dei Teatri».10 Una datazione verosimile del documento si può stabilire con una certa approssimazione in base a due fattori: il primo è costituito dallo stesso finale dell’opera, che appartiene alla ‘prima’ versione rappresentata a San Pietroburgo nel 1862, caratterizzata da un finale tragico e ‘gotico’, in cui alla morte dei due fratelli si unisce quella di Alvaro che si getta dall’alto di una rupe; il secondo è stato rilevato da Mercedes Viale Ferrero che, consultando i ‘libroni’ Ricordi, ha reperito questa disposizione – il cui unico esemplare consultabile attualmente è conservato presso la Biblioteca dell’Accademia di Santa Cecilia, nella Collezione Libretti Carvalhaes, n. 682011 – tra i progetti di pubblicazione del maggio 1863, con il numero d’ordine 35120. Non possiamo stabilire una sicura paternità della disposizione, anche se l’ipotesi più accreditata sembra quella che ne affida la compilazione a Giulio Ricordi.12 Verdi aveva affidato l’allestimento della messinscena per la ‘prima’ pietroburghese a Francesco Maria Piave, che aveva steso anche il libretto, come appare da alcune lettere inviate da Verdi al poeta: «Non vi è nulla di male che tu t’incarichi di far fare i figurini, e dare tu stesso le ordinazioni e indicazioni per tutta la mise en scène»;13 «[…] fa con tutto l’impegno la mise en scène per Pietroburgo; sia ben estesa e mandala al più presto».14 Tuttavia, dopo la prima assoluta dell’opera, il «Libro di Regia steso da F. M. Piave non bastava per Tito Ricordi come bozza di stampa»,15 quindi per approntare la stesura della disposizione scenica era necessario completare il testo di Piave con ulteriori elementi, quali il vestiario, gli attrezzi e i caratteri dei personaggi, compito che, come abbiamo visto, probabilmente spettò a Giulio Ricordi. La seconda esecuzione dell’opera avvenne a Roma, al teatro Apollo, il 7 febbraio 1863, alcuni mesi prima, dunque, della comparsa della disposizione nei ‘libroni’ Ricordi; non si può ritenere, però, che l’allestimento indicato dalla disposizione si riferisca a questa esecuzione dal momento che era stata approntata tutta una serie di cambiamenti al libretto a causa della censura pontificia, oltre al mutamento del titolo dell’opera in Don Alvaro, a seguito della presenza del destino considerata ‘ambigua’ dalla commissione romana. I limiti di questa interpretazione e l’impossibilità che la disposizione derivi da questo allestimento sono stati messi bene in evidenza già da Mercedes Viale Ferrero e da Olga Jesurum; inoltre, Michaela Peterseil sostiene che la presenza delle indicazioni d’età nel libretto per l’esecuzione romana, identiche alla disposizione Ricordi, siano probabilmente dovute al fatto che il teatro Apollo ricevette il manoscritto non stampato dall’Editore.16 La novità della struttura dell’opera, che prevedeva una serie di ambientazioni diverse, con nove mutamenti come prescritto dalla disposizione, e un’enorme quantità di persone sul palco nelle scene di ‘carattere’ – come all’inizio del II atto nella scena dell’osteria, l’accampamento del III atto e, infine, la scena della mensa dei poveri – necessitavano un corretto allestimento dell’opera anche in assenza di Verdi. «Per far fronte all’approssimazione allora vigente nei teatri in materia di mise en scène [si proponeva] una messinscena come l’aveva voluta, o almeno pensata, Verdi», commenta Olga Jesurum.17 Attraverso il noleggio della disposizione e dei bozzetti di scene e costumi l’editore non solo salvaguardava l’allestimento dell’opera nei vari teatri italiani, ma forniva un servizio ai teatri d’opera: «un impresario faceva rappresentare un’opera per cui l’editore offriva una Disposizione pronta, piuttosto che non una che non aveva alcun’indicazione in riferimento alla rappresentazione scenica e ai relativi costi»;18 in questo modo si provvedeva sia all’aspetto visivo che a quello imprenditoriale della gestione dello spettacolo. Dopo aver presentato questa tipologia di documenti, vorrei impiegare la ‘nostra’ disposizione per dimostrare come, unitamente alla partitura, essa aiuti non solo a comprendere l’aspetto visivo, ma anche ad approfondire il senso dell’opera, intesa come una combinazione di musica, parola e scena. A partire dalla scena del secondo atto all’interno di un’osteria nei pressi di Hornachuelos,19 si rileva come la disposizione rispetti fedelmente il principio drammaturgico dell’isolamento della protagonista all’interno di un vasto quadro corale. Leonora si trova nell’osteria travestita da uomo, tentando di fuggire l’ira del fratello, anch’egli giunto nel medesimo posto con la falsa identità dello studente Pereda. Dopo aver scorto suo fratello si dirige nella sua stanza, lasciando l’uscio socchiuso e potendo così partecipare localmente all’episodio dei pellegrini «che vanno al giubileo». Nelle didascalie sceniche si legge «Leonora (presentandosi timidamente alla porta della stanza a destra, che terrà socchiusa» [1 dopo C]; nella disposizione sono messi bene in evidenza due piani: il primo, a livello del palcoscenico, ospita l’osteria con «due tavole apparecchiate con tovaglie, N° 15 LUGLIO-SETTEMBRE 2003 HORTUS MUSICUS 45 Melodramma lumi, piatti, posate ecc.»20; il secondo, a destra – tenendo presente che le indicazioni della disposizione seguono ancora le consuetudini francesi di indicare destra e sinistra sul palco secondo il punto di vista dello spettatore21 –, ha un «pianerottolo elevato con porta che si apre verso gli attori» che conduce alla camera di Leonora. L’isolamento psicologico della protagonista – preoccupata per la propria sorte, spaventata dall’ira del fratello e disperata per aver perso il suo innamorato – viene messa in rilievo mediante questo espediente teatrale: dall’alto del pianerottolo Leonora si assicura la salvezza controllando gli spostamenti del fratello e, al tempo stesso, può prendere parte all’azione, affacciandosi, come da un balcone, per poter cantare con il coro dei pellegrini, inserito appositamente al centro del secondo atto per anticipare la futura sorte di Leonora, «pellegrina e orfana» in una grotta vicino al convento della Madonna degli Angeli.22 Così scriveva Verdi per la ripresa scaligera dell’opera sette anni dopo: «il pianerottolo deve esser piccolo e non tanto alto, cinque o sei gradini che mettono nella stanza ov’è alloggiata Leonora; il pianerottolo di fianco e non tanto indietro. La scena più spaziosa che si può, avvertendo che di dietro si deve preparare il convento».23 46 HORTUS MUSICUS N° 15 LUGLIO-SETTEMBRE 2003 Alla fine della scena, prima che l’attenzione sia nuovamente focalizzata su Pereda, Leonora «rientra nella stanza chiudendone la porta». Ormai la sua presenza ha attirato l’attenzione del pubblico che, dopo una parentesi intima e sofferta, ha bisogno di allentare la tensione con l’allegra combriccola dell’osteria e, per raggiungere questo effetto, la protagonista deve uscire di scena. Durante la canzone in cui Pereda racconta la propria storia, naturalmente camuffando i nomi, «i servi sgombreranno con molta circospezione la scena dalle panche, tavole, botti, ecc., ecc.» e, alla fine della scena, «tutti scoprendosi il capo per salutar l’Alcade partono dalle porte n. 1. e 2.»; la disposizione ci fornisce in questo caso anche la testimonianza dei cambiamenti a vista, per i quali era indispensabile che il palcoscenico fosse sgombro di persone e oggetti. «Mentre alla musica si affida la continuità tra scena e scena, la giustapposizione subitanea entro gli atti a sipario alzato comporta sul palcoscenico un’espansione e complicazione spaziale, una diversa attenzione al momento psicologico dei protagonisti. È coerente con la visione scenica verdiana, sintetica e spettacolare, la scelta delle mutazioni a vista, proprie della tradizione del grande spettacolo cinquecentesco e barocco».24 Un altro esempio dell’importanza della scena25 è fornito nella seconda parte del secondo atto, in cui Leonora giunge, supplice, dal padre guardiano a chiedere asilo e una guida spirituale. La scena intensifica il percorso individuale della protagonista verso la purificazione dell’anima, la costante ricerca di pace interiore che la spinge fino al convento. La scena «a tutto teatro» raffigura una «Chiesa con larga porta praticabile, aperta la quale si vedrà l’altar maggiore nel fondo […] [e una] rampa che discende sotto scena, dalla quale salirà Leonora, onde rendere più all’evidenza il faticoso sentiero ch’ella percorse arrampicando[; a sinistra una] croce di marmo elevata d’alquanti gradini, logora dal tempo».26 La disposizione sottolinea anche che, «mutata a vista, la scena resta per un momento vuota; l’animo dello spettatore deve intonarsi alla grave solennità di quanto dovrà succedervi»: 27 attraverso l’impiego del cambio di scena a vista, si lascia infatti l’ambiente allegro dell’osteria e ciò produce uno shock emotivo che trasporta lo spettatore in un’atmosfera di sacro silenzio e meditazione in cui lo Nella pagina accanto: A.L. Roller, Valle tra rupi inaccessibili e Accampamento militare presso Velletri. Bozzetti per La forza del destino, San Pietroburgo, Gran Teatro Imperiale, 1862 Sotto: Constance Nantier-Didiée (1831-1867), mezzosoprano, Preziosilla a San Pietroburgo (1862) spirito può rigenerarsi. Dopo l’incontro con il padre guardiano, che in realtà è soltanto un monologo in cui il personaggio maschile ha la funzione di catalizzare il cambiamento di stato d’animo della protagonista che passa dall’angoscia a una maggior serenità,28 «l’organo suona, la porta n. 3 si apre e lascia vedere l’interno del tempio».29 La melodia affidata all’organo, con chiara valenza simbolica di rimando a un emisfero di valori religiosi, introduce a un’atmosfera in cui tutto è sospeso: la protagonista infatti non cerca la salvezza terrena minacciata dall’ira del fratello, bensì quella spirituale. All’interno della Chiesa, Leonora si trova in una dimensione ‘extratemporale’ e la sacralità del gesto, del suo ‘puro’ darsi a Dio, è sottolineato dalla presenza di ceri sull’altare che brillano nell’oscurità della notte. L’ambientazione acquista maggiore valenza ‘simbolica’: la piantazione della scena è identica a quella precedente, ma si vede l’interno della Chiesa con l’altare maggiore collocato al centro, ove prima si trovava l’intero edificio. L’inizio del cambiamento dello stato d’animo di Leonora era avvenuto all’esterno, davanti al convento, ma poi continua, dopo una prima ‘purificazione’, all’interno della Chiesa, trovando completa pace solo presso l’altare, centro dell’edificio e anche simbolo della cristianità, unico luogo in cui la protagonista percepisce appieno la forza della propria fede di fronte a tutte le peripezie causate da un destino avverso. L’unica fonte di salvezza morale che le si prospetta innanzi è legata alla croce, ma il percorso che deve affrontare è sempre in salita: era entrata in scena salendo una rampa di scale, così entra all’interno della Chiesa salendo ancora quattro gradini, a indicare che il suo percorso spirituale non si concluderà fino alla benedizione presso l’altare. Ogni azione della scena è calcolata nei minimi dettagli e sottolinea una specie di ‘percorso iniziatico’ alla fine del quale Leonora potrà riacquistare, grazie alla propria fede, la tranquillità interiore che sta cercando dall’inizio dell’opera. Per concludere, merita attenzione il problema del finale: anche in questo caso è importante confrontare l’immagine che si ricava dalla disposizione, nonostante presenti la soluzione del ‘primo’ libretto rispetto a quella presentata dalle didascalie sceniche. Verdi descriveva così l’immagine finale per l’opera del 1862 in una lettera al librettista Piave: «Il tuono mugghia piucché mai, si fanno più spessi i lampi, si odono i Frati cantare il Miserere; all’avvicinarsi di questi Alvaro torna in sé e corre sopra una Melodramma Trama dell’Opera di San Pietroburgo rupe. Giunge il Guardiano seguito da tutta la comunità, e ognuno rimane stupefatto».30 Tuttavia, già dopo la ‘prima’ il compositore era perplesso circa questo finale così tragico, con tre morti sul palco, e pensò a come risolvere questa scena così problematica: «bisogna pensare allo scioglimento e trovare il modo di evitare tanti morti», scriveva a Piave nel 1863.31 In vista della ripresa dell’opera a Milano (1869) scriveva ancora: «bisogna che muojano i due fratelli Carlo e Leonora. Trovare il modo di ammazzare Carlo, anche fuori di scena, è facile; ma è difficile assai far morire Leonora. Poco importa vi sia un Duetto, un Terzetto, un Coro; bisogna qui badare unicamente alla scena. […] In somma bisogna che il poeta non abbia in vista qui che la scena […] Se il poeta trova il modo di finire logicamente e teatralmente bene, la musica finirà necessariamente bene».32 La soluzione a questo problema venne da uno scioglimento che è stato definito ‘manzoniano’, poiché alla fine dell’opera Leonora, in punto di morte, perdona il suo uccisore, Carlo, cantando ad Alvaro «Lieta poss’io precederti alla promessa terra […] in ciel t’attendo…», in cui tutto il dolore dell’opera viene trasformato in un positivo proposito di redenzione e perdono cristiani. Proprio per sottolineare la possibilità di un amore che vive oltre la dimensione terrena, Verdi affida ai due innamorati il secondo momento in cui possono cantare all’unisono; la prima volta era avvenuto all’inizio della storia, quando i personaggi intonavano le parole profetiche «ti seguo, andiam, dividerci il fato, no, non potrà» [5 prima di L’argomento è tratto dal dramma di Ángel de Saavedra, Duca di Rivas, Don Álvaro o La Fuerza del sino. Atto I: Siviglia, castello del marchese di Calatrava. Si sta organizzando di nascosto la partenza della figlia del marchese, Leonora, al seguito del suo innamorato, Alvaro, ma il marchese li sorprende. Per non colpire il padre della sua futura sposa, Alvaro getta a terra la pistola che aveva in mano; nella caduta parte accidentalmente un colpo di pistola che ferisce a morte il marchese, il quale, prima di morire, maledice la figlia. Atto II: Osteria nei pressi di Hornachuelos. Don Carlo di Vargas, figlio del marchese e fratello di Leonora, sotto le mentite spoglie dello studente Pereda sta cercando i due fuggitivi per ucciderli e vendicare così la morte del padre. Non inganna però con il suo travestimento la zingara Preziosilla che si trova nell’osteria; nel frattempo, scappata dall’inseguimento di Carlo, Leonora, travestita da uomo, giunge al convento della Madonna degli Angeli. Qui chiede asilo e protezione al Padre Guardiano, che la nasconde in una grotta vicino al convento, intimando ai frati di non violare il segreto della giovane. Atto III: Accampamento militare in Italia, presso Velletri (1774 ca.). Don Alvaro è diventato capitano dei granatieri sotto le mentite spoglie di don Federico Herreros. Don Carlo, anch’egli sotto la falsa identità di don Felice de Bornos, si trova nell’accampamento e viene coinvolto in una rissa mortale, da cui viene salvato da don Alvaro. I due non riconoscono le loro vere identità e stringono un rapporto d’amicizia. Il giorno seguente Alvaro viene ferito durante una battaglia e chiede a Carlo di distruggere un plico conservato in una valigia di cui gli fornisce la chiave. Carlo inizia a nutrire dubbi sull’identità dell’amico e apre la valigia in cui è contenuto un astuccio con un ritratto di Leonora. Accecato dall’ira, Carlo, una volta guarito Alvaro, lo sfida a duello, ma vengono interrotti dalla pattuglia di ronda. Il sole spunta sul campo e l’atto si conclude con una scena di cori di soldati e vivandiere. Atto IV: Chiostro del convento della Madonna degli Angeli. I poveri aspettano la minestra, distribuita davanti al convento da fra Melitone e dal più paziente padre Raffaele — ulteriore travestimento di Alvaro. La scena è interrotta dall’improvviso arrivo di Carlo che pretende un nuovo duello. Il combattimento si è spostato vicino alla grotta in cui si è rifugiata Leonora e, quando Carlo cade trafitto, Alvaro bussa alla porta per cercare un confessore ma, sotto il saio, riconosce Leonora. La donna accorre presso il morente che, in un ultimo slancio, la trafigge; Leonora muore tra le braccia di Alvaro confortata dalla presenza del padre guardiano. N° 15 LUGLIO-SETTEMBRE 2003 HORTUS MUSICUS 47 San Pietroburgo, rue de Nievskij, Melodramma fotografia di anonimo, 1870 ca. Parma, coll. R. Rosati H], pronunciate le quali, con l’uccisione del marchese, prenderà avvio il dramma. Le ‘correzioni’ apposte al libretto spettarono non a Piave, gravemente ammalato, ma ad Antonio Ghislanzoni, cui Verdi avrebbe in seguito affidato la stesura del libretto per Aida.33 Lo scenario descritto nella Disposizione sottolinea, come già nella lettera di Verdi,34 un’immagine truculenta, in cui anche la natura annuncia, in senso romantico, la sua partecipazione agli avvenimenti che si succederanno sul palco: «il temporale maggiormente infuria, si sente il canto del Miserere dei Frati che vengono dall’interno a destra. – a tali canti Alvaro si scuote, e correndo al viottolo n. 2, vi ascende rapidamente. – Il Padre Guardiano, Fra Melitone e tutti i coristi frati, seguiti da alquanti paesani con fiaccole, scendono frettolosi dalla rampa n. 7». Al temporale che infuria nel finale attualmente eseguito si sostituisce una «luna splendidissima», che sembra osservare dall’alto le intricate vicende umane e con la sua impassibile tranquillità rispecchia l’animo tranquillo con cui Leonora va incontro al suo carnefice, come vittima sacrificale che perdona, nell’ultimo istante, il suo uccisore. Nonostante le descrizioni delle due ambientazioni siano le stesse, come ha dimostrato Mercedes Viale Ferrero, e che in entrambi i casi vi siano «valli tra rupi inaccessibili», la diversa condizione metereologica influisce sullo stato d’animo dello spettatore, rendendo più forte lo straniamento di fronte alla pacata morte della protagonista, mentre, fino all’ultimo, si spera quasi che arrivi un lieto fine. ■ NOTE 1 Pierluigi Petrobelli, Ancora sui tre ‘sistemi’. Il primo atto della ‘Forza del destino’, in La musica nel teatro. Saggi su Verdi e altri compositori, Torino, EdT, 1998, pp. 137-151:137. 2 Per una dettagliata analisi dei materiali eterogenei di sussidio allo studio dell’elemento visivo si veda H. Robert Cohen, A Survey of French Sources for the Staging of Verdi’s operas. «Livrets de mise en scène»: Annotated Libretti in two parisian Collections, in Studi Verdiani, 1985/3, pp. 1-44. 3 Disposizione scenica / per l’opera / Giovanna de Guzman / del maestro cav. / Giuseppe Verdi / Ufficiale della Legion d’Onore / compilata e regolata / sulla mise en scène del / Teatro Imperiale dell’Opera di Parigi /Proprietà dell’Editore / Milano / dall’I. R. stabilimento nazionale privileg. Di / Tito di Gio. Ricordi / Cont. Degli Omenoni, N. 1720 / e sotto il portico a fianco dell’I. R. Teatro alla Scala. / 28556. 4 In realtà, dopo un primo periodo, pare che, anche se la messinscena era teorizzata come prescritta, di fatto sulla scena questo non avveniva sempre regolarmente, ma si disattendeva ai ferrei principi della disposizione; in proposito si veda Mercedes Viale Ferrero, Scene (immaginate, descritte, dipinte, prescritte) per il teatro d’opera 48 HORTUS MUSICUS N° 15 LUGLIO-SETTEMBRE 2003 di fine Ottocento, in Ruggero Leoncavallo nel suo tempo. Atti del I Convegno Internazionale di studi su Ruggero Leoncavallo, a c. di J. Maehder e L. Guiot, Sonzogno, Milano 1993, pp. 33-47:4041. Per una completa rassegna delle disposizioni sceniche pubblicate dall’editore Ricordi si veda Michaela Peterseil, Die ‘Disposizioni sceniche’ des verlags Ricordi. Ihre Publikation und ihr Zielpublikum, in Studi Verdiani, 12, 1997, pp. 133-155:150155. Non solo Ricordi si curò di pubblicare questo tipo di documento, ma anche l’editore Sonzogno: un esempio è stato apportato da Emilio Sala, che ha riprodotto la disposizione scenica della Bohème di Leoncavallo in La «Bohème» di Leoncavallo, p.d.s., Teatro La Fenice, Venezia 1990. 5 Franco Abbiati, Giuseppe Verdi, Ricordi, Milano 1959, (4 voll), II, p. 316. La traduzione del titolo dell’opera non era fedele, perché a causa della censura l’ambientazione fu spostata in Portogallo e il titolo fu mutato in Giovanna di Guzman. 6 Si veda in proposito la ristampa in facsimile della Disposizione scenica riprodotta in David Rosen e Marinella Pigozzi, Un ballo in maschera di Giuseppe Verdi, Ricordi, Milano 2002, pp. 139158. 7 La Forza del destino / Ordinazioni / e / Disposizione scenica / Milano, Tito di Gio. Ricordi, pp. 12 s. Il corsivo è dell’autore. 8 Per una maggiore e dettagliata descrizione di questo documento si veda Mercedes Viale Ferrero, La Disposizione scenica verdiana, in «La Forza del destino», p.d.s., Teatro alla Scala, Milano 1998-99, pp. 106-113. 9 Disposizione…, cit., p. 8. Il corsivo è dell’autore. 10 Ivi, p. 9. Il corsivo è dell’autore. 11 Ringrazio l’Istituto Nazionale di Studi Verdiani di Parma che mi ha permesso di consultare una copia di questo documento. 12 A questo proposito si veda l’articolo di Peterseil, op. cit., p. 147 e Olga Jesurum, Note sulla messinscena della ‘Forza del destino’ (Roma, Teatro Apollo, 7 febbraio 1863), in Studi Verdiani, 13, 1998, pp. 88-116:106. Ringrazio Giacomo Albert per il prezioso aiuto fornitomi con la traduzione dell’articolo di Peterseil. 13 Abbiati, op. cit., II, p. 650. 14 Ivi, p. 658. Peterseil, op. cit., p. 134. Ivi, p. 134. 17 Jesurum, op. cit., p. 106. 18 Peterseil, op. cit., p. 134. 19 Le indicazioni musicali e le didascalie sceniche sono tratte dalla riduzione per canto e pianoforte di La Forza del destino di Giuseppe Verdi, n. 41381/5. 20 Disposizione…, cit., p. 18. 21 Si veda in proposito anche Marinella Pigozzi, in Rosen-Pigozzi, op. cit., p. 176. 22 Gilles De Van individua una serie di parallelismi formali tra i vari episodi che compongono la scena, schematizzabili nel modo seguente: 1. danza dei mulattieri 2. scena legata alla cena 3. canzone di Preziosilla (rondò) 4. preghiera (con la funzione di richiamare Leonora) 5. scena legata alla cena 6. ballata di Pereda (rondò) 7. motivo della danza dei mulattieri Seguendo questa traccia si individua il centro della scena con la preghiera e la sua atmosfera più intima, che mette in evidenza la solitudine e il dramma individuale di Leonora, attorniata da una serie di episodi di ‘carattere’ (1-7; 2-5) e due racconti (3-6). Per una più dettagliata analisi della scena si veda Gilles De Van, Verdi. Un teatro in musica, La Nuova Italia Editrice, Scandicci 1994, pp. 296-300:298 s. 23 Abbiati, op. cit., III, p. 244. 24 Pigozzi, in Rosen-Pigozzi, op. cit., p. 177. 25 Con questo termine intendo l’insieme di messinscena, movimenti scenici, l’ambientazione e i materiali di scena. 26 Disposizione…, cit., p. 22. 27 Ivi, p. 22. 28 De Van, op. cit., p. 163. 29 Disposizione…, cit., p. 25. 30 Abbiati, op. cit., II, p. 665. 31 Ivi, p. 722. 32 Ivi, III, p. 232. Il corsivo è dell’autore. 33 Quanto ad altri cambiamenti apportati all’opera da Verdi in occasione della prima scaligera si veda l’articolo di William C. Holmes, La forza del destino: la lunga strada verso la revisione, in «La Forza del destino», p.d.s., Teatro alla Scala, Milano 1998-99, pp. 66-87. 34 Si veda la nota 28. 15 16