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RASSEGNA STA MPA
M ART E dì 3 GENNAIO 2012
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Si allenta la tensione, spread a quota 506......................................................................3
«Il deficit spagnolo supera l’8%».......................................................................................4
BoT e depositi: duello fra tassi, fisco e garanzie..........................................................5
Premafin, le banche verso la conversione dei crediti...................................................7
Il nodo banca e le nozze con Unipol.............................................................................8
In Bpm spunta con l’8% Time&Life............................................................................9
Mps, il piano industriale, sarà la prima sfida di Viola................................................10
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Le Borse partono bene Scende il fabbisogno................................................................12
La mossa italiana: l’Ue eviti nuovi vincoli sul debito.................................................13
L’effetto Unipol mette le ali a Fonsai...........................................................................15
Mussari e la battaglia di Siena...................................................................................... 16
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Lo spread torna a quota 500 Borse europee in volata
Milano guadagna il 2,42%...........................................................................................17
Pensioni sopra i 1000 euro stop al pagamento in contanti...........................................18
Il mercato scommette sui nuovi soci Premafin...........................................................19
Il salvataggio dell’impero Ligresti può azzoppare Mediobanca e Unicredit..............20
Mps, sindacati contro Viola “Mussari e Mancini si dimettano”.....................................21
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Rassegna Stampa del giorno 3 Gennaio 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
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UN AFORISMA AL GIORNO
a cura di “eater communications”
“
RARAMEnTE PUO’
ESSERE INSEGNATO
QUA
QUALCOSA
COSA DI
VERAMENTE UTILE
UTILE!!!
”
(Oscar Wilde)
Rassegna Stampa del giorno 3 Gennaio 2012
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*il Sole 24ORE*
MARTEDÌ,
3 GENNAIO 2012
MARTE
di: Luca Davi
Si allenta la tensione,
spread a quota 506
Il differenziale sul Bund cade di 15 punti - Il rendimento del decennale torna sotto il 7%
MILANO Per il mercato dei titoli di Stato italiani il 2012 si apre nel segno di un lieve ma simbolico miglioramento. I rendimenti delle obbligazioni governative sono infatti scesi sotto le soglie ritenute di allarme rosso, dal 7% dei titoli decennali (che ieri quotavano 6,97%) al 6% dei quinquennali (5,98%) al 5% dei biennali
(consolidatosi al 4,8 per cento).
Con i mercati anglosassoni e asiatici chiusi (e buona parte degli operatori più importanti in vacanza), quella
di ieri è stata in verità una seduta caratterizzata da pochi scambi e scarsi volumi. Un po' come accaduto nel
corso delle ultime sedute del 2011, quando però gli spread hanno preso la via dei rialzi. Ieri, invece, la tendenza si è invertita: il differenziale sul decennale è sceso da 520 a 506 punti base.
Rendimenti e brevi scadenze
A colpire in positivo gli osservatori, tuttavia, è stato il raffreddamento dei rendimenti sulle brevi scadenze,
quelle finite maggiormente nell'occhio del ciclone nel corso del 2011. Complice un debito tedesco in lieve
frenata, lo spread italiano sui titoli a cinque anni è sceso di 40 punti base mentre quello sui due anni si è assottigliato addirittura di 60 punti base. Due performance, queste ultime, che abbinate a un rendimento del
BoT a 3 mesi al 3,26% e quello a un anno al 4,51%, confermano la tendenza della curva dei rendimenti ad
essere ripida, come dovrebbe essere naturalmente. E non più in discesa come, in maniera patologica, era accaduto nel corso delle peggiori sedute del 2011.
Banche in manovra
La sensazione, secondo alcuni operatori, è che pur nel quadro di bassissimi volumi e di un'alta volatilità,
qualche banca stia iniziando gradualmente a sfruttare la liquidità concessa dalla Bce con il mega prestito da
489 miliardi a 3 anni all'1% per acquistare bond governativi. Un'ipotesi ragionevole, da un punto di vista
delle tempistiche, proprio perché il titolo più premiato dagli acquisti ieri è stato il biennale. E a confortare la
tesi concorre anche il calo dei depositi overnight da parte delle banche europee presso la Bce: è vero, il livello resta sopra la soglia dei 400 miliardi di euro, ma i depositi sono diminuiti a 413,9 dai 445,7 miliardi di
euro dopo che il 27 dicembre avevano raggiunto il record di 452 miliardi. Tuttavia, la reale volontà delle
banche europee a caricare in portafoglio nuovi titoli di Stato andrà testata nelle corso delle prossime settimane, quando gli istituti europei affronteranno gli stress test voluti dall'Eba e basati sui valori di mercato dei titoli sovrani in portafoglio.
Le mosse della Bce
Il futuro del mercato obbligazionario periferico europeo dipende in verità anche da quali saranno le mosse
future della Banca centrale europea. Dopo un sostanziale azzeramento degli acquisti, la scorsa settimana
l'Eurotower ha acquistato titoli di Stato sul secondario per 462 milioni di euro: una quota superiore ai 19 milioni dei sette giorni precedenti ma ben lontana dai 3,36 miliardi di euro della settimana prima. «Rimane
però difficile credere che Francoforte ritorni ad acquistare a mani basse bond governativi dopo la maxi asta
di liquidità del 21 dicembre scorso e nell'attesa di quella di febbraio», spiega un operatore. Insomma, nella
cornice di un mercato che, secondo le attese, dovrebbe mantenersi sottile almeno per tutta questa settimana
vista l'assenza di aste o di eventi politici di rilievo, rimangono intatte le difficoltà della crisi del debito europeo cui si è assistito nel corso del 2011.
IL SEGNALE DA FRANCOFORTE
I depositi overnight presso la Bce calano da 445,7 a 413,9 miliardi: il 27 dicembre il record a quota 452
miliardi
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*il Sole 24ORE*
MARTEDÌ,
3 GENNAIO 2012
MARTE
di: Luca Veronese
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Eurozona sotto stress
«Il deficit spagnolo supera l’8%»
Allarme del ministro de Guindos - Giovedì dal Governo nuove misure di austerity
«Il deficit potrebbe essere superiore all'8% che abbiamo stimato in prima battuta. Penso che nel 2011 saremo sopra quel livello, lo supereremo. Spero solo che non sia di molto». Viene da Luis de Guindos il nuovo allarme sui
conti pubblici della Spagna. In un'intervista alla radio Cadena Ser, il ministro dell'Economia stava giustificando,
ieri mattina, le nuove tasse e i tagli che il Governo ha deciso a fine anno smentendo le promesse della campagna
elettorale, ma ha finito per alimentare l'incertezza sull'economia del Paese. Mentre dallo stesso Esecutivo conservatore si annunciano altre imminenti misure di austerity.
«La situazione è estremamente difficile, l'obiettivo del deficit al 6% del Pil non è stato centrato. Siamo dovuti intervenire senza perdere tempo, prima che ci fosse imposto dall'Europa. Abbiamo dovuto approvare una manovra
da 15 miliardi di euro per evitare una nuova crisi del debito. Sono sacrifici necessari che certo non fanno piacere
a nessuno. Ma la Spagna oggi non è nelle condizioni di sopportare un disavanzo così grave e può solo prendere
provvedimenti che cerchino di ridurlo», ha aggiunto de Guindos riferendosi alla manovra che comprende anche
aumenti dell'Irpef, dell'Ici e della tassazione sui capital gain per un totale di sei miliardi di euro, oltre a riduzioni
della spesa pubblica per nove miliardi.
De Guindos - figura chiave nel Governo popolare guidato da Mariano Rajoy, trionfatore delle elezioni del 20 novembre - ha confermato che «l'economia spagnola resterà in contrazione anche nel primo trimestre dell'anno dopo
aver chiuso in calo il 2011». I dati diffusi ieri sull'indice Pmi manifatturiero confermano a dicembre un livello inferiore ai 50 punti per l'ottavo mese consecutivo e negli ordini segnalano un peggioramento.
Il ministro dell'Economia si è detto preoccupato per «le difficoltà enormi di liquidità che alcune regioni autonome
dovranno affrontare». Ha poi descritto «un ulteriore deterioramento del mercato del lavoro» in un Paese che ha
cinque milioni di disoccupati, pari a un tasso del 21,5%, il più alto in Europa. E ha insistito sulla necessità di una
«ristrutturazione addizionale del sistema finanziario nazionale».
Ma è nel risanamento del bilancio pubblico - per Rajoy come per il suo predecessore José Luis Zapatero - che la
Spagna si gioca il futuro e deve cercare l'appoggio dei partner europei. «Il pacchetto di consolidamento deciso è
di portata considerevole perché vale l'1,5% del Pil e rappresenta un passo molto importante per riaggiustare il bilancio della Spagna e rassicurare i mercati finanziari con misure che coinvolgono le tasse e riformano la pubblica
amministrazione», ha detto ieri Olli Rehn, commissario europeo per gli Affari economici e monetari. Nonostante
le preoccupazioni e le dichiarazioni dei ministri del Governo ieri a Madrid l'Ibex 35 ha chiuso in positivo al
+1,84% e lo spread dei bonos decennali rispetto ai titoli del debito tedesco è rimasto stabile intorno ai 320 punti
base.
Per Rehn «è ora necessario che la Spagna confermi l'impegno a correggere il deficit eccessivo entro il 2013. E
che allo stesso tempo colga l'occasione e intervenga per favorire la crescita e l'occupazione». Il Governo di Rajoy
dovrebbe annunciare già giovedì una nuova manovra: per il 2012 l'aggiustamento dovrebbe arrivare almeno a 20
miliardi, necessari per recuperare subito i due punti percentuali di sforamento del deficit dal 6% previsto dai socialisti oltre l'8% ora stimato dai conservatori. «Dobbiamo tamponare la ferita del deficit pubblico, il Consiglio di
giovedì dovrà approvare nuove misure urgenti», ha ammesso il ministro delle Aziende e delle amministrazioni
pubbliche, Cristobal Montoro, senza dare ulteriori dettagli. Prima di marzo, quindi, quando inizierà il lavoro sulla
Finanziaria (e verrà affrontato il nodo dei bilanci delle regioni) il Governo intende rimettersi in marcia verso l'obiettivo del deficit al 4,4% del Pil per il 2012 (che dovrebbe portare al 3% del 2013). Solo in seguito potrà dedicarsi, se sarà il caso, alla fase due dello sviluppo.
LA STRETTA
Nella manovra da 15 miliardi approvata a fine anno il premier conservatore Rajoy ha già aumentato Irpef, Ici
e tasse sui capital gain
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*il Sole 24ORE*
MARTEDÌ,
3 GENNAIO 2012
MARTE
Pagina a cura di Maximilian Cellino - Vitaliano D'Angerio
BoT e depositi:
duello fra tassi, fisco e garanzie
Nella scelta non conta solo il rendimento: occorre guardare anche ai vincoli del prodotto
BoT contro deposito: il rinnovo della sfida fra gli strumenti per la gestione della liquidità è una delle poche
certezze che l'inizio del 2012 regala agli investitori. In una fase in cui la crisi del debito sovrano e la minaccia di recessione economica rendono avvolta più che mai nella nebbia la strada da percorrere sui mercati finanziari, c'è infatti da giurare che molti risparmiatori sceglieranno di lasciare il denaro «parcheggiato» in attesa di schiarite. Anche perché la particolare situazione che si è creata dalla scorsa estate rende interessante
la remunerazione dei prodotti per l'impiego del denaro a breve termine.
La battaglia dei tassi
L'altra faccia della crisi del 2011 è infatti rappresentata dai rendimenti da primato (se si escludono i «favolosi» anni 70 e 80) registrati dai BoT e dalla sete di liquidità che ha spinto le banche ad adeguare i tassi sui
conti ad alta remunerazione per attirare nuovi clienti. Man mano che la tensione sul debito italiano saliva alle
stelle crescevano gli interessi dei titoli di Stato e si moltiplicavano le offerte degli istituti: una rincorsa che
una volta tanto ha finito per premiare il risparmiatore.
Difficile dire quanto possa protrarsi questa situazione favorevole per chi vuole impiegare la liquidità. Di certo, i rendimenti attuali dei BoT si sono già ridimensionati rispetto alla fine di novembre (i tassi di a 6 mesi si
sono in pratica dimezzati) e c'è da augurarsi, se non altro per le casse dello Stato, che l'asticella si abbassi ancora nei prossimi mesi. La Bce sta inoltre facendo di tutto per alleviare le difficoltà che le banche incontrano
nel raccogliere denaro sui mercati e questo potrebbe indurre gli istituti di casa nostra ad atteggiamenti meno
«generosi» sui conti deposito, se non nell'immediato almeno nel corso dell'anno.
Attenzione ai vincoli
Scegliere soltanto sulla scorta dei tassi, attuali e prevedibili nel futuro, potrebbe essere però fuorviante: il fattore rendimento è sì importante, ma non è tutto. Particolare attenzione occorre infatti dedicare alle caratteristiche degli strumenti stessi che, se pur classificati fra quelli destinati all'impiego di breve termine, non sono
certo omogenei. I depositi vincolati si aggiudicano in questo momento la sfida dei tassi (offrono fino al
4,85% lordo annuo, vedi grafico a fianco), ma richiedono l'immobilizzazione del denaro per un determinato
periodo.
Le banche stanno in questi ultimi tempi modulando le offerte in modo da garantire il rapido smobilizzo dei
fondi in caso di necessità, ma in cambio di questa opportunità riconoscono in genere tassi di interesse inferiori. Così come più bassi (e non di poco) sono i rendimenti di quei Buoni fruttiferi postali che hanno il vantaggio di garantire in qualsiasi istante la restituzione del capitale investito e a partire dal sesto mese anche gli
interessi maturati, ma che non arrivano al 3% lordo.
Garanzie e fiscalità
Altri temi da non sottovalutare prima della scelta sono quelli delle garanzie offerte al risparmiatore e della fiscalità. Su quest'ultimo aspetto, in particolare, si concentrano le vere e proprie novità del 2012, che potranno
in definitiva far pendere la bilancia verso l'uno o l'altro strumento. Le manovre finanziarie che si sono succedute dalla scorsa estate hanno forse un po' disorientato il risparmiatore, anche perché sono intervenute rivoluzionando due ambiti differenti.
Con l'uniformazione della tassazione delle rendite finanziarie è stato ridotto dal 27% al 20% il prelievo sugli
interessi maturati sul conto bancario e aumentato dal 12,5% al 20% quello sui proventi da azioni, bond e
pronti contro termine, mentre è stato mantenuto un regime «privilegiato» al 12,5% su titoli di Stato e Buoni
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postali. La rivoluzione sul bollo a carico degli strumenti finanziari (da imposta fissa a prelievo percentuale,
vedi box a fianco) ha invece per il momento risparmiato i depositi (sui quali vige la «vecchia» imposta annua
da 34,20 euro) e potrebbe davvero influenzare le scelte, almeno sui portafogli di ammontare più elevato.
I morsi dell'inflazione
Tutti dovranno però inevitabilmente fare i conti con il tasso di inflazione, che in Italia resta ben al di sopra
del 3% tendenziale annuo: per gli analisti la fiammata sui prezzi al consumo è destinata a calmarsi dalla
prossima primavera per effetto del prevedibile rallentamento economico. Se le tensioni causate soprattutto
dall'aumento del costo dei carburanti dovessero però persistere, il risparmiatore rischierebbe di vedere sensibilmente ridotti fino a essere annullati i rendimenti reali di BoT e depositi, e rimarrebbe con in mano il classico pugno di mosche.
FISCO, CHI PERDE (E CHI VINCE) Rivoluzione fiscale. Nell'ambito dei prodotti e strumenti finanziari, c'è un totale cambio di marcia. E forse in questo settore si verificherà uno dei rari tagli delle tasse: infatti sugli interessi maturati su conti correnti e deposito l'imposta del 27% scenderà a quota 20%. Sette
punti percentuali non sono pochi di questi tempi. Per restare alle note liete, ci sono da segnalare i titoli di
Stato ed equiparati (Bers, Bei ed altri) la cui tassazione resta inchiodata a quota 12,5%. Effetto negativo
invece per altri prodotti finanziari, a cominciare dai bond bancari che vedono salire l'imposta dal 12,5%
al 20%. Stesso discorso per i fondi comuni di investimento. Va in soffitta anche il «vecchio» bollo di imposta di 34,20 euro sul conto titoli: dall'1 gennaio la tassazione diviene proporzionale (0,1% e 0,15% dal
2013) e si applica a tutti gli strumenti finanziari: non solo a quelli inclusi d'obbligo nel deposito (azioni e
bond) ma anche a fondi comuni e polizze. Sul conto corrente (e sui conti deposito) resta invece il bollo da
34,20 euro annui salvo il caso in cui la giacenza media annua sia inferiore ai 5mila euro.
ECCO I «GARANTI» DI ULTIMA ISTANZA Meglio parcheggiare nei BoT o su un conto corrente?
Restando in ambito c/c, la garanzia del Fitd (Fondo interbancario di tutela dei depositi) è stata recentemente ridotta da 103mila a 100mila euro e garantisce ogni intestatario su ciascuna banca, a prescindere
dal numero di conti complessivi di cui la persona è titolare. Ciò significa che è possibile aprire un numero
illimitato di rapporti su banche diverse che saranno tutti garantiti fino al valore di 100mila euro. I BoT
sono garantiti dallo Stato e su questo c'è poco da aggiungere: gran parte dei cittadini italiani hanno ormai preso confidenza con lo spread, ovvero il differenziale tra BTp e Bund che dà un po' il segno della fiducia dei mercati sull'Italia. Si fa conto sullo Stato anche per i prodotti postali: qui siamo infatti in area
Cassa depositi e prestiti (Cdp). Occhio poi ai pronti contro termine (pct) , prodotti tra i più gettonati per la
liquidità: allo sportello che li propone fatevi sempre dire qual è il sottostante per evitare qualche brutta
sorpresa.
EFFETTO CARO-VITA
Tutte le opzioni si scontrano con l'inflazione, che in Italia è sopra al 3% annuo: il risparmiatore rischia
di veder svanire i guadagni Archivia
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3 GENNAIO 2012
MARTE
di: Laura Galvagni
Riassetti. Il titolo balza del 42,9% - Trattative con Clessidra - Al vaglio il piano B con Unipol
Premafin, le banche
verso la conversione dei crediti
Ipotesi aumento da 400 milioni per sostenere FonSai
La priorità è Premafin. Nella complicata vicenda che coinvolge l'intera galassia Ligresti, advisor e banche
creditrici si sono date un'urgenza rispetto al progetto di ristrutturazione della catena, ossia risolvere il nodo della
holding. Al punto che l'obiettivo è individuare una soluzione entro metà gennaio. Lo stesso mercato sembra essere convinto che il quadro si chiarirà a breve, tanto che ieri il titolo della holding ha chiuso a 0,2 euro con un balzo
teorico del 43%. Ora la società vale il doppio di quanto quotava il 30 dicembre scorso. Allo stato, l'idea prevalente è quella di un aumento di capitale nell'ordine di 400 milioni, in parte da far sottoscrivere a nuovi azionisti e in
parte potenzialmente a carico di alcune banche. Una delle ipotesi allo studio riguarderebbe infatti la possibile
conversione di parte dei crediti delle banche in equity. Si tratta, al momento, di un progetto in fase di valutazione
ma rispetto al quale non sembrano esserci molte alternative. Stante una ripatrimonializzazione di Fondiaria Sai di
750 milioni, Premafin dovrà mettere sul piatto almeno 225 milioni di nuova cassa per non diluirsi al di sotto del
30% in FonSai. Risorse che dovrebbero arrivare grazie all'ingresso di un nuovo azionista.
Il nome più quotato è quello di Clessidra, che avrebbe già fatto intendere la propria disponibilità a investire 200
milioni, poi sono in corsa anche Palladio Finanziaria, che in realtà si sarebbe limitata a uno sguardo preliminare
del dossier, e quindi Sator, Permira, Apax, Moretti Polegato e la famiglia Malacalza. Proprio alcuni di questi
avrebbero posto nelle condizioni dell'offerta un intervento diretto delle banche. Un intervento funzionale a ridurre
sensibilmente l'esposizione della holding verso il sistema credito. A giugno 2011 la finanziaria ha riscadenziato
con le banche 322 milioni di debiti. Proprio tra le clausole di quell'accordo c'è n'è una che prevede la facoltà in
capo agli istituti di chiedere il rimborso del debito in caso di aumento di capitale della holding. Per ovviare a questo la strada più semplice sarebbe la conversione dei debiti in equity, magari anche attraverso l'emissione di un
prestito convertendo. Ogni istituto debitore, evidentemente, dovrebbe concorrere pro-quota, con UniCredit in prima fila. Per Mediobanca la conversione potrebbe risultare più complicata per i ben noti problemi di Antitrust, salvo che Piazzetta Cuccia non prenda un impegno formale a liberarsi delle azioni in tempi stabiliti. La soluzione
del nodo Premafin in questi termini potrebbe poi rimandare ulteriori valutazioni su FonSai, il riferimento è soprattutto al progetto di fusione con Unipol. Se dovessero entrare nuovi soci nella holding è difficile immaginare
che dopo aver messo risorse fresche nell'asset siano disposti a cedere il controllo perdendo il premio di maggioranza che pagheranno per partecipare all'operazione.
I quesiti in sospeso
La sistemazione del dossier Premafin non potrà prescindere dalle trattative in corso per sistemare il debito di Imco-Sinergia, le cassaforti di Salvatore Ligresti che detengono, allo stato, il 20% della holding. L'aumento di capitale in Premafin diluirebbe sensibilmente la famiglia, si ipotizza attorno al 5-7%. I Ligresti, allo stato, non sembrerebbero intenzionati a mettere alcuna risorsa sul piatto. Resta tuttavia da capire che faranno i soci occulti della
Premafin, ossia i due trust che assieme hanno il 20% della finanziaria e che molti sostengono possano essere vicini all'Ingegnere. Un'ingegnere al quale le banche creditrici avrebbero chiesto un piccolo sforzo per permettere la
rinegoziazione del debito in Imco-Sinergia. In particolare agli istituti sarebbe gradito se come segnale Salvatore
Ligresti mettesse sul piatto almeno 5-10 milioni di euro. Da vedere se accadrà. Intanto, entro le prossime due settimane si deciderà il destino dell'intero impero dell'Ingegnere.
ADVISOR AL LAVORO
Stretta finale per arrivare a un'intesa entro metà mese Priorità alla risistemazione della holding attraverso
l'ingresso di nuovi soci
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MARTEDÌ,
3 GENNAIO 2012
MARTE
L’incognita sull'alleanza. La difficoltà di separare la compagnia dall'istituto
Il nodo banca e le nozze con Unipol
L'ipotesi di una fusione Fondiaria Sai-Unipol è sicuramente un progetto suggestivo e già balzato anche in
passato alla ribalta delle cronache. Il piano, infatti, venne valutato per la prima volta circa tre anni anni fa ma
all'epoca incassò il doppio no dei soci, sia degli azionisti di FonSai, sia degli azionisti di Unipol entrambi
non interessati a diluire la loro partecipazione per realizzare un agglomerato di maggior peso. La scelta è stata a lungo rivendicata dal nuovo management della compagnia di Bologna che più volte ha sottolineato come
la dimensione «tout court non sia la medicina» per essere competitivi.
Ora, evidentemente, il quadro è mutato. I Ligresti volenti o nolenti devono prepararsi a essere sensibilmente
ridimensionati nel capitale della compagnia, per non dire azzerati, e Unipol potrebbe aver ripreso in mano il
dossier in un'ottica difensiva. FonSai senza timone stabile rischia di essere una preda ancora più ambita per
le compagnie d'Oltralpe. Tanto più se quest'aumento di capitale servirà a risanare definitivamente i conti del
gruppo. A Bologna devono quindi aver pensato che sia meglio sfruttare ora un'occasione forse irripetibile.
Tuttavia in ambienti finanziari hanno già cominciato a serpeggiare alcuni dubbi sulla validità industriale dell'operazione. Qualcuno ha puntato il dito contro l'asset meno prelibato di Unipol, ossia Unipol Banca. Un'eredità che potrebbe rivelarsi scomoda per la futura compagnia integrata. Qualcun altro ha spostato l'attenzione sulla poca fiducia che il mercato accorda al gruppo bolognese. Due numeri danno la misura della consistenza di questo secondo concetto: il piano industriale di Unipol prevede per il 2012 un utile netto di 250 milioni, eppure ora la capitalizzazione della compagnia è di 750 milioni. Possibile che la società quoti appena
tre volte i profitti attesi per l'anno in corso? Evidentemente Piazza Affari si muove con i piedi di piombo e lo
farebbe perché guarda con molta attenzione ai numeri di Unipol Banca. Anche qui alcune cifre possono aiutare a comprendere la situazione.
Dalla presentazione dei conti del terzo trimestre emerge che la banca a fine settembre aveva impieghi complessivi per 8,4 miliardi e su questi una percentuale di crediti deteriorati netti dell'11,3%, più o meno 950 milioni, coperti per circa il 25%. Allo stesso tempo la raccolta diretta si attestava attorno ai 9,6 miliardi, di cui
1,77 miliardi sono recuperati all'interno del gruppo. Il che fa immaginare che la compagnia sia un'importante
fonte di funding per la banca e questo fa intuire che separare i loro destini possa rivelarsi un'impresa difficile. Tanto più se si considera che anche parte della rete è sovrapposta.
L.G.
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3 GENNAIO 2012
MARTE
di: Monica D’Ascenzo
Investitori d'assalto. La mossa a sorpresa del fondo gestito dall'italo-americano Raffaele
Mincione
In Bpm spunta
con l’8% Time&Life
La lussemburghese Time&Life Sa è il nuovo secondo azionista della Banca Popolare di Milano. La società,
che stando alle indiscrezioni ha investito circa 60 milioni ottenendo una partecipazione dell'8,6% circa della
banca pre-conversione del convertendo, fa capo al finanziere italo-americano Raffaele Mincione, che opera
attraverso la società di gestioni Capital Investment Office con sede a Grosvenor Street, Londra. Un outsider
rispetto alle indiscrezioni circolate nei giorni scorsi, che avevano indicato nel fondo del Qatar o in Amber
Capital il possibile compratore dei diritti di opzione inoptati per l'aumento di capitale da 800 milioni di Bpm.
Il blitz del finanziere è avvenuto il 14 dicembre scorso, quando staccando un assegno da più di 60 milioni ha
rilevato diritti pari all'8,6% circa del capitale dell'istituto. Raffaele Mincione, quindi, è così il secondo azionista della banca dopo Invest Industrial, la holding di partecipazioni che fa capo ad Andrea C. Bonomi, presidente del consiglio di gestione di Bpm. L'aumento di capitale si era così concluso con il 94,02% di adesioni
su un controvalore complessivo dell'aumento di capitale pari a 799.421.014,20 euro. Mediobanca, poi, ha
venduto l'intera parte rimanente del 5,98% dell'aumento per conto dell'intero consorzio, parte del quale è stato acquistato da Invest Industrial salita oltre il 9%.
Un tempo a capo della divisione europea di Salomon Smith Barney, Mincione è noto alle cronache per la sua
passione per la vela, per il fidanzamento con la ex modella Heather Mills (poi moglie di Paul McCartney),
ma soprattutto per un affare immobiliare che nel 2009 finì sulle pagine dei quotidiani internazionali dal Daily Mail al New York Times. Il finanziere riuscì ad acquistare un palazzetto nell'esclusiva Knightsbridge per
18 milioni di sterline (oltre 25 milioni di euro), pagando meno della metà del prezzo originario. L'immobile,
infatti, era stato messo in vendita per 40 milioni di sterline, ma a causa della crisi il proprietario accettò l'offerta al ribasso di Mincione.
Sollevato il velo sul nuovo azionsta di Bpm, ora per completare il quadro sul futuro dell'istituto resta il rebus
del nuovo consigliere delegato. Al rientro dalla pausa natalizia il consiglio di sorveglianza dovrà riprendere
in mano il dossier e procedere in breve alla nomina, nel rispetto dei tempi stabiliti nei colloqui con Banca
d'Italia. In pole position sembrava esserci il nome di Giuseppe Castagna, direttore generale del Banco di Napoli del gruppo Intesa Sanpaolo, anche se non è mai tramontata la soluzione interna che potrebbe vedere
Claudio De Conto, membro del cdg della banca, prendere la guida di Bpm.
Intanto a Piazza Affari il titolo Bpm ieri ha chiuso la prima seduta dell'anno con un rialzo dell'1,59% a
0,3066 euro per azione.
IL FINANZIERE
La società lussemburghese fa capo alla londinese Capital Investment Office L'affare d'oro realizzato con
il palazzo a Knightsbridge
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3 GENNAIO 2012
MARTE
di: Cesare Peruzzi
Credito. Sul tavolo del nuovo direttore generale anche i dossier su Eba e capitale
Mps, il piano industriale
sarà la prima sfida di Viola
Le strategie di gestione saranno all'insegna della discontinuità
FIRENZE - Verso un nuovo piano industriale di Banca Monte dei Paschi. Se l'impegno più pressante di Fabrizio Viola come direttore generale del gruppo senese, a partire dal 12 gennaio (vedere il Sole 24 Ore del 31
dicembre), riguarderà l'ok definitivo alla strategia per fronteggiare le richieste dell'Eba, da presentare in Bankitalia entro il 20 del mese; la vera sfida del manager in arrivo dalla Banca popolare dell'Emilia Romagna
(Bper), destinato a diventare (con l'assemblea di aprile) il primo amministratore delegato di Banca Mps, è la
messa a punto di un piano industriale che tenga conto del mutato contesto di mercato.
Il terzo polo bancario del Paese e la Fondazione che ancora ne controlla oltre il 50% dei diritti di voto si giocano il futuro nel giro dei prossimi tre mesi. Viola, 53 anni, formazione bocconiana, ex direttore generale
della Popolare di Milano, dal 2004 al 2008, e successivamente amministratore delegato della Bper, arriva a
Siena con l'obiettivo di pilotare il gruppo di Rocca Salimbeni stretto tra i richiami dell'autorità bancaria europea (3,2 miliardi di nuovo capitale), le difficoltà della congiuntura (Mps ha comunque realizzato 304 milioni
di utile netto nei primi nove del 2011) e i problemi dell'azionista di maggioranza (la Fondazione Mps), alle
prese con circa un miliardo d'indebitamento complessivo e la prospettiva di dover ridurre sensibilmente la
partecipazione in Montepaschi.
Viola, alla cui scelta come timoniere della banca ha contribuito in maniera determinante lo stesso presidente
Giuseppe Mussari, avrà tutte le deleghe operative. Prende il posto di Antonio Vigni, che incassa i ringraziamenti dell'azienda e degli azionisti per il lavoro svolto negli ultimi sei anni e si appresta a diventare superconsulente della Fondazione Mps sul fronte del negoziato per ridurre e rimodulare il debito con il sistema
bancario: operazione che, in base agli accordi, andrà definita entro metà marzo.
Il cambio della guardia Vigni-Viola non è piaciuto ai sindacati, che in una nota stigmatizzano come «sconcertante il merito e il metodo della decisione presa» e chiedono le dimissioni sia di Mussari che del presidente della Fondazione, Gabriello Mancini, come «atto di forte coerenza». Mussari, che è anche leader dell'Abi,
ha detto a più riprese che lascerà Rocca Salimbeni a scadenza di mandato, il prossimo aprile. Il nome che
circola con insistenza per la sua sostituzione è quello di Franco Bassanini, numero uno di Cassa depositi e
prestiti. Che però butta acqua sul fuoco: «Ho già abbastanza da fare e sono abituato a portare a termine gli
impegni che prendo», commenta il presidente di Cdp e leader del think-tank Astrid.
Mussari, alla fine, potrebbe anche restare. Soprattutto se a chiederlo fossero gli azionisti privati destinati a
mettere altre risorse in Montepaschi, come Francesco Gaetano Caltagirone e i francesi di Axa. Un cosa è certa: la discontinuità segnerà il percorso dei prossimi mesi. L'ha chiesta il sindaco di Siena, Franco Ceccuzzi,
che dopo l'uscita di scena in estate del direttore generale della Fondazione, Marco Parlangeli, nei giorni scorsi è tornato a parlare di un cambio di rotta che, secondo molti osservatori senesi, dovrebbe riguardare anche
la presidenza dell'Ente.
Mancini, il cui mandato scade a luglio 2013, sembra però intenzionato a gestire in prima persona il cambiamento, compresa la diluizione nell'azionariato di Banca Mps. Le prossime settimane diranno se ne ha la forza (politica) e il coraggio. Siena si prepara infatti a perdere il controllo secolare sulla "sua" banca. E il passaggio non può essere indolore.
Rassegna Stampa del giorno 3 Gennaio 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
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I protagonisti a Siena
Gabriello Mancini - Presidente Fondazione Mps
Presidente della Fondazione Mps, Gabriello Mancini, 65 anni, si trova al centro del riassetto della banca
senese. Il suo mandato scade a luglio 2013, e nonostante le critiche e le spinte per un cambiamento sembra deciso a pilotare la diluizione nel capitale di Mps dall'attuale quota che garantisce il 50,1% dei diritti
di voto.
Giuseppe Mussari Presidente Mps
Presidente di Mps dal 2006, Giuseppe Mussari è in scadenza di mandato: ad aprile scade infatti il suo incarico, e per la sua sostituzione si fa il nome di Franco Bassanini, attuale presidente della Cassa depositi
e prestiti. Non è tuttavia esclusa una riconferma anche sulla spinta degli azionisti privati della banca.
Franco Ceccuzzi Sindaco di Siena
Il sindaco di Siena ha parlato per la prima volta nelle scorse settimane della necessità «di trovare una discontinuità» nelle strategie che hanno guidato la filiera Fondazione-Banca Mps. Anche in questi giorni
ha ribadito che è necessario un «cambio di rotta» che potrebbe, secondo alcuni, riguardare anche la presidenza dell'Ente.
Fabrizio Viola Nuovo direttore generale Mps
Ex amministratore delegato della Bper e in precedenza direttore generale di Bpm dal 2004 al 2008, Fabrizio Viola è pronto a diventare dal prossimo 12 gennaio il nuovo direttore generale del Montepaschi. La
prima sfida del manager sarà la messa a punto di un nuovo piano industriale per l'istituto senese.
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*CORRIERE DELLA SERA*
MARTEDÌ,
3 GENNAIO 2012
MARTE
DAL NOSTRO INVIATO Giuseppe Sarcina
Le Borse partono bene
Scende il fabbisogno
In calo anche lo spread, di poco sopra quota 500
BRUXELLES - I governi europei prendono nota dei primi segnali positivi dell'anno. Anche per l'Italia ci
sono dati incoraggianti. Innanzitutto lo «spread», cioè il differenziale tra i rendimenti dei buoni del Tesoro
italiani rispetto a quelli tedeschi, ieri è sceso a quota 499, dunque sotto la «soglia psicologica» dei 500 punti,
un livello sempre superato dal 23 dicembre a oggi, per poi chiudere a 501. Un valore ancora pericoloso per
la tenuta dei conti pubblici italiani, come ha ricordato lo stesso presidente del Consiglio Mario Monti, nella
conferenza stampa di fine anno. Basti pensare che il rendimento del Btp a 10 anni viaggia al 6,82%, quello
quinquennale al 5,8% e il biennale al 4,5%. Dunque è ancora presto per dire se il cambio di marcia dello
«spread» preluda a un'inversione di tendenza, oppure se vada derubricato a semplice oscillazione in un mercato finanziario che mantiene una dinamica «sussultoria». Secondo il premier, comunque, i tassi di interesse
pagati dall'Italia (nonché da Spagna e Grecia) scontano la mancata risposta sulle riforme a livello Ue.
Il governo italiano incassa una buona notizia anche sul fronte «strutturale» dei conti pubblici. Il ministero
dell'Economia comunica che nel 2011 il fabbisogno dello Stato (cioè la differenza tra tutte le uscite e le entrate, al netto del pagamento degli interessi sui titoli) «ammonta a 61,5 miliardi», 5,5 miliardi in meno rispetto al 2010. E il risparmio arriva a quasi 8 miliardi se si escludono dal conteggio i finanziamenti alla Grecia.
In ogni caso, fa notare il ministero guidato dallo stesso Mario Monti, «si registra un miglioramento significativo di oltre 3 miliardi anche in relazione alle stime ufficiali della "Nota di aggiornamento del documento di
Economia e finanza". Sul risultato ottenuto incide sia l'andamento più favorevole degli incassi fiscali, sia
l'andamento riflessivo di alcuni comparti di spesa».
In parallelo le Borse europee sono ripartite bene. Il Ftse Mib di Milano ha chiuso con il +2,42%, collocandosi tra il +3% di Francoforte (indice Dax 30) e il 1,98% di Parigi (Cac 40). Mancano i riscontri delle piazze
principali, Londra e New York, chiuse per le feste di inizio anno. Secondo gli analisti, sulle contrattazioni
hanno pesato le notizie, per certi versi sorprendenti, in arrivo dalla Germania. In un anno di risultati deprimenti per le altre economie, il Paese guidato da Angela Merkel ha raggiunto la cifra record di 41,04 milioni
di occupati, 1,3% in più rispetto al 2010. In sostanza la metà della popolazione tedesca lavora e produce: una
proporzione che spiega la tenuta di fondo della Germania. Il tasso di disoccupazione tedesca è ora pari al
5,5% (in Italia è 8,5%).
In questa fase i mercati, in cui convivono investitori sul lungo periodo e rapaci speculatori sul breve, sembrano prestare molta più attenzione ai movimenti nell'economia reale, piuttosto che agli impegni assunti dai
principali leader della Ue nei discorsi di fine anno. Il mondo della finanza vuole vedere gli effetti concreti
delle misure annunciate o anche già varate, aspettando poi l'impatto dell'accordo firmato il 9 dicembre scorso
da 26 Paesi Ue (tutti tranne la Gran Bretagna) sulla nuova «governance» dell'euro.
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*CORRIERE DELLA SERA*
MARTEDÌ,
3 GENNAIO 2012
MARTE
di: Federico Fubini
twitter @federicofubini
La mossa italiana:
l’Ue eviti nuovi vincoli sul debito
La richiesta di mantenere la flessibilità sugli obiettivi di bilancio e di rafforzare l'impegno
su crescita e competitività
Il ministro Moavero: altrimenti non si parli di Unione economica
La lettera è partita per Bruxelles il 29 dicembre, subito prima della breve pausa per le feste. E anche al netto
dei contenuti di merito, per il governo di Mario Monti è stato un messaggio all'Europa lanciato su più livelli:
c'è sì la sostanza tecnica e la diatriba sul filo del diritto, ma anche un'assertività politica che magari coglierà
qualcuno di sorpresa.
Perché in fondo il messaggio implicito nella missiva del governo Monti è che l'Italia del 2012 non partecipa
al club solo per rispondere alle richieste di austerità avanzate dai soci forti. Al tavolo europeo il governo di
Roma porta anche proposte sulle quali Angela Merkel, Nicolas Sarkozy e il premier di Londra David Cameron dovranno iniziare a fare i conti: anche quando, per esempio sui temi del mercato europeo, i leader di
Francia e Germania non si trovano sicuramente fra i primi della classe.
Sulla sostanza delle idee italiane e sul loro impatto si annuncia un gennaio intenso per la diplomazia dell'euro. L'occasione è legata alle procedure dopo l'ultimo accordo dei leader dell'area-euro il 9 dicembre scorso.
Entro il 29 dicembre i governi erano chiamati da Herman Van Rompuy, presidente del Consiglio europeo, a
presentare i loro emendamenti per arrivare a un nuovo accordo internazionale o a un Trattato: non è ancora
chiara, dopo la rottura con Londra, la forma che assumerà la nuova intesa. La sostanza comunque non cambia poi troppo. Sarà ciò che Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea, chiama «fiscal compact»
e nell'intestazione del vertice di dicembre era un'«architettura rafforzata per un'unione economica e monetaria». È quello il testo sul quale le proposte di emendamento sono già piovute a Bruxelles da tutte le capitali.
Quelle dell'Italia riguardano due punti fra i quali il primo, più delicato, tocca il tema del debito. Il governo di
Mario Monti non intende lasciar spazio a vincoli ancora più stretti di quelli che i governi europei hanno trasformato in legge meno di due mesi fa. È un aspetto che può determinare il peso delle manovre finanziarie
nel prossimo decennio. Il vertice dei leader del 9 dicembre prevede infatti che «dev'essere sancito nelle nuove disposizioni» l'obbligo di ridurre ogni anno il debito in eccesso di un ventesimo della distanza che separa
dalla soglia ammessa (il 60% del Pil). In questo passaggio delle conclusioni del vertice del 9 dicembre non si
menziona alcun margine possibile flessibilità, ma se così fosse per l'Italia il vincolo potrebbe rivelarsi molto
severo: una riduzione del debito del 3% del Pil ogni dodici mesi. In un anno in cui il Pil nominale non dovesse salire, come è probabile accada nel 2012, la correzione del debito dovrebbe essere di oltre 45 miliardi.
Un'applicazione rigida di un criterio del genere rischia di condannare il Paese a un decennio di manovre recessive pur di evitare il tunnel che porta alle sanzioni europee.
Non è un esito inevitabile, al contrario. L'intesa al vertice del 9 dicembre a Bruxelles si basa infatti sul cosiddetto «Six Pack», l'intesa che il sistema istituzionale di Bruxelles ha già trasformato in legge europea a novembre scorso. E nel «Six Pack» la flessibilità esiste eccome: il debito va ridotto sì, ma tenendo conto della
congiuntura economica e di vari altri fattori. Nel «Six Pack», che pure è stringente al punto da sanzionare anche il debito eccessivo, non esistono obblighi tali da chiudere l'Italia in un vicolo cieco di austerità e recessione. È questo il punto su cui, d'intesa con Mario Monti, insiste il ministro per gli Affari europei Enzo Moavero Milanesi: «Per noi è importante che nell'accordo non ci sia niente che squilibri e complichi il quadro
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complessivo rispetto al "Six Pack". Peraltro tutti i governi europei, incluso quello italiano che ci ha preceduto, lo hanno approvato da poco», osserva Moavero. «Va benissimo riprendere e codificare quelle norme in
maniera più formale e solenne, ma non ci sembra necessario fare di più».
Anche qui, dietro la tecnica, si intravede una discussione fortemente politica. L'accordo voluto dalla cancelliera Angela Merkel al vertice del 9 dicembre riproduce infatti quanto già deciso nel «Six pack». Nella sostanza il vertice ha aggiunto ben poco: quasi solo l'impegno al pareggio di bilancio da introdurre nelle costituzioni nazionali. Non serviva affatto un drammatico summit notturno fra i leader e lo strappo con Cameron,
solo per riaffermare regole che esistevano già e persino Londra aveva votato. Ma è proprio la tenacia di Merkel nel voler portare tutto dentro un Trattato, anche a costo rischiare un no per referendum in Irlanda o in
Danimarca, a rivelare l'agenda della leader tedesca. Ciò di cui ha bisogno Merkel è un patto con un surplus
di visibilità, non un'oscura direttiva europea. Alla cancelliera quel tipo di accordo da prima notizia del telegiornale o prima pagina della Bild Zeitung serve al più presto, perché la sua priorità ora è rassicurare un pubblico e un establishment tedeschi sempre più in rivolta verso l'Europa. Solo così lei può sperare di ricavarsi
nuovi margini di manovra nella gestione della crisi. «La linea del governo tedesco va ben compresa — osserva Moavero Milanesi —. Non è facile procedere di fronte all'attuale, complessa situazione, se l'opinione
pubblica in Germania non si sente garantita dalle regole di bilancio dell'area-euro».
Niente di tutto questo impedisce all'Italia di giocare, in parallelo, una partita propositiva. Nella lettera mandata giovedì a Van Rompuy c'è anche un'iniziativa in questo senso. «Chiediamo che la sezione sulla crescita
e sulla competitività sia ripensata. Andrebbe rafforzata e resa più operativa — spiega Moavero —. Occorre
qualcosa di più concreto di quanto ci sia adesso, per esempio sul modo di far funzionare molto meglio il
mercato interno europeo e di garantire a tutti le opportunità che offre».
Non sono queste le priorità di Angela Merkel, né si tratta di un terreno sul quale la Germania sia davvero una
locomotiva nell'Unione. Forse è per questo che il governo italiano tiene presente anche uno scenario nel quale la sezione dell'accordo dedicata a crescita e competitività resti ai minimi termini. «A quel punto proporremmo di uscire dal rischio di un equivoco concettuale e politico: sarebbe meglio che nell'intestazione ufficiale dell'accordo non si parlasse più di "Unione economica", perché in realtà si affronterebbero soltanto
questioni di disciplina monetaria e di bilancio», avverte Moavero. In quel caso l'Italia chiederà che alla crescita si dedichi in ogni modo una prima discussione al summit europeo del 30 gennaio, e molto del vertice di
marzo. Nel frattempo l'agenda di Monti, quando vedrà nelle prossime settimane Merkel, Sarkozy e Cameron,
di fatto è già nero su bianco.
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*CORRIERE DELLA SERA*
MARTEDÌ,
3 GENNAIO 2012
MARTE
di: Sergio Bocconi
L’effetto Unipol
mette le ali a Fonsai
Il mercato punta sull'aumento, più 43%. Bene i titoli della galassia Ligresti
MILANO — Fuochi d'artificio in Borsa per il gruppo Ligresti, con la holding Premafin che guadagna il
42,8% portando a oltre il 70% il rialzo in due sedute e Fonsai che sale del 6,29%. A far volare i titoli (a parte
la scarsità di flottante per quanto riguarda Premafin su cui gli scambi sono ridottissimi) le ipotesi e le voci
che si rincorrono sul possibile riassetto e che vedono per protagonisti il fondo Clessidra e il gruppo Unipol, il
cui titolo in Piazza Affari ha fatto uno scatto del 3%.
Oggi dovrebbero riprendere i lavori in corso sul «cantiere» che si presenta articolato e al momento ancora
aperto rispetto alle possibili soluzioni. I tempi sono comunque stretti e si parla di un progetto-quadro definito
entro la fine della settimana o al massimo entro metà mese. Prima comunque del consiglio di Fonsai che il
27 gennaio dovrà definire l'ammontare esatto dell'aumento di capitale deliberato fino a 750 milioni e indicare
le linee del piano industriale.
Al lavoro su Premafin c'è l'advisor Leonardo, mentre Mediobanca ha il compito di organizzare il consorzio
di garanzia per la ricapitalizzazione Fonsai. È chiaro però che le opzioni sui vari livelli del gruppo Ligresti
devono alla fine risultare coordinate perché occorre mettere in sicurezza la seconda compagnia italiana, che
presenta un margine di solvibilità pari al 90% e quindi sotto la soglia regolamentare, e salvaguardare i creditori ai vari «piani»: Unicredit (socio di Fonsai con il 6,6%) è il maggiore in Sinergia, la holding familiare dei
Ligresti pressoché in liquidazione, e Premafin; Piazzetta Cuccia in Fondiaria-Sai.
La sintesi fra le varie priorità sembra dunque prevedere una ricapitalizzazione anche di Premafin: i Ligresti
non dispongono delle risorse perché la holding che controlla il 35% di Fonsai (in pegno presso le banche)
possa partecipare pro quota all'aumento della compagnia, perciò occorre l'ingresso di almeno un nuovo socio
attraverso un aumento ancora da definire, ma che potrebbe aggirarsi sui 400 milioni. Le banche sosterrebbero l'investitore con una rinegoziazione sui 322 milioni di debito. Non sembra ancora deciso però se a intervenire possa essere un socio finanziario come Clessidra di Claudio Sposito (disponibile con 200 milioni) oppure se il riassetto sia percorribile attraverso una partnership industriale con Unipol che preveda come step finale una fusione fra i due gruppi. Nel primo caso è ipotizzabile che qualche altro soggetto affianchi Clessidra
in Premafin e che in Fonsai entrino con l'aumento investitori istituzionali. Per la compagnia sarebbe a quel
punto prevedibile, almeno in questa fase, un piano industriale stand alone. Nel caso invece di una partnership
assicurativa le strade percorribili sarebbero diverse, sempre però tenendo presente che l'aumento di capitale
di Fonsai deve comunque essere portato a termine per ripristinare il margine oggi gravemente insufficiente.
L'operazione potrebbe dunque essere scandita in più fasi: con l'ingresso in Premafin di Unipol o di suoi azionisti (Finsoe) e con passi che prevedano l'aumento di Fonsai e la successiva eventuale aggregazione. Mix fra
i due profili di intervento sono ovviamente possibili, ma al momento sembra prevalga l'orientamento a considerarli alternativi.
In ogni caso il ruolo e il peso dei Ligresti appare destinato a ridursi parecchio rispetto a oggi. In Premafin,
che capitalizza poche decine di milioni, la famiglia ha poco più del 50% suddiviso per il 30% circa fra i tre
figli di Salvatore e per il 20% in portafoglio di Sinergia, ma in pegno; il 6,7% è costituito da azioni proprie e
poco più del 20% è collocato nella misteriosa galassia off shore di trust e anstalt la cui proprietà ultima non è
nota: forse è riconducibile agli stessi Ligresti, ma le indagini della Consob sono in corso. Stesso discorso
vale per il 2,5% ancora fiduciariamente in portafoglio di Credit Agricole Suisse. Una «scatola» dunque dall'assetto opaco e che contiene solo le azioni Fonsai e debiti. Ma dalla quale deve comunque passare un «pezzo» significativo del salvataggio del gruppo.
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*CORRIERE DELLA SERA*
MARTEDÌ,
3 GENNAIO 2012
MARTE
di: Fabrizio Massaro
Mussari e la battaglia di Siena
Dopo la scelta di Viola, i sindacati attaccano il presidente Mps
MILANO — Il terremoto di fine anno all'interno di Mps, con l'arrivo di Fabrizio Viola come nuovo direttore
generale e, in pectore, come nuovo amministratore delegato, ha fatto bene al titolo in Borsa, ieri +3,53% a
0,26 euro, ma ha scompaginato gli equilibri a Siena. L'uscita di scena del direttore generale Antonio Vigni,
che passerà alla Fondazione Mps come superconsulente nella ristrutturazione del debito, si sposa con la probabile sostituzione anche del presidente Giuseppe Mussari, che non è disponibile a un terzo mandato cui peraltro il sindaco della città, Franco Ceccuzzi, non si è mostrato disponibile.
Il capitolo della presidenza sarà quello da affrontare con più rapidità dai soci, visto che il consiglio di amministrazione scade ad aprile. La scelta dovrebbe cadere comunque in una figura legata al territorio: in pole era
dato da tempo Alfredo Monaci, attuale presidente di Biverbanca, nonché fratello di Alberto Monaci, esponente del Pd e presidente del consiglio regionale della Toscana. Altre indiscrezioni suggeriscono il nome di
Franco Bassanini, presidente della Cassa depositi e prestiti e già parlamentare eletto a Siena. Ci sono poi gli
outsider: Mf ieri citava Alessandro Piazzi, amministratore delegato di Estra Energie e componente della deputazione generale della Fondazione Mps. Nel 2013 poi scade anche la presidenza della Fondazione, e Gabriello Mancini non dovrebbe essere ricandidato, visto che Ceccuzzi ha chiesto espressamente una discontinuità. Mancini pagherebbe le modalità — cioè il ricorso ai derivati — con le quali ha portato l'ente a indebitarsi per oltre 1 miliardo per restare sopra il 50% nel capitale della banca, che hanno indebolito pesantemente
la Fondazione.
Intanto Viola, che sarà nominato al consiglio di amministrazione di giovedì 12, si trova già ad affrontare
l'opposizione dei sindacati interni della banca, che contestano sia il metodo della scelta sia l'aver privilegiato
una figura esterna al gruppo, e che chiedono le «dimissioni immediate» anche di Mussari e Mancini. Temono che Viola possa agire sui costi a cominciare dai 30 mila dipendenti. Viola è stato sostenuto invece dal sindaco e dal presidente della Provincia, Simone Bezzini, azionisti di riferimento della Fondazione: «L'autorevolezza, la professionalità e la forza dell'esperienza maturata da Viola pongono basi solide affinché Mps
possa creare valore per i suoi azionisti e sostenere l'economia reale». Entro il 20 gennaio Mps dovrà presentare in Bankitalia il piano per centrare le richieste dell'Eba sul capitale, per 3,2 miliardi: Siena vuole evitare
un nuovo aumento. In cantiere potrebbe tornare la cessione di Consum.it.
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*la Repubblica*
MARTEDÌ,
3 GENNAIO 2012
MARTE
di: VITTORIA PULEDDA
I mercati
Lo spread torna a quota 500 Borse europee in volata
Milano guadagna il 2,42%
Bce acquista bond. Record di occupati in Germania
Listini spinti dai dati di Cina e Ue Debole l´euro, stabile sul dollaro ma in calo sullo yen
MILANO - Inizio d´anno con il vento in poppa per i mercati finanziari. Almeno per quelli aperti: ieri
infatti sia Londra sia Wall Street erano ancora chiusi per festività e comunque anche nel resto dell
´Europa (e in Asia) gli scambi sono stati abbastanza rarefatti; insomma, il clima resta semi-festivo
e forse questo ha aumentato la sensibilità delle quotazioni a notizie e indicatori finanziari di vario
genere.
Per un giorno comunque il mercato ha messo gli occhiali rosa e lo ha fatto con convinzione: Francoforte è stata la piazza migliore, con un rialzo del 3%, seguita da Milano (+2,42%), Parigi
(+1,98%) e Madrid (+1,74%). Proprio la Germania ha fatto da traino a tutti gli altri mercati del
Vecchio continente, grazie al dato relativo all´occupazione. E´ stato segnato un nuovo record: per
la prima volta, è stata toccata quota 41 milioni di occupati, esattamente la metà degli 82 milioni di
abitanti in Germania. Dunque, un tedesco su due lavora, calcolando anche i vecchi e i minori. I
dati diffusi dall´ufficio federale di statistica dicono che nel 2011 l´incremento è stato in particolare
di 535mila unità (+1,3% sul 2010) con il tasso di disoccupazione che, grazie alla ripresa, è sceso
sotto il 7%, ai minimi degli ultimi 20 anni.
E per un giorno anche i mercati obbligazionari pubblici hanno vissuto una tregua, soprattutto per
quanto riguarda i Btp: ieri infatti i titoli di Stato hanno visto ridursi lo spread con i bond tedeschi di
circa 27 punti, chiudendo a quota 501 punti di distanza e scendendo per un attimo anche sotto
quota 500. Il rendimento del titolo decennale è sceso di conseguenza al 6,92%, in una giornata in
cui la Banca centrale europea ha dichiarato di essere tornata ad affacciarsi con decisione sul mercato secondario, con acquisti per 462 milioni di bond contro i 19 milioni della settimana prima;
oggi invece ha già annunciato che drenerà dal mercato 211,5 miliardi in depositi a una settimana,
per sterilizzare la liquidità creata dal programma di acquisto di titoli di Stato. Altri spunti positivi
sul versante macro economico sono venuti dall´indice Pmi manifatturiero della Cina, salito a dicembre oltre le attese a 50,3 rispetto al 49 di novembre. Per alcuni economisti, potrebbe essere il
segno di una stabilizzazione del rallentamento dell´economia nonostante la crisi del debito europea continui a frenare l´export cinese. Migliorano anche gli indici Pmi manifatturieri dei Paesi europei (da 46,4 a 46,9).
Il fronte dell´euro continua ad essere caldo, a partire dalle previsioni del Centre for Economics and
Business Research, secondo cui la moneta unica ha il 99% di possibilità di dissolversi nei prossimi
10 anni, ed entro la fine del 2012 sarà abbandonato da uno dei suoi Paesi aderenti, molto probabilmente la Grecia. Ieri la moneta unica ha chiuso invariata rispetto al dollaro (a 1,2920 punti),
mentre è scesa rispetto allo yen. Intanto lunedì prossimo, il presidente francese Nicolas Sarkozy
incontrerà a Berlino la cancelliera tedesca Angela Merkel. Il colloquio verterà sul negoziato per il
trattato intergovernativo per il "Patto di bilancio" nell´eurozona. A fine mese ci sarà un nuovo vertice dei capi di stato e di governo.
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*la Repubblica*
MARTEDÌ,
3 GENNAIO 2012
MARTE
di: BARBARA ARDÙ
Pensioni sopra i 1000 euro
stop al pagamento in contanti
L’ Inps scrive a 450.000 pensionati: dal 7 marzo solo bonifici
I sindacati protestano: un ulteriore aggravio di costi per aprire i conti corrente
ROMA - Chi ha una pensione che supera i mille euro non potrà più ritirarla in contanti. L´Inps,
il 7 marzo, bloccherà i pagamenti in denaro cash che superano quell´importo. E agli anziani
abituati a prendere le banconote per portarsele a casa, gli impiegati dei 14mila uffici postali
italiani non le daranno più, non almeno se la cifra fa 1000. Se vogliono la pensione dovranno
aprire un conto corrente, un libretto o farsi una carta prepagata. Hanno due mesi di tempo
per adeguarsi, gennaio e febbraio, ma è meglio si sbrighino, perché entro gli stessi mesi dovranno comunicare all´Istituto di previdenza dove farsi accreditare l´assegno. Sono questi i
consigli contenuti in una lettera che l´Inps ha inviato a 450mila pensionati per avvertirli che
dal 7 marzo la pensione in contanti, sarà solo un ricordo del passato. Rimarrà in vigore solo
per chi a mille euro non ci arriva, salvando dunque tutti gli assegni al minimo.
È l´effetto della manovra correttiva, che impone anche alle Pubbliche amministrazioni (oltre
che a privati e imprese), il limite dei mille euro ai pagamenti cash. Una norma dove c´è un po
´ tutto, tracciabilità del denaro, lotta all´evasione, guerra al contante la cui gestione costa,
sia in termini di soldi (1o miliardi solo alle banche), oltre che di sicurezza. Ed è alla sicurezza
che pensa il presidente dell´Inps, Antonio Mastrapasqua, quando a chi gli chiede lumi sulla
norma e sulla lettera appena inviata, spiega che usare i contanti «è rischioso», visto che lo
scorso anno «i furti negli uffici postali sono aumentati del 17%». C´è di più. Sono sempre
meno i pensionati che si affidano al contanti.
Gli italiani a riposo sono oltre 13,8 milioni, ma solo 2,2 milioni amano riscuotere cash, e di
questi sono 450mila vivono con assegni superiori ai mille euro. Gli altri hanno trattamenti inferiori e dunque possono continuare come hanno sempre fatto, in fila agli uffici postali, banconote in borsetta o infilate nelle tasca interna della giacca e poi a casa. Oltre ad aprirsi un conto, la pattuglia degli anziani che dovrà rinunciare al pagamento cash è anche obbligata a comunicare i dati all´Inps. Può farlo tramite il sito Internet (ma solo se in possesso del codice
personale), presso un ufficio dell´istituto, ma anche nei 14mila uffici postali o in banca. Solo
però se aprirà un conto o un libretto o acquisterà una carta prepagata, un´operazione che
fino a oggi non è mai stata gratis. I costi saranno contenuti, ha assicurato nei giorni scorsi l
´Abi, l´associazione delle banche, ma certo, ha aggiunto, i conti non saranno gratuiti perché i
pagamenti elettronici hanno un costo. Le Poste sembrano invece promettere qualcosa in più:
un conto gratuito (ma solo per un anno) a chi ha più di 65 anni, oppure un libretto e la InpsCard.
Ma ai sindacati (come ai consumatori dell´Adusbef), la norma proprio non piace. Il segretario
generale Spi-Cgil, Carla Cantone, ha detto che è «del tutto incomprensibile l´imposizione del
governo di bloccare l´erogazione in contanti delle pensioni sopra i 1.000 euro. In questo
modo, infatti, i pensionati saranno obbligati per decreto a aprire un conto corrente bancario o
postale». Protesta anche la Uil, con Rocco Carannante e Luigi Scardaone. «È un inaccettabile
favore al sistema bancario e postale con un danno per le categorie più deboli».
Rassegna Stampa del giorno 3 Gennaio 2012
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
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*la Repubblica*
MARTEDÌ,
3 GENNAIO 2012
MARTE
di: VITTORIA PULEDDA
Il mercato scommette
sui nuovi soci Premafin
Balzo del 42% in Borsa sulle ipotesi di ingresso di Clessidra e unione Fonsai-Unipol
Domani nuova riunione con advisor e potenziali investitori per decidere il da farsi
MILANO - Primo giorno dell´anno a tutto gas per i titoli del gruppo Ligresti: Fonsai ha guadagnato il 6,29% e Premafin, rimasta a lungo in asta di volatilità, ha chiuso con un rialzo del
42% a 0,2 euro. Comunque la compagnia assicurativa capitalizza meno di 300 milioni e la
holding 82, a fronte di un aumento di capitale da massimo 750 milioni già approvato dal consiglio della società operativa.
Tanta effervescenza in Borsa ha una spiegazione molto razionale: le scommesse del mercato
sul piano di salvataggio del gruppo, con la famiglia Ligresti a questo punto fuori gioco ma non
indifferente alla risistemazione definitiva. Le ipotesi sono varie, forse alternative tra loro ma
non necessariamente: l´ingresso di uno o più attori finanziari al livello di Premafin e la discesa
in campo di un socio industriale, che invece potrebbe essere Unipol (che non ha voluto commentare le diffuse indiscrezioni di questi giorni) anche attraverso una fusione con Fonsai.
Il tempo stringe e a quanto si apprende già domani, il 4 gennaio, dovrebbe esserci una riunione molto importante in Mediobanca, principale creditrice di Fonsai. Le holding a monte (Sinergia-Imco e Premafin) hanno complessivamente debiti per circa 650 milioni; il solo aumento di
capitale di Fonsai, relativamente alla parte di competenza di Premafin, significa altri 260 milioni. Soldi che la famiglia non ha, anche se mantiene una sua voce in capitolo, potendo scegliere se non altro come e a chi cedere i diritti della Premafin sull´aumento Fonsai. Dunque,
va trovato un accordo che vada bene ai creditori (Mediobanca e Unicredit in primis) e al socio
ormai uscente, e che nello stesso tempo rafforzi il capitale della compagnia, il cui margine di
solvibilità è sceso intorno a quota 90.
L´ipotesi di Unipol ha un valore forte dal punto di vista industriale ma non pochi ostacoli, da
quello pratico. A partire il fatto che la compagnia di via Stalingrado ha un azionariato stabile
(le cooperative) ma non particolarmente liquido; in altre parole, non potrebbe certo mettere
mezzi freschi di rilievo in Fonsai (qualche problema potrebbe esserci anche sotto il profilo dell
´Antitrust, anche se non tali da impedire l´operazione). Ma con Fonsai il gruppo bolognese ha
almeno un punto in contatto: un prestito subordinato di natura ibrida per 400 milioni concesso da Mediobanca, che quindi si trova esposta su entrambi i fronti - Fondiaria e Unipol - con
bond subordinati; nel caso di Unipol, con opzione di rimborso anticipato nel maggio 2018.
Si vedrà quale sarà l´orientamento di Ligresti medesimo. Che a questo può solo decidere
come vendere cara la pelle, ma anche questo non è diritto da poco. Nei giorni scorsi si è riavvicinato a Mediobanca, sebbene la Leonardo & co. mantenga il doppio mandato di advisor su
Premafin e su Sinergia, per ristrutturare il debito (è possibile invece che sia passata in secondo piano nella ricerca di un partner per il gruppo). Allo stesso modo, pare ci sia stato un ulteriore raffreddamento di rapporti tra l´avvocato Carlo D´Urso e la stessa famiglia, i cui interessi legali sarebbero invece curati dallo studio Lombardi Molinari.
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MARTEDÌ,
3 GENNAIO 2012
MARTE
di: GIOVANNI PONS
Piazza Cordusio è esposta per 550 milioni sulla galassia mentre Piazzetta Cuccia ha crediti
per un miliardo
Il salvataggio dell’impero Ligresti
può azzoppare
Mediobanca e Unicredit
Il salvataggio dell´impero Ligresti può azzoppare Mediobanca e Unicredit
Nagel vuole avere il diritto di veto in Fonsai essendo vicepresidente Generali
I crediti facili di Ghizzoni pesano sulla credibilità del management prima dell´aumento
MILANO - Mediobanca e Unicredit stanno spingendo a più non posso per trovare una soluzione
credibile alla bolla Ligresti che ormai è scoppiata. Ma si stanno muovendo sul filo di lana, sotto gli occhi attenti dell´Antitrust e il rischio concreto di subire esse stesse delle perdite importanti. La banca di piazza Cordusio, infatti, è esposta per circa 550 milioni verso la galassia di
società dell´impero Ligresti che vanno da Premafin fino a Sinergia e Imco, a monte. Non più
tardi di sei mesi fa, inoltre, Unicredit ha comprato diritti dell´aumento di capitale Fonsai dallo
stesso Ligresti a prezzi d´affezione, investendo altri 160 milioni per diventare socio al 7%. A
cui si è aggiunta l´erogazione di nuova liquidità per 20 milioni a Sinergia per non fallire. Scelte che ora si sono rivelate disastrose e che mettono sul banco degli imputati il management
della banca rappresentato da Federico Ghizzoni, Roberto Nicastro e Paolo Fiorentino, spalleggiati nella scelta dal vicepresidente Fabrizio Palenzona. Chiunque entrasse in Premafin, infatti,
sia il fondo Clessidra o altri, chiederebbe una due diligence e la disponibilità a ristrutturare
quei 300 milioni di debiti che incombono sulla società. E Unicredit potrebbe essere costretta a
convertire il debito in azioni con conseguenze importanti sul conto economico proprio alla vigilia del proprio aumento di capitale da 7,5 miliardi. Insomma il credito facile a Ligresti degli
anni passati rischia di mietere vittime sul suo cammino. Lo si deduce anche dal nervosismo riscontrato da chi viene in contatto con Mediobanca in questi giorni. Nonostante piazzetta Cuccia sia il primo azionista di Generali con l´ad Alberto Nagel seduto sulla poltrona di vicepresidente, ritiene di dover dirigere il traffico anche su Fonsai in palese conflitto di interessi. Attraverso l´alleanza con Unicredit ha posto veti sui possibili ingressi in Premafin selezionati da
Gerardo Braggiotti e ha posto un aut aut allo stesso Ligresti riguardo la scelta degli advisor.
La preoccupazione deriva dal fatto che Mediobanca è esposta verso Fonsai con prestiti subordinati per 1,05 miliardi che in caso di erosione del capitale possono convertirsi in azioni a
prezzi predefiniti. E se ciò dovesse accadere l´impatto sul bilancio Mediobanca sarebbe molto
importante, andando a erodere gli utili annuali e forse anche più. Per questo motivo si cerca
disperatamente qualcuno disposto a versare soldi in Premafin e per quella via ricapitalizzare
Fonsai. Ma la disponibilità di massima di Clessidra non equivale a un assegno già staccato: se
Claudio Sposito volesse procedere a una vera due diligence dei conti della holding le sorprese
potrebbero essere infinite. E anche la ventilata integrazione a valle tra Fonsai e Unipol, con la
quale Mediobanca è esposta per altri 400 milioni, non sembra essere così facile come qualcuno vorrebbe far credere. Unipol non ha ancora risolto del tutto il problema della banca di casa
che vantava sofferenze per un miliardo su 10 di prestiti. Inoltre il direttore generale Carlo
Cimbri non sembra gradire l´arrivo tra gli azionsiti di un private equity e le Cooperative azioniste attraverso Finsoe dovrebbero scegliere tra la diluizione sotto la maggioranza o l´erogazione di nuove risorse finanziarie.
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MARTEDÌ,
3 GENNAIO 2012
MARTE
Mps, sindacati contro Viola “Mussari e Mancini si dimettano”
Ma Comune e Provincia plaudono e il titolo sale del 3,5%
"Sconcertante la rimozione di Vigni". Il nuovo manager sarà prima dg e poi ad
MILANO - Chi conosce bene le cose in terra di Siena, sostiene che si tratterebbe di un gioco delle parti.
Con i sindacati che rappresentano i quasi trentamila dipendenti del Monte dei Paschi costretti dagli eventi a
mostrare la faccia arrabbiata. Ma è anche vero che un comunicato così duro dalle parti di palazzo Rocca
Salimbeni - sede storica della banca - non lo avevano mai visto.
Ieri, con un solo documento, i sindacati hanno votato la loro sfiducia al nuovo direttore generale Fabrizio
Viola, destinato a prendere il posto di Antonio Vigni, e hanno dimissionato sia il presidente della banca, nella persona di Giuseppe Mussari, che quello della Fondazione, Gabriello Mancini, che controlla la maggioranza del capitale dell´istituto senese. «In considerazione del fatto che entrambi hanno ritenuto di aprire
una nuova fase - affermano in una nota Dircredito, Fabi, Fiba Cisl, Fisac Cgil, Ugl credito e Uilca - con un
atto di così forte discontinuità rispetto al passato, è indispensabile che esercitino, a questo punto, un atto di
forte coerenza rassegnando immediatamente le dimissioni».
I sindacati non hanno preso bene il fatto di non essere stati nemmeno preallertati dell´uscita di scena di Vigni. E, inoltre, temono che la sostituzione possa portare a una nuova riorganizzazione con "lagrime e sangue" e l´arrivo di Viola li esponga a incertezze che con Vigni, evidentemente, non avevano. Anzi, come
hanno scritto sempre nella nota «si tratta del tentativo di mettere in discussione il modello di relazioni sindacali che ha consentito al gruppo di crescere e ai lavoratori di difendere il patrimonio normativo e di ottenere
tutele nei processi di incorporazione e di riorganizzazione». Del resto, con Vigni i sindacati hanno gestito
nelle ultime stagioni l´uscita volontaria e concordata di almeno 3mila persone.
La pensa un po´ diversamente il mercato. Sempre ieri, nella prima seduta dell´anno a Piazza Affari, i titoli
della banca hanno preso il volo proprio grazie al cambio al vertice: le azioni di Mps - uno dei titoli peggiori
tra le blue chip nel corso del 2011 - hanno guadagnato il 3,53%, guidando il rimbalzo dei bancari. Evidentemente, gli operatori hanno fiducia nelle qualità di Viola, tanto è vero che le azioni della Bper (la Popolare
Emilia Romagna, da cui proviene), sono rimaste inchiodate al palo. Così come si sono dette soddisfatte
della scelta i soci forti della Fondazione: la Provincia ma soprattutto il comune di Siena.
In ogni caso, per l´addio di Mussari i sindacati non dovranno aspettare molto: il presidente ha sempre detto
che non si sarebbe ricandidato per un terzo mandato e dunque andrà in scadenza con la prossima assemblea. Mancini, invece, finisce il mandato tra un anno e mezzo ma non sembra intenzionato a passi indietro,
visto che non lo ha fatto nemmeno quando glielo aveva chiesto il sindaco di Siena Franco Ceccuzzi, invocando «aria nuova». Il Comune - che assieme alla Provincia nomina 13 dei 16 consiglieri della Deputazione
- dovrebbe prendersi la responsabilità di sfiduciarlo. Ma a Siena fanno notare che non è mai accaduto.
(l.pa.)
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La Fiba-Cisl
Vi augura di trascorrere
Una giornata serena
Arrivederci a
domani 4 Gennaio
per una nuova
rassegna stampa!
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