FO RO
MANO 2
R
O
NOTIZIARIO
DEL CONSIGLIO
DELL'ORDINE
DEGLI AVVOCATI
DI ROMA
MARZO - APRILE
ANNO 2007
SOMMARIO
EDITORIALE
Una scelta sofferta
203
"Bancarotta" della Finanziaria
205
IL FATTO
I due DDL esaminati dal Governo proposti dal
Ministro Mastella
207
L'allarme per la situazione economica del
Ministero della Giustizia
209
Sulla riforma dell'Ordinamento professionale
211
ATTIVITÀ DEL CONSIGLIO
Le adunanze
213
241
ERRATA-CORRIGE ALBO AVVOCATI ED. 2007
242
COMMISSIONI
CONVEGNI
246
IL NOSTRO MONDO
Adunanza del 1° marzo 2007
339
L'abrogazione del divieto di svolgere pubblicità
informativa da parte degli avvocati
340
Simposio gastronomico "De gustibus disputandum
est...Ars Coquinaria Iuridica"
349
Tra toghe, swing e diritto "BMW Roma - Challenge
tour golf forense"
351
"BMW Roma - 1° trofeo di bridge forense"
353
Allegato all'intervento del Procuratore Generale nell'Assemblea
Generale della Corte di Appello di Roma
354
Il danno da non ragionevole durata del processo, l'equa
riparazione. Aspetti ed evoluzione giurisprudenziale
della c.d.: Legge Pinto
365
Nasce la Camera Arbitrale dell'Ordine degli
Avvocati di Roma
372
NECROLOGI
In ricordo di Carlo Fornario
374
Discorso in occasione della commemorazione
dell'Avv. Gabriella Niccolaj
375
FORO ROMANO
ANNO LVIII
Direttore Responsabile
Alessandro Cassiani
Redattore
Giovanni Cipollone
Segretario di Redazione
Piero Paris
Stampa
Centro Poligrafico Romano
Via Dorando Petri, 20
00011 - Bagni di Tivoli
Redazione
Consiglio dell’Ordine
degli Avvocati di Roma
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Tutti gli iscritti all’Ordine possono collaborare al Notiziario “Foro Romano” con articoli su problemi di interesse generale.
La Direzione si riserva la facoltà di non pubblicare gli articoli che pervengono. I dattiloscritti non vengono restituiti.
COMUNICAZIONI E NOTIZIE
PARERI DEONTOLOGICI
EXTRAVAGANTES
Sul calendario romano
Habemus statutum
PHILOGHELOS
RAPPORTI INTERNAZIONALI
SEGNALAZIONI E RECENSIONI
CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
Riforma delle professioni
BILANCIO
Assemblea Ordinaria del 26 aprile 2007
AGGIORNAMENTO ALBO
387
395
413
415
420
421
424
427
427
516
555
EDITORIALE
Una scelta sofferta
Cari Colleghi,
il Consiglio mi ha eletto all’unanimità rappresentante del Distretto al Consiglio
Nazionale Forense.
Come potete immaginare la cosa mi ha fatto molto piacere.
Ho ritenuto un grande onore far parte della Istituzione che si pone ai vertici del
Sistema Ordinistico.
Ho pensato che questo fosse il completamento migliore di un lungo percorso al
servizio dell’Avvocatura e nello stesso tempo l’inizio di un’esperienza meno
conflittuale e più caratterizzata dall’approfondimento dei grandi temi che interessano la nostra Professione.
Per la prima volta, dopo tanti anni, ho assaporato il piacere della Famiglia e
l’importanza del rapporto con i clienti.
Questa condizione di ritrovata serenità è durata ben poco.
Sono stato immediatamente assalito da un vago disagio che di giorno in giorno
ha assunto le proporzioni di un vero e proprio senso di colpa.
Mi sono sorpreso più volte a meditare sulla opportunità della scelta e sono stato
preso dal dubbio che fosse troppo comodo abbandonare la prima linea e gli Amici
che mi hanno validamente sostenuto in tante battaglie.
Da qui, un conflitto interiore che ha tormentato le mie notti e mi ha accompagnato fino al momento in cui ho deciso di scriverVi queste poche righe.
E’ difficile sintetizzare le ragioni contrastanti tra le quali mi sono dibattuto.
Da una parte ho pensato che nessuno (e tanto meno io!) può considerarsi
insostituibile.
Dall’altra, ho temuto che il venir meno degli attuali equilibri potesse incidere sui
radicali cambiamenti che hanno caratterizzato la mia presidenza e sulla necessità
portare avanti i progetti che hanno preso l’avvio in occasione del Congresso
Nazionale Forense e che attendono ancora di essere realizzati.
Ho concluso che per me non è ancora arrivato il momento del “meritato riposo”
e che l’allettante soluzione di andare al CNF è incompatibile con l’impegno assunto
nei Vostri confronti e con il senso del dovere che fin’ora ha caratterizzato ogni mia
iniziativa.
Sollecitato da molti di Voi, oltre che da alcuni Consiglieri, ho scelto di restare
al mio posto e di continuare a dedicare ogni attimo delle mie giornate al servizio di
un’Avvocatura alla quale qualcuno avrebbe deciso di scippare Dignità, Libertà, e
Avvenire.
Spero che questa mia decisione, sofferta e consapevole, venga condivisa dalla
FORO ROMANO 2/2007
203
EDITORIALE
maggior parte di Voi.
Vi aspetto in Consiglio per far tesoro dei Vostri suggerimenti e soprattutto dei
Vostri rilievi.
In attesa, Vi abbraccio con l’affetto di sempre.
Vostro
Alessandro Cassiani
Spett.le
Spett.le
Ministero della Giustizia
Consiglio Nazionale Forense
Dipartimento per gli Affari di Giustizia
Via Arenula, n. 70
Direzione Generale della Giustizia Civile
186 ROMA
Ufficio III - Libero Professioni
fax 06.68897460
Via Arenula, n. 70
00186 ROMA
fax 06/68897350
anticipata via fax./a.r.
anticipata via fax./a.r.
Oggetto: Dichiarazione ex art. 13 D.Lgs. Lgt. 23/11/1944 n. 382
Il Consiglio dell’Ordine di Roma, del quale sono l’attuale Presidente mi ha designato
all’unanimità quale rappresentante del Distretto al Consiglio Nazionale Forense.
A tale designazione ha fatto poi seguito in data 18.06.2007 la proclamazione da parte
della Commissione nominata ai sensi dell’art. 11 del Dll. 23/11/94 n. 382.
Quanto sopra è stata per me ragione di grande e comprensibile soddisfazione.
L’elezione al Consiglio Nazionale Forense sarebbe infatti un grande onore e nello
stesso tempo il coronamento di un lungo percorso al servizio dell’Avvocatura.
Ragioni contingenti che riguardano tra l’altro la necessità di portare avanti iniziative
e programmi ben lontani dall’essere realizzati, mi consigliano di rinunciare al
miraggio di un approdo prestigioso quale è certamente il Consiglio Nazionale
Forense.
Comunico quindi la mia sofferta decisione di rinunciare alla nomina quale consigliere
del Consiglio Nazionale Forense.
Colgo l’occasione per porgere il mio più sentito ossequio.
Roma, 27 giugno 2007
Avv. Alessandro Cassiani
204
FORO ROMANO 2/2007
EDITORIALE
“Bancarotta” della Finanziaria
Giovanni Cipollone
La situazione è aberrante e paradossale.
Si apprende, sfogliando alcuni quotidiani, che le risorse economiche,
certamente mal distribuite nel nostro paese, non consentono di fornire in
misura adeguata il carburante ai mezzi di Polizia.
Il Ministero dell’Interno ha fatto sapere che, per l’acquisto del carburante,
sono state gia impiegate tutte le risorse finanziarie del 2007.
Esiste il rischio che rimangano all’asciutto auto, elicotteri, aerei leggeri e
altri mezzi, con seria compromissione del servizi della Polstrada e delle
“volanti”. Inoltre, verranno a mancare gli indispensabili servizi di pattugliamento, di pronto intervento e anti-sommossa.
Un anno fa, nel giugno 2006, giunse al nostro Consiglio una richiesta del
Presidente del Tribunale di Roma il quale chiedeva il nostro aiuto economico
per l’acquisto di risme di carta da destinare alle fotocopiatrici degli Uffici
Giudiziari, in quanto il Ministero di Giustizia aveva sospeso la fornitura. In
caso contrario, mancando i fondi ministeriali, tutta l’attività giudiziaria
(ricezione sentenze, pubblicazione ordinanze, stampa dei verbali di udienza
e quant’altro) si sarebbe arrestata.
Il nostro Consiglio all’unanimità decise di venire incontro alla inaspettata
richiesta e, con delibera del 22 giugno 2006 concesse il “grazioso” prestito di
25.000,00 euro. Tutti pero devono sapere che la nostra munificenza non ebbe
come motivazione l’intendimento di agevolare l’espletamento della operosa
attività forense, bensì costituì il compimento di un dovere morale nei
confronti dello Stato in difficoltà.
Ai tempi dell’ateniese Pisistrato (che tra l’altro era un tiranno), si esigeva
dal cittadino la ventesima parte dei suoi proventi. Ora, facendo dovuti
calcoli, tra imposte, tasse balzelli vari; si impone al cittadino di versare nelle
casse dello Stato. circa l’ottanta per cento dei propri proventi.
E’ triste dover constatare che all’arricchimento dello Stato, cui corrisponde un depauperamento dei singoli cittadini, non consegue il benessere per
nessuno.
Se il ruolo dello Stato e quello di ridistribuire le risorse per il bene di tutti,
nel rispetto dei principi di giustizia e solidarietà, si deve convenire che si e di
fronte ad una profonda crisi sociale ed economica e ad una rovinosa
FORO ROMANO 2/2007
205
EDITORIALE
bancarotta finanziaria.
Ogni tanto, tra lo sbandamento generale e nella previsione di catastrofiche
conseguenze economiche, spunta un “tesoretto” sul quale si acuisce la lotta
delle diverse categorie sociali che rivendicano i loro diritti calpestati da tante
ingiustizie, nel tentativo di ottenere almeno le briciole....
Nello inasprirsi degli antagonismi, il contrasto tra coloro che dimostrano
di essere ciechi e sordi alle legittime esigenze del tessuto sociale e i pochi che
denunciano le sperequazioni e le ingiustizie, non ha raggiunto suo acme.
Forse, la lotta tra “i molti” e “i pochi” deve ancora incominciare.
Ai nostri politici voglio ricordare un concetto di grande attualità, espresso
da Sofocle nell’ “Antigone” (versi 175 - 177): “non c’e modo di conoscere di
ogni uomo lo spirito, la saggezza e l’intelletto, finche non sia messo alla prova
come governante o come legislatore”.
206
FORO ROMANO 2/2007
IL FATTO
I due DDL esaminati dal Governo
proposti dal Ministro Mastella
Ha fatto scalpore, e se ne è discusso tantissimo tra i tecnici ed i professionisti del diritto
riguardo la cosiddetta “ricetta Mastella” per l’accellerazione della giustizia.
Cinque anni per chiudere un giudizio civile e tre per quello penale. Calendario del
processo per il primo ed udienza di programma per il secondo.
Questi sono in sintesi i requisiti indicati dal Ministro per tentare di risolvere il “dramma”
giustizia.
Ci sono tante novità proposte tutte che dovrebbero – apparentemente - dare un senso
al principio costituzionale della ragionevole durata dei processi.
Nel processo civile, le controversie su incidenti stradali non saranno più assoggettate al
rito di lavoro; il rito societario (come riformato dal centro-destra) diventa un’opzione per
le controversie in materia commerciale. Previsioni di termini di fase (per condensare in tre
gradi di giudizio in 5 anni) e di un calendario del processo. E altro ancora. Questo in pura
teoria chissà cosa sarà in pratica.
Il pacchetto di misure urgenti per l’accelerazione dei processi messo a punto dal Ministro
della Giustizia Clemente Mastella è pronto. I due ddl sono stati all’esame del Consiglio dei
Ministri e sono in attesa delle opportune osservazioni. Tanti, tantissimi i temi e gli argomenti
in discussione: c’è chi dice che il progetto è affascinante e condivisibile, c’è chi lo stronca
drasticamente aggettivandolo come inattuabile, atecnico ed impossibile da realizzare. Da
parte del Ministro si è spiegato che l’intervento sul processo civile non vuole essere
“l’ennesima riforma del processo civile” ma si vorrebbe introdurre alcune importanti
modifiche al codice di rito. Fra le principali, l’aumento della competenza per valore di
giudizi di pace (a 10 mila euro per le cause su beni mobile e 50 mila per le cause da
circolazione stradale) e nuove regole in materia di competenza. Alle parti del processo si
chiede di non indulgere in inutili dilazioni e di rispettare il principio di leale collaborazione:
dunque le parti dovranno chiarire le circostanze di fatto rilevanti ai fini della decisione pena
l’accertamento della responsabilità processuale aggravata. L’inattività delle parti, come la
mancata comparizione alla prima udienza, genererà la cancellazione della causa dal ruolo.
Il giudice avrà maggiori poteri di conciliazione perché dovrà proporre alle parti una
soluzione in concreto e sarà penalizzata la parte che non avrà accettato la proposta.
Appare mutuato dal sistema francese l’arrivo del calendario del processo per predeterminare le cadenze temporali delle udienze. Le parti vi si devono attenere a meno che non
accampino gravi e giustificati motivi. Così come il giudice che non riesca a rispettarlo dovrà
darne conto al capo dell’ufficio.
Saranno semplificate le consulenze tecniche di ufficio ed ammessa la prova testimoniale
delegata (per iscritto). Il ricorso d’appello dovrà contenere l’indicazione specifica dei motivi
FORO ROMANO 2/2007
207
IL FATTO
per i quali si impugna il provvedimento. Il testo introduce un procedimento sommario non
cautelare ante causam finalizzato all’emanazione di un provvedimento immediatamente
esecutivo che conserva efficacia nel caso in cui il giudizio di merito non venga iniziato
oppure sia estinto.
E’, poi, prevista una norma in base alla quale, per garantire l’adempimento degli obblighi
di fare infungibile o non fare, la sentenza di condanna contenga anche la determinazione
di una somma che spetta al creditore per ogni violazione successiva alla pronuncia.
Vi è poi un intervento del Ministro anche sulla riforma attuata da precedente governo,
che peraltro ha scatenato vibranti polemiche, ovvero dietro front sull’applicazione del rito
del lavoro alle controversie relative al risarcimento dei danni per morte o lesioni conseguenti
ad incidenti stradali.
In ultimo per quanto riguarda la materia societaria è stato proposto che: “al fine di
consentire alle parti di scegliere il modello di cognizione più duttile in relazione alle
circostanze del caso concreto si è previsto che le controversie in materia societaria, bancaria
e creditizia, si svolgano secondo le regole del rito societario solo se vi sia il consenso di tutte
le parti”. Altro argomento ed altro ambito che ha suscitato discussioni a non finire.
Le nuove regole – laddove tutto si dovesse perfezionare - si applicherebbero solo ai
processi instaurati dopo la loro entrata in vigore (non per l’appello), che sarebbe fissata al 1
gennaio 2008.
Questa è la situazione alla fine del mese di maggio, staremo a vedere cosa succederà.
Antonio Conte
208
FORO ROMANO 2/2007
IL FATTO
L’allarme per la situazione economica
del Ministero della Giustizia
Una notizia ha colpito “addetti ai lavori e non” nelle ultime settimane sulla stampa. E’
quella che riguarda il Ministero della Giustizia, che ha accumulato “debiti” per circa 264
milioni di euro tanto che, nel solo 2005, ha subito pignoramenti per oltre 14.700.000
euro!!! Uno degli aspetti polemici che risalta negli articoli è quello che indica il Ministero
quale datore di lavoro non rispetta le leggi, pagando meno di quanto dovrebbe i “detenuti
lavoratori”. Il guardasigilli Clemente Mastella si difende dicendo che ha ereditato un
bilancio che negli ultimi quattro anni ha subito decurtazioni di oltre il 52%. Tuttavia, è
acclarato che il Ministero non paga il telefono, gli affitti degli immobili che ospitano i
tribunali, le Poste, la tassa sui rifiuti, oltre a non farcela a tenere testa alle spese d’ufficio, alla
verbalizzazione degli atti processuali, al mantenimento dei detenuti. Qualcuno ha ironizzato, ma non troppo, che se il Ministero fosse una impresa sarebbe quasi sull’orlo del
fallimento. La lettura del rapporto sullo stato della spesa nei settori di competenza
dell’amministrazione della giustizia che il ministero della giustizia ha inviato a Palazzo Chigi
in ottemperanza a quanto disposto dalla Finanziaria 2007, ha suscitato perplessità e
polemiche. La legge n. 269, infatti, ha imposto alle amministrazioni centrali di fotografare
lo stato della spesa entro il 31 marzo: Da qui si è evidenziato la situazione “drammatica” di
Via Arenula. Il ministero si difende partendo dalla premessa che le risorse per i consumi
intermedi sono diminuite dal 2002 al 2006 di oltre il 52% passando da 421 milioni di euro
a 221 milioni. Sempre da Via Arenula si ribadisce che le varie finanziarie e i vari decreti taglia
spese “hanno messo a dura prova la funzionalità del servizio giustizia”. Altro argomento che
il Ministero utilizza è quello di dire:”non è da sottovalutare l’impatto che l’esposizione
finanziaria determina sotto il profilo del contenzioso tra la pubblica amministrazione e i suoi
creditori, che in misura sempre crescente fanno ricorso a procedure esecutive con
riconoscimento di oneri aggiuntivi per interessi, rivalutazioni, spese di giudizio”, e poi “ che
nel solo 2005 sono state pignorate somme del ministero pari a 14.721.000 euro”. Una
boccata di ossigeno potrà venire dall’incremento del fondo per i consumi intermedi e con
la istituzione di un fondo aggiuntivo di 200 milioni per esigenze correnti per l’acquisto di
beni e servizi, disposto con la Finanziaria 2007. va anche ricordato che l’amministrazione
giudiziaria, il dipartimento che sovrintende al funzionamento dei tribunali, nel 2006 hanno
avuto tagli drastici. La riduzione fino a 152 milioni di euro per i consumi intermedi ha
determinato “per ciascuno anno non solo l’impossibilità di far fronte agli impegni contrattualmente assunti, ma anche la necessità di far fronte ai debiti maturati negli anni precedenti
con i fondi stanziati in conto competenza”.
Le spese di giustizia, quelle che comprendono anche i costi per le intercettazioni, sono
da sempre un altro capitolo dolente. E qui il ministero replica: “nell’anno 2006 la spesa
complessiva è stata di 631 milioni di euro, di cui 371 milioni anticipate da Poste Italiane spa,
FORO ROMANO 2/2007
209
IL FATTO
150 milioni pagati direttamente dai funzionari delegati e 110 milioni rimasti ancora da
pagare”. Va bene tutto ma nel 2007 già il fabbisogno cresce. Infatti, il ministero ha stimato
una cifra pari a 660 milioni di euro fronte però di uno stanziamento iscritto in bilancio di
585 milioni di euro. Quindi avverte il ministero, “in corso d’anno occorrerà integrare il
capitolo di almeno 75 milioni”. Insomma è vero tutto ed il contrario di tutto!
Un’altro ambito in costante sofferenza è quello delle carceri e la situazione delle spese
di funzionamento è quella che ormai tutti conoscono. Si sono prodotte, evidenzia sempre
lo stesso rapporto, “esposizioni finanziarie verso creditori dell’amministrazione o verso il
personale dipendente o anche sanzioni amministrative, civili, e in alcuni casi penali, a carico
dell’amministrazione e dei suoi rappresentanti nonché aggravio di oneri per interessi e
rivalutazioni per le obbligazioni giuridiche insoddisfatte”. Il rapporto è amaro anche per la
situazione che riguarda i detenuti: “Non può nascondersi la criticità della gestione per
l’acquisizione di tutti i servizi destinati alla popolazione detenuta, dal vitto al riscaldamento
dei locali detentivi, fino alla provvista del materiale d’igiene e pulizia, così come sono
innegabili le difficoltà a garantire buoni livelli di assistenza medica e farmaceutica”.
Tra l’altro ora l’amministrazione penitenziaria paga circa 4 euro a detenuto per i pasti,
“prezzi giudicati improponibili anche in vista di una prossima convenzione quadro della
Consip”. Quanto ai detenuti che lavorano e sono anche sottopagati: “l’amministrazione
non ha potuto dare corso alla revisione della remunerazione benché l’ordinamento
penitenziario imponga provviste non inferiori ai 2/3 delle retribuzioni previste dai contratti
collettivi”. Questo recita il rapporto riguardo le carceri. Davvero desolante.
La giustizia minorile non se la passa meglio: l’esposizione debitoria riguarda soprattutto
il vitto e il mantenimento dei minori detenuti e collocati in centri di prima accoglienza e
comunità, le attività trattamenti per i minori, il funzionamento degli uffici giudiziari, i
canoni e le utenze di tipo domestico. Peggio di così. In conclusione il panorama è tutt’altro
che roseo ed i tempi futuri per la giustizia si annunciano duri e difficili, auspicare un
cambiamento è doveroso ma, allo stesso tempo, potrebbe essere illusorio.
Antonio Conte
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FORO ROMANO 2/2007
IL FATTO
sulla riforma dell'ordinamento
professionale
Egregio Professore
Avv. Guido Alpa
Presidente Consiglio
Nazionale Forense
s.p.m.
Egregio Avvocato
Alessandro Cassiani
Presidente Consiglio
Ordine Avvocati di Roma
s.p.m.
Roma, 29.11.2006
Carissimi Presidenti,
insieme all’Avv. Stefano Galeani, Coordinatore Vicario dell’Osservatorio della Giustizia, presso il Consiglio dell’Ordine di Roma, ho avuto modo di incontrarmi con l’Avv. Dario
Donella, ispiratore del c.d. “progetto Calvi” per la riforma dell’Ordinamento Professionale
Forense.
L’impianto del “progetto” è in larga parte coerente e conforme col progetto a suo tempo
presentato dal Consiglio dell’Ordine al Congresso Nazionale Forense.
Su alcuni punti del detto progetto “Calvi” però, ritengo che l’Avvocatura tramite Voi
carissimi Presidenti, debba far sentire e far prevalere alcuni emendamenti.
Mi riferisco a quanto previsto all’art. 29 c. 1 e c. 12 in ordine alla previsione dell’aumento
del numero dei componenti del Consiglio e delle incompatibilità.
Bisogna impedire la trasformazione dei Consigli dell’Ordine da organi di Governo
dell’Ordine Territoriale a parlamentini rissosi, inconcludenti e ingovernabili.
Si ritiene altresì inopportuno prevedere regimi “incrociati” di incompatibilità tra cariche
elettive, ove non sussiste alcun conflitto di interesse.
FORO ROMANO 2/2007
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IL FATTO
La previsione di un limite alla rielezione nelle varie Istituzioni è già un deterrente
sufficiente ad impedire la cristallizzazione di posizioni di potere, limite peraltro estraneo ad
altre più “importanti” Istituzioni pubbliche.
L’incompatibilità, come progettata, priverebbe, invece, ad esempio, la Cassa Forense di
una diretta partecipazione di personalità componenti i Consigli degli Ordini, le quali
possono dare peso e rappresentatività ad una struttura con già scarso potere decisionale.
Non si dimentichi, altresì, che proprio il regime delle incompatibilità, voluto dallo
Statuto OUA, ha reso quest’ultimo più debole e scarsamente rappresentativo.
Infine sulla progettata riforma della “disciplina”, all’art. 30 della lett. F vanno senz’altro
aggiunte le seguenti parole: “a renderli più consapevoli dei loro doveri giuridici e
deontologici”.
Trasferire la disciplina, in via preventiva e/o repressiva fuori dai Consigli dell’Ordine,
vuol dire aprire un varco a chi vuole eliminare la c.d. “giurisdizione domestica”, così come
pure dimostra il c.d. “progetto Mastella”.
La terzietà del giudice disciplinare, che ci imporrebbe l’Europa, può raggiungersi
comunque con l’escludere il Consigliere Istruttore dal Collegio deliberate (progetto Ordine
di Roma) o, male minore, rispetto al progetto Calvi, trasferendo esclusivamente l’istruzione
a Consigli distrettuali composti da soli avvocati (progetto CNF)
Grazie per l’attenzione.
I migliori saluti.
Avv. Carlo Testa
212
FORO ROMANO 2/2007
ATTIVITA' DEL CONSIGLIO
ADUNANZA DEL 1° MARZO 2007
All’adunanza hanno partecipato il Presidente Alessandro Cassiani, il Consigliere
Segretario Antonio Conte, il Consigliere
Tesoriere Carlo Testa nonché i Consiglieri
Giovanni Cipollone, Goffredo Maria Barbantini, Sandro Fasciotti, Federico Bucci,
Giulio Prosperetti, Paolo Nesta, Domenico
Condello, Francesco Storace, Livia Rossi,
Donatella Cerè, Francesco Gianzi, Rosa Ierardi.
PARERI SU NOTE DI ONORARI
emessi ............................................... n. 49
SEGRETERIA
autorizzazioni alle notifiche dirette ..n. 33
richieste di patr. a spese dello Stato
ammissioni .................................. n. 103
iscr. avv. liste patr. a spese
dello Stato ................................... n. 55
DELIBERE
(rapporti internazionali – v. rubrica)
TENUTA ALBO AVVOCATI
iscrizioni
Albo ordinario ............................. n. 17
elenco speciale ............................ n. 5
el.spec. “Professori Universitari” n. 1
passaggi all’Albo ordinario ..............n. 1
variazioni elenco speciale ................. n. 1
nulla osta al trasferimento ................. n. 1
cancellazioni
a domanda ................................... n. 5
per decesso .................................. n. 3
TENUTA REGISTRO PRATICANTI
iscrizioni n. 7
abilitazioni .................................. n. 9
iscrizioni e abilitazioni ...................... n. 9
revoche abilitazioni
per decorrenza termine ................ n. 6
compiuta pratica ...............................n. 9
nulla osta al trasferimento ................. n. 1
cancellazioni
per decesso .................................. n. 1
per trasferimento .........................n. 12
a domanda ................................... n. 107
per fine pratica ............................ n. 5
DISCIPLINA
procedimenti trattati in dibattimento n. 3
(rubrica “Il Nostro Mondo”)
- Il Consigliere Tesoriere Testa comunica
che intende inserire nel Comitato Scientifico della Camera Arbitrale l’Avv. Alessandro
Vinci e ne chiede l’autorizzazione al Consiglio.
Il Consiglio approva.
(pareri deontologici – v. rubrica)
- Il Consigliere Cipollone comunica che
l’Avv. Arianna Agnese con nota del 20 settembre 2006 chiede di essere autorizzata a
curare un allegato alla rivista “Temi Romana” avente ad oggetto la raccolta di massime
di sentenze ripartite per sezioni del Tribunale e per titolo di reato.
Il Consiglio approva.
- I Consiglieri Conte, Barbantini e Fasciotti comunicano che nell’ambito della
verifica delle proposte di cui si è discusso in
data 21 febbraio u.s. con il Presidente f.f. del
Tribunale hanno constatato:
- che in alcuni Uffici Giudiziari, come la
Prima Sezione Civile del Tribunale Ordinario di Roma, le Cancellerie consentono l’accesso non contingentato;
FORO ROMANO 2/2007
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213
213
22/06/2007, 11:13
ATTIVITA' DEL CONSIGLIO
- che è stata accolta la proposta di certificare direttamente su libretto stampato del
Consiglio la presenza del praticante in udienza;
- che la Procura sta indagando, per omessa custodia dei fascicoli in Cancelleria, avendo delegato la Digos agli interrogatori dei
Cancellieri;
- che, iniziata lunedì 26 febbraio, continua sino a venerdì 2 marzo 2007 la protesta
dei lavoratori della Giustizia aderenti alla
R.d.B. del Pubblico impiego, per la difesa
della dignità sul posto di lavoro, per l’aumento delle dotazioni organiche proporzionate ai carichi di lavoro; per l’adeguamento
dei mezzi, delle risorse, delle strutture e
messa in sicurezza delle stesse.
Il Consiglio, preso atto della relazione dei
Consiglieri Conte, Barbantini e Fasciotti al
fine di portare un contributo pratico al problema,
delibera
di sostituire alla fotocopia del verbale di
udienza del praticante Avvocato, la certificazione della partecipazione all’udienza, da
apporre sul libretto della pratica a fianco
delle singole udienze, da parte del Magistrato o, in difetto, da parte del dominus.
Dispone la pubblicazione della presente
delibera sul sito del Consiglio, sul prossimo
numero del Foro Romano nonchè l’affissione di un manifesto.
Manda al Consigliere Segretario di trasmettere copia della presente delibera al
Presidente f.f. del Tribunale Ordinario di
Roma Dr. Alberto Bucci con preghiera di
dare disposizioni a tutti i Magistrati per
quanto di competenza.
- Il Consigliere Storace, al fine di evitare
incomprensioni e/o malintesi, propone di
sottoporre al Consiglio i programmi definitivi dei singoli eventi che vengono organiz-
214
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zati con l’indicazione di tutti coloro che vi
partecipano. Inoltre, propone che il titolo di
‘professore’ venga attribuito soltanto a coloro che sono professori di ruolo regolarmente
inseriti come tali nell’Ordinamento universitario. Tale qualifica potrà essere verificata
sul sito www.miur.it ove sono indicati i
professori universitari di ruolo. L’indicazione del titolo di ‘professore’ potrà, inoltre,
essere attribuita ai liberi docenti secondo il
vecchio Ordinamento universitario.
Il Consiglio approva.
- Il Consigliere Storace comunica che la
Commissione Famiglia, da lui stesso coordinata, organizzerà nel prossimo mese di giugno un incontro nel quale verranno presentati i tre documenti elaborati dalle sottocommissioni relativi alle pronunce e alle tematiche in materia di affidamento dei figli e
norme processuali entrate in vigore circa un
anno fa. Propone che detti documenti, oggetto della discussione, vengano pubblicati
e distribuiti agli avvocati che ne facciano
richiesta ed inoltre che vengano sopportate
dal Consiglio le spese di viaggio per i Relatori che verranno da fuori Roma.
Il Consiglio approva.
- Il Consigliere Ierardi, Coordinatore
della Commissione Consiliare per le Pari
Opportunità, comunica al Consiglio che la
suddetta Commissione, riunitasi il 20 febbraio u.s., ha discusso sulla possibilità di
istituire presso il Consiglio un “Osservatorio sulle Pari Opportunità”.
L’Osservatorio avrebbe la finalità di raccogliere le segnalazioni di tutti i Colleghi
riguardanti comportamenti a vario titolo
discriminatori nell’ambito dell’esercizio della
professione forense, comportamenti che ledono o mettono in pericolo le pari opportunità nell’accesso e nello svolgimento della
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ATTIVITA' DEL CONSIGLIO
professione forense.
L’accesso alle attività dell’Osservatorio
dovrebbe essere garantito ai Colleghi sia in
via telematica mediante apposito link ed
indirizzo di posta elettronica da inserire nel
sito web del Consiglio ed anche mediante
corrispondenza cartacea.
Il Consiglio approva.
- Il Presidente riferisce sulla comunicazione pervenuta il 26 febbraio 2007 dall’Avv. Mario Sanino in merito al ricorso
straordinario proposto dal Consiglio avverso la nota del Presidente della Corte di
Cassazione avente ad oggetto il rilascio dei
locali occupati dal Consiglio.
Il Consiglio ne prende atto.
Autorizzazioni ad avvalersi delle facoltà
previste dalla legge 21 gennaio 1994 n.53
Il Consiglio
- Vista l’istanza presentata dai seguenti
professionisti: Avvocati Angela Andreini, Giuliano Arezzini, Fabio Bassan, Loredana Battisti, Mariano Boratto, Angela Calia, Desireè
Capobianchi, Giovanni Crescella, Giorgio
D’Alessio, Fernanda Elisa De Siena, Vincenza
Di Martino, Marina Fiori, Stefania Forino,
Fabio Massimo Luttazi, Antonio Marino, Gianguido Mascia, Corrado Matera, Beatrice Menis Dalla Chiesa, Fabio Micali, Jessica Mirra,
Paolo Mosconi, Rossana Muolo, Marco Oliveti, Luca Palatucci, Massimo Palermo, Emanuele Parrilli, Roberto Parrilli, Marco Petrone,
Stefano Proietti, Alessandro Seguiti, Carlo
Tardella, Carlo Testori, Silvia Venturini,
autorizza
i professionisti sopraindicati, ai sensi dell’art.
7 della Legge n.53/1994, ad avvalersi delle
facoltà di notificazione previste dalla citata
legge;
dispone
che gli estremi della presente autorizzazione
siano riportati nel primo foglio del registro
cronologico degli istanti di cui all’art. 8 della
citata legge.
- Il Consigliere Segretario Conte comunica
che in data 27 febbraio 2007 è pervenuta dal
Dr. Alfonso Papa, Direttore Generale del Dipartimento per gli Affari di Giustizia del Ministero della Giustizia, la richiesta dell’uso dell’Aula degli Avvocati del Consiglio per gli
esami di Cassazionista -Sessione 2007- per i
giorni 18, 20 e 22 giugno 2007.
Il Consiglio concede l’uso dell’Aula.
Manda la presente delibera ai Consiglieri
Gianzi e Rossi per il rinvio delle lezioni della
Scuola Forense e del Corso per i Difensori
d’Ufficio.
- Il Consigliere Segretario Conte riferisce
sulla nota pervenuta il 26 febbraio 2007 degli
Avv.ti Michael Louis Stiefel e Andrea Stigi con
la quale i professionisti comunicano la costituzione di un’associazione professionale denominata “Studio Legale Avvocato Michael Louis
Stiefel e Avvocato Andrea Stigi - Associazione
Professionale”, in breve “Stigi & Stiefel Studio
Legale”.
Il Consiglio manda all’Ufficio Iscrizioni.
- Il Consigliere Segretario Conte riferisce
che in data 22 febbraio 2007 è pervenuta una
nota dell’Avv. Francesco Petillo con la quale il
professionista comunica la propria impossibilità ad accettare l’incarico quale componente
della XIV Sottocommissione per gli esami di
Avvocato - Sessione 2006.
Il Consiglio nomina l’Avv. Nicolino Sciarra.
- Il Consigliere Segretario Conte riferisce
che in data 22 febbraio 2007 è pervenuta una
nota dell’Avv. Franco Pizzutelli dell’Ordine di
Frosinone con la quale il professionista comunica la propria rinuncia all’incarico quale Presidente della IV Sottocommissione per gli
esami di Avvocato - Sessione 2006.
Il Consiglio nomina l’Avv. Paolo Colosimo.
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ATTIVITA' DEL CONSIGLIO
ADUNANZA DELL’8 MARZO 2007
revoche aperture ..........................n.
2
All’adunanza hanno partecipato il Presidente Alessandro Cassiani, il Consigliere Segretario Antonio Conte, il Consigliere Tesoriere Carlo Testa nonché i Consiglieri Goffredo Maria Barbantini, Sandro Fasciotti, Federico Bucci, Giulio Prosperetti, Paolo Nesta,
Domenico Condello, Francesco Storace, Livia Rossi, Donatella Cerè, Francesco Gianzi,
Rosa Ierardi.
PARERI SU NOTE DI ONORARI
emessi .............................................. n. 52
TENUTA ALBO AVVOCATI
iscrizioni
Albo ordinario .............................n. 15
elenco speciale ............................n. 2
passaggi all’elenco speciale ..............n. 1
cancellazioni
a domanda ...................................n. 8
per decesso ..................................n. 3
per trasferimento .........................n. 6
Autorizzazioni ad avvalersi delle facoltà
previste dalla legge 21 gennaio 1994 n.53
Il Consiglio
TENUTA REGISTRO PRATICANTI
iscrizioni ...........................................n. 13
abilitazioni ........................................n. 6
iscrizioni e abilitazioni ......................n. 9
revoche abilitazioni
per decorrenza termine ................n. 5
a domanda ...................................n. 1
compiuta pratica ...............................n. 12
cancellazioni
per trasferimento .........................n. 8
a domanda ...................................n. 79
per fine pratica ............................n. 13
ASSISTENZA
Fondo Assistenza Consiglio n. 1 erogazione
DISCIPLINA
procedimenti trattati in dibattimento.n. 1
pratiche disciplinari trattate
archiviazioni ................................n. 34
ap. procedimento disciplinare .....n. 4
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SEGRETERIA
autorizzazioni alle notifiche dirette ..n. 26
richieste di patr. a spese dello Stato
ammissioni .................................. n. 84
DELIBERE
- Vista l’istanza presentata dai seguenti
professionisti: Avvocati Carlo Amoruso, Fabrizio Badò, Francesco Buonomini, Carla
Capri, Damiano Comito, Dario Cusumano,
Francesca Romana Dresda, Carla Fatucci, Vincenzo Ferrazzano, Rossella Governale, Dante
Grossi, Roberto Maria Izzo, Massimo Letizia,
Michele Lovaglio, Luigi Carmelo Matteo, Giulio Nardelli, Valerio Onesti, Alfredo Palopoli,
Patrizia Parenti, Nicola Domenico Petracca,
Paola Petrucci, Rachele Rosa Rosaria Primavera, Barbara Primo, Gerardo Romano Cesareo,
Carmela Claudia Scarano, Sandro Verduchi,
autorizza
i professionisti sopraindicati, ai sensi dell’art. 7
della Legge n.53/1994, ad avvalersi delle facoltà di notificazione previste dalla citata legge;
dispone
che gli estremi della presente autorizzazione
siano riportati nel primo foglio del registro
cronologico degli istanti di cui all’art. 8 della
citata legge.
- Il Consigliere Segretario Conte comunica
che in data 1° marzo 2007 è pervenuta l’offerta
della Società Azzurra a r.l. di presentare al
Consiglio un programma (e relativa apparecchiatura elettronica) in grado di gestire lo
spoglio delle votazioni per il rinnovo biennale
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ATTIVITA' DEL CONSIGLIO
del Consiglio dell’Ordine.
Il Consiglio dispone la convocazione della
Società Azzurra a r.l. innanzi al Consiglio per
una prossima adunanza invitandola ad inviare
una brochure informativa ad ogni Consigliere
prima della audizione.
- Il Consigliere Segretario Conte riferisce
che in data 6 marzo 2007 è pervenuta la
comunicazione della Presidenza della Corte
di Appello di Roma relativa al periodo feriale
per il corrente anno giudiziario che è stato
fissato con decreto del 15 febbraio 2007, per i
Magistrati in servizio presso la Corte, il Tribunale e le Procure della Repubblica, dal 23
luglio al 15 settembre 2007.
Il Consiglio ne prende atto.
- Il Presidente riferisce sulla nota pervenuta
l’8 febbraio 2007 dall’Avv. Dario Canovi, quale Presidente della XV Sottocommissione dell’Esame di Avvocato - Sessione 2006, con la
quale chiede che vengano prontamente sostituiti due professori universitari e due magistrati, componenti dimissionari della Sottocommissione al fine di consentire il regolare svolgimento degli impegni assunti nei termini
previsti.
Il Consiglio delega il Presidente ad assumere le opportune iniziative.
- Il Presidente riferisce: “Con i Consiglieri
Condello, Fasciotti e Storace giovedì 8 marzo
mi sono recato al Ministero della Giustizia ove
ho incontrato i Presidenti Brescia e Castelli
che mi hanno sottoposto un progetto di informatizzazione dei servizi giudiziari.
Il progetto prevede che nel giro di pochi
mesi diventi operativa la possibilità di accedere ai servizi e alle Cancellerie restando comodamente nel proprio studio.
Pur con le dovute cautele, ritengo che
l’incontro debba essere considerato un notevole passo avanti verso la normalizzazione
della vita giudiziaria.
Al fine di vigilare che dai programmi si
passi ... ai fatti, ho proposto e ottenuto la
istituzione di una Commissione congiunta
che si incontri periodicamente e valuti gli
ulteriori sviluppi.
Nell’occasione, ho comunicato che il Consiglio ha già in programma un’intensa attività
di aggiornamento e di sensibilizzazione degli
Iscritti. Ritiene, infatti, indispensabile che gli
Iscritti capiscano che il futuro impone attrezzature e conoscenze idonee ad usufruire dei
servizi informatici.
Il Consiglio apre la discussione sull’argomento e conferma la necessità di aggiornare i
Colleghi.
- Il Presidente comunica che nella mattinata di oggi è deceduto l’Avv. Michele Pallottino. Lo ricorda quale grande Avvocato, uomo
integerrimo, amico indimenticabile. Esprime
cordoglio alla famiglia Pallottino e invita i
Colleghi a sospendere per un minuto i lavori.
Il Consiglio si unisce ai sentimenti espressi
dal Presidente.
- Il Presidente riferisce che sabato 10 marzo
si recherà a Pisa, ove i Colleghi che compongono la compagnia teatrale diretta da Luigi Di
Majo terranno lo spettacolo “Il processo di
Norimberga”, invitati dal locale Consiglio
dell’Ordine.
Il Consiglio ne prende atto.
(pareri deontologici – v. rubrica)
- Il Consigliere Ierardi comunica di avere
incontrato, in qualità di Consigliere Coordinatore della Commissione per le Pari Opportunità, il Presidente del Tribunale Ordinario di
Roma, Dott. Alberto Bucci, e di aver rappresentato a quest’ultimo la necessità, per le Colleghe avvocato in maternità o in fase di puerperio, di avere degli appositi locali all’interno
del Tribunale da utilizzare come sale di allattamento.
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ATTIVITA' DEL CONSIGLIO
Il Presidente Bucci ha dimostrato grande
interessamento e disponibilità alle proposte
suggerite.
Il Consigliere Ierardi comunica che sono
previsti altri incontri con il Presidente Bucci al
fine di procedere alla puntuale messa in atto di
quanto congiuntamente programmato.
- Il Presidente Cassiani riferisce sulla richiesta pervenuta il 28 febbraio 2007, prot. 4698,
dagli Avvocati (omissis) per la Società (omissis) S.p.A., in persona del legale rappresentante pro-tempore, Dott. (omissis), con sede a
(omissis), Via (omissis), con la quale chiede al
Presidente del Consiglio dell’Ordine la nomina dell’arbitro unico per dirimere la controversia insorta con la Soc. (omissis).
Il Consiglio nomina l’Avv. Paolo Berruti,
con studio in Roma via Bocca di Leone n. 78.
- Il Presidente Cassiani riferisce sulla richiesta pervenuta in data 28 febbraio 2007, prot. n.
4699, presentata dagli Avvocati (omissis) per la
Società (omissis) S.p.A., in persona del legale
rappresentante pro-tempore, Dott. (omissis),
con sede a (omissis), Via (omissis), con la quale
chiede al Presidente del Consiglio dell’Ordine
la nomina dell’arbitro unico per derimere la
controversia insorta con la (omissis).
Il Consiglio nomina l’Avv. Paolo Berruti,
con studio in Roma via Bocca di Leone n. 78.
ADUNANZA DEL 15 MARZO 2007
All’adunanza hanno partecipato il Presidente Alessandro Cassiani, il Consigliere Segretario Antonio Conte, il Consigliere Tesoriere Carlo Testa nonché i Consiglieri Giovanni Cipollone, Goffredo Maria Barbantini, Sandro Fasciotti, Federico Bucci, Giulio Prosperetti, Paolo Nesta, Domenico Condello, Livia
Rossi, Donatella Cerè, Francesco Gianzi, Rosa
Ierardi.
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TENUTA ALBO AVVOCATI
iscrizioni
Albo ordinario ............................ n. 12
cancellazioni
per decesso .................................. n. 1
per trasferimento .........................n. 3
TENUTA REGISTRO PRATICANTI
iscrizioni ...........................................n. 4
abilitazioni ........................................ n. 18
iscrizioni e abilitazioni ...................... n. 9
revoche abilitazioni
per decorrenza termine ................ n. 2
compiuta pratica ...............................n. 7
nulla osta al trasferimento ................ n. 3
cancellazioni
per decesso .................................. n. 1
per trasferimento .........................n. 10
a domanda ................................... n. 70
per fine pratica ............................ n. 16
ASSISTENZA
Fondo Assistenza Consiglio n. 12
erogazioni
DISCIPLINA
proc. trattati in dibattimento .............n.
6
PARERI SU NOTE DI ONORARI
emessi ............................................... n. 20
SEGRETERIA
autorizzazioni alle notifiche dirette ..n. 20
DELIBERE
- Il Presidente riferisce sulla istanza pervenuta in data 9 marzo 2007 dall’Avv. (omissis)
con la quale chiede la nomina di un arbitro
unico per dirimere la controversia insorta tra la
(omissis) e la (omissis).
Il Consiglio nomina l’Avv. Ernesto Palatta, con studio in Roma Via Pinerolo n. 22.
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ATTIVITA' DEL CONSIGLIO
- Il Presidente riferisce che sabato 10 marzo
2007, in occasione dell’Assemblea dell’Associazione Nazionale Magistrati, alle ore 11,00 si
è recato nell’Aula Magna della Corte di Appello e ha svolto un’ampia relazione sul disegno
di legge Mastella sulla riforma dell’ordinamento giudiziario e sulle riforme che dovrebbero abbreviare i processi approfondendo i
temi e sottolineando le ragioni di dissenso
dell’Avvocatura.
Il Consiglio ne prende atto.
- Il Presidente riferisce sulla sua partecipazione alla manifestazione di apertura dell’anno giudiziario del Consiglio Nazionale Forense, sul contenuto del discorso, in parte confortante del Ministro Mastella, e sul discorso
profondo, dotto, di larghissimo respiro del
Prof. Alpa.
Il Consiglio ne prende atto.
Incontro con il nuovo Presidente della
Commissione di Manutenzione del
Palazzo di Giustizia
Il Presidente riferisce che si è recato a far
visita al nuovo Presidente della Commissione
di Manutenzione del Palazzo, Dott. Edoardo
Fazioli, il quale, a sua volta, aveva tentato di
salutarlo ma non lo aveva trovato.
Nella occasione, il Presidente della Commissione, dopo i soliti convenevoli, gli ha
comunicato esplicitamente che il Consiglio
non potrà tenere altri Corsi di formazione
oltre quelli attualmente in svolgimento. Ragioni di ordine pubblico e di opportunità, a
suo dire, sconsiglierebbero di consentire l’ulteriore accesso di centinaia di Avvocati nel
Palazzo di Piazza Cavour.
Il Presidente Cassiani precisa che ha replicato con estrema fermezza affermando che
non si sarebbe mai aspettato una simile presa
di posizione, che l’attività di aggiornamento è
prevista dal codice deontologico e dalla legge,
che un’Avvocatura più preparata dovrebbe
costituire motivo di grande interesse anche
per i Magistrati.
Il Presidente della Commissione ha risposto ribadendo la presa di posizione e ha affermato che sarà accanto a noi allorchè tenteremo di trovare altre soluzioni presso il Ministero oppure presso i Capi degli Uffici Giudiziari
di Piazzale Clodio.
Il Presidente Cassiani invita tutti i Consiglieri a intervenire poichè si tratta di argomento di straordinaria importanza che si inserisce
in una chiara volontà di incidere sulla nostra
permanenza nel Palazzo.
Il Consiglio esprime sgomento per quanto
riferito dal Presidente Cassiani. Con l’occasione sottolinea e ribadisce che l’importanza di
tutte le iniziative culturali volte all’aggiornamento e al miglioramento degli Iscritti sono
state intraprese e portate avanti in quanto
obbligatorie per legge e imposte dal codice
deontologico.
Manda al Presidente di reagire, con la
dovuta fermezza a questo ulteriore tentativo
di aggressione nei confronti del Consiglio e
delle sue prerogative.
Autorizzazioni ad avvalersi delle facoltà
previste dalla legge 21 gennaio 1994 n.53
Il Consiglio
- Vista l’istanza presentata dai seguenti
professionisti: Avvocati Nicola Adragna, Patrizia Amici, Clizia Ardanese, Marzia Ballarani, Antonio Barile, Stefania Ciliberto, Cristiana Consalvi, Mario Del Vaglio, Antonio Feroleto, Laura Guercio, Salvatore Iannotta, Silvia
Lanzaro, Maria Carla Mancini, Alessandro
Mecocci, Alessia Parisella, Sofia Pasquino,
Giorgio Robiony, Bruno Sconocchia, Patrizia
Succi, Alessandro Zampone,
autorizza
i professionisti sopraindicati, ai sensi dell’art. 7
della Legge n.53/1994, ad avvalersi delle facoltà di notificazione previste dalla citata legge;
dispone
che gli estremi della presente autorizzazio-
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ATTIVITA' DEL CONSIGLIO
ne siano riportati nel primo foglio del registro
cronologico degli istanti di cui all’art. 8 della
citata legge.
- Il Consigliere Segretario Conte riferisce
sulla nota pervenuta l’8 marzo 2007 degli
Avv.ti Armando Placidi e Massimo Cirilli con
la quale i professionisti comunicano la costituzione di un’associazione professionale denominata “Studio Legale Cirilli-Placidi”.
Il Consiglio manda all’Ufficio Iscrizioni
per gli ulteriori adempimenti.
- Il Consigliere Segretario Conte riferisce
sulla nota pervenuta il 14 marzo 2007 dell’Avv. Claudio Papale e del Dott. Andrea
Baffoni con la quale i professionisti comunicano la costituzione di un’associazione professionale denominata “Studio Legale Baffoni &
Partners”.
Il Consiglio manda all’Ufficio Iscrizioni
per gli ulteriori adempimenti.
- Il Consigliere Segretario Conte riferisce
sulla nota pervenuta il 14 marzo 2007 degli
Avv.ti Alberto Oronzo e Federica Oronzo con
la quale i professionisti comunicano la costituzione di un’associazione professionale denominata “Studio Legale Oronzo Associato”.
Il Consiglio manda all’Ufficio Iscrizioni
per gli ulteriori adempimenti.
- Il Consigliere Fasciotti comunica che in
data 5 marzo u.s. si è incontrato presso la
Corte d’Appello di Roma con il dott. Cofano,
Magistrato delegato dal Presidente della Corte
d’Appello ai rapporti con l’UNEP.
Il Dott. Cofano ha comunicato:
- che il rapporto con la Soc. Cast è definitivamente cessato il 28 febbraio u.s.;
- che a far data dal 1° marzo 2007 è attivo
un nuovo programma gestito direttamente dal
Ministero della Giustizia e curato dal dott.
Muzzillo del Cise di Napoli, referente Nazionale UNEP;
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- che è intenzione dell’Ufficio unificare i
diversi sistemi evitando la suddivisione tra atti
civili, atti penali, atti della materia lavoro, ed
atti di diversa natura;
- che sono allo studio ipotesi di miglioramento del servizio quali la lettura ottica alla
ricezione dell’atto e un ticket prepagato.
Il Consigliere Cofano ha comunicato
che l’UNEP sarà diretto a breve da altro dirigente, essendo il dott. Sili vicino al trattamento di quiescenza; ha assunto, infine, l’impegno ad un altro incontro a breve per la verifica
della fattibilità delle proposte di miglioramento e della funzionalità del sistema gestito direttamente dal Ministero della Giustizia.
Il Consiglio ne prende atto.
- Il Consigliere Fasciotti comunica che la
Società Cast a r.l. ha cessato il rapporto con
l’Unep in data 28 febbraio 2007 del sistema
dalla stessa adottato per la notifica degli atti.
Detto sistema è stato sostituito da altro gestito
e controllato direttamente dal Ministero della
Giustizia sotto la responsabilità del Dott.
Muzzillo del Cise di Napoli, responsabile nazionale per l’informatizzazione dell’Unep. Il
responsabile dell’ufficio Unep, Dott. Sili, sarà
a breve sostituito da altro funzionario per
essere vicino al trattamento di quiescenza per
raggiunti limiti di età.
Il Consigliere Fasciotti, nell’incontro avuto con il Dott. Cofano, magistrato delegato
dal Presidente della Corte di Appello di Roma,
ha chiesto la fissazione a breve di un incontro
presso gli uffici della Corte, tra il dirigente
rappresentante dell’Amministrazione, il prossimo dirigente dell’Unep e il rappresentante
del Consiglio dell’Ordine per la ripresa dei
contatti al fine del miglioramento tecnico dei
servizi forniti dall’Unep.
Sin da ora si evidenzia che il nuovo sistema
telematico non è stato ancora posto in essere
dal Ministero onde nuovamente si sta divulgando la dilatazione dei tempi di attesa.
Per quanto concerne il servizio della noti-
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ATTIVITA' DEL CONSIGLIO
fica degli atti individuali, l’attuale apertura di
nove sportelli ha ridotto il tempo d’attesa, per
la consegna e per il ritiro degli atti, non ancora
in termini di accettabilità.
Continua a tale effetto il monitoraggio di
tutti i servizi.
Il Consiglio ne prende atto.
(pareri deontologici – v. rubrica)
Revisione Albo
- Il Consigliere Fasciotti, delegato dal Consiglio per la revisione dell’Albo, invita i Consiglieri a dare disposizioni, all’Ufficio Iscrizioni
del Consiglio, entro la prossima settimana,
affinchè vengano sollecitati i Colleghi ancora
inadempienti con richiesta scritta o inviando
nuovamente i modelli da compilare, comunicando che in caso di mancato riscontro si
procederà all’esame della posizione sotto l’aspetto disciplinare. Precisa che la revisione dell’Albo deve terminare entro l’anno in corso.
Il Consiglio ne prende atto.
ADUNANZA DEL 20 MARZO 2007
adunanza straordinaria)
All’adunanza hanno partecipato il Presidente Alessandro Cassiani, il Consigliere Segretario Antonio Conte, il Consigliere Tesoriere Carlo Testa nonché i Consiglieri Sandro
Fasciotti, Federico Bucci, Paolo Nesta, Francesco Storace, Livia Rossi, Donatella Cerè,
Francesco Gianzi, Rosa Ierardi.
DISCIPLINA
procedimenti trattati in dibattimento .n.
6
ADUNANZA DEL 22 MARZO 2007
All’adunanza hanno partecipato il Presidente Alessandro Cassiani, il Consigliere Segretario Antonio Conte, il Consigliere Tesoriere Carlo Testa nonché i Consiglieri Giovan-
ni Cipollone, Goffredo Maria Barbantini, Sandro Fasciotti, Domenico Condello, Francesco
Storace, Livia Rossi, Donatella Cerè, Rosa
Ierardi.
TENUTA ALBO AVVOCATI
iscrizioni
Albo ordinario .............................. n.
elenco speciale .............................. n.
el.spec.“Professori Universitari” ... n.
passaggi all’elenco speciale ................ n.
nulla osta al trasferimento ................. n.
cancellazioni
per decesso ................................... n.
per trasferimento .......................... n.
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2
2
TENUTA REGISTRO PRATICANTI
iscrizioni ............................................. n.
9
abilitazioni .......................................... n. 10
iscrizioni e abilitazioni ....................... n.
8
revoche abilitazioni
per decorrenza termine ................ n.
3
a domanda .................................... n.
1
compiuta pratica ................................ n.
2
nulla osta al trasferimento ................. n.
2
cancellazioni
per decesso .................................. n.
1
per trasferimento .......................... n.
9
a domanda .................................... n. 77
per fine pratica ............................. n.
2
DISCIPLINA
proc.trattati in dibattimento .............. n.
5
PARERI SU NOTE DI ONORARI
emessi ................................................. n. 36
SEGRETERIA
autorizzazioni alle notifiche dirette .. n. 17
richieste di patr. a spese dello Stato
ammissioni ................................... n. 133
DELIBERE
- Il Presidente Cassiani riferisce che merco-
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1
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ATTIVITA' DEL CONSIGLIO
ledì 21 marzo 2007 ha partecipato all’Assemblea dell’Unione delle Camere Penali ove
eminenti esponenti dell’Avvocatura e della
Politica hanno sottoposto a dura critica il
disegno-legge Mastella e hanno auspicato che
si arrivi finalmente a una effettiva separazioni
delle carriere.
Il Presidente Avv. Oreste Dominioni, il
Segretario Avv. Renato Borzone, gli On.li Marco Taradash e Giulia Bongiorno, hanno svolto
pregevoli interventi con i quali hanno sottoposto a critica i criteri di accesso alla Magistratura
e il pericolo che vengano ridotte le garanzie per
accorciare la durata dei processi.
Il Consiglio ne prende atto.
- Il Presidente Cassiani riferisce che lunedì
19 marzo 2007 nell’Aula Magna della Corte di
Appello di Roma si è svolta una toccante cerimonia di saluto al Presidente Giovanni Francesco Lo Turco, collocato a riposo per raggiunti
limiti di età. L’Aula era gremita di Avvocati,
Magistrati, Autorità Civili e Politiche. Hanno
preso la parola il Sindaco Veltroni, il Presidente
Luigi Scotti, i Consiglieri Fancelli e De Fiore, il
Vescovo Apicella e la Dirigente Dott.ssa Valentini. Tutti hanno sottolineato la signorilità, la
professionalità, le capacità organizzative, la
dedizione, profusi dal Presidente Lo Turco in
tanti anni di attività.
Il Presidente informa di aver preso la parola per manifestare al Presidente Lo Turco la
stima e l’affetto dell’Avvocatura che lo ricorderà sempre per le elevate qualità professionali
e umane e per la sensibilità dimostrata per i
problemi della Giustizia. Al termine, il Consigliere Ierardi, presente con il Consigliere Barbantini, ha consegnato al Presidente Lo Turco
una bella targa nella quale sono state incise
due parole con le quali il Consiglio ha inteso
sintetizzare il suo sentimento: Stima e Amicizia. Chi ha avuto la fortuna di conoscerlo,
conclude il Presidente Cassiani, approverà
quanto è stato fatto per onorare un Uomo e un
Magistrato di tale spessore.
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Il Consiglio ne prende atto e si associa ai
sentimenti espressi dal Presidente.
- Il Presidente Cassiani riferisce sulla celebrazione del decennale della Camera di Conciliazione che si è svolta in Campidoglio in
forma solenne in una bellissima Sala circondata da busti marmorei. Erano presenti i Colleghi che da anni offrono gratuitamente il loro
tempo e la loro competenza. Ad accoglierli il
Sindaco Veltroni, il Presidente della Corte
d’Appello Giovanni Francesco Lo Turco, il
Capo di Gabinetto Cons. Meschino, il nuovo
Assessore alle Pari Opportunità, il Capo dell’Avvocatura Comunale Avv. Enrico Lorusso.
Tutti hanno preso la parola per sottolineare l’importanza di questa attività che il Consiglio svolge il collaborazione con la Corte
d’Appello e per ringraziare il Consigliere Segretario Conte, il Presidente La Greca e i
Colleghi Francesco Caroleo e Giuseppe Lepore componenti della Commissione della Camera di Conciliazione.
Il Presidente ha ricordato i risultati raggiunti, la Convenzione con il Consiglio dell’Ordine dei Medici denominata “Accordia” e
la “Porta del Diritto” che vede alcuni Colleghi
impegnati volontariamente, e a turno, in tutti
i Municipi della Capitale.
Il Presidente ha concluso auspicando una
migliore organizzazione e il raggiungimento
di altri ancor più prestigiosi traguardi attraverso convenzioni con altre Categorie e Ordini
Professionali.
Al termine, il Presidente La Greca ha consegnato al Sindaco una bella targa ricordo e
una relazione scritta. Il Sindaco ha consegnato
a tutti, a sua volta, una pregevole riproduzione
d’arte.
Il Presidente, infine, augura buon lavoro e
ringrazia i Conciliatori nelle persone degli
Avvocati: Carlo Acquaviva, Alfonso Alegiani,
Lucilla Anastasio, Piero Amenta, Alberto Angeletti, Fabrizio Badò, Alfredo Barbieri, Donatella Belloni, Luca Bergamini, Enrico Boniz-
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ATTIVITA' DEL CONSIGLIO
zoni, Giovanna Battista Buonavoglia, Marco
Calabrese, Donatella Carletti, Simone Antonio Castelnuovo, Giuseppina Paola Chiefari,
Giancarlo Ciciani, Maria Romana Ciliutti,
Nicola Colavita, Giovanni Cocconi, Antonio
Conte, Federica Corsini, Anna Maria Di Roberto, Antonio Iannella, Marco Ieradi, Antonina Fanile, Tito Festa, Fabio Filocamo, Umberto Gasperini Zacco, Marco Grazioli, Giorgio Guarnaschelli, Claudio Honorati, Marina
Imbellone, Andrea Lampiasi, Federica Laurora, Michele Licata, Domenico Marocco, Sabina Maroncelli, Carlo Martuccelli, Renata
Marzano, Marco Merlini, Carmela Migliazzo,
Saveria Mobrici, Paola Moreschini, Giuseppe
Ludovico Motti Barsini, Luca Nicoletti, Ernesto Palatta, Filippo Paris, Massimo Pellacani,
Carmelo Raimondo, Carlo Recchia, Francesca Romani, Marina Rossi, Carlo Ricchiuto,
Teresa Rubeis, Francesco Ruggieri, Gabriella
Santini, Alessia Santostefano, Carla Scarnati,
Giuliana Scrocca, Maurizio Spinella, Barbara
Starna, Valeria Silla, Giorgio Spadafora, Alessandra Tombolini, Biancalucina Trillò, Peter
Ugolini, Anna Maria Vetere.
Il Consiglio ringrazia tutti gli Avvocati
Conciliatori e i componenti della Commissione.
Autorizzazioni ad avvalersi delle facoltà
previste dalla legge 21 gennaio 1994 n.53
Il Consiglio
- Vista l’istanza presentata dai seguenti
professionisti: Avvocati Paola Allegretti, Alessandra Bianchi, Giorgio Candeloro, Marina
Cappellini, Alessandra Coata, Marco Grea,
Giovanni Iacovoni, Saveria Mobrici, Simonetta Paradisi, Andrea Passalacqua, Simone
Petrucci, Antonio Piccolo, Tommaso Maria
Salonico, Matteo Serva, Livio Tabili, Stefano
Toro, Valentina Toro,
autorizza
i professionisti sopraindicati, ai sensi dell’art. 7
della Legge n.53/1994, ad avvalersi delle facoltà di notificazione previste dalla citata legge;
dispone
che gli estremi della presente autorizzazione
siano riportati nel primo foglio del registro
cronologico degli istanti di cui all’art. 8 della
citata legge.
- Il Consigliere Segretario Conte riferisce
sulla nota pervenuta il 16 marzo 2007 degli
Avv.ti Massimo Angelini e Francesco Angelini
con la quale i professionisti comunicano la
costituzione di un’associazione professionale
denominata “Studio Angelini - Avvocati Associati” e lo scioglimento dell’associazione professionale denominata “Studio degli avvocati
Massimo Angelini e Ferdinando Barucco”.
Il Consiglio manda all’Ufficio Iscrizioni.
- I Consiglieri Barbantini e Fasciotti comunicano che a seguito di segnalazione del 30
settembre 2006 dell’Avv. (omissis) sul contenuto della trasmissione del 29 settembre 2006
“Mi manda Rai Tre”, in ordine “all’inchiesta
dedicata agli avvocati, di contenuto diffamatorio”, sono intervenuti in data 10 novembre
2006 e 14 febbraio 2007 presso la Segreteria di
Rete di Rai Tre al fine di ottenere la copia della
videocassetta relativa alla trasmissione in questione.
La Direzione Rai Teche ha risposto in data
19 febbraio 2007 che la Direzione Affari Legali
della Rai aveva dato il nulla-osta alla mera
visione del programma del 29 settembre 2006
e comunicato che per il rilascio della relativa
copia VHS era necessaria l’autorizzazione dell’Autorità Giudiziaria.
La Direzione Rai Teche ha chiesto il pagamento di euro 52,00 per la prima ora e l’invio
di un modello compilato e firmato.
I Consiglieri Barbantini e Fasciotti chiedono l’autorizzazione all’operazione anche per
un Consigliere di specializzazione penalistica.
Il Consiglio delega i Consiglieri Barbantini,
Fasciotti e Gianzi.
- Il Consigliere Barbantini riferisce di aver
FORO ROMANO 2/2007
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223
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ATTIVITA' DEL CONSIGLIO
richiesto, a nome del Consiglio, nell’ottobre
decorso, alla Presidente del XVII Municipio
Dott.ssa De Giusti, l’istallazione di idonea
segnaletica dei vari Uffici del Tribunale Civile
di Roma, mediante l’istallazione di cartelli
fissi posti alle uscite della metro Lepanto per
favorire l’utenza che, giornalmente, si trova in
difficoltà nell’individuare il luogo ove recarsi.
Dopo alcuni mesi, ha ricevuto nei giorni
scorsi la comunicazione, da parte di detta
Presidente, che è stata commissionata ad apposita ditta la chiesta istallazione che dovrebbe essere posta in sito entro breve tempo.
In particolare il Consigliere Barbantini ha
indicato le Sezioni e gli Uffici che si trovano
nell’edificio di Viale Giulio Cesare 54/B, in
quello di Viale Giulio Cesare 54, in Via Lepanto 4 e in Viale delle Milizie.
Il Consigliere Barbantini ritiene che tale
iniziativa possa, sia pure in parte, essere di
ausilio alla cittadinanza e propone che il Presidente, ad istallazione avenuta, invii una nota
alla Presidente del detto Municipio.
Il Consiglio ne prende atto con soddisfazione.
(pareri deontologici – v. rubrica)
Approvazione del conto consuntivo per
l’anno 2006 e bilancio preventivo per
l’anno 2007
Il Consigliere Tesoriere Testa, con riferimento al punto 13 dell’ordine del giorno,
rileva che nel corso di questi giorni dopo aver
presentato alla scorsa adunanza del 15 marzo
2007 la bozza del conto consuntivo per l’anno
2006 e la bozza del bilancio preventivo per
l’anno 2007, nonchè la situazione amministrativa e patrimoniale, non ha ricevuto alcuna
osservazione da parte dei Consiglieri.
Chiede, pertanto, che vengano entrambi
approvati vista anche la necessità di sottoporre
i medesimi documenti contabili, al più presto,
ai Revisori dei Conti e successivamente all’Assemblea Ordinaria degli Avvocati. In tal modo
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l’Ufficio potrà operare nei prossimi mesi sulla
base di un bilancio preventivo debitamente
approvato.
Il Consiglio approva il conto consuntivo
per l’anno 2006 e il bilancio preventivo per
l’anno 2007. Fissa l’Assemblea Ordinaria degli
Avvocati, in prima convocazione per il giorno
26 aprile 2007 alle ore 6.00 e in seconda
convocazione per il giorno 26 aprile 2007 alle
ore 12,30.
ADUNANZA DEL 29 MARZO 2007
All’adunanza hanno partecipato il Presidente Alessandro Cassiani, il Consigliere Segretario Antonio Conte, il Consigliere Tesoriere Carlo Testa nonché i Consiglieri Giovanni Cipollone, Goffredo Maria Barbantini, Sandro Fasciotti, Federico Bucci, Giulio Prosperetti, Paolo Nesta, Domenico Condello, Francesco Storace, Livia Rossi, Donatella Cerè,
Francesco Gianzi, Rosa Ierardi.
TENUTA ALBO AVVOCATI
iscrizioni
Albo ordinario .............................. n.
elenco speciale .............................. n.
passaggi all’elenco speciale ................ n.
nulla osta al trasferimento ................. n.
cancellazioni
a domanda .................................... n.
per decesso ................................... n.
per trasferimento .......................... n.
9
1
1
1
2
4
2
TENUTA REGISTRO PRATICANTI
iscrizioni ............................................. n.
6
abilitazioni .......................................... n.
1
iscrizioni e abilitazioni ....................... n.
6
compiuta pratica ................................ n.
4
nulla osta al trasferimento ................. n.
1
cancellazioni
per decesso ................................... n.
1
per trasferimento .......................... n. 13
a domanda .................................... n. 99
per fine pratica ............................. n.
7
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ATTIVITA' DEL CONSIGLIO
DISCIPLINA
proc.trattati in dibattimento ............. n.
pratiche disciplinari trattate
archiviazioni ................................. n.
ap.procedimento disciplinare ...... n.
revoche aperture ........................... n.
2
46
2
1
PARERI SU NOTE DI ONORARI
emessi ................................................. n. 48
SEGRETERIA
autorizzazioni alle notifiche dirette .. n.
richieste di patr. a spese dello Stato
ammissioni ................................... n.
31
52
DELIBERE
(approvazione modifiche al Regolamento in
attuazione della legge 241/90 – v. rubrica
“Comunicazioni e Notizie”)
- Il Presidente riferisce sulla nota pervenuta
in data 14 marzo 2007 dal Consiglio Nazionale Forense accompagnatoria della comunicazione del Dipartimento Giustizia Minorile del
Ministero della Giustizia con la quale richiede
nominativi di avvocati internazionalisti da
inserire in un apposito elenco a disposizione
dell’utenza.
Il Consiglio indica i nominativi degli Avvocati Carmelo Alessio, Lucilla Anastasio,
Marina Binda, Cristiana Consalvi, Marianna
Rita De Cinque, Gianfranco Dosi, Manuela
Maccaroni, Luigi Mannucci, Rossella Minio,
Salvino Mondello, Francesca Paulucci Baroukh, Francesco Samperi, Daniele Stoppello.
- Il Presidente Cassiani riferisce che in
occasione della celebrazione dei 50° Anniversario della firma del Trattato di Roma, organizzata a Palazzo Spada dall’Unione Avvocati
Europei -U.A.E.-, ha tenuto una relazione
nella quale ha affrontato il tema dal punto di
vista storico con espresso riferimento all’evoluzione dell’Avvocatura e all’impegno profu-
so dal Consiglio in questa direzione.
Aggiunge che, nell’occasione, ha portato il
doveroso saluto del Consiglio al Presidente
dell’U.A.E., Avv. Francesco Samperi, e al
Collega Rombolà che hanno organizzato in
maniera impeccabile l’avvenimento. Precisa
che hanno svolto interventi di grande spessore
il Presidente del Consiglio di Stato Mario
Egidio Schinaia, il Vice-Presidente della Commissione Europea e Commissario per la Giustizia, la Libertà e la Sicurezza On. Franco
Frattini, l’ex Ministro On. Antonio Martino,
l’Avvocato Generale dello Stato Oscar Fiumara, il Presidente del Consiglio Nazionale Forense, Prof. Guido Alpa, il Prof. Avv. Carlo
Malinconico, Segretario Generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Il Consiglio ne prende atto.
- Il Presidente comunica che ha portato
l’estremo saluto del Consiglio ai familiari del
Presidente Rocco Misiti.
Esprime cordoglio per la scomparsa di un
Magistrato che ha riscosso la stima e l’affetto
degli Avvocati i quali lo ricordano sempre per
le altissime doti morali e professionali.
Il Consiglio si associa.
Autorizzazioni ad avvalersi delle facoltà
previste dalla legge 21 gennaio 1994 n.53
Il Consiglio
- Vista l’istanza presentata dai seguenti
professionisti: Avvocati Arturo Antonucci,
Francescantonio Borello, Rita Conflitti, Nicola Corbo, Corrado D’Agostino, Olga De Leo,
Simonetta De Sanctis Mangelli, Paolo De Sanctis Mangelli, Filippo Degni, Flavio Del Soldato, Carlo D’Errico, Marco Di Camillo, Gregoria Maria Failla, Sergio Falcone, Daniela Fava,
Guido Frezza, Alfredo Giannaccari, Annarita
Graziano, Giulio Guarnacci, Dario Gucci,
Marco Livi, Giuseppe Lo Pinto, Eugenio Mingoia, Monica Mura, Antioco Pintus, Aristide
Police, Luca Ranalli, Natasza Renzetti, Maria
Grazia Roselli, Angelo Russo, Cristiana Spa-
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225
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ATTIVITA' DEL CONSIGLIO
gnolo,
Il Consiglio ne prende atto.
autorizza
i professionisti sopraindicati, ai sensi dell’art. 7
della Legge n.53/1994, ad avvalersi delle facoltà di notificazione previste dalla citata legge;
dispone
che gli estremi della presente autorizzazione
siano riportati nel primo foglio del registro
cronologico degli istanti di cui all’art. 8 della
citata legge.
- Il Consigliere Segretario Conte riferisce
che in data 22 marzo 2007 è pervenuta la
richiesta della Consob, Commissione Nazionale per le Società e la Borsa, di una “rosa di
candidati” composta da professionisti con almeno dieci anni di iscrizione nell’Albo ed
aventi, se conosciuta, specifica esperienza in
diritto amministrativo.
Il Consiglio indica i nominativi degli Avvocati Luca Bergamini, Marina Binda, Andrea
Ciannavei, Antonio Cordasco, Vincenza Di
Martino, Fabio Francario, Fabrizio Gallo,
Roberto Maria Izzo, Stefano Meloni, Marco
Moretti (n. Roma 08.07.1963), Marco Orlando (n. Roma 24.04.1966), Giuseppe Puglisi,
Renzo Ristuccia, Marco Valerio Santonocito,
Filomena Silipo, Antonio Valori, Giuseppe
Valvo, Luigi Visconti.
- Il Consigliere Segretario Conte riferisce
sulla nota pervenuta il 23 marzo 2007 degli
Avv.ti Fabrizio Castellano e Giorgia Clementi
con la quale i professionisti comunicano la
costituzione di una società di avvocati denominata “Studio Legale Castellano - Clementi
& C. S.T.P.” dell’Avv. Fabrizio Castellano e
dell’Avv. Giorgia Clementi.
Il Consiglio ne prende atto e manda all’Ufficio Iscrizioni per gli ulteriori adempimenti.
- Il Consigliere Segretario Conte riferisce
di aver inserito l’Avv. Veronica Scatena nella
Commissione Giovani, in sostituzione di un
componente dimissionario.
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Contribuzione fissa per richieste di
pareri su note di onorari e conciliazioni
- Il Consigliere Tesoriere Testa ritiene opportuno prevedere un diritto fisso a carico dei
richiedenti di pareri di congruità e istanze di
conciliazione ex art. 66 Legge Professionale, a
prescindere dall’emissione del parere e dall’esito positivo della conciliazione.
Il Consiglio delibera di stabilire la contribuzione fissa nella misura del 20% della tassa
versata al Consiglio per la richiesta di pareri di
congruità su note di onorari, comunque non
ripetibile dalla parte anche in caso di rinuncia
all’istanza.
Il Consiglio si riserva di provvedere in
ordine alle istanze di conciliazione.
- Il Consigliere Gianzi comunica di aver
inserito nella Commissione di Procedura Penale l’Avv. Giuseppe Squitieri.
Il Consiglio ne prende atto.
- Il Consigliere Cipollone riferisce sulla
lettera dell’Avv. Arianna Agnese, delegata dell’Osservatorio per la Giustizia penale, e fa
presente di avere partecipato più volte alle
riunioni dell’Osservatorio della Giustizia penale per conto del Consiglio e di aver apprezzato la solerzia e l’impegno dei componenti
del predetto Osservatorio, diretto alla soluzione dei problemi attinenti, soprattutto, alla fase
dibattimentale.
L’idea dell’Avv. Agnese è di allegare alla
nostra rivista “Temi Romana” le massime relative alle sentenze di merito per sezioni del
Tribunale e per titolo di reato. Il Consigliere
Cipollone ritiene che l’iniziativa sia lodevole e
vada apprezzata e che, pertanto vada concessa
alla professionista la relativa autorizzazione.
Il Consiglio
approva e concede la predetta autorizzazione
all’Avv. Arianna Agnese.
FORO ROMANO 2/2007
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ATTIVITA' DEL CONSIGLIO
Informazioni sull’attività professionale,
siti internet, modalità e strumenti di
informazione
- Il Consigliere Rossi fa presente che, alla
luce della nuova normativa deontologica, conseguente alle disposizioni di cui alla “Legge
Bersani”, occorre stabilire un indirizzo del Consiglio in tema di pubblicità. Negli ultimi mesi,
infatti, sono numerosissimi i quesiti proposti
dai Colleghi sul punto. Il problema, più che al
contenuto dell’informazione, attiene alle forme e alle modalità della stessa. L’art. 17 del
Codice Deontologico Forense, infatti, disponendo che “quanto alla forma e alle modalità
l’informazione deve rispettare la dignità e il
decoro della professione” lascia aperti ampi
margini interpretativi della disposizione stessa
per cui è necessario che il Consiglio stabilisca
quali siano i limiti entro i quali dignità e decoro
possano dirsi rispettati.
Esemplificando, va rilevato che un certo
numero di quesiti proposti al Consiglio riguarda la possibilità di predisporre brochures informative da recapitare nelle cassette della
posta di soggeti indeterminati ovvero attraverso l’invio di e-mail. Per la soluzione del quesito
è necessario tener presente il nuovo disposto
dell’art. 19 del Codice Deontologico Forense
che vieta l’accaparramento della clientela (anche) attraverso l’offerta delle proprie prestazioni professionali al domicilio degli utenti.
Sarà dunque necessario stabilire se nel divieto
in questione rientri anche la condotta come
sopra rappresentata.
Altro urgente problema è quello che attiene
all’utilizzo, da parte dell’avvocato, dei siti web.
Com’è noto l’art. 17 bis del Codice Deontologico Forense consente all’avvocato di utilizzare
esclusivamente siti web con domini propri di
cui egli sia responsabile e che siano privi di
riferimenti commerciali e/o pubblicitari.
Il quesito più ricorrente è quello relativo
all’ipotesi in cui l’avvocato intenda dare informazioni circa la propria attività professionale e
circa il proprio studio: deve intendersi nel senso
che è fatto divieto all’avvocato di comparire,
con il proprio nominativo, nei siti web di associazioni e/o enti che lo indicano come proprio
legale di riferimento?
Molteplici sono infatti le domande dei
Colleghi volte ad ottenere un parere circa la
possibilità di essere, appunto, indicati su siti
web di enti vari in qualità di legali e cui gli enti
stessi fanno riferimento.
Va anche rilevato che stanno pervenendo a
molti Colleghi messaggi di posta elettronica,
inviati da imprese ma anche da avvocati, con i
quali si offre l’inserimento, su una guida online, degli studi legali con specifica indicazione
del settore di attività e con recensione dello
studio (pubblicazione, composizione, casi maggiormente trattati). Tale forma di pubblicità
informativa appare senza dubbio in contrasto
con il disposto dell’art. 17 bis del Codice Deontologico Forense ma, a sua volta, la citata disposizione può apparire obiettivamente in contrasto con il disposto dell’art. 2 della legge 4 agosto
2006 n. 248.
Il Consigliere Rossi, attesa l’importanza della
problematica, comunica che verrà, quanto prima, organizzato un Convegno a cura della
Commissione Deontologica. Chiede che il
Consiglio voglia esprimersi al fine di individuare un criterio, per quanto possibile univoco,
che consenta di stabilire la conformità o meno
alla nuova normativa deontologica delle varie
condotte segnalate.
Il Consiglio, dopo ampia discussione, dà
mandato ai Consiglieri Rossi e Testa di elaborare una proposta di principi guida cui attenersi.
ADUNANZA DEL 5 APRILE 2007
All’adunanza hanno partecipato il Presidente Alessandro Cassiani, il Consigliere Segretario Antonio Conte nonché i Consiglieri
Giovanni Cipollone, Goffredo Maria Barbantini, Sandro Fasciotti, Federico Bucci, Giulio
Prosperetti, Paolo Nesta, Domenico Condello, Livia Rossi, Donatella Cerè, Francesco
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227
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ATTIVITA' DEL CONSIGLIO
Gianzi, Rosa Ierardi.
TENUTA ALBO AVVOCATI
iscrizioni
Albo ordinario .............................. n.
elenco speciale .............................. n.
passaggi all’Albo ordinario ................ n.
passaggi all’elenco speciale ................ n.
cancellazioni
a domanda .................................... n.
per trasferimento .......................... n.
19
1
2
2
5
1
TENUTA REGISTRO PRATICANTI
iscrizioni ............................................. n. 16
abilitazioni .......................................... n.
4
iscrizioni e abilitazioni ....................... n.
4
revoche abilitazioni
per decorrenza termine ................ n.
5
compiuta pratica ................................ n. 14
nulla osta al trasferimento ................. n.
1
cancellazioni
per decesso ................................... n.
1
per trasferimento .......................... n.
7
a domanda .................................... n. 102
per fine pratica ............................. n.
5
DISCIPLINA
proc.trattati in dibattimento .............. n.
pratiche disciplinari trattate
revoche aperture ........................... n.
1
1
PARERI SU NOTE DI ONORARI
emessi ................................................. n. 115
SEGRETERIA
autorizzazioni alle notifiche dirette .. n.
richieste di patr. a spese dello Stato
ammissioni ................................... n.
iscr. avv. liste patr. a spese
dello Stato .................................... n.
11
71
- Il Presidente riferisce sulla lettera del
Presidente del Consiglio dell’Ordine degli
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- Il Presidente riferisce sulla relazione pervenuta in data 12 marzo 2007 dall’Avv. Giovanni Crisostomo Sciacca il quale, con delibera del 15 febbraio 2007, era stato incaricato dal
Consiglio di redigere un parere per chiarire se
l’accesso agli atti del procedimento disciplinare possa essere consentito “solamente al cliente che ha presentato l’esposto nei confronti
del proprio difensore o, anche, ad un esponente nei confronti del legale della controparte”.
Il Consiglio ne prende atto.
- Il Presidente riferisce sul convegno organizzato dal Consigliere Giovanni Cipollone
che si è tenuto il 4 aprile scorso nell’Aula della
Cassa di Previdenza e aveva ad oggetto la
presentazione di una nuova pubblicazione di
Domenico Marafioti dal titolo “Giustizia e
Letteratura”. Precisa che nella occasione alla
presenza di numerosi Colleghi, ha portato il
saluto del Consiglio e ha svolto un’ampia
relazione sull’opera letteraria e sul suo significato. Aggiunge il suo apprezzamento per l’iniziativa del Consigliere Cipollone ed anche per
gli interventi di notevolissimo spessore tenuti
da Guido Alpa, Carlo Martuccelli, Manfredo
Rossi, Giovambattista Mazzuca e dal Dott.
Gennaro Francione.
Il Consiglio ne prende atto con compiacimento.
79
DELIBERE
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Avvocati di Rossano, Avv. Serafino Trento,
accompagnatoria della lettera dell’On. Fausto
Bertinotti, Presidente della Camera dei Deputati, sulla richiesta di rilascio dei locali dell’Ordine.
Il Consiglio ne prende atto.
- Il Presidente comunica che gli On.li Giuseppe Consolo, Giuseppe Valentino e Giulia
Bongiorno hanno preannunciato la presentazione di una interpellanza parlamentare sulla
questione della minaccia di estromissione dalla sede storica di Piazza Cavour.
Il Presidente esprime compiacimento per
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ATTIVITA' DEL CONSIGLIO
l’iniziativa che considera propizia e utile.
Il Consiglio concorda con l’opinione del
Presidente.
Autorizzazioni ad avvalersi delle facoltà
previste dalla legge 21 gennaio 1994 n.53
Il Consiglio
- Vista l’istanza presentata dai seguenti
professionisti: Avvocati Walter Avarelli, Alessandro Bancilhon, Edoardo Belli Contarini,
Maurizio Brizzolari, Giuseppe Bucciante, Anna
Maria Megna, Michele Pecorella, Alessio Petretti, Lucia Franca Santoro, Francesco Segatori, Roberto Tieghi,
autorizza
i professionisti sopraindicati, ai sensi dell’art. 7
della Legge n.53/1994, ad avvalersi delle facoltà di notificazione previste dalla citata legge;
dispone
che gli estremi della presente autorizzazione
siano riportati nel primo foglio del registro
cronologico degli istanti di cui all’art. 8 della
citata legge.
- Il Consigliere Segretario Conte comunica
che in data 27 marzo 2007 è pervenuta dal
Presidente del Consiglio dell’Ordine degli
Avvocati di Palermo la richiesta di un incontro
con un referente dell’Ordine di Roma per
approfondire gli aspetti relativi alla Camera di
Conciliazione che l’Ordine di Palermo è in
procinto di costituire.
Il Consiglio delega gli Avv.ti Francesco
Caroleo e Giuseppe Lepore.
- Il Consigliere Segretario Conte riferisce
sulla nota pervenuta il 4 aprile 2007 degli
Avv.ti Giuseppe Fischioni e Patricia Maria
Cristina Fischioni con la quale i professionisti
comunicano la costituzione di un’associazione professionale denominata “Studio Legale
Fischioni & Associati”.
Il Consiglio ne prende atto e manda all’Ufficio Iscrizioni per gli ulteriori adempimenti.
- Il Consigliere Segretario Conte riferisce
sulla nota pervenuta il 4 aprile 2007 degli
Avv.ti Lorenzo Giulianelli, Alessandro Bancilhon e Carlo Raiti con la quale i professionisti
comunicano la costituzione di un’associazione professionale denominata “Legale Tributario Immobiliare - Associazione Professionale
di Avvocati e Commercialisti” in breve “Studio LTI”.
Il Consiglio ne prende atto e manda all’Ufficio Iscrizioni per gli ulteriori adempimenti.
(pareri deontologici – v. rubrica)
ADUNANZA DEL 12 APRILE 2007
All’adunanza hanno partecipato il Presidente Alessandro Cassiani, il Consigliere Segretario Antonio Conte, il Consigliere Tesoriere Carlo Testa nonché i Consiglieri Giovanni Cipollone, Goffredo Maria Barbantini, Sandro Fasciotti, Federico Bucci, Giulio Prosperetti, Paolo Nesta, Domenico Condello, Francesco Storace, Livia Rossi, Donatella Cerè,
Francesco Gianzi, Rosa Ierardi.
TENUTA ALBO AVVOCATI
iscrizioni
Albo ordinario .............................. n.
elenco speciale .............................. n.
passaggi all’Albo ordinario ................ n.
nulla osta al trasferimento ................. n.
cancellazioni
a domanda .................................... n.
per trasferimento .......................... n.
229
4
1
TENUTA REGISTRO PRATICANTI
iscrizioni ............................................. n.
6
abilitazioni .......................................... n. 10
iscrizioni e abilitazioni ....................... n.
7
revoche abilitazioni
per decorrenza termine ................ n.
compiuta pratica ................................ n.
cancellazioni
per trasferimento .......................... n.
FORO ROMANO 2/2007
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5
2
1
2
9
2
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ATTIVITA' DEL CONSIGLIO
a domanda .................................... n.
per fine pratica ............................. n.
50
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DISCIPLINA
proc.trattati in dibattimento .............. n.
3
PARERI SU NOTE DI ONORARI
emessi ................................................. n. 44
SEGRETERIA
autorizzazioni alle notifiche dirette .. n.
richieste di patr. a spese dello Stato
ammissioni ................................... n.
rigetti ............................................. n.
14
48
1
DELIBERE
Protocollo d’intesa con il Presidente della
XIII Sezione Civile del Tribunale
Ordinario di Roma Cons. Filippo Paone
per trasmissione via fax atti e documenti
cause civili
- Il Consigliere Tesoriere Testa propone al
Consiglio di approvare il protocollo d’intesa
per lo scambio degli atti e dei documenti nelle
cause civili, così come lo ha predisposto, con
l’assistenza dei Colleghi Gianmarco Cesari,
Mauro Mazzoni e Giovanni Battista Martelli,
su iniziativa del Presidente Cassiani e su mandato di precedente delibera consiliare, congiuntamente con il Presidente della XIII Sezione Civile del Tribunale Ordinario di Roma,
Dott. Filippo Paone.
L’elaborato è stato distribuito, in copia, ai
Consiglieri e rappresenta l’iniziativa più concreta e immediata per affrontare il grave disagio dei professionisti forensi nell’accedere alle
Cancellerie e agli Uffici giudiziari.
Il Consiglio ne prende atto e approva il
protocollo d’intesa.
- Il Presidente riferisce sulla comunicazione datata 5 aprile 2007 con la quale il Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Camerino,
Avv. Corrado Zucconi Galli Fonseca, trasmette la lettera pervenuta dal Presidente Aggiunto
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della Corte di Cassazione in risposta al noto
problema del rilascio dei locali di Piazza Cavour.
Il Consiglio ne prende atto con compiacimento.
- Il Presidente riferisce sulla comunicazione pervenuta dal Consiglio dell’Ordine degli
Avvocati di Napoli accompagnatoria del testo
della proposta di Legge n. 2282 del 22 febbraio
2007 della Camera dei Deputati in materia di
competenza del Giudice di Pace e di patrocinio nei giudizi davanti ad esso.
Il Presidente riferisce, inoltre, sulla relativa
risposta del Presidente dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura, Avv. Michelina Grillo.
Il Consiglio ne prende atto.
Autorizzazioni ad avvalersi delle facoltà
previste dalla legge 21 gennaio 1994 n.53
Il Consiglio
- Vista l’istanza presentata dai seguenti
professionisti: Avvocati Vipsiana Andreicich,
Daniela Barchiesi, Salvatore (detto Rino) Caiazzo, Laura Chambry, Alessandra Colosimo,
Gabriele Crescimbeni, Francesco Fazzalari,
Roberto Leccese, Fabrizio Lucifero, Daria
Polidoro, Luigi Principe, Ugo Scuro, Francesco Silvestri, Francesco Simone,
autorizza
i professionisti sopraindicati, ai sensi dell’art. 7
della Legge n.53/1994, ad avvalersi delle facoltà di notificazione previste dalla citata legge;
dispone
che gli estremi della presente autorizzazione
siano riportati nel primo foglio del registro
cronologico degli istanti di cui all’art. 8 della
citata legge.
Servizi istituzionali del Consiglio di
Colleghi morosi dei contributi annuali
- Il Consigliere Tesoriere Testa pone al
Consiglio il quesito se sia legittimo o meno
subordinare la materiale consegna del parere
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ATTIVITA' DEL CONSIGLIO
di congruità su note di onorari al Collega che
risulti moroso nel pagamento del contributo
annuale dovuto all’Ordine;
Il Consiglio
considerata la prevalenza del servizio pubblico, ritiene comunque dovuto il rilascio del
parere di congruità su note di onorari ai Colleghi ancorchè morosi ma, nel contempo,
manda all’Ufficio Amministrazione per accelerare le eventuali procedure di sospensione
dall’esercizio della professione per i Colleghi
morosi dei contributi annuali per gli anni 2004
e precedenti e di inviare un ulteriore sollecito
di pagamento ai Colleghi morosi del contributo annuale per gli anni 2005, 2006 e 2007.
ADUNANZA DEL 17 APRILE 2007
(adunanza straordinaria)
All’adunanza hanno partecipato il Presidente Alessandro Cassiani, il Consigliere Segretario Antonio Conte, il Consigliere Tesoriere Carlo Testa nonché i Consiglieri Goffredo Maria Barbantini, Sandro Fasciotti, Federico Bucci, Livia Rossi, Francesco Gianzi, Rosa
Ierardi.
DISCIPLINA
proc.trattati in dibattimento ..............n.
5
ADUNANZA DEL 19 APRILE 2007
All’adunanza hanno partecipato il Presidente Alessandro Cassiani, il Consigliere Segretario Antonio Conte, il Consigliere Tesoriere Carlo Testa nonché i Consiglieri Giovanni Cipollone, Goffredo Maria Barbantini, Sandro Fasciotti, Federico Bucci, Paolo Nesta,
Domenico Condello, Livia Rossi, Donatella
Cerè, Francesco Gianzi, Rosa Ierardi.
TENUTA ALBO AVVOCATI
iscrizioni
Albo ordinario .............................. n.
8
passaggi all’Albo ordinario ................ n.
cancellazioni
a domanda .................................... n.
per decesso ................................... n.
per trasferimento .......................... n.
231
5
3
4
TENUTA REGISTRO PRATICANTI
iscrizioni ............................................. n. 12
abilitazioni .......................................... n.
4
iscrizioni e abilitazioni ....................... n.
1
revoche abilitazioni
per decorrenza termine ................ n.
1
compiuta pratica ................................ n.
6
nulla osta al trasferimento ................. n.
2
cancellazioni
per decesso ................................... n.
1
per trasferimento .......................... n.
4
a domanda .................................... n. 60
per fine pratica ............................. n.
4
DISCIPLINA
proc.trattati in dibattimento .............. n.
pratiche disciplinari trattate
archiviazioni ................................. n.
ap.procedimento disciplinare ...... n.
1
41
6
PARERI SU NOTE DI ONORARI
emessi ................................................. n. 53
SEGRETERIA
autorizzazioni alle notifiche dirette .. n.
richieste di patr. a spese dello Stato
ammissioni ................................... n.
rigetti ............................................. n.
30
85
14
DELIBERE
- Il Presidente riferisce sulla missiva pervenuta il 7 marzo 2007 dall’Ordine Provinciale
di Roma dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri con la quale informa che il Presidente
della Fondazione Cassa di Risparmio di Civitavecchia ha inviato una nota ove chiede la
designazione, di concerto tra i due Ordini, di
un professionista esperto nel settore giuridico
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1
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ATTIVITA' DEL CONSIGLIO
o fiscale-amministrativo delle Onlus da inserire, in qualità di componente, nell’organo della
suddetta Fondazione. Allo scopo veniva fissato un incontro per il giorno 13 marzo presso la
sede di Via G.B. De Rossi 9.
Il Consiglio delega l’Avv. Marco Marianello.
- Il Presidente riferisce sulla comunicazione pervenuta il 16 aprile 2007 relativa alla
richiesta dell’Avv. Gian Domenico Caiazza di
sottoporre al vaglio del Consiglio, per eventuali determinazioni di sua competenza, fatti
di natura processuale resi pubblici attraverso
una rete televisiva mentre ancora è in corso il
processo penale.
Il Consiglio incarica il Consigliere Cipollone di redigere un parere di natura deontologica su quanto prospettato dall’Avv. Gian
Domenico Caiazza con la predetta nota.
Il Consigliere Cipollone all’esito dell’esame della richiesta dell’Avv. Gian Domenico
Caiazza così riferisce: “In via generale, nel
campo della informazione giornalistica e a
maggior ragione televisiva, il diritto di cronaca
o di critica non deve estrinsecarsi in una condotta che costituisca una indebita ingerenza
probatoria o che intralci l’accertamento giudiziale in corso. Tale ingerenza assume carattere
ancor più criticabile, deontologicamente riprovevole se si prospettano in modo erroneo
o distorto fatti o circostanze o vengano travisati elementi probatori contrari alla verità,
tanto da influenzare l’opinione pubblica o,
peggio ancora, persone che dovrebbero rendere testimonianza.
Parimenti censurabile deve ritenersi divulgare il contenuto di atti ancora coperti dal
segreto istruttorio facenti parte di un fascicolo
processuale ancora in sede di indagini.
Ovviamente, se in tali implicazioni vi abbia concorso il professionista forense, tale
condotta deve ritenersi deontologicamente
sanzionabile”.
Il Consiglio approva e condivide quanto
espresso nella elaborazione di detto parere.
232
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- Il Presidente riferisce che il Coordinamento CUP Territoriali Lazio ha inviato il
manuale operativo per la raccolta di firme per
la proposta di legge di iniziativa popolare sulla
Riforma dell’Ordinamento delle professioni
intellettuali.
Il Consiglio delega il Consigliere Tesoriere
Testa per esame.
- Il Presidente, con riferimento alla richiesta del Dipartimento Giustizia Minorile del
Ministero della Giustizia, di una rosa di nominativi di avvocati internazionalisti da inserire
in un apposito elenco a disposizione dell’utenza, propone di integrare detta lista inserendo i
nominativi degli Avvocati Alessandro ed Elisabetta Mete.
Il Consiglio approva.
Autorizzazioni ad avvalersi delle facoltà
previste dalla legge 21 gennaio 1994 n.53
Il Consiglio
- Vista l’istanza presentata dai seguenti
professionisti: Avvocati Elisa Amato, Alessandra Amoresano, Caterina Boca, Carlo Borello,
Stefano Capece, Massimino Caruso, Paolo
Dalla Grana, Emanuela Dell’Ospedale, Gisella Di Letizia, Flora Divizia, Francesca Fegatelli, Massimo Filieri, Silvia Galletti, Giuliano
Lemme, Gaetano Longobardi, Carlotta Magno, Filippo Maria Magno, Carmela Musolino, Uliana Paladini, Nino Paolantonio, Fabrizio Pavarotti, Michela Pulcianese, Giovanni
Riccio, Vania Romano, Roberto Santucci,
Gustavo Schiavello, Arianna Sciore, Gianfranco Sebastianelli, Cristina Simoni, Simone Tamagnini,
autorizza
i professionisti sopraindicati, ai sensi dell’art. 7
della Legge n.53/1994, ad avvalersi delle facoltà di notificazione previste dalla citata legge;
dispone
che gli estremi della presente autorizzazione
siano riportati nel primo foglio del registro
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ATTIVITA' DEL CONSIGLIO
cronologico degli istanti di cui all’art. 8 della
citata legge.
- Il Consigliere Segretario Conte riferisce
che è pervenuta il 12 aprile 2007 dallo Studio
Legale Leuci la comunicazione dello scioglimento dell’Associazione professionale Studio
Legale Leuci accompagnatoria del relativo atto
notarile.
Il Consiglio prende atto e manda all’Ufficio Iscrizioni per gli ulteriori adempimenti.
- Il Consigliere Segretario Conte riferisce
sulla nota pervenuta il 18 arpile u.s. degli
Avv.ti Michelina Manuppella e Francesco
Maria Mannocci con la quale i professionisti
comunicano la modifica della denominazione dell’associazione professionale “Studio
Legale Associato Avvocati Mannocci-Manuppella” in “Mannocci Manuppella e Associati Avvocati e Dottori Commercialisti”.
Il Consiglio ne prende atto e manda all’Ufficio Iscrizioni per gli ulteriori adempimenti.
- Il Consigliere Fasciotti, anche per il Consigliere Ierardi, comunica che in data 17 aprile
2007 nella Sala Commissioni del Consiglio si
è riunito il Comitato Scientifico della Camera
Arbitrale.
Nell’occasione i presenti hanno discusso
sui criteri di inserimento dei Colleghi avvocati
nell’elenco degli arbitri, da formarsi in un
prossimo futuro, come prima iniziativa dopo
l’approvazione da parte del Consiglio degli
atti relativi alla Camera Arbitrale.
Sono stati indicati come possibili criteri:
l’iscrizione nell’Albo con certificazione dell’esperienza professionale nel settore; titoli
accademici e pubblicazioni; assenza di violazioni deontologiche; garanzia assicurativa da
responsabilità professionale.
I Consiglieri Fasciotti e Ierardi propongono al Consiglio, di valutare la validità dei
criteri proposti ed eventualmente di suggerirne di nuovi al fine di integrare e rendere più
completa la lista.
- Il Consigliere Fasciotti comunica di essersi incontrato con il Signor Marcocci, probabile successore del responsabile dell’UNEP Dott.
Sili passato in trattamento di quiescenza, con
il quale ha convenuto l’opportunità di incontri programmati per la evidenziazione e la
soluzione dei problemi sorti dopo la cessazione del rapporto con la Soc. CAST.
Il Consiglio ne prende atto e incarica il
Consigliere Fasciotti per la prosecuzione dei
rapporti.
- Il Consigliere Fasciotti comunica che in
data 16 aprile u.s. si è incontrato con la Dott.ssa
Gerbino, Cancelliere responsabile della decima Sezione Civile del Tribunale Ordinario di
Roma, che ha fatto parte della delegazione che
in data 21 febbraio 2007 si è incontrata con i
componenti del Consiglio presso l’Ufficio del
Presidente del Tribunale di Roma.
Si è ricordata la necessità di una iniziativa
congiunta, denominata “giornata della giustizia”, tra la Magistratura, l’Avvocatura e il Personale amministrativo delle Cancellerie al fine
di evidenziare, e per l’effetto sensibilizzare, il
Ministero della Giustizia sulla impossibilità
del miglioramento della attuale situazione in
ambito Uffici Giudiziari anche con riferimento al ricorso a forme avanzate di comunicazione e/o trasmissione di atti, via e-mail e/o via
fax, per carenza di personale e di mezzi.
Il Consigliere Fasciotti chiede di essere
autorizzato a contattare correntemente nei
vari Uffici Giudiziari i responsabili delle Sezioni e i dirigenti delle Cancellerie.
Il Consiglio ne prende atto e autorizza il
Consigliere Fasciotti a proseguire in detta attività.
- Il Consigliere Cipollone riferisce di aver
partecipato, unitamente al Consigliere Rosa
Ierardi, alla riunione del Consiglio Giudiziario
tenutasi in data 18 aprile 2007.
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ATTIVITA' DEL CONSIGLIO
Fa presente di aver preso la parola, a nome
del nostro Consiglio e degli altri Consigli
territoriali del Lazio, rivolgendo un caloroso
saluto di benvenuto al Dott. Claudio Fancelli,
recentemente eletto Presidente della Corte di
Appello di Roma e del Consiglio Giudiziario.
Il Consiglio ne prende atto e ringrazia i
Consiglieri Cipollone e Ierardi.
Codice deontologico forense: formazione
permanente
- Il Consigliere Cipollone, sul Codice Deontologico Forense, illustra ai Consiglieri la
relazione che segue e che è stata distribuita in
precedenza a tutti i Consiglieri: “In materia di
deontologia professionale, alcuni studiosi,
accogliendo la tesi di due insigni giuristi, G.
Rossi e P. Rescigno, che avevano preso in
esame gli aspetti normativi intercorrenti tra
gruppi sociali (quali sono gli enti pubblici
associativi) e il pubblico potere, hanno attribuito alle norme deontologiche valore consuetudinario, assegnando al Codice forense la
funzione di raccolta di usi.
Tale tesi si basa, in particolare, su alcune
prospettazioni contenute nella sentenza n.
6213, emessa in data 23 marzo 2005 dalle
Sezioni Unite della Cassazione, in cui si fa
riferimento alle norme deontologiche come
“ai principi recetti dal codice deontologico
sulla ‘communis opinio’ degli appartenenti
alla categoria”.
Nel nostro caso, il riferimento alla communis opinio degli appartenenti alla categoria
forense, appare un’affermazione priva di valore se si tiene conto della specificazione contenutistica dei precetti deontologici che dovrebbe essere vincolata ai rivoluzionari indirizzi
politici formulati dal legislatore, i quali hanno
capovolto le regole di condotta cristallizzatesi
in tanti decenni.
Il ventilato adeguamento del codice deontologico alla nuova disciplina, partendo dalla
indicazione di nuovi principi di carattere generale, non ha senso se si considera la volontà
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legislativa di trasformare sul piano etico i valori morali della professione, incanalandoli verso un inaccettabile mercantilismo.
Si ponga mente al patto sui compensi, al
patto di quota lite, alla nuova disciplina delle
tariffe professionali e alla pretesa di parificare
l’attività intellettuale a quella della “oggettistica da bancarella”, per rendersi conto dell’assurdità di tale tesi.
La consuetudine da cui ha origine il richiamato diritto consuetudinario, sin dai tempi di
Cicerone, è ritenuta accettazione e affermazione di antiche costumanze, “mores maiorum” che si sarebbero consolidate nel tempo.
Si tratta di diritto non scritto, diritto naturale,
prodotto di una coscienza sociale. Per Cicerone, infatti, la suprema legge è la legge di natura,
immutabile ed eterna, comune a tutti gli uomini come somma e immanente ragione. Ciò
del resto è previsto anche dall’insegnamento
giusnaturalistico.
I disattenti e attuali legislatori dovrebbero
spiegarci come sia possibile inserire nella “vetustas” che dovrebbe caratterizzare i vigenti
precetti deontologici, un nuovo modello di
perfettibilità e ancorarlo a un ethos professionale e sociologico che poggia su opposti ideali,
che aborriscono ogni forma materialistica di
carattere imprenditoriale.
Non si è di fronte alla formulazione di
nuove norme ordinarie di carattere generale,
bensì alla instaurazione ex novo di principi
generali fondamentali, diretti a creare un nuovo modello di società.
L’innesto su norme di diritto consuetudinario costituirebbe una aberrazione poichè
tale diritto ubbidisce a linee autonome non
soggette a ingerenze potestative.
Inoltre, non riteniamo di poter aderire alla
pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di
Cassazione che, con sentenza n. 8225 del 6
giugno 2002, ha ritenuto di dover attribuire in
materia deontologica potere normativo al
Consiglio Nazionale Forense, ritenendolo ente
esponenziale dei professionisti forensi.
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ATTIVITA' DEL CONSIGLIO
In verità, secondo l’art. 54 della Legge
Professionale, le funzioni di tale Organo istituzionale consistono nella specifica competenza giurisdizionale di pronunciarsi in grado di
appello sulle decisioni dei singoli Consigli
degli Ordini territoriali (che, com’è noto, sono
Organi amministrativi), nonchè nell’esercitare il potere disciplinare nei confronti dei propri membri (la c.d. giurisdizione domestica).
La sentenza n. 8225, sopra riportata, aveva già
attribuito al Codice Deontologico, approvato
in data 14 aprile 1997 dal Consiglio Nazionale
Forense, il valore di norma giuridica vincolante nell’ambito dell’ordinamento di categoria,
che troverebbe fondamento nei principi dettati dalla Legge Professionale forense di cui al
R.D.L. 27 novembre 1933 n. 1578 e, in particolare, all’art. 12 comma I.
Specifica però, la Corte di Cassazione in
detta sentenza, che “la formulazione per le
clausole generali di tali prescrizioni, trova specificazione nelle norme del Codice Deontologico il quale, nel suo primo titolo, enuncia qualificandoli principi generali- una serie di
doveri mentre, nei successivi titoli, elenca
alcuni canoni complementari volti a tipicizzare comportamenti costituenti a loro volta mere
esplicitazioni delle regole generali, inidonei
quindi ad esaurire la tipologia delle violazioni
deontologiche e privi di ogni efficacia limitativa della portata di dette regole”.
Il Codice Deontologico Forense costituirebbe un corpo “complementare”, una esplicitazione ermeneutica di principi generali, ma
tale prospettazione è in contrasto con il principio costituzionale di legalità (art. 25 comma
II della Costituzione) che esige l’esistenza di
un sicuro “preceptum legis”.
Ogni forma giuridica non può essere caratterizzata da indeterminatezza e incertezza formale.
Al di fuori di ogni implicazione relativa
alla formazione e attuazione delle norme di
diritto consuetudinario, sarebbe stato forse
opportuno assegnare ad appositi organismi,
all’uopo istituzionalmente delegati, ad autoregolamentarsi (quali sono gli Ordini professionali), il compito di formulare le norme deontologiche, nel rispetto di precise direttive legislative.
Per quanto concerne l’Ordine professionale forense, dovrebbe essere indetta un’assemblea generale alla quale dovrebbero partecipare i componenti dei Consigli degli Ordini
territoriali, in rappresentanza di tutta l’Avvocatura italiana, ovviamente con l’autorevole
intervento del Consiglio Nazionale Forense,
portatore di una proposta di Codice Deontologico da sottoporre, per l’approvazione, alla
predetta assemblea e con l’intervento dei vertici dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura
(organismo politico dell’Avvocatura) e delle
Associazioni forensi.
I temi da affrontare, come ha recentemente ricordato il Prof. Guido Alpa, Presidente del
Consiglio Nazionale Forense, sono di basilare
importanza e riguardano, tra l’altro, la legittimità delle tariffe obbligatorie, quale compenso per l’attività stragiudiziale forense e la legittimità del divieto della libera negoziazione del
compenso professionale forense, tema sul quale
dovrà pronunciarsi la Corte di Giustizia e la
Corte Costituzionale; quest’ultima sarà certamente investita sulla questione di costituzionalità dell’art. 1 della Legge di conversione e
dell’art. 2 del decreto legge in questione.
Non si tralasci di considerare che la riforma della disciplina forense, anche a seguito
degli esiti del Congresso Nazionale Forense di
Roma, dovrebbe essere esaminata nel prossimo autunno dal Parlamento.
Non appare pertanto conforme al modello
legislativo vigente il compito di “leggiferare”
stabilendo i canoni di un nuovo Codice Deontologico, con l’attribuzione di tale compito
al Consiglio Nazionale Forense, tenuto conto
che quest’ultimo svolge l’importante funzione giurisdizionale di “giudicare”.
Invero, il potere disciplinare (art. 38) è una
prerogativa dei Consigli dell’Ordine, custodi
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ATTIVITA' DEL CONSIGLIO
degli Albi professionali, in cui sono trascritti i
nominativi dei propri iscritti.
Il Consiglio Nazionale Forense -come è
risaputo- si pronuncia sui ricorsi avverso le
decisioni dei Consigli dell’Ordine territoriali
ed esplica, pertanto, l’importante compito di
vigilare sulla correttezza giuridica e formale
dei giudizi posti al suo esame.
Come è noto, a norma dell’art. 56 dell’ordinamento della professione di avvocato, l’esecuzione delle decisioni emesse dal Consiglio
Nazionale Forense può essere sospesa dalle
Sezioni Unite della Corte di Cassazione.
Ne deriva che le violazioni deontologiche
del professionista forense, dopo la pronuncia
dei Consigli dell’Ordine, possono essere sottoposte al vaglio di ben due Organi istituzionali con funzioni giurisdizionali.
In definitiva, i Consigli locali svolgono i
loro compiti nei confronti dei professionisti
che formano l’Ordine forense e quindi all’interno del gruppo che essi costituiscono per la
tutela della classe professionale. “Tale funzione è pertanto manifestazione di un potere
amministrativo attribuito dalla legge per l’attuazione del rapporto che si instaura con l’appartenenza all’Ordine, il quale stabilisce comportamenti conformi ai fini che si intende
perseguire” (C.N.F. 12 luglio 2004 n. 161 Pres.
Panuccio, Rel. Tirale, P.M. Iannelli -conf.).
L’illuminante decisione del Consiglio Nazionale Forense, ora segnalata, mette in risalto
la vera natura delle regole deontologiche.
La potestà disciplinare non deve subire
condizionamenti di sorta e i singoli precetti
non devono essere snaturati sulla base di un
concettualismo intellettualistico e teorico non
rispondente agli interessi della categoria, tenendo presente l’alto senso morale che ha
sempre caratterizzato l’Avvocatura italiana.
L’affermazione del Calamandrei “rispetto
le leggi solo perchè tali” dev’essere preceduta
e legittimata da una salda base etica”.
Il Consiglio prende atto di quanto rappresentato dal Consigliere Cipollone e rinvia alla
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prossima adunanza ogni determinazione in
merito alla formazione professionale.
Polisweb - processo telematico
- Il Consigliere Condello, nell’adunanza
del 29 marzo 2007, ha illustrato la relazione sul
processo telematico che integralmente si trascrive: “Il Consigliere Condello ricorda al
Consiglio che è necessario procedere al rinnovo per il 2007 del contratto stipulato con la
società Datamat relativo all’accesso a distanza
al sistema Polis Web.
Precisa che il contratto ha una scadenza
annuale al 31 dicembre e che, di fatto, il
servizio è stato prestato fino alla data odierna
e che, pertanto, vi è stato un tacito rinnovo.
Il Consigliere Condello riferisce di aver
contattato la società Datamat per rivedere il
contenuto del contratto alla luce di possibili
nuovi servizi che possono essere attivati. La
società Datamat ha comunicato che dette
attività sono state affidate ad altra società -Net
Service s.r.l.- appositamente costituita. Detta
società ha contribuito a prestare i servizi Polis
Web e ha attivato il collegamento per la trasmissione telematica del decreto ingiuntivo
per il Tribunale e il Consiglio dell’Ordine di
Milano.
Il Consigliere Condello ricorda al Consiglio che nella riunione avuta la scorsa settimana con il Direttore Generale del Ministero
della Giustizia, Pres. Castelli, e con il Direttore
Generale dei sistemi informatici dello stesso
Ministero, Pres. Brescia è emersa la possibilità
di attivare altri servizi per l’Avvocatura romana attraverso “un punto di accesso certificato”. Questo nuovo sistema di accesso ai servizi
telematici, previsto nel D.M. 14 ottobre 2004,
è necessario per attivare le future funzioni
previste nel c.d. processo telematico. In tempi
brevi e per risolvere alcune note disfunzioni
relative allo svolgimento delle attività nei Tribunali si potrà attivare il procedimento per il
deposito e la gestione dei decreti ingiuntivi
utilizzando il sistema telematico; si potrà atti-
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ATTIVITA' DEL CONSIGLIO
vare il sistema di acquisizione delle informazioni con il codice a barre per le note di
iscrizione velocizzando la procedura di iscrizione a ruolo delle cause e l’acquisizione dei
dati delle parti per la notifica degli atti. Il
Ministero della Giustizia ha messo a disposizione un programma software gratuito per
predisporre il codice a barre delle note di
iscrizione.
Lo stesso Ministero ha comunicato che nei
prossimi mesi verrà attrezzato un apposito
server in Via Damiano Chiesa per attivare
queste nuove funzioni. Su detto server verrà
inoltre consentito agli avvocati di accedere
telematicamente ai fascicoli delle esecuzioni
immobiliari.
Per poter attivare dette funzioni il Consiglio deve predisporre un “punto di accesso
certificato” così come previsto dal citato D.M.
Detto D.M. prevede la possibilità di attivare direttamente il “punto di accesso certificato” per il processo telematico, oppure di attivare dette funzioni utilizzando una società
appositamente autorizzata, oppure di attivare
il sistema dando incarico ad altra società per la
sola gestione del servizio.
La soluzione ottimale, non avendo il Consiglio attrezzature e Personale idonei, è quello
di attivare il punto di accesso direttamente e di
dare incarico ad una società esterna per la
gestione e la predisposizione del servizio.
E’ necessario precisare che nella riunione
tenuta con il Direttore Generale Castelli e con
il Pres. Brescia è emerso che, ad oggi, l’unica
società che può fornire il servizio, avendolo
già fornito a Milano, è la società Net Service
del gruppo Datamat. Per le altre società sono
in corso le procedure di certificazione da parte
dei competenti Uffici ministeriali.
Alla luce di detta situazione appare evidente la necessità di dare incarico per l’attivazione
e la gestione del punto di accesso certificato
alla società Net Service per il 2007.
Il Consigliere Condello precisa di aver
contattato e incontrato il rappresentante della
società Net Service per definire la questione
relativa alla gestione del collegamento a Polis
Web -attività svolta dalla società Datamat- e
per attivare le nuove funzioni.
In detti incontri e dalle comunicazioni
scritte è emersa la possibilità di elaborare un
unico accordo forfettizzando i costi. Il nuovo
accordo dovrebbe prevedere una revisione del
precedente accordo Polis Web e l’inclusione
dell’assistenza per la creazione e la gestione del
punto di accesso certificato. A fronte del precedente accordo, ove era previsto per il solo
Polis Web il pagamento di un canone annuo
di euro 60.000,00, è stata proposta la riduzione
a 50.000,00 euro dell’importo dovuto per il
2007 con l’inclusione anche dei servizi indicati nell’allegata relazione.
Il Consigliere Condello propone al Consiglio di attivare il punto di accesso come previsto dal D.M. 14 ottobre 2004 dando mandato
al Presidente di predisporre le domande al
Ministero della Giustizia;
di dare incarico, per l’anno 2007, alla società Net Service, società del gruppo Datamat,
per la gestione del servizio Polis Web, già
svolto dalla Datamat negli anni precedenti e
per l’esecuzione delle attività indicate nella
allegata proposta relativamente alla creazione
del punto di accesso al processo civile telematico.”
Il Consiglio, preso atto della relazione del
Consigliere Condello, ne approva il contenuto.
Progetto polizza sanitaria per i giovani
avvocati
- Il Consigliere Fasciotti riferisce che, su
delega del Presidente, ha incontrato il Signor
Giacomo Longoni della “Italiana Assicurazioni”.
Questi ha consegnato e illustrato l’analisi
del “Segmento Avvocati” rappresentata dallo
studio effettuato sulla “Premessa”, su “Il Mercato di riferimento”, su “L’analisi dei bisogni” e la
“Proposta di agevolazioni commerciali per gli
iscritti all’Ordine degli Avvocati di Roma”.
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ATTIVITA' DEL CONSIGLIO
Dall’esame della documentazione, che è
stata distribuita in copia ai Consiglieri, emerge
l’interesse delle proposte, sia in merito all’analisi assicurativo previdenziale svolta sul segmento Avvocati, inteso nella sua più ampia
accezione, essendovi stati ricompresi anche i
Praticanti Abilitati e non, sia in merito alle
agevolazioni proposte, che già sono state concordate con l’Ordine degli Avvocati di Milano.
Lo studio presentato interessa problematiche della categoria, mette in luce le diverse
esigenze legate alle varie fasi della carriera professionale e presenta un pacchetto di agevolazioni, soprattutto per i più giovani.
Il Consiglio dà mandato di relazionare sul
punto, in una prossima adunanza, ai Consiglieri Fasciotti e Testa per mettere a confronto i due
progetti.
Discussione in merito alla richiesta di non
rinnovare il corso per i difensori d’ufficio
avanzata dal Presidente della
Commissione Manutenzione.
Valutazioni in ordine alla lettera del
Presidente Edoardo Fazzioli relativa al
corso della Scuola Forense “Vittorio
Emanuele Orlando”
- Il Presidente riferisce sulla comunicazione pervenuta il 16 aprile 2007 dalla Commissione per la Manutenzione e Conservazione
del Palazzo di Giustizia di Roma di Piazza
Cavour, con la quale il Presidente Dott. Edoardo Fazzioli ribadisce che l’ambiente utilizzato per lo svolgimento delle lezioni della
Scuola Forense Vittorio Emanuele Orlando
(area antistante l’Aula Consiliare) non risulta
essere adatto a tale scopo.
Il Presidente riferisce, inoltre, sull’incontro con il Presidente della Commissione di
Manutenzione il quale ha chiesto di non rinnovare il Corso dei Difensori d’Ufficio e quello della Scuola Forense. Tale richiesta sarebbe
basata su motivi di sicurezza per il Palazzo.
Il Consigliere Rossi, responsabile della
Scuola Forense “Vittorio Emanuele Orlan-
238
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do”, fa presente che la per i corsi della Scuola
non viene mai utilizzata la parte antistante
l’atrio dell’Aula in quanto non si raggiungono
tanti corsisti. I partecipanti occupano esclusivamente l’Aula Avvocati. Precisa che l’orario
della Scuola è dalle ore 12.30 alle ore 14 o dalle
ore 14.30 alle ore 16. In quest’ultima fascia
oraria il Palazzo di Giustizia, di norma, si è già
svuotato in quanto le udienze sono terminate
e gli uffici sono chiusi.
Il Consiglio dà mandato al Presidente per
il riscontro della comunicazione del Presidente della Commissione di Manutenzione del
Palazzo di Giustizia.
ADUNANZA DEL 26 APRILE 2007
All’adunanza hanno partecipato il Presidente Alessandro Cassiani, il Consigliere Segretario Antonio Conte, il Consigliere Tesoriere Carlo Testa nonché i Consiglieri Giovanni Cipollone, Goffredo Maria Barbantini, Sandro Fasciotti, Paolo Nesta, Francesco Storace,
Livia Rossi, Donatella Cerè, Francesco Gianzi, Rosa Ierardi.
TENUTA ALBO AVVOCATI
iscrizioni
Albo ordinario .............................. n.
nulla osta al trasferimento ................. n.
cancellazioni
a domanda .................................... n.
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TENUTA REGISTRO PRATICANTI
iscrizioni ............................................. n. 14
abilitazioni .......................................... n.
6
iscrizioni e abilitazioni ....................... n.
4
revoche abilitazioni
per decorrenza termine ................ n.
2
compiuta pratica ................................ n.
6
nulla osta al trasferimento ................. n.
1
cancellazioni
per trasferimento .......................... n.
1
a domanda .................................... n.
7
per fine pratica ............................. n.
3
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ATTIVITA' DEL CONSIGLIO
DISCIPLINA
proc.trattati in dibattimento .............. n.
1
PARERI SU NOTE DI ONORARI
emessi ................................................. n. 112
SEGRETERIA
autorizzazioni alle notifiche dirette .. n.
richieste di patr. a spese dello Stato
ammissioni ................................... n.
rigetti ............................................. n.
22
55
1
DELIBERE
- Il Presidente comunica che la Commissione Famiglia e Minori ha predisposto il
Protocollo riguardante le modalità di svolgimento dell’audizione del Minore nei provvedimenti che lo riguardano, che ha provveduto
a far distribuire ai Colleghi.
Il Protocollo verrà sottoscritto dal Presidente del Consiglio dell’Ordine e dal Presidente del Tribunale per i Minorenni.
Si tratta di uno strumento operativo, particolarmente interessante, per il ruolo che viene
conferito all’Avvocato nel corso delle delicate
procedure minorili.
Il Presidente esprime compiacimento al
Consigliere Storace e ai Componenti della
Commissione.
- Il Presidente relaziona sullo svolgimento
dell’Assemblea Ordinaria che ha approvato
all’unanimità sia il conto consuntivo per l’anno 2006 sia il bilancio preventivo per l’anno
2007.
Fa presente che l’Avv. Maurizio Cecconi,
Segretario dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura, ha proposto un emendamento al
bilancio preventivo per l’anno 2007 che preveda il pagamento del contributo per l’O.U.A.
Tale richiesta è stata sostenuta da alcuni
presenti e contrastata da altri.
Il Consigliere Nazionale Carlo Martuccelli ha poi rilevato che il pagamento del contri-
buto sancirebbe il rientro nell’O.U.A. e ha
proposto che l’importante problema venga
posto all’ordine del giorno di altra apposita
Assemblea Straordinaria.
Il Presidente precisa di aver aderito alla
proposta del Consigliere Martuccelli aggiungendo una adeguata e approfondita motivazione. Riferisce, infine che, all’esito, tutti, a
cominciare dallo stesso Collega Cecconi, hanno aderito alla proposta di fissare per il 5 luglio
2007 alle ore 12 una Assemblea Straordinaria
che preveda all’ordine del giorno la discussione sull’adesione o meno dell’Ordine romano
all’Organismo Unitario dell’Avvocatura.
Autorizzazioni ad avvalersi delle facoltà
previste dalla legge 21 gennaio 1994 n.53
Il Consiglio
- Vista l’istanza presentata dai seguenti
professionisti: Avvocati Ivana Antonica, Alberto Armellini, Gerardina Benassi, Massimiliano Brugnoletti, Carla Daniele, Laura Daniele, Maria Cristina De Andreis, Mariadolores
Furlanetto, Monica Gallone, Giulio Gasparro,
Daniela Incalza, Gennaro Leone, Stefano Lucciardini, Barbara Parri, Tiziana Piccione, Paola
Remigi, Sofia Ribaldi, Pierpaolo Salinetti, Nikolaus Walter Maria Suck, Antonio Testa, Silvia
Urbani, Massimo Vergara Caffarelli,
autorizza
i professionisti sopraindicati, ai sensi dell’art. 7
della Legge n.53/1994, ad avvalersi delle facoltà di notificazione previste dalla citata legge;
dispone
che gli estremi della presente autorizzazione siano riportati nel primo foglio del registro
cronologico degli istanti di cui all’art. 8 della
citata legge.
- Il Consigliere Segretario Conte riferisce
che in data 19 aprile 2007 è pervenuta la lettera
dell’Avv. Rossella Sabelli con la quale la professionista comunica il cambiamento del proprio
domicilio professionale a seguito dello scioglimento dell’associazione professionale denomi-
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ATTIVITA' DEL CONSIGLIO
nata “Studio Legale Sabelli-Germani”.
Il Consiglio ne prende atto e manda all’Ufficio Iscrizioni per gli ulteriori adempimenti.
- Il Consigliere Segretario Conte riferisce
sulla nota pervenuta il 20 aprile 2007 degli
Avv.ti Maria Chiara Maieli e Anna Maria
Buono con la quale le professioniste comunicano la costituzione di un’associazione professionale denominata “Studio Legale Associato Maieli-Buono”.
Il Consiglio ne prende atto e manda all’Ufficio Iscrizioni per gli ulteriori adempimenti.
(pareri deontologici – v. rubrica)
- Il Consigliere Barbantini, con riferimento all’incarico ricevuto dal Consiglio nell’adunanza del 12 aprile 2007 relativamente al ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale per
il Lazio dell’Avv. (omissis) avverso il provvedimento di archiviazione della pratica n. (omissis) nei confronti dell’Avv. (omissis) su esposto
dello stesso Avv. (omissis), ritiene opportuno
che il Consiglio nomini un difensore per resistere al ricorso.
Il Consiglio, preso atto di quanto dichiarato dal Consigliere Barbantini, nomina quale
difensore del Consiglio per il ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
proposto dall’Avv. (omissis), l’Avv. Andrea
Manzi, con studio in Roma Via Federico Confalonieri n. 5. Delega il Presidente a conferire
allo stesso professionista specifico incarico e
ad eleggere domicilio presso il suo studio.
- Il Consigliere Cipollone comunica di
aver partecipato in data 21 aprile 2007 al
“Memorial Stefania Conti Rinaudo”, manifestazione sportiva svoltasi presso lo Stadio dei
Marmi al Foro Italico, per commemorare la
nobile figura della Collega deceduta circa un
anno fa.
Il ricavato della manifestazione, che ha
avuto luogo con il patrocinio del nostro Con-
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siglio e della Presidenza del Consiglio Regionale del Lazio, è stato devoluto per beneficienza in favore dei bambini in difficoltà in Italia
e all’estero.
Davanti a un folto pubblico, in gran parte
formato da avvocati e magistrati, il Torneo di
calcio si è concluso con la vittoria della Rappresentativa “Puer”, Associazione di volontariato ed Ente morale Onlus.
La squadra degli avvocati si è classificata al
terzo posto.
Il Consiglio ne prende atto.
Progetto polizza sanitaria per i giovani
avvocati
- Il Consigliere Tesoriere Testa riferisce sul
progetto di possibile convenzione con la Capaiap per stipulare una polizza sanitaria agli
avvocati più giovani all’atto dell’iscrizione
nell’albo degli avvocati.
Il Consigliere Fasciotti espone al Consiglio la relazione presentata dalla “Italiana Assicurazioni” sul progetto market pulse che
riguarda uno studio effettuato sulle esigenze
(“bisogni”) degli avvocati in relazione alle fasce di età e con studi specifici che integrano i
vuoti lasciati sia dalle polizze assicurative sui
rischi professionali e sulla salute presentati
dalla Cassa Nazionale degli Avvocati che da
altre Compagnie assicurative.
Il Consigliere Fasciotti comunica che i
progetti sono stati presi obiettivamente e concretamente in considerazione dal Consiglio
dell’Ordine degli Avvocati di Milano e pertanto, al fine di presentare in appresso il progetto
da sottoporre all’attenzione degli avvocati romani, chiede di essere autorizzato a contattare
il Consiglio dell’Ordine di Milano per avere
notizie sui rapporti intervenuti tra lo stesso e la
società “Italiana Assicurazioni”.
Il Consigliere Cerè fa presente che il Consiglio non ha questo tipo di finalità e non deve
perseguirle. Inoltre, il Consigliere Cerè non
ritiene che ai giovani colleghi possa essere utile
una polizza sanitaria ma, nel caso, una polizza
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ATTIVITA' DEL CONSIGLIO
di tipo professionale.
Sul punto intervengono i Consiglieri Barbantini, Nesta e Storace.
Il Consiglio delibera di unificare le due
proposte presentate dal Consigliere Tesoriere
Testa e dal Consigliere Fasciotti per quanto
riguarda l’esame dei progetti attinenti la polizza sanitaria e per quanto riguarda il progetto
attinente i rischi professionali e li autorizza a
contattare l’Ordine professionale di Milano.
Esami avvocato: assenza commissari iniziative conseguenziali
- Il Presidente comunica che alcuni Presidenti di Sottocommissioni per gli esami da
Avvocato hanno comunicato l’assenza dei
Componenti Professori universitari.
Riferisce di aver inviato loro una lettera
con allegata una sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale che qualifica come
necessaria, a pena di nullità, la presenza nel
Collegio di tutte le componenti.
Il Consiglio dà mandato al Presidente di
accertare i nomi degli assenti e di convocarli
per chiedere spiegazioni.
- Il Consigliere Tesoriere Testa riferisce
sulla lettera pervenuta al Consiglio il 22 febbraio 2007 del Presidente del Tribunale per i
Minorenni di Roma, Dr.ssa Magda Brienza,
già esaminata nell’adunanza del 1° marzo 2007
e affidata al Consigliere Gianzi per esame e
relazione. Alla lettera era unita l’istanza del
Signor Cherubino Carucci con la quale chiedeva il nulla osta per la concessione della sala
avvocati per la rivendita per i valori bollati e
per la fotocopiatura.
Il Consiglio approva.
a cura di Antonio Conte
ERRATA-CORRIGE ALBO AVVOCATI - PRIMA EDIZIONE 2007
pag. 402
LAVIGNA Giuseppe
n. Crotone 22.04.1973
s. 00136 Roma /Via Luigi Rizzo, 83
t. 3470978971
e.m. [email protected]
a. 26.07.2002
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ATTIVITA' DEL CONSIGLIO
COMMISSIONI
8 MARZO 2007
RELAZIONE DELL’AVV. GRAZIA PIRISI CAMERLENGO
MEMBRO DELLA COMMISSIONE PARI OPPORTUNITA’ PRESSO
IL CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
La Commissione Pari Opportunità istituita presso il CNF della quale faccio parte è sorta,
come le identiche Commissioni esistenti presso molti dei Consigli dell’Ordine di tutta Italia,
per realizzare quella tutela prevista e garantita dall’art. 3 della Costituzione: “Tutti i cittadini
hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua,
di religione, di opinioni politiche di condizioni personali e sociali.
E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che,
limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della
persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica,
economica e sociale del Paese”.
Se non ci fossero discriminazioni non si sarebbe sentita la necessità di istituire alcuna
Commissione.
Uno dei settori in cui, massimamente, si è verificata la “disparità di trattamento” è quello
della differenza di sesso.
Ancora oggi si può dire che la tutela della donna nelle varie legislazioni è il metro con cui
si misura il grado di civiltà di una Nazione.
Il recente Convegno di Enna organizzato dal CNF, di cui intendo riferire i passaggi più
rilevanti, aveva, ad oggetto “I diritti delle donne nell’area del Mediterraneo” e, mettendo a
confronto le tutele e le differenze delle due sponde, ha scelto come sede del Convegno la
Sicilia, essendo essa, da sempre, il ponte più avanzato dell’Europa verso le nazioni di fede
islamica che per religione, cultura e tradizioni, pur nella loro enorme diffusione, seguitano
a contrapporsi all’Europa ed al mondo intero.
In quella occasione abbiamo esaminato il caso di donne impegnate nelle professioni di
giornaliste ed avvocato in paesi di fede islamica come Turchia, Somalia, Costa D’Avorio e
Ghana che subivano la censura e forti discriminazioni nell’esercizio della loro attività per il
solo fatto di essere donne, giacché la donna nel mondo islamico non ha il riconoscimento
degli stessi diritti dell’uomo.
Trasferiti in Italia e in tutto il resto del mondo, i principi “teocratici” - che ispirano il
mondo mussulmano – comportano il non riconoscimento delle donne nelle professioni:
1) in una classe italiana uno studente islamico ha chiesto ed ottenuto la presenza di un
tutor maschile essendo dalla sua religione vietato seguire le istruzioni della maestra donna;
2) a Padova negli ospedali in cui erano impiegati infermieri mussulmani si è reso
necessario trasferirli in reparti diretti da medici uomini in quanto non seguivano le istruzioni
di medici donna.
Tutto questo per dire che non è facile parlare di integrazione con un mondo che si fonda
su leggi che non riconoscono i diritti alle donne: il matrimonio, nikah, rientra tra i contratti
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di vendita e presuppone il consenso del padre o del fratello della donna e non della donna;
il divorzio o la separazione sono sostituiti dall’istituto del ripudio che si ha su iniziativa anche
immotivata del marito; nella famiglia vi è una soggezione totale della donna all’uomo il quale
può impedirgli di uscire di casa, di educare i figli, di frequentare amici, parenti o conoscenti
ha il diritto di picchiarla e nessuna sanzione è prevista per la mutilazione dei genitali, pratica
nota con il termine “infibulazione”.
La donna può essere lapidata o uccisa dai suoi parenti se rimasta incinta senza essere
sposata o se si innamora di un non mussulmano o semplicemente se indossa i blue jeans o
non indossa il velo o frequenta non mussulmani.
Tali regole sono tutte contenute in quel codice noto con il nome di sharia, che non è
eredità del passato ma in vigore attualmente e rivitalizzato continuamente da interpretazioni
e pubblicazioni dei più noti Mullàh (capi spirituali) di tutto il mondo.
L’impossibilità di integrazione nasce dal fatto che anche l’Islam più moderato (e cioè
quello che non manda i suoi “martiri” imbottiti di tritolo a seminare stragi nei mercati, a
mettere bombe sugli aerei o sulle metropolitane di tutto il mondo) prevede che siano i non
mussulmani a convertirsi alla fede islamica e non viceversa.
Si vedano le richieste del Coreis (organizzazione sorta in Italia e capeggiata da italiani
convertiti alla fede islamica e sicuramente finanziata da tutti i paesi arabi produttori di
petrolio).
Insomma è in atto un processo di islamizzazione “pacifica” con la diffusione della
popolazione mussulmana in tutti i paesi del mondo.
Questo fenomeno è stato favorito e determinato dai paesi arabi produttori di petrolio
(organizzazione nota con il nome di OPEC) che attuarono dopo la guerra lampo tra Israele
e l’Egitto una “serrata” che, oltre a quadruplicare il prezzo del petrolio ne rifiutava la
fornitura a tutti i paesi che non avessero sostenuto le loro richieste politiche che erano:
1) ritiro di Israele dai territori occupati in Egitto;
2) riconoscimento dei palestinesi;
3) partecipazione dell’OLP a tutte le trattative di pace e
4) obbligo per tutti i paesi che importavano petrolio “arabo” di consentire l’immigrazione nei loro territori di popolazioni islamiche “cui doveva essere garantita la tutela della loro
religione e delle loro tradizioni”.
E siccome tutti i paesi si sono affrettati a firmare tali convenzioni da allora il mondo
islamico ha cominciato a dilagare in tutta l’Europa:
sono sorte ovunque Moschee e scuole in cui si insegna il Corano, si avanzano pretese che
nessuna altra religione – anche di pari diffusione come ad esempio quella ebraica - aveva mai
avanzato come abolire la promiscuità dei sessi nelle scuole, nei luoghi di lavoro, sui mezzi
di trasporto ecc..
Si vorrebbe in sostanza rivedere la storia, la letteratura, eliminare le opere d’arte che recano
offesa al Profeta, riscrivere i testi e modificare addirittura la settimana lavorativa per
consentire che il venerdì, giorno festivo per l’islam, sia dedicato alla preghiera.
Per non parlare poi della necessità di interrompere il lavoro nel momento preciso in cui
scattano le varie preghiere del giorno: in qualunque luogo ed a qualunque attività sia intento,
un mussulmano deve sdraiarsi sul suo tappetino di preghiera e, rivolto verso la Mecca,
inneggiare ad Hallà.
Non importa se nel frattempo la casa brucia o il traffico avvolge l’auto che si è fermata
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ATTIVITA' DEL CONSIGLIO
in mezzo alla strada.
Lo stesso si vorrebbe per le mense nelle scuole, negli ospedali, nelle fabbriche e nelle
carceri ove i mussulmani non possono essere costretti ad assumere “carne di maiale”.
La storia del crocifisso, del presepe, e della festa di Natale che offendono le loro coscienze
è nota a tutti.
Ma a questo punto anche la poligamia è entrata nei nostri paesi e, mentre i cittadini sono
soggetti alla pena della reclusione da uno a cinque anni se contraggono matrimonio con
persona già sposata, i mussulmani pretendono di vivere in Europa con due o più moglie ed
i loro numerosi figli, tutti assistiti dagli stessi diritti e previdenze previste dal paese che li
ospita, diritti e leggi che essi possono invocare ma che non sono tenuti a rispettare secondo
la Sharia.
E’ logico chiedersi dove sia andato a finire il principio di “reciprocità” tenuto conto che
mentre in Europa sono sorte centinaia di moschee, nei paesi di fede islamica non è consentito
edificare neanche il più piccolo tabernacolo o semplicemente esibire una croce sul petto.
In molti di questi paesi le donne europee in visita come turiste sono obbligate a velarsi
il capo e ad accompagnarsi soltanto con il proprio marito, salvo l’obbligo di concludere un
matrimonio “temporaneo” (mut’a) previsto dalla religione islamica per giustificare l’accompagnamento di un uomo con una donna anche per breve periodo.
In una tale prospettiva è assai difficile prevedere una possibilità di “incontro” tra la
religione islamica e tutte le altre religioni ed essendo l’Islam un paese in cui la politica è
fondata sulla religione (teocrazia) è impossibile una integrazione politica delle popolazioni
islamiche.
E questo con buona pace di tutti gli islamici moderati che vorrebbero convincerci del
contrario.
Tornando al tema delle professioni al femminile richiamo la Vostra attenzione sull’esistenza di “discriminazioni invisibili” che si deducono dall’alto numero di donne che si
laureano ed accedono alle più varie professioni e dal ridottissimo numero di donne titolari
di studi professionali o in posizione apicale nei posti di potere.
Solo quarant’anni dopo l’istituzione della Corte Costituzionale una donna è stata
chiamata a farvi parte.
Il ridotto numero di rappresentanti femminili al Parlamento ed al Senato dimostra che
la discriminazione ancora esiste.
Lo stesso dicasi, per quanto riguarda l’avvocatura, considerata la ridotta presenza delle
donne nei Consigli dell’Ordine.
Del resto lo stesso CNF non ha elementi femminili tra i suoi membri e la Commissione
Pari Opportunità costituita presso di esso è presieduta da un avvocato sia pur di ampie vedute.
Tutto questo per dire che le discriminazioni risultano “per tabulas” e che sono dimostrate
dai fatti.
Come eliminarle?
Con un sistema transitorio di “perequazione”, che esiste in Francia paese che ha la stessa
nostra costituzione e non esiste in Italia perché è stato ritenuto “incostituzionale”.
Mi riferisco al sistema delle “quote” che è perfettamente legittimo se considerato
strumento di natura “temporanea” e cioè destinato ad operare sino a che non vengano
eliminate dal tessuto sociale le discriminazioni che esse sono destinate a combattere.
Ciò è avvenuto in tutti i Paesi nordici dove le quote non hanno più ragione di esistere
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ATTIVITA' DEL CONSIGLIO
perché non esiste più disparità di trattamento tra i due sessi.
Diceva l’Avv. Ettore Randazzo al Convegno di Enna “le streghe hanno cessato di esistere
nel momento in cui abbiamo smesso di processarle e bruciarle sul rogo” aggiungendo che sia
le “quote” che le “azioni positive” sono rimedi “peggiori del male”.
Sarei d’accordo se i rimedi fossero di natura permanente e non temporanea, infatti, lo
ripeto per attuare la parità è necessario cambiare innanzitutto la mentalità della società,
operare sul suo sviluppo culturale, rimuovere con le “azioni positive” le discriminazioni tra
i sessi e garantire con le “quote” l’attuazione del principio.
Quando questo sistema entrerà a regime non ci sarà più bisogno di “rimedi” ed a quella
data sarà cambiata la mentalità e non vedremo più lo spettacolo indegno verificatosi lo scorso
autunno 2006 a Roma, al Palazzo dei Congressi, quando gli avvocati, uomini e donne, hanno
affollato il palco del Congresso Nazionale Forense per opporsi alla proposta avanzata dalla
Commissione Pari Opportunità del CNF sulla tutela delle “differenze di genere”.
Perché carissimi colleghi tutti, uomini e donne, non possiamo negare che ci sia una
differenza nel “genere” femminile rispetto al “genere” maschile ed è un preciso diritto delle
donne ottenere la tutela di tale differenza.
Valga un esempio per tutti: presto saremo invitati dai nostri commercialisti a riempire dei
moduli che si chiamano “studi di settore”.
I moduli sono identici sia per gli uomini che per le donne.
Ma non è identico il tempo che ciascuno avvocato ha di potersi dedicare alla professione.
Le donne, anche quando non sono sposate, anche quando non allattano, anche quando
non hanno figli piccoli, sono dedite alla famiglia di origine per loro natura, ed hanno
l’obbligo di accudirla destinando ad essa tutto il tempo che i mariti o gli uomini di casa
dedicano alle loro rispettive professioni.
Solo di recente una legge ha ammesso che possano essere detratti fiscalmente i costi degli
asili nido.
Solo adesso i nostri legislatori si sono accorti che l’accudimento dei figli è un costo di
produzione del reddito per la donna che lavora!!
Non ci deve sorprendere tutto questo perché le leggi sono fatte prevalentemente dagli
uomini e le donne da pochissimo tempo hanno fatto il loro ingresso in professioni che erano
riservate tradizionalmente all’altro sesso.
E’ quindi un problema in primo luogo politico: di leggi che vanno emanate.
In secondo luogo è un problema di cultura: la famiglia per prima deve educare i figli al
rispetto delle donne ed al riconoscimento della parità dei diritti;
la scuola, che è la seconda fase di formazione della personalità di ciascuno, deve garantire
lo stesso rispetto;
infine la società in tutti i suoi aspetti e con tutti i suoi mezzi e cioè nel mondo del lavoro,
nella famiglia, nelle professioni ecc. deve attuare la parità.
Il mezzo televisivo, radiofonico e la pubblicità dovrebbero lanciare campagne volte alla
affermazione di tale principio.
Queste sono le “azioni positive” suggerite dalla situazione e, nel frattempo, tutte le donne
sono invitate a partecipare alla vita politica in qualsiasi ambito pretendendo che, con il
sistema delle “quote” sia garantita la loro presenza nei luoghi del potere ed attuata la “parità”.
Con questo invito saluto tutte le donne.
Avv. Grazia Pirisi Camerlengo
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CONVEGNI
“CESARE LOMBROSO…OGGI”
Le scienze forensi ed il diritto penale alle soglie del III millennio
Convegno del 25 gennaio 2007
Il 25 gennaio u.s. ho avuto l’onore di introdurre e coordinare, in qualità di coordinatore della
Commissione di Diritto Penale, presso l’Auditorium della Cassa Nazionale Previdenza Forense il
Convegno dal titolo “CESARE LOMBROSO…OGGI” Le scienze forensi ed il diritto penale alle soglie
del III millennio.
L’evento, organizzato seguendo l’impostazione di un seminario scientifico, è stato patrocinato
dalle Commissioni Consiliari di Diritto Penale e dei Diritti Umani, quest’ultima coordinata dal
Consigliere Testa e dall’Avv. Fioravanti Carletti, e dal Master in Scienze Forensi dell’Università di
Roma “La Sapienza”. Vi hanno preso parte illustrissimi esponenti delle nostre professioni che con
grande passione e interesse, ma con il senno di poi, hanno passato in rassegna sulla base di
riferimenti storici e scientifici le note teorie lombrosiane, riportandone alla luce contenuti e limiti,
ma anche attualità e tendenze con le moderne discipline antropologiche e criminologiche,
investigative e psichiatriche di cui il Lombroso, unitamente alla “Scuola Positiva di Diritto Penale”,
è stato emblema e fondatore, e che ben possono considerarsi evoluzione naturale e superamento
di quelle.
Il lavori del convegno si sono, dunque, aperti con l’indirizzo di saluto del Presidente
dell’Ordine degli Avvocati di Roma Avv. Alessandro Cassiani seguito dall’indirizzo di saluto
dell’Avv. Maurizio De Tilla Presidente della Cassa Nazionale Previdenza Forense, che hanno
ricordato, ma non senza diversità di vedute, l’importanza degli studi scientifici del Lombroso per
il nostro diritto e per le diverse branche di cui esso si compone.
L’Avv. Ferdinando Imposimato, in qualità di ex Magistrato, ha illustrato sulla base delle proprie
esperienze giuridiche lo spessore di alcune teorie lombrosiane partendo soprattutto da casi pratici
evidenziandone connessioni e digressioni. Successivamente l’Avv. Giovanni Cipollone, Consigliere dell’Ord. Avv. Di Roma, ha fornito un excursus storico sui predecessori di Cesare Lombroso.
Gli interventi prettamente scientifici inerenti alle attuali applicazioni degli studi lombrosiani
nella moderna psichiatria forense sono stati magistralmente forniti dal Professore Francesco Bruno,
dal Professore Stefano Ferracuti e dal Professore Pietro Pietrini, i quali hanno rispettivamente
comparato e approfondito tematiche quali il ruolo dei processi mentali nel procedimento penale,
i limiti dell’approccio neuroscientifico e le recenti ricerche sulle ipotesi biologiche della violenza.
Il Convegno si è poi concluso con gli interventi dell’Avv. Natale Fusaro che ha relazionato in
merito allo sviluppo accademico della psichiatria forense, del Dott. Gino Saladini che ha
mirabilmente spostato l’attenzione sull’influenza delle opere del Lombroso anche nella letteratura
contemporanea e nella cinematografia moderna ed, infine, con l’intervento di alcuni giovani allievi
del Master in Scienze Forensi dell’Università di Roma “La Sapienza”, coordinato dal Professore
Francesco Bruno, che hanno esposto con dovizia di contenuti alcuni specifici temi trattati nelle
opere lombrosiane, tra cui per semplicità si ricorda tra le più importanti: “L’uomo delinquente”,
“Genio e follia”, “La donna delinquente”.
Avv. Rosa Ierardi
Coordinatore della Commissione di Diritto Penale
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ATTIVITA' DEL CONSIGLIO
“LA DIFFAMAZIONE”
Convegno del 31 gennaio 2007
Il 31 Gennaio u.s., presso l’Aula Avvocati del Palazzo di Giustizia di Piazza Cavour, si
è tenuto il Convegno dal titolo “La Diffamazione”.
L’evento è stato organizzato dalla sottoscritta con il valido ausilio della Commissione di
Diritto Penale del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma e dall’Ufficio dei Referenti
Distrettuali per la formazione decentrata della Magistratura della Corte d’Appello di Roma.
Molte le autorevoli personalità del mondo del diritto, della magistratura e del giornalismo che hanno preso parte all’evento. Il tema prescelto è stato salutato da tutti con grande
interesse proprio perché il reato di “diffamazione”, specie se commesso a mezzo stampa, è
oggi una tra le fattispecie delittuose più contese all’interno delle nostre aule giudiziarie e, da
più parti, se ne prospetta una mera depenalizzazione. Se, infatti, da un lato il nostro
ordinamento giuridico tutela a spada tratta il nome, l’onore e la reputazione dell’uomo, sia
in quanto singolo sia all’interno delle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità.
Va ricordato che “l’offesa alla reputazione” costituisce quel nucleo essenziale dell’articolo
595 c.p., che punisce chi cerca di scalfire e, in definitiva, scalfisce la stima di cui taluno gode
tra i consociati. E’ pur vero però che, dall’altra, garantisce il diritto alla libera manifestazione
del pensiero, che è anche diritto di informare e di esprimere le proprie opinioni. La libertà
di stampa, in particolare, nelle sue espressioni dell’esercizio del diritto di cronaca, di critica
e di satira, e la reputazione della persona, restano dunque due diritti costituzionali di pari
dignità, che viaggiano appaiati e che quasi necessariamente spesso si scontrano, come mostra
l’enorme contenzioso giudiziario con i Giornalisti negli ultimi anni. A ciò va aggiunto che,
l’esigenza impellente di contemperare gli opposti interessi e dettare maggiori e/o diverse
regole a garanzia dei diritti dei singoli, nasce di riflesso anche dal fatto che, l’epoca in cui
viviamo è sempre più caratterizzata dagli innumerevoli progressi conseguiti in tutti i settori
della c.d. tecnologia dell’informazione, il mondo di internet è per tutti un chiaro esempio.
Ciò sta radicalmente mutando i costumi, le condizioni di vita e di lavoro della nostra società,
al punto da rendere possibili molti comportamenti prima solamente immaginabili, così
come la circolazione di qualsivoglia tipologia di dati, di immagini e di informazioni che
violano palesemente il diritto alla Privacy o alla riservatezza di ognuno. Lo ricordava il
Presidente Cassiani nell’indirizzo di saluto ai graditissimi ospiti del convegno e il Cons.
Dott. Antonio Bevere che successivamente ha preso la parola, Magistrato presso il Tribunale
di Roma e autore, tra l’altro, di una recente pubblicazione in materia di diffamazione.
Quest’ultimo, in particolare, si è soffermato sulle problematiche sottese all’esercizio del
diritto di critica e di satira rispetto alla configurabilità della fattispecie delittuosa prevista
dall’art. 595 c.p. Il diritto di satira viene, infatti, definito dalla letteratura come quel genere
di composizione poetica a carattere moralistico o comico, che mette in risalto, con
espressioni che vanno dalla ironia pacata e discorsiva fino allo scherno e all’invettiva
sferzante, costumi o atteggiamenti comuni alla generalità degli uomini, o tipici di un solo
individuo. Anche questo diritto, è stato sottolineato, rientra però, come il diritto di cronaca
e di critica, nel novero dei diritti pubblici soggettivi, a loro volta ricompresi nel più ampio
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diritto di libertà di manifestazione del pensiero espressamente sancito dalla Costituzione.
Diritti, questi, su cui la giurisprudenza di legittimità è più volte intervenuta, non sempre con
coerenza, indicando i parametri fondamentali mediante i quali possano essere esercitati
senza sconfinare nel reato di diffamazione, soprattutto quando siano strettamente collegati
all’esercizio della libertà di informazione. Il vero problema, come ricordavano il Dott.
Bevere e altri autorevoli esponenti intervenuti in questo convegno, è quello di conciliare tale
diritto con quelli inviolabili del destinatario della critica o della satira o della stessa
informazione. Non basta infatti, come sindacato dalla Suprema Corte, che sussista il
requisito dell’utilità sociale dell’informazione, occorre che vi sia la continenza; non basta la
verità dei fatti e degli avvenimenti narrati, deve trattarsi di una verità oggettiva o anche
putativa, purché questa sia il risultato di un accorto e serio lavoro di ricerca; non basta
utilizzare una forma espositiva civile, occorre che non si leda l’altrui onore e reputazione,
la dignità di una persona va infatti sempre preservata.
Sul punto sono intervenuti anche i Colleghi Avvocati Giovanna Corrias e Gian Piero
Biancolella che hanno ampliato la tematica del convegno alla tutela del diritto alla Privacy
ed al trattamento dei dati personali, argomenti strettamente collegati al reato di diffamazione
e, negli ultimi anni, alla c.d. “cronaca giudiziaria” qualora si faccia riferimento alla diversa
figura del divieto di pubblicazione di atti coperti dal segreto ex art. 114 c.p.p. Sul diritto di
cronaca, sull’importanza etica della professione e sulla responsabilità degli editori è, ancora,
intervenuto il Dott. Roberto Martinelli, editorialista de Il Messaggero, che ha fatto il punto
della situazione citando alcuni dati sul contenzioso giudiziario attuale e mettendo a nudo
tutte le problematiche connesse alla applicazione della norma incriminatrice sia sotto il
profilo penalistico che civilistico. Vicende giudiziarie recenti hanno confermato, infatti,
come la legittima tutela del diritto all’onore e alla reputazione si sia trasformata in un
tentativo di facile arricchimento da parte di chi ha mostrato di avere interesse a monetizzare
un danno spesso inesistente e quasi mai dimostrabile.
Gli interventi dei relatori sono poi proseguiti con le relazioni fornite dal Dott. Giuseppe
Corasaniti, Sostituto Procuratore presso Il Tribunale di Roma, e dal Dott. Gennaro
Francione, Magistrato presso il Tribunale di Roma, che hanno avuto ad oggetto rispettivamente l’analisi del reato di diffamazione connesso all’applicazione e al rispetto delle norme
dei codici deontologici e la prospettiva di un intervento legislativo per la depenalizzazione
del reato stesso.
I lavori del convegno sono stati infine caratterizzati da un interessante dibattito svoltosi
tra i relatori previsti dal programma ed un nutrito numero di giornalisti intervenuti quali
ospiti del Consiglio, tra i quali il Dott. Flavio Haver del Corriere della Sera ed il Dott.
Giuliano Torlontano della redazione del TG5. Oggetto del dibattito è stata proprio la diversa
valutazione del reato di diffamazione elaborata da coloro che operano per la carta stampata,
come i giornalisti, e gli operatori del diritto, magistrati ed avvocati.
Cons. Avv. Rosa Ierardi
Coordinatore della Commissione di Diritto Penale
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“IL RUOLO DELLA DONNA NELLE PROFESSIONI”
Convegno del 6 marzo 2007
Il 6 Marzo u.s., presso l’Aula Avvocati del Palazzo di Giustizia di Piazza Cavour, si è tenuto
il Convegno dal Titolo “Il ruolo della donna nelle professioni”.
Il Convegno, organizzato dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma, Commissione Consiliare per le Pari
Opportunità coordinata
dall’Avv. Rosa Ierardi, ha
visto la partecipazione di
autorevoli e illustri esponenti del mondo del diritto, della politica e del
giornalismo. Oltre, infatti, alla Dott.ssa Donatella Linguiti Sottosegretario al Ministero per i
Diritti e le Pari Opportunità, al Prof. Avv. Guido
Alpa Presidente del Consiglio Nazionale Forense
e all’Avv. Alessandro
Cassiani Presidente del
Consiglio dell’Ordine
degli Avvocati di Roma,
che hanno aperto i lavori del convegno, erano
presenti all’evento in
qualità di relatori, anche
la Deputata al Parlamento Onorevole Dorina
Bianchi, il Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale dei
Minorenni di Roma
Dott.ssa Simonetta Matone, la Giornalista
Dott.ssa Barbara Palombelli, l’Avv. Maurizio De
Tilla Presidente della
Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense, l’Avv. Marina Binda Componente della Commissione per le Pari
Opportunità e l’Avv. Francesca Coppi Avvocato presso il Foro di Roma.
I lavori del Convegno hanno avuto inizio con l’indirizzo di saluto della Dott.ssa
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Donatella Linguiti, che ha espresso il suo ringraziamento per la partecipazione all’evento
ribadendo puntualmente che l’impegno a perseguire ogni tipo di discriminazione verso le
donne riveste oggi sempre più un ruolo centrale nell’azione di qualsiasi Governo, sia sul
piano della programmazione nazionale sia di quella comunitaria. Le discriminazioni di
genere e gli stereotipi sessisti che sempre più spesso ricorrono nell’accesso in politica,
nell’occupazione, nell’avanzamento di carriera, nel trattamento salariale, nelle professioni
autogestite e così via dicendo, rappresentano, infatti, problematiche in crescendo, proprio
perché è crescente il numero delle donne che esce dalle nostre università ed entra a far parte
del mondo del
lavoro. Un mondo, questo, ha
sottolineato ancora il Vice Ministro, troppo a
lungo rappresentato da uomini, sia nelle posizioni di vertice
sia nelle posizioni subordinate,
tanto nel pubblico quanto nel
privato. Occorre, dunque, rafforzare le tutele
in favore delle
donne discriminate e, forse, ancor prima di tutto fare in modo che “ciascuna donna” maturi
al suo interno la piena consapevolezza del proprio valore e dei propri diritti.
All’intervento della Dott.ssa Linguiti ha fatto seguito l’indirizzo di saluto del Prof. Avv.
Guido Alpa, il quale, richiamatosi ad alcune interessanti iniziative recentemente intraprese
a livello nazionale e internazionale proprio allo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica
e le nostre Istituzioni sulle problematiche del ruolo delle donne nelle professioni, ha poi
affrontato la storia della “donna avvocato”, ripercorrendo con dovizia di tappe i momenti
salienti che hanno permesso alle donne, non senza enormi difficoltà, di accedere a questa
professione.
Gli interventi dei singoli relatori sono stati, ancora, preceduti dall’indirizzo di saluto del
Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma Avv. Alessandro Cassiani, che
ha spostato l’attenzione su un’ulteriore tematica importante pur se troppo spesso trascurata,
quella della garanzia del “diritto di difesa” delle donne discriminate e delle meno abbienti
a tutti i possibili livelli.
Il Consigliere Ierardi ha, poi, ricordato che il tema prescelto per il Convegno ha inteso
riguardare non una singola professione, o la professione dell’avvocato, bensì tutte le
professioni. Occorre avere una visone ad ampio raggio della situazione lavorativa delle
donne in Italia e delle problematiche emergenti in ogni settore, soprattutto oggi che ci si
trova a pochi mesi dalla pubblicazione italiana del “Codice delle Pari Opportunità tra Uomo
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e Donna”, e per il fatto, non meno importante, della proclamazione da parte delle Istituzioni
Europee del 2007 “Anno Europeo delle Pari Opportunità per tutti”. Ancora, per quanto
riguarda la situazione delle donne nell’avvocatura, l’Avv. Ierardi ha inteso ribadire che
l’obiettivo principale del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma e in particolare della
Commissione per le Pari Opportunità sarà per il futuro quello di incentivare le iniziative
dirette a migliorare la posizione della donna nell’esercizio della professione forense,
partendo anche dalla recentissima delibera dello stesso Consiglio che istituisce “l’Osservatorio per le Pari Opportunità”, e dalla avanzata proposta per l’istituzione all’interno dei
nostri Tribunali di asili nido, o per lo meno di sale riservate da destinare alle puerpere per
l’allattamento. Tutto ciò consentirà un maggior rispetto della dignità della donna avvocato.
Gli autorevoli relatori di questo Convegno hanno, quindi, affrontato le problematiche
esistenti nel campo del lavoro femminile e nei diversi contesti professionali partendo anche
dalle proprie personalissime esperienze.
La Dott.ssa Simonetta Matone Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale dei Minorenni di Roma, ha rappresentato la situazione delle donne magistrato in Italia,
in specie nel rapporto con i colleghi uomini, sottolineando il fatto che, negli ultimi anni, alla
progressiva e costante presenza femminile in magistratura non ha fatto seguito l’adozione
di soluzioni e di strumenti capaci di garantire una piena ed effettiva parità di trattamento
rispetto ai colleghi uomini.
L’On. Dorina Bianchi si è, invece, soffermata sulla controversa questione delle cosiddette “quote rosa” nella politica Italiana sottolineandone, d’altro canto, la duplicità di problemi,
da un lato, la mancanza di un sistema meritocratico efficiente, dall’altro, l’incapacità delle
donne di esporsi in maniera più penetrante in politica.
L’Avv. Maurizio De Tilla sottolineando la maggiore capacità e propensione delle donne
nel distinguersi in tutte le professioni, soprattutto in quelle scientifiche, non senza polemica,
è poi intervenuto sul recente dibattito in tema di riforma delle libere professioni che sempre
più spesso sta generando grandi perplessità e dissapori tra l’attuale classe politica e gli aderenti
agli Ordini Professionali. “Riforma”, ha asserito il Presidente De Tilla, “destinata a minare
più che a rafforzare il ruolo e l’identità degli uomini e delle donne che operano nelle
professioni”.
La Dott.ssa Barbara Palombelli, in rappresentanza della categoria dei giornalisti, ha
sottolineato, da un lato, la fondamentale importanza delle nuove tecnologie che da poco più
di un ventennio hanno permesso alle donne di operare in un settore professionale, quello
del giornalismo, da sempre riservato agli uomini e di poter svolgere liberamente il proprio
lavoro non solo nelle missioni a rischio, ma anche dalla propria abitazione; dall’altro, la triste
realtà che vede ancora, rispetto agli altri Paesi Europei, neppure una donna a vertice di una
testata giornalistica o di una emittente televisiva.
L’Avv. Marina Binda Componente della Commissione per le Pari Opportunità ha
relazionato, invece, sulla recente normativa codicistica approvata dal Parlamento italiano in
materia di “pari opportunità tra uomo e donna”, sottolineando, in specie, l’importanza
dell’inversione dell’istituto dell’onere della prova in materia di discriminazioni. Ancora, ha
espresso apprezzamento in vista del disegno di legge presentato alle Camere sulle nuove
disposizioni in tema di violenza sessuale, maltrattamenti e atti persecutori, destinato a
rafforzare le tutele aggiungendo nuove norme e modificando quelle attuali.
I lavori del Convegno sono stati, dunque, autorevolmente conclusi con la relazione
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dell’Avv. Francesca Coppi che si è espressa in merito alla possibilità per la donna avvocato
di vedere riconosciuto lo stato di gravidanza quale causa di legittimo impedimento a
comparire in udienza.
Cons. Avv. Rosa Ierardi
Coordinatore della Commissione per le Pari Opportunità
“PROFILI ETICI, GIURIDICI E MEDICO-LEGALI
IN TEMA DI EUTANASIA”
Convegno del 27 marzo 2007
Il 27 Marzo u.s. presso l’Aula Avvocati del Palazzo di Giustizia di Piazza Cavour, si è tenuto
il Convegno dal titolo “Profili etici, giuridici e medico-legali in tema di eutanasia”.
Il Convegno, fortemente voluto dalla sottoscritta quale coordinatore della Commissione
Consiliare di Diritto Penale è stato organizzato e promosso in collaborazione con il Consiglio
dell’Ordine Provinciale di Roma dei Medici Chirurghi ed Odontoiatri, e ha visto la partecipazione
di autorevolissimi esponenti delle nostre Istituzioni e Professioni. Sono, pertanto, intervenuti:
l’Avv. Alessandro Cassiani Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Roma, il Dott. Mario Falconi
Presidente dell’Ordine Provinciale di Roma dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, l’Avv. Rosa
Ierardi Consigliere dell’Ordine degli Avvocati di Roma e Coordinatore della Commissione di
Diritto Penale, il Prof. Avv. Adelmo Manna Ordinario di Diritto Penale presso l’Università di
Foggia, il Prof. Rodolfo Proietti Ordinario di Anestesia e Rianimazione presso l’Università
Cattolica del Sacro Cuore e Consigliere dell’Ordine Provinciale di Roma dei Medici Chirurghi e
degli Odontoiatri, il Prof. Avv. Guido Calvi Senatore della Repubblica e Vice Presidente della
Commissione Affari Costituzionali, l’Avv. Giuseppe Consolo Deputato al Parlamento e Capogruppo Commissione Giustizia, il Dott. Attilio Pisani Sostituto Procuratore della Repubblica
presso il Tribunale di Roma, il Dott. Luigi Tonino Marsella Specialista in Medicina Legale e
Consigliere dell’Ordine Provinciale di Roma dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, il Dott.
Giacomo Ebner Giudice presso il Tribunale Penale di Roma, l’Avv. Guido Romanelli Presidente
Unione Romana Giuristi Cattolici, il Prof. Don Davide Cito Docente della Pontificia Università
della Santa Croce ed infine la Dott.ssa Barbara Carfagna Giornalista del TG 1.
Date le autorevoli presenze, l’evento non poteva che costituire un momento di grande
riflessione e approfondimento su una questione antica, da sempre dibattuta, che oggi più che mai,
vuoi per i recentissimi fatti di cronaca drammaticamente rappresentatici attraverso i media, vuoi
per le scelte liberali perpetrate da alcuni Paesi Europei e del Mondo che sempre più spesso ci fanno
sentire un Paese di serie B nella risoluzione delle questioni etiche e sociali che attanagliano i popoli,
si mostra d’imperio sempre più attuale e al centro d’ogni polemica. Il nostro, d’altra parte, è un
Paese laico e cristiano, di forte inclinazione al rispetto del diritto alla vita in tutte le sue possibili
manifestazioni. La sacralità della vita rientra anzi tra quei valori ritenuti spesso “assoluti” che hanno
sempre costituito, per una nutrita schiera del mondo politico, un ostacolo insormontabile alla
legalizzazione di qualsiasi forma di eutanasia. La morte continua, dunque, ad essere considerata
un “tabù”. Il nostro diritto continua a punire duramente chi aiuta in qualsiasi modo, anche
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“dolcemente”, un uomo a morire.
Il caso Welby, il caso di Luana Englaro, il caso Nuvoli e quelli di tanti altri rimasti almeno per
ora distanti dalle telecamere e dai giornali, ma che ci hanno visto comunque riuniti nella veste di
avvocati, medici, giudici, politici e religiosi, hanno infiammato nuovamente gli animi e riacceso
il dibattito in tema di decisioni di fine vita, di testamento biologico e di accanimento terapeutico,
lasciando ben sperare che possa finalmente addivenirsi a qualcosa di concreto come l’avvio di un
serio dibattito parlamentare teso a dar risposta alle richieste di chi soffre e, non ultimo, a tutelare
i professionisti da scelte che
troppo facilmente ricadono
nella colpa professionale del
medico.
Allo stato attuale sono
circa sette i disegni di legge
presentati al Senato, perlopiù in materia di testamento
biologico, e su cui inesorabilmente dovrà tornarsi a
discutere prima che una legge venga effettivamente promulgata. Ma questo, come
si è evinto da alcune battute
degli esponenti politici del
Convegno, non è che l’ “iter”
naturale che occorre seguire
per tutte quelle questioni
che più che sulla carta attengono alla nostra personalissima coscienza e richiedono, perciò, più tempo, una
maggiore comprensione e
maturità di scelta da parte di
tutti gli operatori del nostro
ordinamento giuridico.
A livello politico le distanze sono da sempre manifeste, aggravate dalla tradizionale conflittualità tra
orientamenti laici e cattolici
presenti trasversalmente in
tutti gli schieramenti parlamentari. Gli stessi partecipanti al convegno hanno infatti espresso opinioni politiche divergenti sia in materia di eutanasia
sia di testamento biologico, confrontandole anche alla luce dei diversi dettami costituzionali e dei
principi etici e giuridici su cui il diritto alla vita, quale diritto indisponibile, si fonda. Dunque, il
testamento biologico altro non sarebbe, secondo alcuni, che il logico trapasso verso l’eutanasia così
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come spesso accaduto in altri Paesi che di una disciplina già dispongono; secondo altri e più liberali
rappresenterebbe, invece, il logico rispetto del principio dell’autodeterminazione del paziente a
non essere tenuto in vita a tutti i costi, specie, quando lecito sarebbe dubitare che di vita ancora
si tratti. Tale volontà non è poi altro che l’affermazione dell’ormai irrinunciabile postulato
rappresentato dal principio di autonomia, consacrato nello strumento del consenso informato e
nel divieto di accanimento terapeutico, due aspetti che hanno profondamente modificato il
rapporto medico-paziente negli ultimi decenni. Se è infatti pacifico che il consenso dell’interessato
sia il presupposto legittimante di qualsiasi atto medico, appare di certo difficile negare che
l’autonomia del singolo possa trovare un giorno applicazione anche nelle decisioni di fine vita,
anche laddove questo significhi anticipare il momento della morte.
I recenti casi di cronaca, ben illustrati dai magistrati presenti al convegno, hanno invero
dimostrato come da un punto di vista strettamente giuridico il rifiuto delle cure sia diventato un
vero e proprio diritto del singolo, la libertà di lasciarsi chiaramente morire, sia dove esso sia
determinato da scelte religiose (è stato ricordato il caso delle trasfusioni per i testimoni di Geova),
sia personali (come il caso eclatante della donna ammalata di diabete che si lasciò morire rifiutando
l’amputazione di un arto in cancrena). Al di là di questi casi concreti, però, ancora troppo spesso
si tende a confondere la pratica eutanasica attiva, che è rigorosamente vietata e probabilmente lo
sarà per molto tempo ancora, con l’interruzione delle terapie mediche intensive, cosiddette
salvavita. Quello dell’accanimento terapeutico è oggi infatti già un “divieto” come più volte
sottolineato dai medici presenti, e spetta al malato esprimere il proprio consenso o dissenso alle
cure mediche laddove sia in grado naturalmente di farlo, e spetta al medico astenersi da quei
trattamenti, da cui non si possa fondatamente attendere un beneficio per la salute del malato e/
o un miglioramento della qualità della vita. E’ questa una regola deontologica di fondamentale
importanza che ben si allinea alle altre dello stesso codice professionale e trova ancor più conferme
sia nel recente parere espresso dal Comitato Nazionale di Bioetica (2003) in materia di direttive
anticipate di trattamento, sia nella Convenzione di Oviedo (1997) recentemente ratificata dallo
Stato Italiano ma rimasta pressoché disattesa. Essa rappresenta, dunque, un discrimine tra la
volontà del paziente in qualunque modo rappresentata e la scelta, responsabilità, consapevole del
medico di continuare a tenerlo in vita.
Il mondo della medicina, allora, non sembra affatto distante da quel Giuramento di Ippocrate
come alcuni vorrebbero farci credere, ma in perfetta armonia si schiera con esso, ieri come oggi,
con sfavore verso l’eutanasia, con maggior propensione verso le direttive anticipate o il testamento
biologico. Ma non tanto per dare risalto a nuove libertà e diritti dei cittadini come da qualcuno
affermato, quanto per esprimere con chiarezza i “doveri del medico”. Sul punto è unanime la
volontà di una normativa destinata a colmare taluni vuoti legislativi, a ridurre quell’incremento
vertiginoso del contenzioso giudiziario nei confronti dei medici a cui si è assistito negli ultimi anni
e ridare a priori serenità e certezza a una professione tanto rischiosa quanto importante per la salute
di ognuno di noi.
La magistratura in ciò non può fare molto, checché alcuni sostengano che norme e principi
applicabili alle tante richieste di chi soffre siano già parte del nostro bagaglio giuridico. I magistrati
possono senza dubbio interpretare e applicare le norme, ma sono soggetti anch’essi alla Legge, non
possono dunque sostituirsi al Legislatore nel delicatissimo compito di disciplinare la vita o la morte
di un uomo.
Cons. Avv. Rosa Ierardi
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DIFESA E SENSO DELLA GIUSTIZIA.
INTRODUZIONE AGLI ACTA
(Relazione in occasione del I° Convegno dell’Associazione Silvia Sandano)
L’intellectus Angelicus è onnisciente, conosce immediatamente la verità, non ha bisogno
di allestimenti probatori, né di argomentazioni più o meno confutabili. A volte è concesso
parlare in propria difesa, come ai defunti dell’antico Egitto, ma l’elencazione dei peccati non
commessi non è in alcun modo manipolabile, non lascia spazio a furbizia e negazione
dell’evidenza: alla pesatura del cuore presieduta da Anubi segue la vita ultraterrena o
l’annientamento definitivo tra le fauci di Ammit la Divoratrice. Difendersi, nel senso
comune del termine, ossia esercitare il diritto a rappresentare un fatto finanche mentendo,
è praticamente impossibile; la difesa si riduce ad un rito apotropaico niente affatto teso a
fornire coordinate del vero soggettivo.
Diverso è per la progenie umana che non possiede medesima veggenza. I processi
nascono dal bisogno di approntare rituali finalizzati ad una contesa sostenuta da prove. Il
giudizio umano è una parvenza logica di veridicità. Il tropo prevale sul concetto di vero. E’
l’arte retorica che gli avvocati inseguono sull’orma di Cicerone. I giudici si concentrano
sull’esegesi della norma, sull’analisi delle prove non narrative, sui dicta dei testimoni e sulle
antifrasi dell’avvocato o del pubblico ministero dediti ad arringhe ben costruite, scovando,
così, verità dove non sempre ve ne sono.
Al centro di questa giostra di ruoli e di decodificazioni si trova l’imputato, come lo
chiama il nostro legislatore, propenso, anche nella scelta terminologica, ad incentrare il focus
del processo più sull’atto imputativo che sul ruolo difensivo; o, meglio, il defendant
anglosassone, ossia colui che è chiamato a difendersi dalla complessa architettura d’accusa.
«Qualcuno doveva aver calunniato Josef K., perché, senza che avesse fatto niente di male, una
mattina fu arrestato» scriveva Kafka ne Il Processo, costruendo un incipit narrativo che,
nell’immaginario di ogni lettore, ha vergato il senso traumatico dell’incombenza di una
giustizia disfunzionale, segreta e potente, che non lascia spazio alcuno alla difesa e che è
segnata con il marchio inquisitorio, informatore di gran parte dei sistemi dell’antichità.
Tuttora, a dire il vero, nonostante i più recenti rivolgimenti accusatori, l’inquisitio parzialmente disegna le linee di rimembranza, come mi piace chiamarle, di alcuni sistemi
processuali contemporanei; tra questi il latino-americano. Lo ha esaurientemente testimoniato la Dott.ssa Lorandi, pubblico ministero in Brasile, che, nel suo intervento al
Convegno dell’Associazione Silvia Sandano, Profili del diritto di difesa nei sistemi penali, del 16
giugno 2006, evidenzia discrasie accusatorie come la disparità difensiva, ancora percepibile
nel sistema brasiliano a seconda della classe economica di appartenenza, o l’impalcatura
probatoria prevalentemente fondata sulla confessione.
Tuttavia non di meno incrinato è, spesso, il ruolo della difesa nel processo accusatorio,
senz’altro orientato verso un maggiore garantismo, cui la legislazione italiana si è tendenzialmente uniformata. Nel teatro processuale costì allestito, si contrappongono, dinanzi ad un
giudice terzo, due parti essenziali, accusatore ed accusato, le maschere di Jhering. La
risoluzione del caso sub iudice, che coincide con la cristallizzazione della verità processuale,
è frutto, dunque, di una comparazione dei fatti presentati da costoro in un certame che,
tuttavia, in alcuni casi, solo a parole si svolge in parità di armi.
E’ un sistema abbastanza paritetico negli Stati Uniti d’America, ove il processo raggiunge
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un elevato livello libertario che si traduce nel binomio contesa-negozialità, talché, come
linearmente messo in luce da un altro relatore, l’Avv. Bosco dello studio Sherman & Sterling,
si assiste ad un «gioco delle parti» che «contendono di fronte ad un terzo».
E’ un sistema decisamente meno paritetico in Italia, benché le rimembranze pirandelliane in tema di gioco delle parti -cui inevitabilmente saranno, con me, inclini gli appassionati
di letteratura-, pur portando a ragionamenti in vero poco giuridici, tracciano conclusioni
simili rispetto alla logica processuale: la verità rimbalza sui fatti a seconda di chi li narri, di
chi li spieghi, di chi li provi e con quali elementi; la verità corre lungo il filo dell’introiezione
di un episodio, di una rappresentazione di un fatto; la verità non costituisce un unicum, ma
è infinitamente scindibile nelle verità di ognuna delle parti.
La differenza, piuttosto, risiede, per quel che qui consta, nella concreta gestione del
diritto di difesa, che, in realtà patisce nel nostro sistema gli strali di un’inferiorità allarmante.
La rischiosa pratica di incentivare la rinuncia al diritto di difesa, di cui sono macroscopici
esempi i riti speciali a carattere premiale, continua ad estendersi in modo silente a varie
propaggini del compendio procedimentale tipico, formato dal climax ascendente “prescrizione legale / fatto storico / accertamento giurisdizionale / sanzione”, abbattendo, molte
volte, il baluardo dei diritti della persona, la cui più o meno ampia tutela denota il grado
stesso di civiltà di un popolo. Difendere, infatti, non significa giustificare il crimine, come
ha magistralmente osservato il Prof. Stile, ma tutelare l’essere umano; è in tal senso che il
diritto di difesa, come egli afferma, diviene «uno degli indicatori più rilevanti per la individuazione del livello di uno Stato di diritto». La emarginazione del diritto di difesa, però, non incide
solo sulla dignità della persona, depauperando il senso stesso della civiltà, ma, come
osservato dal Prof. Marafioti nel suo intervento, determina un effetto “rimbalzo” di ordine
pratico: attira l’attenzione dei giudicanti più sui casi in cui sia la difesa ad ingenerare abusi
che non il contrario, in palese dispregio di quanto sancito dalla Carta Costituzionale. Né,
del resto, il quadro processuale generale dallo stesso Relatore tracciato promette considerazioni più consolatorie in tema di difesa: il processo triadico, egli prosegue, è diventato
diadico e vede contrapposti l’imputato ai magistrati -requirente e giudicante-, che «sono
d’accordo, sono nella stessa direzione» e danno adito ad «uno stravolgimento di ruoli», che in
nessun senso inteso lascia spazio a buone speranze.
L’argomento affrontato è di bruciante attualità e, personalmente, oserei estenderlo non
solo alla diatriba sull’opportunità che l’accusa continui ad essere rappresentata da un
magistrato, ma anche alla ormai dilagante pratica d’affidare il ruolo requirente ai vice
procuratori onorari, che si muovono in un limbo tra la magistratura-impiego, cui aspirano,
e la libera professione, che non esercitano, se non marginalmente in altri distretti, non
riuscendo, così, a svolgere, in senso tipicamente accusatorio, il ruolo del prosecutor, a
discapito -potrebbe accadere- della correttezza procedimentale in un sistema di tale
impronta.
Al processo, quale rito di pseudoconoscenza veridica, a volte fortemente orientato, a
seconda delle inclinazioni intellettuali e dell’esistenza più o meno marcata di un’auspicabile
appendice morale nei magistrati, si affiancano, poi, profeti e predicatori politici, che
traducono in norme le correnti di pensiero partitiche, non sempre ben formate e pur tuttavia
disegnate, sulla carta degli atti legislativi, con una fluida quanto carente logicità. La scienza
della normazione raramente appartiene ai più recenti legislatori. Appare falsato il delicato
rapporto tra physis e logos.
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Ne è chiaro esempio -come attesta, nel suo pregevole contributo, il Prof. Preziosi- la
recente normativa in tema di terrorismo (art. 270 sexies c.p.), suggerita dall’esigenza dell’interazione transnazionale anche sotto il profilo legislativo, che trasferisce la difesa dal piano
della difficoltà a quello della quasi-impossibilità, determinando «un chiarissimo slittamento
dalla fattispecie penale, intesa come una cornice chiaramente individuata dal legislatore, a quella che
è stata chiamata una fattispecie penale a formazione giudiziale; cioè ad una fattispecie penale che viene
creata essenzialmente in sede giudiziale e che quindi non ha il supporto descrittivo sufficientemente
afferrabile».
Un’asimmetria di base tra accusa e difesa, dunque, nonostante l’imprinting di un sempre
più evidente garantismo, intesse ancora l’odierno ordito penale sostanziale e processuale.
Tale asimmetria allontana il concetto moderno di giustizia dalla sua icona tradizionale di dea
portatrice di interessi bilanciati come nei rituali egizi di Maat o nelle raffigurazioni di Diche,
a partire dall’arte greca e dalla mitologia astronomica, che cristallizza la figlia di Temi, ora
come Astrea, nella costellazione della Vergine cui appartiene la vicina Bilancia, fino alla
stilizzazione del settimo Arcano Maggiore dei tarocchi.
La bilancia che soppesa verità presuppone una eguale possibilità di riempimento dei due
piatti da parte dei contendenti e le defaillance sistemiche in tema di diritto alla difesa la
trasformano in uno strumento non ben tarato, che pende irrimediabilmente verso il carico
d’accusa e richiede un impegno sovradimensionato alla difesa per avere ragione del mancato
equilibrio iniziale.
Ebbene, l’interesse che dovrebbero suscitare l’argomento “difesa” e gli Acta che sto
presentando per l’Associazione Silvia Sandano, non abbisogna di ulteriori parole, credo.
Posso solo scrivere ancora una breve notazione.
Conoscevo Silvia Sandano. Era una seria studiosa ed una giovane e brillante donna che
possedeva il dono di una straordinaria ricchezza interiore. Ho avuto la fortuna di condividere con lei una parte dell’attività universitaria; ho avuto il triste onore di ricordarla nelle
pagine del Foro Romano dopo la sua prematura scomparsa avvenuta nel 2004. Tutti coloro
che la conoscevano hanno perduto, con lei, una parte importante della propria vitale sfera
di affetti.
Oggi, però, in un modo del tutto originale, grazie all’impegno di Nicolò Cavalcanti di
Verbicaro e di amici e colleghi, l’elegante figura della Silvia giurista, che abbiamo in più
occasioni avuto modo di apprezzare, come ha ricordato affettuosamente l’Avv. Giordano
del Foro di Roma nella sua Relazione, ha trovato un nuovo modo di esprimersi, sconfiggendo il silenzio ed ampliando i confini del diritto e della procedura penale attraverso due
efficaci canali di comunicazione.
Il primo attiene alla organizzazione di Convegni in modo da estendere sempre di più,
anche a livello internazionale, i confini del diritto e della procedura, avvalendosi degli studi
e degli approfondimenti di illustri nomi del panorama universitario e professionale, come
giustamente evidenziato dal Prof. Cassiani, Presidente del Consiglio dell’Ordine degli
Avvocati di Roma ed ospite del Convegno, nel suo commosso e romantico saluto.
Il secondo, ancor più innovativo, presenta una connotazione umana che affianca del pari
quella giuridica e consta di un premio che, a partire da questo primo appuntamento, ogni
anno, verrà assegnato per particolari meriti acquisiti nel settore legale.
In particolare, nel Convegno che quivi si presenta, la Targa d’argento Silvia Sandano è
stata consegnata all’Avvocato nigeriano Imam Ibrahim Abdulkadir, difensore della Signora
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Safiya Hussaini Tungur Tudu, condannata alla lapidazione per tentato adulterio ed assolta
in secondo grado. Il premio è stato assegnato all’Avv. Abdulkadir «per aver concretamente
applicato quei principi di lealtà, correttezza, onestà nell’esercizio della professione di avvocato
penalista, posponendo al proprio interesse personale ed economico il rispetto della dimensione umana,
culturale e spirituale della persona, la dignità e i diritti fondamentali dell’uomo».
Particolarmente toccante l’intervento dell’Avvocato nigeriano sulla legislazione penale
islamica, ove, ancora oggi, sono prescritte pene corporali, la cui inumanità, alla luce dei
sistemi giuridici moderni, delle Carte Costituzionali e delle diverse affermazioni internazionali dei diritti dell’uomo, è in esse intrinseca, soprattutto tenuto conto che la logica del
risarcimento e del perdono è prevaricata dalla ritorsione secondo schemi retributivi della
pena che, spesso, esulano da una seppur minima comparazione con il fatto commesso, come
nel caso della Sig.ra Safiya.
Ricorda la repressione di condotte offensive per gli dei, un sistema penale di tale guisa,
più che un giudizio umano sui fatti umani. In parte lo è. Un corretto sviluppo della
fenomenologia normativa, però, imporrebbe scelte diverse, oggi. Personalmente, tornando
all’amata cosmogonia egizia, lascerei che Shu, l’Aria, separi Geb da Nut, la Terra dal Cielo,
evitando, così, di recare offesa ad alcuno dei due elementi. Il passato ci insegna che il diritto
e la procedura, se pedissequamente recepiti da sacre scritture, qualunque esse siano,
difficilmente comportano una corretta giustizia terrena. Meglio consentire la separazione
dei due piani, conservando il pieno rispetto sia per la spiritualità individuale e per il Dogma
di elezione, sia per un sistema giuridico di legalità, in tal modo rispettando la Vita stessa, che
è, poi, il bene fondamentale cui gli uomini tutti dovrebbero aspirare.
Ammiro profondamente il coraggio degli organizzatori di affrontare simili temi, che
presuppongono non solo preparazione giuridica, ma apertura culturale ed intelligenza. Date
le premesse tracciate da questo I Convegno, c’è, dunque, da aspettarsi molto da codesta
Associazione e, per quanto mi riguarda, attendo con ansia il prossimo appuntamento.
Avv. Raffaella Bonsignori
(Avvocato del Foro di Roma)
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CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI ROMA
CONVEGNO DEL 6 MARZO 2007
IL RUOLO DELLA DONNA NELLE PROFESSIONI
Da un’indagine Istat è emerso che l’Italia è all’ultimo posto in Europa come occupazione
femminile, con una media del 39,3% di donne lavoratrici contro il 72% della Danimarca.
Dati analoghi valgono con riferimento alla presenza delle donne in Parlamento, dove l’Italia
si colloca al penultimo posto in Europa, con il’17% di elette, contro la Svezia, che vanta il
45,3%, la Danimarca, il 38% e la Finlandia, il 37,5%.
Cosa è stato fatto per ovviare a questa situazione? Moltissimo, a dire la verità: il Ministero
delle Pari Opportunità, qui così ben rappresentato, ha lavorato con impegno assiduo ed
alacre. Ma c’è ancora molto da fare.
Anzitutto, conviene ripercorrere molto rapidamente lo stato della legislazione vigente,
che, a dire il vero, ha fatto passi da gigante.
Il 15.6.2006 è entrato in vigore il codice delle pari opportunità (D Lgs. 11.4.06 n. 198)
che, oltre a definire la Commissione delle pari opportunità presso il dipartimento delle Pari
Opportunità (art. 3), il Comitato nazionale per l’attuazione dei principi di trattamento ed
uguaglianza di opportunità tra lavoratori e lavoratrici (art. 8) e ad istituire il Comitato per
l’imprenditoria femminile presso il Ministero dello sviluppo Economico (art. 21), promuove la realizzazione di azioni positive per la parità tra uomo e donna nel lavoro (art. 42).
Nel codice viene, poi, differenziato il concetto di “discriminazione diretta”, definita
come “qualsiasi atto o comportamento che produca un effetto pregiudizievole discriminando le lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso e, comunque, un trattamento meno
favorevole rispetto a lavoratrici o lavoratori in situazione analoga” e “discriminazione
indiretta” che si ha quando “un atto o un comportamento apparentemente neutri possono
mettere i lavoratori di un determinato sesso in svantaggio rispetto ai lavoratori dell’altro
sesso” (art. 25).
Sono, inoltre, previsti divieti di discriminazione nell’accesso al lavoro (art. 27), divieti di
discriminazione retributiva (art. 28), divieti di discriminazione nell’accesso alle posizioni
previdenziali (art. 30), nell’accesso agli impieghi pubblici (art. 31), nell’arruolamento e nelle
carriere militari (artt. 32 e segg.).
Una particolare tutela giudiziaria è attribuita chi è vittima di discriminazioni: è prevista
la possibilità di ricorrere al Tribunale in funzione di Giudice del Lavoro, in via ordinaria o
d’urgenza, anche a mezzo di azioni collettive, con legittimazione processuale riconosciuta
ai Consiglieri di parità (art. 37). Il giudice del ricorso in via d’urgenza, nei due giorni
successivi al deposito del ricorso (e qui bisognerà attendere l’interpretazione giurisprudenziale sulla perentorietà o ordinarietà del termine), convocate le parti ed assunte le sommarie
informazioni, ordina la cessazione del comportamento ritenuto illegittimo e provvede, se
richiesto, al risarcimento del danno.
Una speciale inversione dell’onere della prova è prevista dall’art. 40, in base al quale,
quando il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico,
idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, la presunzione di dell’esistenza di atti
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discriminatori in ragione del sesso, spetta al convenuto fornire l’onere della prova dell’insussistenza della discriminazione.
Il 15 agosto 2006 è entrata in vigore la Direttiva 54/2006 dell’Unione Europea che
comprende disposizioni intese – come recita l’art. 1- ad attuare il principio di parità di
trattamento per l’accesso al lavoro, la promozione e la formazione professionale, le
condizioni di lavoro compresa la retribuzione, i regimi di sicurezza sociale. La Direttiva
contiene disposizioni non dissimili da quelle del codice delle pari opportunità, in materia
di definizione del concetto di discriminazione diretta e indiretta (art. 2), obblighi di parità
retributiva (art. 4), esempi discriminazioni, tra cui segnalo in questa sede -come inedito nel
nostro paese- il diverso limite di età per il collocamento a riposo (art. 9 lett. f, Dir. 54/2006
CE). La Direttiva regola, poi, la tutela giudiziaria riconosciuta alle vittime di discriminazioni
(art. 12), contemplando, al pari del codice, un sistema di ricorsi anche in via collettiva e
d’urgenza, con attribuzione al giudice del potere di provvedere in ordine alla riparazione del
danno e lo stesso inversione dell’onere della prova previsto nel citato art. 40 del codice (art.
19). E’ attribuita legittimazione processuale anche ad associazioni ed organizzazioni, a
differenza del codice delle pari opportunità che legittima soltanto i consiglieri di parità
regionali o nazionali.
Dovranno essere abrogate tutte le disposizioni normative, o anche contenute in contratti
collettivi o individuali, contrarie al principio di parità di trattamento; gli Stati membri
dovranno adeguarsi entro il 15 agosto 2008.
E’ di questi giorni il Ddl sul cd. stalking (atto Camera 2169) che introduce l’art. 612 bis
del codice penale. Nella formulazione attualmente all’esame del parlamento, l’art. 612 bis
così dispone: “chiunque ripetutamente molesta o minaccia taluno in modo da turbare le sue normali
condizioni di vita ovvero da porre lo stesso in uno stato di soggezione o grave disagio fisico o psichico,
ovvero tali da determinare un giustificato timore per la sicurezza personale propria o di persona a sé
legata da stabile legame affettivo è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a quattro
anni”. Si procede d’ufficio e la pena è aumentata nel caso in cui il fatto sia commesso con
minacce gravi o quando ricorrano le aggravanti previste dall’art. 339 c.p.
La parola “Stalking”, deriva dal lessico venatorio inglese ove lo stalker è colui che, a caccia
di una preda, si apposta e la segue ossessivamente. Recenti episodi di cronaca dimostrano
che gli esiti dello stalking possono essere anche drammatici: l’ex moglie o l’ex fidanzata
diviene un ossessivo oggetto di desiderio che viene perseguito con appostamenti, telefonate,
messaggi, e-mail sino a minacciarlo o a violarne il domicilio. Le norme attualmente in vigore
non appaiono affatto sufficienti a contrastare un fenomeno estremamente diffuso e molto
pericoloso. L’unica fattispecie applicabile, in prima battuta, è quella delle molestie prevista
dall’art. 660 c.p. reato contravvenzionale del tutto inidoneo a perseguire lo stalker ed a
prevenire il progressivo aumentare dei suoi comportamenti persecutori.
La legge Finanziaria 2007 contiene, infine, numerose disposizioni che promuovono le
pari opportunità. A titolo meramente esemplificativo valgano il comma 266 che prevede
incentivi fiscali per l’occupazione femminile in aree svantaggiate, nonché i commi 843,
1259, 1261 e 1263 che prevedono interventi e fondi per l’innovazione industriale, per le
politiche della famiglia e per la prevenzione della violenza sessuale.
Nonostante il legislatore europeo e nazionale si sia mostrato attento ad impedire ogni
discriminazione e sopruso, la donna nel nostro paese è ancora fortemente penalizzata.
Per quanto riguarda specificamente la professione di avvocato, il 60% di coloro che
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superano gli esami di abilitazione sono donne, ma solo il 35% delle avvocatesse riesce poi
a divenire titolare di studio professionale. Poco presenti negli organismi rappresentativi
dell’avvocatura (C.N.F, Consiglio dell’Ordine e Cassa Avvocati) le donne, a cinque anni
dall’esame di abilitazione all’esercizio della professione, a parità di lavoro, guadagnano circa
la metà dei colleghi maschi. Ma non si tratta soltanto di retribuzioni e di guadagni, ma anche
di opportunità professionali che spesso alla donna vengono negate. In Italia non esiste un
alto ufficiale donna, un presidente di Authority donna, vi sono pochissimi ambasciatori
donna e mi chiedo se esista un procuratore generale donna; mi chiedo, poi, quale
percentuale di donne arrivi all’apice della carriera giornalistica.
Cosa si può fare per ovviare a questa situazione?
Il codice e la Direttiva definiscono “azioni positive per la promozione delle pari
opportunità” quelle che di fatto rimuovono gli ostacoli alla realizzazione delle pari opportunità (art. 42). In particolare, nel campo delle professioni, sono azioni positive quelle volte a
favorire l’accesso al lavoro autonomo e alla formazione imprenditoriale (art. 42 lett. c).
Chi deve promuovere le azioni positive?
La legge cita, naturalmente, i Consiglieri di pari opportunità, ma anche tutti i centri per
le pari opportunità “a qualsiasi livello” (nazionale, locale, aziendale) e “comunque denominati”, i datori di lavoro, pubblici e privati i centri di formazione professionale, le organizzazioni sindacali, insomma tutti noi, in qualsiasi modo aggregati.
Come sapete, parlo, del tutto indegnamente, in rappresentanza della Commissione delle
Pari opportunità istituita presso il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma.Essa è
composta da un discreto numero di bravissime colleghe, diversamente specializzate: c’è chi
fa penale, chi civile, chi si occupa principalmente di diritto di famiglia, chi è esperta di diritto
fallimentare, Maria Pia Sabatini, Elena Allocca, Marina La Ricca, Elisabetta Mete, Donatella
Manasse, non posso citare la totalità della Commissione naturalmente, anche perché siamo
tante, e tutte unite da un medesimo fine: combattere ogni forma di discriminazione, di
sopruso, di umiliazione delle donne o nella professione; promuovere le pari opportunità
nell’accesso e nell’esercizio del lavoro; pari opportunità, che non sono -lo sappiamo benepari punti di arrivo, ma pari opportunità, reali, e non fittizie.
Affinché le colleghe di domani non debbano soffrire quello che soffriamo noi e che,
molto più di noi, hanno sofferto le colleghe della generazione precedente.
Dell’Osservatorio istituito dalla Commissione ha già parlato Rosa Ierardi, che è appassionata coordinatrice della Commissione, lavoratrice instancabile, preparatissima, sempre
disponibile.
Cosa fare, dunque?
Da un lato vi sono i problemi relativi ai servizi di cui le professioniste dovrebbero
usufruire per essere materialmente in grado di lavorare: mi riferisco, a titolo esemplificativo,
ai parcheggi, agli asili nido, alle strutture per gli anziani durante il periodo lavorativo, ai locali
per l’allattamento, e via dicendo, si potrebbe organizzare speciali convenzioni con tali
strutture in orario lavorativo; dall’altro vi è il grosso problema degli incarichi, riservati, in
via quasi esclusiva, ai colleghi maschi. Qui, le Istituzioni potrebbero divenire parte attiva,
o ancor più attiva, per effettuare politiche che creino speciali canali per l’affidamento di
incarichi o per l’agevolazione dell’imprenditoria femminile.
A tal proposito lodevole è stata l’iniziativa del Consiglio Nazionale Forense che ha siglato
il protocollo d’intesa con il Ministero delle pari opportunità e promosso due iniziative, la
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MaGa - Mainstreaming di Genere nell’avvocatura italiana (volta a rilevare quali sono i
principali problemi che incontrano le professioniste durante la carriera lavorativa) e la
SFIDA – sviluppo al femminile (volta all’obbiettivo di erudire le donne avvocato sulle
tecniche di gestione manageriale dello studio legale), ma altre azioni positive potrebbero
essere ancora realizzate, anche con l’aiuto del Consiglio dell’Ordine.
1. Con l’aiuto di tutti voi, si potrebbe cominciare organizzando ed attivando un servizio
di sostituzioni tra colleghe impedite a partecipare alle udienze, ad esempio per gravidanza,
per allattamento, per malattia propria o dei figli, per assistenza agli anziani, e via dicendo.
Questo servizio potrebbe essere promosso dalla Commissione Pari Opportunità dell’Ordine
e da tutti colori che, aderendo a tale iniziativa, vogliano offrire disponibilità di energie e di
tempo, variabile caso per caso. In tale ipotesi, si dovrebbe stilare un regolamento che
disciplini il servizio di sostituzione degli aderenti, regolamento che dovrebbe poi essere
approvato dal Consiglio dell’Ordine.
2. Potremmo, inoltre, proporci parte attiva per far sì che venga riconosciuto quale
legittimo impedimento a comparire alle udienze penali lo stato di avanzata gravidanza, e cioè
i due mesi antecedenti al parto ed i tre mesi successivi. Come sapete, la Legge 53/2000 ed
il D. Lgs. 151/01 prevedono misure a sostegno della maternità e della paternità, attribuendo
alle lavoratrici ed ai lavoratori permessi e congedi per malattie dei figli, per lutto, per
problemi legati ai familiari disabili; analoghe garanzie non sono affatto concesse alle donne
avvocato, che devono recarsi in udienza, inderogabilmente, anche in periodi prossimi al parto.
Ciò a differenza di una qualsiasi lavoratrice dipendente, alla quale, giustamente, la legge vieta
di recarsi al lavoro nei due mesi antecedenti al parto e nei tre mesi successivi (art. 16 e 20 D.
Lgs .151/01).
3. Lo stesso dicasi con riferimento al regolamento della pratica forense, che non prevede
agevolazioni per le praticanti in gravidanza o per i portatori di handicap. Anche per
effettuare questa modifica dovremmo farci promotori.
4. Si potrebbero, inoltre, organizzare incontri, convegni e tavole rotonde a patto che non
rimangano discettazioni teoriche, bensì reali occasioni di lavoro volte alla realizzazione di
cambiamenti concreti. Mi vengono in mente i questionari sui prodotti vita e sulle polizze
malattie fatti sottoscrivere agli utenti da parte delle compagnie assicuratrici: spesso realizzano effetti discriminatori in ragione del sesso o dell’età.
5. Sussiste, infine, la questione delle cosiddette “quote rosa”: il codice delle pari
opportunità, all’art. 56, stabilisce, per quanto riguarda l’accesso al Parlamento Europeo, che
nessuno dei due sessi possa essere rappresentato in misura superiore ai due terzi. Al momento
la prescrizione si riferisce al solo accesso al Parlamento Europeo, ma in futuro potrebbe
estendersi a tutti gli organismi su base elettiva: e quindi anche i nostri Consigli dell’Ordine.
Si potrebbe pertanto proporre una modifica normativa per inserire la presenza femminile
negli enti rappresentativi dell’avvocatura (C.N.F., Cassa forense e Consigli dell’Ordine)
anche se, personalmente, nutro qualche perplessità in proposito. Ritengo, infatti, che
difficilmente si possa imporre per legge l’elezione di un maggior numero di donne se,
contestualmente, non venga attuata una vera e propria trasformazione sociologica.
E’ vero, però, che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 49 del 2003, nel ribadire che
“la finalità di conseguire una parità effettiva tra uomini e donne anche nell’accesso alla rappresentanza elettiva è positivamente apprezzabile dal punto di vista costituzionale”, ha dichiarato non
fondata la questione di legittimità costituzionale di alcune norme dello statuto della regione
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della Valle d’Aosta, in virtù delle quali le liste elettorali devono comprendere –a pena
d’inammissibilità- candidati di entrambi i sessi. Ciò sul presupposto che si tratta di un
vincolo limitato al momento della formazione delle liste, “vincolo che si giustifica pienamente
alla luce della finalità promozionale espressamente perseguita dalla norma statutaria”.
Tutto questo e molto di più potremmo realizzare insieme. Anzitutto contiamoci,
individuiamoci e capiamo in quale misura siamo disposti a collaborare con la Commissione
Pari Opportunità dell’Ordine; poi mettiamoci subito al lavoro: quello che riusciremo a fare
sarà pure una goccia nell’oceano, ma darà il senso del nostro passaggio nell’avvocatura.
avv. Marina Binda
ADVOCACY TRAINING
21 MARZO 2007AVV. CASSIANI
Devo dire che una iniziativa come questa, in un momento del tutto particolare quale è
quello che attraversa l’avvocatura sembra proprio propizia, anzi necessaria. Voi sapete
perfettamente che l’avvocatura si batte già da parecchio tempo, da oltre un anno, per
riaffermare determinati principi ai quali non ritiene di poter rinunciare, laddove invece,
d’altra parte, la si vorrebbe trasformare in attività di carattere commerciale che certamente
è molto lontana da quelle che sono le caratteristiche e anche i motivi di orgoglio che ci
caratterizzano e ci uniscono. Noi abbiamo protestato e abbiamo proposto, abbiamo
avanzato delle proposte, soprattutto abbiamo elaborato dei progetti di riforma dell’ordinamento professionale che sono allo studio e che speriamo vengano recepiti. C’è direi un
partito trasversale che vorrebbe, che ancora crede all’avvocatura e che non è costituito
soltanto da avvocati parlamentari ma anche da parlamentari i quali sanno, capiscono, e non
ci vuole neanche molto a farlo, che non si può confondere l’avvocato col commerciante, che
l’avvocatura significa manifestazione attraverso l’esercizio della professione del diritto di
difesa, di quello che sancisce l’art. 24 come diritto inviolabile. Non esiste possibilità di
esercitare il diritto di difesa e di beneficiarne da parte del cittadino se non attraverso
l’avvocato. Dal che la definizione dell’avvocatura come professione di carattere intellettuale, con contenuti di natura strettamente o prevalentemente pubblicistica. Però oltre questo
io credo che si debba fare qualcosa di più, oltre che i progetti, oltre che le previsioni oppure
i programmi io credo si debba dare una risposta di carattere pratico, a chi ci fronteggia così
come dicevo noi dobbiamo dare una risposta che credo che possa essere soltanto individuata
o individuabile in una maggiore, sempre maggiore preparazione, sempre maggiore professionalità degli avvocati.
E’ l’unico modo che abbiamo, ed è la ragione per la quale organizziamo continuamente
(parlo del Consiglio dell’Ordine ma parlo anche delle associazioni) corsi, organizziamo
momenti di approfondimento. Noi dobbiamo rispondere dimostrando che siamo professionalmente sempre più preparati e, anche da un punto di vista deontologico, sempre più
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propensi a rispecchiare quelle caratteristiche che costituiscono motivo di orgoglio.
E vengo ovviamente all’argomento di oggi, fare l’avvocato non significa ovviamente
soltanto approfondire i testi, non soltanto avere una preparazione di carattere tecnico,
significa presentarsi a una certa maniera, nelle occasioni in cui si esce allo scoperto e si entra
in contatto anche con le altre componenti del processo, parlo dei magistrati ma parlo anche
dei cittadini che si affidano alle nostre cure. Non può essere affidato, non può costituire
bagaglio del singolo avvocato il comportamento, ci deve essere una guida, ci deve essere una
possibilità di raggiungere una qualche uniformità nel rappresentarsi nei termini in cui siamo
tenuti ad essere sul piano deontologico, sul piano estetico, anche sul piano estetico, onde
evitare quello che poi avviene qualche volta, noi giudichiamo male certi magistrati che si
comportano in maniera irrispettosa per l’avvocatura, ma se pretendiamo che avvenga anche
il contrario, dobbiamo essere degni, e qualche volta nelle aule, anche da parte nostra, questo
modo di presentarsi, tale da destare, da imporre il rispetto dei magistrati non c’è. Il corso che
dovrebbe seguire poi a questa presentazione che oggi verrà fatta, si dice di training ma poi
in realtà di preparazione ad un metodo e ad un modo di concepire l’essere avvocato anche
nelle manifestazioni esteriori, quotidiane, io credo che sia veramente indispensabile. Paolo
Iorio me ne ha parlato parecchie volte, nei corridoi, nelle aule, e a me, che non conoscevo
poi determinate cose, ha spiegato che in altri paesi questo viene fatto. Si fanno delle
simulazioni di udienze, in maniera che l’avvocato sappia poi anche come contenere il
proprio eloquio, come rapportarsi nei confronti dei magistrati o dei colleghi. Tutte cose che
noi facciamo in maniera sporadica nel corso di altre manifestazioni ma come parte
marginale, come optional si direbbe, laddove invece deve e può – e questo oggi ce lo
spiegheranno i colleghi – può costituire argomento di insegnamento che porti ad avere uno
stile uniforme valido per tutti, che poi ha un contenuto per certi versi di natura deontologica,
per altri anche di natura sostanziale perché la condizione dell’udienza, io mi occupo di
penale ma credo che questo valga anche per i civilisti, impone determinate regole che il
codice nella sua freddezza non riesce ovviamente a dare, soprattutto a chi avendo una certa
età (e mi riferisco ai miei coetanei o comunque agli avvocati che hanno vissuto l’esperienza
del codice fino al 1989, non hanno avuto la capacità di assorbire poi uno stile che era imposto
dal processo accusatorio e da un nuovo rito, che per noi è stata una novità. Io dico sempre
che per i giovani che hanno iniziato a esercitare la professione dopo l’entrata in vigore di
questo nuovo codice (parlo ovviamente del penale) è stato più facile, perché era l’unico
modo, e quindi anche il modo più congeniale. Per noi veramente è stato un problema non
avere quello che oggi si dà, un discorso quale è quello che costituisce l’oggetto di questo
incontro di oggi e che io auspico possa essere poi sviluppato attraverso, tu parlavi di full
immersion, un corso, sia pure ristretto in termini limitati, ma molto approfondito su tutti
quanti gli aspetti di questo argomento che dicevo oggi ci vede presenti in quest’aula. Io mi
metto da parte per ascoltare perché ho bisogno di apprendere quanto voi e forse ancora più
di voi per quello che dicevo. Mi metto da parte con la curiosità di chi ha ancora da
apprendere, malgrado l’età, e con l’interesse di chi, rivestendo una carica che comporta
anche delle responsabilità, ritiene che qualunque contributo, soprattutto quelli di questa
importanza, qualunque contributo al miglioramento dell’avvocatura, del modo di essere
avvocati, del modo di presentarsi in un momento in cui, ribadisco, dobbiamo presentarci
nel migliore dei modi perché ci guardano e sono pronti a giudicarci male, e sono pronti ad
approfittare di qualsiasi sbaglio nel nostro comportamento, in un momento di questo genere
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qualsiasi contributo è un motivo di orgoglio per il consiglio dell’ordine, che dà il suo
patrocinio, ed è un motivo di soddisfazione per chi ha il dovere ma anche l’interesse, di
carattere morale, profondo, ad una visione di un’avvocatura del futuro che sia migliore, se
possibile, di quella che è stata finora. Io auspico un miglioramento delle capacità della
preparazione e quindi, di converso, del rispetto che l’avvocatura ha sempre meritato e che
a mio avviso deve da oggi non aspettarsi ma deve guadagnarsi. Finora era un dato di fatto,
l’avvocato pensava di aver diritto ad un futuro e di avere diritto a determinate manifestazioni,
oggi ce lo dobbiamo guadagnare. Non so se sono chiaro, ma io sono profondamente
convinto di questo. In questa maniera sentiamo e vediamo un attimino cosa possiamo fare
e che cosa c’è, non nel nostro comportamento come singoli che non va, ma nel comportamento in genere degli avvocati che non possono dirsi né esenti da critiche né incapaci di
valutare anche gli aspetti che meritano un qualche approfondimento e un qualche
miglioramento. Auguro a tutti buon ascolto e ringrazio tantissimo Paolo, i colleghi, i relatori
che non nomino ma che certamente danno un grosso contributo.
Paolo Iorio
Grazie all’avvocato Alessandro Cassiani, lui è un vero avvocato oltre ad essere presidente
del Consiglio dell’Ordine, quindi un grazie alla sua persona e un grazie al Consiglio
dell’Ordine. Ovviamente ringraziamo anche la Cassa Nazionale che ha dato la possibilità
di questa riunione e tutti quelli dello staff del Consiglio dell’Ordine. L’avvocato Cassiani,
dovete sapere, è uno dei pochi avvocati che ho visto continuare a fare l’avvocato anche
quando è stato eletto. Io mi auguro, perché lui conosce i problemi all’interno del tribunale,
quindi non sta seduto lì nel consiglio dell’ordine per il biennio, come tanti altri hanno fatto,
lui con la sua borsa piena di processi continua a fare l’avvocato, e quindi conosce, è sensibile
a queste cose. Ecco perché merita tutto il nostro rispetto e la nostra devozione.
Voglio subito dire che sono un po’ deluso, devo dire, perché i manifesti ne sono stati
messi tanti nei tribunali, ho visto anche in Corte d’Appello, un po’ dappertutto, sono un
po’ deluso perché pensavo che questa disciplina attraesse un po’ l’attenzione di tutti quanti
i nostri colleghi e che ora vi andiamo ad ire che cosa è invece di parlarvi sempre di reato
continuato, di risoluzioni di contratti. Sono cose che abbiamo imparato all’università, noi
ora dobbiamo certamente imparare a fare gli avvocati nella società, cercare di cambiare il
nostro standard, come lo fanno in tanti paesi del Nord Europa. A me danno l’appellativo
di Voltaire, che guardo sempre al Regno Unito, ma io vi devo dire che la giustizia lì funziona
in modo un po’ diverso. Oscar Del Fabbro è un barrister, certamente non è che fa caffè o
cappuccini, lui appartiene a quella categoria di avvocati, ve lo spiegherà lui, gli avvocati nel
Regno Unito sono divisi tra i barristers e i solicitor, Oliver Charlotte è una nostra collega ed
è un solicitor, Oscar Del Fabbro in effetti è nominato in quel paese sempre dai solicitor. Il
solicitor è l’avvocato notaio, il solicitor fa tutto, fa le società, difende, incontra il cliente
immediatamente, e da poco vi devo dire i solicitor hanno avuto accesso anche alle corti
superiori, alcuni di loro perché loro sono circa 150 mila, ora hanno avuto questo diritto di
difendere e qualcuno di loro anche davanti alle corti superiori. I barrister sono degli avvocati
nominati dai solicitor per studiare e ricevono delle istruzioni, li chiamano, c’è un principio
nel Regno Unito, della fila dei taxi, cioè il barrister sta lì e viene chiamato, accusa e difende,
perché lì non ci sono i magistrati dell’accusa, accusa e difende, quindi viene chiamato, viene
pagato, certo non tratta lui degli onorari, ci sarà il suo impiegato perché il barrister non si
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deve interessare nemmeno di queste cose. E’ una giustizia organizzata, come tutte le
istituzioni nel Regno Unito, sulla fragmentazione, ognuno fa il suo proprio compito, ed
ognuno partecipa, con quello spirito di solidarietà con il quale hanno vinto tante guerre, ed
è divenuto, questo spirito, nella loro vita abitudinaria, di collaborare, di cooperare. Questa
è una cosa da tenere in considerazione, ecco perché progetti di questo tipo funzionano,
perché tutti quanti cooperano, sono precisi, sono sempre in time, quando c’è una cosa
bisogna venire tutti allo stesso momento perché altrimenti poi c’è uno sfalsamento, c’è un
ritardo, ci sono i ritardi, perché tanti piccoli ritardi creano proprio gli anni, i mesi di ritardi.
Questi sono alcune dei principi sui quali è basata la giustizia anglosassone. E devo dire questa
metodologia io l’ho rubata, perché dopo tanti anni che sono andato in questi paesi ho visto
tante cose, certo noi l’abbiamo rubata con il codice dell’89, abbiamo importato, diciamo
pure che abbiamo fatto un piccolo disastro nella nostra giustizia penale perché effettivamente non è decollata. E uno dei motivi per cui il processo penale non è decollato è proprio
questo: quello di non aver fatto esercizi, training come questo qui dell’Advocacy, non aver
fatto tante cose per organizzare il caso, organizzare la corte, organizzare il singolo
procedimento perché sono la base. E’ vero che in un sistema anglosassone c’è il principio
della discrezionalità dell’azione penale, ma questo principio della discrezionalità c’è nel 99%
dei paesi nel mondo, su 194 paesi sovrani 193 hanno la discrezionalità dell’azione penale,
più o meno. Certo se parlate di discrezionalità dell’azione penale nel nostro paese tutti si
stracciano i vestiti e cominciano di riempirli di contumelie pensando che qualcuno è amico
del giaguaro, ma certamente noi dobbiamo far funzionare un processo civile e penale, ed è
veramente vergognoso che un processo duri, anche secondo me, 4-5 anni. Ma noi siamo
abituati a tempi di 8-9 anni. Perché? Perché non si fa un case management, non si dice questo
processo deve finire in un tempo definito. Questa è altra cosa, altro argomenti. Questi corsi, questa
Advocacy, come non so se avete letto nel sito internet, questa Advocacy è stata creata ma
non è che è stata creata perché l’ha fatto uscire dal cappello, l’ha organizzato, l’ha suggerito
e immediatamente soprattutto quei paesi di common law lo hanno assimilato e ne hanno
creato una condizione indispensabile per l’accesso alla Corte. E’ stata creata, più di 30 anni
fa, da un australiano, che non è quello che salta dei canguri, lui era un giudice, un giudice
dell’alta corte, alla fine ha abbandonato e alla fine ha addirittura una università di Advocacy,
a 20 km. da Monach, nell’Australia. Aveva in effetti, come sempre, visto qual è il motivo per
cui ci sono i ritardi, ci sono le disorganizzazioni, forse anche in Inghilterra 20 anni fa erano
un po’ disorganizzati, certo mai quanto noi, però alla fine hanno pensato di creare questo
modello per dare al singolo operatore della giustizia e al caso, migliorare i tre criteri che fanno
camminare questo vagone della giustizia, che sono l’organizzazione, l’etica e la professionalità. Hanno operato su questi tre punti: organizzazione, etica e professionalità. Questo
giudice che si chiama George Hanton, lo ha diffuso questo metodo, che è un metodo
semplice, che ora vi andremo ad illustrare, e ne ha creato una metodologia, secondo alcuni
criteri, che può essere applicato ai giovani avvocati o anche agli avvocati con anni di
esperienza e viene sempre utilizzato, è uno strumento, essendo una metodologia, è uno
strumento che cerca di ottenere dei risultati in ogni momento della professione. Quindi
all’inizio certamente sarà un full immersion, come diceva Alessandro Cassiani, all’inizio
verrà fatto un corso di un certo periodo di tempo, ma può essere anche sempre utilizzato per
aggiornamenti, per nuove leggi che esistono, sempre però basato su questo criterio della
simulazione. Quindi questi corsi, che oramai sono anche previsti dal legislazione regolamen-
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tare, non vi dimenticare che c’è la seduta del Consiglio Nazionale Forense del gennaio di
quest’anno, dove ha imposto che tutti gli avvocati iscritti tutti indistintamente siano soggetti
a degli aggiornamenti. Certo questo legislatore, chiamiamolo così, del consiglio nazionale
forense, ha dato delle indicazioni, però sempre basate purtroppo su quel principio della
nostra storia inquisitoria basata sul seminar, sul fatto che qualcuno deve fare una lezione.
Non le ha escluse certamente anche queste cose, come non ha escluso nemmeno attività
didattiche, e quindi questo è uno strumento che potrebbe essere utilizzato per questa
decisione del consiglio nazionale forense, per fare aggiornamenti. Perché la simulazione e
perché noi siamo contrari ai tipi di aggiornamenti sabati sul Seminar. Credo che ogni
studente universitario, ogni avvocato, quando riesce in quel momento magico della sua vita
a prendere quel titolo, non ne può più di andare all’università e di sentire sempre parlare,
qualcuno dal pulpito, ma vedete questo è anche un tipo di formazione molto clericale io
oserei dire, non sono un anticlericale però pensate sempre questo pulpito di questo bancone
dove le persone parlano del contratto, della procedura penale, gli altri che sentono e non
osservano nulla. E’ un tipo di istruzione, come vedete in questo piccolo disegnino, che è
passiva, è totalmente passiva. Di queste persone, di questi che fanno parte di questa audience,
che ascoltano questo signore, che saranno forse 40, ma potrebbero essere 100, 200, come noi
li abbiamo visti nelle scuole forensi, centinaia di persone, o le preparazioni anche dei
magistrati, abbiamo un rappresentante dell’organo giudiziario, dell’organo giurisdizionale,
c’è un giudice, anche lì la stessa cosa, la preparazione dei corsi di Galli sono basati su questo
principio clericale della formazione passiva, dove la persona parla e gli altri ascoltano, ma
forse soltanto questi sei della prima fila hanno percepito qualche cosa. E loro ascoltano e
sono intimiditi e non osservano nulla, ma questo per un fatto di vergogna, perché nessuno
mai alzerà la mano per chieder “io non ho capito qual è la differenza tra reato continuato
e concorso formale. Non lo diranno mai perché hanno vergogna. Questo George Hamton
che cosa pensò? Pensò che la migliore formazione è quella dei gruppi, dove in effetti questo
momento della vergogna viene ad essere cancellato perché, con tre persone si familiarizza
in modo più intimo, molto più stretto, e a quello, quel gruppo di 3-4 persone posso anche
confidare, io, di non aver capito quali sono i termini di prescrizione di un reato. Lo posso
dire, perché in questa formazione si apprende di tutto. Si apprende ad organizzare il proprio
lavoro, ad acquistare professionalità e a rispettare l’etica, che forse è uno dei pilastri dove è
basata la professione, l’etica, questo concetto filosofico che è nato 2.000 anni fa ma nella
nostra professione l’abbiamo quasi dimenticata, ora sta quasi un po’ riemergendo negli
ultimi 20 anni ma dovrebbe essere messo prima della competenza professionale.
In questo piccolo gruppo di persone si discuterà di tutto, certamente ognuno di loro
riceverà questo caso finto perché alla base di questo costo di formazione ci vogliono dei casi
finti, che sia un caso di civile, un caso di penale, un caso di amministrativo, dove ognuno,
nell’ambito di un procedimento, svolge un ruolo. Ora la cosa importante non è raggiungere,
da una mentalità inquisitoria che abbiamo immediatamente noi cerchiamo la soluzione,
perché pensiamo che la finalità del nostro lavoro di avvocati è quella di trovare il risultato.
La differenza proprio tra il nostro ordinamento e quello di common law, forse, è che noi
dobbiamo trovare un risultato che sia l’unico, il migliore, perché così è stato sempre detto,
mentre nei paesi di common law quello che è importante è il comportamento. Infatti noi
non abbiamo responsabilità se perdiamo un processo, noi abbiamo responsabilità se
manchiamo nel comportamento, è l’unica cosa che la legge, l’etica ci penalizza, solo il
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comportamento, e le finalità di questo tipo di gioco, perché alla fine è un gioco, sono quelle
di imparare a utilizzare le disposizioni legislative, imparare a comportarsi in un certo modo
e a organizzare il proprio procedimento. In effetti all’inizio del corso, di questo corso che
può essere di 7 giorni o di 2 giorni, ognuno dei partecipanti riceve il caso intero, con dei
personaggi, casi che sono stati addirittura sottoposti al copyright, ma ce li possiamo
inventare anche noi. Il centro di formazione nazionale negli Stati Uniti, che si chiama Nita,
che è l’istituto nazionale, Nationation Istitute for .... Advocacy, loro hanno questi casi che
sono sottoposti a copyright, quelli americani, sono casi di una semplicità unica, che vengono
anche da loro utilizzato perché se non si fa tante ore di advocacy non si ha l’accesso alla
professione, e anche loro hanno questa regola di alcune ore. Vedete che noi ogni tanto
copiamo, se voi vedete la decisione della seduta del CNF anche loro dicono tante ore, ma
non parlo di advocacy perché non lo sanno, anche se cinque anni fa abbiamo portato questo
strumento in Italia e il Consiglio Nazionale Forense non ha capito molto che cosa era. Certo
forse qualcuno poteva perdere la sedia, la poltrona per parlare, per avere 300 persone che lo
ascoltavano, perché questo tipo di metodologia è basato non più su una persona che parla
e gli altri che ascoltano ma su ognuno che deve fare il suo proprio ruolo. Quindi una volta
individuate queste persone, questo ruolo che non è un ruolo fisso di ogni caso, vi spiego se
c’è un processo penale questo qui, che chiamiamo caso A, questo signore farà il prosecutor,
questo signore farà il giudice, questo signore farà la difesa e questi signori faranno un
testimone e un avvocato, come procedimento penale, in procedimento civile ci può essere
il giudice, la moglie il marito e due avvocati. In un contratto ci può essere il venditore,
l’acquirente, forse l’interventore e quindi i due avvocati. Questo ruolo non è un ruolo fisso
che ognuno deve fare, il ruolo viene svolto, vengono fatte delle prove continue, questo
signore che fa il procuratore farà una prova di due minuti forse, per esempio per presentare
il suo caso, la sua accusa. Guardate che due minuti sono tanti, perché sembrano pochi ma
sono tanti. Una volta svolto il suo ruolo questo signore se ne va in una stanza con una
videocassetta, perché ognuno di loro riceve una videocassetta. La videocassetta dove è
impresso lo svolgimento per esempio della sua presentazione della relazione iniziale, oppure
per esempio se ha interrogato un testimone per più minuti ha fatto un esame in via
principale, un examination .... L’ha fatto per esempio per due minuti, questo signore si ritira
nella sua stanza e si rivede da solo, può anche chiamare forse un tutor ma per lo più gli esseri
umani hanno vergogna di se stessi, quindi se ne va da solo in una stanza e si vede. E vede
soltanto l’aspetto comportamentale, cioè lì vedrà, come faccio io ora che mi tocco le mani,
oppure che fa rumore, oppure che si gratta in testa, che una cosa potrebbe essere scomposta,
come potrebbe prendere l’attenzione perché sarà lui stesso a vedere dove, durante i due
minuti ha preso l’attenzione oppure ha inceppato con la bocca, o gli è uscita forse qualche
cosa strana oppure ha preso delle carte eccetera, quindi fa la c.d. autocritica, mentre il suo
posto è preso da quest’altro signore, e che farà la stessa cosa che prima forse aveva fatto il
testimone o era stato interrogato come accusato, o aveva fatto il semplice giudice. Questo
signore durante la sua esecuzione di autocritica ritornerà, mentre ha fatto l’esecuzione l’altro
partecipante, ritornerà forse a fare il ruolo dell’accusa.
Vi ripeto, il risultato non è importante, perché certamente una cosa dovrebbero essere
uguali come comportarsi però anche dal punto di vista della posizione sostanziale e
processuale, questo signore svolgerà il suo ruolo nelle vesti dell’avvocato difensore dove
prima ha fatto il procuratore. Non è che sia difficile perché noi siamo dei giuristi, siamo dei
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medici del diritto. Il caso dove c’è la imputazione del 624 e 625, qualcuno potrebbe dire c’è
un’imputazione di ricettazione. sono valutazioni che si fanno nell’ambito della valutazione
di un caso dell’esame, dell’esame iniziale forse, quello che si chiama l’analisi del caso,
inizialmente prima di iniziare queste esercitazioni si diceva questo fascicolo e si fanno anche
delle valutazioni, da solo, per poter fare l’accusa, la difesa, il giudice, l’imputato, il testimone.
E questo vale anche per il procedimento civile, dove forse si è fatto ricorso per separazione,
per divorzio, e così si può fare l’una o l’altra parte. Vi ripeto, la finalità non è importante,
è importante sapersi comportare. E’ vero che il procedimento civile in Italia, non solo in
Italia, in tanti paesi del mondo, è per lo più orale. Però è anche vero che ci sono, i giudici
ve lo possono dire, anche i giudici civili, i quali certo sono più tecnici, c’è il principio della
prova legale, c’è più matematicità nel procedimento civile, però sono sempre colpiti dallo
stile, dallo standard, da come apri la bocca, da come ti comporti, da come vedi gli altri clienti,
come accedi, il primo passo che si fa in aula sicuramente il giudice già ti ha fotografato. Come
ti hanno fotografato gli altri colleghi, ti hanno fotografato le parti, i colleghi, anche i propri
clienti, perchè tutta questa metodologia che è articolata per giorni se si fa un corso di full
immersion, si cerca di intervenire in tutte le diverse componenti, infatti ci saranno delle
riunioni con i clienti, c’è una sessione per conoscere come l’avvocato si comporta con il
cliente, perché al cliente non si può dire tu sei un delinquente, tu devi dare i soldi, non si
può dire all’altra parte, quando si riceve la telefonata, vogliamo chiudere? vogliamo fare
mediation di questo caso in sede civile? Dice, no non voglio fare niente. Si diventa padroni
del fascicolo. Il grande sbaglio che commettono anche i procuratori è che diventano padroni
del fascicoli. L’avvocato deve essere indipendente, non deve mai essere assolutamente
comprato, corrotto, perché esiste anche una corruzione dell’avvocato. Quante volte noi, lo
possiamo dire, siamo andati a contatto con i criminali, i grossi criminali che ci hanno voluto
comprare, certo forse al sud dell’Italia questo problema non lo so come lo risolvono, però
anche lì forse esistono persone, si deve rompere questa lobby terribile di omertà. Bisogna far
capire a tutti i criminali, ai giudici, ai procuratori, che l’avvocato è indipendente, gli inglesi
dicono noi abbiamo l’indipendenza della magistratura perchè gli avvocati sono indipendenti, quando tutti i giudici sono tutti ex barrister. Oggi vengono nominati anche solicitor,
quindi questo è il criterio, non c’è bisogno di fare disciplina, altre cose, non c’è bisogno di
nulla, anche se lì esiste, perché anche lì esiste, perché anche lì esistono comportamenti
contro l’etica, contro il modus vivendi. Però per lo più il legislatore regolamentare,
chiamiamolo così, i consigli dell’ordine, il Bar Council, interviene inizialmente per poter
formare questi avvocati. Pensate un po’ che nel Regno Unito, quando fanno questi corsi a
settembre, dove Oscar Del Fabbro spesso va a fare l’insegnante, dove vanno tutti, anche i
giudici, si riuniscono tutti quanti, ecco perché è interessante questa metodologia, a mio
avviso, per stemperare anche dei grossi problemi che esistono oggi in Italia, anche se c’è una
storia diversa, la storia dell’avvocatura e della giustizia italiana, il problema della divisione
delle carriere, perché questi corsi bisognerebbe farli insieme ai magistrati, che sono i nostri
colleghi i magistrati, ma questo è frutto della storia, del fatto che in questo paese c’è sempre
uno migliore dell’altro, uno che ha più soldi dell’altro. Questa è una cosa che deve
scomparire, almeno nell’amministrazione della giustizia, perché noi siamo i medici del
diritto, noi come i magistrati sono i medici del diritto, poi c’è il giudice che potrebbe essere,
noi potremmo essere, sia noi sia i pubblici ministeri i medici di famiglia del malato, del
paziente, di quello che è stato trovato forse con una ricettazione, con una infiammazione
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e poi vai a scoprire che è una alterazione limitata del sangue, che un 712 non è una rapina
ma è un 392. Dico questo perché i penalisti lo sanno quando c’è un caso, una cartella clinica
che arriva, che si chiama decreto di citazione a giudizio, questa cartella clinica parla di tutte
queste cose terribili, queste malattie insanabili, poi vai a vedere, si va in sala operatoria,
quando inizia questo processo con tutte le analisi, alla fine si scopre che là c’era una piccola
alterazione dei globuli bianchi e alla fine c’è il proscoglimento, quindi si chiude il caso.
Questo nostro lavoro è di tutti e lo si impara insieme in questi corsi. Pensate che nel
Regno Unito, quando fanno questi corsi, una cosa veramente sconvolgente, prendono
questi ragazzi che vanno lì entusiasti, ad Oxford, le università mettono a disposizione tutte
le strutture, dopo sei giorni dove si è mangiato insieme, si è studiato, ogni tanto c’è la riunione
plenaria, dove si fanno questi esercizi continui e ogni due minuti entrano ed escono da una
stanza con la videocassetta, alla fine della settimana questi che fanno? Vanno per la strada
alle otto e mezzo del mattino e le persone che il sabato mattina non hanno nulla da fare dice
“tu che stai facendo?” dice “io sto passeggiando”, “vuoi venire due tre ore? Vieni a fare il
giurato, ti pago come è pagato il giurato”. Questi sono giovani avvocati, hanno bisogno di
fare un esercizio perché alla fine presenteranno un caso. Quindi li chiamano, dice “però non
parlare all’ora di pranzo con gli avvocati perché dovete fare i veri giurati. E’ tutto finto”. In
effetti questa è la dimostrazione di come è organizzata la società inglese, dove è tutto finto,
non esiste niente. Pensate l’Inghilterra non ha niente come materia prima, ed ogni giorno
fissa il prezzo dell’oro, è un paese basato sulla finzione, però ha mantenuto la storia, certo
le guerre le hanno fatte, ma le hanno fatte pure con i carri armati di carta, non ce lo
dimentichiamo, il popolo inglese è fatto così. Ogni tanto per la strada vedi un cartellone che
non capisci che cosa è ed un gioco di parole per farti capire “stai attento, non portare il tuo
cane che fa la cosa per la strada perché sporca la strada”. E che cosa è quello? Un segnale di
divieto. Una cosa ridicola, però ti colpisce l’attenzione e te la colpiscono anche con questi
corsi di formazione, basato sulla finzione. Quei giurati faranno i giurati dove questi ragazzi
dopo una settimana hanno lavorato sul caso, presentano il caso perché si sono esercitati tutto
il tempo e alla fine i giurati fanno il proprio verdetto. Quindi è tutto un gioco, è basato sulla
finzione, è basato sulla simulazione. Questo è un po’ come viene articolato questo corso di
Advocacy. Certo si può fare anche per due giorni, quando c’è una legge nuova che esce si
riuniscono e fanno i piccoli corsi di un giorno, due giorni, si organizzano immediatamente
per poter anche parlare, esprimere una opinione, un avviso e osservazioni sulla nuova legge.
Quindi c’è, come vedete, si coltiva sia l’etica, tutti questi aspetti. Voglio interrompere per
dare la parola a Oscar Del Fabbro, il quale vi parlerà un po’ della sua esperienza. La nostra
finalità ora è quella di, Oscar vi parlerà un po’ di queste cose e poi Charlotte vi illustrerà anche
qual è il suo modo di vedere. Dopo di che potremmo fare anche delle esercitazioni perché
così si capisce, immediatamente si capisce come questa metodologia interviene immediatamente e migliora immediatamente un modo di pensare e un modo di comportarsi, però vi
preghiamo di essere solidali e di non farci parlare, però di intervenire direttamente a far parte
di questo meeting. Grazie.
Oscar Del Fabbro
Carissimi colleghi, signor Presidente, io ho un gran senso di dejà vu, per usare una parola
classica francese, perché io mi ricordo 5 o 6 anni fa, forse più, gli stessi discorsi in una riunione
come questa, con tanti colleghi, tutti giovani, tutti entusiasti, tutti molto positivi in questa
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idea che la professione stessa si prende alle sue spalle il compito di creare delle formazioni
e delle preparazioni dei giovani avvocati. E c’era un grande entusiasmo dopo tanti discorsi
durante una lunga sessione di questo tipo. Mi dispiace dire che purtroppo la professione non
era in quel momento disponibile, purtroppo come si vede siamo arrivati al punto dove la
regola adesso viene imposta. A quel tempo, mi ricordo, il dibattito era basato su questa teoria,
che se la professione stessa non si prende alle sue spalle l’idea che deve darsi una formazione
più adeguata, più rilevante alla professione moderna, purtroppo prima o dopo verrà imposta.
Per noi è successo 12 anni fa, forse anche 15 anni fa, e ci siamo resi conto che se l’ordine degli
avvocati inglesi non mettevano le cose per bene, prima o dopo un governo o l’altro avrebbe
avuto l’intenzione di imporre delle regole per la professione.
Ci siamo resi conto che questo sarebbe stata la peggior cosa immaginabile, perché solo
la professione stessa si può rendere conto dell’importanza dell’etica, della deontologia, di
tutte queste cose che creano una professione, una professione vera. E per questa ragione
l’ordine di cui faccio parte, Bar Council, hanno deciso 12 anni fa di creare un sistema dove
l’ordine stesso avrebbe imposto obbligatoriamente, specialmente per i giovani, un regime
dove entro tre anni dovevano fare certe ore di preparazione. Questa era una evoluzione
perché prima di questo momento l’avvocato inglese si immaginava che aveva questo dono
di Dio, che era un esperto sulla legge e poteva innanzitutto poteva parlare, poteva discutere,
poteva fare tutte queste cose, però la realtà era che questa era un’altra di queste fiction, una
fiction di cui parlava Paolo perché in realtà è ridicola la proposta che uno ha questo dono
che può discutere, fare l’avvocato, perché anche il musicista, che ha questo dono di poter
suonare uno strumento è logico se questo studente non ha la possibilità di formare la
capacità di suonare questo strumento e di evolvere questo dono è logico che non arriverà
mai ai livelli di un professionista. Devo dire anche ci sono stati grandi dibattiti perché certi
nell’Ordine dicevano “no, questo è assurdo, noi non abbiamo la necessità di dover fare
questi corsi. Perché bisogna fare questi corsi?” Non si sa cosa vuol dire l’advocacy, addirittura
questo è il nostro compito, noi siamo cresciuti sotto questo sistema, però ci siamo resi conto
che come tutte le capacità, capacità universali, in tutte le professioni il compito dell’Ordine
è quello di creare la formazione, la preparazione di queste capacità. Tutte le professioni lo
fanno, i medici devono farlo, addirittura anche i comandanti degli aerei devono farlo,
regolarmente, addirittura quasi ogni mese devono fare tante ore di training su questi
simulatori. Perché l’avvocato deve essere diverso? Purtroppo ci siamo resi conto, per fortuna
ci siamo resi conto perché abbiamo evitato, fino ad ora, questa regola che ci impone di fare
certe ore. Però devo dire, i governi essendo quello che sono, l’esecutivo si può dire per non
dare la colpa a un governo o l’altro, l’esecutivo cerca sempre di mantenere un controllo sulle
professioni. I controlli sono giustificati perché dicono alla fine dei conti, dobbiamo essere
sicuri che la professione ha la fiducia del pubblico, come ha detto il signor Presidente un
momento fa. Chi di noi avrebbe fiducia in un medico che non ha fatto dei corsi di
aggiornamento, e così perché dovrebbe avere fiducia un cliente di un avvocato, magari dare
in mano a un avvocato tutta la sua libertà, o qualcosa di così prezioso, a uno che non ha
aggiornamento, è una cosa assurda pensare che questo è possibile al giorno d’oggi. In ogni
modo in questi ultimi anni, come dico, ci siamo resi conto di questo e abbiamo cercato di
creare dei corsi di formazione ideati dalla professione, per la professione stessa. Ci è voluto
un po’ di tempo per trovare la maniera in cui la metodologia in cui si potrebbe insegnare a
questi giovani avvocati, non il diritto sostanziale, perché questa è già una cosa che l’avvocato
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che arriva da noi ha già la laurea, si accetta il fatto che questo è un giovane avvocato, che
è già arrivato a un certo livello di conoscenza della legge. Qui si parla di skill traning, capacità
(dico giusto?)
Questo sarebbe stato il primo problema. Abbiamo risolto questo problema, con questa
idea che i giovani avvocati dovevano fare un certo numero di ore entro i primi tre anni. Però
sempre con l’oppressione, con l’idea che se la professione stessa non si creava per sé l’idea
di formazione sarebbe stata imposta, l’Ordine ha deciso di creare un obbligo per tutti gli
avvocati, non solo i giovani. E’ così evoluta questa idea della formazione continua, si chiama
continuing professional development e questo è per tutti. Vuol dire che anche il più anziano
avvocato al giorno d’oggi deve fare certe ore di CPD e se non le fa purtroppo il certificato
non viene rilasciato nell’anno prossimo e rimane purtroppo escluso dalla professione,
escluso anche per il fatto che non può assicurarsi, non so se sapete che da noi esiste l’obbligo
di assicurazione professionale. Allora volevo dire quattro parole per dire, arriverò a questo
corso particolare dell’Advocacy, lasciatemi un momento spiegare un po’ in termini generali
i tipi di training che esistono per un giovane barristar. Penso di aver spiegato un po’ perché
era necessario, però vi devo dire che il problema è che da noi la concorrenza ormai è da
parecchi ... e la concorrenza viene da tutte le parti, addirittura rimane al giorno d’oggi il
pericolo, dico pericolo perché è un’espressione personale, il pericolo che non-legali possono
infatti praticare come legali, adesso ho in mente per esempio le grosse strutture di
commercialisti di famose strutture come Lloyds (?) consulenti internazionali che spingono
e fanno una grande lobby per avere il diritto di fare l’avvocato, di praticare come avvocati,
e sicuramente esiste anche qui in Italia questa pressione. Fino ad ora siamo a un punto dove
questo non è in realtà possibile ma non si sa mai. La realtà è che in un mercato, in una
economia di mercato, e come esiste in tutta l’Europa, esisterà anche qui in Italia fra poco da
quello che leggo, è anche nel senso che tutto il mondo diventa globale, il pericolo è che se
uno non si aggiorna in questa maniera, se uno non si prepara e se una professione non ha
una formazione adeguata, rimane debole, rimane debole nel senso che arrivano altri
avvocati. Non c’è dubbio che ci sono avvocati, mettiamo inglesi, che non hanno questa
formazione, che sono deboli, vuol dire che un cliente, mettiamo un cliente americano, una
grossa ditta americana preferisce avere un avvocato americano, in Inghilterra. E così
succederà anche qui in Italia, una grossa ditta multinazionale deciderà ma io non voglio un
avvocato italiano, perché? quello non ha la formazione, io preferisco un avvocato inglese,
o un avvocato americano che ha i diritti, che deve avere i diritti perché non ci sono più le
stesse barriere alla professione come erano una volta, infatti sono escluse le barriere adesso
sotto queste nuove regole europee, direttive europee, e anche a livello internazionale, il Gatt,
con tutti quei trattati internazionali. E così ci siamo resi conto che la concorrenza qui è
proprio presente in tutto quello che si fa. Ma poi più importante che altro era questa idea
della confidenza pubblica, public confidence, una delle cose che si sottovalutano perché alla
fine dei conti sono i clienti che contano, noi siamo soltanto operativi ma è il cliente che
conta, per quanto pensiamo che siamo importanti, non siamo importanti perché il cliente
che paga, il cliente che soffre, il cliente che deve subire queste indifferenze professionali. E
poi ci sono le riforme, e questo purtroppo colleghi esiste in tutto il mondo, la regolazione
delle professioni sono sempre sotto il mirino dell’esecutivo, e come io dico, ripeto, è meglio
creare regolazioni volontariamente imposte, perché l’idea di avere regolazioni imposte da
qualcun altro sono un po’ disgustose.
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Arrivano questi giovani avvocati all’Ordine del Bar Council, hanno già completato gli
studi accademici e hanno anche completato un anno di preparazione, un anno di
preparazione che una volta era teoria, però adesso è un corso di un anno basato su soggetti
pratici. Si chiama adesso il Bar Educational Course (?), non so perché usano questo nome
ma l’idea è che il corso non è un corso accademico, è un corso pratico. Allora lì già fanno
un anno di studi su cose come l’etica, procedure, cose abbastanza pratiche per un giovane
avvocato, e arrivano con questo livello minimo di conoscenza delle pratiche, delle
procedure, delle usanze della professione, però prima di poter presentarsi in tribunale, da noi
già di una storia infinita, da 100 anni mettiamo, c’era sempre un periodo di tirocinio. Il
periodo di tirocinio era di dodici mesi però nei secondi sei mesi il giovane avvocato poteva
presentarsi in tribunale come avvocato. Però non esisteva mai un training, una preparazione
per quelle prime volte che l’avvocato si presentava in Tribunale. Io mi ricordo quando ho
cominciato, 20 anni fa, io sono arrivato in Tribunale per la prima volta, forse ero con il mio
master, avevo visto un po’ come faceva lui, però il master era nelle corti superiori, io sono
arrivato in questo primo tribunale, prima istanza, era un esperimento, adesso mi vengono
i brividi a pensare perché questo povero cliente chissà cosa pensava? quello pensava: questo
giovane sì, avrà avuto qualche esperienza? Puoi immaginare se uno pensa a una situazione
medica, mettiamo, uno si sottomette a un intervento chirurgico e questo è la prima volta che
ti tocca, il medico è una cosa spaventosa. Ma questo è quello che succedeva. Allora adesso
con questo nuovo ordine, queste nuove regole professionali questo giovane avvocato avrà
fatto dei corsi obbligatori di Advocacy Training. Fra poco arrivo alla metodologia di questo
traning, ma il training ti prepara appunto per questo momento, vuol dire che la prima volta
che lui entra in un tribunale ha già avuto un’esperienza, anche se è un’esperienza finta,
esperienza finta vuol dire che almeno ha avuto l’esperienza di poter presentare un caso, di
vedersi se stesso come svolgere il compito di avvocato in tribunale, ma più importante per
noi è il fatto che l’avvocato ha avuto l’occasione, tramite questi corsi, di prepararsi come
avvocato, non solo (advocacy da noi vuol dire eloquenza, non parlo solo di eloquenza) io
parlo di tutto l’insieme dell’analisi, studio del caso, come presentarsi, quali elementi sono
positivi, quali elementi sono negativi, tutte queste cose che vengono insieme in un processo
da noi. E così i suoi sbagli uno spera, li ha già commessi durante questi exercises (?)
addirittura ai giovani avvocati noi diciamo sempre durante questi corsi “questo è il vostro
momento per fare tutti gli sbagli che volete fare, è un momento di esperimento. E’ un
esperimento, fateli pure, non avete vergogna perché qui è il momento di poter sfogarti con
tutte le idee che avete.” E’ logico che poi dopo uno si rende conto che certi esperimenti non
valgono la pena, specialmente quando hai un cliente che paga. In ogni modo, siamo arrivati
al punto dove volevo spiegarvi un po’ come ci siamo organizzati, in questo momento vi ho
spiegato che i primi tre anni i praticanti avvocati, all’inizio della professione, entro i tre anni
devono completare 45 ore di professional development, lo chiamo CPD così capite tutto
quello che dico, CPD, sono 45 di CPD obbligatorie, però di quelle 45 ore devono fare un
minimo di 9 ore di advocacy training, minimo 9 ore. Allora sì uno si rende conto
l’importanza dell’Advocacy training quando mette in confronto le altre ore. Nove ore di
advocacy training e un minimo di tre ore di etica. E dopo questi primi tre anni, quando
hanno completato queste 45 ore, ricevono un certificato completo, sarebbe un complete
certificate e di lì in poi devono fare 12 ore ogni anno, e tutti noi, dal più giovane al più
anziano bisogna fare queste 12 ore di CPD. E’ logico che un avvocato con una certa
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esperienza può guadagnarsi queste ore, presentando dei seminari, presentando corsi,
addirittura cerchiamo di convincere gli anziani a partecipare, perché guadagnano due ore
ogni ora che fanno. Ad esempio se presentano una lezione di un’ora guadagnano due ore
perché la presentano.
Ma il compito dell’Ordine è quello di mantenere gli standard di questi corsi, per la
maggior parte l’Ordine stesso non fa i corsi però li delega all’Ordine regionale, li chiamano
circuiti da noi, .... è uno dei circuiti di cui faccio parte, e i circuiti sono ordini regionali. Gli
ordini regionali preparano e creano questi corsi per i membri, per i soci di questo ordine.
In più sono i famosi ... Cours, sarebbero i collegi degli avvocati a Londra, sono 4 collegi,
anche loro fanno la loro parte e offrono questi corsi e in più, al di fuori della professione
stessa, ci sono dei privati che offrono questi corsi, collegi, privati, organizzazioni, però tutti
questi corsi devono essere accreditati, accreditati dall’Ordine stesso per avere valore, se non
sono accreditati allora non possono tenere queste ore. Infatti ho spiegato prima che 12 ore
sono le ore che devono fare tutti gli avvocati, di quelle 12 ore almeno 9 devono essere
accreditate, c’è tutto un ufficio dell’Ordine stesso, consisterà, non so, di 4-5 persone, che
ha l’obbligo di non solo mantenere un registro di tutti questi corsi, però anche di valutare
i corsi e accreditarli. Come vedete non è una cosa semplice di dire andiamo e facciamo queste
cose, tutto viene risolto, ci vuole una disciplina, ci vuole una disciplina professionale, ci
vuole un’organizzazione professionale, in modo da mettere insieme qualcosa che viene
accreditata, così che quando questi famosi politici dell’esecutivo vengono a dire “cosa fate
voialtri?” possiamo dimostrare precisamente quello che si fa, e addirittura abbiamo anche
consulenti esterni che ogni anno fanno un sistema di modulation, che vengono a controllare
il livello dei corsi, se sono a un livello adeguato al compito che cercano di ottenere.
Volevo solo dirvi che di tutti i corsi come vedete l’Advocacy training è uno dei corsi più
importanti, però ce ne sono altri, ci sono per esempio corsi sull’etica, particolarmente
sull’etica dove sempre in questo sistema che vi ha spiegato Paolo, questa è la metodologia.
Il problema di cui ci siamo resi conto tanti anni fa era che l’avvocato è resistente, un avvocato
che ha già avuto un paio di esperienze come avvocato rimane sempre un po’ resistente
all’idea di dover tornare a studiare, non so perché, per noi esiste questa resistenza. L’avvocato
dice “io gli studi li ho già fatti, perché devo continuare a studiare, io voglio fare l’avvocato”.
E’ per questo che il professor Hanton, che infatti ha ottenuto l’idea del Mita, gli americani
come tutto sono sempre i primi a fare queste cose, il professor Hanton ha creato questo
studio su questa metodologia. Questa metodologia è particolarmente adatta per gli avvocati
perché cerca di dare all’avvocato non solo l’idea del training ma dà anche sfogo ai suoi talenti,
non cerchiamo di creare dei clan, non vogliamo avere tutti gli avvocati in squadra come i
tuoi colleghi procuratori cinesi della repubblica, che Paolo lo so, conosce bene, dove si
mettono in uniforme. No, l’idea è che ognuno deve trovarsi il suo sistema di presentazione,
di preparazione e cerchiamo sempre di convincere gli studenti che non è una questione di
imparare come fare l’avvocato ma è una questione di evolversi come avvocato, usando le
esperienze di uno che ha più esperienza. Fra i tanti altri corsi un altro corso che è molto
importante per nuovi praticanti è il corso che fanno su Forensic Accounting, questo sarebbe
sulla contabilità forense. Ci siamo resi conto che nella preparazione di tanti avvocati l’idea
di contabilità proprio non esiste perché non fa parte dei corsi di studio, non fa parte del loro
training, loro hanno cercato di creare questi corsi dove purtroppo sono abbastanza
importanti nella vita di un avvocato, sapere gestire accounting. Perché? Perché esiste anche
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nel processo stesso, sia nel civile sia nel penale, è logico che nel civile la contabilità è
essenziale, capire un po’ i danni, interessi e tutte queste cose. Questo è un altro tipo di corso,
e poi come vi ho spiegato, ci sono tanti altri corsi, per lo più sono corsi tradizionali, nel senso
che c’è un seminar o un work shop dove vengono presentati dei discorsi e poi elaborati con
discussioni, con piccoli interventi e così via.
Vi devo dire che tutta la professione è coinvolta in questo tipo di training. Per esempio
nello studio dove sono io, siamo in 70 in tutto, ogni anno abbiamo sei praticanti, sei peoples,
con noi, ogni anno c’è questo interim e noi stessi facciamo dei corsi particolari per questi
giovani, dove tutti noi in studio ci offriamo per fare questi corsi. Addirittura certi studi si
mettono insieme per fare delle cose insieme. E comincia a quel livello lì, lo studio stesso offre
questi corsi, noi addirittura abbiamo un consulente esterno che viene per tante ore, lo
paghiamo come consulente, è un consulente esperto sul training e lui si crea i corsi e noi li
presentiamo. E questo viene validato come corso dal Bar Council, così che i nostri praticanti
possono dire sì abbiamo fatto 4 ore di così così così
Come vi ho già spiegato poi a livello del collegio di avvocati ci sono altri tipi di corsi a
livello dell’ordine regionale, e poi sono tutti privati. E’ interessante anche vedere un po’
come si è svolto tutto questo training, perché addirittura non esistono solo questi tipi di
seminari, questi tipi di corsi ma addirittura ci sono anche tramite internet, dove uno può
seguire dei corsi usando l’internet, offerto dal Bar Council, dove uno registra quando apre
e così viene registrato il fatto che tu hai visto una presentazione per un’ora, così addirittura
non occorre neanche lasciare la scrivania per stare in studio ... Adesso voglio parlare un po’
su questo tema di Advocacy. Se possiamo concentrarci un po’ sull’advovacy perché da noi
è logico che è molto importante perché come sapete abbiamo un sistema accusatorio, la
tradizione vostra è diversa, inquisitoriale, però vi devo dire l’ordine degli avvocati ha
presentato questi corsi, abbiamo presentato questa idea della metodologia che seguiamo in
Inghilterra in tutte le parti del mondo, anche in giurisdizioni dove esiste un sistema
inquisitoriale. Perché? Perché ci siamo resi conto che la capacità che viene esposta in questi
corsi è una capacità universale, qualsiasi bravo avvocato moderno, in qualsiasi giurisdizione
deve avere queste abilità secondo noi, queste capacità, la capacità di persuadere oralmente,
comunicare oralmente, l’abilità di persuadere o comunicare per iscritto, presentare un
argomento per iscritto è una capacità, di poter creare delle analisi, fattuale e anche legale sul
diritto, creare queste analisi cogenti. Questa è una capacità particolare di un buon avvocato,
l’abilità di poter sviluppare un argomento, un argomento si dice in inglese rising argoment,
motivato, un argomento motivato. Questa è una abilità, e poi l’abilità nostra, particolare, nel
nostro sistema, anche qui in Italia di presentare queste prove sia per iscritto sia oralmente
e presentarle e persuadere. E’ logico che qui si parla adesso del famoso diritto inglese dove
c’è l’examination .... il cross examination, le domande, controdomande, ri-examination. No,
come si fa, esistono anche qui le stesse regole e esistono in altre parti del mondo. E’ logico
che tutte queste abilità, e questa è l’altra cosa di un grande avvocato moderno, è che vengono
presentate in qualsiasi momento durante un processo al più alto livello etico. Come ha
parlato l’avvocato Iorio, l’etica è indispensabile nella nostra professione, se non esiste l’etica
purtroppo non siamo più avvocati.
Volevo dire un’altra cosa, una cosa importante, che l’avvocato Iorio ha accennato,
quando noi presentiamo questi corsi diamo sempre un invito ai giudici, perché i giudici un
po’ perché da noi esiste questo legame fra il giudice e l’avvocato perché i giudici da noi non
sono giudici di carriera, sono giudici che vengono scelti dopo tanti anni di professione,
allora già esiste quel collegamento, però da un punto di vista puramente tecnico l’importan-
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za del giudice è che il giudice è quello che riceve l’argomento dell’avvocato. E chi altro può
essere in una posizione migliore di poter aiutare un giovane avvocato a presentare il suo caso?
E’ il giudice, il giudice che deve ricevere queste informazioni. E così noi cerchiamo sempre
di coinvolgere i giudici, però devo dire una cosa importantissima a Paolo qui in questo
momento: questo sistema non può funzionare senonché tutti quelli che partecipano come,
non voglio usare maestro perché non è un maestro, da noi si chiama “formatore”, usiamo
la parola formatore, chiunque si presenta come formatore a questi corsi deve avere una
preparazione come formatore, perché non tutti gli avvocati sono bravi formatori e non tutti
i formatori sono bravi avvocati. E’ un talento, lo dico sinceramente, perché ho dovuto farlo
anche io, non tutti lo possono fare, anche i più bravi avvocati se non hanno questa abilità
di poter promuovere l’idea dell’advocacy, purtroppo è inutile perché, come dico, il sistema
è basato sul fatto che non è una critica dell’individuo, non deve essere una critica
dell’individuo, addirittura deve essere positivo, nel senso che deve incoraggiare l’individuo
a partecipare innanzitutto in questo dialogo molto ristretto, uno non scappa perché ognuno
deve fare la sua parte, e così bisogna essere molto positivi, però l’idea è che non vuoi creare
un ambiente dove l’individuo, un praticante, si sente criticato. La critica deve essere positiva,
la critica deve cercare di evolvere da questo giovane, evolvere da lui, da lui stesso l’abilità e
la capacità di poter fare l’avvocato. E’ per questo che è importante capire che il formatore
deve essere una persona adatta.
Comincia tipicamente il corso, come vedete, Paolo ha cercato di spiegarvi un po’, una
cosa schematica, i corsi sono vari perché, come dice l’avvocato possono essere un full
immersion come facciamo noi ogni anno, questo sarebbe l’ordine regionale che fa questo
corso, è un corso collegiale si può dire perché tutti devono stare lì, tutti in collegio per una
settimana, tutti sono insieme, mangiano insieme, sono lì in collegio insieme, fanno questi
corsi. Però ci sono anche dei corsi che durano due giorni per esempio, venerdì sera, il sabato,
sono più abbreviati, ma tutti questi corsi seguono questa metodologia, è logico che arrivano
al corso, normalmente noi invitiamo qualcuno importante a parlare, parlare della professione stessa, degli elementi della professione, però il primo work shop, il primo momento
importante sarebbe questa case analysis. Il case analysis è un momento molto importante
nella formazione di un avvocato che forse noi che abbiamo già tanti anni di esperienza ci
siamo dimenticati di quei primi casi, quando uno riceve il primo fascicolo che deve cercare
di capire un poco di cosa si tratta questo processo, cercare di capire quali sono i punti
importanti, quali i meno importanti. Questo viene presentato in un certo stile dove ognuno
che partecipa deve contribuire a questo dibattito per vedere quali sono i punti positivi, quali
sono i negativi e così creare lo studio del caso, così che prima che entrano dentro in questi
piccoli gruppi tutti hanno già nella loro mente l’idea di quello che si tratta, mettiamo un
processo penale, sia quelli che devono fare la parte del pubblico ministero sia quelli che
devono fare la parte del difensore, già c’è questo studio del caso, e questo dura forse un’ora.
E’ interessante vedere come viene fatto perché l’idea è che il formatore deve soltanto
incoraggiare gli studenti, non deve dare la risposta, addirittura deve stare zitto però deve
incoraggiare tutti a descrivere quali sono i punti positivi, quali i negativi.
Arriviamo a questo momento dove gli avvocati si devono presentare in questi piccoli
gruppi. L’idea lì è che si usa questa frase in inglese, adesso non so se si traduce bene ma
learning by doing si dice in inglese, imparare facendo. Ognuno deve fare una parte, deve
presentarsi per quei 6 o 7 minuti, nella presenza di 5, 6, 7 altri, con il formatore. E’ logico
che questo può durare 5 minuti, può durare 7 minuti ma il formatore dà l’opportunità a
questo giovane avvocato, l’opportunità di svolgere un po’ l’argomento sia sul case opening,
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sarebbe la presentazione del caso, o un altro esercizio, crossing examination, delle domande
e controdomande, tipicamente dà 6-7 minuti per dare la change di svolgere un po’ la sua
performance. Ad un certo punto quando il formatore ha capito o ha individuato un punto
critico, un punto sul quale vuole indirizzare l’avvocato, allora lo ferma, e a questo punto
segue questa metodologia, che sembra un po’ strana, sembra un po’ artificiale però quando
uno entra in questo giro uno capisce, è una cosa molto positiva, innanzitutto gli dà l’idea
di cosa è il punto che vuole indirizzare, si chiama head line, tipicamente dice io vorrei parlarti
di un tema, io voglio parlare per esempio sul tema del traffico di Roma. E quello ti guarda,
dice “è impazzito questo formatore”, poi fa il play black, questo è importante, il play black
è quando il formatore mostra allo studente quello che ha detto, e questo è importante perché
qualsiasi formatore deve essere disposto a fare una nota, una nota molto precisa, non delle
risposte che vengono fatte dai testimoni ma delle domande stesse fatte dallo studente. Così
puoi fare un play black e così il formatore può dire: guarda durante il tuo intervento di 56 minuti, tu hai fatto queste domande, gli hai domandato questo, gli hai domandato di
quell’altro, allora già in quel momento lo studente arriva a capire che queste domande erano
di tutte le parti, e così già l’head line si rende conto. A questo punto il formatore spiega il
remedy, il remedy sarebbe come rimediare a queste cose. Allora spiega e dice, il remedy
sarebbe di avere più chiara l’idea di dove parti su questo tema, di avere le domande, un esame
per esempio incrociato, crossing examination, che abbia bene l’idea di dove è il tema, dove
segue il ragionamento. E poi a questo punto diventa un po’ più difficile per il formatore,
perché a questo momento l’idea della metodologia è che il formatore con la sua esperienza
deve dimostrare, deve fare una demonstration, allora questo diventa qualche volta un po’
imbarazzante per il formatore perché a quel momento si deve rendere conto che lui deve
dimostrare come si fa. Per la maggior parte, e non è difficile, quando uno fa una
demonstration, sempre con lo stesso testimone dice, allora così così così .... A questo punto
si rivolge allo studente e dice prova di nuovo. E così lo studente prova di nuovo. E anche
se sbaglia non importa, anche se sbaglia di nuovo, non importa perché? Perché l’idea è che
con quell’head line, con quel tema, con questo intervento positivo lo studente sicuramente
si ricorda su questo tema. Si dice sempre a tutti i formatori che l’importante è che devono
portarsi via un’idea solo, innanzitutto perché un’idea è già tanto portarsi via, ma anche
perché in questa sezione, con 5-6 altri colleghi, ci saranno 5-6 altre idee da portarsi via.
Questa sarebbe la base di questa metodologia, è una tecnica, in più c’è questo, se uno vuole,
e noi lo facciamo a Oxford, c’è questa idea che lo studente stesso in questo momento si porta
via la cassetta, perché viene registrato, ognuno ha la sua piccola cassetta, che viene registrato
tutto il suo comportamento durante queste settimane, comportamento forense devo dire,
non privato, allora va via in un’altra stanza dove se vuole può vedersi da solo, se non vuole
può avere l’assistenza di qualcun altro che gli può spiegare cose personali, come un avvocato,
questioni di stile più che altro, che non sono questioni professionali ma sono questioni di
stile. Questa la metodologia. E’ logico che questa metodologia dipende innanzitutto sui
materiali stessi, l’avvocato vi ha spiegato che noi usiamo dei processi finti, però processi
realistici per i giovani, quando facciamo dei corsi più avanzati, perché facciamo dei corsi più
avanzati per avvocati con 7-10 anni di esperienza, e lì diventa una cosa un po’ più complicata
perché per esempio usiamo esperti, è già un’altra tecnica, si parla di un altro livello di
preparazione quando abbiamo degli esperti sia medici sia esperti commercialisti e così via.
Come vedete questo tipo di training dipende quasi assolutamente dall’intervento di altri
avvocati, avvocati con esperienza, ma avvocati che hanno anche avuto un certo livello di
formazione sul training. Lo dico sempre a tutti quelli a cui parlo in giro per il mondo su
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queste questioni che è inutile che, un avvocato inglese mettiamo, viene qui in Italia e cerca
di fare un training di questo tipo. Perché? Perché non ha senso, il training deve essere fatto
tra avvocati italiani, per avvocati italiani, basandosi su un sistema italiano. Abbiamo avuto
delle esperienze molto interessanti in India, perché in India abbiamo una tradizione molto
molto simile, nel senso che abbiamo un sistema orale, abbiamo procedure quasi uguali. Lì
abbiamo trovato questo problema, che gli avvocati indiani volevano essere avvocati inglesi.
Noi abbiamo cercato di convincere questi colleghi che è inutile perché l’avvocato inglese
ormai non fa parte del sistema indiano, sono i tribunali indiani che meritano un buon
avvocato indiano. E così man mano li abbiamo convinti che devono crearsi un gruppo di
informatori, lo hanno fatto. Sì non è una cosa che uno può creare istantaneamente, però
cominciamo con un gruppo di 20 avvocati disposti a fare questo tipo di training, che si
offrono come formatori, non necessariamente avvocati con tanta esperienza ma avvocati
con una certa esperienza. E’ interessante questo fatto anche che abbiamo notato che sono
avvocati con esperienza però più giovani che sono disposti a far parte di questi, gli avvocati
più anziani purtroppo si sentono forse un po’ allontanati dai giovani, forse hanno ragione
perché abbiamo notato che tanti avvocati giovani anche da noi hanno un certo senso di
riservatezza di fronte a un giudice, però cerchiamo sempre di creare un bilancio di formatori,
di non avere solo giudici o anziani ma di avere un mix, una miscela di tutte le capacità.
Il messaggio importante che dovete creare voi altri stessi tramite l’ordine, tramite un
sistema di “prova e sbagli”, dovete trovare un sistema in cui potete creare un gruppo di
avvocati che sono disposti, è logico che dovete avere tanti avvocati disposti a fare questo
perché ci siamo resi conto che non si può sempre usare gli stessi avvocati, perché già hanno
la loro professione e diventa una cosa difficile sempre domandare agli stessi avvocati di fare
il training continuo, e da noi c’è bisogno di fare questo training, come vi ho spiegato, con
tante ore per completare gli studenti.
Moderatore
Vediamo un po’ cosa ne pensa Charlotte Oliver, solicitor
Del Fabbro
Devo dire Paolo che i solicitor prima di noi si sono resi conto della necessità, un po’
perché hanno il contatto diretto col cliente.
Moderatore
Infatti. Ora è avvocato ed è iscritto a Roma.
Charlotte Oliver
Sono molto orgogliosa che Paolo mi ha invitato a parlare oggi. Avevo preparato questo
discorso in inglese, mi ha detto oggi che devo parlare in italiano, spero che non perdo l’ironia
inglese che volevo mettere nel mio discorso nella traduzione.
Io sono solicitor, sono qualificata 94 come solicitor di Inghilterra e Galles, dal 2001 sono
anche avvocato iscritto all’Ordine degli Avvocati di Roma. Mi sono iscritta grazie all’aiuto
di Paolo Iorio che ho conosciuto il primo anno che sono venuta in Italia. Devo dire che
l’iscrizione è stata la mia prima esperienza del sistema italiano, ogni anno sto sempre
scoprendo nuove cose. Sono andata all’Ordine degli Avvocati con la nuova legge 2001,
dicendo “io sono un solicitor avvocato europeo, ho diritto di iscrivermi qui perché io voglio
esercitare la professione in Italia”. Questa vostra legge del 2001 era basata sul regolamento
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98 per il libero movimento della professione in Europa. Questa legge è del febbraio 2001,
io a ottobre-novembre 2001 sono andata all’Ordine, la prima cosa che mi hanno detto “deve
andare alla Sapienza a tradurre la laurea”. Sono andata alla Sapienza e mi hanno mandato
indietro, la seconda volta sono andata a parlare con il funzionario dell’Ordine, mi hanno
detto “no, devi essere residente tre anni in Italia”. Allora davanti a me avevo la legge, il
regolamento, dal mio allenamento e il mio comportamento avevo imparato come solicitor
di combattere, di non perdere, volevo far vedere, a quel punto non parlavo neanche molto
bene l’italiano, volevo far vedere questo regolamento, questa legge, e lui mi ha risposto
“mamma mia, Madonna!”. Era veramente scioccato, dopo ho parlato con Paolo Iorio e lui
ha detto “allora ti riaccompagno, riproviamo”. Appena lui ha visto Paolo ha detto “ma certo,
non c’è problema, la iscriviamo subito”.
Dopo ho fatto il giuramento davanti alla Corte d’Appello e anche loro hanno detto “Ma
lei non si è laureata in Italia. Come mai lei è qui?” ho spiegato questo nuovo regolamento,
la legge, “siamo molto contenti”, allora ho fatto il giuramento. Adesso esercito proprio come
avvocato a Roma, e tutti mi chiedono “ma allora c’era qualche esame? hai imparato la legge
italiana?” Devo dire no, devo sempre subito soprattutto ai clienti “sono solicitor, ho fatto
anni di lavoro in Inghilterra e adesso sto imparando diritto italiano, e devo dire che il mio
campo è soprattutto diritto privato internazionale, diritto commerciale internazionale,
quindi i cross ... work che coinvolge spesso Inghilterra, Italia, Stati Uniti.
Una breve introduzione di chi sono. Solicitor che vuol dire? Io devo partire dal punto
di vista che voi non capite la differenza tra solicitor e barrister, al momento della laurea in
Inghilterra uno deve scegliere quale strada, spesso viene detto che solicitor è inferiore del
barrister, prima diventi solicitor e poi barrister. No, ci sono strade diverse, scegli secondo il
tuo carattere, secondo il tipo di lavoro che vuoi fare, barrister forse è uno che vuole andare
in questo teatro di tribunale, ha molta capacità di parlare, ama questo modo di lavorare,
invece il solicitor è uno che vuole più lavorare con i clienti, seguire le pratiche nello studio.
Ci sono vari motivi, io ho scelto il solicitor perché già da cinque anni prima di andare alla
Law School, ho lavorato in un centro di diritto in Inghilterra, in un quartiere di Londra
molto povero dove venivano tante persone che non avevano diritto all’accesso a un avvocato
per motivi economici. Quindi ho imparato a seguire tante tante pratiche, con tanti casi
importanti e urgenti, tipo diritto di emigrazione, diritto di lavoro, e ho cominciato la mia
prima esperienza di advocacy, era davanti il Tribunale ... E poi sono andata alla Law School,
un anno di pratica sui vari campi: diritto civile, penale, compravendita, diritto di famiglia,
però proprio la pratica, come fai un divorzio, come vendi una casa, in un anno di studi molto
intensivi fai questo, dopo fai due anni di pratica come training solicitor. Già nella Law
School, questo era il 92-93, adesso alla Law School penso che il training è molto più mirato
ad advocacy, contiene proprio una parte del corso di advocacy. E poi durante il training
contract dello stesso ... specifica che il training solicitor fanno una parte di advocacy, che
imparano i principi di advocacy, come presentarsi alle persone, non solo al tribunale, ai
clienti, alla controparte, ai vostri colleghi. Principi che per un bravo avvocato sono
indispensabili.
Per esempio, qui ho scritto in inglese, skill of comunication, comunicazione, techniques
of examination, l’etica ovviamente, e poi andando più profondamente come preparare,
strutturare un caso per un cliente, gli obiettivi, l’identificazione delle finalità, di poter fare
un bel sommario del caso, subito. Quando ero praticante il mio capo, molto famoso, adesso
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ha quasi 80 anni, mi ha detto “Charlotte tutti i punti di un caso possono essere scritti [...]
[CASSETTA N. 2] .. di imparare come dare questo sommario a un cliente, sia scritto sia
oralmente. Volevo dire che pure è interessante cosa vuol dire parola “solicitor”, da dove
viene? Viene dal latino, e poi dall’italiano “sollecitare”, noi siamo avvocati con titoli diversi,
solicitor barrister, però facciamo lo stesso lavoro, solicitor per qualche motivo è basato su
questa parola “to solicit” (sollecitare) “to encourage”, “to play” “to persuade”, perché questo
in Inghilterra, tornando al fatto che ha detto Oscar, del fatto che il nostro sistema è
accusatorio invece di inquisitorio. Una cosa molto interessante che ho letto ultimamente,
avete mai pensato che il sistema di common law, il processo nel sistema di common law non
è un’inchiesta mirata a scoprire la verità, certe volte non scopriamo la verità, gli ultimi sei
anni in Inghilterra facevo penalista, il mio lavoro non era di aiutare i tribunali a scoprire la
verità, era di mettere la mia opinione davanti ai tribunale, di sollecitare come solicitor il
tribunale ad accettare la mia opinione, anche se non era quella giusta, anche se il mio cliente
era un bugiardo, se era colpevole. Infatti in Inghilterra tutti mi chiedono “perché fa questo
lavoro? Che fai nel caso che tu sai che questa persona è colpevole”, e tu rispondi con una
lunga serie di risposte “perché io credo molto nei diritti umani, nel diritto di avere un buon
avvocato, una buona difesa”.
L’avvocato capo dello studio dove facevo penalista ha detto alla fine “sì, me lo chiedono
sempre anche a me, io dico solo è il mio lavoro”. Il mio lavoro, ero e sono orgogliosa di avere
questo lavoro, di essere più brava possibile per il cliente. Il mio lavoro come penalista ha
questi principi di essere un solicitor, di sollecitare nel mio sistema era sempre dall’inizio di
provare a combattere, di mettere il mio punto di vista. Io come penalista ero pure duty
solicitor, che sarebbe di ufficio, però pure nei commissariati perché da noi l’interrogatorio
viene fatto subito dopo l’arresto in molti casi, anche di notte. Quindi di notte venivo
chiamata al commissariato, e appena sono entrata al commissariato il mio lavoro cominciava, anche alle due di notte dovevo subito scoprire dalla polizia che cosa aveva detto il cliente
nel momento che è stato arrestato, anche le sue parole formano la prova contro di lui in
futuro. Dovevo decidere nell’interrogatorio se era necessario consigliare ai clienti di parlare
o non parlare, perché the wright of silence è una cosa fondamentale del nostro sistema, che
poi piano piano lo hanno distrutto, dal 94 in poi se non rispondi alle domande fatte dalla
Polizia, o alle domande del tribunale è un rischio, il giudice può anche dire alla fine del
processo, c’è il rischio che il giurato può prendere questa come parte dell’evidenza della
prova contro di lui. Quindi sempre combattendo. Scusate se sto parlando molto del vostro
principio di advocacy, però questa per me è tutta advocacy, l’arte di combattere e di farlo
molto bene, in maniera molto professionale. Dopo il commissariato i solicitor hanno il
diritto di parlare nei ... inferiori, cioè Magistraty School, dove tutti i casi penali cominciano,
e adesso da qualche anno i solicitor possono pure fare il training e diventare solicitor
advocate, quindi quasi al pari di barrister. Io conosco solicitor adesso che fanno processi
complicati di casi di omicidio. Grazie a questo sviluppo anche che ha detto Oscar che hanno
pensato veramente deve essere la formazione dell’advocate, quindi i training courses che si
svolgono adesso sono molto dettagliati. Quindi io andavo quasi ogni mattina per qualche
anno a Magistraty School (?) dovevo chiedere al giudice di liberare, di dare la libertà
provvisoria il cliente, o se un cliente si è detto colpevole a qualcosa, subito il giudice voleva
sapere i fatti suoi per dare la pena, e poi nello stesso momento usando questi .... al procuratore
.... sia dall’ufficio, per telefono, per lettera, sia nel tribunale parlando quella mattina,
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provando a sollecitare loro di accettare la tua opinione, forse di .... fermare il caso. Quindi
quello era un po’ il mio lavoro di solicitor, è importante per me perché i clienti decidono
quali sono gli avvocati bravi e quali sono gli avvocati che non sanno fare il lavoro. Ci sono
anche clienti che sono solo interessati affinché porti le sigarette a loro quando sono in
carcere.
Quindi devi imparare ad essere imparziale, professionale, tutto il momento del tuo
lavoro.
C’è il solicitor advocacy .... Society che è mirato a, i solicitor adesso che fanno solicitor
advocate, che hanno high wrigth audience nel Crime Court (?), c’è una clausola in questo
codice che dice per esempio, advocate must .... Quindi io do’ tanto sostegno alle cose che
hanno detto i miei colleghi, questa è una cosa fondamentale che ovviamente vedo che manca
ai miei colleghi italiani, quello che ho conosciuto in questi pochi anni che ho lavorato qui,
sono principi che puoi approfondire molto, ci sono principi che non penso che sono stati
descritti qui oggi, per esempio altri principi come si veste è importante, in Inghilterra siamo
molto molto più formali in Tribunale come ci vestiamo, venti anni fa non era possibile per
le donne di mettere i pantaloni, altrimenti i giudici ci facevano caso, adesso è più liberale,
però è importante. La prima volta che sono andata in tribunale a Roma, era una udienza
piccola in Corte Civile, sono andata vestita tutta nera, il mio tailleur favorito, e aspettavo
un collega che arrivava, vedevo tutti gli avvocati che entravano, pensavo forse non sono tutti
avvocati, però poi ho visto, io sapevo quel giorno che nelle udienze è molto più informale,
anche nelle aule dove è il giudice. Ho avuto pure commenti interessanti, non so se vi
ricordate la bomba a Londra l’anno scorso, uno dei terroristi è scappato a Roma, l’hanno
arrestato a Roma, l’avvocato della difesa quel giorno, che lo ha preso al commissariato, tutti
i miei amici in Inghilterra hanno detto “hai visto in televisione, quella modella, quell’attrice?” Lei era il mio avvocato, io mi ricordo, era estate, aveva la canottiera. Questa è una cosa
shock per noi. C’è chi pensa che è importante o no, però ovviamente il codice di come ci
si veste è importante per un effetto visuale al cliente e al giudice. Come si entra ed esce dal
tribunale è una cosa che si impara, in Inghilterra entri nel tribunale se non inchini la testa
al giudice o al magistrato possono vederti, fanno caso a questo. Il rispetto per il tribunale è
molto importante, l’immagine di quando hai una controparte nel tribunale, anche se è il tuo
migliore amico fuori del tribunale, non devi sembrare troppo amichevole, devi avere
un’apparenza di distanza se no possono dire ma questo non è sincero.
Un’altra cosa visuale ovviamente è il contatto con gli occhi, con il magistrato, il giudice,
è anche importante per te sapere come sta andando il caso, un controllo su tutti i segnali che
dai, non devi sembrare troppo sorpresa quando la controparte ... non devi sembrare troppo
preoccupata, non devi sembrare troppo ansiosa se è possibile. C’è sempre la prima volta per
tutti noi, pure io come praticante solicitor sono andata al Magistraty School una mattina per
la prima volta con una pratica, con una cosa semplicissima da fare: da fissare una data per
un processo, però sono riuscita a sbagliare, e quando il magistrato mi ha chiesto “ma quanti
testimoni allora saranno per la difesa?” io ho detto “cinque per la difesa e sei per il
procuratore”, il procuratore si è girato dopo di che ha parlato dei miei testimoni, e il
magistrato ho visto che guardava dove era scritto il mio nome, ovviamente pensava ma chi
è questa. Ovviamente all’inizio sarai ansiosa però se puoi non dimostrarlo o non dire le cose
che non devi dire è meglio.
Un’altra cosa finale che volevo dire, l’importanza d’essere puntuale. E’ essenziale,
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all’inizio di questo convegno noi due avvocati inglesi stavamo qui ansiosi “ma perché non
è cominciato alle tre?”.
L’ultima cosa da ricordarsi è che a nessuno piacciono gli avvocati, noi siamo una
professione da anni trattata con non tanto rispetto dal pubblico, pensano che guadagniamo
troppo e che non facciamo nulla. Quindi devi provare, ogni cosa che fai, a cambiare l’idea
di questo, nel tribunale anche quando parli non usare termini troppo difficili, usare termini
semplici e che sono chiari e presenti in modo migliore il tuo caso.
Il mio momento migliore come avvocato in Inghilterra è quando il giudice dopo che io
ho esaminato un testimone si è congratulato con me, ha detto “complimenti, lo ha fatto in
modo stupendo”. Spero che un giorno avrò la stessa soddisfazione qui in Italia.
Moderatore
Io ringrazio i colleghi, ci hanno aperto, perlomeno a me hanno aperto nuovi orizzonti.
Molte delle cose che hanno detto appartengono alla nostra stessa esperienza, si tratta adesso
di razionalizzare, di trasformare quello che è in termini più scientifici se è possibile o
comunque più organizzati. Tutti noi abbiamo avuto un maestro. Abbiamo avuto un maestro
che abbiamo seguito con molta attenzione, che ci ha insegnato a fare gli avvocati, ma a farli
veramente. Io ricordo che il mio maestro, il professor Sabatini, dopo qualche giorno mi disse
che tu abbia studiato mi pare che sia abbastanza probabile da quello che dici, adesso si tratta
di fare l’avvocato, che è una cosa totalmente diversa. E quindi mi consigliò di ricominciare
da capo seguendo, ascoltando e facendo il più possibile il difensore di ufficio. A quei tempi
si andava in aula e si veniva nominati difensori d’ufficio, oppure anche pubblici ministeri,
erano due funzioni intercambiabili che si assumevano all’improvviso. Mi ha detto tu vai
nelle aule, fai il pubblico ministero o il difensore d’ufficio e ci rivediamo qui fra sei mesi,
meglio ancora se fra un anno. Io, come laureato con 110 e lode, l’ho presa come un’offesa,
come una cosa terribile, il fallimento della mia vita, poi invece ho capito che in aula
realizzavo quella esperienza di carattere pratico che noi dovremmo, insieme a Paolo,
realizzare attraverso questi corsi che sono qualche cosa di altrettanto pratico ma dicevo di
molto più razionale, anche perché trovare oggi un maestro capace di insegnare ma che abbia
voglia di farlo, diventa sempre più difficile. Noi abbiamo al consiglio dell’ordine elenchi di
giovani che vengono e ci chiedono di essere sistemati nello studio di qualcuno che abbia
queste capacità. E’ pressoché impossibile perché noi abbiamo superato a Roma il numero
di 20 mila iscritti qualche giorno fa. Questo significa che essendosi dilatato enormemente
il numero degli avvocati e ancora più difficile per i nuovi arrivati trovare una sistemazione.
Era un piccolo mondo, a noi sembrava ovviamente che l’albo degli avvocati di Roma, che
raggiungeva forse i 3-4 mila fosse spropositato, però era in effetti un piccolo mondo nel quale
ciascuno di noi finiva con l’avere un maestro. Questo non è più possibile. Come sopperire?
Come diceva giustamente Charlotte e come diceva il collega, mettendo al posto del maestro,
che non c’è o che difficilmente si trova, un consiglio dell’ordine che non si limiti a fare quello
che già è molto importante perché lo facciamo ogni giorno (corsi, conferenze, dibattiti) ma
che insegni attraverso la simulazione a fare gli avvocati proprio nella pratica, perché fare
l’avvocato significa andare in aula, vestiti a una certa maniera, avere un comportamento
adeguato nei confronti degli altri e sapersi comportare non sulla pelle del cliente, il cliente
non può essere una cavia, i primi clienti che vanno dall’avvocato e non sanno che l’avvocato
è alle prime armi, rischiano di essere delle cavie predestinate poi soprattutto nel processo
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accusatorio nel quale, come suol dirsi, non si cerca la verità ma veramente vince il migliore,
veramente vince chi riesce a provare la propria tesi. Il contrasto tra pubblico ministero e
avvocato è un contrasto spietato nel quale emerge colui il quale riesce a corroborare la
propria tesi in termini pratici e non soltanto con parole, magari anche eloquenti, molto
eloquenti, come avveniva in passato.
Per superare questa difficoltà, che poi è una difficoltà per l’avvocato ma soprattutto per
il cliente, io credo che la fase di passaggio possa essere questa. Noi qualche cosa in termini
molto approssimativi abbiamo visto nel corso per esempio della scuola forense o dei
difensori di ufficio, si è tentato o si è fatto una simulazione di udienza preliminare, di esame
dei testimoni, di controesame, però non in termini organizzati, erano esperienze sporadiche
che hanno compiuto il Consiglio dell’Ordine, coloro i quali ne hanno fatto uso, ma come
se fosse qualche cosa di più, qualche cosa dovuta all’inventiva del docente, qualche cosa di
originale. Oggi si scopre invece che all’estero quello che per noi era originale, eccezionale
ed accessorio, può e deve essere proprio l’oggetto di un corso specifico nel quale l’aula del
consiglio dell’Ordine, o un’aula come questa messa a disposizione della Cassa diventa per
un attimo, per un’ora, per un certo periodo di tempo l’aula della giustizia, un’aula di giustizia
nella quale un avvocato fa il pubblico ministero, l’altro avvocato fa il mestiere o esercita la
funzione del difensore, ed entrambi poi si vedono allo specchio attraverso la rivisitazione
di una cassetta per scoprire gli errori commessi, anche con l’aiuto di un tutor oppure di quel
maestro che messo a disposizione del consiglio dell’ordine o da chi è delegato come potrebbe
essere, e credo che sarà Paolo, potresti essere anche tu che ti occupi dei diritti internazionali
da moltissimo tempo. Io credo, adesso io questo non lo dico per compiacere, riferirò al
consiglio una cosa che è profondamente vera, sapevo, immaginavo, avevo capito ma oggi
ho colto, come credo sia capitato a qualcuno di voi, l’importanza di una cosa di questo
genere, non è un passaggio voluttuario, noi dobbiamo farlo, anche perché il nuovo codice
deontologico approvato il 5 di gennaio di quest’anno dal consiglio nazionale forense, ha
trasformato l’obbligo all’aggiornamento in un dovere, in un dovere sul quale il consiglio
dell’ordine ogni tre anni dovrebbe esercitare un controllo, il che significa anche che gli
avvocati, non i giovani avvocati, gli avvocati dovrebbero accumulare un certo numero di
crediti è tutto da vedere ancora, un certo numero di crediti che ne legittimino la permanenza
nell’albo, o quantomeno li esonerino da un giudice negativo sul piano deontologico. Se la
posta in ballo è questa, che i colleghi hanno un dovere, ma il consiglio dell’ordine ancora
più imponente e più cogente di aiutarli ad essere a livello, allora io credo che si debba passare
attraverso questa esperienza. Siamo andati a colpi di tentativi, voglio dire tra l’altro anche
per acquisire dei meriti perché non si può neanche pensare o ammettere che noi siamo tabula
rasa, perché questo non è. Abbiamo studiato per un anno con i magistrati, un protocollo
d’intesa, e tu lo sai perfettamente, e io adesso voglio pubblicarlo sul sito perché ho
l’impressione che molti non lo conoscano, soprattutto i magistrati che farebbero bene a
stamparselo in mente perché ci sono doveri per gli avvocati ma ci sono obblighi anche per
loro, un protocollo d’intesa che proprio diceva quello che riferiva Charlotte, tutto il mondo
è paese: l’abbigliamento, l’orario, la puntualità che vale per noi e per loro, le fasce d’orario.
Non è più possibile che un avvocato, peggio ancora un cittadino, vada alle nove per sentirsi
dire alle cinque del pomeriggio che il processo non si farà, non è possibile che accada quello
che accade ogni giorno, il che è una umiliazione per entrambi che un avvocato arrivi
preparato, carico di preoccupazione a qualunque età, perché a qualunque età si arriva al
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processo in uno stato di grande preoccupazione, dissimulata perché, hai ragione tu, bisogna
far finta di essere sereni ma nel proprio animo siamo tutti molto preoccupati, per sentirsi dire,
come a me è capitato tre giorni fa, il giudice a latere è da cinque giorni a Parigi per un
convegno. Questo non può accadere e non deve accadere, perché io personalmente avevo
altri impegni, ho trascorso una notte insonne, come capita, ripeto, a qualunque età, e non
è giusto, questo vale per l’avvocato, vale per il cliente che pensa che quello sia il giorno più
importante della sua esistenza, soprattutto quando si tratti di processi particolarmente gravi,
nel mio caso erano stati chiesti 8 anni di galera, non è giusto. Allora voglio dire le regole
valgono per noi, valgono per i magistrati, valgono per tutti. Noi non possiamo imporre nulla
ai magistrati, dobbiamo fare in modo che i magistrati e i cittadini e chiunque sappiano che
ce le siamo date le regole, abbiamo acquisito una conoscenza, abbiamo fatto di tutto per
migliorarci. Questo proprio per respingere al mittente tutto quello che si dice dell’avvocato,
anche qui tutto il mondo è paese, hai ragione, vi sono dei miti, vi sono dei giudizi
approssimativi secondo i quali l’avvocato da una parte è un collaboratore della delinquenza,
colui il quale specula sulle malefatte degli altri, dall’altra poi è colui il quale è il favoreggiatore
di coloro i quali commettono dei crimini, ciò nonostante invece, chissà perché, come
avviene in tutti i paesi civili, hanno comunque diritto ad essere difesi. Per guadagnarci questa
stima che si tenta di eliminare o di ridurre noi possiamo fare soltanto questo: migliorarci.
Allora io per concludere vi ringrazio moltissimo perché a me avete dato uno stimolo a poi
fare il mio dovere in un modo migliore di quanto non sia avvenuto finora, deliberando in
consiglio la necessità di farli questi corsi, pubblicando su “Temi romana” che è la nostra
rivista, i vostri interventi che vi prego di dare a Paolo, in qualche maniera di farli pervenire
e pubblicizzando questa che dalla scarsità di presenze ritengo non sia stato percepito nella
dovuta maniera come un passaggio obbligato e non un modo come arricchirsi oppure
passare il tempo ma non del tutto necessario. Fino a quando c’erano i maestri, fino a quando
c’erano le scuole, sia pure artigianali, forse avremmo potuto, si poteva evitare tutto questo.
Oggi non è più possibile. Noi rimanevamo a volte fino a mezzanotte, all’una di notte, dopo
che si era completato il discorso di studio, di lavoro, lavoro quotidiano, per il gusto di
discutere gli argomenti, per il gusto di confrontarci su quello che avevamo fatto o avremmo
fatto il giorno dopo, questo purtroppo non c’è più, i maestri non ci sono o se ci sono non
hanno, nella maggior parte dei casi, nè voglia né tempo di rimanere fino all’una di notte a
insegnare ai propri clienti perché hanno altro da fare probabilmente, anche per la pressione
della vita di oggi che certamente è molto più veloce di quanto non fosse quella che era una
vita rallentata, e probabilmente, adesso è inutile esprimersi in termini di nostalgia ma era
probabilmente più vivibile sul piano umano e anche sul piano professionale. Io assumo
questo impegno, purché naturalmente Paolo vi provvediate di un certo numero di colleghi
disponibili, perché come diceva giustamente Oscar, non puoi pensare che degli avvocati si
blocchino per esercitare questa funzione. Siamo 20 mila, su 20 mila troveremo sicuramente
persone che si sentiranno a mio avviso anche un po’ onorati di contribuire a questo
miglioramento dell’avvocatura. Grazie.
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ASPETTI DEONTOLOGICI ALLA LUCE
DELLE NUOVE DETERMINAZIONI NORMATIVE
Convegno
GOVERNANCE E PUBBLICITA’ DEGLI AVVOCATI:
ESPERIENZE INTERNAZIONALI A CONFRONTO
Venerdì 20 aprile
Giulio Prosperetti
Non siamo numerosi perché evidentemente la governance è in concorrenza con il mare
con questa giornata estiva, ma l’interesse per questo incontro va al di là delle presenze giacché
il Consiglio Nazionale Forense pubblicherà gli atti nella sua Rassegna. Anche da molti
colleghi, sia del Foro sia dell’Università, ho avuto affermazioni di interesse per cui questi atti
saranno letti poi con grande attenzione da un vasto pubblico, tutto interessato a questo tema.
Noi abbiamo scelto di parlare di pubblicità pensando che questo è il momento finale del
problema, ma poi mi soffermerò un po’ su questo concetto nella introduzione che farò dopo
il saluto del nostro presidente del Consiglio dell’Ordine avv. Sandro Cassiani.
Avv. Sandro Cassiani
Io ringrazio Giulio Prosperetti, Goffredo Barbantini, Corrado De Martini, Antonio
Manca Graziadei e naturalmente tutti i componenti la commissione di diritto internazionale, non tanto e soltanto per avere comunque organizzato un convegno, che contribuisce
sempre al miglioramento e all’approfondimento, ma per aver scelto un tema che da circa un
anno, credo di non essere smentito, costituisce la problematica intorno alla quale si agitano,
oppure discutono gli avvocati. Qualcuno è sceso in campo, addirittura proprio intendo sulle
piazze, altri ne hanno discusso, ma prima di arrivare a una conclusione forse era proprio il caso,
era proprio opportuno sentire che cosa avviene negli altri paesi, altrimenti c’è il rischio,
esagerando poi, di lasciarsi prendere da una sorta di eccesso di preoccupazione per raggiungere
poi risultati che potrebbero anche essere un po’ provinciali. Chi vi parla è molto preoccupato,
io non voglio adesso fare la parte di colui il quale, siccome introduce un discorso sull’argomento in ambito internazionale, dimentica le proprie posizioni. Io personalmente, saranno i capelli
bianchi caro Goffredo, ho avuto al sensazione in quest’anno quasi di un cambiamento di
cultura intorno all’avvocato. E mi sono da una parte preoccupato, dall’altra meravigliato, per
certe smagliature che come sempre capita basta aprire un varco poi, cominciano a delinearsi
diventando quasi abituali. Noi abbiamo ricevuto, Rosa Ierardi, Giulio, i consiglieri che sono
presenti lo sanno, abbiamo ricevuto già una serie di richieste di pareri in tema di pubblicità.
Fino a qualche anno fa, ma non tanti anni fa, un anno, un anno e mezzo fa, li avremmo cestinati
dopo esserci chiesto se non ci fosse materia di carattere o di natura deontologica. Oggi invece
ci dobbiamo inchinare di fronte alle leggi, alle norme, ci mancherebbe altro, al nuovo codice
deontologico cercando, se ci è consentito, io credo che ci sia consentito in quanto ci è
doveroso, di limitare se è possibile i danni.
Per dire qualcosa che potrebbe apparire spiritoso, e non lo è, posso io affiggere un
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manifesto sulla mia automobile di pubblicità del mio studio? Posso io inoltrare questa
domanda agli enti nella quale – non sto raccontando cose non vere, sono cose documentate
in consiglio - enuncio le mie capacità e i prezzi che pratico? Posso io, a somiglianza di quanto
pare sia avvenuto al nord, aprire un negozio che si chiami “La bottega del diritto” e vendere
pareri a poco prezzo? Queste sono le cose di fronte alle quali. E allora un attimo di riflessione
per sapere quali sono i limiti che si pongono a una problematica di questo genere che è
connessa poi, in ultima analisi, anche alla possibilità di accesso alla professione e alla
possibilità in qualche maniera di farsi valere nell’ambito della medesima che ha sempre
costituito e costituisce un grosso problema, non fosse altro che per il numero. Non
dimentichiamo che agli ultimi esami da avvocato si sono presentati circa 6.000 candidati;
non ci dimentichiamo che a Roma abbiamo superato i 20 mila. E allora voglio dire il pericolo
qual è? Che allargando troppo le maglie si arrivi poi ad accettare una sorta di giungla nella
quale valgono propriamente le leggi della giungla nella quale vince notoriamente il più forte,
il più capace, il più aggressivo. Io credo che questo non possa essere, allora sentiamo, io con
religioso silenzio e soprattutto con moltissimo interesse anche per la mia funzione, che cosa
avviene all’estero, quali sono i limiti oltre i quali si incide sulla dignità dell’avvocato, entro
i quali invece il concetto di concorrenza può essere accettato, e fino a che punto la nostra
idea della concorrenza fatta di capacità reali e dimostrate sul campo, cioè nelle aule e
attraverso gli atti giudiziari, abbia ancora un qualche fondamento. Non è che sto parlando
di quello a cui credevano i nostri genitori, sto parlando delle cose alle quali credevamo fino
all’altro ieri. Oggi il concetto di liberalizzazione ci ha portato verso nuovi orizzonti. Io
ringrazio il collega G. Moore, il collega Bernard Vatier, Rupert Wolfe e l’avvocato Panova
che ancora non è arrivato. Ringrazio molto e ringrazio soprattutto voi che siete presenti con
la voglia e il desiderio di ascoltare. Mi dispiace, un tema di questo genere, caro Goffredo,
avrebbe dovuto rendere insufficiente anche la nostra aula, perché in piazza, nelle assemblee
nelle quali a volte con un eccesso di calore che è stato criticato, abbiamo discusso di questo,
ci siamo ribellati alla c.d. legge Bersani e a quello che consegue, eravamo migliaia e migliaia,
non voglio credere che gli avvocati non abbiano interesse al problema voglio invece pensare
che gli avvocati attendano poi di leggere queste relazioni come avverrà sul nostro Temi
Romana, che probabilmente è anche più comodo perché consente una maggiore meditazione. Vi ringrazio moltissimo, riferirete voi ai vostri colleghi quanto sentirete oggi, credo che
questo servirà a iniziare una nuova discussione, forse più pacata e di più ampio raggio.
Grazie.
Giulio Prosperetti
Ringrazio il presidente Cassiani. Devo dire che il presidente Alpa, del Consiglio
Nazionale Forense non può essere con noi per un altro impegno, porterà il saluto del
Consiglio Nazionale Forense l’avvocato Carlo Martuccelli, che però anche ci raggiungerà,
anche lui aveva un altro impegno e ci raggiungerà nel corso dei lavori. Il Presidente della
Cassa Nazionale di Previdenza Forense, avvocato Scucozza, anche ha avuto un impegno
improvviso e saluta tutti, si scusa di non essere qui con noi.
Il mio compito è solo quello di fare una breve introduzione ai lavori. Non voglio portare
via tempo perché l’interesse è quello di ascoltare oltre ai colleghi Graziadei e De Martini
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soprattutto i colleghi che ci hanno raggiunto dall’estero per portarci queste esperienze che
a noi premono molto.
Perché ci preme conoscere come funziona il meccanismo all’estero? Perché il Consiglio
Nazionale Forense posso dire che ha fatto una scelta un po’ pilatesca, nel senso che si è limitato
a dire che chi deve dare informazioni sulla propria attività deve indicare tutta una serie di elementi,
quindi il Consiglio dell’Ordine a cui appartiene, la sede di esercizio, il titolo professionale, i titoli
accademici eccetera, invertendo quello che era il vecchio codice deontologico, poi vecchio non
tanto perché datava soltanto di un anno, il quale diceva che solo questa poteva essere la
informazione data. Invece adesso quello che era un limite diventa un onere, cioè chi vuole dare
una informazione (non si dice quale) deve in più dare questi elementi. Ecco che allora abbiamo
un po’ una fattispecie in bianco, nel senso che dovrà essere proprio la deontologia a fissare i limiti
di quello che si può fare o meno, e dovremmo un po’ ricorrere a una sorta di ordine pubblico
internazionale per riuscire a delineare quelli che sono gli elementi discretivi tra quello che è
deontologicamente corretto e quello che corretto non è.
Il problema per gli avvocati, rispetto ad altre professioni, secondo me si pone in maniera
assolutamente peculiare. Perché a mio avviso non esiste altra attività professionale che abbia
un vincolo fiduciario così stretto, così cogente come quello che lega l’avvocato al suo cliente.
Si può dire il medico, ma vedete già il medico è diverso, perché nel medico si cerca la
professionalità, la medicina, la chirurgia si articolano secondo protocolli collaudati, quindi
in fondo uno cerca una buona esecuzione rispetto alla cura o all’operazione che deve
intraprendere.
Ma solo l’avvocato esercita la fantasia nell’aggredire un problema legale. E rispetto a
quello che è un’operazione di fantasia non c’è protocollo che tenga, è soltanto la fiducia nelle
capacità che ha un legale di trovare il bandolo della matassa di una questione che può indurre
il cliente a scegliere un avvocato invece di un altro. Questo rapporto fiduciario in realtà non
è coltivato. Perché? Perché la tradizione era quella di avvocati noti nel Foro, cosa che ancora
funziona nei piccoli centri, ma a me si stringe il cuore quando sento persone che chiamano
il Consiglio dell’Ordine chiedendo un avvocato esperto in acque pubbliche, in amministrativo, in diritto penale militare, in locazioni o quant’altro, e la risposta dell’operatore è gli
avvocati di Roma sono 19 mila, c’è un albo, ne scelga uno, non possiamo dargli indicazioni.
La battaglia che giustamente il movimento forense fa nei confronti di una liberalizzazione sfrenata, trova il limite in una situazione non sostenibile, per cui chi chiede giustizia
spesso si rivolge all’amico conosciuto al bar soltanto perché è simpatico e non c’è un
rapporto che si costruisca in questo mix tra fiducia per la persona e fiducia per la capacità
professionale. Ecco secondo me la regolamentazione di questa materia dovrebbe proprio
portare a integrare la fiducia nella persona con la fiducia nella capacità professionale, perché
purtroppo conosciamo degli avvocati bravissimi, intelligentissimi ma magari che non hanno
molti scrupoli e quindi spesso chi lo sceglie sulla base della propria capacità non sa poi, non
ha elementi per invece valutare la personalità complessiva morale della persona.
Ecco su questa base all’ultimo congresso nazionale forense io mi sono permesso di
avanzare una proposta che è in fase di discussione, sia al consiglio nazionale forense sia nel
nostro Ordine di Roma, rispetto alla possibilità di mettere su internet, in un sito, dei curricula
impostati in maniera tale che non ci siano soltanto i dati appunto commendevoli dei titoli
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di specializzazione o dei titoli accademici, delle materie prevalentemente trattate ma vi siano
anche elementi che possano indurre il cliente a fare una scelta meditata. Per esempio l’aver
fatto un’esperienza scoutistica può essere un motivo preferenziale a parità di capacità
professionali per chi vuole, io voglio un avvocato esperto di acque pubbliche che abbia fatto
anche lo scout. Allora con un data base impostato con curricula standardizzati è possibile
arrivare a scegliere una persona che abbia determinate caratteristiche, che quindi condivida
una serie di esperienze, che sia capace di portare al cliente un apporto non soltanto
meramente tecnico ma anche di consiglio rispetto a quella che è la sua situazione.
Io ho consigliato nella mia esperienza ormai lunga, ultratrentacinquennale di avvocato
tanta gente a non fare causa, ma sono sicuro che altri colleghi avrebbero con piacere accettato
quei mandati. Ecco che quindi il problema fiduciario già dal momento genetico si pone.
Quindi la pubblicità può essere a mio avviso surrogata da un sistema di informazioni più
completo di quello che normalmente si intende. Noi credo che in Italia siamo proprio a
livello di maggiore indifferenziazione, so che per esempio nell’albo francese la specialità
amministrativa, civile eccetera viene in qualche maniera evidenziata nell’albo.
Come dicevamo la gamma di situazioni che possono essere considerate consone alla
deontologia professionale o no è tutta da inventare. Un mio collega mi diceva che un
giornale di Roma l’aveva contatto per dirgli “guardi se vuole fare un’inserzione noi stiamo
facendo una campagna per la pubblicità degli avvocati”. Ma vi sono tante situazioni, esiste
ormai in realtà un marketing del sistema dell’assistenza legale che passa per i grandi studi
internazionali. Il marchio che determinati studi riescono, sono riusciti ad imporre è frutto
di una attenta opera di marketing, fatta di convegni, di news letters ai clienti, di informative,
di rapporti, di public relations, tutti mirati in maniera scientifica per acquisire mandati
professionali.
Rispetto a queste situazioni, che ormai sono consolidate da più di 20 anni nel nostro
paese, non c’è stata nessuna presa di posizione degli ordini professionali, io per quanto abbia
cercato non ho trovato nessuna decisione sanzionatoria nei confronti di questi comportamenti, che per la verità, anche rispetto al vecchio codice deontologico, erano in gran parte
ammissibili. Ma quello che forse non era ammissibile era la scientificità con la quale queste
tecniche venivano condotte. Quindi noi siamo oggi di fronte a una situazione che da
qualcuno viene chiamata di sprovincializzazione dell’approccio professionale, perché il
grande studio che richiede investimenti poi deve far girare la macchina e non si può affidare
a un passa-parola rispetto a quello che può essere il retaggio di clientela che riesce ad
acquisire.
Quindi noi dicevamo che la pubblicità è esponenziale della governance del sistema
perché è il punto finale. Allora nel momento in cui un avvocato pubblica su un giornale quali
sono i suoi onorari, le sue richieste di servizio e quali sono le sue tariffe, ecco che a questo
punto viene in forse tutto il sistema. E un sistema che sta avendo un grande cambiamento,
perché noi ormai siamo destinati a passare da un sistema di tabelle, per cui chi si rivolge a
un avvocato non sa quanto pagherà, considerato che si può arrivare fino al quadruplo della
tariffa, e considerato il minimo e il massimo di ogni scaglione, uno può arrivare a chiedere
fino a 12 volte l’importo minimo. Quindi capite che c’è, uno può chiedere mille euro o
dodicimila, il cliente lo saprà solo dopo. Quindi questo è indubbiamente un elemento che
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difficilmente si combina con un mercato, con un sano mercato dei servizi legali.
Troppo spesso vediamo anche al Consiglio dell’Ordine parcelle fatte in maniera punitiva
al cliente che in malo modo ha tolto il mandato all’avvocato, viene fatta una parcella che
è forse il triplo di quella che in un rapporto normale l’avvocato avrebbe fatto al cliente.
Tutto questo indubbiamente crea delle situazioni che non sono possibili. Quindi io
credo che la prima trasformazione che noi avremo sarà quella di avere dei contratti standard
con i quali il cliente riesce ad avere un minimo di garanzia rispetto a quelle che sono le pretese
dell’avvocato.
Quindi io ho buttato un po’ di argomenti sul tappeto, sperando di accendere un dibattito
anche tra i nostri relatori.
Io darei la parola al collega Manca Graziadei che viene a illustrare tecnicamente qual è
l’attuale situazione italiana. Grazie.
Manca Graziadei
Da noi le cose sono cambiate in maniera molto rapida, la pubblicità è proprio il settore
dove necessariamente, in relazione al decreto Bersani, c’è stata questa novità perché il
decreto Bersani prevedeva, tra le altre cose, di abolire questo divieto, io ve lo leggo perché
forse è la cosa più semplice anche proprio leggere le norme, abolire questo divieto anche
parziale di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le
caratteristiche del servizio offerto nonché il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni,
secondo criteri di trasparenza e veridicità del messaggio, il cui rispetto è verificato dall’Ordine. Questo decreto Bersani noi lo conosciamo, per i nostri amici stranieri è un decreto che
è intervenuto a luglio dell’anno scorso e che ha appunto eliminato fra le altre cose questo
divieto di pubblicità che era considerato come un dogma della nostra professione, seppure
poi, come è stato già detto, di fatto esistevano delle forme di informazione o pubblicità
informativa che comunque permettevano una serie di attività. Quindi tolto questo divieto
il decreto Bersani prevedeva peraltro che il Consiglio Nazionale forense dovesse poi
intervenire per regolamentare, da un punto di vista deontologico, la materia. Il consiglio
nazionale forense lo ha fatto , l’avvocato Martucelli, che credo ci raggiungerà più tardi, è uno
dei principali contributori a questa attività, lo ha fatto all’inizio di quest’anno. Anche qui
io il mio intervento sarà breve, però preferisco leggere alcune norme, siccome sono delle
norme anche nuove, che molti magari poi non conoscono, quindi in sintesi però preferisco
leggere poi farò un breve commento.
Ci sono adesso due articoli che sono l’articolo 17 e l’articolo 17 bis del codice
deontologico forense, che io appunto mi accingo a leggere:
l’avvocato può dare informazioni sulla propria attività professionale, quindi può dare
informazioni. Il contenuto e la forma delle informazioni devono essere coerenti con la
finalità della tutela dell’affidamento della collettività e rispondere a criteri di trasparenza e
veridicità il rispetto dei quali è verificato dal competente Consiglio dell’Ordine.
Poi prosegue:
Quanto al contenuto l’informazione deve essere conforme a verità e correttezza e non
può avere ad oggetto notizie riservate o coperte dal segreto professionale. L’avvocato non
può rivelare al pubblico il nome dei propri clienti ancorché questi vi consentano.
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Questa penso sia una norma abbastanza importante che ancora, perché in altri paesi
invece questo non avviene, lo menziono per questo motivo. Quindi da questo punto di vista
c’è ancora questo assoluto divieto di utilizzare i propri clienti per farsi pubblicità, in sostanza
questo poi sarebbe.
Quanto alla forma, modalità l’informazione deve rispettare dignità e decoro delle professioni. In
ogni caso l’informazione non deve assumere i connotati della pubblicità ingannevole elogiativo e
comparativo, quindi c’è questo limite in ogni caso questa informazione non può essere mai pubblicità
ingannevole elogiativa o anche comparativa. Quindi io non posso dire io ho vinto dieci cause,
Giulio ne ha vinte nove, Giulio Prosperetti, non posso fare questo confronto, non sarebbe
vero naturalmente però lo potrei anche dire, non lo posso dire.
Poi continua:
Sono consentite (e quindi queste sono le due specifiche che sono rimaste, poi vediamo
quelle che hanno tolto) a fini non lucrativi l’organizzazione e la sponsorizzazione di seminari di
studi, di corsi di formazione professionale e di convegni in discipline attinenti alla professione forense
da parte di avvocati o di società o di associazioni di avvocati. Quindi organizzazione, convegni,
seminari, sono esplicitamente consentite queste attività.
E poi ancora esplicitamente consentita è l’indicazione del nome di un avvocato defunto,
cosiddetto fondatore dello studio, comunque qualcuno che è stato molto importante nello
studio che quindi può avere ancora un grosso peso da un punto di vista dell’avviamento
professionale, purché il professionista lo abbia espressamente previsto. Questo è l’articolo
17. Prima di passare al 17 bis, da questo articolo 17 rispetto al precedente testo di un anno
prima, circa, sono scomparsi due commi che sono molto importanti anche perché sono stati
discussi dal CNF, e tra cui alcuni colleghi tra cui l’avvocato Martuccelli era contrario tra
l’altro. Per esempio è scomparso questo secondo comma del vecchio articolo 17 bis che dice
che è vietato offrire sia direttamente che per interposta persona le proprie prestazioni
professionali al domicilio degli utenti, quindi mandare una lettera. Diciamo che è
scomparso il comma poi vediamo le conseguenze.
E’ vietato offrire sia direttamente che per interposta persona le proprie prestazioni
professionali al domicilio degli utenti, nei luoghi di lavoro, di riposo, di svago, in generale
i luoghi pubblici. E poi il secondo che è scomparso dice: è altresì vietato all’avvocato offrire
senza essere richiesto una prestazione personalizzata, e cioè rivolta a una persona determinata per uno
specifico affare. Quindi questa qui è proprio una pubblicità diretta a uno specifico soggetto,
una società che fa una certa attività, io sono uno specialista di quella tua attività e quindi
fammi lavorare per ché io sono ...
Quindi questo qui è il nuovo articolo 17. Poi c’è appunto il 17 bis che dice l’avvocato
che intende dare informazione, quindi se tu vuoi dare informazioni come minimo devi
indicare, quindi c’è una serie di requisiti che sono io requisiti minimi che se tu dai
informazioni devi utilizzare, quindi qui non è una facoltà è un onore, se tu dai informazioni
devi utilizzare. Denominazione dello studio, indicazione nominativi professionisti che lo
compongono, consiglio dell’Ordine presso quale è iscritto, la sede principale, i fax, numeri
telefonici, sedi secondarie, recapiti, breve parentesi, alcune di queste indicazioni sono anche
poi collegate con una direttiva comunitaria della fine del 2006 che proprio per tutti i servizi
impone una serie di informazioni. Il titolo professionale che consente all’avvocato straniero
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l’esercizio in Italia, che consente all’avvocato italiano l’esercizio all’estero della professione
di avvocati in conformità delle direttive comunitarie. Quindi questi sono i requisiti
obbligatori diciamo della comunicazione. Poi ci sono invece i requisiti facoltativi. Può
indicare: titoli accademici, diplomi di specializzazione, abilitazione a esercitare davanti
giurisdizioni superiori, settori di esercizio dell’attività professionale, lingue conosciute, logo
dello studio, gli estremi della polizza assicurativa per la responsabilità professionale, che
penso sia anche una cosa utile, l’eventuale certificazione di qualità dello studio. E qui poi
c’è tutta una specifica che questa certificazione deve essere poi in qualche convalidata
dall’ordine, perché potrebbe essere una certificazione di qualità poi di dubbia validità.
Poi conclude: l’avvocato può utilizzare esclusivamente i siti web (quindi c’è anche
proprio una specifica) condomini propri e direttamente riconducibili a sé, allo studio legale
o alla società di avvocati alla quale partecipa, previa comunicazione al Consiglio dell’Ordine
di appartenenza, quindi qui c’è una previa comunicazione, e quindi si presume che il
Consiglio dell’Ordine avrà molto da fare a navigare su questi siti per verificare che, questo
sarà un grosso lavoro che dovrete, anche perché sappiamo che lì succede di tutto, su internet
succede di tutto.
Poi il professionista è responsabile del contenuto del sito e in esso deve indicare i dati
previsti dal primo comma. Il sito non può contenere riferimenti commerciali o pubblicitari,
è vietato inserire nel proprio sito pubblicità altrui chiaramente, eccetera eccetera. Quindi
questa qui è l’essenza della disciplina sulla pubblicità. Poi giustamente, come diceva il collega
Prosperetti, c’è questo articolo 19, il divieto di accaparramento della clientela, che è rimasto,
che comunque resta un limite perché siccome poi la finalità della pubblicità è quella di
procurarsi clientela, è chiaro che il divieto di accaparramento della clientela pone un limite
alla finalità stessa della pubblicità e quindi poi di fatto alla pubblicità. E qui c’è infatti questo
punto 2 che è un po’ più sintetizzato, comunque dice: è vietato offrire sia direttamente che
per interposta persona le proprie prestazioni professionali al domicilio degli utenti eccetera
eccetera, quindi è uscito da una parte ed è entrato dall’altra, e anche quello della prestazione
personalizzata è stato poi reinserito. Questo è il quadro attuale.
Su questo quadro vorrei dire due cose: uno è che c’è una posizione molto interessante
della Camera Penale proprio su questo tema, perché la Camera Penale da molti anni, i
penalisti che sono un certo numero ma sicuramente una minoranza rispetto poi agli avvocati
italiani, penso saranno forse un 5%, un 10%, però avendo una professione molto più, io la
definirei molto più specifica nel senso che è una professione che trova una certa omogeneità
tra l’uno e l’altro, mentre invece io dico oggi ci sono 100 diversi tipi di avvocati, perché c’è
l’avvocato che vuole fare un’attività molto semplice, senza rischiare, vuole scrivere dei
contratti, vuole prendere dei soldi tutti i mesi, vorrebbe al limite essere un dipendente e c’è
invece ... I penalisti sono una classe abbastanza omogenea all’interno della categoria, e
hanno delle finalità da questo punto di vista molto specifiche, che è quello di un’assistenza
in giudizio altamente qualificata, perché chiaramente essendo in gioco la libertà della
persona e in generale diritti molto importanti della persona, è chiaro che per loro la capacità
professionale a fare una singola attività, che è quella di difendere bene il loro cliente è
fondamentale.
Quindi loro criticano questo codice deontologico perché secondo loro da un certo punto
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di vista è troppo restrittivo, perché per esempio sulle specializzazioni loro vorrebbero avere
molto più spazio, cioè loro dicono ci vorrebbe più spazio per le specializzazioni, perché le
specializzazioni sono importanti, perché denotano poi uno dei criteri per cui poi viene
scelto, diceva giustamente il collega Prosperetti c’è la persona ma c’è anche poi la
specializzazione. E quindi ci vorrebbe da un lato maggiore spazio alla pubblicità delle
specializzazioni, certo tutto questo poi dovrebbe avvenire in una nuova, dall’altra però loro
dicono non va bene che queste specializzazioni attualmente ognuno se le possa inventare,
perché se io dico sì, io prevalentemente, oggi dico che prevalentemente mi occupo di diritto
del lavoro, domani dico che prevalentemente mi occupo, ma chi è che controlla che questo
prevalentemente sia in realtà ... Quindi loro dicono questo non va bene, non posso dire io
mi occupo prevalentemente di penale, perché se io mi occupo di penale ci vuole qualcuno
che mi certifichi che io effettivamente sono un avvocato specializzato, e magari sono
specializzato in diritto penale tributario. Quindi loro dicono ci vuole anche qualcuno che
verifichi e, per esempio le associazioni che sono le associazioni come la camera penale ma
anche altre, come l’associazione diritto di famiglia, hanno una competenza nella formazione
professionale e quindi loro possono dare anche questo tipo di qualifica, e a quel punto però
l’avvocato deve potersi distinguere dagli altri avvocati. I penalisti arrivano al punto di dire
che loro vorrebbero addirittura nell’albo un elenco separato dei penalisti che indichi
appunto, quando chiama il cliente al Consiglio dell’Ordine di Roma, dice io vorrei un
avvocato, la risposta è sì, c’è un elenco. Lei cosa vuole un penalista tributario? C’è un elenco
in cui lei potrà ricavare che i penalisti tributari sono magari 12, o 18, o 27, ma non 19 mila.
Quindi da questo punto di vista la camera penale ...
Questo mi porta alle mie brevissime considerazioni su questa situazione. Io credo
appunto che oggi ci siano cento modi diversi di fare l’avvocato. Quindi la pubblicità
interviene nel momento in cui deve essere possibile per la collettività, per il cliente, sapere
a chi si rivolge. Quindi in effetti è un punto fondamentale. Io sono tra quelli che ritengono
per esempio che l’attività di consulenza legale dovrebbe essere libera. Faccio un esempio per
capire il mio concetto. Secondo l’avvocato Cassiani e anche secondo altri no, comunque.
Dico questo per dire: che se l’attività di consulenza legale è libera, e quindi faccio questo
esempio per far capire il concetto, e quindi l’importanza della comunicazione è di che cosa
comunico e a chi lo comunico e come lo comunico. Il cliente può dire: io posso andare dal
mio portiere a farmi dare un consiglio legale oppure posso andare dall’avvocato, oppure
posso andare dal commercialista. A questo punto quando però sceglie di andare dall’avvocato, lui deve sapere, il cliente, che va dall’avvocato perché andare dall’avvocato comporta
una serie di conseguenze, che dovrebbero essere delle conseguenze che gli danno una
maggiore garanzia di qualità. Quindi il titolo di avvocato, ma tutte gli altri titoli, le
specializzazioni (vogliamo chiamarle così?) l’avvocato cassazionista, il penalista, devono
diventare – a mio parere – delle distinzioni di qualità, nel senso che se io mi denomino come
avvocato di un certo tipo devo poi arrivare a quella possibilità avendo superato una serie di
paletti che sono di educazione, di formazione, al limite anche di esami perché non è detto
che non ci debba essere il rinnovo annuale o biennale, come succede in tanti paesi, del nostro
certificato di abilitazione, e potrebbe anche essere poi questo concetto ribaltato su certi tipi,
cioè se io sono avvocato penalista tributario ogni due anni mi devo sottoporre a un qualcosa.
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Superato questo poi però l’utilizzazione di questo titolo non solo non è negativa, come
giustamente anche afferma, ma è positiva perché a quel punto diventa un qualcosa che
garantisce l’utente rispetto alla comunicazione. Questo per dire che l’importanza della
comunicazione è che poi corrisponda a un dato che sia veritiero e che sia reale. Quindi non
è tanto secondo me il problema di come lo comunichi o a chi lo comunichi, il problema è
che fondamentalmente il sistema, il Consiglio dell’Ordine, questi nuovi enti di certificazione, la formazione, dovranno fare in modo che prima l’avvocato sia qualificato, perché oggi
il problema è che anche l’avvocato non è poi appunto qualificato come avvocato, e poi che
sia qualificato come avvocato nelle varie specializzazioni. Quindi se questo sistema viene
ben organizzato, a quel punto il problema della pubblicità non dico che si smonta ma
diventa un problema a questo punto di abuso, certo quello che va lì a fare il filmato, perché
potremmo anche fare dei filmati in cui c’è la moglie che litiga col marito, il marito che prende
la pistola, io li ho visti negli Stati Uniti, e dice che poi c’è il flash, “prima di sparare chiama
l’avvocato”. Questo è chiaramente un qualcosa che va al di là di una pubblicità, pubblicità
e progresso, potrebbe essere una informazione pubblicitaria. Quindi questo semplicemente
per dire e concludo che io non vedo il problema della pubblicità in quanto tale come un
problema fondamentale, purché ci sia dietro la comunicazione di quello che appunto viene
utilizzato, ci siano dei dati che siano certi, verificabili e a quel punto diventa un plus per
l’utenza che comunque deve poter essere messa in grado di decidere da chi andare, cosa
molto difficile in un ambito di, appunto a Roma, ventimila avvocati. Oggi il problema è che
non sai con chi ti metti. Quindi il problema esiste veramente. L’ultima cosa che volevo dire,
non è neanche vero perché poi ci sono queste critiche, ah la pubblicità favorisce i grandi, non
è vero perché fare pubblicità su internet per esempio non costa quasi nulla, è un sito web.
Quindi non possiamo neanche poi difenderci in maniera un po’, io uso una parola un po’
pesante, retrograda dicendo la pubblicità fa male perché in realtà favorisce solamente gli imperialisti, i grossi studi. No, non è vero, in realtà rendersi noto per un giovane avvocato che non
ha altri strumenti perché magari non è il figlio di quell’altro, il nipote di quell’altro eccetera,
in realtà può essere uno strumento molto utile e anche efficace, e anche a poco costo,
l’importante è che poi quello che comunica sia un qualcosa che sia – ripeto – un dato
verificabile, certo e di interesse per il cliente. Grazie.
Presidente
Grazie Antonio, sei stato chiarissimo e soprattutto hai rispettato i tempi, in maniera tale
che possiamo dare la parola a Corrado De Martini e poi dopo l’intervento dell’avvocato De
Martini ci sarà un coffee break.
Corrado de Martini
Grazie presidente. Io dovrei parlarvi della legislazione comunitaria, che in realtà sono
poche righe in fondo a una direttiva come legislazione. Ci sono invece molti documenti
comunitari, molti documenti dell’Unione Europea che riguardano il problema della
pubblicità e il problema della disciplina della professione di avvocato. Però prima di
guardarli in fondo e per capire per quale ragione l’Unione ce l’ha così tanto con gli avvocati,
che poi detto fra parentesi non è un fatto europeo, è un fatto assolutamente mondiale: in
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tutto il mondo – ivi compresi gli Stati Uniti – c’è una straordinaria attenzione alla professione
di avvocato e un tentativo di cambiarne regole tradizionali e secolari. Io mi sono domandato
perché succede questo, perché in fondo andare a guardare le bucce della professione degli
avvocati. E la risposta che mi sono dato (ve la comunico poi non so se troverò consensi) è
che l’avvocato è un personaggio deviante rispetto alla società nella quale viviamo che ha
come valori di riferimento la concorrenza e il mercato. Gli avvocati hanno valori diversi. Gli
avvocati, anche se non se ne rendono conto, perché molti di noi molto spesso non ci
rendiamo conto del fatto che siamo portatori di valori che non sono quelli del denaro e
dell’utile, noi abbiamo nel nostro DNA la difesa degli imputati, ma la difesa degli interessi
del singolo. E questa (la difesa degli interessi del singolo) è il fondamento del giusto processo.
Noi siamo portatori di una istanza di giusto processo, e il giusto processo è uno dei pilastri
dello stato di diritto. Sembrerà retorica ma non è retorica, e vedremo che questo sfondo, che
non viene mai esattamente affrontato, invece lo si trova costantemente nei documenti
dell’Unione Europea. Ve ne dico subito uno. C’è una risoluzione del Parlamento Europeo
del marzo 2006 che molti conoscono, in cui si riconosce che sono valori fondamentali di
interesse pubblico l’indipendenza dell’avvocato, il segreto professionale e l’assenza dei
conflitti di interessi, il divieto dei conflitti di interessi. E che l’attività dell’avvocato tocca il
campo, l’ambito delle libertà della sicurezza, della giustizia e la difesa dello stato di diritto.
Nella stessa risoluzione si afferma che l’avvocato ha un ruolo cruciale in una società
democratica per garantire il rispetto dei diritti fondamentali e dello stato di diritto.
Vedete non è una rivendicazione corporativa, è un dato di fatto. Perché? Perché c’è – ha
ragione Giulio Prosperetti – c’è un afflato diverso tra l’avvocato e il suo cliente diverso da
quello che c’è fra qualsiasi prestatore di servizi e il proprio cliente.
L’approccio della Commissione, che data ormai da qualche anno, l’approccio della
Commissione per regolamentare ... data da qualche anno, ed è un approccio come sapete
tutti puramente mercantilistico, ciò che conta è la concorrenza perché? Non perché si deve
avere concorrenza, ma perché concorrenza significa abbattimento dei costi e quindi un
vantaggio per il consumatore. Questo sarebbe il principio.
Però diceva bene Giulio Prosperetti, nel rapporto tra avvocato e cliente non c’è soltanto
una prestazione di servizi, noi non rendiamo soltanto un parere che ha un valore economico,
o una serie di attività di difesa in giudizio che hanno un valore economico, a parte il fatto
che ... Parentesi: questa è una osservazione molto risalente, dare un valore economico
all’attività intellettuale è praticamente impossibile, lo diceva Seneca. Voi sapete perché i
compensi degli avvocati si chiamano onorari? Seneca sosteneva che si chiamano onorari
perché una attività intellettuale di quel genere non è compensabile, e che quindi l’onorario
è un regalo, una sorta di compenso che non può essere commisurato al costo. L’avvocato
non fa frigoriferi, per fare un frigorifero che si può vendere a 300 euro servono 250 euro,
perché bisogna assemblare dei dati, ci sono delle ore di lavoro e così via. L’attività
dell’avvocato non è niente di tutto questo, come fate a commisurare il valore di una
comparsa conclusionale, che la causa abbia valore dieci o diecimila euro, l’impegno che
l’avvocato mette nel fare la comparsa conclusionale è identico. Come fate a dire che quella
comparsa deve essere compensata con 500 euro piuttosto che 5.000? Non c’è un parametro.
E in effetti, per quello che ne so io, per chi è avvocato a pieno titolo, il compenso quando
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si fa una cosa, quando si svolge un’attività di difesa il compenso è l’ultimo dei pensieri. Se
abbiamo un termine che scade il nostro problema è che dobbiamo rispettare il termine, non
quanto ci renderà questa attività che stiamo per fare. E guardate che questa specialità del
rapporto tra l’avvocato e il cliente non è soltanto di ordine morale, è anche riconosciuta da
specifiche norme. Vi faccio un solo esempio: se con il vostro cliente vi trovate in contrasto
su iniziative da prendere nel corso del processo voi avete il dovere, ciascun avvocato ha il
dovere di lasciare il proprio cliente perché non è possibile condurre un processo in contrasto
con il proprio cliente. Ma se si lascia il processo non lo si può lasciare dalla mattina alla sera,
abbiamo un obbligo di continuare ad assisterlo nonostante il contrasto fintanto che non
veniamo sostituiti. Lo dice il codice. Quindi questa specialità, voglio dire voi pensate che un
idraulico, se si trova in contrasto sul costo della sua prestazione sia tenuto a proteggervi
dall’invasione dell’acqua? Sicuramente no. C’è una specialità, c’è qualcosa di più nel
rapporto tra avvocato e cliente. E questo qualcosa di più è qualcosa che si trova nei
documenti, nei documenti legislativi italiani come nei documenti della Comunità. Certo il
panorama mondiale dei grandi studi con 500 avvocati crea qualche problema da questo
punto di vista, perché si rischia in quelle situazioni di avere un rapporto tra cliente e avvocato
che non è più un rapporto così strettamente fiduciario, e forse un pochino la prestazione si
spersonalizza, e forse in quelle occasioni, in quelle situazioni è più comprensibile che la
commissione, l’Unione Europea in genere, parta dal principio che l’attività dell’avvocato è
una attività di impresa. La posizione dell’Unione Europea sull’attività di impresa è molto
singolare devo dire, parte dall’articolo 81 del Trattato di Roma e secondo la giurisprudenza
costante della Corte di Giustizia, la nozione di impresa abbraccia qualsiasi entità che eserciti
un’attività economica, qualsiasi entità, a prescindere dallo status giuridico di detta entità e
delle sue modalità di finanziamento. Sostanzialmente secondo la giurisprudenza della Corte
di Giustizia, qualsiasi attività economica che non sia una attività pubblica o direttamente
attribuibile allo Stato, e che non sia un’attività di lavoro dipendente, è attività d’impresa. E
allora con questo tipo di informazione, con questo tipo di partenza, cioè che l’avvocato è
comunque un imprenditore, è ovvio che poi gli si applicano e si richieda che applichi nella
sua attività quotidiana tutte le norme che regolano l’attività di impresa, ivi compreso
naturalmente il rispetto della concorrenza e, dal punto di vista della direzione per la
concorrenza dell’Unione, anche che si tenti di ridurre, di ampliare, di aumentare gli spazi
di concorrenza con tutti i mezzi possibili e sicuramente da questo punto di vista la pubblicità
è uno strumento, non si può negare che la pubblicità abbia una funzione specifica
nell’ambito del mercato e nei rapporti di concorrenza tra imprese. Però vedete, questi sono
i punti di partenza e questi sarebbero gli agganci forti, teorici, dopo di che però negli stessi
documenti della comunità ci sono, non solo il Parlamento, ma anche documenti della stessa
commissione, della stessa direzione generale della concorrenza, ci sono delle affermazioni
che sono totalmente contrastanti, è come se l’Unione avesse un atteggiamento schizofrenico
rispetto alla professione di avvocato, in un qualche modo l’ottica cambiasse continuamente,
è come se fosse sempre un pochino fuori fuoco. Fra che cosa? Fra due modi di concepire la
professione dell’avvocato: quella dell’imprenditore e quella invece di una professione
liberale che è fondamento dello stato di diritto perché c’è questo rapporto singolare con il
cliente. L’unica norma vera e propria che disciplina (specificatamente poi) la pubblicità degli
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avvocati è una direttiva del 2000, la direttiva n. 31, in cui si dettano alcune norme sui servizi,
sulle informazioni che si possono dare e così via, e c’è una norma specifica che riguarda le
professioni regolamentate. E questa norma invece di ampliare mette una serie di paletti
molto rigidi, perché dice che gli stati membri possono consentire la pubblicità nel rispetto
delle regole professionali relative in particolare all’indipendenza, alla dignità, all’onore della
professione, al segreto professionale, alla lealtà verso clienti e colleghi.
Scusate, onore, dignità, lealtà, ma queste fanno parte delle caratteristiche di una impresa?
Mi pare di no. Queste sono cose che non hanno niente a che fare con l’impresa.
La stessa norma poi attribuisce ai consigli dell’Ordine, alle associazioni libere fra
avvocati, un potere e una funzione molto forte rispetto alle norme deontologiche che
devono regolare appunto la pubblicità. Quindi c’è sempre questa, nei documenti della
Comunità, dell’Unione, torna sempre un pochino fuori quest’altro aspetto per cui l’avvocato non è soltanto un imprenditore, non è soltanto un agente del mercato, è qualcosa di
diverso.
E in questo quadro si colloca anche la questione degli Ordini, perché gli Ordini
sicuramente sono un vincolo, un limite alla libera concorrenza. Però vedete, appunto la
direttiva 31. La direttiva 31 dice che è fatta salva l’autonomia delle organizzazioni
professionali e che compete proprio a queste organizzazioni professionali elaborare il codice
di condotta a livello comunitario, per la pubblicità. E che la commissione, nel disciplinare
le professioni intellettuali deve tenere in debito conto i codici di condotta applicabili in
stretta cooperazione con le organizzazioni professionali pertinenti. Ancora una volta c’è
quest’altro aspetto che conta, che deve contare, ma non è soltanto, c’è poi anche il
Parlamento europeo, nella risoluzione che vi dicevo prima del marzo 2006, anche qui c’è
un richiamo specifico ai principi di base stabiliti dall’ONU per l’attività di avvocato in cui
si dice che le associazioni professionali di avvocato hanno un ruolo cruciale per quello che
concerne il rispetto delle norme di legge, la deontologia e la difesa dei membri di questa
associazione. E ancora nella stessa risoluzione si sottolinea la funzione degli ordini
professionali, delle organizzazioni professionali degli avvocati in genere nello stabilire le
regole deontologiche che devono regolare e disciplinare l’attività dell’avvocato.
Però questo è il lato che ci piace, se vogliamo, però negli stessi documenti della
Comunità, e soprattutto nella giurisprudenza della Corte, perché sono ormai molte le
sentenze che riguardano l’attività degli avvocati, c’è un allarme molto netto, gli ordini
professionali o le associazioni professionali sono tendenzialmente e potenzialmente un
cartello restrittivo della concorrenza. Lo si dice chiaramente nelle sentenze, ve le posso
citare, le sentenze italiane che riguardano avvocati italiani, Arduino e Mauri, Cipolla anche,
è molto netta questa cosa, gli ordini potenzialmente sono restrittivi, siccome sono associazioni di imprese, essendo gli avvocati imprese, gli Ordini sono associazioni di imprese, e le
associazioni di imprese sono tendenzialmente degli organismi che sono restrittivi della
concorrenza.
Questa è la preoccupazione di fondo della direzione generale per la concorrenza, perché
è pacifico per tutte quelle sentenze che gli ordini sono associazioni di imprese e che le
associazioni di imprese, essendo potenzialmente fonte di restrizione della libera concorrenza sono accettabili soltanto laddove ci sia una copertura dello Stato. Ricordatevi che nella
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sentenza Arduino, dove si parlava di tariffe, nella sentenza Arduino le tariffe italiane sono
state considerate legittime perché? Perché queste tariffe, sia pure elaborate dal Consiglio
Nazionale Forense, cioè dagli ordini italiani, avevano però l’avallo del ministro e non
sarebbero state efficaci senza l’avallo del ministro. Quindi – dice la Corte – soltanto il timbro
che gli mette il ministro le rende legittime, altrimenti sarebbero illegittime perché sarebbero
provenienti da un cartello di imprese e per principio questo tipo di formazione delle norme
fa nascer delle norme che sono restrittive della concorrenza.
La pubblicità in sé e per sé. Io molti anni fa, la prima volta che ho visitato l’Ordine di
Parigi come segretario della Conferenza, sono stato colpito fra le altre cose, da una cosa in
particolare, che mi dicevano i miei colleghi coetanei all’epoca, l’Ordine di Parigi vietava che
si installassero delle targhe sui portoni all’esterno dei palazzi, cioè la notizia che in un certo
palazzo c’era uno studio legale era una notizia riservata. E installare una targa era
un’infrazione disciplinare. Oggi è un po’ diverso mi pare, oggi nel linguaggio dell’Unione,
della Comunità, c’è un luogo comune ricorrente: la simmetria dell’informazione, l’avvocato
sa troppe cose e il cliente ne sa troppo poche, il cliente non è in grado di valutare se l’avvocato
è preparato, se è qualificato, che razza di personaggio è, mentre l’avvocato sa troppo e quindi
bisogna correggere questa cosa.
Ma io un’osservazione su questo idolo della simmetria dell’informazione la vorrei fare,
nel senso che a me pare che la pubblicità non si rivolge tanto al cliente privato, si rivolge alle
grandi imprese, perché è lì che ha un senso, ha un senso per i grandi studi nei confronti delle
grandi imprese. Certamente io non credo che la pubblicità sia rivolta al singolo privato, certo
potremmo avere anche qui, come mi è capitato recentemente a New York, di vedere su una
finestra DIVORZIO 100 DOLLARI, è vero, ma non credo che questo tipo di pubblicità attiri
effettivamente clientela. Credo invece che una pubblicità efficiente sia quella che possono fare
i grandi studi nei confronti dei grossi cliente, delle banche, delle società di assicurazione, delle
grandi imprese in genere. Ma le grandi imprese in genere certamente non soffrono di una
asimmetria dell’informazione. Quindi mi pare che il concetto sia utilizzato male. Comunque
la Comunità, l’Unione ci impone di liberalizzare la pubblicità. Non ce lo impone con norme
specifiche, cioè non ci sono direttive che impongono agli stati e neanche regolamenti che
impongono agli stati membri di liberalizzare la pubblicità. Però in tutti i documenti della
direzione per la concorrenza questo è uno dei punti fondamentali, è uno dei punti su cui la
direzione della concorrenza ha fatto un check in tutti i paesi dell’Unione, andando a guardare
quali erano le singole norme e ha fatto anche una graduatoria dei paesi che sono più bravi, che
sarebbero quelli che hanno meno regole e meno restrizioni. E anche nella direttiva, questa
direttiva del 2000 non impone di liberalizzare la pubblicità ma certamente prevede che questo
debba essere fatto. Però in questa direttiva si parla di pubblicità degli avvocati ma con tutti quei
distinguo e quei paletti, il rispetto dell’indipendenza dell’onore, della dignità, della professione
e così via. Quindi nei documenti ufficiali, che sono legislazione vera e propria, c’è molta
attenzione a tutto quel lato della professione di avvocato che è un po’, che non c’entra niente
con l’attività di impresa.
Del codice deontologico vi hanno già parlato, del nuovo codice deontologico e le nuove
norme, ci sono dei paletti in questo codice deontologico perché è vietata la pubblicità
comparativa, è vietata la pubblicità elogiativa, è vietato, come vi è stato detto, vantarsi dei
propri clienti. Questo è molto importante, come diceva giustamente Manca Graziadei, perché
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se vi capita tra le mani i depliant pubblicitari dei grandi studi internazionali, una delle prime
cose che trovate è l’elenco di tutti i clienti in giro per il mondo. E del resto è logico, quale miglior
referenza quella di dire “io assisto la Fiat, la Banca d’Italia” e così via. Questa è la migliore delle
referenze per un avvocato. Secondo il Consiglio Nazionale Forense questa cosa non si può fare,
e non si può fare perché? Non si può fare perché è una violazione del segreto professionale,
molto semplicemente, nient’altro che per questo.
Secondo me la disciplina che ha dettato il Consiglio Nazionale Forense è accettabile, ha
detto: va bene, accettiamo un certo qual grado di concorrenza, accettiamo la pubblicità, questa
deve essere ristretta entro certi limiti, cioè dei limiti li deve avere, e quelli che ha dettato il
Consiglio Nazionale Forense secondo me sono ragionevoli e legittimi.
Restano due problemi: il primo riguarda direttamente i consigli dell’ordine, perché il
rispetto di queste regole deontologiche è affidato al Consiglio dell’Ordine. Ora noi siamo
abituati a pensare, in Italia siamo abituati a un controllo del contenuto della pubblicità che è
un controllo estremamente rapido ed estremamente efficace, che è il Giurì di autodisciplina
pubblicitaria. Quello interviene nel giro di 2-3-4 giorni. Io non vorrei che i Consigli dell’Ordine
avessero, rispetto al controllo dei messaggi pubblicitari lo stesso tipo di efficienza che hanno
attualmente, nel senso che nelle grandi città io mi immagino che un controllo in 3-4 giorni sia
assolutamente impossibile, impensabile. E allora abbiamo dei problemi da questo punto di
vista, perché rischiamo di essere inondati da messaggi pubblicitari comparativi, aggressivi, con
i nomi dei clienti e di tenerceli lì per mesi. L’effetto l’avranno già avuto. Poi c’è un altro rischio,
immaginate che qualcuno faccia della pubblicità, un qualche collega faccia della pubblicità
citando i nomi dei propri clienti. Interviene il Consiglio dell’Ordine, commina una sanzione,
il Consiglio dell’Ordine non ha il potere che ha il Giurì, che è un potere contrattuale nei
confronti delle testate e dei media in genere. Il Giurì interviene e la decisione del Giurì è
automaticamente eseguita da tutti i giornali, da tutte le televisioni, da tutte le radio. I Consigli
dell’Ordine hanno questo potere? Non mi pare.
Ma comunque, viene sanzionata, immagino che chi ha fatto la pubblicità voglia resistere
e dove può andare, è una attività di diritto pubblico, è una attività amministrativa, andiamo
davanti al Tar? andiamo davanti al giudice ordinario? Non lo so, non voglio entrare nel
dettaglio, mi interessa invece segnalare un problema.
Secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia della Comunità le regole deontologiche
restrittive della concorrenza possono essere disapplicate dal giudice ordinario. Questa è stata
l’ultima sentenza di questo genere, una sentenza di un paio di anni fa, la sentenza CIF,
Consorzio Italiano Fiammiferario, o una cosa del genere. Disapplicata dal giudice. E queste
clausole deontologiche che violano i divieti di concorrenza, i divieti di restrizione di
concorrenza sono di diritto nulle. Allora bellissimo il codice deontologico del Consiglio
Nazionale Forense, ma come facciamo ad applicarlo? E in quanto tempo e con quale efficacia?
Grazie.
Presidente
Ringrazio a nome di tutti l’avvocato De Martini per questa relazione così densa, che ha
messo in luce in maniera brillante tutte le antinomie che sono all’interno di questa frammentata materia. Speriamo che con il contributo anche dei nostri ospiti stranieri riusciamo alla fine
ad avere un quadro generale che poi potremmo offrire per le scelte future.
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Presidente
E’ con molto piacere che prego l’avvocato Moore, che è stato presidente del Consiglio
dell’Ordine degli Avvocati di New York di iniziare la sua relazione.
INTERVENTO AVVOCATO MOORE IN INGLESE
Presidente
Ringrazio molto l’avvocato Moore per questa brillantissima esposizione, anche per gli
esempi che ci ha dato di pubblicità. Certo è un mondo molto diverso dal nostro e mentre
noi dobbiamo trovare un sistema di flessibilizzazione della nostra categoria, che sono così
rigide appunto, ricordava prima l’avvocato De Martini che in Francia non si poteva mettere
neanche la targa fuori il portone. Invece in America, come ci ha spiegato l’avvocato Moore,
hanno il problema opposto a questo punto. Io ero negli Stati Uniti nel 77 quando ci fu questa
pronuncia della Corte Suprema, e ricordo il New York Times che uscì il giorno dopo con
un allegato di centinaia di pagine nelle quali c’erano le pubblicità già pronte di tutti gli
avvocati dei principali studi degli Stati Uniti. Forse abbiamo anche spazio per una o due
domande, chi vuole proporre dei quesiti. Magari facciamo alla fine un giro di domande.
Nel frattempo ci ha raggiunto l’avvocato Carlo Martuccelli, che è il rappresentante del
Lazio al Consiglio Nazionale Forense e che è stato delegato dal Presidente Alpa di portare
il saluto del Consiglio Nazionale Forense.
Avv. Carlo Martuccelli
Io chiedo scusa per essere intervenuto soltanto adesso, ma un altro impegno mi ha tenuto
lontano da qui, non molto lontano da qui ma comunque non in questa sala. A nome del
Consiglio Nazionale Forense e del Presidente porgo il saluto più cordiale ai presenti e
l’apprezzamento per l’organizzazione di questo incontro da parte del Consiglio dell’Ordine
di Roma, incontro che si colloca in un momento particolare per l’argomento del quale si sta
trattando. Argomento al quale dobbiamo essere sensibili tutti, e al quale è sensibile in modo
particolare il Consiglio Nazionale Forense. Certo il mondo è cambiato, il mondo forense è
cambiato, se noi pensiamo che il nostro codice deontologico vietava addirittura il fornire
informazioni da parte dell’avvocato, fino al 1999, quindi fino a pochi anni fa, soltanto nel 99
è cambiato il codice deontologico forense e ha previsto invece la possibilità dell’informazione.
Informazione che via via poi, con gli ulteriori cambiamenti, si è allargata, quindi oggi si
consente all’avvocato italiano di dare le informazioni più ampie possibili sulla propria attività.
Questo ai fini proprio di informare colui il quale ha bisogno di rivolgersi a un avvocato.
Il problema di fondo che si pone per noi, per la nostra tradizione, per il nostro mondo,
è quello proprio della distinzione tra pubblicità e informazione. Noi abbiamo sempre
ritenuto e continuiamo a ritenere al Consiglio Nazionale Forense che in realtà si debba
parlare solo ed esclusivamente di informazione, sia pure nella forma più ampia possibile, che
non di pubblicità, proprio perché siamo convinti che la pubblicità poi ha in sé quei pericoli
dei quali oltretutto abbiamo preso atto ascoltando il collega che mi ha preceduto. Che nel
nostro paese poi di pericoli che questa pubblicità diventi non veritiera, diventi ingannevole,
diventi comparativa, e quindi con tutte le negatività che la pubblicità si porta appresso, è
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facile immaginarlo. Proprio per questo pericolo noi del Consiglio Nazionale Forense
riteniamo che parlare di pubblicità per gli avvocati sia assai pericoloso. Ed allora contenendo
invece nella forma dell’informazione, sia pure la più ampia possibile, il problema si possa
risolvere in questo modo. Quale è lo scopo che si deve perseguire? Quello di consentire ai
soggetti che ne abbiano bisogno di scegliere un avvocato e di scegliere il meglio. Per fare
questo non c’è bisogno della pubblicità, è sufficiente che si dia, ripeto, le informazioni
possibili e in questo, quando l’avvocato ha la possibilità di esporre i titoli che ha conseguito,
le materie nelle quali esercita, la organizzazione del proprio studio, quindi le informazioni
più ampie possibili noi riteniamo che questo sia sufficiente soprattutto nel rispetto della
tradizione del nostro mondo che ci obbliga, a nostro avviso, ad evitare di allargare anche alla
pubblicità. Questa è la posizione del Consiglio Nazionale Forense.
Certo siamo lieti di ascoltare le altre posizioni e soprattutto quanto avviene negli altri
paesi perché non è escluso che nel futuro dall’informazione si possa anche da noi passare
alla pubblicità e quindi conoscere questi altri mondi è sempre utile per potersi, se non
adeguare quantomeno cercare di evitare che si arrivi a delle conseguenze eccessive quali oggi
purtroppo si sentono. Con questo io ritengo di aver detto quanto necessario, ascolterò con
piacere quanto ancora sarà detto e comunque il successo della manifestazione, di queste
manifestazioni non deve essere valutato in base alle presenze ma in base ai contenuti, e i
contenuti mi sembrano particolarmente importanti e soprattutto per questo io ringrazio il
Consiglio dell’Ordine di Roma per aver organizzato questa manifestazione nella certezza
che in futuro ce ne saranno delle altre, sempre idonee a consentire di noi di crearsi un modo
di recepire quanto di meglio ci possa essere sempre per il miglioramento della funzione
dell’avvocato e della qualità del prodotto, si dice oggi, che si possa dare anche da parte
dell’Avvocatura. Complimenti e grazie.
Presidente
Grazie Carlo per questa tua messa a punto di quello che è lo stato dell’arte nel nostro
ordinamento e soprattutto per queste prospettive di ampliamento che ci dici, che quindi
vuol dire che all’interno del CNF qualcosa sta bollendo.
Pregherei di prendere la parola all’avvocato Bernard Vatier, che è stato presidente della
Commissione dei Consigli degli Ordini europei che ci parlerà di alcune peculiarità del
sistema francese.
INTERVENTO BERNARD VATIER (IN FRANCESE)
Presidente
Ringrazio Bernard Vatier per questa bella relazione, per questa panoramica. Molto
giustamente il collega ha acquisito il dossier, vediamo se ispirandoci a questo possiamo fare
anche noi qualche cosa. Mi sembra che in definitiva l’esperienza francese, pur nascendo da
una rigidità addirittura maggiore di quella italiana, si sia però evoluta in senso più liberale
che non la situazione italiana.
Vorrei chiedere poi, magari se ci sarà spazio per un chiarimento, perché mi lascia un po’
perplesso il fatto che secondo Vatier non sia giusto dare pubblicità alle class action, perché
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le class action di cui noi aspettando una legge, hanno in sé anche un valore sociale molto
rilevante. Quindi certo è molto delicato stabilire quali sono i limiti di pubblicità della class
action, in Francia hanno le azioni collettive che possono essere pubblicizzate soltanto in
riviste specializzate o simili, ma il problema del rapporto tra pubblicità e class action mi
sembra un problema cruciale, perché non ci può essere class action senza pubblicità. E’ vero
che le proposte che stiamo vedendo passano per le associazioni dei consumatori e quindi
questo eviterebbe il problema di un ricorso alla pubblicità, però io e non solo io, molti sono
molto perplessi sull’idea di dare un monopolio alle associazioni dei consumatori in materia
di class action, perché queste associazioni rischiano poi di trattare in maniera verticistica e
con accordi forse non trasparenti quello che invece la pluralità, tutta la platea degli avvocati,
se non altro per il loro immenso numero, può garantire in maniera ... più significa e più
trasparente. Se poi avremo ancora qualche minuto pregherei poi Bernard Vatier di tornare
su questo tema. Volevo presentarvi l’avvocato Ruper Wolfe, che anche lui è stato presidente
della CCBE, ed è attualmente vice presidente dell’Ordine Avvocati Austriaco.
Ruper Wolfe
Care colleghe e colleghi, sono lieto e molto onorato dell’invito. Grazie. Per far sì che
nessuno di voi si addormenti vorrei presentare la mia relazione in modo molto compresso,
visto anche l’orario, e in modo un po’ polemico. La mia relazione sarà suddivisa in tre
capitoli.
CAPITOLO 1: L’INVITO AL VIAGGIO INSIEME.
capitolo 2: non avere paura
capitolo 2: buongiorno, siamo nel terzo millennio.
Posso garantirvi che ciascun capitolo sarà più breve del capitolo precedente.
L’INVITO AL VIAGGIO INSIEME. Vi invito ad andare con me a Berlino. Prendiamo il volo
Rayan Air. Ho letto sulla pubblicità, prima di prenotare i biglietti, che il biglietto costa un
euro, non potevo leggere perché era a stampatura illeggibile, che oltre a questo prezzo del
biglietto si aggiungono le tasse di aeroporto nella misura di 50 euro. Va bene. Arriviamo a
Berlino, andiamo a visitare il collega Pinco Pallino dello studio X di Berlino. Pinco Pallino
in Germania si chiama Max Huber. Lo studio consta di sei avvocati. Si è appena organizzato
nella forma di società per azioni. Max sta insieme ai suoi colleghi per discutere la nuova
strategia pubblicitaria dello studio. Hanno deciso di spendere quest’anno il 15% del giro
d’affari dello studio. Max ha deciso, lui è il socio più anziano, ha deciso di comprarsi, lungo
le bandiere dello stadio di Campo di calcio a Berlino spazio pubblicitario per il suo studio.
L’anno precedente lo studio di Max Huber ha comprato su una decina di taxi a Berlino spazio
pubblicitario all’esterno dei taxi. Nello studio c’è un collega assai giovane, che mira ad
allargare il cerchio della propria clientela perché ha appena iniziato. Lui ha deciso di fare la
sua pubblicità dicendo: prima consulenza legale 19 euro. C’è un altro collega dello studio
che ha deciso, in quanto lui lavora molto nel campo immobiliare, di pubblicizzare il patto
di quota litis. Lui si occupa di questioni di restituzione, ed ha proposto una campagna
pubblicitaria dicendo faccio diventare il vostro problema il mio caso. Questo sarà lo slogan
dell’altro collega, e ne prende il 33% nel caso di successo, nel caso di una soccombenza però
il cliente paga niente, zero, neanche il contributo unitario, neanche le marche da bollo.
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Tutto ciò è lecito, tutto ciò è diventato lecito in Germania, perché la Corte Costituzionale tedesca ha deciso in vari casi che un divieto di pubblicizzare servizi, tra di loro servizi
legali, è contrario all’articolo 12 della Costituzione tedesca, che sarebbe la libertà di esercitare
una qualsiasi professione.
Sembra che i funzionari dell’avvocatura abbiamo un po’ perso la guida della nave
denominata “avvocatura”, in quanto si vede sempre di più terzi che decidono sulla leicità
o illeicità delle regole professionali, sono le autorità regolanti dei vari paesi, sono le corti
costituzionali oppure anche la Corte di Giustizia Europea.
Vorrei – e questo è più un desiderio -che la professione diventi di nuovo pro-attiva e
diventi il capitano della barca. In Germania, dopo questa decisione della Corte Costituzionale il Parlamento dell’Avvocatura a febbraio 2005 si è radunato per adattare le regole
professionali alla realtà decisa dalla Corte Costituzionale. La situazione oggi come oggi è tale
che l’avvocatura non soggiace ad altre regole come le altre professioni. Dobbiamo però badar
bene che ci sono leggi che regolano la concorrenza sleale e il comportamento illecito anche
per quanto concerne la pubblicità, ed è chiaro che queste regole si applicano anche alla
professione dell’avvocato.
Prendiamo un altro volo. Andiamo da Berlino a Vienna. In Austria la situazione è un po’
più temuta, un po’ più mite, perché il paese è piccolo, ci sono non 130 mila avvocati come
in Germania ma 5.000 avvocati per 8 milioni di abitanti. In Austria la discussione è iniziata,
la discussione al riguardo di divieti dico tradizionali come per esempio il divieto del patto
di quota litis, il divieto di associarsi nella forma di una società per azioni, il divieto di far
entrare nella associazione professionale estranei, quindi non avvocati. Ne è nata una forte
discussione per quanto riguarda però la pubblicità abbiamo liberalizzato già nel 1990, in vari
passi graduali, la pubblicità. Il primo passo di apertura è stato che abbiamo permesso ai
colleghi di far pubblicità dei propri servizi in tutti i media disponibili, tranne i mass-media,
quindi escludendo radio, televisione e cinema. Non so per quale ragione per essere sincero.
Questo divieto di inserire i mass media è poi caduto cinque anni fa, la realtà però è che
si vede pubblicità da parte dell’avvocatura in Austria, sopratutto sui giornali, siti, web,
depliant, new letter eccetera però non si vede mai pubblicità nei mass media perché è costosa.
E’ costosa e - questo è il mio convincimento personale – ha poco plusvalore per lo studio.
Posso però dire che anche in Austria la pubblicità è libera salvo che resti veritiera e che la
pubblicità rispetti le regole contro la concorrenza sleale.
Non abbiamo paura, NON AVERE PAURA il secondo capitolo. La professione si vede sempre
di più esposta ad attacchi si può dire oppure movimenti di modifica di cambiamento delle
regole professionali. Dobbiamo badar bene di non reagire con un certo automatismo
dicendo no automaticamente a tutte le novità che vengono proposte. Io personalmente sono
convinto che il patto di quota litis al giorno di oggi può essere nell’interesse del pubblico,
può essere giustificato e può aprire per tanti clienti l’accesso alla giustizia. Sottostà
certamente alle altre regole che esistono nell’ambito del regolamento austriaco, come per
esempio regole contro, non so la parola italiana, quando si chiede molto di più di
controprestazione, ci deve essere una certa proporzione.
La discussione in Austria non è finita, continuerà. Devo però che la media dei colleghi
in Austria sta intorno a 40 anni, la media della professione. I colleghi chiedono certe riforme,
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però anche i giovani rispettano l’attività degli ordini in Austria, se hanno un plusvalore da
queste attività.
Il terzo capitolo sarebbe BUONGIORNO SIAMO NEL TERZO MILLENNIO, ed è quasi la conclusione. Il collega Max Huber di Austria si vede costretto a pagare ogni anno contributi
all’Ordine, più il contributo cassa pensione, più contributo per il praticante, più il
contributo assicurazione contro i rischi professionali, per un importo complessivo di 17 mila
euro l’anno. Il collega Max Huber di Vienna si è ammalato, e stava via dallo studio per tre
settimane. Non ha potuto inoltrare il prezzo di compravendita che giaceva sul conto
fiduciario al suo cliente, il venditore, il cliente lo denuncia, il consiglio dell’Ordine gli dà
delle botte. Il collega Max Huber di Vienna vede il Consiglio dell’Ordine come un’autorità
che incassa, vuole soldi e dà delle botte, e poco dà per servire all’insieme degli avvocati. Là
sono convinto che siamo noi funzionari dei Consigli dell’Ordine che dobbiamo aiutare che
la professione diventi una professione moderna, una del terzo millennio che gli Ordini
danno più servizi ai propri membri, presentano molto di più gli interessi dell’avvocatura, si
mettano di nuovo alla guida della barca denominata avvocatura. Concludo che vorrei che
noi tutti viaggiassimo insieme senza avere paura in questo terzo millennio. Grazie.
Presidente
Credo che dobbiamo tutti ringraziare l’avvocato Wolfe anche per aver parlato uno
splendido italiano. Questo ci fa molto piacere. Non solo: per averci dato questa prospettiva,
perché possiamo dire che è andato un po’ fuori dal coro di un certo tradizionalismo che
invece serpeggiava negli interventi precedenti. Quindi dà l’idea di quello che può essere un
approccio equilibrato a una evoluzione che veda appunto il servizio legale pubblicizzato in
maniera idonea.
L’ultima relazione è della nostra collega Panova che è iscritta all’Ordine di Roma, pur
essendo avvocato anche del Foro di Sophia. Lei quindi ha questa duplice veste e ha una
competenza del sistema dei paesi dell’est europeo in generale.
Panova
Cercherò di essere sintetica. Il mio intervento riguarda il problema della pubblicità in
Bulgaria, cioè il mio paese di origine, e dell’est europeo in generale. Ho preso degli esempi
che penso saranno interessanti, soprattutto dalla Russia. Anzitutto vorrei fare un passo
indietro, in quanto non so quanti di voi conoscono la realtà dei paesi dell’est. La Bulgaria
come sapete è stato un paese dell’area socialista fino a poco tempo fa, praticamente fino a
15 anni fa, quando non ero ancora avvocato ma praticamente la classe forense rientrava nel
c.d. controllo dello Stato. Durante il periodo socialista, infatti sembra strano ma la
professione forense era completamente controllata dallo Stato al punto da non avere una
normativa forense, di non avere delle regole specifiche fino praticamente l’inizio degli anni
90 quando il regime è cambiato e la professione è diventata una professione libera. Per fare
un esempio: ai tempi socialisti lo Stato predisponeva dei locali agli avvocati, praticamente
gli avvocati erano pochissimi, c’era in Bulgaria un numero chiuso dei posti di avvocato, come
numero chiuso di studenti universitari di giurisprudenza, e lo Stato dava questi locali, queste
stanze di solito in un palazzo, come a Sophia, al centro di Sophia davanti al Tribunale dove
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ciascuno aveva la propria stanza. Non si poteva fare la pubblicità naturalmente, si poteva
mettere solo il nome davanti la porta e praticamente era una continuità di corridoi, di stanze
di avvocati senza una minima distinzione tra specializzazioni, una distinzione tra di loro.
Praticamente lì c’erano degli altri problemi e nessuno si poneva il problema della
pubblicità in quanto era assai costante e opprimente. A metà degli anni 90 praticamente con
la emanazione della legge forense, qualcosa cambiò nella professione perché agli avvocati
praticamente è stata, diciamo restituita, perché penso che anche prima del regime socialista
la situazione era ben diversa, è stata restituita dignità professionale, personale e di categoria
che fino allora, secondo me, mancava.
Poi con le prime elezioni democratiche dei colleghi avvocati sono diventati deputati, altri
divennero ricchi, altri famosi, cioè praticamente con il retaggio del regime socialista la figura
dell’avvocato raggiunse quella del giudice. La legge forense praticamente ha cominciare a
dare delle possibilità, è stato inserito un articolo, il 17, il quale in qualche maniera già dava
la possibilità agli avvocati di mettere almeno la targa davanti lo studio, cioè in senso molto
restrittivo ma comunque la pubblicità in qualche maniera era consentita. Comunque il
controllo dello Stato continuava, per fare un esempio che ha fatto ridere molti colleghi
italiani, per esempio il Bulgaria le deleghe per le cause, ancora ad oggi, sono contenute in
un blocco con pagine numerate, blocchetto vidimato dagli Ordini degli Avvocati, così
praticamente l’Ordine ha il controllo totale sull’attività dell’avvocato, sulle cause che segue
anche perché anche gli stessi onorari sono scritti dentro questa delega.
La situazione solo nel 2005 è cambiata. Cercherò di essere sintetica, anche perché la
Bulgaria, essendo già diventato un paese comunitario, le norme sono diventate quelle
comunitarie, cioè la normativa è abbastanza simile a quella italiana. Nel 2005 è stato
emanato per la prima volta nella storia dell’Ordine di Sophia, degli ordini bulgari ma
comunque anche quello di Sophia, emanato un codice deontologico, il quale praticamente
ha permesso la pubblicità degli avvocati con tutti i mezzi, compresi anche la tv, la radio,
l’internet, ma mettendo certi limiti nelle informazioni che possono essere inserite. Cioè il
codice deontologico non dice le informazioni che possono essere inserite ma quelle che non
possono. L’avvocato per esempio non potrebbe dire di essere specialista in qualche maniera;
non può fornire delle informazioni ingannevoli, e come dice il codice non può fornire delle
informazioni oggettivamente non verificabili. Non gli è concessa la pubblicità comparativa;
non gli è permesso di criticare le tariffe degli altri colleghi né di difendere le proprie; non può
far risaltare le singole vittorie nelle cause né dire i nomi dei clienti, né specificare le
percentuali delle cause vinte. All’avvocato dunque è consentito praticamente di inserire solo
i dati del proprio studio, indicare i nomi, indirizzi, i numeri di telefono nonché i dati relativi
alla propria formazione professionale, anche le lingue conosciute, questo l’ho verificato in
vari siti internet.
Poi c’è un altro fenomeno, di solito quando si approva una normativa poi rapidamente
cominciano a spuntare dei nuovi fenomeni, cioè i colleghi si inventano diverse soluzioni.
Praticamente gli avvocati bulgari hanno cominciato ad utilizzare la rete internet per dare
delle consulenze. Ho visto diversi siti web di avvocati che praticamente proponevano queste
consulenze con pagamento tramite la carta di credito, secondo me una tale prassi non
dovrebbe essere consentita, è ai margini del consentito della normativa ma secondo me il
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problema è che il controllo manca, anche se ci sono le regole ma manca il controllo
praticamente credo che ci sono abbastanza problemi.
Io passerei subito agli esempi della Russia e con questo vorrei finire. In Russia la
situazione è interessante, ho visto un parere del presidente del Consiglio dell’Ordine di
Mosca proprio sul problema della pubblicità il quale praticamente diceva che non è
consentita in Russia la pubblicità effettuata tramite la televisione, la radio, e gli avvocati non
possono rilasciare delle interviste, che è considerata pubblicità dall’Ordine di Mosca, anche
se qua in Italia ci sono parecchi avvocati che fanno a gara per farsi vedere in televisione. E
c’è un altro aspetto interessante in Russia che praticamente pare che adesso è di moda, il
Presidente dell’Ordine di Mosca diceva che gli avvocati moscoviti per aggirare le strette
maglie della normativa forense, e per poter comunque mettere in risalto la propria qualità,
si sono inventati di battezzare i propri studi legali con dei nomi di fantasia.
Per esempio c’è uno studio a Mosca che si chiama LE STELLE DEL FORO, tradotto, ce n’è un
altro che si chiama LE STELLE DEL CREMLINO, praticamente in russo questo suona i migliori
avvocati del foro, qualcosa del genere.
Poi ci sono altri studi invece, che lui stava citando, le quali denominazioni praticamente
suscitano un certo timore nei clienti, per esempio c’è uno studio che si chiama AMMINISTRATORI DEL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA DELLA FEDERAZIONE RUSSA. Ce ne è un altro che si chiama
invece, uno studio di avvocati penalisti, INTERPOL CRIMINAL CENTER. Lui aveva denunciato
questo fenomeno perché poi, essendo tanti gli avvocati di Mosca, diceva noi non possiamo
in realtà controllarli questi studi e quando li trovano su internet qualcuno li denuncia
prendono i provvedimenti.
Poi ho studiato la questione della Romania, la cosa strana che ho notato è che sia in
Romania sia in Slovenia, anche se sono già paesi comunitari, c’è una restrizione, cioè la
Bulgaria per esempio è molto più permissiva in ordine di pubblicità. Questi paesi invece non
hanno approvato le normative, non hanno liberalizzato le pubblicità degli avvocati e
addirittura gli avvocati possono fornire solo i dati che sono trascritti presso l’Ordine degli
Avvocati, cioè i nomi, i telefoni e nient’altro.
Un’altra questione che stavo pensando, perché io essendo iscritta in entrambi gli Ordini,
io ho il sito web del mio studio, il quale ho verificato che risponde alla normativa italiana
ma non risponde a quella bulgara. Adesso stavo pensando come conciliare entrambi i
problemi.
Presidente
Che a nessuno venga in mente di diffondere questa idea delle stelle dei Sette Colli se no.
Ringraziamo Panova che con pochi flash ci ha fatto capire perfettamente lo stato dell’arte
nei paesi dell’est. Veramente grazie per questa esposizione così fresca e brillante. Se non siete
troppo stanchi io qualche curiosità, qualche domanda la vorrei fare, in particolare volevo
invitare il collega Vatier su quello che dicevo prima, sul problema delle class action. Se lui
non ritiene che al di là della pace sociale le class action hanno esse stesse un valore sociale
perché è l’avvocato che si fa paladino di una grande questione che il singolo non ha gli
strumenti per affrontare ma che unendo delle forze collettive riesce in qualche maniera a
portarlo avanti. Certo questa è una attività conflittogena, però che ha forse un grosso valore.
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Se si può trovare una compatibilità tra la pace sociale e la tutela dei diritti diffusi.
RISPOSTA VATIER (IN FRANCESE)
Presidente
Molte grazie, è stato chiarissimo. Forse l’avvocato Wolfe può dirci qualche cosa su questo
profilo in Germania.
Wolfe
Io vorrei aggiungere soltanto una informazione che magari è di interesse, che abbiamo
una proposta di legge che stiamo attualmente discutendo per quanto riguarda la class action
che non prevede l’intervento delle organizzazioni che proteggono i consumatori ma prevede
la rappresentanza mandataria da parte di un avvocato e che il gruppo degli attori di questa
azione class o mass si scelgono un rappresentante democraticamente eletto che deve essere
un avvocato ma non lo stesso che difende e rappresenta, ed è una soluzione che mi pare
attraente perché crea l’intervento, crea nuovo lavoro per i colleghi.
Presidente
L’avvocato Moore ci dà un flash anche lui sulle class action negli States e poi
concludiamo.
RISPOSTA
MOORE (IN INGLESE)
Presidente
Abbiamo lavorato molto bene, mi pare che le relazioni sono state tutte molto interessanti. Mi hanno detto gli uffici del CNF che si potrebbe fare la pubblicazione sulla rassegna del
CNF, perché mi sembra un materiale questo molto prezioso che è bene che possa servire per
dibattito per tutti.
* * *
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ATTIVITA' DEL CONSIGLIO
LE PROVI CIVILI
Convegno del 17 aprile 2007
1) Disciplina a formazione progressiva
L’Italia è stata il primo Paese in Europa a dotarsi di una disciplina in materia di
documento informatico e firma digitale, con l’adozione dei primi provvedimenti normativi
in merito alla attività della pubblica amministrazione (v. art. 15, II c., L. n. 59/1997, nonché
il successivo regolamento contenuto nel D.P.R. n. 513/1997, il regolamento tecnico 8
febbraio 1999).
Il D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 ha abrogato il D.P.R. 20.11.1997, n. 513 ed è stato
successivamente modificato con il d.lgs. 23.01.2002, n. 10 che ha recepito la direttiva
comunitaria 1999/93/CE e con il d.p.r. 7.4.2003 n. 137.
Alla direttiva comunitaria appena citata (nata dall’esigenza di garantire la sicurezza e
l’affidabilità sia dei rapporti commerciali sia delle comunicazioni elettroniche, che possono
essere raggiunte solo infondendo fiducia nelle firme elettroniche e nei servizi ad esse
connessi che consentono l’autenticazione dei dati) ha fatto seguito la direttiva 2000/31/CE
“sul commercio elettronico”.
1.1) Il Codice dell’amministrazione digitale approvato con D.Lgs. 07.03.2005, n. 82,
in vigore dal 1° gennaio 2006 e successivamente modificato con d. lgs. 04.04.2006, n. 159
in vigore dal 14.05.2006, ha dettato norme di riordino in materia, in particolar modo con
riferimento al regime di validità ed efficacia sostanziale del documento informatico ed alla
sua efficacia probatoria.
L’art. 2 del Codice dell’amministrazione digitale stabilisce che “le disposizioni di cui al capo
II concernenti i documenti informatici, le firme elettroniche, i pagamenti informatici, i libri e le scritture,
le disposizioni di cui al capo III, relative alla formazione, gestione, alla conservazione, nonché le
disposizioni di cui al capo IV relative alla trasmissione dei documenti informatici si applicano anche
ai privati ai sensi dell’art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica 28.12.2000, n. 445".
2) Definizione del documento informatico
Il Codice dell’amministrazione digitale definisce il documento informatico come: “la
rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti” (v. art. 1, lettera p,
d.lgs. n. 82/2005 cit.).
Il termine “documento” rimanda etimologicamente ad un contenuto informativo,
conoscitivo, da trasmettere ad altri: “docere”, attuare la rappresentazione di un fatto, che a
sua volta presuppone una tecnica di manifestazione e quindi di comunicazione.
E’ quindi d’obbligo ricordare la definizione carneluttiana di documento quale opera
dell’ingegno umano tendente a conservare e fornire ad altri la conoscenza.
Il termine “informatica”, invece, indica una tecnica che consente il trattamento
automatico di qualunque informazione o dato grazie all’espediente di esprimere quelle
informazioni attraverso i valori di un linguaggio simbolico estremamente elementare,
caratterizzato dal ricorso all’alternativa fra due simboli organizzati in sequenze variamente
composte (positivo e negativo, zero e uno, luce e buio, si e no, etc.), tecnica di espressione
detta linguaggio binario, le cui unità elementari sono dette bit (crasi per binary digit, unità
binaria). I sistemi informatici permettono, tramite i relativi programmi (software), l’elaborazione automatica dei nessi tra le informazioni espresse tramite il sistema binario, utilizzando
un apparato materiale (hardware).
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ATTIVITA' DEL CONSIGLIO
La peculiarità del documento informatico non sta solo nelle caratteristiche del supporto
materiale, ma nella natura dei segni che il supporto materiale reca su di sé.
Documento informatico può essere definito quindi non solo un testo, ma anche un
suono, o più suoni, una o più immagini o tutti questi elementi insieme (per alcuni documento
informatico multimediale), come pure una serie di dati intelligibili soltanto attraverso l’elaboratore.
2.1) Introduzione alla disciplina del documento informatico
Il sistema tradizionale di imputazione delle dichiarazioni documentate è costituito dalla
sottoscrizione, cioè dalla apposizione di proprio pugno (autografa) sul documento ed in
calce alla dichiarazione documentata, del nome anagrafico completo del suo autore.
La scienza, come abbiamo visto, ha portato a smaterializzare la scrittura e a togliere
sostanza al segno grafico, così che vi sono molti altri modi per cogliere l’espressione del
pensiero e per conservarla.
La volontà, infatti, trova il veicolo, per esprimersi, nella forma, che può essere verbale,
scritta, digitale, elettronica. In quanto “fatto espressivo”, la forma è libera; però è oggetto di
limitazioni quando un determinato tipo di forma è richiesto dalla legge, o per volontà delle
parti, a pena di nullità dell’atto.
Il codice dell’amministrazione digitale ha cura di disciplinare la validità ed efficacia del
documento informatico, facendo sempre riferimento alla disciplina della tradizionale forma
scritta, per equipararne o meno gli effetti in dipendenza del tipo di firma elettronica ad esso
apposta (questa impostazione è stata già criticata, ritenendosi da alcuni autori che la materia
richiedesse un inquadramento a parte, in sé e per sé considerato).
2.2) Le firme elettroniche
Esaminiamo, quindi, preliminarmente, quali tipi di firma elettronica possono essere
apposti al documento informatico.
L’art. 1 del Codice dell’amministrazione digitale, così definisce al punto q) la firma
elettronica: “l’insieme dei dati in forma elettronica, allegati oppure connessi tramite associazione
logica ad altri dati elettronici, utilizzati come metodo di identificazione informatica”.
Spetta all’interprete di individuare quali siano nella realtà le firme elettroniche c.d.
semplici o deboli. Ad esempio potrebbero essere ritenute tali, come vedremo, l’uso di una
parola chiave, o di un nome utente per la formazione di un documento.
Il medesimo articolo 1, alla lettera r) stabilisce che la firma elettronica qualificata è “la
firma elettronica ottenuta attraverso una procedura informatica che garantisce la connessione univoca
al firmatario, creata con mezzi sui quali il firmatario può conservare un controllo esclusivo e collegata
ai dati ai quali si riferisce in modo da consentire di rilevare se i dati stessi siano stati successivamente
modificati, che sia basata su un certificato qualificato e realizzato mediante un dispositivo sicuro per
la creazione della firma”.
L’unico tipo di firma elettronica qualificata attualmente espressamente disciplinato
dall’ordinamento è la firma digitale.
La lettera s) dell’art. 1 definisce la firma digitale come “un particolare tipo di firma elettronica
qualificata basata su un sistema di chiavi crittografiche, una pubblica e una privata, correlate tra loro,
che consente al titolare tramite la chiave privata e al destinatario tramite la chiave pubblica,
rispettivamente, di rendere manifesta e di verificare la provenienza e l’integrità di un documento
informatico o di un insieme di documenti informatici”.
L’art. 24, poi, indica i requisiti della firma digitale, precisando: “la firma digitale deve
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riferirsi in maniera univoca ad un solo soggetto ed al documento o all’insieme di documenti cui è
apposta o associata.
L’apposizione di firma digitale integra e sostituisce l’apposizione di sigilli, punzoni,
timbri, contrassegni e marchi di qualsiasi genere e ad ogni fine previsto dalla normativa
vigente.
Per la generazione della firma digitale deve adoperarsi un certificato qualificato che, al
momento della sottoscrizione, non risulti scaduto di validità ovvero non risulti revocato o
sospeso.
Attraverso il certificato qualificato si devono rilevare, secondo le regole tecniche stabilite
ai sensi dell’art. 71, la validità del certificato stesso, nonché gli elementi identificativi del
titolare e del certificatore e gli eventuali limiti d’uso.”
L’art. 25 del Codice disciplina la firma autenticata: “ si ha per riconosciuta, ai sensi dell’art.
2703 del codice civile, la firma digitale o altro tipo di firma elettronica qualificata autenticata dal
notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato.
L’autenticazione della firma digitale o di altro tipo di firma elettronica qualificata
consiste nell’attestazione, da parte del pubblico ufficiale, che la firma è stata apposta in sua
presenza dal titolare, previo accertamento della sua identità personale, della validità del
certificato elettronico utilizzato e del fatto che il documento sottoscritto non è in contrasto
con l’ordinamento giuridico.
L’apposizione di firma digitale o di altro tipo di firma elettronica qualificata da parte del pubblico
ufficiale ha l’efficacia di cui all’art. 24, comma 2. (…)”
2.3) Vale la pena di menzionare anche la circostanza che la legge prevede anche un
meccanismo per la validazione temporale del documento, per far sì che la data e l’ora di
formazione del documento siano certi ed opponibili ai terzi.
2.4) La legge disciplina il documento informatico sotto il profilo della validità e rilevanza
giuridica da un lato, e sotto il profilo dell’efficacia probatoria dall’altro, sempre facendo
riferimento alla presenza o meno della firma ed al tipo di firma apposta.
2.4.1) Rilevanza giuridica del documento informatico
L’art. 20 del Codice dell’amministrazione digitale stabilisce, al comma 1, che “il
documento informatico da chiunque formato, la registrazione su supporto informatico e la trasmissione con strumenti telematici conformi alle regole tecniche di cui all’art. 71 sono validi e rilevanti agli
effetti di legge, ai sensi delle disposizioni del presente codice.”
A) La legge stabilisce che il documento informatico con firma digitale o firma elettronica
qualificata, soddisfa “comunque” il requisito della forma scritta, senza che sia necessaria la
valutazione del Giudice.
Infatti, il secondo comma dello stesso articolo 20 dispone che: “il documento informatico
sottoscritto con firma elettronica qualificata o con firma digitale, formato nel rispetto delle regole
tecniche stabilite ai sensi dell’art. 71, che garantiscono l’identificabilità dell’autore, l’integrità e
l’immodificabilità del documento, si presume riconducibile al titolare del dispositivo di firma ai sensi
dell’art. 21, comma 2, e soddisfa comunque il requisito della forma scritta, anche nei casi previsti, sotto
pena di nullità, dall’art. 1350, primo comma, numeri da 1 a 12 del codice civile”.
Per quanto riguarda la presunzione di riconducibilità al titolare del dispositivo di firma,
si rinvia, come fa la norma, a quanto si dirà in seguito in ordine alla efficacia probatoria
prevista dall’art. 21.
Per quanto riguarda l’esclusione del n. 13) dell’art. 1350 c.c., c’è da chiedersi se tra “gli
altri atti indicati dalla legge”, rimangano esclusi tutti i casi espressamente disciplinati dal codice
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civile, quali, ad esempio, il patto di prova ex art. 2096 c.c., la vendita di eredità ex art. 1543
c.c., la cessione dei beni ai creditori, ex art. 1978 c.c. etc., ovvero se essi siano compresi nella
disposizione in questione, atteso il suo disposto: “soddisfa comunque il requisito della forma
scritta, anche …”. In tale ultima ipotesi rimane problematico il motivo dell’esplicita
indicazione dei numeri da 1) a 12) del 1350 c.c. Il termine “comunque” può ritenersi, invece,
riferito al comma 1, per escludere che sia necessaria l’indagine lì indicata, da parte del giudice.
La disposizione in esame va, quindi, correlata con tutti quei casi in cui è richiesta la forma
ad substantiam, e cioè sinteticamente e per categorie, quando la forma è richiesta a pena di
nullità: 1) per la favorevole combinazione di 3 variabili, ossia natura del diritto, contratto
ad effetti reali, oggetto beni immobili; 2) per la natura del vincolo (es. negozi astratti che
prescindono dalla causa che si ritiene sostituita, appunto, dalla forma, negozi familiari,
vincolo societario), o per la gravità dell’impegno (locazioni e donazioni); 3) per la funzione
del negozio (contratti prodromici, preliminare, mandato, opzione, patto di preferenza e
negozi di secondo grado, riesame, revisione, conferma).
B) Secondo il comma 1 bis, dello stesso art. 20: “l’idoneità del documento informatico a
soddisfare il requisito della forma scritta è liberamente valutabile in giudizio, tenuto conto delle sue
caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità ed immodificabilità, fermo restando quanto
disposto dal comma 2".
Quando l’oggetto di un giudizio sia, quindi, ad esempio, la validità di un contratto per
il quale è prevista la forma scritta ad substantiam, ed occorra stabilire se un documento
informatico privo di firma, o firmato con firma elettronica semplice, sia idoneo a soddisfare
il requisito della forma scritta, l’oggetto dell’indagine sarà un requisito oggettivo, cioè un
certo grado di sicurezza, integrità ed immodificabilità del documento, la riconoscibilità delle
alterazioni, e ciò analogamente a quanto avviene per il tradizionale documento sottoscritto,
che consente di riconoscere cancellature, abrasioni, annotazioni, glosse, etc. Anche per il
documento informatico, il legislatore ha voluto raggiungere il fine di cristallizzare nel tempo
determinati atti o fatti.
Peraltro, nel suo sindacato il Giudice dovrà tener conto delle regole stabilite dall’art. 71,
che rinvia a decreti del P.d.C.M.
Il documento informatico, quindi, soddisfa il requisito legale della forma scritta se il
contenuto non è alterabile o se le alterazioni sono riconoscibili.
3) Efficacia probatoria del documento informatico
Come noto a tutti, la forma può essere imposta dalla legge per la validità dell’atto o per
la prova di esso. In questo secondo caso ci si riferisce alla forma della prova e non alla forma
dell’atto. Dunque quando diciamo che la transazione deve essere provata per iscritto,
vogliamo dire che la prova della transazione si può dare fornendo dichiarazioni scritte dei
contraenti.
Peraltro, anche se la prova di un atto viene data per iscritto tramite, ad esempio, la
confessione, la quietanza, il riconoscimento, l’atto informe rimane tale.
Laddove, comunque, la forma sia richiesta per la validità dell’atto, la stessa è richiesta
anche per la prova.
3.1) L’art. 23 del Codice, “copie di atti e documenti informatici”, al I comma stabilisce:
“all’art. 2712 del codice civile dopo le parole “riproduzioni fotografiche” è inserita la seguente
“informatiche”.
Dunque, nell’ipotesi di documento in forma informatica per così dire “puro e semplice”,
si prescinde da qualsivoglia tecnica di sottoscrizione: esso rileva in quanto tale, nella sua
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oggettività (nel senso di mera rappresentazione di un fatto, di un atto, di un dato), e quindi
“fa piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale è prodotto non ne
disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime”.
Non mi soffermo su questo punto già esaminato dal collega Silvestri, limitandomi a
richiamare la sentenza della Cassazione n. 11445/2001 ed a sottolineare che, in virtù della
disposizione sopra richiamata, il documento informatico privo di sottoscrizione può
acquistare valore probatorio solo se nel giudizio si è instaurato il contraddittorio e, quindi,
non è ritenuto utilizzabile nei procedimenti a contraddittorio c.d. differito, quale il
procedimento monitorio.
3.2) Il comma 1 dell’art. 21 “valore probatorio del documento informatico sottoscritto”
stabilisce: “Il documento informatico, cui è apposta una firma elettronica, sul piano probatorio è
liberamente valutabile in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza,
integrità e immodificabilità”.
Poiché esistono molte tipologie di firma elettronica semplice, gli utilizzatori di questo
tipo di firme non potranno conoscerne con certezza preventivamente gli effetti sotto il
profilo probatorio.
Il documento informatico in questione, comunque, anche nel giudizio ordinario, deve
essere preliminarmente valutato dal giudice: nell’ambito di detta valutazione la parte contro
la quale il documento è prodotto può assumere che esso sia stato formato abusivamente o
è stato alterato, allegando e provando l’abuso. Il tutto nell’ambito di un normale incidente
probatorio che ha per oggetto l’utilizzabilità della prova, non ritenendosi necessario
l’espresso disconoscimento disciplinato dall’art. 214 c.p.c.
E’ stato correttamente osservato che questa è una prova documentale di nuovo genere.
3.3) Il comma 2 del medesimo art. 21 stabilisce: “il documento informatico, sottoscritto con
firma digitale o con altro tipo di firma elettronica qualificata, ha l’efficacia prevista dall’art. 2702 del
codice civile. L’utilizzo del dispositivo di firma si presume riconducibile al titolare, salvo che questi dia
prova contraria.”
Si è verificata, quindi, la espressa equiparazione del documento sottoscritto con firma
digitale o firma elettronica qualificata, alla scrittura privata.
Occorre, però, rilevare che, in realtà, con riferimento all’eventuale giudizio di verificazione, instauratosi a seguito del disconoscimento, il comma 2 dell’art. 21 detta un’inversione
dell’onere della prova.
Infatti, mentre colui contro il quale è esibita in giudizio una falsa scrittura cartacea può
limitarsi a disconoscere la propria firma generando in capo alla controparte che intenda
avvalersene l’onere di promuovere lo speciale procedimento di verificazione, colui contro
il quale venga esibito in giudizio un falso documento informatico sottoscritto con firma
digitale, oltre a disconoscere la propria firma, deve anche fornire le prove della sua falsità,
con un’inversione dell’onere della prova.
Tale impostazione è stata criticata, perché ingiustificata, sia dalla dottrina, sia dal
Consiglio di Stato nel parere 7 febbraio 2005.
* * *
Contestazioni e disconoscimento, casistica delle possibili contraffazioni
I primi commentatori della normativa vigente ritengono quasi all’unanimità che sia
possibile il disconoscimento ai sensi dell’art. 214 c.p.c. del documento informatico
sottoscritto con firma digitale o con firma elettronica qualificata.
La questione investe, però, il punto se oggetto del disconoscimento sia non solo la firma
o la scrittura in concreto, ma l’effettivo utilizzo del dispositivo di firma da parte del titolare.
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I casi che possono verificarsi, dunque, sono stati sino ad oggi identificati, a titolo
meramente esemplificativo, nei seguenti.
1. Patologia della titolarità
Certificazione della chiave pubblica compiuta indicando un nome altrui o un nome
immaginario: la legge attribuisce al certificatore, se non prova di aver agito senza colpa o
dolo, la responsabilità del danno cagionato a chi abbia fatto ragionevole affidamento
sull’esattezza e sulla completezza delle informazioni necessarie alla verifica della firma in
esso contenute alla data del rilascio e sulla completezza rispetto ai requisiti fissati per i
certificati qualificati, sulla garanzia che al momento del rilascio del certificato il firmatario
detenesse i dati per la creazione della firma corrispondenti ai dati per la verifica della firma
riportati o identificati nel certificato.
2. Patologia della circolazione
Compromessa l’esclusività del controllo sull’impiego di chiavi di firma validamente
attribuite. Installazione di software destinati ad attivarsi in occasione dell’impiego del
dispositivo personale per l’utilizzo della firma digitale. In questo caso è necessaria l’ispezione
del computer tramite il quale il titolare ha apposto almeno una firma vera.
3. Vulnerabilità della crittanalisi
Anche se allo stato delle tecniche per decifrare un documento criptato non può che
procedersi per tentativi, non può escludersi che detti tentativi possano portare alla forzatura
del sistema, come pure non può escludersi che nel tempo possa inventarsi un sistema per
forzare una coppia di chiavi asimmetriche. Proprio per questo è stabilito che la coppia di
chiavi ha validità limitata non superiore a tre anni.
4. Sottrazione del dispositivo di firma e della parola chiave
Obblighi del titolare: è tenuto ad assicurare la custodia del dispositivo di firma e ad
adottare tutte le misure organizzative e tecniche idonee ad evitar danno ad altri; è altresì
tenuto ad utilizzare personalmente il dispositivo di firma.
Nel caso di sottrazione, quindi, è necessario richiedere la sospensione o la revoca del
certificato.
L’apposizione ad un documento informatico di una firma digitale o di una altro tipo di
firma elettronica qualificata basata su un certificato elettronico revocato, scaduto o sospeso
equivale a mancata sottoscrizione. La revoca o la sospensione, comunque motivate, hanno
effetto dal momento della pubblicazione, salvo che il revocante o chi richiede la sospensione, non dimostri che essa era già a conoscenza di tutte le parti interessate.
5. Sulla contraffazione: ove non fosse possibile far trasparire, tramite i più sofisticati
sistemi informatici, un vizio del corretto funzionamento dell’applicazione delle due chiavi,
ne conseguirebbe che il documento informatico sarebbe frutto di un falso irriconoscibile e,
dunque, imputabile all’apparente sottoscrittore così come avviene per la firma falsificata dal
più abile dei contraffattori, che esce indenne dalla procedura di comparazione.
6. Sull’abuso: Buona fede, principio della tutela dell’affidamento incolpevole del
destinatario del documento informatico e colpa del soggetto cui viene opposta l’apparenza
sono i criteri guida anche nell’ambito dei documenti informatici sottoscritti con firma
digitale sotto nome altrui.
* * *
Come rilevato in precedenza, e come affermato dal Consiglio di Stato nel parere espresso
il 7 febbraio 2005: “ il meccanismo introdotto della presunzione della riconducibilità dell’utilizzo del
dispositivo della firma al titolare, salvo che sia data prova contraria, indebolisce la suddetta
equiparazione (del documento sottoscritto con firma digitale alla scrittura privata n.d.r.) e
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genera il dubbio che la fiducia nell’atto informatico, che in questi anni è andata diffondendosi, possa
notevolmente ridursi. Sarebbe almeno opportuno individuare il tipo di prova che consente il disconoscimento secondo un criterio di responsabilità nella conservazione e nell’utilizzo della chiave privata.”
Ed inoltre, sembrano rilevanti le seguenti osservazioni: “Da un lato sembra giusto superare i
vecchi concetti di falso, strettamente legati al principio di paternità della firma e non a quello di
responsabilità per la firma; dall’altro occorre fare assoluta chiarezza sulle ipotesi in cui è consentito
dimostrare l’assenza di responsabilità (per esempio, errore, violenza, dolo, abuso del mandato,
contrarietà a patti interni, abusivo riempimento da parte di colui che aveva la legittimazione). Basti
osservare che la dottrina più accreditata, richiamando i principi di autoresponsabilità, affidamento,
apparenza, rappresentanza, certezza dei rapporti, ha limitato alle sole ipotesi di violenza e di dolo la
possibilità di fare valere i vizi della volontà, escludendo per esempio l’errore, così come la violazione
di patti interni, salva l’ipotesi della conoscenza o riconoscibilità da parte del terzo contraente “
* * *
Documento informatico, fax e telex e trasmissione a distanza
La maggior parte della dottrina ritiene erroneo annoverare il fax ed il telex tra i documenti
nuovi, trattandosi, invece, di strumenti di trasmissione a distanza di documenti formati
altrove, fattispecie peraltro non ignota al nostro codice che già negli anni quaranta
disciplinava il telegramma.
Il fenomeno del documento informatico presenta, peraltro, un connotato del tutto
differente rispetto al detto meccanismo di trasmissione a distanza a mezzo fax, quasi in
tempo reale, di un documento che preesiste alla trasmissione stessa, attraverso i nuovi
apparati elettronici, per cui ciò che perviene è una copia di quel documento.
Diversamente, infatti, accade per il documento informatico: la trasmissione, lo scambio
dei documenti informatici avviene da un apparato all’altro, in modo tale che il documento
viene creato e direttamente incorporato dalla memoria fissa di un elaboratore elettronico
attraverso la scomposizione e la successiva ricomposizione degli impulsi elettronici che lo
formano, ma sempre in originale, quindi non attraverso un meccanismo analogico, ma
digitale.
Nel caso del telefax, quindi, il documento originale che viene trasmesso rimane sempre
nel possesso di chi ha effettuato la trasmissione, pertanto sotto questo profilo le questioni
investono la conformità del fac-simile all’originale.
Il documento teletrasmesso può anche essere sottoscritto. Si tratta, qui di sottoscrizione
autografa, a differenza del documento informatico nel quale la funzione della firma viene,
come visto, assolta da un meccanismo che nulla ha a che vedere con la sottoscrizione
manuale.
Secondo Verde, la disciplina del telegramma e del fax “non riguarda una prova documentale
diversa, ma regola in modo specifico un caso particolare di efficacia probatoria di copia di atti e
documenti” da ricondursi nell’alveo dell’art. 2719 c.c. e non, come altra parte della dottrina
ritiene, in quello dell’art. 2712 c.c.
In particolare si ritiene che se il destinatario intende utilizzare come prova la copia
ricevuta, l’assenza della contestazione da parte del mittente farà assumere alla copia il valore
di prova legale.
La contestazione da parte del mittente, però, viene parificata al disconoscimento di
scrittura privata, sul presupposto che la copia ripete la propria efficacia probatoria dall’originale.
La posta elettronica certificata
Strettamente connesso con quest’ultimo tema della trasmissione a distanza di atti o
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documenti, è il tema della posta elettronica.
L’e-mail può consistere in un documento informatico contenente esso stesso una
dichiarazione, come tale sottoposta al regime del documento informatico; ma la posta
elettronica è anche un mezzo di trasmissione e notificazione di atti o documenti informatici.
L’art. 45 del Codice stabilisce al comma 2, che “il documento informatico trasmesso per via
telematica si intende spedito dal mittente se inviato al proprio gestore, e si intende consegnato al
destinatario se reso disponibile all’indirizzo elettronico da questi dichiarato, nella casella di posta
elettronica del destinatario messa a disposizione dal gestore”.
L’art. 48, inoltre, disciplina la posta elettronica certificata: “La trasmissione telematica di
comunicazioni che necessitano di una ricevuta di invio e di una ricevuta di consegna avviene mediante
la posta elettronica certificata ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 11.02.2005, n. 68.
La trasmissione del documento informatico per via telematica, effettuata mediante la
posta elettronica certificata, equivale, nei casi consentiti dalla legge, alla notificazione per
mezzo della posta.
La data e l’ora di trasmissione del documento informatico trasmesso mediante posta elettronica
certificata sono opponibili ai terzi se conformi alle disposizioni di cui al D.P.R. 11.2.2005, n. 68 ed
alle relative regole tecniche”. Come é noto, nell’ambito del diritto processuale civile la L. n. 183/
1993 prevede la possibilità per l’avvocato di trasmettere attraverso mezzi di telecomunicazione la copia di un atto del processo ad un altro avvocato.
La legge 21.01.1994, n. 53 consente la possibilità di notificare gli atti civili, amministrativi
e stragiudiziale ad opera degli avvocati stessi.
Il D. lgs. 5/2003 che ha introdotto il processo societario ha disposto che la posta
elettronica ed il fax siano mezzi idonei per la notificazione o la comunicazione degli atti.
Analogamente, l’art. 170 c.p.c. è stato riformato per i processi iniziati dopo il 1 marzo
2006, per effetto della L. 28 dicembre 2005, n. 263, con la previsione che “il giudice può
autorizzare per singoli atti, in qualunque stato e grado del giudizio, che lo scambio o la comunicazione
di cui al presente comma possano avvenire anche a mezzo telefax o posta elettronica (…)”. Analoghe
disposizioni sono state introdotte nel codice di procedura civile con riferimento alla
notificazioni e comunicazioni delle ordinanze e degli atti del procedimento.
In tutti i casi è previsto il rispetto della “normativa, anche regolamentare, concernente la
sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici e teletrasmessi”.
Avv. Maria Cecilia Barbaria
LA VALUTAZIONE DELLA PROVA IN CASSAZIONE
La sentenza, quale atto di composizione della lite, è il risultato di un processo
giurisdizionale che si suole ricondurre al paradigma di logica formale del sillogismo
aristotelico, per cui, premesse due proposizioni, una maggiore e l’altra minore, ne segue
necessariamente la terza proposizione conclusiva.
…la premessa maggiore, appunto costituita dalla norma giuridica, che si risolve in una
cognizione e in un giudizio de jure
…la premessa minore, costituita dal fatto, che si risolve in una cognizione e in un giudizio
de facto
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…la conclusione, costituita dagli effetti conseguenti alla sussunzione del fatto sotto la
norma giuridica.
Tale impostazione, tradizionalmente accolta (alcune pronunce della Cassazione contengono un riferimento esplicito al sillogismo giudiziale), è stata ed è oggetto di critica,
ritenendosi (v. La logica del giudice e il suo controllo in Cassazione di Guido Calogero,
filosofo e storico della filosofia) che la sussunzione del fatto sotto la norma, lungi dall’essere
idealmente determinata da un paradigma di logica formale, è una delicata operazione di riconoscimento, per la quale occorre tutto quanto si dice conoscenza delle cose, esperienza tecnico-giuridica,
capacità ermeneutica, intendimento della volontà del legislatore
Al di là del dibattito sul tema, certo si è che la sentenza, quale atto di composizione della
lite, è costituita da tre momenti essenziali, che danno luogo a tre corrispondenti giudizi, pure
funzionalmente collegati e ricondotti ad unità: a) l’accertamento del fatto; b) l’accertamento
della norma giuridica applicabile; c) l’accertamento delle conseguenze derivanti dal riferimento del fatto accertato alla norma giuridica, accertata come applicabile.
Il primo dei tre momenti, costituisce appunto il giudizio di fatto, volto ad accertare la
vicenda concreta, portata all’esame del giudice.
Tale accertamento è perseguito dal giudice non liberamente, ma attraverso e nell’osservanza di un insieme di strumenti di conoscenza dei fatti, che costituiscono il sistema
probatorio.
Quale sistema probatorio debba essere adottato è decisione rimessa al legislatore e la
scelta del sistema adottabile, tra sistema volto alla ricerca della verità materiale e sistema volto
alla ricerca della verità formale, non è scelta ideologica, ma rappresenta l’esito di complesse
valutazioni, fortemente condizionate da fattori storici, culturali, sociali e religiosi…: il
nostro sistema probatorio ed i sistemi vigenti in altri paesi della Comunità europea sono
diversi tra loro… il sistema probatorio degli ordinamenti di diritto civile (di civil law), quale
il nostro, è diverso da quello degli ordinamenti di diritto comune (di common law), quale
quello inglese.
Il sistema probatorio del nostro ordinamento è informato a quattro regole fondamentali:
1) il principio dell’onere probatorio, di cui all’art. 2697 c.c.: chi vuol far valere un
diritto in giudizio deve provarne i fatti costitutivi, chi contrasta quel diritto deve provarne
i fatti impeditivi, modificativi ed estintivi.
principio in bianco... perché il suo contenuto deriva dalla fattispecie sostanziale e non
da canoni processuali… la sua applicazione presuppone:
a) l’identificazione del diritto fatto valere in giudizio;
b) l’inquadramento del diritto in una fattispecie legale;
c) l’interpretazione della fattispecie legale per individuarne i fatti rilevanti… costitutivi,
impeditivi, estintivi e modificativi.
La distinzione dei fatti rilevanti ai fini del giudizio costituisce un problema: di facile
soluzione quando quei fatti non siano contemporanei; di difficile soluzione quando quei
medesimi fatti siano contemporanei, si perfezionino nello stesso momento (si pensi alla
dichiarazione di volontà ed al suo eventuale vizio… volontà e vizio sono contestuali, hanno
pari forza causale sul piano degli effetti… deve ricorrersi quindi a criteri empirici, non ultimo
quello della maggiore o minore difficoltà per la parte di assolvere l’onere probatorio)
principio bivalente… perché pone un onere soggettivo per le parti ed una regola di giudizio per
il giudice, vietando il non liquet ed obbligando il giudice a pronunciarsi sul merito della
controversia anche in difetto di prova dei fatti allegati dalle parti (così come deve
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pronunciarsi sulle questioni di diritto, anche in difetto d’apposita norma che disciplini il
caso concreto, facendo ricorso all’analogia legis o juris, di cui all’art. 12, disposizioni sulla
legge in generale)
2) il principio della non contestazione, ricavabile per via di astrazione dalle norme
processuali, secondo cui, e sempre che si verta in tema di diritti disponibili, i fatti affermati
da una parte e non contestati dalla controparte non hanno bisogno di essere provati;
principio –questo- di cui vanno ridisegnati la misura ed i limiti, a seguito delle novelle
del codice di rito, introdotte dagli anni novanta (v. Cass. S.U. est. Evangelista n. 761/02…
si pensi alle preclusioni introdotte dalla novella n. 353 del 1990 tra fase preparatoria ed
istruttoria… alla presenza di oneri di difesa, tra cui l’onere del convenuto di prendere
posizione precisa sui fatti allegati dall’attore a fondamento della domanda, esplicitamente
imposti dal dettato legislativo, nel più generale quadro di un processo scandito da
preclusioni e da distinzione tra fase preparatoria e fase istruttoria… nel rito civile ordinario,
antecedente alla novella, invece, oneri difensivi siffatti non sono imposti, al contrario
manifestandosi, nel quadro generale di un processo caratterizzato dalla sovrapposizione tra
fase preparatoria e fase istruttoria, segni tutt’affatto contrari, che militano per la provvisorietà
della non contestazione dei fatti posti dall’attore a fondamento della domanda).
3) il principio della disponibilità della prova, di cui all’art. 115 c.p.c.: salvi i casi
previsti dalla legge (comportamento delle parti, interrogatorio libero, ispezione di persone
o cose, richiesta informazione alla p.a., giuramento suppletorio ed estimatorio…), il giudice
deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico
ministero. Può tuttavia senza bisogno di prova porre a fondamento della decisione le
nozioni di fatto (fatti notori, ossia accadimenti storicamente individuati) che rientrano nella
comune esperienza;
principio di disponibilità delle prove, che, come chiarito dalla Suprema Corte, costituisce un vincolo per il giudice, il quale, al di là dei casi consentiti, non può provvedere d’ufficio
all’acquisizione di prove non dedotte dalle parti e deve necessariamente provvedere sulle
deduzioni istruttorie di parte, rilevanti per la decisione, laddove la rilevanza va valutata non
per il probabile esito della prova offerta, ma per l’astratta influenza della stessa ai fini della
decisione principio che si ricollega: a) al principio di disponibilità della tutela giurisdizionale
(artt. 2907 c.c. e 99 c.p.c.) per cui il titolare del diritto sostanziale è arbitro di decidere se
proporre o meno l’azione in giudizio, e, dopo proposta, se continuarla o meno; b) al
principio di disponibilità del diritto sostanziale
4) il principio del libero convincimento di cui all’art. 116 c.p.c.: il giudice deve
valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento, salvo che la legge disponga
altrimenti (le prove legali, laddove è il legislatore ad anteporre una valutazione delle prove,
vincolante per il giudice: atto pubblico; scrittura privata; scritture contabili; riproduzioni
meccaniche; confessione; giuramento…) e prudente apprezzamento non vuole dire arbitrio, né ricorso del giudice al proprio sapere privato, ma esercizio di attività logica e delle
massime di comune esperienza (regole desunte da accadimenti, che si ripetono uniformemente
e dalla cui osservazione vengono enucleati principi, che devono ritenersi validi anche in casi
analoghi futuri), che sono i criteri conoscitivi in forza dei quali si effettuano le illazioni, le
deduzioni, le inferenze probatorie (si pensi alla valutazione delle dichiarazioni di parte
favorevoli al proprio interesse; alla valutazione della presenza di tracce di frenata nel luogo
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in cui è avvenuto un incidente stradale…) vuol dire, altresì, valutazione totale della prova,
per cui il giudice deve prendere in esame l’intero materiale probatorio raccolto; e ciò,
secondo principio di cosiddetta acquisizione delle prove, per cui una volta ammessa ed
espletata la prova, il suo risultato è acquisito al giudizio e può essere valutato dal giudice
anche contro la parte che l’ha chiesta.
Ma qual è il concreto rapporto che l’art. 116 c.p.c. pone tra principio di libera valutazione
delle prove e limite delle prove legali? … salvo che la legge disponga altrimenti, il giudice
deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento…: la presenza di prova legale
esclude l’operatività del principio di libera valutazione?
Per quanto la lettera dell’art. 116 c.p.c. lasci margine ad una diversa interpretazione, la
giurisprudenza è fortemente orientata nel ritenere che il vincolo della prova legale non
esclude ma limita l’ambito della libera valutazione delle prove, fatta eccezione per il
giuramento, che preclude in modo assoluto ogni diversa valutazione del giudice: il giudice
è sì tenuto ad assumere il fatto, come risulta dal mezzo di prova legale e con gli effetti che
la legge vi ricollega, ma la valutazione di tale fatto, unitamente a quel che risulta acquisito
aliunde, secondo principio di libera valutazione, è precluso soltanto se la prova legale
esaurisca l’attività probatoria.
Tale orientamento conferma l’opinione, di gran lunga prevalente anche in dottrina, del
carattere eccezionale delle limitazioni raffigurate dalle prove legali, giacché il principio è
quello della libera valutazione: con la conseguenza sul piano interpretativo (art. 14 disp.
Sulla legge in generale) che le regole di prova legale devono essere interpretate in modo
tassativo e restrittivo.
(Principio di prudente apprezzamento delle prove e salvaguardia di determinate ipotesi
di prova legale, dunque: la scelta del nostro ordinamento sembra collocarsi a mezza strada
tra i contrapposti sistemi: tra il moderno sistema della libera valutazione e quello delle prove
legali, dominante nel passato. E tale scelta pare destinata a protrarsi per lungo periodo, dal
momento che la stessa e più recente riforma del 1990 non si è occupata del problema.
La scelta di un sistema a mezza strada tra quelli contrapposti è il risultato di fattori
stratificati nel tempo non del tutto decifrabili, e tra questi fattori indubbiamente si inserisce
la maggiore o minore fiducia che si intende attribuire alla figura del giudice: maggiore per
il sistema della libera valutazione, laddove è il giudice a valutare prudentemente le prove, e
minore invece per quello delle prove legali, laddove è il legislatore ad anteporre una
valutazione delle prove, vincolante per il giudice.
…come la valutazione libera non equivale ad arbitrio del giudice, dovendo essere frutto
di attività logica, per di più controllabile, così la prova legale non equivale ad arbitrio del
legislatore, essendo per lo più frutto di regole di comune esperienza, che per l’elevato grado
di attendibilità si è ritenuto di codificare.
…il sistema della libera valutazione, proprio perché non vincolato a predeterminazioni
di valori probatori, tende a ricercare la verità materiale ed è più compatibile con un processo
caratterizzato dalla oralità e dalla immediatezza, e relativo a diritti indisponibili; il sistema
delle prove legali, invece, tende a ricercare la verità formale e privilegia esigenze di certezza,
è più compatibile con un processo caratterizzato dalla scrittura e dalla mediatezza, e relativo
a diritti disponibili)
A queste regole fondamentali, cui è informato il nostro sistema probatorio, si accompagnano poi quelle relative all’acquisizione delle prove nel processo: le regole, appunto, che
disciplinano l’ammissione e l’assunzione dei mezzi di prova nel processo e che pure
concorrono alla formazione del giudizio di fatto, alla cognizione ed all’accertamento della
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vicenda concreta, portata all’esame del giudice.
Il giudizio di fatto, dunque, non è un giudizio libero … ma vincolato al rispetto di
determinate regole… al rispetto delle regole di acquisizione delle prove ed al rispetto delle
regole di valutazione delle stesse prove… valutazione che anche quando non limitata dalla
presenza di prove legali, il cui valore è predeterminato dal legislatore, deve essere operata
prudentemente, ossia secondo logica e massime di comune esperienza.
Quanto sin qui chiarito consente ora di affrontare il tema della valutazione delle prove
in Cassazione, con ciò intendendosi le possibilità di sindacato della Corte di Cassazione
riguardo alla valutazione delle prove, che sia stata data in sentenza dal giudice di merito,
nell’ambito dell’attività a lui riservata.
Ebbene, il sindacato che alla Suprema Corte è attribuito in materia è sì sindacato di
legittimità, al pari degli altri configurati dall’art. 360 c.p.c., ma è sindacato per così dire
indiretto, limitato –nei binari delle censure svolte in ricorso- alla verifica di idoneità astratta
del procedimento e dei criteri seguiti nell’analisi e nella prudente valutazione del materiale
probatorio da parte del giudice di merito, cui soltanto è attribuito il compito di valutarlo,
nel rispetto delle regole previste allo scopo, che attengono anche al momento della sua
acquisizione nel processo.
E’ sindacato di legittimità sul giudizio di fatto, è appunto sindacato di controllo –nei
limiti delle censure svolte in ricorso- sul rispetto delle regole innanzi considerate, che il
giudice è tenuto ad osservare nell’attività di acquisizione e di valutazione delle prove, al fine
di pervenire all’accertamento della vicenda concreta, portata al suo esame.
Il mancato rispetto di tali regole di diritto do luogo, ovviamente, ad una violazione di
legge che, in quanto tale, è sindacabile dalla Corte di Cassazione, ma non è anche di per sé
sufficiente, al fine dell’annullamento della pronuncia del giudice di merito.
Perché la sentenza possa essere cassata, l’errore di diritto nell’acquisizione o nella
valutazione della prova deve essere rilevante ed è rilevante solo ove abbia avuto effettiva
incidenza sul convincimento del giudice di merito, perché, altrimenti, non avendo avuto
influenza sulla statuizione del giudice, non può invalidarla.
Sotto questo profilo, l’errore di diritto nell’acquisizione o nella valutazione della prova
è omologo al vizio di motivazione, di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c., che rileva soltanto se riguarda
un punto (ora fatto, d. lgs. n. 40/06) decisivo per il giudizio.
Ed è omologo al vizio di motivazione anche sotto altri profili, quali quello del dovuto
arresto al rescindente della sentenza della Suprema Corte, che deve disporre la reiterazione
del giudizio di fatto innanzi ad altro giudice di merito, non potendo essa stessa provvedervi
per suoi limiti istituzionali.
Resta da precisare, e mi avvio alla conclusione, la qualificazione del vizio derivante dal
mancato rispetto delle regole anzidette nell’acquisizione e nella valutazione delle prove: se
vizio inquadrabile nell’ambito del n. 3 o del n. 4 dell’art. 360 c.p.c..
Quanto alle regole relative alla valutazione delle prove, il vizio è tradizionalmente
inquadrato nell’ambito del n. 3 dell’art. 360 c.p.c..
Quanto alle regole relative all’acquisizione delle prove nel processo, sorgono alcune
perplessità: attesa la natura processuale, attribuita a tali regole, così da ricondurne la
violazione nell’ambito del n. 4 dell’art. 360 c.p.c., e, di contro, attesa la peculiarità dei motivi,
di cui allo stesso n. 4 dell’art. 360 c.p.c., che tradizionalmente si riferiscono a vizi radicali
del rapporto processuale e/o della sentenza.
Nella giurisprudenza della Suprema Corte la questione non risulta essere stata specificamente affrontata, forse per lo scarso valore finora attribuitole, atteso che normalmente i
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motivi di ricorso sono formulati con riguardo ad entrambe le categorie di visi e che
normalmente la violazione è affermata o negata dalla Suprema Corte senza riferimento
esplicito all’una o all’altra categoria di vizi, precisandosi soltanto che la valutazione delle
risultanze probatorie, operata dal giudice di merito, si risolve in un apprezzamento di fatto
che sfugge al sindacato della Corte di Cassazione, salvo che sussistano vizi di motivazione
o siano violate le norme relative all’assunzione e all’efficacia della prova.
Quanto l’ultima novella del codice di rito, di cui al d. lgs. n. 40/06 (art. 366-bis c.p.c.
formulazione dei motivi e quesito di diritto), in materia di ricorso per cassazione, inciderà
sullo scarso valore finora attributo all’anzidetto inquadramento, è tutto da verificare.
Prima di concludere, mi preme di sollecitare voi tutti a non cadere nell’errore in cui
purtroppo non pochi cadono nella proposizione di ricorsi per cassazione, che solo
formalmente prospettano la violazione di norme nella valutazione dei materiali probatori
ad opera del giudice di merito, per risolversi invece in una sostanziale e, in sede di legittimità,
non consentita richiesta di riesame del merito della controversia, attraverso una nuova e
diversa valutazione di quei materiali.
Non mi resta, quindi, come avvenuto in altra occasione d’incontro, che rivolgere a tutti
un sincero augurio di buon lavoro e di buon studio, così che ciascuno acquisti il ruolo ed
il prestigio che gli si addice.
Francesco Paolo Fiore
LE PROVE ATIPICHE
1) Per a - tipicità (alfa privativo) della prova si intende:
a) da un lato, la vera e propria fonte probatoria del convincimento del giudice, che non sia
prevista e disciplinata da alcuna norma (si vedano, ad es.: lo scritto proveniente da terzi, di
per sé estraneo ai paradigmi tipici degli artt. 2699 (atto pubblico) – 2702 (efficacia della
scrittura privata) c.c. e dell’art. 213 (richiesta di informazioni alla P.A.) c.p.c.; la consulenza
tecnica o la perizia stragiudiziale; la prova assunta od acquisita in altro giudizio; e così via);
b) dall’altro, il modo, il metodo o la forma dell’assunzione o dell’acquisizione di una prova,
i quali differiscano ontologicamente dai procedimenti tipici, regolati dalla legge, o vi corrispondano solo in apparenza, non riproducendone gli essenziali requisiti di legittimità (si pensi,
ad es., a un’ispezione non verbalizzata o ad una prova costituenda illegalmente formata, con
una palese violazione del contraddittorio).
Alla seconda ipotesi della illegittima formazione e della acquisizione (procedimento
atipico) viene – ovviamente - negata l’ammissibilità, coinvolgendola nelle medesime ragioni
di rifiuto, che sanciscono l’inammissibilità, l’inefficacia o l’inutilizzabilità di una prova
<<illecitamente>> o <<illegittimamente>> formata, acquisita ed assunta.
1.1) Nell’ambito del processo civile ordinario di cognizione, manca UNA NORMA
testuale (per così dire, <<di apertura>> o, per converso, <<di chiusura>>), la quale
espressamente preveda, oppure escluda, l’ammissibilità di qualsiasi <<mezzo di prova>>,
non contemplato dalla legge.
Al contrario, nel nuovo modello accusatorio del processo penale v’é una espressa norma
di apertura, l’art. 189 c.p.p., che in positivo consente alle parti di richiedere (ed al giudice
di ammettere, sentite le parti, anche con la fissazione di apposite modalità di assunzione) –
una “prova non disciplinata dalla legge”, se risulta idonea ad assicurare l’accertamento dei
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fatti e non pregiudica la “libertà morale” della persona.
Siamo certamente di fronte ad un metodo di acquisizione “atipico” che dal processo
penale si espande al processo civile di cognizione quando il processo penale si estingue ed
il giudice civile (dinanzi al quale “prosegue” la lite dopo – per fare un esempio – una amnistia
o la prescrizione del reato) può valutare – come argomenti di prova – le prove raccolte in quel
processo (anche) con l’applicazione dell’art. 189 c.p.p.
1.2) Ancora, l’art. 669–sexies c.p.c. per i procedimenti cautelari (art. 74 L. n. 353/1990)
dispone che “il giudice... procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione
indispensabili in relazione ai presupposti e fini del provvedimento richiesto”; e al II° comma
prevede l’assunzione di “sommarie informazioni”.
Si tratta chiaramente di fonti di prova strutturalmente e funzionalmente atipiche ,sia nei
contenuti, sia nelle forme di acquisizione, che il giudice – soprattutto nei procedimenti a
cognizione sommaria ed in quelli camerali, qualificati da marcate componenti inquisitorie
– può assumere d’ufficio (dalle parti o da terzi), al di fuori di qualsiasi precostituita formalità
propria delle prove tipiche (e, soprattutto, al di fuori delle forme stabilite nel processo
ordinario di cognizione per la prova testimoniale, cui tali informazioni sono parzialmente
assimilabili).
Da tener presente che spesso nel giudizio di cognizione successivo le prove restano
quelle raccolte nel procedimento cautelare.
Anche l’art. 738, III comma, c.p.c. (in tema di procedimenti in camera di consiglio)
prevede che “il giudice può assumere sommarie informazioni”.
1.3) Ora, come accennato, non esiste nel nostro processo civile una norma di “chiusura
che imponga la tassatività del catalogo delle prove e dei mezzi di prova ammissibili.
Al contrario, esistono chiare aperture per l’atipicità, sia in termini oggettivi ed ontologici, sia in termini modali. Nella prima prospettiva, si segnala subito la intrinseca atipicità
dei <<fatti noti>> (identificati anche come fatti secondari, come facta probantia o come
indizi) dalla cui comprovata e <<certa>> sussistenza il giudice può risalire, mediante
razionali argomentazioni ed inferenze induttive, alla sussistenza di un <<fatto ignorato>>
(factum probandum o fatto principale da provare), in forza delle <<presunzioni semplici>>,
non stabilite dalla legge, ma lasciate alla prudenza dello stesso giudice (artt. 2727 e 2729, 1°
comma, c.c.) (v. Comoglio).
1.4) Importantissimo, poi, l’art. 310, III° comma, c.p.c. il quale dispone che le prove
raccolte nel processo successivamente dichiarato estinto sono valutate dal giudice (nel
nuovo processo) a norma dell’art. 116, secondo comma, c.p.c. e, cioè, come “ARGOMENTI
DI PROVA”.
Prima di proseguire nella nostra analisi, ritengo sia opportuno chiarire la differenza di
valore tra gli “argomenti di prova” e le prove in senso tecnico, la quale risiede in qualcosa
di diverso dalla idoneità o meno degli argomenti di prova a fondare da soli il convincimento
del giudice. Infatti, il carattere di probatio inferior degli argomenti di prova rispetto alle prove
in senso tecnico va colto, non già in una loro minore efficacia legislativamente imposta in
via di prova legale, bensì unicamente nella inidoneità degli argomenti di prova a giustificare
da soli il giudizio di superfluità di cui all’art. 209 c.p.c (“il giudice istruttore dichiara chiusa
l’assunzione quando sono eseguiti i mezzi ammessi o quando, dichiarata la decadenza di cui
all’articolo precedente, non vi sono altri mezzi da assumere, oppure quando egli ravvisa
superflua, per i risultati già raggiunti, la ulteriore assunzione”) e forse anche ex art. 187, I
comma, c.p.c., (“il giudice istruttore, se ritiene che la causa sia matura per la decisione di
merito senza bisogno di assunzione dei mezzi di prova, rimette le parti davanti al collegio”)
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a fronte della richiesta della parte di offrire, attraverso una prova in senso tecnico, la prova
contraria (Chiarloni, Proto – Pisani).
1.4.1) Abbiamo detto che le prove raccolte sono valutate dal giudice ai sensi dell’art. 116
secondo comma c.p.c.. Da notare che il suddetto articolo – precisa Cass. n. 597 del 1991
- riguardo soltanto le prove raccolte (e cioè a quelle orali, le ispezioni, le c.t.u., eccetera) e
non a quelle documentali, in quanto le prime comportano un’attiva partecipazione del
giudice che conferisce loro una garanzia che sopravvive all’estinzione del processo>.
In ossequio al principio dispositivo, “in difetto dell’istanza della parte interessata, il
giudice non può trarre argomenti di prova dalle risultanze istruttorie del diverso procedimento estinto, assumendole dai relativi fascicoli d’ufficio” (v. Cass. 6 agosto 2003, n. 11842).
1.5) Proseguendo nell’analisi dei dati positivi, l’art. 50 c.p.c. disciplina il “materiale
probatorio acquisito da un giudice che ha dichiarato la propria incompetenza, con
riferimento alla riassunzione della causa dinanzi al giudice competente”.
Ebbene, gli atti istruttori mantengono la loro piena valenza probatoria e ciò per il
principio dell’unità della giurisdizione, che presuppone la valida costituzione dell’intero
procedimento e, quindi, anche degli atti istruttori assunti davanti al giudice incompetente
inizialmente adito.
1.6) Precisato sino ad ora su quali presupposti codicistici è possibile supportare
l’ammissibilità delle prove atipiche, occorre indicare come la giurisprudenza confermi
l’esistenza di una vasta area di utilizzazione – con efficacia per lo più indiziaria – di prove
e di mezzi probatori non espressamente previsti e disciplinati dalla legge: scritti di terzi,
testimonianze rese in altri processi, c.t.u. svolta in altro giudizio, c.t. stragiudiziale, c.t. di
parte depositate nel processo, accertamento dei fatti raggiunto attraverso il sistema delle
“informazioni” eccetera.
Ancora, le nuove prove imposte dal progresso della scienza e della tecnica (le indagini
ematologiche o del DNA, l’uso dell’autovelox per il controllo della velocità, l’etilometro per
l’accertamento dello stato di ebrezza eccetera) (Ricci).
A questo punto della mia breve analisi – e mi avvio alla conclusione – credo giovi
ribadire come dottrina e giurisprudenza, in termini pressoché pacifici, attribuiscano valore
o efficacia pressoché indiziaria alle prove atipiche o innominate “liberamente apprezzabili” dal giudice, purché la loro credibilità od attendibilità sia confortata in positivo da altri
elementi di giudizio o, per converso, non sia smentita in negativo dal raffronto con altre
risultanze del processo.
1.6.1) Sempre che, sia ben chiaro, venga salvaguardato il rispetto di quei principi di rango
costituzionale tesi ad assicurare un “giusto processo”:
a) inviolabilità del contraddittorio;
b) diritto alla prova contraria;
c) la necessità di una adeguata motivazione del giudice circa la particolare valutazione
di dette prove atipiche;
d) la assoluta inutilizzabilità delle prove formate od acquisite con mezzi illeciti,
illegittimi o incostituzionali.
2) Nel ringraziare tutti per la cortese attenzione prestata verso un tema non facile come
quello che ho tentato, seppur brevemente, di tratteggiare, concludo rilevando che la “non
chiusura” del legislatore verso le prove c.d. “atipiche” – di cui abbiamo detto poc’anzi –
consente di utilizzare nel processo civile pressoché tutti gli strumenti concepibili dall’uomo,
al fine di soddisfare quell’ansia e quel bisogno di verità materiale di cui vi hanno riferito
prima.
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E in quest’ottica, allora, perché non fondare il convincimento in fatto sulla lettura di uno
scritto di un prestigioso terzo (che so, di Indro Montanelli)?
D’altronde, chiari sintomi di apertura verso il “nuovo” sono costituiti dall’art. 816 ter,
II comma, c.p.c., entrato in vigore con il D.l.vo 2 febbraio 2006 n. 40, in materia di
procedimento arbitrale, ove è data la possibilità agli arbitri di “assumere direttamente presso
di sé la testimonianza, ovvero deliberare di assumere la deposizione del testimone, ove questi
vi consenta, nella sua abitazione o nel suo ufficio. Possono altresì deliberare di assumere la
deposizione richiedendo al testimone di fornire per iscritto risposte a quesiti nel termine che
essi stessi stabiliscono”.
O, ancora, il nuovo disegno di legge “Mastella”, approvato dal Consiglio dei Ministri
del 16 marzo 2007, in base al quale, in funzione di pura accelerazione e semplificazione del
processo, si prevede che, in alternativa alla prova delegata, si assuma la deposizione per
iscritto del testimone, se le parti lo richiedono e la lite riguarda diritti disponibili.
Avv. Michele Pecorella
1) L’articolo 2712 c.c. e contestazione della parte
2) La rivoluzionaria c.t.u. preventiva ex art. 696 bis c.p.c.
Ringrazio anzitutto gli organizzatori, ed in particolare Carlo SILVETTI, della fiducia,
spero ben riposta.
Nel tema oggetto dell’incontro, “prove nuove e prove vecchie”, gli argomenti affidatimi
presentano indubbiamente motivi riflessione, essendo caratterizzati entrambi, se pur sotto
profili diversi, dall’attributo della “innovatività”: difatti, ed in particolare, mentre l’art. 2712
c.c. relativo alle “riproduzioni meccaniche” da acquisire in giudizio rappresenta una norma, per
così dire, “vecchia”, ma incontestabilmente sottoposta alla “novità” dei repentini ed incessanti mutamenti tecnologici, l’art. 696 bis c.p.c. rappresenta non solo una norma formalmente
“nuova” (invero introdotta dal c.d. “decreto sulla competitività” convertito nella l. n. 80/2005),
ma importa nel nostro ordinamento un concetto indubbiamente “innovativo” di perizia, se
pur –come spesso avviene e come vedremo- recepito dall’orientamento, per l’appunto più
“innovativo”, della giurisprudenza.
1) L’articolo 2712 c.c. e contestazione della parte
1.a) Il contenuto testuale della norma
E’ utile rammentare la testuale portata della norma (titolata “Le riproduzioni meccaniche”),
che sembrerebbe (solo in apparenza) non comportare problemi interpretativi di rilevante
entità:
“Le riproduzioni fotografiche, informatiche o cinematografiche, le registrazioni fonografiche e, in
genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose formano piena prova dei fatti e delle cose
rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose
medesime”.
1.b) La “ratio” della norma
La disposizione in esame, sin dalla sua origine, come esplicitamente anticipato anche
nella Relazione al Codice Civile (che riporto nella mia relazione scritta a Vostra disposizione), se pur con l’eccezione della locuzione “riproduzioni informatiche” recentemente e
formalmente inserita dall’art. 23, co. I, D. L.vo n. 82/2005, a decorrere dal 1.1.2006 (pur se
la giurisprudenza già riteneva integrata in tal senso la norma), con il significativo richiamo
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ad “ogni altra rappresentazione meccanica” ha codicizzato una “illuminata” apertura verso il
progresso tecnologico, la quale consente, in tal modo, di ricondurvi agevolmente tutte le
possibili riproduzioni magnetofoniche, videocinematografiche, digitali, informatiche (si è
detto, introdotte anche formalmente con decorrenza 1.1.2006) o telematiche, di cui si
conoscano attualmente le tecniche più sofisticate e collaudate (non senza un’ulteriore
potenziale apertura verso futuribili modalità di rappresentazione di fatti o di cose, sempre
più progredite, raffinate e complesse).
Siamo in ambito di prove documentali (inserite infatti nel capo II, Titolo II, del libro IV
del c.c., titolato testualmente “della prova documentale”), dunque precostituite al processo, ma
di natura c.d. “rappresentativa” (VERDE), o meglio in tal caso “riproduttiva”, e dunque
differenti dalle prove documentali per antonomasia, ossia dalle scritture private, di natura
c.d. “dichiarativa”.
1.b.1) In particolare, sulle differenze tra prova documentale “rappresentativa” e “dichiarativa”
Come esemplarmente chiarito da VERDE, “non sempre il documento rappresenta una
dichiarazione: può riprodurre immagini (fotografie), anche in movimento (riprese cinematografiche)
o suoni (o altri dati sensibili). Anche in questo caso, il dato probante non è il documento ma il fatto
rappresentato, il quale, proprio ai sensi dell’art. 2712 c.c. in esame, sarà utilizzabile ai fini della prova
se la parte contro cui è stato prodotto non lo disconosce”.
Non può che conseguirne, allora, che il problema probatorio della scrittura è diverso da
quello che pongono le riproduzioni: nel primo caso, senza la sottoscrizione, la scrittura non
è formata, nel secondo caso la riproduzione, in caso di contestazione, continua ad esistere
come tale, anche se ne è messa in dubbio la sua capacità rappresentativa. Ne consegue che
l’utilizzabilità del dato probante, in questo caso, ha bisogno di conferme aliunde e che a tal
fine sono utilizzabili tutte le prove che l’ordinamento pone a disposizione del giudice per
accertare un fatto (nel nostro caso, l’autenticità della riproduzione e la sua capacità
rappresentativa).
1.b.2) Differenze con le riproduzioni e gli esperimenti endoprocessuali ex art. 261 c.p.c.
Le riproduzioni previste dall’art. 2712 c.c. sono anche logicamente distinte dalle
“riproduzioni, copie ed esperimenti” di cui all’art. 261 c.p.c., non precostituite al processo come
le prime, ed anzi “costituende” per antonomasia, venendo in essere per ordine del Giudice.
1.c) In particolare, sull’onere di contestazione: termini, modalità ed effetti
L’efficacia probatoria (piena) delle riproduzioni meccaniche di cui all’art. 2712 c.c. è
subordinata, in ragione della loro formazione al di fuori del processo e senza le garanzie dello
stesso, all’esclusiva volontà della parte contro la quale esse sono prodotte in giudizio,
concretatesi nella non contestazione che i fatti, che tali riproduzioni tendono a provare,
siano realmente accaduti con le modalità risultanti dalle stesse.
Il relativo “disconoscimento”, pur non essendo, anche per unanime giurisprudenza,
soggetto ai limiti ed alle modalità di cui all’art. 214 c.p.c., deve tuttavia essere “chiaro,
circostanziato ed esplicito”, dovendosi concretizzare nell’”allegazione di elementi attestanti la non
corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta” (v. Cass. 4.2.2000, n. 1247): non è dunque
sufficiente la mera affermazione di non riconducibilità della riproduzione alla realtà, come
in caso di disconoscimento ex art. 214 c.p.c., ma v’é un onere di allegazione, in sintonia con
quanto previsto in via generale dall’art. 2697, II comma, cod. civ.; anche se l’onere della
prova primario grava sulla parte che si vuole avvalere della riproduzione.
Riteniamo che la differenza con il disconoscimento delle scritture private non possa che
derivare dalla diversa e rammentata natura della potenziale prova documentale che si
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vorrebbe far acquisire al thema probandum (rappresentativa – riproduttiva da un lato e
dichiarativa dall’altro), nel senso che una mera riproduzione della realtà, se pur disconosciuta dalla controparte, non può esser acriticamente tralasciata dal Giudicante ai fini dell’accertamento della verità.
Quanto alla tempistica del disconoscimento, pur ribadendo che, almeno formalmente,
non si applica la rigida tempistica prevista per il disconoscimento della scrittura privata (non
essendovi in proposito alcuna normativa di raccordo), la giurisprudenza ha comunque
ritenuto che l’attività disconoscitiva deve avvenire nella prima udienza o nella prima risposta
successiva alla rituale acquisizione delle riproduzioni stesse, giacché un disconoscimento
tardivo verrebbe ad alterare l’iter cadenzato ed ordinato delle fasi processuali, tanto più
nell’attuale e novellato rito civile (art. 183 c.p.c.).
1.d) La residuale efficacia probatoria delle riproduzioni disconosciute
Nonostante la norma non abbia previsto alcuna efficacia probatoria residuale alle
riproduzioni disconosciute, la giurisprudenza ne ammette pacificamente la rilevanza,
ancora –e logicamente- in considerazione della natura rappresentativa-riproduttiva di tale
potenziale prova documentale:
Cass., sez. lav., 11-05-2005, n. 9884:
“In ordine all’assunta contestazione dei dati del sistema informatico, è da osservare preliminarmente che, per l’art. 2712 c.c., la contestazione esclude il pieno valore probatorio della riproduzione
meccanica, ove abbia per oggetto il rapporto di corrispondenza fra la realtà storica e la riproduzione
meccanica («la conformità» dei dati ai fatti ed alle cose rappresentate); ove la contestazione (con questo
specifico contenuto) vi sia stata, la riproduzione, pur perdendo il suo pieno valore probatorio, conserva
tuttavia il minor valore di un semplice elemento di prova, che può essere integrato da ulteriori elementi;
l’accertamento della sussistenza e del contenuto della contestazione, avendo per oggetto fatti materiali,
è funzione del giudice di merito e, ove sia esente da vizi logici, in sede di legittimità è insindacabile”.
Sul significato di “elemento di prova” mi sembra opportuno, anzi doveroso, rimetterne
l’analisi e le conseguenti valutazioni al contributo del Consigliere Paolo Fiore in tema di
“valutazione della prova”.
Al più, in questa sede ci possiamo limitare ad osservare che nell’intenzione del legislatore
non è ormai più presente la tendenza ad irrigidire l’ammissione di determinati mezzi di
prova: ed invero, ove non ricorrano (per la protezione di interessi processuali od extraprocessuali superiori) specifici divieti probatori, sembrerebbe prevalere comunque la finalità
conservativa nei confronti dell’efficacia probatoria del documento (o, se si preferisce, si
impone un favor per la sua utilizzabilità processuale), sia pur a livello meramente indiziario,
ma –analogamente al sistema di procedura penale ex art. 189 c.p.p.- l’ammissione, la sua
idoneità ad accertare i fatti e le modalità della sua acquisizione vengono pur sempre rimesse
al libero e sovrano apprezzamento del giudice, ai sensi dell’art. 116, co. I, c.p.c., soprattutto
quando non sussistano garanzie precostituite di autenticità e/o di genuinità.
Può risultare interessante, al riguardo, un breve cenno ai divieti di utilizzabilità
processuale che gli artt. 266 / 271 c.p.p. prevedono nel processo penale per le intercettazioni
di comunicazioni o di conversazioni (le quali sono inquadrate fra i mezzi di ricerca della
prova) e che, comunque, non risultano espressamente recepiti dall’ordinamento processuale
civilistico.
In particolare, secondo un principio ormai consolidato, le registrazioni su nastro
magnetico di conversazioni telefoniche ben possono costituire “fonte di prova”, ai sensi
dell’art. 2712 c.c. “se colui contro il quale la registrazione è prodotta non contesti che la
conversazione sia realmente avvenuta con il tenore risultante dal nastro” e sia uno degli
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interlocutori della medesima, alla pari del soggetto che ha realizzato e fa valere nei suoi
confronti la registrazione, giacchè all’ammissibilità della prova non sarebbe di ostacolo la
norma penale (ex art. 615-bis c.p.), la quale “incrimina le debite interferenze da parte di terzi estranei
alla conversazione, ma non ne vieta la riproduzione da parte del destinatario”.
1.e) Ipotesi esemplificative di “riproduzioni meccaniche”
Proprio in considerazione della rammentata clausola di “apertura” a nuove ipotesi
inserita nella norma un’elencazione di fattispecie applicative non può che essere esemplificativa e non esaustiva; in questa sede, peraltro, per esigenze di tempo, mi limiterò ad
affrontare succintamente le riproduzioni informatiche non formatesi, soprattutto sotto il
profilo della relativa sottoscrizione, secondo la vigente disciplina normativa (che ci illustrerà
successivamente la Collega BARBARIA), rimandando alla relazione scritta l’esame, anche
dei relativi precedenti giurisprudenziali, riguardante la c.d. velina (ormai in disuso), le copie
fotostatiche (per le quali vale richiamare anche l’art. 2719 c.c., complementare in tal caso
all’art. 2712 c.c.), le bollette telefoniche, i dischi cronotachigrafi, le riproduzioni fonografiche.
1.e.1) In particolare, sulle riproduzioni informatiche
La giurisprudenza, direi consolidata, ritiene che i documenti informatici privi di firma
digitale vanno ricondotti tra le riproduzioni fotografiche o cinematografiche, le registrazioni
fonografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose, la cui
efficacia probatoria è disciplinata dall’art. 2712 c.c., con la conseguenza che, anche per essi,
il disconoscimento della loro conformità ai fatti rappresentati non ha gli stessi effetti del
disconoscimento della scrittura privata, previsto dall’art. 215, comma 2 c.p.c., perché,
mentre quest’ultimo, in mancanza di richiesta di verificazione e di esito positivo di questa,
preclude l’utilizzazione della scrittura, il primo non impedisce che il giudice possa accertare
la conformità all’originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni
(Cass. 6 settembre 2001 n. 11445, che nella specie ha confermato la decisione di merito, che
ai sensi dell’art. 2712, e dell’art. 5 comma 2 D.P.R. 10 novembre 1997 n. 513, aveva ritenuto
provato il fatto costituente giusta causa di licenziamento di un esattore di casello autostradale
sulla base dei dati risultanti dal sistema informatico del datore di lavoro, pur contestati dal
lavoratore).
Sul punto è indubbiamente interessante un raccordo con il contributo della Collega
BARBARIA, in quanto la giurisprudenza, attraverso la portata estensiva dell’art. 2712 c.c.,
attribuisce potenziale rilevanza probatoria anche al documento informatico non predisposto e/o sottoscritto ai sensi di legge (ad esempio, e-mail e fax non inviate secondo la
normativa vigente ai sensi dell’art. 17, co. II, D. lgs. n. 5/2003) al solito affidandosi al potere
valutativo (e discrezionale) del Giudice, comunque censurabile anche ai sensi dell’art. 360,
n. 5), c.p.c. (significativo l’esempio di VERDE al riguardo, e proprio in ordine alla sentenza
della Suprema Corte n. 11445/2001, la quale, si è visto, ha ratificato l’attendibilità attribuita
dal Giudice di merito alle risultanze del sistema informatico adottato dal datore di lavoro,
si noti, peraltro, privato e non p.a.: si chiede VERDE, infatti, e se il datore di lavoro non fosse
stato una grande azienda autostradale ma un modesto artigiano, che attendibilità avrebbe
avuto il proprio sistema informatico, verosimilmente, mi si passi il termine, “casareccio” ?
In tal caso, sarebbe risultata determinante ai fini del convincimento del Giudice una
circostanza, le dimensioni dell’azienda, estranea alle modalità di riproduzione meccanica;
circostanza, questa, quanto meno opinabile, se pur anche in tal caso mi rimetto ed attendo
le opportune osservazioni del Consigliere Fiore sulla metodologia di “valutazione delle
prova”).
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Concludendo, mi permetto di ribadire che nella casistica (non esaustiva) rammentata il disconoscimento giudiziale non implica automaticamente l’estromissione della
potenziale fonte di prova dal giudizio, affidando al Giudice il compito (delicatissimo)
di attribuire il livello, più o meno elevato, di residua rilevanza probatoria alla riproduzione comunque prodotta ed acquisita in giudizio, non risultando effettivamente un
meccanismo di esclusione, anche formale, dal processo della riproduzione disconosciuta.
2) La rivoluzionaria c.t.u. preventiva ex art. 696 bis c.p.c.
2.a) Il contenuto della norma e cenni “storici”
In apertura, ed anche in tal caso, è senz’altro necessario riportare il dato testuale della
norma in esame, titolata come è noto “consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione
della lite”:
“L’espletamento di una consulenza tecnica in via preventiva può essere richiesto anche al di fuori
delle condizioni di cui al primo comma dell’art. 696, ai fini dell’accertamento e della relativa
determinazione dei crediti, derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali
o da fatto illecito. Il giudice procede a norma del terzo comma del medesimo articolo 696. Il consulente,
prima di provvedere al deposito della relazione, tenta, ove possibile, la conciliazione delle parti.
Se le parti si sono conciliate si forma processo verbale della conciliazione.
Il giudice attribuisce con decreto efficacia di titolo esecutivo al processo verbale, ai fini
dell’espropriazione e dell’esecuzione in forma specifica e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.
Il processo verbale è esente dall’imposta di registro.
Se la conciliazione non riesce, ciascuna parte può chiedere che la relazione depositata dal
consulente sia acquisita agli atti del successivo giudizio di merito.
Si applicano gli artt. da 191 a 197, in quanto compatibili”.
Anche in tal caso per un cenno, per così dire “storiografico”, al concetto di consulenza
tecnica in generale, mi riporto alla relazione a Vostra disposizione.
L’innovativo art. 696 bis c.p.c. ha delegato al perito non solo la “determinazione” dei
crediti, ma anche (e persino, almeno nell’ottica previgente) il loro “accertamento”.
2.b) Natura formalmente (e solo “apparentemente”) cautelare e sommaria del procedimento ex art. 696 bis c.p.c.
E’ significativa la collocazione dell’innovativa norma in esame, introdotta, come
anticipato in apertura, dal c.d. “decreto sulla competitività” (convertito nella l. n. 80/2005),
nella Sezione IV, dedicata ai procedimenti di istruzione preventiva, nel Capo dunque (il III,
del libro IV) riguardante i procedimenti cautelari.
Ne consegue da una tale collocazione anzitutto la distinzione con la c.t.u. prevista dal
Codice di rito agli artt. 191 e ss. nella Sezione riguardante l’”istruzione probatoria” del
processo di cognizione disciplinato dal libro II e, per definizione, antitetico ai procedimenti
cautelari.
Sempre la collocazione e la numerazione stessa della norma (art. 696 bis c.p.c.)
sembrerebbe in apparenza condizionare essenzialmente la portata della disposizione dalla
precedente, l’art. 696 c.p.c. (riguardante l’”accertamento tecnico e l’ispezione giudiziale”),
sebbene il primo comma dell’art. 696 bis c.p.c. chiarisce immediatamente e testualmente che
l’espletamento di una tale consulenza tecnica “può essere richiesto anche al di fuori delle
condizioni di cui al primo comma dell’art. 696 c.p.c.”.
La conseguenza principale e diretta di una tale esplicita deroga non può che essere la
mancanza della ricorrenza del c.d. “periculum in mora” (o meglio delle ragioni “d’urgenza” ai
sensi dell’art. 696, co. I, c.p.c., se non proprio del pregiudizio imminente ed irreparabile ex
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art. 700 c.p.c.), al fine di potersi avvalere di tale innovativo strumento processuale e,
pertanto, l’ovvia esclusione, quanto meno sostanziale se non proprio formale, di tale
peculiare procedimento da quelli cautelari.
Ancora, in caso di mancata conciliazione e su istanza di parte, la relazione é utilizzabile
nel successivo giudizio di merito, non esaurendo dunque tale accertamento la propria
funzione in ambito sommario e preventivo rispetto al giudizio a cognizione piena.
2.c) Finalità della norma
Il legislatore ha opportunamente codificato l’esigenza della parte non tanto di precostituirsi una prova prima del processo, quanto piuttosto di veder tutelato in maniera rapida ed
effettiva il diritto sostanziale leso.
In altri termini, viene consentito l’accertamento del “quantum” (sia contrattuale che
extracontrattuale), prescindendosi dall’”an”.
VACCARELLA, che ha dato il nome alla Commissione che ha proposto anche
l’introduzione di un tale strumento processuale, ha ritenuto che il fine di una tale
innovazione fosse una “conciliazione giudiziale favorita”: infatti, se il compito svolto dal c.t.u.
“preventivo”, vale a dire “tentare ove possibile, la conciliazione della lite”, ha esito positivo, il
Giudice conferisce ufficiosità all’accordo raggiunto, consacrandolo nel relativo verbale di
conciliazione. Il “favor” con il quale il legislatore guarda questo momento conciliativo è
chiaramente testimoniato dal fatto che al verbale di conciliazione è attribuita la natura di
titolo esecutivo, idoneo, perciò, ad iniziare persino l’esecuzione in forma specifica di cui
all’art. 2932 c.c. o la possibile iscrizione di ipoteca giudiziale, il tutto con il beneficio
dell’esenzione dall’imposta di registro.
Nella relazione troverete anche lo stralcio della Presentazione dei lavori della suddetta
Commissione per la riforma del processo civile, riguardante, al punto 52, il tema in esame.
La formulazione dell’art. 696-bis c.p.c. lascia trasparire l’intenzione del legislatore di
attribuire all’istituto una duplice funzione, destinata a realizzarsi alternativamente: da un
lato, e principalmente, la funzione di base di una possibile conciliazione; dall’altro, in caso
di mancata conciliazione, e dunque in via subordinata, la funzione di supporto istruttorio
del successivo giudizio di merito.
La prima delle due funzioni trova la sua ragion d’essere nel fatto che il contrasto tra le
parti, sovente destinato a sfociare nella lite giudiziaria, trae fondamento, nella maggioranza
dei casi, dall’ignoranza dei dati di fatto necessari alla composizione della contesa. L’istituto
in questione si ispira ad una disposizione contemplata dall’ordinamento processuale
tedesco, quella appunto della c.d. “consulenza conciliativa”, la quale mira ad evitare l’instaurazione del giudizio di cognizione ordinaria attraverso lo svolgimento di un ben più rapido
procedimento, con ovvio intento deflattivo del contenzioso civile.
Sebbene la conciliazione della lite costituisca lo scopo primario della norma, va rilevato
che l’art. 696-bis c.p.c., intende altresì favorire l’espletamento di un atto istruttorio utile al
successivo giudizio in caso di mancata conciliazione, in modo da evitare che la consulenza
effettuata ante causam si risolva in uno spreco di energie.
La norma distingue tre attività: l’accertamento (elemento innovativo), la determinazione quantificativa (già propria della “vecchia” peizia) ed il tentativo conciliativo (innovazione anch’essa, ma non assoluta, essendo già stata prevista una finalità conciliativa,
francamente ignoro quanto in uso nella prassi, affidata alla c.t.u. contabile, ai sensi degli artt.
198 e 199 c.p.c.).
Se il predetto tentativo ha esito positivo, si è visto che al verbale di conciliazione viene
dal Giudice attribuita efficacia esecutiva “privilegiata”, non nel senso di maggior ampiezza
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degli altri titoli esecutivi previsti ex lege, ma in virtù della significativa, e già rammentata,
esenzione dall’imposta di registro prevista dall’art. 696-bis, co. IV, c.p.c..
2.d) Aspetti procedurali
In via generale, non sembrerebbero configurabili particolari problemi sotto tale profilo:
difatti, in analogia con quanto previsto per l’art. 696 c.p.c. (anche ante novellam), l’istanza
di c.t.u. preventiva va formalizzata con ricorso, in calce al quale il Giudice provvede con
decreto alla fissazione dell’udienza per il giuramento del c.t.u. (nominato con lo stesso
ricorso) e la formulazione dei quesiti; ai fini della fondamentale instaurazione del contraddittorio, anche in questa fase (e tanto più in considerazione della funzione conciliativa
sottesa a questo mezzo processuale), il ricorso, completo del decreto del Giudice, andrà
notificato alla “controparte”.
In astratto potrebbe apparire problematica l’eventuale proponibilità in corso di causa del
ricorso ex art. 696 bis c.p.c..
Difatti, almeno formalmente è prevista l’esperibilità solo in via preventiva (la portata
testuale della norma e la sua collocazione non lascerebbero apparentemente dubbi al
riguardo); indubbiamente, anche in considerazione delle notorie e spesso inaccettabili
tempistiche del processo ordinario (anche in seguito alla recente novella, soprattutto nel caso
del differimento d’ufficio della prima udienza), la presentazione di un’istanza di consulenza
preventiva in corso di causa (ad esempio, successivamente all’iscrizione a ruolo della causa),
se pur forse in contrasto con la ratio della norma (almeno di quella preminente, finalizzata
all’evitare il contenzioso e non ad abbreviarne la durata), indubbiamente fornirebbe un
contatto molto più veloce con il Giudice e la controparte, se pur solo ai fini conciliativi.
In ogni caso, concludendo sul punto, e mutuando una esemplificativa e chiara espressione della dottrina, mentre l’a.t.p. ex art. 696 c.p.c. è strumento che mira a costituire una
prova “prima del processo” ed “in vista dell’inevitabile processo”, l’istituto disciplinato dall’art.
696-bis c.p.c. pare configurare una prova “in luogo del processo”.
2.e) Casistica
Come già segnalato, la recente emanazione della norma non ha consentito di rinvenire
precedenti giurisprudenziali con le fonti ordinarie; tuttavia, l’ambito di applicazione della
disposizione sembra potersi inquadrare tra quelle controversie in cui appaiono necessari
accertamenti medico legali (cause di responsabilità professionale, casi di c.d. “mobbing”,
infortunistica stradale e comunque da fatto illecito) ovvero, ed ovviamente, accertamenti
peritali in genere (infiltrazioni ed altri tipi di danni tra proprietà limitrofe, accertamento di
confini, ecc.), ma anche fattispecie in cui è in contestazione la quantificazione di un credito
derivante da un titolo contrattuale, dunque non solo aquiliano (applicazione indebita di
interessi bancari, danno emergente e lucro cessante da inadempimento di un contratto
preliminare o definitivo, ovvero anche ex art. 1337 c.c.).
Francesco Silvestri
LE PROVE COME STRUMENTO DI RICERCA
1) Il tema della prova da sempre appassiona i logici, i matematici, i filosofi, gli scienziati
e i giuristi di ogni branca (civilisti, penalisti, amministrativisti, tributaristi, avvocati rotali,
operatori del diritto di ogni paese, epoca e tendenza).
Prima di parlare della prova giuridica, é opportuno riflettere un momento sul concetto
di prova in assoluto che – come vedremo – ha non poche conseguenze sul come il legislatore
di ogni epoca “organizza” quel particolare momento del processo costituito dall’assunzione
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della prova.
1.1) Partiamo dai processi del pensiero e dalla inferenza micidiale della prova: ciò
agevolerà, io credo, la comprensione del meccanismo dello strumento di comparazione
costituito dalla prova (Carnelutti). “Occorre per la scelta un termine di confronto: qualche
cosa che sia fuori dalle affermazioni delle parti. Conviene che il giudice faccia con le due
diverse affermazioni delle parti quel che fa l’orafo col metallo per sapere se é prezioso:
adoperi la pietra di paragone. Questa pietra di paragone é la prova.
La parola stessa, per la significazione propria che ha nel nostro linguaggio, mostra questa
funzione comparativa della prova. Il significato elementare del vocabolo attiene al controllo
di una affermazione o del risultato di una operazione (si pensi alla prova della operazione
aritmetica): prova é tutto ciò che serve al giudice per il controllo delle domande o delle
affermazioni delle parti”.
1.2) Si diceva dei processi del pensiero; il pensiero é illimitato: possiamo pensare tutto
e su tutto: quel che si trova fuori o al di là del pensiero é rigorosamente impensabile.
Esso può produrre modelli di spazio-tempo limitati o infiniti, in espansione o in
contrazione. Ci permette di articolare il ricordo e l’avvenire, anche se di rado riflettiamo sulla
fragilità logica del tempo futuro.
Possiamo, per breve tempo, trattenere il respiro: non v’é prova che possiamo trattenere
il pensiero; così come é impossibile avere la prova – al di fuori di noi stessi – dei nostri
pensieri.
Niente e nessuno può penetrare i miei pensieri in modo verificabile. Dire che un altro
<<legge>> nel mio pensiero é solo una figura retorica. Posso nascondere completamente
i miei pensieri.
Nessun essere umano può pensare i miei pensieri per me.
Ma, le interposizioni tra pensiero ed atto sono molteplici come la vita.
Nessun pittore, per quanto capace, può trasferire appieno sulla tela la sua visione interna
o quel che crede di vedere di fronte a sé. Perfino nella sua forma più rigorosa, la musica
incorpora solo parzialmente il complesso di sentimenti, idee, relazioni astratte del suo
compositore.
<<Non ho le parole per dirlo>> dice l’amante, l’uomo colpito dal dolore; ma anche il
poeta e il filosofo.
L’opera d’arte, per quanto sovrana, il progetto politico o militare, l’edificazione
materiale, il codice giuridico scendono a compromessi con l’ideale, con la finzione
necessaria dell’assoluto.
Le correlazioni fallite tra il pensiero e la sua realizzazione, tra ciò che abbiamo concepito
e le realtà dell’esperienza, sono tali che non potremmo vivere senza speranza.
1.3) Ora, queste correlazioni noi le stabiliamo con un procedimento di verificazione
interno: con le PROVE, appunto (si pensi alle prove d’amore); documentali, testimoniali,
logiche, sociali, ambientali (chi sono, dove sono e perché) che ci dimostrano quel che siamo
e la lontananza da quel che abbiamo pensato.
La c.d. prova giuridica é enormemente influenzata dalla prova logica e matematica,
scientifica e dalla prova storica.
1.3.1) La prova matematica
SI INTENDE PER PROVA MATEMATICA IL RISULTATO DI UN PERCORSO
RIGOROSAMENTE LOGICO SOSTENUTO PER DIMOSTRARE LA CONSISTENZA
DELLA TESI ASSUNTA NEI CONFRONTI DELL’IPOTESI DATA
ESEMPIO
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IPOTESI: A, B, C SONO NUMERI; A E’ UGUALE a B, E B E’ UGUALE a C
TESI: DIMOSTRARE CHE A E’ UGUALE a C
PROVA
SE A E’ UGUALE a B ALLORA A–B E’ UGUALE a ZERO. SE B E’ UGUALE a C
ANCHE B–C E’ UGUALE a ZERO, QUINDI A–B E’ UGUALE a B–C e SI SCRIVE A–
B = B–C. MA B–C SI PUO’ ANCHE SCRIVERE C–B VISTO CHE SONO UGUALI E
CHE LA LORO DIFFERENZA DA’ SEMPRE ZERO. A QUESTO PUNTO ANCHE A–
B=C–B, PER CUI ELIDENDO DALL’EQUAZIONE – B SI HA IL RISULTATO: A=C.
1.4) Kurt Gödel nel 1931 (aveva solo 25 anni) ha rivoluzionato lo studio della matematica
con saggi che, non a caso, si chiamano <<LA PROVA DI GÖDEL” che portano a questi
sconvolgenti risultati:
a) incompletezza delle teorie formali e
b) impossibilità di dimostrare all’interno delle stesse la loro coerenza.
Ciò significa che in ogni teoria formale di un certo tipo specificato, esisterà una
proposizione non dimostrabile né refutabile (viene da pensare subito al ricorso per
cassazione ex art. 360 n. 5 c.p.c.). E’ un micidiale attacco al principio di non contraddizione
di Aristotele.
1.4.1) Gödel (ma v. anche Kant nella “Critica della ragione pura” e nei “Prolegomeni ad
ogni metafisica futura”) DIMOSTRA COME SIA POSSIBILE COSTRUIRE/DEDURRE
UNA PROPOSIZIONE, A PARTIRE DA UN INSIEME DI ASSIOMI DI UNA TEORIA
(ARITMETIZZABILE, O SUFFICIENTEMENTE COMPLESSA, AD ESEMPIO LA TEORIA DEI NUMERI INTERI DI PEANO), CHE NON E’ POSSIBILE DICHIARARE NE’
VERA NE’ FALSA VERSO GLI ASSIOMI STESSI. Con un linguaggio più preciso
possiamo dire che se la teoria è non contraddittoria, allora non può riconoscere la verità o
la falsità di tutte le proposizioni che possono essere costruite all’interno della teoria stessa
(prima parte del teorema di Godel).
Il teorema dimostra l’incompletezza sintattica dei sistemi assiomatici coerenti (simili a
quelli esemplificati nei Principia Mathematica di Bertrand Russell), cioè l’impossibilità di
dimostrare alcune proposizioni (che possono essere vere) e le loro contraddittorie dall’interno del sistema. Dimostra inoltre che la coerenza (la non-contraddittorietà) del sistema non
è dimostrabile, o formalizzabile applicando il linguaggio del sistema stesso (quello dell’aritmetica e della logica elementare).
Si può dire, quindi, che la verità matematica di una proposizione non può essere ridotta
alla verità logica, nel senso che non può essere dimostrata all’interno di un certo sistema
formale.
Se tuttavia si va oltre la struttura formale della teoria si può dimostrare che alcune di
queste proposizioni sono vere. Per superare questa situazione dobbiamo allargare la nostra
teoria assumendo che la proposizione che non si è potuto dichiarare né vera né falsa, ovvero
“indecidibile”, sia un ulteriore postulato della teoria. In questo modo la teoria originaria avrà
dato origine a due nuove teorie, fra loro incompatibili, che possono essere sviluppate
autonomamente e portare alla costruzione di altre proposizioni. A un certo punto inevitabilmente ci imbatteremo nuovamente, sia nella prima che nella seconda teoria, in una
proposizione indecidibile e con la stessa tecnica vista prima arriveremo alla nascita di quattro
teorie incompatibili e così via all’infinito. I risultati della matematica non sono quindi più
validi in assoluto, ma solamente all’interno di una certa teoria, perché esiste sempre un altra
teoria che afferma cose completamente diverse, come nel caso della geometria euclidea e di
quella non-euclidea.
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Godel ha, inoltre, dimostrato anche che la proprietà di una teoria di essere coerente è
proprio una di quelle proposizioni “in decidibili” di cui abbiamo parlato (seconda parte del
teorema di Godel).
Le conseguenze di tutto questo sembrano devastanti, non solo per ogni teoria logica, che
non si può mai pretendere di essere vera/coerente (vedi ad esempio la pretesa di teorizzare
tutta la matematica da parte degli assiomi di Hilbert, oppure la teoria degli insiemi di
Zermelo-Frenkel), ma per ogni “verità” scientifica. In realtà, tutto il nostro universo si basa
su un cardine fondamentale della fisica attuale delle particelle (quantistica), detto “principio
di indeterminazione” (di Heisenberg) che afferma che “non è mai possibile conoscere con
esattezza al medesimo istante la posizione e la velocità di una particella (elettrone, fotone,
atomo che sia)”, ovvero se ne conosci la posizione non puoi sapere quale sia la sua velocità,
oppure se ne conosci la velocità non puoi sapere dove sia! Poiché questo è vero (ammesso
che questa parola abbia ancora un senso) per ogni particella fisica, ogni corpo/oggetto
dell’universo è soggetto al principio di indeterminazione, e sembrerebbe essere tutto
aleatorio, se non intervenisse in nostro soccorso, almeno (e per fortuna!) per gli oggetti
macroscopici (vedi ad esempio la luna di Einstein: “..se mi giro a non guardarla, potrebbe
non essere là) un effetto che possiamo definire di compensazione, che tende ad annullare,
o quasi, le oscillazioni quantistiche dei miliardi delle particelle componenti l’oggetto. Per cui
si può affermare che “grossolanamente” l’oggetto non è soggetto ad indeterminazione (la
luna è ferma dov’è). Se applichiamo tutto questo a quanto abbiamo sinora detto, possiamo
anche affermare che ogni teoria assiomatica/scientifica/logica/concettuale possa essere
“grossolanamente” vera, consistente e completa, e di questo (noi fortunati mortali) dobbiamo e possiamo accontentarci: il mondo va così!
(Capitolo del dr. Carlo Piacentini).
1.4.2) La classe dei controfattuali – codificati grammaticalmente dalle proposizioni
ipotetiche, al congiuntivo – é incommensurabile. Possiamo negare, trasmutare, <<disdire>> persino ciò che é più ovvio, più saldamente stabilito.
Da un punto di vista logico, la verità dell’enunciato é indipendente dalla verità delle
singole proposizioni che lo compongono (per es. “se Cesare non fosse stato assassinato, oggi
Roma dominerebbe ancora il mondo”).
Per essere un buon matematico non basta la logica, occorre anche immaginazione,
intuizione, visione, ovvero tutte le qualità di un artista. Le dimostrazioni matematiche sono,
di solito, l’ultimo passaggio di un complesso processo creativo, che ha molto dell’attività
artistica. Talvolta la dimostrazione é necessaria per mantenere unita la struttura, un po’ come
l’acciaio negli edifici, ma altre volte, quando sei veramente riuscito a mettere tutto assieme,
la dimostrazione diventa soltanto l’ultimo tocco di vernice alle pareti (Michael F. Atiyah).
Quante affinità con il nostro mestieraccio! (v. Satta, De Marsico, Biamonti, Fornario,
ecc.)
1.5) Prova scientifica
Si tratta di una procedura di accertamento della validità di teorie, della utilità di
metodologie di indagine, della correttezza di risultati ottenuti, mediante un metodo
(scientifico) rigoroso di valutazione avente caratteristiche di riproducibilità nello spazio e nel
tempo e che presenti significatività ed utilità per lo scopo che la prova stessa intende
perseguire.
Perché la prova possa essere definita scientifica il metodo di valutazione deve essere
condotto secondo un percorso logico che comprende i seguenti passi:
· osservazione dei dati oggettivi disponibili;
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· selezione, condotta da soggetto di provata esperienza, dei soli dati significativi;
· impiego di leggi o teorie scientifiche applicabili al caso in oggetto;
· valutazione finale come sintesi ragionata dei precedenti punti.
(Capitolo del prof. Lucio Laurenti).
1.5.1) La ricerca della “verità” attraverso la prova scientifica.
La ricerca della verità attraverso la ricerca della “prova” ha spinto sempre più l’uomo ad
affinare e sviluppare , teorie , tecniche , procedure e metodologie scientifiche sempre più
rigorose, nell’intento di dimostrare la validità delle tesi sostenute, con la maggior certezza
possibile.
La certezza della prova scientifica è misurata dal limite della conoscenza.
La conoscenza che si alimenta della scienza è in continua evoluzione e mai come oggi
la scienza pone in discussione se stessa e le teorie che sono stati i cardini dello sviluppo del
XX secolo. Ovvero il pensiero scientifico e le sue teorie sono una variabile continua che non
ha mai valore assoluto, ma lo sono solo in relazione al sistema di riferimento. Ancora oggi
non esiste una teoria scientifica univoca in grado di descrivere l’universo, ed ogni teoria è
caratterizzata da un grado di approssimazione.
Pertanto, la logica che governa gli studi scientifici è ispirata da quella che Popper definiva
“la precarietà delle teorie scientifiche”, qualificata dalla rapidissima evoluzione che nel
tempo, ogni branca scientifica ed ogni metodologia subiscono costantemente, in contrapposizione con le regole del rito processuale, caratterizzato da una tendenziale stabilità.
In questi anni di grande sviluppo tecnologico stiamo vivendo la più grande rivoluzione
scientifica di tutti i tempi.
La rivoluzione di cui stiamo parlando, iniziata negli anni trenta e ormai consolidata da
continue verifiche, é conosciuta come la “Teoria della Meccanica Quantistica”. Le sue
implicazioni nella tecnologia e nel nostro quotidiano sono talmente sconvolgenti da
risultare quasi incredibili perfino per gli stessi scienziati che la concepirono.
I fondamenti della meccanica quantistica possono essere (anche se in modo semplicistico) così riassunti:
“ non esiste una realtà obbiettiva della materia ma solo una realtà di volta in volta creata
dalle asserzioni dell’uomo”.
La conclusione che si può trarre da questa teoria è che:
“la realtà è tale solo se è presente l’uomo con le sue osservazioni, con i suoi esperimenti”.
1.5.2) A differenza delle precedenti rivoluzioni scientifiche le quali avevano posto
l’uomo ai margini dell’universo, la teoria quantistica riporta l’uomo (l’osservatore) al centro
della scena. È dal rapporto tra mente e materia che si costruisce la realtà, ovvero molte sono
le realtà possibili.
Seppure fortemente avversa al suo apparire (lo stesso Einstein per manifestare la sua
contrarietà arrivò a dire “Dio non gioca a dadi”), la meccanica quantistica è oggi universalmente accettata ed è in grado di spiegare razionalmente molti misteri dell’universo.
Il principio di indeterminazione postulato da Heisenberg che è alla base della meccanica
quantistica, ha mutato l’edificio della scienza “tradizionale” basata sulla dualità.
Il presupposto alla base della fisica classica , che osservatore e osservato fossero entità
distinte, è definitivamente caduto. In sostanza è stato provato che non è possibile interagire
con l’universo senza modificarlo. Questa è la straordinaria novità introdotta dalla fisica
quantistica , ovvero la dipendenza della realtà obiettiva del mondo atomico di cui è
costituito tutto l’universo, rispetto alle scelte effettuate da colui che si trova davanti alla
apparecchiatura di misura. Se ad esempio lo sperimentatore decide di rilevare la posizione
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di una particella, questa “cesserà” di esistere nella dimensione velocità , e posizione, e
parleremo solo di probabilità di localizzazione (principio di indeterminazione).
1.5.3) I fisici si sono spinti così profondamente nell’analisi della materia e quindi
dell’energia, da rendersi conto della verità di ciò che avevano sempre negato: la interdipendenza totale tra oggetto e soggetto.
Esiste pertanto una relazione illimitata tra osservatore e osservato, ovvero la realtà si può
modificare nel momento in cui diviene oggetto di indagine.
L’osservazione, lo studio, alterano dunque la natura del reale, ovvero l’universo ci appare
tale perché lo osserviamo. Se non la osservassimo la natura dell’intera creazione sarebbe altra.
La meccanica quantistica pone fine al sogno di un’intera civiltà scientifica che si è sempre
basata sul fatto indiscusso che osservatore e osservato fossero realtà indipendenti e che fosse
possibile studiare una realtà “esterna” senza alterarla.
Le grandi rivoluzioni della scienza sono spesso seguite da sconvolgimenti in campo
filosofico e sociale. Certamente si tratta di teorie e ogni teoria è migliorabile o sostituibile.
Ora, lentamente ma inesorabilmente, la meccanica quantistica sta entrando nella nostra vita,
mettendo in discussione antiche certezze, facendoci considerare che molto spesso le realtà
sono più di una e di questo bisogna tenere conto anche nel “metodo scientifico”, soprattutto
quando viene assunto come prova.
La ricerca scientifica non ha mai fine e non approda mai a verità ultime. Le leggi
scientifiche frutto della ricerca descrivono spesso realtà parziali; la massa di un corpo, ad
esempio nella meccanica classica è una costante, mentre nella meccanica relativistica è una
grandezza che varia con la velocità dell’oggetto.
Le due teorie si contraddicono, anche se di poco, e le loro verità non sono mai state
dimostrate con totale certezza, anche se la possibilità di avvicinarsi alla verità è molto alta.
Ma anche nella meccanica quantistica dobbiamo parlare di probabilità.
Una delle conseguenze rivoluzionarie della fisica quantistica è la modificazione del
principio causa/effetto.
La fisica classica è deterministica: dato A, allora possiamo avere B. Una pallottola sparata
contro una finestra manda sempre in frantumi i vetri.
Su scala quantistica ciò è solo “probabilmente vero”: la maggior parte dei miliardi di
particelle subatomiche che compongono la pallottola si scontrano con le particelle subatomiche del vetro, ma un certo numero va altrove e la traiettoria di ciascuna particella può
essere prevista solo facendo appello alle leggi statistiche delle probabilità, e non a quelle di
causa/effetto.
1.5.4) Quanto sopra esposto esaspera talvolta alcuni concetti base della teoria classica e
di quella quantistica, all’unico scopo di farci riflettere che la “prova scientifica” può avere
molti limiti e affinché la probabilità che si avvicini alla realtà diventi ragionevolmente alta,
deve essere sempre ricercata nel modo più rigoroso possibile attraverso metodologie e
protocolli sempre riproducibili.
Il metodo scientifico utilizzato nella ricerca della prova non deve essere mai parziale ma
devono sempre essere sviluppati tutti (poiché possono essere più di uno) i possibili protocolli
di indagine chimico fisica, e le metodologie tecniche utilizzate devono essere rese pienamente attendibili dal livello del sapere acquisito dalla comunità scientifica, nel tentativo di avere
la maggior probabilità possibile di avvicinarsi alla verità.
“La verità è figlia del tempo”, aveva detto Menandro l’Ateniese nelle sue sentenze. Ma
purtroppo il fattore tempo richiesto dal metodo scientifico per il controllo e la sperimentazione, porta spesso a lavori parziali determinando clamorosi errori che si ripercuotono
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pesantemente nell’andamento processuale, considerando che la scienza è prova fino a
equivalente prova contraria.
(I capitoli nn. 1.5.1, 1.5.2, 1.5.3 e 1.5.4, sono del dr. Davide Collini).
1.5.5) PROVA FARMACEUTICA
Possiamo definire come prova farmaceutica tutto l’insieme della documentazione sulla
sperimentazione farmacologica che si deve presentare alle autorità sanitarie per convincerle
a concedere l’autorizzazione alla registrazione, e quindi alla commercializzazione, di un
nuovo farmaco.
La sperimentazione degli effetti farmacologici di un farmaco si sviluppa attraverso
diverse fasi finalizzate alla progressiva acquisizione degli elementi di valutazione concernenti l’efficacia e la tollerabilità del farmaco. Si distinguono per lo meno due fasi principali:
sperimentazione preclinica e sperimentazione clinica.
SPERIMENTAZIONE PRECLINICA
Il primo obiettivo della sperimentazione preclinica è quello di verificare che la
molecola identificata possieda effettivamente le proprietà terapeutiche che le sono state
attribuite sulla base di studi preliminari puramente teorici. A questo scopo vengono
utilizzati i cosiddetti modelli sperimentali della malattia. Si tratta di sistemi biologici in cui
vengono ricreate sperimentalmente le stesse caratteristiche della patologia: si possono usare
colture di cellule fatte crescere in laboratorio, i cosiddetti modelli in vitro, oppure si può
ricorrere agli animali da laboratorio - in questo caso si parla di modelli in vivo.
Il secondo obiettivo della preclinica è quello di verificare la potenzialità del nuovo
farmaco di indurre effetti tossici negli animali come per esempio provocare mutazioni
genetiche, nuocere alla capacità riproduttiva dell’animale, oppure provocare danni ai vari
organi esaminati. Queste prove effettuate su animali sono regolate da specifiche norme e
linee guida che servono a tutelare sia gli animali utilizzati, sia la riproducibilità ed
attendibilità delle prove stesse.
In pratica, la sperimentazione preclinica è il banco di prova del farmaco, superato il
quale esso potrà procedere alla sperimentazione sull’uomo.
SPERIMENTAZIONE CLINICA
L’obiettivo degli studi clinici è quello di verificare se e in che misura un nuovo farmaco
sia efficace. Il più delle volte gli studi clinici confrontano un nuovo approccio terapeutico
con lo standard di cura già in uso. Perché la risposta sia soddisfacente dal punto di vista
scientifico, si procede a un confronto diretto, condotto in base a regole precise, su un gruppo
omogeneo di pazienti, che vengono sottoposti in maniera del tutto casuale ad una o all’altra
terapia.
Giacché anche la suggestione di coloro che partecipano allo studio (pazienti e medici)
rischia di avere un effetto sull’efficacia della cura e sull’interpretazione dei risultati, nella
sperimentazione clinica si ricorre, ogni volta che è possibile, agli studi detti “in cieco”. Ne
esistono di diversi tipi: è “cieco” lo studio in cui i pazienti non sanno se stanno assumendo
la sostanza in studio o quella di confronto; è in “doppio cieco” lo studio nel quale non solo
i pazienti ma anche i medici che somministrano il farmaco non sanno a quali pazienti è stata
somministrata la molecola in sperimentazione.
A tutela dei diritti dei malati che prendono parte alla sperimentazione, la legge impone
che ogni studio clinico sia prima approvato da un Comitato Etico, composto da persone di
diversa professionalità (medici, ricercatori, giuristi, filosofi, religiosi, ecc.). Il loro compito
consiste nel verificare in via preliminare che le ricerche siano realizzate nel modo migliore
e nell’interesse del malato. Nessuna sperimentazione può essere avviata senza il parere
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favorevole del Comitato Etico. E’ comunque opportuno ricordare che l’uso di un nuovo
farmaco nell’uomo è preceduto da anni di studi in laboratori di farmacologia e tossicologia.
Gli studi clinici vengono generalmente classificati in tre fasi successive:
Studi di fase I
Sono i primi studi condotti sull’uomo, su un piccolo numero di volontari sani (in genere
poche decine). Lo scopo è quello di fornire una valutazione preliminare sulla sicurezza della
sostanza e di confermare nell’uomo i dati ottenuti nella fase di ricerca preclinica, ovvero in
laboratorio e sull’animale.
Studi di fase II
Sono chiamati anche “studi terapeutici pilota”. Il loro scopo è di dimostrare l’attività e
di valutare ulteriormente la sicurezza di un farmaco in pazienti affetti da una malattia o da
una condizione clinica per la quale il farmaco è proposto. Gli studi vengono condotti su un
numero limitato di pazienti (100-200) e spesso, in un momento successivo, anche in modo
comparativo con un placebo (sostanza inattiva) o con un altro farmaco. In questa fase si
decide anche la dose più efficace e meglio tollerata.
Studi di fase III
Sono condotti su gruppi di pazienti più numerosi al fine di determinare il rapporto
sicurezza/efficacia anche per cure prolungate nel tempo. Si indagano quindi le caratteristiche delle più frequenti reazioni avverse e degli effetti collaterali. In questa fase sono coinvolti
in genere migliaia di pazienti in diversi Paesi.
Sulla base delle “prove farmaceutiche” fornite dagli studi condotti nella preclinica e nelle
prime tre fasi della clinica, le autorità sanitarie internazionali e nazionali verificano sicurezza
ed efficacia del nuovo farmaco e ne autorizzano l’immissione in commercio (registrazione).
L’intero processo dall’inizio della sperimentazione alla registrazione dura generalmente
circa 10-12 anni.
(Il capitolo é opera del dr. Fabrizio Samaritani).
1.6) Prova storica
Nel secolo scorso autorevole dottrina affermava che:
“Al pari dello storico il giudice ha di fronte a sé il fatto non come una realtà già esistente,
ma come qualcosa da ricostruire. Gli strumenti dell’euristica, le accortezze dell’ermeneutica,
l’esperienza del modo in cui di solito vanno le cose naturali ed umane e quindi l’attitudine
a intuirne secondo verosimiglianza il corso quando ne siano noti solo alcuni elementi, sono
armi comuni dello storico e del giudice, in tale processo parallelo delle loro intelligenze”
(Calogero).
In realtà, é un confronto fuorviante ove si intenda stabilire che il giudice é un ricercatore
di verità al pari dello storico, e ciò per la semplice ragione che la ricerca del giudice avviene
nell’ambito di un contesto (v. dopo, cap. n. 2.3) che é diverso da quello che caratterizza la
ricerca dello storico.
Può, quel raffronto, riuscire di qualche utilità se é utilizzato come una via per individuare
se, quali e quante delle tecniche di ricerca dell’uno siano utilizzabili dall’altro.
2) La ricerca della verità
Tradizionalmente la funzione della prova é stata ritenuta quella di scoprire la verità,
dando origine ad un mito con conseguenze molto profonde.
Nel senso della ricerca della verità si pronunciò tutta la dottrina del XIX secolo e anche
buona parte di quella contemporanea: <<le prove sono i diversi mezzi attraverso i quali
l’intelligenza giunge alla scoperta della verità>> (Bonnier) Senza pretendere di porre
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questioni metafisiche (la verità che si raggiunge con l’intelligenza), fisiche (la verità che
colpisce i sensi), o storiche (la verità che altri ci narrano), possiamo dire che oggi é opinione
comune che quell’aspirazione fosse troppo ambiziosa.
2.1) Però, anche attualmente si contrappone uno schema di processo teso alla ricerca
della verità materiale e un altro che si accontenta di una verità convenzionale; e si aggiunge
che il primo modello é tipico di un’ideologia del processo per la quale lo Stato assume su
di sé il compito di rendere giustizia sostanziale, mentre il secondo é uno schema cui fa ricorso
lo Stato che, tramite il processo, mira ad assicurare la pace sociale.
Rientrano nel primo modello i processi sovietici, tedeschi (Hitler), italiani dell’epoca
fascista, e molto alla lontana, ed inteso cum grano salis, il processo del lavoro del 1973.
2.2) Quanto al secondo modello di processo, lo stesso risponde alle concezioni
prevalenti nel mondo occidentale: Ciò non vuol dire che non esista l’aspirazione a processi
<<giusti>> prospettandosi un ampio ventaglio di soluzioni che danno vita a diversi modelli
di processi caratterizzati dalla diversa maniera di disciplinare le modalità di accertamento dei
fatti.
Proprio dalla matematica (il c.d. teorema di Bayes, sul calcolo matematico al fine del
giudizio di probabilità) é venuto l’ammonimento di chi ha ricordato come il processo deve
essere comprensibile alla collettività per la quale deve servire.
2.3) La necessità di rinunciare alla ricerca della verità emerge dalla semplice considerazione di alcune circostanze che sono connaturate con il processo civile (ricordate la diversità
dell’indagine tra lo storico e il giudice? accennata al precedente cap. n. 1.6).
(deduzione)
¯
a) i fatti non affermati almeno da una delle parti non esistono per il giudice, il quale non
può andare alla ricerca degli stessi;
(principio di non contestazione)
¯
b) i fatti affermati da entrambe le parti o affermati da una e ammessi dall’altra esistono
per il giudice, il quale non può disconoscerli nella sentenza;
c) rispetto i fatti controversi occorre ricordare che l’attività probatoria non é investigativa,
ma semplicemente di verifica; ne consegue che:
2.3.1) in senso stretto, investigazione significa andare alla ricerca o alla scoperta di alcuni
fatti sconosciuti ed é evidente che questo non é il presupposto del processo civile; in esso
le parti hanno la facoltà esclusiva di affermare alcuni fatti e il giudice si limita a verificare
l’esattezza di queste affermazioni, solo nel caso in cui esse siano state negate o contraddette.
Soltanto rispetto ai fatti controversi occorre produrre la verifica o riprova.
2.3.2) Gli elementi oggetto di verifica non sono stabiliti discrezionalmente dal giudice,
ma sono indicati dalle parti (che hanno il diritto di scegliere il mezzo di prova). In altri
ordinamenti giuridici, quelli basati su una concezione autoritaria del giudice, quest’ultimo
può decidere senza istanza di parte l’adozione dei mezzi di prova.
Il giudice può non ammettere un mezzo di prova proposto dalle parti, ma non può
ammettere un mezzo di prova da esse non richiesto (v. però, artt. 421, 117, 118, 210, 257,
II c., c.p.c.).
2.3.3) L’attività di verifica si deve realizzare in conformità con il procedimento previsto
dalla legge, e non in altra forma.
2.3.4) Nella verifica non si può utilizzare tutto, ossia non si possono sacrificare diritti che
si considerano superiori alla stessa verità, come appare chiaro nella illiceità della prova, che
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non consente di utilizzare alcune conoscenze al fine di considerare provati determinati fatti.
2.3.5) Regole legali di valutazione della prova
3) Convincere il giudice
Cosa ben distinta é il convincimento psicologico del giudice (e qui l’avvocato deve essere
magnetico, far trasparire quanto crede nelle ragioni del suo assistito), per il quale la prova é
l’insieme di operazioni che servono a formare il suo convincimento su elementi processuali
determinati. Abbandonata la pretesa di ottenere la verità, ossia la realtà oggettiva dei fatti,
emerge la funzione di raggiungere un’altra realtà, anche se soggettiva: il convincimento del
giudice.
3.1) Vi sono molti sistemi legali di raccolta delle prove. Analizzando decenni della nostra
scienza processual civilistica possiamo rilevare – senza tema di smentita - IL FALLIMENTO
DEL PRINCIPIO DI IMMEDIATEZZA E L’ALLONTANAMENTO DEL GIUDICE
CIVILE DALLA C.D. PROVA-ORALE RAPPRESENTATIVA (Chiovenda, L’oralità e la
prova, “Riv. dir. proc.”, 1924).
Affermare che il giudice del fatto é in grado di apprezzare convenientemente l’attendibilità delle prove orali soltanto quando le assume di persona <<dal vivo>>, perché così può
valorizzare elementi <<metatestuali>> come il tono della voce, l’espressione, la mimica dei
dichiaranti, etc., é sicuramente un luogo comune della letteratura processualistica di ogni
tempo, dal famoso rescritto dell’imperatore Adriano al passo di Mario Pagano. (<<nella viva
voce parla eziandio il volto, gli occhi, il colore, il movimento, il tuono della voce, il modo
di dire, e tant’altre picciole circostanze, le quali modificano e sviluppano il senso delle
generali parole [...]).
Guardate come le idee influenzano il legislatore; un riflesso del mito di Chiovenda, “il
nostro maestro” (come lo definiva Calamandrei per impedire a Carnelutti di impadronirsi
del diritto proc. civ. più di quanto fece) vi é nell’art. 207, III c., c.p.c. del codice “Grandi”
del 1940. Norma quasi mai applicata.
3.2) Sta in contrario che tutti i più autorevoli studi di psicologia della testimonianza,
almeno da quello di Cesare Musatti fino ai nostri giorni, insegnano che per il giudice le
probabilità di ricavare seri giudizi di sincerità o di mendacio da queste impressioni
immediate sono esattamente uguali a quelle che potrebbero darsi con il lancio di una
monetina (Cavallone).
Questo perché – come insegna George Steiner – nessuna vicinanza, che sia biologica,
emotiva, sessuale, ideologica, o che sia quella di tutta una vita condivisa, di una coesistenza
domestica o professionale, può permetterci di decifrare senza alcuna incertezza i pensieri di
un altro.
Lo stesso risultato si ottiene con il ricorso alle “droghe della verità>> nelle varie oscenità
degli interrogatori. Abbracciamo l’essere amato, teniamo ra le braccia il bambino adorato,
l’amico più caro ci stringe la mano. Tuttavia, non abbiamo alcuna prova dei pensieri
suscitati, registrati internamente in quel momento. Nell’unione erotica, la corrente del
pensiero, di ciò che é intensamente immaginato, scorre molto spesso altrove. Internamente,
facciamo l’amore con un altro. Dietro il sorriso adorante del bambino, dell’amico intimo,
può esserci la verità della noia, dell’indifferenza o perfino della repulsione. L’abilità di
mentire, di nascondere e di mettere in atto finzioni é organica alla nostra umanità. Le arti,
il comportamento sociale, lo stesso linguaggio sarebbero impossibili senza di essa.
3.3) Ma, allora perché insistere con le prove testimoniali? qui c’é il paradosso. Il nucleo
inaccessibile della nostra singolarità, il più intimo, privato, impenetrabile dei nostri
possedimenti é anche un luogo comune moltiplicato per miliardi. Benché espressi, detti o
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ATTIVITA' DEL CONSIGLIO
non detti, in forme lessicali, grammaticali e semantiche diverse, i nostri pensieri sono, in
misura schiacciante, un universale umano, una proprietà comune. Sono stati pensati, sono
pensati, saranno pensati milioni e milioni di volte da altri.
Inaccessibilità, dunque, e comunanza; finzione e identità di pensiero.
Impenetrabilità e reiterazione del nostro linguaggio, della nostra cultura, tempo ed
ambiente. La prova, poi, verte non sul pensiero inteso come concepimento, ma sul pensiero
tradotto in azione, che si é realizzato “materialmente” (un’opera, una organizzazione, un
fatto).
E’ comune, appartiene all’universale l’ideazione (pur così particolare) che ramifica in
qualcosa di percepibile, di comprensibile, e quindi di riferibile.
3.4) Forse se ne sta rendendo conto perfino il nostro legislatore che – con l’art. 22 D. Lgs.
2 febbraio 2006 n. 40 – ha introdotto l’art. 816 ter c.p.c. per l’istruttoria probatoria nel
procedimento arbitrale (o forse no?):
“Gli arbitri possono assumere direttamente presso di sé la testimonianza, ovvero
deliberare di assumere la deposizione del testimone, ove questi vi consenta, nella sua
abitazione o nel suo ufficio: Possono altresì deliberare di assumere la deposizione richiedendo al testimone di fornire per iscritto risposte a quesiti nel termine che essi stessi stabiliscono”
(finora tutta la compatta giurisprudenza ha ritenuto le dichiarazioni dei terzi meri argomenti
di prova).
Per la tesi dell’incostituzionalità di tale norma, v. Rubino – Sammartano, “Il diritto
dell’arbitr.”, Padova, 2006, 766).
L’umile abbandono della verità porta a definire la prova come l’attività processuale che
tende a raggiungere la certezza del giudice rispetto agli elementi addotti dalle parti, certezza
che, in alcuni casi, deriverà dal convincimento psicologico dello stesso giudice e, in altri,
delle norme legali che fisseranno i fatti.
Il giudice non può decidere <<in coscienza>>, giacché la necessità di motivare la
sentenza deve portarlo a spiegare in modo ragionato come sia giunto a formare il proprio
convincimento partendo dai mezzi di prova assunti.
Tutto ciò senza mai dimenticare l’art. 2697 cod. civ. che ha la funzione di impedire
sentenze di non liquet, e costituisce una scelta di civiltà giuridica giacché si proibisce al
giudice di dare per esistenti fatti di cui non gli sia stata offerta prova piena e convincente.
Avv. Carlo Silvetti
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IL NOSTRO MONDO
ADUNANZA DEL 1° MARZO 2007
- Il Consigliere Tesoriere Testa, anche in qualità di Coordinatore della Commissione per la responsabilità Civile, comunica di aver fatto inserire sul sito del Consiglio
la dichiarazione del Ministro Bersani riportata sul quotidiano “Il Messaggero” del
giorno 19 febbraio 2007, a pag. 14, in particolare ove il Ministro della Repubblica
afferma: “ ‘un esercito di professionisti si occupa dell’inutile contenzioso sugli
incidenti stradali invece noi, ad esempio, gli proponiamo di certificare le pratiche per
l’avvio di imprese nell’ambito della semplificazione della burocrazia. Bisogna
abituarsi a portare le risorse umane e materiali là dove sono utili’.
In tutti questi anni varie offese sono state, anche gratuite, proferite nei confronti
dei professionisti forensi. Ora, l’epiteto ‘inutile’ è una nuova verità che propina
l’attuale classe governativa. Il Signor Ministro, che vorrebbe eliminare il contenzioso di migliaia di pratiche ove si verte su diritti costituzionalmente garantiti quali la
salute, la proprietà, l’integrità patrimoniale dei cittadini, ci propone un nuovo
lavoro: certificare l’avvio delle nuove imprese, proprio in un momento che, come
è noto, attività artigianali e piccole e medie aziende chiudono per le eccessive
vessazioni fiscali! Oltre trent’anni fa, in una capitale di uno Stato asiatico di
antichissima civiltà, andò al potere un’elite rivoluzionaria che decretò come inutili
i lavori svolti fino a quel momento da intellettuali e impiegati della piccola e media
borghesia (professori, impiegati di banca, funzionari statali, professionisti, artigiani) e ordinò agli stessi di andare a vivere e lavorare in aperta campagna, ove furono
trasportati con forza, per incrementare la produzione agricola dello Stato. Se la
filosofia politica alla base del pensiero del Signor Ministro è la stessa, i professionisti
forensi possono dirsi fortunati perchè, invece che campi di lavoro agricolo forzato,
l’attuale classe governativa italiana propone loro, d’imperio, un inesplorato, anche
se improbabile, ramo di attività lavorativa! Scherzi a parte, l’Ordine forense non si
piegherà nè ai soprusi nè alle offese. Tenga conto il Ministro che, piuttosto, inutili
sono le ore di fila davanti a Cancellerie deserte e blindate, nonchè gli anni, i lustri,
di durata dei processi che una oculata Amministrazione della Giustizia potrebbe
ridurre a tempi ragionevoli. I Colleghi romani reagiranno con dignità e fermezza,
con ulteriori forme di protesta, dimostrando, anche con il lavoro quotidiano,
l’insostituibile ruolo dell’Avvocatura nella vita civile della nostra Nazione.”
Il Consigliere Tesoriere Testa chiede al Consiglio di prendere posizione con
una nota di protesta.
Il Consiglio approva e delega il Consigliere Tesoriere Testa.
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IL NOSTRO MONDO
L’ABROGAZIONE DEL DIVIETO DI SVOLGERE PUBBLICITA’
INFORMATIVA DA PARTE DEGLI AVVOCATI
- Considerazioni generali Il tema che abbiamo alla nostra attenzione va, necessariamente, inquadrato in
quello più generale della deontologia professionale e dell’autogoverno della
categoria, vale a dire della indipendenza dalla professione forense.
Trattasi, quindi, di un valore fondante ed essenziale per il destino e per
l’esistenza stessa della professione. Non serve illustrarlo perché è di immediata
percezione e condivisione ove si rifletta che, diversamente, il controllo deontologico e il connesso esercizio del potere disciplinare, comunque configurato finirebbe nella disponibilità di terzi, con capacità, in ogni caso, repressiva necessariamente
avente anche valore intimidante, ovviamente in via preventiva.
Ne faccio un esempio storico e, quindi, tale da non coinvolgere l’attualità: “Gli
statuti di Velletri” in tema di attività di avvocato o procuratore testualmente, al cap.
XLIII, dettava: “Un avvocato o procuratore non deve patrocinare o procurare che
per una parte soltanto, e non per ambedue le parti litiganti nella stessa causa, sotto
pena di cento libbre di provvigioni per ogni contravventore. … Qualunque
avvocato poi o procuratore che si rendesse colpevole di ciò sarà espulso per un anno
dalla città di Velletri e suo territorio dal Podestà o Giudice, sotto la pena suddetta
da defalcarsi ad esso Podestà e Giudice in tempo di loro sindacazione”.
Il potere disciplinare spettava, quindi al Potestà e al giudice, e la pena era gravissima
perché l’espulsione dalla città e dal suo territorio all’epoca rendeva se non impossibile, estremamente difficile la sopravvivenza: gli Statuti furono promulgati nel 1544,
ma si richiamano a precedenti della seconda metà del secolo XII.
Sono convinto, anzi siamo convinti che nella nostra professione sia essenziale
l’esercizio della stessa nella sua libertà, certa e garantita. Consegue che, se questo
elemento manca, la professione forense viene colpita al cuore.
Voglio fare qui una citazione anche se potrebbe apparire un po’ retorica.
Ma la retorica è sempre da esorcizzare anche se è buona e giusta? Credo di no
e, quindi, eccomi a Mario Pagano con il suo “Processo criminale”, editato in Napoli
nel 1787, che in tema di libertà civile scriveva: “Né solo col fatto, ma con la potenza
eziandio di poterlo fare, ancora che non si arrechi violenza alcuna , offendesi la
libertà. La sua delicatezza si è pur tale e tanta che ogni ombra l’offusca, ogni più lieve
fiato l’aduggia. L’opinione sola di potere impunemente essere oppressi ci dispoglia
della libera facoltà di valerci dei nostri diritti. Il timore attacca la libertà nella sua
sorgente stessa: è un veleno nel fonte infuso onde scaturisce il fiume; laddove
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IL NOSTRO MONDO
l’esterna forza impedisce soltanto l’esercizio della libertà”.
Pagano scriveva in relazione al processo penale e ai poteri che allora avevano i
magistrati. Ora i tempi non sono più quelli e il nostro tema ha un territorio più
limitato, ma per la libertà i principi non mutano e, pur con questa necessaria
avvertenza, anche nel nostro caso non debbono essere mai dimenticati.
Dopo queste generali considerazioni, ritengo opportuno proseguire la “storia”
della nostra categoria, ovviamente con sintesi estrema, per richiamare l’attenzione
su come si sia pervenuti all’attuale sistema organizzativo e funzionale degli organi
dell’avvocatura (Consigli dell’Ordine e Consiglio Nazionale Forense).
La professione dall’epoca romana, con varie mutazioni, cesure e cadute anche
ampie, è passata attraverso i secoli dal procuratore di epoca giustinianea e
dall’advocatus della legge Cincia (204 a.C.) pervenendo anche ad un culmine di
cattiva fama con l’Azzecca-garbugli di manzoniana memoria.
A nostro onore rammento, però, il rifiorire delle scienze giuridiche in varie
scuole con prestigiosi giureconsulti, quali ad esempio Bartolo di Sassoferrato del
secolo XIV, e la fama prestigiosa anche culturale degli avvocati che trovò in Francia
le prime forme organizzative di gruppi con il nome di “Ordre” la cui fortuna, per
alta e diffusa reputazione, ne consentì l’estensione, appunto, come e con l’appellativo di “Ordine” fino ai nostri giorni.
Nello specifico, in Italia dopo l’Unità, con la legge n. 1938 del 1874 furono
istituiti i “Collegi degli avvocati e procuratori” i quali avevano il potere di elezione
dei Consigli degli Ordini, così sancendo la rilevanza di interesse pubblico dell’attività professionale, con la necessità di garantire e tutelare il prestigio di chi la
esercitava e degli organismi di rappresentanza.
Ecco un breve e nominalistico cenno al periodo fascista che, con vari provvedimenti, abolì gli Ordini sostituendo ad essi i “Sindacati fascisti degli avvocati e
procuratori”. Tralascio il dettaglio dei provvedimenti che si susseguirono (per
giungere al detto risultato conclusivo) e mi limito ad enunciarli: essi vanno dal 1926
(L. n. 453, r.d. 747 e r.d. 1683) al 1933 r.d.l. n. 1578 e 1934 l. n. 36. Va detto che,
con la legislazione del 1926, si ebbe la istituzione del Consiglio Superiore Forense
che, per la prima volta, rappresentò la rilevanza nazionale della professione forense.
Ancora oggi sopravvive l’intera regolamentazione del 1933 e 1934 con gli
aggiustamenti necessitati dal ritorno alla democrazia e, quindi, la conseguente
abolizione dei Sindacati fascisti degli avvocati (d.lgs.lgt. 369 del 1944) nonché la
ricostituzione dei Consigli dell’Ordine e la trasformazione del Consiglio Superiore
Forense nel Consiglio Nazionale Forense, il tutto su base democratica ed elettiva
così come ora li conosciamo. A ciò si provvide con il d.lgs.lgt. 23 nov. 1944 n. 382
che riguardava vari ordini professionali e, al capo IV, nei cinque articoli finali
estendeva le norme alle professioni di avvocati e procuratori “fino a quando non
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IL NOSTRO MONDO
si sarà provveduto alla riforma dell’Ordinamento forense, vale a dire che fino al
2007 ancora nulla si è fatto e, come si dice, “campa cavallo che l’erba cresce”.
A nostro disdoro va ascritto un robusto contributo a che il cavallo tirasse a
campare, obliterando quello che intorno a noi succedeva negli altri Paesi. Ci siamo
arroccati nella difesa dell’esistente e in particolare gli Ordini spesso hanno, si fa per
dire, volenterosamente contribuito alla conservazione talora anche in antagonismo
con lo slancio e le iniziative di innovazione delle libere associazioni forensi, dalle
quali temevano la sottrazione di funzioni: specificamente per la rappresentanza,
ignorandone la necessaria distinzione tra quella obbligatoria, connessa a compiti
pubblicistici, e quella volontaria relativa alle necessità di libera espressione della
civile società.
- IL CODICE DEONTOLOGICO FORENSE E IL D.L. 4 LUGLIO 2006 N. 223,
CONVERTITO CON MODIFICAZIONI
DALLA L. 4 AGOSTO 2006 N. 248.
Il 17 aprile 1997, il Consiglio Nazionale Forense ebbe ad approvare il “Codice
Deontologico Forense”. L’art. 17 di tale Codice vietava qualsiasi forma di pubblicità della attività professionale, consentendo soltanto “l’indicazione… nei rapporti
con i terzi di un proprio particolare ramo di attività o specializzazione”.
Prima di questa normativa non vi era alcuna espressa disposizione che vietasse
la pubblicità dell’attività professionale. Si era, però, formato un diffuso orientamento decisionale dei Consigli dell’Ordine e del C.N.F., che considerava la detta
pubblicità contraria al prestigio della professione e al rapporto fiduciario che dalla
stessa deriva.
La casistica al riguardo è molto estesa e il Collega Remo Danovi cita alcune
significative decisioni del C.N.F. nel suo testo “Codice Deontologico forense”
Pirola 1986: il 31 dic. 1954 veniva comunicata la radiazione ad un avvocato che
persistentemente offriva prestazioni a mezzo di avvisi economici dei quotidiani; il
13 sett. 1956 – il 12 giugno 1957 – il 31ottobre 1963 – il 26 maggio 1966 furono
emesse decisioni che sanzionavano la pubblicità. Il rilasciare interviste (fornendo
proprie fotografie o anche senza fotografie) venne ritenuto illecito. Ugualmente
dicasi per l’apparizione in trasmissioni televisive consentendo che scorresse la
scritta con l’indicazione del proprio nome e indirizzo di studio.
Alla base di tale orientamento venivano posti gli artt. 12 e 17 n. 3 del R.D.L. n.
1578del 1933: il primo articolo impone l’obbligo ai professionisti legali di
adempiere “al loro ministero con dignità e con decoro, come si conviene all’altezza
della funzione che sono chiamati ad esercitare nell’amministrazione della giustizia”; il secondo articolo stabilisce tra i requisiti per l’iscrizione all’Albo “la condotta
specchiatissima e illibata”.
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IL NOSTRO MONDO
Vari commentatori, in verità, hanno pur sempre ritenuto indispensabile una
larga diffusione della conoscenza delle proprie capacità professionali. In tal modo
contrastavano l’orientamento rigoroso di cui si è detto, postulato anche con una
terminologia enfatica che, come tale, si presta a una non difficile ironia: è facile,
infatti, annotare che uno specchio specchiatissimo appare come una ipotesi di
esagerata e impossibile perfezione, e l’illibata condotta approda, nel suo significato
letterale, alla illibagione della stessa o alla sua virginale supposizione.
Sta di fatto che ora abbiamo la legge che ha rimosso seccamente il divieto
dell’art. 17 del Codice deontologico forense e di qualunque norma che vieti anche
parzialmente la pubblicità informativa.
Più esattamente le norme che riguardano l’attiva forense, che qui rilevano, sono
desumibili dall’art. 2 del D.L. 233/2006 e dalla L. di conversione n. 248 del 4 agosto
2006. Eccola:
Disposizioni urgenti per la tutela della concorrenza nel settore dei servizi
professionali
1. In conformità al principio comunitario di libera concorrenza ed a quello di
libertà di circolazione delle persone e dei servizi, nonché al fine di assicurare agli
utenti un’effettiva facoltà di scelta nell’esercizio dei propri diritti e di comparazione
delle prestazioni offerte sul mercato, dalla data di entrata in vigore del presente
decreto sono abrogate le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono
con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali:
a) l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime ovvero il divieto di pattuire compensi
parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti;
b) il divieto, anche parziale, di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le
specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonché il
prezzo e i costi complessivi delle prestazioni secondo criteri di trasparenza e
veridicità del messaggio il cui rispetto è verificato dall’ordine;
c) omissis;
2 bis. All’art. 2233 del Codice Civile, il terzo comma è sostituito dal seguente:
“Sono nulli, se non redatti in forma scritta, i patti conclusi fra gli avvocati e i
praticanti abilitati con i loro clienti che stabiliscono i compensi professionali.
3. Le disposizioni deontologiche e pattizie e i codici di autodisciplina che
contengono le prescrizioni di cui al comma 1 sono adeguate, anche con l’adozione
di misure a garanzia della qualità delle prestazioni professionali, entro il 1° gennaio
2007. In caso di mancato adeguamento, a decorrere dalla medesima data le norme
in contrasto con quanto previsto dal comma 1 sono in ogni caso nulle.
Da siffatte norme si ricava che:
I
al primo comma, le finalità dichiarate sono quelle di assicurare agli utenti
un’effettiva facoltà di scelta nell’esercizio dei propri diritti e di comparazione delle
prestazioni offerte sul mercato.
Non ce ne possiamo meravigliare per due ragioni, ciascuna esaustiva.
La prima perché, nonostante sia ritenuta in contrasto con la nostra deontologia,
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343
IL NOSTRO MONDO
la pubblicità dell’attività professionale era sempre ampiamente praticata pure con
modalità talora più che indecorose; e le decisioni disciplinari erano sempre per
difetto nella loro rincorsa ai casi anche perché il numero dei Consiglieri dell’Ordine
(in costante e preoccupante fibrillazione elettorale) era ed è quanto mai inadeguato
rispetto alla crescita del numero degli iscritti (ma di ciò si farà, subito dopo, maggior
cenno).
La seconda ragione è ironica ma non priva di concludenza per le auspicate
finalità mercantili che possono riguardarci. Per altri e più ampi scopi fu ben spiegata
e formulata da Hegel così: “Lo Stato, quale potere giudiziario, tiene mercato con
determinatezze che si chiamano crimini e gli sono vendibili in cambio di altre
determinatezze (le pene) ed il Codice penale è il listino dei prezzi correnti”. E come
si sa, oso chiosare, nella nobile arte della mercatura se l’offerta supera la domanda
si abbattono i prezzi; nel caso di specie si fanno i condoni o amnistie.
II
Alla lettera a) sono abrogate l’obbligatorietà delle tariffe fisse o minime e il
divieto di pattuire compensi parametrati al conseguimento degli obiettivi.
E, quindi, senza più i minimi obbligatori delle tariffe è possibile il patto di quota
lite.
E’ chiaro che la disposizione eccita le offerte mercantili e crea una dilatazione
del potenziale procacciamento-accaparramento di clientela, scopo connaturale o
per lo meno, come dire, non spurio della pubblicità.
Se poi si pensa che le innovazioni investono un numero quanto mai elevato
(stavo per dire straripante) di iscritti agli albi, avremo possibili effetti moltiplicati.
Ma di questa enfiagione dei nostri albi portiamo una fondamentale responsabilità se teniamo conto delle trasmigrazioni per gli esami in zone “climaticamente”
più agevoli se non addirittura franche e la larghezza del numero dei promossi agli
esami da quando abbiamo ottenuto la responsabilità e la direzione delle Commissioni esaminatrici.
Vediamo in tal modo realizzate le condizioni hegeliane per un buon mercato:
sollecitazione dell’informazione pubblicitaria, sia pure sub specie informativa;
aumento dell’offerta delle prestazioni, spinta dal gran numero degli offerenti;
libertà di pattuire i compensi anche con la quota lite.
Penso che non mancheranno nemmeno i possibili condoni sotto specie di una
forte accelerazione al ribasso.
Non resta che operare perché la nostra propensione alla dolce mercatura non
travolga i limiti della dignità e del decoro.
Debbo dire che il Codice deontologico aggiornato dal C.N.F. ci si è messo
d’impegno con una buona normativa che appresso esaminerò.
III
Alla lettera b) è abrogato il divieto anche parziale di svolgere la pubblicità. Così
la norma dispone seccamente, ma non con proprietà terminologica e concettuale.
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IL NOSTRO MONDO
Ed è di questo che dobbiamo maggiormente dire in collegamento con il n. 3
dell’art. 2 del D.L. in esame e relativa L. di conversione.
Innanzi tutto, l’abrogazione del divieto di svolgere pubblicità informativa è
limitata a quella che riguarda i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonché il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni
secondo i criteri di trasparenza e veridicità del messaggio il cui rispetto è verificato
dall’ordine.
Consegue che vi è una pubblicità espressamente consentita e che ogni altro tipo
di pubblicità è vietato; che quella consentita deve rispondere ai criteri di trasparenza e veridicità del messaggio; che l’ordine (leggi Consigli dell’Ordine con la seconda
istanza del C.N.F.) deve verificare il rispetto di siffatti requisiti e, necessariamente,
anche il merito della pubblicità.
L’art. 2 bis è una mera conseguenza per il codice civile della lettera a) esaminata
nel punto II. La dizione del comma precedente vietava, sotto pena di nullità, i patti
tra avvocati e cliente – anche se per interposta persona – relativi ai beni oggetto delle
controversie affidate al loro patrocinio. La nuova formulazione consente di
pattuire il compenso purché con forma scritta e, aggiungo, non in modo indegno
e indecoroso.
DISPOSIZIONI DEL CODICE FORENSE IN ADEGUAMENTO
Il Codice Deontologico Forense, adottato dal C.N.F. il 17 aprile 1977, fu
modificato dal Consiglio Nazionale in tre sedute alle date del 16 ottobre 1999, 26
ottobre 2002 e 27 gennaio 2006. Ora è stato adeguato alla legge del 4 agosto 2006
n. 248.
E’ stata questa l’occasione per affrontare ampiamente il tema supportati anche
dalle indicazioni della legge stessa e dal riconoscimento che la medesima attribuisce
al Codice forense proprio con l’espressa previsione al n. 3, che ne dispone
l’adeguamento e, in difetto, la nullità delle norme in contrasto con la nuova legge.
E questo riconoscimento legislativo del Codice Deontologico Forense non è
poca cosa perché al riguardo il C.N.F. non ha (non aveva) formale potere che
promanasse o che fosse in qualche modo avallato da norme statuali.
Non a caso l’avveduto, intelligente e volenteroso collega Remo Danovi (al quale
si deve la gran parte del merito) ha cura di avvertire in premessa del testo già citato,
che per formulare il Codice Forense sarebbe bastato sintetizzare i comportamenti
più comuni … (le) violazioni più ricorrenti”, tanto più che la Cassazione ha
affermato che “la potestà disciplinare è contenuta entro limiti precisi… dei precetti
deontologici – i quali, anche se inespressi o espressi in forma generale, sono
obiettivamente rilevabili dalla coscienza sociale e dall’etica professionale in un
dato momento storico…”: Sez. Un. N. 3810 del 25 novembre 1974.
Di modo che conclude, in premessa, Danovi “… la codificazione… deve essere
considerata come un paradigma o modello per la migliore impostazione professionale”.
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IL NOSTRO MONDO
E, quindi, nel Codice Forense, si hanno: l’art. 17 debitamente adeguato e il 17
bis che fissa le modalità dell’informazione.
L’art. 17:
dichiara che l’avvocato può dare informazioni sulla propria attività professionale,
rispetto alla L. che abolisce il divieto di svolgere pubblicità informativa: è chiara
la differenza poiché dare informazioni appare meno ampio e con spettro meno
diffuso rispetto alla pubblicità informativa.
A mio avviso le due dizioni non sono in contrasto di principio, ma appaiono
di diverso rigore indicativo (fucile a pallottola o a pallini; getto d’acqua o pioggia
diffusa).
Sottolinea le finalità delle informazioni che devono ispirarsi all’affidamento
della collettività e devono essere trasparenti e veritiere, ribadendo il potere di
verifica dei competenti Consigli dell’Ordine.
· Stabilisce il divieto di divulgare le informazioni riservate o coperte dal
segreto professionale, né si può fare il nome dei propri clienti, anche se questi ultimi
vi consentano.
· Per forma e modalità, l’informazione deve rispettare la dignità e il decoro
della professione.
· In ogni caso, l’informazione non deve assumere i connotati della pubblicità
ingannevole, elogiativa, comparativa.
· Consente, senza fini di lucro, l’organizzazione e sponsorizzazione di seminari di studio, di corsi di formazione professionale ,di convegni di avvocati,
attinenti alla professione forense.
· Consente l’indicazione del nome di un avvocato defunto che abbia fatto
parte dello studio e che abbia previsto espressamente siffatta indicazione o ne abbia
disposto per testamento ovvero vi sia il consenso unanime dei soci.
Con un sintetico giudizio globale, al di là di norme specifiche e, a mio parere,
di dettaglio, è manifesto l’intento e il risultato di ben delineare la normativa,
mantenendo fermo il principio del rigore così che viene evitato il pericolo di
scadimento dell’attività professionale forense nella mercatura che è pur dolce (tale
definibile rispetto agli “scambi” guerreschi tra popoli), ma che con la professione
forense mal si accorda, specie se si aprisse, a pioggia diffusa, la propensione a
debordare. Propensione che, peraltro, è già presente nell’ormai spropositato corpo
degli iscritti che nell’intero nostro Paese sfiora il numero di 200.000 iscritti, se non
sbaglio, e nella sola Roma i 20.000: si pensi che l’intero Giappone con oltre 80
milioni di abitanti ha proprio e in tutto 20.00 avvocati!
Dell’armonica vita di questo grande numero di avvocati dovranno occuparsi i
singoli Consigli dell’Ordine i quali non potranno non riferirsi ai principi deontologici (ovviamente in tema di informazione-pubblicità) sopra indicati e, comunque, nel rispetto della dignità e del decoro della professione: questo comporta la
giusta sottolineatura e richiamo al noto art. 12 della lontana, ma vigente legislazione del 1933 e 1934.
Opportunamente il Codice Forense ha obliterato il riferimento “all’altezza della
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IL NOSTRO MONDO
funzione che – gli avvocati – sono chiamati ad esercitare nell’amministrazione della
giustizia”, di cui al già esaminato art. 12 della L. n. 36 del 1934, per non dire della
specchiatissima e illibata condotta.
Bastano, perché ben sufficienti, la dignità e il decoro levandoci di torno gli
orpelli e le ridondanze che, nel passato, ci hanno fatto parlare di “missione”
dell’avvocato, così sacralizzando il termine “ministero” già tanto impegnativo
usato, nell’art. 12 del R.D.L. 1578/1933, per indicare l’attività dell’avvocato.
Questo perché, a mio parere, il missionario va in Africa a curare i lebbrosi e non
si avvolge nella toga, né calca il tocco tricolore per esercitare un lavoro professionale
che deve essere necessariamente competente, onesto, dignitoso e decoroso anche
quando non è strettamente e immediatamente connesso con l’amministrazione
della giustizia.
L’art. 17 bis:
fissa, nel dettaglio, le modalità dell’informazione (pubblicità) consentita che qui
appare superfluo elencare.
L’art. 18:
indica i criteri di equilibrio e misura nel rilasciare interviste nel rispetto del dovere
di discrezione e riservatezza: ma quanti sono equilibrati nella materia? Opportuno
il rigore, quindi, in proposito.
L’art. 19:
conferma e specifica il divieto di accaparramento di clientela che è la naturale
inclinazione della pubblicità, rectius informazione.
Va sottolineato che, per tutte le disposizioni esaminate, l’intero territorio
deontologico e disciplinare, è soggetto ai poteri-doveri dei Consigli dell’Ordine
competenti.
Giova, però, ulteriormente sottolineare che l’attività dei Consigli è espressamente voluta dalla legge (art. 2 lett. B L. 248 del 2006) e dal Codice Deontologico
Forense negli esaminati artt. 17, 17 bis, nonché 18.
Mi chiedo se i Consigli dell’Ordine, nella loro strutturazione attuale, siano
adeguati a questi compiti che si aggiungono, in dilatazione di oneri, a tutti quelli
che, comunque, già hanno, come ad esempio: i pareri, la tenuta degli albi e relativi
controlli, i procedimenti disciplinari, i doveri di rappresentanza e informazione
ecc. ecc.?
Ma non scherziamo!
L’attività degli attuali Consigli è condizionata e limitata duramente da due
elementi di grande rilievo:
il primo è che il numero dei componenti è assolutamente inadeguato, rispetto
a quello degli iscritti e delle attività che questo comporta. Ad esempio: a Roma, con
i famosi 20.000 iscritti, ci sono 15 Consiglieri, lo stesso numero di quando l’Ordine
romano aveva 1.500/3000 iscritti. E per gli altri Consigli la condizione è analoga.
Il secondo è che i Consiglieri sono in permanente fibrillazione elettorale per ché
durano in carica solo due anni, dei quali il primo serve di rodaggio per l’attività, il
secondo è di campagna elettorale, con tutto quel che segue.
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IL NOSTRO MONDO
E’ proprio impossibile ottenere uno straccio di Decreto legge che almeno adegui
il numero e la durata del mandato (ad es. un quadriennio non rinnovabile
all’immediato, per più di una volta: così si evitano anche le incrostazioni, pur se
involontarie, di potere, poiché di potere, appunto, anche si tratta).
E perché non aggiungervi la costituzione delle Commissioni distrettuali disciplinari o qualcosa di simile? Al limite, si preveda almeno la possibilità di procedere
per sezioni interne sul modello della Cassazione.
Il resto della Legge professionale aspetterà forse tanto quanto fino ad ora ho
personalmente atteso, visto che ho cominciato ad occuparmene da quando era
Guardasigilli l’On. Gonella!
Desidero concludere con una riflessione ed esortazione che forse potranno
essere messe a carico della mia età.
Ed ecco: non credo che bastino le regole, per buone e anche dure che siano, per
rendere vivo e operante il senso della dignità e decoro professionale in un contesto
di vigile deontologia.
La cultura del “severamente vietato”, rispetto al semplice divieto, espresso o
tacito che sia, non ha mai dato buoni frutti. Anzi indica, con uno slittamento
semantico, una perdita di valore perché il “severamente vietato” può far supporre
e quasi presuppone un divieto non severo di cui si può non tener conto.
Pertanto è alla nostra coscienza che bisogna fare appello. Parafrasando Unamuno oserei dire che la nostra professione è essenzialmente insicura e faticosa, ma,
nell’esercitarla, occorre conservare una condotta appassionatamente buona,.
Dico appassionatamente e mi sovviene Helvétius che intitola un capitolo del
suo “De l’esprit” così: “Come si diventa sciocchi quando si cessa di essere
appassionati”.
E l’avvocato non può e non deve diventare sciocco.
20 marzo 2007
Ennio Parrelli
348
FORO ROMANO 2/2007
IL NOSTRO MONDO
Simposio gastronomico "De gustibus disputandum
est…Ars Coquinaria Iuridica"
La III edizione pubblica del Simposio gastronomico “De gustibus disputandum est…Ars
Coquinaria Iuridica”, ideato e organizzato dall’avv. Antonella Sotira , tenutasi la sera del
04.06.2007 è stata ricca di sorprese. La più
gradita è stata la partecipazione della Sig.ra
Matilde Brandi, madrina della manifestazione.
III Simposio
Insignita della carica di Presidente della ComGastronomico
missione Ufficiale di Degustazione, composta
dal Presidente del Consiglio dell’Ordine dede gustibus ...disputandum est:
gli Avvocati Alessandro Cassiani, l’avv. Sergio de Felice, il dott. Antonello Racanelli, il
Ars coquinaria iuridica
dott. Adelchi d’Ippolito, il criminologo Natale Fusaro, il Prof. Fabio Francario, il Prof. Tito
Lucrezio Rizzo, il Prof. Stefano Bortone, il
notaio Antonello Privitera, e tre professionisti
super partes, tra cui il commercialista Marco
Costantini, la Sig.ra Brandi, il cui voto valeva
doppio, è stata l’ago della bilancia nel “fare
giustizia” tra i concorrenti avvocati e magistrati.
La gara ben articolata ha affidato alla Commisione Aestetica, tra i cui membri, oltre ad architetti, medici, commercialisti, in rappresentanza
delle due squadre, vi erano il dott. Filippo
Paone e l’avv. scrittore e saggista Massimiliano Kornmuller, il compito di valutare la mese en
Roma, 4 giugno 2007
plate delle diverse portate e l’originalità del nomen di fantasia iuridica assegnato al piatto. Alla
Commissione Contabile presieduta dall’avv.
Luisa Melara, sotto l’alto controllo del Triunvirato De Iustitia Coquinaria, formato
dall’avv. Antonio Conte, da un membro del CSM dott. Cosimo Ferri e dal notaio
Massimo Saraceno, il conteggio dei voti e il controllo di legittimità. Madina della squadra
degli avvocati la dott.ssa GianFederica Dito. Padrino della squadra dei magistrati l’avv.
Luigi Di Majo.
Un grande contributo all’organizzazione della serata è stato dato dagli avvocati Sergio
De Felice, Angela Modafferi, Teresa Sotira.
Sorprendenti per la vis creativa i nomen di fantasia giuridica dati ai piatti. Dall’”Affido
condiviso: piccole fragole da tutelare immerse nel pan di spagna di genitori separati”,( dolce
preparato dall’avv. Francesca Poalucci Storace e dall’avv. Bianca Terracciano) al “patteggiamento di peperoni e patate con beneficio di pomodoro”( contorno preparato dalla dott.ssa
FORO ROMANO 2/2007
349
IL NOSTRO MONDO
Maria Letiza Golfieri, sino al vincitore del Premio Frangipane “Fantasia Giuridica”:
“Tiramisù canonico::da conservare humano modo” dell’avv. Mariaclara Ferrato, istituito dal
conte Raffaele Frangipane, che nell’iniziativa ha coinvolto molti membri della nobiltà
romana.
Sorprendente anche la controversa vittoria della gara: Tre coppe sono andate ai
magistrati, ma gli avvocati hanno vinto quattro premi ( il premio ARCHE’ “Sorriso
giuridico”, sorteggiato dall’avv. Giuseppina Bevivino. è stato vinto dall’avv. Francesco
Storace). Il premio miglior antipasto per il “416 quarter: associazione a delinquere di stampo
zucchinoso” (carpaccio di zucchine con pecorino sardo, mandorle e tartufo) è andato all’avv.
Alessandra Calabrò; il premio miglior primo piatto: “summum ius summa cura” (sartù di
riso alla borbone) è andato alla dott.ssa Antonella Mazzei; il premio miglior secondo piatto
“quid iudex inveniet in involtino? unam bufalam” (involtini di melanzane ripieni di carne e
funghi) è andato alla dott.ssa Luigia Spinelli del Tribuna di Latina; il premio miglior
contorno “comparsa di asparagi gratinati” è andato all’avv. Francesco Santini; il premio
miglior dolce “babà extraordinem con frutti civili” è andato alla dott.ssa Rosalba di Giulio.
Forse come in tutte le gare fra campioni bisognerà “andare ai rigori”, anche in ragione
della gustosità dei piatti preparati dagli altri concorrenti: la delicata “pappa enfiteutica al
pomodoro” dell’avv. Alessandro Bove, la squisita “suilla in verde, arista di maiale con salsa
di melanzane e basilico” dell’avv. Caterina Borelli, il delicato antispato della dott.ssa De
Cecilia “notifica di uvetta ex art.161 C.p.p su letto di peperoni”, che hanno lasciato
l’acquolina in bocca.
In concomitanza con la giornata UNICEF, il simposio gastronomico, non è stato solo
l’incontro tra professionisti schierati su fronti opposti ma accomunati dall’amore per la
giustizia, ma una vera e propria gara di solidarietà “verso i più piccoli” assistiti dall’Associazione ARCHE’, a cui sono andati i proventi della serata.
Antonio Conte
350
FORO ROMANO 2/2007
IL NOSTRO MONDO
TRA TOGHE, SWING E DIRITTO. GRANDE SUCCESSO
ALL’ACQUA SANTA PER LA SECONDA TAPPA
DEL “BMW ROMA – CHALLENGE TOUR DI GOLF FORENSE”
Sotto il Patrocinio dell’Ordine degli Avvocati di
Roma e di quello della Federazione Italiana Golf
Lazio, il 2 giugno al Golf di Roma Acqua Santa, nella
culla del golf italiano, si è disputata la seconda tappa
del “BMW Roma - Challenge Tour di Golf Forense”,
manifestazione firmata ed organizzata dall’Avv. Nicola Colavita e dedicata ai professionisti che operano
nel mondo del diritto (avvocati, notai, magistrati e
commercialisti).
La competizione - che ha visto gareggiare oltre 140
giocatore tra cui la splendida Top Model Vanessa
Kelly ed il Presidente della F.I.G. Lazio, Dott. Andrea
Pischiutta - è stata vinta nella I^ categoria netto dalla
coppia composta da Alberto Pelosi e Corrado Di
Marco. La coppia composta dall’Avv. Grabau e dal
Dott. Alfiero, si è imposta nella I^ categoria Lordo. Nella categoria Ladies si è
affermata la
coppia composta dall’Avv.
Livia Magrone
Furlotti e Isabella Macchi di
Cellere, mentre in quella Seniores ha trionfato la coppia
composta dall’Avv. Luigi
Macchi di Cellere e Bianca
Martini Crotti.
(n.d.r.: per foto e filmati della gara visita il sito www.golfforense.com).
La premiazione - alla quale ha assistito anche il Prof. Franco Chimenti,
FORO ROMANO 2/2007
351
IL NOSTRO MONDO
Presidente della F.I.G., la cui presenza ha certificato il successo e la bontà della
manifestazione - è stata effettuata dal Presidente del circolo Avv. Alberto Federici,
il quale ha premiato le coppie vincenti insieme al
Vice Presidente della FIG Lazio, Dott. Carlo Scatena, all’Avv. Antonio Conte, Consigliere Segretario
dell’Ordine degli Avvocati di Roma ed al Dott.
Claudio Distefano, Amministratore Delegato di
BMW Roma.
Molti i nomi illustri del mondo forense e non:
oltre all’Avv. Giandomenico Magrone, vero e proprio Ambasciatore del Golf Forense, sono intervenuti alla manifestazione il delegato alla Cassa Forense Avv. Bruno Ricciotti, il consigliere “penalista”
dell’Ordine degli Avvocati di Roma Avv. Livia Rossi, l’Avv. Enrico Gamba, gli Avvocati golfisti Paolo
Berruti, Paolo Vitali, l’Avv. Carlo Bonzano, l’ex
presidente della Corte di Appello di Roma Dott.
Sebastiano La Greca, l’Avv. Alessia Montani, “Testimonial” del Golf Forense, la
bellissima giornalista di Mediaset Susanna Galeazzi, il capo servizio del TG1 Attilio
Romita.
A fare gli onori di casa oltre all’Avv. Nicola Colavita e l’imprenditore Mauro
Antonelli che con la sua attenta regia ha curato in maniera egregia e nei minimi
particolari gli allestimenti della manifestazione.
Appuntamento per la terza tappa del “BMW Roma – Challenge Tour di Golf
Forense” il 29 settembre al Circolo Golf Club Marco Simone.
a cura della Redazione
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FORO ROMANO 2/2007
IL NOSTRO MONDO
“BMW ROMA – 1° TROFEO DI BRIDGE FORENSE”
Il mondo forense continua a dimostrare la propria dinamicità. Sotto il duplice
patrocinio dell’Ordine degli Avvocati di Roma e della Federazione Italiana Giuoco
Bridge, il 16 e 17 giugno presso la Vigna dei Cardinali, si è disputato il 1° Trofeo di
Bridge Forense, manifestazione organizzata dall’Avv. Nicola Colavita – già ideatore
del Golf Forense - e dedicata ai professionisti che operano nel mondo del diritto
(avvocati, notai, magistrati e commercialisti).
La competizione – a cui
hanno preso
parte ben 80
giocatori - è
stata vinta
dalla coppia
composta
dall’Avv. Cristiano Mozzi
e dal Dott.
Andrea Riccioletti.
La premiazione è stata
effettuata dal
Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Roma, l’Avv. Alessandro Cassiani e dall’Avv. Antonio Conte, Consigliere Segretario dell’Ordine degli Avvocati di Roma.
Tra gli ospiti del cocktail di fine gara anche l’Avv. Livia Rossi, altro Consigliere
dell’Ordine.
a cura della Redazione
FORO ROMANO 2/2007
353
IL NOSTRO MONDO
ALLEGATO ALL’INTERVENTO DEL PROCURATORE GENERALE
NELL’ASSEMBLEA GENERALE DELLA CORTE D’APPELLO DI ROMA
Roma, 27 gennaio 2007
ATTIVITÀ DELLE PROCURE DELLA REPUBBLICA PRESSO I TRIBUNALI
DEL DISTRETTO NEL PERIODO 1° LUGLIO 2005 – 30 GIUGNO 2006.
PREMESSA
Anche quest’anno il panorama giudiziario delle Procure del distretto si caratterizza in
negativo per due aspetti fondamentali.
Nonostante il soddisfacente impegno dei magistrati, del personale amministrativo e di
quello delle sezioni di Polizia Giudiziaria, permangono infatti due gravi limiti al retto
esercizio dell’attività giurisdizionale: la cronica carenza di risorse materiali e personali e la
cronica lentezza nella definizione dei procedimenti.
Quanto al primo aspetto, viene ovunque segnalata l’insufficienza delle strutture di
supporto materiale e, soprattutto, del personale amministrativo, che, anche per motivi di
bilancio, si va assottigliando, senza che si sia provveduto alla sostituzione degli elementi
collocati a riposo o comunque non più disponibili.
Le suddette carenze sono rese ancor più significative dal proliferare delle incombenze
processuali e formali.
I numerosi adempimenti, frutto anche di ulteriori novelle processuali (anche per
l’incidenza modesta dei riti alternativi, mai del tutto decollati) si traducono indubbiamente
in una maggiore lentezza del percorso processuale, talvolta con la regressione del procedimento, che frustra l’attività precedentemente espletata dalle Procure. Quanto sopra viene
a collidere col principio della ragionevole durata, il cui opportuno ed atteso inserimento
nell’art. 111 della Costituzione non ha ancora prodotto, anche per alcune discrasie delle
leggi ordinarie, i risultati sperati.
La stessa legge 31.7.2006 n. 241, di concessione dell’indulto, varata anche con intenti
deflattivi, e della quale si dirà nella sede propria (paragrafo B), non ha avuto alcun riflesso
pratico sull’economia dei giudizi.
A) CARATTERISTICHE DELLA CRIMINALITÀ NEL DISTRETTO E SUE
LINEE DI TENDENZA.
1. Quanto ai delitti oggettivamente e soggettivamente politici, alla Procura Roma il
gruppo specializzato nei delitti contro la personalità dello Stato ha svolto, proseguendo le
intense attività degli anni precedenti, una proficua opera di investigazione e di gestione
processuale nel settore del contrasto ai fenomeni di terrorismo interno e di matrice
fondamentalista islamica, questi ultimi acuiti dal perdurare della crisi irachena e dall’inasprirsi della situazione afgana.
In particolare, nel procedimento relativo alla strage per finalità di terrorismo compiuta
354
FORO ROMANO 2/2007
IL NOSTRO MONDO
il 12.11.2003 in An Nassiryah, risultano identificati ed indagati personaggi di spicco della
organizzazione terroristica coinvolta e si è svolto in Roma l’interrogatorio in videoconferenza di un detenuto che ha reso particolareggiate dichiarazioni confessorie, anche
relativamente alla struttura dell’organizzazione.
Importanti atti di indagine sono stati espletati anche nell’ambito del procedimento
relativo al sequestro di quattro cittadini italiani commesso il 12.4.2004 e conclusosi con
l’omicidio dell’ostaggio Quattrocchi Fabrizio, nel procedimento relativo all’omicidio di
Nicola Calipari e ai fatti connessi, nel procedimento relativo agli attacchi a stazioni
metropolitane e ad un bus, avvenuti a Londra il 21.7.2005.
Quanto alla organizzazione Brigate Rosse – Partito Comunista Combattente, sono stati
definiti in primo grado i processi relativi ai militanti individuati ed arrestati; significativa è
stata l’azione della Procura nei confronti degli ambienti anarco.-insurrezionalisti, in
particolare l’attività di indagine denominata “Cervantes” (di rilievo l’attività compiuta per
la ricerca della latitante Scrocco Rose Anne, di nazionalità statunitense ed italiana, arrestata
il 16.1.2006 ad Amsterdam e poi ristretta a Rebibbia).
Numerosi procedimenti sono stati aperti per delitti in danno di connazionali, in
relazione ad atti terroristici posti in essere in Iraq, Egitto ed Afghanistan.
E’ stata concretizzata la realizzazione di una banca dati centralizzata a livello distrettuale.
2. Infiltrazioni mafiose, specialmente nei settori degli appalti, della droga e delle
estorsioni, persistono, oltre che a Roma, nel Lazio meridionale e, in particolare, nella
provincia di Latina, oltre che sulla parte del litorale laziale e territori contigui rientranti nel
circondario di Velletri (Anzio, Nettuno, Ardea e Pomezia); sono state applicate numerose
misure di prevenzione personale e sono in corso complesse istruttorie per misure patrimoniali.
3. Quanto ai reati contro la pubblica amministrazione, si mantiene elevato nel
distretto il numero dei procedimenti, ma viene segnalato dalla Procura di Roma un
decremento delle notizie di reato a carico di “noti”, che riguarda particolarmente i reati di
cui agli artt. 316 e 322 del c.p..
4. Fra i reati di maggiore allarme sociale stabile è il numero degli omicidi volontari e
costante appare, specie nel Lazio meridionale, il dato relativo alle estorsioni e alle rapine,
segnatamente in danno di tir, banche e gioiellerie: in aumento le rapine nel territorio di
Latina.
Sempre preoccupante è il fenomeno dello spaccio di stupefacenti, diffuso in tutto il
territorio del distretto.
La piazza romana continua a rivelarsi l’epicentro di organizzazioni particolarmente
efficienti, in grado di movimentare ingenti quantitativi destinati sia al mercato locale che a
quello di altre zone e regioni.
Tutte le indagini rivelano la presenza di organizzazioni dotate di una discreta stabilità,
sia a livello di spaccio locale (in quartieri o aree delimitate), sia a livello di fascia intermedia
(in grado di interagire con i canali di approvvigionamento all’estero).
Si registra, altresì, con particolare intensità, sia nel territorio romano che nelle zone del
sud del Lazio, la presenza di relazioni stabili di interscambio tra le organizzazioni autoctone
e quelle, il più delle volte coincidenti con organizzazioni camorristiche, operanti nelle aree
FORO ROMANO 2/2007
355
IL NOSTRO MONDO
de napoletano e del casertano, nel solco di una tradizione mai interrotta ed anzi attualmente
particolarmente attiva, con alcuni canali di collegamento anche con compagini criminali
operanti in Calabria.
Tratto ricorrente è infine la notevole capacità di interlocuzione con aggregati criminali
stranieri (importazione dalla Spagna-Marocco, dall’area Balcanica, dal Sudamerica, dai paesi
africani, dall’Olanda, dal Regno Unito, dall’India, dal sud-est Asiatico): i traffici si avvalgono
principalmente di una vasta rete di corrieri ovulatori o trasportatori, con preponderante
contributo di soggetti nigeriani e con solidi appoggi di trafficanti italiani.
5. Rilevante è il numero dei reati commessi da cittadini stranieri, in particolare
extracomunitari: si tratta spesso di clandestini, facile preda delle organizzazioni criminali,
nelle quali vengono prontamente arruolati.
Gli stranieri si sono anche resi responsabili di omicidi e rapine (spesso in danno di altri
cittadini stranieri).
A Roma risultano iscritti 24.287 procedimenti penali per reati commessi da cittadini
extracomunitari contro i 19.475 procedimenti del periodo precedente.
Rilevante è l’aumento, rispetto al periodo precedente, dei procedimenti per violazione
dell’art. 14, co. 5 ter del D.L.vo n. 286 del 1998 e successive modificazioni (inottemperanza
al provvedimento di espulsione), relativo a persone arrestate e giudicate in direttissima (da
1.648 a 4.023).
Nel distretto è in aumento il numero delle informative pervenute per violazioni varie
della legge sull’immigrazione, stabile quello relativo al favoreggiamento dell’immigrazione
clandestina.
6. Quasi tutte le Procure riferiscono che i reati di violenza sessuale e pedofilia sono
in aumento (ivi compreso il recente fenomeno delle violazioni via Internet).
Gli uffici requirenti si vanno ormai attestando sulla sistematica utilizzazione dello
strumento dell’audizione protetta nel corso dell’incidente probatorio delle vittime ed in
particolare, dei minori e dei soggetti deboli (art. 392, co 1 bis c.p.p.).
Appaiono sempre più necessari, fin dalla fase delle indagini preliminari, l’esigenza della
specializzazione dei magistrati nella materia; il ricorso all’apporto ed all’ausilio degli esperti
di scienze umane; lo stretto coordinamento fra le Procure ordinarie e la Procura per i
Minorenni, sia relativamente ai casi di concorso di maggiorenni e minorenni nello stesso
delitto di violenza sessuale, sia nel caso di reato commesso in danno di minori o nell’ambito
della stessa famiglia.
7. Quanto agli omicidi colposi commessi con violazione delle norme sugli infortuni
sul lavoro, il fenomeno permane consistente in tutto il distretto, talvolta in imprese piccole
con manodopera in nero, ma anche rispetto ai grandi lavori.
La Procura di Roma segnala una perdurante inadeguatezza del livello di tutela, dal
momento che si registrano ancora in quel territorio una ventina di infortuni mortali ogni
anno, la maggior parte dei quali nelle attività edili, soprattutto per cadute dall’alto, ma anche
per folgorazione (ciò anche a causa del lavoro nero e dell’utilizzazione di manodopera non
adeguatamente formata).
Nell’ultimo anno, a fronte di circa 4.000 ispezioni attivate dalle ASL nei cantieri, sono
state elevati a Roma circa 3.000 verbali e sono stati avviati, nonostante l’esiguità del personale
356
FORO ROMANO 2/2007
IL NOSTRO MONDO
tecnico, oltre 5.500 procedimenti penali relativi a circa 15.000 violazioni delle norme sulla
sicurezza ed igiene del lavoro. Segno evidente di una forte illegalità diffusa, per contrastare
la quale sarebbero opportune anche e soprattutto iniziative di tipo preventivo, di formazione e di sensibilizzazione dei lavoratori.
8. In materia di tutela dell’ambiente e del territorio nonché edilizia ed urbanistica,
va segnalata l’interferenza dei condoni edilizi, che ha favorito sostanzialmente una percezione di impunità (alcune amministrazioni comunali sono ancora impegnate nell’istruttoria
delle pratiche del 1994), anche per l’inerzia e l’inefficienza delle autorità preposte.
L’attività di abusivismo edilizio e di illecita trasformazione del territorio anche quest’anno ha avuto in Roma diffusione sia nelle zone periferiche, attraverso la realizzazione di
nuove costruzioni, sia nelle zone verdi di particolare rilievo ambientale, gravate da vincoli
e comprese nei parchi e nelle riserve regionali, nonché su immobili preesistenti, ubicati
spesso nelle parti più pregiate del centro storico della città o immediatamente adiacenti,
tramite interventi tesi a stravolgere le strutture preesistenti e a modificare le destinazioni
d’uso originarie dei manufatti.
Tali illecite attività sono spesso accompagnate da ulteriori condotte criminose di
falsificazione della documentazione presentata a corredo delle richieste dei necessari titoli
abilitativi.
La proficua collaborazione con gli organi di Polizia Giudiziaria e con gli organi centrali
dell’amministrazione comunale, cui deve darsi atto di un’aumentata attenzione al fenomeno dell’abusivismo, ha peraltro consentito, nel periodo in esame, sia un tempestivo
intervento in via amministrativa, con la demolizione di alcune opere, sia una rilevante
diminuzione dei reati edilizi rispetto al precedete periodo (da 2.433 a 3.170).
La Procura di Frosinone ha avviato un’indagine sul grave fenomeno dell’inquinamento
del fiume Sacco che è tuttora in corso; quella di Tivoli è estremamente attiva nel
perseguimento delle violazioni urbanistiche e di quelle afferenti ai parchi e alle aree
archeologiche e ai numerosi abusi edilizi ivi perpetrati, quelle di Viterbo e Cassino hanno
avviato importanti indagini su discariche abusive, fenomeno quest’ultimo particolarmente
preoccupante, per la sempre più incombente problematica dello smaltimento dei rifiuti.
9. Quanto ai reati contro l’incolumità pubblica e la salute sono tuttora in corso da
parte della Procura di Frosinone, come già si è detto, delicate indagini preliminari sull’inquinamento delle acque del fiume Sacco; numerose altre Procure del distretto hanno in corso
procedimenti per la tutela delle acque dall’inquinamento e in materia di rifiuti; nel
circondario di Latina il NAS fronteggia efficacemente il fenomeno dell’adulterazione delle
sostanze alimentari.
La Procura di Roma lamenta la diminuzione della quantità e della qualità dei controlli
relativi all’accertamento delle violazioni delle norme di tutela ambientale e della salute
pubblica: ciò è in parte dovuto alle carenze dell’apparato tecnico preposto, istituzionalmente, a tale controllo, ma anche alle continue e notevoli oscillazioni normative, culminate nel
testo unico ambientale (D.lgs. del 2006), che presenta qualche aspetto di non linearità.
10. Le modifiche legislative in materia di reati societari hanno portato ad un rallentamento dell’attività di indagine e al rischio prescrizione. Bancarotta e fallimenti restano
comunque stabili, mentre preoccupante e in aumento in alcune zone è il fenomeno
FORO ROMANO 2/2007
357
IL NOSTRO MONDO
dell’usura, anche grazie al proliferare sul territorio delle c.d. società finanziarie.
La Procura di Roma segnala che, nonostante il numero delle denunce e dei procedimenti
pendenti per il reato di usura si sia mantenuto sostanzialmente inalterato rispetto agli anni
precedenti, il fenomeno è tuttora sommerso, nel senso che il numero delle denunce è di gran
lunga inferiore alla sua reale diffusione: le ragioni sono diverse e vanno dalla necessità di non
perdere l’ultimo canale di finanziamento alle minacce che provengono dagli ambienti
criminali, che spesso gestiscono l’attività usuraria, essendo la stessa uno dei veicoli attraverso
cui avviene il riciclaggio del denaro.
Va comunque ricordato che ulteriori, rilevanti modifiche legislative sono intervenute,
nell’anno trascorso, nella materia societaria, fallimentare e della tutela dei mercati finanziari,
sull’onda dei clamorosi dissesti di grandi gruppi aziendali (es. Parmalat e Cirio): la legge
28.12.2005 n. 262 (cd. tutela del risparmio) e il D. L.vo 9.1.2006 n. 5, di riforma della legge
fallimentare.
Quanto alle indagini condotte dalla Procura i Roma vanno ricordati, tra gli altri, il
procedimento relativo alla cd. “scalata” al Corriere della Sera, che ha portato all’adozione
di misure cautelari personali e all’emissione di provvedimenti di sequestro di titoli e di
ingenti somme di denaro, e il procedimento relativo all’ipotesi di estorsione ed aggiotaggio
su azioni della S.S. Lazio.
Il Procuratore di Frosinone segnala in quel territorio l’aggravarsi del fenomeno dell’usura, con coinvolgimento anche di persone note in ambito cittadino, informando che
quell’Ufficio ha promosso, con buoni risultati, uno stretto collegamento con l’Ufficio
prefettizio che dirige il fondo anti-usura.
Il Procuratore di Latina, fortemente impegnato nelle indagini sul sempre più preoccupante fenomeno dell’usura, ha continuato il proficuo lavoro di collaborazione con la
sezione di P.G. della Guardia di Finanza, con i vari comandi dello stesso Corpo dislocati sul
territorio e con alcuni curatori, per il monitoraggio precoce dei fallimenti, al fine di tutelare
i creditori (nel sud pontino il fenomeno è oggetto di particolare attenzione, data la sua
connessione con la criminalità economico-finanziaria).
11. E’ generalmente giudicato efficace il nuovo sistema sanzionatorio in materia
tributaria.
12. Soprattutto nel Lazio meridionale vengono segnalate iscrizioni relative ai reati
concernenti le frodi comunitarie.
13. Viene in genere segnalato in notevole aumento, anche per i procedimenti a carico di
ignoti, il fenomeno della criminalità informatica.
B) ORGANIZZAZIONE E FUNZIONAMENTO DELL’UFFICIO ESECUZIONE
E DEI TRIBUNALI E UFFICI DI SORVEGLIANZA.
SITUAZIONE DELLE CARCERI NEL DISTRETTO.
APPLICAZIONE DELLA LEGGE 31 LUGLIO 2006 N. 241 (INDULTO).
Va ribadito nella materia quanto già sottolineato negli anni scorsi: la legge 27.5.1998 n.
165 (c.d. legge Simeone) ha posto definitivamente in crisi la pena, dal momento che
l’esecuzione per residui di pena fino a tre o quattro anni nei casi indicati dall’art. 656 c.p.p.
(fatta, ovviamente, eccezione per i reati di cui all’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario),
358
FORO ROMANO 2/2007
IL NOSTRO MONDO
si protrae sino alla decisione del Tribunale di Sorveglianza, con una dilazione temporale non
trascurabile, atteso il carico di lavoro di quell’organo.
Ne deriva la palese violazione del principio di ragionevole durata, incontestabilmente
applicabile anche al procedimento esecutivo, che attua nel concreto la giurisdizione.
Rilevante corollario è costituito da una sorta di formazione progressiva del giudicato, in
base alla quale l’irrevocabilità della sentenza di condanna non ne comporta la esecutività:
dopo la presentazione dell’istanza volta ad ottenere una misura alternativa, il giudicato si
formerà soltanto dopo che il tribunale di Sorveglianza avrà deciso quale sia la pena
concretamente da erogare (si pensi che ciò avviene nella maggior parte – circa 80% - delle
sentenze di condanna).
Quanto al lasso di tempo che intercorre tra il passaggio in giudicato delle sentenze e
l’emissione dell’ordine di esecuzione ex art. 656 c.p.p., gli uffici esecuzione della Procura
Generale e delle Procure del distretto emettono generalmente in tempo reale l’ordine che
comporta la cattura del condannato e non oltre i due tre mesi l’ordine di esecuzione con
contestuale decreto di sospensione ai sensi della legge Simeone.
La legge 19.12.2002 n. 277 ha dato buona prova: saggia si è rivelata l’attribuzione al
magistrato di Sorveglianza, senza alcuna formalità e senza la presenza delle parti, della
potestà di riconoscere ed attuare il diritto alla riduzione della pena prevista dall’art. 54
dell’O.P., salvo eventuale reclamo all’organo collegiale (Tribunale di Sorveglianza).
Quanto all’annoso problema delle demolizioni (in parte paralizzate dalle numerose
domande di condono pendenti), da un lato le Procure hanno stipulato convenzioni con
ditte specializzate, dall’altro dell’imminente esecuzione viene informata anche l’autorità
amministrativa (comunale e regionale), sia per conoscere se sono state esercitare le potestà
che la legge ad essa riserva, sia per “responsabilizzarla” sotto il duplice profilo della
responsabilità penale (art. 328 C.P.) e di quella contabile.
Nel distretto sono operanti 14 istituti di pena, alcuni caratterizzati per un notevole
impegno trattamentale, nei quali viene particolarmente curato l’aspetto della sicurezza.
Per quel che riguarda la popolazione detenuta, si segnala che al 31.7.2006, prima
dell’applicazione della legge n. 241 del 2006, di concessione dell’indulto, negli istituti di
pena del distretto erano presenti n. 5.989 detenuti (5.509 uomini e 480 donne): dopo
l’indulto, alla data del 31.8.2006, erano presenti n. 3.873 detenuti (3.553 uomini e 320
donne).
Alla data del 7.11.2006 il dato risultava in aumento (3.813 presenze di cui 3.537 uomini
e 276 donne).
Ne discende che il Provveditorato Regionale deve ancor oggi far fronte al problema del
sovraffollamento della Casa Circondariale di Regina Coeli (per assicurare condizioni di
vivibilità si procede periodicamente al trasferimento di detenuti negli altri istituti del
distretto).
L’attività di costante collegamento operata nei confronti dell’Assessorato della Sanità
della Regione Lazio ha portato alla realizzazione di reparti detentivi presso gli ospedali
Pertini di Roma e Belcolle di Viterbo.
La recente legge 31 luglio 2006 n. 241 (emanata peraltro oltre il 30 giugno 2006 e pertanto
al di fuori del periodo di interesse), che ha impegnato la Procura Generale e le Procure del
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IL NOSTRO MONDO
Distretto in un rilevante sforzo organizzativo e ha comportato per tutti gli uffici requirenti
un notevole aggravio di lavoro, per la necessità di provvedere in tempi stretti subito dopo
la pubblicazione del provvedimento sulla Gazzetta ufficiale, non ha avuto alcun riflesso
pratico sull’economia dei giudizi. Tutti i procedimenti, nessuno escluso, devono essere
“lavorati” : nella fase di cognizione si perviene comunque ad una sentenza nella quale viene
quasi sempre rimandata alla fase dell’esecuzione la quantificazione della pena totalmente
o parzialmente condonata, mentre in executivis le Procure, dopo aver provveduto alle
scarcerazioni provvisorie ex art. 672, 3° comma c.p.p., hanno investito i Tribunali o la Corte
per la declaratoria dell’indulto; unico riflesso positivo è quello sul Tribunale di Sorveglianza,
che sta rinviando a nuovo ruolo numerosi procedimenti in attesa di dette declaratorie,
all’esito delle quali potrà essere emessa pronuncia di non luogo a provvedere. D’altra parte
il provvedimento di indulto può provocare effetti paradossali: proprio la prospettiva di poter
fruire del condono totale o parziale delle pene spinge gli imputati e i difensori ad allungare
i tempi dei procedimenti, evitando di accedere a patteggiamenti o giudizi abbreviati e
incrementando il ricorso alle impugnazioni, con ricadute negative sull’economia dei giudizi.
L’unico dato rilevante appare in conclusione quello delle liberazioni provvisorie, ovvero
delle cessazioni delle sanzioni sostitutive e delle misure alternative ai sensi dell’art. 672,
comma 3 c.p.p., da parte delle Procure che curano l’esecuzione delle sentenze di condanna,
prima del provvedimento definitivo della Corte o dei Tribunali.
C) RICOGNIZIONE DEGLI ASPETTI OPERATIVI E DEI RISULTATI APPLICATIVI INDOTTI DAL CODICE DI PROCEDURA PENALE
1. Non sono pervenute notizie significative sull’incidenza dell’attuale regime della
connessione sulla durata dei processi.
2. Il necessario ricorso alle intercettazioni telefoniche ed ambientali è stato in genere
limitato alle fattispecie più rilevanti, soprattutto al fine di contenere i costi dei servizi.
Emblematico è l’esempio – oltre che della Procura di Roma - di una piccola Procura,
quella di Rieti, la quale, con notevole risparmio per l’erario, ha opportunamente istituito
un’unica sala di ascolto informatizzata, capace di coprire 99 linee, con l’intervento di un solo
operatore; tutte le altre Procure, come si è detto, si sono mosse nella linea dell’ottimizzazione
del rapporto costi-benefici.
3. Limitato è il numero dei procedimenti nei quali è intervenuta richiesta di proroga del
termine per le indagini preliminari: le percentuali sono assai modeste e si attestano, quasi
in tutti i circondari, intorno all’1-3%. Se ne deduce che gli istituti processuali attualmente
vigenti consentono di definire le indagini nei termini fisiologici previsti dall’art. 405 n. 2
c.p.p.
4. L’attribuzione della competenza penale al Giudice di Pace ha certamente avuto, nel
circondario di Roma, un effetto deflattivo sul numero dei procedimenti penali di competenza del Tribunale Ordinario, attestandosi sui circa 9.000 procedimenti all’anno.
Occorre tuttavia rilevare che i dati statistici evidenziano una ulteriore flessione nella
produttività dell’Ufficio del Giudice di Pace, a fronte dell’andamento costante dell’Ufficio
requirente.
Nel periodo di riferimento sono state infatti inoltrate n. 3193 richieste di fissazione di
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IL NOSTRO MONDO
udienza, mentre risultano emesse solo 1.980 sentenze, il che ha determinato un arretrato che
va ad aggiungersi a quello già notevole dell’anno precedente (2.129 sentenze, a fronte del
4.744 richieste di fissazione di udienza).
Viene anche segnalata dalla Procura di Roma una forte disomogeneità degli orientamenti
giurisprudenziali in sede dibattimentale, specialmente con riferimento alle questioni
processuali.
Quanto alla Procura, viene segnalato un andamento positivo e in linea di continuità con
il periodo di rilevazione precedente, nonostante il protrarsi delle difficoltà determinate dalla
note carenze di personale e di polizia giudiziaria, nonché dalle ulteriori incombenze disposte
dal D.L. n. 144 del 2005, noto come decreto anti-terrorismo, che ha trasferito all’Ufficio della
Procura le competenze precedentemente devolute alla Polizia Giudiziaria sia in materia di
citazione a giudizio che di rappresentanza del P.M. in udienza.
5. Quanto alle misure cautelari personali, non sono emerse problematiche di particolare rilievo.
La percentuale di accoglimento delle richieste di applicazione della custodia cautelare è
stata in genere molto alta e si è collocata intorno ad una cifra che oscilla dal 75% al 90%.
Nella quasi totalità i provvedimenti hanno superato il vaglio del Tribunale del Riesame,
che talvolta ha dichiarato la perdita di efficacia della misura per ragioni connesse ad
adempimenti di cancelleria: in tali casi è stata rinnovata la richiesta di misure.
6. Quanto alle indagini difensive viene segnalato lo scarso ricorso alla nuova figura,
utilizzata sporadicamente solo rispetto a particolari reati, talvolta solo da parte degli indagati
più abbienti.
Scarsa disponibilità del Foro verso la difesa d’ufficio viene qua e là evidenziata, mentre
per il patrocinio a spese dello Stato, a fronte di un certo aumento di richieste, specialmente
da parte di imputati extracomunitari, viene sottolineata l’opportunità di una più profonda
verifica delle condizioni economiche del richiedente, onde evitare ingiustificati danni
all’erario.
7. E’ ormai da tempo a regime la nuova disciplina sulla acquisizione di prove all’estero
e sulla loro utilizzazione (legge 5.10.2001 n. 367): non vengono segnalati problemi
particolari relativi alla sua applicazione, né in punto di dilatazione della durata dei processi,
né in punto di vanificazione di pregresse attività di indagine.
8. E’ tuttora esiguo, e comunque non rispondente alle aspettative del legislatore del 1988,
il ricorso ai riti alternativi, inizialmente concepito come forte strumento deflattivo rispetto
al rito ordinario, al quale si sarebbe dovuto pervenire solo in ipotesi limitate.
La modesta incidenza dei riti alternativi opera in particolare per il patteggiamento (art.
444 c.p.p.), ma anche per l’abbreviato: riguardo a quest’ultimo rito va poi sottolineato che
le recenti modifiche legislative e, in particolare, l’introduzione del giudizio abbreviato
condizionato, hanno notevolmente aggravato il carico di lavoro del GUP, con inevitabile
dilatazione dei tempi dell’udienza preliminare, che va sempre più qualificandosi come un
vero e proprio dibattimento anticipato.
9. In genere soddisfacenti sono stati i rapporti dell’ufficio del Pubblico Ministero con la
polizia giudiziaria e in particolare con le sezioni di polizia giudiziaria.
L’organico delle sezioni è quasi ovunque adeguato (sia pure al limite minimo della
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IL NOSTRO MONDO
sufficienza), salvo problemi attinenti alle attrezzature tecniche; buona la professionalità
media dei componenti e stretta la collaborazione fra i magistrati requirenti e i componenti
della sezione, talvolta sulla base di opportuni ordini di servizio. Il cosiddetto pacchetto
antiterrorismo (legge 31.7.2005 n. 155, art. 17), sottraendo gli ufficiali di polizia giudiziaria
ai compiti di notifica e di rappresentanza del p.m. davanti al giudice di pace e in udienza,
è stata oggetto di valutazioni negative, per il grave appesantimento del carico di lavoro in
quei settori, anche se viene per lo più apprezzata la restituzione ai compiti di istituto dei
componenti le sezioni: e ciò nonostante le obiettive carenze negli organici degli ufficiali
giudiziari e dei vice procuratori onorari (è partita la sperimentazione dell’utilizzo dei laureati
in giurisprudenza frequentanti il secondo anno delle scuole di specializzazione).
10. La partecipazione di magistrati non togati alle udienze monocratiche con funzioni
di pubblico ministero è stata in genere elevata.
Va anche qui ricordato il negativo effetto pratico della legge del 31.7.2005 n. 155 (c.d.
antiterrorismo), che ha fatto venir meno l’apporto degli ufficiali di polizia giudiziaria nelle
udienze, con conseguente aggravio dei compiti dei magistrati onorari requirenti.
11. La maggiore novità nella materia dei rapporti giurisdizionali con le autorità straniere,
regolata dal libro XI del Codice di Procedura penale e dalle convenzioni internazionali, è
rappresentata dall’introduzione del mandato d’arresto europeo.
L’istituto, destinato a sostituire l’estradizione nei paesi dell’Unione europea, costituisce
un ulteriore passo verso la piena realizzazione di uno spazio giudiziario europeo e trova il
suo fondamento nel mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie.
La legge 22.4.2005 n. 69, che ha dato attuazione alla decisione quadro istituendo la nuova
figura, è troppo recente perché si possano trarre conclusioni sulla sua operatività.
Tuttavia, considerato che una delle finalità più rilevanti dell’istituto era rappresentato
dall’abbattimento dei tempi della consegna delle persone ricercate (circa 18 mesi con
l’estradizione), gli effetti appaiono già positivi: basti pensare che nel caso del terrorista
sospettato dalle autorità britanniche di aver partecipato agli attentati alla metropolitana di
Londra del 7 luglio 2005, soggetto richiesto in consegna appunto con il mandato d’arresto
europeo, la consegna stessa ha potuto avere luogo in circa 90 giorni, periodo comprensivo
anche del ricorso per Cassazione avanzato dall’interessato avverso la decisione della Corte
di Appello (nel giudizio è intervenuto un rappresentante del Regno Unito).
Al fine di consentire una applicazione piena e uniforme della nuova normativa, questa
Procura Generale ha provveduto a diramare circolari e note di orientamento alle Procure
della Repubblica del distretto; va altresì posta in rilievo l’iniziativa di inserire nel sito della
Corte di Appello (www.giustizia.lazio.it) una rubrica curata e continuamente aggiornata
dalla Procura Generale, dedicata al mandato d’arresto europeo, con informazioni, indicazioni e documentazione per la pratica applicazione del nuovo istituto.
D) GIUSTIZIA MINORILE
1. Soddisfacente è stato il funzionamento della giustizia minorile (sia civile che
penale), per il consueto impegno dei magistrati specializzati del distretto: l’attività dei
magistrati addetti al Tribunale per i Minorenni ed alla Procura della Repubblica presso detto
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IL NOSTRO MONDO
Tribunale ha consentito il raggiungimento di risultati soddisfacenti, anche sotto il profilo
della produttività. Positivi anche i risultati raggiunti dalla Sezione Persona e Famiglia della
Corte di Appello.
Come già segnalato negli anni precedenti, permangono numerose carenze normative
nella materia minorile: manca un sistema di “pene minorili”, manca un ordinamento
penitenziario speciale per i minorenni, manca un procedimento civile adeguato, in specie
sotto il profilo del contraddittorio e delle garanzie difensive, manca una idonea disciplina
della competenza amministrativa dei tribunali minorili, permane la debolezza del sistema
di protezione dei minori, per scarsità di personale educativo e di strutture di accoglienza,
particolarmente per i minori affetti da problemi psichici o evidenzianti gravi sintomi di
devianza.
Deve nuovamente segnalarsi la mancata entrata in vigore della parte processuale della
legge n. 149 del 2001, ulteriormente prorogata fino al 30.6.2007. Già l’anno scorso si era
segnalato che appare improcrastinabile la soluzione legislativa del problema della difesa
d’ufficio nei procedimenti civili minorili che è pregiudiziale alla piena applicazione della
legge.
2. L’organico dei magistrati minorili addetti al Tribunale è allo stato incompleto ed
è appena sufficiente a far fronte al carico di lavoro corrente: risultano inoltre scoperti ben
12 posti su un organico di 66 di personale amministrativo presso il Tribunale per i
Minorenni.
3. E’ buono l’apporto, in termini di qualità ed efficienza, dei servizi di assistenza
sociale, la cui collaborazione è fondamentale per una efficace tutela dei minori e per fornire
elementi di conoscenza al magistrato; positiva è la creazione, su iniziativa della Regione e
della Presidenza del Tribunale per i Minorenni, di equipes integrate sul territorio.
In taluni Comuni, specialmente in quelli di piccole dimensioni, i servizi sociali sono
peraltro gravemente sottodimensionati (o addirittura part-time o assenti).
4. Quanto alle adozioni, in lieve aumento è il numero delle segnalazione di presumibile
stato di abbandono (192 contro le 170 dell’anno precedente), mentre sostanzialmente
costanti appaiono le dichiarazioni di adattabilità (99 contro 104).
In aumento le dichiarazioni di disponibilità alle adozioni nazionali (1.340 contro 1.244),
diminuite le richieste di idoneità alla adozione internazionale (906 contro 922).
Il numero delle pronunce di adozione nazionale (107) e di adozione di minori stranieri
(221) dimostra tuttavia come le domande continuino ad essere esorbitanti rispetto alle
concrete possibilità di accoglimento.
Rimane limitato il numero di adozioni in casi particolari ai sensi dell’art. 44 delle legge
sull’adozione (in totale 76).
I procedimenti in materia di sottrazione internazionale di minori e di violazione dei
diritti di visita ai sensi della convenzione dell’Aja sono stati 18.
In continua crescita risultano i procedimenti civili in materia di potestà genitoriale
(artt. 330 e seg. C.C.), tanto da assumere rilievo numericamente preponderante (1.623 sono
in procedimenti sopravvenuti nel corso dell’anno presso il Tribunale per i Minorenni, che
riguardano casi di cattivo esercizio della potestà e di comportamenti pregiudizievoli nei
confronti dei figli, con richiesta di provvedimenti ablativi o limitativi della potestà
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IL NOSTRO MONDO
genitoriale).
Il fenomeno dell’abuso all’infanzia, sia che si tratti di abuso materiale sia che si tratti di
abuso psicologico, appare quindi nel distretto assai consistente.
Va infine ricordato che importanti innovazioni sono state introdotte, sia sul piano
sostanziale che su quelli processuale, dalla legge 8.2.2006 n. 54, sull’affidamento condiviso
dei figli, legittimi o naturali: è prevedibile un incremento degli affari presso il Tribunale per
i Minorenni rispetto alla competenza in materia di affidamento dei figli naturali, con
verosimile estensione anche agli aspetti economici, questione finora riservata alla competenza del Tribunale Ordinario.
Si verificato inoltre un notevole aggravio del lavoro della Sezione Persona e Famiglia della
Corte di Appello, in conseguenza della reclamabilità immediata davanti al giudice superiore
(introdotta dall’art. 2 della legge n. 54 del 2006) dei provvedimenti provvisori ed urgenti
emessi dal Presidente del Tribunale in sede di separazione o divorzio, con relativa dilatazione
dei tempi di definizione di tali giudizi.
5. Quanto alle linee di tendenza della criminalità minorile, si rileva in via generale
una lieve diminuzione dei procedimenti penali e dei minori che delinquono (-2,53%).
Tuttavia tale diminuzione non riguarda la gran parte dei delitti di maggiore allarme sociale.
Si nota infatti, la preoccupante presenza dei delitti di omicidio (3 casi per la prima volta dopo
quattro anni ) nonché il sensibile aumento dei delitti di rapina, violenza sessuale ed omicidio
colposo.
Prevalgono i reati contro il patrimonio (70,57%); fra i reati più gravi, tutti in significativo
aumento, l’omicidio (3 casi), il tentato omicidio (13), l’estorsione (29), la violenza sessuale
(53), la rapina consumata e tentata (274), lo spaccio di sostante stupefacenti (333).
Il numero globale dei minori denunciati è stato di 5.307, di cui 3.750 maschi e 1.557
femmine, 2.371 italiani e 2.936 stranieri (questi ultimi costituiscono 55,32%).
Un elemento particolarmente significativo è costituito dal consistente numero di minori
non imputabili, italiani e stranieri infra-quattordicenni denunciati: 1.339 (1.2.12 nel periodo
precedente) di cui ben 1.079 (1.009) stranieri e ben 1.056 (997) appartenenti all’area del
nomadismo, dal che può desumersi il sempre più precoce ingresso dei minori di nazionalità
straniera, spesso inseriti in famiglie criminogene nell’area della devianza.
Non appare opportuno un decentramento della giustizia penale minorile, essendo
pienamente razionale ed efficace l’attuale distribuzione a livello distrettuale dei Tribunali
per i Minorenni.
Quanto alle iniziative di recupero e al reinserimento dei minori interessati da procedimenti penali, talvolta i progetti di messa alla prova, elaborati dai servizi e recepiti dal giudice
minorile, appaiono ripetitivi e insufficienti allo scopo, mentre permangono le note carenze
di strutture idonee ad accogliere i minori dopo l’espiazione della pena o in genere i ragazzi
difficili o devianti, il che rende difficile il definitivo recupero sociale.
IL PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA
Salvatore Vecchione
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IL NOSTRO MONDO
IL DANNO DA NON RAGIONEVOLE DURATA DEL PROCESSO
L’EQUA RIPARAZIONE
ASPETTI ED EVOLUZIONE GIURISPRUDENZIALE
DELLA C.D.: LEGGE PINTO
Il 20 dicembre 2006 nel Locale Nanà in Piazza Mazzini a Roma, si è tenuto un
incontro sul tema PROCESSI ED ORDINI FORENSI “MASTELLIZZATI” – L’APPLICAZIONE DELLA C.D. LEGGE PINTO PER LA DIFESA DELLA PROFESSIONE E DEI DIRITTI UMANI organizzato dall’AGIFOR – Associazione Giovanile
Forense.
Ha diretto l’incontro il Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Roma, Avv.
Alessandro Cassini ed il Consigliere Tesoriere dell’Ordine degli Avvocati di Roma,
Avv. Carlo Testa.
Nel corso della serata sono state affrontate e dibattute varie problematiche inerenti
i disagi della professione forense determinati dal cattivo funzionamento dell’apparato
giudiziario e dagli ultimi noti interventi del legislatore che tendono a minare alla
radice il valore e la dignità dell’attività degli avvocati e, quindi, dei diritti umani.
L’Avv. Cristiana Consalvi, membro del Direttivo A.Gi.For e della Commissione
Giovani dell’Ordine degli Avvocati di Roma, ha presentato e relazionato l’interessante libro scritto dall’Avv. Carlo Recchia: “IL DANNO DA NON RAGIONEVOLE
DURATA DEL PROCESSO ED EQUA RIPARAZIONE” – Edizioni Giuffrè – (Collana Fatto e Diritto curata e curata dal Prof. Paolo Cendon), libro che, attraverso
un’approfondita disamina della legge n. 89 del 24.3.2001, c.d.: Legge Pinto, nella sua
applicazione, fornisce un valido, efficace ed aggiornato supporto per l’operatore.
L’Avv. Recchia ricostruisce, infatti, la genesi della Legge Pinto attraverso un
approfondito excursus sull’evoluzione del diritto ad una ragionevole durata del
processo.
Il diritto ad un processo di durata ragionevole, ossia a che la propria causa sia
esaminata equamente ed entro un termine ragionevole è sancito nell’art 6 della
Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali,
firmata a Roma il 4.11.50 (da tutti gli Stati membri dell’ allora Consiglio d’Europa)
ed è stata ratificata in Italia con legge 4.8.55 n.848.
L’Articolo 6 della Convenzione suona: “Ogni persona ha diritto a che la sua causa
sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un
tribunale indipendente e parziale...omissis”.
Tra i diritti elencati nel primo titolo della convenzione accanto al diritto alla vita
(art.2), alla libertà e alla sicurezza (art.5), alla libertà di pensiero (art.10) viene, quindi,
menzionato il diritto ad un equo processo entro un termine ragionevole nell’art.6. La
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IL NOSTRO MONDO
Convenzione volle, infatti, riconoscere a tale diritto pari valore e dignità del diritto alla
vita, alla libertà, alla sicurezza etc., enumerandolo tra i diritti fondamentali della
persona.
Quale “strumento” di garanzia venne istituita la Corte Europea dei Diritti
dell’Uomo (C.E.D.U.) a cui sia gli stati contraenti, sia le persone e i gruppi di privati
possono fare ricorso tutte le volte in cui ritengano violati i diritti sanciti nella
convenzione o nei suoi protocolli.
Ai sensi dell’art.41 della convenzione infatti “in caso di accertata violazione della
convenzione e dei suoi protocolli, e se il diritto interno dell’alta parte contraente non
permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione,
la corte accorda, se dal caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.”
Sono stati proprio i cittadini italiani ad avere adito in numero sempre maggiore la
Corte Europea per i diritti dell’uomo con sede a Strasburgo, lamentando la violazione
al diritto ad una durata ragionevole del processo. Tanto che in seno al Comitato dei
Ministri del Consiglio d’Europa si è parlato proprio del c.d.: problema italiano.
Finalmente – grazie anche a vigorose pressioni del Consiglio d’Europa - il
Parlamento italiano, con la promulgazione della legge n.89 del 24.3.01 c.d. Legge
Pinto, ha introdotto la possibilità di ricorrere al giudice italiano (nella specie la corte
di appello) per ottenere un equa riparazione dei danni derivanti da processi civili,
penali e amministrativi di durata eccessiva.
In verità un primo passo verso il pieno riconoscimento del diritto ad un processo
di durata ragionevole era stato fatto due anni prima con la legge costituzionale n.2 del
23.11.1999, di modifica dell’art. 111 Cost. che – nella nuova formulazione –
recependo il contenuto dell’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei
diritti dell’uomo ha sancito: “ ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti,
in condizioni di parità davanti ad un giudice terzo ed imparziale, la legge ne assicura
la ragionevole durata”
Il diritto ad avere un processo equo e di durata ragionevole costituisce un vero e
proprio diritto soggettivo a copertura costituzionale, fondamentale della persona,
garantito sia a livello nazionale che europeo e già riconosciuto dalla nostra Costituzione implicitamente dagli artt. 24, 10 e 2, nonché espressamente dall’art. 111 (come
modificato con legge del 1999) che integra l’art. 6 della Convenzione Europea.
Prima della Legge Pinto l’equa riparazione per non ragionevole durata del
processo era un istituto pressoché sconosciuto per il nostro ordinamento, mentre
sussiste una ricca e copiosa giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo
che ha definito nel corso degli anni il significato di “equo processo” ed i criteri in base
ai quali è possibile stabilire se un processo abbia avuto o meno “durata ragionevole”.
Il libro dell’Avv. Recchia ha il merito di ripercorrere sistematicamente l’evoluzione della legge Pinto, dalla sua entrata in vigore ad oggi, attraverso l’analisi della
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IL NOSTRO MONDO
giurisprudenza sia della corte di Strasburgo, sia del giudice nazionale e, in particolare,
di quello di legittimità fornendo, così, un quadro completo della materia.
E’ opportuno segnalare che nonostante la c.d.: Legge Pinto (art. 2) rimandi
espressamente all’art. 6 della Convenzione e, quindi, ai principi interpretativi e
parametri elaborati in seno alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in ordine alla
riparazione del danno da processo irragionevolmente lungo, il giudice nazionale si è
discostato più volte da tali principi (ad esempio: nel definire i parametri cronologici
della durata un processo; oppure per determinare la somma da liquidarsi per ogni anno
di ritardo • 1000-1500-2000 a seconda della situazione giuridica in gioco; nel limitare
la riparazione del danno morale- pecunia doloris per gli enti collettivi e società, nel
richiedere la prova del danno non patrimoniale etc.).
Nel libro traspare spesso, con tono pacatamente polemico, questa tendenza del
giudice nazionale, rispetto al giudice europeo, di dare un’interpretazione più “libera”
del diritto ad un processo ragionevolmente lungo per restringere e limitare (sia
qualitativamente che quantitativamente) le riparazioni del danno derivante dalla non
ragionevole durata del processo.
Tale tendenza non è, infatti, meramente teorica ed ha determinato in concreto,
sopratutto nel corso degli ultimi anni, come conseguenza che un cospicuo numero di
ricorsi venissero presentati o direttamente o dopo il giudizio di merito, dal cittadino
italiano davanti alla Corte di Strasburgo proprio in virtù dell’art. 35 della Convenzione (insufficiente tutela) che stabilisce che la Corte Europea può procedere all’esame
di un ricorso tutte le volte in cui il cittadino abbia subito un pregiudizio e “il ricorso
non sia stato debitamente esaminato dal Tribunale nazionale”. L’Autore del libro
parla in questa ipotesi di: revisio per saltum transanazionale : espressione che
descrive perfettamente il fenomeno.
Per porre rimedio a questa sorta di emigrazione delle cause è intervenuta di recente
la Suprema Corte di Cassazione con quattro sentenze consecutive dello stesso giorno
ed una di poco successiva (1338.1339,1340 e 1341 del 26.1.04- e la n.8568 del 23.4.05
) attraverso le quali è stato affermato, in via generale, il precetto in base al quale il
Giudice Territoriale si deve conformare nel suo operato ai criteri ed ai principi
elaborati negli anni dalla Corte di Strasburgo e ciò in virtù ed in ossequio all’art. 2
Legge Pinto, che espressamente si richiama all’art. 6 della Convenzione: “Chi ha
subito un danno patrimoniale e non patrimoniale per effetto di violazione della
Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali,
ratificata ai sensi della L. 4.8.55 sotto il profilo del mancato rispetto del termine
ragionevole di cui all’ art, 6 paragrafo 1 della Convenzione, ha diritto ad un equo
indennizzo” (art. 2 L.P.).
Diversamente, infatti, si incorre in violazione di legge e, quindi, il decreto della
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Corte Territoriale è censurabile davanti alla Suprema Corte di Cassazione per
violazione di legge e, in particolare, violazione dell’art. 2 L. Pinto e dell’art. 6 della
Convenzione.
A seguito delle sentenze poco sopra richiamate (1338,1339,1340 e 1341 del 2004)
si può affermare che oggi i criteri elaborati dalla C.E.D.U., per la definizione e per
l’individuazione del processo irragionevolmente lungo e, quindi, meritevole di
riparazione del danno, sono ormai consolidati e, in particolare possono essere
sinteticamente enumerati nel seguente modo: La durata del processo (elemento
temporale): ovvero il tempo occorso per definire la vicenda processuale. La Corte
Europea ha definito degli standard (3 anni- 2 anni e 7 mesi). In realtà la stessa Corte
di Cassazione di recente ha stabilito che il termine può variare a seconda dei casi. Il
computo della durata del tempo del processo per quanto riguarda l’inizio della
decorrenza del termine se, trattasi di procedimento civile, si fa riferimento all’atto di
citazione o al ricorso, mentre il termine finale può essere qualsivoglia provvedimento
che definisce il giudizio, non solo quindi la sentenza passata in giudicato, ma anche
– ad esempio – una transazione stragiudiziale. In materia penale l’inizio del giudizio
non corrisponde alla nozione tecnica ovvero al rinvio a giudizio, ma con il primo atto
che ha “ripercussioni importanti nella vita del privato” e, quindi, anche un interrogatorio per acquisire informazioni. Il termine finale può essere, invece, solo la
sentenza.
Il calcolo del tempo prevede che una volta individuato l’intero arco temporale del
processo, il giudice dell’equa riparazione deve fare una selezione tra i segmenti
temporali riferibili alle parti e quelli riferibili al giudice, sottraendo i primi dalla durata
complessiva del processo.
Ciò che risulta da tale sottrazione costituisce il tempo complessivo imputabile al
giudice o, più in generale, alla macchina giustizia. Il comportamento processuale
(elemento comportamentale) La Corte ha stabilito che non è sufficiente che un
processo si sia protratto oltre un termine ragionevole per ottenere sic et simpliciter la
riparazione del danno. Occorre infatti che le parti non abbiano contribuito con il loro
comportamento ad allungare il processo, non deve, in sostanza, sussistere il concorso
nel fatto del danneggiato. La Corte chiede cioè che le parti si siano comportate
diligentemente. Naturalmente l’attività difensiva che si esplica attraverso comportamenti – ovviamente processuali – dilatatori non può essere riferita alla parte la quale
deve – in ogni caso – potere esperire tutti i mezzi difensivi che gli sono consentiti (es.
chiede legittimi rinvii per conseguire prescrizione del reato). La complessità del caso
Questo terzo parametro costituisce un esimente solo per il giudice (rectius: per
l’apparato giudiziario) e ricorre tutte le volte in cui il caso trattato si presenta
particolarmente ed eccezionalmente complesso sia, ad esempio, per il numero degli
imputati ad esempio, ovvero per il la copiosità e varietà del materiale probatorio da
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IL NOSTRO MONDO
esaminare e va valutato in concreto. 4Un altro parametro elaborato a Strasburgo, ma
ancora non accolto dal giudice nazionale è costituito dai c.d. interessi in gioco ovvero
status e diritti che sono coinvolti.
I suddetti elementi vanno valutati unitamente, e non quindi, alternativamente, al
fine di stabilire se un processo sia o meno ragionevolmente lungo ai fini della
riparazione del danno.
Il procedimento di equa riparazione in base alla c.d.: Legge Pinto non costituisce
un atto di sfiducia nei confronti del Giudice e, infatti, prescinde totalmente dall’individuazione e dall’accertamento di una qualsivoglia responsabilità (con connesso
risarcimento), in termini di colpa o dolo, del magistrato nello svolgimento della sua
funzione: sussiste in tale ipotesi, come noto, il rimedio apprestato dalla L. 117/88 .
Anche se i Decreti vanno trasmessi alla Corte dei Conti per valutare su eventuali
responsabilità nella causazione della non ragionevole durata.
La domanda di riparazione va proposta con ricorso (Art. 3 L.P.) davanti alla Corte
di Appello competente individuata ex art. 11 c.p.p., regola non applicabile quando si
impugnano procedimenti svolti davanti a giudici non ordinari (giudizi TAR e Corte
dei Conti). Entro sei mesi dalla definizione del procedimento (ma può essere anche
promosso a causa non terminata).
Il rito è camerale e si conclude con decreto motivato immediatamente esecutivo
che può essere impugnato davanti alla Corte di Cassazione.
Legittimati attivi sono - anche a seguito delle più recenti sentenze della Cassazione
- sia le persone fisiche, che giuridiche ed i c.d.: enti collettivi.
Legittimati passivi sono: per danni da irragionevole durata di un processo ordinario (civile o penale) il Ministro di Grazia e Giustizia, per un processo militare il
Ministro della Difesa, negli altri casi il Presidente del Consiglio dei Ministri, per i
procedimenti tributari (limitatamente a quelli impugnabili: es. rimborso tributi) il
Ministero della Finanza.
Con riferimento al danno riparabile il libro dell’Avvocato Recchia contiene un
approfondito ed interessante excursus sull’evoluzione giurisprudenziale in ordine
alla prova del danno risarcibile di cui all’art. 6 Convenzione e, in particolare,
attraverso l’esame delle sentenze più significative, dall’entrata in vigore della Legge
Pinto a quelle più recenti, si passa da una tesi marcatamente restrittiva della
risarcibilità, ad una più ampia e, invero, più conforme ai canoni interpretativi dettati
dalla Corte di Strasburgo.
Infatti, la prima giurisprudenza di legittimità riteneva che, in tema di giudizi per
equa riprazione, il danno morale in senso lato o non patrimoniale, dovesse essere
allegato e provato. Il che poneva il danneggiato davanti ad una classica probatio
diabolica essendo davvero ardua la dimostrazione di stress e sofferenze che non
producano evidenti patologie invalidanti.
FORO ROMANO 2/2007
369
IL NOSTRO MONDO
Questa tesi prendeva le mosse dalla concezione secondo la quale il diritto ad una
ragionevole durata del processo non fosse un diritto della persona e, quindi, di rango
costituzionale, in quanto troverebbe la sua fonte nella legge ordinaria.
Successivamente, per temperare tale tesi si affermava (cfr: sentenze Cass. Civ.:
2130/03 – 5664/03) che era sufficiente fornire la prova del danno morale anche per
via presuntiva considerato che costituisce una comune ed elementare nozione di
psicologia il fatto che la pendenza di un processo penale, civile o amministrativo,
produca nell’uomo medio - sulla base dell’id quod plerumque accidit – situazioni di
stress, ansia, panico etc.. sofferenze psichiche appartenenti alla pura economia
dell’interiorità, non esteriorizzate o esteriorizzabili.
In questa direzione la Corte di Cassazione, con la nota sentenza del 5.8.04 n. 15093,
afferma il principio in base al quale la prova del danno non patrimoniale è in re ipsa
“nel senso che provata la sussistenza della violazione, ciò comporta nella normalità
dei casi, anche la prova che essa abbia prodotto conseguenze non patrimoniali in
danno della parte processuale”
E la Corte di Cassazione, con la nota sentenza successiva n.3396 del 18.2.05 ha
riconosciuto anche per gli enti collettivi e le persone giuridiche la riparazione del
danno non patrimoniale, atteso che: “ i disagi ed i turbamenti di carattere psicologico
che la lesione di tale diritto normalmente provoca …” ben possono investire anche
“le persone preposte alla gestione dell’ente ad ai suoi membri”.
Invero la sopra evidenziata tendenza dei Giudici nazionali a non conformarsi ai
principi interpretativi ed agli standard fissati dalla Corte Europea dei Diritti Umani
ha avuto, sul piano pratico, l’effetto di incrementare a dismisura nel corso degli anni
il numero dei giudizi promossi in via diretta alla Corte di Strasburgo; In sostanza si
rinunciava al ricorso in Cassazione per ottenere una censura del decreto della Corte
di Appello ritenuto meritevole di revisione proponendo subito l’ impugnativa direttamente alla Corte Europea e questa prassi costituisce una vera e propria violazione
dell’art. 35 Convenzione che prevede espressamente che non si possa fare ricorso alla
Corte Europea, se non dopo avere esperito tutti i rimedi previsti dall’ordinamento
interno (c.d.: principio di sussidiarietà).
Poiché i cittadini dei vari Paesi contraenti (ma soprattutto italiani) lamentavano il
più delle volte, davanti al Giudice europeo, la mancata applicazione – da parte del
Giudice nazionale - dei principi dettati dalla Giurisprudenza europea, e in particolare,
il mancato riconoscimento del danno morale, la Corte di Strasburgo, per prassi
riteneva ricevibile i ricorsi tutte le volte in cui accertava la insufficiente tutela. In tali
casi, infatti, la Corte Europea può procedere all’esame di un ricorso tutte le volte in
cui il cittadino abbia subito un pregiudizio e il “ricorso non sia stato debitamente
esaminato dal Tribunale nazionale”.(art.35).
Il problema si è posto in modo concreto anche e, soprattutto, con riferimento al
370
FORO ROMANO 2/2007
IL NOSTRO MONDO
diverso criterio di quantificazione del danno adottato dal Giudice nazionale rispetto
a quello applicato dal Giudice di Strasburgo. Si ricorreva spesso alla Corte Europea
proprio perché i criteri che applicava consentivano una maggiore e più generosa
quantificazione del danno.
Invero negli ultimi anni il Giudice nazionale si è attenuto maggiormente ai criteri
interpretativi ed agli standard dettati dalla Corte Europea Diritti Umani, conformandosi ai suoi parametri anche sotto l’aspetto quantitativo e riconoscendo tra • 1.000
fino ad • 2.000 per ogni anno di ritardo a seconda delle situazioni giuridiche soggettive
in gioco.
Tuttavia vi è ancora una incisiva differenza: il Giudice di Strasburgo liquida le
predette somme per ogni anno di durata del processo, mentre le Corti nazionali,
attenendosi alla lettera della Legge Pinto, continuano a considerare ancora il solo
periodo eccedente la ragionevole durata, con evidente e conseguente riduzione
dell’entità della liquidazione del danno.
La Corte Europea infatti, una volta accertato che un procedimento è irragionevolmente lungo, procede a quantificare il danno tenendo conto dell’intera durata del
processo (ad esempio quantifica in • 1.000,00 il danno per ogni anno di un processo
irragionevolmente durato sei anni (invece di tre) e quindi l’importo complessivo
liquidato è pari a • 6.000.
Secondo la legge Pinto, invece, il criterio di liquidazione è diverso e meno
satisfattivo considerato che l’art. 2 prevede espressamente che “Il giudice determina
la riparazione a norma dell’art. 2056 c.c. osservando le seguenti disposizioni: a)
rileva solamente il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole di
cui al comma uno”. Con lo stesso esempio di cui sopra si arriva alla liquidazione di
solo la metà ovvero del periodo eccedente la ragionevole durata (3 anni), cioè • 3.000.
Ci si augura per il futuro che anche le Corti italiane, siano più sensibili e, quindi,
più generose nella liquidazione del danno per violazione al diritto soggettivo e proprio
della persona, costituzionalmente protetto, a che ogni persona veda trattata la propria
causa equamente ed in tempi ragionevoli.
Avv. Cristiana Consalvi (Direttivo A.Gi.For – Commissione Giovani Ordine degli
Avvocati di Roma).
Avv. Cristiana Consalvi
FORO ROMANO 2/2007
371
IL NOSTRO MONDO
NASCE LA CAMERA ARBITRALE
DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI ROMA
Il processo civile italiano somiglia sempre di più ad un dinosauro, sopravvissuto
miracolosamente all’impatto del meteorite, che si aggira smarrito in un mondo
diverso dal suo, un mondo nel quale non si riconosce.
Nonostante le ripetute novelle succedutesi dal 1940 ad oggi, l’impianto formalistico e le cadenze temporali del sistema processuale di questo Paese non sono
cambiate, anzi si sono per certi aspetti aggravate risultando oggi lontanissime dalle
esigenze dell’economia degli scambi della società contemporanea caratterizzata da
tempi sempre più veloci.
La situazione, da tempo insostenibile, si va aggravando ogni giorno di più per
la insufficienza delle risorse umane e finanziarie che l’esecutivo, di qualunque
colore politico, rifiuta di fornire alla giustizia civile.
Perfino Draghi, Governatore della Banca d’Italia, nella sua relazione di fine
maggio ha denunciato, evento senza precedenti, gli effetti disastrosi delle carenze
della giustizia civile sullo sviluppo del Paese.
Vede dunque opportunamente la luce, dopo breve gestazione, la Camera
Arbitrale dell’Ordine degli Avvocati di Roma; un nuovo e prezioso strumento per
la soluzione delle controversie che si colloca nella linea delle ADR (Alternative
Dispute Resolutions” – arbitrati, conciliazioni – di derivazione anglosassone ormai
largamente praticate non solo quale rimedio all’inefficienza del sistema giudiziario
ma quale strumento di soluzione dei conflitti adeguato alle esigenze e ai tempi della
economia contemporanea e in genere della dinamica sociale ormai incompatibili
con quelli della giustizia ordinaria.
Si tratta inoltre di una iniziativa per un verso dovuta, per altro verso indifferibile:
dovuta in quanto, come è noto, l’Unione Europea da tempo ha segnalato e
raccomandato l’adozione di strumenti per la soluzione stragiudiziale delle controversie, indifferibile perché si moltiplicano ormai le Camere Arbitrali e gli Organismi
di Conciliazione segnatamente dopo le modifiche alla disciplina dell’Arbitrato
introdotte dal D. lgs. 2.02.2006 n. 40 e l’introduzione delle procedure di conciliazione e arbitrato nelle materie di cui ai titoli V e VI del D. lgs. n. 5/03 seguito dal
D.M. n. 222/04 recante i criteri e le modalità di iscrizione degli Organismi di
Conciliazione.
Senza parlare di iniziative già da tempo in essere quali le Camere Arbitrali
istituite con L. 580/93 operanti attraverso la fitta rete delle Camere di Commercio.
In Italia complessivamente il fenomeno dell’arbitrato e della conciliazione,
entrambi riconducibili allo schema delle ADR, ha avuto già concrete e rilevanti
attuazioni, basti pensare alla procedure attivate presso Telecom, all’Ombudsman
372
FORO ROMANO 2/2007
IL NOSTRO MONDO
bancario, alla Camera Arbitrale in Agricoltura, alla Camera dei Lavori Pubblici e,
largamente popolare per recenti vicende sportive, alla Camera di Conciliazione per
lo Sport; senza parlare delle procedure di conciliazione nella contrattazione
collettiva del lavoro pubblico e privato, delle molteplici iniziative di uguale oggetto
a livelli locali.
A livello europeo basti ricordare poi la Cour Européenne d’Arbitrage, la
International Chamber of Commerce di Parigi.
Si tratta insomma di una esigenza imposta dall’attualità rispetto alla quale
l’Ordine Forense rischiava di rimanere escluso pur essendo in grado di offrire un
servizio di alto livello e di indiscutibile pregio.
Di più, le ADR promosse dal Consiglio dell’Ordine non sottrarranno agli
Avvocati occasioni di lavoro ma al contrario ne dilateranno gli spazi e le specificità
professionali sia quali arbitri sia quali conciliatori sia quali difensori e/o consulenti
delle parti nelle procedure di ADR.
Di qui l’esigenza che gli stessi Colleghi si rendano promotori, già nella fase di
consulenza e assistenza contrattuale, dell’inserimento nei contratti di clausole
compromissorie o della stipula di compromessi per arbitrato amministrato secondo il regolamento della Camera Arbitrale Nazionale e Internazionale dell’Ordine degli Avvocati di Roma.
Per quanto necessario il regolamento e i formulari sono attingibili sul sito del
Consiglio dell’Ordine di Roma.
Avv. Giorgio della Valle
FORO ROMANO 2/2007
373
IL NOSTRO MONDO
NECROLOGI
IN RICORDO DI CARLO FORNARIO
Breve riassunto delle parole pronunciate al Consiglio dell’Ordine il 14/6/06
Avevo preparato una scaletta; purtroppo i miei occhi non mi permettono di leggere,
quindi mi affido alla memoria che mi è rimasta e all’improvvisazione.
Accennerò il ricordo di Carlo Fornario sotto tre aspetti: l’amico, l’avvocato e l’uomo.
a. I miei rapporti di amicizia non hanno data d’inizio. Ed è stato un sentimento vero,
sincero e palese. Avevamo due caratteri tutt’affatto diversi – sempre sereno e tranquillo lui,
io quasi sempre intransigente su alcuni punti e spesso reattivo – ma ci ha sempre unito
l’identità e il rispetto di certi fondamentali valori che non possono non essere comuni a chi
crede nella solidarietà umana, oltre la profonda stima reciproca. Malato, nella impossibilità
di presenziare le udienze del Tribunale, mi chiamò per pregarmi di discutere in Cassazione
un suo ricorso, il che mi dimostrò ancora una volta la fiducia che egli aveva in me. Se mal
non ricordo, la causa andò male (certamente per mia colpa perché Carlo aveva scritto
un’ottima difesa!).
b. Come avvocato non posso non ricordarne, oltre la conoscenza della legge, lo studio
attento della specie di fatto e la chiarezza con la quale esponeva le sue tesi davanti ai giudici,
sempre con grande tranquillità. Lavoratore indefesso; so che dormiva poco e, specialmente
quando ricopriva la carica – che tenne a lungo – di Presidente del Consiglio dell’Ordine di
Roma studiava i fascicoli alle luci dell’alba.
c. Ma il ricordo di Carlo riguarda soprattutto l’uomo, la sua modestia, la sua umiltà, il
suo equilibrio, virtù queste proprie di chi sa di valere. Negli anni in cui feci parte del
Consiglio dell’Ordine di Roma che egli presiedeva con grande diligenza, prestigio e
passione, non posso dimenticare quando il mio fervore nella trattazione di problemi,
specialmente deontologici, portava al dissenso con qualche collega Carlo interveniva con
calma e saggezza. Solo una volta, quando forse io ero andato oltre un certo limite, egli
fermamente ma anche affettuosamente mi disse: Enrico adesso basta. La personalità
dell’uomo era completata dall’amore per la musica lirica e sinfonica che egli prediligeva,
forse, più del diritto.
Credo di aver detto di Carlo Fornario quello che l’animo mi ha dettato.
Avv. Enrico Biamonti
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FORO ROMANO 2/2007
IL NOSTRO MONDO
Prof. Avv. Adelmo Manna
DISCORSO IN OCCASIONE DELLA COMMEMORAZIONE DELL’AVV. GABRIELLA NICCOLAJ
13 dicembre 2005 - Aula degli Avvocati del Palazzo di Giustizia
Piazza Cavour di Roma
Sono profondamente grato all’Ordine degli Avvocati di Roma, ed in particolare al suo
Presidente, Avv. Alessandro Cassiani, alla Camera Penale di Roma ed al suo Presidente, Avv.
Renato Borzone, per avere indetto questa cerimonia commemorativa in onore di mia madre,
Avv. Gabriella Niccolaj.
Sono altresì sinceramente grato a tutti gli intervenuti, che con la loro presenza hanno voluto
onorare la memoria di mia madre, e soprattutto ringrazio i Conss. Paolo Colella ed Adelchi
d’Ippolito, del Tribunale penale di Roma, per le belle parole con le quali hanno voluto ricordare
mia madre, nei loro interventi.
Il fatto che questa commemorazione si svolga nell’Aula degli Avvocati del Palazzo di
Giustizia di Roma è significativa.
In quest’Aula infatti, in epoca fascista, si svolgevano i processi innanzi al Tribunale Speciale
per la difesa dello Stato, tra i quali ricordiamo, tra l’altro, e non solo per l’importanza ed il calibro
morale e politico degli imputati, il c.d. ‘processone’, a carico di Gramsci, Terracini, ed altri
esponenti della vita politica del Paese, di assoluto rilievo.
In quel processo mio nonno, Avv. On. Adelmo Niccolaj, difendeva uno degli imputati, come
sempre devoto alla causa del garantismo individuale e dell’ideologia socialista.
Ed è proprio lungo il crinale delle più alte idee socialiste che si dipana il ‘filo rosso’ che unisce
mia madre a suo padre, l’Avv. On. Adelmo Niccolaj.
Erano infatti entrambi strenui sostenitori delle idee socialiste, proprie di un socialismo di tipo
non già marxista-ortodosso, dalla matrice principalmente economico-massimalista, ma di
ascendenza, invece, soreliana, nel quale quindi prevalente era la componente lato sensu’giuridica’, intesa quale affermazione della eguaglianza giuridico-sociale di tutte le persone, indipendentemente dagli status e dalle condizioni socio-economico-culturali loro proprie, nella prospettiva
(ispiratrice del principio di cui al capoverso dell’art. 3 Cost.) di un superamento delle disuguaglianze che caratterizzano la società moderna, dal suo nascere.
Tale concezione del socialismo, cui mia madre (come già suo padre) è stata sempre fedele,
si fonda in primo luogo essenzialmente sulla sinergia funzionale che lega i valori della libertà e
dell’eguaglianza, secondo una prospettiva di ascendenza illuministica che assegna ai diritti
fondamentali della persona ed all’eguaglianza delle persone nel diritto e di fronte ad esso il ruolo
primario nella costruzione della società, rappresentando essi stessi ad un tempo il fine ultimo
dello Stato di diritto ed il criterio di legittimazione esterna del potere statuale.
In tale prospettiva, sempre cara a mia madre, gioca un ruolo fondamentale il diritto alla
difesa, inteso quale diritto fondamentale ed inviolabile della persona, presupposto per la tutela
del cittadino rispetto a possibili’abusi del diritto’, conditio sine qua non della garanzia di un corretto
esercizio del potere e del diritto nel contesto dei rapporti tra cittadino e Stato; come del resto
sancito dall’art. 24 Cost., dall’art. 6 della Carta europea dei diritti dell’Uomo, dall’art. 9 della
Carta di Nizza, ora trasfusa nella Costituzione Europea.
Ed è con lo spirito della più strenua fedeltà a questa finalità individual-garantista del diritto
di difesa, inteso quale diritto fondamentale ed inviolabile della persona, che mia madre ha svolto
FORO ROMANO 2/2007
375
IL NOSTRO MONDO
il suo ruolo di avvocato, ricoprendo peraltro incarichi di assoluto rilievo, tra i quali in particolare
quello di Consigliere tesoriere dell’Ordine degli Avvocati di Roma, dal 1962 al 1971; quello di
Tesoriere della Camera Penale di Roma (nel 1966, sotto la Presidenza dell’Avv. Nicola Madia,
con il Segretariato dell’Avv. Pietro d’Ovidio), facendo peraltro parte del Consiglio Direttivo
della medesima Camera Penale per molti anni e contribuendo in maniera determinante alla
nascita di quell’ente di coordinamento di estrema rilevanza che è l’Unione delle Camere Penali.
L’assoluta rilevanza degli incarichi svolti da mia madre appare del resto di spessore ancora
maggiore ove si consideri come, nei primi anni sessanta, l’accesso alle donne alle professioni
forensi fosse notevolmente limitato e tendenzialmente ostacolato da pregiudizi sessisti e
culturali.
Mia madre fu infatti tra le prime donne in Italia ad occuparsi della giustizia penale, favorendo
ed impegnandosi a fondo per il riconoscimento alle donne dei diritto di accesso alla magistratura.
E’ stata peraltro attiva partecipante all’Unione delle Donne Giuriste, sostenendo come la
lotta per l’eguaglianza delle persone non possa prescindere dal riconoscimento della parità dei
diritti e delle libertà ad ambo i sessi, ed evidenziando come il diritto rappresenti il terreno
essenziale per l’affermazione di questi principi.
Nel 1986 ha svolto un ruolo di notevole rilevanza quale socio fondatore e componente del
Collegio dei Probiviri (dal 1986 al 1992) dell’Associazione ‘Consulta per la Giustizia Europea dei
Diritti dell’uomo’, Associazione avente per scopo principale quello di “diffondere negli enti
associati la conoscenza dei diritti umani e dei relativi strumenti di tutela giurisdizionale davanti
alla magistratura italiana ed altri organi internazionali competenti ed in particolare davanti agli
organi giurisdizionali di Strasburgo (Commissione europea e Corte europea dei Diritti dell’Uomo), in forza della legge italiana del 4 agosto 1955, n. 848, che ha recepito nel nostro
ordinamento nazionale la Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo ed in particolare dell’art.
25 della stessa Convenzione che, dall’1 agosto 1973 anche in Italia, consente il ricorso di ogni
persona fisica, ogni organizzazione non governativa o gruppo di privati che pretenda di essere
vittima di una violazione da parte dello Stato italiano dei diritti riconosciuti dalla citata
Convenzione”.
L’avv. Gabriella Niccolaj è stata inoltre socia fondatrice e Presidente del Lions Club Roma
‘Augustus’, partecipando attivamente alla vita dell’Associazione.
Dei suoi oltre cinquant’anni di professione io ricordo, per delicatezza della materia trattata,
nonché per il ruolo di assoluto rilievo che ivi ebbe mia madre, uno degli ultimi processi che
abbiamo svolto insieme, il processo Fronteddu, vertente su un caso di maltrattamenti in famiglia,
commessi dalla madre della vittima in concorso con suo cognato (padre della bambina).
Questo processo ha rappresentato un’occasione di strenuo scontro non soltanto tra due
donne dalla personalità estremamente forte e determinata (mia madre da un lato ed il Pubblico
Ministero dall’altro, la Dr.ssa Lina Cusano), ma anche e soprattutto tra due interpretazioni del
ruolo della donna e della finalità stessa del diritto penale, nella sua perenne tensione tra istanze
individualgarantiste da un lato ed esigenze socialdifensive e generalpreventive dall’altro.
Concluderei questo mio breve intervento parafrasando le parole che il Prof. Giorgio
Marinucci utilizzò per uno dei miei due Maestri (l’altro è il Prof. Giuliano Vassalli), Prof. Franco
Bricola, in occasione della sua commemorazione.
Non potrei infatti descrivere mia madre con parole diverse da queste: una donna piccola,
fisicamente minuta; modesta perché mai ha dimostrato la consapevolezza della sua levatura,
morale, professionale, giuridica; grande, come spero di avere illustrato con le mie parole.
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FORO ROMANO 2/2007
IL NOSTRO MONDO
Abbiamo ricevuto numerose lettere di solidarietà da parte di tutti i Consigli dell’Ordine
degli Avvocati italiani e Istituzioni sulla grave iniziativa del Ministro di Giustizia di
sfrattarci dalla nostra sede storica del Palazzo di Giustizia di Roma che portiamo a
conoscenza di tutti i Colleghi.
Nota di Redazione
SFRATTO DALLA STORICA SEDE
La solidarietà da parte di tutti i Consigli dell’Ordine degli Avvocati italiani
che insorgono contro l’assurda decisione di sfrattare
dal “Palazzaccio” di Roma il nostro Consiglio dell’Ordine
Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Bari
Estratto del verbale della seduta del 24 gennaio 2007
Omissis
Punto n. 2 all’Ordine del Giorno
(Comunicazioni del Presidente, Segretario e Tesoriere)
Il Consiglio, delibera di integrare il precedente verbale esprimendo la solidarietà al Consiglio
dell’Ordine di Roma per il preannunciato “sfratto” dalla sede in piazza Cavour, altresì il proprio
disappunto per l’improvvida iniziativa che dimostra la insensibilità verso la Avvocatura tutta.
Omissis
E’ copia conforme all’originale
Bari, 5 febbraio 2007
Il Consigliere Segretario
Avv. Giovanni Schiavoni
Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Bologna
Estratto dal libro dei verbali del Consiglio Ordine Avvocati di Bologna
Adunanza del 26 febbraio 2007
Omissis
3) COMUNICAZIONI DELLA PRESIDENZA
Omissis
L’anno 2007, e questo giorno di lunedì 26 del mese di febbraio, alle ore 15.30 si è riunito
nella sua Sede il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, presenti gli Avvocati:
STRAZZIARI LUCIO PRESIDENTE – CALLEGARO SANDRO Segretario f.f. – ATTI
ANNALISA – BERTI ARNOALDI VELI GIOVANNI – CLAUSI-SCHETTINI GUIDO –
CRISTONI CLAUDIO – MASE’ DARI FLAVIA – PACIFICO FAUSTO SERGIO – SPINZO
ANTONIO – ZAMBELLI TIZIANA
Omissis
3) COMUNICAZIONI DELLA PRESIDENZA
Omissis
4) Riferisce il Presidente avv. Lucio Strazziari sulla nota 21 dicembre 2006, con cui il Presidente
dell’Ordine Forense di Roma, avv. Alessandro Cassiani, segnala che il Ministro della Giustizia,
on. Clemente Mastella, su iniziativa del Presidente dott. Marvulli, intende emettere un decreto
con il quale verrebbe disposto il rilascio dei locali di Piazza Cavour a Roma, nei quali ha sede,
da oltre cento anni, il Consiglio dell’Ordine Forense di Roma.
FORO ROMANO 2/2007
377
IL NOSTRO MONDO
All’esito del riferimento,
IL CONSIGLIO
- ritenuto che tale iniziativa, ove attuata, finirebbe per rappresentare inaccettabile delegittimazione della Avvocatura del Foro di Roma, il cui Consiglio trova da sempre collocazione
nell’edificio ove ha sede la più alta Autorità Giudiziaria, nel pieno riconoscimento della classe
forense quale componente fondamentale della giurisdizione;
MANIFESTA
contrarietà e sorpresa per tale iniziativa, ed
ESPRIME
piena solidarietà al Consiglio dell’Ordine Forense di Roma, e a tutti i Colleghi del detto Foro, e
SOLLECITA
tutte le Autorità preposte ad intervenire per evitare che possa avere attuazione la detta iniziativa
che pregiudicherebbe non solo l’Ordine Forense di Roma, ma l’intera Avvocatura Italiana.
Omissis
IL SEGRETARIO
IL PRESIDENTE
F.to Avv. Sandro Callegaro
F.to Avv. Lucio Strazziari
Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Bolzano
ESTRATTO DAL VERBALE DELLA SEDUTA DEL CONSIGLIO DEL 19.01.2007
IL CONSIGLIO
(omissis da 1 a 51)
52) Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Bolzano, vista la nota del Presidente del
Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma, Avv. Alessandro Cassiani, con la quale è stata
segnalata la fondata preoccupazione che per iniziativa del Ministero di Giustizia venga meno
la disponibilità dei locali in uso al Consiglio presso la sede della Suprema Corte di Cassazione;
considerato che da ben 100 anni tali uffici sono simbolo di riferimento non solo per l’Avvocatura romana ma per tutta l’Avvocatura italiana, che l’ubicazione degli uffici dell’ordine nella
stessa sede dell’Alta Magistratura costituisce il dovuto riconoscimento, formale e sostanziale,
del ruolo svolto dall’Avvocatura;
delibera
di esprimere piena ed assoluta solidarietà al Consiglio dell’Ordine di Roma ed ai Colleghi tutti
di quell’Ordine, e, contestato comunque il metodo adottato, auspica un pronto ripensamento.
(omissis)
Il Consigliere Segretario
Il Presidente
f.to avv. Maria Carmela CARRIERE
f.to avv. Peter PLATTER
Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Cagliari
Caro Alessandro,
Ti comunico che il Consiglio, nella seduta dell’8 gennaio scorso, ha deliberato
all’unanimità di esprimere incondizionata solidarietà all’intera Avvocatura Romana invitando,
per il Tuo tramite, il Ministro a recedere dall’improvvida iniziativa di sottrarre al Consiglio
dell’Ordine i locali siti presso la Suprema Corte di Cassazione.
Questo Consiglio ha rilevato, a riguardo, che la sede del C.O.A. di Roma presso i suddetti
locali ha un insostituibile valore, non soltanto simbolico, riferito al ruolo dall’Avvocatura
378
FORO ROMANO 2/2007
IL NOSTRO MONDO
nell’ambito dell’amministrazione della giustizia, e costituisce altresì un punto di riferimento per
l’Avvocatura Italiana tutta.
Con affetto e stima.
Il Presidente
(Avv. Ettore Atzori)
Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Castrovillari
L’anno 2007, il giorno 23 del mese di gennaio, alle ore 16:00, si è riunito il Consiglio
dell’Ordine Forense con l’intervento dei sigg. avvocati:
Avv. Mario Rosa Presidente, Avv. Maria Teresa Vincenzi Consigliere Segretario, Avv.
Elio Stabile Consigliere Tesoriere, e i Consiglieri: Avv. Alfredo Ceccherini, Avv. Alessandro Ferrara, Avv. Francesco Paolo Gallo, Avv. Loredana Ferraina, Avv. Gaetano M.
Bloise, Avv. Giorgio Pisani
OMISSIS
Il Consiglio
letta la comunicazione n. 971 del 15/01/2007, del Presidente dell’Ordine di Roma, relativa alla
preannunciata intenzione da parte del Ministro della Giustizia di far venir meno la disponibilità
dei locali in uso al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma all’interno della sede della
Corte di Cassazione, ove ha sede da oltre 100 anni;
considerato
che la presenza dell’Ordine romano nel Palazzo della Suprema Corte è da sempre punto di
riferimento di tutta l’Avvocatura italiana e che l’ubicazione dei detti uffici nel Palazzo di
Giustizia costituisce il dovuto riconoscimento, formale e sostanziale, del ruolo svolto dall’Avvocatura; all’unanimità
delibera
di esprimere fermo dissenso e contrarietà per l’inopportuna riferita iniziativa, nonché la propria
solidarietà nei confronti del Consiglio dell’Ordine di Roma, con l’auspicio di un immediato
ripensamento.
f.to Il Consigliere Segretario
Avv. Maria Teresa Vincenzi
f.to Il Presidente
Avv. Mario Rosa
Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Gorizia
ESTRATTO DEL VERBALE N. 3
del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Gorizia del giorno 7 febbraio 2007.
Sono presenti gli avv.ti: GARLATTI Bruno, MULITSCH Paolo, RUSSO Alfredo, MACORATTI Piero e CAVALLO Stefano.
OMISSIS
Presiede l’avv. Bruno Garlatti e verbalizza l’avv. Paolo Mulitsch.
OMISSIS
Il Consiglio,
- sentita la relazione del Presidente,
- letta la nota del 21 aprile 2006, con la quale il Presidente del Consiglio dell’Ordine degli
Avvocati di Roma, avv. Alessandro Cassiani, ha comunicato che, su iniziativa del
FORO ROMANO 2/2007
379
IL NOSTRO MONDO
Primo presidente della Corte di Cassazione, il Ministro della Giustizia, on. Clemente
Mastella sta per emanare un decreto con ordine a detto Consiglio, di rilasciare i locali,
siti nel Palazzo di Giustizia di Piazza Cavour, ove è la sede del Consiglio da oltre 100
anni,
- rilevato che la naturale sede del Consiglio dell’Ordine di Roma non può che essere quella
attuale, nel palazzo di Giustizia di Piazza Cavour, che rappresenta un punto di
riferimento per gli Avvocati di tutta Italia;
- ritenuto che la minaccia di “sfratto” da parte del Primo Presidente della Corte di
Cassazione e del Ministro della Giustizia rappresenta un inaudito atto di autorità, che
viene a mortificare non solo l’Avvocatura Romana ma la intera Avvocatura Italiana;
delibera
di esprimere lo sdegno e la indignazione della classe forense di Gorizia per la iniziativa del
Primo Presidente della Corte di Cassazione e per il paventato intervento del Ministro della
Giustizia,
auspica
l’intervento del Presidente della Repubblica, del Presidente della Camera e del Senato, del
Presidente del Consiglio dei Ministri, del Presidente della Regione Lazio, della Provincia
e del Sindaco di Roma, del Presidente del Consiglio Nazionale Forense e di tutti gli Ordini
Forensi d’Italia, allo scopo di evitare che il minacciato provvedimento venga posto in
essere,
invita
il Presidente del Consiglio Nazionale Forense e tutti i Presidenti degli Ordini Forensi di
Italia ad adottare le più opportune iniziative, per impedire che venga ulteriormente
mortificata la dignità dell’intera Avvocatura, già ampiamente mortificata da tutti i recenti
provvedimenti legislativi.
OMISSIS
IL CONSIGLIERE SEGRETARIO
(avv. Paolo Mulitsch)
IL PRESIDENTE DELL’ORDINE
(avv. Bruno Garlatti)
Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Latina
VERBALE DELLA SEDUTA DEL 13/02/2007
OMISSIS
Sul VII° punto all’o.d.g.
OMISSIS
il Consiglio, vista la nota del 21/12/2006 del Presidente del Consiglio dell’Ordine degli
Avvocati di Roma, Avv. Alessandro Cassiani, con la quale si segnala la preoccupazione che
venga meno la disponibilità dei locali di Piazza Cavour – Roma presso la sede della Suprema
Corte di Cassazione, ove ha sede il Consiglio dell’Ordine di Roma da oltre 100 anni;
UDITA
la relazione del Presidente;
RITENUTO
che la presenza del detto Consiglio nella storica sede rappresenta un riconoscimento e
riferimento non solo per l’Avvocatura romana, ma per tutta l’Avvocatura italiana;
MANIFESTA
380
FORO ROMANO 2/2007
IL NOSTRO MONDO
la propria contrarietà ed indignazione per l’iniziativa adottata;
ESPRIME
profonda e sentita solidarietà al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma;
SOLLECITA
l’intervento autorevole da parte delle Istituzioni della Repubblica e degli Organismi Nazionali
Istituzionali e Politici della Avvocatura;
INVITA
il Presidente della Corte di Cassazione a desistere dalla indicata iniziativa tesa ad allontanare
il Consiglio dell’Ordine dalla sua naturale e storica sede
DICHIARA
la disponibilità a fornire sostegno in ogni sede.
Latina, 13 febbraio 2007
Il Consigliere Segretario
Avv. Giovanni Lauretti
Il Presidente
Avv. Giovanni Malinconico
Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Messina
L’anno duemilaesette, il giorno 24 del mese di gennaio, alle ore 16,00 in Messina, nei soliti
locali, si è riunito il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Messina con l’intervento dei
signori:
omissis
Il Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Roma, con lettere pervenute il 19.01.07 prot.
n. 291 e il 29.12.06, prot. n. 4550, ha denunziato il rischio che l’Ordine degli Avvocati di Roma
sia “sfrattato” dalla storica sede del Palazzo Cavour.
Il Consiglio delibera di esprimere la propria contrarietà e dissenso per l’iniziativa certamente inopportuna, ingiustificata ed offensiva per l’intera Avvocatura; auspica che il Ministro della
Giustizia non emetta l’annunciato decreto; invita tutte le Autorità competenti ad intervenire in
favore dell’Avvocatura romana alla quale esprime solidarietà, condividendone tutte le iniziative di contrasto che saranno assunte.
Omissis
Il Consigliere Segretario f.f.
f.to avv. Vincenzo Ciraolo
Il Presidente
f.to avv. Francesco Marullo di Condojanni
Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Pistoia
Riunione consiliare del 26 gennaio 2007
Omissis
“Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Pistoia all’unanimità
LETTA
la nota del 21/12/06 e del 15/1/07 del Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di
Roma, avv. Alessandro Cassiani, il quale comunica che, su iniziativa del Primo Presidente della
Corte di Cassazione, dott. Marvulli, il Ministro della Giustizia, On. Clemente Mastella, sarebbe
FORO ROMANO 2/2007
381
IL NOSTRO MONDO
in procinto di sottoscrivere un decreto che dispone il rilascio, da parte del Consiglio dell’Ordine
di Roma, dei locali di Piazza Cavour – Roma presso il Palazzo di Giustizia, ove lo stesso ha sede
da oltre 100 anni;
MANIFESTA
Sorpresa per una iniziativa che appare inopportuna e in contrasto con gli interessi, la dignità
degli avvocati di Roma e dell’intera avvocatura
SOLLECITA
l’autorevole intervento di tutte le Autorità preposte, per evitare che venga posto in essere un atto
che punirebbe non solo l’Ordine di Roma ma l’intera Avvocatura Italiana”.
Omissis
Il Consigliere Segretario
Il Presidente
Avv. Giuseppe Alibrandi
avv. Giancarlo Bellizzi
Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Potenza
Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Potenza, nella riunione consiliare del 25 gennaio
2007,
letta la nota del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma del 21.12.2006 con la quale si
lamenta l’imminente emanazione di un decreto ministeriale che dovrebbe disporre il rilascio da
parte del Consiglio di Roma della sede di Via Cavour,
ha deliberato
di manifestare il proprio dissenso per l’improvvida iniziativa e di esprimere solidarietà agli
Avvocati del Foro di Roma;
e di sollecitare
l’intervento di tutte le autorità preposte perché impediscano l’emissione dell’annunziato
decreto.
IL CONSIGLIERE SEGRETARIO
Avv. Enzo Sarli
IL PRESIDENTE
Avv. Michele Valente
Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Reggio Emilia
L’anno 2007 e questo giorno 29 del mese di gennaio alle ore 15.00 presso la sede del Consiglio
dell’Ordine sono presenti:
PRESIDENTE Avv. Eugenio Chierici
SEGRETARIO Avv. Tiziana Ficarelli
TESORIERE Avv. Alessandro Verona
Consiglieri Avv.ti: CARMELO CATALIOTTI, RAFFAELE COLUCCIO, CECILIA BARILLI, LUIGI ALBERTINI, DOMENICO NORIS BUCCH, ENRICA SASSI, BENSO TIRELLI,
MONICA RANELLUCCI, BRUNO PEZZAROSSI
Assenti giustificati: AVV. MARIO BURANI, STEFANO COSCI, BRUNELLA BERTANI
Omissis
MANIFESTAZIONE DI SOLIDARIETA’ ALL’ORDINE
DEGLI AVVOCATI DI ROMA
Il Consiglio,
letta
la nota del 21.12.2006 del Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma, avv.
Alessandro Cassiani, il quale lamenta che, su iniziativa del Presidente dott. Marvulli, il Ministro
382
FORO ROMANO 2/2007
IL NOSTRO MONDO
della Giustizia, On. Clemente Mastella, è in procinto di sottoscrivere un decreto che dispone il
rilascio, da parte del Consiglio dell’Ordine di Roma, dei locali di Piazza Cavour – Roma presso
il Palazzo di Giustizia, ove lo stesso ha sede da oltre 100 anni;
manifesta
disappunto per una iniziativa inopportuna e ingiustificata.
Sollecita
l’autorevole intervento di tutte le Autorità preposte, per evitare che venga posto in essere un atto
che punisce indebitamente non solo l’Ordine di Roma, ma l’intera Avvocatura Italiana.
Omissis
IL PRESIDENTE
IL SEGRETARIO
f.to Avv. Eugenio Chierici
f.to Avv. Tiziana Ficarelli
Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Spoleto
Il giorno cinque del mese di febbraio dell’anno duemilasette si è riunito il Consiglio dell’Ordine
degli Avvocati di Spoleto, per deliberare sui seguenti punti all’ordine del giorno:
- OMISSIS SOLIDARIETA’ AL CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI ROMA
Il Consiglio, ESAMINATA la nota con cui il collega Alessandro Cassiani, nella sua qualità di
Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Roma, segnala il concreto ed imminente pericolo che
il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma venga “sfrattato” dalla storica e prestigiosa
sede di Piazza Cavour; RILEVATO che vicende di questo tipo, per lo stravolgimento che
verrebbero a determinare devono essere innanzitutto accuratamente ponderate e discusse,
tenendo conto delle esigenze di tutti i soggetti coinvolti; RILEVATO altresì che la presenza
dell’ordine degli Avvocati di Roma nella sede di Piazza Cavour costituisce da sempre punto di
riferimento dell’intera Avvocatura italiana e simbolo del ruolo essenziale ed imprescindibile
che l’Avvocatura stessa deve ricoprire nella amministrazione della Giustizia e del riconoscimento che ad essa è dovuto da parte delle Istituzioni; DELIBERA, all’unanimità, di esprimere
piena e motivata solidarietà al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma, auspicando al
riguardo un pronto ripensamento.
- OMISSIS Del chè il presente verbale, letto, confermato e sottoscritto.
Il Presidente
F.to Paolo Feliziani
Il Segretario
F.to Maria Letizia Angelini Paroli
Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Tolmezzo
Verbale di adunanza del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Tolmezzo in data 21 febbraio
2007 alle ore 11.00.
Sono presenti i Signori:
Avv. Silvio Beorchia Presidente, Avv. Piero Cella Consigliere Segretario, Avv. Francesco
Marcolini Consigliere Tesoriere, e i Consiglieri Avv. Barbara Comparetti, Avv. Francesco
Vespasiano, Avv. Daniela Cattarino, Avv. Giunio Pedrazzoli
Il Consiglio dell’Ordine,
Letta la nota in data 21 dicembre 2006 del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma;
FORO ROMANO 2/2007
383
IL NOSTRO MONDO
Preso atto che il primo Presidente ed il V. Presidente della Corte di Cassazione hanno espresso
la volontà di “sfrattare” il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma dal Palazzo di Piazza
Cavour;
Considerato che il Consiglio dell’Ordine di Roma ivi ha la storica sede da oltre cento anni;
che il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati è un’Istituzione rappresentativa dell’Avvocatura,
vale a dire di una parte essenziale ed imprescindibile per l’amministrazione della Giustizia;
ritenuto che non vi sono plausibili motivi per allontanare il Consiglio dell’Ordine privilegiando
la permanenza di Enti, ivi allocati, non funzionali rispetto all’attività giudiziaria;
ESPRIME
Profonda solidarietà al Consiglio dell’ordine degli Avvocati di Roma e si associa alla protesta
avanzata e
DICHIARA
La disponibilità a fornire sostegno in ogni sede.
Il Presidente
Il Consigliere Segretario
Avv. Silvio Beorchia
avv. Piero Cella
Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Trani
Delibera 8/2/2007 n. 1530
IL CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI TRANI
nella seduta dell’8/2/2007, all’unanimità, delibera quanto segue:
LETTE
le note del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma del 28/12/2006, prot. 3066/06, e del
18/1/2007, prot. 174/07, con le quali si segnala la fondata preoccupazione che l’Ordine di Roma
venga privato della sua sede, storicamente risalente ad oltre cento anni, presso il Palazzo della
Corte Suprema di Cassazione a Piazza Cavour, a seguito della iniziativa della Presidenza della
Corte di Cassazione e della paventata adesione del Ministro della Giustizia,
CONSIDERATO
che la sede dell’Ordine di Roma nel palazzo della Corte Suprema di Cassazione costituisce
punto di riferimento, sia ideale che funzionale, non solo per l’Avvocatura romana ma per tutta
l’Avvocatura italiana,
ESPRIME
sconcerto e vibrata protesta verso l’ingiustificata iniziativa e piena solidarietà al Consiglio
dell’Ordine di Roma e a tutta l’Avvocatura romana,
AUSPICA
il pronto intervento delle Autorità istituzionali e politiche sia dello Stato che dell’Avvocatura
per evitare che la paventata eliminazione della sede abbia luogo,
DISPONE
l’invio di copia della presente delibera al Presidente della Repubblica, al Presidente del
Consiglio dei Ministri, al Ministro della Giustizia, al Presidente della Corte di Cassazione, al
Presidente del Consiglio Nazionale Forense, al Presidente della Cassa Forense, al Presidente
dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura, al Presidente del Consiglio dell’Ordine di Roma, a
tutti i Presidenti degli Ordini nazionali ed ai Presidenti delle Associazioni Nazionali Forensi.
F.to Il Consigliere Segretario
avv. Salvatore Pasquadibisceglie
384
F.to Il Presidente
avv. Bruno Pietro Logoluso
FORO ROMANO 2/2007
IL NOSTRO MONDO
Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Velletri
OMISSIS
Il Presidente riferisce della missiva dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma con la
quale si porta a conoscenza che è stata proposta la loro estromissione da Piazza Cavour.
Il Consiglio
dopo ampia discussione all’unanimità delibera di approvare il seguente documento:
IL CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI VELLETRI
Letta
La comunicazione inviata il 21.12.2006 dal Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Roma
Avv. Alessandro Cassiani, con la quale segnala il paventato “sfratto” del Consiglio dalla sua
naturale sede di Piazza Cavour;
rilevato
che la sede del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma è ubicata da oltre un secolo nei
locali di Piazza Cavour;
ritenuto
che il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati è istituzione rappresentativa dell’Avvocatura ed in
particolare il Consiglio dell’Ordine di Roma può e deve ritenersi punto di riferimento dell’intera
Avvocatura italiana;
ritenuto, infine
che l’eventuale accoglimento della richiesta avanzata dal Presidente della Suprema Corte,
determinerebbe notevoli disagi all’Ordine capitolino e, quindi, ad un soggetto coessenziale per
il corretto esercizio della Giurisdizione;
esprime
la solidarietà dell’Ordine degli Avvocati di Velletri al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di
Roma ed ai colleghi tutti esercenti in quel Foro, invitando il Presidente della Corte di Cassazione
a desistere da ogni iniziativa finalizzata ad estromettere il COA di Roma dalla sua naturale sede
istituzionale.
Il Segretario
Avv. Raffaele Marchetti
Il Presidente
Avv. Giuseppe Perica
Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Vicenza
Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Vicenza, nella seduta del 24/01/2007,
LETTA
la nota del 21.12.2006 del Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma, Avv.
Alessandro Cassiani, il quale lamenta che, su iniziativa del Presidente della Corte di Cassazione,
Dott. Marvulli, il Ministro della Giustizia, On.le Clemente Mastella è in procinto di sottoscrivere un decreto che dispone il rilascio, da parte del Consiglio dell’Ordine di Roma, dei locali
di Piazza Cavour – Roma, presso il Palazzo di Giustizia, ove lo stesso ha sede da “oltre 100
anni”;
CONSIDERATO
che il paventato “sfratto” è gravemente lesivo degli interessi e della dignità dell’intera
Avvocatura;
considerato altresì che la presenza del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati e dei suoi uffici
FORO ROMANO 2/2007
385
IL NOSTRO MONDO
presso il “Palazzaccio” di Piazza Cavour a Roma costituisce un prezioso ed irrinunziabile
punto di riferimento per tutti gli Avvocati di altri distretti d’Italia che ivi si recano per
svolgere l’attività difensiva avanti alla Suprema Corte;
DELIBERA
di manifestare il proprio sdegno e la propria contrarietà avverso l’improvvida iniziativa
adottata dal Presidente Marvulli e per il paventato intervento adesivo del Ministero della
Giustizia;
SOLLECITA
l’autorevole intervento del Capo dello Stato, dei Presidenti di Camera e Senato, del
Presidente del Consiglio dei Ministri, del Presidente del Consiglio Nazionale Forense, del
Presidente dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura, dei Presidenti dei Consigli degli
Ordini degli Avvocati per evitare che venga adottato il mortificante provvedimento in
questione;
INVITA
il Presidente del Consiglio Nazionale forense, i Presidenti degli Ordini degli Avvocati ed
il Presidente dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura ad adottare ogni opportuna iniziativa al riguardo.
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FORO ROMANO 2/2007
COMUNICAZIONI E NOTIZIE
Lettere del Pres. Avv. CASSIANI Alessandro
indirizzate al Dott. SCOTTI Luigi e all’Avv. LI
GOTTI Luigi in merito a due telegrammi inviati
il 7 febbraio 2007 e il 13 febbraio 2007
all’On. MASTELLA Clemente.
Roma, 7 febbraio 2007
Preg.mo Signor
Presidente Luigi Scotti
Sottosegretario al Ministero della Giustizia
Ministero della Giustizia
Via Arenula, 71
00186 – ROMA
Egregio Presidente,
Le invio copia di un telegramma trasmesso al Ministro Mastella.
La situazione non richiede commenti.
Memore di quanto ha tentato di fare in
passato e della profonda conoscenza dei problemi che affliggono gli Operatori della Giustizia, confido in un Suo autorevole intervento.
In attesa, La ringrazio anticipatamente e
Le invio il mio più sincero saluto.
Suo
Alessandro Cassiani
Preg.mo Signor.
Avv. Luigi Li Gotti
Sottosegretario al Ministero della Giustizia
Ministero della Giustizia
Via Arenula, 71
00186 – ROMA
Caro Luigi, Ti rimetto copia di un telegramma che ho inviato al Ministro Mastella.
Sono certo che vorrai intervenire autorevolmente e tempestivamente.
Conosco infatti il Tuo attaccamento all’Avvocatura e la Tua conoscenza dei problemi che l’affliggono.
Resto in attesa di un Tuo cenno e intanto
Ti invio il mio più affettuoso saluto.
Tuo
Alessandro Cassiani
Allegato
Telegramma n. 58/A del 7 febbraio 2007
All’On. Clemente Mastella
Ministro della Giustizia
Via Arenula, 71
00186 – ROMA
Signor Ministro,
a Roma la Giustizia Civile è paralizzata.
Irrisolti problemi che investono Personale e strutture inadeguate, sono la causa di
rivendicazioni che di fatto penalizzano i cittadini e gli Avvocati i quali non possono più
assicurare l’esercizio del Diritto di Difesa,
previsto come inviolabile dalla Costituzione.
File interminabili di Operatori occupano
i corridoi degli Uffici Giudiziari in attesa di
poter accedere alle Cancellerie.
Tale insostenibile situazione è ormai esplosiva ed esige un Suo immediato intervento.
E’ ora di affrontare problematiche che da
troppi anni attendono una risposta!
Auspico che questo mio appello non resti, come è avvenuto in passato, inascoltato.
Chiedo di poterLa incontrare nelle prossime ore insieme ai Rappresentanti delle altre
categorie interessate.
In attesa di un cesso di risposta anche
telefonico, le invio i miei più cordiali saluti.
Alessandro Cassiani
Roma, 13 febbraio 2007
Preg.mo Signor
Presidente Luigi Scotti
Sottosegretario al Ministero della Giustizia
Ministero della Giustizia
Via Arenula, 71
00186 – ROMA
Egregio Presidente,
Le rimetto copia di un telegramma trasmesso oggi al Signor Ministro.
Mi appello alla Sua conoscenza dei problemi e La prego di intervenire.
FORO ROMANO 2/2007
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22/06/2007, 11:30
COMUNICAZIONI E NOTIZIE
Colgo l’occasione per ringraziarLa e Le
invio il mio più cordiale saluto.
Suo,
Alessandro Cassiani
Allegato
Telegramma n. 121GA del 13 febbraio 2007
All’On. Clemente Mastella
Ministro della Giustizia
Via Arenula, 71
00186 – ROMA
Signor Ministro,
nell’ambito delle iniziative di protesta
del Personale di Cancelleria in servizio presso il Tribunale Civile di Roma, venerdì 9
febbraio 2007 è stata indetta un’assemblea a
seguito della quale sono state chiuse tutte le
cancellerie senza che fosse costituito alcun
presidio d’emergenza. Soltanto verso le ore
12, dopo le vibranti proteste degli Avvocati,
sono stati aperti due uffici presso la Sezione
Fallimentare e presso il Giudice Tutelare.
Le conseguenze di quanto avvenuto sono
particolarmente gravi atteso che gli Avvocati
si sono trovati nella materiale impossibilità
di espletare gli adempimenti così detti “ultimo giorno” con relativo maturarsi di decadenze e preclusioni in danno dei Cittadini.
Considerate l’estrema gravità ed eccezionalità della situazione, ritengo urgente e
indispensabile che Lei intervenga con un
decreto di rimessione in termini per le scadenze e le preclusioni maturate nonché di
sospensione dei termini fino alla cessazione
dell’agitazione con riferimento ai procedimenti civili pendenti innanzi al Tribunale
Civile di Roma.
Interpretando il pensiero di tutti gli iscritti, resto in ansiosa attesa.
Intanto, Le invio cordiali saluti.
Alessandro Cassiani
Presidente Ordine Avvocati Roma
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ESTRATTO DAL VERBALE
DELL’ADUNANZA DEL 15 MARZO 2007
(omissis)
- Il Consigliere Cerè riferisce al Consiglio
che in data 24 febbraio 2007 si è svolta la gara
di sci organizzata dallo Sci Club Avvocati
Romani e patrocinata dal Consiglio dell’Ordine che ha visto la partecipazione di numerosi avvocati. Si trascrivono di seguito gli
ordini di arrivo delle varie categorie:
Baby Sprint - 1) Alessandro Pesce
(1.09,74; 2) Umberto Cirilli (1.13,61); 3)
Vanda Cirilli (1.17,98).
Dame – 1) Marina Dominech (1.06,90);
Gina Fratta (1.13,16); 3) Cinzia De Micheli
(1.21,59).
Seniores Femminili – 1) Virginia Garrafa
(52,10); 2) Gaia Gelera (57,81); 3) Irma Conti (59,26).
Pionieri – 1) Giorgio Gelera (1.16,09); 2)
Andrea Nascani (1.20,60).
Veterani – 1) Carlo Alfredo Rotili (56,00);
2) Andrea Lapponi (1.10,40).
Amatori – 1) Fabio Cirilli (51,27); 2)
Francesco Storace (51,60); 3) Andrea Galante (55,02); 4) Stefano Piras (56,66); 5) Giuseppe Catinelli (56,67); 6) Francesco Cantone (56,76); 7) Ennio Sciamanna (1.03.46); 8)
Roberto Catucci (1.05,29); 9) Claudio Macioci (1.07,77); 10) Fabrizio Gizzi (1.21,47).
Seniores Maschili – 1) Andrea De Amicis
(50,58); 2) Alessandro De Angelis (50,67); 3)
Stefano Sabatino (52,04); 4) Giammichele
Cortese (53,53); 5) Carlo Santoro (54,49); 6)
Pietro Rossi (54,52); 7) Francesco Cherra
(54,86); 8) Giovanni Fontana (55,06); 9)
Matteo Padellaro (55,71); 10) Stefano Bona
(56,08).
Il Consiglio ne prende atto e si congratula con tutti i partecipanti.
E’ estratto conforme all’originale.
Roma, 23 marzo 2007
Il Consigliere Segretario
(Avv. Antonio Conte)
FORO ROMANO 2/2007
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22/06/2007, 11:30
COMUNICAZIONI E NOTIZIE
ESTRATTO DAL VERBALE
DELL’ADUNANZA DEL 15 MARZO 2007
(omissis)
- Il Consigliere Cerè comunica che dal 6
al 10 marzo 2007 a Piancavallo si sono svolte
le gare di sci: slalom speciale, slalom gigante,
fondo e slalom parallelo a squadre. Gli Avvocati del Foro di Roma si sono classificati,
al termine delle gare, al secondo posto dopo
gli Avvocati di Vicenza e prima di quelli di
Pordenone, Verona e Bolzano. In particolare l’Avv. Giorgio Gelera si è classificato al
terzo posto dei master B7; l’Avv. Cesare
Berti si è classificato al secondo posto dei
master B9; l’Avv. Simona De Angelis si è
classificata al primo posto dei master C2;
l’Avv. Irma Conti si è classificata al secondo
posto dei master C1; l’Avv. Lucilla Berti si è
classificata al quinto posto dei master C1;
l’Avv. Piero Orlando si è classificato al quinto posto del master A2; l’Avv. Alessandro
De Angelis si è classificato al terzo posto del
master A2; l’Avv. Luca Sabelli si è classificato al primo posto del master A4.
Il Consiglio ne prende atto e si congratula con tutti i partecipanti.
E’ estratto conforme all’originale.
Roma, 23 marzo 2007
Il Consigliere Segretario
(Avv. Antonio Conte)
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22/06/2007, 11:30
COMUNICAZIONI E NOTIZIE
ADUNANZA DEL 29 MARZO 2007
Approvazione modifiche al Regolamento in attuazione della legge 241/90
- Il Presidente riferisce sulla comunicazione pervenuta il 27 marzo 2007 dall’Avv. Paolo
Berruti con la quale, a seguito dell’incarico ricevuto dal Consiglio il 15 febbraio 2007 di
revisione del Regolamento di attuazione della legge 7 agosto 1990 n. 241 nella parte relativa
all’accesso degli interessati agli atti del procedimento disciplinare, propone alcune modifiche
ad integrazione del suddetto Regolamento sul “Diritto di accesso” e sulla “Entrata in vigore”:
“- pag. 6, sub “Diritto di accesso” (rigo sesto) “...(per i quali l’accesso è consentito solo
all’incolpato, al Pubblico Ministero ed alla parte esponente)...”;
- pag. 6, sub “Diritto di accesso” (rigo quarto) va eliminato il riferimento all’abrogato art.
8 del D.P.R. n. 352/1992, sostituendolo con “e del D.P.R. 12 aprile 2006 n. 184”;
- pag. 7 dopo il terzo rigo va aggiunto: “Nei procedimenti attinenti alle materie suindicate
è, comunque, escluso l’accesso informale ai sensi dell’art. 5 del D.P.R. n. 184/2006 ed è ammesso
il solo accesso formale, come disciplinato dall’art. 6 dell’anzidetto D.P.R. n. 184/2006.
Copia dell’istanza di accesso è inviata, mediante raccomandata con avviso di ricevimento,
dal funzionario responsabile del procedimento al soggetto controinteressato, il quale può
presentare -entro dieci giorni dalla ricezione di detta comunicazione- motivata opposizione alla
richiesta di accesso; decorso tale termine l’ufficio competente provvede sulla richiesta di
accesso, accertata la ricezione della comunicazione predetta”;
- pag. 7 sub “Entrata in vigore” il primo periodo va sostituito con “Il presente
Regolamento sostituisce il precedente Regolamento adottato dal Consiglio il 7 aprile 2005 ed
entrerà in vigore il 30 marzo 2007”.
Il Consiglio approva le modifiche così come proposte dall’Avv. Paolo Berruti al regolamento approvato dal Consiglio nell’adunanza del 17 settembre 1992 e modificato nella successiva
adunanza del 7 aprile 2005, che di seguito si riporta integralmente nella versione aggiornata.
PROVVEDIMENTI DI ATTUAZIONE DELLA LEGGE 7 AGOSTO 1990 N.241
Procedure di rilievo disciplinare
1.- Le questioni di rilievo disciplinare, delle quali si sia avuta conoscenza diretta o tramite
atti trasmessi al Consiglio dell’Ordine, formano oggetto di procedura preliminare diretta ad
accertare i fatti fondamentali ai fin della loro valutazione da parte del Consiglio.
2.- L’esame e gli accertamenti relativi alle questioni di cui al punto 1 sono delegati ai singoli
Consiglieri con esclusione del Presidente e del Segretario secondo criteri assolutamente
oggettivi; in particolare ai Consiglieri verranno assegnate secondo l’ordine di anzianità le
pratiche seguendo l’ordine della loro numerazione. Tale criterio può essere derogato solo in
base a determinazione motivata del Presidente e ratificata dal Consiglio ove si ritenga che una
determinata pratica debba essere assegnata ad un determinato Consigliere per ragioni attinenti
all’oggetto della pratica o alla specifica competenza professionale del Consigliere; in questo
caso la pratica e il Consigliere al quale viene assegnata vengono “saltati” ai fin della progressiva
assegnazione delle pratiche secondo il criterio generale.
3.- Il Consigliere delegato comunica l’oggetto della pratica al professionista interessato, al
quale chiede i necessari chiarimenti, e compie tutti gli atti necessari per la delibazione della
pratica; il Consigliere delegato assume la posizione di “responsabile del procedimento” ai sensi
dell’art. 5 della legge 7 agosto 1990, n. 241 ed esercita i poteri e le funzioni di cui all’art. 6 della
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COMUNICAZIONI E NOTIZIE
stessa legge.
4.- La comunicazione dell’oggetto della pratica al professionista interessato è fatta ai sensi
dell’art. 7 della legge n. 241/1990 con le forme di cui all’art. 8 ai fini dell’esercizio delle facoltà
di cui all’art. 10 della stessa legge. Il carattere personale del procedimento disciplinare e la
specifica attinenza del procedimento al professionista interessato portano ad escludere la
possibilità di intervento nel procedimento di altri soggetti: tale esclusione vale anche nei
confronti di chi abbia eventualmente portato a conoscenza il fatto con un esposto, soggetto che
nella procedura disciplinare di carattere preliminare può essere soltanto sentito nell’ambito
degli accertamenti istruttori di cui al precedente comma.
5.- Il Consigliere delegato riferisce dell’esito delle indagini al Presidente o ad altro
Consigliere delegato dal Presidente secondo turni predeterrninati e provvede a presentare,
almeno dieci giorni prima della data fissata per la seduta consiliare, proposta motivata di
archiviazione o di apertura di procedimento disciplinare, in modo che il Consiglio possa
provvedere entro novanta giorni dalla data di inizio della procedura preliminare (data da
identificare con la conoscenza della questione da parte del Consiglio). Ove, a seguito dell’esame
del Consiglio, si manifesti la necessità o l’opportunità di un ulteriore approfondimento delle
indagini, la pratica viene riassegnata allo stesso Consigliere delegato ai sensi del precedente
punto 2 per lo svolgimento delle operazioni di cui al punto 3; in questo caso il termine per
l’adozione delle relative determinazioni è prorogato di novanta giorni e la pratica viene
presentata al Consiglio per le relative determinazioni ai sensi di quanto previsto nella prima
parte di questo punto 5.
6.- Le determinazioni del Consiglio in ordine all’archiviazione della procedura o all’apertura
di procedimento disciplinare sono succintamente motivate e vengono comunicate al professionista interessato. Dell’archiviazione viene, altresì, data notizia all’esponente.
7.- In caso di apertura del procedimento disciplinare questo si svolge secondo le modalità
previste dalle norme vigenti, assumendo il Consigliere delegato ai sensi del punto 2 la funzione
di istruttore; il Consigliere istruttore, nel più breve tempo possibile, compie gli atti istruttori
eventualmente necessari e, previa individuazione dei testimoni dei quali è opportuna l’audizione, chiede che il Presidente provveda alla fissazione della data per la trattazione ed alla
designazione del Consigliere relatore tenuto conto dell’oggetto del procedimento e delle
specifiche competenze dei Consiglieri.
8.- La trattazione del procedimento disciplinare avviene normalmente in un’unica riunione,
previa audizione dell’interessato che ha la facoltà di farsi assistere da non più di due difensori
iscritti nell’Albo degli Avvocati dello stesso Ordine o di altro Ordine; è in linea di massima
escluso ogni rinvio della trattazione, salvo il caso di assoluta e comprovata impossibilità di essere
presente dell’incolpato o del suo difensore o di esigenze istruttorie. Nel caso di rinvio della
trattazione questo è disposto per una adunanza prossima, ferma restando la designazione del
Consigliere relatore; ove il rinvio sia disposto in presenza dell’incolpato o del difensore e dei
testimoni già citati, questo tiene luogo della notificazione del relativo avviso.
9.- Le riunioni del Consiglio, nelle quali vengono trattate questioni disciplinari, non sono
pubbliche.
10.- Le decisioni dei procedimenti disciplinari, redatte ai sensi dell’art. 51 R.D. n. 37 del 22
gennaio 1934 e succintamente motivate, sono depositate, unitamente alla motivazione, nel
termine di sessanta giorni dalla pronuncia negli Uffici di Segreteria dell’Ordine e vengono
notificate nei modi e nei termini dell’art. 50 del R.D.L. n. 1578 del 27 novembre 1933.
Iscrizioni e cancellazioni
Le procedure di iscrizione e cancellazione si svolgono secondo le modalità previste dalle
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COMUNICAZIONI E NOTIZIE
norme vigenti, osservando altresì le seguenti regole procedurali e sostanziali:
a) all’atto dell’inizio del procedimento si provvede alla sua assegnazione ad un Consigliere
delegato per i relativi adempimenti; l’assegnazione può essere fatta globalmente con riferimento alle procedure che dovranno svolgersi in un determinato periodo;
b) il Consigliere delegato assume la posizione di “responsabile del procedimento” ai sensi
dell’art. 5 della legge 7 agosto 1990, n. 241 ed esercita i poteri e le funzioni di cui all’art. 6 della
stessa legge;
c) le comunicazioni che devono essere fatte ai professionisti interessati (nel caso di
procedure di cancellazione) dovranno osservare le forme di cui all’art. 8 della legge n. 241/1990
ai fini dell’esercizio delle facoltà di cui all’art. 10 della stessa legge;
d) il Consigliere delegato riferisce al Consiglio nel più breve termine possibile al fine
dell’adozione delle relative determinazioni;
e) relativamente alle procedure di iscrizione il Consiglio, prima della formale adozione di
un provvedimento negativo, dispone tempestivamente la convocazione dell’interessato per
comunicargli i motivi che ostano all’accoglimento dell’istanza; entro il termine di dieci giorni
dalla comparizione avanti al Consiglio l’interessato può presentare osservazioni scritte,
eventualmente corredate da documenti. La convocazione dell’interessato interrompe i termini
per concludere il procedimento, che iniziano nuovamente a decorrere dalla data di presentazione delle osservazioni o, in mancanza, dalla scadenza del termine a tal fine assegnato
all’istante.
f) le deliberazioni di rigetto di domanda di iscrizione, di cancellazione di professionisti e di
diniego del rilascio di attestati di compiuta pratica, succintamente motivate, sono depositate
negli Uffici di Segreteria dell’Ordine entro venti giorni dalla pronuncia e vengono notificate
nei modi e nei termini dell’art . 37 R.D.L. n. 1578 del 27 novembre 1933.
Pareri su note di onorari
1.- Il Consigliere Segretario provvede ad assegnare per l’istruttoria le richieste di pareti su
note di onorari ai singoli Consiglieri secondo il criterio di cui al punto 2 delle procedure di
rilievo disciplinare. Per le richieste di pareri su note di onorari di valore superiore a E. 50.000,00
l’istruttoria è affidata a due Consiglieri, secondo gli stessi criteri.
2.- Il Consigliere delegato assume la posizione di “responsabile del procedimento” ai sensi
dell’art. 5 della legge 7 agosto 1990, n. 241 ed esercita i poteri e le funzioni di cui all’art. 6 della
stessa legge.
3.- Il Consigliere delegato riferisce -ove necessario anche per scritto- al Consiglio con la
massima sollecitudine. Ove, peraltro, dalla pratica non risulti l’atto di conferimento del
mandato professionale o si manifestino esigenze dì particolari approfondimenti, la richiesta
viene comunicata in copia al cliente per metterlo nella condizione di controdedurre; in questo
caso il Consigliere delegato riferisce al Consiglio dopo la ricezione delle deduzioni del cliente
e degli eventuali ulteriori accertamenti o, nel caso di mancanza di deduzioni, dopo trenta giorni
dall’invio della comunicazione al cliente (data della raccomandata).
4.- I provvedimenti relativi alle richieste di pareri su note di onorari di valore superiore a E.
100.000,00 sono adottati previa audizione del professionista interessato avanti al Consiglio; a
tal fine i Consiglieri delegati, non appena ricevuta in assegnazione la pratica, dispongono la
convocazione del professionista per la prima adunanza utile del Consiglio, compatibilmente
con il ruolo degli affari già in trattazione. Nell’adunanza stabilita i Consiglieri delegati svolgono
la relazione illustrativa della pratica e richiedono al professionista i chiarimenti che abbiano a
rendersi necessari; ove emerga l’esigenza di particolari approfondimenti può essere assegnato
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al professionista un termine, non superiore a trenta giorni, per la produzione di documentazione e di note illustrative.
5.- Le valutazioni in ordine alle richieste sono adottate entro trenta giorni dalla data della
presentazione della richiesta o dal momento in cui essa può essere presentata al Consiglio ai
sensi del precedente punto 3. Ove si manifesti l’opportunità di ulteriori indagini istruttorie il
Consiglio ne incarica il Consigliere delegato; in questo caso il termine per l’emissione del parere
è prorogato di sessanta giorni. Per i procedimenti ai sensi del precedente punto 4 il termine per
l’emissione del parere è di trenta giorni dalla data dell’audizione del professionista interessato
avanti al Consiglio ovvero, in caso di assegnazione del successivo termine per la produzione
di documentazione e note, dalla data di scadenza di quest’ultimo.
6.- Ove il parere non possa essere espresso nei termini richiesti dal professionista interessato,
il Consigliere delegato, prima dell’adozione da parte del Consiglio di un provvedimento, in
tutto o in parte negativo, convoca tempestivamente l’istante per comunicargli i motivi che
ostano all’accoglimento dell’istanza; entro dieci giorni dalla comparizione l’istante può
presentare osservazioni scritte, eventualmente corredate da documentazione. La convocazione
del professionista interessato interrompe i termini per concludere il procedimento, che iniziano
nuovamente a decorrere dalla data di presentazione delle osservazioni o, in mancanza, dalla
scadenza del termine a tal fine assegnato.
7.- Le determinazioni in ordine alle richieste di parere sono succintamente motivate. Alle
parti interessate può essere rilasciata copia della richiesta del professionista, della determinazione del Consiglio e della documentazione esibita, ove ancora esistente agli atti dell’ufficio, salvi
i limiti di cui all’art. 8, quinto comma, D.P.R. 27 giugno 1992, n. 352.
Conciliazioni
Ove su richiesta di una delle parti interessate o a seguito di determinazione del Consiglio
si debba procedere ad un tentativo di conciliazione tra le parti, la relativa procedura viene svolta
dal Consigliere all’uopo delegato; in questo caso il termine per l’emissione del parere,
eventualmente richiesto, rimane sospeso fino all’esaurimento della procedura di conciliazione,
salvo che una delle parti non richieda di rimettere la questione al Consiglio per la valutazione
della richiesta di parere.
Tentativi di conciliazione ai sensi dell’art. 22.II del Codice Deontologico Forense
1.- Il Consigliere Segretario provvede ad assegnare le questioni concernenti le comunicazioni dei difensori ai sensi dell’art. 22.II del Codice Deontologico Forense ai singoli Consiglieri
secondo il criterio di cui al punto 2 delle procedure di rilievo disciplinare.
2.- Il Consigliere delegato dispone, nel più breve tempo possibile, la convocazione delle
parti interessate e compie tutti gli atti necessari per l’esperimento del tentativo di conciliazione,
in modo che la procedura possa concludersi entro trenta giorni dalla data in cui la comunicazione di cui al precedente punto 1 è pervenuta al Consiglio, salvo il caso di cui al successivo
punto 3; il Consigliere delegato assume la posizione di “responsabile del procedimento” ai sensi
dell’art. 5 della legge 7 agosto 1990 n. 241 ed esercita le funzioni previste dall’art. 6 della stessa
legge.
3.- Nella data fissata per la comparizione delle parti il Consigliere delegato esperisce il
tentativo di conciliazione; a richiesta degli interessati, ove si rendano necessari od opportuni
approfondimenti della questione finalizzati alla conciliazione, il Consigliere delegato fissa la
data di una nuova comparizione non oltre i trenta giorni successivi.
4.- Quando le parti interessate si conciliano, il Consigliere delegato redige il processo verbale
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COMUNICAZIONI E NOTIZIE
di comparizione, nel quale viene dato atto delle condizioni e dei termini sostanziali dell’intervenuto accordo, nonché delle modalità della sua esecuzione. Ove, al contrario, il tentativo di
conciliazione non sortisca esito positivo, il processo verbale di comparizione delle parti
interessate dà semplicemente atto della loro presenza avanti al Consigliere delegato ai fini
dell’attestazione di esperimento della procedura ai sensi dell’art. 22 del Codice Deontologico
Forense.
Disposizioni di carattere generale
Ai termini per gli adempimenti di competenza del Consiglio o di singoli Consiglieri previsti
nei precedenti capi si applica la sospensione nel periodo feriale secondo le modalità vigenti per
i termini processuali.
Diritto di accesso
Salvo quanto stabilito nel presente regolamento l’accesso ai documenti ai sensi dell’art. 22
della legge 7 agosto 1990, n. 241 è escluso, ai sensi del secondo e quarto comma dell’art. 24 della
stessa legge e del D.P.R. 12 aprile 2006 n.184 per tutti gli atti dei procedimenti disciplinari, anche
per le fasi preliminari (per i quali l’accesso è consentito solo all’incolpato, al Pubblico Ministero
e alla parte esponente), e delle procedure di assistenza (per le quali l’accesso è consentito solo
all’assistito), delle procedure relative a note di onorari ed a pratiche di conciliazione (per le quali
l’accesso è consentito solo alle parti direttamente interessate), delle procedure di conciliazione
ai sensi degli artt. 14, comma 1 lettera f) del R.D.L. n. 1578 del 27 novembre 1933 e 22 del Codice
Deontologico Forense (per le quali l’accesso è consentito solo alle parti direttamente interessate
ed è limitato alla disponibilità del solo processo verbale di comparizione degli interessati avanti
al Consigliere delegato).
Nei procedimenti attinenti alle materie suindicate è, comunque, escluso l’accesso informale
ai sensi dell’art. 5 del D.P.R. n.184/2006 ed è ammesso il solo accesso formale, come disciplinato
dall’art. 6 dell’anzidetto D.P.R. 184/2006.
Copia dell’istanza di accesso è inviata, mediante raccomandata con avviso di ricevimento,
dal funzionario responsabile del procedimento al soggetto controinteressato, il quale può
presentare -entro dieci giorni dalla ricezione di detta comunicazione- motivata opposizione alla
richiesta di accesso; decorso tale termine l’ufficio competente provvede sulla richiesta di
accesso, accertata la ricezione della comunicazione predetta.
Entrata in vigore
Il presente Regolamento sostituisce il precedente Regolamento adottato dal Consiglio il 7
aprile 2005 ed entrerà in vigore il 30 marzo 2007.
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PARERI DEONTOLOGICI
Adunanza del 1° marzo 2007
Il Consiglio
- Vista la richiesta di parere presentato in data 27 dicembre 2006 dall’Avv. (omissis) e
dall’Avv. (omissis) con la quale si chiede se sia conforme ai dettami deontologici il
comportamento di un avvocato il quale, già difensore di una parte in un giudizio penale,
assuma anche la difesa di altra parte in potenziale conflitto di interessi con la prima e
mantenga l’incarico professionale anche dopo la revoca del mandato da parte dell’assistito
inizialmente difeso;
- Uditi i Consiglieri Rossi e Testa, quali coordinatori della Commissione Deontologica;
- Considerato che
- l’art.37 codice deontologico forense prevede che sussistano ipotesi di conflitto di
interessi in tre casi:
1) quando l’espletamento di un nuovo mandato determini la violazione del segreto sulle
informazioni fornite da altro assistito;
2) quando la conoscenza degli affari di una parte possa avvantaggiare ingiustamente un
altro assistito;
3) quando lo svolgimento di al cui precedente mandato limiti l’indipendenza dell’avvocato nello svolgimento di un nuovo incarico.
Nella fattispecie, stando al resoconto dei richiedenti, potrebbero astrattamente configurarsi le ipotesi di cui ai numeri 1) e 2).
Peraltro, al di là della forte conflittualità venutasi a creare tra l’avvocato e l’assistito che
ha poi revocato il mandato, che potrebbe comportare motivo di opportunità dall’astenersi
a portare avanti la difesa del coimputato nello stesso processo, non risulta provata, allo stato,
la sussistenza di concreti elementi idonei ad integrare le ipotesi di conflitto di cui alla citata
norma.
Tale valutazione non può dunque che essere rimessa al professionista, unico soggetto a
conoscenza delle circostanze di fatto che sottendono alla fattispecie.
***
Adunanza dell’8 marzo 2007
- Vista la richiesta avanzata dall’Avv. (omissis) in ordine alla possibilità di entrare a far
parte o costituire un’associazione professionale da parte di Docente Universitario a tempo
pieno;
Il Consiglio
- Uditi i Consiglieri Rossi e Testa, quali coordinatori della Commissione Deontologica;
premesso
- che l’attività di esercizio della professione forense, può essere svolta dal singolo
professionista avvocato, iscritto all’Albo professionale, sia in forma singola che in forma
associata ad altri colleghi, aventi gli stessi requisiti previsti ex lege, al fine di provvedere al
mandato professionale o alla prestazione d’opera professionale, diversa cosa appare quella
sommariamente indicata nella richiesta di parere, ove di fatto si chiede una sorta di avallo
o benestare alla partecipazione di un docente universitario a tempo pieno in un’associazione
professionale, seppur nei limiti previsti dalla seconda parte dell’art. 11 del D.P.R. n. 382/
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PARERI DEONTOLOGICI
1980 e modificato dalla Legge 18 marzo 1989 n. 118 e cioè di ..”partecipare alla associazione
professionale limitando il proprio esercizio professionale alla sola attività di ‘consulenza’ in
favore di Pubbliche Amministrazioni, Enti Pubblici, Organismi etc.”;
- che, l’istante richiamava una precedente decisione di questo Consiglio del 6 luglio 1998
in senso positivo senza allegare copia;
ritenuto
- che l’attività professionale svolta dai partecipanti all’associazione professionale, a
prescindere dal regolamento interno imposto o autoimposto dagli stessi professionisti che
ne fanno parte, è del tutto paritaria ed uguale a quella svolta dal singolo avvocato, sia in sede
giudiziale che stragiudiziale con i relativi aspetti fiscali derivanti a seguito della retribuzione
dei compensi;
- che, la norma richiamata intende differenziare l’attività professionale autonoma da
quella dipendente ed esclusiva in favore anche di un Ente, Università e quant’altro,
escludendo ogni e qualsiasi tipo di fattispecie ibrida o attività multiforme, lasciando, nella
seconda parte del testo, la possibilità all’interessato di svolgere alcune attività di consulenza
limitatamente in favore della Pubblica Amministrazione o Enti similari, rimarcando, però,
ancora una volta la differenziazione con il professionista autonomo.
Premesso quanto sopra
esprime parere
nel senso di ritenere incompatibile la partecipazione del docente a tempo pieno alla
formazione e/o costituzione di un’associazione professionale.
***
- Vista la richiesta di parere deontologico presentata dall’Avv. (omissis), con la quale
veniva avanzata richiesta volta a conoscere se un avvocato -in ragione della ormai prevista
dei “promotori” assicurativi di essere iscritti all’interno del Registro intermediari assicurativi
e riassicurativi- anche ove l’attività sia svolta come “segnalatore occasionale”;
Considerato
- che l’art. 10 del Codice Deontologico forense equipara la professione o comunque
l’attività di collaboratore con una impresa di agenti assicurativi è equipollente ed assimilabile
ad altre attività di intermediazione finanziaria;
- che nel caso di iscrizione dell’avvocato al Registro degli intermediari assicurativi e
riassicurativi sulla base di quanto previsto dalla parte 3 Leg.att. ISVAP n. 5 del 2006, si
verrebbe a creare una situazione di incompatibilità sempre ai sensi degli artt. 10 e 16 del
Codice Deontologico forense;
Il Consiglio
- Uditi i Consiglieri Rossi e Testa, quali coordinatori della Commissione Deontologica;
esprime parere
negativo circa la compatibilità tra l’iscrizione all’Albo Avvocati e l’iscrizione al nuovo
Registro degli intermediari assicurativi.
***
- L’Avv. (omissis) rappresenta al Consiglio, chiedendone un parere d’ordine deontologico, un caso, che direttamente lo concerne e i cui termini possono così riassumersi sulla
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PARERI DEONTOLOGICI
scorta di quanto da lui specificato: a) è stato nominato difensore di fiducia da A, persona
raggiunta da avviso di garanzia per una ipotesi di reato associativo; b) il P.M. ha delegato
l’interrogatorio alla Polizia giudiziaria; c) nel corso dell’espletamento i verbalizzanti, dopo
aver chiesto ed ottenuto informazioni concernenti l’oggetto dell’indagine, hanno rivolto
all’indagato domande relative ad altro argomento, concettualmente e processualmente
distinto ed autonomo, riguardante il possibile coinvolgimento di B, funzionario di P.S., in
un’asserita ipotesi di corruzione passiva per atti contrari ai doveri d’ufficio; d) A ha risposto
a quanto chiestogli; e) si dà peraltro il caso che esso Avv. (omissis), presente all’interrogatorio
nell’espletamento del mandato ricevuto, assista fiduciariamente lo stesso B in altri procedimenti, anch’essi senza relazione di sorta né, ovviamente, con quello di cui all’interrogatorio
come sopra delegato né con la vicenda inerente alla sipposta corruzione; f) esso Avv.
(omissis), terminato l’esame e avvertita la singolarità della situazione venutasi a creare, ha
innanzitutto chiesto la secretazione dell’atto per poi, dopo aver fatto presente al cliente le
ragioni che gli imponevano la rinuncia al mandato conferitogli, recatosi dal P.M. per ivi darvi
veste formale non senza spiegarne verbalmente le motivazioni.
Domanda, l’Avv. (omissis), se vi siano le ragioni ostative all’assunzione della difesa di B
qualora gliene venga fatta richiesta da parte dell’interessato, una volta che dovesse essere
instaurato procedimento penale nei confronti di costui per la cennata implicazione in quel
delitto di corruzione rispetto al quale A potrebbe d’altra parte assumere, con notevole
probabilità, la veste di testimone a seguito di quanto come sopra riferito ai verbalizzanti.
Premesso quanto sopra si osserva:
la possibile ostativa potrebbe al limite discendere dal disposto dell’art.37 del codice
deontologico che sancisce il dovere dell’avvocato di astenersi dalla prestazione professionale
in caso di sussistenza di un conflitto di interessi con il proprio assistito.
Senonché, nessuna delle tre ipotesi previste al punto 1 della normativa in questione -le
uniche in astratto concepibili- è ravvisabile nella specie descritta.
Non la prima (espletamento di un nuovo mandato che determini la violazione del
segreto sulle informazioni fornite da altro assistito), perchè non risulta in nessun modo che
A abbia comunque confidato all’Avv. (omissis) informazioni o notizie di qualsivoglia natura
relative alla vicenda che potrebbe vedere implicato B e perché quanto dallo stesso A riferito
a tal proposito in sede di interrogatorio è stato, com’è ovvio, debitamente verbalizzato e
costituisce parte integrale ed ufficiale dell’incarto, come tale conoscibile da qualsivoglia
difensore a sensi di legge.
Non la seconda (conoscenza di affari di una parte che possa avvantaggiare ingiustamente
altro assistito), perchè manifestamente estranea all’ipotesi de qua.
Non la terza (svolgimento di un precedente mandato che limiti l’indipendenza dell’avvocato nello svolgimento di un nuovo incarico), perchè nessun condizionamento sembra
poter conseguire dall’avere appreso, assistendo all’interrogatorio di A, quanto da lui riferito
a seguito di domande estranee al suo preciso oggetto, rivoltegli su iniziativa dei verbalizzanti
e da costoro debitamente documentate, unitamente alle risposte, in funzione dei successivi
sviluppi processuali, non rilevando sotto il profilo deontologico eventuali situazioni di
personale disagio del professionista, in quanto tali rimesse alla sua esclusiva ed incensurabile
valutazione.
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PARERI DEONTOLOGICI
E’ appena il caso di soggiungere, da ultimo, che non si verte neppure in una possibile
assunzione divietata di incarico contro un ex-cliente (art.51 del codice cit.), innanzitutto
perchè, all’evidenza, l’eventuale futura assistenza di B non significa ricevere un mandato da
espletare contro A, allo stato semplice testimone e non già parte, e poi perchè, come già
osservato, non si è in presenza dell’utilizzazione di notizie acquisite in ragione del rapporto
professionale esauritosi.
Il Consiglio
- Uditi i Consiglieri Rossi e Testa, quali coordinatori della Commissione Deontologica;
esprime parere
nel senso che non sussistano, allo stato, ragioni ostative all’eventuale assunzione della difesa
di B nel procedimento penale che dovesse instaurarsi a seguito dei fatti come sopra narrati.
***
- L’Avv. (omissis) del Foro di Roma chiede per scrupolo professionale se può depositare
-in un giudizio civile la proposta transattiva- inoltratagli via fax il 2 maggio 2006 dal Collega
Avv. (omissis) per conto dei suoi assistiti e già perfezionata con la sua accettazione e quella
di questi ultimi.
Il Consiglio
- Uditi i Consiglieri Rossi e Testa, quali coordinatori della Commissione Deontologica;
- ritenuto che il quesito attiene ad una fattispecie concreta per la quale vi è in corso un
giudizio;
- rilevato che non è possibile un opinamento relativo a questioni in ordine alla cui
valutazione il Consiglio potrebbe essere investito in altra sede;
dichiara
inammissibile la domanda.
***
- Letta la richiesta dell’Avv. (omissis) e dei Dott.ri (omissis) del 24 febbraio 2007,
finalizzata ad ottenere parere deontologico in ordine alla possibilità o meno di poter
collaborare a titolo gratuito, con la Soc. (omissis) a r.l. che lo avevano contattato al fine di
commissionargli la redazione e/o commento di articoli di natura legale che verranno
pubblicati sul periodico “(omissis)”;
Il Consiglio
- Uditi i Consiglieri Rossi e Testa, quali coordinatori della Commissione Deontologica;
- rilevato che l’attività di consulenza così come rappresentata nel quesito formulato non
appare in contrasto con le norme del Codice Deontologico forense così come recentemente
modificato
esprime parere
nel senso di non ritenere sussistenti elementi ostativi all’assunzione dell’incarico.
***
Il Consiglio
- Vista la richiesta di parere deontologico presentata in data 2 febbraio 2007 dall’Avvocato (omissis) circa la possibilità per tre professionisti che condividono la locazione e
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PARERI DEONTOLOGICI
gestione dello studio, senza essere associati, di adottare una carta intestata comune che
esponga un logo grafico dello studio accompagnato dai nomi e recapiti dei professionisti
stessi, nonchè circa la possibilità di indicare una domiciliazione dello studio in Milano ed
infine circa la possibilità di inserire questi stessi dati nel sito web in corso di elaborazione;
- Udita la relazione dei Consiglieri Rossi e Testa, quali coordinatori della Commissione
Deontologica;
rilevato
- che quanto richiesto dall’Avv. (omissis) non appare in contrasto con il disposto dell’art.
17 bis del Codice Deontologico forense così come recentemente modificato;
- che, in particolare, è necessario che nella carta intestata risultino nominativi e recapiti
dei singoli professionisti;
- che è consentito indicare il logo dello studio e gli eventuali recapiti secondari;
- che gli stessi dati devono essere riportati nel sito web della cui forma e del cui contenuto
dovrà peraltro essere data previa comunicazione al Consiglio dell’Ordine e ciò ai sensi della
citata norma
esprime parere
nel senso di non ravvisare elementi ostativi in ordine alla richiesta così come formulata.
***
Adunanza del 15 marzo 2007
- Vista la richiesta di parere deontologico presentata dall’Avv. (omissis) in data 16 gennaio
2007;
premesso
che il quesito attiene alla producibilità in giudizio della corrispondenza -scambiata tra il
legale della Società successivamente dichiarata fallita e il legale della Società creditrice da
convenire nel giudizio per revocatoria fallimentare, diversi sia da quello nominato Curatore
sia da quello incaricato della curatela di promuovere l’azione giudiziale- classificata “riservata
personale” o “confidenziale” e contenente la rappresentazione dello stato di decozione della
Società, la proposta transattiva delle obbligazioni intercorrenti, nonchè la scientia decotionis da parte del creditore;
considerato
che l’art. 28 del Codice Deontologico forense, com’è noto, vieta la producibilità in giudizio
della corrispondenza intercorsa tra colleghi qualificata “riservata personale” o comunque
contenente proposte transattive;
che il fondamento della norma poggia, fondamentalmente, su due principi: 1) da un lato
l’avvocato, oltre ad essere il difensore sul piano tecnico giuridico, è anche arbitro della
conduzione della lite e dunque della possibilità di conciliazione della stessa; 2) dall’altro egli
deve mantenere una posizione di terzietà rispetto alla lite e non deve identificarsi con la parte
in causa;
che, sulla base di tali principi, l’obbligo della riservatezza della corrispondenza intercorsa
tra colleghi consente ai patroni delle parti di svolgere la loro funzione al riparo da ritorsioni
di proposte conciliative, ammissioni o consapevolezze di torti laddove, in assenza di tale
principio, i patroni stessi sarebbero indotti a non far ricorso agli atti scritti con il conseguente
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PARERI DEONTOLOGICI
venir meno di iniziative conciliative e dunque con mortificazione dei principi di collaborazione che sono alla base dell’attività legale;
che, dunque, sulla base di quanto sopra esposto, il principio della riservatezza della
corrispondenza di cui alla citata norma è rivolto ai legali che assistono parti contrapposte in
giudizio e non è esteso a soggetti diversi cosicchè, per esempio, non possono ritenersi
riservate le lettere scambiate tra una parte e il patrono della parte avversa;
che, nella fattispecie di cui al quesito, si verte in tema di giudizio di revocatoria
fallimentare ove, obiettivo principale è quello dell’accertamento dello stato di decozione del
debitore, nel mentre la corrispondenza che dovrebbe essere prodotta è relativa ad una fase
precedente ed estranea a detto giudizio ed è intercorsa tra i legali -quello del creditore e quello
del debitore- che in quel momento tentavano di comporre una controversia;
che il Curatore fallimentare -ancorchè avvocato- è un Pubblico Ufficiale incaricato di
ricostruire l’attivo e il passivo dell’azienda fallita attraverso tutti gli elementi pervenuti nella
sua disponibilità;
che l’avvocato della curatela fallimentare è soggetto terzo rispetto alle trattative precedentemente intercorse tra i legali delle parti;
che, peraltro, gli avvocati delle parti, confidando sul principio del dovere della riservatezza e del divieto di produzione in giudizio della corrispondenza, potrebbero -nella
corrispondenza stessa- aver fatto cenno a dettagli che, se rivelati, potrebbero essere
pregiudizievoli agli interessi dei propri assistiti;
che, dunque, il quesito va risolto con riferimento alla fattispecie concreta;
che, peraltro, non è dato a questo Consiglio esprimersi su fattispecie in ordine alle quali
potrebbe in futuro essere investito per valutazioni di natura disciplinare;
premesso quanto sopra
Il Consiglio
- Uditi i Consiglieri Rossi e Testa, quali coordinatori della Commissione Deontologica;
ritiene
la questione risolvibile sulla base degli elementi di fatto relativi al caso concreto la cui
valutazione non può che essere rimessa ai soggetti interessati.
***
- Vista la richiesta di parere deontologico presentata dagli Avv.ti (omissis) con la quale
chiedono se il patto stipulato fra avvocato e cliente che preveda un compenso inferiore al
minimo tariffario, possa risultare in contrasto con gli artt. 5 e 43 secondo comma Codice
Deontologico forense, nonchè possa ledere la dignità dell’avvocato e discostarsi dall’art. 36
della Costituzione.
Il Consiglio
Uditi i Consiglieri Rossi e Testa, quali coordinatori della Commissione Deontologica;
osserva
alla luce di quanto disposto dal D.L. 4 luglio 2006 n. 223, così come convertito, che prevede
-tra l’altro- l’obbligo dell’adeguamento della disciplina deontologica al nuovo testo di legge
entro il 1° gennaio 2007, il testo dell’art. 43 del Codice Deontologico forense relativo alle
“richieste di pagamento” è stato modificato nella seduta del 18 gennaio 2007 dal Consiglio
400
FORO ROMANO 2/2007
PARERI DEONTOLOGICI
Nazionale Forense.
Il testo riformato ha soppresso il IV canone complementare della citata norma, che
consentiva di concordare onorari forfettari purchè non derogassero dai minimi di tariffa, ed
ha sancito, al II canone complementare, il divieto di richiedere compensi manifestamente
sproporzionati all’attività svolta.
Tale ultima disposizione era già prevista nel testo previgente con riferimento, peraltro,
ai soli compensi manifestamente eccessivi.
L’abrogazione di tale esplicito riferimento, comporta l’estensione del divieto di richiesta
di compensi sproporzionati anche a quelli troppo contenuti rispetto all’attività svolta.
Ciò in quanto, seppur non più vincolato a minimi tariffari inderogabili alla luce della
recente riforma legislativa, l’avvocato è pur sempre tenuto al rispetto dei doveri di dignità
e decoro che sottendono all’esercizio della professione forense.
In assenza di un criterio oggettivo, sarà dunque il professionista stesso che, caso per caso,
dovrà concordare con il cliente compensi che -seppur inferiori agli abrogati minimi tariffaridovranno essere, rispetto all’attività svolta, di entità tale da garantire il rispetto dei succitati
principi.
***
- L’Avv. (omissis) ha chiesto un parere circa la possibilità di difendere la moglie di un suo
ex-cliente (marito) nel procedimento per separazione giudiziale, attesa la natura riguardante
la vertenza precedente, relativa a risarcimento di danni derivati da incidente stradale
verificatosi nell’anno 2006 e conclusasi in via stragiudiziale nel corso dello stesso anno.
Il Consiglio
Uditi i Consiglieri Rossi e Testa, quali coordinatori della Commissione Deontologica;
premesso
che l’art. 51 del Codice Deontologico forense prevede che si possa assumere l’incarico
professionale nei confronti di un ex cliente solo quando sia trascorso almeno un biennio
dalla cessazione del rapporto professionale e l’oggetto del nuovo incarico sia estraneo a
quello espletato in precedenza;
che le due dette condizioni devono dunque sussistere congiuntamente e non alternativamente;
che nella fattispecie di cui al quesito difetta il requisito del lasso temporale trascorso
esprime parere
nel senso che non sia ammissibile, allo stato, l’assunzione dell’incarico professionale contro
l’ex cliente.
***
- Vista la richiesta di parere deontologico presentata in data 20 febbraio 2007 dall’Avv.
(omissis) in ordine alla possibilità di pubblicizzare il proprio studio figurando tra gli sponsors
di un teatro di quartiere di Roma;
Il Consiglio
Uditi i Consiglieri Rossi e Testa, quali coordinatori della Commissione Deontologica;
osserva
FORO ROMANO 2/2007
401
PARERI DEONTOLOGICI
l’art. 2 della legge n. 248 del 4 agosto 2006 ha rimosso il divieto di svolgere pubblicità
informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio
offerto, nonchè i costi complessivi delle prestazioni precisando, peraltro, che il messaggio
deve rispettare criteri di trasparenza e veridicità il cui controllo è affidato all’Ordine
professionale.
Va osservato che la nuova disciplina ha rimosso un divieto, quanto ai contenuti, che era
già stato ampiamente soppresso dalla precedente riforma del Codice Deontologico -articoli
17 e 17 bis- approvata nella seduta del 27 gennaio 2006 del Consiglio Nazionale Forense.
La riforma in questione, infatti, già consentiva di dare informazione sui titoli conseguiti e
sui diplomi di specializzazione.
La norma legislativa ha invece effettivamente innovato, ammettendo la pubblicità
informativa sulle caratteristiche del servizio offerto e sui costi delle prestazioni, pur
prevedendo che il relativo messaggio sia sottoposto al controllo dell’Ordine professionale.
Le modifiche apportate al Codice Deontologico Forense nella seduta del 18 gennaio
2007 alla luce della nuova normativa, hanno dunque conseguentemente riguardato -tra
l’altro- il testo dell’art. 17 prevedendo che il contenuto e la forma dell’informazione debbano
essere coerenti con la finalità della tutela dell’affidamento della collettività e che debbano
rispondere ai criteri di trasparenza e veridicità. L’informazione stessa, inoltre, non dovrà
assumere i connotati della pubblicità ingannevole, elogiativa, comparativa.
Quanto ai mezzi di informazione consentiti essi sono previsti dall’art. 17 bis che, nella
nuova formulazione, ha eliminato le limitazioni concernenti i mezzi e gli strumenti
utilizzabili fermo restando, ovviamente, che questi dovranno essere adeguati al decoro della
professione.
I doveri di probità, dignità e decoro costituiscono infatti il cardine su cui poggia la
professione forense e non hanno costituito oggetto di modifica alcuna.
Venendo più specificamente all’oggetto del quesito proposto va osservato come l’attività
rappresentata attenga, non tanto all’informazione quanto alla sponsorizzazione. A tal
proposito va rilevato come l’art. 17 Codice Deontologico forense consenta esclusivamente
la sponsorizzazione di “... seminari di studio, corsi di formazione professionale e di convegni
in discipline attinenti alla professione forense”. Ciò ben si comprende se sol si tenga presente
che il fine ultimo per cui si consente la “pubblicità” è pur sempre quello di informare l’utenza
in ordine al servizio e alla qualità dell’attività professionale svolta dall’avvocato e non, al
contrario, quello di un ritorno di natura commerciale da parte dell’avvocato stesso.
Per quanto sopra esposto
esprime parere
nel senso di ritenere non conforme alle norme deontologiche vigenti l’attività rappresentata
nel quesito.
***
Il Consiglio
- Vista la richiesta presentata in data 22 febbraio 2007 dalla Dott.ssa (omissis) in ordine
alla possibilità di ottenere un nulla osta al patrocinio innanzi ad un Tribunale facente parte
di un distretto diverso da quello in cui è ricompreso l’Ordine presso il quale la suddetta -
402
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PARERI DEONTOLOGICI
praticante abilitata- risulta iscritta;
- Udita la relazione dei Consiglieri Rossi e Testa, quali coordinatori della Commissione
Deontologica;
- considerato che l’art. 1 co. 2 della legge 24 luglio 1985 n. 406 non prevede eccezioni
di sorta e che, in particolare, nessuna disposizione normativa prevede la possibilità del
rilascio di nulla osta che deroghino alla norma stessa;
dichiara
inammissibile la domanda.
***
- Vista la richiesta di parere deontologico pervenuta in data 23 gennaio 2007 (e meglio
specificata in data 8 febbraio 2007) dall’Avv. (omissis), in ordine alla possibilità di
pubblicizzare il proprio studio legale su un’autovettura Smart;
Il Consiglio
Udita la relazione dei Consiglieri Rossi e Testa, quali coordinatori della Commissione
Deontologica;
osserva
l’art. 2 della legge n. 248 del 4 agosto 2006 ha rimosso il divieto di svolgere pubblicità
informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio
offerto, nonchè i costi complessivi delle prestazioni precisando, peraltro, che il messaggio
deve rispettare criteri di trasparenza e veridicità il cui controllo è affidato all’Ordine
professionale.
Va osservato che la nuova disciplina ha rimosso un divieto, quanto ai contenuti, che era
già stato ampiamente soppresso dalla precedente riforma del Codice Deontologico -artt. 17
e 17 bis- approvata nella seduta del 27 gennaio 2006 del Consiglio Nazionale Forense. La
riforma in questione, infatti, già consentiva di dare informazione sui titoli conseguiti e sui
diplomi di specializzazione.
La norma legislativa ha invece effettivamente innovato, ammettendo la pubblicità
informativa sulle caratteristiche del servizio offerto e sui costi delle prestazioni, pur
prevedendo che il relativo messaggio sia sottoposto al controllo dell’Ordine professionale.
Le modifiche apportate al Codice Deontologico Forense nella seduta del 18 gennaio
2007 alla luce della nuova normativa, hanno dunque conseguentemente riguardato -tra
l’altro- il testo dell’art. 17 prevedendo che il contenuto e la forma dell’informazione debbano
essere coerenti con la finalità della tutela dell’affidamento della collettività e che debbano
rispondere ai criteri di trasparenza e veridicità. L’informazione stessa, inoltre, non dovrà
assumere i connotati della pubblicità ingannevole, elogiativa, comparativa.
Quanto ai mezzi di informazione consentiti essi sono previsti dall’art. 17 bis del Codice
Deontologico Forense che, nella nuova formulazione, ha eliminato le limitazioni concernenti i mezzi e gli strumenti utilizzabili fermo restando, ovviamente, che questi dovranno
essere adeguati al decoro della professione.
I doveri di probità, dignità e decoro costituiscono infatti il cardine su cui poggia la
professione forense e non hanno costituito oggetto di modifica alcuna.
Venendo più specificamente all’oggetto del quesito proposto, va osservato come, se
FORO ROMANO 2/2007
403
PARERI DEONTOLOGICI
quanto al contenuto, il messaggio pubblicitario possa essere ritenuto conforme alla vigente
normativa deontologica, altrettanto non possa dirsi quanto alla forma e alle modalità di
informazione che si intendono utilizzare.
L’apposizione di scritte sugli sportelli -o su altra parte- di un’autovettura- è infatti
strumento proprio della pubblicità commerciale e non appare conforme ai principi di
dignità e decoro della professione forense.
***
- Con istanza del 6 marzo 2007 l’Avv. (omissis), premesso di aver assistito nel 2005 una
coppia in sede di divorzio congiunto e che nel corrente anno l’ex marito si è rivolto ad altro
difensore per chiedere la modifica delle condizioni divorzili sia in tema di affidamento, sia
in ordine agli aspetti patrimoniali, attesa la disponibilità dello stesso a concedere liberatoria
all’Avv. (omissis) per assumere la difesa della moglie come gradito da quest’ultima, chiede
se, in ultima ipotesi, sussista ugualmente una situazione di incompatibilità;
Il Consiglio
Uditi i Consiglieri Rossi e Testa, quali coordinatori della Commissione Deontologica;
osserva
l’art. 51, I canone complementare del Codice Deontologico forense, sancisce il divieto -per
l’avvocato che abbia assistito congiuntamente i coniugi in controversie familiari- dal prestare
la propria assistenza in controversie successive tra i medesimi in favore di uno di essi; per
giunta, nel caso di specie, l’oggetto del giudizio per cui il richiedente dovrebbe assumere il
mandato nei confronti dell’ex cliente, è strettamente connesso al mandato espletato in
precedenza (anche) in favore del predetto.
Da ciò potrebbe conseguire la possibilità, per l’avvocato, di utilizzare nel nuovo giudizio,
contro l’ex assistito, notizie apprese in occasione dell’espletamento del precedente incarico
con conseguente violazione dei doveri di cui all’art. 9 Codice deontologico forense.
Nè la liberatoria, che si assume concessa dall’ex cliente, appare idonea a superare il citato
divieto attesa l’impossibilità di valutare ex ante lo sviluppo e le problematiche connesse al
giudizio che ci si accinge ad intraprendere.
***
- Vista la richiesta di parere deontologico presentata in data 9 marzo 2007 dall’Avv.
(omissis) relativa alla possibilità di informare il pubblico circa la propria attività professionale
attraverso il recapito di lettere nelle cassette della posta di privati e/o aziende;
Il Consiglio
Uditi i Consiglieri Rossi e Testa, quali coordinatori della Commissione Deontologica;
osserva
l’art. 2 della legge n. 248 del 4 agosto 2006 ha rimosso il divieto di svolgere pubblicità
informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio
offerto, nonchè i costi complessivi delle prestazioni precisando, peraltro, che il messaggio
deve rispettare criteri di trasparenza e veridicità il cui controllo è affidato all’Ordine
professionale.
Va osservato che la nuova disciplina ha rimosso un divieto, quanto ai contenuti, che era
404
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PARERI DEONTOLOGICI
già stato ampiamente soppresso dalla precedente riforma del Codice Deontologico -artt. 17
e 17 bis- approvata nella seduta del 27 gennaio 2006 del Consiglio Nazionale Forense. La
riforma in questione, infatti, già consentiva di dare informazione sui titoli conseguiti e sui
diplomi di specializzazione.
La norma legislativa ha invece effettivamente innovato, ammettendo la pubblicità
informativa sulle caratteristiche del servizio offerto e sui costi delle prestazioni, pur
prevedendo che il relativo messaggio sia sottoposto al controllo dell’Ordine professionale.
Le modifiche apportate al Codice Deontologico Forense nella seduta del 18 gennaio
2007 alla luce della nuova normativa, hanno dunque conseguentemente riguardato -tra
l’altro- il testo dell’art. 17 prevedendo che il contenuto e la forma dell’informazione debbano
essere coerenti con la finalità della tutela dell’affidamento della collettività e che debbano
rispondere ai criteri di trasparenza e veridicità. L’informazione stessa, inoltre, non dovrà
assumere i connotati della pubblicità ingannevole, elogiativa, comparativa.
Quanto ai mezzi di informazione consentiti essi sono previsti dall’art. 17 bis che, nella
nuova formulazione, ha eliminato le limitazioni concernenti i mezzi e gli strumenti
utilizzabili fermo restando, ovviamente, che questi dovranno essere adeguati al decoro della
professione.
I doveri di probità, dignità e decoro costituiscono infatti il cardine su cui poggia la
professione forense e non hanno costituito oggetto di modifica alcuna.
Venendo più specificamente all’oggetto del quesito proposto, va osservato come lo stesso
non attenga tanto al contenuto del messaggio informativo sulle caratteristiche dell’attività
professionale offerta quanto alla possibilità di acquisire, tramite il messaggio stesso, nuova
clientela.
A tale proposito va osservato che il Codice Deontologico, così come riformato, ha
spostato il canone II della precedente formulazione dell’art. 17 (che prevede il divieto di
offrire, sia direttamente che per interposta persona, le proprie prestazioni professionali al
domicilio degli utenti, nei luoghi di lavoro, di riposo, di svago e, in generale, in luoghi
pubblici o aperti al pubblico) inserendolo nell’art. 19 che concerne il divieto di accaparramento della clientela.
Non va dunque confusa la possibilità di fornire informazioni sulla propria attività
professionale con quella di offrire le proprie prestazioni in luoghi collettivi e/o ad una
moltitudine indiscriminata di soggetti.
Quanto alle modalità e alla forma dell’informazione, va osservato che il recapito di
corrispondenza a soggetti indeterminati attraverso l’inserimento di lettere nella cassetta della
posta, appare strumento proprio della pubblicità commerciale e come tale non conforme ai
principi di dignità e decoro della professione forense.
***
- Vista la richiesta di parere deontologico presentata in data 9 marzo 2007 dall’Avv.
(omissis) relativa alla possibilità di informare il pubblico circa la propria attività professionale
attraverso il recapito di lettere nelle cassette della posta di privati e/o aziende;
Il Consiglio
Uditi i Consiglieri Rossi e Testa, quali coordinatori della Commissione Deontologica;
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osserva
l’art. 2 della legge n. 248 del 4 agosto 2006 ha rimosso il divieto di svolgere pubblicità
informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio
offerto, nonchè i costi complessivi delle prestazioni precisando, peraltro, che il messaggio
deve rispettare criteri di trasparenza e veridicità il cui controllo è affidato all’Ordine
professionale.
Va osservato che la nuova disciplina ha rimosso un divieto, quanto ai contenuti, che era
già stato ampiamente soppresso dalla precedente riforma del Codice Deontologico -artt. 17
e 17 bis- approvata nella seduta del 27 gennaio 2006 del Consiglio Nazionale Forense. La
riforma in questione, infatti, già consentiva di dare informazione sui titoli conseguiti e sui
diplomi di specializzazione.
La norma legislativa ha invece effettivamente innovato, ammettendo la pubblicità
informativa sulle caratteristiche del servizio offerto e sui costi delle prestazioni, pur
prevedendo che il relativo messaggio sia sottoposto al controllo dell’Ordine professionale.
Le modifiche apportate al Codice Deontologico Forense nella seduta del 18 gennaio
2007 alla luce della nuova normativa, hanno dunque conseguentemente riguardato -tra
l’altro- il testo dell’art. 17 prevedendo che il contenuto e la forma dell’informazione debbano
essere coerenti con la finalità della tutela dell’affidamento della collettività e che debbano
rispondere ai criteri di trasparenza e veridicità. L’informazione stessa, inoltre, non dovrà
assumere i connotati della pubblicità ingannevole, elogiativa, comparativa.
Quanto ai mezzi di informazione consentiti essi sono previsti dall’art. 17 bis che, nella
nuova formulazione, ha eliminato le limitazioni concernenti i mezzi e gli strumenti
utilizzabili fermo restando, ovviamente, che questi dovranno essere adeguati al decoro della
professione.
I doveri di probità, dignità e decoro costituiscono infatti il cardine su cui poggia la
professione forense e non hanno costituito oggetto di modifica alcuna.
Venendo più specificamente all’oggetto del quesito proposto, va osservato come lo stesso
non attenga tanto al contenuto del messaggio informativo sulle caratteristiche dell’attività
professionale offerta quanto alla possibilità di acquisire, tramite il messaggio stesso, nuova
clientela.
A tale proposito va osservato che il Codice Deontologico, così come riformato, ha
spostato il canone II della precedente formulazione dell’art. 17 (che prevede il divieto di
offrire, sia direttamente che per interposta persona, le proprie prestazioni professionali al
domicilio degli utenti, nei luoghi di lavoro, di riposo, di svago e, in generale, in luoghi
pubblici o aperti al pubblico) inserendolo nell’art. 19 che concerne il divieto di accaparramento della clientela.
Non va dunque confusa la possibilità di fornire informazioni sulla propria attività
professionale con quella di offrire le proprie prestazioni in luoghi collettivi e/o ad una
moltitudine indiscriminata di soggetti.
Quanto alle modalità e alla forma dell’informazione, va osservato che il recapito di
corrispondenza a soggetti indeterminati attraverso l’inserimento di lettere nella cassetta della
posta, appare strumento proprio della pubblicità commerciale e come tale non conforme ai
principi di dignità e decoro della professione forense.
406
FORO ROMANO 2/2007
PARERI DEONTOLOGICI
Adunanza del 22 marzo 2007
L’Avv. (omissis) ha formulato richiesta di parere in ordine alla possibilità di eseguire
notificazione a mezzo del servizio postale di contratti di finanziamenti, cessioni del quinto
dello stipendio, previa procura speciale notarile da allegare agli atti da notificare.
Il Consiglio
- Uditi i Consiglieri Rossi e Testa, quali coordinatori della Commissione Deontologica;
- Attesa l’inconferenza dell’argomento in merito al Codice Deontologico forense e
l’inopportunità di esprimere qualsiasi parere preventivo;
dichiara
inammissibile la richiesta così come formulata.
***
Gli Avvocati (omissis) con istanza del 20 marzo 2007 chiedevano chiarimenti in ordine
all’interpretazione dell’art. 85 c.p.c. avendo ricevuto una revoca di incarico da parte di un
loro cliente per il quale curavano molteplici procedimenti.
In particolare chiedevano se fosse sufficiente una revoca per tutti i procedimenti
pendenti oppure una revoca specificamente identificativa per ogni vertenza di riferimento.
Chiedevano inoltre quale fosse la differenza tra la revoca di una singola procura speciale
e la revoca di una procura generale alle liti.
Il Consiglio
- Uditi i Consiglieri Rossi e Testa, quali coordinatori della Commissione Deontologica;
osserva
- per quanto riguarda il primo aspetto non vi è dubbio che, indipendentemente dal
numero, ogni mandato è stato conferito, nella fattispecie indicata, con una procura specifica,
la quale, in modo altrettanto specifico, dovrà essere revocata non potendosi considerare
valida ed efficace, a tal fine, una generica revoca.
E’ appena il caso di ricordare che la procura viene conferita ed il rapporto nasce
sull’intuitus personae riferito alla singola fattispecie e conseguentemente nello stesso modo
deve cessare;
- per quanto riguarda il secondo aspetto va rilevato che mentre la singola procura speciale
è riferita ad una ipotesi specifica, la procura generale alle liti viene invece conferita al
procuratore per consentire al medesimo, in ovvio accordo con la mandante, di agire
direttamente per suo conto senza il conferimento, di volta in volta, di un singolo mandato.
Per tale motivo l’eventuale revoca di una procura generale alle liti annulla in toto la
rappresentatività del procuratore facendolo decadere da ogni attività su tale presupposto
intrapresa.
***
L’Avv. (omissis) ha formulato richiesta di parere in merito alla possibilità di eseguire le
notifiche dei contratti, conclusi con la clientela e riguardanti erogazione di prestiti contro
cessione del quinto dello stipendio ed operazioni assimilate, alle amministrazioni datrici di
lavoro ai sensi e per gli effetti del D.P.R. 180/50.
All’uopo l’Avv. (omissis) fa presente di essere abilitato dal Consiglio dell’Ordine dal 13
FORO ROMANO 2/2007
407
PARERI DEONTOLOGICI
aprile 2000 (14/2000 Not.) ad effettuare tali notifiche a mezzo servizio postale.
Il Consiglio
- Uditi i Consiglieri Rossi e Testa, quali coordinatori della Commissione Deontologica;
- Vista la inconferenza dell’argomento in merito al Codice Deontologico forense
dichiara
inammissibile la richiesta così come formulata.
***
Adunanza del 5 aprile 2007
L’Avv. (omissis), con istanza del 21 marzo 2007, ha chiesto un parere deontologico in
merito al comportamento da adottare in relazione alla nomina di difensore d’ufficio, in
presenza di altra nomina di fiducia già conferita dall’interessato.
Il Consiglio
- Udito il Consigliere Rossi, anche a nome del Consigliere Testa oggi assente, quali
coordinatori della Commissione Deontologica;
- Visto l’art. 23 sub III del Codice Deontologico forense, con il quale si stabilisce che il
difensore di fiducia “è tenuto a comunicare tempestivamente con mezzi idonei al collega,
già nominato d’ufficio, il mandato ricevuto”;
- Considerato che tale adempimento è stato esperito, ancorchè con semplice comunicazione via telefono, a seguito di invito trasmesso via fax dall’avvocato nominato d’ufficio;
ritiene
che siano state rispettate le condizioni deontologiche richiamate a tal proposito.
***
Adunanza del 26 aprile 2007
- L’Avv. (omissis), con istanza pervenuta il 19 marzo 2007, ha chiesto al Consiglio di
essere autorizzato a rinunciare ad una difesa d’ufficio o quantomeno di esserne esonerato
con contestuale nomina di altro collega iscritto nell’elenco.
Dopo avere riferito circa l’attività da lui diligentemente spiegata nella veste anzidetta,
adduce, a sostegno, il contegno irriguardoso dell’assistita così come manifestatosi nell’unica
comunicazione, peraltro solo telefonica, avuta con costei tramite il Carabiniere di servizio
(“io non voglio fare niente, io non la conosco nemmeno, ma lei chi è, ecc.”), cessata per di
più con la deliberata interruzione del colloquio da parte della stessa.
Aggiunge, in particolare, che detto contegno comporta oltretutto l’impossibilità di
predisporre una informata e adeguata linea difensiva nel corso del procedimento tuttora in
fase di indagini preliminari a seguito della reiezione di una domanda di archiviazione.
La richiesta è stata trasmessa alla Commissione Deontologica stante il suo ritenuto
profilo deontologico.
Il Consiglio
- Uditi i Consiglieri Rossi e Testa, quali coordinatori della Commissione Deontologica;
osserva
in proposito, che il difensore d’ufficio ha certamente l’obbligo di prestare il patrocinio e che
la sua sostituzione può avere luogo solo per giustificato motivo (art. 97 co. V c.p.p.), il quale
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FORO ROMANO 2/2007
PARERI DEONTOLOGICI
ultimo non può peraltro intendersi limitato alle sole ipotesi di incompatibilità disciplinate
dall’art. 106 stesso Codice, dovendosi invece ritenere esteso a quelle situazioni che rendano
impossibile la prestazione medesima.
E’ da ritenere che rientri tra queste, oltre ovviamente l’impossibilità d’ordine fisiopsichico per infermità o comunque sensibile disagio comportamentale, quella conseguente
al venire meno delle condizioni minime che consentano all’avvocato di esercitare l’ufficio
demandatogli nel rispetto della dignità personale che è suo dovere tutelare e che è principio
scritto a chiare lettere nelle tavole fondamentali della professione (artt. 12 e 38 R.D.L. 27
novembre 1933 n. 1578; art. 5 del Codice Deontologico).
L’esonero dall’obbligo della prestazione in presenza di uno dei testè cennati motivi di
giustificazione postula peraltro, da un lato, la richiesta di sostituzione da rivolgere al giudice
procedente e, dall’altro, il dovere di perseverare nella difesa finchè alla sostituzione stessa
non si sia provveduto e non sia trascorso il termine eventualmente concesso al subentrante
ex art. 108 c.p.p.
A tanto dovranno pertanto uniformarsi i colleghi difensori d’ufficio che versino
effettivamente nelle situazioni sopra descritte.
***
- L’Avv. (omissis), con richiesta pervenuta il 30 marzo 2007, riferendosi ad una vertenza
fra coniugi, premette che, avendo ricevuto mandato dalla moglie di addivenire ad una
separazione consensuale, ha avuto un unico contatto con il marito allorquando lo stesso si
è recato presso il suo studio per esaminare e quindi sottoscrivere il relativo ricorso le cui
condizioni erano già state previamente, laboriosamente e personalmente concordate dagli
interessati.
Fa presente peraltro che lo stesso marito non si è presentato all’udienza presidenziale,
come del resto preannunciatogli il giorno prima dai figli della coppia.
Con la predetta istanza chiede se vi siano cause ostative d’ordine deontologico all’eventuale accettazione del mandato ad assistere la moglie nel giudizio di separazione contenziosa
che la stessa intende intraprendere.
Il Consiglio
- Uditi i Consiglieri Rossi e Testa, quali coordinatori della Commissione Deontologica;
osserva
- che il vigente art. 51 del Codice Deontologico Forense, in tema di conflitto di interessi
e più specificamente nell’argomento in questione, stabilisce che “l’avvocato che abbia
assistito congiuntamente i coniugi in controversie familiari deve astenersi dal prestare la
propria assistenza in controversie successive tra i medesimi in favore di uno di essi”.
La nozione di “assistenza congiunta” presuppone, naturalmente, l’espletamento, da
parte del comune avvocato, di un’opera professionale che dell’assistenza medesima rivesta
le caratteristiche cui certo non sono alieni consigli, suggerimenti, rielaborazioni di testi
concordati altrove, ecc.
Se dunque una semplice firma apposta, sia pur previo semplice controllo della conformità a quanto altrove stabilito, dell’atto predisposto dal legale, può non rientrare nella
nozione surriferita, è peraltro evidente che sarà solo quest’ultimo a potersi e doversi regolare
FORO ROMANO 2/2007
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PARERI DEONTOLOGICI
in proposito sulla scorta di quanto a sua diretta ed esclusiva conoscenza, accettando il
mandato propostogli se consapevole di non avere comunque interferito nella decisione del
marito di apporre la propria sottoscrizione al ricorso ovvero, al contrario, astenendosene ove
diverso sia stato il suo contegno.
Vengono in tal modo salvaguardati sia la libera autodeterminazione del professionista e
sia la correlativa libertà dell’Ordine, eventualmente chiamato a valutarne il comportamento
in effetti osservato.
***
- L’Avv. (omissis), con istanza pervenuta il 4 aprile 2007, chiede il parere del Consiglio
in ordine alla liceità deontologica dell’eventuale menzione, da parte sua e nel corpo di un
ricorso per ingiunzione o -in alternativa- di un atto di citazione, di due scritture espressamente qualificate di natura riservata e confidenziale.
Riferisce, va chiarito per la precisione, che di dette scritture egli ha avuto conoscenza
avendo assistito un proprio cliente in una controversia stragiudiziale concernente cessione
di quote di una società quotata in borsa e che, in detta sede, le parti hanno per l’appunto
sottoscritto le due scritture anzidette con l’intesa che mai le stesse avrebbero dovuto essere
“portate all’attenzione” dell’Autorità Giudiziaria, stante anche la contemporanea pendenza
di processi penali nei quali erano ambedue coinvolte.
Motiva la propria richiesta avendo in prospettiva l’intenzione di adire l’Autorità
Giudiziaria per conseguire il soddisfacimento degli onorari spettantigli, rimasti invece
insoluti e, intendendo previamente conoscere, paventando una possibile responsabilità
disciplinare, per violazione del segreto professionale, quale sia, in proposito, “l’orientamento della Commissione Deontologica”.
Ciò premesso, va innanzitutto chiarito che non rientra tra le funzioni della Commissione Deontologica, nè del Consiglio, il rilascio di una qualsivoglia sorta di nulla-osta
preventivo relativo a quel contegno che il singolo legale intenda, in ipotesi, osservare nella
situazione concreta da lui prospettata, dovendo la stessa, per contro, esprimersi per esclusiva
generalità di enunciazioni e con stretto riferimento al ritenuto ambito di applicazione della
normativa cui è preposta.
Il Consiglio
- Uditi i Consiglieri Rossi e Testa, quali coordinatori della Commissione Deontologica;
- Trascorrendo pertanto al principio che regola la materia e chiarito, per l’esattezza, che
non tanto tratterebbesi, nella specie, di violazione del segreto professionale quanto invece
di contegno incidente nella categoria degli atti e documenti intercorsi tra le parti e i rispettivi
legali cui sia stato impresso il sigillo della riservatezza. E’ da ritenere non corretto il
comportamento dell’avvocato che, ancorchè non producendo in giudizio atti e documenti
intercorsi tra le parti, agli stessi faccia riferimento mediante richiamo del loro contenuto
ovvero loro menzione.
L’art. 28 del Codice Deontologico, benchè attinente al divieto di produrre la corrispondenza riservata scambiata con il collega e inserito proprio perciò nel Titolo II relativo per
l’appunto ai “rapporti con i colleghi”, è da ritenere infatti che abbia portata di maggior
respiro, non potendo non riguardare altresì e a maggior ragione, per manifesti rilievi d’ordine
410
FORO ROMANO 2/2007
PARERI DEONTOLOGICI
logico e sistematico, le scritture confidenziali e riservate alla cui stesura e approvazione si sia
pervenuti a seguito di elaborazione congiunta delle parti assistite dai rispettivi legali che
dunque, avendovi contribuito, sono astretti alle stesse regole di divieto di produzione in
giudizio e, del pari, di specifica menzione (non per nulla l’art. 28 cit., al suo primo comma,
parla di lettere riservate che “non possono essere prodotte o riferite in giudizio”).
Maggiore e intuitiva cogenza assume il divieto qualora, come prospettato nella richiesta,
le scritture possano avere attinenza con contigue pendenze penali tra le stesse parti.
***
- L’Avv. (omissis), con istanza depositata il 12 aprile 2007, essendo stata invitata
dall’(omissis) ad impegnarsi per qualche mese, in territorio estero -indica (omissis) quale
possibile assegnazione- nell’espletamento di consulenze propriamente di diritto internazionale e più specificamente attinenti alla tutela dei diritti umani, fa presente che si tratterebbe
di incarico non retribuito e per il quale le verrebbe corrisposta una sola diaria per sopperire
alle spese di sussistenza da sostenere nel singolo Paese di destinazione, con esclusione
pertanto di qualsivoglia necessità di fatturazione, e chiarisce, sotto il profilo della qualificazione giuridica del rapporto da istituirsi, che si verterebbe in un’ipotesi di distacco da parte
di uno Stato, quale l’Italia, membro dell’Organizzazione in questione, di propri funzionari
e anche, come nella specie, di professionisti presso le Missioni in Paesi in cosiddetta via di
sviluppo.
Si domanda se possa incorrere, qualora accettasse, in incompatibilità con i doveri
discendenti dall’iscrizione nell’Albo, con conseguenti riflessi sulla prosecuzione dell’attività
professionale una volta cessato l’incarico medesimo, e chiede in proposito il parere del
Consiglio.
Il Consiglio
- Uditi i Consiglieri Rossi e Testa, quali coordinatori della Commissione Deontologica;
ritiene
che nulla osti alla prestazione, da parte di un avvocato, del tipo di attività delineato nella
richiesta.
Essa si inquadra nell’ambito di una di quelle organizzazioni internazionali volte a
favorire l’instaurazione di un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le nazioni e
di cui la Costituzione della Repubblica, al suo articolo 11, fa specifico riconoscimento.
Sembra quindi doversi escludere, già in base a questa considerazione, che possa ravvisarsi
un’infrazione al dovere di indipendenza sancito dall’art. 10 del Codice Deontologico
Forense, cui va aggiunta quella ulteriore, desunta dalla circoscritta temporaneità del distacco,
che non consente di ravvisare un’incisione negativa sul requisito della residenza dell’avvocato nella circoscrizione del Tribunale ove è iscritto (art. 10 della Legge Professionale).
L’asserita gratuità dell’incarico consente poi di argomentare conclusivamente col ribadire, anche sotto tale profilo, l’esclusione della violazione del cennato dovere di indipendenza.
***
- Lo Studio Legale (omissis), con istanza depositata il 28 marzo 2007, ha sottoposto
all’attenzione del Consiglio, tramite l’Avv. (omissis) suo componente, il testo del bando di
FORO ROMANO 2/2007
411
PARERI DEONTOLOGICI
concorso, riservato a giovani laureati in giurisprudenza, avente ad oggetto l’attribuzione di
due borse di studio e specializzazione post-laurea presso una Università degli Stati Uniti
d’America per il solo anno accademico 2007-2008, dell’importo massimo di euro (omissis)
ciascuna.
Il Consiglio
- Uditi i Consiglieri Rossi e Testa, quali coordinatori della Commissione Deontologica;
- chiamato a pronunciarsi in proposito, esprime parere favorevole.
Contribuisce certamente all’adempimento del dovere di aggiornamento professionale
sancito per ogni singolo avvocato dall’art. 13 del Codice Deontologico Forense, l’organizzazione e la sponsorizzazione -ai sensi del susseguente art. 17 e a cura di avvocati terzi nonchè
di società e/o associazioni di avvocati- di seminari di studio, corsi di formazione professionale e convegni in discipline attinenti alla professione forense.
L’indizione, come nella specie, di un bando di concorso con conseguente attribuzione
di borse di studio obbedisce alle stesse finalità culturali, ove si consideri che essa è finalizzata
al conseguimento del master in materie giuridiche oltre che all’espletamento di una ricerca,
da effettuarsi nel periodo di studio, in tema di “attività dell’impresa e tutela degli investitori”
e alla redazione di una tesi su un argomento prefisso dallo Studio richiedente sulla scorta
della consulenza richiesta, in unione a suoi esponenti, ad un Comitato Scientifico di docenti
universitari in discipline giuridiche, economiche e finanziarie.
D’altra parte, la previsione, quali requisiti per la partecipazione al concorso, dell’età
massima inferiore al compimento del 29° anno di età, di una votazione di laurea non
inferiore a 107/110 e -in alternativa- a votazioni equiparabili a seconda della normativa
applicabile e, infine, dell’ottima conoscenza della lingua inglese parlata e scritta, depongono
ulteriormente a favore della serietà dell’indizione medesima e del suo opportuno ancoramento allo scopo pratico perseguito, che è quello di consentire a giovani meritevoli di
arricchire il proprio patrimonio culturale, meta assai probabilmente non attingibile senza il
forte sostegno finanziario loro concesso, mediante l’approfondita conoscenza sul posto di
esperienze teorico-pratiche di primaria importanza sia in ambito internazionale che nei suoi
riflessi sul diritto interno e di aprire loro prospettive concrete di avviamento professionale.
Positivo apprezzamento va riservato, da ultimo, alla clausola che non consente di
partecipare al concorso ai laureati che abbiano in atto, dal momento della presentazione
della domanda fino al termine del corso, un qualsiasi rapporto di collaborazione professionale con lo stesso Studio Legale (omissis).
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FORO ROMANO 2/2007
EXTRAVAGANTES
SUL
CALENDARIO ROMANO
Ai re Romolo e Numa viene attribuito anche il merito di aver introdotto il calendarium, perciò
detto anche romuleo o numano, quale utile strumento per l’esercizio del potere politico-religioso
fondato sulle cerimonie religiose comunque connesse alla vita civile distinta in dies fasti e nec fasti
in cui secondo, o meno, il favore delle divinità erano permesse o vietate certune attività.
In origine constava di dieci mesi ed iniziava dal mese di marzo, quando la natura irrompe con
tutto il suo vigore; e fu detto lunare in quanto regolato sull’intervallo tra due novilunii, pari al
cosiddetto mese lunare, quanto il corso della rivoluzione completa della Luna intorno alla Terra
( da non confondere con la rotazione , sul proprio asse).
Dal VI sec. a.C. divenne lunisolare in cui le fasi della Luna o lunazioni erano rapportate al moto
del Sole, le due entità cosmiche più importanti che dalle origini quotidianamente sempre allo stesso
modo ripetono i fenomeni contrassegnati rispettivamente dall’alba e dal tramonto, dalle lunazioni
e fasi lunari che si susseguono ogni mese sinodico di circa 29 giorni con : - Luna nuova o novilunio,
quando la Luna è in congiunzione, ossia dalla stessa parte del Sole rispetto alla Terra, per cui il suo
emisfero risulta oscurato;- Luna piena o plenilunio quando invece la Luna si trova in opposizione,
cioè dalla parte opposta del Sole rispetto alla Terra per cui risulta ben visibile la sua parte
illuminata. Tra queste due posizioni ve ne sono talune peculiari in corrispondenza delle fasi dette
del primo quarto e dell’ ultimo quarto in cui l’emisfero lunare, illuminato dal Sole, è visto dalla
Terra soltanto a metà. Si dice allora che la Terra, il Sole e la Luna sono in quadratura, cioè ai vertici
di un triangolo rettangolo ideale, con la Terra dalla parte dell’angolo retto. Da queste fasi
principali, che sono separate da intervalli di 7g9h11m ( durata del mese sinodico diviso quattro ...la
settimana ), si hanno poi tutte le possibili condizioni di illuminazione intermedie.
Ora bisogna fare alcune considerazioni di natura astronomica: a ) la durata dell’anno solare
( o tropico ) dovuto al moto di rivoluzione della Terra intorno al Sole è di circa 365 giorni, 5h, 48m,
46 s e quindi non coincide con l’anno civile stabilito in 365 giorni interi e tale differenza è
all’origine ancora oggi della difficoltà di elaborare un calendario perfetto; b ) il mese sinodico è
pari a 29g 12h44m3s e corrisponde alla rivoluzione della Luna intorno alla Terra riferita
all’allineamento Terra-Sole-Luna ( mentre, com’ è noto, il più preciso mese sidereo di 27g7h43m12s
ha come riferimento una stella della Sfera o volta celeste ).
I Romani in un primo momento avevano stabilito la durata dell’anno in 355 giorni suddivisi
in 12 mesi lunari di 29 giorni circa e di conseguenza, tenuto conto dei precedenti punti a ) e b
), si rendeva necessaria una correzione, come del resto avviene ancora oggi, per riallineare l’anno
civile con l’anno solare. Cosa che avveniva ogni due anni ad opera dei Pontefici che, secondo i loro
calcoli, compensavano col mese intercalare detto mercedonius i 22 – 23 giorni mancanti,
inserendoli dopo il 23 Febbraio, correggendo così il calendario che era indietro di circa 11 giorni
l’anno rispetto all’anno solare.
Anche nelle varie città-stato della Grecia, ancorchè in Roma, furono adottati vari calendari
prima lunari e successivamente lunisolari dotati di ingegnosi sistemi per fissare le date e
compensare lo scarto per difetto tra l’anno solare e l’anno civile. Celebre è il calendario ateniese;
l’anno attico dell’epoca di Solone, ad esempio, iniziava nella seconda metà del mese Ecatombeone
( Luglio ) dopo il solstizio d’estate. Tre decadi formavano il mese all’inizio contrassegnato dalla
luna nuova. Tuttora sono lunari i calendari Ebraico e Musulmano.
Dal 153 a.C. l’anno ebbe inizio il 1° Gennaio, in propizia coincidenza all’insediamento dei
Consoli, e i mesi da dieci, con l’aggiunta di Ianuarius e Februarius, furono portati a dodici.
La stessa etimologia dei mesi è ispirata alle divinità e alle festività sacre ricorrenti nel periodo
e correlate alle varie fasi e cicli del mondo agricolo-pastorale di allora:
FORO ROMANO 2/2007
413
EXTRAVAGANTES
Ianuarius, sacro a Ianus, Giano, divinità agreste a protezione delle porte della città ( ianua )
e dei confini tra i fondi; Februarius , mese dei Februa ossia delle purificazioni; Martius, a Marte,
divinità in origine agricola poi guerriera; Aprilis, sacro a Venere, e Maius a Maia, dea della
vegetazione; quindi Iunius, sacro a Giunone, dea della prosperità e della famiglia ; seguono
Quintilis e Sextilis, cioè il quinto e il sesto mese,che in età imperiale, divennero, rispettivamente,
Iulius, in onore di Giulio Cesare, e Augustus, in onore di Augusto imperatore; infine, September,
il 7° mese; ultimi, October, l’8°; November e December, rispettivamente il 9° e il 10° . All’origine
essi erano aggettivi e quindi venivano uniti al sostantivo mensis; successivamente divennero meri
sostantivi.
Nel 45 a.C. Giulio Cesare, avvalendosi dell’opera dell’astronomo Sosigene di Alessandria,
introdusse il calendario solare, che da lui prese il nome di giuliano, soppresse il mercedonius e
aumentò il numero di giorni a 365, stabilendo 31 giorni per i mesi di Marzo, Maggio, Luglio e
Ottobre; aggiunse inoltre due giorni ai mesi di Gennaio, Agosto, Dicembre, che divennero di 31;
un giorno ad Aprile, Giugno e Settembre, di 30; Febbraio di 28.
L’anno solare fu approssimato a 365 giorni e 6 ore, mentre l’anno civile era, e tuttora, di 365
giorni; le sei ore in difetto per anno in un quadriennio comportavano quindi la differenza di un
giorno che nel prosieguo si sarebbe accumulata. Per eliminare l’inconveniente ogni quattro anni,
tra il 23 e il 24 Febbraio, il Pontefice intercalava un giorno, il bissexto kalendas Martias, da cui
il nome di bisestile dato appunto all’anno che risultava così di 366 giorni ( e pertanto comportava
necessariamente la modifica delle date, dai termini ordinari, nelle seguenti: 24 = ante diem bis VI
Kalendas Martias ( abbr. a.d. bis VI Kal. Mar. ); 25 = a.d. VI Kal. Mar. ; 26 = a.d. V Kal. Mar.;
27 = a.d. IV Kal. Mar.; 28 = a.d. III Kal. Mar.; 29 = pridie Kal. Mar.). Il calendarium giuliano
trovò definitiva applicazione soltanto dall’8 d.C. per ordine di Augusto ed è rimasto pressochè in
vigore per la Chiesa ortodossa fino ai nostri giorni.
L’elemento lunare- che aveva regolato i tempi remoti - rimase sistematicamente anche nei
calendari successivi, con il mese sempre contrassegnato da tre giorni fissi corrispondenti ad
altrettanti fasi della luna: al novilunio le Kalendae, il 1° di ogni mese, dal greco kaléò e latino calo,
calare, cioè il chiamare a raccolta / convocare il populus da parte del Pontefice sul colle Palatino
presso il tempio di Giunone Moneta, cui il dies era dedicato, per annunciargli le festività religiose
e il principio del mese con la formula “Dies te quinque ( vel septem ) calo, Iuno Covella (Novella
)”, ripetuta cinque o sette volte a seconda dei giorni mancanti alle nonae, determinando così anche
le Idi . E da Kalendae, dapprincipio riferito soltanto al primo giorno del mese, si passò a
calendarium per indicare l’intero intervallo annuale quantunque si ritiene, invero, che tale termine
fosse piuttosto riferito al particolare registro, una sorta di scadenziario, tenuto dal liberto, ove
erano annotati le somme o beni fungibili in deposito o a prestito coi relativi interessi , foenus o
fenus, quale corrispettivo per il loro uso, le usurae, che giusto si scontavano alle calende, ossia il
primo del mese.
Al I° quarto di luna, il 5 del mese, corrispondevano le Nonae, cioè il nono giorno antecedente
le Idi, le quali in coincidenza del plenilunio cadevano di conseguenza il 13. Il significato di idus
è incerto e forse etrusco e probabilmente indicava la luminosità dovuta al plenilunio oppure la
divisione del mese in due parti quando la luna da crescente diventa calante. Certo era dies sacro
a Giove tant’è che per l’occasione, il più importante tra i Flamines majores, il Flamen Dialis
addetto al suo culto gli sacrificava una pecora bianca detta appunto ovis idulis.
Da queste date i Romani determinavano anche gli altri giorni aggiungendo Pridie o Postridie
per indicare rispettivamente il giorno precedente o successivo alle suddette date ; se intermedio,
si contavano, invece, tanti giorni – inclusi il dies a quo quanto il dies ad quem - occorrenti alle
successive kalendas vel Nonas vel Idos.
Nei mesi di Marzo, Maggio, Luglio e Ottobre le nonae cadevano il 7; mentre le Idi il 15.
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FORO ROMANO 2/2007
EXTRAVAGANTES
La giornata era divisa in giorno e notte rispettivamente scandite dalle Horae e dalle Vigiliae
per complessive ventiquattro ore: la notte, dalle sei della sera alle sei del mattino, divise in
quattro parti di tre ore ciascuna dette vigiliae dai turni di guardia che dall’uso militare passò nella
vita civile. Il giorno era invece diviso in dodici horae, numerate dalla prima, le sei del mattino, alla
dodicesima, le diciotto di sera.
Gli anni, poi, venivano indicati ab urbe condita o ricorrendo all’eponimia dei Consoli in carica.
Ne risulta una raccolta frammentata ma ordinata nei fasti consulari e capitolini gelosamente
custoditi dai Pontefici . Con l’era cristiana si usò la locuzione ante e post Cristum natum, così come
sostituita nel VI sec. d.C. dal monaco Dionigi l’Exiguus a ab incarnatione Domini in uso dall’era
di Diocleziano. Infine, il calendario gregoriano del Pontefice Gregorio XIII ( 1572 – 1585 ), tuttora
in vigore, altro non è che un calendario giuliano modificato da una peculiare commisione tra cui
si distinsero il medico calabrese di Cirò, Luigi Giglio, e il tedesco Critoforo Clavio. Se fosse
continuato il calendario giuliano, coi ritardi accumulati, la Pasqua sarebbe infatti stata celebrata
in estate. Furono apportate pertanto le seguenti innovazioni: a ) le settimane, in cui si dividono i
mesi, di durata quasi uguali alle fasi lunari, con la lunghezza media dell’anno civile prossima a
quella dell’anno tropico per correggere lo scarto in difetto di 11 minuti e 14 secondi che già nel
XVI secolo avrebbe fatto anticipare all’11 Marzo la data dell’equinozio di primavera del 21;
b ) l’ eliminazione dei 10 giorni di differenza tra l’anno civile ( o calanderiale ) e l’anno solare
ricorrendo all’artificio di saltare direttamente dal 4 Ottobre 1582 al 15 Ottobre 1582;
c ) per l’avvenire, gli anni secolari sarebbero stati considerati bisestili soltanto quelli in cui il
gruppo di cifre precedenti i due zeri è divisibile per quattro.
Da tempo si sta pensando ad un calendario universale con l’anno diviso in 52 settimane e 4
trimestri di 91 giorni, composti da tre mesi rispettivamente di 31, 30 e 30 giorni con inizio del
trimestre la domenica ( restano fuori 1 o 2 giorni l’anno se bisestile ) . In tal modo l’anno e ciascun
trimestre inizierebbe sempre di domenica evitando gli artificiosi computi del ciclo settimanale
dovuti alla diversa lunghezza dei mesi. Ma sul punto ci sono ancora difficoltà e resistenze da parte
delle varie religioni diverse dalla cattolica, quali l’ebraica e musulmana.
Roma, 22 Maggio 2007
Avv. Domenico Giustiniani
HABEMUS STATUTUM
1) Quel quarantotto del 1848
2) Una proposta di lettura di una costituzione dimenticata
3) Il nodo politico dell’art. 5 ( 25 Luglio 1943 ) e il fragoroso risveglio di una costituzione
1) Tutto sarebbe cambiato, niente sarebbe stato più come prima.
Questo era il comune proposito dei rappresentanti del Terzo Stato riunitisi nella Sala della
Pallacorda, i quali giurarono (20 Giugno 1789) di non separarsi mai “fino a che non si fosse data
e affermata su solide basi la costituzione del regno” secondo la formula adottata da Bailly, il
presidente dell’assemblea “sfrattata” da Versailles per volere di Luigi XVI.
Il nuovo e auspicato regime politico avrebbe portato1 alla nascita di una monarchia non più
assoluta, bensì costituzionale, limited, per usare le parole di A. Hamilton2
Sessant’anni più tardi, in quel quarantotto del nostro 1848 risorgimentale, quella promessa
solenne era ancora valida, anzi era stata fatta propria anche dai patrioti italiani e Carlo Alberto
FORO ROMANO 2/2007
415
EXTRAVAGANTES
di Savoia, re di Sardegna (1831-1848), sapeva che, una volta terminati i lavori per la redazione
dello Statuto ad opera dei suoi Ministri riunitisi sotto la sua presidenza, sarebbe iniziato per il
Piemonte un nuovo corso istituzionale di stampo liberale, con l’abbandono definitivo del ruolo
della Corona quale autorità accentratrice dei tre poteri costituzionali, come notoriamente
teorizzati da Montesquieu.
La concessione in data 4 Marzo 1848 dello Statuto Albertino, entrato in vigore l’8 Maggio
dello stesso anno, a far tempo dal giorno della prima riunione delle Camere subalpine,
rappresenta un punto di netta cesura con l’ordinamento politico dell’antico regime sabaudo di
stampo assolutista, come restaurato con un forte senso anacronistico durante i lavori del
Congresso di Vienna (1814-1815) dalle potenze europee, che avevano sconfitto la Francia
napoleonica, la quale aveva tradito le conquiste della Rivoluzione.
Lo Statuto3, costituzione ottriata emanata da Carlo Alberto, basata su un solido pactum
unionis tra la Corona e la emergente classe borghese, vivrà gli iniziali momenti di gloria
piemontesi durante la Prima Guerra di Indipendenza e resterà in vigore all’indomani della
sconfitta sabauda ad opera dell’Impero degli Asburgo.
In seguito, con la proclamazione dell’Unità di Italia, lo Statuto sarà elevato al rango di legge
fondamentale per i territori degli stati regionali annessi per via plebiscitaria.
L’auctoritas metagiuridica e il significato delle conquiste liberali dello Statuto, ben di più del
posto dallo stesso occupato nella gerarchia delle fonti4, contribuiranno alla nascita di una sistema
coeso dal punto di vista politico e sociale, in un’Italia ancora profondamente malata di un
campanilismo dalle profonde radici basso-medievali, nella quale, all’indomani del 1861,
continuavano a circolare le valute degli stati preunitari nelle transazioni commerciali più
comuni.
La scelta di denominare la legge fondamentale del regno statuto e non costituzione
allontanava sicuramente l’eco rivoluzionario francese, ancora vivo in un Piemonte da sempre
vicino alle vicende politiche interne transalpine e si presentava parimenti per forma juris più
vicina a una tradizionale fonte giuridica italiana del Basso Medioevo, lo statuto comunale5, il più
delle volte espressione politica di una conjuratio.
Lo Statuto presentava un tessuto normativo basato su una distribuzione dei tre poteri
costituzionali, anche se tra quest’ultimi solo grazie a constitutional conventions di natura
extragiuridica si affermerà quel sistema di bilanciamenti proprio della forma parlamentare.
Da principio, infatti, “al re sono attribuiti poteri forti”6; egli detiene in toto il potere esecutivo
(art.5) e rappresenta uno dei tre rami del potere legislativo, che divide con la Camera dei Deputati
e il Senato del Regno (art.3), in ossequio al principio anglosassone the King in Parliament.
Inoltre “la Giustizia emana dal Re”, quasi si trattasse di un fascio di raggi di luce, che si
dispiegano dalla sua persona; donde il potere giurisdizionale non godeva, secondo la lettera dello
Statuto, di guarentigie apprezzabili, anzi con l’andare del tempo diverrà un apparato alle strette
dipendenze di quello esecutivo.
Quest’ultimo non conosce inizialmente al suo vertice politico la natura collegiale del
Governo, in quanto “il Re nomina e revoca i suoi Ministri”, uti singuli secondo il laconico dettato
dell’ art. 65, né la persona del Presidente del Consiglio, figura che solo de facto entrerà nel
panorama costituzionale statutario.
Infine va inoltre ricordata la diffusa opinione per cui lo Statuto si presentava come un
documento flessibile (seppur in origine rigido), in quanto non prevedeva procedure aggravate
per la sua revisione7.
2) La flessibilità:ecco l’atavica colpa dello Statuto, a volte sporadicamente ricordata nel corso
degli studi universitari istituzionali, per esaltare, in sede di confronto con la nostra costituzione
416
FORO ROMANO 2/2007
EXTRAVAGANTES
del 1948, il carattere rigido di quest’ultimo documento.
Invero si ricordi come anche la costituzione inglese in senso sostanziale si presenti
storicamente flessibile; ciononostante il paese d’oltremanica 8 ha conosciuto la limitazione del
potere assoluto della Corona già agli inizi del secolo XIII, con la nascita, in epoca moderna, della
forma di governo parlamentare, evidenziando la sua aspirazione a presentarsi come uno stato
liberale ante litteram, prima che questo si cristallizzasse sul continente nel corso del secolo XIX.
Al di là della flessibilità giuridica della costituzione inglese, si osserva come quest’ultima sia
politicamente rigida (al pari dello Statuto), così da non permettere de facto che nessun potere si
muova al di fuori dei propri limiti secolarmente delineati.
Tale evoluzione è poi dovuta principalmente alle già richiamate constitutional conventions,
regole extragiuridiche di natura politica, che certo non hanno nella flessibilità un limite, bensì
un presupposto per la loro pacifica osservanza9.
In proposito si propone di accantonare la diatriba rigidità-flessibilità della carta ottriata
quarantottina, per optare in favore della sua natura elastica, come evidenziato dal Rossi, e cioè
della idoneità di tale documento ad adattarsi “alle variabili necessità dei tempi e delle
circostanze, perché le sue formule sintetiche e generiche lasciano largo margine al loro sviluppo
ed integrazione, mediante leggi costituzionali particolari, consuetudini e interpretazioni varie10”.
Del resto lo Statuto, seppur mostrandosi giuridicamente flessibile anche nei suoi primi anni
di vigenza, presentava come rigida la sua auctoritas politica, quale summa di valori sui quali
doveva fondarsi prima il Piemonte del nuovo corso costituzionale e poi il frammentato stato
unitario.
Inoltre l’esperienza istituzionale statutaria può considerarsi un vera fonte di insegnamenti
politici anche per il nostro attuale sistema costituzionale.
La prima forma di governo parlamentare11 vide infatti la luce nel nostro paese sotto il vigore
dello Statuto ed ebbe ad evolversi al di là di ogni precetto contenuto in quel documento e il nostro
ordinamento vigente fa di certo proprio il corso costituzionale presente nel c.d. sessantennio
liberale unitario (1861-1922).
In tema di Bill of Rights si osserva poi come molte libertà siano riconosciute dalla nostra
costituzione del 1948 quali delineatesi sotto il vigore dello Statuto12.
Quest’ultimo merita di essere studiato e approfondito ancora oggi, anche nell’ambito di uno
studio comparatistico, quale punto di contatto tra la tradizione giuridica continentale e quella di
common law.
Le parole del Cavour sulle pagine del Risorgimento13 del 10 Marzo 1848, pur prive di eccessivo
entusiasmo politico per la concessione sovrana, mostrano come lo Statuto, influenzato apertis
verbis dai principi politici in nuce liberali dell’ordinamento francese, pur restaurato, rappresentasse
un punto di inizio per un nuovo corso istituzionale di stampo parlamentare in senso razionalizzato
secondo la tradizione pubblicistica inglese, nel quale la assemblea elettiva si poneva al centro
dell’ordinamento costituzionale e godeva di un mai spento e sopito potere costituente, da
esercitarsi nelle forme della legislazione ordinaria.
È del resto ben noto come il futuro Capo di Governo della prima Italia unita non nascondesse
una profonda ammirazione per il sistema politico dell’Inghilterra, nonché per l’inclinazione
liberale e liberista di tale nazione.
Del resto lo Statuto recepiva (art. 10)14 inoltre una manifestazione del fondamentale principio
anglosassone no taxation without representation.
3) Non si può di certo negare che lo Statuto, già nel periodo della Destra storica (1861-1876),
si sia visto spogliare del suo carattere rigido in senso giuridico, “trafitto” da leggi ordinarie15, tese
con noncuranza e irriverenza a emendarlo, o da semplici prassi parlamentari16.
FORO ROMANO 2/2007
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EXTRAVAGANTES
Il carattere rigido tornerà a caratterizzare lo Statuto per mano del Fascismo, la forza politica che
più di ogni altra ha tentato di modificarlo profondamente, senza mai formalmente abrogarlo in toto
per motivi di opportunità politica17.
Del resto la lex legum, lo Statuto, “non c’è più” e non rimane di esso nient’altro che un Santo
Sepolcro vuoto18, davanti al quale è inutile porsi di guardia.
Ma questa costituzione dormiente durante il ventennio avrà modo di risvegliarsi in modo assai
fragoroso la mattina del 25 Luglio 1943; Vittorio Emanuele III, infatti, si muove politicamente non
tanto sulla base del voto del Gran Consiglio, che la notte precedente aveva sfiduciato Mussolini,
ma secondo il chiaro dettato dell’art. 519 dello Statuto, che attribuiva in toto il potere esecutivo alla
sua persona; il Duce non era che uno dei suoi Ministri, che egli poteva nominare e revocare ad
libitum ai sensi dell’art. 65 della carta albertina.
La lettera dello Statuto è dunque restaurata nel suo originario vigore quarantottino quasi
cent’anni dopo e si presenta più che mai viva e attuale in articulo mortis, permettendo un “colpo”
di stato monarchico.
I fatti che seguono risultano a tutti ben noti; la diarchia, ovvero la scomoda coabitazione del
Fascismo e della Corona nell’alveo dello stato totalitario, ormai logora da anni, si scioglierà quella
mattina d’estate.
L’interregno (1943-1946) che porterà al referendum del 2 Giugno 1946 sarà retto dalla c.d.
costituzione provvisoria, per usare le parole di Calamandrei, costituita dai tre decreti legislativi
luogotenenziali (nn. 151/1944, 146/1945 e 98/1946).
L’auctoritas dello Statuto aveva dunque legittimato un punto di cesura costituzionale, nel quale
la Corona si scopriva politicamente, per vedersi riconosciute le sue prerogative istituzionali in
un’ottica neosonniniana, ovvero ancorata ad una interpretazione letterale e non evolutiva della lex
legum del 1848.
Rimangono l’auspicio e la speranza che oggi l’interesse per lo studio dello Statuto Albertino
non si arresti nell’ambito della archeologia giuridica o di diffusi pregiudizi, ma si comprenda, come
si è cercato di illustrare in queste pur sommarie considerazioni, quanto il nostro attuale
ordinamento politico sia tributario di tale costituzione e della esperienza istituzionale, che l’ha
cottraddistinta, in un’ottica di continuità.
Conoscere le radici delle nostre libertà di ogni giorno le rende politicamente “rigide” nel
profondo di ciascuno di noi e ci spinge a preservarle con più fermezza, non dandole mai per
scontate.
Dott. Fernando De Angelis
Link Campus University of Malta
NOTE
1
In data 8 Febbraio 1848 Carlo Alberto aveva fatto pubblicare un proclama costituzionale con il quale venivano
adottate, come si legge nel preambolo, “le seguenti basi di uno Statuto fondamentale per istabilire nei Nostri Stati
un compiuto sistema di governo rappresentativo”.
Il re “Magnanimo” aveva già in precedenza avviato un lento e progressivo ammodernamento dello stato sabaudo,
facendosi promotore di un ampio intervento di codificazione di ispirazione napoleonica, nonché introducendo, tra
il 1847 e il 1848, un sistema rappresentativo, seppur a suffragio assai ristretto, a livello provinciale e comunale,
permettendo inoltre uno moderato esercizio della libertà di stampa e eliminando, in base alla lettera patente del 18
Febbraio 1848, ogni distinzione giuridica per motivi di
ordine religioso.
Lo stesso Carlo Alberto, da reggente del Regno di Sardegna, aveva concesso nel Marzo 1821 la costituzione di
Cadice del 1812, la prima carta ottocentesca a definirsi “liberale”, punto di unione del costituzionalismo britannico
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FORO ROMANO 2/2007
EXTRAVAGANTES
nel mar Mediterraneo e della c.d.
constitucion historica
spagnola.
2
Sul tema della limited constitution si rimanda al saggio n. 78 in“Federalist Papers” (1787-88).
3
In molte parti fedele traduzione delle costituzioni francesi del 1791 e del 1814 (come novellata nel 1830).
4
L’art. 1 delle c.d. Preleggi del 1942 annovera quali prime nella gerarchia delle fonti le leggi, non facendo menzione
dello Statuto Albertino (al tempo ancora formalmente vigente) o di altro documento di natura costituzionale.
5
Oggi con il termine statuto si indica la norma fondante per il funzionamento delle Regioni e dei c.d. enti locali,
quali regolati dal T.U. di cui al D.lvo 267/2000.
6
R. Martucci, Storia costituzionale italiana, pagg. 45 ss., Carocci, Roma, 2002.
7
A contrario vengono comunemente considerate rigide le costituzioni, come quella italiana del 1948, che
predispongano un iter più aggravato per la loro modifica rispetto a quello legislativo ordinario (ex plurimis v. C.
Esposito, La validità delle leggi (1934), pag. 164, Giuffrè, Milano, 1964; diversamente A. Pace, Potere
costituente, Rigidità costituzionale, Autovincoli legislativi, pagg. 1 ss., Cedam, Padova, 1997).
8
Eppure, paradossalmente le prime costituzioni rigide scritte, i “Fundamental Orders“ dei coloni americani del
Connecticut (1638) e l’ “Instrument of Government” promulgato da Cromwell nel 1653, nascono in un ambiente
politico inglese di spirito protestante.
9
Le conventions o consuetudini costituzionali si presentano come fonti integratrici della nostra costituzione in
senso sostanziale, seppur prive di carattere giuridico. Si configurano quali prassi o accordi taciti tra i vari organi
costituzionali interessati, la cui validità risulta legata alla clausola rebus sic stantibus: in tal senso si rimanda al
disposto dell’art 88/1 della nostra Carta, per cui il Capo dello Sato “può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le
Camere o una sola di esse”.
La facoltà presidenziale si presenta di pronta comprensione; in realtà la casistica in cui dovesse risultare opportuno
esercitarla, è disciplinata dalle suddette fonti di natura prettamente politica (ad esempio allorché l’organo esecutivo
goda di un instabile rapporto fiduciario con uno dei due rami parlamentari).
10
In La “elasticità” dello Statuto Albertino (1939) in Scritti vari di diritto pubblico, vol. VI, Giuffrè, Milano, pag.
11, 1941.
11
La medesima “selvaggia” forma di governo, che trae origine dal primo Trasformismo, quale delineatosi sotto
Depretis, risulta caratterizzata da una forte instabilità dell’organo politico esecutivo e ha contrassegnato tutto il
periodo della c. d. “Prima Repubblica”.
12
Si pensi alla libertà di riunione, quale ad oggi costituzionalmente prevista (art. 17), che può essere esercitata
pacificatamene e senz’armi, come disposto già nella formulazione statutaria (art. 32) e in quella della costituzione
belga del 1831 (art. 19).
13
In Tutti gli scritti di Camillo Cavour, a cura di Piscedda e G.Talamo, vol. III, Centro Studi Piemontesi, Torino,
pag. 1115, 1976.
14
“(…) ogni legge di imposizione di tributi, o di approvazione dei bilanci e dei conti dello Stato, sarà presentata
prima alla Camera dei Deputati”.
15
Ex plurimis la l. 3204/1876, che trasformò “la milizia comunale”, prevista dall’art. 76 dello Statuto, in “milizia
territoriale” facente parte della “forza armata governativa” o le leggi attributive dei pieni poteri al Governo del Re
in occasione delle tre guerre risorgimentali (l. 759/1848, 3345/1959 e 2872/1966), approvate in chiara violazione
del dettato costituzionale statutario.
16
Come quella di non discutere e di non approvare i codici articolo per articolo ex art. 55/2 dello Statuto, ma di
autorizzarne con legge la pubblicazione mediante decreto reale, previo parere delle commissioni parlamentari.
17
Del resto le esperienze tese a redigere una costituzione unidocumentale fascista erano naufragate negli anni 192425, nonostante gli approfonditi lavori preparatori della Commissione dei “Quindici” e di quella dei “Diciotto
Soloni”.
La Carta del Lavoro e le altri leggi fascistissime, come quella (n. 100/1926) sui poteri del Governo, rappresentano
la normativa costituzionale in senso sostanziale del regime.
Da ultimo l’art. 12 della legge sul Gran Consiglio del Fascismo (n. 2693/1928) introdusse un
iter parlamentare aggravato per le leggi che riguardassero “questioni aventi carattere costituzionale”, ripristinando
la natura rigida dello Statuto.
18
Per usare le parole pronunciate nel discorso del capo del Fascismo al Senato in data 12 Maggio 1928, Per la
riforma della Costituzione v. amplius in Opera Omnia di Benito Mussolini, a cura di E. e D. Susmel, vol. XXIII,
pag. 147, La Fenice, Firenze, 1956.
19
V. anche art. 13 della Carta costituzionale francese del 1814.
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EXTRAVAGANTES
PHILOGHELOS
Una sconfitta ineluttabile
Un giovane aveva fatto causa al padre per il riconoscimento di un suo credito, consistente
in una piccola somma di denaro.
I due furono portati avanti a Pittaco, uno dei sette saggi della Grecia.
Pittaco si rivolse al giovane e gli disse: “Senti, se tu perderai la causa sarai condannato ma
se la vincerai, meriteresti ugualmente di essere condannato”.
La ricchezza non è sinonimo di capacità
Platone era contrario all’usanza in vigore ad Atene di dare le magistrature ai signori più
ricchi della città.
Soleva dire che ciò era come se si affidasse il comando della nave al passeggero più ricco.
Vivere in armonia ha grande peso
Il console romano Publio Rutilio era un uomo molto grasso.
Un giorno assistette ad una accesa disputa tra alcuni concittadini che litigavano tra loro,
probabilmente per motivi politici.
Cercò inutilmente di riportarli alla calma e alla fine li convinse dicendo: “Amici miei, come
voi vedete, io sono un uomo molto grasso. Mia moglie è più grassa di me, eppure quando
andiamo d’accordo, un piccolo lettuccio basta per tutti e due, mentre quando litighiamo tutta
la casa ci sembra piccola e non ci basta più”. (da Ateneo)
La adulazione paga sempre
A Ugo di Tiberiade, fatto prigioniero durante la terza crociata, fu concesso dal saladino,
grande sultano d’Egitto e Siria, un anno di tempo per procurarsi la somma necessaria per il
riscatto.
Il saladino gli disse: “non vi sarà certamente un cristiano più prode di te che non sia disposto
ad aiutarti, anzi si affretterà a farlo”.
Rispose Ugo di Tiberiade: “Non conosco tra i cristiani alcuno che sia più prode di Voi e
pertanto permettetemi che cominci da Voi a chiedere un aiuto economico”.
Il saladino, allora generosamente gli condonò metà della somma richiesta per il riscatto.
Giustizia casalinga
Alcuni mercanti avevano acquistato da Plinio il giovane, l’uva delle sue ville, sperando di
rivenderla per fare un giusto guadagno. Plinio fu irremovibile e non concesse loro alcuno
sconto, per cui i mercanti se ne andarono delusi, pagando tuttavia la somma richiesta.
Plinio ci ripensò e richiamò i mercanti, restituendo parte della somma ricevuta, dicendo
loro: “sono stato per tanti anni pretore ed ho reso giustizia in pubblico;
Mi piace ora rendere giustizia anche a casa mia e in privato”.
a cura di Giovanni Cipollone
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RAPPORTI INTERNAZIONALI
Adunanza del 1° marzo 2007
AUDIZIONE AVV. ENRICO SCOCCINI - RELAZIONE SULLA
CONFERENZA DI VIENNA DEI PRESIDENTI DEI CONSIGLI DELL’ORDINE D’EUROPA
- Viene ammesso in Aula l’Avv. Enrico Scoccini il quale svolge una relazione sulla
Conferenza di Vienna del 16 febbraio 2007, che integralmente si trascrive: “Si è tenuta a
Vienna, il 16 febbraio 2007 la trentacinquesima Conferenza dei Presidenti dei Consigli
dell’Ordine e delle Associazioni europee degli Avvocati. Per il Consiglio dell’Ordine di
Roma il Presidente Cassiani ha delegato l’Avv. Enrico Scoccini. La Conferenza è un
appuntamento annuale importante, in quanto ciascuna delegazione nazionale degli Avvocati riferisce sull’attività svolta, sulle iniziative e sugli obiettivi che intende conseguire,
consentendo quindi uno scambio utile di informazioni, esperienze e valutazioni sullo stato
della professione forense. In un momento in cui l’attività professionale dell’avvocato ha
subito e sta subendo profonde trasformazioni, anche per effetto di interventi normativi del
legislatore comunitario, l’incontro di Vienna è stato particolarmente utile per cogliere i
termini dell’attuale dibattito sullo stato e sulle prospettive della professione legale in generale
e forense in particolare. I temi sono ricorrenti e le problematiche per la gran parte comuni,
pur nella diversità di soluzioni che ad esse vengono proposte, a dimostrazione di una
situazione comune a tutti i Paesi europei, comunitari e non, di profondo cambiamento del
quadro normativo ed istituzionale attinente la professione legale in relazione ad un mutato
quadro economico, sociale e di mercato in cui i servizi legali vengono offerti e richiesti. Per
l’Italia era presente il Presidente del Consiglio Nazionale Forense Guido Alpa, il quale ha
riferito sulle ultime vicende legislative introdotte nel nostro Paese dal noto decreto Bersani
di agosto, sui suoi contenuti e sulla posizione fortemente critica del mondo forense nei
confronti di tale intervento legislativo. Ha pure riferito sulle iniziative che il Consiglio
Nazionale Forense ha assunto per migliorare la situazione degli Avvocati italiani, quale la
realizzazione di un network informatico tra tutti gli Avvocati italiani, per facilitare la
diffusione di notizie, lavori, informazioni, e a crescere la qualità dei servizi legali in uno
scenario di maggiore concorrenza e competitività. In tale quadro vanno pure collocate le
iniziative di offrire il servizio di firma digitale certificata agli Avvocati, e i contributi per i test
di funzionamento del nuovo processo civile telematico.
Anche in Inghilterra e Galles, sono in corso modifiche legislative per quanto attiene i
servizi legali, essendo stato redatto un primo disegno di legge (il legal service bill del 24
novembre 2006), rispetto al quale la Law Society ha costantemente interloquito con il
Governo e con il Parlamento (attualmente è all’esame della Camera dei Lords). Il disegno
di legge recepisce molte delle indicazioni fornite dalla Commissione presieduta da Sir David
Clementi, istituita nel dicembre 2004, i cui punti fondamentali erano: lo svolgimento della
professione legale deve avvenire sotto la sorveglianza di un nuovo Consiglio dei servizi legali
(Legal services Board); la separazione tra funzioni di rappresentanza e funzioni di controllo
all’interno del corpo professionale; l’istituzione di un ufficio di risarcimenti contro gli errori
degli Avvocati nei confronti dei consumatori; la partecipazione di non Avvocati (nonsolicitors) a società di Avvocati (Law Firms). La Law Society è sostanzialmente favorevole al
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RAPPORTI INTERNAZIONALI
disegno di legge governativo, che ritiene idonea alle esigenze attuali della professione legale,
anche se rivendica la propria autonomia per quanto attiene alla disciplina complessiva della
professione legale, compresi i rapporti tra avvocati e non avvocati, lasciando al Legal Services
Board il compito di intervento solo quando le regole dettate dalla Law Society non hanno
dimostrato la loro insufficienza.
La Scozia, sulla scia delle commissioni Clementi, ha pure modificato, in parte, la propria
legislazione sulla professione legale, costituendo un organo per la risoluzione delle controversie tra clienti e avvocati. La Law Society scozzese ha avuto un atteggiamento di riserva nei
confronti del nuovo organismo, anche in relazione al fatto che nella versione originale del
testo legislativo non era previsto appello contro le sue decisioni. Con la modifica del
dicembre 2006 è stata introdotta la possibilità di appello al Tribunale Ordinario, la Law
Society è stata un interlocutore costante in tutte le modifiche legislative introdotte dal
Parlamento scozzese in tema di professione legale, anche per quanto attiene all’introduzione
di norme sulla limitazione delle spese legali nei processi penali, rispetto alle quali, a fronte
di una posizione di totale contestazione da parte della Law Society, l’esecutivo della Scozia
ha profondamente modificato la propria posizione iniziale. La Law Society svolge un ruolo
molto importante anche nella formazione professionale degli avvocati scozzesi, in un’ottica
di aumento della qualità dei servizi.
Anche la Spagna, tra i grandi Paesi europei, ha in corso una modifica al proprio sistema
normativo della professione legale. Il 31 ottobre 2006 è stata pubblicata la legge sull’accesso
alla professione legale. E’ una legge molto attesa dall’avvocatura spagnola, in quanto la
Spagna era l’unico Paese europeo del tutto privo di una specifica disciplina di accesso alle
professioni legali. La nuova legge prevede una lunga vacatio legis di 5 anni, durante i quali
sia le Scuole legali che le Università svolgeranno dei corsi per la preparazione all’esame finale.
Anche la Spagna ha in via di approvazione una legge sulle società tra professionisti, comprese
quelle tra avvocati, che possono avere soci non professionisti fino ad un quarto del capitale
sociale. E’ pure da segnalare, per quanto riguarda la Spagna, il decreto reale del novembre
2006, che introduce un particolare rapporto di lavoro, per gli avvocati che lavorano nei
grandi studi legali e che ricevono una retribuzione per il loro lavoro. La nuova disciplina
stabilisce i diritti e i doveri di tali professionisti, la loro indipendenza, il particolare rapporto
fiduciario con i titolari dello studio, ed altri interessanti profili che dovrebbero essere presi
in considerazione anche nel nostro Paese, ad avviso di chi scrive. Anche la Spagna, ha avviato
un importante programma di informatizzazione dell’attività legale, mettendo a disposizione
degli avvocati spagnoli strumenti informatici, quali la firma elettronica certificata, servizi di
gestione delle e-mail, accesso alla consultazione di banche dati esterne e servizi connessi,
quali ad esempio, il deposito di documenti processuali nei giudizi (solo in alcune Corti, ma
a breve esteso a tutti i Tribunali), servizi di notificazione, ed altre banche dati di uso frequente
per i professionisti.
Minori novità per la Francia, che ha introdotto di recente la società tra avvocati, aperta
anche a non avvocati, entro limiti ben determinati. L’Avvocatura di Francia ha poi condotto
una forte opposizione alla legge che ha introdotto in Francia la direttiva comunitaria sul
riciclaggio di denaro illecito, impugnando la legge innanzi al Consiglio di Stato e quindi
chiedendo che la questione fosse rimessa alla Corte di Giustizia Europea.
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RAPPORTI INTERNAZIONALI
Interessanti anche le novità sul fronte dei nuovi Paesi entrati nell’Unione Europea. La
Polonia nel 2005 ha introdotto una legislazione di totale liberalizzazione della professione
legale, consentendone l’esercizio senza l’esercizio della pratica nel superamento di esame.
Contro tale legislazione hanno ricorso gli avvocati polacchi alla Corte Costituzionale, la
quale ha dichiarato incostituzionale la legge nella parte in cui limita il potere di autoregolamentazione dei corpi professionali. La modifica legislativa approntata dal Parlamento nel
gennaio 2007, non supera le critiche dell’Avvocatura polacca, in quanto ancora eccessivamente aperta all’accesso della professione, senza alcun serio controllo sulla preparazione
professionale di coloro che si iscrivono nelle liste degli avvocati. Nè meno contestata è la
disciplina sulla deontologia professionale e sulla responsabilità, rimessa non ad un organo
interno all’Avvocatura, ma direttamente ai Tribunali ordinari. Contro tale disciplina
l’Avvocatura polacca ha chiesto l’intervento degli organismi internazionali, quali la CCBE,
l’IBA, l’UIA, i quali sono intervenuti presso il Ministro della Giustizia, per chiedere una
modifica al disegno di legge, tuttora in discussione al Parlamento, che sta esaminando la
riforma delle procedure penali e civili. L’atteggiamento del governo polacco è in generale
fortemente negativo nei confronti dei tradizionali principi di autonomia, indipendenza
dell’Avvocatura, tentando, con ripetuti provvedimenti legislativi di limitare la riservatezza
professionale nei rapporti tra cliente e avvocato, limitando l’importo massimo delle spese
legali, introducendo la figura professionale del “consulente legale”, assolutamente libera da
ogni qualsiasi disciplina di accesso, controllo, ecc.
Infine, nella breve carrellata sulla situazione della professione legale in Europa, è da
segnalare la novità legislativa in Romania, la quale pure ha approvato nuove leggi sulla
professione forense, introducendo la società a responsabilità limitata per l’esercizio della
professione, una nuova disciplina dei rapporti tra cliente ed avvocato al fine di evitare
possibili conflitti di interesse; nuove regole deontologiche tra avvocati per assicurare una
concorrenza leale, compresa la disciplina della pubblicità degli studi. Inoltre è stata
introdotta una disciplina dell’attività fiduciaria che possono svolgere gli avvocati, in
particolare quali depositari di somma di denaro; nell’ambito di procedure giudiziarie o
liquidatorie, gestione di valori finanziari o beni per conto del cliente. Naturalmente la nuova
disciplina prevede norme dirette a tutelare il cliente, per quanto attiene alla separazione dei
patrimoni, all’informazione, ecc.
Alla Conferenza di Vienna hanno poi partecipato i Presidenti delle maggiori Associazioni internazionali di avvocati, quali la CCBE, l’IBA e l’UIA, i quali hanno espresso le
rispettive posizioni sulle questioni che oggi, a livello non solo europeo, riguardano la
professione forense della quale, è, in sintesi, da dire, non sembra emergere con chiarezza un
nuovo e chiaro modello di avvocato, oscillando, e le esperienze sopra riportate ne sono una
sintetica testimonianza, tra il modello tradizionale di avvocato come delineato nei codici e
nella normativa della prima metà del secolo scorso, e un modello alternativo di avvocato
imprenditore, ancora non delineato con esattezza nei suoi contenuti e forme.”
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SEGNALAZIONI E RECENSIONI
RECENSIONI
IL DIRITTO COMPARATO DOPO LA RIFORMA
Francesco DE FRANCHIS, Milano, 2006, Giuffré
Ad iniziativa dell’ufficio studi del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma, questo
libro è stato presentato il 16 gennaio presso la sede della Cassa Nazionale Forense da Alessandro
Cassiani, Maurizio de Tilla, Giovanni Cipollone, Titta Mazzuca, Carlo Martuccelli e dai prof.
Guido Alpa e Paolo Spada. Ecco un saggio il cui titolo, alquanto riduttivo, nasconde in realtà
una sorprendente miniera di stimoli intellettuali, di richiami storici, di collegamenti che di
solito sfuggono anche all’osservatore attento che si accosti al fenomeno giuridico.
Dalla storia, alla teoria generale del diritto, alla filosofia, all’economia alla politica, alla
morale, l’autore si presenta con un testo oltremodo gradevole che, per fare solo alcuni nomi,
da Edward Coke a James Madison a Thomas Jefferson a Franz Kafka a Gaetano Salvemini a
Giuseppe Maranini a Piero Calamandrei e Tullio Ascarelli accompagnano il lettore in un lungo
viaggio pieno di scoperte. Ma forse l’aspetto saliente di questo insolito saggio consiste nel
prospettare e insistere sulla natura interdisciplinare del fenomeno giuridico in una società
complessa come quella in cui viviamo.
La riforma alla quale allude il titolo non è quella luterana (di cui peraltro pure si parla), ma
quella, più modesta, dei corsi universitari italiani, definita anche della cosiddetta laurea breve
(cosiddetto 3+2), poi, a sua volta, superata da una successiva riforma che introduce la
cosiddetta laurea magistrale (o laurea lunga) in giurisprudenza (1+4). Premessa di un discorso
ben più ampio, resta il fatto che l’assetto degli studi universitari assume una importanza
innegabile perché è dalla università che escono sia gli operatori del diritto, sia gli studiosi di esso.
Per quanto attiene in particolare a noi avvocati, il libro dedica un capitolo di particolare
interesse al tema del rapporto tra diritto e processo insistendo sul concetto di fondo della
funzione della giurisdizione quale garante dello Stato di diritto; senza una adeguata giurisdizione, egli soggiunge, una società dell’Occidente ritorna allo stato di natura. Ma l’autore si
precipita a precisare anche che diritto non è solo quello che promana dalle aule di giustizia;
come, per fare solo un esempio, nel caso di milioni di contratti spontaneamente osservati, il
che non li fa meno regolati dal diritto di quanto lo siano dei contratti di cui si occupa una
sentenza.
L’autore mette in dubbio la adeguatezza delle riforme universitarie adottate fin qui
propugnando una diversa didattica e, per non pochi versi, anche una diversa, più avanzata,
scienza giuridica. Per Francesco de Franchis lo studio del diritto non può più consistere
nell’anatomia delle strutture giuridiche, ma deve abbracciare la fisiologia del diritto nelle sue
implicazioni politiche, economiche ed etiche. E qui – tema sostanzialmente negletto dalla
nostra didattica – egli insiste sul ruolo centrale che l’interpretazione occupa nella vita del
diritto; ma, egli domanda, come si fa ad interpretare il diritto, quando si trascura la costituzione,
ossia la pietra miliare dalla quale dovrebbe partire e ritornare ogni discorso sul diritto? Ecco,
data la notevole vastità degli interessi dell’autore e i collegamenti che egli fa intravedere al
lettore, sembra quasi di assistere ad una giostra pirotecnica che spesso minaccia di abbagliare
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SEGNALAZIONI E RECENSIONI
il lettore e sviarlo lungo i tanti rivoli in cui il diritto si scioglie.
Ma Francesco de Franchis non finisce come l’apprendista stregone, perché pur avendo
evocato un vasto mare di immagini, riesce a tenere dritta la barra della sua barca e a condurla
in porto con un’opera che insolitamente riesce a fare del diritto addirittura una lettura
divertente. Parafrasando Werner Sombart, noto sociologo tedesco, egli afferma che le idee
giuridiche sono come le perle: ossia che per tenerle assieme esse abbisognano di un filo, e che
spetta allo studioso avvertito di mostrarlo al lettore.
Alla ricerca di un nuovo modo di comunicare col lettore, Francesco de Franchis sconvolge
la convenzionale rappresentazione del diritto adottando un diverso stile ed un linguaggio
drammatizzante che riflette il lato politico-passionale della materia. Sì, perché per de Franchis
il diritto è anche passione. Il libro si snoda in un saggio molto originale che offre un insolito
spaccato su una pratica didattica che ha ormai ridotto lo studio del diritto ad uno spezzatino
senza né capo né coda.
Come si spiega che negli Stati Uniti perfino i bambini delle elementari conoscono gli
articoli più importanti della costituzione, mentre da noi la materia del diritto è riservata agli
specialisti che ne fanno un polpettone indigeribile per chiunque vi si accosti, studente o
semplice curioso che sia? Perché il dovere di farsi capire dalla gente non è sentito dai nostri
giuristi? Eppure il diritto è la parte caratterizzante dell’Occidente: senza diritto l’Occidente
non esiste neanche. Secondo de Franchis, in una situazione in cui nelle nostre università i libri
di testo sono quasi l’unico strumento di apprendimento, in cui, insomma, da noi il diritto si
studia a casa, urgono diversi libri di testo che annullino quella separatezza tra diritto, politica,
economia e morale che si frappone alla conoscenza di una parte fondamentale della vita
quotidiana, ossia le leggi, le regole e i principi che ci governano o dovrebbero governarci.
Egli rileva che la politica si traduce quasi sempre in formule giuridiche: educare quindi la
gente al diritto significa anche, per molti versi, educarla alla politica. Per de Franchis non esiste
neutralità del sapere giuridico, e tantomeno del sapere in genere, ed è quindi essenziale lasciar
intendere ai ragazzi e a chiunque si voglia accostare al diritto quali sono le forze politiche,
economiche e morali che presiedono alla confezione delle leggi.
Contrariamente alla usuale difficoltà dei testi giuridici, questo è invece leggibilissimo,
accessibile non solo a una matricola ma anche a qualsiasi persona di media cultura, non
specialista, che sia curiosa di indagare un fenomeno sociale tanto importante. Facciamo un
esempio: amnistia.
Contrasta o no con il senso elementare di giustizia?, o, in un linguaggio colto, con lo stato
di diritto?: è giusta nei confronti delle vittime dei reati? Non è essa in contrasto con il principio
che la legge è uguale per tutti? Il rapporto tra Politica e Diritto non è di face definizione; ma
come mai possono esserci buone leggi se la politica fallisce? Ecco un libro che, nonostante
talune sue esasperazioni, infonde nel lettore, in definitiva, una nota di ottimismo: la società
complessa non può fare a meno dei giuristi ma questi ultimi devono inventarsi un nuovo ruolo
e non arretrare di fronte alle loro responsabilità nascondendosi dietro il camice dello
scienziato, consapevoli invece delle loro responsabilità nella società complessa. Come dice il
suo autore, si tratta di un libro “per grandi e piccini” al quale si augura il successo che merita.
Alessandro Cassiani
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SEGNALAZIONI E RECENSIONI
L’INVALIDITÀ PER CAUSA DI SERVIZIO E L’EQUO
INDENNIZZO NEL PUBBLICO IMPIEGO
FERRARI Gennaro, Milano, Giuffrè, 2007, pagg. 286, euro 20,00.
Nell’ambito della Collana “Teoria e pratica del diritto – Sezione IV – Diritto amministrativo”,
edita dalla Casa Giuffrè, viene pubblicata la terza edizione interamente riveduta e aggiornata
del volume “L’invalidità per causa di servizio e l’equo indennizzo nel pubblico impiego” del dott.
Gennaro Ferrari, Presidente di Sezione del Consiglio di Stato.
Il volume costituisce una edizione completamente nuova del testo già pubblicato a cura
dello stesso Autore: tale riedizione si è resa necessaria dovendosi procedere ad una completa
ricostruzione dell’istituto dopo le radicali riforme che di esso ha realizzato il D.P.R. 29
ottobre 2004, n. 461, che ha proceduto ad una disciplina unitaria dell’istituto sotto il profilo
sia sostanziale che procedimentale e ad una ridefinizione della competenza degli organi dal
punto di vista sia diagnostico sia decisionale. Il testo affronta, quindi, tutta la problematica
propria dell’istituto e, premessa la trattazione fondamentale degli istituti dell’invalidità per
causa di servizio e dell’equo indennizzo a favore dei pubblici dipendenti, esamina approfonditamente i procedimenti amministrativi per l’accertamento della dipendenza dell’infermità
da causa di servizio e per la liquidazione dell’equo indennizzo, fornendo poi all’interprete
le linee essenziali per la tutela giurisdizionale anche in relazione alla problematica del riparto
di giurisdizione tra Giudice ordinario e Giudice amministrativo; il volume è corredato di
un’appendice legislativa, che riporta tra l’altro il testo completo del D.P.R. 29 ottobre 2001,
n. 461, ed è arricchito nella trattazione dal sistematico e puntuale richiamo alle soluzioni
date dalla giurisprudenza agli innumerevoli problemi insorti in sede applicativa (problematiche ancora oggi di fondamentale rilievo, in quanto il D.P.R. n. 461/2001, considerata la
propria finalità sintetizzatrice del vario materiale legislativo e regolamentare precedentemente emanato, dovrà anche in futuro essere costantemente integrato dall’intervento
interpretativo e chiarificatore in sede giurisprudenziale).
L’opera è, quindi, di eminente rilievo pratico e di sicura utilità per gli Avvocati e per tutti
gli operatori, ai quali se ne raccomanda la consultazione per essere aiutati nella trattazione
delle questioni in sede amministrativa e contenziosa.
Prof. Avv. Filippo Lubrano
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CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
RIFORMA DELLE PROFESSIONI
Cari Colleghi e Cari Amici,
ritengo utile trasmetterVi il testo della audizione che il Presidente della Autorità Garante della
Concorrenza e del Mercato, prof. Antonio Catricalà, ha reso avanti le Commissioni riunite Giustizia
e Attività produttive della Camera dei deputati in data 8 marzo u.s. e ai cui dubbi ho risposto nella
relazione di apertura dell’Anno C.N.F. che il Consiglio celebrerà il prossimo 14 marzo, e che sarà mia
cura inviarVi.
Audizione del Presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del
mercato, Antonio Catricalà, presso le Commissioni riunite II (Giustizia) e X
(Attività produttive) della Camera dei Deputati – 8 marzo 2007 – nell’ambito
dell’indagine conoscitiva sulla riforma delle professioni.
Onorevoli Presidenti, onorevoli Deputati,
l’Autorità, che presiedo, è grata a codeste Commissioni riunite per averle dato la
possibilità di esprimere la propria posizione in merito alla riforma delle professioni. Intendo
assolvere a tale compito, formulando alcune linee di intervento che potrebbero costituire
una base di riflessione per un disegno organico di riforma delle professioni, dopo aver
chiarito le ragioni che consigliano un simile intervento. Infine, saranno svolte alcune prime
osservazioni in merito al disegno di legge governativo AC 2160.
Contesto e problematiche.
Si è diffusa ormai un’ampia consapevolezza, a livello di analisi tecnica, della necessità per
l’Italia di promuovere un riforma della regolazione volta ad eliminare quegli ostacoli che
ingiustificatamente frenano lo sviluppo complessivo del Paese, particolarmente nel settore
delle professioni.
E’ dal 1997, con l’approvazione dell’Indagine Conoscitiva sul settore degli Ordini Professionali, che l’Autorità si era espressa in favore di una riforma, rappresentando gli evidenti
benefici che ne deriverebbero alla collettività, in termini di riduzione dei costi e di
trasparenza delle regole.
Ad analoghe conclusioni sono giunti gli studi delle più autorevoli organizzazioni per la
cooperazione economica a livello internazionale e mondiale. Ne sono eloquente testimonianza le indicazioni del Fondo Monetario Internazionale, che nel rapporto sulla situazione
italiana del 2 novembre 2005, ha chiaramente stigmatizzato le criticità regolatorie che
impediscono lo sviluppo di efficienti mercati nel settore dei servizi professionali, con danno
grave per l’economia intera del Paese. Nello stessa direzione vanno le osservazioni dell’OCSE nel rapporto sull’Italia del 2005, che vede una delle cause della debolezza economica del
Paese proprio nelle inefficienze dei mercati delle professioni, in quanto regolati in maniera
eccessivamente protezionistica.
La Commissione europea, dal canto suo, nella Relazione sulla concorrenza nei servizi
professionali1 ha analizzato le limitazioni alla concorrenza che caratterizzano la regolamentazione dei servizi professionali negli Stati membri e ha messo in evidenza che esse derivano,
in particolare, dalla fissazione o raccomandazione dei prezzi, dalle restrizioni all’accesso alla
professione e all’attività pubblicitaria, dai regimi di riserva previsti per talune attività, dalle
regolamentazioni inerenti l’organizzazione e la struttura aziendale dell’attività.
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Nella Relazione citata, pur riconoscendo le peculiarità dei servizi professionali, la
Commissione ha, tuttavia, auspicato che la revisione complessiva della regolamentazione
dei singoli Stati membri in materia di servizi professionali avvenga possibilmente coinvolgendo gli stessi professionisti. In particolare, la Commissione ha indicato un percorso volto
a verificare l’effettiva funzionalità della regolazione dei servizi professionali alla tutela degli
interessi degli utenti, mediante l’applicazione alle stesse di un test di proporzionalità. La
stessa Commissione ha esaminato, nel corso del 2004 e del 2005, la necessità, proporzionalità e giustificazione della disciplina del settore nell’ambito di incontri con le autorità
nazionali di regolamentazione, con le associazioni europee degli organismi professionali e
con le organizzazioni dei consumatori, invitando le autorità nazionali garanti della
concorrenza a fare altrettanto. Infine, la Commissione europea nella Comunicazione su I
servizi professionali - Proseguire la riforma, del 5 settembre 2005 ha riscontrato che i Paesi che
hanno compiuto i maggiori sforzi in termini di liberalizzazione sono quelli in cui i legislatori
hanno lavorato a stretto contatto con le autorità antitrust nazionali o, comunque, hanno
tenuto conto delle analisi svolte da tali autorità sulle restrizioni vigenti.
Non solo gli organi tecnici sopra citati hanno manifestato simili orientamenti. Da
ultimo, il 12 ottobre 2006 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione (A6-0272/
2006), sul seguito alla relazione sulla concorrenza nei servizi professionali, nella quale si
ribadisce l’importanza dei servizi al fine di promuovere la competitività dell’economia
europea e la necessità che le riforme da attuare nell’ambito della strategia di Lisbona
includano i servizi professionali in quanto settore chiave dell’economia europea.
In particolare, il Parlamento europeo ha ribadito la pregiudiziale necessità di garantire
anche nel settore nel settore delle libere professioni, la piena applicazione delle norme del
Trattato CE in materia di tutela della concorrenza e di mercato interno. Poi più in dettaglio
ha invitato gli Stati membri a garantire accesso e mobilità nell’ambito dei servizi professionali e ad agevolare il passaggio dalla formazione universitaria e post-universitaria alle
professioni; ha sottolineato la necessità di porre fine alle regolamentazioni speciali nel
campo della pubblicità, limitandole in futuro a casi eccezionali debitamente giustificati, per
consentire ai professionisti di fornire agli utenti informazioni sulle loro qualifiche e
specializzazioni professionali e sui servizi da essi offerti; ha poi ritenuto importante
rafforzare gli standard etici e la protezione dei consumatori nell’ambito dei servizi professionali; ha, infine, considerato che l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime e il divieto di
contrattare compensi legati al risultato raggiunto potrebbero costituire un ostacolo per la
qualità dei servizi e la concorrenza ed invita gli Stati membri ad adottare misure meno
restrittive e più adeguate al rispetto dei princîpi di non discriminazione, necessità e
proporzionalità.
In questo contesto, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, nel biennio 2004/
2005, aderendo all’invito della Commissione europea, ha promosso incontri con i rappresentanti di alcuni ordini professionali volti ad analizzare le restrizioni della concorrenza che
ancora caratterizzano il settore delle professioni intellettuali.
L’attività svolta ha evidenziato che in Italia l’applicazione dei principi di concorrenza ai
servizi professionali è ancora vista con diffidenza non solo da parte di alcune categorie di
professionisti, ma anche dalle stesse autorità di regolamentazione. Si fatica, tuttora, a
considerare l’attività professionale come attività d’impresa ed è, in ultima analisi, per tale
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motivo che nel nostro Paese una riforma strutturale delle professioni stenta a decollare.
Degno di nota è il recente intervento della legge 4 agosto 2006, n. 248, di conversione
del d.l. 4 luglio 2006, n. 223 (c.d. decreto Bersani), che ha introdotto misure di promozione
della concorrenza nel settore delle professioni.
La legge si ispira dichiaratamente, tra l’altro, alle indicazioni della Commissione europea
ed alle segnalazioni di questa Autorità e stabilisce interventi rilevanti. In particolare
all’articolo 2 prescrive l’abrogazione delle disposizioni legislative e regolamentari che
prevedono l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime, nonché il divieto di pattuire compensi
parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti; l’abrogazione del divieto, anche
parziale, di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le
caratteristiche del servizio offerto, nonché il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni e
stabilisce che la pubblicità di attività professionali deve essere informata a criteri di
trasparenza e veridicità del messaggio il cui rispetto è verificato dall’ordine.
Si prevede, inoltre, l’abrogazione del divieto di fornire all’utenza servizi professionali di
tipo interdisciplinare da parte di società di persone o associazioni tra professionisti,
stabilendo che “l’oggetto sociale relativo all’attività libero-professionale deve essere esclusivo”, che “il medesimo professionista non può partecipare a più di una società” e che “la
specifica prestazione deve essere resa da uno o più soci professionisti previamente indicati,
sotto la propria personale responsabilità.
Viene disposto, infine, che le disposizioni deontologiche e pattizie e i codici di
autodisciplina che contengono le limitazioni alla concorrenza ora richiamate devono essere
adeguate al nuovo contesto normativo entro il 1° gennaio 2007. In caso di mancato
adeguamento, a decorrere dalla medesima data, le norme deontologiche e pattizie in
contrasto con quanto previsto dal decreto sono in ogni caso nulle. 6.
Nel periodo successivo all’emanazione del decreto Bersani, alcuni organismi rappresentativi dei professionisti hanno assunto decisioni volte ad interpretare in senso restrittivo le
disposizioni sulle professioni contenute nel decreto anzidetto. Inoltre, lo stesso legislatore
non è sembrato molto coerente nel momento in cui con D. Lgs. 1° agosto 2006 n. 349,
successivamente all’entrata in vigore del decreto Bersani, ha modificato la legge notarile
n.89/1913, nella parte relativa alla definizione degli onorari, in senso non coerente con il
decreto. Sono poi pervenute all’Autorità segnalazioni di singoli professionisti relative a
comportamenti di alcuni organismi professionali tesi a precludere ai propri iscritti l’opportunità di avvalersi delle leve concorrenziali previste nel decreto Bersani.
Allo scopo di verificare lo stato del recepimento delle norme pro-concorrenziali sopra
richiamati, l’Autorità, nell’adunanza del 18 gennaio 2007, ha deliberato l’apertura di
un’indagine conoscitiva. Tale indagine è volta a verificare l’atteggiamento degli ordini in
relazione: all’obbligatorietà di tariffe fisse o delle tariffe minime; al divieto dei c.d. patti di
quota lite; al divieto, anche parziale, di svolgere pubblicità informativa; al divieto di
costituire società interdisciplinari tra professionisti.
Considerata l’ampiezza dei soggetti destinatari di tale obbligo di adeguamento dei
rispettivi codici deontologici, allo stato, l’Autorità ha ritenuto opportuno svolgere l’attività
di indagine con particolare riguardo agli ordini ed ai collegi rappresentativi delle professioni
di architetto, avvocato, commercialista e ragioniere, consulente del lavoro, farmacista,
geologo, geometra, giornalista e pubblicista, ingegnere, medico e odontoiatra, notaio, perito
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industriale e psicologo.
L’indagine è attualmente in corso e delle informazioni acquisite si darà conto nel
prosieguo, in relazione alle specifiche tematiche trattate nell’illustrazione di linee generali
di riforma.
…
Linee di riforma
Si è consapevoli del fatto che la materia è particolarmente complessa per gli importanti
interessi pubblici che sono ad essa connessi. Ma proprio per tale ragione, si ritiene che
l’apporto di un’autorità tecnica in sede dibattito politico possa essere più utile se formulato
con la maggiore chiarezza possibile e senza ambiguità, in modo da rendere inequivocabilmente la logica che dovrebbe guidare, dal punto di vista dell’efficienza, l’intervento
normativo. Naturalmente, spetterà a codesto Parlamento la doverosa ricerca di un punto di
equilibrio tra le esigenze del corretto funzionamento del mercato e gli altri interessi pubblici
interferenti, ritenuti meritevoli di tutela.
Occorre chiarire che l’approccio che si suggerisce non intende certo mettere in discussione l’esistenza e l’importanza del ruolo svolto dalle professioni ed in particolare le
professioni liberali e che le regole della concorrenza non possono essere ritenute incompatibili con l’esistenza delle libere professioni o degli ordini, ma possono costituire, per contro,
uno strumento per favorire un continuo rinnovamento del settore. Si ha, infatti, piena
consapevolezza degli interessi fondamentali del singolo e della collettività che sono spesso
collegati ai servizi professionali, nonché del fatto che alcune attività professionali contribuiscono alla diffusione dell’innovazione scientifica e tecnologica nell’interesse della competitività del Paese.
Si ritiene, tuttavia, che i principi di concorrenza possano essere applicati in modo
compatibile con le esigenze di protezione sociale e di tutela degli interessi pubblici che
devono essere garantite dalla regolazione dei servizi professionali.
Si tratta, in sostanza di superare quelle criticità già segnalate sia dagli organismi
internazionali, sia dall’Autorità garante nella “Relazione sull’attività svolta nel biennio
2004/2005 per la promozione della liberalizzazione dei servizi professionali”.
Sul piano metodologico sarebbe opportuno un approccio generale che si riferisca a tutti
i servizi professionali, in quanto interventi limitati ad alcune categorie soltanto rischiano di
non avere l’impatto benefico desiderato sull’economia del Paese. L’esito della vicenda
relativa alla direttiva Bolkestein, che nel corso del procedimento di approvazione è stata via
via depotenziata con la previsione di una serie lunghissima di eccezioni, sta lì a dimostrare
l’importanza di un processo decisionale di riforma graduale, meditato, ma anche tendenzialmente generale.
Per tale ragione, appare sconsigliabile avventurarsi in definizioni legislative dei servizi
professionali, che allo stato, infatti, non esistono. Sembra più opportuno riferirsi semplicemente al concetto di servizio, secondo la accezione residuale propria dell’acquis communautaire, cioè una prestazione di rilievo economico che non rientra nella nozione di merce o di
capitale.
Vista la complessità tecnica e politica di un’opera di riforma generale delle professioni,
sarebbe opportuno procedere secondo un percorso normativo graduale, che definisca in una
legge di delega i principi e i criteri cui deve essere ispirata la regolazione dei servizi
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professionali e incida direttamente solo su quegli aspetti maggiormente restrittivi del buon
funzionamento del mercato, non assistiti da valide giustificazioni di interesse generale. Al
livello della legislazione delegante spetterebbe, in sostanza, di definire quel minimum di
regole per il buon funzionamento dei mercati dei servizi, i criteri per lo svolgimento di
un’accurata regulation review e per la predisposizione della conseguente e coerente regolazione efficiente del settore.
Alla fonte delegata spetterebbe, dopo un’attenta analisi della situazione normativa
vigente e delle reali dinamiche economiche, la disciplina concreta di quegli aspetti più
particolari delle diverse attività professionali. Segnatamente, in questa fase, sulla base dei
criteri stabiliti nella legge delega si dovrebbero individuare gli interessi generali da tutelare
e gli strumenti più idonei e proporzionati da utilizzare, in relazione alle singole professioni.
A tale scopo, si potrebbe pensare di istituire una Commissione tecnica, composta oltre
che dai rappresentati dei Ministeri competenti ed eventualmente se sarà ritenuto opportuno
da rappresentanti di questa Autorità, anche dai rappresentati delle professioni. Ciò potrebbe
costituire un valido ausilio al legislatore governativo delegato e consentire una riforma
maggiormente condivisa.
L’intervento che si ipotizza avrebbe la funzione di predeterminare un contenuto minimo
di regolazione che sia più coerente con un’economia di “mercato aperta ed in libera
concorrenza” (art.4 del Trattato CE). Si tratterebbe, dunque, non tanto di una legge generale,
quanto di una legge di principi di applicazione generale che inciderebbe su quegli aspetti più
rilevanti, dal punto di vista dell’efficienza, che sono presenti nelle varie discipline settoriali,
le quali dunque potrebbero restare in vigore per le parti non incompatibili.
Il principio di fondo cui l’intervento regolatorio dovrebbe ispirarsi è quello secondo cui
le normali dinamiche di mercato, lasciate libere di agire, riescono meglio degli interventi del
pubblico potere a selezionare i servizi nella quantità, qualità e gamma ritenuti più adeguati
dagli utenti. Tale processo di liberalizzazione avrebbe lo scopo di rendere più efficienti i
mercati dei servizi, con vantaggio per l’economia generale del Paese. Tuttavia, siccome in
pratica possono esserci delle situazioni in cui il mercato non è in grado di raggiungere
spontaneamente gli esiti di efficienza indicati o, comunque, quegli esiti che fossero
socialmente auspicabili, si prevede la possibilità di interventi regolatori, i quali però
dovranno essere attentamente sagomati in relazione alle date circostanze, secondo criteri di
adeguatezza e proporzionalità.
Per chiarezza espositiva si affronteranno partitamente le singole tematiche.
Accesso alle professioni
Sarebbe opportuno affermare la regola generale per cui l’accesso ad una professione e,
dunque, la possibilità di prestare i relativi servizi, sono liberi in linea di principio, salve le
ipotesi in cui dimostrate esigenze di tutela di interessi generali richiedano che siano stabiliti
particolari requisiti di ordine morale e/o tecnico. L’opportunità di inserire tali requisiti, ad
opera del legislatore delegato e solo dopo le analisi che si stanno descrivendo, dovrebbe
essere valutata alla luce di effettive e dimostrate esigenze di interesse generale, non altrimenti
perseguibili. A tale scopo, si potrebbe ipotizzare la necessità di una valutazione di
adeguatezza e proporzionalità che prenda in considerazione anche la c.d. ipotesi zero, cioè
l’eventualità di non imporre, in relazione a determinati servizi, l’obbligatorietà di alcun
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requisito, lasciando la selezione dei professionisti migliori alle normali dinamiche di
mercato e la tutela degli utenti e dei consumatori alle ordinarie regole in tema di
responsabilità contrattuale.
Nell’ottica di favorire l’accesso, si dovrebbe prevedere una graduazione nei requisiti che
possono essere richiesti che va dalle ipotesi meno restrittive a quelle più restrittive, da
scegliere in relazione alle specifiche esigenze di tutela che si manifestano. Si potrebbe, ad
esempio, pensare all’istituzione di corsi scolastici ed universitari che consentano di conseguire direttamente l’abilitazione e la possibilità di imporre l’esame di Stato, preceduto o non
dal tirocinio, a seconda delle circostanze. Il periodo di tirocinio dovrebbe essere proporzionato alle esigenze di apprendimento pratico delle diverse professioni e dovrebbe poter essere
svolto, non solo presso il professionista, ma anche presso strutture, pubbliche e private, che
svolgano la stessa attività e, se possibile,
nell’ambito degli stessi corsi di studio.
Sarebbe sempre necessario stabilire una norma volta a garantire esplicitamente che gli
ordini non condizionino i giudizi cui è subordinato l’accesso dei nuovi entranti.
Una delle più gravi restrizioni esistenti nell’attuale disciplina delle professioni è la
limitazione numerica degli accessi prevista per alcune professioni (notai e farmacisti titolari).
Sarebbe opportuno prendere in seria considerazione l’eventualità di eliminare tali
restrizioni, la cui esistenza, come attualmente disciplinata, non sembra funzionale alla
protezione di alcun interesse generale. Nello stesso tempo ci si dovrebbe fare carico di
risolvere gli eventuali problemi che potrebbero derivare da tale eliminazione in termini di
non raggiungimento in certe specifiche aree dei livelli ritenuti essenziali con riferimento a
prestazioni concernenti diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio
nazionale (art.117, comma 2, lett.m, della Costituzione). A tale scopo si può pensare di
istituire un meccanismo in virtù del quale il Governo nazionale fissa con decreto delegato
il livello del servizio ritenuto essenziale e l’amministrazione competente, che può essere
diversa a seconda delle professioni implicate, è chiamata a verificare sul campo se detto
livello è raggiunto a seguito del normale svolgersi delle dinamiche di mercato. Nel caso in
cui si accerti che in particolare zone detti livelli non sono raggiunti, allora è stabilito che siano
individuati di volta in volta i rimedi, tra cui si contemplano interventi pubblici diretti o
l’imposizione di oneri di servizio pubblico, da selezionare mediante criteri di adeguatezza
e proporzionalità.
In ogni caso, per chi svolge funzioni pubbliche come i notai, sarebbe comunque
necessario ed improcrastinabile un intervento volto quanto meno a fare in modo che tutti
i posti già previsti dalla attuale normativa siano coperti. Risulta, infatti, che su 5320 previsti
dalle tabelle attuali siano in servizio soltanto 4650 notai. Un’effettiva annualità dei concorsi,
la cui durata dovrebbe essere radicalmente limitata, aiuterebbe a questo scopo. Sarebbe poi
opportuno che la distribuzione delle sedi sul territorio potesse seguire le logiche del mercato
libero. Ciò garantirebbe una tendenziale migliore distribuzione dei notai sull’intero
territorio nazionale, diversamente da ciò che accade oggi. Nelle zone in cui, nonostante ciò,
si verificasse un’effettiva deficienza del servizio si potrebbe puntualmente intervenire nel
senso sopra proposto.
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Regime delle esclusive
La questione della riserva di attività costituisce un altro grave ostacolo al funzionamento
dei mercati. Se non adeguatamente limitate rischiano ritradursi in una protezione per i
professionisti titolari, con danno per i consumatori ed il mercato.
Sarebbe, quindi, opportuno affermare la regola per cui l’attribuzione di riserve di attività
e la loro puntuale estensione dovrebbero sempre essere giustificate da esigenze di tutela degli
utenti del servizio, che non possono essere soddisfatte altrimenti che con l’istituzione della
riserva stessa. A tale scopo, si potrebbe prendere in considerazione la possibilità di prevedere
un processo di riesame di tutte le riserve attualmente previste dalla legislazione vigente volto
a verificare la loro obiettiva giustificazione. L’esito di tale processo di regulation review può
essere: la loro eliminazione, se non saranno ritenute giustificate, oppure, in caso contrario,
si dovrà verificare la possibilità almeno di ampliare il novero dei professionisti abilitati,
facendo riferimento a quelli dotati di competenze analoghe (si pensi, ad esempio, ad alcune
esclusive dei notai, che potrebbero essere aperte anche agli avvocati o, anche, ai commercialisti). Si potrebbero fissare normativamente due criteri, da utilizzare congiuntamente, per
valutare la giustificazione di una riserva: uno positivo ed uno negativo. In base al primo, la
riserva può essere giustificata solo se appare l’unico modo per evitare un danno all’utente del
servizio in parola. Ciò si verificherà essenzialmente con riferimento ai servizi per i quali si
possono determinare rilevanti costi sociali in caso di inadeguata erogazione della prestazione
e che, nel contempo, risultano caratterizzati da un’elevata complessità delle prestazioni che
impedisce agli utenti di valutare, anche ex post, la qualità del medesimo e la congruità dei
prezzi praticati. E dunque, quando si possa prevedere che le ordinarie regole di responsabilità
contrattuale risultino assolutamente inefficaci per tutelare gli interessi degli utenti e
consumatori.
Il secondo criterio dovrebbe chiarire invece quando non possono essere giustificate le
riserve e cioè, quando, l’attività in parola può essere adeguatamente sostituita dall’attività di
appositi uffici pubblici (un esempio evidente è la certificazione dei passaggi di proprietà degli
immobili) o possa essere adeguatamente svolta anche da altri professionisti, rispetto a quelli
attualmente abilitati.
Ordini ed albi
L’apparato ordinistico, con le sue funzioni di stabile vigilanza sull’attività del professionista, costituisce una misura di controllo pubblico delle attività private incisiva, che deve
dunque essere giustificata da particolari esigenze di tutela, che sarebbe opportuno definire
nominativamente, in sede legislativa. Si potrebbe pensare, ad esempio, alla tutela della
salute, al diritto di difesa, alla certezza dei negozi, alla sicurezza degli impianti e delle
costruzioni.
Sarebbe, dunque, opportuno promuovere un’attività di verifica dell’attuale assetto, volta
a censire la situazione attuale, mantenere tali particolari istituzioni soltanto nei casi in cui
in cui esse siano effettivamente giustificati da interessi generali e disporne l’eliminazione
quando tale giustificazione non fosse in concreto rinvenibile.
In mancanza dell’incidenza sugli interessi così puntualmente indicati, non sembra che
l’attività professionale esiga un controllo stabile e pervasivo quale quello apprestato dagli
ordini, con i connessi costi di gestione che gravano i prima battuta sugli stessi iscritti, ma,
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in ultima istanza, inevitabilmente sulla collettività.
Poiché storicamente gli ordini nascono come espressione autonoma delle varie corporazioni e successivamente si vedono spesso affidate competenze regolatorie autoritative in
ordine alla stessa professione, il rischio alto che resta è quello di un esercizio del potere
nell’interesse proprio della categoria, anziché nell’interesse generale. Tale rischio potrebbe
essere neutralizzato ipotizzando le seguenti cautele.
a) Ridisegnare i compiti degli ordini che si dovrebbero incentrare sulla tutela dell’affidamento dei terzi, della correttezza nello svolgimento della prestazione professionale e
sull’aggiornamento professionale. Tali attività dovrebbero poi essere svolte in modo non
distorsivo, come sembra invece stia accadendo in molti casi nei quali, dopo avere imposto
ai propri iscritti di dimostrare l’aggiornamento mediante il raggiungimento di un certo
numero di crediti formativi, l’ordine stabilisce che questi possono essere acquisti esclusivamente mediante la partecipazione ad attività svolte da Fondazioni, loro emanazione, il cui
scopo statutario è appunto l’offerta di crediti formativi. Tali realtà pongono problemi sotto
il profilo della concorrenza, atteso che si rischia di assistere, nei fatti, alla creazione di nuove
riserve di attività, decise dagli stessi ordini.
b) Sarebbe opportuno che gli organi di governo degli ordini non siano più espressione
esclusiva degli appartenenti ma siano composti in prevalenza da soggetti che rappresentino
effettivamente interessi pubblici, da individuare tra appartenenti all’amministrazione vigilante e tra rappresentanti delle associazioni di consumatori;
c) I codici deontologici dovrebbero limitarsi a contenere norme di tipo etico a garanzia,
da un lato, di un elevato livello di tutela degli interessi dell’utente della professione, e
dall’altro, a garanzia della libertà, autonomia e coscienza del professionista. Essi non
dovrebbero mai riguardare questioni relative al comportamento economico degli stessi
professionisti nella loro offerta di servizi sul mercato.
d) Si dovrebbe prevedere che i controlli sugli iscritti possano essere attivati e sollecitati,
secondo procedure da definire nel dettaglio in sede di legislazione delegata, anche dalla
pubblica amministrazione vigilante, evitando con ciò la possibilità che gli illeciti disciplinari
restino coperti nell’interesse della categoria.
Nelle professioni per le quali, a seguito dell’attività di verifica svolta secondo i criteri
indicati, si fosse giunti alla conclusione che l’ordine non sia necessario, secondo un criterio
di proporzionalità, potrebbe prevedersi l’istituzione o il mantenimento di albi, tenuti
dall’amministrazione vigilante, che provvederebbe al controllo sugli iscritti, anche su istanza
degli utenti lesi, attraverso procedure amministrative contenziose. Salvi sempre gli ordinari
rimedi civilistici.
Libere associazioni di professionisti
Con riguardo alla domanda di regolamentazione espressa dalle professioni non rappresentate da ordini, si ritiene condivisibile la richiesta di una certificazione (che conferisca una sorta
di marchio di qualità); tuttavia ciò non deve condurre all’istituzione di nuovi albi e ordini o,
comunque, all’introduzione di modalità selettive e limitative simili a quelle previste per le
professioni protette.
L’esercizio di una professione infatti dovrebbe essere in linea di principio, libero e,
pertanto, le limitazioni poste dal legislatore all’esercizio di tale attività dovrebbero assumere
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carattere eccezionale e trovare una giustificazione nella particolare rilevanza dell’attività svolta.
Tali esigenze di carattere generale non appaiono sempre ricorrere per le stesse professioni
protette e risultano quindi difficilmente riscontrabili per le professioni c.d. emergenti.
Pertanto, l’Autorità è dell’avviso che, anche ove oggetto di riconoscimento, le associazioni
delle professioni non regolamentate dovrebbero prevedere l’adesione volontaria. L’associazione potrebbe comunque predisporre sistemi di verifica del possesso e mantenimento di
predeterminati requisiti di competenza e professionalità da parte degli iscritti, nonché del
rispetto di regole di condotta professionale, purché finalizzate alla realizzazione dell’obiettivo
di garantire la qualità delle prestazioni. In questo senso, l’iscrizione all’associazione garantirebbe al professionista l’acquisizione di una certificazione di qualità.
In altri termini, il modello descritto si basa sul riconoscimento di un certo titolo di studio
che abilita alla professione e sul riconoscimento di associazioni che garantiscono la formazione
dei propri iscritti e il rispetto, da parte degli stessi, di alcune regole deontologiche essenziali.
Un sistema siffatto si presta a conciliare le esigenze di coloro che aspirano ad appartenere ad
una categoria pubblicamente riconosciuta, senza precludere l’esercizio della medesima attività
a coloro che non hanno le medesime aspirazioni, nel contempo garantendo ai consumatori
la libertà di poter eventualmente scegliere tra servizi di qualità differente cui, verosimilmente,
corrispondono prezzi differenti.
Libera determinazione dei corrispettivi nei servizi professionali
Anche con riferimento alle professioni non vi sono ragioni per le quali non si debba
applicare la regola, fondamentale di un’economia di mercato efficiente, che esige che il prezzo
dei servizi sia stabilito d’intesa tra le parti.
Allo scopo di tutelare i consumatori in date circostanze, è possibile ammettere l’unica
eccezione delle tariffe massime.
Su tali aspetti è intervenuta la legge 4 agosto 2006, n. 248, di conversione del d.l. 4 luglio
2006, n. 223 che ha previsto l’abrogazione delle disposizioni legislative e regolamentari che
prevedono l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime, nonché il divieto di pattuire compensi
parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti. Il medesimo intervento normativo ha
dato termine fino al 1 gennaio 2007 per adeguare le disposizioni deontologiche pattizie e i
codici di autodisciplina.
Da un primissimo esame delle informazioni ad oggi raccolte nell’ambito dell’Indagine
conoscitiva, il quadro che emerge non è confortante. Molti ordini infatti hanno mantenuto
nei propri codici deontologici disposizioni intese a limitare i comportamenti economici dei
professionisti, in termini di prezzi offerti e di promozione della propria attività. Permangono
inoltre previsioni di carattere generale, di norma nelle sezioni dei codici che disciplinano i
rapporti tra colleghi (ad esempio, il divieto di accaparramento di clientela nel codice
forense), da cui traspare un’accezione negativa della concorrenza, spesso considerata un
disvalore e non uno strumento indispensabile per garantire il rinnovamento del settore.
In particolare emerge un uso improprio della nozione di decoro della professione, che
diviene il veicolo per reintrodurre limitazioni alla concorrenza che il legislatore ha inteso
eliminare. Così viene ritenuto indecoroso il mancato rispetto dei minimi tariffari, l’utilizzo
di alcuni mezzi di comunicazione, il ricorso alla pubblicità comparativa, ecc. (cfr. la circolare
del CNF del settembre 2006 incentrata sulla diversa valutazione dei comportamenti di
prezzo e di promozione pubblicitaria degli avvocati a seconda se esaminati alla luce delle
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previsioni di legge o di quelle deontologiche).
La nozione di decoro dovrebbe invece essere utilizzata per imporre regole volte alla
salvaguardia dell’etica professionale, come si è chiarito parlando degli ordini.
L’Autorità è consapevole che lo stesso codice civile, all’art. 2233, stabilisce che i
compensi dei professionisti debbano essere commisurati al decoro della professione (oltre
che all’importanza dell’opera). Si ritiene tuttavia che questa disposizione non possa essere
invocata per reintrodurre l’obbligatorietà dei minimi tariffari o limitazioni alla pubblicità
professionale che il decreto Bersani ha invece inteso abrogare. Sul punto, pertanto, sarebbe
opportuno un intervento del legislatore volto ad evitare che ,tramite la nozione di decoro,
venga surrettiziamente reintrodotto quanto il legislatore ha deciso di eliminare dagli
ordinamenti professionali.
Anche in questo caso poi, si potrebbe pensare ad un meccanismo di riesame dei
procedimenti tariffari esistenti volto ad adeguarli alla prescrizione di stabilire solo tariffe
massime e solo nei casi in cui se ne registri l’effettiva esigenza per la tutela dei consumatori,
da cui andrebbe distinta la posizione delle imprese, cioè di chi si avvale dei servizi
professionali non per sue esigenze personali, ma nell’ambito della propria attività economica. In quest’ultimo caso potrebbe non essere ritenuto necessario imporre un sistema di tariffe
massime.
La tariffa, quando giustificata per queste ragioni, dovrebbe poi essere concretamente
stabilita in modo più trasparente e immediatamente percepibile per il consumatore,
specialmente con riferimento agli atti standardizzati (ad esempio, può interessare quanto
costa un divorzio nel suo complesso, a seconda delle tipologie che statisticamente ricorrono
con più frequenza, piuttosto che sapere i prezzi delle singole attività in cui può teoricamente
essere frazionato l’esercizio della attività legale).
Si potrebbe ritenere poi utile che nei procedimenti tariffari possano partecipare anche
associazioni dei consumatori così da arricchire il quadro cognitivo dell’amministrazione
decidente.
Pubblicità dei servizi professionali
I divieti di pubblicità presenti per molte professioni non appaiono giustificati dalla
necessità di tutela di alcun interesse generale. Né, d’altro canto, la tutela del decoro della
professione, come già notato, appare un’esigenza tale da giustificare quello che nei fatti è un
grave ostacolo all’attività economica dei professionisti, specie dei nuovi entranti nel mercato
che sono quelli che stimolano più efficacemente la concorrenza, e un grave limite alla
informazione dei consumatori. Del resto sarà lo stesso mercato, se ciò risponderà ad esigenze
dei consumatori effettivamente avvertite, che valuterà l’affidabilità del professionista anche
in relazione alle forme ed ai contenuti della pubblicità dal medesimo diffusa. Auspicabile
sarebbe dunque prevedere la generale liceità della pubblicità, naturalmente nei limiti di
quanto consentito dalle vigenti normative comunitarie e nazionali a tutela del consumatore.
Il recente intervento legislativo, si limita a consentire la pubblicità informativa, prevedendo che gli ordini ne verifichino trasparenza e pubblicità.
Dall’indagine risulta che tale intervento è stato da alcuni ordini limitato nella ratio e
nell’ambito di applicazione. In particolare, è comune a molti dei codici deontologici oggetto
di esame nell’Indagine conoscitiva la previsione secondo cui il professionista è tenuto ad
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ottenere la previa autorizzazione dell’ordine per le proprie iniziative pubblicitarie (ad
esempio, il codice dei farmacisti), altri codici prevedono invece la preventiva comunicazione
(quello degli avvocati e dei commercialisti). Invero, il decreto Bersani postula un’attività
degli ordini di verifica ex post della trasparenza e veridicità dei messaggi diffusi dai
professionisti, ma non di autorizzarne la diffusione ex ante.
Alla luce di tali evidenze, allora la proposta di intervento legislativo volto a dichiarare
incontrovertibilmente la generale liceità della pubblicità, nei limiti di quanto consentito
dalle vigenti normative comunitarie e nazionali a tutela del consumatore, può costituire uno
strumento utile per superare tali resistenze.
Società tra professionisti
E’ uno strumento idoneo a potenziare l’attività dei professionisti, nell’attuale contesto
di globalizzazione specie nella fornitura di particolari servizi, quali la consulenza legale,
societaria, contabile, fiscale, progettuale, solo per fare qualche esempio, senza con ciò far
venire meno le garanzie connesse alla precisa imputabilità personale degli atti necessari alla
prestazione del relativo servizio.
In materia di organizzazione dell’attività professionale, il decreto Bersani consente le
società multidisciplinari. Si tratta di un’importante presa d’atto delle evoluzioni che negli
ultimi anni stanno interessando il settore dei servizi professionali. E’ un fatto l’aumento
crescente della domanda di servizi professionali proveniente dalle imprese, le quali necessitano non solo di servizi specializzati ma spesso anche di approcci di tipo interdisciplinare.
Rispetto ad una domanda così articolata anche l’offerta di servizi professionali è divenuta
più articolata: accanto ai soggetti che esercitano la professione in forma individuale
(rivolgendosi a una clientela consolidata), ve ne sono altri che investono su conoscenze
specialistiche (e, quindi, si collocano in particolari nicchie di mercato) ed altri ancora che si
orientano verso servizi più elaborati (così necessitando di un’organizzazione più complessa
e di dimensioni più ampie).
In un siffatto scenario definire a priori gli assetti organizzativi e dimensionali nell’erogazione dei servizi professionali rischia di ostacolare i professionisti che intendono rispondere
alla domanda nel modo più adeguato. Basti pensare, nel campo dei servizi legali, che studi
e società estere hanno potuto espandersi in altri Paesi proprio in ragione di regolamentazioni
meno restrittive. Il che, peraltro, dimostra che i professionisti sempre meno possono
prescindere dalla concorrenza estera.
Il decreto Bersani appare far salvi i principi della personalità della prestazione e della
responsabilità diretta ed individuale del professionista.
Sul punto, si può valutare la possibilità di interpretate tali principi alla luce dell’evoluzione del settore, al fine di ricondurli non tanto all’obbligo del professionista di eseguire
direttamente la prestazione, ma facendone piuttosto derivare l’obbligo per il professionista
medesimo di assumere la direzione e la responsabilità dell’erogazione del servizio. In tal
modo, potrebbe essere consentita la partecipazione alle società di professionisti anche a
soggetti che non prestano il servizio. Simili soluzioni non farebbero venir meno la vigilanza
dell’ordine sul professionista che opera all’interno della società, nella misura in cui si
consentisse la partecipazione di soci di capitale in misura limitata, prevedendo che la
maggioranza del capitale sociale e dei voti sia comunque detenuta dai professionisti che
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esercitano la professione all’interno della società.
Prime osservazioni in merito al disegno di legge n. AC 2160.
Alla luce delle considerazioni svolte, si espongono alcune considerazioni in merito al
disegno di legge governativo, al vostro esame.
E’ sicuramente un intervento per molti aspetti innovativo. Tra questi si possono
segnalare: il richiamo ai principi di concorrenza e alla previsione al parere dell’Autorità sui
decreti delegati, il compito degli ordini di vigilare sul rispetto della concorrenza, la previsione
massima del tirocinio obbligatorio solo per le professioni di interesse generale (12 mesi); la
prescrizione che nelle commissioni giudicatrici dell’esame di abilitazione i rappresentanti
dell’ordine non siano presenti in posizione maggioritaria e garantiscano forme di indipendenza degli organismi che esercitano il potere disciplinare.
Vi sono tuttavia alcune ombre, che si segnalano a titolo di esempio.
In merito alla riorganizzazione delle attività riservate, vista la distinzione tra professioni
intellettuali di interesse generale, che giustificherebbero le restrizioni all’accesso e le riserve
di attività, e professioni intellettuali tout court si dovrebbe individuare e chiarire che cosa si
intende per “interesse generale”. In altri termini il legislatore delegante dovrebbe indicare
puntuali criteri per l’individuazione delle professioni il cui esercizio riguarda interessi di
carattere generale, al fine di giustificare la presenza di riserve solo nei casi in cui il servizio
professionale, se mal erogato, si presta ad incidere negativamente su detti interessi generali.
In tal modo si eviterebbe che in sede di delega vengano fatte rientrare nella nozione di
professione di interesse generale un numero eccessivo di professioni. Nella medesima
prospettiva, anche le disposizioni che prevedono la costituzione di sezioni degli ordini, albi
o professioni (art. 4, lett. a, art. 5, comma 1, lett. a, art. 5, comma 2, lett. b) destano alcune
perplessità secondo una prospettiva di efficiente funzionamento del mercato e necessitano
di un chiarimento, in quanto possono essere strumenti utilizzati per creare attività riservate
a favore dei rispettivi iscritti e, quindi, sottratte alla concorrenza.
Ancora, in tema di associazioni (art. 8) sarebbe auspicabile un ripensamento sul punto
che permetta a tutte le associazioni di professionisti e non solo a quelle riconosciute ai sensi
di tale disposizione di rilasciare attestazioni particolari.
In tema di pubblicità, il disegno di legge in esame prevede che i decreti legislativi
consentano la diffusione della pubblicità informativa: poiché il decreto Bersani ha abrogato
tutte le norme regolamentari, deontologiche e pattizie che vietano la pubblicità informativa,
tale previsione rischia di essere un passo indietro, invece che in avanti, circa la liberalizzazione di tale aspetto. Inoltre, appare auspicabile eliminare il riferimento alla “trasparenza”
e “veridicità” cui dovrebbe essere improntata la pubblicità dei professionisti (art. 3 lett. l), sia
per la ridondanza di tale disposizione a fronte di una disciplina oramai consolidata in materia
di pubblicità ingannevole e sia perché essa potrebbe fare erroneamente ritenere agli ordini
di potere o dovere controllare, addirittura in via preventiva, la pubblicità degli iscritti sotto
i due profili della trasparenza e della veridicità (come molto ordini hanno già previsto).
Infine, si osserva che, con riguardo ai poteri disciplinari si richiama la nozione di
“credibilità” e “decoro” (“comportamenti contrari alla credibilità e al decoro della professione” (art.
7, lett. f); con riferimento alla disciplina dei codici deontologici si afferma che essi devono
“garantire la credibilità della professione” (art. 7, lett. a). Sarebbe opportuno che la legge
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individuasse un contenuto minimo di tali due concetti indeterminati, al fine di delimitarne
l’ambito di applicazione e di non permetterne un uso improprio teso a reintrodurre
limitazioni ai comportamenti concorrenziali. Contenuto che deve essere relativo ai principi
dell’etica professionale, come sopra indicato.
Cari Colleghi e Cari Amici,
il Consiglio nazionale forense, nella seduta amministrativa del 14 dicembre scorso, ha preso atto
dello schema di “ Regolamento per il trattamento dei dati sensibili e giudiziari “, redatto ai sensi
degli artt. 20 e 21 del Codice in materia di protezione dei dati personali, che allego alla presente perché
i Consigli dell’Ordine lo adottino come previsto entro il 31 dicembre prossimo, salvo proroghe
dell’ultima ora.
REGOLAMENTO
PER IL TRATTAMENTO DEI DATI
SENSIBILI E GIUDIZIARI IN ATTUAZIONE DEL D.Lg. 196/2003
Il …………….
PREMESSO CHE :
- gli articoli 20, comma 2, e 21, comma 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196
(“Codice in materia di protezione dei dati personali”) stabiliscono che nei casi in cui una
disposizione di legge specifichi la finalità di rilevante interesse pubblico, ma non i tipi di dati
sensibili e giudiziari trattabili ed i tipi di operazioni su questi eseguibili, il trattamento è
consentito solo in riferimento a quei tipi di dati e di operazioni identificati e resi pubblici
a cura dei soggetti che ne effettuano il trattamento, in relazione alle specifiche finalità
perseguite nei singoli casi;
- il medesimo articolo 20, comma 2, prevede che detta identificazione debba essere
effettuata nel rispetto dei principi di cui all’articolo 22 del citato Codice, in particolare,
assicurando che i soggetti pubblici:
a) trattino i soli dati sensibili e giudiziari indispensabili per le relative attività istituzionali
che non possono essere adempiute, caso per caso, mediante il trattamento di dati anonimi
o di dati personali di natura diversa;
b) raccolgano detti dati, di regola, presso l’interessato;
c) verifichino periodicamente l’esattezza, l’aggiornamento dei dati sensibili e giudiziari,
nonché la loro pertinenza, completezza, non eccedenza ed indispensabilità rispetto alle
finalità perseguite nei singoli casi;
d) trattino i dati sensibili e giudiziari contenuti in elenchi, registri o banche di dati, tenuti
con l’ausilio di strumenti elettronici, con tecniche di cifratura o mediante l’utilizzazione di
codici identificativi o di altre soluzioni che li rendano temporaneamente inintelligibili anche
a chi è autorizzato ad accedervi;
e) conservino i dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale separatamente da
altri dati personali trattati per finalità che non richiedono il loro utilizzo;
- sempre ai sensi del citato articolo 20, comma 2, detta identificazione deve avvenire con
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atto di natura regolamentare adottato in conformità al parere espresso dal Garante, ai sensi
dell’articolo 154, comma 1, lettera g);
- l’articolo 20, comma 4, del Codice, prevede che l’identificazione di cui sopra venga
aggiornata e integrata periodicamente;
VISTE le restanti disposizioni del Codice;
CONSIDERATO che possono spiegare effetti maggiormente significativi per l’interessato le operazioni svolte, in particolare, pressoché interamente mediante siti web, o volte a
definire in forma completamente automatizzata profili o personalità di interessati, le
interconnessioni e i raffronti tra banche di dati gestite da diversi titolari, oppure con altre
informazioni sensibili e giudiziarie detenute dal medesimo titolare del trattamento, nonché
la comunicazione e la diffusione;
RITENUTO necessario indicare analiticamente nelle schede allegate, con riferimento
alle predette operazioni che possono spiegare effetti maggiormente significativi per l’interessato, quelle effettuate da ciascun Consiglio/Collegio ed in particolare le operazioni di
comunicazione a terzi e di diffusione;
RITENUTO altresì di indicare sinteticamente anche le operazioni ordinarie che ciascun
Consiglio/Collegio deve necessariamente svolgere per perseguire le finalità di rilevante
interesse pubblico individuate per legge (operazioni di raccolta, registrazione, organizzazione, conservazione, consultazione, elaborazione, modificazione, selezione, estrazione, utilizzo, blocco, cancellazione e distruzione);
CONSIDERATO che per quanto concerne tutti i trattamenti di cui al presente
regolamento è stato verificato il rispetto dei principi e delle garanzie previste dall’articolo 22
del Codice, con particolare riferimento alla pertinenza, non eccedenza e indispensabilità dei
dati sensibili e giudiziari utilizzati rispetto alle finalità perseguite; all’indispensabilità delle
predette operazioni per il perseguimento delle finalità di rilevante interesse pubblico
individuate per legge, nonché all’esistenza di fonti normative idonee a rendere lecite le
medesime operazioni o, ove richiesta, all’indicazione scritta dei motivi;
VISTO il provvedimento generale del Garante della protezione dei dati personali del 30
giugno 2005 (pubblicato in G.U. n. 170 del 23 luglio 2005);
VISTA l’autorizzazione generale del Garante per la protezione dei dati personali n. 7/
05 relativa al trattamento dei dati a carattere giudiziario;
ACQUISITO in data …………….. il parere del Garante per la protezione dei dati
personali ai sensi dell’articolo 154, comma 1, lettera g), del decreto legislativo 30 giugno
2003, n. 196;
CONSIDERATA la necessità di dare a detto regolamento la più ampia diffusione
nell’ambito della categoria attraverso la pubblicazione anche nel sito Internet di ciascun
Consiglio/Collegio;
RILEVATO che il presente atto non comporta impegno di spesa e pertanto non ha
rilevanza sotto il profilo contabile, eccezion fatta delle spese eventualmente sostenute per
la sua diffusione.
DELIBERA di adottare il seguente regolamento per il trattamento dei dati sensibili e
giudiziari ai sensi del Codice in materia di protezione dei dati personali:
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ARTICOLO 1
Oggetto del Regolamento
Il presente Regolamento in attuazione del D.Lg. 30 giugno 2003, n. 196, identifica i tipi
di dati sensibili e giudiziari e le operazioni eseguibili da parte di ciascun Consiglio/Collegio
nello svolgimento delle proprie funzioni istituzionali.
ARTICOLO 2
Individuazione dei tipi di dati e di operazioni eseguibili
In attuazione delle disposizioni di cui agli articoli 20, comma 2, e 21, comma 2, del D.Lg.
30 giugno 2003, n. 196, gli allegati che formano parte integrante del presente Regolamento,
contraddistinti dai numeri da 1 a 6, identificano i tipi di dati sensibili e giudiziari per cui è
consentito il relativo trattamento, nonché le operazioni eseguibili in riferimento alle
specifiche finalità di rilevante interesse pubblico perseguite nei singoli casi ed espressamente
elencate nel D.Lg. n. 196/2003.
I dati sensibili e giudiziari individuati dal presente Regolamento sono trattati previa
verifica della loro pertinenza, completezza e indispensabilità rispetto alle finalità perseguite
nei singoli casi.
Le operazioni di comunicazione e diffusione individuate nel presente regolamento sono
ammesse soltanto se indispensabili allo svolgimento degli obblighi o compiti di volta in
volta indicati, per il perseguimento delle rilevanti finalità di interesse pubblico specificate e
nel rispetto delle disposizioni rilevanti in materia di protezione dei dati personali, nonché
degli altri limiti stabiliti dalla legge e dai regolamenti.
Sono inutilizzabili i dati trattati in violazione della disciplina rilevante in materia di
trattamento dei dati personali (articoli 11 e 22, comma 5, del D.Lg. n. 196/2003).
ARTICOLO 3
Riferimenti normativi
Al fine di una maggiore semplificazione e leggibilità del presente Regolamento, le
disposizioni di legge citate negli articoli che seguono, si intendono come recanti le successive
modifiche e integrazioni.
ARTICOLO 4
Articolazione del Regolamento
Il presente Regolamento individua i tipi di dati trattati e le operazioni eseguite da ciascun
Consiglio/Collegio, seguendo l’elenco della seguente tabella:
N° allegato
1
2
3
Denominazione del trattamento
Gestione delle risorse umane impiegate a vario titolo presso
il Consiglio/Collegio Nazionale o Territoriale
Gestione e tenuta dell’Albo [e dei Registri, Elenchi degli
(inserire tipologia iscritti ed inserire specificità della
professione)]; organizzazione e gestione degli esami di Stato
Gestione dei dati in materia disciplinare, sia in funzione
amministrativa che giurisdizionale
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4
6
Gestione componenti degli organi elettivi e materia elettorale 5
Attività di formazione obbligatoria e/o facoltativa degli
iscritti e gestione delle iscrizioni
Gestione del contenzioso giudiziale, stragiudiziale e attività
di consulenza
ARTICOLO 5
Norma di chiusura
Il presente Regolamento entra in vigore il giorno stesso della sua delibera di adozione e,
a norma dell’articolo 20 D.Lg. 196/2003, comma 4, è aggiornato ed integrato periodicamente, adottando adeguate forme di pubblicità.
Roma ..... 2006
Il Segretario
Il Presidente
REGOLAMENTO PER GLI ORDINI PROFESSIONALI Allegato n. 1
DENOMINAZIONE DEL TRATTAMENTO
Gestione delle risorse umane impiegate a vario titolo presso il Consiglio/Collegio
Nazionale o Territoriale
FONTE NORMATIVA
- CCNL relativo al Personale del comparto degli Enti pubblici non economici;
- CCNL relativo al Personale dirigente del comparto;
- Legge istitutiva del Consiglio/Collegio Nazionale o Territoriale ed eventuali norme
integrative e regolamentari concernenti il rapporto di lavoro;
- Artt. 409 e ss. c.p.c. (Controversie individuali di lavoro – Tentativi obbligatori di
conciliazione);
- D.P.R. 487/1994 (Regolamento recante norme sull’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni);
- Legge 241/1990;
- D.P.R. 12 aprile 2006, n. 184. Regolamento recante disciplina in materia di accesso ai
documenti amministrativi;
- L. 8 marzo 1989, n. 101 (Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e l’Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane);
- Codice civile (artt. 2094-2134);
- D.P.R. 30.06.1965, n. 1124; (Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione
obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali);
- L. 20.05.1970, n. 300; Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della
libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento.
(Statuto dei Lavoratori);
- L. 24.05.1970, n. 336; Norme a favore dei dipendenti civili dello Stato ed Enti pubblici
ex combattenti ed assimilati;
- L. 7.02.1990, n. 19; (Modifiche in tema di circostanze, sospensione condizionale della
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pena e destituzione dei pubblici dipendenti)
- D.Lg. 19.09.1994, n. 626; (Attuazione delle direttive 89/391/CEE, 89/654/CEE, 89/
655/CEE, 89/656/CEE, 90/269/CEE, 90/270/CEE, 90/394/CEE e 90/679/CEE riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro);
- D.P.R. 31-8-1999 n. 394 Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle
disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello
straniero, a norma dell’art. 1, comma 6, del D.Lg. 25 luglio 1998, n. 286;
- L. 12.03.1999, n. 68 (Norme per il diritto al lavoro dei disabili.);
- L. 8.03.2000, n. 53 (Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per
il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città.);
- D.Llgs. 18.08.2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali);
- D.Lg. 30.03.2001 n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze
delle amministrazioni pubbliche);
- D.Lg. 26.03.2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela
e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della L. 8 marzo 2000,
n. 53);
- L. 6.03.2001, n. 64 (Istituzione del servizio civile nazionale);
- D.Lg. 15.08.1991, n. 277; (Attuazione delle direttive n. 80/1107/CEE, n. 82/605/CEE,
n. 83/477/CEE, n. 86/188/CEE e n. 88/642/CEE, in materia di protezione dei lavoratori
contro i rischi derivanti da esposizione ad agenti chimici, fisici e biologici durante il lavoro,
a norma dell’art. 7 della legge 30 luglio 1990, n. 212.);
- L. 27 marzo 2001 n. 97 (Norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento
disciplinare ed effetti del giudicato nei confronti dei dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni);
- L. 14.04.1982, n. 164; (Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso.);
- L. 5 febbraio 1992, n. 104 Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti
delle persone handicappate;
- D.P.R. 29 ottobre 2001, n. 461 (Regolamento recante semplificazione del procedimento per il riconoscimento della dipendenza delle infermità da causa di servizio, per la
concessione della pensione privilegiata, ordinaria e dell’equo indennizzo, nonché per il
funzionamento e la composizione del comitato per le pensioni privilegiate ordinarie);
- D.Lg. 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione delle deleghe in materia di occupazione
e mercato del lavoro, di cui alla L. 14 febbraio 2003, n. 30 ).
- D.Lg. 8 aprile 2003, n. 66 “Attuazione della direttiva 93/104/CE e della direttiva 2000/
34/CE concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro;
- D.Lg. 7 marzo 2005 n. 82 (Codice dell’amministrazione digitale) come integrato e
modificato dal D.Lg. 4 aprile 2006 n. 159;
- D.P.R. 28 dicembre 2000 n. 445 (testo unico delle disposizioni legislative regolamentari
in materia di documentazione amministrativa);
- D.P.C.M. n. 325/88 procedure per l’”attuazione del principio di mobilità” nell’ambito
delle pubbliche amministrazioni;
- Art. 653 c.p.p. Efficacia della sentenza penale nel giudizio disciplinare.
[ *Le fonti sopra indicate si intendono comprensive delle successive modifiche ed integrazioni]
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RILEVANTI FINALITA’ DI INTERESSE PUBBLICO
Sono contenute nei seguenti articoli del Codice in materia di protezione dei dati
personali (D.Lg. 30.06.2003 n. 196):
- ART. 112;
- ART 68.
TIPI DI DATI TRATTATI
Dati sensibili e giudiziari concernenti:
- lo stato di salute: patologie attuali, patologie pregresse, dati sulla salute relativi anche
ai familiari, terapie in corso;
- origine etnica;
- convinzioni politiche e sindacali, religiose, filosofiche e di altro genere;
- vita sessuale soltanto in relazione ad una eventuale rettificazione di attribuzione di
sesso;
- dati di carattere giudiziario (art.4, comma 1, lett. e) D.Lg. 30.06.2003 n. 196).
OPERAZIONI ESEGUITE
Trattamento “ordinario” dei dati, in particolare:
Raccolta: presso gli interessati e presso terzi
Elaborazione: in forma cartacea e con modalità informatizzate
Particolari forme di trattamento:
Comunicazioni dei dati a:
a) organizzazioni sindacali ai fini della gestione dei permessi e delle trattenute sindacali
relativamente ai dipendenti che hanno rilasciato delega;
b) enti assistenziali, previdenziali e assicurativi e autorità locali di pubblica sicurezza a fini
assistenziali e previdenziali, nonché per rilevazione di eventuali patologie o infortuni sul
lavoro;
c) compagnie di assicurazioni su richiesta dell’interessato o qualora sia previsto dal
contratto di assicurazione:
d) Presidenza del Consiglio dei Ministri in relazione alla rilevazione annuale dei permessi
per cariche sindacali e funzioni pubbliche elettive (D.lg. n. 165/2001);
e) uffici competenti per il collocamento obbligatorio, relativamente ai dati anagrafici
degli assunti appartenenti alle “categorie protette”;
f) strutture sanitarie competenti per le visite fiscali (CCNL relativo al Personale del
comparto degli Enti pubblici non economici);
g) enti di appartenenza dei lavoratori comandati in entrata e in uscita (per definire il
trattamento retributivo del dipendente);
h) Ministero economia e finanze nel caso in cui l’ente svolga funzioni di centro assistenza
fiscale (ai sensi dell’art. 17 del D.M. 31.05.1999, n. 164 e nel rispetto dell’art. 12 bis del D.P.R.
29.09.1973, n. 600);
i) enti competenti in materia di igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro
j) strutture sanitarie competenti per visite fiscali e Medico competente (D.Lg. n. 626/94).
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k) Soggetti pubblici e privati ai quali, ai sensi delle leggi regionali/provinciali, viene
affidato il servizio di formazione del personale (le comunicazioni contengono dati sensibili
soltanto nel caso in cui tali servizi siano rivolti a particolari categorie di lavoratori, ad es.
disabili);
l) Autorità giudiziaria (C.P. e C.P.P.);
m) Collegio di conciliazione di cui all’art. 66 del D.Lg. 165/2001.
Descrizione del trattamento
Sono di seguito descritte le principali caratteristiche:
- dati inerenti lo stato di salute per esigenze di: gestione delle risorse umane verifica
dell’attitudine a determinati lavori, idoneità al servizio, assunzioni del personale appartenente alle c.d. categorie protette, avviamento al lavoro degli inabili, maternità, igiene e
sicurezza sul luogo di lavoro, equo indennizzo, causa di servizio, svolgimento di pratiche
assicurative e previdenziali obbligatori e contrattuali, trattamenti assistenziali, riscatti e
ricongiunzioni previdenziali, denunce di infortunio e/o sinistro, fruizione di particolari
esenzioni o permessi lavorativi per il personale dipendente, collegati a particolari condizioni
di salute dei dipendenti o dei loro familiari;
- dati inerenti lo stato di salute dei dipendenti e dei loro familiari acquisiti ai fini
dell’assistenza fiscale e dell’erogazione dei benefici socio assistenziali contrattualmente
previsti;
- dati idonei a rilevare l’adesione a sindacati o ad organizzazioni di carattere sindacale per
gli adempimenti connessi al versamento delle quote di iscrizione o all’esercizio dei diritti
sindacali;
- dati idonei a rilevare le opinioni politiche o le convinzioni religiose o l’adesione a partiti
politici, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale
per esigenze connesse alle elezioni ed al riconoscimento di permessi (anche per particolari
festività e bandi di concorso), aspettative;
- dati relativi alle convinzioni filosofiche o d’altro genere (obiezione di coscienza, dati
di archivio);
- dati idonei a rivelare l’origine etnica ai fini concessione dei benefici previsti dalla legge;
- dati sensibili e giudiziari che rilevano nell’ambito di procedimenti disciplinari a carico
del personale e, in generale, nei giudizi pendenti di fronte a tutte le giurisdizioni che
coinvolgono docenti, dipendenti, collaboratori esterni. Inoltre nelle memorie scritte
depositate dall’Amministrazione presso il Collegio di conciliazione, possono essere contenuti dati sensibili e giudiziari nella misura in cui ciò sia strettamente indispensabile ai fini
dell’esperimento del tentativo di conciliazione.
REGOLAMENTO PER GLI ORDINI PROFESSIONALI Allegato n. 2
DENOMINAZIONE DEL TRATTAMENTO
Gestione e tenuta dell’Albo [e dei Registri, Elenchi degli (inserire tipologia iscritti ed
inserire specificità della professione)]; organizzazione e gestione degli esami di Stato
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CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
FONTE NORMATIVA
- Legge istitutiva del Consiglio/Collegio Nazionale o Territoriale ed eventuali norme
integrative e regolamentari in senso stretto nonché eventuali norme speciali in materia di
iscrizione all’Albo e/o Registro e/o Elenchi ove previsti;
- D.Lg. 27 gennaio 1992 n.115 (Attuazione della direttiva 89/48/CEE relativa ad un
sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanzionano
formazioni professionali di una durata minima di tre anni); D.Lg. 2 maggio 1994 n. 319
(Attuazione della direttiva 92/51/CEE relativa ad un secondo sistema generale di riconoscimento della formazione professionale che integra la direttiva 89/48/CEE.). D.Lg. 25 luglio
1998 n. 286 (testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e
norme sulla condizione dello straniero). Art. 49 D.P.R. 31 agosto 1999 n. 394 (Regolamento
recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina
dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell’art. 1 comma 6,
del D.Lg. 25 luglio 1998 n. 286). L. 26 dicembre 1981 n. 763 (normativa organica per i
profughi).
- Articoli 19 e 30 c.p. (Interdizione dall’esercizio della professione)
- Art. 348 c.p. (Abusivo esercizio di una professione)
- Art. 622 c.p. (Rivelazione di segreto professionale)
- Art. 653 c.p.p. (Efficacia della sentenza penale nel giudizio disciplinare)
- L.27 marzo 2001 n°97 (Norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento
disciplinare ed effetti del giudicato nei confronti dei dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni);
- D.Lg. 7 marzo 2005 n. 82 (Codice dell’amministrazione digitale) come integrato e
modificato dal D.Lgs 4 aprile 2006 n. 159
- D.Lg. 9 gennaio 2006 n. 5 (riforma organica delle procedure concorsuali)
- 5 D.P.R. 28 dicembre 2000 n. 445 (testo unico delle disposizioni legislative regolamentari in materia di documentazione amministrativa)
- L. 21 dicembre 1999 n. 526 Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti
dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 1999 Art. 16
(Norme in materia di domicilio professionale).
[ *Le fonti sopra indicate si intendono comprensive delle successive modificazioni]
RILEVANTI FINALITA’ DI INTERESSE PUBBLICO
Sono contenute nei seguenti articoli del Codice in materia di protezione dei dati
personali (D.Lg. 30.06.2003 n. 196):
-ART. 68
-ART. 112 comma 2 lett f).
TIPI DI DATI TRATTATI
Dati sensibili e giudiziari concernenti:
- lo stato di salute: patologie attuali, patologie pregresse, dati sulla salute relativi anche
ai familiari, terapie in corso;
- vita sessuale soltanto in relazione ad una eventuale rettificazione di attribuzione di
sesso;
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CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
- dati di carattere giudiziario (art.4, comma 1, lett. e) D.Lg. 30.06.2003 n. 196).
OPERAZIONI ESEGUITE
Trattamento “ordinario” dei dati, in particolare:
Raccolta: presso gli interessati e presso terzi
Elaborazione: in forma cartacea e con modalità informatizzate
Particolari forme di trattamento:
Comunicazioni a:
a) Consiglio/Collegio Nazionale o Territoriale per i provvedimenti di competenza;
b) Consigli/Collegi Nazionali e/o territoriali di altre Professioni presso i quali l’interessato svolga determinate funzioni, ove indispensabile;
c) Istituto pubblico e/o privato previdenziale di competenza;
d) Uffici Giudiziari competenti.
Descrizione del trattamento
1. Gestione e tenuta dell’Albo
Sono di seguito descritte le principali caratteristiche:
- dati sensibili concernenti la vita sessuale soltanto in relazione ad una eventuale
rettificazione di attribuzione di sesso, ai fini della rettifica da parte del Consiglio/Collegio
dei dati contenuti per legge nell’albo, elenco o registro
- dati giudiziari, rilevanti nella gestione e tenuta dell’albo, elenco o registro; tali dati
vengono acquisiti al momento della presentazione delle domande di iscrizione agli albi,
elenchi e registri e vengono poi esaminati ed aggiornati al fine di verificare l’esistenza e la
permanenza dei requisiti richiesti. I dati giudiziari possono rilevare ai fini della cancellazione
dell’iscritto all’Albo o al Registro o Elenco e ai fini dell’adozione dei provvedimenti
disciplinari da parte del Consiglio/Collegio o sanzioni penali da parte dell’Autorità
giudiziaria, che si riflettono sull’attività di gestione e tenuta dell’Albo da parte del Consiglio/
Collegio.
- dati sensibili relativi allo stato di salute degli iscritti all’Albo, Registro o Elenco.
2. Organizzazione e gestione degli esami di Stato
Sono di seguito descritte le principali caratteristiche:
- dati sensibili relativi allo stato di salute e giudiziari dei candidati al fine di consentire
la partecipazione all’esame e l’eventuale predisposizione dell’ausilio richiesto, ai sensi della
L. 104/1992.
REGOLAMENTO PER GLI ORDINI PROFESSIONALI Allegato n. 3
DENOMINAZIONE DEL TRATTAMENTO
Gestione dei dati in materia disciplinare degli iscritti sia in funzione amministrativa che
giurisdizionale.
FONTE NORMATIVA
- Legge istitutiva del Consiglio/Collegio Nazionale o Territoriale ed eventuali norme
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CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
integrative e regolamentari in senso stretto nonché eventuali norme speciali in materia
disciplinare e di iscrizione di cancellazione dagli Elenchi dall’Albo e dal Registro e in materia
elettorale, sia in funzione amministrativa che giurisdizionale;
- Codice deontologico professionale
- Codice penale,con particolare riferimento agli articoli 19 e 30 c.p. (Interdizione
dall’esercizio della professione; art. 348 c.p. (Abusivo esercizio di una professione); Art. 622
c.p. (Rivelazione di segreto professionale); Codice di Procedura Penale, con particolare
riferimento all’art. 653 c.p.p. (Efficacia della sentenza penale nel giudizio disciplinare);
- Codice Civile e Codice di Procedura Civile;
- L.27 marzo 2001 n°97 (Norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento
disciplinare ed effetti del giudicato nei confronti dei dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni);
[ *Le fonti sopra indicate si intendono comprensive delle successive modificazioni]
RILEVANTI FINALITA’ DI INTERESSE PUBBLICO
Sono contenute nei seguenti articoli del Codice in materia di protezione dei dati
personali (D.Lg. 30.06.2003 n. 196):
- ART. 67;
- ART. 68;
- ART. 71.
TIPI DI DATI TRATTATI
Dati sensibili e giudiziari concernenti:
- lo stato di salute: patologie attuali, patologie pregresse, dati sulla salute relativi anche
a terzi, terapie in corso;
- convinzioni politiche e sindacali, religiose, filosofiche e di altro genere;
- vita sessuale soltanto in relazione all’oggetto d’incolpazione dell’iscritto;
- dati di carattere giudiziario (art.4, comma 1, lett. e) D.Lg. 30.06.2003 n. 196).
OPERAZIONI ESEGUITE
Trattamento “ordinario” dei dati, in particolare:
Raccolta: presso gli interessati e presso terzi
Elaborazione: in forma cartacea e con modalità informatizzate
Particolari forme di trattamento:
Comunicazioni a:
a) Consiglio/Collegio Nazionale o Territoriale per i provvedimenti di competenza;
b) Consigli/Collegi Nazionali e/o territoriali di altre Professioni presso i quali l’interessato svolga determinate funzioni, ove indispensabile;
c) Uffici Giudiziari competenti.
Descrizione del trattamento
Nell’esercizio dell’attività del Consiglio/Collegio amministrativa o giurisdizionale volta
ad accertare la commissione di un illecito deontologico da parte dell’iscritto e nell’attività
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di irrogazione delle relative sanzioni disciplinari, il Consiglio/Collegio può acquisire
dall’interessato, da enti pubblici, dagli uffici giudiziari o da terzi dati sensibili e giudiziari del
soggetto sottoposto a procedimento disciplinare o di terzi.
REGOLAMENTO PER GLI ORDINI PROFESSIONALI Allegato n. 4
DENOMINAZIONE DEL TRATTAMENTO
Gestione componenti degli organi elettivi e materia elettorale
FONTE NORMATIVA
Legge istitutiva del Consiglio/Collegio Nazionale o Territoriale ed eventuali norme
integrative e regolamentari in senso stretto nonché eventuali norme speciali in materia di
amministrazione e contabilità dei Consigli degli Ordini e Collegi e sulle Commissioni
interne professionali – ove previste.
[ *Le fonti sopra indicate si intendono comprensive delle successive modificazioni]
RILEVANTI FINALITA’ DI INTERESSE PUBBLICO
Sono contenute nel seguente articolo del Codice in materia di protezione dei dati
personali (D.Lg. 30.06.2003 n. 196):
ART. 65.
TIPI DI DATI TRATTATI
Dati sensibili e giudiziari concernenti:
- lo stato di salute;
- convinzioni politiche e sindacali;
- dati di carattere giudiziario (art. 4, comma 1, lett. e) D. Lg. 30.06.2003 n. 196)
OPERAZIONI ESEGUITE
Trattamento “ordinario” dei dati, in particolare:
Raccolta: presso gli interessati e presso terzi
Elaborazione: in forma cartacea e con modalità informatizzate
Particolari forme di trattamento:
Diffusione: limitatamente ai risultati elettorali.
Descrizione del trattamento
Il trattamento concerne i dati indispensabili allo svolgimento delle elezioni e alla gestione
dei componenti degli organi elettivi dei componenti degli organi del Consiglio/Collegio,
anche in relazione anche l’applicazione dei vari istituti previsti dalla normativa di riferimento (gestione economica ed organizzativa).
REGOLAMENTO PER GLI ORDINI PROFESSIONALI Allegato n. 5
DENOMINAZIONE DEL TRATTAMENTO
Attività di formazione obbligatoria e/o facoltativa degli iscritti e gestione delle iscrizioni
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CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
FONTE NORMATIVA
- Legge istitutiva del Consiglio/Collegio ed eventuali norme integrative, anche regolamentari, in materia di iscrizione all’Albo e/o Registro o Elenco;
- norme inerenti i procedimenti per la tenuta dell’Albo e del Registro o Elenco – ove
previste;
- norme recanti disposizioni in materia di modifica dello status di iscritto all’Albo e/o
Registro o Elenco;
- Eventuali norme specifiche sulla formazione obbligatoria per gli iscritti al Consiglio/
Collegio
[ *Le fonti sopra indicate si intendono comprensive delle successive modificazioni]
RILEVANTI FINALITA’ DI INTERESSE PUBBLICO
Sono contenute nei seguenti articoli del Codice in materia di protezione dei dati
personali (D.Lg. 30.06.2003 n. 196):
-ART. 68 comma 2 lett. e);
-ART. 86 comma 1 lett. c);
-ART. 95.
TIPI DI DATI TRATTATI
Dati sensibili e giudiziari concernenti:
- lo stato di salute: patologie attuali, patologie pregresse, dati sulla salute relativi anche
ai familiari, terapie in corso;
- dati idonei a rivelare le opinioni politiche o l’adesione a partiti, associazioni od
organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale;
- dati di carattere giudiziario (art.4, comma 1, lett. e) D.Lg. 30.06.2003 n. 196).
OPERAZIONI ESEGUITE
Trattamento “ordinario” dei dati, in particolare:
Raccolta: presso gli interessati e presso terzi
Elaborazione: in forma cartacea e con modalità informatizzate
Particolari forme di trattamento:
Comunicazioni a:
a) Consigli/Collegi professionali,
b) Scuole di aggiornamento professionale;
c) Scuole di formazione;
d) Gestori strutture immobiliari
ove indispensabile, per aderire a specifiche richieste degli interessati o riconoscere loro
benefici.
Descrizione del Trattamento
Sono di seguito descritte le principali caratteristiche:
- dati sulla salute relativi agli iscritti all’Albo e/o al Registro e/o Elenco diversamente abili,
ove indispensabile, per aderire a specifiche richieste degli interessati o riconoscere loro
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CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
benefici (es. per il superamento delle barriere architettoniche per giungere alle aule di
lezione);
- dati sulla salute e giudiziari anche ai fini di un eventuale controllo sulle autocertificazioni e di eventuali esoneri dal versamento delle quote di iscrizione, per la frequenza delle
lezioni, nonché per la fruizione di eventuali agevolazioni previste dalla legge;
- dati idonei a rivelare le opinioni politiche o l’adesione a partiti, associazioni od
organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale per esigenze connesse allo
svolgimento dei calendari delle lezioni.
REGOLAMENTO PER GLI ORDINI PROFESSIONALI Allegato n. 6
DENOMINAZIONE DEL TRATTAMENTO
Gestione del contenzioso giudiziale, stragiudiziale e attività di consulenza
Attività: gestione del contenzioso per finalità di azione e di difesa dell’Ente in sede
amministrativa, di giurisdizione ordinaria, di giurisdizione amministrativa o contabile
nonché in sede stragiudiziale e per consulenza o per accertamento resa nel rispetto dei
compiti istituzionali ad Enti pubblici e privati.
FONTE NORMATIVA
- Legge istitutiva del Consiglio/Collegio ed eventuali norme integrative, anche regolamentari, in materia di iscrizione all’Albo e/o Registro;
- Codice Civile; Codice di Procedura Civile;
- Codice Penale; Codice di Procedura Penale;
- R.D. 642/1907 (Regolamento per la procedura innanzi alle sezioni giurisdizionali del
Consiglio di Stato); R.D. 1054/1924 (Approvazione del testo unico delle leggi sul Consiglio
di Stato);
- R.D. 1038/1933 (Approvazione del Regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla
Corte dei Conti); D.P.R. 3/1957 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli
impiegati civili dello Stato);
- L. 300/1970 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà
sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento);
- L. 336/1970 (Norme a favore dei dipendenti civili dello Stato ed Enti pubblici ex
combattenti ed assimilati);
- L. 1034/1971 (Istituzione dei Tribunali Amministrativi Regionali);
- L. 689/81 (Modifiche al sistema penale);
- D.Lg. 285/1992 (Codice della Strada);
- D.Lg. 546/1992 (Disposizioni sul Processo Tributario);
- D.P.R. 487/1994 (Regolamento recante norme sull’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni);
- L. 335/1995 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare);
- D.M. 187/1997 (Regolamento recante modalità applicative delle disposizioni contenute all’articolo 2, comma 12, della L. 8 Agosto 1995 n. 335, concernenti l’attribuzione della
pensione di inabilità ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche iscritti a forme di
previdenza esclusive dell’assicurazione generale obbligatoria);
- D.P.R. 260/1998 (Regolamento recante norme per la semplificazione dei procedimenti
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CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
di esecuzione delle decisioni di condanna e risarcimento di danno erariale, a norma dell’art.
20, comma 8, della L. 15.03.1997 n. 59);
- L. 205/2000 (Disposizioni in materia di giustizia amministrativa);
- D.Lg. 445/2000 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia
di documentazione amministrativa);
- L. 241/1990 (Nuove norme sul procedimento amministrativo);
- D.Lg. 165/2001 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle
Pubbliche Amministrazioni);
- D.P.R. 461/2001 (Regolamento recante semplificazione dei procedimenti per il
riconoscimento della dipendenza delle infermità da causa di servizio, per la concessione
della pensione privilegiata ordinaria e dell’equo indennizzo, nonché per il funzionamento
e la composizione del comitato per le pensioni privilegiate ordinarie);
- D.M. 31 gennaio 2001 (Procedimento di riscossione dei crediti conseguenti a decisioni
di condanna della Corte dei Conti a carico dei responsabili per danno erariale in attuazione
dell’art. 4 del D.P.R. 24 giugno 1998 n. 260);
- C.C.N.L. vigenti relativo al Personale del comparto degli Enti pubblici non economici;
[ *Le fonti sopra indicate si intendono comprensive delle successive modificazioni]
RILEVANTI FINALITA’ DI INTERESSE PUBBLICO
Sono contenute nei seguenti articoli del Codice in materia di protezione dei dati
personali (D.Lg. 30.06.2003 n. 196):
-ART. 71
-ART. 67.
TIPI DI DATI TRATTATI
Dati sensibili e giudiziari concernenti:
- lo stato di salute: patologie attuali, patologie pregresse, dati sulla salute relativi anche
ai familiari, terapie in corso;
- origine etnica;
- convinzioni politiche e sindacali, religiose, filosofiche e di altro genere;
- vita sessuale;
- dati di carattere giudiziario (art.4, comma 1, lett. e) D.Lg. 30.06.2003 n. 196).
OPERAZIONI ESEGUITE
Trattamento “ordinario” dei dati, in particolare:
Raccolta: presso gli interessati e presso terzi
Elaborazione: in forma cartacea e con modalità informatizzate
Particolari forme di trattamento:
Comunicazioni a:
a) Avvocatura distrettuale e generale dello Stato, ai fini della gestione del contenzioso
giurisdizionale;
b) Autorità giurisdizionale di qualsiasi ordine e funzione, arbitri, Amministrazioni
interessate o controinteressate nei vari contenziosi anche ai fini della gestione dei ricorsi
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straordinari al Presidente della Repubblica, Organi di Polizia giudiziaria, Commissioni
Tributarie, Uffici Provinciali del Lavoro ai fini del tentativo obbligatorio di conciliazione,
Corte dei Conti, Consiglio di Stato in sede consultiva;
c) Liberi professionisti, ai fini di patrocinio o di consulenza, compresi quelli di
controparte quando dovuto;
d) Compagnie di assicurazione, in caso di polizze assicurative che prevedano tali
comunicazioni;
e) Altri Consigli/Collegi professionali, Organizzazioni sindacali, Enti previdenziali e
assicurativi coinvolti nel contenzioso.
Descrizione del trattamento
Il trattamento dei dati sensibili e giudiziari è effettuato nella misura in cui ciò sia
indispensabile per fornire ai difensori e all’Autorità giudiziaria gli elementi necessari per la
tutela degli interessi della difesa in sede giudiziaria e stragiudiziale ovvero per istruire la
pratica relativa ad un ricorso straordinario al Capo dello Stato. Dietro richiesta dell’Autorità
giudiziaria possono essere forniti dati sensibili e giudiziari di cui sia in possesso il Consiglio/
Collegio.
Per incarico del Vice Presidente del Consiglio Nazionale Forense, avv.
Pierluigi Tirale, si trasmette il testo del REGOLAMENTO PER LA
FORMAZIONE PERMANENTE che il C.N.F. ha definitivamente
approvato nella seduta amministrativa del 18 gennaio 2007.
IL CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
considerato
·) che al Consiglio Nazionale Forense e ai Consigli dell’Ordine degli Avvocati è affidato
il compito di tutelare l’interesse pubblico al corretto esercizio della professione e quello di
garantire la competenza e la professionalità dei propri iscritti, nell’interesse della collettività;
·) che al Consiglio Nazionale Forense è attribuito dall’ordinamento professionale il
potere di determinare i principi della deontologia professionale e le sue deliberazioni
costituiscono regolamenti adottati in forza di un autonomo potere che ripete la sua
disciplina da leggi speciali, in conformità dell’art. 3 delle disposizioni sulla legge in generale;
·) che è dovere dell’avvocato svolgere la propria attività professionale nel rispetto dei
principi imposti dall’appartenenza alle organizzazioni professionali comunitarie e di quelli
stabiliti dall’ordinamento interno, nonché dei principi individuati dal codice deontologico
forense;
·) che, in particolare, il preambolo del codice deontologico forense affida all’avvocato il
compito di tutelare i diritti e gli interessi della persona, assicurando la conoscenza delle leggi
e contribuendo, in tal modo, all’attuazione dell’ordinamento per i fini della giustizia;
·) che l’art. 12 del Codice deontologico forense impone all’avvocato il dovere di
competenza;
·) che l’art. 13 del Codice deontologico forense dispone: ««È dovere dell’avvocato curare
costantemente la propria preparazione professionale, conservando e accrescendo le conoscenze con
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CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
particolare riferimento ai settori nei quali svolga l’attività.
I. L’avvocato realizza la propria formazione permanente con lo studio individuale e la
partecipazione a iniziative culturali in campo giuridico e forense.
II. E’ dovere deontologico dell’avvocato quello di rispettare i regolamenti del Consiglio nazionale
forense e del Consiglio dell’Ordine di appartenenza concernenti gli obblighi e i programmi formativi»;
·) che l’esercizio della funzione di avvocato, stante la continua produzione normativa
e il progressivo affinarsi dei canoni di interpretazione del diritto, impone la necessità di un
costante aggiornamento, al fine di assicurare la più elevata qualità della prestazione
professionale;
HA APPROVATO IL SEGUENTE REGOLAMENTO
Articolo 1
Formazione professionale continua
Tutti gli avvocati iscritti all’Albo hanno l’obbligo deontologico di mantenere e migliorare la propria preparazione professionale, curandone l’aggiornamento.
A tal fine, essi hanno il dovere di partecipare alle attività di formazione professionale
continua disciplinate dal presente regolamento, secondo le modalità ivi indicate.
Con l’espressione “formazione professionale continua” si intende ogni attività di
aggiornamento, accrescimento e approfondimento delle conoscenze e delle competenze
professionali, mediante la partecipazione ad iniziative culturali in campo giuridico e forense.
Articolo 2
Durata e contenuto dell’obbligo
L’obbligo di formazione decorre dalla data di iscrizione all’albo.
L’anno formativo coincide con quello solare.
Il periodo di valutazione della formazione continua ha durata triennale.
L’unità di misura della formazione continua è il “credito formativo”.
Ai fini dell’assolvimento degli obblighi di cui all’art. 1, ogni iscritto deve conseguire nel
triennio almeno n. 90 crediti formativi, che sono attribuiti secondo i criteri indicati nei
successivi artt. 3 e 4, di cui almeno n. 20 crediti formativi debbono essere conseguiti in ogni
singolo anno formativo.
Ogni iscritto sceglie liberamente gli eventi e le attività formative da svolgere, in relazione
ai settori di attività professionale esercitata, nell’ambito di quelle indicate ai successivi articoli
3 e 4, ma almeno n.5 crediti formativi annuali devono derivare da attività ed eventi formativi
aventi ad oggetto l’ordinamento professionale e la deontologia.
La verifica dell’adempimento del dovere di formazione continua è esercitata dai Consigli
dell’Ordine con le modalità previste dal successivo art. 8.
L’adempimento dell’obbligo formativo costituisce presupposto per l’indicazione del
settore di attività prevalente ai sensi dell’art. 17 bis del codice deontologico.
Articolo 3
Eventi formativi
Integra assolvimento degli obblighi di formazione professionale continua la partecipazione effettiva agli eventi di seguito indicati, promossi, organizzati, o accreditati anche
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CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
stabilmente dal Consiglio Nazionale Forense e dai Consigli dell’Ordine e dalla Cassa
Nazionale di previdenza forense:
a) corsi di aggiornamento e masters, anche eseguiti con modalità telematiche nei limiti in
cui sia possibile il controllo della partecipazione;
b) seminari, convegni, giornate di studio e tavole rotonde;
c) commissioni di studio, gruppi di lavoro istituiti dagli organismi sopra elencati o da
organismi nazionali ed internazionali della categoria professionale;
d) gli altri eventi individuati dal Consiglio Nazionale Forense e dai Consigli dell’Ordine.
La partecipazione agli eventi formativi sopra indicati attribuisce n. 3 crediti formativi per
ogni metà giornata di partecipazione, con il limite massimo di n. 9 crediti per la partecipazione ad ogni singolo evento formativo.
La partecipazione agli eventi di cui alle lettere a) e b) promossi od organizzati da altri enti,
istituzioni, associazioni forensi od organismi pubblici o privati dà luogo al conseguimento
dei medesimi crediti formativi, ove gli eventi stessi siano stati preventivamente accreditati
dal Consiglio nazionale forense o dai Consigli dell’Ordine.
L’accreditamento viene concesso valutando la tipologia e la qualità dell’evento formativo, nonché gli argomenti trattati.
Articolo 4
Attività formative
Integra assolvimento degli obblighi di formazione professionale continua lo svolgimento delle attività di seguito indicate:
a) relazioni o lezioni negli eventi formativi di cui alle lettere a) e b) dell’art. 3, ovvero nelle
scuole forensi o nelle scuole di specializzazione per le professioni legali;
b) pubblicazioni in materia giuridica su riviste specializzate a diffusione nazionale,
ovvero pubblicazioni di libri, saggi, monografie o trattati, anche come opere collettanee, su
argomenti giuridici;
c) docenze in materie giuridiche in Università, in istituti universitari ed enti equiparati;
d) partecipazione alle commissioni per gli esami di Stato di avvocato.
Il Consiglio dell’Ordine attribuisce i crediti formativi per le attività sopra indicate, tenuto
conto della natura della attività svolta e dell’impegno dalla stessa richiesto, con il limite
massimo di n. 6 crediti per le attività di cui alla lettera a), di n. 6 crediti per le attività di cui
alla lettera b), di n. 15 crediti per le attività di cui alla lettera c) e di n. 12 crediti per le attività
di cui alla lettera d).
Articolo 5
Esoneri
Sono esonerati dagli obblighi formativi, relativamente alle materie di insegnamento, i
docenti universitari di ruolo, di prima e seconda fascia, nonché i ricercatori con incarico di
insegnamento.
Il Consiglio dell’Ordine, su domanda dell’interessato, può esonerare, anche parzialmente, per gravi motivi, l’iscritto dallo svolgimento dell’attività formativa.
Nei casi di:
– maternità
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– grave malattia o infortunio
– interruzione per un periodo non inferiore a sei mesi dell’attività professionale
– altre ipotesi indicate dal Consiglio Nazionale Forense
l’esonero può essere accordato limitatamente al periodo in cui l’impedimento si verifica.
All’esonero consegue la riduzione dei crediti formativi da acquisire nel corso del triennio,
proporzionalmente alla durata dell’esonero.
Articolo 6
Adempimenti degli iscritti e inosservanza dell’obbligo formativo
Ciascun iscritto deve depositare, a richiesta del Consiglio dell’Ordine al quale è iscritto,
una sintetica relazione che certifica il percorso formativo seguito nell’anno precedente,
indicando gli eventi formativi seguiti e documentando le attività formative svolte.
Costituisce illecito disciplinare il mancato adempimento dell’obbligo formativo e la
mancata o infedele certificazione del percorso formativo seguito.
La sanzione è commisurata alla gravità della violazione.
Articolo 7
Attività del Consiglio dell’Ordine
Ciascun Consiglio dell’Ordine dà attuazione alle attività di formazione professionale e
vigila sull’effettivo adempimento dell’obbligo formativo da parte degli iscritti nei modi e con
i mezzi ritenuti più opportuni, regolando le modalità del rilascio degli attestati di partecipazione agli eventi formativi organizzati dallo stesso Consiglio.
In particolare, i Consigli dell’Ordine, entro il 30 novembre di ogni anno, predispongono, anche di concerto tra loro, un programma degli eventi formativi che intendono
organizzare nel corso dell’anno solare successivo, indicando i crediti formativi attribuiti per
la partecipazione a ciascun evento. Nel programma annuale devono essere previsti eventi
formativi aventi ad oggetto l’ordinamento professionale e la deontologia.
I Consigli dell’Ordine realizzano il programma, anche di concerto con altri Consigli
dell’Ordine e favoriscono, ove possibile, la formazione gratuita, utilizzando risorse proprie
o quelle ottenibili da sovvenzioni o contribuzioni erogate da enti finanziatori pubblici o
privati per la partecipazione agli eventi formativi.
Entro il 30 novembre di ogni anno, i Consigli dell’Ordine sono tenuti a comunicare al
Consiglio Nazionale Forense una relazione che illustri il programma formativo dell’anno
solare successivo e indichi i criteri e le finalità cui il Consiglio si è attenuto nella
predisposizione del programma stesso.
Articolo 8
Controlli del Consiglio dell’Ordine
Il Consiglio dell’Ordine verifica l’effettivo adempimento dell’obbligo formativo da parte
degli iscritti, secondo le modalità che dovranno ssere contenute nella relazione illustrativa
del programma formativo, di cui al precedente art. 7, attribuendo agli eventi e alle attività
formative documentate i crediti formativi secondo i criteri indicati dagli artt. 3 e 4.
Ai fini della verifica, il Consiglio dell’Ordine può chiedere all’iscritto e ai soggetti che
hanno organizzato gli eventi formativi chiarimenti e documentazione integrativa.
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Ove i chiarimenti non siano forniti e la documentazione integrativa richiesta non sia
depositata entro il termine di giorni 20 dalla richiesta, il Consiglio non attribuisce crediti
formativi per gli eventi e le attività che non risultino adeguatamente documentate.
Per lo svolgimento di tali attività, il Consiglio dell’Ordine può avvalersi di apposita
commissione, costituita anche da avvocati esterni al Consiglio. Ove il Consiglio si sia avvalso
di tale facoltà, il parere espresso dalla commissione è obbligatorio, ma può essere disatteso
dal Consiglio con deliberazione motivata.
Articolo 9
Attribuzioni del Consiglio Nazionale Forense
Il Consiglio Nazionale Forense promuove ed indirizza lo svolgimento della formazione
professionale continua, individuandone i nuovi settori di sviluppo e favorisce l’ampliamento dell’offerta formativa, anche organizzando direttamente, o per il tramite della Fondazione
dell’Avvocatura Italiana e del Centro per la Formazione, eventi formativi.
Il Consiglio Nazionale Forense, anche avvalendosi della Fondazione dell’Avvocatura
Italiana e del Centro per la Formazione, assiste i Consigli dell’Ordine nella predisposizione
e nell’attuazione dei programmi formativi e vigila sull’adempimento da parte dei Consigli
delle incombenze ad essi affidate.
Il Consiglio Nazionale Forense valuta le relazioni trasmesse dai Consigli dell’Ordine a
norma del precedente art. 7, esprimendo il proprio parere sull’adeguatezza dei programmi
formativi organizzati dai Consigli dell’Ordine, eventualmente indicando le modifiche che
vi debbano essere apportate, con l’obiettivo di assicurare l’effettività e l’uniformità delle
formazione continua.
Il parere del Consiglio Nazionale Forense deve essere espresso entro il termine di
quaranta giorni dalla presentazione delle relazioni; diversamente il programma formativo
si intende approvato.
In caso di parere negativo, il Consiglio dell’Ordine è tenuto nei trenta giorni successivi
a trasmettere un nuovo programma formativo, che tenga conto delle indicazioni e dei rilievi
formulati dal Consiglio Nazionale Forense.
Articolo 10
Norme di attuazione
Il Consiglio Nazionale Forense emana le norme di attuazione e coordinamento che si
rendessero necessarie in sede di applicazione del presente regolamento.
Articolo 11
Entrata in vigore
Il presente regolamento entra in vigore dal 1 luglio 2007.
Il primo periodo di valutazione della formazione continua decorre dal 1 gennaio 2008.
RELAZIONE SUL REGOLAMENTO PER LA FORMAZIONE CONTINUA DELLA
PROFESSIONE DI AVVOCATO
Il dibattito sull’esigenza di adottare, anche per la professione di avvocato, un regolamen-
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to che sancisse il dovere di aggiornamento, mediante l’adozione di regole idonee a garantire
un adeguamento continuo della cultura professionale, era aperto da anni nell’avvocatura.
Alcuni anni fa la questione era stata ampiamente discussa nel corso di un Congresso
tenutosi ad Ancona. Tuttavia, l’esito della discussione finì con il mortificare ogni iniziativa
volta a sperimentare un sistema di formazione continua. Le polemiche suscitate dal
dibattito, l’affermazione che un regolamento ad hoc avrebbe dato luogo ad una struttura
meramente burocratica, incapace di dar contenuto ad una iniziativa che pareva velleitaria,
la tesi, da più parti prospettata, che lo studio individuale rappresenta l’unico vero strumento
formativo del professionista legale, costrinsero il Consiglio nazionale forense a ripensare
l’iniziativa, che, come sovente accade, finì con l’essere accantonata.
Accantonare l’idea non valse, tuttavia, a risolvere la questione, che non soltanto
rimaneva aperta, ma che anzi esigeva, con evidenza sempre maggiore, di essere affrontata.
Affrontare non significa, o non significa sempre, risolvere. Ma il timore di affrontare una
questione così delicata e, al tempo stesso, così rilevante per le sorti della professione e per
la sua dignità, se non si evolve nella prudente ricerca di una soluzione, diventa il segno di
una irragionevole rinuncia, se non di una abdicazione al ruolo che il Consiglio nazionale,
e con esso il sistema ordinistico, riveste nella struttura della professione forense.
L’Ordinamento riconosce alla nostra professione, in ragione della sua funzione attiva
nell’esercizio della giurisdizione, del suo ruolo inteso alla tutela dei diritti individuali e
collettivi, del suo contributo essenziale per la realizzazione del sistema di garanzie previsto
dalla Costituzione, autonomia e libertà e, quindi, la capacità di autodeterminarsi, in
funzione del raggiungimento di quei fini che lo stesso Ordinamento ha inteso raggiungere,
mediante la costruzione di un sistema fondato sugli Ordini e sul Consiglio nazionale: di un
sistema, cioè, fondato su enti pubblici, ai quali lo Stato affida il controllo della categoria
professionale, attribuendo loro il compito di accertare che gli iscritti all’albo rispettino i
doveri imposti dalla professione ed assegnando loro la funzione della tutela pubblica
dell’affidamento che i cittadini debbono riporre nei soggetti che ottengono l’iscrizione all’
albo professionale.
Fra i tanti doveri che l’Ordinamento pone a carico del professionista forense vi è, forse
prima di ogni altro, quello della competenza. Che senso mai avrebbe affidare ad una
categoria professionale che non cura la propria competenza, che non ha approfondita
conoscenza delle norme, che non si fa carico di seguire l’evoluzione giurisprudenziale nella
loro applicazione, che trascura di valutare il significato della loro collocazione sistematica,
il compito di difendere i diritti dei cittadini davanti al giudice e davanti ad ogni altra Autorità?
Per queste ragioni, dopo una lunga pausa di riflessione, il Consiglio nazionale dedicò
nuova attenzione al problema della formazione professionale ed all’idea di favorirne e di
controllarne il continuo adeguamento.
Frattanto, si andavano moltiplicando i segni che un’ulteriore attesa non era tollerabile.
Tutti gli Ordini professionali e fra questi i dottori commercialisti, i ragionieri, i medici,
i farmacisti, i geometri, i notai, i revisori contabili avevano adottato propri regolamenti di
disciplina della formazione professionale continua, intesa, come si legge all’art. 1 del
regolamento approvato dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti, quale «attività
di aggiornamento e di approfondimento, in forma collettiva, delle conoscenze e delle competenze
tecniche sulle materie oggetto di esercizio di attività professionale, che non sostituisce, ma integra, lo
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studio e l’approfondimento individuali, che sono presupposti per l’esercizio dell’attività professionale».
Per ognuna delle professioni indicate, la formazione continua ha trovato la propria
disciplina in regolamenti approvati dai Consigli nazionali e nessuno ha mai dubitato che essi
difettassero del potere di dettare norme vincolanti per i professionisti appartenenti alla
categoria da essi governata.
Del resto, il dubbio sulla legittimità dell’integrazione, ad opera del Consiglio nazionale
forense, delle norme che dettano i principi della professione e che disciplinano i doveri
dell’avvocato e sulla natura cogente di tale integrazione è stato da tempo risolto dalla
giurisprudenza. Ed invero, la Suprema Corte, a Sezioni Unite, ha affermato la legittimità
dell’integrazione delle clausole generali, contenute nella legge, con il ricorso a fonti
normative diverse, anche di rango infralegislativo, rilevando che l’Ordinamento professionale affida agli organi deputati all’esercizio della funzione disciplinare il potere di adattare
la previsione legale astratta ai casi concreti, facendo riferimento a regole già contenute in
specifiche previsioni di legge o desunte da canoni di condotta condivisi dalla collettività, o
da principi deontologici dettati dai singoli ordinamenti professionali.
In sintesi, la Suprema Corte ha affermato che l’autogoverno della professione si realizza
attraverso l’attribuzione all’autonomia degli Ordini professionali, enti esponenziali della
categoria, sia del potere di applicare in via amministrativa (i consigli dell’ordine locali) e
giurisdizionale (il Consiglio nazionale forense) le sanzioni previste dalla legge, sia della
funzione di produzione normativa all’interno della categoria, attraverso l’enunciazione
delle regole di condotta che i singoli iscritti sono tenuti ad osservare nello svolgimento
dell’attività professionale (cfr. Cass. civ., sez. Unite, 6 giugno 2002, n. 8225).
Sul punto, si è pronunciata, anche recentemente, la Corte di Cassazione a sezioni Unite,
con sentenza 3 maggio 2005, n. 9097: affrontando l’eccezione di illegittimità costituzionale
del complesso normativo contenuto nel codice deontologico forense, la Suprema Corte la
ha dichiarata manifestamente infondata, sull’assunto che le deliberazioni con le quali il
Consiglio nazionale forense procede alla determinazione dei principi di deontologia
professionale e delle ipotesi di violazione degli stessi, costituiscono regolamenti adottati da
una Autorità non statuale, in forza di un autonomo potere in materia, che ripete la sua
disciplina da leggi speciali, in conformità dell’art. 3, comma 2, delle disposizioni sulla legge
in generale.
*****
Molte avvocature straniere hanno, da tempo, adottato sistemi di formazione permanente, con la finalità di assicurare l’aggiornamento e il perfezionamento delle conoscenze
necessarie all’esercizio della professione e il CCBE, l’Organismo europeo che raccoglie le
rappresentanza di tutte le avvocature nazionali, a ciò sollecitato dalla maggioranza delle
delegazioni che lo compongono, ha organizzato un gruppo di lavoro, con il fine di studiare
le diverse modalità con cui ciascun Paese ha disciplinato la formazione e con lo scopo di
redigere un comune schema di “continuing training”, al quale dovranno adeguarsi le strutture
professionali dei diversi Paesi appartenenti alla Comunità.
Allineandosi ai recenti orientamenti emersi in sede comunitaria, i più recenti disegni e
progetti di legge sulla riforma delle professioni in generale e quelli che concernono la
professione di avvocato prevedono l’obbligo della formazione permanente, l’istituzione di
corsi finalizzati alla qualificazione professionale ed alla specializzazione. Infine, la legge 4
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agosto 2006 n. 248, che ha convertito in legge il d.l. 4 luglio 2006, n. 223, ha statuito, all’art.
2, comma 3, che le disposizioni deontologiche e pattizie e i codici di autodisciplina che
contengono le prescrizioni di cui al comma 1 fossero adeguate, anche con l’adozione di
misure a garanzia della qualità delle prestazioni professionali, entro il 1° gennaio 2007.
Le considerazioni sopra esposte, l’evoluzione delle norme interne, gli orientamenti
emergenti in sede comunitaria ed, infine, il fatto che alcuni Ordini locali, raccogliendo i
segnali che provenivano dal dibattito da tempo avviato dal Consiglio nazionale forense con
gli Ordini territoriali, avevano inteso anticipare, in sede locale, iniziative tendenti a rendere
obbligatoria la formazione continua, hanno indotto il Consiglio a rompere gli indugi e a
superare le resistenze provenienti da quelle fasce meno evolute della professione, che sono
sorde ad ogni sollecitazione volta a modernizzare la professione e a rendere più trasparente
il controllo sulla qualità tecnica del servizio reso dal professionista.
*****
Il codice deontologico forense, già nella sua precedente formulazione, prevedeva il
dovere di competenza (art. 12) e quello di aggiornamento professionale (art. 13). Quest’ultima norma stabiliva che «è dovere dell’avvocato curare costantemente la propria preparazione
professionale, conservando e accrescendo le conoscenze con particolare riferimento ai settori nei quali
è svolta l’attività» professionale, disponendo al canone I che la preparazione del professionista forense si realizza, oltre che con lo studio individuale, con la partecipazione ad iniziative
culturali in campo giuridico e forense. La norma, con la revisione approvata il 26 gennaio
2006, è stata completata con l’introduzione di un ulteriore canone, che sancisce il «dovere
deontologico di rispettare i regolamenti del Consiglio nazionale forense e del Consiglio dell’Ordine di
appartenenza concernenti gli obblighi e i programmi formativi».
La norma, così come riformulata, risponde in modo più trasparente alla funzione che
l’Ordinamento attribuisce al Consiglio Nazionale Forense e agli Ordini territoriali di
tutelare l’interesse pubblico al corretto esercizio della professione e di assicurare la competenza e la professionalità dei propri iscritti, nell’interesse della collettività e dei soggetti che
si rivolgono al professionista per ottenere la tutela dei loro diritti lesi.
Adempiendo, dunque, alla funzione sopra indicata, il Consiglio nazionale ha adottato
un regolamento, i cui requisiti si possono sintetizzare come segue:
· La formazione continua è obbligatoria per tutti coloro che siano iscritti all’albo
professionale; ogni iscritto è tenuto, quindi, a compiere attività di aggiornamento,
accrescimento e approfondimento delle conoscenze e delle competenze professionali,
mediante la partecipazione ad iniziative culturali in campo giuridico e forense.
· Ogni professionista è tenuto a conseguire, nell’ambito di un triennio, almeno 90
crediti formativi, attribuiti secondo i criteri indicati negli artt. 3 e 4 del regolamento, ed
almeno 20 crediti formativi debbono essere conseguiti in ogni singolo anno solare.
· Ogni iscritto ha la facoltà di scegliere liberamente gli eventi e le attività formative da
svolgere, in relazione ai settori di attività professionale esercitata, ma almeno 5 crediti
formativi annuali debbono derivare da attività ed eventi formativi aventi ad oggetto
l’ordinamento professionale e la deontologia.
· L’adempimento dell’obbligo formativo costituisce presupposto per l’indicazione del
settore di attività prevalente ai sensi dell’art. 17 bis del codice deontologico.
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· Sono esonerati dagli obblighi formativi, relativamente alle materie di insegnamento,
i docenti universitari di ruolo, di prima e seconda fascia, nonché i ricercatori con incarico
di insegnamento.
Il Consiglio dell’Ordine, su domanda dell’interessato, può esonerare, anche parzialmente, per gravi motivi, singoli iscritti dallo svolgimento dell’attività formativa, mentre, in caso
di maternità, grave malattia o infortunio, interruzione dell’attività professionale per un
periodo non inferiore a sei mesi o in altre ipotesi indicate dal Consiglio Nazionale Forense,
l’esonero può essere accordato limitatamente al periodo in cui l’impedimento si verifica.
All’esonero consegue la riduzione dei crediti formativi da acquisire nel corso del triennio,
proporzionalmente alla durata dell’esonero.
· Il mancato adempimento dell’obbligo formativo e la mancata o infedele certificazione del percorso formativo seguito costituiscono illecito disciplinare, sanzionato a seconda
della gravità della violazione commessa.
· Integra assolvimento degli obblighi di formazione professionale continua la partecipazione effettiva agli eventi promossi, organizzati, o accreditati anche stabilmente dal
Consiglio Nazionale Forense e dai Consigli dell’Ordine, sia che consistano in:
a) corsi di aggiornamento e masters, anche eseguiti con modalità telematiche nei limiti in
cui sia possibile il controllo della partecipazione;
b) seminari, convegni, giornate di studio e tavole rotonde;
c) commissioni di studio, gruppi di lavoro istituiti dagli organismi sopra elencati o da
organismi nazionali ed internazionali della categoria professionale;
d) in altri eventi specificamente individuati dal Consiglio Nazionale Forense e dai
Consigli dell’Ordine.
La partecipazione a corsi di aggiornamento, masters, seminari, convegni, giornate di
studio, che siano stati promossi od organizzati da enti, istituzioni, associazioni forensi od
organismi pubblici o privati dà luogo al conseguimento dei medesimi crediti formativi,
sempre che gli eventi siano stati accreditati dal Consiglio nazionale forense o dai Consigli
dell’Ordine, previa valutazione della tipologia e della qualità dell’evento formativo.
· Integra, inoltre, assolvimento degli obblighi di formazione professionale continua lo
svolgimento di:
a) relazioni o lezioni negli eventi formativi di cui alle lettere a) e b) dell’art. 3, ovvero nelle
scuole forensi o nelle scuole di specializzazione per le professioni legali;
b) pubblicazioni in materia giuridica su riviste specializzate a diffusione nazionale,
ovvero pubblicazioni di libri, saggi, monografie o trattati, anche come opere collettanee, su
argomenti giuridici;
c) docenze in materie giuridiche in Università, in istituti universitari ed enti equiparati;
d) partecipazione alle commissioni per gli esami di Stato di avvocato.
· Il controllo della formazione continua è affidato ai Consigli dell’Ordine, che, per lo
svolgimento di tali attività, possono avvalersi di apposita commissione, costituita anche da
avvocati esterni al Consiglio. In tal caso il parere espresso dalla commissione è obbligatorio,
ma può essere disatteso solo con deliberazione motivata.
· Il Consiglio nazionale forense ha il compito di promuovere ed indirizzare lo
svolgimento della formazione professionale continua, individuandone i nuovi settori di
sviluppo e favorendo l’ampliamento dell’offerta formativa anche gratuita. Il Consiglio
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nazionale, anche avvalendosi delle strutture formative ad esso collegate, assiste i Consigli
dell’Ordine nella predisposizione e nell’attuazione dei programmi formativi e vigila
sull’adempimento da parte dei Consigli dell’Ordine delle incombenze ad essi affidate.
In ragione della novità della disciplina regolamentare introdotta e della prevedibili
difficoltà che potrebbero sorgere in sede di prima applicazione del regolamento, il Consiglio
nazionale si è riservato di emanare le norme di attuazione e coordinamento che si rendessero
necessarie, all’esito delle prima fase di sperimentazione.
Non si possono, ovviamente, ignorare o sottovalutare le difficoltà che insorgeranno in
sede di applicazione del regolamento e le resistenze che alcune frange della categoria
professionale potranno opporre alla sua applicazione. Tuttavia il regolamento costituirà un
forte stimolo alla promozione della cultura professionale, favorirà la preparazione dell’avvocato, adeguandola al progressivo affinarsi dei canoni di interpretazione del diritto e
contribuirà, così, ad assicurare una migliore qualità della prestazione professionale, rafforzando e elevando la considerazione sociale di cui il professionista forense deve godere,
nell’adempimento della funzione che l’Ordinamento gli attribuisce.
LA VERSIONE DEFINITIVA DELLA DIRETTIVA SUI SERVIZI E
IL SUO AMBITO DI OPERATIVITÀ PER L’ AVVOCATURA.
Pubblicata sulla G.U. del 27.12.2006 ( L 376/36) la direttiva relativa ai servizi nel mercato
interno (2006/123/CE del 12 .12.2006) deve essere recepita dagli Stati Membri entro il
28.12.2009 . La versione finale non si discosta molto dal testo approvato quale “posizione
comune” dal Parlamento e dal Consiglio dell’ Unione europea. Essa ha un ambito di
applicazione residuale rispetto alla attività forense, in virtù delle deroghe stabilite da alcune sue
disposizioni. Ed infatti:
(i) l’art.3 prevede che le regole introdotte da questa direttiva confliggenti con quelle
introdotte da altri atti comunitari in ordine all’accesso o all’esercizio di specifiche attività
professionali cedono rispetto a questi ultimi; in materia di attività forense gli atti comunitari
che prevalgono sulla direttiva in esame sono per l’appunto la direttiva n. 77/249 sulla libera
prestazione di servizi, la direttiva n. 48/89 sulla libertà di stabilimento con il titolo omologo
del Paese ospitante (previo esame di complemento), la direttiva n.5/98 sullo stabilimento
permanente con il titolo di origine, la direttiva n.36/05 (che deve essere attuata entro il
20.20.2007) sulle qualifiche professionali;
(ii) l’art. 5 c.3 prevede l’esenzione esplicita dalle procedure di rilascio di certificati;
(iii) l’art. 17 prevede l’esenzione esplicita della attività forense dall’ applicazione dell’ art.
16 riguardante la libera prestazione di servizi.
Tra i “considerando” ( che esplicitano le finalità della direttiva e chiariscono anche in via
interpretativa il contenuto delle sue disposizioni) occorre porre in rilievo:
- il n. 88 che, in generale, precisa che il principio di libera prestazione di servizi non
si applica alle attività riservate agli avvocati, ivi compresa, negli ordinamenti nei quali la
riserva è prevista, anche la consulenza giuridica; nel nostro Paese la consulenza non è attività
riservata, ma la direttiva indirettamente conferma che tale riserva non sarebbe in contrasto
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con la libera circolazione dei servizi;
- il n. 33, che precisa come per gli altri aspetti della disciplina prevista siano inclusi i servizi
di consulenza legale a favore di imprese e di consumatori (là dove la consulenza non sia
riservata);
- il n. 73 il quale, al di là dei casi delle qualifiche professionali, consente l’esonero dal
divieto di tariffe minime e massime se imposte specificamente da autorità competenti per
la prestazione di determinati servizi compatibilmente con la libertà di stabilimento; questo
considerando può essere interpretato alla luce della sentenza Cipolla della Corte di Giustizia
depositata il 5.12.2006;
- il n. 95 il quale legittima sempre le tariffe se giustificate dalle caratteristiche tecniche
della professione;
- il n. 100 che esclude i divieti assoluti o totali di comunicazioni commerciali per le
professioni regolamentate e rinvia a codici di condotta di ambito comunitario;
-il n. 101 che ammette lo svolgimento di servizi multidisciplinari ma anche le relative
restrizioni purché necessarie ad assicurare l’indipendenza e l’integrità delle professioni
regolamentate;
- il n. 114 che raccomanda l’adozione di codici di condotta da parte delle professioni
regolamentate intesi a garantirne l’indipendenza, l’imparzialità e il segreto professionale.
Tralasciando le regole sulla semplificazione amministrativa e sulla libertà di stabilimento,
e le aree già coperte dalle direttive pregresse o esplicitamente escluse dalla direttiva in esame
rimangono alcune disposizioni che afferiscono anche all’ attività forense.
Sono conservate per gli avvocati la doppia osservazione delle regole giuridiche inerenti
la professione sia nel paese d’origine sia nel paese ospitante e così pure la “doppia
deontologia”.
Le novità riguardano essenzialmente la qualità dei servizi.
L’art.22 prevede le informazioni che il professionista deve fornire al destinatario, termine
che non distingue tra consumatori e imprese (note, status, forma giuridica, indirizzo e tutti
gli altri dati identificativi, iscrizione all’albo e Ordine competente, dati di registrazione all’
IVA, qualifica professionale e Stato membro nel quale è stata acquisita, clausole contrattuali
eventualmente praticate, prezzo del servizio se precostituito, assicurazione, se esistente).
Le informazioni possono essere fornite spontaneamente, oppure essere rese accessibili
nel luogo ove si svolge l’attività, oppure inserite nel sito del professionista, oppure nei fogli
illustrativi del servizio.
Nel caso il “prezzo” della prestazione, cioè il compenso, non sia predefinito – come
accade normalmente nell’esercizio dell’attività forense – la direttiva non si oppone alla
introduzione di tariffe; è solo necessario porre il cliente in condizione di poter conoscere i
criteri con cui si calcola il compenso oppure consegnare un preventivo sufficientemente
dettagliato. Il sistema più semplice è la vacazione; tuttavia, si possono impiegare le tariffe al
momento della conclusione del contratto d’opera, ovvero farvi riferimento in via integrativa, sempreché ogni informazione ed ogni criterio di calcolo siano chiari e comprensibili, e
conosciuti in tempo anteriore all’assunzione del mandato professionale. E’ evidente che non
è possibile prefigurare in anticipo né la sua durata né le possibili complicazioni processuali
, sicché qualunque sia il criterio utilizzato per calcolare il compenso, il cliente non può ab
inizio conoscere quanto spenderà perché non lo può prevedere neppure l’avvocato. Ma la
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direttiva è flessibile sul punto, e salva sempre la specificità della professione considerata.
Occorre anche informare il destinatario delle regole professionali vigenti: la normativa
di legge, alla quale si può fare rinvio con mezzi anche informatici, il codice deontologico,
l’esistenza di organismi di conciliazione presso gli Ordini (e, nel caso di tariffe o compensi,
la procedura conciliativa già prevista dalla disciplina forense).
E’ soppresso ogni divieto in materia di pubblicità: l’art.24 c.1 si riferisce esplicitamente
alle professioni regolamentate, ma vi è un temperamento ( all’art. 24 c.2) che impone la
conformità del messaggio alle regole professionali, tenendo conto della specificità della
professione , nonché della indipendenza, della integrità, della dignità e del segreto professionale. Ciò significa che, in via legislativa ( nel testo di attuazione) ovvero in via
deontologica sono ammesse limitazioni, purché non configgenti con il principio di nondiscriminazione, con il principio di proporzionalità e siano giustificate da motivi imperativi
di interesse generale ( secondo le definizioni di tali termini indicate nell’art. 15).
Per quanto riguarda l’organizzazione dell’attività professionale – ferma la libertà di
scegliere le forme più opportune - si possono svolgere attività multidisciplinari , ma è
consentito apporre limitazioni per evitare i conflitti d’interesse, per garantire indipendenza
e imparzialità, regole deontologiche specifiche per rendere le attività compatibili tra loro e
per custodire il segreto professionale.
La qualità del servizio può essere certificata da un organismo indipendente o
accreditato (ma si tratta di iniziativa semplicemente volontaria) o si può fare ricorso a carte
di qualità o marchi predisposti da ordini professionali a livello comunitario.
Se si considera che la versione aggiornata del testo del codice deontologico , che sarà
pubblicata prossimamente , già tiene conto di quasi tutte queste prescrizioni, per l’
Avvocatura non sarà difficile dare attuazione alla direttiva nel triennio venturo, anche
ricorrendo semplicemente alle prescrizioni del codice, se il legislatore , al momento
dell’attuazione, vorrà riconoscere la specificità della professione forense e attribuire al
Consiglio Nazionale Forense il compito di adeguare la disciplina di settore alla direttiva.
Come è noto, qualsiasi atto avente natura regolamentare è ammesso per attuare le direttive
nell’ordinamento interno.
DIRETTIVA 2006/123/CE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL
CONSIGLIO, DEL 12 DICEMBRE 2006 , RELATIVA AI SERVIZI
NEL MERCATO INTERNO
Gazzetta ufficiale n. L 376 del 27/12/2006 pag. 0036 - 0068
Direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio
del 12 dicembre 2006
relativa ai servizi nel mercato interno
IL PARLAMENTO EUROPEO E IL CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA,
visto il trattato che istituisce la Comunità europea, in particolare l’articolo 47, paragrafo
2, prima e terza frase, e l’articolo 55,
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vista la proposta della Commissione,
visto il parere del Comitato economico e sociale europeo [1],
visto il parere del Comitato delle regioni [2],
deliberando secondo la procedura di cui all’articolo 251 del trattato [3],
considerando quanto segue:
(1) La Comunità mira a stabilire legami sempre più stretti tra gli Stati ed i popoli europei
e a garantire il progresso economico e sociale. Conformemente all’articolo 14, paragrafo 2,
del trattato il mercato interno comporta uno spazio senza frontiere interne nel quale è
assicurata la libera circolazione dei servizi. A norma dell’articolo 43 del trattato è assicurata
la libertà di stabilimento. L’articolo 49 sancisce il diritto di prestare servizi all’interno della
Comunità. L’eliminazione delle barriere allo sviluppo del settore dei servizi tra Stati membri
costituisce uno strumento essenziale per rafforzare l’integrazione fra i popoli europei e per
promuovere un progresso economico e sociale equilibrato e duraturo. Nell’eliminazione di
questi ostacoli è essenziale garantire che lo sviluppo del settore dei servizi contribuisca
all’adempimento dei compiti previsti dall’articolo 2 del trattato di promuovere nell’insieme
della Comunità uno sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile delle attività economiche, un elevato livello di occupazione e di protezione sociale, la parità tra uomini e donne,
una crescita sostenibile e non inflazionistica, un alto grado di competitività e di convergenza
dei risultati economici, un elevato livello di protezione dell’ambiente ed il miglioramento
della qualità di quest’ultimo, il miglioramento del tenore e della qualità della vita, la coesione
economica e sociale e la solidarietà tra Stati membri.
(2) Una maggiore competitività del mercato dei servizi è essenziale per promuovere la
crescita economica e creare posti di lavoro nell’Unione europea. Attualmente un elevato
numero di ostacoli nel mercato interno impedisce ai prestatori, in particolare alle piccole e
medie imprese (PMI), di espandersi oltre i confini nazionali e di sfruttare appieno il mercato
unico. Tale situazione indebolisce la competitività globale dei prestatori dell’Unione
europea. Un libero mercato che induca gli Stati membri ad eliminare le restrizioni alla
circolazione transfrontaliera dei servizi, incrementando al tempo stesso la trasparenza e
l’informazione dei consumatori, consentirebbe agli stessi una più ampia facoltà di scelta e
migliori servizi a prezzi inferiori.
(3) La relazione della Commissione sullo “Stato del mercato interno dei servizi” ha
elencato i numerosi ostacoli che impediscono o rallentano lo sviluppo dei servizi tra Stati
membri, in particolare dei servizi prestati dalle PMI, le quali sono predominanti nel settore
dei servizi. La relazione conclude che dieci anni dopo il previsto completamento del mercato
interno esiste un notevole divario tra la visione di un’economia integrata per l’Unione
europea e la realtà vissuta dai cittadini e dai prestatori europei. Gli ostacoli elencati
riguardano un’ampia varietà di servizi in tutte le fasi dell’attività del prestatore e presentano
numerose caratteristiche comuni, compreso il fatto di derivare spesso da procedure
amministrative eccessivamente gravose, dall’incertezza giuridica che caratterizza le attività
transfrontaliere e dalla mancanza di fiducia reciproca tra Stati membri.
(4) I servizi costituiscono il motore della crescita economica e rappresentano il 70 % del
PIL e dei posti di lavoro nella maggior parte degli Stati membri, ma la frammentazione del
mercato interno si ripercuote negativamente sul complesso dell’economia europea, in
particolare sulla competitività delle PMI e la circolazione dei lavoratori, ed impedisce ai
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consumatori di avere accesso ad una maggiore scelta di servizi a prezzi competitivi. È
importante sottolineare che il settore dei servizi costituisce un settore chiave in materia di
occupazione, soprattutto per le donne, e che esse possono, pertanto, trarre enormi benefici
dalle nuove opportunità offerte dal completamento del mercato interno dei servizi. Il
Parlamento europeo ed il Consiglio hanno sottolineato che l’eliminazione degli ostacoli
giuridici alla realizzazione di un vero mercato interno costituisce una priorità per conseguire
l’obiettivo stabilito dal Consiglio europeo di Lisbona del 23 e 24 marzo 2000 di migliorare
l’occupazione e la coesione sociale e di pervenire ad una crescita economica sostenibile allo
scopo di fare dell’Unione europea l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e più
dinamica del mondo entro il 2010 con nuovi e migliori posti di lavoro. L’eliminazione di
questi ostacoli, accompagnata da un avanzato modello sociale europeo, rappresenta
pertanto una premessa per superare le difficoltà incontrate nell’attuazione dell’agenda di
Lisbona e per rilanciare l’economia europea, soprattutto in termini di occupazione e
investimento. È quindi importante realizzare un mercato unico dei servizi, mantenendo un
equilibrio tra apertura dei mercati, servizi pubblici nonché diritti sociali e del consumatore.
(5) È necessario quindi eliminare gli ostacoli alla libertà di stabilimento dei prestatori
negli Stati membri e alla libera circolazione dei servizi tra Stati membri nonché garantire ai
destinatari e ai prestatori la certezza giuridica necessaria all’effettivo esercizio di queste due
libertà fondamentali del trattato. Poiché gli ostacoli al mercato interno dei servizi riguardano
tanto gli operatori che intendono stabilirsi in altri Stati membri quanto quelli che prestano
un servizio in un altro Stato membro senza stabilirvisi, occorre permettere ai prestatori di
sviluppare le proprie attività nel mercato interno stabilendosi in uno Stato membro o
avvalendosi della libera circolazione dei servizi. I prestatori devono poter scegliere tra queste
due libertà, in funzione della loro strategia di sviluppo in ciascuno Stato membro.
(6) Non è possibile eliminare questi ostacoli soltanto grazie all’applicazione diretta degli
articoli 43 e 49 del trattato in quanto, da un lato, il trattamento caso per caso mediante l’avvio
di procedimenti di infrazione nei confronti degli Stati membri interessati si rivelerebbe
estremamente complesso da gestire per le istituzioni nazionali e comunitarie, in particolare
dopo l’allargamento e, dall’altro lato, l’eliminazione di numerosi ostacoli richiede un
coordinamento preliminare delle legislazioni nazionali, anche al fine di istituire una
cooperazione amministrativa. Come è stato riconosciuto dal Parlamento europeo e dal
Consiglio, un intervento legislativo comunitario permette di istituire un vero mercato
interno dei servizi.
(7) La presente direttiva istituisce un quadro giuridico generale a vantaggio di un’ampia
varietà di servizi pur tenendo conto nel contempo delle specificità di ogni tipo d’attività o
di professione e del loro sistema di regolamentazione. Tale quadro giuridico si basa su un
approccio dinamico e selettivo che consiste nell’eliminare in via prioritaria gli ostacoli che
possono essere rimossi rapidamente e, per quanto riguarda gli altri ostacoli, nell’avviare un
processo di valutazione, consultazione e armonizzazione complementare in merito a
questioni specifiche grazie al quale sarà possibile modernizzare progressivamente ed in
maniera coordinata i sistemi nazionali che disciplinano le attività di servizi, operazione
indispensabile per realizzare un vero mercato interno dei servizi entro il 2010. È opportuno
prevedere una combinazione equilibrata di misure che riguardano l’armonizzazione mirata,
la cooperazione amministrativa, la disposizione sulla libera prestazione di servizi e che
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promuovono l’elaborazione di codici di condotta su determinate questioni. Questo
coordinamento delle legislazioni nazionali dovrebbe garantire un grado elevato d’integrazione giuridica comunitaria ed un livello elevato di tutela degli obiettivi d’interesse generale,
in particolare la tutela dei consumatori, che è fondamentale per stabilire la fiducia reciproca
tra Stati membri. La presente direttiva prende altresì in considerazione altri obiettivi
d’interesse generale, compresa la protezione dell’ambiente, la pubblica sicurezza e la sanità
pubblica nonché la necessità di rispettare il diritto del lavoro.
(8) È opportuno che le disposizioni della presente direttiva relative alla libertà di
stabilimento e alla libera circolazione dei servizi si applichino soltanto nella misura in cui
le attività in questione sono aperte alla concorrenza e non obblighino pertanto gli Stati
membri a liberalizzare i servizi d’interesse economico generale, a privatizzare gli enti
pubblici che forniscono tali servizi o ad abolire i monopoli esistenti per quanto riguarda altre
attività o certi servizi di distribuzione.
(9) La presente direttiva si applica unicamente ai requisiti che influenzano l’accesso
all’attività di servizi o il suo esercizio. Pertanto essa non si applica a requisiti come le norme
del codice stradale, le norme riguardanti lo sviluppo e l’uso delle terre, la pianificazione
urbana e rurale, le regolamentazioni edilizie nonché le sanzioni amministrative comminate
per inosservanza di tali norme che non disciplinano o non influenzano specificatamente
l’attività di servizi, ma devono essere rispettate dai prestatori nello svolgimento della loro
attività economica, alla stessa stregua dei singoli che agiscono a titolo privato.
(10) La presente direttiva non concerne i requisiti che disciplinano l’accesso ai finanziamenti pubblici per taluni prestatori. Tali requisiti comprendono in particolare quelli che
stabiliscono le condizioni in base alle quali i prestatori hanno diritto a beneficiare di
finanziamenti pubblici, comprese specifiche condizioni contrattuali, e in particolare le
norme di qualità che vanno osservate per poter beneficiare dei finanziamenti pubblici, ad
esempio per quanto riguarda i servizi sociali.
(11) La presente direttiva non pregiudica le misure adottate dagli Stati membri,
conformemente al diritto comunitario, per quanto riguarda la protezione o la promozione
della diversità linguistica e culturale e il pluralismo dei media, compresi i relativi finanziamenti. La presente direttiva non impedisce agli Stati membri di applicare le loro norme e i
loro principi fondamentali in materia di libertà di stampa e di espressione. La presente
direttiva non incide sulle norme legislative degli Stati membri che vietano la discriminazione
in base alla nazionalità oppure per i motivi specificati all’articolo 13 del trattato.
(12) La presente direttiva è volta a creare un quadro giuridico per assicurare la libertà di
stabilimento e la libera circolazione dei servizi tra gli Stati membri. Essa non armonizza né
incide sul diritto penale. Gli Stati membri non dovrebbero poter limitare la libertà di fornire
servizi applicando disposizioni di diritto penale che riguardano specificamente l’accesso ad
un’attività di servizi o l’esercizio della stessa aggirando le norme stabilite nella presente
direttiva.
(13) È altrettanto importante che la presente direttiva rispetti pienamente le iniziative
comunitarie basate sull’articolo 137 del trattato al fine di conseguire gli obiettivi previsti
all’articolo 136 del trattato per quanto riguarda la promozione dell’occupazione e il
miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro.
(14) La presente direttiva non incide sulle condizioni di lavoro e di occupazione,
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compresi i periodi massimi di lavoro e i periodi minimi di riposo, la durata minima delle ferie
annuali retribuite, i salari minimi nonché la salute, la sicurezza e l’igiene sul lavoro, che gli
Stati membri applicano in conformità del diritto comunitario; inoltre, la presente direttiva
non incide sulle relazioni tra le parti sociali, compresi i diritti di negoziare e concludere
accordi collettivi, di scioperare e di intraprendere azioni sindacali in conformità del diritto
e delle prassi nazionali che rispettano il diritto comunitario, né si applica ai servizi forniti
dalle agenzie di lavoro interinale. La presente direttiva non incide sulla normativa degli Stati
membri in materia di sicurezza sociale.
(15) La presente direttiva rispetta l’esercizio dei diritti fondamentali applicabili negli Stati
membri quali riconosciuti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e nelle
relative spiegazioni, armonizzandoli con le libertà fondamentali di cui agli articoli 43 e 49
del trattato. Tali diritti fondamentali includono, fra l’altro, il diritto a intraprendere
un’azione sindacale in conformità del diritto e delle prassi nazionali che rispettano il diritto
comunitario.
(16) La presente direttiva riguarda soltanto i prestatori stabiliti in uno Stato membro e
non tratta gli aspetti esterni. Essa non riguarda i negoziati nell’ambito di organizzazioni
internazionali per gli scambi di servizi, in particolare nel quadro del GATS.
(17) La presente direttiva si applica soltanto ai servizi che sono prestati dietro corrispettivo economico. I servizi d’interesse generale non rientrano nella definizione di cui
all’articolo 50 del trattato e sono pertanto esclusi dall’ambito di applicazione della presente
direttiva. I servizi d’interesse economico generale sono servizi che, essendo prestati dietro
corrispettivo economico, rientrano nell’ambito di applicazione della presente direttiva.
Tuttavia, alcuni servizi d’interesse economico generale, per esempio quelli che possono
esistere nel settore dei trasporti, sono esclusi dall’ambito di applicazione della presente
direttiva, mentre altri servizi d’interesse economico generale, per esempio quelli che
possono esistere nel settore postale, sono oggetto di una deroga alla disposizione sulla libera
prestazione di servizi stabilita nella presente direttiva. La presente direttiva non riguarda il
finanziamento dei servizi d’interesse economico generale e non si applica alle sovvenzioni
concesse dagli Stati membri, in particolare nel settore sociale, in conformità delle norme
comunitarie sulla concorrenza. La presente direttiva non si occupa del follow-up del Libro
bianco della Commissione sui servizi d’interesse generale.
(18) Occorre escludere dal campo di applicazione della presente direttiva i servizi
finanziari, essendo tali attività oggetto di una normativa comunitaria specifica volta a
realizzare, al pari della presente direttiva, un vero mercato interno dei servizi. Pertanto, tale
esclusione concerne tutti i servizi finanziari quali l’attività bancaria, il credito, l’assicurazione, compresa la riassicurazione, le pensioni professionali o individuali, i titoli, gli investimenti, i fondi, i servizi di pagamento e quelli di consulenza nel settore degli investimenti,
compresi i servizi di cui all’allegato I della direttiva 2006/48/CE del Parlamento europeo e
del Consiglio, del 14 giugno 2006, concernente l’accesso all’attività degli enti creditizi e al
suo esercizio [4].
(19) Poiché nel 2002 è stata adottata una serie di atti normativi relativi ai servizi e alle reti
di comunicazione elettronica nonché alle risorse e ai servizi associati, che ha istituito una
disciplina volta ad agevolare l’accesso a tali attività nel mercato interno grazie, in particolare,
all’eliminazione della maggior parte dei regimi di autorizzazione individuale, è necessario
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escludere le questioni disciplinate da tali atti dal campo di applicazione della presente
direttiva.
(20) Le esclusioni dal campo di applicazione riguardanti le materie attinenti ai servizi di
comunicazione elettronica oggetto delle direttive 2002/19/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 7 marzo 2002, relativa all’accesso alle reti di comunicazione elettronica e alle
risorse correlate, e all’interconnessione delle medesime (direttiva accesso) [5], 2002/20/CE
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 marzo 2002, relativa alle autorizzazioni per
le reti e i servizi di comunicazione elettronica (direttiva autorizzazioni) [6], 2002/21/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 marzo 2002, che istituisce un quadro normativo
comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica (direttiva quadro) [7], 2002/22/
CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 marzo 2002, relativa al servizio universale
e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica (direttiva
servizio universale) [8] e 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 luglio
2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle
comunicazioni elettroniche (direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche) [9] si applicano non solo a questioni specificamente trattate in dette direttive, ma
anche a questioni per le quali le direttive lasciano esplicitamente agli Stati membri la facoltà
di adottare talune misure a livello nazionale.
(21) I servizi di trasporto, compresi i trasporti urbani, i taxi e le ambulanze nonché i servizi
portuali, sono esclusi dal campo di applicazione della presente direttiva.
(22) L’esclusione dei servizi sanitari dall’ambito della presente direttiva dovrebbe
comprendere i servizi sanitari e farmaceutici forniti da professionisti del settore sanitario ai
propri pazienti per valutare, mantenere o ripristinare le loro condizioni di salute, laddove
tali attività sono riservate a professioni del settore sanitario regolamentate nello Stato
membro in cui i servizi vengono forniti.
(23) La presente direttiva non incide sul rimborso dei costi dei servizi sanitari prestati in
uno Stato membro diverso da quello in cui il destinatario del servizio risiede. La Corte di
giustizia ha in numerose occasioni esaminato la questione e riconosciuto i diritti del
paziente. È importante affrontare la questione in un altro atto giuridico comunitario, a fini
di maggiore certezza e chiarezza giuridica, nella misura in cui essa non sia già oggetto del
regolamento (CEE) n. 1408/71 del Consiglio, del 14 giugno 1971, relativo all’applicazione
dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati e ai loro familiari che si spostano
all’interno della Comunità [10].
(24) Occorre altresì escludere dal campo di applicazione della presente direttiva i servizi
audiovisivi, a prescindere dal modo di trasmissione, anche all’interno dei cinema. Inoltre,
la presente direttiva non dovrebbe applicarsi agli aiuti erogati dagli Stati membri nel settore
audiovisivo oggetto delle norme comunitarie sulla concorrenza.
(25) È opportuno escludere dal campo d’applicazione della presente direttiva i giochi con
denaro, ivi comprese le lotterie e le scommesse, tenuto conto della natura specifica di tali
attività che comportano da parte degli Stati membri l’attuazione di politiche di ordine
pubblico e di tutela dei consumatori.
(26) La presente direttiva non osta all’applicazione dell’articolo 45 del trattato.
(27) La presente direttiva non dovrebbe applicarsi ai servizi sociali nel settore degli
alloggi, dell’assistenza all’infanzia e del sostegno alle famiglie e alle persone bisognose,
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forniti dallo Stato a livello nazionale, regionale o locale da prestatori incaricati dallo Stato
o da associazioni caritative riconosciute come tali dallo Stato per sostenere persone che si
trovano in condizione di particolare bisogno a titolo permanente o temporaneo, perché
hanno un reddito familiare insufficiente, o sono totalmente o parzialmente dipendenti e
rischiano di essere emarginate. È opportuno che la presente direttiva non incida su tali servizi
in quanto essi sono essenziali per garantire i diritti fondamentali alla dignità e all’integrità
umana e costituiscono una manifestazione dei principi di coesione e solidarietà sociale.
(28) La presente direttiva non riguarda il finanziamento dei servizi sociali, né il sistema
di aiuti ad esso collegato. Essa non incide sui criteri o le condizioni stabiliti dagli Stati membri
per assicurare che tali servizi sociali effettivamente giovino all’interesse pubblico e alla
coesione sociale. Inoltre la presente direttiva non dovrebbe incidere sul principio del servizio
universale nell’ambito dei servizi sociali degli Stati membri.
(29) Poiché il trattato prevede basi giuridiche specifiche in materia fiscale e considerate
le norme comunitarie già adottate in questo ambito, occorre escludere il settore fiscale dal
campo di applicazione della presente direttiva.
(30) Esiste già un notevole corpus di norme comunitarie sulle attività di servizi. La
presente direttiva viene ad aggiungersi all’acquis comunitario per completarlo. I conflitti tra
la presente direttiva ed altri atti comunitari sono stati identificati e sono contemplati dalla
presente direttiva, anche tramite deroghe. Tuttavia, occorre prevedere una regola che
disciplini eventuali casi residui ed eccezionali in cui sussiste un conflitto tra una delle
disposizioni della presente direttiva ed una disposizione di un altro atto comunitario.
L’esistenza di un siffatto conflitto dovrebbe essere determinata nel rispetto delle norme del
trattato relative al diritto di stabilimento ed alla libera circolazione dei servizi.
(31) La presente direttiva è coerente con la direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo
e del Consiglio relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali [11] e non
pregiudica tale direttiva. Essa riguarda questioni diverse da quelle relative alle qualifiche
professionali, quali l’assicurazione di responsabilità professionale, le comunicazioni commerciali, le attività multidisciplinari e la semplificazione amministrativa. Per quanto
concerne la prestazione di servizi transfrontalieri a titolo temporaneo, una delle deroghe alla
disposizione sulla libera prestazione di servizi previste dalla presente direttiva assicura che
il titolo II sulla libera prestazione di servizi della direttiva 2005/36/CE resti impregiudicato.
Pertanto, la disposizione sulla libera prestazione di servizi non incide su nessuna delle misure
applicabili a norma di tale direttiva 2005/36/CE nello Stato membro in cui viene fornito un
servizio.
(32) La presente direttiva è coerente con la legislazione comunitaria relativa alla tutela dei
consumatori, come la direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’ 11
maggio 2005 relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato
interno (direttiva sulle pratiche commerciali sleali) [12] e il regolamento (CE) n. 2006/2004
del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 ottobre 2004 sulla cooperazione tra le autorità
nazionali responsabili dell’esecuzione della normativa che tutela i consumatori (“regolamento sulla cooperazione per la tutela dei consumatori”) [13].
(33) Tra i servizi oggetto della presente direttiva rientrano numerose attività in costante
evoluzione, fra le quali figurano: i servizi alle imprese, quali i servizi di consulenza
manageriale e gestionale, i servizi di certificazione e di collaudo, i servizi di gestione delle
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strutture, compresi i servizi di manutenzione degli uffici, i servizi di pubblicità o i servizi
connessi alle assunzioni e i servizi degli agenti commerciali. Sono oggetto della presente
direttiva anche i servizi prestati sia alle imprese sia ai consumatori, quali i servizi di
consulenza legale o fiscale, i servizi collegati con il settore immobiliare, come le agenzie
immobiliari, l’edilizia, compresi i servizi degli architetti, la distribuzione, l’organizzazione
di fiere, il noleggio di auto, le agenzie di viaggi. Nell’ambito di applicazione della presente
direttiva rientrano altresì i servizi ai consumatori, quali i servizi nel settore del turismo,
compresi i servizi delle guide turistiche, i servizi ricreativi, i centri sportivi, i parchi di
divertimento e, nella misura in cui non sono esclusi dall’ambito di applicazione della
direttiva, i servizi a domicilio, come l’assistenza agli anziani. Queste attività possono
riguardare servizi che richiedono la vicinanza del prestatore e del destinatario della
prestazione, servizi che comportano lo spostamento del destinatario o del prestatore e servizi
che possono essere prestati a distanza, anche via Internet.
(34) Secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, la valutazione di determinate
attività, in particolare di quelle finanziate con fondi pubblici o esercitate da enti pubblici,
deve essere effettuata, per stabilire se costituiscono un “servizio”, caso per caso alla luce delle
loro caratteristiche, in particolare del modo in cui sono prestate, organizzate e finanziate
nello Stato membro interessato. La Corte di giustizia ha ritenuto che la caratteristica
fondamentale della retribuzione sia rappresentata dal fatto che essa costituisce un corrispettivo economico per i servizi prestati, ed ha riconosciuto che la caratteristica della retribuzione è assente nelle attività svolte dallo Stato o per conto dello Stato senza corrispettivo
economico nel quadro dei suoi doveri in ambito sociale, culturale, educativo e giudiziario,
quali i corsi assicurati nel quadro del sistema nazionale di pubblica istruzione o la gestione
di regimi di sicurezza sociale che non svolgono un’attività economica. Il pagamento di una
tassa da parte dei destinatari, ad esempio una tassa di insegnamento o di iscrizione pagata
dagli studenti per contribuire in parte alle spese di funzionamento di un sistema, non
costituisce di per sé retribuzione in quanto il servizio continua ad essere essenzialmente
finanziato con fondi pubblici. Queste attività non rientrano pertanto nella definizione di
“servizio” di cui all’articolo 50 del trattato e sono quindi escluse dal campo d’applicazione
della presente direttiva.
(35) Le attività sportive amatoriali senza scopo di lucro rivestono una notevole importanza sociale. Tali attività perseguono spesso finalità esclusivamente sociali o ricreative.
Pertanto, esse non possono costituire un’attività economica ai sensi del diritto comunitario
e non dovrebbero rientrare nel campo di applicazione della presente direttiva.
(36) La nozione di prestatore dovrebbe comprende qualsiasi persona fisica, avente la
cittadinanza di uno Stato membro, o persona giuridica che esplica un’attività di servizio in
tale Stato membro esercitando la libertà di stabilimento o la libera circolazione dei servizi.
La nozione di prestatore quindi non dovrebbe limitarsi solo al caso in cui il servizio venga
prestato attraverso le frontiere nell’ambito della libera circolazione dei servizi, ma dovrebbe
comprendere anche la fattispecie in cui un operatore si stabilisce in uno Stato membro per
svilupparvi le proprie attività di servizio. La nozione di prestatore, d’altra parte, non
dovrebbe coprire il caso delle succursali di società di paesi terzi in uno Stato membro poiché,
in conformità dell’articolo 48 del trattato, la libertà di stabilimento e la libera circolazione
dei servizi si applicano soltanto alle società costituite conformemente alla legislazione di uno
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Stato membro e aventi la sede sociale, l’amministrazione centrale o il centro di attività
principale all’interno della Comunità. Il concetto di destinatario dovrebbe coprire anche i
cittadini di paesi terzi che beneficiano già di diritti loro conferiti da atti comunitari quali il
regolamento (CEE) n. 1408/71, la direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre
2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo
[14], il regolamento del Consiglio (CE) n. 859/2003 del Consiglio, del 14 maggio 2003, che
estende le disposizioni del regolamento (CEE) n. 1408/71 e del regolamento (CEE) n. 574/
72 ai cittadini di paesi terzi cui tali disposizioni non siano già applicabili unicamente a causa
della nazionalità [15] e la direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del
29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e
di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri [16]. Inoltre, gli Stati membri
possono estendere il concetto di destinatario ad altri cittadini di paesi terzi presenti sul loro
territorio.
(37) Il luogo di stabilimento del prestatore dovrebbe essere determinato in conformità
della giurisprudenza della Corte di giustizia, secondo la quale la nozione di stabilimento
implica l’esercizio effettivo di un’attività economica per una durata di tempo indeterminata
mediante l’insediamento in pianta stabile. Tale requisito può essere soddisfatto anche nel
caso in cui una società sia costituita a tempo determinato o abbia in affitto un fabbricato o
un impianto per lo svolgimento della sua attività. Esso può altresì essere soddisfatto allorché
uno Stato membro rilasci autorizzazioni di durata limitata soltanto per particolari servizi.
Lo stabilimento non deve necessariamente assumere la forma di una filiale, succursale o
rappresentanza, ma può consistere in un ufficio gestito dal personale del prestatore o da una
persona indipendente ma autorizzata ad agire su base permanente per conto dell’impresa,
come nel caso di una rappresentanza. Secondo questa definizione, che comporta l’esercizio
effettivo di un’attività economica nel luogo di stabilimento del prestatore di servizi, una
semplice casella postale non costituisce uno stabilimento. Se uno stesso prestatore ha più
luoghi di stabilimento, è importante determinare da quale luogo di stabilimento è prestato
il servizio effettivo in questione. Nei casi in cui è difficile determinare da quale dei vari luoghi
di stabilimento un determinato servizio è prestato, tale luogo è quello in cui il prestatore ha
il centro delle sue attività per quanto concerne tale servizio specifico.
(38) La nozione di “persona giuridica” secondo le disposizioni del trattato in materia di
stabilimento lascia agli operatori la libertà di scegliere la forma giuridica che ritengono
opportuna per svolgere la loro attività. Di conseguenza, per “persone giuridiche” ai sensi del
trattato si intendono tutte le entità costituite conformemente al diritto di uno Stato membro
o da esso disciplinate, a prescindere dalla loro forma giuridica.
(39) La nozione di regime di autorizzazione dovrebbe comprendere, in particolare, le
procedure amministrative per il rilascio di autorizzazioni, licenze, approvazioni o concessioni, ma anche l’obbligo, per potere esercitare l’attività, di essere iscritto in un albo
professionale, in un registro, ruolo o in una banca dati, di essere convenzionato con un
organismo o di ottenere una tessera professionale. L’autorizzazione può essere concessa non
solo in base ad una decisione formale, ma anche in base ad una decisione implicita derivante,
ad esempio, dal silenzio dell’autorità competente o dal fatto che l’interessato debba
attendere l’avviso di ricevimento di una dichiarazione per iniziare l’attività o affinché
quest’ultima sia legittima.
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(40) La nozione di “motivi imperativi di interesse generale” cui fanno riferimento alcune
disposizioni della presente direttiva è stata progressivamente elaborata dalla Corte di
giustizia nella propria giurisprudenza relativa agli articoli 43 e 49 del trattato, e potrebbe
continuare ad evolvere. La nozione, come riconosciuto nella giurisprudenza della Corte di
giustizia, copre almeno i seguenti motivi: l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza e la sanità
pubblica ai sensi degli articoli 46 e 55 del trattato, il mantenimento dell’ordine sociale, gli
obiettivi di politica sociale, la tutela dei destinatari di servizi, la tutela dei consumatori, la
tutela dei lavoratori, compresa la protezione sociale dei lavoratori, il benessere degli animali,
la salvaguardia dell’equilibrio finanziario del regime di sicurezza sociale, la prevenzione della
frode, la prevenzione della concorrenza sleale, la protezione dell’ambiente e dell’ambiente
urbano, compreso l’assetto territoriale in ambito urbano e rurale, la tutela dei creditori, la
salvaguardia della sana amministrazione della giustizia, la sicurezza stradale, la tutela della
proprietà intellettuale, gli obiettivi di politica culturale, compresa la salvaguardia della libertà
di espressione dei vari elementi presenti nella società e, in particolare, dei valori sociali,
culturali, religiosi e filosofici, la necessità di assicurare un elevato livello di istruzione, il
mantenimento del pluralismo della stampa e la politica di promozione della lingua
nazionale, la conservazione del patrimonio nazionale storico e artistico, e la politica
veterinaria.
(41) Il concetto di “ordine pubblico”, come interpretato dalla Corte di giustizia,
comprende la protezione contro una minaccia effettiva e sufficientemente grave per uno
degli interessi fondamentali della collettività e può includere, in particolare, questioni legate
alla dignità umana, alla tutela dei minori e degli adulti vulnerabili ed al benessere degli
animali. Analogamente, la nozione di pubblica sicurezza comprende le questioni di
incolumità pubblica.
(42) Le norme relative alle procedure amministrative non dovrebbero mirare ad
armonizzare le procedure amministrative, ma a sopprimere regimi di autorizzazione,
procedure e formalità eccessivamente onerosi che ostacolano la libertà di stabilimento e la
creazione di nuove società di servizi che ne derivano.
(43) Una delle principali difficoltà incontrate, in particolare dalle PMI, nell’accesso alle
attività di servizi e nel loro esercizio è rappresentato dalla complessità, dalla lunghezza e
dall’incertezza giuridica delle procedure amministrative. Per questa ragione, sul modello di
alcune iniziative in materia di modernizzazione delle buone pratiche amministrative avviate
a livello comunitario e nazionale, è necessario stabilire principi di semplificazione amministrativa, in particolare mediante la limitazione dell’obbligo di autorizzazione preliminare ai
casi in cui essa è indispensabile e l’introduzione del principio della tacita autorizzazione da
parte delle autorità competenti allo scadere di un determinato termine. Tale azione di
modernizzazione, pur mantenendo gli obblighi di trasparenza e di aggiornamento delle
informazioni relative agli operatori, ha il fine di eliminare i ritardi, i costi e gli effetti dissuasivi
che derivano, ad esempio, da procedure non necessarie o eccessivamente complesse e
onerose, dalla duplicazione delle procedure, dalle complicazioni burocratiche nella presentazione di documenti, dall’abuso di potere da parte delle autorità competenti, dai termini
di risposta non precisati o eccessivamente lunghi, dalla validità limitata dell’autorizzazione
rilasciata o da costi e sanzioni sproporzionati. Tali pratiche hanno effetti dissuasivi
particolarmente rilevanti nel caso dei prestatori che intendono sviluppare le loro attività in
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altri Stati membri e che avvertono l’esigenza di una modernizzazione coordinata in un
mercato interno allargato a venticinque Stati membri.
(44) Gli Stati membri dovrebbero introdurre, se del caso, formulari armonizzati a livello
comunitario, definiti dalla Commissione, equipollenti ai certificati, agli attestati o ad
eventuali altri documenti in materia di stabilimento.
(45) Per valutare la necessità di semplificare le procedure e le formalità gli Stati membri
dovrebbero poter in particolare tener conto della necessità, del numero, degli eventuali
doppioni, dei costi, della chiarezza e dell’accessibilità di tali procedure e formalità nonché
dei ritardi e delle difficoltà pratiche cui potrebbero dar luogo per il prestatore in questione.
(46) Per agevolare l’accesso alle attività di servizi e il loro esercizio nel mercato interno,
è necessario fissare l’obiettivo, comune a tutti gli Stati membri, di una semplificazione
amministrativa e prevedere disposizioni riguardanti, in particolare, gli sportelli unici, il
diritto all’informazione, le procedure per via elettronica e la definizione di un quadro per
i regimi di autorizzazione. Altre misure adottate a livello nazionale per raggiungere
quest’obiettivo potrebbero consistere nel ridurre il numero delle procedure e formalità
applicabili alle attività di servizi, limitandole a quelle indispensabili per conseguire un
obiettivo di interesse generale e che non rappresentano, per contenuto o finalità, dei
doppioni.
(47) Ai fini della semplificazione amministrativa, è opportuno evitare di imporre in
maniera generale requisiti formali, quali la presentazione di documenti originali, di copie
autenticate o di una traduzione autenticata, tranne qualora ciò sia giustificato obiettivamente da un motivo imperativo di interesse generale, come la tutela dei lavoratori, la sanità
pubblica, la protezione dell’ambiente o la protezione dei consumatori. Occorre inoltre
garantire che un’autorizzazione dia normalmente accesso ad un’attività di servizi, o al suo
esercizio, su tutto il territorio nazionale a meno che un motivo imperativo di interesse
generale non giustifichi obiettivamente un’autorizzazione specifica per ogni stabilimento,
ad esempio nel caso di ogni insediamento di grandi centri commerciali, o un’autorizzazione
limitata ad una parte specifica del territorio nazionale.
(48) Al fine di semplificare ulteriormente le procedure amministrative è opportuno fare
in modo che ogni prestatore abbia un interlocutore unico tramite il quale espletare tutte le
procedure e formalità (in prosieguo: sportello unico). Il numero degli sportelli unici per
Stato membro può variare secondo le competenze regionali o locali o in funzione delle
attività interessate. La creazione degli sportelli unici, infatti, non dovrebbe interferire nella
divisione dei compiti tra le autorità competenti in seno ad ogni sistema nazionale. Quando
la competenza spetta a diverse autorità a livello regionale o locale, una di esse può assumersi
il ruolo di sportello unico e coordinare le attività con le altre autorità. Gli sportelli unici
possono essere costituiti non soltanto da autorità amministrative ma anche da camere di
commercio e dell’artigianato ovvero da organismi o ordini professionali o enti privati ai quali
uno Stato membro ha deciso di affidare questa funzione. Gli sportelli unici sono destinati
a svolgere un ruolo importante di assistenza al prestatore sia come autorità direttamente
competente a rilasciare i documenti necessari per accedere ad un’attività di servizio sia come
intermediario tra il prestatore e le autorità direttamente competenti.
(49) La tassa che può essere riscossa dagli sportelli unici dovrebbe essere proporzionale
al costo delle procedure e formalità espletate. Ciò non dovrebbe impedire che gli Stati
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membri affidino allo sportello unico la riscossione di altri oneri amministrativi come quelli
degli organi di controllo.
(50) È necessario che i prestatori e i destinatari abbiano un agevole accesso a taluni tipi
di informazione. Ciascuno Stato membro dovrebbe determinare le modalità con le quali
fornire informazioni a prestatori e destinatari nell’ambito della presente direttiva. In
particolare, gli Stati membri possono ottemperare all’obbligo di garantire che le informazioni pertinenti siano facilmente accessibili ai prestatori e destinatari consentendo al pubblico
l’accesso a tali informazioni attraverso un sito web. Le informazioni dovrebbero essere
comunicate in modo chiaro e univoco.
(51) L’informazione fornita a prestatori e destinatari dovrebbe includere, in particolare,
informazioni relative alle procedure e alle formalità, ai dati delle autorità competenti, alle
condizioni di accesso ai registri pubblici e alle banche dati pubbliche nonché informazioni
concernenti le possibilità di ricorso disponibili e gli estremi delle associazioni e delle
organizzazioni presso le quali i prestatori o i destinatari possono ricevere assistenza pratica.
L’obbligo delle autorità competenti di assistere prestatori e destinatari non comprende
l’assistenza giuridica per singoli casi. Tuttavia, dovrebbero essere fornite informazioni
generali sulla maniera in cui i requisiti sono normalmente interpretati o applicati. Spetta del
pari agli Stati membri dirimere questioni quali la responsabilità in caso di comunicazione
di informazioni errate o fuorvianti.
(52) La realizzazione in tempi ragionevolmente brevi di un sistema di procedure e di
formalità espletate per via elettronica costituirà la condicio sine qua non della semplificazione amministrativa nel settore delle attività di servizi, a beneficio dei prestatori, dei destinatari
e delle autorità competenti. Per ottemperare all’obbligo vigente in relazione ai risultati, può
rivelarsi necessario adattare le legislazioni e le altre regolamentazioni nazionali applicabili
ai servizi. Tale obbligo non osta a che gli Stati membri offrano, oltre a mezzi elettronici, altri
strumenti per espletare tali procedure e formalità. Il fatto che tali procedure e formalità
debbano poter essere espletate a distanza richiede, in particolare, che gli Stati membri
provvedano affinché ciò possa avvenire a livello transfrontaliero. Restano escluse da tale
obbligo le procedure o le formalità che, per loro natura, non possono essere espletate a
distanza. Inoltre, ciò non interferisce con la legislazione degli Stati membri sull’uso delle
lingue.
(53) Ai fini del rilascio di licenze per talune attività di servizi l’autorità competente può
richiedere un colloquio con il richiedente al fine di valutarne l’integrità personale e l’idoneità
a svolgere l’attività in questione. In questi casi, l’espletamento delle formalità per via
elettronica potrebbe non essere appropriato.
(54) La possibilità di avere accesso ad un’attività di servizi dovrebbe essere subordinata
al rilascio di un’autorizzazione da parte delle autorità competenti soltanto se ciò è conforme
ai principi di non discriminazione, di necessità e di proporzionalità. Ciò significa, in
particolare, che l’imposizione di un’autorizzazione dovrebbe essere ammissibile soltanto
nei casi in cui un controllo a posteriori non sarebbe efficace a causa dell’impossibilità di
constatare a posteriori le carenze dei servizi interessati e tenuto debito conto dei rischi e dei
pericoli che potrebbero risultare dall’assenza di un controllo a priori. Queste disposizioni
della direttiva non possono tuttavia giustificare regimi di autorizzazione che sono vietati da
altri atti comunitari, quali la direttiva 1999/93/CE del 13 dicembre 1999 del Parlamento
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europeo e del Consiglio relativa ad un quadro comunitario per le firme elettroniche [17] o
la direttiva 2000/31/CE dell’ 8 giugno 2000 del Parlamento europeo e del Consiglio relativa
a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno (“direttiva sul commercio elettronico”) [18]. I risultati
del processo di valutazione reciproca consentiranno di determinare a livello comunitario i
tipi di attività per le quali i regimi di autorizzazione dovrebbero essere soppressi.
(55) La presente direttiva dovrebbe lasciare impregiudicata la facoltà degli Stati membri
di revocare successivamente le autorizzazioni, quando non sussistono più le condizioni per
il loro rilascio.
(56) Conformemente alla giurisprudenza della Corte di giustizia, la sanità pubblica, la
tutela dei consumatori, la salute degli animali e la protezione dell’ambiente urbano
costituiscono motivi imperativi di interesse generale. Tali motivi imperativi possono
giustificare l’applicazione di regimi di autorizzazione e altre restrizioni. Tuttavia, tali regimi
di autorizzazione o restrizioni non dovrebbero discriminare in base alla nazionalità. Inoltre,
dovrebbero essere sempre rispettati i principi di necessità e proporzionalità.
(57) Le disposizioni della presente direttiva relative ai regimi di autorizzazione dovrebbero riguardare i casi in cui l’accesso ad un’attività di servizio o il suo esercizio da parte di
operatori richieda la decisione di un’autorità competente. Ciò non riguarda né le decisioni
delle autorità competenti relative all’istituzione di un ente pubblico o privato per la
prestazione di un servizio particolare, né la conclusione di contratti da parte delle autorità
competenti per la prestazione di un servizio particolare, che è disciplinata dalle norme sugli
appalti pubblici, poiché la presente direttiva non si occupa di tali norme.
(58) Per agevolare l’accesso alle attività di servizi e il loro esercizio è importante valutare
i regimi di autorizzazione e la relativa motivazione e redigere una relazione al riguardo.
Quest’obbligo di relazione riguarda solo l’esistenza dei regimi di autorizzazione e non i
criteri e le condizioni di rilascio dell’autorizzazione stessa.
(59) L’autorizzazione dovrebbe di regola consentire al prestatore di avere accesso
all’attività di servizio o di esercitare tale attività in tutto il territorio nazionale, a meno che
un limite territoriale sia giustificato da un motivo imperativo di interesse generale. Ad
esempio, la protezione dell’ambiente può giustificare la necessità di ottenere una singola
autorizzazione per ciascuna installazione sul territorio nazionale. Tale disposizione non
dovrebbe pregiudicare le competenze regionali o locali per la concessione di autorizzazioni
all’interno degli Stati membri.
(60) La presente direttiva, e in particolare le disposizioni concernenti i regimi di autorizzazione e la portata territoriale di un’autorizzazione, non pregiudica la ripartizione delle
competenze regionali o locali all’interno di uno Stato membro, compresa l’autonomia
regionale e locale e l’impiego di lingue ufficiali.
(61) La disposizione relativa al divieto di duplicazione delle condizioni di rilascio
dell’autorizzazione non dovrebbe ostare a che gli Stati membri applichino le proprie
condizioni specificate nel regime di autorizzazione. Essa dovrebbe prescrivere solo che le
autorità competenti, nell’esaminare se le condizioni siano soddisfatte dal richiedente, prendano in considerazione le condizioni equivalenti già soddisfatte dal richiedente in un altro Stato
membro. Questa disposizione non dovrebbe prescrivere che siano applicate le condizioni di
rilascio dell’autorizzazione previste dal regime di autorizzazione di un altro Stato membro.
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(62) Nel caso in cui il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia
limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche, è opportuno
prevedere una procedura di selezione tra diversi candidati potenziali, al fine di sviluppare,
tramite la libera concorrenza, la qualità e le condizioni di offerta di servizi a disposizione degli
utenti. Tale procedura dovrebbe offrire garanzie di trasparenza e di imparzialità e l’autorizzazione così rilasciata non dovrebbe avere una durata eccessiva, non dovrebbe poter essere
rinnovata automaticamente o conferire vantaggi al prestatore uscente. In particolare, la durata
dell’autorizzazione concessa dovrebbe essere fissata in modo da non restringere o limitare la
libera concorrenza al di là di quanto è necessario per garantire l’ammortamento degli
investimenti e la remunerazione equa dei capitali investiti. La presente disposizione non
dovrebbe ostare a che gli Stati membri limitino il numero di autorizzazioni per ragioni diverse
dalla scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche. Le autorizzazioni in questione
dovrebbero comunque ottemperare alle altre disposizioni della presente direttiva relative ai
regimi di autorizzazione.
(63) Qualora non siano previsti regimi diversi, in mancanza di risposta entro un determinato termine, l’autorizzazione si dovrebbe considerare rilasciata. Per determinate attività
possono tuttavia essere previsti regimi diversi se ciò è obiettivamente giustificato da motivi
imperativi di interesse generale, ivi compresi interessi legittimi di terzi. Tali regimi potrebbero
comprendere norme nazionali secondo cui, in mancanza di risposta da parte dell’autorità
competente, la domanda si considera respinta; tale rifiuto è impugnabile di fronte alle
giurisdizioni competenti.
(64) Al fine della creazione di un vero mercato interno dei servizi è necessario sopprimere
le restrizioni alla libertà di stabilimento e alla libera circolazione dei servizi ancora presenti nella
legislazione di taluni Stati membri e incompatibili, rispettivamente, con gli articoli 43 e 49 del
trattato. Le restrizioni da vietare incidono in modo particolare sul mercato interno dei servizi
e dovrebbero essere al più presto eliminate in modo sistematico.
(65) La libertà di stabilimento è basata, in particolare, sul principio della parità di
trattamento che non soltanto comporta il divieto di ogni forma di discriminazione fondata
sulla cittadinanza, ma anche qualsiasi forma di discriminazione indiretta basata su criteri
diversi ma tali da portare di fatto allo stesso risultato. L’accesso ad un’attività di servizi o il suo
esercizio in uno Stato membro, a titolo principale come a titolo secondario, non dovrebbero
quindi essere subordinati a criteri quali il luogo di stabilimento, di residenza, di domicilio o
di prestazione principale dell’attività. Tali criteri non dovrebbero contemplare tuttavia i
requisiti secondo cui è obbligatoria la presenza di un prestatore o di un suo dipendente o
rappresentante nell’esercizio della sua attività se ciò è giustificato da motivi imperativi di
interesse pubblico. Uno Stato membro non dovrebbe inoltre limitare la capacità giuridica e
la capacità processuale delle società costituite conformemente alla legislazione di un altro Stato
membro sul cui territorio queste hanno lo stabilimento principale. Inoltre, uno Stato membro
non dovrebbe poter prevedere forme di vantaggio per prestatori che abbiano un legame
particolare con un contesto socioeconomico nazionale o locale, né limitare in funzione del
luogo di stabilimento del prestatore la facoltà di quest’ultimo di acquisire, usare o alienare
diritti e beni o di accedere alle diverse forme di credito e di alloggio, nella misura in cui queste
facoltà sono utili all’accesso alla sua attività o all’esercizio effettivo della stessa.
(66) L’accesso a, o l’esercizio di, un’attività di servizi sul territorio di uno Stato membro non
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dovrebbe essere soggetto ad una prova economica. Il divieto di richiedere una dimostrazione
della capacità economica come condizione per la concessione di un’autorizzazione riguarda
le prove economiche in quanto tali e non gli altri requisiti giustificati obiettivamente da motivi
imperativi di interesse generale, come la tutela dell’ambiente urbano, la politica sociale e gli
obiettivi in materia di sanità pubblica. Tale divieto dovrebbe lasciare impregiudicato l’esercizio
delle competenze delle autorità preposte all’applicazione del diritto della concorrenza.
(67) Per quanto concerne le assicurazioni o le garanzie finanziarie, il divieto di prevedere
requisiti dovrebbe riguardare solo l’obbligo che le assicurazioni o le garanzie finanziarie
prescritte provengano da un’istituzione finanziaria stabilita nello Stato membro in questione.
(68) Per quanto concerne la precedente iscrizione in un registro, il divieto di imporre
requisiti dovrebbe riguardare solo l’obbligo per il prestatore di essere stato iscritto per un
determinato periodo in un registro dello Stato membro in questione prima dello stabilimento.
(69) Al fine di coordinare la modernizzazione delle norme e regolamentazioni nazionali
in modo coerente con le esigenze del mercato interno, è necessario valutare taluni requisiti
nazionali non discriminatori che, per le loro caratteristiche proprie, potrebbero sensibilmente
limitare, se non addirittura impedire, l’accesso a un’attività o il suo esercizio nell’ambito della
libertà di stabilimento. Tale processo di valutazione dovrebbe essere limitato alla compatibilità
di detti requisiti con i criteri già stabiliti dalla Corte di giustizia in materia di libertà di
stabilimento. Esso non riguarda l’applicazione del diritto comunitario della concorrenza.
Detti requisiti, qualora siano discriminatori o non giustificati obiettivamente da motivi
imperativi di interesse generale o sproporzionati, devono essere soppressi o modificati. L’esito
di tale valutazione sarà diverso a seconda della natura delle attività e dell’interesse generale
considerati. In particolare, conformemente alla giurisprudenza della Corte di giustizia, tali
requisiti potrebbero essere pienamente giustificati quando perseguono obiettivi di politica
sociale.
(70) Ai fini della presente direttiva e fatto salvo l’articolo 16 del trattato, possono essere
considerati servizi d’interesse economico generale soltanto i servizi la cui fornitura costituisca adempimento di una specifica missione d’interesse pubblico affidata al prestatore dallo
Stato membro interessato. Tale affidamento dovrebbe essere effettuato mediante uno o più
atti, la cui forma è stabilita da ciascuno Stato membro, e precisare la natura di tale specifica
missione.
(71) La procedura di valutazione reciproca prevista dalla presente direttiva non dovrebbe
pregiudicare la libertà degli Stati membri di stabilire nei rispettivi ordinamenti giuridici un
elevato livello di tutela degli interessi generali, in particolare per quanto riguarda gli obiettivi
di politica sociale. Inoltre, è necessario che il processo di valutazione reciproca tenga
pienamente conto delle specificità dei servizi di interesse economico generale e delle
funzioni particolari a essi assegnate. Tali specificità possono giustificare talune restrizioni
alla libertà di stabilimento, soprattutto quando tali restrizioni mirino alla protezione della
sanità pubblica e ad obiettivi di politica sociale e qualora soddisfino le condizioni di cui
all’articolo 15, paragrafo 3, lettere a), b) e c). Ad esempio, per quanto riguarda l’obbligo di
assumere una specifica forma giuridica al fine di prestare determinati servizi in campo
sociale, la Corte di giustizia ha già riconosciuto che può essere giustificato imporre al
prestatore il requisito di non avere scopo di lucro.
(72) I servizi d’interesse economico generale sono correlati a compiti importanti relativi
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alla coesione sociale e territoriale. La realizzazione di tali compiti non dovrebbe essere
ostacolata dal processo di valutazione previsto dalla presente direttiva. Tale processo non
dovrebbe incidere sui requisiti necessari per la realizzazione dei compiti in questione mentre
occorre al contempo esaminare la questione delle restrizioni ingiustificate alla libertà di
stabilimento.
(73) Fra i requisiti da prendere in esame figurano i regimi nazionali che, per motivi diversi
da quelli relativi alle qualifiche professionali, riservano a prestatori particolari l’accesso a
talune attività. Tali requisiti comprendono gli obblighi che impongono al prestatore di avere
un determinato status giuridico, in particolare di essere una persona giuridica, una società
di persone, un’organizzazione senza scopo di lucro o una società di proprietà di sole persone
fisiche, e gli obblighi in materia di partecipazione azionaria in una società, in particolare
l’obbligo di disporre di un capitale minimo per determinate attività di servizi oppure di avere
una particolare qualifica per detenere capitale in determinate società o per gestirle. La
valutazione della compatibilità delle tariffe obbligatorie minime e/o massime con la libertà
di stabilimento riguarda soltanto le tariffe specificamente imposte dalle autorità competenti
per la prestazione di determinati servizi e non, ad esempio, le norme generali in materia di
determinazione dei prezzi, ad esempio per la locazione di immobili.
(74) Il processo di valutazione reciproca implica che nel periodo di recepimento gli Stati
membri debbano procedere ad un esame (“screening”) della loro legislazione per determinare l’eventuale presenza dei summenzionati requisiti nel loro ordinamento giuridico e,
prima dello scadere del periodo di recepimento, debbano elaborare una relazione sui risultati
di tale esame. Ogni relazione sarà trasmessa a tutti gli altri Stati membri e a tutte le parti
interessate. Gli Stati membri disporranno allora di sei mesi per trasmettere le loro osservazioni in materia. Entro l’anno successivo alla data di recepimento della presente direttiva,
la Commissione elaborerà una relazione di sintesi corredandola, se del caso, di proposte
riguardanti ulteriori iniziative. Se necessario, la Commissione assisterà gli Stati membri nella
definizione di una metodologia comune, con la loro collaborazione.
(75) Il fatto che la presente direttiva specifichi un certo numero di requisiti che gli Stati
membri devono sopprimere o valutare nel corso del periodo di recepimento lascia
impregiudicate le procedure di infrazione che possono essere avviate nei confronti di uno
Stato membro che ha mancato di ottemperare agli obblighi derivanti dagli articoli 43 o 49
del trattato.
(76) La presente direttiva non riguarda l’applicazione degli articoli 28, 29 e 30 del trattato
relativi alla libera circolazione delle merci. Le restrizioni vietate in forza della disposizione
sulla libera prestazione di servizi riguardano i requisiti applicabili all’accesso alle attività di
servizi o al loro esercizio e non quelli applicabili alle merci in quanto tali.
(77) Quando un operatore si sposta in un altro Stato membro per esercitarvi un’attività
di servizi occorre distinguere le situazioni che rientrano nella libertà di stabilimento da quelle
coperte, a motivo del carattere temporaneo dell’attività considerata, dalla libera circolazione
dei servizi. Per quanto concerne la distinzione tra la libertà di stabilimento e la libera
circolazione dei servizi, secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia l’elemento chiave
è lo stabilimento o meno dell’operatore nello Stato membro in cui presta il servizio in
questione. Se l’operatore è stabilito nello Stato membro in cui presta i suoi servizi, rientra
nel campo di applicazione della libertà di stabilimento. Se invece non è stabilito nello Stato
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membro in cui viene fornito il servizio, le sue attività sono oggetto della libera circolazione
dei servizi. Secondo la giurisprudenza costante della Corte di giustizia, occorre valutare il
carattere temporaneo delle attività considerate non solo in funzione della durata della
prestazione, ma anche in funzione della sua regolarità, periodicità o continuità. Il carattere
temporaneo della prestazione non dovrebbe in ogni caso escludere che il prestatore possa
dotarsi, nello Stato membro in cui è fornito il servizio, di una determinata infrastruttura,
come un ufficio o uno studio, nella misura in cui tale infrastruttura è necessaria per
l’esecuzione della prestazione in questione.
(78) Al fine di garantire la realizzazione efficace della libera circolazione dei servizi e di
garantire ai destinatari e ai prestatori la possibilità di beneficiare e di fornire servizi
nell’insieme della Comunità senza l’ostacolo delle frontiere, è opportuno chiarire in che
misura possono essere imposti gli obblighi previsti dalla legislazione dello Stato membro in
cui viene prestato il servizio. È necessario prevedere che la disposizione sulla libera
prestazione di servizi non impedisce allo Stato membro nel quale viene prestato il servizio
di applicare, in conformità dei principi di cui all’articolo 16, paragrafo 1, lettere da a) a c),
i propri requisiti specifici per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza o per la tutela
della salute pubblica o dell’ambiente.
(79) La Corte di giustizia ha costantemente ritenuto che uno Stato membro conserva il
diritto di adottare misure atte ad impedire ai prestatori di trarre profitto abusivamente dai
principi del mercato interno. Gli abusi commessi da un prestatore dovrebbero essere stabiliti
caso per caso.
(80) È necessario provvedere affinché i prestatori possano prendere con sé attrezzature
che sono parte integrante della prestazione del loro servizio allorché si spostano per prestare
servizi in un altro Stato membro. In particolare, è importante evitare le fattispecie in cui
sarebbe impossibile prestare il servizio in quanto manca l’attrezzatura, le situazioni in cui
i prestatori sostengono costi aggiuntivi, ad esempio perché affittano o acquistano attrezzature diverse rispetto a quelle che utilizzano abitualmente ovvero perché debbono modificare
significativamente, rispetto alle loro abitudini, il modo in cui svolgono la loro attività.
(81) La nozione di attrezzatura non si riferisce ad oggetti materiali che sono forniti dal
prestatore al cliente o che diventano parte integrante di un oggetto materiale in esito
all’attività di servizi, come i materiali edilizi o i pezzi di ricambio, o che sono consumati o
abbandonati in loco nel corso delle prestazioni di servizi, come i carburanti, gli esplosivi, i
fuochi d’artificio, i pesticidi, i veleni o i medicinali.
(82) Le disposizioni della presente direttiva non dovrebbero pregiudicare l’applicazione
da parte di uno Stato membro di norme in materia di condizioni di occupazione. Le norme
derivanti da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative dovrebbero, conformemente al trattato, essere giustificate da ragioni attinenti alla tutela dei lavoratori, non
discriminatorie, necessarie e proporzionate, secondo l’interpretazione della Corte di giustizia, nonché conformi ad altre normative comunitarie pertinenti.
(83) Occorre prevedere che si possa derogare alla disposizione sulla libera prestazione di
servizi soltanto nei settori oggetto di deroghe. Tali deroghe sono necessarie per tener conto
del grado di integrazione del mercato interno o di talune norme comunitarie relative ai
servizi che prevedono che un prestatore sia soggetto ad una legislazione diversa da quella
dello Stato membro di stabilimento. Inoltre, a titolo eccezionale, dovrebbero altresì essere
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prese misure nei confronti di un prestatore in taluni casi specifici e a determinate condizioni
sostanziali e procedurali rigorose. Inoltre, le restrizioni alla libera circolazione dei servizi
dovrebbero essere consentite, in via eccezionale, soltanto se conformi ai diritti fondamentali
che, fanno parte integrante dei principi generali di diritto sanciti nell’ordinamento giuridico
della Comunità.
(84) La deroga alla disposizione sulla libera prestazione di servizi relativa ai servizi postali
dovrebbe applicarsi sia alle attività riservate al prestatore del servizio universale che ad altri
servizi postali.
(85) La deroga alla disposizione sulla libera prestazione di servizi relativa al recupero
giudiziario dei crediti e il riferimento ad un eventuale futuro strumento di armonizzazione
riguardano soltanto l’accesso ad attività che consistono, in particolare, nel promuovere
dinanzi ad un giudice azioni connesse al recupero di crediti, nonché il loro esercizio.
(86) La presente direttiva non concerne le condizioni di lavoro e di occupazione che, in
conformità della direttiva 96/71/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16
dicembre 1996 relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi
[19], si applicano ai lavoratori distaccati per prestare un servizio nel territorio di un altro
Stato membro. In tali casi, la direttiva 96/71/CE prevede che i prestatori debbano
conformarsi alle condizioni di lavoro e di occupazione applicabili, in alcuni settori elencati,
nello Stato membro in cui viene prestato il servizio. Tali condizioni sono: periodi massimi
di lavoro e periodi minimi di riposo, durata minima delle ferie annuali retribuite, tariffe
minime salariali, comprese le tariffe per lavoro straordinario, condizioni di cessione
temporanea dei lavoratori, in particolare la tutela dei lavoratori ceduti da imprese di lavoro
interinale, salute, sicurezza e igiene sul lavoro, provvedimenti di tutela riguardo alle
condizioni di lavoro e di occupazione di gestanti, puerpere, bambini e giovani, parità di
trattamento tra uomo e donna nonché altre disposizioni in materia di non discriminazione.
Ciò riguarda non solo le condizioni di lavoro e occupazione stabilite per legge, ma anche
quelle stabilite in contratti collettivi o sentenze arbitrali, che siano ufficialmente dichiarati
o siano di fatto universalmente applicabili ai sensi della direttiva 96/71/CE. La presente
direttiva, inoltre, non dovrebbe impedire agli Stati membri di applicare condizioni di lavoro
e di occupazione a materie diverse da quelle elencate nell’articolo 3, paragrafo 1, della
direttiva 96/71/CE per motivi di ordine pubblico.
(87) La presente direttiva non riguarda inoltre le condizioni di lavoro e di occupazione
qualora il lavoratore che presta un servizio transfrontaliero sia assunto nello Stato membro
in cui è fornita la prestazione. La presente direttiva non dovrebbe incidere neppure sul diritto
degli Stati membri in cui viene prestato il servizio di determinare l’esistenza di un rapporto
di lavoro e la distinzione tra lavoratori autonomi e lavoratori subordinati, compresi i “falsi
lavoratori autonomi”. A tale proposito, la caratteristica essenziale di un rapporto di lavoro
ai sensi dell’articolo 39 del trattato dovrebbe essere il fatto che per un determinato periodo
di tempo una persona fornisce servizi per conto e sotto la direzione di un’altra persona in
cambio di una remunerazione; qualsiasi attività che una persona svolge al di fuori di un
rapporto subordinato deve essere classificata come attività svolta a titolo autonomo ai sensi
degli articoli 43 e 49 del trattato.
(88) La disposizione sulla libera prestazione di servizi non dovrebbe applicarsi nei casi
in cui, in conformità del diritto comunitario, un’attività sia riservata in uno Stato membro
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ad una professione specifica, ad esempio qualora sia previsto l’esercizio esclusivo della
consulenza giuridica da parte degli avvocati.
(89) La deroga alla disposizione sulla libera prestazione di servizi per quanto riguarda
questioni inerenti all’immatricolazione di veicoli presi in leasing in uno Stato membro
diverso da quello in cui vengono utilizzati risulta dalla giurisprudenza della Corte di
giustizia, la quale ha riconosciuto che uno Stato membro possa assoggettare a tale obbligo,
a condizioni commisurate, i veicoli utilizzati sul suo territorio. Tale esclusione non riguarda
il noleggio a titolo occasionale o temporaneo.
(90) Le relazioni contrattuali tra il prestatore e il cliente nonché tra il datore di lavoro e
il dipendente non sono soggette alla presente direttiva. La legge applicabile alle obbligazioni
contrattuali ed extracontrattuali del prestatore è determinata dalle norme di diritto internazionale privato.
(91) Occorre lasciare agli Stati membri la possibilità di assumere nei confronti di un
prestatore stabilito in un altro Stato membro, in via eccezionale, misure che derogano alla
disposizione sulla libera prestazione di servizi per motivi attinenti alla sicurezza dei servizi.
Tuttavia tale possibilità dovrebbe essere utilizzata solo in assenza di un’armonizzazione
comunitaria.
(92) Le restrizioni alla libera circolazione dei servizi contrarie alla presente direttiva
possono scaturire non solo da misure assunte nei confronti dei prestatori, ma anche dai
numerosi ostacoli alla fruizione di servizi da parte dei destinatari e in particolare da parte dei
consumatori. La presente direttiva cita, a titolo di esempio, determinati tipi di restrizioni
applicate ad un destinatario che desidera fruire di un servizio fornito da un prestatore
stabilito in un altro Stato membro. Vi figurano altresì le fattispecie in cui i destinatari di un
servizio sottostanno all’obbligo di ottenere un’autorizzazione dalle proprie autorità competenti o di presentare una dichiarazione presso di esse per poter fruire di un servizio di un
prestatore stabilito in un altro Stato membro. Ciò non riguarda i regimi generali di
autorizzazione che si applicano anche alla fruizione di un servizio fornito da un prestatore
stabilito nello stesso Stato membro.
(93) La nozione di aiuti finanziari previsti per la fruizione di un particolare servizio non
dovrebbe applicarsi né ai regimi di aiuti concessi dagli Stati membri, in particolare nel settore
sociale o nel settore culturale, che sono contemplati da norme comunitarie in materia di
concorrenza, né all’assistenza finanziaria generale non connessa alla fruizione di un
particolare servizio, ad esempio le borse di studio o i prestiti a studenti.
(94) Conformemente alle disposizioni del trattato in materia di libera circolazione dei
servizi, le discriminazioni fondate sulla cittadinanza o sulla residenza, a livello nazionale o
locale, del destinatario sono vietate. Tali discriminazioni potrebbero assumere la forma di
un obbligo, imposto soltanto ai cittadini di un altro Stato membro, di fornire documenti
originali, copie autenticate, un certificato di cittadinanza o traduzioni ufficiali di documenti
per poter fruire di un servizio o di condizioni o tariffe più vantaggiose. Tuttavia, il divieto
di applicare requisiti discriminatori non dovrebbe ostare a che possano essere riservati a
taluni destinatari determinati vantaggi, soprattutto tariffari, se ciò avviene in base a criteri
oggettivi e legittimi.
(95) Il principio di non discriminazione nel mercato interno implica che l’accesso di un
destinatario, in particolare di un consumatore, a un servizio offerto al pubblico non possa
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essere negato o reso più difficile in base al criterio della nazionalità o del luogo di residenza
del destinatario contenuto nelle condizioni generali a disposizione del pubblico. Ciò non
impedisce di prevedere, in queste condizioni generali, tariffe e condizioni variabili per la
prestazione di un servizio se direttamente giustificate da fattori oggettivi che possono variare
da paese a paese, quali i costi supplementari derivanti dalla distanza, le caratteristiche
tecniche della prestazione, le diverse condizioni del mercato, come una domanda maggiore
o minore influenzata dalla stagionalità, i periodi di ferie diversi negli Stati membri e i prezzi
diversi della concorrenza, o i rischi aggiuntivi in relazione a normative diverse da quelle dello
Stato membro di stabilimento. Ciò non implica neanche che la mancata prestazione di un
servizio ad un consumatore perché non si detengono i diritti di proprietà intellettuale
richiesti in un particolare territorio costituisca una discriminazione illegittima.
(96) Tra i mezzi con i quali il prestatore può rendere facilmente accessibili al destinatario
le informazioni che è tenuto a fornire è opportuno prevedere la comunicazione del suo
indirizzo di posta elettronica, compreso il suo sito web. Inoltre, le informazioni che il
prestatore ha l’obbligo di rendere disponibili nella documentazione con cui illustra in modo
dettagliato i suoi servizi non dovrebbero consistere in comunicazioni commerciali di
carattere generale come la pubblicità, ma piuttosto in una descrizione dettagliata dei servizi
proposti, anche tramite documenti presentati su un sito web.
(97) Occorre prevedere nella presente direttiva delle norme relative all’alta qualità dei
servizi, che soddisfino in particolare requisiti di informazione e trasparenza. Tali norme
dovrebbero applicarsi sia nel caso di prestazioni di servizi transfrontalieri tra Stati membri,
sia nel caso di servizi offerti da un prestatore all’interno dello Stato membro in cui egli è
stabilito senza imporre inutili oneri alle piccole e medie imprese. Esse non dovrebbero
impedire in nessun caso agli Stati membri di applicare, conformemente alla presente
direttiva e ad altre norme comunitarie, requisiti di qualità supplementari o diversi.
(98) Gli operatori che prestano servizi che presentano un rischio diretto e particolare per
la salute o la sicurezza o un rischio finanziario per il destinatario o terzi dovrebbero in linea
di principio essere coperti da un’adeguata assicurazione di responsabilità professionale o da
un’altra forma di garanzia equivalente o comparabile; ciò implica, in particolare, che di
norma tale operatore dovrebbe avere un’adeguata copertura assicurativa per i servizi che
fornisce in uno o più Stati membri diversi dallo Stato membro di stabilimento.
(99) L’assicurazione o garanzia dovrebbe essere adeguata alla natura e alla portata del
rischio. I prestatori dovrebbero disporre pertanto di una copertura transfrontaliera solo se
effettivamente prestano servizi in altri Stati membri. Gli Stati membri non dovrebbero
stabilire norme più particolareggiate in materia di copertura assicurativa e fissare ad esempio
soglie minime per il capitale assicurato o limiti per le esclusioni dalla copertura assicurativa.
I prestatori e le imprese di assicurazione dovrebbero mantenersi flessibili in modo da
negoziare polizze assicurative mirate in funzione della natura e della portata esatte del
rischio. Inoltre, non è necessario stabilire per legge l’obbligo di contrarre un’assicurazione
adeguata. Dovrebbe essere sufficiente che l’obbligo di assicurazione faccia parte delle regole
deontologiche stabilite dagli ordini o organismi professionali. Infine, le imprese di assicurazione non dovrebbero essere sottoposte all’obbligo di fornire una copertura assicurativa.
(100) Occorre sopprimere i divieti totali in materia di comunicazioni commerciali per le
professioni regolamentate, revocando non i divieti relativi al contenuto di una comunica-
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zione commerciale bensì quei divieti che, in generale e per una determinata professione,
proibiscono una o più forme di comunicazione commerciale, ad esempio il divieto assoluto
di pubblicità in un determinato o in determinati mezzi di comunicazione. Per quanto
riguarda il contenuto e le modalità delle comunicazioni commerciali, occorre incoraggiare
gli operatori del settore ad elaborare, nel rispetto del diritto comunitario, codici di condotta
a livello comunitario.
(101) È necessario ed è nell’interesse dei destinatari, in particolare dei consumatori,
assicurare che i prestatori abbiano la possibilità di fornire servizi multidisciplinari e che le
restrizioni a questo riguardo siano limitate a quanto necessario per assicurare l’imparzialità
nonché l’indipendenza e l’integrità delle professioni regolamentate. Ciò lascia impregiudicati le restrizioni o i divieti relativi all’esercizio di particolari attività intesi ad assicurare
l’indipendenza nei casi in cui uno Stato membro affida ad un prestatore un particolare
compito, segnatamente nel settore dello sviluppo urbano e non dovrebbe incidere sull’applicazione delle norme in materia di concorrenza.
(102) Al fine di migliorare la trasparenza e di favorire valutazioni fondate su criteri
comparabili per quanto riguarda la qualità dei servizi offerti e forniti ai destinatari, è
importante che le informazioni sul significato dei marchi di qualità e di altri segni distintivi
relativi a tali servizi siano facilmente accessibili. L’obbligo di trasparenza riveste particolare
importanza in settori quali il turismo, in particolare il settore alberghiero, per i quali il ricorso
a sistemi di classificazione è generalizzato. Inoltre, occorre analizzare in che misura la
normalizzazione europea può contribuire a favorire la compatibilità e la qualità dei servizi.
Le norme europee sono elaborate dagli organismi europei di normalizzazione, ossia il
Comitato europeo di normazione (CEN), il Comitato europeo di normalizzazione elettronica (CENELEC) e l’Istituto europeo per le norme di telecomunicazione (ETSI). Se
necessario, la Commissione può, conformemente alle procedure previste dalla direttiva 98/
34/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 giugno 1998, che prevede una
procedura d’informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche e delle
regole relative ai servizi della società dell’informazione [20], affidare un mandato per
l’elaborazione di specifiche norme europee.
(103) Per risolvere potenziali problemi di esecuzione delle decisioni giudiziarie, è
opportuno prevedere che gli Stati membri riconoscano garanzie equivalenti costituite presso
istituzioni o organismi quali banche, assicuratori o altri prestatori di servizi finanziari
stabiliti in un altro Stato membro.
(104) Lo sviluppo di una rete di autorità degli Stati membri preposte alla tutela dei
consumatori, oggetto del regolamento (CE) n. 2006/2004, è complementare alla cooperazione prevista nella presente direttiva. L’applicazione della legislazione in materia di tutela
dei consumatori alle situazioni transfrontaliere, in particolare in relazione alle nuove
pratiche di marketing e di vendita, come pure la necessità di eliminare alcuni ostacoli
specifici alla cooperazione in questo settore, richiedono un maggior grado di cooperazione
fra Stati membri. In questo settore occorre in particolare provvedere affinché gli Stati
membri impongano agli operatori di cessare sul loro territorio le pratiche illegali a scapito
dei consumatori di un altro Stato membro.
(105) La cooperazione amministrativa è essenziale ai fini del corretto funzionamento del
mercato interno dei servizi. La mancanza di cooperazione tra gli Stati membri comporta la
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proliferazione delle norme applicabili ai prestatori o la duplicazione dei controlli sulle
attività transfrontaliere e può essere sfruttata da operatori disonesti per evitare le verifiche
o eludere le norme nazionali applicabili ai servizi. È dunque essenziale prevedere in capo agli
Stati membri obblighi chiari e giuridicamente vincolanti di effettiva cooperazione.
(106) Ai fini del capo relativo alla cooperazione amministrativa, con il termine “controllo” si dovrebbe fare riferimento ad attività quali il controllo e l’accertamento dei fatti, la
soluzione di problemi, l’esecuzione e l’irrogazione di sanzioni e le successive attività di
follow-up.
(107) In circostanze normali la mutua assistenza dovrebbe essere attuata direttamente tra
le autorità competenti. I punti di contatto designati dagli Stati membri dovrebbero essere
chiamati a facilitare tale processo solo se insorgono difficoltà, ad esempio se occorre
assistenza per individuare l’autorità competente.
(108) Taluni obblighi di mutua assistenza dovrebbero applicarsi a tutte le questioni
contemplate dalla presente direttiva, comprese quelle relative ai casi in cui un prestatore si
stabilisce in un altro Stato membro. Altri obblighi di mutua assistenza dovrebbero applicarsi
soltanto nei casi di prestazione di servizi transfrontalieri nei quali si applica la disposizione
sulla libera prestazione di servizi. Un’ulteriore serie di obblighi dovrebbe applicarsi in tutti
i casi di prestazione di servizi transfrontalieri, compresi i settori non coperti dalla disposizione sulla libera prestazione di servizi. La prestazione di servizi transfrontalieri dovrebbe
comprendere i casi di servizi prestati a distanza e quelli in cui il destinatario si reca nello Stato
membro di stabilimento del prestatore per fruire degli stessi.
(109) Nel caso dello spostamento del prestatore in uno Stato membro diverso dallo Stato
membro di stabilimento, è opportuno prevedere tra questi due Stati membri un’assistenza
reciproca che consenta al primo di procedere a verifiche, ispezioni e indagini su richiesta
dello Stato membro di stabilimento o di effettuare di propria iniziativa tali verifiche se si
tratta esclusivamente di constatazioni fattuali.
(110) Non dovrebbe essere possibile agli Stati membri aggirare le norme stabilite nella
presente direttiva, compresa la disposizione sulla libera prestazione di servizi, effettuando
controlli, ispezioni o indagini che siano discriminatorie o sproporzionate.
(111) Le disposizioni della presente direttiva riguardanti lo scambio di informazioni
sull’onorabilità dei prestatori dovrebbero lasciare impregiudicate le iniziative nel settore
della cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale, in particolare in materia di
scambio di informazioni tra autorità degli Stati membri preposte all’applicazione della legge
e di casellari giudiziari.
(112) La cooperazione tra Stati membri richiede un sistema elettronico di informazione
che funzioni correttamente per consentire alle autorità competenti di individuare agevolmente i loro interlocutori negli altri Stati membri e comunicare in modo efficiente.
(113) Occorre disporre che gli Stati membri, in collaborazione con la Commissione,
incoraggino le parti interessate ad elaborare codici di condotta a livello comunitario
finalizzati, in particolare, a promuovere la qualità dei servizi e tenendo conto delle
caratteristiche specifiche di ciascuna professione. I codici di condotta devono rispettare il
diritto comunitario e in particolare il diritto della concorrenza. Essi non dovrebbero essere
incompatibili con le norme di deontologia professionale giuridicamente vincolanti negli
Stati membri.
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(114) Gli Stati membri dovrebbero incoraggiare l’elaborazione di codici di condotta a
livello comunitario, specialmente da parte di ordini, organismi o associazioni professionali.
Tali codici di condotta dovrebbero includere, a seconda della natura specifica di ogni
professione, norme per le comunicazioni commerciali relative alle professioni regolamentate e norme deontologiche delle professioni regolamentate intese a garantire l’indipendenza, l’imparzialità e il segreto professionale. Dovrebbero inoltre essere inserite in tali codici
di condotta le condizioni cui sono soggette le attività degli agenti immobiliari. Gli Stati
membri dovrebbero adottare misure di accompagnamento per incoraggiare gli ordini, gli
organismi e le associazioni professionali ad applicare a livello nazionale questi codici di
condotta adottati a livello comunitario.
(115) I codici di condotta a livello comunitario hanno lo scopo di fissare regole di
condotta minime sono complementari ai requisiti di legge degli Stati membri. Essi non
ostano, in conformità del diritto comunitario, a che gli Stati membri adottino con legge
misure più rigorose, ovvero a che gli organismi o ordini professionali nazionali prevedano
una maggiore tutela nei rispettivi codici nazionali di condotta.
(116) Poiché l’obiettivo della presente direttiva, vale a dire la soppressione degli ostacoli
alla libertà di stabilimento dei prestatori negli Stati membri e alla libera prestazione dei
servizi fra Stati membri, non può essere realizzato in misura sufficiente dagli Stati membri
e può dunque, a causa delle dimensioni dell’azione, essere realizzato meglio a livello
comunitario, la Comunità può intervenire in base al principio di sussidiarietà sancito
dall’articolo 5 del trattato. La presente direttiva si limita a quanto è necessario per conseguire
tale obiettivo in ottemperanza al principio di proporzionalità enunciato nello stesso
articolo.
(117) Le misure necessarie per l’attuazione della presente direttiva sono adottate secondo
la decisione 1999/468/CE del Consiglio del 28 giugno 1999 recante modalità per l’esercizio
delle competenze di esecuzione conferite alla Commissione [21],
(118) Conformemente al paragrafo 34 dell’accordo interistituzionale “Legiferare meglio”
[22], gli Stati membri sono incoraggiati a redigere e rendere pubblici, nell’interesse proprio
e della Comunità, prospetti indicanti, per quanto possibile, la concordanza tra la direttiva
e i provvedimenti di recepimento,
HANNO ADOTTATO LA PRESENTE DIRETTIVA:
CAPO I
DISPOSIZIONI GENERALI
Articolo 1
Oggetto
1. La presente direttiva stabilisce le disposizioni generali che permettono di agevolare
l’esercizio della libertà di stabilimento dei prestatori nonché la libera circolazione dei servizi,
assicurando nel contempo un elevato livello di qualità dei servizi stessi.
2. La presente direttiva non riguarda la liberalizzazione dei servizi d’interesse economico
generale riservati a enti pubblici o privati, né la privatizzazione di enti pubblici che
forniscono servizi.
3. La presente direttiva non riguarda né l’abolizione di monopoli che forniscono servizi
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né gli aiuti concessi dagli Stati membri cui si applicano le regole comunitarie di concorrenza.
La presente direttiva lascia impregiudicata la libertà, per gli Stati membri, di definire, in
conformità del diritto comunitario, quali essi ritengano essere servizi d’interesse economico
generale, in che modo tali servizi debbano essere organizzati e finanziati, in conformità delle
regole sugli aiuti concessi dagli Stati, e a quali obblighi specifici essi debbano essere soggetti.
4. La presente direttiva non pregiudica le misure adottate a livello comunitario o
nazionale, in conformità del diritto comunitario, volte a tutelare o a promuovere la diversità
culturale o linguistica o il pluralismo dei media.
5. La presente direttiva non incide sulla normativa degli Stati membri in materia di diritto
penale. Tuttavia gli Stati membri non possono limitare la libertà di fornire servizi applicando
disposizioni di diritto penale che disciplinano specificamente o influenzano l’accesso ad
un’attività di servizi o l’esercizio della stessa, aggirando le norme stabilite nella presente
direttiva.
6. La presente direttiva non pregiudica la legislazione del lavoro, segnatamente le
disposizioni giuridiche o contrattuali che disciplinano le condizioni di occupazione, le
condizioni di lavoro, compresa la salute e la sicurezza sul posto di lavoro, e il rapporto tra
datori di lavoro e lavoratori, che gli Stati membri applicano in conformità del diritto
nazionale che rispetta il diritto comunitario. Parimenti, la presente direttiva non incide sulla
normativa degli Stati membri in materia di sicurezza sociale.
7. La presente direttiva non pregiudica l’esercizio dei diritti fondamentali quali riconosciuti dagli Stati membri e dal diritto comunitario, né il diritto di negoziare, concludere ed
eseguire accordi collettivi e di intraprendere azioni sindacali in conformità del diritto e delle
prassi nazionali che rispettano il diritto comunitario.
Articolo 2
Campo di applicazione
1. La presente direttiva si applica ai servizi forniti da prestatori stabiliti in uno Stato
membro.
2. La presente direttiva non si applica alle attività seguenti:
a) i servizi non economici d’interesse generale;
b) i servizi finanziari quali l’attività bancaria, il credito, l’assicurazione e la riassicurazione, le pensioni professionali o individuali, i titoli, gli investimenti, i fondi, i servizi di
pagamento e quelli di consulenza nel settore degli investimenti, compresi i servizi di cui
all’allegato I della direttiva 2006/48/CE;
c) i servizi e le reti di comunicazione elettronica nonché le risorse e i servizi associati in
relazione alle materie disciplinate dalle direttive 2002/19/CE, 2002/20/CE, 2002/21/CE,
2002/22/CE e 2002/58/CE;
d) i servizi nel settore dei trasporti, ivi compresi i servizi portuali, che rientrano
nell’ambito di applicazione del titolo V del trattato CE;
e) i servizi delle agenzie di lavoro interinale;
f) i servizi sanitari, indipendentemente dal fatto che vengano prestati o meno nel quadro
di una struttura sanitaria e a prescindere dalle loro modalità di organizzazione e di
finanziamento sul piano nazionale e dalla loro natura pubblica o privata;
g) i servizi audiovisivi, ivi compresi i servizi cinematografici, a prescindere dal modo di
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produzione, distribuzione e trasmissione, e i servizi radiofonici;
h) le attività di azzardo che implicano una posta di valore pecuniario in giochi di fortuna,
comprese le lotterie, i giochi d’azzardo nei casinò e le scommesse;
i) le attività connesse con l’esercizio di pubblici poteri di cui all’articolo 45 del trattato;
j) i servizi sociali riguardanti gli alloggi popolari, l’assistenza all’infanzia e il sostegno alle
famiglie ed alle persone temporaneamente o permanentemente in stato di bisogno, forniti
dallo Stato, da prestatori incaricati dallo Stato o da associazioni caritative riconosciute come
tali dallo Stato;
k) i servizi privati di sicurezza;
l) i servizi forniti da notai e ufficiali giudiziari nominati con atto ufficiale della pubblica
amministrazione.
3. La presente direttiva non si applica al settore fiscale.
Articolo 3
Relazione con le altre disposizioni del diritto comunitario
1. Se disposizioni della presente direttiva confliggono con disposizioni di altri atti
comunitari che disciplinano aspetti specifici dell’accesso ad un’attività di servizi o del suo
esercizio in settori specifici o per professioni specifiche, le disposizioni di questi altri atti
comunitari prevalgono e si applicano a tali settori o professioni specifiche. Tra tali atti
comunitari rientrano:
a) la direttiva 96/71/CE;
b) il regolamento (CEE) n. 1408/71;
c) la direttiva 89/552/CEE del Consiglio del 3 ottobre 1989 relativa al coordinamento
di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri
concernenti l’esercizio delle attività televisive [23];
d) la direttiva 2005/36/CE.
2. La presente direttiva non riguarda le norme di diritto internazionale privato, in
particolare quelle che disciplinano la legge applicabile alle obbligazioni contrattuali ed
extracontrattuali, ivi comprese quelle che garantiscono che i consumatori beneficeranno
della tutela riconosciuta loro dalla normativa sulla protezione dei consumatori vigente nel
loro Stato membro.
3. Gli Stati membri applicano le disposizioni della presente direttiva nel rispetto delle
norme del trattato che disciplinano il diritto di stabilimento e la libera circolazione dei
servizi.
Articolo 4
Definizioni
Ai fini della presente direttiva si intende per:
1) “servizio”: qualsiasi attività economica non salariata di cui all’articolo 50 del trattato
fornita normalmente dietro retribuzione;
2) “prestatore”: qualsiasi persona fisica, avente la cittadinanza di uno Stato membro, o
qualsiasi persona giuridica di cui all’articolo 48 del trattato, stabilita in uno Stato membro,
che offre o fornisce un servizio;
3) “destinatario”: qualsiasi persona fisica che sia cittadino di uno Stato membro o che
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goda di diritti conferitile da atti comunitari o qualsiasi persona giuridica, di cui all’articolo
48 del trattato, stabilita in uno Stato membro che, a scopo professionale o per altri scopi,
fruisce o intende fruire di un servizio;
4) “Stato membro di stabilimento”: lo Stato membro nel cui territorio è stabilito il
prestatore del servizio considerato;
5) “stabilimento”: l’esercizio effettivo di un’attività economica di cui all’articolo 43 del
trattato a tempo indeterminato da parte del prestatore, con un’infrastruttura stabile a partire
dalla quale viene effettivamente svolta l’attività di prestazione di servizi;
6) “regime di autorizzazione”: qualsiasi procedura che obbliga un prestatore o un
destinatario a rivolgersi ad un’autorità competente allo scopo di ottenere una decisione
formale o una decisione implicita relativa all’accesso ad un’attività di servizio o al suo
esercizio;
7) “requisito”: qualsiasi obbligo, divieto, condizione o limite stabilito dalle disposizioni
legislative, regolamentari o amministrative degli Stati membri o derivante dalla giurisprudenza, dalle prassi amministrative, dalle regole degli organismi e ordini professionali o dalle
regole collettive di associazioni o organizzazioni professionali adottate nell’esercizio della
propria autonomia giuridica; le norme stabilite dai contratti collettivi negoziati dalle parti
sociali non sono considerate di per sé come requisiti ai sensi della presente direttiva;
8) “motivi imperativi d’interesse generale”: motivi riconosciuti come tali dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, tra i quali: l’ordine pubblico, la sicurezza pubblica, l’incolumità pubblica, la sanità pubblica, il mantenimento dell’equilibrio finanziario del sistema di
sicurezza sociale, la tutela dei consumatori, dei destinatari di servizi e dei lavoratori, l’equità
delle transazioni commerciali, la lotta alla frode, la tutela dell’ambiente, incluso l’ambiente
urbano, la salute degli animali, la proprietà intellettuale, la conservazione del patrimonio
nazionale storico ed artistico, gli obiettivi di politica sociale e di politica culturale;
9) “autorità competente”: qualsiasi organo o qualsiasi istituzione responsabile, in uno
Stato membro, del controllo o della disciplina delle attività di servizi, in particolare le
autorità amministrative, ivi compresi gli organi giurisdizionali che agiscono in tale veste, gli
ordini professionali e le associazioni o organismi professionali che, nell’ambito della propria
autonomia giuridica, disciplinano collettivamente l’accesso alle attività di servizi o il loro
esercizio;
10) “Stato membro nel quale è prestato il servizio”: lo Stato membro in cui il servizio è
fornito da un prestatore stabilito in un altro Stato membro;
11) “professione regolamentata”: un’attività professionale o un insieme di attività
professionali ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2005/36/CE;
12) “comunicazione commerciale”: qualsiasi forma di comunicazione destinata a
promuovere, direttamente o indirettamente, beni, servizi, o l’immagine di un’impresa, di
un’organizzazione o di una persona che svolge un’attività commerciale, industriale o
artigianale o che esercita una professione regolamentata. Non costituiscono, di per sé,
comunicazioni commerciali le informazioni seguenti:
a) le informazioni che permettono l’accesso diretto all’attività dell’impresa, dell’organizzazione o della persona, in particolare un nome di dominio o un indirizzo di posta
elettronica,
b) le comunicazioni relative ai beni, ai servizi o all’immagine dell’impresa, dell’organiz-
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zazione o della persona elaborate in modo indipendente, in particolare se fornite in assenza
di un corrispettivo economico.
CAPO II
SEMPLIFICAZIONE AMMINISTRATIVA
Articolo 5
Semplificazione delle procedure
1. Gli Stati membri esaminano le procedure e le formalità relative all’accesso ad
un’attività di servizi ed al suo esercizio. Laddove le procedure e formalità esaminate ai sensi
del presente paragrafo non sono sufficientemente semplici, gli Stati membri le semplificano.
2. La Commissione può stabilire formulari armonizzati a livello comunitario conformemente alla procedura di cui all’articolo 40, paragrafo 2. Tali formulari sono equivalenti ai
certificati, agli attestati e a tutti gli altri documenti richiesti ai prestatori.
3. Gli Stati membri che chiedono ad un prestatore o ad un destinatario di fornire un
certificato, un attestato o qualsiasi altro documento comprovante il rispetto di un particolare
requisito, accettano i documenti rilasciati da un altro Stato membro che abbiano finalità
equivalenti o dai quali risulti che il requisito in questione è rispettato. Essi non impongono
la presentazione di documenti rilasciati da un altro Stato membro sotto forma di originale,
di copia conforme o di traduzione autenticata salvo i casi previsti da altre norme comunitarie
o salvo le eccezioni giustificate da motivi imperativi d’interesse generale, fra cui l’ordine
pubblico e la sicurezza.
Il primo comma non pregiudica il diritto degli Stati membri di richiedere traduzioni non
autenticate di documenti in una delle loro lingue ufficiali.
4. Il paragrafo 3 non si applica ai documenti cui fanno riferimento l’articolo 7, paragrafo
2 e l’articolo 50 della direttiva 2005/36/CE, gli articoli 45, paragrafo 3, 46, 49 e 50 della
direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 31 marzo 2004 relativa al
coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di
forniture e di servizi [24], l’articolo 3, paragrafo 2 della direttiva 98/5/CE del Parlamento
europeo e del Consiglio del 16 febbraio 1998 volta a facilitare l’esercizio permanente della
professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la
qualifica [25], la direttiva 68/151/CEE del Consiglio del 9 marzo 1968, intesa a coordinare,
per renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste negli Stati membri alle società a monte
dell’articolo 58, secondo comma, del trattato per proteggere gli interessi dei soci e dei terzi
[26] e la undicesima direttiva 89/666/CEE del Consiglio del 21 dicembre 1989 relativa alla
pubblicità delle succursali create in uno Stato membro da taluni tipi di società soggette al
diritto di un altro Stato [27].
Articolo 6
Sportello unico
1. Gli Stati membri provvedono affinché i prestatori possano espletare le procedure e le
formalità seguenti, mediante i punti di contatto denominati sportelli unici:
a) tutte le procedure e le formalità necessarie per poter svolgere le sue attività di servizi,
in particolare le dichiarazioni, notifiche o istanze necessarie ad ottenere l’autorizzazione
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delle autorità competenti, ivi comprese le domande di inserimento in registri, ruoli, banche
dati, o di iscrizione ad organismi o ordini ovvero associazioni professionali;
b) le domande di autorizzazione necessarie all’esercizio delle sue attività di servizi.
2. L’istituzione degli sportelli unici non pregiudica la ripartizione di funzioni e
competenze tra le autorità all’interno dei sistemi nazionali.
Articolo 7
Diritto all’informazione
1. Gli Stati membri provvedono affinché per il tramite degli sportelli unici i prestatori
e i destinatari possano agevolmente prendere conoscenza delle informazioni seguenti:
a) i requisiti applicabili ai prestatori stabiliti sul territorio di uno Stato membro, in
particolare quelli relativi alle procedure e alle formalità da espletare per accedere alle attività
di servizi ed esercitarle;
b) i dati necessari per entrare direttamente in contatto con le autorità competenti,
compresi quelli delle autorità competenti in materia di esercizio delle attività di servizi;
c) i mezzi e le condizioni di accesso alle banche dati e ai registri pubblici relativi ai
prestatori ed ai servizi;
d) i mezzi di ricorso esistenti in genere in caso di controversie tra le autorità competenti
ed il prestatore o il destinatario, o tra un prestatore ed un destinatario, o tra prestatori;
e) i dati di associazioni o organizzazioni diverse dalle autorità competenti presso le quali
i prestatori o i destinatari possono ottenere assistenza pratica.
2. Gli Stati membri provvedono affinché i prestatori e i destinatari possano beneficiare,
su richiesta, dell’assistenza delle autorità competenti, che consiste nel fornire informazioni
sul modo in cui i requisiti di cui al paragrafo 1, lettera a), vengono generalmente interpretati
ed applicati. Ove opportuno, tale assistenza include una semplice guida esplicativa.
L’informazione è fornita in un linguaggio semplice e comprensibile.
3. Gli Stati membri provvedono affinché le informazioni e l’assistenza di cui ai paragrafi
1 e 2 siano fornite in modo chiaro e non ambiguo, siano facilmente accessibili a distanza e
per via elettronica e siano aggiornate.
4. Gli Stati membri provvedono affinché gli sportelli unici e le autorità competenti
rispondano con la massima sollecitudine alle domande di informazioni o alle richieste di
assistenza di cui ai paragrafi 1 e 2 e, in caso di richiesta irregolare o infondata, ne informino
senza indugio il richiedente.
5. Gli Stati membri e la Commissione adottano misure di accompagnamento volte ad
incoraggiare gli sportelli unici a rendere accessibili le informazioni di cui al presente articolo
in altre lingue comunitarie. Ciò non pregiudica la legislazione degli Stati membri in materia
di impiego delle lingue.
6. L’obbligo, per le autorità competenti, di assistere i prestatori e i destinatari non impone
a tali autorità di prestare consulenza legale in singoli casi ma riguarda soltanto un’informazione generale sul modo in cui i requisiti sono di norma interpretati e applicati.
Articolo 8
Procedure per via elettronica
1. Gli Stati membri provvedono affinché le procedure e le formalità relative all’accesso
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ad un’attività di servizio e al suo esercizio possano essere espletate con facilità, a distanza e
per via elettronica, mediante lo sportello unico e le autorità competenti.
2. Il paragrafo 1 non riguarda i controlli del luogo in cui il servizio è prestato o delle
attrezzature utilizzate dal prestatore, o l’esame fisico dell’idoneità o dell’integrità personale
di quest’ultimo o del suo personale responsabile.
3. La Commissione adotta, secondo la procedura di cui all’articolo 40, paragrafo 2, le
modalità d’applicazione del paragrafo 1 del presente articolo al fine di agevolare l’interoperabilità dei sistemi di informazione e l’uso di procedure per via elettronica fra Stati membri,
tenendo conto di standard comuni stabiliti a livello comunitario.
CAPO III
LIBERTÀ DI STABILIMENTO DEI PRESTATORI
SEZIONE 1
Autorizzazioni
Articolo 9
Regimi di autorizzazione
1. Gli Stati membri possono subordinare l’accesso ad un’attività di servizio e il suo
esercizio ad un regime di autorizzazione soltanto se sono soddisfatte le condizioni seguenti:
a) il regime di autorizzazione non è discriminatorio nei confronti del prestatore;
b) la necessità di un regime di autorizzazione è giustificata da un motivo imperativo di
interesse generale;
c) l’obiettivo perseguito non può essere conseguito tramite una misura meno restrittiva,
in particolare in quanto un controllo a posteriori interverrebbe troppo tardi per avere reale
efficacia.
2. Nella relazione prevista all’articolo 39, paragrafo 1, gli Stati membri indicano i propri
regimi di autorizzazione e ne motivano la conformità al paragrafo 1 del presente articolo.
3. Le disposizioni della presente sezione non si applicano agli aspetti dei regimi di
autorizzazione che sono disciplinati direttamente o indirettamente da altri strumenti
comunitari.
Articolo 10
Condizioni di rilascio dell’autorizzazione
1. I regimi di autorizzazione devono basarsi su criteri che inquadrino l’esercizio del
potere di valutazione da parte delle autorità competenti affinché tale potere non sia
utilizzato in modo arbitrario.
2. I criteri di cui al paragrafo 1 devono essere:
a) non discriminatori;
b) giustificati da un motivo imperativo di interesse generale;
c) commisurati all’obiettivo di interesse generale;
d) chiari e inequivocabili;
e) oggettivi;
f) resi pubblici preventivamente;
g) trasparenti e accessibili.
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3. Le condizioni di rilascio dell’autorizzazione relativa ad un nuovo stabilimento non
rappresentano un doppione di requisiti e controlli equivalenti o sostanzialmente comparabili, quanto a finalità, a quelli ai quali il prestatore è già assoggettato in un altro Stato membro
o nello stesso Stato membro. I punti di contatto di cui all’articolo 28, paragrafo 2 e il
prestatore assistono l’autorità competente fornendo le informazioni necessarie in merito a
questi requisiti.
4. L’autorizzazione permette al prestatore di accedere all’attività di servizi o di esercitarla
su tutto il territorio nazionale, anche mediante l’apertura di rappresentanze, succursali, filiali
o uffici, tranne nei casi in cui la necessità di un’autorizzazione specifica o di una limitazione
dell’autorizzazione ad una determinata parte del territorio per ogni stabilimento sia
giustificata da un motivo imperativo di interesse generale.
5. L’autorizzazione è concessa non appena da un adeguato esame risulti che le condizioni
stabilite per ottenere l’autorizzazione sono soddisfatte.
6. Salvo nel caso del rilascio di un’autorizzazione, qualsiasi decisione delle autorità
competenti, ivi compreso il diniego o il ritiro di un’autorizzazione deve essere motivata, e
poter essere oggetto di un ricorso dinanzi a un tribunale o ad un’altra istanza di appello.
7. Il presente articolo non mette in discussione la ripartizione di competenze, a livello
locale o regionale, delle autorità degli Stati membri che concedono tale autorizzazione.
Articolo 11
Durata di validità dell’autorizzazione
1. L’autorizzazione rilasciata al prestatore non ha durata limitata, ad eccezione dei casi
seguenti:
a) l’autorizzazione prevede il rinnovo automatico o è esclusivamente soggetta al costante
rispetto dei requisiti;
b) il numero di autorizzazioni disponibili è limitato da un motivo imperativo di interesse
generale;
c) una durata limitata è giustificata da un motivo imperativo di interesse generale.
2. Il paragrafo 1 non riguarda il termine massimo entro il quale il prestatore deve
effettivamente cominciare la sua attività dopo aver ricevuto l’autorizzazione.
3. Gli Stati membri assoggettano un prestatore all’obbligo di informare lo sportello unico
competente di cui all’articolo 6 dei seguenti cambiamenti:
a) l’apertura di filiali le cui attività rientrano nel campo di applicazione del regime di
autorizzazione;
b) i cambiamenti della sua situazione che comportino il venir meno del rispetto delle
condizioni di autorizzazione.
4. Il presente articolo non pregiudica la facoltà degli Stati membri di revocare le
autorizzazioni qualora non siano più rispettate le condizioni di autorizzazione.
Articolo 12
Selezione tra diversi candidati
1. Qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia
limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli
Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti
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garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità
dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento.
2. Nei casi di cui al paragrafo 1 l’autorizzazione è rilasciata per una durata limitata
adeguata e non può prevedere la procedura di rinnovo automatico né accordare altri vantaggi
al prestatore uscente o a persone che con tale prestatore abbiano particolari legami.
3. Fatti salvi il paragrafo 1 e gli articoli 9 e 10, gli Stati membri possono tener conto, nello
stabilire le regole della procedura di selezione, di considerazioni di salute pubblica, di
obiettivi di politica sociale, della salute e della sicurezza dei lavoratori dipendenti ed
autonomi, della protezione dell’ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale e di
altri motivi imperativi d’interesse generale conformi al diritto comunitario.
Articolo 13
Procedure di autorizzazione
1. Le procedure e le formalità di autorizzazione devono essere chiare, rese pubbliche
preventivamente e tali da garantire ai richiedenti che la loro domanda sarà trattata con
obiettività e imparzialità.
2. Le procedure e le formalità di autorizzazione non sono dissuasive e non complicano
o ritardano indebitamente la prestazione del servizio. Esse devono essere facilmente
accessibili e gli oneri che ne possono derivare per i richiedenti devono essere ragionevoli e
commisurati ai costi delle procedure di autorizzazione e non essere superiori ai costi delle
procedure.
3. Le procedure e le formalità di autorizzazione sono tali da garantire ai richiedenti che
la loro domanda sia trattata con la massima sollecitudine e, in ogni modo, entro un termine
di risposta ragionevole prestabilito e reso pubblico preventivamente. Il termine decorre solo
dal momento in cui viene presentata tutta la documentazione. Qualora giustificato dalla
complessità della questione il termine può essere prorogato una volta dall’autorità competente per un periodo limitato La proroga e la sua durata deve essere debitamente motivata
e notificata al richiedente prima della scadenza del periodo iniziale.
4. In mancanza di risposta entro il termine stabilito o prorogato conformemente al
paragrafo 3 l’autorizzazione si considera rilasciata. Può tuttavia essere previsto un regime
diverso se giustificato da un motivo imperativo di interesse generale, incluso un interesse
legittimo di terzi.
5. Ogni domanda di autorizzazione è oggetto di una ricevuta inviata con la massima
sollecitudine. La ricevuta deve contenere le informazioni seguenti:
a) il termine di cui al paragrafo 3;
b) i mezzi di ricorso previsti;
c) laddove applicabile, la menzione che, in mancanza di risposta entro il termine
previsto, l’autorizzazione è considerata come concessa.
6. Qualora la domanda sia incompleta, i richiedenti sono informati quanto prima della
necessità di presentare ulteriori documenti, nonché degli eventuali effetti sul termine di
risposta di cui al paragrafo 3.
7. Qualora una domanda sia respinta in quanto non rispetta le procedure o le formalità
necessarie, i richiedenti devono esserne informati il più presto possibile.
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SEZIONE 2
Requisiti vietati o soggetti a valutazione
Articolo 14
Requisiti vietati
Gli Stati membri non subordinano l’accesso ad un’attività di servizi o il suo esercizio sul
loro territorio al rispetto dei requisiti seguenti:
1) requisiti discriminatori fondati direttamente o indirettamente sulla cittadinanza o, per
quanto riguarda le società, sull’ubicazione della sede legale, in particolare:
a) il requisito della cittadinanza per il prestatore, il suo personale, i detentori di capitale
sociale o i membri degli organi di direzione e vigilanza;
b) il requisito della residenza sul loro territorio per il prestatore, il suo personale, i
detentori di capitale sociale o i membri degli organi di direzione e vigilanza;
2) il divieto di avere stabilimenti in più di uno Stato membro o di essere iscritti nei registri
o ruoli di organismi, ordini o associazioni professionali di diversi Stati membri;
3) restrizioni della libertà, per il prestatore, di scegliere tra essere stabilito a titolo
principale o secondario, in particolare l’obbligo per il prestatore, di avere lo stabilimento
principale sul loro territorio o restrizioni alla libertà di scegliere tra essere stabilito in forma
di rappresentanza, succursale o filiale;
4) condizioni di reciprocità con lo Stato membro nel quale il prestatore ha già uno
stabilimento, salvo quelle previste in atti comunitari riguardanti l’energia;
5) l’applicazione caso per caso di una verifica di natura economica che subordina il
rilascio dell’autorizzazione alla prova dell’esistenza di un bisogno economico o di una
domanda di mercato, o alla valutazione degli effetti economici potenziali o effettivi
dell’attività o alla valutazione dell’adeguatezza dell’attività rispetto agli obiettivi di programmazione economica stabiliti dall’autorità competente; tale divieto non concerne i requisiti
di programmazione che non perseguono obiettivi economici, ma che sono dettati da motivi
imperativi d’interesse generale;
6) il coinvolgimento diretto o indiretto di operatori concorrenti, anche in seno agli
organi consultivi, ai fini del rilascio di autorizzazioni o ai fini dell’adozione di altre decisioni
delle autorità competenti, ad eccezione degli organismi o ordini e delle associazioni
professionali o di altre organizzazioni che agiscono in qualità di autorità competente; tale
divieto non riguarda la consultazione di organismi quali le camere di commercio o le parti
sociali su questioni diverse dalle singole domande di autorizzazione né la consultazione del
grande pubblico;
7) l’obbligo di presentare, individualmente o con altri, una garanzia finanziaria o di
sottoscrivere un’assicurazione presso un prestatore o presso un organismo stabilito sul
territorio degli Stati membri in questione. Ciò non pregiudica la facoltà, per gli Stati membri,
di esigere un’assicurazione o garanzie finanziarie in quanto tali come pure i requisiti relativi
alla partecipazione a un fondo collettivo di indennizzo, ad esempio per i membri di
organismi o ordini o di organizzazioni professionali;
8) l’obbligo di essere già stato iscritto per un determinato periodo nei registri degli Stati
membri in questione o di aver in precedenza esercitato l’attività sul loro territorio per un
determinato periodo.
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Articolo 15
Requisiti da valutare
1. Gli Stati membri verificano se il loro ordinamento giuridico prevede i requisiti di cui
al paragrafo 2 e provvedono affinché tali requisiti siano conformi alle condizioni di cui al
paragrafo 3. Gli Stati membri adattano le loro disposizioni legislative, regolamentari o
amministrative per renderle conformi a tali condizioni.
2. Gli Stati membri verificano se il loro ordinamento giuridico subordina l’accesso a
un’attività di servizi o il suo esercizio al rispetto dei requisiti non discriminatori seguenti:
a) restrizioni quantitative o territoriali sotto forma, in particolare, di restrizioni fissate in
funzione della popolazione o di una distanza geografica minima tra prestatori;
b) requisiti che impongono al prestatore di avere un determinato statuto giuridico;
c) obblighi relativi alla detenzione del capitale di una società;
d) requisiti diversi da quelli relativi alle questioni disciplinate dalla direttiva 2005/36/CE
o da quelli previsti in altre norme comunitarie, che riservano l’accesso alle attività di servizi
in questione a prestatori particolari a motivo della natura specifica dell’attività;
e) il divieto di disporre di più stabilimenti sullo stesso territorio nazionale;
f) requisiti che stabiliscono un numero minimo di dipendenti;
g) tariffe obbligatorie minime e/o massime che il prestatore deve rispettare;
h) l’obbligo per il prestatore di fornire, insieme al suo servizio, altri servizi specifici.
3. Gli Stati membri verificano che i requisiti di cui al paragrafo 2 soddisfino le condizioni
seguenti:
a) non discriminazione: i requisiti non devono essere direttamente o indirettamente
discriminatori in funzione della cittadinanza o, per quanto riguarda le società, dell’ubicazione della sede legale;
b) necessità: i requisiti sono giustificati da un motivo imperativo di interesse generale;
c) proporzionalità: i requisiti devono essere tali da garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito; essi non devono andare al di là di quanto è necessario per raggiungere tale
obiettivo; inoltre non deve essere possibile sostituire questi requisiti con altre misure meno
restrittive che permettono di conseguire lo stesso risultato.
4. I paragrafi 1, 2 e 3 si applicano alla legislazione riguardante i servizi d’interesse
economico generale solo in quanto la loro applicazione non osti all’adempimento, in linea
di diritto o di fatto, della specifica missione loro affidata.
5. Nella relazione di valutazione reciproca di cui all’articolo 39, paragrafo 1, gli Stati
membri precisano quanto segue:
a) i requisiti che intendono mantenere e le ragioni per le quali ritengono che tali requisiti
siano conformi alle condizioni di cui al paragrafo 3;
b) i requisiti che sono stati soppressi o attenuati.
6. A decorrere dal 28 dicembre 2006 gli Stati membri possono introdurre nuovi requisiti
quali quelli indicati al paragrafo 2 soltanto quando essi sono conformi alle condizioni di cui
al paragrafo 3.
7. Gli Stati membri notificano alla Commissione, in fase di progetto, le nuove
disposizioni legislative, regolamentari e amministrative che prevedono i requisiti di cui al
paragrafo 6, specificandone le motivazioni. La Commissione comunica tali disposizioni agli
altri Stati membri. La notifica non osta a che gli Stati membri adottino le disposizioni in
questione.
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Entro un termine di tre mesi a decorrere dalla notifica, la Commissione esamina la
compatibilità di queste nuove disposizioni con il diritto comunitario e adotta, all’occorrenza, una decisione per chiedere allo Stato membro interessato di astenersi dall’adottarle o di
sopprimerle.
Con la notifica di un progetto di disposizione di diritto interno ai sensi della direttiva 98/
34/CE si soddisfa al tempo stesso l’obbligo di notifica previsto dalla presente direttiva.
CAPO IV
LIBERA CIRCOLAZIONE DEI SERVIZI
SEZIONE 1
Libera prestazione di servizi e deroghe relative
Articolo 16
Libera prestazione di servizi
1. Gli Stati membri rispettano il diritto dei prestatori di fornire un servizio in uno Stato
membro diverso da quello in cui sono stabiliti.
Lo Stato membro in cui il servizio viene prestato assicura il libero accesso a un’attività
di servizi e il libero esercizio della medesima sul proprio territorio.
Gli Stati membri non possono subordinare l’accesso a un’attività di servizi o l’esercizio
della medesima sul proprio territorio a requisiti che non rispettino i seguenti principi:
a) non discriminazione: i requisiti non possono essere direttamente o indirettamente
discriminatori sulla base della nazionalità o, nel caso di persone giuridiche, della sede,
b) necessità: i requisiti devono essere giustificati da ragioni di ordine pubblico, di
pubblica sicurezza, di sanità pubblica o di tutela dell’ambiente,
c) proporzionalità: i requisiti sono tali da garantire il raggiungimento dell’obiettivo
perseguito e non vanno al di là di quanto è necessario per raggiungere tale obiettivo.
2. Gli Stati membri non possono restringere la libera circolazione dei servizi forniti da
un prestatore stabilito in un altro Stato membro, in particolare, imponendo i requisiti
seguenti:
a) l’obbligo per il prestatore di essere stabilito sul loro territorio;
b) l’obbligo per il prestatore di ottenere un’autorizzazione dalle autorità competenti,
compresa l’iscrizione in un registro o a un ordine professionale sul loro territorio, salvo i casi
previsti dalla presente direttiva o da altri strumenti di diritto comunitario;
c) il divieto imposto al prestatore di dotarsi sul loro territorio di una determinata forma
o tipo di infrastruttura, inclusi uffici o uno studio, necessaria all’esecuzione delle prestazioni
in questione;
d) l’applicazione di un regime contrattuale particolare tra il prestatore e il destinatario che
impedisca o limiti la prestazione di servizi a titolo indipendente;
e) l’obbligo per il prestatore di essere in possesso di un documento di identità specifico
per l’esercizio di un’attività di servizi rilasciato dalle loro autorità competenti;
f) i requisiti, a eccezione di quelli in materia di salute e di sicurezza sul posto di lavoro,
relativi all’uso di attrezzature e di materiali che costituiscono parte integrante della
prestazione del servizio;
g) le restrizioni alla libera circolazione dei servizi di cui all’articolo 19.
3. Allo Stato membro in cui il prestatore si reca non può essere impedito di imporre
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requisiti relativi alla prestazione di un’attività di servizi qualora siano giustificati da motivi
di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di sanità pubblica o tutela dell’ambiente, e in
conformità del paragrafo 1. Allo stesso modo, a quello Stato membro non può essere
impedito di applicare, conformemente al diritto comunitario, le proprie norme in materia
di condizioni di occupazione, comprese le norme che figurano negli accordi collettivi.
4. Entro il 28 dicembre 2011 e previa consultazione degli Stati membri e delle parti sociali
a livello comunitario, la Commissione trasmette al Parlamento europeo e al Consiglio una
relazione sull’applicazione del presente articolo, in cui esamina la necessità di proporre
misure di armonizzazione per le attività di servizi che rientrano nel campo d’applicazione
della presente direttiva.
Articolo 17
Ulteriori deroghe alla libera prestazione di servizi
L’articolo 16 non si applica:
1) ai servizi di interesse economico generale forniti in un altro Stato membro, fra cui:
a) nel settore postale, i servizi contemplati dalla direttiva 97/67/CE del Parlamento
europeo e del Consiglio, del 15 dicembre 1997, concernente regole comuni per lo sviluppo
del mercato interno dei servizi postali comunitari e il miglioramento della qualità del servizio
[28];
b) nel settore dell’energia elettrica, i servizi contemplati dalla direttiva 2003/54/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2003 relativa a norme comuni per il
mercato interno dell’energia elettrica [29];
c) nel settore del gas, i servizi contemplati dalla direttiva 2003/55/CE del Parlamento
europeo e del Consiglio del 26 giugno 2003 relativa a norme comuni per il mercato interno
del gas naturale [30];
d) i servizi di distribuzione e fornitura idriche e i servizi di gestione delle acque reflue;
e) il trattamento dei rifiuti;
2) alle materie disciplinate dalla direttiva 96/71/CE;
3) alle materie disciplinate dalla direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al
trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati [31];
4) alle materie disciplinate dalla direttiva 77/249/CEE del Consiglio, del 22 marzo 1977,
intesa a facilitare l’esercizio effettivo della libera prestazione di servizi da parte degli avvocati
[32];
5) alle attività di recupero giudiziario dei crediti;
6) alle materie disciplinate dal titolo II della direttiva 2005/36/CE, compresi i requisiti
negli Stati membri dove il servizio è prestato che riservano un’attività ad una particolare
professione;
7) alle materie disciplinate dal regolamento (CEE) 1408/71;
8) per quanto riguarda le formalità amministrative relative alla libera circolazione delle
persone ed alla loro residenza, alle questioni disciplinate dalle disposizioni della direttiva
2004/38/CE, che stabiliscono le formalità amministrative a carico dei beneficiari da
espletare presso le autorità competenti dello Stato membro in cui è prestato il servizio;
9) per quanto riguarda i cittadini di paesi terzi che si spostano in un altro Stato membro
nell’ambito di una prestazione di servizi, alla possibilità per gli Stati membri di imporre
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l’obbligo di un visto o di un permesso di soggiorno ai cittadini di paesi terzi che non godono
del regime di riconoscimento reciproco di cui all’articolo 21 della convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen, del 14 giugno 1985, relativo all’eliminazione graduale dei
controlli alle frontiere comuni [33], o alla possibilità di imporre ai cittadini di paesi terzi
l’obbligo di presentarsi alle autorità competenti dello Stato membro in cui è prestato il
servizio al momento del loro ingresso o successivamente;
10) per quanto riguarda le spedizioni di rifiuti, le materie disciplinate dal regolamento
(CEE) n. 259/93 del Consiglio, del 1o febbraio 1993, relativo alla sorveglianza e al controllo
delle spedizioni di rifiuti all’interno della Comunità europea, nonché in entrata e in uscita
dal suo territorio [34];
11) ai diritti d’autore e diritti connessi, ai diritti di cui alla direttiva 87/54/CEE del
Consiglio, del 16 dicembre 1986, sulla tutela giuridica delle topografie di prodotti a
semiconduttori [35] e alla direttiva 96/9/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’
11 marzo 1996 relativa alla tutela giuridica delle banche di dati [36] nonché ai diritti di
proprietà industriale;
12) agli atti per i quali la legge richiede l’intervento di un notaio;
13) alle materie disciplinate dalla direttiva 2006/43/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 17 maggio 2006, sulla revisione legale dei conti annuali e dei conti consolidati
[37];
14) all’immatricolazione dei veicoli presi in leasing in un altro Stato membro;
15) alle disposizioni riguardanti obblighi contrattuali e non contrattuali, compresa la
forma dei contratti, determinate in virtù delle norme di diritto internazionale privato.
Articolo 18
Deroghe per casi individuali
1. In deroga all’articolo 16 e a titolo eccezionale, uno Stato membro può prendere nei
confronti di un prestatore stabilito in un altro Stato membro misure relative alla sicurezza
dei servizi.
2. Le misure di cui al paragrafo 1 possono essere assunte esclusivamente nel rispetto della
procedura di mutua assistenza prevista all’articolo 35 e se sono soddisfatte le condizioni
seguenti:
a) le disposizioni nazionali a norma delle quali sono assunte le misure non hanno fatto
oggetto di un’armonizzazione comunitaria riguardante il settore della sicurezza dei servizi;
b) le misure proteggono maggiormente il destinatario rispetto a quelle che adotterebbe
lo Stato membro di stabilimento in conformità delle sue disposizioni nazionali;
c) lo Stato membro di stabilimento non ha adottato alcuna misura o ha adottato misure
insufficienti rispetto a quelle di cui all’articolo 35, paragrafo 2;
d) le misure sono proporzionate.
3. I paragrafi 1 e 2 lasciano impregiudicate le disposizioni che garantiscono la libertà di
prestazione dei servizi o che permettono deroghe a detta libertà, previste in atti comunitari.
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SEZIONE 2
Diritti dei destinatari di servizi
Articolo 19
Restrizioni vietate
Gli Stati membri non possono imporre al destinatario requisiti che limitano l’utilizzazione di un servizio fornito da un prestatore stabilito in un altro Stato membro, in particolare
i requisiti seguenti:
a) l’obbligo di ottenere un’autorizzazione dalle loro autorità competenti o quello di
presentare una dichiarazione presso di esse;
b) limiti discriminatori alla concessione di aiuti finanziari a causa del fatto che il
prestatore è stabilito in un altro Stato membro o in ragione del luogo in cui il servizio è
prestato.
Articolo 20
Non discriminazione
1. Gli Stati membri provvedono affinché al destinatario non vengano imposti requisiti
discriminatori fondati sulla sua nazionalità o sul suo luogo di residenza.
2. Gli Stati membri provvedono affinché le condizioni generali di accesso a un servizio
che il prestatore mette a disposizione del grande pubblico non contengano condizioni
discriminatorie basate sulla nazionalità o sul luogo di residenza del destinatario, ferma
restando la possibilità di prevedere condizioni d’accesso differenti allorché queste sono
direttamente giustificate da criteri oggettivi.
Articolo 21
Assistenza ai destinatari
1. Gli Stati membri provvedono affinché i destinatari possano ottenere nello Stato
membro in cui risiedono le seguenti informazioni:
a) informazioni generali sui requisiti applicati negli altri Stati membri in materia di
accesso alle attività di servizi e al loro esercizio, in particolare quelli connessi con la tutela
dei consumatori;
b) informazioni generali sui mezzi di ricorso esperibili in caso di controversia tra un
prestatore e un destinatario;
c) i dati delle associazioni o organizzazioni, compresi gli sportelli della rete dei centri
europei dei consumatori, presso le quali i prestatori o i destinatari possono ottenere
assistenza pratica.
Se del caso, la consulenza delle autorità competenti include una semplice guida
esplicativa. Le informazioni e l’assistenza sono fornite in modo chiaro e univoco, sono
facilmente accessibili a distanza anche per via elettronica e sono tenute aggiornate.
2. Gli Stati membri possono affidare il compito di cui al paragrafo 1 agli sportelli unici
o ad altri organismi quali i punti di contatto della rete dei centri europei dei consumatori,
le associazioni di consumatori o i centri Euro Info.
Gli Stati membri comunicano i nomi e gli indirizzi degli organismi designati alla
Commissione, che li trasmette a tutti gli Stati membri.
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3. In ottemperanza delle disposizioni dei paragrafi 1 e 2, l’organismo interpellato dal
destinatario si rivolge, se necessario, all’organismo pertinente dello Stato membro interessato. Quest’ultimo comunica con la massima sollecitudine le informazioni richieste
all’organismo richiedente, che le trasmette al destinatario. Gli Stati membri provvedono
affinché tali organismi si assistano reciprocamente e si adoperino per instaurare forme
efficaci di cooperazione. Gli Stati membri, in collaborazione con la Commissione, adottano
le modalità pratiche necessarie all’attuazione del paragrafo 1.
4. La Commissione adotta, conformemente alla procedura di cui all’articolo 40,
paragrafo 2, le misure d’applicazione dei paragrafi 1, 2 e 3 del presente articolo, precisando
le modalità tecniche degli scambi di informazioni fra organismi di Stati membri diversi e,
in particolare, l’interoperabilità dei sistemi di informazione, tenendo conto delle norme
comuni.
CAPO V
QUALITÀ DEI SERVIZI
Articolo 22
Informazioni sui prestatori e sui loro servizi
1. Gli Stati membri provvedono affinché i prestatori mettano a disposizione del
destinatario le informazioni seguenti:
a) il nome del prestatore, il suo status e forma giuridica, l’indirizzo postale al quale il
prestatore è stabilito e tutti i dati necessari per entrare rapidamente in contatto e comunicare
con il prestatore direttamente e, se del caso, per via elettronica;
b) ove il prestatore sia iscritto in un registro commerciale o altro registro pubblico
analogo, la denominazione di tale registro ed il numero di immatricolazione del prestatore
o mezzi equivalenti atti ad identificarlo in tale registro;
c) ove l’attività sia assoggettata ad un regime di autorizzazione, i dati dell’autorità
competente o dello sportello unico;
d) ove il prestatore eserciti un’attività soggetta all’IVA, il numero di identificazione di cui
all’articolo 22, paragrafo 1, della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio
1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte
sulla cifra d’affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile
uniforme [38];
e) per quanto riguarda le professioni regolamentate, gli ordini professionali o gli
organismi affini presso i quali il prestatore è iscritto, la qualifica professionale e lo Stato
membro nel quale è stata acquisita;
f) le eventuali clausole e condizioni generali applicate dal prestatore;
g) l’esistenza di eventuali clausole contrattuali utilizzate dal prestatore relative alla legge
applicabile al contratto e/o alla giurisdizione competente;
h) l’esistenza di un’eventuale garanzia post vendita, non imposta dalla legge;
i) il prezzo del servizio, laddove esso è predefinito dal prestatore per un determinato tipo
di servizio;
j) le principali caratteristiche del servizio, se non già apparenti dal contesto;
k) l’assicurazione o le garanzie di cui all’articolo 23, paragrafo 1, in particolare il nome
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e l’indirizzo dell’assicuratore o del garante e la copertura geografica.
2. Gli Stati membri provvedono affinché le informazioni di cui al paragrafo 1, a scelta
del prestatore:
a) siano comunicate dal prestatore di propria iniziativa;
b) siano facilmente accessibili al destinatario sul luogo della prestazione del servizio o di
stipula del contratto;
c) siano facilmente accessibili al destinatario per via elettronica tramite un indirizzo
comunicato dal prestatore;
d) figurino in tutti i documenti informativi che il prestatore fornisce al destinatario per
presentare dettagliatamente il servizio offerto.
3. Gli Stati membri provvedono affinché i prestatori, su richiesta del destinatario,
comunichino le seguenti informazioni supplementari:
a) ove non vi sia un prezzo predefinito dal prestatore per un determinato tipo di servizio,
il costo del servizio o, se non è possibile indicare un prezzo esatto, il metodo di calcolo del
prezzo per permettere al destinatario di verificarlo, o un preventivo sufficientemente
dettagliato;
b) per quanto riguarda le professioni regolamentate, un riferimento alle regole professionali in vigore nello Stato membro di stabilimento e ai mezzi per prenderne visione;
c) informazioni sulle loro attività multidisciplinari e sulle associazioni che sono
direttamente collegate al servizio in questione, nonché sulle misure assunte per evitare
conflitti di interesse. Dette informazioni sono inserite in ogni documento informativo nel
quale i prestatori danno una descrizione dettagliata dei loro servizi;
d) gli eventuali codici di condotta ai quali il prestatore è assoggettato, nonché l’indirizzo
al quale tali codici possono essere consultati per via elettronica, con un’indicazione delle
versioni linguistiche disponibili;
e) se un prestatore è assoggettato a un codice di condotta o è membro di un’associazione
commerciale o di un organismo o ordine professionale che prevede il ricorso ad un
meccanismo extragiudiziale di risoluzione delle controversie, informazioni a questo riguardo. Il prestatore specifica in che modo è possibile reperire informazioni dettagliate sulle
caratteristiche e le condizioni di ricorso a meccanismi extragiudiziali di risoluzione delle
controversie.
4. Gli Stati membri provvedono affinché le informazioni che il prestatore è tenuto a
fornire in conformità del presente capo siano rese disponibili o comunicate in modo chiaro
e senza ambiguità nonché in tempo utile prima della stipula del contratto o, in assenza di
contratto scritto, prima che il servizio sia prestato.
5. I requisiti in materia di informazione di cui al presente capo si aggiungono ai requisiti
già previsti dal diritto comunitario e non ostano a che gli Stati membri impongano requisiti
supplementari in materia di informazioni ai prestatori stabiliti sul loro territorio.
6. La Commissione può, conformemente alla procedura di cui all’articolo 40, paragrafo
2, precisare il contenuto delle informazioni di cui ai paragrafi 1 e 3 del presente articolo in
funzione della specificità di talune attività e può precisare le modalità pratiche di applicazione del paragrafo 2 del presente articolo.
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Articolo 23
Assicurazioni e garanzie in caso di responsabilità professionale
1. Gli Stati membri possono provvedere affinché i prestatori i cui servizi presentano un
rischio diretto e particolare per la salute o per la sicurezza del destinatario o di un terzo o per
la sicurezza finanziaria del destinatario sottoscrivano un’assicurazione di responsabilità
professionale commisurata alla natura e alla portata del rischio o forniscano una garanzia o
prevedano altre disposizioni analoghe equivalenti o essenzialmente comparabili quanto a
finalità.
2. Quando un prestatore si stabilisce sul loro territorio, gli Stati membri non possono
imporgli un’assicurazione di responsabilità professionale o una garanzia se è già coperto da
una garanzia equivalente o essenzialmente comparabile, quanto a finalità e copertura fornita
in termini di rischio o capitale assicurati o massimale della garanzia, nonché eventuali
esclusioni dalla copertura, in un altro Stato membro in cui è già stabilito. Qualora
l’equivalenza sia solo parziale, gli Stati membri possono esigere una garanzia complementare
per gli aspetti non ancora coperti.
Quando uno Stato membro richiede ai prestatori di servizi stabiliti sul suo territorio di
sottoscrivere un’assicurazione di responsabilità professionale o altra garanzia, detto Stato
membro accetta quale prova sufficiente un attestato dell’esistenza di tale assicurazione
rilasciato da istituti di credito e assicuratori stabiliti in un altro Stato membro.
3. I paragrafi 1 e 2 non incidono sull’applicabilità dei regimi di assicurazione o di garanzia
professionale previsti in altri strumenti comunitari.
4. Nell’ambito dell’applicazione del paragrafo 1, la Commissione può stabilire un elenco
dei servizi che presentano le caratteristiche di cui al paragrafo 1 del presente articolo secondo
la procedura di regolamentazione di cui all’articolo 40, paragrafo 2. La Commissione può
inoltre adottare misure intese a emendare elementi non essenziali della presente direttiva
integrandola con la fissazione di criteri comuni per definire il carattere appropriato, in
funzione della natura e della portata del rischio, dell’assicurazione o delle garanzie precisate
al paragrafo 1 del presente articolo secondo la procedura di cui all’articolo 40, paragrafo 3.
5. Ai fini del presente articolo, per
- “rischio diretto e particolare” s’intende un rischio derivante direttamente dalla
prestazione del servizio;
- “salute e sicurezza” s’intende, in relazione a un destinatario o a terzi, la prevenzione del
decesso o di gravi danni corporali;
- “sicurezza finanziaria” s’intende, in relazione a un destinatario, la prevenzione di
perdite significative di denaro o del valore di un bene;
- “assicurazione di responsabilità professionale” s’intende l’assicurazione sottoscritta da
un prestatore con riguardo alle potenziali responsabilità nei confronti dei destinatari e, se del
caso, di terzi, derivanti dalla prestazione del servizio.
Articolo 24
Comunicazioni commerciali emananti dalle professioni regolamentate
1. Gli Stati membri sopprimono tutti i divieti totali in materia di comunicazioni
commerciali per le professioni regolamentate.
2. Gli Stati membri provvedono affinché le comunicazioni commerciali che emanano
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dalle professioni regolamentate ottemperino alle regole professionali, in conformità del
diritto comunitario, riguardanti, in particolare, l’indipendenza, la dignità e l’integrità della
professione nonché il segreto professionale, nel rispetto della specificità di ciascuna
professione. Le regole professionali in materia di comunicazioni commerciali sono non
discriminatorie, giustificate da motivi imperativi di interesse generale e proporzionate.
Articolo 25
Attività multidisciplinari
1. Gli Stati membri provvedono affinché i prestatori non siano assoggettati a requisiti che
li obblighino ad esercitare esclusivamente una determinata attività specifica o che limitino
l’esercizio, congiunto o in associazione, di attività diverse.
Tuttavia, tali requisiti possono essere imposti ai prestatori seguenti:
a) le professioni regolamentate, nella misura in cui ciò sia giustificato per garantire il
rispetto di norme di deontologia diverse in ragione della specificità di ciascuna professione,
di cui è necessario garantire l’indipendenza e l’imparzialità;
b) i prestatori che forniscono servizi di certificazione, di omologazione, di controllo,
prova o collaudo tecnici, nella misura in cui ciò sia giustificato per assicurarne l’indipendenza e l’imparzialità.
2. Quando le attività multidisciplinari tra i prestatori di cui al paragrafo 1, lettere a) e b)
sono autorizzate, gli Stati membri provvedono affinché:
a) siano evitati i conflitti di interesse e le incompatibilità tra determinate attività;
b) siano garantite l’indipendenza e l’imparzialità che talune attività richiedono;
c) le regole di deontologia professionale e di condotta relative alle diverse attività siano
compatibili tra loro, soprattutto in materia di segreto professionale.
3. Nella relazione di cui all’articolo 39, paragrafo 1, gli Stati membri precisano i prestatori
soggetti ai requisiti di cui al paragrafo 1 del presente articolo, il contenuto dei requisiti e le
ragioni per le quali li ritengono giustificati.
Articolo 26
Politica in materia di qualità dei servizi
1. Gli Stati membri, in collaborazione con la Commissione, adottano misure di
accompagnamento volte ad incoraggiare i prestatori a garantire, su base volontaria, la qualità
dei servizi, in particolare:
a) facendo certificare o valutare le loro attività da organismi indipendenti o accreditati;
b) elaborando una carta di qualità propria o aderendo alle carte o ai marchi di qualità
messi a punto da organismi e ordini professionali a livello comunitario.
2. Gli Stati membri provvedono affinché le informazioni sul significato di taluni marchi
e sui criteri di attribuzione dei marchi e di altri attestati di qualità relativi ai servizi siano
facilmente accessibili ai prestatori e ai destinatari.
3. Gli Stati membri, in collaborazione con la Commissione, adottano misure di
accompagnamento volte ad incoraggiare gli ordini professionali, le camere di commercio e
artigianato e le associazioni dei consumatori negli Stati membri a collaborare a livello
comunitario per promuovere la qualità dei servizi, in particolare facilitando il riconoscimento della qualità dei prestatori.
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4. Gli Stati membri, in collaborazione con la Commissione, adottano misure di
accompagnamento volte ad incoraggiare lo sviluppo della comunicazione critica, in
particolare da parte delle associazioni dei consumatori, relativa alle qualità e ai difetti dei
servizi, in particolare lo sviluppo a livello comunitario di prove o collaudi comparativi e della
comunicazione dei loro risultati.
5. Gli Stati membri, in collaborazione con la Commissione, incoraggiano lo sviluppo di
norme volontarie europee intese ad agevolare la compatibilità fra servizi forniti da prestatori
di Stati membri diversi, l’informazione del destinatario e la qualità dei servizi.
Articolo 27
Risoluzione delle controversie
1. Gli Stati membri adottano i provvedimenti generali necessari affinché i prestatori
forniscano i propri dati, in particolare un indirizzo postale, un numero di fax o un indirizzo
di posta elettronica e un numero telefonico ai quali tutti i destinatari, compresi quelli
residenti in un altro Stato membro, possono presentare un reclamo o chiedere informazioni
sul servizio fornito. I prestatori forniscono il loro domicilio legale se questo non coincide
con il loro indirizzo abituale per la corrispondenza.
Gli Stati membri adottano i provvedimenti generali necessari affinché i prestatori
rispondano ai reclami di cui al primo comma con la massima sollecitudine e diano prova di
buona volontà per trovare soluzioni soddisfacenti.
2. Gli Stati membri adottano i provvedimenti generali necessari affinché i prestatori siano
tenuti a provare che gli obblighi di informazione previsti dalla presente direttiva sono
rispettati e che le informazioni sono esatte.
3. Qualora per ottemperare ad una decisione giudiziaria sia necessaria una garanzia
finanziaria, gli Stati membri riconoscono le garanzie equivalenti costituite presso un istituto
di credito o un assicuratore stabilito in un altro Stato membro. L’istituto di credito deve
essere autorizzato in uno Stato membro ai sensi della direttiva 2006/48/CE e l’assicuratore
autorizzato, come appropriato, ai sensi della prima direttiva 73/239/CEE del Consiglio, del
24 luglio 1973, recante coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e
amministrative in materia di accesso e di esercizio dell’assicurazione diretta diversa dall’assicurazione sulla vita [39] in materia di accesso e di esercizio dell’assicurazione diretta diversa
dall’assicurazione sulla vita e della direttiva 2002/83/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 5 novembre 2002, relativa all’assicurazione sulla vita [40].
4. Gli Stati membri adottano i provvedimenti generali necessari affinché i prestatori,
soggetti ad un codice di condotta o membri di un’associazione o di un organismo
professionale che prevede il ricorso ad un meccanismo di regolamentazione extragiudiziario, ne informino il destinatario facendone menzione in tutti i documenti che presentano
in modo dettagliato uno dei loro servizi e indichino in che modo è possibile reperire
informazioni dettagliate sulle caratteristiche e le condizioni di ricorso a tale meccanismo.
CAPO VI
COOPERAZIONE AMMINISTRATIVA
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Articolo 28
Mutua assistenza - Obblighi generali
1. Gli Stati membri si prestano assistenza reciproca e si adoperano per instaurare forme
di collaborazione efficaci onde garantire il controllo dei prestatori e dei loro servizi.
2. Ai fini del presente capo, gli Stati membri designano uno o più punti di contatto
comunicandone i dati agli altri Stati membri e alla Commissione. La Commissione pubblica
e aggiorna regolarmente l’elenco dei punti di contatto.
3. Le richieste di informazioni e le richieste di effettuare verifiche, ispezioni e indagini
a titolo del presente capo sono debitamente motivate, in particolare specificando la ragione
della richiesta. Le informazioni scambiate sono utilizzate solo in relazione alla questione per
cui sono state richieste.
4. Qualora ricevano una richiesta di assistenza dalle autorità competenti di un altro Stato
membro, gli Stati membri provvedono affinché i prestatori stabiliti sul loro territorio
comunichino alle loro autorità competenti tutte le informazioni necessarie al controllo delle
loro attività in conformità della legislazione nazionale.
5. Qualora insorgano difficoltà nel soddisfare una richiesta di informazioni o nell’effettuare verifiche, ispezioni o indagini, gli Stati membri in causa avvertono sollecitamente lo
Stato membro richiedente al fine di trovare una soluzione.
6. Gli Stati membri forniscono al più presto e per via elettronica le informazioni richieste
da altri Stati membri o dalla Commissione.
7. Gli Stati membri provvedono affinché i registri nei quali i prestatori sono iscritti e che
possono essere consultati dalle autorità competenti sul loro territorio siano altresì consultabili, alle stesse condizioni, dalle competenti autorità omologhe degli altri Stati membri.
8. Gli Stati membri comunicano alla Commissione informazioni su casi in cui altri Stati
membri non assolvono ai loro obblighi di mutua assistenza. Laddove necessario, la
Commissione prende misure appropriate, comprese quelle di cui all’articolo 226 del trattato,
per assicurare che gli Stati membri in questione assolvano ai loro obblighi di mutua
assistenza. La Commissione informa periodicamente gli Stati membri circa il funzionamento delle disposizioni relative alla mutua assistenza.
Articolo 29
Mutua assistenza - Obblighi generali per lo Stato membro di stabilimento
1. Per quanto riguarda i prestatori che forniscono servizi in un altro Stato membro, lo
Stato membro di stabilimento fornisce le informazioni sui prestatori stabiliti sul suo
territorio richieste da un altro Stato membro, in particolare la conferma del loro stabilimento
sul suo territorio e del fatto che, a quanto gli risulta, essi non vi esercitano attività in modo
illegale.
2. Lo Stato membro di stabilimento procede alle verifiche, ispezioni e indagini richieste
da un altro Stato membro e informa quest’ultimo dei risultati e, se del caso, dei provvedimenti presi. In tale contesto le autorità competenti intervengono nei limiti delle competenze
loro attribuite nei rispettivi Stati membri. Le autorità competenti possono decidere le misure
più appropriate da assumere, caso per caso, per soddisfare la richiesta di un altro Stato
membro.
3. Qualora venga a conoscenza di comportamenti o atti precisi di un prestatore stabilito
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sul suo territorio che presta servizi in altri Stati membri che, a sua conoscenza, possano
causare grave pregiudizio alla salute o alla sicurezza delle persone o all’ambiente, lo Stato
membro di stabilimento ne informa al più presto gli altri Stati membri e la Commissione.
Articolo 30
Controllo da parte dello Stato membro di stabilimento in caso di spostamento
temporaneo del prestatore in un altro Stato membro
1. Nei casi non contemplati dall’articolo 31, paragrafo 1, lo Stato membro di stabilimento controlla il rispetto dei suoi requisiti in conformità dei poteri di sorveglianza previsti dal
suo ordinamento nazionale, in particolare mediante misure di controllo sul luogo di
stabilimento del prestatore.
2. Lo Stato membro di stabilimento non può omettere di adottare misure di controllo
o di esecuzione sul proprio territorio per il motivo che il servizio è stato prestato o ha causato
danni in un altro Stato membro.
3. L’obbligo di cui al paragrafo 1 non comporta il dovere per lo Stato membro di
stabilimento di effettuare verifiche e controlli fattuali nel territorio dello Stato membro in
cui è prestato il servizio. Tali verifiche e controlli sono effettuati dalle autorità dello Stato
membro in cui il prestatore svolge temporaneamente la sua attività, su richiesta delle autorità
dello Stato membro di stabilimento, in conformità dell’articolo 31.
Articolo 31
Controllo da parte dello Stato membro in cui è prestato il servizio in caso di
spostamento temporaneo del prestatore
1. Per quanto riguarda i requisiti nazionali che possono essere imposti in base all’articolo
16 o 17, lo Stato membro in cui è prestato il servizio è responsabile del controllo sull’attività
del prestatore sul suo territorio. In conformità del diritto comunitario, lo Stato membro in
cui è prestato il servizio:
a) adotta tutte le misure necessarie al fine di garantire che il prestatore si conformi a tali
requisiti per quanto riguarda l’accesso a un’attività di servizi sul proprio territorio e il suo
esercizio;
b) procede alle verifiche, ispezioni e indagini necessarie per controllare il servizio
prestato.
2. Per quanto riguarda i requisiti diversi da quelli di cui al paragrafo 1, nel caso in cui un
prestatore si sposti temporaneamente in un altro Stato membro in cui non è stabilito per
prestarvi un servizio, le autorità competenti di tale Stato membro partecipano al controllo
del prestatore conformemente ai paragrafi 3 e 4.
3. Su richiesta dello Stato membro di stabilimento, le autorità competenti dello Stato
membro in cui è prestato il servizio procedono alle verifiche, ispezioni e indagini necessarie
per assicurare un efficace controllo da parte dello Stato membro di stabilimento, intervenendo nei limiti delle competenze loro attribuite nel loro Stato membro. Le autorità competenti
possono decidere le misure più appropriate da assumere, caso per caso, per soddisfare la
richiesta dello Stato membro di stabilimento.
4. Di loro iniziativa, le autorità competenti dello Stato membro in cui è prestato il servizio
possono procedere a verifiche, ispezioni e indagini sul posto, purché queste non siano
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discriminatorie, non siano motivate dal fatto che il prestatore è stabilito in un altro Stato
membro e siano proporzionate.
Articolo 32
Meccanismo di allerta
1. Qualora uno Stato membro venga a conoscenza di circostanze o fatti precisi gravi
riguardanti un’attività di servizi che potrebbero provocare un pregiudizio grave alla salute
o alla sicurezza delle persone o all’ambiente nel suo territorio o nel territorio di altri Stati
membri, ne informa al più presto lo Stato membro di stabilimento, gli altri Stati membri
interessati e la Commissione.
2. La Commissione promuove la creazione di una rete europea delle autorità degli Stati
membri e vi partecipa, ai fini dell’applicazione delle disposizioni del paragrafo 1.
3. La Commissione adotta e aggiorna regolarmente, conformemente alla procedura di
cui all’articolo 40, paragrafo 2, norme dettagliate concernenti la gestione della rete di cui al
paragrafo 2 del presente articolo.
Articolo 33
Informazioni sull’onorabilità dei prestatori
1. Gli Stati membri comunicano, su richiesta di un’autorità competente di un altro Stato
membro, conformemente al loro diritto nazionale, le informazioni relative alle azioni
disciplinari o amministrative promosse o alle sanzioni penali irrogate e alle decisioni relative
all’insolvenza o alla bancarotta fraudolenta assunte dalle loro autorità competenti nei
confronti di un prestatore che siano direttamente pertinenti alla competenza del prestatore
o alla sua affidabilità professionale. Lo Stato membro che comunica tali informazioni ne
informa il prestatore interessato.
Una richiesta effettuata a norma del primo comma deve essere debitamente sostanziata,
in particolare per quanto riguarda i motivi della richiesta d’informazione.
2. Le sanzioni e le azioni di cui al paragrafo 1 sono comunicate solo se è stata assunta una
decisione definitiva. Riguardo alle altre decisioni esecutorie di cui al paragrafo 1, lo Stato
membro che comunica le informazioni precisa se si tratta di una decisione definitiva o se è
stato presentato un ricorso contro la decisione in causa, nel qual caso lo Stato membro in
questione è tenuto a indicare la data alla quale si prevede che sia pronunciata la decisione
sul ricorso.
Esso precisa inoltre le disposizioni di diritto interno conformemente alle quali il
prestatore è stato condannato o sanzionato.
3. Il paragrafo 1 e il paragrafo 2 devono essere applicati nel rispetto delle regole in materia
di comunicazione dei dati personali e dei diritti garantiti nello Stato membro in questione
alle persone che subiscono condanne o sanzioni, anche da parte degli organismi o ordini
professionali. Ogni informazione in questione che sia pubblica deve essere accessibile ai
consumatori.
Articolo 34
Misure di accompagnamento
1. La Commissione, in collaborazione con gli Stati membri, istituisce un sistema
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elettronico per lo scambio di informazioni tra gli Stati membri tenendo conto dei sistemi
di informazione esistenti.
2. Gli Stati membri, con l’assistenza della Commissione, adottano misure di accompagnamento per agevolare lo scambio di funzionari incaricati di dare esecuzione alla mutua
assistenza e la formazione dei funzionari stessi, compresa la formazione linguistica e quella
informatica.
3. La Commissione valuta la necessità di istituire un programma pluriennale per
organizzare i pertinenti scambi di funzionari e la formazione.
Articolo 35
Mutua assistenza in caso di deroghe caso per caso
1. Qualora uno Stato membro intenda assumere una misura conformemente all’articolo
18, si applica la procedura di cui ai paragrafi da 2 a 6 del presente articolo, senza pregiudizio
delle procedure giudiziarie, compresi i procedimenti e gli atti preliminari compiuti nel
quadro di un’indagine penale.
2. Lo Stato membro di cui al paragrafo 1 chiede allo Stato membro di stabilimento di
assumere misure nei confronti del prestatore, fornendo tutte le informazioni pertinenti sul
servizio in causa e sulle circostanze della fattispecie.
Lo Stato membro di stabilimento verifica con la massima sollecitudine se il prestatore
esercita legalmente le sue attività e accerta i fatti all’origine della richiesta. Esso comunica al
più presto allo Stato membro che ha presentato la richiesta le misure assunte o previste o,
se del caso, i motivi per i quali non è stata assunta alcuna misura.
3. Dopo la comunicazione dello Stato membro di stabilimento di cui al paragrafo 2,
secondo comma, lo Stato membro che ha presentato la richiesta notifica alla Commissione
e allo Stato membro di stabilimento la sua intenzione di prendere misure, precisando le
ragioni seguenti:
a) le ragioni per le quali ritiene che le misure assunte o previste dallo Stato membro di
stabilimento siano insufficienti;
b) le ragioni per le quali ritiene che le misure che prevede di assumere rispettino le
condizioni di cui all’articolo 18.
4. Le misure possono essere assunte solo allo scadere di quindici giorni lavorativi a
decorrere dalla notifica di cui al paragrafo 3.
5. Senza pregiudizio della facoltà, per lo Stato membro che ha presentato la richiesta, di
assumere le misure in questione allo scadere del termine di cui al paragrafo 4, la Commissione esamina al più presto la compatibilità delle misure notificate con il diritto comunitario.
Qualora giunga alla conclusione che la misura è incompatibile con il diritto comunitario,
la Commissione adotta una decisione in cui chiede allo Stato membro interessato di
astenersi dall’assumere le misure proposte o di sospendere con urgenza le misure assunte.
6. In caso di urgenza, lo Stato membro che intende assumere una misura può derogare
alle disposizioni dei paragrafi 2, 3 e 4. In questo caso, le misure sono notificate con la
massima sollecitudine alla Commissione e allo Stato membro di stabilimento, specificando
i motivi che giustificano l’urgenza.
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Articolo 36
Misure di esecuzione
Le misure intese a modificare gli elementi non essenziali del presente capo integrandolo
con la precisazione dei termini di cui agli articoli 28 e 35 sono adottate secondo la procedura
di cui all’articolo 40, paragrafo 3.. La Commissione adotta inoltre le modalità pratiche degli
scambi di informazioni per via elettronica fra Stati membri, e in particolare le disposizioni
sull’interoperabilità dei sistemi di informazione, secondo la procedura di cui all’articolo 40,
paragrafo 2.
CAPO VII
PROGRAMMA DI CONVERGENZA
Articolo 37
Codici di condotta a livello comunitario
1. Gli Stati membri, in collaborazione con la Commissione, adottano misure di
accompagnamento volte a incoraggiare l’elaborazione di codici di condotta a livello
comunitario, specialmente da parte di ordini, organismi o associazioni professionali, intesi
ad agevolare la prestazione transfrontaliera di servizi o lo stabilimento di un prestatore in un
altro Stato membro, nel rispetto del diritto comunitario.
2. Gli Stati membri provvedono affinché i codici di condotta di cui al paragrafo 1 siano
accessibili a distanza, per via elettronica.
Articolo 38
Armonizzazione complementare
La Commissione esamina, entro il 28 dicembre 2010, la possibilità di presentare proposte
di misure d’armonizzazione sulle seguenti questioni:
a) l’accesso alle attività di recupero giudiziario dei crediti;
b) i servizi privati di sicurezza e trasporto di denaro contante e valori.
Articolo 39
Valutazione reciproca
1. Entro il 28 dicembre 2009, gli Stati membri presentano una relazione alla Commissione contenente le informazioni di cui alle seguenti disposizioni:
a) articolo 9, paragrafo 2, relativo ai regimi di autorizzazione;
b) articolo 15, paragrafo 5, relativo ai requisiti da valutare;
c) articolo 25, paragrafo 3, relativo alle attività multidisciplinari.
2. La Commissione trasmette le relazioni di cui al paragrafo 1 agli Stati membri che, entro
un termine di sei mesi dalla ricezione, comunicano le loro osservazioni su ciascuna
relazione. Entro lo stesso termine, la Commissione consulta le parti interessate su tali
relazioni.
3. La Commissione trasmette le relazioni e le osservazioni degli Stati membri al comitato
di cui all’articolo 40, paragrafo 1, che può formulare osservazioni.
4. Alla luce delle osservazioni di cui ai paragrafi 2 e 3, la Commissione presenta al
Parlamento europeo e al Consiglio, entro il 28 dicembre 2010, una relazione di sintesi
accompagnata, se del caso, da proposte di iniziative supplementari.
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5. Entro il 28 dicembre 2009, gli Stati membri presentano alla Commissione una
relazione sui requisiti nazionali la cui applicazione potrebbe rientrare nell’articolo 16,
paragrafo 1, terzo comma e paragrafo 3, prima frase, specificando i motivi per cui ritengono
che l’applicazione di detti requisiti sia conforme ai criteri di cui all’articolo 16, paragrafo 1,
terzo comma e all’articolo 16, paragrafo 3, prima frase.
Successivamente, gli Stati membri comunicano alla Commissione le eventuali modifiche dei requisiti, inclusi i nuovi requisiti, di cui sopra specificandone le motivazioni.
La Commissione comunica tali requisiti agli altri Stati membri. La comunicazione non
osta a che gli Stati membri adottino le disposizioni in questione. La Commissione fornisce
successivamente, su base annuale, analisi e orientamenti in materia di applicazione di tali
disposizioni nel contesto della presente direttiva.
Articolo 40
Procedura di comitato
1. La Commissione è assistita da un comitato.
2. Nei casi in cui è fatto riferimento al presente paragrafo, si applicano gli articoli 5 e 7
della decisione 1999/468/CE, tenendo conto delle disposizioni dell’articolo 8 di tale
decisione. Il periodo di cui all’articolo 5, paragrafo 6, della decisione 1999/468/CE è fissato
a tre mesi.
3. Nei casi in cui è fatto riferimento al presente paragrafo si applicano l’articolo 5 bis,
paragrafi da 1 a 4 e l’articolo 7 della decisione 1999/468/CE, tenendo conto delle
disposizioni dell’articolo 8 della stessa.
Articolo 41
Clausola di revisione
Entro il 28 dicembre 2011 e successivamente ogni tre anni, la Commissione presenta al
Parlamento europeo e al Consiglio una relazione completa sull’applicazione della presente
direttiva. Conformemente all’articolo 16, paragrafo 4, la relazione tratta in particolare
l’applicazione dell’articolo 16. Essa esamina inoltre se siano necessarie ulteriori misure per
le materie escluse dal campo di applicazione della presente direttiva. La relazione è
accompagnata, se del caso, da proposte intese a modificare la presente direttiva al fine di
completare il mercato interno dei servizi.
Articolo 42
Modifica della direttiva 98/27/CE
Nell’allegato della direttiva 98/27/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19
maggio 1998, relativa a provvedimenti inibitori a tutela degli interessi dei consumatori [41],
è aggiunto il seguente punto:
“13. Direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre
2006, relativa ai servizi nel mercato interno (GU L 376 del 27.12.2006, pag. 36).”
Articolo 43
Protezione dei dati personali
L’attuazione e l’applicazione della presente direttiva e, in particolare, delle disposizioni
relative al controllo, ottemperano alle norme sulla protezione dei dati personali di cui alle
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direttive 95/46/CE e 2002/58/CE.
CAPO VIII
DISPOSIZIONI FINALI
Articolo 44
Recepimento
1. Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e
amministrative necessarie per conformarsi alle disposizioni della presente direttiva entro il
28 dicembre 2009.
Essi comunicano immediatamente alla Commissione il testo di tali disposizioni.
Quando gli Stati membri adottano tali disposizioni, queste contengono un riferimento
alla presente direttiva o sono corredate di un siffatto riferimento all’atto della pubblicazione
ufficiale. Le modalità di tale riferimento sono decise dagli Stati membri.
2. Gli Stati membri comunicano alla Commissione il testo delle disposizioni essenziali
di diritto nazionale adottate nella materia disciplinata dalla presente direttiva.
Articolo 45
Entrata in vigore
La presente direttiva entra in vigore il giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta
ufficiale dell’Unione europea.
Articolo 46
Destinatari
Gli Stati membri sono destinatari della presente direttiva.
Fatto a Strasburgo, addì 12 dicembre 2006.
Per il Parlamento europeo
Il presidente
J. Borrell Fontelles
Per il Consiglio
Il presidente
M. Pekkarinen
[1] GU C 221 del 8.9.2005, pag. 113.
[2] GU C 43 del 18.2.2005, pag. 18.
[3] Parere del Parlamento europeo del 16 febbraio 2006 (non ancora pubblicato nella Gazzetta
ufficiale). Posizione comune del Consiglio del 24 luglio 2006 (GU C 270 E del 7.11.2006, pag. 1),
posizione del Parlamento europeo del 15 novembre 2006 e decisione del Consiglio dell’ 11 dicembre
2006.
[4] GU L 177 del 30.6.2006, pag. 1.
[5] GU L 108 del 24.4.2002, pag. 7.
[6] GU L 108 del 24.4.2002, pag. 21.
[7] GU L 108 del 24.4.2002, pag. 33.
[8] GU L 108 del 24.4.2002, pag. 51.
[9] GU L 201 del 31.7.2002, pag. 37. Direttiva modificata dalla direttiva 2006/24/CE GU L 105 del
13.4.2006, pag. 54).
[10] GU L 149 del 5.7.1971, pag. 2. Regolamento modificato da ultimo dal regolamento (CE) n.
629/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio (GU L 114 del 27.4.2006, pag. 1).
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[11] GU L 255 del 30.9.2005, pag. 22.
[12] GU L 149 dell’11.6.2005, pag. 22.
[13] GU L 364 del 9.12.2004, pag. 1. Regolamento modificato dalla direttiva 2005/29/CE.
[14] GU L 16 del 23.1.2004, pag. 44.
[15] GU L 124 del 20.5.2003, pag. 1.
[16] GU L 158 del 30.4.2004, pag. 77.
[17] GU L 13 del 19.1.2000, pag. 12.
[18] GU L 178 del 17.7.2000, pag. 1.
[19] GU L 18 del 21.1.1997, pag. 1.
[20] GU L 204 del 21.7.1998, pag. 37. Direttiva modificata da ultimo dall’atto di adesione del 2003.
[21] GU L 184 del 17.7.1999, pag. 23. Decisione modificata dalla decisione 2006/512/CE (GU L
200 del 22.7.2006, pag. 11).
[22] GU C 321 del 31.12.2003, pag. 1.
[23] GU L 298 del 17.10.1989, pag. 23. Direttiva modificata dalla direttiva 97/36/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio (GU L 202 del 30.7.1997, pag. 60).
[24] GU L 134 del 30.4.2004, pag. 114. Direttiva modificata da ultimo dal regolamento (CE) n.
2083/2005 della Commissione (GU L 333 del 20.12.2005, pag. 28).
[25] GU L 77 del 14.3.1998, pag. 36. Direttiva modificata dall’Atto di adesione del 2003.
[26] GU L 65 del 14.3.1968, pag. 8. Direttiva modificata da ultimo dalla direttiva 2003/58/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio (GU L 221 del 4.9.2003, pag. 13).
[27] GU L 395 del 30.12.1989, pag. 36.
[28] GU L 15 del 21.1.1998, pag. 14. Direttiva modificata da ultimo dal regolamento (CE) n. 1882/
2003 (GU L 284 del 31.10.2003, pag. 1)
[29] GU L 176 del 15.7.2003, pag. 37. Direttiva modificata da ultimo dalla decisione 2006/653/CE
della Commissione (GU L 270 del 29.9.2006, pag. 72).
[30] GU L 176 del 15.7.2003, pag. 57.
[31] GU L 281 del 23.11.1995, pag. 31. Direttiva modificata da ultimo dal regolamento (CE) n.
1882/2003.
[32] GU L 78 del 26.3.1977, pag. 17. Direttiva modificata da ultimo dall’Atto di adesione del 2003.
[33] GU L 239 del 22.9.2000, pag. 19. Convenzione modificata da ultimo dal regolamento (CE)
n. 1160/2005 del Parlamento europeo e del Consiglio (GU L 191 del 22.7.2005, pag. 18).
[34] GU L 30 del 6.2.1993, pag. 1. Regolamento modificato da ultimo dal regolamento della
Commissione (CE) n. 2557/2001 (GU L 349 del 31.12.2001, pag. 1).
[35] GU L 24 del 27.1.1987, pag. 36.
[36] GU L 77 del 27.3.1996, pag. 20.
[37] GU L 157 del 9.6.2006, pag. 87.
[38] GU L 145 del 13.6.1977, pag. 1. Direttiva modificata da ultimo dalla direttiva 2006/18/CE (GU
L 51 del 22.2.2006, pag. 12).
[39] GU L 228 del 16.8.1973, pag. 3. Direttiva modificata da ultimo dalla direttiva 2005/68/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio (GU L 323 del 9.12.2005, pag. 1).
[40] GU L 345 del 19.12.2002, pag. 1. Direttiva modificata da ultimo dalla direttiva 2005/68/CE.
[41] GU L 166 dell’11.6.1998, pag. 51. Direttiva modificata da ultimo dalla direttiva 2005/29/CE.
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ABILITAZIONE AL PATROCINIO DEL PRATICANTE AVVOCATO
Illustri Colleghi e Cari Amici,
con riferimento ad alcune rilevanti questioni attinenti la decorrenza e alla durata del
periodo di abilitazione temporanea al patrocinio legale concessa al praticante dall’art.
8 della legge professionale forense, appare opportuno ritornare sull’argomento e meglio
chiarire la posizione assunta dalla Commissione Consultiva e poi approvata da questo
Consiglio Nazionale.
Su questo punto il testo normativo presenta alcuni margini di incertezza, una difficoltà
che si è aggravata, nel corso degli anni, a causa delle ripetute e disordinate modifiche
apportate dal legislatore alla durata ed alla modalità di svolgimento della pratica forense.
Poiché vi è stata, nel recente passato, una molteplicità di pronunciamenti giurisdizionali
e di pareri resi su queste questioni, la Commissione consultiva ha ritenuto di deferire al
Consiglio in seduta plenaria l’assunzione di una posizione atta ad agevolare l’opera dei
Consigli dell’Ordine circondariali, al fine di garantire un’omogeneità di trattamento sul
territorio nazionale.
Il Consiglio nazionale, nella seduta amministrativa del 23 novembre 2006, ha deliberato
la interpretazione delle varie norme attinenti all’argomento come segue:
la prima problematica attiene al momento di decorrenza dell’abilitazione al patrocinio:
di fronte ad alcuni dubbi sollevati riguardo agli effetti del giuramento del praticante aspirante
all’abilitazione, deve ritenersi che il momento nel quale ha inizio la facoltà di patrocinare
in giudizio non possa che essere quello della favorevole delibera del Consiglio dell’Ordine,
che ha carattere costitutivo e produce effetti ex nunc. Il pronunciamento del Consiglio è,
infatti, l’atto terminale del procedimento volto a verificare, in capo all’istante, la sussistenza
dei requisiti e delle qualità necessarie per svolgere, ancorché per un tempo limitato ed entro
limiti prefissati, la professione forense. Esso è posto in attuazione dell’art. 8 del R.D. 37/
1934, il quale prescrive una serie di formalità e controlli che sono necessari e doverosi ai fini
dell’iscrizione del praticante tra gli abilitati.
Anche i dubbi suscitati dal riferimento del secondo comma dell’art. 4, R.D. 37/1934, ove
enuncia il principio per cui «per i praticanti che esercitano il patrocinio davanti alle preture a
termini dell’art. 8 del r.d.l. 28 novembre 1933, n. 1578 il periodo di pratica decorre dal giorno in cui
hanno prestato il giuramento», devono essere fugati. La disposizione citata, infatti, si riferisce
alla durata della pratica e non alla decorrenza del periodo di abilitazione: essa non trova
quindi applicazione nel quadro normativo attuale, atteso che il praticante acquisisce il diritto
a patrocinare ben dopo l’inizio della pratica (almeno dopo un anno). La norma possedeva
un senso autonomo sotto la vigenza del precedente ordinamento, ed in particolare quando
aveva vigore il testo originario dell’art. 8 del r.d.l. 1578/1933 (cfr. G.U. 5 dicembre 1933, n.
281), che conferiva il diritto a patrocinare a tutti i laureati iscritti nel registro speciale dei
praticanti procuratori.
Una seconda questione, di non minore rilievo, attiene alla durata complessiva del
periodo di abilitazione. Anche in questo caso il testo della disposizione di riferimento (il
medesimo art. 8 l.p.f.) presenta tratti di indeterminatezza, allorquando afferma che «I
praticanti avvocati dopo un anno dalla iscrizione nel registro […], sono ammessi, per un periodo non
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superiore a sei anni, ad esercitare il patrocinio». Non si chiarisce espressamente, quindi, se colui
che presenti la domanda di ammissione al patrocinio successivamente all’inizio del secondo
anno di pratica abbia diritto di godere di sei anni pieni di abilitazione, ovvero se tale periodo
debba computarsi comunque con riferimento al primo giorno del secondo anno di tirocinio.
L’interpretazione della norma deve avere, perciò, riguardo alla ratio della legge e porsi in
un’ottica di garanzia della funzione formativa, sia della pratica nel suo complesso, sia
dell’abilitazione transitoria al tirocinio.
Il legislatore del 1933 non ha, in effetti, conferito alcun diritto a godere di interi sei anni
di abilitazione al patrocinio, ma ha indicato un periodo «non superiore» al sessennio nel quale
si possa svolgere la funzione di difesa in giudizio.
Ciò induce a ritenere che la lettura della disposizione più conforme allo spirito della legge
professionale sia quella per cui ciascun praticante dispone della facoltà di chiedere ed
ottenere, a partire dal perfezionarsi del primo anno di tirocinio, ed entro la conclusione del
secondo anno del tirocinio medesimo, l’abilitazione a patrocinare, ma questi non avrà
diritto, producendo la domanda in ritardo rispetto all’inizio del periodo a sua disposizione,
di prolungare artificiosamente la pratica per poter godere di un sessennio pieno di
abilitazione.
A ciò si aggiunge che il patrocinio del praticante ha una sua funzione formativa e
professionalizzante ben delineata, ma è comunque finalizzato ad indirizzare il praticante
verso il superamento dell’esame di Stato, e non può prolungarsi in modo eccessivo,
introducendo una forma di precariato professionale od un modo surrettizio di esercizio della
professione forense.
In sintesi, sulla scorta delle considerazioni che precedono, il Consiglio nazionale
forense ha ritenuto di doversi pronunciare – salva ovviamente la propria piena autonomia
di giudizio in sede giurisdizionale – nel senso che il patrocinio può essere concesso in ogni
momento nel corso del secondo anno di pratica, ma che la sua durata deve essere comunque
computata a partire dal primo giorno del secondo anno di iscrizione nel registro dei
praticanti, di talché la permanenza nel registro medesimo non può, in nessun caso, superare
i sei anni successivi al primo anno di pratica senza abilitazione.
Con i più cordiali saluti.
Il Consigliere Coordinatore
la Commissione Consultiva
f.to avv. Francesco Morgese
IlPresidente
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BILANCIO
Relazione del Collegio dei Revisori dei Conti
SUL CONSUNTIVO DELL’ANNO 2006
DEL CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI ROMA
Egregi Colleghi,
il rendiconto finanziario/economico/patrimoniale dell’anno 2006, predisposto dal
Consiglio dell’Ordine che ha anche redatto la relativa relazione, presenta un disavanzo economico di euro 427.120 leggermente superiore rispetto alle previsioni (euro
364.834), per maggiori costi di funzionamento, al preventivo approvato nell’Assemblea Ordinaria del 12 luglio 2006. Detto disavanzo sarà coperto con parte dell’avanzo
economico degli esercizi precedenti che si riduce da euro 1.473.159 a euro 1.046.039.
In particolare per il rendiconto finanziario si precisa:
- le entrate finanziarie definitivamente accertate sono risultate pari a euro 4.820.764
a fronte di una previsione di euro 4.885.340;
- le uscite finanziarie definitivamente accertate sono risultate pari a euro 5.280.112
a fronte di una previsione di euro 5.158.174.
Per quanto riguarda la gestione di cassa, a fronte di previsioni per euro 6.878.025,
si rilevano riscossioni per euro 4.873.568. Il totale di residui attivi a fine esercizio
risulta di euro 1.921.376.
Per quanto invece riguarda le uscite, a fronte di previsioni per euro 8.113.970, a
consuntivo i pagamenti sono risultati di euro 5.329.112. I residui passivi totali al
termine dell’esercizio sono di euro 2.899.784.
Tra detti residui passivi è incluso anche l’importo relativo all’«acquisto sede»,
acquisto che anche per quest’anno non si è verificato. L’importo in questione è
attualmente pari a euro 1.250.022.
Nel merito delle singole voci, non vi sono particolari osservazioni da fare essendo
sufficientemente chiara la relazione del Consiglio.
Il rendiconto finanziario è corredato dal conto economico e dalla situazione
patrimoniale al 31 dicembre 2006.
Il conto economico rileva solo le spese e le entrate di competenza dell’esercizio
2006 e, come riferito, presenta un disavanzo di euro 427.120.
La situazione patrimoniale rappresenta la consistenza patrimoniale dell’Ordine al
31 dicembre 2006 e riporta anche i dati della situazione dell’anno precedente
consentendo in tal modo il riscontro delle variazioni patrimoniali intervenute.
Le attività complessive assommano a euro 4.967.998 e i beni materiali indicati
come “immobilizzazioni tecniche”, vale a dire biblioteca, mobili, macchine e attrezzature sono esposte o a valore simbolico (biblioteca) o al costo di acquisto integral-
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mente ammortizzato, con apposita iscrizione al passivo di poste di pari importo.
Le passività complessive ivi incluso il fondo per acquisto sede assommano a euro
3.647.786 ed il patrimonio netto assomma a euro 1.320.213.
Nel corso dell’anno il Collegio ha effettuato le consuete verifiche periodiche e
formulato alcune circostanziate osservazioni non rilevando, comunque, alcuna anomalia degna di nota. A seguito della richiesta del Collegio in merito all’effettiva
esigibilità dei crediti verso gli iscritti, il Consiglio ha posto in essere idonee azioni per
il recupero ed a fronte di probabili casi di inesigibilità ha costituito nell’esercizio 2006
un apposito fondo svalutazione crediti di euro 10.000 ed ha previsto di incrementarlo
di ulteriori euro 70.000 nel preventivo dell’anno 2007.
Il Collegio infine evidenzia che, a seguito dell’aumento delle quote annuali degli
iscritti, il preventivo 2007 predisposto dal Consiglio non presenta alcun disavanzo e
chiude in pareggio.
Il Collegio dei Revisori, per quanto di propria competenza, invita l’Assemblea ad
approvare il consuntivo 2006 corredato dalla relazione.
Egregi Colleghi, con l’approvazione del consuntivo 2006 scade il mandato a noi
conferito nel corso dell’Assemblea del 26 maggio 2005, e pertanto Vi ringraziamo per
la fiducia accordataci e Vi invitiamo a nominare il nuovo Collegio dei Revisori dei
Conti.
Roma, 3 aprile 2007
I Revisori dei Conti
Avv. Alberto Palattella
Avv. Romeo Brunetti
Avv. Vincenza Di Martino
Avv. Mario Guido
Avv. Luigi Mannucci
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BILANCIO
RELAZIONE AL CONTO CONSUNTIVO 2006
Gentili Colleghe e cari Colleghi
Il conto consuntivo risulta composto dai seguenti prospetti:
1) Rendiconto finanziario;
2) Situazione patrimoniale;
3) Conto economico;
4) Situazione amministrativa.
Rendiconto finanziario
Il rendiconto finanziario tiene conto delle entrate e delle spese distinte 
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L`allarme per la situazione economica del Ministero della Giustizia