Anteprima Estratta dall' Appunto di Storia
del diritto italiano
Università : Università degli studi di Cagliari
Facoltà : Giurisprudenza
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Storia del diritto italiano parte medievistica -PISANO MARTINAStoria del diritto italiano
Capitolo 1: l'impero e la chiesa dopo Costantino
Storia del diritto italiano: storia delle istituzioni della società; la parola italiano non ha un significato
strettamente legato all'Italia, ma alla Romagna, a diversi territori.
La storia del diritto italiano si occupa di un arco temporale vastissimo, dall'alto medioevo all'800.
L'alto medioevo non ha una data di inizio. Tale concetto nasce dall'età degli umanisti e rappresenta una
rottura tra l'età classica e quella degli umanisti stessi; questa rappresenta un'età buia e di bassa cultura.
Nel 600 fu data una prima rappresentazione temporale del medioevo da Cristoforo Keller, il quale fissa la
data di inizio di tale periodo con Costantino, mentre la fine coincide con il 1453.
L'età di Costantino può dunque essere considerata l'età iniziale della storia del diritto italiano, ovvero l'età in
cui sorge l'impero.
Secondo Eutropio, prima di Costantino, Diocleziano, salito al trono nel 284 e dimessosi nel 305, introdusse
l'uso imperiale del mantello di porpora trapuntato di pietre preziose; mentre secondo altri studiosi iniziatore di
tale rituale sarebbe stato già Aurelaino (270- 275).
e.c
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In tale epoca si ha una concezione dell'imperatore che rispecchia quella di un Dio.
Ai tempi del principato il crimine di lesa maestà aveva un raggio di azione molto limitato e indicava l'offesa
alla statua dell'imperatore, purché consacrata; successivamente in una Costituzione di Arcadio e Onorio del
397, viene considerato quale crimine di lesa maestà non solo il tradimento e l'oltraggio alla persona sacra
del monarca, ma anche l'attentato verso i suoi consiglieri e i membri del concistoro del senato.
rib
I poteri imperiali si vengono ad approssimare alle vette dell'assolutismo, ossia quell'istituto che prevede la
legittimazione di qualsiasi comportamento del governante anche se tenuto in violazione delle leggi.
AB
Ct
Da questo punto di vista di fondamentale importanza risulta la formula romana dell’absolutio legibus, la
quale originariamente faceva riferimento soltanto al privilegio riservato al sovrano di sfuggire alle leggi,
specialmente in tema di successione ereditaria.
Sin dalla fine del II secolo Settimio Severo e Caracalla avevano dichiarato che, nonostante si sapessero
legibus soluti, intendevano vivere secondo le leggi e quindi rifiutavano di avvalersi di testamenti illegittimi fatti
loro favore.
Teodosio II con la sua costituzione denominata Digna Vox del 429 aveva dichiarato ad alta voce che era
bene che il regnante si professasse vincolato dalle leggi. Quest'atmosfera tende a svanire quando
Giustiniano, sempre più tiranno dopo la fallita rivolta di Nika del 532, non esiterà a proclamare che Dio aveva
assoggettato a tal punto le leggi dell'imperatore da fare di questo "la legge animata in terra".
Lo svolgimento storico attestato dal trasformarsi della figura del principe si rispecchia nel sistema delle fonti
del diritto. Le linee originarie di tale sistema furono profondamente modificate. Il binomio leges-iura continuò
a caratterizzare l'ordinamento finché Giustiniano, promulgando il Digesto, ebbe trasformato gli iura in leges e
così formalmente unificato i due tipi normativi.
Gli iura non erano leggi, ma principi idonei all'applicazione della prassi tolti sia dagli Editti pretorii, sia dalle
opere di giureconsulti; i pareri di questi ultimi, quando il principe li avesse autorizzati a darli ed essi fossero
risultati concordi, avrebbero avuto per i giudici, a quanto dice Gaio, la stessa efficacia della legge; essi quindi
non erano connotati dei caratteri tipici delle leges, come l'astrattezza.
Da Costantino in poi, malgrado la presenza sempre più ingombrante del monarca nella produzione del
diritto, nessuno interruppe fermamente la tradizione dei gloriosi iura. Fu soltanto necessario disciplinarla per
adattarne l'uso ai tempi nuovi segnati da una grande decadenza culturale.
Nelle 426, l'imperatore Valentiniano III avverte la necessità di regolamentare l'uso degli iura riordinando i
cinque grandi giuristi a cui egli conferisce autorità: Paolo, Papainiano, Ulpiano, Modestino e Gaio, mediante
l'emanazione della legge delle citazioni, approvata poi da Teodosio II, che la inserì nel Codice Teodosiano.
Qualora vi fossero state pronunce discordanti, tale legge prevedeva che il riferimento da seguire era quello
di Papainiano.
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Storia del diritto italiano parte medievistica -PISANO MARTINA-
Da Diocleziano in poi la vita degli iura diventa sempre più difficile. Questi i continuarono ad avanzare
faticosamente per la loro strada nel Basso Impero. Circolarono per 8 secoli sotto il nome di Paolo, le Pauli
receptae sententiae, che furono considerate la gemma degli iura antichi.
Tra gli iura che attraversarono tutto il Basso Impero vanno annoverate le Istituzioni di Gaio, le quali
subiscono una volgarizzazione all'inizio del 300, divenendo l’Epitome Gai; essa la risponde al nome di
Fragmenta Augusto Dumentia, composto tra il V e il IV secolo, che, insieme alle Pauli Sententiae, saranno,
con i Tituli ex corpore Ulpiani, le fondamenta della legge delle citazioni di valentiniano III.
Sempre all'età Costantiniana, va ricondotta la composizione dei Fragmenta Vaticana, così chiamati perché
rinvenuti nel 1821 da Angelo Mai in un palinsesto della biblioteca vaticana. Questi sono un manualetto
istituzionale, presumibilmente scolastico, contenente costituzioni redatte in versione più ampia rispetto a
quelle contenute nei vari codici, in particolare in quello Teodosiano.
La volgarizzazione degli iura si accompagna comunque ad una seppur contenuta produzione di iura stessi:
la lex dei, e la Consultatio.
rib
e.c
om
La lex dei, il cui nome per esteso è Collatio legum Mosaicorum et Romanorum, è un'opera dove viene
effettuata una comparazione tra la legge biblica (di Mosè), e la legge romana. L'autore si ipotizza fosse un
ebreo. Gli ebrei, infatti, avevano paura nonché timore di un informarsi con le leggi romane. Da qui nasce la
necessità di rassicurarsi della legge romana potesse adattarsi a quell'ebrea, e questo spiegherebbe la
nascita di questo scritto.
Ma l'apprezzamento degli ambienti ecclesiastici di tale opera fa però supporre che il componimento non sia
adducibile ad un ebreo ma ad un cristiano.
La datazione è incerta. In tale opera mancano le costituzioni di Costantino, e ciò insospettisce fortemente, in
quanto dalla Chiesa, Costantino, venne venerato quale liberatore della cristianità, per poi essere santificato.
Si presume, perciò, che venne compilata prima dell'avvento di Costantino, anche se le ipotesi più accreditate
la vedono datata dopo il 436 (legge delle citazioni), nonostante questa inusuale mancanza.
AB
Ct
La Consultatio Veteris cuiusdam Iuri Consulti venne rinvenuta da un giurista umanista (corrente umanesimogiuridica del 500), Cuyacio, che nel 1577 pubblica tale opera, composta da pareri presi da un giurista, che
funge da consulente, offrendo pareri giuridici basandosi sulle fonti del diritto romano che grosso modo
ritroviamo nella Lex Romana Visigotorum (codex Teodosiano, frammenti del Gregoriano e dell’Ermogeniano,
iura fonti principali circolavano prima dell'età di Giustiniano).
Quest'opera è stata composta negli stessi anni in cui appare la Lex Romana Visigotorum (506); si presenta
nella Gallia del V secolo. Essa rappresenta quello che è il prodotto dell'attività di consulenza di un giurista. Vi
è dunque ancora il segno di un'attività di consulenza, la quale ci rimanda a un periodo storico postumo, che
si colloca nel Basso Medioevo.
Dal 300 in poi i giuristi italiani fanno infatti fortuna attraverso le loro attività di consulenti, ovvero mediante
pareri su punti del diritto, forniti a privati dietro consenso o richiesta. Tali pareri verranno nominati consilia;
naturalmente tale attività prevedeva un'importante conoscenza scientifica.
I tre codici: Teodosiano, Ermogeniano e Gregoriano, compaiono quando la vita degli iura appare più difficile,
inizia quindi a prevalere la legge su di essi.
I primi due codici appaiono durante l'età di Diocleziano (284- 305), alla fine del III secolo. Questi due codici
sono da ricondurre la cancelleria imperiale. Il processo di affermazione della legge è nascosto quando essi
vennero compilati. Al loro interno non troviamo leges o costituzioni, ma rescritti, ovvero pareri resi dagli
imperatori ai magistrati. Questo significa che, dietro la loro produzione, non vi è ancora la Maiestatis
dell'imperatore, il quale tendenzialmente soffoca gli iura.
Il codice Gregoriano, datato 292/ 293, raccoglie tutti i rescritti a partire da Adriano (117- 138) in poi;
Il codice Ermogeniano, quasi a costituire un supplemento del precedente, raccoglieva i rescritti di
Diocleziano datati 293/294.
Il codice Teodosiano contiene invece delle costituzioni. Esso entrerà in vigore dal primo gennaio del 493,
nonostante la sua pubblicazione risalta 438. Tale codice rappresenta un prodotto di ripiego nel senso che,
Teodosio, voleva arrivare alla compilazione di due raccolte, contenenti costituzioni vigenti e non vigenti, oltre
agli iura, una indirizzata alla scuola e una al foro. Tale progetto naufragò però per le 1000 difficoltà. Già
Teodosio sarebbe voluto arrivare là dove, 100 anni dopo, arriverà Giustiniano, il quale metterà insieme iura
nel Digesto e costituzioni nel Codex.
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Con Diocleziano si assiste alle ultime quattro persecuzioni dei cristiani, avvenute tra 303-304, dopo circa
quarant'anni di pace. Egli perseguitò i cristiani per fini politici, in quanto avvertiva il forte pericolo della
diffusione del cristianesimo, tanto che l'impero, sotto la sua guida, appariva un impero cristiano governato da
un pagano.
Il cristianesimo rappresentava fondamentalmente una rottura, nell'impero, con usanze, tradizioni e religioni
pagane, le quali erano tipiche della romanità.
Galerio, uno dei due cesari nominati in seguito alla grande riforma istituzionale imperniata sulla tetrarchia
emanata da Diocleziano, fu il primo ad emanare a Sardica un Editto di tolleranza verso i cristiani nel 311,
nonostante il suo odio verso di essi. Tale emanazione è dovuta alla sua conversione avvenuta in punto di
morte, al fine di ottenere il perdono divino.
Il secondo editto di tolleranza verso i cristiani viene emanato da Costantino, insieme con Licino, nel febbraio
del 313, denominato Editto di Milano. Su questo editto vi sono però delle tesi contrastanti, in quanto viene
posta in dubbio la sua reale esistenza, a causa della mancanza di testimonianze scritte di esso.
Le uniche testimonianze ci vengono fornite dai riferimenti che diversi personaggi storici, nel loro trattati,
fanno di questo editto.
om
L’editto di Milano sarebbe stato emanato per liberalizzare tutti i culti. Costantino, dimostrò comunque un
atteggiamento propenso a far sì che la chiesa cristiana potesse liberamente esercitare il proprio credo,
favorendola anche con delle agevolazioni, come, ad esempio, l'esenzione dal pagamento di alcuni munera
che egli concesse ai cristiani, o ancora, la restituzione dei beni confiscati in Africa e in Calabria.
rib
e.c
Tra il 318 del 321 una serie di provvedimenti segnarono l'introduzione di istituti nuovi nella vita della Chiesa.
Tra questi, il più notevole fu L’Episcopalis Audientia, che fece la sua apparizione presumibilmente intorno
altre 118, in una norma in cui Costantino dispose che i giudici ordinari lasciassero le cause, anche se già
iniziate, al giudizio vescovile, qualora le parti, magari per ubbidire all'invito di San Paolo a risolvere le
controversie tra i fedeli all'interno della comunità, l'avessero richiesto concordemente.
AB
Ct
Dall'introduzione di questo nuovo istituto nasce però il problema di capire se questo dà vita ad una
giurisdizione vescovile o ad un arbitrato, quindi a capire quale fosse la volontà di Costantino nel crearla.
L’Episcopalis Audientia nella mente di Costantino rappresentava sicuramente l'istituzione di un semplice
arbitrato, ed infatti le parti potevano rivolgersi al vescovo solo con la volontà concordata di ambedue.
Nel 452 Valentiniano III insisterà sull'esigenza del previo compromesso tra le parti, escludendola dalle cause
penali, e intendendo tale istituto come una delle forme d'arbitrato che il diritto romano usava riconoscere,
con minore o maggiore larghezza, ai vari culti.
Solo Giustiniano si orienterà verso la previsione di una vera e propria forma giurisdizionale: essa si
trasformerà in una mera giurisdizione vescovile.
Altro istituto famoso è la Manumissio in Ecclesia. Essa consentiva l'affrancazione dei servi da parte dei
cristiani, evidenziando un legame con la romana manumissio inter amigos, la quale consentiva, in modo
pagano, di liberare gli schiavi durante feste o banchetti.
Con tale manomissione però si liberavano in modo cristiano gli schiavi, durante un rito ecclesiastico,
facendo, in tal modo, ricevere a questi schiavi la romanità, ovvero la cittadinanza romana. Tale caratteristica
differenzia questa manomissione con quella romana (inter amigos), con la quale invece gli schiavi liberati
non ottenevano la romanità bensì la latinità.
Tra i meriti di Costantino nei confronti dei cristiani va annoverata la concessione alle loro chiese della
capacità di ricevere eredità e legati. Ivi si collocano le Donationes pro anima, le quali permisero alla chiesa di
accumulare ricchezze, soprattutto in procinto dell'anno 1000. Queste donazioni, compiute in massa, a causa
della convinzione che l'umanità sarebbe scomparsa con l'avvento dell'anno 1000, consentivano a chi
effettuava tali donazioni, di procacciarsi un posto in paradiso.
La Chiesa diventa religione di Stato, e le norme del credo religioso devono essere osservate da tutti,
collocate perciò nei codici, grazie all'editto di Tessalonica emanato nel 380.
Nei codici Teodosiano e Giustinianeo è riscontrata la presenza di questo editto.
Costantino, mediante il termine cunventicula cristianorum, indica dei nuclei non troppo numerosi di persone
che ruotano attorno ai sacerdoti, i quali danno differenti interpretazioni della religione. Per questo motivo la
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Storia del diritto italiano parte medievistica -PISANO MARTINAChiesa si trova frammentata. Da questa frammentarietà iniziano a nascere le prime eresia, le quali
rappresentano un grande problema sia per lo Stato che per la religione.
La Chiesa, quale strumento di Stato, si trovano a dover unificare non scomporre. Questo problema risulterà
di dunque fondamentale importanza.
Le eresie verranno considerate alla stregua dell'anti cattolicità.
Nel 325 Costantino indice il Concilio di Nicea, al fine di combattere l’arianesimo, eresia che rimanda ad Ario.
Tale eresia aveva a che fare con la sostanza umana e divina del figlio. Gli ariani non riconoscevano al Cristo
alla natura divina, ma unicamente quella umana, considerandolo unicamente un uomo e non Dio, non
riconoscendo perciò la consubstantia.
Questo concilio doveva dimostrarsi utile al fine di sconfiggere l’arianesimo, il quale, come tutte le altre
eresie, andavano ad intaccare l'universalità.
Costantino, in un ritratto di questo concilio, ci appare seduto sul trono in una posizione preminente rispetto a
quella di vescovi. Non sappiamo con certezza se lui influenzò anche l'ambito religioso del concilio;
probabilmente egli aveva tendenze Cesaropapiste, ovvero mostrava che gli atteggiamenti atti ad inserirsi nel
dogma di fede e di religione; e gli infatti sono preoccupato di interferire anche di affari della Chiesa.
Nonostante fosse stato istituito il Concilio di Nicea, l’arianesimo non fu sconfitto, ma ebbe una larga
diffusione (Italia, Gallia, Iberia), nello stesso Costantino, alla fine della sua vita, divenne ariano.
e.c
om
Costantino aveva un fine politico ed utilizzava la religione per conseguire degli scopi inerenti lo Stato. Egli, in
modo pagano, il 3 luglio del 321, istituì la festività del dies soli. Essa si trasformò nella dies dominicia solo
più tardi. La nascita della festività rappresentò perciò un tributo reso dall'imperatore al culto solare; ciò
evidenzia l'ambiguità delle convinzioni religiose del monarca fino a questa data.
Inoltre, tale ambiguità, diviene evidente quando Costantino eresse Costantinopoli, consacrata mediante riti
pagani, ed avente nel cuore (della città stessa) una statua del sole.
rib
Lo stesso Costantino diventò ariano. Alla fine della vita si fece battezzare dal vescovo Eusebio di Nicomedia,
sicché quando nel 337 a morte colse imperatore, dovette coglierlo da eretico.
Ct
Il figlio di Costantino, Costanzo II, fu eretico, che si adoperò per trasferire alla Chiesa ariana la patente di
"cattolica", è poco mancò che ci riuscisse. L'atteggiamento di Costanzo II era sicuramente cesaropapista.
AB
Gli ariani, confermando l'ingerenza esistente tra Stato e Chiesa, ovvero lo stretto legame tra arianesimo e
cesaropapismo, riservarono due appellativi all'imperatore e al figlio: Costantino venne ritenuto episcopus
externus (vescovo esteriore), e, secondo questa qualifica, non si occupava dei problemi di fede, ma
disciplinava il problema religioso nelle estrinsecazioni temporali; Costanzo II ricevette la qualifica di
episcopus episcoporum, ovvero di vescovo dei vescovi, il quale non lascia alcun dubbio uno sul suo
atteggiamento cesaropapista.
La vittoria del cattolicesimo romano fu sanzionata nel 380. Teodosio I il grande, d'origine iberica e di sicura
fede nicena, emanò gli celebre editto di Tessalonica che impose a tutti i sudditi dell'impero di seguire la
religione segnata dall'apostolo Pietro professata dal pontefice Damaso di Roma e dal vescovo Pietro di
Alessandria. Il cattolicesimo niceno- apostolico veniva così elevato al rango di religione di Stato,
giuridicamente obbligatoria per tutti.
Le due sedi di Roma e di Alessandria citate nell'editto di Tessalonica a parità di grado, devono l'onore al
singolare prestigio goduto dei due grandi titolari.
La situazione creata da tale editto fece emergere un grande problema: quello dell'unità del comando, che
Roma tradurrà nella rivendicazione di quel primato papale cui Bisanzio invece si opporrà e finirà per negarle.
Il riconoscimento ufficiale del primato papale si ebbe infatti già l'anno successivo in oriente: lo sancì il
concilio di Costantinopoli del 381, la famosa assemblea pietra miliare nella storia della teologia cattolica che
si ricorda per la sanzione che diede alla divinità dello spirito santo e quindi alla trinità. Il concilio nello stabilire
una gerarchia delle sedi maggiori, collocò Roma al primo posto, e al secondo posto mise Costantinopoli: era
la capitale dell'imperatore d'oriente, considerato collega maior di quello occidentale; quest'ultimo era inoltre
considerato un collega minor che nemmeno risiedeva a Roma, perché aveva preferito Milano.
Trascorsero settant'anni a Costantinopoli non tollero più di passare dopo Roma: il concilio di Calcedonia da
451 mise allo stesso livello le due sedi in quanto trinità, togliendo quindi di fatto al Papa il suo primato.
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Storia del diritto italiano parte medievistica -PISANO MARTINARoma proprio nel suo sanato, che di fronte a quella recente di Costantinopoli esercitava il fascino della sua
nobiltà antica, deteneva i rappresentanti di un estremo conservatorismo pagano, indifferente agli obblighi
derivanti dalle editto di Tessalonica.
Nell'aula in cui si tenevano le sedute del senato troneggiava l'altare collocato da Augusto, con la Statua della
vittoria, venerata in quanto simbolo degli immortali destini della romanità antica, simbolo glorioso ma
pagano.
Quando Graziano, collega di Teodosio il grande, provvide a rimuovere l'altare nel 382 dietro le pressioni di
Ambrogio, vescovo di Milano, non mancarono resistenze sanatorie. Dopo l'assassinio di Graziano nel 383 il
successore Valentiniano II ebbe forti pressioni perché ripristinasse l'altare della curia; in realtà poco mancò
che ciò avvenisse. Se Ambrogio riuscì a impedirlo, fu solo a costo di una pluriennale, celebre polemica con
Quinto Aurelio Simmaco, senatore pagano, prefetto di Roma.
Dietro l'episodio si nasconde l'ultimo tentativo di restaurazione pagana compiuto per l'ispirazione del senato.
Esso culminò in un fatto d'armi, e fu soltanto la fortunosa vittoria riportata da Teodosio sull'usurpatore
Eugenio del 394 sulle rive del fiume Frigido, a spegnere definitivamente ritorni di fiamma del paganesimo.
L’ara della Vittoria non fu però dimenticato. Nel 410 il visigoto Alarico saccheggiò Roma per la prima volta
nella storia, il circolo la voce che l'incredibile sacrilegio non era che la vendetta degli dei per l'altro sacrilegio
compiuto quasi trent'anni prima dall'imperatore con la violazione dell'altare.
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Dopo la personalità di Sant'Ambrogio costrinse Graziano e Valentiniano II a interrompere le amichevoli
relazioni con l'aristocrazia sanatoria paganeggiante, ottenendo che Graziano rinunciasse al titolo di pontefice
Massimo; riuscì inoltre ad imporre a Teodosio una clamorosa penitenza pubblica che, per essere apparsa
cose inaudite lesioni incredibile della maestà imperiale ha scosso l'opinione pubblica a tal punto da entrare
nella leggenda.
Ct
rib
Durante un tumulto popolare a Tessalonica nel 390, era rimasto ucciso il capo del presidio militare e
Teodosio, per punizione, aveva lasciato massacrare migliaia di cittadini, uomini e donne. Ambrogio per
assolvere l'imperatore da tanto crimine e per riammetterlo all'eucaristia nell'occasione del Natale, volle e
ottenne che, privo delle insegne imperiali, si pentisse pubblicamente in chiesa del proprio peccato e che
chiedesse il perdono. Per la prima volta il più grande di sovrani si sotto mise così in spiritualibus alla Chiesa.
AB
Ambrogio affermò che l'imperatore, e non l’impero, è nella chiesa. Quindi la persona quale individuo del
monarca, nella sua qualità di cristiano e di fedele, deve obbedire al Papa e ai vescovi.
L'imperatore quindi, davanti alla Chiesa, veniva considerato come spogliato dei suoi poteri. Infatti Ambrogio
spiega come ne gli affari temporali l’imperatore abbia dominio assoluto, ma ne gli affari spirituali tale dominio
spetta unicamente al Papa.
Tale tesi, così analizzata, appare concorde a quella sostenuta da Ottato vescovo di Milevi, il quale
insegnava che non era lo stato essere compreso entro la chiesa, ma la Chiesa nello Stato.
Entrambi i padri, dunque, si collocano nel solco della tradizione che nella sostanza non era mai cambiata.
Circa un secolo più tardi le darà corpo definitivo in una formula famosa Papa Gelasio I. Il suo pontificato è
stato brevissimo (492- 496) mai riuscito è un a imprimere un'orma nella storia della Chiesa. Gelasio fu
l'appassionato difensore dei diritti della Chiesa sui due punti più pericolanti: il primato del Papa e l'invadenza
imperiale nella verità di fede, ossia il cesaropapismo.
Per quanto concerne il primato del Papa, la dignità suprema del pontefice era insidiata dal concilio di
Calcedonia da 451, che assicurava pari dignità è pari privilegi alla sede di Costantinopoli. Quest'idea era
largamente condivisa nell'ambiente bizantino: nel 470 l'imperatore Leone I si era spinto a celebrare la Chiesa
Costantinopolitana come madre perpetuata della religione della fede. A Roma usava spostare il problema
dal piano politico e derivare il primato del pontefice dal primato che Cristo aveva inequivocabilmente
attribuito Pietro, principio rilanciato da diversi imperatori, e che traspare dal Decretum Gelasianum, il quale
rispecchia il pensiero del Papa e della sua cerchia.
Per quanto invece riguarda il cesaropapismo, esso ha costituito il fondamento della dottrina della Chiesa,
che ha sfidato due secoli. Il Papa l'ha riformulato sia nel trattato De anathematis vinculo, sia in una
famosissima lettera scritta l'imperatore: lettera che è stata generalmente scelta come la testimonianza
principe del suo pensiero.
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1. giustiniano, la mancipatio,la wa
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vedi libro d
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2. principio assolu
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secondo qst principio la legge era m
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